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dibattito; entrambi sono alla ricerca di un qualcosa che viene "svelato" dal
linguaggio stesso che "parla" nel colloquio. Per questo, i due si lasciano portare
a frequenti divagazioni: nell'indeterminato il linguaggio viene meglio a parola.
La lingua giapponese povera di concetti; c' il pericolo "che noi ci lasciamo
traviare dalla ricchezza dell'elemento concettuale" europeo, "e svalutiamo come
qualcosa di indefinito e vago ci che rivendica cotto la sua signoria il nostro
modo di esistere"
I due vedono una grossa difficolt: parlare del linguaggio e della cultura
giapponese in tedesco corre il rischio di alterare tutto il senso. La terranno
molto presente e modereranno le loro pretese.
I tratteggia il suo percorso speculativo: Brentano e l'essere in Aristotele, Duns
Scoto, la fenomenologia di Husserl, specialmente le Ricerche logiche, e
l'interesse per il linguaggio, nato con gli studi di teologia e di ermeneutica
(Schleiermacher, ma anche Dilthey).
I vuole cercare "se alla fine (...) possa giungere all'esperienza pensante
un'essenza del linguaggio, la quale offra la certezza che il dire europeooccidentale e il dire asiatico-orientale vengano a colloquio in un modo nel quale
risuoni l'eco della stessa sorgente" (88).
I ripercorre le sue tappe perch "la provenienza futuro", e "come cominciasti,
cos rimarrai" (Hlderlin).
Bisogna eliminare il voler sapere, che impedisce l'interrogare pensante e
l'ascolto; si appella in fondo alla razionalit di una ragione autofondata.
G parla a proposito dell'estetica, della distinzione simile a quella
sensibile/soprasensibile, di Iro (colore) e Ku (il Vuoto, l'Aperto, il Cielo): "Noi
diciamo: senza Iro non c' Ku" (93). Tuttavia Iro indicando il colore "intende
qualcosa di essenzialmente diverso e superiore rispetto al sensibilmente
percepibile di qualsiasi specie" (93). Cos Ku intende altro dal semplice
soprasensibile.
Una dimensione profonda del mondo giapponese, che occidentalizzato solo in
superficie, nel teatro del No. Il film, invece, e anche il pi orientale come
Rashomon una forma europea; oggettivazione.
Il Nulla di cui parlava I in una delle sue conferenze non va inteso
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"Rapporto" non significa relazione in senso logico: vuol dire (quando si parla
del rapporto dell'uomo con la Differenza) che l'uomo "nel servizio affrancante
che chiama l'uomo a custodire la Differenza" (107). Essa non si lascia chiarire
poich lei stessa che "sviluppa la chiarit, la radura luminosa entro cui la cosa
presente come tale e la Presenza si fanno indistinguibili per l'uomo" (107). La
Differenza non oggetto del nostro conoscere rappresentativo.
I rivolge la sua meditazione verso ci che "familiare", cio "quello che prima
affidato alla nostra essenza e solo poi diventa esperibile" (108).
I intende fenomeno non in senso kantiano: ma in un modo simile (anche se
stato erroneamente identificato) a quello dei Greci. "Gaivesa" significa per loro:
portarsi alla luce e in questa apparire. (..) Il compito che si pone al nostro
pensiero odierno quello di pensare il pensiero greco ancor pi grecamente.
(..) Se lo stesso esser presente pensato come apparire, allora domina
nell'esser presente un emergere all'aperto nel senso del non essere nascosto.
Tale non esser nascosto si realizza in un disoccultare inteso come rischiarare.
Sennonch proprio questo rischiarare resta, come evento, sotto ogni riguardo
non pensato. Impegnarsi a pensare tale non pensato: questo significa
perseguire il pensiero greco in modo pi originale, scoprirlo nell'origine del suo
autentico essere" (111-113).
L'uomo porge ascolto al messaggio della Differenza. E' nella servit liberante di
tale ascolto, cio in un rapporto "ermeneutico" (che reca annuncio di quel
messaggio ed esige che l'uomo gli corrisponda).
"L'uomo il portatore del messaggio che il disvelamento della Differenza gli
aggiudica". Siamo arrivati a una "trasmutazione del pensare", che si realizza
come trasmigrazione: un luogo (la metafisica) viene lasciato per un altro. "Cosa
per cui risulta necessaria l'Errterung come appunto evocazione e conquista del
luogo (Ort)" (115).
G prima parla dello Iki come grazia, inteso nel senso di " soffio della quiete che
luminosamente rapisce, e poi dice la parola che aveva a lungo dubitato se
dire o no che esprimerebbe l'essenza del linguaggio, in giapponese: Koto
ba. "Il respiro della quiete, dalla quale nasce questo rapimento appellante
(dello Iki) la forza che fa che quel rapimento avvenga. Ma Koto indica sempre
al tempo stesso quel che di volta in volta rapisce, ci che si manifesta con la
pienezza del suo incanto, di volta in volta unico, nell'attimo irripetibile. Koto
sarebbe allora l'evento del messaggio rischiarante della grazia (..)" (117).
"Jaris" avvicinato da Sofocle a: la generante. "La nostra parola tedesca
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dichten, tihton dice la stessa cosa. (..) La grazia stessa poetica, l'autentica
poeticit, lo scaturire del mesaggio del disvelarsi della Differenza" (l18). Per
nominare il linguaggio, I pensa che la parola tedesca migliore sia die Sage.
"Essa indica il Dire originario, quel che detto da questo dire, quel che ha da
esser detto" (118).
"Ci che mi induce al riserbo la sempre pi chiara consapevolezza della
sacert intrinseca al mistero del Dire originario" (120).
Il problema se e veramente possibile parlare su:L Linguaggio. Entra in gioco il
cosiddetto "circolo ermeneutico": "Un colloquio che derivi dal Linguaggio
necessariamente connesso a un appello dell'essenza del Linguaggio. Ma come
pu per quel colloquio realizzarsi l'appello se esso stesso, quel colloquio, non si
prima disposto e impegnato a un ascolto che immediatamente attinga
l'essenza?" (122).
La risposta il parlare "nell'ascolto del Linguaggio", assunti dal dominio
dell'essenza di questo.
L'essenza del linguaggio
Tre conferenze su un tema, che "vorrebbero portarci alla possibilit di fare
esperienza del linguaggio" (127), che " altra cosa dal procurarsi nozioni sul
linguaggio. (...) La ricerca linguistica scientifica e filosofica mira (...) a costruire
ci che viene chiamato "metalinguaggio" (128). E' una cosa legittima e utile,
ma diversa dal nostro "fare esperienza". "La metalinguistica infatti la
metafisica della totale trasformazione tecnica di ogni lingua in semplice
strumento
interplanetario
d'informazione.
Metalinguaggio
e
Sputnik,
metalinguistica e tecnica missilistica sono la stessa cosa" (128). Il linguaggio ci
tocca nella sua essenza specialmente l dove non troviamo la parola giusta. E'
il tema della poesia Das Wort (la parola) di Stefan George. L'ultimo verso: (per
la poesia intera cfr il cap. La parola)
Kein ding sei wo das wort gebricht
(Nessuna cosa (sia) dove la parola manca)
un qualcosa che egli ha appreso. "In una poesia di tale altezza si pensa, ma
senza scienza, senza filosofia" (130). Non si pu trattare una poesia come un
testo filosofico, cercando una conferma alle proprie tesi: sarebbe svalutarla.
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George giunto nel rapporto della parola con la cosa. "La parola stessa il
rapporto che via via incorpora e trattiene in s la cosa in modo che essa ""
una cosa". Il poetare, che era stato facile, a un certo punto vien meno a
George: non c' il nome per il gioiello ricco e fine che gli sta sulla mano.
"(..) poich si prigionieri del pregiudizio secolare che il pensare sia compito
della ratio, cio del calcolare inteso nel senso piu lato, si subito diffidenti
quando si sente parlare di una vicinanza tra pensiero e poesia. Il pensare non
un mezzo per il conosoere. Il pensare traccia solchi nel campo dell'essere"
(138).
H. torna sul titolo della conferenza, che sembra un po' pretestuoso: in realt
problematico, una domanda: "Quando poniamo una domanda al linguaggio,
una domanda alla sua essenza, gi del linguaggio deve esserci fatto dono (..).
Ogni posizione di domanda possibile solo in quanto ci che si fa problema ha
gi iniziato a parlare e a dire di se stesso" (139).
Il tratto fondamentale del pensiero l'interrogare, e, prima ancora, l'ascolto.
"In qualunque modo ci rivolgiamo al linguaggio per interrogarlo sulla sua
essenza, prima di tutto necessario che il linguaggio stesso si sia rivolto a noi.
Se cos stanno le cose, l'essenza del linguaggio si fa parola dell'essenza"
(139-140).
All'inizio della II confererlza, II. fa una parentesi sulla scienza: "Il metodo non
(..) un puro strumento al servizio della scienza; anzi al contrario il metodo
che ha assunto a proprio servizio le scienze. (..) Nel metodo tutta la potenza
del sapere. Il tema rientra nel metodo" (141).
Noi parliamo del linguaggio e ripetiamo ci che il linguaggio dice: un parlare
inadeguato che porta a un irretimento; esso si dissolve se osserviamo la
regione del pensiero: essa "confina con il poetare" (142).
Il linguaggio in quanto si partecipa; deve parteciparsi. La poesia canto. Il
canto linguaggio, e quindi ha affinit con il dialogo. "Il canto la celebrazione
dell'avvento degli Dei, al cui giungere tutto si acquieta" (144).
L'essenza del linguaggio "ricusa di farsi parola, di dirsi cio in quella lingua
nella quale noi facciamo asserzioni sul linguaggio" (147). Allora nella frase
"l'essenza del linguaggio il linguaggio dell'essenza", la seconda parola
"linguaggio" esprime un modo diverso di parlare. Poetare e pensare sono vicini,
si muovono nell'elemento del dire, "stanno di fronte", ma non si intersecano,
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sorgere "dal Dire originario nel quale si compie il rivelarsi del mondo. Il dire del
linguaggio proviene dalla parola che chiama e aduna, che, aperta all'Aperto, fa
s che nelle cose si manifeati il mondo" (163).
La prossimit fa essere la vicinanza, e non si fonda su un rapporto spaziotemporale. La scienza moderna ha dato un carattere parametrico (cio di
misura) allo spazio e al tempo. Ma prossimit e vicinanza non sono
rappresentabili parametricamente. "Ci che costituisce l'essenza della
prossimit non la distanza, bens il movimento che congiunge le regioni del
quadrato del mondo nell'essere l'una di fronte all'altra. Tale movimento la
prossimit come prossimit vicinante" (166) Lo spazio e il tempo, nel loro vero
essere, non conoscono movimento: sono nella quiete. Il tempo temporalizza:
"porta a dischiudersi" (168). "Lo spazio del gioco temporale (l'idem et unum
che tiene uniti spazio e tempo) quello che instaura il moto nell'esser l'una di
fronte all'altra delle quattro regioni del mondo: terra e cielo, Dio e uomo. E'
questo il gioco del mondo" (168).
La prossimit e il Dire originario, in quanto essenza del linguaggio, sono la
stessa cosa. "Il linguaggio, in quanto Dire originario del quadrato del mondo,
cessa d'essere soltanto qualcosa con cui noi, uomini parlanti, abbiamo un
rapporto (..). Il linguaggio, in quanto Dire originario che imprime l'interno moto
al mondo, il rapporto di tutti i rapporti. Esso con-tiene, sostiene, porge oome
in dono e fa ricche le quattro regioni del mondo nel loro essere l'una di fronte
all'altra, le regge e le custodisce, mentre esso il Dire originario resta in se
stesso" (169). E restando in se stesso, il Linguaggio include noi che, in quanto
mortali, siamo parte del quadrato.
"Il Dire originario dona l' "", facendolo presente nell'apertura luminosa e
nell'oscurit indistinguibilmente intrinseche alla possibilit del suo esser
pensato.
(..) Quell'adunare con appello silenzioso, con cui s'identifica il movimento
infuso nel mondo dal Dire originario, noi lo chiamiamo il suono della quiete.
Esso il linguaggio dell'essenza.
Sostando presso la poesia di Stefan George abbiamo sentito
dire: Nessuna cosa (sia) dove la parola manca.
Abbiamo osservato come nella poesia rimanga non tematizzato qualcosa degno
ai meditazione: che cosa significhi: una cosa . Degno di esser pensato ci
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apparso, a quel punto stesso, il rapporto della parola, che appunto perch
non mancante pu essere pronunciata, con l' "".
A questo punto, pensando
probabilmente possibile dire:
alla
vicinanza
della
parola
poetica,
ci
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all'inizio, e destinato a non esaurirsi mai (..). Poetare e pensare sono entrambi
un dire privilegiato, in quanto ambedue affidati al mistero della Parola come al
massimamente Degno d'esser pensato e perci da sempre l'un l'altro intrinseci"
(186-187).
Il cammino verso il linguaggio
"L'uomo non sarebbe uomo se non gli fosse concesso di parlare di dire ' '
ininterrottamente, per ogni motivo, in riferimento a ogni cosa (...). In quanto il
linguaggio concede questo, l'essere dell'uomo poggia sul linguaggio". E, poco
prima: "E' la facolt di parlare che fa l'uomo, uomo" (189).
Il nostro filo conduttore: "Portare il linguaggio, in quanto linguaggio, al
linguaggio" (190), cio esperire (nel senso di eundo assequi) nell'intreccio del
linguaggio il vincolo liberante.
Dal primitivo "mostrare", a partire dalla Stoa, il linguaggio diventa "designare":
il segno nasce per convenzione. In collegamento col mutare dell'essenza della
verit, "la rappresentazione di un oggetto viene impiegata e indirizzata
all'erogazione di un altro oggetto" (192).
All'origine degli studi moderni sul linguaggio, un saggio di Wilhelm von
Humboldt (1836). Per lui il linguaggio un'attivit, una realt in continuo
divenire, che ha il momento essenziale nel parlare. Esso rimanda all'attivit
interna dello spirito, con la quale vi un reciproco influsso. Ma gli studi di
Humboldt passano dal linguaggio per arrivare come scopo all'uomo. Invece H.
vuole esperire il linguaggio come linguaggio.
Il pensiero non stato capace di esprimere l'unit unificante del linguaggio.
"Dire e parlare non sono la stessa cosa. Uno pu parlare, parla senza fine, e
tutto quel parlare non dice nulla. Un altro invece tace, non parla, e per, col
suo non parlare, dice molto" (198). Dire (Sagen) significa "mostrare, far che
qualcosa appaia, si veda, si senta" (198).
"Ci che fa essere il linguaggio come linguaggio il Dire originario (die Sage) in
quanto mostrare (die Zeige)" (199). Da esso traggono origine tutti i segni e la
possibilit di essere segni. E il parlare un porgere ascolto al linguaggio.
Il "mostrare" del Dire originario proviene da una realt che l'Ort (luogo), che
non tollera Er-rterung: il luogo che non tollera d'essere raggiunto, perch
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luogo di tutti i luoghi e di tutti gli spazi del gioco del tempo. "Noi lo chiameremo
con una parola antica e diremo:
Ci che muove nel mostrare del Dire originario lo 'Eignen'.
Lo Eignen adduce ci che presente e assente in quello che gli proprio cos
che, emergendone, la cosa presente e assente si rivela nella sua vera identit e
resta se stesso. Questo Eignen, in virt del quale le cose emergono nella loro
verit, questo Eignen, che muove il Dire originario in questo suo mostrare, lo
chiameremo Ereignen. Esso fa essere il libero spazio della radura luminosa, alla
quale accedendo ci che presente pu permanere come tale e dalla quale
sfuggendo ci che assente pu essere tale, senza cessare di essere. Quel che
l'Ereignen grazie al Dire originario fa che sia non mai l'effetto di una causa, la
conseguenza di un fondamento. Ci che l'Eignen in virt del quale le cose
emergono nella loro verit, ci che lEreignen genera e accorda ben superiore
a quanto pu provenire da ogni possibile agire, fare e fondare.
L'Ereignendes (ci che fa pervenire nel proprio, ci che serba e rivela le cose
nella loro identit vera) l'Ereignis [evento, come appunto Ereignen:
rivelazione rivelante, cio costituente e disvelante le cose nella loro verit)
stesso, e nulla al di fuori di questo. L'Ereignis, visto nel mostrare costitutivo del
Dire originario, non pu essere oggettivato n come un fatto n come un
avvenimento: pu solo essere esperito all'interno del Dire originario come il
Donante. Non c' nulla, al di fuori dell'Ereignis, cui l'Ereignis possa essere
ricondotto, in base a cui esso possa essere spiegato. L'Ereignen non il
risultato (Ergebnis) di qualcosa d'altro: esso , al contrario, la donazione (die
Er-gebnis). Solo il generoso dare di questa pu concedere qualcosa come quell'
'es gibt', del quale 'l'essere' ancora ha bisogno, per pervenire, come esser
presente, a ci che gli proprio" (203).
"L'Ereignis la pi mite delle leggi" (204). "L'Ereignis, appropriando a s
l'uomo, assumendolo in una servit affrancante, fa che il Dire originario giunga
alla parola" (205). In nota H. afferma: "(...) il pensiero deve (...) perdere
l'abitudine a credere che ci che viene qui pensato come Ereignis sia 'l'Essere'.
L'Ereignis per essenza altro, perch pi ricco di ogni possibile determinazione
metafisica dell'Essere. Vero invece che l'Essere, per ci che riguarda l'origine
del suo essere, si lascia pensare in base all'Ereignis" (205).
H. parla di Bewgung: far sorgere, e mantenere in vita la via. L'autentica
riflessione liberante sul linguaggio una Bewgung: essa porta il linguaggio
come Linguaggio (Dire originario) al linguaggio (alla parola che si realizza nel
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suono)" (206).
"Un pensiero che rifletta sull'Ereignis pu gi sospettarne, anzi gi esperirne la
presenza nella essenza della tecnica moderna, essenza che si continua qui a
designare col termine che suona ancora strano e sconcertante, di Ge-stell (1).
In quanto pone un'intimazione all'uomo, in quanto lo provoca (den Menschen
stellt, d.h. ihn herausfordert) ad adibire (bestellen) ogni cosa che possa farglisi
presente a dispositivo tecnico (als technischen Bestand), il Gestell come
Ereignis, ma tale in modo che dell' Ereignis al tempo stesso il
mascheramento, perch ogni 'adibire' si vede inserito nel pensiero calcolante e
parla cos il linguaggio del Ge-stell. Il parlare provocato a corrispondere in
tutto e per tutto a quella posizione di fronte al reale per cui la presenza di una
cosa si identifica con la sua disponibilit tecnica.
Il parlare cos ridotto diventa informazione. L'informazione s'informa su se
stessa per garantire grazie alle teorie dell'informazione il suo proprio
procedere. Il GeStell, quell'essenza della tecnica moderna che afferma
dappertutto il suo dominio, 'commissiona' per s (bestellt sich) il linguaggio
formalizzato, quel tipo di informazione, in forza del quale l'uomo viene inserito
nel e conformato al mondo della tecnica e del calcolo, in esso 'installato', e
viene passo passo abbandonando il 'linguaggio naturale' "(207-208). La
naturalit del linguaggio intesa dalla teoria dell'informazione come semplice
mancanza di formalizzazione, connessa alla "gusis", che poggia sull'Ereignis.
Ma non c' linguaggio naturale nel senso di un linguaggio proprio della natura
umana: il linguaggio sempre storico.
"Ogni parlare dell'uomo si realizza nel suo essere appropriato al Dire originario
(..). Ogni autentico linguaggio, in quanto (..) assegnato all'uomo,
'destinato'
(geschickt)
(inviato)
e,
perci,
destinatamente
storico
(geschicklich)" (209).
"Il Dire originario non si lascia rinserrare in alcuna definizione. Esso esige da
noi che evochiamo silenziosamente la Be-wgung in cui si realizza l'Ereignen
dell'Ereignis, guardandoci dal discorrere del silenzio. (..) Il Dire originario il
modo in cui l'Ereignis parla: modo non tanto come maniera, quanto piuttosto
come "mezos", come il canto che dice cantando" (210).
necessario, per riflettere sul linguaggio, un mutamento del linguaggio, che
non in nostro potere conseguire. Forse per possibile in qualche misura
prepararlo. Anche von Humboldt sottolineava il ruolo di filosofia e poesia per i
mutamenti del linguaggio.
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