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2001/02
Rilettura critica
Gabriella Villa
PRELUDIO ............................................................................................................................................. 4
TUTTI IN TRANSITO, OGNUNO STRANIERO ............................................................................................. 4
FATTI E CONTESTO ........................................................................................................................... 5
ALTERITÀ E INTEGRAZIONE ......................................................................................................... 6
INTERLUDIO ........................................................................................................................................ 7
LA SCUOLA AL PLURALE ................................................................................................................ 8
IL BISOGNO DI CERTEZZE .............................................................................................................. 9
OGGETTIVITÀ E SOGGETTIVITÀ ................................................................................................ 10
OBIETTIVO CONFRONTO ...................................................................................................................... 11
IL TUTTO E LE PARTI ..................................................................................................................... 11
DESCRIVERE E VALUTARE ........................................................................................................... 14
VALUTARE È PROGETTARE? ....................................................................................................... 15
CONFLITTI (AMBIENTALI) E ACCORDI (LIETI) ...................................................................... 17
BIBLIOGRAFIA .................................................................................................................................. 19
GV 2
Quel che vedi dipende dal tuo punto di vista.
Per riuscire a vedere il tuo punto di vista, devi cambiare punto di vista.
Se vuoi comprendere quel che un altro sta dicendo, devi assumere che ha
ragione e chiedergli di aiutarti a vedere le cose e gli eventi dalla sua
prospettiva.
Marianella Sclavi
In questa tesina ho ripreso alcuni articoli scritti negli anni scorsi su Numero
Zero – periodico di Intercultura – diffuso, all’epoca, nelle Direzioni didattiche e
nelle Scuole medie del Distretto scolastico 33 di Romano di Lombardia 1 e poi on
line al sito http://web.genie.it/utenti/s/sportello/.
Maggio 2002
1 Le D.D. del Distretto Scolastico 33 erano state coinvolte nel PROGETTO DISTRETTUALE PER
L’INTEGRAZIONE DEGLI ALUNNI NOMADI E STRANIERI promosso dalla D.D. di Bariano e che prevedeva
il distacco della scrivente – come referente - su autorizzazione del Provveditorato agli Studi di Bergamo.
GV 3
Pr eludio
GV 4
P E DAG O G I A I N T E R C U LT U R A L E
RILETTURA CRITICA
DI UN’ESP ERIENZA TRA CONSULENZA E INSEGNAMENTO
FA T T I E C O N T E S T O
GV 5
non deve penalizzare il bambino immigrato, mettendolo da subito in una
situazione di ritardo scolastico e in una classe inferiore all’età.
Poche indicazioni chiare e condivisibili per sapere come fare, ma che a lungo
sono state disattese – e talvolta lo sono ancora – a causa della poca sensibilità di dirigenti
e docenti più preoccupati di non modificare la programmazione di classe che di
predisporre un ambiente accogliente per i nuovi arrivati.
A LT E R I T À E I N T E G R A Z I O N E
GV 6
[…] Gli altri vedono che siamo italiani, europei […] . Noi stessi abbiamo bisogno
di appartenenze e di riferimenti. Ricerchiamo, e ri-creiamo, caratteristiche condivise che
dicano agli altri, in modo sufficientemente chiaro, che tipo di persona noi siamo.”2
Il concetto di identità culturale fonda la sua forza e trova la sua ragione d’essere
nel concetto di diversità.
Una diversità non negata ma riconosciuta come valore e che provoca
un’interazione costruttiva.
Le nuove identità che nel mondo si legano all’aumento della mobilità sociale
incontrano però ostacoli inattesi.
Alle “nuove differenze” come le definisce D. Demetrio non è estranea la scuola,
che per ovvie ragioni vuole porsi come tramite per rispondere alle istanze del sociale
attraverso una pedagogia interculturale volta a migliorare il processo di integrazione e di
interazione tra le diverse etnie.
Mi preme focalizzare l’attenzione su queste parole ed in ciò consiste la principale
ragione di queste righe perché mi sembra opportuno esplicitare il significato che
assumono questi termini e favorire, quindi, l’economia del discorso non lasciando spazi a
fraintendimenti di sorta.
L’integrazione è un concetto non univoco, rappresenta un processo di scambio
poiché anche chi accoglie è chiamato a riflettere sui valori e sui comportamenti dell’altro
e a confrontarsi con il proprio modello culturale.
L’immigrato non va integrato nel senso di una fagocitazione nel sistema che ne
sbiadisca fino alla scomparsa l’originalità dei caratteri di provenienza, ma va accolto nel
rispetto di questi.
Nel contempo, colui che è accolto, dovrà mettere in atto, nel progetto di vita che
l’emigrazione comporta, un adattamento al nuovo contesto ed un contatto aperto verso
le nuove realtà che lo coinvolgono.
L’interazione è invece l’azione continua di scambio tra gli immigrati e gli
autoctoni. È la relazione di interdipendenza che si sviluppa naturalmente tra le parti in
virtù del vivere nello stesso contesto ambientale. Essa può assumere connotazioni più o
meno positive a secondo degli schemi di interpretazione dei valori altrui che ogni
individuo possiede e della maggiore o minore flessibilità o rigidità con cui aderisce ai
modelli normativi del proprio gruppo sociale. L’interazione emerge comunque come
fattore praticamente ineludibile e come tale richiede l’attenzione e la considerazione di
tutti, in particolare di chi opera nell’educazione.
INTERLUDIO
GV 7
LA SCUOLA AL PLURALE
Sono domande che sembrano essere senza risposta. A volte però il soffermarsi a
riflettere su ciò che si può già da ora fare, può aiutare a chiarire meglio da dove
cominciare.
La nostra società si va sempre più connotando come crogiolo di culture e
questo fatto, dato che ognuno di noi vi è dentro, può portare ad una crisi, da un lato, di
identità culturale e dall’altro ad un senso di spaesamento riconducibile ad una crisi più
o meno profonda del senso di appartenenza.
Sempre più frequentemente infatti veniamo provocati dal quotidiano, quando la
contiguità con il diverso ci pone nella condizione di pensare, di capire, di confliggere con
culture lontane in luoghi vicini.
La scuola rappresenta un luogo privilegiato dove è possibile accogliere il
diverso senza giudicarlo, dove ogni cultura o sottocultura può essere riconosciuta nella
sua propria dignità, dove attraverso la possibilità di lavorare creativamente con risorse
organizzative consone è possibile operare quei cambiamenti auspicabili senza nulla
stravolgere.
La comunicazione nella sua più vasta gamma di aspetti (iconica, orale, gestuale,
mimica) può e deve sostenere e promuovere questo cambiamento in cui la cultura
diventa conoscenza che si fa azione, perseguimento del senso della vita e soprattutto
sistema di riferimento valoriale.
Avendo assunto la validità di ogni cultura si rende necessario sottolineare, e con
forza, che nell’approccio interculturale nessuno è inutile, il che equivale a dire che tutti
devono essere accolti con i loro limiti e le loro risorse.
Nello specifico scolastico è fondamentale pensare ad una didattica che non può
essere omologante, ma deve facilitare la costruzione di sé di ciascun alunno.
Ne deriva l’importanza di conoscere le aspettative che ogni famiglia ha nei
confronti dei propri figli e la necessità per la scuola di progettare percorsi possibili
proprio in funzione di tali aspettative.
Come sostiene G. Favaro nel DECALOGO DEL DIRITTO ALL’ISTRUZIONE DEI
BAMBINI STRANIERI “Particolare attenzione deve essere data alla relazione e alla
comunicazione con i genitori immigrati per permettere a tutti di esprimere aspettative,
dubbi, domande, paure e per costruire insieme un progetto comune, a partire da radici,
storie e memorie differenti”.
Ed ecco che si pone fortemente alla nostra attenzione il discorso sulla qualità
dell’insegnamento. Il tempo scolastico non può essere tempo perduto per nessuno.
L’insegnante deve tenere nel dovuto conto che il suo insegnamento si colloca
all’interno di un sistema complesso in cui vari fattori come il clima della classe,
l’attenzione all’intervento didattico, la flessibilità della progettazione dei curricoli
rappresentano le carte vincenti di quella crescita verso l’autonomia intesa come libertà e
corresponsabilità, sapere per condividere, conoscere per creare nuovi significati, che la
scuola deve promuovere per ciascun alunno, sia esso straniero o italiano.
È nel progetto di classe che si gioca la prima, non la sola, e forse più importante
partita per l’integrazione.
GV 8
È nella classe che si promuove l’autonomia di ciascuno, dove tutti, anche
svolgendo compiti diversi, calibrati sulle proprie abilità, si possono rendere consapevoli
che se “sono qui è perchè so fare questo” e ognuno può dare il meglio di sé.
Ecco allora che le discipline diventano strumentali alla costruzione della
personalità dell’alunno, i contenuti valoriali e non banalizzanti, diventano
contestualizzabili alla sua vita, gli agganci con la realtà giustificano la fatica che la
scuola chiede a ciascuno.
È superfluo concludere dicendo che questa è la funzione educativa della
scuola e che il nodo critico di questo approccio è rappresentato dalla capacità
professionale e dalla qualità delle relazioni.
I L B I S O G N O D I C E RT E Z Z E
Uno dei bisogni delle istituzioni educative, e della scuola in particolare, è quello
di strutturare ed omologare in base ad un presunto modello pedagogico ritenuto
ideale e valido per tutti.
In ambito scolastico il limite di questo approccio si traduce in proposte
didattiche ripetitive ed identiche per ogni bambino: schede e ancora schede, per tutte
le attività, dall'educazione musicale all'educazione psicomotoria, passando per lingua,
matematica e tutto il resto. Le fotocopie sono un po' il simbolo di questo modo di fare
scuola: proposte identiche, incolori, rivolte a bambini che dovrebbero crescere tutti
uguali senza il riconoscimento di alcuna differenza, nemmeno la più evidente, quella di
genere.
L'individualità, la diversità, la straordinarietà nascosta non trova molti spazi e
possibilità per uscire allo scoperto; resta spesso celata e per emergere ha bisogno del
paziente lavoro dell'adulto educatore. È necessario ricominciare a osservare con
sguardo attento per cogliere e favorire la genialità di ciascuno.
Recuperare spazio per la creatività e l'immaginazione vuol dire consentire alla
diversità e alla originalità di manifestarsi con modalità espressive proprie. È difficile,
per chi si occupa di educazione, accogliere l'idea della pluralità di risposte agli stimoli
proposti. I comportamenti divergenti suscitano ansia e l'omologazione è una delle
modalità con le quali questa ansia viene normalmente contenuta.
Liberare la propria individualità profonda consente anche la libertà di
accogliere altre individualità, permette di maturare la capacità di vivere "da altri"
superando mortificazioni e livellanti integrazioni.
Noi adulti nei confronti dei bambini siamo frequentemente affetti da miopia e sordità e
quando ci capita un bambino che guardando lontano ci indica la luna noi adulti, come gli imbecilli del
proverbio cinese, guardiamo il dito e non la luna. E lo facciamo semplicemente perché i bambini non li
conosciamo, non li ascoltiamo, non li frequentiamo. E ci atteggiamo da sapienti solo perché abbiamo
letto qualche libro che parla di bambini, e spesso, consapevoli della nostra ignoranza, cerchiamo di
nasconderla mascherandoci da esperti e indossando gli abiti dello studioso. 3
L'ascolto indifferenziato toglie spessore alla comunicazione, vanifica ogni
connotazione e mette in rilievo solo gli elementi più superficiali e banali.4
3 Spaggiari S., “Il potere degli adulti”, in AA.VV. Il bambino fra autorità e libertà, Milano, Volontà,1992, pp.125-137.
GV 9
OGGETTIVITÀ E SOGGETTIVITÀ
Pensare di lavorare nella scuola sulla diversità può far sorgere in molti insegnanti
ansie e chiusure anche giustificabili, in quanto pensare di cambiare atteggiamenti e
contenuti al proprio modo di fare scuola, può scatenare ritrosie e riserve mentali.
Del resto lavorare sulla diversità ci porta inevitabilmente perlomeno a considerare
l’incertezza come componente ineludibile del percorso di lavoro.
Incertezza che non deve essere confusa con il non saper che fare, ma che deve
diventare un atteggiamento mentale di competenza evolutiva che permetta di agire
all’interno di sistemi complessi tenendo conto delle diversità, utilizzando il dialogo e la
partecipazione.
Agire quindi costruendo processi educativi capaci di sviluppare qualità
dinamiche, di insegnare a pre-vedere, progettati secondo i criteri della flessibilità.
I richiami alla professionalità docente diventano, in quest’ottica, ineludubili.
Come sostiene C. Scurati, l’insegnante dovrà possedere:
• un contenuto culturale inteso come conoscenza, comprensione e padronanza di
quello che dovrà insegnare;
• un contenuto pedagogico inteso come conoscenza, comprensione e condivisione
dei motivi per i quali le tematiche interculturali vanno insegnate e dei motivi per farlo;
• un contenuto pratico inteso come esperienze dirette nei diversi contesti locali.
È evidente che iniziare a considerare la diversità culturale nel lavoro didattico
presenta rischi, legati ai pregiudizi e alle discriminazioni che sono patrimonio culturale di
ciascuno; vantaggi come la possibilità di arricchimento del proprio patrimonio culturale
grazie all’acquisizione di maggiori informazioni che facilitano il cambiamento degli
atteggiamenti; necessità di valutare i curricoli e l’organizzazione scolastica locale, di
differenziare l’offerta formativa, di lavorare a classi aperte, di arrivare a utilizzare un
approccio sistemico che presenti come costante l’interculturalità.
Allora forse vale la pena cominciare a smontare alcune nostre certezze
cominciando a riflettere sul pregiudizio.
Dal Dizionario Filosofico il Signor Voltaire ci manda a dire che “ Il pregiudizio è
un’opinione che non si fonda sul giudizio. Così, in tutti i paesi del mondo, si inculcano ai
bambini tutte le opinioni che si vuole, prima che essi possano giudicare di testa loro...
È per pregiudizio che si rispetta un uomo vestito di certi abiti, che cammina e parla
con gravità...”.
“Pregiudizio” è un giudizio espresso “prima” ... di conoscere la situazione che si
dovrebbe giudicare. Non stiamo a discutere su questo bisogno di esprimere giudizi, che ci
affligge (quasi) tutti: fatto sta che i pregiudizi ci sono e sono diffusi su tutta la terra.
Ci sono alcuni che dicono di non avere pregiudizi, ma sono degli ingenui o in
malafede, perché la loro frase mostra già un pregiudizio.
Premesso questo c’è da dire che esistono pregiudizi già fatti e pregiudizi che ci si
confeziona su misura (in base alle esperienze avute, alle persone conosciute, a quello che
si vuol dimostrare in quel momento): ogni pregiudizio consente comunque di avere
un’idea su qualcosa, permette di conversare, giudicare e condannare in poco tempo e
senza stare a pensarci troppo: come farne a meno?5
GV 10
OBIETTIVO CONFRONTO
I L T U T T O E L E PA RT I
GV 11
Un gruppo classe, che si possa definire tale, mantiene un equilibrio tra le
dimensioni dell'operosità e dell'affettività, riuscendo così a permettere a tutti i bambini di
utilizzare le proprie abilità per costruire, all'interno di un clima sociale sereno, la propria
storia apprenditiva.
L'operosità appare a prima vista un termine desueto, quasi inadatto ad una
società post-tecnologica. Utilizzarlo, relativamente a quegli aspetti della vita collegati
all'apprendimento, può sembrare una forzatura, ma se pensiamo che insegnare significa
oggi principalmente far imparare ad apprendere, cioè mettere gli alunni in condizione
di imparare a costruire la propria conoscenza, ecco che il concetto di operosità, che
riconduce al lavoro artigiano, alla capacità di pensare, progettare, realizzare il proprio
manufatto diventa una metafora chiarificatrice.
Manufatto "unico" in quanto costruito da quell'artigiano con i mezzi, le capacità e
l'esperienza che aveva a disposizione in quel momento.
Opera unica! Non standardizzata!
Di fronte ad essa l'artigiano conferma a se stesso le sue abilità: "Ce l'ho fatta",
"anche la prossima volta ce la potrò fare"… E la sua consapevolezza influirà sulla volontà di
riprovare.
La paura di non farcela viceversa può portare anche a non provarci più.
Proprio perché la scuola non è una bottega artigiana - del resto non esistono più
nemmeno nei paesi penserà qualcuno – spesso, troppo spesso il prodotto è acquistato
dall'insegnante come semilavorato o come kit di montaggio al supermercato del bricolage
e non importa se a Lucia piace il ricamo e a Shalini cucinare piatti tradizionali, tutti si
lavora all'assemblaggio di "comode" sedie d'alluminio e formica che domani
probabilmente nessuno comprerà.
Fuor di metafora non dobbiamo sottovalutare quello che gli alunni, tutti gli
alunni, possono agire e pensare nella e della loro riuscita scolastica perché quel pensiero
condizionerà la formazione del concetto di sé, le loro attese sul futuro e la loro
integrazione sociale.
I gruppi classe, i cui insegnanti propongono solo assemblaggi e bricolage,
puntando esclusivamente sull'abilità strumentale per ottenere un lavoro presentabile
(quante volte capita di vedere lavori perfetti formalmente grazie al "ritocco pesante"
dell'insegnante!), inevitabilmente sviluppano dinamiche personali e sociali che spesso
sono prodromi di situazioni critiche di disaffezione e di rifiuto, fino ad innescare circoli
viziosi di disagio indotto, di insuccesso scolastico e di isolamento sociale.
La dimensione dell'affettività rimanda invece a quegli aspetti della realtà
interpersonale che riguardano l'attenzione alla persona, al suo trovarsi a proprio agio, al
suo sentirsi serena, accettata e valorizzata.
Nel gruppo classe ogni alunno vive i rapporti con i compagni e con l'insegnante
in modo coinvolgente.
Le modalità prevalenti con le quali si agiscono e si manifestano i rapporti vanno a
costruire il clima della classe, inteso come contesto socio - psicologico in cui si creano
e si trasformano le relazioni. La costruzione di un clima positivo è un elemento
fondamentale per favorire la formazione di benessere psicologico e di un identità
positiva; inoltre questo consente al gruppo di raggiungere una coesione tale da facilitare
il processo di integrazione di ogni alunno, straniero o autoctono che sia.
Trovare e mantenere il proprio equilibrio tra la dimensione dell'operosità e
quella dell'affettività non è facile.
L'azione didattica, se vuole esserne promotrice, deve curare sia la dimensione del
saper fare che quella del saper essere. Solo così, potrà diventare un'azione significativa,
capace in altre parole di promuovere l'integrazione di tutti gli alunni e di realizzare il vero
senso di ogni intervento educativo.
GV 12
CAMBIAMENTO E PERMANENZA
Un esempio. La Sirenetta è una fiaba classica che si presta ad almeno tre livelli di
analisi su cui ci si può soffermare a riflettere:
sulla diversità
sul desiderio
sulla trasformazione
GV 13
Alcune modalità di inserimento degli alunni stranieri nella scuola italiana, del tipo
sink or swin (affoga o nuota), si trasformano in problemi e difficoltà, se non gestite con
efficacia e con risposte adeguate.
Si possono ipotizzare due situazioni tipo che vanno gestite con la dovuta attenzione e
gradualità, rispettando tempi e silenzi del bambino neo-arrivato:
l’arrivo atteso che permette al team di preparare l’accoglienza insieme alla classe
(possono essere utili informazioni sul paese di provenienza, cartine, foto … parole o
espressioni per i saluti …);
l’arrivo inatteso che deve attivare il team e la classe che accoglie per consentire al
bambino di orientarsi e conoscere il nuovo ambiente e le persone che ci vivono, per
prevenire situazioni di chiusura o di rifiuto.6
D E S C R I V E R E E VA L U TA R E
6 Demetrio D., Favaro G., Bambini stranieri a scuola, Firenze, La Nuova Italia, 1997.
GV 14
essere disponibili a lavorare in gruppo, a permettere la partecipazione dei
colleghi alle loro attività e a rendere pubblici i risultati del loro insegnamento;
lavorare mettendo a frutto il complesso delle proprie capacità ed abilità
umane ed accettare tanto le proprie che le altrui incapacità e debolezze;
valutare le loro differenze di capacità e di interessi un arricchimento e non
un ostacolo per il lavoro comune;
considerare l’autocritica e la critica altrui sul proprio lavoro componenti
esplicite della propria professione;
accettare gli alunni non solo come soggetti interattivi, ma anche come
soggetti cooperativi nelle intese e nei progetti;
cooperare con esperti laddove non siano in grado di aiutare i loro alunni con
le proprie risorse.
VA L U TA R E È P R O G E T TA R E ?
A questo punto del discorso è evidente che quando si parla di alunni stranieri
nella scuola di base, si pongono una serie di problematiche che non coinvolgono
esclusivamente chi non è nato nella nostra cultura. Questi nodi sono riconducibili ad
aspetti intrinseci ed estrinseci alla professione docente che necessitano di essere
attentamente considerati.
Mi riferisco specificatamente ai "vissuti" delle persone coinvolte negli inserimenti
- alunni, insegnanti, genitori - ed ai fattori "strutturali" organizzativi e formali, che non
favoriscono, né facilitano l'accoglienza, se è vero come è vero che ultimamente le scuole
tutte hanno avvertito la necessità di pensare dei progetti per l'accoglienza.
Sono problemi questi che pur essendo di non facile soluzione, si possono
ridimensionare se e nel momento in cui l'insegnante - il corpo docente - si sia reso conto
che occorre sempre più ripensare e ricollocare il proprio ruolo in una prospettiva nuova
in cui aspetti finora poco considerati possono emergere delineando nuove ed
indispensabili caratteristiche di cultura, preparazione e capacità operativa.8
Ripensare l'educazione diventa, in quest'ottica, il motore per realizzare appieno
un itinerario formativo anche per i bambini stranieri che, è noto, spesso sono portatori di
valori e di istanze che confliggono con quelle comunemente accettate nel nostro contesto
culturale.
GV 15
Al di là quindi delle "pastoie" quotidiane bisogna riappropriarsi della volontà di
rispondere con nuove capacità d'intervento, che qualificano e danno valore al lavoro
scolastico.
RICORDARE. La dimensione affettiva del ricordo è ciò che serve per avviare
un'esperienza significativa. Imparare a soffermarsi sul ricordo, anche personale,
come realtà, riconduce ogni esperienza nel suo significato più pieno e la collega, la
rende simile a quella degli altri.
FARE. Nel "fare" inteso come attività "progettuale" in senso lato si ritrovano
aspetti e precise responsabilità operative. E non s'intende l'agire di routine, al di
fuori di ogni collegamento con la "realtà" - persone e situazioni - del contesto
educativo. Il fare per riempire crani e quaderni è ormai una via da abbandonare.
GV 16
UTOPIE CONCRETE E SPERANZE PROGETTUALI
La pedagogia interculturale non può essere ridotta ad una disciplina, non può
essere affidata all’insegnante specialista, né può essere subordinata alla presenza di
bambini stranieri a scuola.
Si tratta piuttosto di una prospettiva che acquista significato quanto più è
condivisa e diffusa, che attraversa e trascende tutte le discipline e anzi diventa spunto e
stimolo per una interdisciplinarità nuova, che investe il piano dei contenuti e, ancor
più, quello delle relazioni.
È quindi importante saper richiamare immagini di percorsi aperti e di relazioni
possibili in cui bambini ed adulti si sentano coinvolti nelle dimensioni cognitiva, emotiva
e relazionale.
L’auspicio è di stimolare la voglia e il gusto di costruire facendo ricorso, nel
lavoro quotidiano, oltre che alla competenza degli insegnanti anche alla creatività di
ciascuno.
L’augurio è che ogni insegnante si ponga, e ogni alunno divenga, nella realtà di
ogni giorno come:
C O N F L I T T I ( A M B I E N TA L I ) E A C C O R D I ( L I E T I )
GV 17
Ci sono infatti moltissime persone che sanno fare bellissimi progetti e bellissimi
programmi: gli empori delle idee sono ormai accessibili a tutti.
Ma ciò che conferisce al progetto dignità è la realizzazione dell’obiettivo per cui è
stato pensato, ideato.
Il “come” è il vero banco di prova; sul come si gioca la competenza, l’attendibilità
e la coerenza degli ideatori.
Ma ogni idea ha i suoi costi e qui si pone il grande problema delle risorse cui
attingere.
Ci si impone uno sforzo creativo, una capacità di rischiarci in nuove forme.
Il compito è impegnativo e richiede “capacità nuove”.
Dobbiamo ridisegnare dentro di noi un modello dell’agire solidale, condivisibile e
misurabile, che ci consenta di essere insieme, persone e struttura, strumenti liberi da
comportamenti di sottomissione, costruzione forte della sinergia.
Esiste una modalità, suffragata dalla psicologia, che, più di qualsiasi altra, dispone
e apre alla fertilità comunicativa, al fare-comune ed è il mettersi in cerchio:
“quando gli uomini si devono mettere d’accordo, formano un cerchio quasi per una legge
segreta”.
In cerchio ci si afferma con pari dignità, si converge verso un obiettivo comune,
si abbraccia e tutela il patrimonio condiviso, si retrocede per essere più accoglienti, è
ininfluente il posto che si occupa.
Mettersi in cerchio vuol dire saper perdere la propria centralità, essere aperti ai
valori di cui ciascuno è portatore, accettare l’altro senza condizioni.
Il cerchio non ha inizio e non ha fine, comincia e termina dappertutto, ricurvo in
se stesso è una figura sincera, forte, concorde.
Il cerchio è ruota, movimento, energia, flusso, ciclo, continuità, sole, terra, ovulo, vita.
Questa immagine è dedicata a tutti coloro che amano ancora mettersi in gioco,
alimentando dentro di sé il germe prezioso della relazione solidale.
“La mia follia mi ha protetto, da sempre, dalle seduzioni dell’élite, mai mi sono
creduto il felice proprietario di un talento”. J.P. Sartre10
10 di N. Scardeoni da http://www.edscuola.com/archivio
GV 18
BIBLIOGRAFIA
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realtà multiculturale
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all’educazione interculturale
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Compagnoni E. (a cura di) Una scuola per domani. L’esperienza Milano Franco Angeli 1993
interculturale di Rio Saliceto
GV 19
Crudo M. Percorsi interculturali e modelli di Roma CRES 1995
riferimento
Demetrio D., Favaro G. Bambini stranieri a scuola Firenze La Nuova Italia 1997
Favaro G., Colombo T. I bambini della nostalgia Milano Arnoldo Mondatori 1993
Editore
Filtzinger O., Sirna C. Migrazione e società multiculturali Bergamo Edizioni Junior 1993
(a cura di) Una sfida per l’educazione
Giovannini G. (a cura di) Allievi in classe stranieri in città Milano Franco Angeli 1998
Giusti M. (a cura di) Ricerca interculturale e metodo Firenze La Nuova Italia 1998
autobiografico
GV 20
Gottman J. De Claire J. Intelligenza emotiva per un figlio Milano Rizzoli 1997
Lumbelli L. (a cura di) Pedagogia della comunicazione verbale Milano Franco Angeli 1996
Mantovani S. (a cura di) La ricerca sul campo in educazione. I Milano Bruno Mondadori 1998
metodi qualitativi
GV 21