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e la minaccia jihadista.
Quale politica estera?
A cura di Stefano M. Torelli e Arturo Varvelli
Indice
Introduzione,
Paolo Magri.................................................................................... 7
Parte prima Gli scenari geopolitici e gli interessi italiani
1. Da al-Qaida alle nuove formazioni:
la minaccia jihadista cambia
Paolo Maggiolini .......................................................................... 17
2. Libia: la sfida dello Stato Islamico
Laurentina Cizza, Karim Mezran ................................................. 43
3. Lascesa del jihadismo in Algeria e Tunisia:
gli interessi italiani
Stefano M. Torelli ......................................................................... 57
4. Non solo Sinai, lestremismo di matrice islamica in Egitto
Wolfgang Pusztai .......................................................................... 77
5. Siraq tra terrorismo e guerriglia
Andrea Beccaro ............................................................................ 93
6. AfPak: i rischi del broader disengagement
Riccardo Redaelli ....................................................................... 105
7. I pericoli di una spirale balcanica
Giovanni Giacalone.................................................................... 115
Introduzione
Lascesa dello Stato Islamico (IS) in un vasto territorio tra Siria e
Iraq e la competizione innescatasi allinterno della galassia jihadista della vecchia al-Qaida sembrano attivare dinamiche di concorrenza/coesistenza che hanno conseguenze molto rischiose per
unintera area geopolitica affetta da una situazione dinstabilit
che gi costituiva un terreno fertile per la proliferazione di gruppi
radicali. La minaccia sembra coinvolgere in particolare un vasto
spazio di prossimit che va dai Balcani sino al Maghreb altamente rilevante per gli interessi europei e soprattutto italiani. Questa rilevanza data non solamente dalla constatazione che il Mediterraneo e il Medio Oriente rappresentano per lItalia quellarea di
primario interesse politico-strategico incluso in un raggio che dai
vicini Balcani oltrepassa la Turchia verso la sponda sud del Mediterraneo fino allAtlantico, ma anche per evidenti motivazioni
economico-commerciali e di politica energetica. I fenomeni legati
allemergere di questarco dinstabilit regionale, quindi, coinvolgono direttamente linteresse nazionale dellItalia in tutte le sue
sfaccettature.
Le nuove forme di terrorismo islamico, che tentano di assumere una forma proto-statuale, sembrano stravolgere i parametri politici del passato poich presentano una vocazione universalista e
intransigente che esercita un innegabile fascino, soprattutto sulle
nuove generazioni. Questa nuova minaccia ha chiaramente una
duplicit che la vecchia al-Qaida non aveva: un network terroristico e continua ad avere una dimensione ideologica, ma si trasforma anche in qualcosa di concreto e visibile. Proprio per la caratterizzazione territoriale e per la sua necessit globale e universale, la nuova minaccia caratterizzata, dal punto di vista
Introduzione
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della minaccia presente in Tunisia e nella vicina Algeria. Analizzando il panorama jihadista in questi due paesi, Stefano Torelli sostiene che il fatto stesso che non si tratti di stati falliti o semifalliti, come nel caso della Libia, rende paradossalmente i movimenti e i singoli jihadisti presenti in quelle aree potenzialmente
pi pericolosi per i teatri esterni. Non un caso che la Tunisia fornisca un altissimo numero di foreign fighters, dal momento che gli
elementi radicalizzati in loco non hanno spesso la possibilit di
mettere in pratica il jihad in casa propria. Come conseguenza, vi
la tendenza a cercare altri teatri di operazione e questo fattore,
contestualmente alla forte impronta anti-occidentale dellideologia
jihadista propria di IS e dei suoi gruppi affiliati, pu costituire un
innesco per tentare dinfiltrare lOccidente.
Elementi analoghi sembrano caratterizzare lEgitto. Wolfgang
Pusztai esamina lattuale contesto in cui operano i numerosi gruppi estremisti attivi nel paese, in particolare nel Sinai, regione poco
controllata dal governo del Cairo. Alcuni di questi si sono recentemente affiliati allIS. LEgitto ha rappresentato un paese chiave
nellevidente fallimento del processo delle Primavere arabe e
nellistituzionalizzazione della Fratellanza musulmana quale
gruppo politico legittimo. La sua criminalizzazione ha spinto diversi membri nellombra e li ha avvicinati ai gruppi militanti.
probabile che alcuni di questi si siano uniti in una lotta armata
contro il governo, conducendo atti di violenza contro le forze di
sicurezza come risposta alla repressione delle proteste pubbliche.
In prospettiva futura il successo di queste formazioni in Egitto,
paese cardine per la regione e fondamentale anche per gli interessi
italiani, appare strettamente connesso al grado di legittimit democratica e inclusivit politica del paese.
Un capitolo, quello di Andrea Beccaro, interamente dedicato
allevoluzione della situazione in Siraq, come pu essere definita larea di primario sviluppo di IS, alle sue dinamiche, agli eventuali effetti di spillover regionali, in particolare in Libano, e agli
interessi italiani ed europei. Lanalisi di questo scenario rende evidenti le cause settarie alla base dellascesa del califfato e rimanda alle possibili sistemazioni politiche dellarea: la spaccatura tra
Introduzione
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sunniti e sciiti radicata e inficia profondamente non solo le capacit operative dellesercito iracheno, che si vorrebbe nazionale, ma
anche quelle dinfluenza politica di Baghdad in cui il controllo
sciita forte e visto con sospetto dalla minoranza sunnita. Lasciando da parte i bombardamenti aerei condotti dalleterogenea
alleanza anti-IS, il futuro appare segnato dalle interrelazioni di
numerosi gruppi di attori, non omogenei al loro interno, che combattono sul terreno: dai curdi, alle milizie sciite, alle forze del regime di Assad, che rendono assai nebuloso il quadro e sembrano
continuare a reiterare le condizioni di successo di IS.
Larea AfPak continua a essere un altro scenario di grande rilevanza per gli interessi europei e occidentali. Riccardo Redaelli lo
spiega osservando come questo rappresenti simbolicamente anche
una cartina di torna-sole dellimpegno internazionale e italiano
nel fronteggiare la minaccia jihadista. Tuttavia questo quadrante
sembra subire un processo di riduzione del senso di priorit, al
quale contribuisce il tentativo di disimpegno statunitense, ma anche la trasformazione dei Taliban in una galassia molto pi articolata e spesso lontana dal movimento originario, strettamente legato
al jihadismo globale, e la derubricazione del conflitto in Afghanistan in conflitto nazionale, che sembra rimandare a soluzioni
pi politiche che militari.
Infine, per la volont di focalizzarsi sugli interessi italiani, il
Rapporto assegna specifico rilievo anche al quadro in evoluzione
nei Balcani, dove le difficili condizioni socio-economiche di alcune zone permettono allideologia jihadista, come descrive Giovanni Giacalone, di far breccia nelle menti dei giovani, portando la
cosiddetta spirale balcanica a una nuova fase, quella
dellesportazione di combattenti allestero e alla costruzione di
network estremisti specializzati nella propaganda radicale e nel
reclutamento: un fenomeno che non pu assolutamente essere sottovalutato e che comporta seri rischi per il nostro paese.
Ad aprire la seconda parte del volume dedicata alle specifiche
conseguenze per lItalia Arturo Varvelli che focalizza la propria
analisi sulle implicazioni per la politica estera italiana. Il contributo si sviluppa dalle premesse del nuovo sistema internazionale nel
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Introduzione
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politiche di cooperazione internazionale alla sfida jihadista, essenzialmente con due tipi dintervento: da un lato dotandosi di linee
di azione a sostegno delle istituzioni, sia come interventi di sviluppo, sia allinterno di una riflessione sulla cooperazione civile e
militare; dallaltro lato influenzando la costruzione di una politica
migratoria europea che attraverso azioni di reinsediamento contenga i rischi e i costi dei rifugiati nei paesi con istituzioni messe a
dura prova dagli avvenimenti degli ultimi anni.
Paolo Magri,
vice-presidente esecutivo e direttore dellIspi
Parte prima
Gli scenari geopolitici
e gli interessi italiani
1.
A partire dagli attacchi del settembre 2001, analisti, politici, giornalisti e opinione pubblica si sono progressivamente abituati a dover fare i conti con il rischio del terrorismo internazionale di matrice islamica, sempre pi definito attraverso il termine jihadismo
sotto le insegne di al-Qaida. Come sempre lo sguardo storico ci
ricorda che tale fenomeno aveva gi imboccato la strada del suo
destino qualche decade prima, come ad esempio gli scritti di
Abdullah Yusuf Azzam1 avevano in parte preconizzato. Nutrita e
incubata dai molteplici teatri del nuovo jihad in Afghanistan,
Algeria e nellex-Jugoslavia la minaccia jihadista aveva assunto
contorni sempre pi delineati e precisi, a dispetto di unattenzione
di media e agenzie di sicurezza non consona alla sua portata.
A quasi quindici anni dagli attacchi sul suolo statunitense, la
galassia jihadista ha dimostrato di saper cambiare e adattarsi al
mutare delle condizioni internazionali e regionali. Una realt resiliente sia dal punto di vista tattico-strategico sia da quello organizzativo.
Senza snaturare o contraddire i suoi principi e orientamenti
dottrinali, il jihadismo ha prima pervaso la dimensione globale, o
si almeno imposto su tale piano, divenendo poi sempre pi una
realt profondamente inserita nei molteplici fronti di crisi locali
che si sono aperti nel corso di questi anni, come testimoniato dalla
Abdullah Yusuf Azzam (1941-1989), studioso e teologo islamico di origine palestinese, ritenuto tra i primi ideologi del jihad globale contemporaneo.
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il passaggio da un movimento dominato da al-Qaida a una situazione pi fluida e articolata come quella attuale. Un panorama che
vede la galassia jihadista frammentata tra soggetti che si distinguono per tattiche e strategie differenti. Tra essi spicca IS, che
cerca di accreditarsi sempre pi come vera e propria alternativa al
modello qaidista.
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Il contesto storico
Per poter evidenziare quali possano essere i profili delle minacce
che il pi recente corso dei movimenti jihadisti pone allEuropa e
allItalia importante riconsiderare la storia recente che ha visto la
nascita e laffermazione di queste realt. Una ricognizione che non
pretende di approfondire e abbracciare tutti gli eventi che si sono
rincorsi durante le ultime due decadi, ma che serve per inquadrare
e collocare brevemente le profonde e multiformi trasformazioni
che si sono succedute. infatti lungo questo orizzonte che si staglia il percorso che ci conduce alla nascita di IS e allo sviluppo
delle altre formazioni jihadiste che ora dominano la scena regionale e internazionale.
Al-Qaida d il via alle sue operazioni proprio nel cuore degli
anni Novanta fino a imporsi allopinione pubblica con la realizzazione degli attacchi sul suolo statunitense. cos che
lorganizzazione guidata da Osama bin Laden assurge nei primi
anni del nuovo secolo a principale pericolo da contrastare, divenendo in breve tempo la nemesi politica della superpotenza statunitense. Questo gruppo stato cos considerato lespressione plastica del nuovo orizzonte di minacce che lOccidente avrebbe dovuto affrontare nel secolo che si apriva davanti ai suoi occhi, orfano delle logiche e delle consuetudini di una Guerra fredda ormai
archiviata da circa un decennio. Un mondo che si dischiudeva alla
globalizzazione con fiducia e speranza si cos trovato ad affrontare un nemico paradossalmente a misura di questo ideale. AlQaida si presentato come una realt de-territorializzata, tragicamente calata dal cielo, concentrata sulla lotta internazionalista da
parte di unavanguardia preparata e potenzialmente presente in
ogni luogo. Tale percezione paradossalmente racchiusa nel suo
stesso nome. Al-Qaida (la base), quasi come se lOccidente avesse
individuato consapevolmente o meno in questa realt il terminale
ultimo e unico di unidea di coordinamento e di una visione
dinsieme alla guida del fenomeno jihadista globalizzato. Lotta
al jihadismo ed esportazione della democrazia sono in breve tempo divenuti i fari della proiezione strategica occidentale a guida
statunitense. Ne sono seguite, cos, la guerra in Afghanistan (otto-
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Al tempo stesso, allinterno di questa fase di ribellione e cambiamento si sono riversate anche le tensioni geopolitiche che andavano sempre pi prendendo forma nellarea. La contrapposizione tra Iran e Arabia Saudita, le tensioni tra questultima e il Qatar,
il desiderio di giocare un ruolo egemone da parte della Turchia
nellarea mediorientale e mediterranea e, infine, le scomposte politiche di alcune potenze europee hanno contribuito ad aumentare la
propensione entropica delle dinamiche in atto.
Di conseguenza, sia nei paesi in cui le piazze sono riuscite a
determinare un cambio di regime (Egitto, Tunisia, Libia e Yemen)
sia laddove, a maggior ragione, ci non avvenuto (Siria e Bahrein) la complessit e la profondit delle sfide in campo non hanno
tardato a manifestarsi. La prova di tale difficolt stata incarnata
dalla vicenda politica delle formazioni islamiste, in particolare in
Egitto, e della loro performance alla guida dei paesi post-2011.
Tralasciando per il momento il contesto siriano, sprofondato in
una guerra civile che dura ancora oggi, lascesa del cosiddetto
islam politico, del modello dei Fratelli musulmani, ha contraddistinto di fatto il primo passaggio alle urne nei paesi in cui le piazze
sono riuscite a determinare un cambio di regime o ladozione di
riforme costituzionali. Confermando lappeal di tali formazioni e
della loro organizzazione dal punto di vista della capacit di convogliare e indirizzare il consenso, a fronte invece di una tendenziale impreparazione degli schieramenti laici o secolari, i partiti islamisti hanno per in breve tempo sperimentato la difficolt di trasformare il consenso popolare in risultati politici concreti. cos
che ben presto si manifestato uno dei problemi centrali di ogni
processo di apertura e democratizzazione, ovvero la difficolt di
articolare in modo bilanciato il rapporto tra maggioranza e minoranza, evitando dinterpretare lesito delle urne come una carta
bianca per governare unilateralmente senza compromesso e mediazione. In breve tempo si cos diffusa la percezione di un raffreddamento della spinta al cambiamento a cui ha fatto seguito
limmagine della rivoluzione tradita.
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In uno di questi, lIraq, tale fenomeno ha preso un corso particolarmente spedito e autonomo, alimentandosi delle specifiche
debolezze di un territorio segnato da anni di guerra. qui che alZarqawi ha aperto la strada alla lotta jihadista che oggi ha preso il
nome di Stato Islamico (IS). Ed da qui che al-Baghdadi decide di
riversarsi nel contesto siriano in piena guerra civile, trovando cos
il teatro ideale per affermare definitivamente tale progetto.
alla luce di questa breve ricognizione storica che si manifesta
la complessit di un fenomeno jihadista non pi riconducibile a
quellunico qaidista dei primi anni Duemila e di una minaccia che
si articola solo lungo le due direttrici del terrorismo e
dellinsurrezione, ma che ambisce direttamente alla statualit, superando le attuali divisioni nazionali. La galassia jihadista non
esprime quindi solo la molteplicit delle capacit e della possibilit degli obiettivi da colpire, ma anche una distinzione nella natura
e nella ratio della sua strategia e visione.
Jihad globale e territorio
A ben vedere il fenomeno al-Qaida, dopo essersi manifestato in
tutta la sua spettacolarit con gli attacchi del 2001, proietta quasi
immediatamente la sua sfida globale nella prospettiva locale. Un
esempio di tale percorso pu essere ritrovato in Arabia Saudita.
Tra il 2002 e il 2004, infatti, la sua terminazione saudita si concentra sulla realizzazione di un ampio programma di destabilizzazione
nel regno, cercando di colpire infrastrutture e figure politiche e militari di rilievo. In questo momento, per, tale direzione rimane
strettamente ancorata alla prospettiva di una guerra di risposta
contro lOccidente e i suoi alleati, ovunque questi possano essere
raggiunti grazie allimpegno di unavanguardia ideologicamente e
militarmente pronta6.
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particolare della componente tribale sunnita8. Unimportante esperienza per il fronte jihadista. Una lezione da cui si poi sviluppata
una maggior attenzione verso le alleanze locali e la realizzazione
di programmi di sostituzione allo stato nei servizi alla popolazione, che attualmente caratterizza la presenza jihadista.
Contestuale a questa fase di diffusione nella sfera mediorientale, quindi non pi realt legata al solo settore afghano-pakistano,
nel 2007 il gruppo salafita per la Predicazione e il Combattimento
(Gspc) annuncia la sua entrata nella sfera qaidista proclamando la
creazione di al-Qaida nel Maghreb islamico (Aqim).
Con il senno di poi, a pochi anni dallavvio della Primavera
araba i profili della minaccia jihadista contemporanea sono in
parte gi ben evidenti. Al-Qaida si diffonde e penetra in diverse
regioni, idealmente occupando lampio arco mediorientale e mediterraneo che guarda allEuropa. Il territorio diviene progressivamente qualcosa di pi che un safe haven, un luogo protetto in cui
addestrarsi ideologicamente e militarmente, attirando nuove reclute, e si consolida come fronte ulteriore e coerente della lotta jihadista in cui colpire le forze dei regimi apostati (filo Occidentali)
e realizzare le prime forme di applicazione della sharia e quindi di
controllo sociale e politico, proseguendo nel contempo nella promozione e ispirazione di operazioni terroristiche internazionali.
Da questo punto di vista, a partire dal 2009 la crescita del peso
specifico di Aqap ha dimostrato la capacit di riuscire a veicolare
questo duplice sforzo verso il territorio9. La causa qaidista prosegue, quindi, sia nellottica della guerra per fronti, le terminazioni
locali facenti capo alla base centrale, sia attraverso la promozione
di una sorta di atomizzazione e individualizzazione del jihad armaM.M. Eisenstadt, Tribal Engagement: Lessons Learned, Military Review, settembre-ottobre 2007.
9 La lotta contro Ali Abdullah Saleh e la presenza statunitense nellarea; la sperimentazione di formule di controllo territoriale con Abiyan e Zinjibar; lispirazione di
operazioni terroristiche individuali sul suolo occidentale attraverso la rivista Inspire.
Non da tralasciare tutto il dibattito rispetto allautenticit e alla rilevanza di questo
periodico, la cui ultima uscita risale a dicembre 2014. Non essendo qui il luogo per
approfondire tale confronto, risulta comunque rilevante inserire tale strumento
allinterno della strategia operativa di Aqap e quindi della pi ampia galassia jihadista.
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rio e delle popolazioni locali. Inoltre, essa sembra anche rappresentare una sorta di bacino da cui i diversi fronti qaidisti potrebbero attingere, come sembra aver prospettato Aqim nel richiamare la
giovent tunisina, che guardava al jihad siriano, a rimanere nella
regione piuttosto che partire16.
Nella sfera egiziana, la Primavera araba e la conseguente fase dinstabilit che culminata con lintervento dellesercito, ha in
qualche modo favorito la proliferazione di differenti sigle jihadiste
sia nella penisola del Sinai, con legami alla dimensione di Gaza,
sia nel cuore del territorio egiziano. In questo contesto la situazione pare essere molto pi confusa rispetto al contesto tunisino. Da
una parte sono rintracciabili organizzazioni che evitano di riferirsi
direttamente ad al-Qaida, pur rinnovando il loro supporto alla causa jihadista globale. Al tempo stesso esse non praticano la lotta
armata, dimostrando lintenzione piuttosto di radicarsi sul territorio e tra la popolazione sulla base chiara del rifiuto di ogni compromesso con il potere e le leggi dello stato.
Dallaltra, una realt come Ansar Bait al-Maqdis ha realizzato
diverse operazioni militari nel Sinai, rispecchiando formule classiche della lotta jihadista, nonostante oscilli tuttora tra una componente che si schiera con il sedicente Stato Islamico e una che se
n discostata riferendosi ancora ad al-Qaida.
La presenza di tali gruppi nel contesto egiziano non rappresenta solamente una minaccia di per s, ma si collega alle molteplici
sfide che il paese deve attualmente affrontare. Esiste, infatti, il
problema del controllo dei confini e dei territori periferici sia in
direzione della Libia sia del Sinai dove diverse tipologie di attivit
parallele e illegali possono liberamente proliferare. In questi contesti non si pone solo un problema di sicurezza, ma anche di ritorno dello stato e dei suoi servizi alla popolazione. Inoltre, per, rimane la questione del rapporto con i Fratelli musulmani che rimangono una forza ben radicata nel paese, nonostante le misure di
contenimento adottate dal nuovo corso politico di al-Sisi. Infine, in
un quadro pi generale restano aperte questioni di fondamentale
importanza come quella della gestione delle acque del Nilo in rap16
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ampio23. IS, invece, ha ribaltato completamente tale visione, rifiutando non solo le limitazioni specifiche del territorio e della questione locale, ma attaccando qualsiasi soggetto che si fosse rifiutato di piegarsi e soggiacere alla sua causa. Lo ha fatto sulla base
dellesercizio di unautorit effettiva sia sotto il profilo statuale sia
sotto quello teologico. Nel compiere tale operazione le logiche
dello scontro e la pretesa di avanzare un programma di statebuilding autonomo corrono di pari passo. Il califfato proclamato
e con ci IS ha affermato la sua pretesa superiorit politica e teologica su tutto il fronte jihadista e la comunit islamica senza limiti o barriere24. La lotta al nemico, sia esso vicino o lontano, interno
oppure esterno, diviene quindi parte di qualcosa che va oltre, almeno nella propaganda, la strategia e la tattica. Lidea quella
della creazione di un sistema sociale e politico nuovo, in sostituzione totale rispetto a tutto quello che lo precede. Di qui la distruzione esibita della storia di questi territori, il violento massacro di
comunit non-musulmane o considerate eterodosse e, infine, la
chiamata alla hijra (emigrazione) verso il califfato non solo per
possibili nuovi militanti, ma per qualsiasi professionista capace di
contribuire alla macchina statale e amministrativa di IS 25. evidente che propaganda e autocelebrazione amplificano tale narrazione, che lanalisi sul campo deve ancora valutare nella sua completa veridicit. Luso spinto della comunicazione e dei media in
effetti sta moltiplicando il prestigio di questorganizzazione26.
Al tempo stesso, necessario comprendere gli elementi di novit che IS sta cercando dimprimere nella storia del jihadismo 27.
Un cambiamento che si somma alle linee di minaccia e sfida che
J. Caffarella, Jabhat al-Nusra in Syria: an Islamic Emirate for al-Qaeda, Middle
East Security Report, Institute for the Study of War, n. 25, dicembre 2014, p. 14.
24 P. Maggiolini, A. Plebani, La centralit del nemico nel califfato di al-Baghdadi,
in Twitter e Jihad: la comunicazione dellIsis, a cura di M. Maggioni, P. Magri, Milano,
ISPI, 2015, pp. 29-51.
25 A Call to Hijra, Dabiq, al-Hayat Media Center, n. 3, 2014, p. 32.
26 B. Wilkinson, J. Barclay, (2011).
27 E. Brooking, The ISIS Propaganda Machine Is Horrifying and Effective. How
Does It Work?, Defense in Depth, 21 agosto 2014,
http://blogs.cfr.org/davidson/2014/08/21/the-isis-propaganda-machine-ishorrifying-and-effective-how-does-it-work/.
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ta su un arco temporale medio lungo, passando ancor pi attraverso la popolazione, il territorio e la dimensione del patto sociale ed
economico tra questi e il potere centrale.
Per lItalia ovviamente si presenta la necessit di leggere attentamente il posizionamento e la direzione che la minaccia jihadista
sta assumendo nei contesti regionali in cui presente con propri
contingenti o attivit economiche ed energetiche, come il Rapporto analizza sistematicamente. Al tempo stesso, permangono i rischi a livello globale o internazionale con la combinazione del fenomeno dei cosiddetti lupi solitari e dei foreign fighters da cui il
nostro paese non pu dirsi immune. In questo senso, lItalia deve
proseguire lungo la via della ridefinizione dei propri strumenti legislativi e di sicurezza, come ha recentemente fatto, preparandosi a
gestire la questione dei rientrati28. Ci anche in ragione del fatto
che IS non si focalizza pi solamente sulla dimensione
dellavanguardia, preparata dottrinalmente e militarmente, ma ha
esteso la sua chiamata allintera comunit islamica e in particolare
alle giovani generazioni. Tutto ci sarebbe necessario poterlo discutere nella dimensione europea. In particolare, lUE dovrebbe
fortemente rivedere le proprie politiche per il Mediterraneo, non
gi nella prospettiva del fenomeno jihadista che evidentemente
non attiene direttamente a questa sfera, ma in quella delle sfide politiche e di tenuta del sistema statuale che lattuale arco di crisi sta
manifestando con chiarezza. Nel compiere tale operazione, lItalia
dovrebbe stimolare a livello europeo una seria valutazione
dellefficacia dei propri programmi in relazione ad altre potenze
regionali che stanno realizzando analoghe iniziative con disponibilit economiche assai maggiori. Questo elemento vitale proprio
in ragione delle conseguenze che la competizione tra potenze a livello regionale ha prodotto. Al tempo stesso ci necessario per
evitare di vedere annullati nei fatti gli obiettivi che ci si propone,
con effetti distorsivi non previsti che vadano ad alimentare i molteplici livelli possibili su cui lattuale fenomeno jihadista sembra
concentrarsi.
Aa. Vv., LItalia e il terrorismo in casa: che fare?, a cura di L. Vidino, Milano, ISPI,
2014.
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ne dello stato di emergenza in tutto lest del paese, cui Lifg rispose
con uninsurrezione armata di tre anni, prima di essere sconfitto ed
espulso dalla Cirenaica nel 19986.
Agli inizi della guerra degli Usa ai Taliban, Saif al-Islam prese
liniziativa di evacuare le famiglie arabe dallAfghanistan, inclusi
molti membri Lifg e le loro famiglie un fatto che ebbe un forte
impatto sui jihadisti, portandoli a riconsiderare le loro opinioni
negative sul regime. Per rinforzare la propria posizione allinterno
della famiglia Gheddafi e della societ libica pi in generale, Saif
al-Islam diede avvio a un processo di riforme con alcuni membri
di Lifg arrestati nel 2007. Questo processo culmin con la pubblicazione nel 2010 di un libro a firma Lifg in cui il gruppo rinunciava allinsurrezione armata e faceva un appello alla tolleranza. Le
rivolte del 2011 esplosero proprio mentre il regime stava rilasciando lultimo gruppo di combattenti detenuti del Lifg. A quel
punto i militanti del gruppo erano pochi e la sua situazione economica disastrosa, tuttavia con tutti i combattenti fuori dal carcere
Lifg era libero dimbracciare le armi senza il timore di rappresaglie da parte del regime sui militanti arrestati7.
La diffusione negli anni Settanta del wahabismo dispirazione
saudita pose una minaccia pi sottile e permanente al regime di
Gheddafi di quanto non avessero fatto i Fratelli musulmani o il
Lifg. Il wahabismo saudita lanciava una sfida implicita al regime,
condannando il socialismo e aderendo a una definizione restrittiva
di governo legittimo, che non si estendeva alla Jamahiriya di
Gheddafi. Durante gli anni Settanta e Ottanta la societ libica divenne pi conservatrice sotto il profilo religioso man mano che
lopera di proselitismo dei sauditi and a fondersi con il revival
islamico innescato dalla rivoluzione islamica dellIran e
dallinvasione sovietica dellAfghanistan. I ragazzi dei campus
universitari libici iniziarono a indossare il thawb di stile saudita e
si fecero crescere la barba le ragazze invece a indossare hijab e
niqab. Presto i campus universitari libici divennero lo spazio non
solo di una passiva resistenza religiosa, ma di un dichiarato attivi6
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Ibidem, p. 202.
Ibidem, p. 206.
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Ibidem, p. 198.
Ibidem, p. 220.
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care rifugio nella citt orientale di Tobruk, sotto la protezione delle truppe del generale Haftar. Dallestate del 2014 la Libia paralizzata da una guerra civile tra due fazioni contrapposte, ognuna
delle quali sostiene un parlamento e un governo diversi.
Lo Stato Islamico in Libia
Il lancio dellOperazione Dignit ha avuto leffetto inatteso di richiamare nella madrepatria i miliziani libici impegnati in Siria o
Iraq. Tra loro anche al-Battar Battalion, sostenitore dello Stato
Islamico, che ha probabilmente facilitato larrivo di suoi emissari
a Derna dallArabia Saudita e dallo Yemen12. Il 20 agosto la presenza dello Stato Islamico in Libia diventata palese, quando il
gruppo Majlis Shura Shabab al-Islam (Mssi) di Derna ha mostrato
la bandiera nera nel video dellesecuzione di un cittadino egiziano.
A met ottobre il Mssi di Derna ha giurato fedelt al gruppo e dato
avvio a un tribunale islamico sotto la guida di emissari dello Stato
Islamico, arrivati con lesplicito proposito di stabilire la Wilayat
al-Barqa13.
Da allora in poi lo Stato Islamico sta replicando in Libia il modello despansione utilizzato in Siria e in Iraq, seppure in scala
minore. IS ha esteso le sue attivit a Bengasi, Sirte, Tripoli e in altre aree della Libia meridionale. Il gruppo ha rivendicato gli attentati allesterno del Security Directorate di Ajdabiya (1 dicembre),
del Diplomatic Security Headquarters di Tripoli (27 dicembre),
della Camera dei deputati a Tobruk (30 dicembre) e
dellambasciata algerina (17 gennaio). Nello stesso periodo lo Stato Islamico ha anche portato a termine una serie di rapimenti e decapitazioni, compresa luccisione di due giornalisti tunisini, e il
rapimento di 21 egiziani copti. Lattacco allHotel Corinthia di
F. Wehrey, Mosul on the Mediterranean? The Islamic State in Libya and U.S. Counterterrorism Dilemmas, Carnegie Endowment for International Peace, 17 dicembre 2014,
http://carnegieendowment.org/2014/12/17/islamic-state-in-libya-and-u.s.counterterrorism-dilemmas.
13 Islamic State Activity in Libya, Kalam Institute for Network Science, 2 febbraio
2015, http://www.slideshare.net/movelibyaforward/islamic-state-activity-in-libya.
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risorse strategiche17. Temprate dai combattimenti, le fazioni libiche saranno probabilmente in grado di resistere a perdite di territorio significative a favore dei nuovi arrivati stranieri, come lo Stato
Islamico e i suoi adepti locali. Senza grande sorpresa dunque, lo
Stato Islamico ha evitato di confrontarsi direttamente con le fazioni in lotta, approfittando piuttosto dellanarchia libica e
dellinclinazione storica di Derna a favore della resistenza jihadista per stabilire la sua presenza nella Libia orientale.
Per ora il controllo dello Stato Islamico sul territorio in Libia
rimane limitato. Gli affiliati dello Stato Islamico non controllano
totalmente nessuna delle citt libiche a cui hanno esteso le proprie
attivit, inclusa Derna. Ma lampiezza della presenza dello Stato
Islamico in Libia potrebbe dipendere non tanto dalla popolarit
presso i libici quanto dallabilit del gruppo di cooptare jihadisti
locali. Abbandonando al-Qaida e presentandosi come affiliato dello Stato Islamico, Mssi si distinto dal punto di vista ideologico
rispetto ai rivali locali, come la Brigata Martiri Abu Salim, e ad
altre branche di al-Qaida18. Alla luce di ci il giuramento di Derna
un segnale preoccupante del potere di attrazione globale dello
Stato Islamico. La crescita delle affiliazioni nel Nord Africa potrebbe rappresentare il modello futuro delle conquiste territoriali di
IS19.
Il cambiamento di alleanza del Mssi emblematico di come la
competizione tra IS e al-Qaida per il controllo del jihad globale
stia impattando sulle alleanze delle milizie in Nord Africa. Nel
Maghreb lo Stato Islamico ha fatto appello ai combattenti di Ansar
al-Sharia affinch abbandonino al-Qaida cos come ha incoragE. Fowler, From Raqqa to Derna: Exceptionalism in Expansionism, Jadaliyya,
Arab Studies Institute, 4 dicembre 2014,
http://reviews.jadaliyya.com/pages/index/20182/from-raqqa-toderna_exceptionalism-in-expansionism.
18 A.Y. Zelin, The Islamic States First Colony in Libya, The Washington Institute for
Near East Policy, Policy Analysis, Policywatch 2325, 10 ottobre 2015,
http://www.washingtoninstitute.org/policy-analysis/view/the-islamic-states-firstcolony-in-libya.
19 B. Faucon, Islamic State Gained Strength in Libya by Co-Opting Local Jihadists, Wall Street Journal, 17 febbraio 2015, http://www.wsj.com/articles/islamicstate-gained-strength-in-libya-by-co-opting-local-jihadists-1424217492.
17
53
54
Ibidem.
Ibidem.
55
facile afflusso di uomini e di beni dal levante. IS vuole unire Derna e Bengasi a est, Sirte nel centro e Tripoli a ovest in un territorio
pi esteso; ha gi iniziato a mettere in atto questa strategia entrando a Ben Jawad, unarea a circa 140 km a est di Sirte, cui si pu
avere accesso solo attraverso le principali strade costiere e da cui
IS pu controllare tutti i movimenti tra Sirte e Ben Jawad. Per
spostarsi efficacemente allinterno della Libia, il gruppo tenter di
collegare tutte le sue basi in questo modo. Lattacco ai giacimenti
di petrolio di al Mabrook indica che lo Stato Islamico ha gi messo gli occhi sulle risorse petrolifere della Libia e che impedir a
ogni altro attore di ottenerle.
Lo Stato Islamico effettivamente unorganizzazione pericolosa ma, per adesso, ancora gestibile. Se la comunit internazionale
decider dimpiegare tutte le sue forze e la sua reputazione nelle
negoziazioni guidate dallOnu, la crisi libica e il fenomeno jihadista potranno essere risolti. Le due fazioni di Tobruk e Tripoli dovranno giungere a un accordo e dar vita a un governo di unit nazionale che possa ristabilire lordine e la sicurezza in tutto il paese,
con la collaborazione di forze internazionali e delle milizie libiche.
Una risposta internazionale coordinata ridurr le opportunit a
disposizione dello Stato Islamico, rendendo le diserzioni da Alba
Libica minori e meno significative. Inoltre, una risposta internazionale regolerebbe le interferenze esterne, evitando che la Libia
diventi preda dei politici autoritari della regione. La rappresaglia
egiziana per il brutale assassinio dei copti ha pesato sulla remota
speranza che la minaccia di IS potesse unire i partiti rivali. I bombardamenti di al-Sisi hanno ufficializzato il sostegno dellEgitto al
governo di Tobruk, spostando lequilibrio di forze sul campo a favore delle truppe del generale Haftar e riducendo quindi la disponibilit di queste ultime al negoziato e al compromesso. Interventi
unilaterali di questo tipo da parte di politici autoritari apertamente
anti-islamisti come al-Sisi non faranno che esasperare la rivalit
tra Tobruk e Tripoli. Molte prove dimostrano la contro produttivit dei bombardamenti nel ridurre il potere di attrazione dei gruppi
terroristi: una ragione in pi per perseguire uno sforzo coordinato
con gli attori libici.
56
LItalia il paese che, rispetto a tutti gli altri stati europei, rischia di essere pi danneggiato dal collasso della Libia.
Laumento dellafflusso di migranti metter a dura prova le deboli
strutture di accoglienza italiane: senza dubbio una minaccia alla
sicurezza nazionale. La possibilit che terroristi si nascondano tra
gli arrivi di migranti unipotesi possibile, ma remota. Dal punto
di vista economico, il collasso della Libia darebbe un colpo rilevante alla sicurezza energetica italiana, al settore del petrolio e ad
altre aree economiche duramente colpite dalla crisi. quindi
nellinteresse nazionale italiano studiare un possibile intervento in
coordinamento con gli altri stati europei che possa condurre al ristabilimento dellordine pubblico e della sicurezza in Libia. Pi
dello Stato Islamico e dei suoi raccapriccianti sogni di stabilire un
califfato nel Medio Oriente, linstabilit della Libia a essere una
minaccia per lItalia.
3.
58
59
luppo e benessere sociale. Sebbene la stessa Tunisia non possa dirsi in assoluto un paese ricco o benestante, indubbio che i maggiori indicatori di sviluppo facciano registrare rendimenti molto
pi elevati in questo contesto, piuttosto che in quello algerino. E,
probabilmente, stata proprio questa differenza di fondo a far s
che le rivolte tunisine assumessero le caratteristiche di un rovesciamento sistemico, mentre quelle algerine sono rientrate in seguito alle misure economiche prese dal governo di Bouteflika nel
2011. Ci detto, nel contesto attuale Tunisia e Algeria sono accomunate da un elemento che riguarda proprio il fattore sicurezza e
la diffusione di gruppi lungo una nuova direttrice, vale a dire quella del loro confine condiviso. La questione del jihadismo in
questarea assume rilevanza per gli interessi italiani in quanto questi due paesi, per motivazioni differenti, sono legati allItalia da
rapporti di tipo economico, culturale e geopolitico, rispetto ai quali
lattivit terroristica che interessa tali contesti e che da tali contesti pu fuoriuscire fino a toccare direttamente lItalia e lEuropa
si pone come un elemento destabilizzante.
Algeria: tra nuove traiettorie di Aqim
e sicurezza energetica
Sebbene la letteratura specialistica, lopinione pubblica italiana e,
talvolta, le stesse analisi di policy non diano la necessaria rilevanza a questo attore statale, lAlgeria uno dei perni della politica
estera e di sicurezza italiana. DallAlgeria proviene una parte significativa dellapprovvigionamento energetico italiano3 e, potenzialmente, qualsiasi sconvolgimento di tipo politico e di sicurezza
in questo paese si tradurrebbe immediatamente in una minaccia
diretta alla sicurezza italiana. Soprattutto in un momento in cui le
altre due fonti principali di approvvigionamento energetico italiano Russia e Libia sono a rischio per via degli sviluppi geopoliIl discorso valido soprattutto per lapprovvigionamento di gas naturale, del quale
lItalia ha importato nel 2014 dallAlgeria 6,8 miliardi di metri cubi (ovvero il 13 per
cento del totale delle importazioni italiane di gas). Dati: Snam Rete Gas.
3
60
tici e del parziale deterioramento delle relazioni con questi due attori, la sicurezza dellAlgeria risulta quanto mai determinante per
gli interessi nazionali italiani. Senza dubbio, tra gli elementi che
concorrono a minacciare la stabilit algerina oltre allincertezza
sulla possibile successione allattuale presidente Bouteflika vi
proprio la presenza di gruppi jihadisti radicati da anni in Algeria e
ai suoi diretti confini. Il jihadismo algerino ha sperimentato diverse fasi nella sua storia e ha le sue radici nella guerra civile degli
anni Novanta, che conta pi di 200.000 vittime. Il maggiore gruppo islamista presente in quegli anni era il Gruppo Salafita per la
Predicazione e il Combattimento (Gspc), che in seguito avrebbe
cambiato nome dopo la sua affiliazione ad al-Qaida, diventando
quello che ancora oggi conosciuto come al-Qaida nel Maghreb
Islamico (nellacronimo inglese, Aqim). Nato ufficialmente nel
2007, il movimento ha avuto sempre come principale obiettivo lo
stesso governo algerino, puntando direttamente alla costituzione di
uno stato islamico allinterno dei confini algerini. Quello che, inizialmente, era ritenuto essere il gruppo pi attivo e ricco tra tutti
i movimenti jihadisti affiliati ad al-Qaida, ha per subto una serie
di mutamenti tattici, strategici e strutturali, che lo hanno in parte
indebolito, ma daltro canto ne hanno espanso il raggio dazione,
rendendolo potenzialmente pi pericoloso anche per altri paesi
dellarea4. Il primo riferimento alla cosiddetta fascia saheliana,
che comprende la Mauritania, il Mali e il Niger, lambendo anche il
Ciad. Si possono individuare alcune motivazioni alla base della
cosiddetta regionalizzazione di Aqim lungo la direttrice del Sahel:
Si veda anche S.M. Torelli, A. Varvelli, Il nuovo Jihadismo in Nord Africa e nel Sahel, in
Osservatorio di politica internazionale, n. 75, Roma, Senato della Repubblica, maggio 2013.
4
61
Come conseguenza di questa nuova tattica da parte di Aqim, votata pi alla propria riorganizzazione interna, che agli attacchi contro il nemico (lAlgeria), lorganizzazione qaidista aveva cominciato a intraprendere tutta una serie di attivit cui solitamente i
gruppi jihadisti non erano dediti fino alla met degli anni Duemila:
traffico di armi;
traffico di stupefacenti e merci contraffatte;
controllo delle rotte dellimmigrazione sulla direttrice SudNord;
rapimento di civili, spesso occidentali, per ottenere il pagamento di riscatti.
Il conflitto scoppiato in Mali tra il 2011 e il 2012, influenzato anche dal flusso di armi ed elementi tuareg dalla Libia a seguito della guerra civile libica, ha costituito un primo momento di divisione
allinterno di Aqim. La parte dirigente del gruppo, infatti, non si
trovava in accordo con gli elementi di Aqim che hanno appoggiato
la costituzione di un sedicente Stato Islamico nel Nord del Mali,
da parte del Movimento per lUnicit e il Jihad in Africa Occidentale (Mujao). Agli occhi della dirigenza di Aqim lobiettivo ultimo
sarebbe dovuto rimanere il jihad in Algeria e, in questottica,
lingresso nelle dinamiche interne del Mali avrebbe potuto distogliere le forze dallobiettivo principale. Allo stesso tempo, unaltra
divisione stava prendendo piede: quella rappresentata dalla fazione
riunitasi intorno alla figura di Mokhtar Belmokhtar. Questultimo
aveva creato una propria sacca di autonomia proprio grazie (anche) ai traffici di merci contraffatte e sigarette di contrabbando,
fino a entrare in conflitto con la leadership di Aqim, di cui formalmente faceva parte. La spaccatura interna al movimento qaidista nordafricano ha provocato un effetto immediato sulla stessa
sicurezza dellAlgeria, determinando nuovi fattori di rischio.
stato proprio il gruppo di Belmokhtar, infatti, a effettuare lo spettacolare attacco contro gli impianti di gas naturale di In Amenas,
nel Sud-Ovest dellAlgeria, nel gennaio 2013. Lattacco, che ha
62
provocato la morte di 37 lavoratori stranieri, tra cui molti occidentali, ha segnato una svolta tattico-strategica del jihadismo algerino
seppure non di Aqim dal momento che ha colpito direttamente
il cuore delleconomia e dellindustria del paese, vale a dire quella
degli idrocarburi. La potenziale minaccia derivante da attentati di
questo tipo, rispetto alle operazioni tipiche del Gspc e in seguito di
Aqim, concentrate esclusivamente contro obiettivi militari e istituzionali algerini, va invece a colpire anche altri settori. Conseguentemente, il livello di tale minaccia coinvolge in maniera maggiore
anche lOccidente, per due ordini di motivi: gli obiettivi stessi degli attentati possono essere cittadini occidentali che lavorano nel
settore degli idrocarburi in Algeria; eventuali danni allindustria
petrolchimica algerina potrebbero ripercuotersi sulla sicurezza
energetica dei paesi della sponda Nord del Mediterraneo, in primis
Spagna, Italia e Francia.
La stessa Algeria, per, non stata immune neppure
dallascesa ideologica di IS (Stato Islamico) e, come accaduto in
altri contesti arabi e mediorientali, anche in Algeria si sta verificando una polarizzazione del panorama jihadista, con la nascita di
gruppi affiliati al califfato di Abu Bakr al-Baghdadi. questo il
caso del movimento sorto nel settembre 2014 da una scissione interna ad Aqim e chiamato Jund al-Khilafa. Il gruppo era guidato
da Abdelmalek Gouri, un ex comandante di Aqim che ha successivamente deciso di dichiarare la propria affiliazione a IS. Tale
scissione testimonia la tendenza diffusa in tutto il mondo arabo e
musulmano (anche in Africa), che vede il monopolio della scena
jihadista di al-Qaida messo in discussione dalla nuova generazione di jihadisti afferenti a IS. A differenza di al-Qaida, lIS si distingue per metodi molto pi violenti, che prevedono anche un attacco pi indiscriminato contro cittadini occidentali o, in generale,
ritenuti infedeli, ricorrendo in maniera radicale alla pratica del
takfir5. Nel caso di Jund al-Khilafa, ad esempio, tale caratteristica
Il termine takfir identifica latto di dichiarare infedele (kafir, da cui comporre il termine takfir) una persona o una pratica. Per lislam, la dichiarazione di takfir rappresenta una grave accusa e comporta delle serie conseguenze sia per laccusatore, il
quale pu vedersi rivolgere la medesima accusa qualora la sua dichiarazione fosse
5
63
64
65
zate in supporto alla sharia, ai raduni annuali che teneva nella citt
santa di Kairouan e allorganizzazione di convogli destinati ad aiutare le famiglie pi bisognose nelle aree povere del paese e nei
sobborghi della stessa Tunisi. La posizione di Ast divenuta pi
ambigua dopo i fatti del settembre 2012, quando un gruppo di appartenenti al movimento ha attaccato lAmbasciata statunitense di
Tunisi, provocando, negli scontri che sono seguiti con le Forze di
sicurezza, la morte di quattro persone. Questo episodio ha segnato
due importanti novit per il movimento: prima di tutto, per la prima volta, Ast si resa protagonista di veri e propri scontri con le
Forze di sicurezza tunisine; in secondo luogo ha preso di mira un
obiettivo occidentale. La conseguenza diretta degli scontri, invece,
stata la fuga del leader Abu Ayyadh, da quel momento divenuto
uno degli uomini pi ricercati di tutta la Tunisia, e un primo giro
di vite del governo alle attivit del movimento.
La situazione si fatta pi tesa con i due omicidi politici di
esponenti dellopposizione Chokri Beklaid e Muhammad Brahmi
rispettivamente nel febbraio e nel luglio 2013, la cui responsabilit
sebbene gli omicidi non fossero stati rivendicati fu fatta ricadere su Ast. Infine, nel 2013 hanno cominciato a verificarsi i primi
episodi di terrorismo di matrice jihadista contro le forze
dellordine tunisine, soprattutto membri dellesercito e della Guardia Nazionale, quasi esclusivamente nellarea dello Jebel Chaambi, al confine con lAlgeria. I due fenomeni, sia quello della radicalizzazione di centinaia di ragazzi tunisini che decidono di partire
per combattere il jihad in Iraq e Siria, sia quello della comparsa
del jihadismo direttamente allinterno del territorio tunisino, non
sono da leggere come due fenomeni automaticamente collegati.
in questo discorso che sinserisce anche lanalisi della natura e
della provenienza dei gruppi jihadisti che attualmente operano in
Tunisia. Sebbene inizialmente le autorit tunisine e i media mainstream avessero additato Ast come responsabile degli attacchi
condotti nello Jebel Chaambi, tale versione non sembrava essere
suffragata da sufficienti prove. Al contrario, secondo la ricostruzione dei fatti e lanalisi di fonti di intelligence algerine, sembrava
prendere piede lipotesi che dietro gli attentati in Tunisia non vi
66
fossero elementi afferenti al jihadismo autoctono e Ast un movimento salafita tunisino , quanto piuttosto che esistessero delle
connessioni con ambienti jihadisti algerini. Nello specifico, diverse fonti sembravano giungere alla conclusione che lapparizione
del jihadismo in Tunisia fosse il risultato di un tentativo di Aqim
di espandere il proprio raggio dazione non soltanto sulla direttrice
saheliana, come gi visto, ma anche verso Est, proprio attraverso
la Tunisia.
La pista algerina e linfiltrazione di Aqim in Tunisia
Pi di una volta i servizi dintelligence algerini avrebbero allertato
il governo tunisino dei tentativi dinfiltrazione di alcuni guerriglieri riconducibili ad Aqim, dallAlgeria fin dentro la stessa Tunisia.
Dal 2013 in poi si sono registrati diversi attacchi, di cui molti proprio nellarea montuosa dello Jebel Chaambi, al confine con
lAlgeria, fino allattentato di Tunisi del marzo 201510:
Data
Luogo
6 giugno 2013
Jebel Chaambi
29 luglio 2013
Jebel Chaambi
Attacco armato
8 soldati
4 agosto 2013
Jebel Chaambi
Ordigno
improvvisato
2 soldati
17 ottobre 2013
Goubellat
Attacco armato
23 ottobre 2013
23 ottobre 2013
Tipo di attacco
Ordigno
improvvisato
Attacco armato
Vittime
2 soldati
2 guardie
nazionali
6 soldati;
1 poliziotto
Attacco armato
1 poliziotto
2 dicembre 2013
Jebel Chaambi
Ordigno
improvvisato
1 soldato
3 febbraio 2014
Raoued (Tunisi)
Scontro a fuoco
1 guardia
nazionale
Nella tabella sono riportati soltanto gli attacchi che hanno provocato delle vittime.
Oltre a quelli qui riportati, ve ne sono stati altri che non hanno causato vittime.
10
67
16 febbraio 2014
Ouled Manaa
Finto posto
di blocco
4 guardie
nazionali
18 aprile 2014
Jebel Chaambi
Attacco armato
1 soldato
23 maggio 2014
Jebel Chaambi
Attacco armato
1 soldato
16 luglio 2014
Jebel Chaambi
Attacco armato
14 soldati
Kef
Attacco armato
5 soldati
Kef
Attacco armato
1 guardia
nazionale
18 febbraio 2015
Boulaabad
Attacco armato
4 soldati
18 marzo 2015
Tunisi
(Museo Bardo)
Attacco armato
24 vittime
23 marzo 2015
Kef
Ordigno
improvvisato
1 soldato
5 novembre
2014
1 dicembre
2014
la presenza stessa di jihadisti di nazionalit algerina nei territori in cui sono stati effettuati attacchi, riscontrata dopo
larresto, o luccisione, di alcuni di loro;
lo stile di alcuni attacchi, effettuati con tattiche molto simili a
quelle utilizzate da jihadisti algerini durante la guerra civile
degli anni Novanta; incluso lutilizzo di uniformi rubate e finti
posti di blocco, tattica privilegiata dai jihadisti algerini.
68
69
che avesse legami con Aqim11. Nel settembre 2014, per, il gruppo ha ufficialmente ammesso la propria affiliazione allo Stato
Islamico (IS) e al califfato di Abu Bakr al-Baghdadi, riproducendo
anche in Tunisia le dinamiche di divisione interna alla galassia jihadista che si sono verificate sia a livello globale tra al-Qaida e IS,
sia in altri contesti locali12. I collegamenti tra IS e Uqba ibn Nafi sono sembrati evidenti anche dallanalisi di alcuni episodi avvenuti nella seconda met del 2014 e, a differenza di altre dichiarazioni di sottomissione (baya, in lingua araba e nella terminologia storica del califfato) di gruppi come Boko Haram, sembrano
esservi dei legami diretti tra il califfato e il movimento jihadista
tunisino. Da un lato, vi sono le prove del fatto che diversi tunisini
si siano arruolati nelle fila di IS, dallaltro un jihadista tunisino,
Abu Bakr al-Hakim, ha postato in rete nel dicembre 2014 un video
girato in Iraq in cui da membro dIS rivendica per la prima
volta luccisione di Chokri Belaid e Muhammad Brahmi, minacciando la Tunisia stessa. Osservando, inoltre, il trend di attentati e
uccisioni nel paese, proprio come accaduto in Algeria con il caso
dellostaggio francese Herv Gourdel, si nota una recrudescenza
nella violenza che richiama le azioni di IS, come confermato dalla
decapitazione di un membro della Guardia Nazionale, avvenuta il
1 dicembre 2014. Infine, va comunque sottolineato che, sebbene i
jihadisti della brigata Uqba ibn Nafi sarebbero in gran parte di
origine autoctona tunisina, a coordinare le loro azioni vi sarebbe
un jihadista algerino, Lokman Abu Sakhr. Questo elemento, che
dimostra come i movimenti jihadisti in Nord Africa (con riferimento anche alla Libia) siano sempre pi connessi tra di loro, mette in evidenza come sia necessario, per poter contrastare le attivit
terroristiche, un coordinamento anche da parte dei governi degli
stessi paesi interessati.
Une cellule dAl Qada dmantele en Tunisie: 16 terroristes arrts et 18 recherchs, Leaders, 21 dicembre 2012.
12 Tunisie: Kabibat Okba Ibn Nafaa, pro-Aqmi, aurait dclar son soutien lEtat
islamique, Webdo.tn, 20 settembre 2014.
11
70
71
72
Tunisia. Anche alla luce delle carenze strutturali delle Forze di sicurezza tunisine di fronte a una minaccia che negli anni passati
non si era mai manifestata con tale enfasi, interesse dei governi
europei e dello stesso governo italiano assistere la Tunisia, fornendole mezzi e know-how per far fronte alla minaccia terroristica.
In questo quadro, rientra anche la cooperazione con lAlgeria, la
quale ha peraltro avviato programmi congiunti con Tunisi in materia di anti-terrorismo.
Infine, non si pu trascurare la connessione sempre pi evidente tra elementi afferenti a gruppi jihadisti tunisini e i movimenti
jihadisti in Libia. Molti tunisini avrebbero trovato rifugio in Libia,
come dimostrato dallattacco allhotel Corinthia di Tripoli avvenuto il 28 gennaio 2015, perpetrato da due affiliati allo Stato Islamico in Libia, di cui uno, Abu Ibrahim al-Tunisi, di nazionalit tunisina. Sempre per ci che concerne il passaggio dalla Tunisia alla
Libia, inoltre, la questione dei flussi migratori rimane da tenere
sotto osservazione. Sebbene non vi siano evidenze della correlazione tra i flussi migratori provenienti dalla Libia verso lItalia e la
minaccia terroristica, lopzione di possibili infiltrazioni non del
73
74
contesti sono legati allo stesso scenario libico e in parte lo influenzano; sia la Tunisia, sia lAlgeria, sperimentano dinamiche di tipo
politico, sociale, economico e di sicurezza che si ricollegano direttamente agli interessi italiani. La presenza di gruppi jihadisti in
Algeria e ladozione di nuove tattiche volte a colpire il settore degli idrocarburi nel paese, ad esempio, innescano minacce che riguardano direttamente lEuropa del Sud e lItalia stessa, mettendo
potenzialmente a rischio una delle nostre principali fonti di approvvigionamento. Daltro canto il fatto che la Tunisia, le cui coste si trovano a poche decine di chilometri da quelle italiane, sia il
paese pi interessato al mondo dal fenomeno dei cosiddetti foreign
fighters e dalle dinamiche di radicalizzazione e, contestualmente,
che vi sia uno storico legame tra la comunit tunisina allestero e il
territorio italiano, costituisce un motivo ulteriore di allerta per la
nostra sicurezza. Non si possono, infine, trascurare i legami del
jihadismo nordafricano con quello della fascia del Sahel, dai quali
i gruppi operanti in Nord Africa potrebbero trarre beneficio. Per
contrastare tali sviluppi, alcuni governi europei in primis la
Francia e gli Stati Uniti si sono gi attivati14.
Nel caso dellAlgeria e della Tunisia, il fatto che non si tratti di
stati falliti o semi-falliti (come nel caso della Libia), n di territori
a scarso controllo da parte dellautorit centrale (come accade nei
paesi del Sahel), rende i movimenti e i singoli jihadisti presenti in
quelle aree potenzialmente pi pericolosi per i teatri esterni. Non
un caso che la Tunisia fornisca un altissimo numero di foreign
fighters, dal momento che gli elementi radicalizzati in loco non
hanno spesso la possibilit di mettere in pratica il jihad in casa
propria. Come conseguenza, vi la tendenza a cercare altri teatri
di operazione e questo fattore, contestualmente alla forte impronta
anti-occidentale dellideologia jihadista propria di IS e dei suoi
gruppi affiliati, pu costituire un innesco per tentare dinfiltrare
lOccidente. Per tali motivazioni, occorre un costante monitoraggio delle azioni che avvengono oltre il Mediterraneo, per tentare
Si veda How is DOD Responding to Emerging Security Challenges in Europe?,
testimonianza del sotto-segretario alla Difesa Christine Wormuth, U.S. Department
of Defense House Armed Services Committee Hearing, 25 febbraio 2015.
14
75
4.
78
79
M. Georgy, Suez Canal revenues forecast to hit record $5.5 bln this year, Reuters,
20
marzo
2014,
http://in.reuters.com/article/2014/03/20/egypt-canalidINL6N0MH4T720140320.
4
80
sviluppo di una centrale nucleare con un impianto di desalinizzazione che dovrebbe migliorare significativamente la situazione5.
Mentre, durante lamministrazione Morsi, il Qatar stato
lunico paese del Consiglio di Cooperazione del Golfo a sostenere
lEgitto, al momento Il Cairo quasi interamente dipendente dagli
aiuti provenienti da Arabia Saudita, Kuwait ed Emirati Arabi Uniti. Questi stati, allarmati dallascesa dei Fratelli musulmani, stanno
aiutando il governo egiziano a mantenere i sussidi alimentari ed
energetici fino a che il ripristino della fiducia degli investitori e i
conseguenti finanziamenti esteri possano far ritrovare al paese una
certa indipendenza finanziaria.
Circa il 40 per cento delle esportazioni egiziane diretto
allUnione Europea e, se si considerano i 28 singolarmente, lItalia
rappresenta la principale destinazione (6,7 per cento nel 2013).
Nel 2014 il Pil cresciuto del 3 per cento, pi lentamente rispetto al 5,2 del 20106, ma nel medio termine si stima che il tasso
di crescita economica torni ad aumentare, grazie anche allo stimolo che lattivit economica dovrebbe ricevere attraverso lavvio di
grandi progetti infrastrutturali. Nonostante ci, improbabile che
lEgitto sar in grado di affrontare autonomamente tutti i problemi
economici in tempi brevi.
Dal punto di vista demografico, prevista una crescita allarmante della popolazione (98 per cento arabi egiziani) che, secondo
le stime raggiunger i 95,6 milioni entro 2026, rappresenta il maggior aumento tra le regioni pi povere. Il 49,9 per cento della popolazione di et inferiore ai 25 anni e il tasso di disoccupazione
ha raggiunto il 13,4 per cento7. Le divisioni sociali e culturali sono
acuite dallaumento della disuguaglianza nella ricchezza in una
societ in cui, le lite liberali e occidentalizzate si trovano ad affrontare la maggioranza della societ egiziana religiosamente pi
conservatrice, che non si ancora appropriata della propria fetta di
ricchezza del paese.
Egypt, Russian Federation: Egypt, Russia to Collaborate for Nuclear Power Plant
Project, MENA, 13 febbraio 2015.
6 Egypt 2014, Oxford Analytica Ltd, Oxford, 17 settembre 2014.
7 Central Intelligence Agency, CIA Factbook, Egypt, 2014.
5
81
82
Con le prossime elezioni politiche potrebbero innescarsi focolai di protesta, in particolare nelle aree in cui ancora forte il
sostegno verso i Fratelli musulmani. Una strategia di successo
per ridurre al minimo lescalation di violenze e gli eventuali
83
danni alle propriet sar probabilmente garantita da una massiccia presenza delle Forze di sicurezza.
Sebbene linsurrezione islamista rappresenti una crescente
fonte di minaccia, non saranno sufficienti i soli atti terroristici
a destabilizzare lintero paese. Il pericolo principale del terrorismo se questo dovesse essere rivolto oltre che contro le
Forze di sicurezza, anche contro le infrastrutture, le attivit
economiche e gli obiettivi civili. Un altro fattore dinstabilit
potrebbe essere rappresentato dalla diffusione del fenomeno
terroristico al di fuori del Sinai e pi precisamente verso la
valle del fiume Nilo, acuendo le difficolt economiche in cui
gi versa il paese.
La principale minaccia per la stabilit del paese rappresentata dal malcontento socio-economico. Qualora le riforme venissero mal gestite, laumento della disoccupazione, la riduzione
dei sussidi, laumento dei prezzi, la scarsit di energia e pi in
generale la delusione delle aspettative economiche e politiche
della popolazione potrebbero sfociare in disordini destabilizzanti.
84
85
sono stati attaccati e uccisi dai terroristi, che, durante e dopo le rivolte del 2011 e del 2013, hanno beneficiato del ritiro delle Forze
di sicurezza verso Il Cairo. Anche tra i beduini, comunque, diffusa la percezione che la reazione dello stato verso gli attacchi terroristici avvenga in maniera casuale e con un uso eccessivo della
forza.
Jamaat Ansar al-Bayt Maqdis (Abm, Partigiani di Gerusalemme) ha annunciato ufficialmente la propria esistenza il 24 luglio
2012, rivendicando la responsabilit di 13 attacchi effettuati a partire dal febbraio 2011 contro il gasdotto tra Egitto e Israele. La
campagna di Abm si intensificata in seguito alla destituzione del
presidente Morsi (luglio 2013) e il gruppo in alcune occasioni ha
espresso la propria solidariet verso i Fratelli musulmani per le
proteste contro il nuovo governo. Si pensa che i leader pi rilevanti di Abm siano Ahmed Salam Mabruk, un estremista islamico di
lunga data, che intrattiene legami con al-Qaida, e Abu Osama alMasri, che ha dichiarato fedelt ad Abu Bakr al Baghdadi, il califfo dello Stato Islamico.
I Partigiani di Gerusalemme aderiscono a unideologia jihadista salafita, concentrando le proprie attivit a livello locale. Se
lobiettivo primario del gruppo listituzione di uno stato islamico
fondamentalista in Egitto, nel lungo periodo questo ha posto come
suo target finale la conquista di Gerusalemme. Per tale ragione,
Abm non mostra alcun interesse a partecipare al processo politico.
Anzi, cos come molti altri gruppi estremisti islamici, considera la
fine della presidenza Morsi la prova che il processo democratico
sia un fallimento, poich qualsiasi processo che concede il potere
di fare le leggi senza far direttamente riferimento alla sharia non
di per s accettabile.
Abm non ha collegamenti diretti con altri stati, ma coordina le
proprie attivit con alcuni gruppi attivi nella Striscia di Gaza, come il Comitato di Resistenza Popolare e i Mujahidin Shura Council in the Environs of Jerusalem, altra organizzazione entrata
nellorbita di IS e molto probabilmente ha contatti con le sigle
jihadiste salafite in Libia.
86
A livello operativo, lattenzione concentrata nel Sinai centrosettentrionale e lungo il confine con Israele, ma sono stati condotti
frequenti attacchi anche nella parte meridionale della penisola, nel
delta del Nilo, lungo il canale di Suez, al Cairo, nel distretto della
capitale e nella parte occidentale del paese vicino al confine libico.
Dal momento in cui le attivit si sono diffuse in altre parti del paese, affianco al nucleo del gruppo composto da membri di trib beduine del Sinai, che attualmente conta fino a 1.000 membri, sono
stati reclutati anche egiziani non beduini.
Fin dallinizio Abm ha condotto attacchi armati transfrontalieri
contro Israele, principalmente tramite razzi e in rare occasioni con
rapide incursioni terrestri. In Egitto, invece, i principali target sono
le forze di sicurezza, i funzionari governativi e vari obiettivi di natura economica, in particolare oleodotti e gasdotti, diverse strutture di approvvigionamento energetico e le infrastrutture del settore
turistico. A livello tattico, tali offensive vengono portate a termine
attraverso attacchi coordinati su larga scala, attentati suicidi, imboscate, omicidi e rapimenti utilizzando sia ordigni esplosivi a
tempo o con controllo remoto sia armi di piccolo calibro. Il gruppo
ha inoltre a propria disposizione un numero limitato di ManPads
(Man-Portable Air-Defense Systems sistema missilistico antiaereo a corto raggio trasportabile a spalla), probabilmente giunti di
contrabbando oltreconfine dalla Libia.
Lorigine dei finanziamenti del gruppo non tuttora chiara,
sebbene sia evidente che una parte di essi derivi dal pagamento dei
riscatti.
A novembre del 2014 il gruppo ha giurato fedelt allo Stato
Islamico e ci dovrebbe contribuire a facilitare lintegrazione di
altri estremisti islamisti, a diffondere la violenza e ad aumentare
gli obiettivi futuri in modo tale da includere individui e risorse occidentali in linea con la strategia di IS. Per tale ragione, si prevede
un aumento degli attacchi al di fuori del Sinai e uno spostamento
dellattenzione dalle Forze di sicurezza agli obiettivi di rilevanza
economica.
Pertanto Abm rappresenta e continuer a rappresentare il gruppo estremista pi attivo e letale in Egitto.
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88
89
dente Abdel Fattah al-Sisi attualmente allapice. Con la promessa di un miglioramento del tenore di vita entro i prossimi due anni,
al-Sisi esorta costantemente gli egiziani a sostenere il suo operato
e ad attendere con pazienza la ripresa. Inoltre, la maggioranza della popolazione sembra sostenere la campagna di soppressione dei
movimenti islamisti e lassertivit dimostrata in risposta agli attentati terroristici, il cui numero aumentato a livelli senza precedenti.
La continuit del sostegno finanziario da parte di Arabia Saudita, Kuwait ed Emirati Arabi Uniti nei prossimi anni sar cruciale
per la sopravvivenza economica del governo di al-Sisi, al punto da
limitarne il margine di manovra nel trattare con i Fratelli musulmani, con cui al momento ogni compromesso politico risulterebbe
irrealistico.
Con Israele al-Sisi manterr probabilmente buone relazioni e
una continua cooperazione nella lotta al terrorismo, al fine di contenere linsurrezione nel Sinai. Per tale ragione, la Striscia di Gaza
resta di fondamentale importanza nella politica estera dellEgitto.
Gli estremisti islamici continueranno a rivolgere i propri attacchi contro le Forze di sicurezza, ma si prevede un aumento degli
attentati rivolti verso le infrastrutture statali (oleodotti, impianti di
energia e infrastrutture ferroviarie), verso i civili e verso le strutture turistiche. Poich durante i primi due mesi dellanno sono stati
gi compiuti pi di 100 attentati (contro i 400 totali del 2014)
previsto per il 2015 un ulteriore aumento. probabile poi che i
gruppi pi piccoli si andranno a consolidare attorno ad Ansar alBayt Maqdis e allo Stato Islamico. Nonostante ci, poco probabile che a breve termine i militanti islamisti attraverso i soli attacchi terroristici siano in grado di minare la stabilit dello stato.
Un problema sar ancora rappresentato dalla violenza settaria,
che si manifester attraverso focolai sporadici di attacchi terroristici e di aggressioni a livello locale contro la comunit cristiana
copta e nei quartieri misti, in particolare nelle aree povere delle
grandi citt.
La minaccia pi grande sar invece rappresentata dal possibile
sfruttamento da parte degli islamisti delle mobilitazioni di massa e
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il principale attore energetico internazionale in Egitto12. Attualmente la Ieoc (International Egyptian Oil Company) interamente
posseduta da Eni, con una quota del 28 per cento (in particolare,
30 per cento di liquidi e 27 per cento di gas), il primo produttore
di idrocarburi del paese.
Il progetto di ampliamento del Canale di Suez, del valore di 8
miliardi di dollari, offre nuove e significative opportunit
dinvestimento per le imprese italiane.
La costruzione della democrazia in Egitto sar di fondamentale
importanza per avere stabilit nel lungo termine. Per far in modo
che ci accada saranno necessari: una comprensione di base del
concetto di democrazia (come funziona la democrazia), esistenza di strutture su cui la democrazia possa poggiarsi (amministrazione, polizia, strutture giuridiche/stato di diritto, partiti democratici); un certo grado di stabilit e sicurezza; prospettive economiche e volont della popolazione, al momento la democrazia
solo al terzo posto per importanza nelle priorit di molti cittadini.
Considerando la situazione attuale dellEgitto difficile immaginare che la democrazia rappresentativa secondo il modello occidentale sia davvero la soluzione migliore per il paese. necessario
trovare dei compromessi e per far ci essenziale il contributo
dellUnione Europea.
I problemi relativi alla sicurezza sono solamente i sintomi della malattia. importante che anche questi vengano trattati, ma
la chiave del successo sta nellaffrontare ci che sta alla base del
problema, ovvero la difficile situazione socio-economica.
LEgitto necessita fortemente del sostegno internazionale per
risolvere i propri problemi interni, in particolare quelli relativi alla
minaccia rappresentata dallestremismo islamico. Per far ci necessario influenzare lambiente strategico, che in parte responsabile dellorigine del terrorismo. Bisogna mantenere elevata, e graEni, Eni has been awarded 3 new exploration licenses in Egypt, 25 settembre
2014, http://www.eni.com/en_IT/media/press-releases/2014/09/2014-09-25-eniegypt.shtml?shortUrl=yes; ENI, ENI in Egypt, novembre 2014,
https://www.eni.com/it_IT/attachments/documentazione/brochure/eni_egitto_2
014.pdf.
12
92
5.
Larea tra Iraq, Siria e Libano oggi scossa da profondi mutamenti politici che non solo stanno trasformando la sistemazione geopolitica nata dopo la Prima guerra mondiale, ma pongono anche seri
problemi di sicurezza allinterno del bacino del Mediterraneo e
dunque allItalia e allEuropa. In questo contributo descriveremo
prima tale minaccia soffermandoci in particolar modo sullo Stato
Islamico (IS) per poi offrire un quadro il pi dettagliato possibile
dei paesi in esame.
Terrorismo o guerriglia?
In questa particolare congiuntura internazionale IS rappresenta la
minaccia pi consistente anche a causa della sua pericolosit fuori
area, come dimostrano le sue propaggini in Sinai, Libia e non solo.
Non si dimentichi per che molte delle sue caratteristiche operative valgono anche, con le dovute diversit, per gruppi simili
dellarea.
Offrire una definizione precisa della minaccia difficile, poich ormai il concetto stesso di guerra radicalmente mutato, a tale
trasformazione per non corrisposta una condivisa visione del
fenomeno da parte degli specialisti. Una delle definizioni pi calzanti per IS e gruppi affini Hybrid Warfare, concetto proposto da
Hoffman1 nel 2006 in occasione del conflitto tra Israele ed Hezbollah, che descrive una situazione bellica generalmente tra uno
F. Hoffman, Conflict in the 21st Century: the Rise of Hybrid Wars, Arlington, Potomac
Institute for Policy Studies, 2007.
1
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95
sviluppa in quei contesti parte integrante del conflitto. Le immagini diffuse da IS e i reali combattimenti sul campo sono elementi
che vanno letti e interpretati in modo complementare, sono la stessa battaglia combattuta con strumenti e mezzi diversi. Il campo di
battaglia su cui IS e gruppi similari agiscono dunque fluido: da
un lato, grazie allimpiego di tattiche terroristiche tali organizzazioni possono con grande facilit colpire anche fuori dalla zona
operativa come dimostrano i recenti attacchi in Francia, Belgio,
Australia e Canada; dallaltro, anche in Iraq e Siria il fronte si
sposta rapidamente, non delineato e ci rende molto difficile
analizzare il conflitto e il suo andamento.
Il quadro geopolitico
La denominazione IS nasce il 29 giugno 2014 quando il suo leader, Abu Bakr al-Baghdadi, dichiara la creazione del califfato, dopo aver conquistato un terzo del territorio iracheno oltre a quello
che gi aveva sotto il suo controllo in Siria, ma in realt il gruppo
attivo con vari nomi e leader almeno dal 1999. Pur nascendo
come emanazione di al-Qaida, cui si affiliato nel 2004, esiste una
profonda frattura a livello operativo ancora oggi rilevante per
comprendere le dinamiche tra IS e Jabat al-Nusra (JN). Limpiego
di tattiche eccessivamente violente del gruppo, e in particolare
limpiego massiccio di attentatori suicidi e Ied (Improvised Explosive Device) contro i civili iracheni principalmente sciiti, fu criticato
da al-Qaida, ci sottolineava una diversa visione degli obiettivi della
lotta: lo scopo di Zarqawi era di creare le condizioni per una guerra
civile tra sunniti e sciiti, mentre al-Qaida invitava a colpire le forze
occidentali. Grazie alla dottrina della Counter-insurgency e al movimento dellAwakening6, si riusc tra il 2007 e il 2008 a ridurre significativamente la violenza nel paese7 e le capacit operative del
A. Beccaro, La guerra in Iraq, Bologna, il Mulino, 2013.
B. Price, D. Milton, M. al-Ubaydi, N.Y. Lahoud, The Group That Calls Itself a State:
Understanding the Evolution and Challenges of the Islamic State, CTC Sentinel, Combating
Terrorism Center, West Point, 2014, p. 21.
6
7
96
A.Y. Zelin, The Islamic States model, The Washington Post, 28 gennaio 2015,
http://www.washingtonpost.com/blogs/monkey-cage/wp/2015/01/28/theislamic-states-model/.
8
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Qui affronteremo separatamente i tre paesi, poich tale suddivisione semplifica lesposizione, invitiamo per il lettore a tenere
presente quanto appena esposto e a cercare di vedere le interconnessioni presenti tra le diverse aree.
Iraq
Dal giugno 2014 lIS stato in grado di ampliare notevolmente il
territorio sotto il suo controllo conquistando la citt di Mosul, le
province di Ninive e Anbar oltre a varie altre aree del paese. Al
momento IS ha perduto la spinta offensiva che aveva mantenuto
fino allautunno scorso. Ci per non significa che la milizia sia
stata sconfitta. vero che alcune aree sono oggi pi stabili (come
la provincia di Diyala a nord della capitale), ma non per questo
fuori pericolo, anche perch fino al mese di febbraio IS ha mantenuto quasi inalterate le sue posizioni. Tale situazione lievemente
mutata a seguito delloperazione per liberare Tikrit. A met marzo,
due settimane dopo linizio delloffensiva, le truppe irachene e le
milizie sciite appoggiate dallIran sono penetrate in citt, ma non
sono ancora riuscite a controllare completamente il centro. Il problema per non tanto se riusciranno o meno a liberare la citt,
quanto, e se, siano in grado di controllare lo spazio conquistato e
quindi di tenere fuori IS, un fatto che potremo verificare solo nei
prossimi mesi.
La violenza nel paese resta comunque altissima se si pensa che,
secondo la United Nations Assistance Mission for Iraq (Unami), a
febbraio ci sono state 1100 vittime, un dato che non prende in considerazione il territorio controllato dallIS. Ci dimostra come le
stesse aree liberate, o che non sono sotto il suo diretto controllo,
sono costantemente sotto attacco come Ramadi e Baghdad. Bench il premier al-Abadi abbia deciso a inizio febbraio di togliere il
coprifuoco nella capitale, che ormai durava da anni, un tentativo,
per sua stessa ammissione, di normalizzare la vita degli iracheni
pi che il risultato di una maggiore sicurezza e infatti pochi giorni
dopo lannuncio si sono verificati tre attacchi suicidi. Altra area
cruciale e pi volte dichiarata sicura, ma in realt fortemente con-
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http://iswiraq.blogspot.de/2015/02/iranian-backed-militias-cause-political.html.
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101
jihadista sia sul campo sia dal punto di vista mediatico grazie a
una campagna che purtroppo conosciamo fin troppo bene. JN intorno al 14 dicembre, insieme ad altre milizie, ha conquistato le
basi militari di Wadi al-Deif e al-Hamidiyah nei pressi di Idlib,
cos facendo ha fortemente indebolito la presenza lealista nellarea
e attraverso le sue abilit tattiche e di pianificazione operativa, al
fine di condurre offensive simultanee e coordinate, ha dimostrato
la sua forza e la sua influenza. Con linizio del nuovo anno si sono
registrate tensioni con altri gruppi ribelli sia ad Aleppo sia nel sud
della provincia di Idbil il che potrebbe indicare un crescente malcontento verso le azioni offensive di JN. A gennaio per il gruppo
stato anche in grado di conquistare unaltra base siriana vicino a
Sheikh Miskin nel sud della provincia di Deraa. La risposta a tali
attacchi si registrata a febbraio quando Hezbollah ha guidato
unoffensiva con elementi dellesercito regolare proprio per bloccare lavanzata e ripristinare i collegamenti.
I colloqui tenutisi a fine gennaio a Mosca non rappresentano un
vero passo avanti nella risoluzione della crisi siriana, ma potrebbero aver ulteriormente rafforzato la posizione russa nellarea. Gli
accordi firmati a febbraio tra Stati Uniti e Turchia per
laddestramento dei ribelli siriani filo-occidentali non solo sono
una mossa tardiva, ma prevedono unoperazione talmente limitata
nei numeri che difficilmente potr avere un impatto nel breve periodo.
Libano
La questione libanese quanto mai delicata per svariate ragioni:
confina con Israele e in passato si arrivati pi volte allo scontro
aperto; un paese profondamente diviso e con una pluralit di
confessioni che in un quadro regionale cos instabile rappresentano un potenziale rischio futuro; ha una presenza militare occidentale e in particolare di soldati italiani inquadrati nella missione
Unifil (United Nations Interim Force in Lebanon) (1100 uomini
della Brigata Meccanizzata Pinerolo). Il paese per da decenni
parzialmente in mano alle milizie di Hezbollah che da l sono poi
102
partite per aiutare Assad in Siria. Inoltre, dopo un periodo di relativa calma, nella seconda parte di gennaio il confine con Israele si
di nuovo fatto rovente a causa di una serie di attacchi e ritorsioni
tra Hezbollah e Idf (Israel Defense Forces) che hanno causato alcuni morti da entrambe le parti pi quella di un Casco Blu. Quello
che emerge per che anche sulle Alture del Golan non si tratta
pi di un confronto tra queste due forze, da mesi ormai vi opera
anche Jabat al-Nusra, e questo ha fatto s che sia le milizie sciite
sia Teheran alzassero il loro livello di guardia. Almeno secondo il
comando italiano responsabile dellarea per la situazione pur tesa
resta sotto controllo13, anche se non escluso che con la primavera
gli scontri possano intensificarsi.
Le milizie di Hezbollah non sono le uniche presenti,
nellultimo anno specie nella zona nord del paese nella regione di
Arsal si sono registrati aspri scontri tra lesercito regolare e gruppi
sunniti variamente legati a JN o IS. Per evitare scontri aperti che
potrebbero degenerare e portare il paese al collasso, le Forze armate hanno cercato disolare larea. In questo modo per il Libano si
presenta spaccato in tre parti con un nord particolarmente pericoloso dove forte, anche se non maggioritaria, la presenza di gruppi sunniti jihadisti, un centro relativamente pacifico e un sud in
mano a Hezbollah. Bisogna inoltre ricordare che la stabilit del
paese resa estremamente pi debole dallenorme flusso di rifugiati siriani in fuga dalla guerra.
sintomatico che nel gennaio 2015 il generale iraniano Qasem
Soleimani abbia compiuto una visita a Beirut. Soleimani
leminenza grigia della politica estera e militare iraniana nella regione, stato pi volte visto in Iraq (dove ha guidato anche
loperazione a Tikrit) dove ha stretto rapporti con le milizie sciite
locali, in Siria e anche in Yemen, la persona a cui Teheran delega il processo di decision-making sul campo. La tempistica della
visita, di cui per signorano i contenuti, significativa visto che
avvenuta poco dopo lo scontro sul confine tra Israele ed Hezbollah.
13http://www.analisidifesa.it/2015/02/libano-sullorlo-della-guerra-parla-il-generale-
portolano/.
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Conclusioni
Lintera regione quindi estremamente instabile e le prospettive di
breve/medio termine non sono migliori. Siria e Iraq, seppur in
modi diversi, possono essere considerati degli stati falliti che non
controllano pi ampi spazi del loro territorio, molti altri attori sono
attivi in quegli spazi con le proprie agende politiche. Tra questi
lIS rappresenta sicuramente la minaccia maggiore, poich ha mostrato la capacit e la volont di alterare lordine internazionale e
in particolare quello dellarea del Mediterraneo. Questo aspetto
interessa da vicino lItalia non solo per la sua collocazione geografica, ma anche perch il nostro paese da anni investe risorse politiche e militari sia in Libano, dove siamo al comando della missione
Unifil dal 2007, sia in Iraq, dove le Forze armate sono state fortemente impegnate tra il 2003 e il 2006, e ora nuovamente altri militari italiani sono attivi sul campo.
6.
AfPak: i rischi
del broader disengagement
Riccardo Redaelli
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rebbero rimaste che le briciole, meno dell1 per cento2. Una cifra
che, da sola, dice molto sulle enormi difficolt nel mettere in sicurezza il paese.
vero che al-Qaida non ha pi potuto usare quella regione
come proprio rifugio sicuro e i guerriglieri islamisti sono stati cacciati da Kabul, ma il terrorismo di matrice islamista in questi anni
ben lungi dallessere sconfitto, come dimostrano le tristi cronache di questi ultimi mesi. E i Taliban continuano a minacciare la
fragile democrazia afghana; hanno anzi infettato il vicino Pakistan
che si era illuso di usarli per i propri obiettivi strategici; Islamabad
invece stata colpita dagli stessi demoni del radicalismo che aveva colpevolmente evocato.
Parte di questi risultati deludenti anche dovuta agli errori di
prospettiva, alla distrazione (causa Iraq) e alla mancanza di coordinamento dei paesi impegnati in Afghanistan. solo dopo il 2009
che Isaf ha iniziato a cambiare strategia, rafforzando il coordinamento interno e incrementando il training delle truppe nazionali,
per afghanizzare la lotta contro gli insorti, riducendo progressivamente il proprio impegno diretto nelle battaglie sul terreno.
LItalia stata certo uno dei principali protagonisti di questo
sforzo: per anni abbiamo impegnato in Afghanistan migliaia di
uomini, guidando uno dei quattro comandi regionali di Isaf, quello
di Herat, nellOvest. Un impegno pagato con la vita di pi di 50
nostri soldati, ma i cui frutti in tema di stabilit militare e di sviluppo economico e sociale vengono sempre sottolineati dagli stessi afghani.
Nonostante errori e fallimenti, il cambiamento sociale e culturale dellAfghanistan comunque impressionante: oggi gli stessi
Taliban accettano le tante scuole femminili aperte nel paese (e che
loro consideravano anti-islamiche), esistono giornali e tiv delle
pi varie tendenze, le universit sono in forte crescita, cos come
le organizzazioni non governative. Il paese si trasformato da
questo punto di vista e nessuno immagina possa accettare di tornaS. Perlo-Freeman, C. Solmirano, The economic costs of the Afghanistan and Iraq
wars, Yearbook 2012. Armaments, Disarmaments and International Security, SIPRI, Oxford, 2012.
2
108
re indietro al tetro fanatismo del Mullah Omar. Unevoluzione sociale che ha contagiato gli stessi insorti islamisti, spesso in disaccordo con la vecchia guardia dei Taliban apparentemente pi disponibili a un compromesso politico3.
Si sarebbe potuto ottenere molto di pi, se non fosse stato per
la piaga spaventosa dellinefficienza e della corruzione, rappresentata dagli otto fallimentari anni di potere dellex presidente Hamid
Karzai. Ministri e alti funzionari hanno saccheggiato i fondi destinati allo sviluppo, rubando decine di miliardi di dollari (ora depositati per lo pi nelle compiacenti banche di Dubai). Le enormi e
sfacciate malversazioni hanno umiliato la popolazione afghana,
contribuendo a spegnere gli entusiasmi e a favorire la propaganda
degli insorti. Il nuovo presidente, il pashtun Asharf Ghani salito
al potere dopo uno stallo di mesi per i brogli elettorali nelle elezioni dellestate 2014 guida un governo di coalizione con il rivale Abdullah Abdullah e sta cercando di ridurre le inefficienze e la
corruzione.
A gennaio 2015, con la fine di Isaf, inizia Resolute Support,
una missione che deve assicurare il training degli oltre 350.000
soldati e poliziotti afghani (i cui salari sono pagati pressoch totalmente dalla comunit internazionale) e che composta da almeno 13.000 soldati di decine di paesi diversi, senza per alcun
ruolo attivo nei combattimenti4. Un numero che non soddisfa molto gli afghani, timorosi che il nostro sostegno sia molto meno che
risoluto. Dovr invece aumentare limpegno finanziario e umanitario per migliorare la vita quotidiana della popolazione e per
rafforzare la capacit gestionale del governo di Kabul (senza farsi
troppe illusioni). Ma il problema di Resolute Support sembra soprattutto essere quello di una mancanza di chiarezza circa i veri
obiettivi della missione e la loro prioritarizzazione e soprattutto di
unambiguit di fondo. Cos come Isaf, anche RS punta soprattutto
sul training e il mentoring per la stabilit e le best practices; eppure, il comandante generale di RS come per Isaf mantiene il
Cfr. A. Gopal, Serious Leadership Rifts Emerge in Afghan Taliban, CTC Sentinel,
vol. 5, n. 11-12, novembre 2012.
4 Dati forniti nel corso di colloqui al Nato HQ, Bruxelles, 17 ottobre 2014.
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mento (tanto che essi vengono fatti ruotare sul terreno, con un sensibile peggioramento dellefficienza militare delle loro unit).
Lelemento scatenante di questa frammentazione stato il combinato degli attacchi mirati US/Nato contro i comandanti Taliban sul
terreno e lavvio dei negoziati di pace con il governo di Kabul. Chi
rischia la vita sul campo, e si espone alla possibilit concreta di
essere eliminato dalla tecnologia militare occidentale, scoraggiato dallintensificarsi delle trattative, dato che esse sembrano rendere quasi inutile il loro sacrificio6.
Altri comandanti, soprattutto quelli con forti legami tribali locali, diventano cos meno intransigenti e disposti al compromesso
(tacito o meno) con il governo centrale, che negli ultimi anni ha
negoziato accordi e tregue informali con singoli gruppi di insorti.
Infine, cresciuto il numero di gruppi militari che adottano
letichetta di Taliban, ma che rappresentano per lo pi o istanze
estremamente locali o, peggio ancora, sono di fatto semplici gruppi criminali dediti ai traffici illeciti che prosperano nella regione
dellAsia centro-meridionale (traffico di droga in primis), al brigantaggio, rapimenti ed estorsioni.
Vi sono poi i movimenti che operano in Pakistan e che vedono
tra le proprie file prevalere i pashtun pakistani (definiti come pathan) rispetto a quelli afghani. Ponte fra queste due realt il gi
citato Haqqani Network, che mantiene profondi legami con gli
ambigui servizi segreti militari pakistani (il potentissimo e famigerato Inter-Service Intelligence, Isi), con il nucleo centrale di alQaida e con i gruppi jihadisti pakistani, soprattutto quelli confluiti
con il Ttp. Il peggioramento dello scenario di sicurezza pakistano
e laccentuarsi della crisi negli ambigui rapporti fra Forze armate pakistane e la galassia talibana e jihadista hanno portato al lancio, negli ultimi anni, di alcune campagne militari nelle Tribal
areas della North-West Frontier Province contro la presenza talibana e degli Haqqani. Campagne in ogni caso risultate non decisive; per qualche analista, anzi, sono sostanzialmente state operazioni di facciata per ridurre la crescente irritazione statunitense e
A. Giustozzi, S. Mangal, Violence, the Taliban, and the Afghanistans 2014 Elections, USIP PeaceWorks, issue 103, dicembre 2014.
6
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113
leadership, delivering justice to Osama bin Laden, disrupting terrorist plots and saving countless American lives pur dovendo
ammettere che Afghanistan remains a dangerous place, and the
Afghan people and their security forces continue to make tremendous sacrifices in defense of their country9.
Unaffermazione, quella del presidente statunitense, non priva
di verit. Ma quanto appare evidente laleatoriet dei risultati
raggiunti, soprattutto per quanto riguarda il post-conflict institution building. quindi importante che il disengagement non finisca per divenire disinteresse del quadrante dellAfPak, se vogliamo tutelare gli interessi occidentali nel lungo periodo e se vogliamo rendere credibile lo shift operativo attuato in questi anni. Passando cio, da unazione diretta contro i network dellestremismo
islamista a un approccio pi indiretto tramite il training, il mentoring, la partnership e lassistenza alle forze di sicurezza globali.
Il nostro successo nella distruzione dei canali di collegamento
della cupola qaidista nellAfPak ha portato a una frammentazione
del terrorismo jihadista e alla sua dispersione. Non alla sua distruzione. Come affermato pi volte dallex comandante generale di
Isaf, il generale Stanley McChrystal: It takes networks to defeat
networks. Quindi dobbiamo mantenere lo sforzo per un approccio collaborativo, multi-laterale alla lotta al terrorismo che coinvolga (e motivi) tanto gli attori locali quanto quelli regionali e internazionali. Infine andrebbero ancor meglio distinti i meccanismi
dintervento e le politiche tese alla stabilizzazione politico-sociale
o economica da quelli finalizzati alla lotta al terrore.
Tutto ci fondamentale non solo per la stabilizzazione di un
quadrante di grande importanza strategica, ma soprattutto indirettamente per evitare i contraccolpi politici e psicologici di un fallimento del nostro impegno pluridecennale in Afghanistan. Un collasso del nuovo Afghanistan o la ripresa dei network jihadisti
suonerebbe come una sconfitta e un indebolimento dellimmagine
The White House, Office of the Press Secretary, Statement by the President on
the End of the Combat Mission in Afghanistan, 28 dicembre 2014,
http://www.whitehouse.gov/the-pressoffice/2014/12/28/statement-presidentend-combat-mission-afghanistan.
9
114
della Nato, e spingerebbe i governi e lopinione pubblica in particolare quelli europei a rafforzare la loro contrariet a politiche
proattive e dintervento negli scenari dinstabilit mediorientali,
come gi evidenziatosi con le crisi nel Levante e in Libia.
Una perdita di fiducia nei processi di post conflict institutionbuilding e dinterventi counter-terrorism che sarebbe estremamente pericolosa per la sicurezza di un paese geograficamente sovraesposto agli effetti dellinstabilit mediorientale come lItalia. Ancor pi di altri paesi, infatti, la nostra penisola non pu evitare di
tenere alto il baricentro delle politiche di sicurezza verso il Medio Oriente. Continuare limpegno nellAfPak, quindi, lungi
dallessere una distrazione dattenzione e risorse verso scenari pi
prossimi a noi, cruciale per mantenere il pi possibile proattive
le nostre politiche di sicurezza, evitando di cedere allillusione che
la fortezza Europa si possa difendere solo dallinterno del continente, senza impegnarsi nei quadranti di crisi euroasiatici e mediterranei.
7.
La minaccia jihadista oggi va ben oltre il raggio dazione mediorientale, coinvolgendo anche aree prossime allItalia; una di queste
larea balcanica occidentale, dove le difficili condizioni socioeconomiche di alcune zone permettono allideologia jihadista di
far breccia nelle menti dei giovani, portando la cosiddetta spirale
balcanica a una nuova fase, quella dellesportazione di combattenti allestero. Un fenomeno che non pu assolutamente essere
sottovalutato e che comporta seri rischi per il nostro paese.
Con il termine spirale balcanica sintende un processo di radicalizzazione ben preciso che ebbe inizio nei primi anni Novanta
in concomitanza con lafflusso in Bosnia di jihadisti stranieri, molti dei quali reduci dalla guerra in Afghanistan, per combattere a
fianco dei musulmani autoctoni contro serbi e croati. In breve
tempo, e grazie anche al ruolo di varie organizzazioni caritatevoli
e Ong, venne creata lunit El-Mujahid1, formata in gran parte da
combattenti arabi.
Dopo gli accordi di Dayton del 1995 molti di loro restarono in
Bosnia, sposarono donne del posto, ottennero la cittadinanza bosniaca e diedero vita a delle vere e proprie enclaves in zone come
quella di Zepce, Zenica, Bihac, Teslic, Gornja Maoca. In queste
zone vivono oggi numerose famiglie che seguono alla lettera
lideologia salafita e applicano la sharia in modo letterale; non si
mescolano con i miscredenti e laccesso ai loro villaggi asso-
116
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lestablishment religioso bosniaco ufficiale, lattivit di Barci veniva finanziata da Muhamed Fadil Porca3, un religioso bosniaco e
capo della moschea di Al-Tawhid, con sede a Vienna, col quale
aveva studiato in Arabia Saudita. In seguito alla morte di Barci
nel 2007, la leadership pass in mano a Nusret Imamovi4.
Nusret Imamovi, classe 1971 e successore di Jusuf Barci, bosniaco naturalizzato austriaco, veterano della guerra di Bosnia ed
ex imam della moschea King Fahd di Sarajevo, ha fatto per un certo periodo la spola tra Vienna e Gornja Maoca. Imamovi divenne
meglio conosciuto al grande pubblico bosniaco quando, assieme
ad altri sei salafiti, tre dei quali cittadini austriaci, aggred il serbobosniaco Mihajlo Kisi a Brcko, nel 20065. Dopo un breve processo, i sette vennero condannati a pene simboliche in libert vigilata
e alcuni di loro ritornarono a Vienna. Imamovi venne poi arrestato e rilasciato nuovamente nel febbraio 2010 assieme ad alcuni
suoi seguaci, tra cui Edis Bosni, cittadino statunitense di origine6
bosniaca, considerato dagli Usa vicino ad al-Qaida e ricomparso
anche recentemente nellarea di Gornja Maoca7.
Muhamed Fadil Porca, residente in Austria, imam del centro islamico Tewhid di
Vienna. Secondo alcuni funzionari della Comunit islamica di Bosnia, Porca sarebbe
tra gli organizzatori di viaggi in Bosnia per i musulmani radicali provenienti da Germania e Austria. Secondo documentazioni del governo austriaco, Asim Cjvanovi, il
quarantunenne bosniaco che nellottobre del 2007 cerc dinfiltrarsi allinterno
dellambasciata statunitense di Vienna con uno zaino imbottito di esplosivo, al momento dellarresto aveva con s un testo, Namaz u Islamu pubblicato proprio dal centro islamico Tewhid di Fadil Porca.
4 Come documentato ampiamente in: A. Ceresnjes, R. Green, The Global Jihad
Movement in Bosnia. A time bomb in the heart of Europe, Middle East Media Research Institute (Memri), 2012 e dal rapporto del Parlamento europeo, Direttorato
Generale per le Politiche Estere dellUnione: Salafist Wahhabbite support to educational, social and religious institutions, 2013,
http://www.europarl.europa.eu/Reg/Data/etudes/etudes/join/2013/457136/EXP
O-AFET_ET(2013)457136_EN.pdf.
5 http://www.isn.ethz.ch/Digital-Library/Articles/Detail/?lng=en&id=98336.
6 http://gudmundson.blogspot.it/2012/06/bosnisk-jihad-i-norrkoping.html?m=1.
7 https://search.wikileaks.org/gifiles/?viewemailid=765133;
http://www.islamicpluralism.org/1977/bosnia-re-arrests-top-wahhabi-plotter-afterus;_http://intelwire.egoplex.com/2010_02_09_blogarchive.html;
https://www.ansa.it/nuova_europa/it/notizie/rubriche/altrenews/2015/03/11/isi
3
118
119
tutti coloro che amano Allah e odiare tutti coloro che odiano Allah; odiare gli infedeli, anche se sono nostri vicini o vivono nelle
nostre case. A luglio del 2011 venne inoltre pubblicato in rete un
video, ripreso anche dal Memri (Middle East Media Research Institute), nel quale si vede Bosni mentre canta: con lesplosivo
sul nostro petto prepariamo la nostra strada verso il paradiso La
splendida jihad si innalzata sulla Bosnia Se Allah vuole
lAmerica sar distrutta dalle sue fondamenta11.
Bosni ben noto anche per i suoi tour che attirano numerosi
seguaci in Austria, Germania, Svizzera, Olanda, Belgio e anche in
Italia dove stato ospite di alcune comunit islamiche tra cui a
Pordenone, Bergamo, Siena, Cremona e Roma, con tanto di video
pubblicati dai suoi seguaci su YouTube12.
Ritratto in diverse foto nellestate del 2014, assieme ad alcuni
seguaci, davanti alla bandiera di IS, il predicatore ha poi dichiarato
in unintervista al Corriere della Sera di aver conosciuto Ismar
Mesinovi, limbianchino bosniaco, residente a Longarone e morto in Siria nel gennaio dello scorso anno mentre combatteva nelle
file di IS. Mesinovi aveva portato con s anche il figlio di tre anni, apparso successivamente in alcune foto, presumibilmente nella
zona di Aleppo, accompagnato da alcuni jihadisti13.
Vi sono poi due cittadini macedoni, Munifer Karamaleski ed
Elmir Avmedoski, rispettivamente residenti a Chies dAplago e
Gorizia, recatisi in Siria a combattere, dopo essere entrati in contatto con Bilal Bosni in uno dei suoi viaggi italiani, come quello a
Pordenone nel giugno del 201314.
http://www.memrijttm.org/bosnian-salafi-preacher-bilal-bosni-sings-songs-ofjihadwith-explosives-on-our-chests-we-pave-the-way-to-paradise.html;
http://acdemocracy.org/the-ideology-of-militant-islamism-in-southeasterneurope/#_edn20; http://rogersparkbench.blogspot.it/2012/06/with-explosives-onour-chests-we-pave.html.
12 https://www.youtube.com/watch?v=ei4y1w40u1M;
https://www.youtube.com/watch?v=cw9qKK2u2ZM.
13
http://bergamo.corriere.it/notizie/cronaca/14_agosto_26/propaganda-chocdell-imam-in-italia-tante-reclute-jihadiste-d758bf6c-2ceb-11e4-b2cb83c2802e5fb4.shtml.
14 http://serbianna.com/analysis/archives/2929.
11
120
Il 3 settembre 2014 Bilal Bosni e quindici suoi seguaci vennero arrestati in Bosnia dagli agenti della Sipa. Le operazioni coinvolsero diciassette differenti localit della Bosnia-Erzegovina, tra
cui Sarajevo, Zenica, Buzim e Tesli. Durante le perquisizioni
stata rinvenuta una notevole quantit di armi, munizioni, attrezzature militari, tessere sim, computer ed altre apparecchiature informatiche. Alla fine di dicembre 2014 un tribunale bosniaco ha convalidato la custodia cautelare per Bilal Bosni fino a dicembre
2016 e lo scorso 11 febbraio iniziato il processo a suo carico15.
Kosovo
Il radicalismo di matrice islamica progressivamente cresciuto nel
tempo anche in Kosovo, partendo dallimmediato dopoguerra
(1999) in maniera ridotta, fino a diventare una notevole minaccia
per la sicurezza dellarea. Lo scorso 10 marzo il segretario della
Comunit Islamica del Kosovo, Resul Rexhepi, ha affermato che
IS offrirebbe ai giovani kosovari uno stipendio di 20-30 mila euro
per andare a combattere in Siria e Iraq. Una proposta estremamente allettante per una generazione in difficolt a causa della difficile
situazione economica e dellalto tasso di disoccupazione che hanno portato molti ragazzi ad abbracciare lestremismo islamico16.
Il direttore esecutivo del Kosovo Center for Security Studies,
Florian Qehaja, ha spiegato come lislam politico faccia fatica ad
allargare ulteriormente il proprio raggio dinfluenza sulla societ
kosovara; ragion per cui si fa dunque ricorso alla violenza e al jihad. Sempre secondo Qehaja, i gruppi estremisti in Kosovo sono
molto ben organizzati e finanziati. Il potenziale ritorno di jihadisti
http://balkans.aljazeera.net/vijesti/produzen-pritvor-huseinu-bilalu-bosnicu;
http://www.balkaneu.com/salafi-leader-trial-continues/;
http://uk.reuters.com/article/2015/02/11/uk-mideast-crisis-bosnia-clericidUKKBN0LF20R20150211; http://www.haaretz.com/news/middle-east/middleeast-updates/1.641980.
16 http://opozita.com/2015/03/18/shqiptaret-i-bashkohen-isis-per-30-mije-euro/.
15
121
http://www.balcanicaucaso.org/aree/Kosovo/Kosovo-estremismo-religioso-increscita-155153.
18 http://friendsofkosovo.com/tag/imams/; http://www.telegraf.rs/vesti/773249kosovski-dobrovoljci-ratuju-u-siriji.
19 Secondo la stampa serba il gruppo, composto da tre albanesi con passaporto bosniaco (incluso Bilibani) e due albanesi della zona di Prizren, aveva anche fondato
una societ dal nome Sincerit (Sinqeriteti),
http://serbianna.com/blogs/bozinovich/archives/615.
20 https://www.youtube.com/watch?v=7hqultvzrqw.
17
122
Albania
Un altro scenario di estremo interesse per quanto riguarda il panorama jihadista dei Balcani quello albanese; anche nel paese delle aquile si infatti registrato un progressivo incremento della
presenza salafita, in particolare nelle aree pi disagiate di Tirana e
nelle zone di Elbasan, Cerrik e Librazhd. I predicatori di turno,
spesso legati ad ambienti criminali, anche in questo caso fanno leva su giovani in condizioni di forte disagio economico, per indottrinarli allideologia del terrore, convincendoli a partire per il jihad
e fornendo loro i mezzi logistici e finanziari per raggiungere il
fronte.
Nel marzo 2014 la polizia albanese ha emesso mandati di cattura per dodici membri21 di unorganizzazione facente base
allinterno di una moschea della capitale; tra gli arrestati anche
due imam, Genci Balla e Bujar Hysa, accusati di essere a capo
dellorganizzazione e di aver reclutato pi di settanta volontari per
il jihad in Siria e Iraq. Le operazioni hanno coinvolto diverse localit dellAlbania tra cui Tirana, Elbasan e Pogradec e le Forze di
sicurezza hanno recuperato notevoli quantit di armi, esplosivi,
munizioni, mimetiche, telefonini con schede sim, documenti in
arabo e apparati radio. Secondo gli inquirenti albanesi, il gruppo
finanziava i viaggi in Turchia dei jihadisti, i quali venivano a loro
volta preparati in loco per essere poi trasportati oltre il confine con
la Siria.
Il raggio dazione dellorganizzazione andava ben oltre i confini albanesi, coinvolgendo anche lItalia, come nel caso di Maria
Giulia Sergio e del marito albanese Aldo Kobuzi, entrambi partiti
per il jihad in Siria grazie al supporto dellorganizzazione di Balla
e Hysa.
Aldo Kobuzi ha vissuto per diverso tempo nel grossetano, dove
ha frequentato un centro islamico locale, ma non il primo della
famiglia a radicalizzarsi; sua madre Donika infatti, anche lei residente in zona per un certo periodo, stata la prima a sposare
Tra gli arrestati ci sono Genci Balla, Bujar Hysa, Edmond Balla, Zeqir Imeri, Verdi Morava, Fadil Muslimani, Astrit Tola.
21
123
124
http://www.islamicpluralism.org/415/when-wahhabis-attack-the-case-of-theharabati-tekke;
http://www.islamicpluralism.org/2340/the-bektashi-alevi-continuum-from-thebalkans-to; http://www.state.gov/j/drl/rls/irf/2010_5/168324.htm.
26 Il 4 luglio 2014 alcune migliaia di manifestanti di etnia albanese hanno messo a
ferro e fuoco le strade di Skopje al grido: Non siamo terroristi, vogliamo giustizia e
Vogliamo la Grande Albania. Il corteo ha cercato di raggiungere i palazzi governativi e la polizia macedone stata costretta a intervenire in forze con gas lacrimogeni,
e spray urticanti. Le proteste sono scoppiate in seguito al verdetto di un tribunale di
Skopje che aveva condannato allergastolo sei estremisti albanesi per lomicidio di
cinque cittadini macedoni durante la Pasqua Ortodossa del 2012.
25
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Il possibile ritorno dei jihadisti dalla Siria e la presenza di cittadini macedoni che combattono tra le file dello Stato Islamico in
Siria e Iraq sono elementi di grande preoccupazione per il governo
macedone che ha recentemente introdotto pene severe per chi dovesse decidere di recarsi allestero per combattere. Il ministro degli Interni, Gordana Jankulovska, ha sottolineato il pericolo di un
loro potenziale ritorno, aggiungendo che il governo non ha una
stima precisa del numero di macedoni presenti in Siria, ma per ora
quattro risultano deceduti27. Lo scorso marzo, Zekiri Muhammad e
Immer Bunjamin Grec, due jihadisti macedoni, assieme a un cittadino kosovaro, erano stati accusati di aver assassinato tre agenti
di polizia nel sud della Turchia28. Il 12 giugno, in un video pubblicato su YouTube, apparivano alcuni jihadisti dello Stato Islamico
mentre mostravano i propri passaporti macedoni. Macedoni erano
poi Munifer Karamaleski ed Elmir Avmedoski, entrambi partiti
dal nord-est dellItalia per unirsi ai jihadisti in Siria. Nella zona
nord-occidentale della Macedonia sono concentrate diverse roccaforti salafite e la vicinanza con il Kosovo e il Sangiaccato serbo,
altre zone ad alta presenza radicale islamista, non fanno che rendere il tutto pi pericoloso.
Conclusioni
Le aree territoriali caratterizzate da instabilit politica ed economica sono particolarmente sensibili alle infiltrazioni jihadiste, come illustra anche Vlado Azinovi, esperto di sicurezza nei Balcani
e autore del libro Al-Qaedas presence in Bosnia-Herzegovina; un
paese con istituzioni assenti, in preda a una forte crisi politica, dove vige un indebolimento dei valori morali, diventa terreno fertile
per la propaganda degli imam radicali, e purtroppo i fatti dimostrano che esattamente ci che sta accadendo29.
http://www.balkaninsight.com/en/article/jihadists-in-syria-pose-threat-foreurope.
28 http://friendsofkosovo.com/2014/03/28/macedonia-set-to-imprison-jihadistswho-fight-in-syria/.
29 http://www.rferl.org/content/bosnia-islamists/24916517.html.
27
126
la prima volta che un numero cos elevato di musulmani provenienti dai Balcani si mobilita per andare a combattere guerre in
Medio Oriente, con tutti i relativi rischi di un loro potenziale rientro. Secondo alcune stime della Central Intelligence Agency circa
350 jihadisti bosniaci sarebbero presenti in Siria e Iraq, 150 dal
Kosovo, 140 dallAlbania e 20 dalla Macedonia30.
I Balcani sono la porta sud-orientale dellEuropa e lItalia ha
tutte le ragioni per preoccuparsi vista la prossimit territoriale (ben
pi vicina della Libia), come dimostrano i collegamenti con alcune
reti e gli sviluppi di alcuni casi che hanno visto coinvolti predicatori e jihadisti su suolo italiano.
http://www.agenzianova.com/a/546626c9b612a5.41394587/885863/2014-1114/terrorismo-usa-inviano-70-procuratori-di-stato-nei-balcani-in-medio-oriente-enord-africa-6; http://voiceofserbia.org/it/content/kosovo-%E2%80%93-la-portaprincipale-l%E2%80%99islam-radicale-europa;
http://www.balkaninsight.com/en/article/hundreds-of-balkan-jihadist-reportedlyjoined-isis.
30
Parte seconda
Quali implicazioni per lItalia
8.
130
131
si trovava ai confini della sfera dinfluenza di Washington avanguardia e insieme barriera degli interessi e dei valori occidentali in
Europa e nel Mediterraneo nel costante confronto con la minaccia
sovietica nel ventennio seguente ha perduto questa centralit
geopolitica, superata dallo spostamento a est del baricentro europeo e dallasimmetrica guerra al terrorismo.
La gestione delle vicende del Medio Oriente e del Mediterraneo nellultimo quinquennio da parte dellItalia ha mostrato tutte
le costanti, e insieme, tutti i difetti della politica estera italiana, a
cominciare dal carattere reattivo dellazione che ha finito spesso
per sembrare un adattamento tardivo allevolversi della situazione
internazionale2. Non sola, e neppure ultima, tra i paesi occidentali
a rimanere sorpresa dalle rivolte nei paesi arabi, lItalia ha manifestato evidenti oscillazioni strategiche, anche e soprattutto per effetto dellulteriore e drastico deterioramento della vulnerabilit
esterna e interna del paese, esaltate mediaticamente dalle minacce
di IS nei confronti di Roma, che sembrano descrivere e ricordare
lItalia quale ventre molle dellEuropa.
Quindi, al possibile maggior spazio dazione per lItalia derivante dallattuale conformazione del sistema internazionale, e alle
crescenti minacce in unarea di prioritario interesse nazionale,
sembra corrispondere un diminuito potenziale dintervento del nostro paese, tale da far riflettere sullattuale validit della descrizione dellItalia quale media potenza3. Altri attori emergenti, in particolare quelli del Golfo Persico, sembrano acquisire sia politicamente sia economicamente un ruolo nuovo e attivo nella regione
del Medio Oriente allargato e nelle relazioni con lEuropa.
LItalia, sostanzialmente, si trova oggi costretta ad affrontare in
maniera pi sistematica la propria politica estera, rivedendo i tradizionali parametri dazione nei quali si mossa, anche negli ultimi ventanni.
132
133
134
Per unanalisi completa della propaganda del califfato di veda Twitter e Corano. La
comunicazione dellISIS, a cura di M. Maggioni, P. Magri, Milano, ISPI, febbraio 2015.
8 M. Lombardi, Lo Stato Islamico, una realt che ti vorrebbe comunicare, il documento di IS in italiano, http://www.itstime.it/w/lo-stato-islamico-una-realta-cheti-vorrebbe-comunicare-il-documento-di-is-in-italiano-by-marco-lombardi/.
7
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136
dei paesi mediorientali la classe media limitata, leconomia gestita principalmente dallo stato di concerto con pochi monopolisti,
e da decenni regimi corrotti e clientelari mantengono il proprio potere attraverso la repressione politica e la restrizione delle libert
civili. Se uniamo questo modello fallimentare alla crescita demografica che accomuna praticamente tutte le societ regionali, possiamo capire perch queste siano altamente instabili e come alcune
fasce sociali siano particolarmente esposte alla radicalizzazione.
Questa chiave di lettura ci permette di comprendere come
lOccidente, che di questi regimi di fatto era il modello e lalleato,
sia indirettamente diventato anchesso nemico, facile oggetto di
odio da parte delle frange pi integraliste.
Su questo pesa anche lestrema eterogeneit settaria, e in alcuni
casi etnica, che indebolisce lautorit statuale di molti paesi mediorientali. La questione della divisione interna al mondo musulmano senzaltro centrale. Il terrorismo islamico colpisce soprattutto i musulmani e rappresenta uno scontro tra le diverse fazioni
sunnite da un lato e, dallaltro, tra sunniti e sciiti. Il mondo arabo
musulmano, quello sunnita in particolare, appare alla chiara ricerca di nuove formule identitarie, alle quali IS sembra offrire
unevidente risposta.
La base dazione della politica estera italiana, e di quella europea, dovrebbe trovare fondamento su questi presupposti. Se osserviamo la mappa dei regimi falliti, degli stati fragili, o di quelli che
non hanno pieno controllo territoriale, possiamo notare una straordinaria sovrapposizione con le aree di emersione di IS e di altre
forme di islamismo radicale. Facilmente ne possiamo derivare che
la stabilizzazione dellarea sia un obiettivo prioritario dellazione
italiana, tuttavia questa non pu basarsi in via esclusiva su un appoggio a regimi autoritari, poco inclusivi e settari. facile comprendere come un nuovo e rinnovato appoggio a paesi di questo
tipo possa contribuire a riprodurre i medesimi meccanismi che
hanno portato alla destabilizzazione della regione registrata a partire dal 2011.
Bisognerebbe quindi essere in grado di distinguere tra una dimensione repressiva o militare della politica estera (di cui la co-
137
138
G. Friedman, The Middle Eastern Balance of Power Matures, Stratford Global Intelligence, 31 marzo 2015, https://www.stratfor.com/weekly/middle-eastern-balancepower-matures?utm_source=freelist-f&utm_medium=email&utm_term=
Gweekly&utm_campaign=20150331.
11
139
140
mile a quella anti-IS operante in Iraq e Siria, o con la sua estensione sulla Libia, lItalia e lEuropa avrebbero certamente in mano
carte pi rilevanti per contenere gli attori regionali coinvolti e conseguentemente creare un nuovo discrimine tra le parti in causa
nelladesione alla lotta allIS che consentirebbe di rimodulare il
fronte politico.
evidente che un nuovo intervento militare proprio come per
Iraq e Siria non possa essere risolutivo per sconfiggere le forze
radicali sul campo; contemporaneamente, infatti, sarebbe necessario ricostruire una nuova legittimit del paese. Questa chance
probabilmente offerta dalla stesura della Costituzione che dovr
essere il pi condivisa possibile e dovr trovare una sintesi tra le
forze politiche che rispettivamente si sentono attualmente legittimate dalle elezioni o dallaver preso parte alla rivoluzione. A questo proposito utile che cadano le pregiudiziali sinora operanti
contro una partecipazione ai negoziati di milizie e gruppi armati.
La Tunisia, daltronde, pu fornire un esempio di modello per
la conduzione di una politica inclusiva in tutta larea. La Tunisia
appare, a oggi, lunico paese dellarea mediorientale e nordafricana a portare avanti un lineare processo di transizione politica dopo
le rivolte. Il partito islamico al-Nahda partecipativo del sistema
parlamentare quale forza politica capace di governare in coalizione o scendere a compromessi13. Il recente attacco terroristico ha
dimostrato quanto le forze jihadiste siano disposte a colpire questo modello e quanto la comunit internazionale debba necessariamente sorreggerlo, anche quale elemento altamente simbolico.
Infine, risulta inevitabile che la politica estera e di sicurezza
dellItalia debba prevedere, rispetto al passato, misure che tengano conto di fattori di riduzione/controllo dei rischi della protratta
instabilit degli stati dellarea, a cominciare da operazioni di controllo delle acque territoriali fino al necessario ri-orientamento dei
S.M. Torelli, La transizione politica in Tunisia: opportunit e sfide, Note, n. 54, gennaio
2015, Osservatorio di politica internazionale, Senato della Repubblica, Camera dei
deputati e Ministero degli Affari Esteri,
http://www.ispionline.it/sites/default/files/pubblicazioni/note_tunisia_012015pdf.
pdf.
13
141
9.
Le Forze armate italiane sono da anni impiegate nel contesto internazionale per affrontare quelle che sono percepite e definite
quali nuove minacce, non puramente militari. In una concezione
multidimensionale della sicurezza nazionale, fenomeni quali immigrazione clandestina, terrorismo internazionale, criminalit organizzata, pirateria, stati falliti, crisi regionali e disastri ambientali sono stati affrontati facendo ricorso anche allo strumento militare. Nello scenario post-bipolare le minacce alla sicurezza nazionale non provengono principalmente da attori statuali e da Forze
armate regolari. Non pi prioritario garantire la difesa dei confini
nazionali come avveniva durante la Guerra fredda. Pertanto si
passati da una concezione statica dello strumento militare a una
modalit dinamica di continua proiezione esterna delle forze, tesa
a garantire la stabilit in aree di crisi, dalle quali possono emergere
nuove e complesse sfide per la sicurezza nazionale.
Il coinvolgimento in molteplici missioni allestero rappresenta
il fattore di maggiore continuit della politica di difesa italiana
nello scenario post-bipolare. Grazie al crollo dei constraints interni e internazionali che avevano di fatto bloccato la Difesa italiana
per decenni, lItalia ha perseguito una politica bipartisan molto attiva dal punto di vista militare. Dalle operazioni nei Balcani negli
anni Novanta ai pi complessi interventi di stabilizzazione, controinsorgenza e nation-building del nuovo secolo, il percorso di evoluzione compiuto dalle Forze armate italiane stato davvero considerevole. Tale trasformazione ha riguardato non solo le missioni
sul campo ma anche la struttura della difesa, riformata a pi ripre-
144
145
146
147
148
Ministero della Difesa, Il concetto Strategico del Capo di Stato Maggiore, Roma, Stato
Maggiore della Difesa, 2005, p. 11.
7
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151
sicurezza locali. Un aspetto sempre pi importante nelle operazioni contemporanee tra la gente, proprio per il valore aggiunto dato da attori locali nel rapportarsi con la popolazione e dalla conseguente maggiore capacit dello stato di controllare il territorio. In
tal senso, i carabinieri appaiono un asset estremamente richiesto e
apprezzato dai nostri alleati. La terza direttrice infine quella del
tipo di approccio da tenere sul campo, tra il serrato confronto militare con gli insorti e il necessario dialogo con la popolazione civile.
Da questo punto di vista Nibbio rappresenta un esempio molto interessante. La missione svoltasi nella provincia orientale di
Paktia si poneva lobiettivo dinterdire i tentativi di attraversamento del confine tra Afghanistan e Pakistan da parte dei membri di
al-Qaida, limitandone la libert di movimento e neutralizzandone i
santuari. Proprio quelloperazione, al di l della durata assai circoscritta (pochi mesi) e del limitato coinvolgimento militare nazionale sul terreno rispetto agli alleati, evidenzia lattenzione posta
dagli italiani al dialogo con gli elder dei villaggi, piuttosto che alle
azioni di search&destroy guidate dalle forze Usa. Queste ultime,
in seguito allintroduzione del manuale di Petraeus e alle nuove
direttive di McChrystal in Afghanistan, adotteranno solo anni dopo un atteggiamento sul terreno simile a quello italiano, limitando
luso del fire power e aumentando gli sforzi per favorire dialogo e
ricostruzione.
In generale possiamo notare come da una parte, senza un efficace controllo del territorio, le attivit che le Forze armate compiono sul piano economico-sociale si rivelino inutili (come avvenuto in Iraq) o limitate (soprattutto se confrontiamo la sproporzione tra spese militari e non dei pi recenti interventi internazionali).
Dallaltro, senza un processo dinclusione politica degli attori
coinvolti nel conflitto, ogni azione si dimostra inefficace nel medio-lungo periodo. Proprio per isolare le forze jihadiste e gli attori
pi radicali legati a network terroristici globali, occorre dialogare
con tutte le componenti del conflitto interessate a una condivisione
del potere a livello nazionale. In Iraq la diminuzione della violenza
in seguito al surge e alla dottrina Petraeus cre le condizioni per
152
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thica. Assieme ad altri paesi lItalia opera sulla base delle Risoluzioni n. 2170 del 15 agosto 2014 e n. 2178 del 27 settembre 2014,
in seguito alla richiesta di soccorso presentata dal rappresentante
permanente iracheno al presidente del Consiglio di Sicurezza
dellOnu. Come evidenziato dal sito del Ministero della Difesa11, i
compiti del contingente italiano sono i seguenti: contribuzione con
personale qualificato impiegato negli staff dei comandi della Coalizione, attivit Air-to-Air refueling a favore degli assetti della
Coalizione e attivit di ricognizione e sorveglianza con aerei a pilotaggio remoto e Tornado IDS. In altre parole, gli aerei italiani
non bombardano, ma hanno funzione di ricognitori. Dopo aver
garantito supporto umanitario ad agosto e inviato materiale bellico alle Iraqi Security Forces (Isf) e alle milizie curde, lItalia ha
costituito una Combined Joint Task Force a ottobre, dislocata tra
Kuwait, Qatar, Baghdad ed Erbil. Sempre a ottobre stata creata
la Task Force Air (TF-A) con circa 190 unit in Kuwait. Sono l
schierati due Predator, un velivolo da rifornimento in volo KC 767
e appunto quattro velivoli A-200 Tornado IDS. Tra forze aeree e
addestratori sul terreno limpegno complessivo si quantifica in diverse centinaia di uomini.
Proprio le attivit di training, come abbiamo visto, rappresentano un dato costante nelle operazioni militari italiane intraprese
nel nuovo secolo. LItalia assume spesso un ruolo-guida per
laddestramento di Forze armate e di sicurezza locali in operazioni
multinazionali. Nel corso del tempo anche le modalit di training
si sono adattate al cambiamento degli scenari bellici, come dimostra levoluzione compiuta dal complesso processo di training avvenuto in Afghanistan. I recenti interventi evidenziano come il
processo di temporanea decentralizzazione delle responsabilit
di sicurezza (per esempio attraverso milizie di autodifesa) non dovrebbe mai minare il ruolo dello stato nel monopolio della violenza.
Nel caso dellIraq le attivit di addestramento saranno principalmente orientate sui sistemi darma contro carri e sulla neutra11http://www.difesa.it/OperazioniMilitari/op_intern_corso/Prima_Parthica/Pagine
/default.aspx.
155
Ibidem.
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10.
La minaccia jihadista
Il terrorismo islamico continua a rappresentare una minaccia primaria alla sicurezza internazionale e, anche alla luce di quanto avvenuto nel 2014, costituisce una sfida con cui dovremo confrontarci ancora per un lungo periodo.
Lanno scorso si assistito, infatti, allaffermazione dello Stato
Islamico (IS) nel mondo. Ci ha segnato un assoluto cambio di
passo, determinando quella che i filosofi chiamano una rottura
epistemologica, perch, per la prima volta, unorganizzazione terroristica si dotata di un territorio ed diventata stato. In questo
modo lIS stato in grado di realizzare ci in cui nessuno era riuscito in passato: avere la capacit di muoversi, da un lato secondo i
canoni tipici di una guerra simmetrica, conducendo una campagna
militare con un vero e proprio esercito, conquistando una parte
della Siria, una parte dellIraq, mettendo in discussione il Kurdistan, dallaltro su un piano tipicamente asimmetrico come ogni
gruppo terroristico. A questo si aggiunge anche il raggiungimento
di una capacit economica senza precedenti tra i gruppi terroristici, ottenuta attraverso molteplici attivit a partire dal controllo di
risorse petrolifere.
LIS rappresenta pertanto una minaccia irriducibile, non gestibile diplomaticamente e che va sconfitta anche militarmente; questo il senso della grande coalizione internazionale cui lItalia
partecipa.
Oltre allIS, un elevato indice di rischio legato ad al-Qaida
tanto in relazione al tentativo dellorganizzazione terroristica di
160
161
In questottica sono di estrema pericolosit, proprio per il rischio di essere recepiti da una vasta platea di internauti radicali, i
numerosi messaggi di propaganda jihadista diffusi sul web in cui
si invitano i musulmani dOccidente a raggiungere i teatri di jihad,
o a colpire i miscredenti, con ogni mezzo, nei loro paesi attraverso azioni di jihad individuale.
A tal proposito, il successo di azioni terroristiche attuate con
i pi disparati strumenti (dallarma da taglio allautomobile lanciata contro un bersaglio) possono stimolare fenomeni emulativi, peraltro estremamente difficili da prevenire anche perch fuori dagli
schemi tradizionali di valutazione delle capacit organizzative e
operative delle formazioni terroristiche.
Un profilo di particolare attenzione rimanda, inoltre, al flusso
di jihadisti che raggiungono il teatro siro-iracheno dal Nord Africa, ma che per personali trascorsi in Europa, per collegamenti
con soggetti residenti nel vecchio continente o per contatti maturati sul campo di battaglia potrebbero raggiungere il territorio europeo.
Anche per questi aspetti il quadrante nordafricano costantemente monitorato dallintelligence, specie per quel che concerne la
Libia, la cui situazione di sicurezza gi fortemente critica, si ulteriormente deteriorata per la presenza di una multiforme galassia
jihadista, nel cui ambito lIS sta cercando di ritagliarsi visibilit e
spazi sul terreno.
Il peggioramento della situazione con il rischio di una somalizzazione della Libia accresce il livello di rischio per il nostro
paese. Ci impone lobbligo per la comunit internazionale, e in
primis per lEuropa, di un forte impegno in ambito Onu finalizzato
a spingere le parti a creare un governo di unit nazionale capace di
stabilizzare il paese e di fare fronte comune contro lIS.
La minaccia verso lItalia
LItalia rientra tra i potenziali obiettivi dellazione terroristica, oltre che per la sua partecipazione alla coalizione internazionale
contro lIS, soprattutto per la sua centralit per il mondo cristiano.
162
163
164
molecolare passa sicuramente attraverso lutilizzo della tecnologia, specie in relazione al web (sulla cui centralit nelle dinamiche
di radicalizzazione individuale mi sono sopra soffermato), ma assumono grande importanza lOsint (Open Source Intelligence) e la
Humint (Human Intelligence). Quanto alla prima, oggi, su internet
disponibile una grande quantit dinformazioni e lintelligence
deve avere la capacit di enucleare quelle utili; per quel che concerne la Humint, fondamentale avere la conoscenza del territorio, essere in grado dinfiltrarsi negli ambienti sospetti, avere un
controllo diretto in funzione preventiva di coloro che sono potenzialmente sospetti, conoscere le persone e avere anche la piena
collaborazione dellopinione pubblica. Ci non significa istituzionalizzare la delazione o vivere in un clima di sospetto, ma la risposta della societ civile unarma in pi nella lotta al terrorismo. In
questo lItalia ha gi dato prova di grande maturit negli anni 7080 contro le Brigate Rosse. Un contributo di rilievo potrebbe venire dallattivazione dellislam moderato. In questo senso, importante promuovere il culto nelle moschee, in ambienti pubblici
trasparenti, perch i rischi maggiori si annidano nel culto catacombale o peggio sul web.
Dunque allattivit di prevenzione e contrasto messa in atto da
servizi, magistratura e forze dellordine devono contribuire anche i
singoli cittadini, magari segnalando eventuali situazioni sospette.
Nellambito di tali attivit, particolare impegno viene profuso
dallintelligence anche in merito alle forme di finanziamento delle
formazioni jihadiste, mirando a individuare fonti e canali di trasferimento delle risorse finanziarie.
Importante anche ladozione di provvedimenti normativi a livello nazionale ed europeo in grado di rafforzare il sistema di contrasto e prevenzione.
Pienamente aderenti a tale principio sono le misure che il Governo italiano ha adottato il 10 febbraio scorso, prevedendo nuove
condotte delittuose (tra cui la punibilit dellauto-addestramento e
quella di reclutatori e reclutati), unintegrazione delle misure di
contrasto delle attivit terroristiche condotte con mezzi informatici
e telematici, nuove norme in materia di misure di prevenzione per-
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166
Conclusioni
Il terrorismo jihadista, come detto in esordio, una minaccia irriducibile con cui dovremo confrontarci per un lungo periodo.
LEuropa deve avere la capacit di rispondere come una grande
democrazia, non limitando drasticamente le libert fondamentali
(come quella di movimento), ma usando tutte le armi tipiche della
democrazia, compresa lopinione pubblica che, a mio parere, non
rappresenta un punto di debolezza come ritenuto dalle organizzazioni terroristiche ma un punto di forza.
La risposta al terrorismo deve, al contempo, muoversi sul terreno militare, della prevenzione e dei valori, puntando a isolare e
colpire la minaccia quando ancora nel suo stato dincubazione;
bisogna cio anticipare la soglia di prevenzione per diminuire il
tasso dimprevedibilit.
11.
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170
Le priorit italiane
Per lItalia questa riflessione si fa ancora pi stringente: la vocazione mediterranea del nostro paese pone in modo estremamente
evidente lurgenza di approntare strumenti per interagire in contesti fragili e in via dindebolimento, come tutti quei contesti che si
confrontano con le conseguenze delle Primavere arabe. Le nostre
priorit geografiche sottolineano la necessit di elaborare al pi
presto politiche dintervento in situazioni di fragilit: dei venti
paesi prioritari della Cooperazione italiana , infatti, otto (Sudan,
Sud Sudan, Etiopia, Mozambico, Kenya, Somalia, Pakistan, Afghanistan) sono classificati tra i primi venti paesi nellindice degli
stati fragili, elaborato ogni anno dal Fund for Peace e pubblicato
da Foreign Policy, e sono presenti con sistematicit in altri indici e
studi sulla debolezza delle istituzioni. Inoltre, riteniamo prioritari
altri due paesi, il Libano e la Tunisia, che risentono in modo evidente della situazione di fallimento di stati confinanti (rispettivamente Siria e Libia). La met dei paesi prioritari dei nostri interventi di cooperazione quindi interessata dalla problematica della
debolezza o del fallimento degli stati.
Nonostante nella normativa che disciplina la cooperazione internazionale, la legge 11 agosto 2014, n. 125, allarticolo 1, si dica
che:
La cooperazione allo sviluppo, nel riconoscere la centralit della
persona umana, nella sua dimensione individuale e comunitaria,
persegue, in conformit coi programmi e con le strategie internazionali definiti dalle Nazioni Unite, dalle altre organizzazioni
internazionali e dallUnione europea, gli obiettivi fondamentali
volti a: (...)
b) tutelare e affermare i diritti umani, la dignit dellindividuo,
luguaglianza di genere, le pari opportunit e i princpi di democrazia e dello Stato di diritto;
prevenire i conflitti, sostenere i processi di pacificazione, di riconciliazione, di stabilizzazione post-conflitto, di consolidamento e rafforzamento delle istituzioni democratiche,
171
interventi, soprattutto in situazioni di post-conflitto. La lacuna italiana ancora pi evidente se si fa riferimento a quanto elaborato
dalla letteratura internazionale in questi anni: vi sono infatti molte
linee guida a proposito, a partire dai Dieci principi per gli stati fragili dellOecd-Dac fino a una vasta letteratura how-to prodotta
(e utilizzata) soprattutto dal Dfid, il Dipartimento per la cooperazione internazionale del Regno Unito.
Il nostro paese si invece mosso in modo pi selettivo: lItalia
da anni impegnata a sostenere la crescita delle capacit delle istituzioni in alcuni ambiti specifici e prevalentemente tecnici. Il primo settore nel quale essa ha deciso, per esempio, di essere capofila
quello delle-governance. Nel prossimo Documento di programmazione triennale 2015-2017 della Cooperazione italiana uno
dei settori dintervento sar il rafforzamento della capacit dei sistemi statistici.
Al di l del sostegno settoriale, c stato un intervento di rafforzamento istituzionale pi propriamente inteso nei paesi postconflitto in cui lItalia presente. Anche in considerazione delle
ridotte risorse a disposizione della cooperazione internazionale,
lItalia si ritagliata un ruolo in alcuni paesi allinterno della divisione del lavoro con gli altri partner internazionali nellambito del
rafforzamento delle istituzioni giudiziarie o carcerarie oppure degli enti locali. Lesempio pi di successo il contributo italiano
alla riforma del sistema giudiziario in Afghanistan, dove il nostro
paese stato capofila dellintervento internazionale per ricostruire
uno stato di diritto nel paese. Ci sono poi stati gli interventi in
Mozambico nel settore della giustizia minorile, a partire dai primi
anni dopo la fine del conflitto civile, o laiuto offerto fin dal 2007
cio subito dopo lavvio delloperazione Unifil agli enti locali
libanesi nellambito della finanza locale. Si trattato di impegni
significativi per i risultati ottenuti per i paesi beneficiari e per
lautorevolezza riconosciuta in loco alla Cooperazione italiana,
che per non ne ha fatto una linea di continuit prioritaria
dintervento anche in altri paesi o contesti.
Un altro strumento utilizzato per il contrasto allinstabilit (e
quindi al terrorismo di matrice fondamentalista) stato quello del
172
rafforzamento della cooperazione militare e del sostegno alle istituzioni militari di paesi in transizione, attraverso strumenti di cooperazione legati al Ministero della Difesa. LItalia, insieme al Regno Unito, stato ad esempio lunico paese a dare un contributo
alla creazione e alladdestramento di un vero esercito nazionale
libico, che provasse a integrare e amalgamare in unistituzione nazionale le diverse articolazioni tribali e politiche in cui mano a
mano andata frantumandosi la societ libica. Il precipitare della
situazione in Libia ha per interrotto laddestramento presso
laccademia di Montecassino di alcune centinaia di soldati libici,
fermando unazione che certamente avrebbe contribuito al rafforzamento di istituzioni unitarie e solide nel paese mediterraneo. La
vicenda della Nigeria per paradigmatica delle difficolt connesse con questo tipo di assistenza: nel corso della storia nigeriana,
lesercito stato un attore di primo piano. Cos, negli anni Novanta, sempre lesercito nigeriano ha svolto un ruolo cruciale di stabilizzazione della regione. Negli ultimi anni, per, questo stesso
esercito si dimostrato profondamente deficitario e debole nel
contrasto a Boko Haram.
Ripensare la strategia di cooperazione: alcune proposte
Lesperienza nellambito del rafforzamento istituzionale della nostra cooperazione e le esigenze del contrasto al terrorismo in almeno met dei paesi dove lItalia presente suggeriscono quindi
alcune linee dazione che dovrebbero portare a un ripensamento
della strategia di cooperazione internazionale come tassello della
lotta al terrorismo globale:
lItalia deve dotarsi al pi presto di un documento di riflessione strategica su come si possa intervenire nei contesti di stati
fragili, deboli o di stati falliti, declinando gli impegni internazionali in questo senso con le lezioni apprese dalla nostra
Cooperazione italiana in contesti quali Afghanistan, Libano e
Libia;
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in considerazione delle priorit geografiche della nostra cooperazione, del posizionamento geografico e della vocazione
mediterranea della nostra politica estera, nonch in considerazione delle relativamente ridotte risorse a disposizione della
cooperazione, lItalia dovrebbe identificare nelle azioni di sostegno alle istituzioni una possibile area dintervento prioritario, con particolare riferimento alle azioni di sostegno al settore della giustizia e a quello del rafforzamento delle capacit di
polizia interna;
lesperienza italiana, sia politica sia di soluzioni giuridiche e
amministrative, rispetto a situazioni di forte spinta di autonomia locale dovrebbe poter essere messa a disposizione in quei
contesti in cui la statualit centrale viene continuamente indebolita da spinte localistiche;
facendo leva sulla grande esperienza maturata in ambito di
peace-keeping internazionale, nel quale viene riconosciuto
uno specifico modo di lavorare italiano, che sa coniugare operazioni militari con cooperazione civile, il nostro paese potrebbe produrre riflessioni poi estendibili ad altri paesi alleati
su come associare cooperazione e strumento militare in contesti di fragilit.
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La crisi siriana, dichiarata la crisi umanitaria, politica e di sviluppo pi difficile del nostro tempo da parte del sistema delle Nazioni Unite, la situazione emergenziale pi preoccupante: a quattro anni dalle prime rivolte, 11,6 milioni di siriani non hanno accesso a fonti dirette di acqua corrente e quasi dieci milioni di cittadini siriani hanno bisogno di assistenza alimentare. Laccesso
agli aiuti umanitari, nonostante siano aumentati i bisogni, si ridotto: rispetto al 2013, solo met (circa 1,1 milioni) delle persone
che vivono nelle zone di guerra riuscita ad avere accesso agli
aiuti rispetto al 2013 (2,9 milioni). Non sorprende nessuno quindi
se i rifugiati fuori dalla Siria sono ormai 3,9 milioni di persone,
mentre 7,6 milioni di cittadini hanno lasciato le loro case cercando
possibilit di sopravvivenza nei campi allinterno del paese.
La vicenda libica, in continuo peggioramento, ha prodotto
400mila rifugiati allinterno del paese, cui si sommano almeno
36mila rifugiati da altri paesi in transito verso lEuropa7, e
500mila rifugiati presenti in Tunisia, soprattutto di famiglie libiche
relativamente pi abbienti della media tunisina. Il rafforzarsi del
Daesh in Iraq ha prodotto nella seconda met del 2014 quasi due
milioni di rifugiati allinterno del paese.
La pressione di ondate straordinarie di rifugiati a tutti gli effetti un fattore di ulteriore instabilit in contesti gi compromessi.
I rifugiati libici, ad esempio, insistono per la maggior parte sul
contesto tunisino dove la loro presenza al momento, pure costituendo quasi il 10 per cento della popolazione tunisina, meno
impattante di quanto potrebbe diventare, grazie alla loro capacit
di spesa. Limpatto dei rifugiati siriani in Turchia, Libano e Giordania invece pi marcato: sia in Giordania che in Libano, un abitante su cinque un rifugiato siriano, con effetti particolarmente
rilevanti rispetto alle capacit di fornitura dei servizi pubblici essenziali (in Libano, uno scolaro su due un rifugiato siriano), o
quello prodotto sulla finanza pubblica (la sola Turchia, ad esempio, spende per i 600mila rifugiati siriani che ospita pi del doppio
di quello che spende tutta lUnione Europea per lintera emergenUNHCR, Libya Factsheet, UNHCR Factsheet, febbraio 2015,
http://www.unhcr.org/4c907ffe9.pdf (23/03/2015).
7
175
za Siria, sia a sostegno dei campi profughi nel Vicino Oriente, sia
per laccoglienza dei rifugiati siriani dentro i confini dellUnione).
Le situazioni giordana e libanese sono quelle che destano pi
preoccupazioni, non solo perch assorbono un numero estremamente alto di rifugiati provenienti dalla Siria, ma perch sono due
paesi che nel passato hanno gi dovuto fare i conti con londata di
rifugiati palestinesi, e perch si destreggiano da anni con equilibri
interni molto delicati che tengono anche conto del peso relativo
dei rifugiati palestinesi. A questemergenza, che a quattro anni
dalle Primavere arabe si sostanzialmente trasformata in dato di
fatto strutturale, lUnione Europea ha risposto con unoperazione
di controllo dei confini, loperazione Triton, e con lannuncio di
una revisione delle politiche di accoglienza dei rifugiati che rendano la gestione della problematica davvero europea. Sebbene
loperazione Triton rappresenti comunque una svolta rispetto
alloperazione Mare Nostrum solo italiana e che contraddiceva
quello che altri paesi europei facevano (Spagna, Grecia, molto duri
nel contrasto allarrivo di barconi) , perch con essa lUnione Europea si assunta collettivamente la responsabilit delle proprie
frontiere, e quindi della gestione di chi le attraversa scappando da
situazioni inumane, sappiamo che non abbastanza in termini di
gestione del fenomeno migratorio. Lannuncio di ripensare alle
politiche europee in materia dimmigrazione conferma la tendenza
inaugurata con Triton, ovvero quella di unassunzione collettiva
europea di responsabilit sui rifugiati. Un impegno che, insieme
alle recenti sentenze della Corte europea dei diritti umani, di fatto
sta smantellando lidea fondante del Trattato di Dublino, ovvero
che i rifugiati debbano essere gestiti dal primo paese in cui arrivano.
Il tema degli stati fragili dovrebbe diventare quindi importante
anche in materia di politiche europee dellimmigrazione. Perch
lUnione Europea non pu a questo punto gestire direttamente una
quota dei rifugiati del conflitto siriano, che scappano da IS, che
fuggono dal regime eritreo, aiutando i paesi limitrofi e gestendo da
l il loro arrivo in Europa attraverso politiche di reinsediamento?
Sarebbe un gesto che da un lato alleggerirebbe il peso sostenuto in
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Gli Autori
Andrea Beccaro, Ph.D. in Scienze Strategiche, DAAD Fellow
presso lOtto-Suhr-Institut fr Politikwissenschaft, Freie Universitt di Berlino, gi docente a contratto di Relazioni internazionali
(corso avanzato) presso la Scuola Universitaria Interfacolt di
Scienze Strategiche di Torino. I suoi interessi di ricerca spaziano
dallo studio delle caratteristiche della conflittualit contemporanea, alla teoria strategica, dalla guerra irregolare ai conflitti mediorientali con particolare riferimento allarea irachena e siriana. Tre
le sue pubblicazioni principali: La guerra in Iraq, il Mulino 2013
e C.E. Callwell, Small Wars. Teoria e prassi dal XIX secolo
allAfghanistan, LEG, 2012.
Laurentina Cizza studia Relazioni internazionali e i paesi del
Medio Oriente presso la Johns Hopkins School of Advanced International Studies (Sais) a Washington DC. In passato ha lavorato
come assistente di ricerca presso il Middle East Institute (Mei), e
Global Policy Advisors (Gpa), societ di consulenza sul rischio
politico a Washington DC.
Fabrizio Coticchia Jean Monnet Fellow allIstituto Universitario Europeo (Eui) di Fiesole. In precedenza stato Research Fellow alla Scuola Superiore SantAnna di Pisa. Ha conseguito il titolo di dottore di ricerca in Political Systems and Institutional Change presso lIMT, Lucca. titolare di corsi di Teoria di Relazioni
Internazionali e Geopolitica in varie universit italiane. I suoi temi
di ricerca riguardano in particolare la politica estera e di difesa italiana, la trasformazione militare europea, il rapporto tra opinione
pubblica, retorica politica e operazioni militari. editor del blog
dedicato ai temi della difesa e della sicurezza Venus in Arms.
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Gli Autori
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ternazionali, tra i quali Atlantic Council, ISPI e IAI, e varie imprese. stato attach militare per la Libia dal 2008 al 2012.
Lia Quartapelle Associate Research Fellow del programma
Africa dellISPI di cui stata ricercatrice residente fino al 2012.
Deputata della XVII Legislatura della Repubblica Italiana nella
circoscrizione III Lombardia per il Partito Democratico, fa parte
della Commissione Esteri, di cui membro dellUfficio di presidenza. inoltre membro dellAssemblea nazionale del Partito
Democratico. stata cultrice della materia presso la cattedra di
Storia e istituzioni dellAfrica dellUniversit di Pavia, dove ha
insegnato presso il corso di Politiche per lo sviluppo. Ha lavorato
presso la Cooperazione Italiana in Mozambico.
Riccardo Redaelli professore ordinario di Geopolitica e di Storia e istituzioni dellAsia presso la Facolt di Scienze Politiche e
Sociali dellUniversit Cattolica del S. Cuore di Milano, nonch
direttore del Centro di Ricerche sul Sistema Sud e il Mediterraneo
Allargato (CRiSSMA) dellAteneo. Direttore del master MIMES
(Master in Middle Eastern Studies) dellAlta Scuola di Economia
e Relazioni Internazionali (ASERI) inoltre coordinatore scientifico del Centro di studi internazionale di Geopolitica (Cestingeo)
di Valenza e membro del Consiglio Scientifico di Asia Major.
Stefano M. Torelli, Ph.D. in Storia delle Relazioni internazionali
presso lUniversit La Sapienza di Roma, Research Fellow
dellISPI. Le sue ricerche si focalizzano sulla politica mediorientale, i movimenti islamisti e le varie forme di islam politico, con
particolare riferimento al Nord Africa e alla Tunisia. docente a
contratto di Storia e Istituzioni del Medio Oriente allo IULM di
Milano e collabora con la cattedra di Storia e Istituzioni dei paesi
islamici allUniversit degli Studi di Milano. Coordina i cicli di
International Lecture per ISPI, dove insegna presso i corsi di formazione sulle nuove forme di terrorismo. Ha pubblicato e curato
diversi volumi e articoli sullislamismo nellarea nordafricana e
sullevoluzione del processo di transizione politica in Tunisia, anche in chiave comparatistica, per riviste italiane e internazionali e
per lOsservatorio di Politica Internazionale di Camera e Senato.
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