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ad un accordo politico con i socialisti fall nella sostanza. Giolitti non riusc a fare
dei socialisti una forma di governo. I socialisti accolsero con favore il governo
Zanardelli Giolitti, che sembrava linterlocutore adatto per realizzare il
programma minimo stabilito dal partito nel congresso di Roma: suffragio
universale, libert sindacale, riduzione dellorario di lavoro, tutela del lavoro di
donne e fanciulli, istruzione laica e obbligatoria, assistenza e previdenza erano i
punti principali di tale programma, sostenuto dalla maggioranza riformista di
Filippo Turati e Claudio Treves. Pur senza abbandonare la prospettiva
dellinstaurazione del socialismo, Turati riteneva che la classe operaia dovesse
favorire la crescita di una moderna borghesia industriale quale premessa per una
trasformazione della societ in senso socialista, premendo nel frattempo sul
governo per ottenere le riforme. Ma questa linea era combattuta, allinterno del
partito dall componente rivoluzionaria, ostile a ogni accordo con i governi
borghesi, che, a suo giudizio, avrebbe tolto autonomia allazione socialista e ne
avrebbe causato il distacco dalle masse popolari. Turati rifiut la proposta di
entrare a far parte del governo avanzata da Giolitti, e si limit ad un appoggio
caso per caso: appoggio che venne poi ritirato di fronte ai modesti risultati
della riforme, ai frequenti casi di lavoratori caduti nel corso di scontri con le forze
dellordine e alla crescita della componente sindacalista rivoluzionaria
allinterno del partito, guidata da Arturo Labriola.
Lo sciopero generale del 1904: Nel congresso di Bologna la componente
riformista del partito fu messa in minoranza e nel settembre dello stesso anno fu
proclamato uno sciopero generale nazionale, il primo dItalia. Lo sciopero
paralizz il paese e impaur la borghesia, ma, salvo alcuni episodi isolati di
violenza, fu affrontato con calma da Giolitti e gestito con moderazione dalle
organizzazioni sindacali e politiche. Lo sciopero generale segn il punto massimo,
ma anche linizio del declino del sindacalismo rivoluzionario: la mancanza di
risultati concreti e linsuccesso delle agitazioni proclamate successivamente
indebolirono lala estrema del partito, la cui guida fu nuovamente assunta dai
riformisti. Ma la possibilit di un accordo stabile fra Giolitti e il partito socialista
era ormai sfumata, tanto che il ministro liberale inizi a guardare con crescente
attenzione a unaltra grande componente della societ italiana: i cattolici.
Limpegno sociale dei cattolici: Nel mondo cattolico erano intervenuti
importanti cambiamenti. Lestraneit dei cattolici alla vita politica nazionale si
era progressivamente attenuata: i cattolici partecipavano alle elezioni
amministrative e affiancavano i liberali nellamministrazione di comuni e
province; la borghesia cattolica era sempre pi inserita nello sviluppo economico
del paese, soprattutto nei settori bancario e amministrativo; dopo la
pubblicazione dellenciclica di Leone 13 rerum novarum che delineava i principi
della dottrina sociale della chiesa, il movimento cattolico e le sue organizzazioni
si erano progressivamente estesi nel paese, soprattutto nelle campagne, dove
erano sorte numerose casse rurali e leghe bianche, cio organizzazioni
sindacali cattoliche. Questo graduale ritorno dei cattolici alla vita sociale e
politica organizzata nasceva dalla consapevolezza, presente soprattutto fra i
giovani, che il cattolicesimo non poteva rimanere escluso dai processi di
trasformazione in atto nella societ italiana n lasciare ai socialisti la
rappresentanza delle aspirazioni e degli interessi popolari.
Varie posizioni allinterno del movimento cattolico: Allinterno del neonato
movimento cattolico esistevano, diverse tendenze. La tendenza degli
intransigenti, arroccata in un netto rifiuto dello stato liberale e dogni elemento
della modernit, fu maggioritaria negli ultimi due decenni del secolo. Essa diede
vita a una grande e capillare organizzazione, lopera dei congressi, allo scopo di
coordinare le attivit dei cattolici nelle scuole, nelle opere pie, nelle societ di
mutuo soccorso. Una seconda tendenza era quella moderata, che faceva capo a
Filippo Meda, favorevole ad un progressivo inserimento dei cattolici nello stato
liberale. Una terza posizione, infine, era quella della Democrazia Cristiana,
movimento fondato dal sacerdote Romolo Murri. Murri riteneva che per affermare
il ruolo del cristianesimo e della chiesa della nuova societ industriale, fosse
necessario creare un partito di massa cattolico. Sotto linfluenza delle idee
moderniste, Murri diede a questiniziativa un significato sempre pi
accentuatamente sociale e anticonservatore, schierandosi a favore delle riforme
sociali e in appoggio alle rivendicazioni dei lavoratori. Il movimento di Murri
giunse a sostenere i candidati radicali e socialisti, e lo stesso Murri risult eletto
nelle file della sinistra, cosa che ne provoc la scomunica da parte del nuovo
pontefice Pio X, succeduto a Leone XIII.
Giolitti e i cattolici: La distinzione fra intransigenti e transigenti venne
superata dal prevalere, allinterno del mondo cattolico, della tendenza clericomoderata, che riteneva necessario per i cattolici impegnarsi nella vita politica al
fianco dei liberali conservatori in opposizione ai socialisti. Sciolta lopera dei
congressi, emarginate le posizioni democratico-cristiane di Murri, il movimento
cattolico accett di fatto la realt dello stato liberale, operando piuttosto per
acquisire peso e influenza nello stato e nella societ. Contemporaneamente
anche la classe dirigente liberale attenuava di molto il proprio laicismo,
preoccupata in primo luogo di costruire un argine a difesa dellordine sociale
contro le sinistre. Giolitti, pur essendo ostile ad ogni forma di clericalismo, si fece
interprete di questa tendenza, attuando una progressiva apertura ai cattolici
motivata, oltre che dalle mutate condizioni storiche, anche da una
considerazione di carattere politico. Nacquero cos i primi accordi elettorali in
chiave conservatrice, condannati da Murri e dalla corrente democratico-cristiana.
Nel 1905 Poi X chiar che i cattolici potevano intervenire alle elezioni politiche in
quei collegi dove potesse risultare eletto un loro candidato o, in appoggio ai
liberali moderati, dove vi fosse un rischio di vittoria dellestrema sinistra. Sedici
candidati cattolici risultarono cos eletti nel 1909.
La crisi degli equilibri giolittiana: Lalleanza elettorale con i cattolici divenne
sempre pi necessaria al sistema giolittiano quanto pi esso perdeva la sua
capacit di garantire lequilibrio e la pace sociale. Negli ultimi anni del governo di
Giolitti lo scontro sociale e politico nel paese si and radicalizzando. Nel fronte
imprenditoriale (dove nacque la confindustria, lassociazione di categoria degli
industriali), prevalsero tendenze favorevoli ad un rapporto conflittuale con il
movimento sindacale. Daltra parte, nel partito socialista il riformismo turatiano
incontrava crescenti difficolt nel tenere unito il partito in cui si fronteggiavano
due ali estreme: la destra dIvanoe Bonomi, che professava una linea di tipo
laburista, escludendo la prospettiva di una trasformazione socialista della
societ; dallaltro lato la corrente rivoluzionaria( in cui emerse un nuovo leader,
Benito Mussolini, segretario della federazione di Forl)che nel congresso di Reggio
Emilia conquist la maggioranza. A Mussolini fu affidata la direzione
dellAvanti!, il quotidiano del partito.
La diffusione del nazionalismo: Un fatto nuovo e importante di questi anni fu
la diffusione, anche in Italia, del nazionalismo. Fenomeno inizialmente di tipo
letterario e culturale, limitato ad una ristretta cerchia dintellettuali, il
nazionalismo assunse sempre pi dichiaratamente politico: nel 1910 venne
fondata lassociazione nazionalista italiana. Le parole dordine del nazionalismo
erano la richiesta di uno stato forte, la necessit dellespansione coloniale per
laffermazione della grandezza dellItalia, la polemica contro il giolittismo, il
parlamento e le istituzioni democratiche imbelli e corrotte, la lotta
antisocialista. Un programma vago e infarcito di retorica. Nella formulazione che
ne diede Enrico Corradini il nazionalismo si mostr capace di ottenere consensi
crescenti, rivolgendosi alle masse con unabile miscela di imperialismo e
populismo: inizi allora a circolare il mito dellItalia proletaria, sfruttata e umiliata
dalle nazioni ricche e potenti come il proletariato lo era dalla borghesia.
La ripresa politica coloniale: la conquista della Libia: In questo clima
matur la scelta giolittiana di riprendere la politica despansione coloniale nel
nord Africa, con la guerra di Libia. Giolitti arriv a questa decisione assecondando
la pressione dellopinione pubblica nazionalista e dei maggiori gruppi industriali e
finanziari, nel tentativo di guadagnare il consenso per la propria politica. Dopo la
caduta di Crispi, lItalia, pur rimanendo allinterno della triplice alleanza, si era
progressivamente riavvicinata alla Gran Bretagna e alla Francia. Il governo
italiano aveva accettato il dominio francese in Tunisia e Marocco, ottenendo in
cambio il diritto di puntare alla Libia, ultimo lembo dAfrica tributario dellimpero
ottomano; si voleva, secondo una logica diffusa nellet dellimperialismo,
conquistare quei territori prima che altri vi mettessero le mani. Perci lesercito
italiano occup la Tripolitania e la Pirenaica e anche Rodi e le isole del
Dodecaneso, come atto di intimidazione nei confronti della Turchia.
Le conseguenze della guerra di Libia: La guerra di Libia, che comport spese
ingentissime ed ebbe 3000 caduti, era stata presentata dalla propaganda
nazionalista come una grande opportunit economica. In verit lo scatolone di
sabbia non aveva al momento grande rilievo economico, n come fonte di
materie prime n come occasione di impiego per i lavoratori italiani, che vi
affluirono in quantit molto modeste. Quella conquista rispondeva soprattutto
alle tradizionali finalit politiche del colonialismo italiano: portare lItalia nel
novero delle grandi e dirottare allesterno le tensioni sociali esistenti nel paese.
Dal punto di vista economico ne traevano soprattutto vantaggio le banche, gli