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SAVERIO MAURO TASSI LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO EDIZIONI ALICE

Saverio Mauro Tassi

LE
(DIS)AVVENTURE
DEL
PENSIERO
FILOSO/SCIENTI-FICO

IL CORSARO
editore

SAVERIO MAURO TASSI LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO EDIZIONI ALICE

LORIZZONTE ANTICO

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IL MAPPAMONDO

LORIZZONTE ANTICO
LA SCOPERTA: LA REALTA COME ORDINE NATURALE
Cannocchiale su
LORIZZONTE STORICO-CULTURALE DELL ETA GRECA ARCAICA (VIII-VI sec. a.C.)
MESSAGGIO NELLA BOTTIGLIA

I VIAGGIO LORDINE COME PRINCIPIO FISICO UNICO


ROTTA SU... I COSMOLOGI MONISTI
VITE DI CAPITANI: TALETE, ANASSIMANDRO, ANASSIMENE

Tappa 1: TALETE: LACQUA E NATURA DI TUTTE LE COSE


Tappa 2: ANASSIMANDRO: IL PRINCIPIO E ILLIMITATO

MAPPA
MAPPA

Tappa 3: ANASSIMENE: IL PRINCIPIO E IL SOFFIO


MAPPA
VIAGGI DI IERI&VIAGGI DI OGGI: ANASSIMENE E LA TERMODINAMICA
Tappa 4: LA TERRA E FERMA AL CENTRO DEL COSMO
MAPPA
VIAGGI DI IERI&VIAGGI DI OGGI: ANASSIMANDRO E IL MULTIVERSO
LO SCRIGNO
PAUL DAVIES: FARE SCIENZA SIGNIFICA UNIFICARE
PAUL DAVIES: ESISTONO MOLTI E DIFFERENTI UNIVERSI

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ALLARREMBAGGIO
IL DUELLO
ROTTA SU... I COSMOLOGI RAZIONALISTI
VITE DI CAPITANI: ERACLITO, PITAGORA, FILOLAO, PARMENIDE, ZENONE
Tappa 1: ERACLITO: IL PRINCIPIO E UNA LEGGE
VIAGGI DI IERI&VIAGGI DI OGGI: IL FUOCO E LA RELATIVITA RISTRETTA
Tappa 2: I PITAGORICI: IL PRINCIPIO SONO I NUMERI
VIAGGI DI IERI&VIAGGI DI OGGI: I PITAGORICI E LA FORMULA E=MC2
Tappa 3: PARMENIDE: LA REALTA E SOLO ESSERE
Tappa 4: ZENONE: LA MOLTEPLICITA E IL MOTO SONO ASSURDI
VIAGGI DI IERI&VIAGGI DI OGGI: ZENONE, IL CALCOLO INFINITESIMALE E IL
PRINCIPIO DI RELATIVITA
Tappa 5: LA SCIENZA DEI COSMOLOGI RAZIONALISTI
LO SCRIGNO
AMIR D. ACZEL: LA SCOPERTA DEL CONTINUO GEOMETRICO
KARL POPPER: LE FASI LUNARI COME GIOCO DI LUCE E OMBRA

II VIAGGIO - LORDINE COME INTERAZIONE DI PI PRINCIPI FISICI


ROTTA SU... I COSMOLOGI PLURALISTI
VITE DI CAPITANI: EMPEDOCLE, ANASSAGORA, DEMOCRITO
Tappa 1: EMPEDOCLE: I PRINCIPI SONO LE RADICI, AMICIZIA E CONTESA

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VIAGGI DI IERI&VIAGGI DI OGGI: EMPEDOCLE E LA TEORIA DEL BIG BANG


Tappa 2: ANASSAGORA: I PRINCIPI SONO I SEMI E LINTELLIGENZA
VIAGGI DI IERI&VIAGGI DI OGGI: ANASSAGORA, LA CHIMICA E LA FISICA
Tappa 3: DEMOCRITO: I PRINCIPI SONO GLI INDIVISIBILI
VIAGGI DI IERI&VIAGGI DI OGGI: ATOMISMO ANTICO E ATOMISMO
MODERNO
Tappa 4: LA SCIENZA DEI COSMOLOGI PLURALISTI
LO SCRIGNO
ALEX VILENKIN: LA SCOPERTA DELLA GRAVITA REPULSIVA

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LA SCOPERTA: LA REALTA COME RAZIONALITA UMANA


Cannocchiale su
LORIZZONTE STORICO-CULTURALE: LETA GRECA CLASSICA (V sec. a.C.)
MESSAGGIO NELLA BOTTIGLIA

III VIAGGIO LA RAZIONALITA STRUMENTALE DELLUOMO


ROTTA SU... I SOFISTI
VITE DI CAPITANI: PROTAGORA E GORGIA
Tappa 1: PROTAGORA: LA RAZIONALITA E UMANA E RELATIVA
VIAGGI DI IERI&VIAGGI DI OGGI: PROTAGORA E LA NUOVA RETORICA
Tappa 2: GORGIA: LA PAROLA E IPNOTICA
VIAGGI DI IERI&VIAGGI DI OGGI: GORGIA TRA SCETTICISMO E NICHILISMO
LO SCRIGNO
LA COSTITUZIONE ITALIANA: IL DIRITTO-DOVERE DI VOTO

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IV VIAGGIO LA RAZIONALITA SOSTANZIALE DELLUOMO


ROTTA SU... IL RAZIONALISMO CRITICO
VITA DI UN CAPITANO: SOCRATE
Tappa 1: SOCRATE: LA RAZIONALITA E DIALOGO ARGOMENTATIVO
Tappa 2: SOCRATE. VIVE BENE SOLO CHI SA
Tappa 3: SOCRATE: DIO E RAZIONALITA, LUOMO IL FINE DEL COSMO
VIAGGI DI IERI&VIAGGI DI OGGI: SOCRATE E IL PRINCIPIO ANTROPICO
LO SCRIGNO
JOHN D. BARROW-FRANK J. TIPLER: LUNIVERSO E FATTO PER LUOMO

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LA SCOPERTA: LA REALTA COME RAZIONALITA


METAFISICA
Cannocchiale su
LORIZZONTE STORICO-CULTURALE: LA DECADENZA GRECA (431-323 a.C.)
MESSAGGIO NELLA BOTTIGLIA

V VIAGGIO LA RAZIONALITA IDEALE


ROTTA SU... LIDEALISMO TRASCENDENTE
VITA DI UN CAPITANO: PLATONE
Tappa 1: PLATONE: LA VITA E UN VIAGGIO DAL BUIO ALLA LUCE
LA MAPPA
Tappa 2: PLATONE: LA SCIENZA SI BASA SULLINTUIZIONE DELLE IDEE
LA MAPPA
Tappa 3: PLATONE: LE IDEE SONO I MODELLI RAZIONALI DI TUTTE LE COSE
LA MAPPA
VIAGGI DI IERI&VIAGGI DI OGGI: LA TEORIA DELLE IDEE E ROGER PENROSE
Tappa 4: PLATONE: IL MONDO FISICO E UNA COPIA DEL MONDO DELLE IDEE
LA MAPPA
VIAGGI DI IERI&VIAGGI DI OGGI: LA CHORA E IL CAMPO DI HIGGS
Tappa 5: PLATONE: CONOSCERE E RICORDARE LA PRIMA VISIONE DELLE IDEE
LA MAPPA
Tappa 6: PLATONE: LA SCIENZA DELLE IDEE E LA DIALETTICA
LA MAPPA
VIAGGI DI IERI&VIAGGI DI OGGI: LINNATISMO DI PLATONE E DI CHOMSKY

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Tappa 7: PLATONE: LAMORE E IL SENTIMENTO CHE PORTA ALLE IDEE

LA MAPPA

Tappa 8: PLATONE: LA GIUSTIZIA E LA VIRTU SUPREMA


LA MAPPA
Tappa 9: PLATONE: LO STATO GIUSTO DEVE BASARSI SULLA SCIENZA
LA MAPPA
VIAGGI DI IERI&VIAGGI DI OGGI: PLATONE E LA COSTITUZIONE ITALIANA
Tappa 10: PLATONE: LA SCIENZA DEVE BASARSI SULLA MATEMATICA
LA MAPPA
LO SCRIGNO
ROGER PENROSE: LA MATEMATICA GUIDA LA RICERCA SCIENTIFICA

VI VIAGGIO LA RAZIONALITA ESSENZIALE


ROTTA SU... LIDEALISMO IMMANENTE
VITA DI UN CAPITANO: ARISTOTELE
Tappa 1: ARISTOTELE: LA REALTA E ESSENZA E ACCIDENTE
Tappa 2: ARISTOTELE: LA REALTA E POTENZIALITA E ATTUAZIONE
Tappa 3: ARISTOTELE: DIO E LA CAUSA FINALE DEL COSMO
VIAGGI DI IERI&VIAGGI DI OGGI: FINALISMO E PRINCIPIO VITALE
Tappa 4: ARISTOTELE: IL COSMO E DIVISO IN CELESTE E TERRESTRE
VIAGGI DI IERI&VIAGGI DI OGGI: LE FISICHE DI ARISTOTELE E DI EINSTEIN
FINALISMO BIOLOGICO ED EVOLUZIONISMO
Tappa 5: ARISTOTELE: LESPERIENZA E INDISPENSABILE ALLA SCIENZA

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Tappa 6: ARISTOTELE: LA SCIENZA E RAGIONAMENTO


Tappa 7: ARISTOTELE: LA VERITA SI BASA SULLA VALIDIT DEL RAGIONAMENTO
Tappa 8: ARISTOTELE: LA MASSIMA FELICITA STA NEL CONOSCERE
Tappa 9: ARISTOTELE: LO STATO DEVE GARANTIRE PACE E TEMPO LIBERO
LO SCRIGNO
PAUL DAVIES: LA TEORIA DEL FINALISMO INTRINSECO DELLUNIVERSO
MICHELE SARA: GLI ORGANISMI SI SVILUPPANO IN MODO FINALISTICO
FRITJOF CAPRA: LORGANISMO E SCHEMA, STRUTTURA E PROCESSO

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LA SCOPERTA: IL PRIMATO DELLA VITA PRATICA


Cannocchiale su
LORIZZONTE STORICO-CULTURALE DELLET ELLENISTICA
MESSAGGIO NELLA BOTTIGLIA

VII VIAGGIO ALLA RICERCA DELLA FELICITA TERRENA


ROTTA SU LA FELICITA COME RIFIUTO DELLA CIVILTA:
CINISMO ED EPICUREISMO
VITE DI CAPITANI: ANTISTENE, DIOGENE, EPICURO
Tappa 1: I CINICI: LA FELICITA E LA LIBERTA INDIVIDUALE
Tappa 2: EPICURO: LA FELICITA E IL PIACERE QUIETO
VIAGGI DI IERI&VIAGGI DI OGGI: EPICURO E LA FISICA QUANTISTICA

ROTTA SU LA FELICITA COME ADATTAMENTO AL DESTINO RAZIONALE: LO


STOICISMO
VITE DI CAPITANI: ZENONE, CLEANTE, CRISIPPO
Tappa 1: STOICI: IL COSMO E MATERIA RAZIONALE E DIVINA
VIAGGI DI IERI&VIAGGI DI OGGI: COSMOLOGIA STOICA E FISICA
CONTEMPORANEA
Tappa 2: STOICI: LA FELICITA E LIMPASSIBILITA
Tappa 3: STOICI: IL RAGIONAMENTO DEVE ESSERE PROPOSIZIONALE
VIAGGI DI IERI&VIAGGI DI OGGI: I PARADOSSI NELLA LOGICA DEL 900

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ROTTA SU LA FELICITA COME ACCETTAZIONE DEL NON-SENSO DELLA VITA:


LO SCETTICISMO
VITE DI CAPITANI: PIRRONE
Tappa 4: GLI SCETTICI: LA FELICITA E INDIFFERENZA E CONFORMISMO
LO SCRIGNO
LEON LEDERMAN: LEFFETTO TUNNEL
NORMAN DOIDGE: ECCITAZIONE E APPAGAMENTO
VITO MANCUSO: LENERGIA CONTIENE UN PRINCIPIO ORDINATORE
IMPERSONALE

VIII VIAGGIO LA FELICITA DELLA RICERCA SCIENTIFICA


ROTTA SU LA I RIVOLUZIONE SCIENTIFICA?
VITE DI CAPITANI: GLI SCIENZIATI ELLENISTICI
Tappa 1: LA RICERCA MATEMATICA
VIAGGI DI IERI&VIAGGI DI OGGI: MATEMATICA ELLENISTICA E MATEMATICA
MODERNA
Tappa 2: LA RICERCA ASTRONOMICA
Tappa 3: LA RICERCA FISICA
Tappa 4: LA RICERCA NELLE SCIENZE EMPIRICHE

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LA SCOPERTA: LA REALTA CREAZIONE DI UN DIO INFINITO


Cannocchiale su
LORIZZONTE STORICO-CULTURALE DELLETA ROMANA
LORIZZONTE SCIENTIFICO DELLETA ROMANA
LORIZZONTE FILOSOFICO DELLETA ROMANA

IX VIAGGIO DIO COME INFINITA IMPERSONALE

MESSAGGIO NELLA BOTTIGLIA


ROTTA SU... IL NEOPLATONISMO
VITA DI UN CAPITANO: PLOTINO
Tappa 1: PLOTINO: TUTTO E UNO INFINITO E IMMATERIALE
LA MAPPA
Tappa 2: PLOTINO: LUNO E INEFFABILE
LA MAPPA
VIAGGI DI IERI&VIAGGI DI OGGI: PLOTINO E GLI INSIEMI INFINITI DI CANTOR
Tappa 3: PLOTINO: LUNO SI AUTOCREA
LA MAPPA
VIAGGI DI IERI&VIAGGI DI OGGI: PLOTINO E LORIGINE DEL BIG BANG
Tappa 4: PLOTINO: LUNO CREA IL COSMO FISICO
LA MAPPA
Tappa 5: PLOTINO: LAUTOCOSCIENZA DELLUNO E LA MENTE

LA MAPPA

VIAGGI DI IERI&VIAGGI DI OGGI: LA MENTE E LA TEORIA DELLAUTOCOSCIENZA

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Tappa 6: PLOTINO: LINDIVIDUALIZZAZIONE DELLUNO E LANIMA


LA MAPPA
Tappa 7: IL MASSIMO DEPOTENZIAMENTO DELLUNO E LA MATERIA

LA MAPPA

VIAGGI DI IERI&VIAGGI DI OGGI: LANIMA, ENTANGLEMENT E OLOGRAFIA


Tappa 8: PLOTINO: LUOMO E UNANIMA CADUTA
LA MAPPA
Tappa 9: PLOTINO: LA MASSIMA FELICITA E LESTASI

LA MAPPA

LO SCRIGNO
ALEX VILENKIN: LUNIVERSO E CONTRADDITTORIO

X VIAGGIO DIO PERSONA ONNIPOTENTE E AMOREVOLE


MESSAGGIO NELLA BOTTIGLIA
ROTTA SU... NEOPLATONISMO ED ESISTENZIALISMO CRISTIANI
VITA DI UN CAPITANO: AGOSTINO DI TAGASTE
Tappa 1: AGOSTINO: LA VERITA E ILLUMINAZIONE DIVINA
Tappa 2: AGOSTINO: LA CREAZIONE DEL MONDO E UN ATTO DAMORE DI DIO
Tappa 3: AGOSTINO: IL TEMPO E UNA CREAZIONE DELLA MENTE UMANA
Tappa 4: AGOSTINO: IL MALE E COLPA DELLUOMO
Tappa 5: AGOSTINO: SOLO LA GRAZIA DIVINA CI LIBERA DAL MALE
Tappa 6: AGOSTINO: LA STORIA UMANA PROCEDE VERSO LA SALVEZZA
Tappa 7: AGOSTINO: LA FELICITA STA NELLAMARE

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LORIZZONTE MEDIOEVALE
XI VIAGGIO LA REALTA COSTRUZIONE RAZIONALE DI DIO
CANNOCCHIALE SU
LORIZZONTE STORICO-CULTURALE DEL MEDIOEVO
LORIZZONTE SCIENTIFICO DEL MEDIOEVO
LORIZZONTE FILOSOFICO DEL MEDIOEVO
MESSAGGIO NELLA BOTTIGLIA
ROTTA SU... LA SCOLASTICA
VITA DI UN CAPITANO: ANSELMO DAOSTA
Tappa 1: ANSELMO: LESISTENZA DI DIO SI PUO DIMOSTRARE
VITA DI UN CAPITANO: TOMMASO DAQUINO
Tappa 2: TOMMASO: LESISTENZA DI DIO SI PUO ARGOMENTARE A POSTERIORI
Tappa 3: TOMMASO: DIO ESISTE PER ESSENZA
Tappa 4: TOMMASO: DIO HA CREATO UN COSMO AUTONOMO
Tappa 5: TOMMASO: LA VERITA E ASSIMILAZIONE DELLA MENTE ALLE COSE
Tappa 6: TOMMASO: LA FELICITA E LA CONTEMPLAZIONE DI DIO
Tappa 7: TOMMASO: LO STATO MIGLIORE E UNA REPUBBLICA PRESIDENZIALE
LO SCRIGNO
GERARD SCHROEDER: LA NATURA POSSIEDE UNINTELLIGENZA

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VITA DI UN CAPITANO: JOHANNES ECKHART


Tappa 8: ECKHART: DIO E QUIETE DESERTA, OVVERO IL NULLA
VITA DI UN CAPITANO: WILLIAM OF OCKHAM
Tappa 9: OCKHAM: CE UN ABISSO TRA DIO E IL MONDO
Tappa 10: OCKHAM: GLI UNIVERSALI SONO SEGNI MENTALI E LINGUISTICI
Tappa 11: OCKHAM: LA SCIENZA DEVE ESSERE PROBABILISTICA E PLURALISTICA
Tappa 12: OCKHAM: LA CHIESA DEVE ESSERE COMUNITARIA E POVERA

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LA SCOPERTA
LA REALT COME ORDINE NATURALE

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Cannocchiale su
LORIZZONTE STORICO-CULTURALE
LETA GRECA ARCAICA (VIII-VI sec. a.C.)

Dallantichit per tradizione e oggi per convenzione, la nascita della filosofia cio del
pensiero di tipo razionale viene fatta coincidere con la vita e lopera di Talete di Mileto,
nato nel 626 e morto nel 548 a.C. Mileto era una citt greca situata sulla costa egeica
dellAnatolia, antica Asia Minore, attuale Turchia. In altre parole, la filosofia cominci e si
svilupp nel VI secolo a.C. in seno alla nazione greca, che per allora era stanziata non solo
sul territorio dellattuale Grecia, ma anche sulla costa egeica dellAnatolia, nella Magna
Grecia (lattuale Sud Italia), in Sicilia, e, bench in misura minore, anche sulle coste del
Mar Nero, dellAfrica settentrionale e della Francia meridionale.
La civilt greca arcaica era il prodotto finale di una serie di migrazioni e quindi di
sovrapposizioni e fusioni di diverse popolazioni, tutte appartenenti per al ceppo
linguistico indoeuropeo: i minoici, risalenti al 3600 a.C.; i micenei (gli achei dellIliade)
insediatisi tra il 1400 e il 1200; infine i dorici, che emigrarono nellEllade a partire dal 1100
a.C. A queste invasioni-migrazioni, seguirono circa tre secoli di decadenza culturale, il
cosiddetto medioevo ellenico (XI-IX secolo), durante i quali, per, si diffuse la tecnica di
lavorazione del ferro. Gi in questi secoli medievali, inoltre, i greci, sullonda di una forte
crescita demografica, emigrarono verso lEst e colonizzarono progressivamente le coste
occidentali dellAnatolia.
Il successivo inizio del periodo arcaico (VIII-VI secolo a.C.) fu caratterizzato politicamente
dalla nascita e dalla diffusione delle poleis, cio di un nuovo tipo di Stato. La polis non fu
propriamente uno Stato cittadino. Soprattutto inizialmente, e anche successivamente nella
maggior parte dei casi, la polis era unorganizzazione politica unitaria, uno Stato appunto,
comprendente pi villaggi e i territori rurali circostanti. Solo pi tardi, e solo in alcuni casi,
per esempio quello di Atene, la polis ebbe una connotazione prevalentemente urbana,
bench includesse pur sempre anche aree rurali. Tuttavia, le poleis, bench in misura
diversa, erano caratterizzate: da uneconomia non solo agricola ma anche, e in certi casi e
periodi soprattutto, commerciale e industriale; da una notevole diversificazione sociale
(grandi proprietari terrieri aristocratici, contadini piccoli o medi proprietari, mercanti,
artigiani, schiavi) e da una gestione collettiva del potere politico, inizialmente di tipo
aristocratico, successivamente, almeno in molti casi, di tipo oligarchico e perfino
democratico, anche se si tratt sempre di democrazie unicamente maschili.
Tra lVIII e il VII secolo, dalle poleis greche partirono nuove ondate migratorie dirette
questa volta verso lOvest, cio verso lItalia meridionale e la Sicilia, che portarono alla
fondazione di decine di nuove poleis, tutte indipendenti, ma con forti legami con le poleis
da cui erano partiti i colonizzatori. In tal modo, allinizio del VI secolo, la Grecia
comprendeva:

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1. una parte centrale originaria, la parte meridionale della penisola balcanica;


2. una parte orientale, che includeva le coste anatoliche del Mar Egeo, le coste del Mar
Nero, Creta e un breve tratto della costa mediterranea africana;
3. una parte occidentale, che andava dalla Sicilia, allItalia meridionale, alla costa
mediterranea dellattuale Francia.
Ma a met del VI secolo, lespansione della civilt greca sub una battuta darresto e i greci
rischiarono anzi di perdere la loro indipendenza. In Oriente, infatti, era in corso unaltra
potente espansione culturale e politica, quella dellimpero persiano, che dal 546 a.C. riusc
a sottomettere le colonie ioniche dellAsia minore. Mezzo secolo dopo, per, nel 499, le
colonie ioniche si ribellarono al dominio persiano e trovarono il sostegno della polis di
Atene, che, dopo la tirannide di Pisistrato, con la riforma di Clistene (509-507) aveva dato
avvio a un processo di democratizzazione. Cos, nella prima met del V secolo, scoppiarono
e si svolsero le guerre persiane (490-478) nel corso delle quali le maggiori poleis greche
(alcune poleis si accordarono con i persiani) si allearono sotto la guida di Atene e Sparta e
riuscirono a sconfiggere e ricacciare indietro la grande potenza persiana. Favorita dal ritiro
finale e dallisolazionismo di Sparta, non disposta a garantire la difesa militare anche delle
colonie ioniche, Atene emerse dalle guerre persiane come la polis dominante e con la
costituzione della Lega di Delo (478) impose la propria egemonia imperialistica sulle poleis
situate sulle coste occidentale e orientale dellEgeo.

I Greci, dunque, erano stanziati su unampia parte del bacino del Mediterraneo ed erano
politicamente divisi in una miriade di poleis indipendenti. Tuttavia, i Greci, pur non
facendo parte di un unico Stato, costituivano una nazione, cio una popolazione omogenea
per lingua, costumi, tradizioni storico-culturali. Per quanto riguarda queste ultime, una
particolare importanza rivestiva la religione, sebbene fosse tuttaltro che unica e uniforme.
I Greci, infatti, praticavano due culti religiosi diversi, bench compatibili e
progressivamente integrati tra loro:
1) quello ufficiale degli dei olimpici o celesti (Zeus, Atena, Apollo, Era, Afrodite,
ecc.), di origine dorica e strettamente legato allaristocrazia, o comunque alla
classe dominante e dirigente, e dunque alla gestione del potere e allo
svolgimento della vita politica delle poleis;
2) quello spontaneo degli dei terreni o agresti (Demetra, Persefone o Core,
Dioniso), retaggio delle civilt elleniche predoriche, legato prevalentemente
alla popolazione contadina, e dunque alla vita agricola delle campagne; un
culto spesso caratterizzato da rituali basati su travestimenti, danze sfrenate,
stati debbrezza alcolica, rapporti sessuali orgiastici, ma anche dai misteri,
riti che dovevano essere tenuti segreti (di qui il nome) durante i quali ai fedeli
erano svelate, spesso con rappresentazioni mimico-teatrali, verit relative
alla vita individuale successiva alla morte.

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In effetti, a livello dottrinale, la principale differenza tra le due tradizioni religiose greche
concerneva proprio il destino umano post mortem: per la religione olimpica, dopo la
morte, sopravviveva soltanto unombra dellindividuo nellAde, una sorta di mondo
sotterraneo, in una condizione tuttaltro che felice; invece, per la religione agreste dopo la
morte lanima individuale era destinata a una seconda vita pi felice della prima.
A questo dualismo, va poi aggiunto che ogni polis aveva una propria divinit privilegiata
differente da quelle venerate dalle altre. Ciononostante i Greci si riconobbero
gradualmente in un comune pantheon, composto dallinsieme di tutte le diverse divinit
venerate nelle varie poleis, giungendo anche a integrare dei celesti e dei terreni, come
attestato dallintroduzione ad Atene nel VI secolo delle feste dionisie nei cerimoniali
ufficiali della polis. In tal modo emersero dei templi comuni a tutti i Greci, come quello di
Apollo a Delfi, quello di Zeus a Olimpia, quello di Demetra a Eleusi. Inoltre, a partire dal
776 a.C. a Olimpia ogni quattro anni si svolgevano i Giochi olimpici, cerimonia religiosa in
onore di Zeus, cui partecipavano atleti di ogni polis greca.
Per completare il quadro della religiosit greca, per, alle due principali tradizioni
religiose, quella celeste e quella terrestre, va aggiunto un movimento religioso particolare,
di origini orientali: lorfismo, che prese il nome dal leggendario cantore Orfeo, il
protagonista del famoso mito di Orfeo ed Euridice. Come la religione demetro-dionisiaca,
la religione orfica puntava alla salvezza individuale dopo la morte, ma diversamente da
quella per lorfismo lobiettivo poteva essere conseguito soltanto seguendo rigorose
prescrizioni comportamentali di tipo ascetico. In particolare, la dottrina orfica sosteneva
che la natura umana originaria divina, immateriale e immortale, che luomo diventato
corporeo e mortale per punizione di una colpa commessa e che la sua missione purificarsi
dalla fisicit per riconquistare la propria condizione divina originaria.

Laltra grande sorgente della cultura greca, bench fortemente intrecciata con quella
religiosa, era costituita dalla tradizione artistica, quella poetico-letteraria, che includeva
anche la musica (la musica greca era tuttuno con la poesia), e quella delle arti plastiche
(scultura, pittura, architettura). Tutta la produzione artistica greca affondava le sue radici
in un sostrato comune, quello dellantico patrimonio mitico, costituito da miriadi di
racconti, molti dei quali in diverse versioni a seconda delle comunit e dei tempi. I miti
greci, la cui origine si perde nella notte dei tempi, erano il frutto dellinventiva popolare,
erano stati tramandati e arricchiti oralmente per secoli dagli aedi cantori professionisti
che si accompagnavano con la cetra ed erano imperniati sulle relazioni tra le divinit, tra
gli uomini e tra le divinit e gli uomini. Lingente e variegato patrimonio mitico greco orale
conflu, a partire forse dallVIII secolo a. C. (ma per alcuni studiosi addirittura dallXI), in
tre principali filoni letterari:
a) nei poemi Iliade e Odissea, attribuiti allaedo Omero;
b) nei poemi Teogonia e Opere e giorni del poeta Esiodo (VII secolo a.C.);

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c) nelle poesie liriche (cos chiamate perch cantate accompagnata dal suono della lira,
una cetra di dimensioni pi piccole) di numerosi poeti (Alceo, Saffo, Pindaro, ecc.)
vissuti nei secoli VII e VI a.C.
Furono soprattutto i grandi poemi di Omero e Esiodo a contribuire alla formazione della
cultura greca arcaica. I personaggi di questi poemi, e i loro comportamenti, infatti,
costituirono per i Greci successivi altrettanti modelli da imitare, ovvero un vero e proprio
repertorio di valori e regole etiche. In questo senso, anche la tradizione poetico-letteraria
greca presentava un dualismo corrispondente a quello religioso tra religiosit celeste e
religiosit terrena. I poemi omerici rappresentavano e propagandavano un modello
aristocratico di uomo il guerriero-eroe, lindividuo superiore basato sui valori della
forza, dellonore e dellorgoglio (soprattutto nellIliade) cui per si aggiungevano
(soprattutto nellOdissea) quelli dellintelligenza e della capacit di parlare in modo
persuasivo (vedi lepisodio di Odisseo e Polifemo), nonch quelli pacifici
dellamministrazione delleconomia domestica e della gestione dei rapporti familiari (vedi
il ritorno di Odisseo a Itaca). Al contrario, i poemi esioidei riflettevano e diffondevano un
modello contadino duomo il piccolo/medio proprietario terriero, luomo comune
offrendo, da un lato, una sintesi organica e completa dei miti Greci ovvero una
visione/spiegazione mitologica complessiva della natura e dei suoi principi divini e,
dallaltro, una nuova tavola dei valori, incentrata sul principio egualitario della giustizia
(dke).
A sua volta la poesia lirica, pi tarda, e composta per essere cantata nelle cerimonie
ufficiali delle poleis, veicolava i valori sociali connessi alla loro nascita e al loro sviluppo, e
di conseguenza tradusse il valore cosmico della giustizia in quelli politici della legge
(nmos) e del buon governo (eunoma).

Pari importanza rispetto allarte letteraria ebbe quella plastico-architettonica. Gi negli


ultimi secoli del Medioevo ellenico, larte scultorea e pittorica greca si caratterizz per lo
stile geometrico presente sia nelle forme dei vasi o delle anfore sia nei loro disegni
ornamentali. Allinizio dellet arcaica (VII secolo a.C.) larte plastica greca sub linfluenza
delle tradizioni artistiche orientali egiziana, cipriota, siro-palestinese, diventando pi
naturalistica e cominciando cos a rappresentare anche fiori, animali, uomini e divinit
antropomorfe. A met del VII sec. inizi a diffondersi anche la rappresentazione di episodi
mitologici, e cos anche le arti plastiche contribuirono alla trasmissione dellantica
tradizione mitologica. Tuttavia, larte greca mantenne la sua originaria impronta
geometrica, in quanto le nuove raffigurazione naturalistiche e antropomorfiche, a
differenza dei loro modelli orientali, furono caratterizzate da un maggior ordine
compositivo e dalla ricerca delle proporzioni tra le parti. Lo stesso criterio fu applicato
allarte architettonica, realizzata soprattutto nella edificazione dei templi, i quali nello

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stesso periodo, per linfluenza orientale, cominciarono a essere monumentalizzati, ovvero


ad assumere dimensioni e forme maggiori e differenziate rispetto agli edifici abitativi.
Nel VI secolo a.C. le tendenze della seconda met del VII si radicalizzarono: le
raffigurazioni umane, sia maschili sia femminili, sia scultoree sia pittoriche, aumentarono
di numero e allo stesso tempo assunsero forme sempre pi realistiche e pi morbide; si
moltiplicarono le rappresentazioni pittoriche e scultoree di scene mitologiche, fino a dar
luogo a vere e proprie narrazioni plastiche; larchitettura templare si fece sempre pi
monumentale e assunse i due elementi fondamentali della trabeazione e della colonna.
Tuttavia, la matrice geometrica dellarte greca si conserv nei principi di equilibrio,
simmetria, proporzione e armonia che innervarono larte greca del periodo arcaico. In
questo senso larte greca arcaica riflesse e al tempo stesso diffuse il nuovo modello di uomo
che si stava affermando nelle poleis, un uomo meno eroico-divino, pi normale,
addirittura uguale agli altri. Si trattava di uneguaglianza non di capacit naturali e
nemmeno di tipo economico, ma giuridica, detta isonoma, che letteralmente significa
uguale legge. In altre parole, i Greci si considerarono uguali perch tutti, in quanto
membri della polis, erano soggetti alle stesse leggi, senza alcuna discriminazione. Questa
nuova autoconcezione delluomo greco si forgi anche e forse soprattutto nelle frequenti
guerre tra poleis rivali, in particolare grazie alla nuova tecnica bellica basata sulla falange
oplitica, che esigeva la massima collaborazione e la massima disciplina collettive, niente a
che vedere con le azioni militari impulsive e individualistiche degli antichi guerrieri
aristocratici (quelli dellIliade, per intenderci). Riguardo allisonoma dei Greci, va per
ribadito che, anche nel migliore dei casi, cio nelle poleis democratiche, essa valeva solo
per i maschi adulti originari della polis, il che significa che escludeva le donne, i minorenni,
gli stranieri e soprattutto gli schiavi.

Seppur limitatamente a una lite intellettuale, la cultura greca dellet arcaica


caratterizzata anche da una tradizione scientifica importata dalle grandi civilt antiche del
Medio Oriente (Egitto, Siria, Palestina, Mesopotamia). In questo senso, non va
dimenticato, innanzitutto, che anche lalfabeto greco, ovvero il greco scritto, era nato
dallimportazione di quello fenicio con laggiunta originale di segni/lettere delle vocali (che
nel fenicio non esistevano). I Greci da secoli commerciavano, e in modo via via sempre pi
intenso, con il Medio Oriente, e, come sempre nella storia, gli scambi commerciali si
intrecciavano agli scambi culturali. Oltre a importare lalfabeto fenicio, i Greci
importarono anche il patrimonio di conoscenze scientifiche delle civilt mediorientali:
osservazioni, nozioni, tecniche e principi di tipo astronomico, matematico e medico. Una
particolare importanza rivest limportazione della tecnica di ragionamento chiamata
dimostrazione per assurdo, che pu essere considerata la matrice del metodo
argomentativo/dimostrativo il quale, come vedremo, lo strumento fondamentale delle
scienze e della filosofia (teniamo presente che, nellantichit, ma ancora almeno fino al XVI

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secolo, le scienze erano concepite e praticate come ricerche particolari allinterno della
filosofia). Come nel caso dellalfabeto, per, fin dallinizio e soprattutto a partire dal VI
secolo, gli intellettuali greci (che cominciarono a chiamarsi e a essere chiamati filosofi)
svilupparono in modo originale e potenziarono il patrimonio di conoscenze scientifiche
ereditato dai popoli del Medio Oriente.

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MESSAGGIO NELLA BOTTIGLIA


Basta guardare a quelli che per primi hanno esercitato la filosofia , perch
risulti chiaramente che la sapienza non un sapere produttivo. Infatti gli
uomini, sia da principio sia ora, hanno cominciato a esercitare la filosofia
attraverso la meraviglia. Da principio esercitarono la meraviglia sulle
difficolt che avevano a portata di mano; poi, progredendo cos poco alla
volta, arrivarono a porsi questioni intorno a cose pi grandi, per esempio su
ci che accade alla Luna, al Sole e agli astri e sulla nascita del tutto. Chi si
pone problemi e si meraviglia crede di non sapere; perci anche colui che ama
i miti in una certa misura filosofo, perch il mito costituito da cose che
destano meraviglia. Sicch, se gli uomini filosofarono per fuggire lignoranza,
evidente che cercarono il sapere per il conoscere, e non per trarne un utile.
Ne prova ci che accaduto: infatti quando ormai possedevano quasi tutte le
cose necessarie e quelle occorrenti per unesistenza confortevole e piacevole,
gli uomini cominciarono a esercitare questo tipo di intelligenza. E chiaro
dunque che noi non cerchiamo questo sapere per nessun altro uso, ma come
delluomo diciamo che libero quando esiste per se stesso e non per un altro
uomo, cos cerchiamo questa scienza come quella che lunica tra le scienze a
essere libera, perch lunica che ha come fine se stessa. Perci giustamente
si potrebbe pensare che il possesso di essa non umano, perch in molti sensi
la natura delluomo serva, sicch, secondo Simonide1, Dio soltanto avrebbe
questo privilegio. []
Come abbiamo detto, tutti gli uomini incominciano con il meravigliarsi che le
cose sono come sono, per esempio a proposito degli automi che si muovono
da s, o dei solstizi o dellincommensurabilit della diagonale del quadrato
con il lato (del fatto che non esiste ununit cos piccola con la quale si possa
misurare la diagonale e il lato, si meravigliano soltanto quelli che non ne
hanno mai considerata la causa). Ma bisogna arrivare al contrario della
meraviglia iniziale, e, come dice il proverbio, a ci che migliore. Del resto
cos avviene nei casi citati, quando si imparato: infatti la cosa che pi
meraviglierebbe un uomo che conoscesse la geometria sarebbe proprio la
commensurabilit del lato e della diagonale.
Aristotele, Metafisica, I, 2-5, a cura di C.A. Viano, UTET
Da dove infatti tutte le cose traggono origine, l trovano la loro distruzione
secondo necessit: poich esse pagano luna allaltra la pena e lespiazione
dellingiustizia secondo lordine del tempo.
Anassimandro, frammento DK 12 B 1
1

Poeta greco vissuto tra il VI e il V secolo a.C.

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I VIAGGIO
LORDINE COME PRINCIPIO FISICO UNICO

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ROTTA SU
I COSMOLOGI MONISTI
Occorre prima di tutto unavvertenza generale. Di tutti i filosofi greci antecedenti a
Platone non ci pervenuta alcuna opera, ma solo frammenti pi o meno numerosi e
significativi a seconda dei casi e testimonianze indirette di filosofi, cronisti o storici
della filosofia successivi. Pertanto il loro pensiero una ricostruzione affinata nel tempo,
il pi possibile completa, fedele e sorvegliata, ma pur sempre ipotetica e non esaustiva.
Filosofia deriva dallunione di due termini greci: phils e sopha, che rispettivamente
significano amore e conoscenza. Dunque, letteralmente filosofia significa amore della
conoscenza. Ma ci che si ama lo si cerca. Pertanto, possiamo meglio tradurre filosofia
con ricerca della conoscenza.
Allinizio, e fino almeno al XVI secolo, la filosofia strettamente legata a quelle ricerche
conoscitive che oggi chiamiamo scienze (i Greci per scienza intendevano conoscenza
nel senso forte di conoscenza vera). Nellantichit esse si differenziano dalla filosofia
perch la filosofia considerata ricerca conoscitiva della realt nel suo insieme, cio nella
sua totalit; mentre le scienze sono considerate ricerche conoscitive di settori particolare
della realt (lastronomia dei corpi celesti e dei loro moti, la meteorologia dei fenomeni
atmosferici terrestri, la fisica dei moti terrestri, la biologia degli esseri viventi terrestri,
ecc.). In tal senso filosofia e scienze, nellantichit, si praticano insieme, e, seppur in
misure e modi diversi, i filosofi sono anche scienziati e gli scienziati anche filosofi.
La nascita, almeno ufficiale, della filosofia tradizionalmente individuata nel pensiero di
un intellettuale di nome Talte, nato e vissuto a Mileto tra la fine del VII e linizio del VI
secolo a.C. Sempre la tradizione storiografica ci ha tramandato che Talete avrebbe avuto
un discepolo, Anassimndro, e questo a sua volta un altro discepolo, Anassmene. Questi
tre filosofi vengono pertanto considerati altrettanti esponenti di ununica scuola, cio di
una corrente di pensiero omogenea, detta scuola di Mileto. Ci significa che Talete,
Anassimandro e Anassimene, bench abbiano elaborato filosofie originali e differenti,
condividono una medesima impostazione di fondo, una stessa visione complessiva della
realt.
Per tutti e tre, innanzitutto, la realt, ossia tutto ci che esiste, solo fisica, ovvero
materiale, e quindi sensibile, cio conoscibile solo a partire dei nostri cinque sensi. In
secondo luogo, la realt natura (in greco physis, da cui fisica), ovvero qualcosa che
nasce (natura viene dal latino nascor/natus) e quindi muore. Ci implica che la realt
concepita dai filosofi di Mileto come materia vivente, come vita. Questa concezione della
materia tradizionalmente denominata ilozoismo (dal greco hyle=materia e
zion=essere vivente), ma possiamo anche chiamarla organicismo, riferendoci alla
differenza attuale tra natura meccanica e natura organica (o vivente o biologica). Oggi,
per, consideriamo natura organica solo gli esseri vegetali e animali, non quelli minerali.
I filosofi di Mileto, invece, ritenevano che i minerali fossero dei viventi con un basso
grado di vitalit, basandosi forse sulla considerazione che gli esseri viventi presentano

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diversi gradi di vitalit (p.e., i vegetali sono meno vitali degli animali) e su alcuni
fenomeni magnetici (la calamita che attrae schegge di ferro) ed elettrici (lambra che
attrae i capelli) che erano creduti altrettante manifestazioni della forza vitale.
In terzo luogo, e soprattutto, la realt fisica per tutti e tre i filosofi di Mileto ordinata,
costituisce un ordine. In greco antico ordine si diceva csmos, ossia cosmo, parola che poi
diventata sinonimo di universo. In questo doppio senso, i primi filosofi sono chiamati,
oltre che fisici (da physis=natura), cosmologi. La loro tesi fondamentale la realt
csmos, cio ordine costituisce il presupposto necessario della filosofia e delle scienze
(astronomia, matematica, fisica, medicina, ecc.). La filosofia e le scienze, infatti,
consistono proprio nella ricerca conoscitiva dellordine della realt, in quanto questa si
presenta immediatamente disordinata, apparentemente priva di qualsiasi ordine.
Per i milesii cercare lordine della realt fisica significa individuare il suo principio
(arch in greco) unico: la sua scaturigine, ovvero la sua causa prima, la sostanza di cui
fatta, la legge che la governa. Talete, Anassimandro e Anassimene qualificano in tre
modi diversi il principio rispettivamente, come Acqua, come Illimitato e come Soffio
(aria che si muove) ma per tutti e tre esso ci che d lesistenza a ogni cosa (cio che fa
essere la realt fisica, che la rende reale) proprio in quanto la ordina. E la ordina in
quanto, essendo unico, la unifica, ne costituisce cio il denominatore comune al di l delle
innumerevoli differenze.
Ma per cercare occorre uno strumento. Lo strumento della ricerca conoscitiva il
metodo razionale, ossia argomentativo: una procedura logico-linguistica in base alla
quale ogni conoscenza che ambisca a (im)porsi come vera, cio come uneffettiva
descrizione/spiegazione della realt, deve essere giustificata/provata con uno o pi
argomenti, in modo tale che possa essere controllata e messa alla prova da tutti ed
eventualmente criticata e cambiata. In altre parole, la propriet decisiva del metodo
razionale (o razionalit o ragione), proprio della filosofia e delle scienze, quello di
essere criticabile, la criticabilit, perch la criticabilit permette di perfezionare le
conoscenze, cio di renderle sempre pi vere. Il valore della scienza contemporanea sta
essenzialmente nella sua capacit di cambiare, di innovarsi continuamente, perch
grazie a questa capacit che godiamo di un progresso scientifico, cio che la nostra
conoscenza della realt si amplia e si approfondisce.
A sua volta la criticabilit implica la discussione e questultima lesistenza di una
comunit di intellettuali in comunicazione tra loro. Quindi il metodo
razionale/argomentativo anche un metodo dialogico o dibattimentale. Come vedremo,
per, il metodo razionale o argomentativo ovvero la ragione o razionalit pu essere
concepito e praticato in modo diversi. In questo senso, la filosofia e le scienze sono anche
ricerca e dibattito critico intorno a quale sia il metodo razionale migliore per cercare, e
possibilmente trovare, la conoscenza della realt, cio il suo ordine nascosto.

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VITE DI CAPITANI
TALETE, ANASSIMANDRO, ANASSIMENE
La culla della filosofia occidentale fu la Grecia del VII-VI secolo a.C. e in particolare la citt
di Mileto, sulle coste egee dellattuale Turchia, che allora faceva parte delle colonie ioniche
in Anatolia, ovvero della parte pi orientale della nazione greca. Le colonie ionicoanatoliche, e soprattutto Mileto, erano citt commerciali, floride e allavanguardia per
mentalit e costumi, in stretto rapporto economico e culturale con le civilt mediorientali:
Fenici, Egiziani, Babilonesi, Israeliti, Persiani.
Fu a Mileto che nacque e visse Talete (640-550 c.ca), di origine fenicia (come il greco
scritto), che la tradizione considera il primo filosofo, ovvero il fondatore dellimpresa
filosofica. Questo suo primato e la distanza temporale lo hanno avvolto in unaura
leggendaria egli era considerato uno dei mitici Sette Sapienti dellantica Grecia che ci
impone di dubitare di almeno alcune delle informazioni che ci sono state tramandate sulla
sua vita. Per esempio, che viaggi in Egitto (che per i Greci era il Paese dei sapienti), dove
avrebbe calcolato laltezza delle piramidi in base alla proporzionalit con le loro ombre), e
in Mesopotamia (un altro Paese di sapienti per i Greci antichi). Queste notizie si
connettono alla sua attivit di matematico: gli sono attribuiti 3 teoremi relativi ai triangoli,
alle rette parallele e alla circonferenza. Platone, nel dialogo Teeteto, riporta un anedotto
allegorico della sua vita: camminando allaperto con gli occhi fissi al cielo, cio immerso
nello studio degli astri, non vide una grande buca e vi ci cadde dentro, suscitando le
fragorose risate di scherno di una sua serva tracia (i traci erano considerati ignoranti e
rozzi). Il significato allegorico dellaneddotto chiaro: il filosofo un uomo con la testa tra
le nuvole, cio un uomo dedito alla theora (in greco, contemplazione, cio osservazione
concentrata), disinteressato alla realt immediata e, pertanto, poco o per niente pratico e
quindi incompreso e dileggiato dalla gente comune. Aristotele, invece, ci riporta un
episodio di tenore diverso, se non opposto, della vita di Talete: osservando gli astri e gli
eventi meteorologici, Talete predisse uneccezionale raccolta di olive, affitt tutti i frantoi
di Mileto e, dopo il raccolto, impose un prezzo altissimo ai contadini per il loro uso,
arricchendosi incredibilmente. Forse fu da Talete che il termine speculazione (dal
termine latino che traduce il greco theora), che inizialmente significava pensiero
astratto, assunse il secondo significato di operazione economica che consegue alti
guadagni. Scherzi a parte, lepisodio raccontato da Aristotele attesta che il filosofo capace
di sfruttare utilitaristicamente la sua conoscenza e pertanto sa essere pi pratico degli
uomini comuni. In questo senso, ci stato anche tramandato che Talete avrebbe permesso
allesercito di Creso, re della Lidia, di guadare un fiume facendo costruire un canale che,
dividendone le acque, ne dimezzava la profondit e la corrente. Infine, sappiamo anche che
Talete previde leclissi solare del 585 (che aveva a tal punto atterrito Lidi e Medi da far loro
sospendere una battaglia). Ma Talete non si limit alle previsioni astronomiche. Previde

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infatti anche lespansionismo persiano e consigli le poleis ioniche (quelle dellAsia Minore
e dellAttica) di prevenirlo costituendo una lega politico-militare. Quanto alle relazioni
personali di Talete, non ci invece stato tramandato un granch: visse da solitario e non si
spos, ma adott il figlio di una sorella. Alla madre che lo sollecitava a sposarsi e ad avere
figli, da giovane avrebbe risposto che cera ancora tempo, dopo una certa et, che era ormai
troppo tardi. Secondo altri, non avrebbe voluto generare figli per effettivo amore paterno.
Allievo di Talete e suo successore fu Anassimandro (610-545 c.ca), nativo di Mileto.
Della sua vita sappiamo molto poco. Ci stato tramandato che mentre cantava fu deriso da
dei bambini e allora esclam che avrebbe dovuto cantare ancora meglio per farsi
apprezzare anche dai bambini. Laneddotto si pu interpretare come unallegoria
dellimpegno del filosofo a farsi comprendere anche dai pi ignoranti utilizzando uno stile
comunicativo accattivante. In questo senso, esso si pu collegare al fatto che Anassimandro
fu il primo filosofo che espose per scritto la sua filosofia (anche in seguito da alcuni filosofi
la filosofia fu identificata con il discorso orale) adottando, inoltre, una forma poetica. Gli si
attribuisce, infatti, un poema filosofico intitolato Sulla natura, di cui ci pervenuto un solo
frammento: Da dove infatti tutte le cose traggono origine, l trovano la loro distruzione
secondo necessit: poich esse pagano luna allaltra la pena e lespiazione dellingiustizia
secondo lordine del tempo. A livello scientifico gli sono stati attribuiti la determinazione
dei solstizi e degli equinozi, una teoria della generazione degli astri e una teoria
evoluzionistica dellorigine della specie umana. Ci stato tramandato che previde un
terremoto a Sparta e che fece evacuare la citt prima che esso si verificasse, salvando molte
vite umane. Anassimandro fu anche tecnico: costru uno gnomone, cio uno strumento per
misurare il moto apparente di rivoluzione annuale del Sole, e un orologio solare e inoltre
disegn una carta geografica della Terra.
Discepolo e successore di Anassimandro, e ultimo filosofo della scuola di Mileto, fu
Anassmene (588-528), della cui vita sappiamo ancora meno che di quella del suo
maestro. Anchegli nativo di Mileto, espose la sua filosofia nellopera Sulla natura, scritta
per in prosa, cio in uno stile pi semplice e accessibile. Di questa opera ci resta un unico
frammento: Come lanima nostra, che aria, ci sostiene, cos il soffio e laria circondano il
mondo intero. A livello scientifico, Anassmene si occup di meteorologia, cio studi le
nuvole, le precipitazioni atmosferiche, il regime dei venti e larcobaleno.
Tutti i filosofi di Mileto, inoltre, ebbero importanti incarichi di governo nella loro citt.

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TAPPA 1

TALETE: LACQUA E NATURA DI TUTTE LE COSE


Talete, iniziatore di questo tipo2 di filosofia, dice che il principio
lacqua (per questo afferma anche che la terra galleggia sullacqua)
desumendo indubbiamente questa sua convinzione dalla constatazione
che il nutrimento di tutte le cose umido, che perfino il caldo si genera
dallumido e vive nellumido. Ora, ci da cui tutte le cose si generano ,
appunto, il principio di tutto. Egli desunse dunque questa convinzione
da questo fatto e dal fatto che tutti i semi di tutte le cose hanno una
natura umida e lacqua il principio della natura delle cose umide.
Aristotele, Metafisica, I, 3, 983 b 20-27

Ogni tesi filosofica deriva dalla scoperta di un problema


La tradizione ci riporta la tesi fondamentale di Talete:

Lacqua la natura di tutte le cose.

Ma saremmo superficiali se pensassimo che questa tesi sia stata il primo vagito della
filosofia. Ogni tesi infatti presuppone una domanda, ogni soluzione un problema. La
filosofia innanzitutto capacit di vedere, e quindi porsi, un problema. Di conseguenza
plausibile congetturare che Talete inaugur limpresa filosofica innanzitutto chiedendosi:

Qual lorigine di tutte le cose?

Di primo acchitto questa domanda pu sembrare scontata e poco interessante. Ma non


cos. Infatti, in generale, le grandi scoperte della filosofia e delle scienze sono nate da chi ha
saputo vedere e porsi problemi originali che altri non hanno saputo vedere e porsi. Se porsi
un problema nuovo non implica necessariamente riuscire a risolverlo, di certo aver risolto
un problema implica aver saputo rilevarlo o, quanto meno, ben impostarlo.

Quella che assume che la realt sia physis (natura) e che lo scopo della filosofia sia trovare la causa naturale
di tutte le cose.

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La filosofia ricerca la causa unica di tutte le cose


La risposta, infatti, dipende dalla domanda, ossia, per lappunto, la soluzione di un
problema strettamente legata al modo in cui il problema viene posto. In questo senso, la
domanda di Talete contiene gi due caratteri costitutivi della filosofia:
a) il riferimento a tutte le cose, ossia la ricerca della totalit o dellintero: la filosofia
tale perch punta a conoscere cos la realt nel suo insieme e nella sua unit, non solo
una sua parte o un suo aspetto, p.e. il cielo stellato o la luce;
b) il carattere neutro, impersonale, del soggetto: qual lorigine? anzich chi ha dato
origine?, il che indica la rottura con la sapienza mitico-religiosa la quale partiva da
questultima domanda e quindi rispondeva rimandando a una o pi divinit personali,
p.e. Gaia e Urano, oppure Oceano e Teti.
Lacqua come origine, ingrediente e regola di tutte le cose
Chiarito questo, possiamo rivolgere la nostra attenzione alla tesi, cio alla
risposta/soluzione che Talete diede alla sua domanda/problema:

Lacqua la natura di tutte le cose.

Affermando che lacqua la natura di tutte le cose, Talete stabilisce implicitamente una
distinzione fondamentale tra:
la molteplicit degli enti naturali che nascono e muoiono, p.e. i fiori, gli animali, le
montagne;
un elemento eterno, cio che non nasce n muore, appunto lacqua, che il
fondamento unitario di tutti gli enti naturali.
Ma cosa intende per natura Talete? Per rispondere, bisogna innanzitutto dire che il
termine italiano natura deriva dal latino n a t u r a (traduzione del greco
physis=generazione, da cui fisica), legato al verbo nascor, che significava la realt fisica
in quanto composta da esseri che nascono e quindi mutano e muoiono. Nellitaliano
corrente natura indica la realt materiale non prodotta dallattivit umana. Ma ancora
oggi usiamo natura anche per significare la costituzione fondamentale, ovvero lidentit
profonda, di qualcosa, come nelle espressioni:
non nella tua natura comportarsi cos;
abbaiare fa parte della natura del cane.
Talete usa natura (physis ) in questultima accezione. Pi precisamente, assumendo che
la natura la costituzione fondamentale di tutte le cose, Talete vuol dire che lacqua :
a) ci che d origine a tutte le cose, che le genera, ossia le fa esistere;

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b) lingrediente di base delle diverse sostanze materiali (legno, ferro, roccia, ecc.) di cui
sono fatte tutte le cose, nel senso che tutte le altre sostanze sono trasformazioni
dellacqua;
c) ci che regola la crescita, la trasformazione e la dissoluzione di tutte le cose.

Una spiegazione fisica e laica, alternativa a quella mitico-religiosa


In questo modo, grazie alla sua ricerca filosofica, Talete arriva a dare una risposta alla sua
domanda iniziale. Egli afferma di aver scoperto che la natura di tutte le cose lacqua.
Questa la prima tesi conoscitiva conseguita dalla filosofia. Si tratta di una tesi
rivoluzionaria.
Infatti, prima di Talete, in base alla conoscenza mitico-religiosa tradizionale, si pensava
che il mondo fisico fosse stato generato e fosse governato da una pluralit di divinit (Gea,
Urano, Crono, Zeus, Poseidone, ecc.). Talete invece afferma che la causa prima
delluniverso una sola e che inoltre non un dio personale ma un elemento naturale, del
tutto impersonale, lacqua appunto.
Linvenzione dellargomentazione razionale
Ma Talete introduce anche una seconda innovazione rivoluzionaria. La conoscenza miticoreligiosa descriveva lesistenza e le azioni delle divinit in base allimmaginazione e in
forma narrativa (mythos=parola, racconto). Talete invece arriva a scoprire che la natura di
tutto lacqua attraverso il ragionamento ed espone la sua scoperta utilizzando la forma
dellargomentazione razionale. Il ragionamento, o argomentazione razionale, un
procedimento del pensiero e, insieme, del linguaggio che consiste nel collegare
logicamente pi fatti/concetti/parole in modo da giungere a una conclusione che ha la
pretesa di essere veritiera, cio di dover essere condivisa da tutti.
Talete ha inventato il metodo dellargomentazione razionale, forse anche sulla base della
sua ricerca e delle sue scoperte in campo matematico, che egli considerava un settore della
filosofia. Infatti largomentazione il corrispettivo nel linguaggio verbale della
dimostrazione matematica, la quale a sua volta unargomentazione che utilizza i simboli
logici e quantitativi propri del linguaggio matematico.
Le argomentazioni dellacqua come natura di tutte le cose
Nei limiti di quello che ci stato tramandato, sono tre le argomentazioni razionali
elaborate da Talete per scoprire e sostenere la tesi la natura di tutto lacqua:

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a) la Terra (intesa sia come terraferma sia come astro) galleggia sullacqua, cio
sostenuta - e quindi non precipita ma stabile e vivibile - grazie allacqua;
b) lacqua ci che nutre - cio mantiene in vita - tutte le cose (sottintendendo che tutte le
cose che esistono, in un modo o in un altro, si alimentano, cio traggono dallesterno
ci che necessario alla loro esistenza);
c) lacqua il componente principale ed essenziale dei semi che a loro volta sono i
numerosi e diversificati composti (seme vegetale, spermatozoo, ovulo, germi cristallini,
ecc.) che generano ogni cosa.
Il modello fisico-empiristico della razionalit
Con queste tre argomentazioni, Talete d inizio alla filosofia come conoscenza razionale,
cio come conoscenza basata sulla ragione. Ma cosa si intende per ragione? In quanto
primo filosofo, Talete ha elaborato la prima concezione della ragione, ovvero di ci che i
Greci chiamavano l g o s (parola/discorso collegato, a differenza di
mythos=parola/discorso slegato, senza vincoli, libero). La ragione dunque, in prima
battuta, il pensiero/discorso in quanto usa il metodo dellargomentazione.
Ma le tre argomentazioni di Talete hanno il loro punto di partenza nellosservazione della
realt basata sulluso dei sensi (vista, udito, odorato, gusto, tatto), cio sulla esperienza
sensibile. Dunque, in seconda istanza, la ragione per Talete largomentazione che si
fonda sullesperienza sensibile.
A sua volta tale tipo di argomentazione conduce a riconoscere come reali, davvero
esistenti, e quindi veri, solo elementi naturali, cio fisico-materiali. Quindi, in terzo luogo,
la ragione per Talete largomentazione che, fondandosi sullesperienza sensibile, arriva
alla conclusione che la realt ha una natura fisico-materiale.
Questa conclusione ha la pretesa di essere vera, cio di dover essere condivisa da tutti gli
uomini, in quanto alla ragione, basata sullargomentazione a partire dai sensi, attribuita
la capacit di rispecchiare la realt fisica, cio di conoscere ci che davvero , ossia lordine
cosmico e il suo principio fondamentale (ci che d ordine), lacqua.
Ma questa pretesa pu essere contestata. Infatti proprio lessenza del metodo
argomentativo esporre chiaramente le motivazioni delle proprie opinioni rende
possibile la verifica e quindi la contestazione di una tesi. In conclusione, la ragione anche,
e soprattutto, quella forma di pensiero/discorso che permette a tutti di mettere alla prova,
criticare e discutere le opinioni di ognuno in modo da poter stabilire se e quanto sono
effettivamente veritiere.
A partire da Talete, la storia della filosofia uninterminabile e avvincente discussione
critica.

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TAPPA 2

ANASSIMANDRO: IL PRINCIPIO ILLIMITATO


Tutte le cose sono o principio o dal principio: e dellIllimitato non c
principio, perch avrebbe un limite. Poi, come principio, ingenerato e
imperituro: perch ci che generato deve avere una fine, e la fine propria
di ogni dissolvimento. Perci, noi diciamo, di esso non pu esserci principio,
ma esso sembra essere principio delle altre cose, e abbracciarle tutte e tutte
reggerle [].
Aristotele, Fisica, III, 4, 203 b 6

Anassimandro riformula il problema da cui parte Talete, e con lui la filosofia. Egli infatti si
chiede:

Qual il principio (arch) di tutte le cose?

E lo stesso Anassimandro a coniare il significato filosofico del termine principio,


scegliendo per esprimerlo il termine greco arch (dal greco archin=essere primo, essere
capo, comandare) attribuendogli queste accezioni:
1. inizio, origine (p.e.: in principio cera il Caos, questo solo il principio);
2. matrice, causa prima di qualcosa (il principio da cui tratta questa tesi, la scintilla
il principio del fuoco);
3. lelemento costitutivo di qualcosa (il perborato principio attivo del detersivo);
4. regola, legge ( un uomo di principi, non hai rispettato il principio di non
contraddizione, gli uomini agiscono in base al principio del piacere).
In questo modo Anassimandro distingue, e quindi chiarisce meglio, i molti significati con
cui Talete aveva usato il termine natura: attribuendo una parte di essi al termine
principio, Anassimandro lascia al termine natura il significato con il quale da allora in
poi sar usato in filosofia, quello di insieme delle cose fisiche o materiali in quanto
vengono generate, cambiano, si muovono, generano a loro volta e si dissolvono.

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Per Anassimandro il principio (arch) della natura lIllimitato (peiron). Con questa
parola Anassimandro intende:
1. sia lindefinitezza qualitativa, cio qualcosa di indeterminato, che privo di forma e
caratteristiche precise.
2. sia linfinitezza quantitativa, cio qualcosa che possiede una vastit e una durata
senza fine.
Tradizionalmente, lIllimitato stato interpretato, per lo pi, come una via di mezzo tra
aria e fuoco. Recentemente, in base a nuove indagini etimologiche, si avanzata lipotesi
che per Anassimandro consistesse in una sorta di fango, cio in un misto di acqua e terra.
Di certo si tratta di qualcosa che, in quanto misto, si differenzia radicalmente da ogni
elemento specifico e proprio per questo pu assumere tutte le forme e le caratteristiche.

Secondo Anassimandro, lIllimitato lunico principio, cio lunica cosa esistente capace di
generare tutte le cose, proprio in quanto eterno, di grandezza infinita e privo di una
forma e di propriet determinate. Usando delle metafore esemplificative, si potrebbe dire
che lIllimitato come una miniera inesauribile ricca di ogni tipo di minerali; oppure che
come un enorme ammasso di creta che pu automodellarsi in tutti i modi possibili e
immaginabili.
Si pu sensatamente congetturare che la nuova configurazione del principio da parte di
Anassimandro sia la soluzione di un problema che egli si era posto a proposito della
filosofia di Talete:

com possibile pensare che un elemento limitato e definito, lacqua, possa generare
cose molto differenti o addirittura contrarie, p.e. la terra, i metalli, e soprattutto il
fuoco?

In altre parole, Anassimandro critic la tesi fondamentale di Talete, cio ne argoment la


falsit, e propose unalternativa che egli considerava effettivamente veritiera.

Ma come avviene per Anassimandro la trasformazione dellIllimitato in tutte le cose? Per


spiegare il passaggio dal principio ai suoi derivati, cio la formazione delluniverso,
Anassimandro attribuisce allIllimitato la propriet intrinseca del movimento rotatorio. In
quanto una sorta di vortice, o di gigantesca centrifuga, lIllimitato si separa al suo interno

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dividendosi e determinandosi nei contrari (caldo-freddo, secco-umido), cio nelle


propriet pi generali di tutte le cose.
Dalla combinazione dei contrari derivano quattro elementi-basi acqua, aria, terra, fuoco
, da cui si generano infine tutte le cose per ulteriori processi di divisione e combinazione.
In altre parole, tutte le cose sono composti di parti dei quattro elementi naturali.

Anassimandro non propone la sua tesi come una semplice opinione personale. Come
Talete, egli usa il metodo dellargomentazione per rendere la sua opinione una verit, cio
una tesi conoscitiva che tutti gli uomini devono condividere. La sua argomentazione parte
dallassunzione che ogni cosa che esiste:
o un principio, ovvero ci che d origine a qualcosaltro;
o un derivato, cio ci che prodotto da qualcosaltro.
In termini logici, Anassimandro stabilisce tra principi e derivati una disgiunzione
esclusiva, tale per cui se qualcosa principio non pu essere derivato e viceversa. Ma se
qualcosa principio, argomenta Anassimandro, non pu essere limitato. Infatti, se avesse
un limite, p.e. nel tempo, allora avrebbe un inizio, quindi sarebbe originato da
qualcosaltro, ma allora sarebbe un derivato.
Pertanto, conclude Anassimandro, il principio deve essere non-limitato, ossia non pu che
essere lIllimitato.

Largomentazione di Anassimandro diversa da quella di Talete. Infatti Talete partiva


dallesperienza sensibile immediata di alcuni fenomeni naturali per arrivare a delle
conclusioni generali, cio relative a tutti i fenomeni. Egli usava cio il procedimento logico
che oggi chiamiamo induzione. Il riferimento di Anassimandro allesperienza sensibile,
invece, indiretto e sfumato: si riduce alla distinzione di tutti i fenomeni in principi e
derivati, cio a una classificazione, che gi unoperazione di astrazione teorica rispetto
allesperienza.
Il fulcro dellargomentazione di Anassimandro la relazione logica tra i concetti di
principio, derivato e illimitato. In questo senso Anassimandro parte da affermazioni
generali, relative alla definizione di alcuni concetti, e ricava logicamente da esse delle
conseguenze pi specifiche. La strategia argomentativa di Anassimandro dunque teorica
ed basata sul procedimento logico che chiamiamo deduzione.

Anassimandro, per, elabora anche unaltra argomentazione a favore dellIllimitato, che si


differenzia dalla prima per il suo marcato carattere etico, cio relativo alle nostre azioni, ed

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escatologico, cio relativo al destino finale di tutti gli esseri viventi. Essa, infatti, offre una
spiegazione e una giustificazione della sofferenza propria dellesistenza individuale e della
sua conclusione ultima: la morte.
Anassimandro afferma che in origine esiste solo lunit indifferenziata dellIllimitato, in cui
tutto unito e fuso con tutto. Lindividualit di ogni cosa e degli uomini nasce da una
rottura e da un distacco rispetto allunit primigenia dellIllimitato. Rottura e distacco
costituiscono una colpa. Si tratta per di una colpa oggettiva, cio non volontaria ma
necessaria, in quanto conseguenza del moto rotatorio, cio di una propriet essenziale
dellIllimitato stesso. Tuttavia, per quanto involontaria, si tratta pur sempre di una colpa e
quindi comporta la necessit di espiare scontando una pena. Ma anche la pena
oggettiva. Essa, infatti, consiste nella stessa vita individuale, cio nel fatto che la scissione
dellunit in una molteplicit di cose individuali, diverse e contrarie, comporta
necessariamente la loro competizione e il loro conflitto, e quindi linfliggersi dolore a
vicenda.
Tale conflitto si manifesta come legge del tempo, cio come progressivo logoramento
reciproco che conduce inesorabilmente ogni individuo alla vecchiaia e alla morte. Eppure
proprio grazie a questa pena, la colpa viene espiata, cio cancellata. In altre parole, il
dolore purifica lindividuo e soprattutto, in questo modo, lo rende degno di rifluire
nellunit dellIllimitato. La morte quindi, secondo Anassimandro, non un male ma il
ripristino della condizione migliore dei viventi, quella della loro fusione nellIllimitato.
Infatti, non essendoci nellIllimitato divisioni, in esso non c nemmeno conflitto e quindi
non c dolore, ma solo pace e serenit. Inoltre, poich non ha un inizio, lIllimitato non ha
neanche una fine, cio non muore, non soggetto alla legge del tempo, bens eterno. La
morte individuale pertanto permette lingresso nella dimensione delleternit, cio segna
paradossalmente la liberazione dalla stessa morte.

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TAPPA 3

ANASSIMENE: IL PRINCIPIO E IL SOFFIO


Come lanima nostra che aria tiene insieme noi, cos il soffio e laria
circondano tutto il cosmo [].
Frammento citato in Aezio, I, 3, 4
Laria prossima allincorporeo; e poich noi nasciamo per il suo flusso,
necessario chessa sia infinita e ricca, per non venir mai meno.
Frammento citato in Olimpiodoro, De arte sacra, c. 25

Anassmene fa propria, senza modificarla, la formulazione del problema filosofico


fondamentale data da Anassimandro:

qual il principio (arch) di tutto?

Tuttavia egli accoglie solo in parte la soluzione di Anassimandro. Per comprendere il


perch, sensato ipotizzare che Anassimene abbia rinvenuto un nuovo problema
allinterno della teoria del suo maestro:

possibile pensare che lassolutamente Illimitato generi il limitato, ossia che


qualcosa produca la sua negazione?

La risposta per Anassimene negativa, perch altrimenti vi sarebbe una frattura


ontologica3 e logica tra il principio e i suoi derivati tale per cui impossibile pensare a
una produzione dei secondi da parte del primo. E plausibile che Anassimene abbia
criticato con questo argomento la teoria di Anassimandro e da questa critica abbia preso le
mosse per riformarla in modo originale.

La nuova teoria filosofica di Anassimene si basa sulla distinzione tra i due aspetti che erano
fusi insieme nel concetto di Illimitato di Anassimandro:
1) lestensione senza limiti, cio linfinitezza estensiva o quantitativa;
3

Che riguarda lessere, cio lesistenza, delle cose.

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2) lindeterminatezza o indefinitezza, cio linfinitezza intensiva o qualitativa.


Per Anassimene, il principio illimitato estensivamente, ma limitato intensivamente.
Infatti Anassmene sostiene che il principio di tutte le cose il soffio, ovvero aria che spira,
che si diffonde dinamicamente e che circola continuamente avvolgendo e impregnando
ogni cosa. Questo flusso aeriforme :
di dimensione quantitativa infinita e quindi onnipresente;
ma qualitativamente determinato, cio con una propria identit, una specifica
configurazione.
Tale configurazione, comunque, si differenzia da quelle di tutti gli altri elementi e di tutte
le cose proprio perch incomparabilmente pi sfumata, ovvero perch incorporea. Ci
significa che il soffio qualcosa di fisico, ma che la sua materialit talmente fine,
microscopica, impalpabile, dilatata che non si pu dire che esso sia un corpo, cio un
oggetto materiale visibile e palpabile, fatto di materia concentrata e di dimensioni finite. In
questo modo il soffio, possedendo il grado minimo di determinazione, si differenzia
comunque non solo per grandezza ma anche qualitativamente da tutte le cose naturali.
Tuttavia, la sua differenza non assoluta, perch pur sempre determinato, e dunque non
implica la sua incompatibilit con le cose finite.

Il soffio per Anassimene possiede il moto in quanto sua propriet costitutiva. Come per
Anassimandro, anche per Anassimene questo moto originario rotatorio ma si articola e si
manifesta in prima battuta in due modalit opposte e complementari:

la rarefazione, cio un moto di dilatazione o espansione, che produce il caldo;

la condensazione, cio un moto di concentrazione o riduzione, che produce il freddo.

Poich il soffio, in quanto principio estensivamente infinito e incorporeo, notevolmente


rarefatto, esso anche costitutivamente caldo. In base allulteriore rarefazione il soffio si
trasforma in fuoco, lelemento pi caldo; in base alla sua condensazione il soffio si
trasforma in acqua e terra, gli elementi freddi. Cos vengono prodotti gli elementi
fondamentali e, insieme, gli opposti caldo/freddo. Essi, essendo intrinsecamente dinamici,
devono necessariamente scontrarsi e mischiarsi. In questo modo danno luogo a tutte le
cose individuali che dunque altro non sono che diversi tipi di combinazione degli elementi,
ovvero diversi livelli di rapporto o equilibrio tra rarefazione e condensazione del soffio.

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Corollario della nuova teoria dellorigine delluniverso di Anassmene che tutte le


caratteristiche qualitative delle cose naturali sono una conseguenza delle loro
caratteristiche quantitative, ovvero del loro grado di rarefazione/condensazione, cio della
loro temperatura.
In altri termini: i colori, gli odori, i sapori, tutte le molteplici sfumature qualitative dei
fenomeni naturali sono spiegabili in base a variazioni di una scala quantitativo-numerica.
Si tratta del primo riduzionismo della storia della filosofia che ovviamente implica una
formidabile semplificazione conoscitiva.

Ci stata tramandata una sola argomentazione della propria teoria da parte di


Anassmene: quando stringiamo le labbra ed espiriamo, il fiato che ne esce freddo;
quando allarghiamo la bocca ed espiriamo, il fiato che ne esce caldo. Nel primo caso
comprimiamo laria, nel secondo la dilatiamo; ci attesta che la condensazione produce
freddo, la rarefazione caldo. La tipologia di questa argomentazione , in prima
approssimazione, la stessa delle argomentazioni di Talete, cio unargomentazione basata
sullesperienza sensibile.
Possiamo, per, notare una piccola ma decisiva differenza. Anassmene non si limita a
osservare fenomeni naturali, ma ne organizza e ne produce uno in proprio, in quanto lui
stesso che prova a chiudere o aprire le labbra e a soffiare. Seppur in modo minimo questa
esperienza artificiale, perch attuata in base a una progettazione razionale e a unazione
intenzionale del ricercatore. Essa si pu perci considerare lantenata di ci che oggi
chiamiamo esperimento.

Altre argomentazioni, a sostegno del soffio caldo come principio, non ci sono pervenute,
ma possibile ipotizzarle con sufficiente plausibilit. Per esempio losservazione che molti
esseri viventi, gli uomini innanzitutto, quando muoiono emettono un ultimo respiro e poi
smettono di respirare. In altre parole la vita connessa al respirare, cio alla presenza del
soffio caldo, la morte allapnea, cio alla perdita del soffio caldo. Dunque il soffio caldo il
criterio della vita e della morte. Bisogna ricordare, a questo proposito, che i Greci
chiamavano lanima cio il principio della vita psych (da cui psiche) che
letteralmente significa alito o fiato. In questo senso l alito la porzione di soffio che
spira nelluomo e gli d la vita.
Un altro plausibile argomento invece quello che parte dallidentificazione del soffio con il
cielo, ovvero con la spazio che circonda la Terra. Il ciclo della pioggia sarebbe cos una
prova che lacqua deriva dal soffio e torna nel soffio; il fenomeno del fulmine, del fatto che
il soffio si trasforma in fuoco per poi tornare al suo stato originario.

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VIAGGI DI IERI&VIAGGI DI OGGI


ANASSIMENE E LA TERMODINAMICA
Considerando che per Anassmene il moto di rarefazione coincide con il caldo e quello di
condensazione con il freddo, la sua teoria delluniverso si pu avvicinare alla moderna
teoria termodinamica. Innanzitutto per entrambe caldo e freddo sono leffetto di un
movimento. In secondo luogo, per entrambe le teorie tutti i fenomeni fisici sono legati alla
correlazione caldo/freddo, per esempio le grandi correnti marine, gli uragani, la
germinazione, ecc. La termodinamica, per, ha scoperto il principio di entropia, secondo
il quale lenergia termica irreversibile e si basa sul passaggio a senso unico
freddocaldo. P.e., versando acqua calda e acqua fredda in una bacinella, lacqua fredda
acquista calore e quella calda lo cede, mai il contrario. Ci comporta la progressiva
diminuzione dellenergia termica fino alla morte termica a causa del progressivo
amalgamarsi del caldo e del freddo. P.e., dopo un certo intervallo di tempo lacqua della
bacinella ha la stessa temperatura e al suo interno non c pi possibilit di movimento
macroscopico, perch non c pi contrasto/passaggio tra una parte pi fredda e una pi
calda. Le molecole di H2O si limitano a vibrare su s stesse. Se dunque luniverso fosse un
sistema chiuso, sarebbe destinato alla morte termica. Ma ancora tutto da stabilire se lo
sia e anche se non ci siano delle forze fisiche antitetiche in grado di impedire che
lentropia conduca alla stasi totale.

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TAPPA 4

LA TERRA E FERMA AL CENTRO DEL COSMO


Alcuni di essi dicono che il mare residuo dellumidit primitiva; perch,
mentre da principio lo spazio intorno alla Terra era tutto umido, poi una
parte dellumidit fu fatta ed fatta evaporare dal Sole, e se ne formano i venti
e ne sono causati i rivolgimenti del Sole e della Terra, come se anche questi
girassero a causa di tali evaporazioni ed esalazioni, muovendosi in quei luoghi
dove possono trovare abbondanza di umidit; e che perci il mare, essendo
disseccato dal Sole, diminuisce e alla fine sar tutto secco. Furono di tale
opinione, secondo che testimonia Teofrasto, Anassimandro e Diogene.
Alessandro, Meteorologia, 67, 3

La nascita della filosofia coincide con la gestazione della scienza, ovvero del processo di
elaborazione delle sue basi teoriche e metodologiche. Per i primi filosofi, infatti, e anche
per molti dei filosofi successivi fino e oltre let moderna, dire filosofia equivaleva a dire
scienza, cio conoscenza vera. Insomma, le due attivit conoscitive non si erano ancora
specializzate e quindi separate in due settori autonomi di ricerca.
In questo senso, si deve senzaltro dire che i filosofi della scuola di Mileto Talete,
Anassimandro, Anassmene svolsero anche ricerca e attivit di tipo scientifico, sebbene
non possano essere considerati scienziati nel senso attuale del termine. Questo perch,
almeno fino allet ellenistica, nessun filosofo greco riusc a elaborare e a praticare la
conoscenza scientifica in base a una teorizzazione sistematica e a una metodologia
compiutamente sperimentale.

La tradizione attribuisce a Talete la scoperta di tre teoremi matematici (quelli delle rette
parallele che intersecano due trasversali, dei triangoli uguali, della circonferenza). Ma
Talete anche e soprattutto il primo filosofo a dare il suo contributo alla nascita della
cosmologia, cio di una teoria delluniverso puramente speculativa, che a sua volta
costituisce la premessa per la successiva nascita della scienza astronomica greca, cio di
una teoria delluniverso formulata matematicamente ed empiricamente argomentata.
Della cosmologia di Talete abbiamo per una sola breve testimonianza, secondo la quale la
Terra appoggiata sullacqua. In base a questa testimonianza, ragionevole ipotizzare che
Talete, a partire dallosservazione del cielo diurno e notturno, nonch dallesperienza
immediata della stabilit della Terra, si sia chiesto come mai essa possa stare sospesa e
immobile nellimmensit dello spazio, e si sia risposto che la Terra galleggia su

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unimmensa distesa dacqua che riempie luniverso. Sulla base di questa tesi, possiamo
anche ipotizzare che Talete attribuisse alla Terra una forma adatta al galleggiamento, cio
pensasse che fosse piatta.

Anassimandro d una risposta parzialmente diversa al problema posto da Talete. Per lui, la
Terra ha forma di cilindro schiacciato (con altezza pari a un terzo del diametro della base)
e sta immobile al centro delluniverso in quanto soggetta alla stessa pressione in ogni sua
parte, cio in quanto sottoposta a forze esterne in equilibrio fra loro. Inoltre, in base alle
testimonianze di cui disponiamo, Anassimandro fu il primo a teorizzare che il Sole si
muove intorno alla Terra, in base allosservazione del suo moto apparente durante il
giorno. Egli, dunque, per quel che sappiamo, linventore del geocentrismo, cio della
teoria secondo la quale la Terra ferma al centro del cosmo e tutti gli astri le ruotano
intorno. Ancora pi importante per la tesi anassimandrea secondo cui luniverso
infinito non solo nel senso che le sue dimensioni sono sconfinate ma anche e soprattutto in
quello che propriamente un multiverso, cio un insieme di miriadi di mondi
diversificati. Questa tesi si basa, da un lato, sullinfinitezza estensiva del Soffio, principio di
tutto; dallaltro, presumibilmente, sullosservazione notturna delle innumerevoli stelle del
firmamento.
Inoltre Anassimandro il primo filosofo/scienziato che affianca alla cosmologia una
cosmogonia, cio una teoria speculativa dellorigine e della formazione delluniverso. Egli
sostiene che allinizio luniverso un vortice il cui moto produce la separazione del caldo
dal freddo. Il freddo genera terra, acqua e aria, il caldo il fuoco. A causa del moto rotatorio i
primi elementi, pi pesanti, si dispongono al centro, il fuoco, pi leggero, ai bordi,
formando una specie di guaina sferica. Sempre sotto lazione del movimento vorticoso, tale
guaina infuocata si frantuma in tante schegge sferiche, che costituiscono il Sole, la Luna, i
pianeti e le stelle.

Anassmene, a sua volta, sostiene che la Terra ha una forma discoidale (il che avvalora la
supposizione che gi lo pensasse Talete) e che ferma nel centro delluniverso in quanto
circondata e pressata dal soffio aeriforme.
Egli si pone un nuovo problema astronomico a partire dallosservazione notturna del moto
apparente circolare e uniforme, da est verso ovest delle stelle del firmamento: perch le
stelle sono sospese nello spazio e come mai hanno un moto regolare continuo? Anassimene
si risponde che il cielo come una ruota di mulino che gira circolarmente intorno alla
Terra e che le stelle sono corpi infuocati confissi su questa ruota, cio nella volta celeste.

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Oltre alle indagini e alle scoperte specialistiche in determinati settori scientifici, i pensatori
di Mileto diedero un contributo alla formazione della scienza con le loro stesse teorie
filosofiche. Questo vale per almeno due aspetti:

perch cercando di dimostrare che tutte le cose derivano da un principio unico,


hanno elaborato e diffuso il modello della scienza come riconduzione di una
molteplicit di fenomeni a una legge causale unitaria;

perch le loro pur diverse concezioni del principio (acqua, illimitato, soffio) sono
sensatamente interpretabili come un tentativo di concepire e definire ci che la
fisica contemporanea chiama energia.

Infatti acqua, illimitato e soffio hanno un dichiarato comune denominatore: essere il


principio unico che spiega ogni fenomeno fisico ed essere una sostanza il pi possibile
amorfa, cio senza caratteristiche nette, in modo tale da poter divenire polimorfa, cio da
poter assumere tutte le forme possibili, da potersi trasformare in tutte le cose. Avendo
presente la celebre formula in cui culmina la teoria della relativit ristretta di Einstein
(E=mc2), facile notare che ci che i milesii chiamavano principio il corrispettivo
dellattuale concetto scientifico di energia. Infatti, che lenergia sia uguale alla massa
(ovvero alla materia) moltiplicata per il quadrato della velocit della luce equivale a dire
che lenergia il principio base di tutto capace di trasformarsi in tutto.

Ci non significa, naturalmente, che la teoria della relativit di Einstein sia uguale alla
teoria della natura della scuola di Mileto. In questo senso vanno rilevate, tra le numerose
altre dovute al secolare accumulo di conoscenze scientifiche, tre decisive differenze:

la concezione animistica del principio, secondo cui acqua o illimitato o soffio


penetrano e animano ogni cosa, perfino i minerali (la calamita era considerata da
Talete una prova che anche i minerali sono animati);

la conseguente concezione organicistica della natura, secondo cui non vi una


natura inorganica, ma tutta la natura organica, vivente, cio ogni cosa, anche un
minerale, nasce, muore, respira, ha sensibilit (bench in modi e gradi diversificati);

la mancanza (almeno per quello che ci stato tramandato) di una concezione e di


una formulazione matematica del principio in quanto legge di natura.

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Da questo punto di vista, si pu dire che i filosofi di Mileto con la parziale eccezione,
forse, di Anassmene - hanno operato una riduzione della fisica alla biologia, riduzione che
la scienza attuale non ritiene valida e anzi tende semmai a rovesciare a favore della fisica.
Unulteriore rilevante differenza tra scienza contemporanea e filosofia milesia data dal
fatto che Talete, Anassimandro e Anassimene considerano il loro principio di natura
divina. In altre parole essi non erano:
n teisti, cio non credevano in dei personificati, creatori e governatori della natura,
n atei, cio convinti dellesistenza della sola materia inerte, priva di vita;
bens panteisti, pensavano cio che il divino fosse il principio fisico che permea
ogni cosa e quindi coincide con la natura stessa, le sue forze e i suoi fenomeni.
In questo senso possibile sostenere che i filosofi di Mileto elaborarono per primi una
teologia naturale o scientifica. La maggior parte degli scienziati contemporanei si attiene
invece a una netta separazione tra teologia e scienza. Tuttavia, soprattutto negli ultimi
anni, non mancano autorevoli eccezioni, in particolare tra i fisici (p.e. Paul Davies o Frank
J. Tipler).

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VIAGGI DI IERI&VIAGGI DI OGGI


ANASSIMANDRO E IL MULTIVERSO
La teoria anassimandrea dei molteplici mondi ebbe grande seguito nella storia della
filosofia e della scienza. Come vedremo, nellantichit, fu ripresa p.e. dai fisici atomisti
Democrito e Epicuro, e nellet moderna da Giordano Bruno. Attualmente essa stata
rilanciata, nellambito della fisica delle particelle subatomiche (elettroni, protoni,
neutrini, quark, ecc.), dalla teoria quantistica. Questa teoria afferma che in linea di
principio una particella dappertutto nello spaziotempo. Una delle interpretazioni
teoriche generali di questa incredibile ma plurisperimentata propriet appunto quella
che sostiene lesistenza di infiniti universi paralleli, ognuno dei quali conterrebbe uno
degli infiniti stati/posizioni di ogni particella elementare.
Per approfondimenti: Brian Greene, La realt nascosta, Einaudi 2012.

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LO SCRIGNO
PAUL DAVIES: FARE SCIENZA SIGNIFICA UNIFICARE
Lintera impresa scientifica una ricerca di unificazione. La scienza come la
conosciamo oggi ebbe inizio quando Newton, Galileo e altri scoprirono dei
legami tra il moto dei corpi sulla Terra e il movimento della Luna e dei
pianeti. Altri momenti decisivi furono la scoperta che magnetismo ed
elettricit sono in relazione tra loro e con la luce, e la formula di Einstein
E=mc2, che mostr lequivalenza tra massa ed energia. La capacit di
identificare legami nascosti tra fenomeni apparentemente disparati ci che
rende il metodo scientifico cos potente e convincente. La caratteristica
peculiare della scienza di essere a un tempo ampia e profonda: ampia per
come affronta tutti i fenomeni fisici e profonda per come li intreccia, in modo
economico, in uno schema esplicativo comune che richiede sempre meno
presupposti.
P. Davies, Una fortuna cosmica, Mondadori 2007, p. 134
PAUL DAVIES: ESISTONO MOLTI E DIFFERENTI UNIVERSI
Una quota minoritaria, ma in crescita, degli scienziati oggi sostiene la teoria
del multiverso in una versione o nellaltra. I moderni modelli cosmologici
depongono con forza a favore dellesistenza di una molteplicit di domini
cosmici (per esempio, universi-bolla, universi-tasca, regioni cosmiche
differenziate) come configurazione naturale e generica in cui il big bang che
ha dato origine al nostro universo soltanto uno tra i molti bang
(probabilmente in numero infinito) che generano una molteplicit di
universi. Inoltre, molte teorie che cercano di unificare la fisica predicono
qualche specie di variabilit di alcune almeno delle costanti di natura i
parametri che entrano nel modello standard della fisica delle particelle , e in
alcune di queste teorie c anche una variazione nella forma delle leggi della
fisica a bassa energia, il che rende verosimile che esse varino da un dominio
cosmico allaltro allorch gli universi si raffreddano uscendo dal crogiolo
delle loro origini. Il modello di unificazione preferito ma potrebbe trattarsi
di pi modelli noto come teoria delle corde/M, sembra implicare un
paesaggio di innumerevoli possibili universi a bassa energia, senza nulla di
ovvio che ne possa selezionare uno in particolare.
P. Davies, Una fortuna cosmica, Mondadori 2007, p. 332.

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ALLARREMBAGGIO!
1. Scrivi la definizione (o le definizioni) dei seguenti termini:
Filosofia:
Sperimentale:
Natura:
Cosmologia:
Argomentazione:
Astronomia:
Empirico:
Cosmogonia:
Principio:
Geocentrismo:
Induzione:
Multiverso:
Deduzione:
2. Leggi il brano di Aristotele e sottolinea con colori diversi:

la tesi principale su cui si impernia largomentazione di Talete (rosso);


la definizione del suo concetto fondamentale (verde);
i 3 argomenti (ossia le 3 prove) in base ai quali Talete sostiene la sua tesi (blu);
la definizione del loro concetto fondamentale (nero);
la tesi secondaria ricavata da quella principale (giallo).

Talete sostiene che il principio [di tutte le cose] lacqua; per questo asseriva
che anche la Terra galleggia sullacqua. Forse questa sua opinione gli fu
suggerita dallosservazione che umido ci di cui ogni cosa si alimenta e che
anche il caldo nasce dallumidit e sopravvive per mezzo di essa. Del resto il
principio di tutte le cose ci da cui traggono lorigine. E non soltanto in base
a questo egli ha concepito una tale teoria, ma anche in base al fatto che hanno
natura umida i semi di tutte le cose; e lacqua appunto il principio naturale
delle cose umide.
3. Riempi il diagramma di flusso che ricostruisce largomentazione di Talete:
Utilizzando i 7 asserti isolati nellesercizio precedente, incasellali in modo logicoconsequenziale nella seguente griglia basata sul nesso AB, avvero dato A ne segue B, in
cui A detto antecedente e B conseguente.
Tieni presente che la sequenza di tipo induttivo (cio procede dal particolare al generale),
dal momento che Talete parte dallosservazione di alcune caratteristiche della realt fisica,
ma che si conclude con una deduzione (dal generale al particolare), dal momento che
Talete ricava dal principio generale raggiunto per induzione una nuova caratteristica
generale della realt fisica.

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4. Sviluppa i seguenti ragionamenti relativi alla tesi di Talete:


Per Talete il principio di tutte le cose lacqua. Tenendo presente che lacqua, come gi i
greci antichi sapevano, lunico elemento naturale che possiamo osservare in stati fisici
diversi, enuncia quanti e quali sono gli stati fisici dellacqua e quindi ipotizza il
ragionamento in base al quale Talete pu essere giunto allidentificazione del principio
nellacqua, anzich nella terra, nellaria o nel fuoco.
***
Hai mai osservato lorizzonte da un punto elevato di unisola oppure di una nave in alto
mare? In particolare quando latmosfera satura di vapore, ovvero un po nebbiosa?
Spiega in base a quale ragionamento unosservazione di questo genere avrebbe potuto
offrire lo spunto a Talete per argomentare una delle funzioni che egli attribuisce allacqua.
5. Riempi lo schema con i significati che Anassimandro attribuisce allarch:
1. CIO DA CUI TUTTE LE COSE ......................................
2. CIO IN CUI TUTTE LE COSE.............................
LARCHE E

3. CIO CHE E ................... IN TUTTE LE COSE.


4. CIO CHE ..................... LA TERRA E TUTTE LE COSE.
5. CIO CHE ..................... LINTERO UNIVERSO.

6. Ricostruisci il ragionamento che connette le filosofie dei milesii


I filosofi di Mileto, pur condividendo il concetto di principio, lo configurano in modo
diverso: Talete come acqua, Anassimandro come peiron, Anassimene come aria. Eppure
ci sono buone ragioni per ritenere che queste differenze non siano casuali, ma collegate da
un percorso logico.
Prova a ricostruire questo percorso, considerando che:
tutti e tre scartano lelemento terra, in quanto meno duttile, evidentemente allo
scopo di conferire allarch la maggiore polimorficit possibile;

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tutti e tre si pongono, per primi, uno dei problemi cruciali della filosofia, ossia
quello di far derivare da un principio, come tale omogeneo e superiore, tutte le cose,
eterogenee e inferiori in quanto derivati;
tutti e tre, di conseguenza, cercano di evitare un doppio e opposto pericolo: far
somigliare troppo il principio alle cose, rendendo poco credibile che possa
trasformarsi in tutte le cose nonch governarle; oppure differenziare troppo il
principio dalle cose, rendendo poco credibile che le cose possano derivare da esso.

7. Ricostruisci i ragionamenti di Anassimandro:


Quello da cui ha luogo la nascita per le cose che sono, anche ci in cui si
estinguono, secondo la legge e la natura. Esse infatti, a mano a mano che
scorre il tempo, pagano luna allaltra giusta pena e ammenda della loro
ingiustizia.
1. Suddividi il frammento di Anassimandro (in una diversa traduzione) in 4 enunciati
semplici relativi ai 4 concetti fondamentali che esso contiene.
2. Poni i 4 enunciati in ordine consequenziale (antecedenteconseguente), notando
come la congiunzione infatti, nel linguaggio naturale (cio non in quello logicoformale), serva a segnalare che lantecedente stato postposto al conseguente (p.e.:
Sono maggiorenne; infatti, ho compiuto 18 anni = Ho compiuto 18 anni; quindi
sono maggiorenne).
***
Ogni cosa o principio o derivato. Il principio non pu essere finito
altrimenti sarebbe un derivato. Il principio infinito.
Secondo una testimonianza pervenutaci, questa largomentazione con la quale
Anassimandro ha sostenuto la sua tesi il principio lpeiron.
Esplicita e chiarisci in modo ampio:
1. il significato del primo enunciato, tenendo presente che la o (congiunzione con
valore disgiuntivo) in italiano ha un significato logico sia esclusivo (aut-aut =
una cosa esclude laltra) sia inclusivo (vel-vel = una cosa pu includere anche
laltra) e precisando, dunque, in quale dei 2 significati va assunta.
2. largomento decisivo del secondo enunciato, ossia la ragione per cui escluso
che il principio possa essere finito.
In quali accezioni (spaziale o temporale o qualitativa?) sono usati i termini finito e
infinito.

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8. Metti alla prova e cerca di confutare largomento di Anassimene


Secondo alcune testimonianze, Anassimene sosteneva che laria perennemente in
movimento in quanto caratterizzata da due processi opposti e complementari: la
condensazione, che la raffredda facendola diventare acqua e terra, e la rarefazione, che la
riscalda, trasformandola in fuoco.
Per argomentare la corrispondenza condensazione/freddo e rarefazione/caldo ci stato
tramandato che Anassimene invitava a inspirare e poi a espirare sul palmo della mano,
posto a distanza ravvicinata davanti alla bocca, una prima volta con le labbra socchiuse e
una seconda volta con le labbra spalancate: nel primo caso infatti, quando il soffio pi
compresso, avvertiamo sul palmo una sensazione di fresco; nel secondo, quando il soffio
pi dilatato, avvertiamo sul palmo una sensazione di caldo.
Sempre che la testimonianza sia veritiera, si tratterebbe di un proto-esperimento, cio non
di una semplice esperienza sensibile, fatta casualmente e comunque basata unicamente
sulla registrazione passiva di un fenomeno naturale, ma di una forma rudimentale di
esperimento, cio di progettazione e riproduzione attiva di un fenomeno naturale. Rispetto
agli esperimenti moderni e contemporanei mancherebbe, per, luso della tecnologia per
potenziare i sensi. Basti pensare al Large Hadron Collider (LHC), la lunghissima galleria ad
anello, costruita nelle vicinanze di Ginevra, nella quale macchinari potentissimi producono
particelle elementari e le fanno accelerare e scontrare a velocit vicine a quelle della luce.
Prova a rifare anche tu il proto-esperimento di Anassimandro e verifica se effettivamente
attesta la doppia equivalenza condensazione/freddo e rarefazione/caldo, considerando la
possibilit che la sensazione di caldo o freddo che si avverte sul palmo della mano sia
dovuta non alla condensazione o alla rarefazione del soffio ma a qualche altro fattore.
9. Confronta teorie filosofiche antiche e teorie scientifiche moderne
Lintera impresa scientifica una ricerca di unificazione. La scienza come
la conosciamo oggi ebbe inizio quando Newton, Galileo e altri scoprirono dei
legami tra il moto dei corpi sulla Terra e il movimento della Luna e dei
pianeti. Altri momenti decisivi furono la scoperta che magnetismo ed
elettricit sono in relazione tra loro e con la luce, e la formula di Einstein
E=mc2, che mostr lequivalenza tra massa ed energia. La capacit di
identificare legami nascosti tra fenomeni apparentemente disparati ci che
rende il metodo scientifico cos potente e convincente. La caratteristica
peculiare della scienza di essere a un tempo ampia e profonda: ampia per
come affronta tutti i fenomeni fisici e profonda per come li intreccia, in modo
economico, in uno schema esplicativo comune che richiede sempre meno
presupposti.
P. Davies, Una fortuna cosmica, Mondadori 2007, p. 134

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Il brano sopra riportato di un famoso fisico inglese vivente, autore di numerosi libri sulle
nuove frontiere della ricerca scientifica contemporanea.
Individua e spiega le concordanze tra le tesi sostenute da P. Davies e le filosofie dei primi
filosofi ionici, anche tenendo presente che, seppur non esplicitamente, Davies collega la
ricerca di unificazione della scienza con la scoperta delle leggi della natura (p.e. la legge
gravitazionale di Newton o la legge dellequivalenza di massa ed energia di Einstein).
***
E=mc2 la famosa formula della legge dellequivalenza tra energia e massa (cio materia).
Essa rappresenta il coronamento e al contempo la sintesi della teoria della relativit
ristretta che A. Einstein rese nota nel 1905 e che costituisce un pilastro della scienza
contemporanea.
Individua e illustra la possibile analogia tra la legge di Einstein e le concezioni del principio
dei filosofi ionici, specificando a quali di esse pu essere maggiormente avvicinata e per
quali motivi. Successivamente, individua e illustra le differenze che intercorrono tra la
legge di Einstein e le filosofie degli ionici.
***
Svolgi una breve ricerca sulle teorie scientifiche contemporanee dellorigine della vita e
dellevoluzione degli esseri viventi e, in base ai suoi risultati, individua e spiega le loro
affinit e le loro divergenze rispetto alla teoria biologica di Anassimandro.

10. Qual la risposta giusta?


Che rapporto intercorre nella filosofia greca antica tra filosofia e scienze?
La filosofia esclude le scienze in quanto mentre ogni scienza si occupa di un aspetto
della realt la filosofia si occupa solo della realt nella sua totalit.
La filosofia una delle scienze, precisamente quella che si occupa dellorigine e della
formazione del cosmo, cio la cosmologia.
La filosofia e le scienze sono due tipi di ricerca conoscitiva indipendenti, ma che
possono influenzarsi a vicenda.
La filosofia include le scienze ma pi di esse in quanto ogni scienza si occupa di un
aspetto della realt mentre la filosofia si occupa della realt nella sua totalit.
La filosofia e le scienze sono due tipi di ricerca conoscitiva indipendenti che non si
influenzano reciprocamente.

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Qual la sequenza corretta dellargomentazione di Talete?


Tutte le cose sono generate da semi. Tutti i semi sono umidi. Tutti i semi
sono costituiti di acqua. Tutte le cose sono generate dallacqua.
Tutte le cose sono generate da semi Tutti i semi sono costituiti di acqua.
Tutti i semi sono umidi. Tutte le cose sono generate dallacqua.
Tutte le cose sono generate da semi. Tutti i semi sono umidi. Tutte le cose
sono generate dallacqua. Tutti i semi sono costituiti di acqua.
Tutte le cose sono generate dallacqua Tutti i semi sono costituiti di acqua.
Tutti i semi sono umidi . Tutte le cose sono generate da semi.
Tutti i semi sono umidi Tutti i semi sono costituiti di acqua. Tutte le cose
sono generate dallacqua. Tutte le cose sono generate da semi.
In cosa consiste il discorso razionale (o la razionalit o la ragione)?
Nellargomentare una tesi in base allesperienza sensibile.
Nel dare una spiegazione della realt di tipo fisico, ossia che non si basa su divinit
ma su elementi e forze esclusivamente naturali.
Nel fornire almeno un argomento a sostegno della propria tesi.
Nel sostenere una tesi certamente vera.
Nel sostenere la propria tesi con un argomento non criticabile.
Perch Anassimandro sostituisce lacqua con lpeiron?
Perch ritiene illogico concepire le moltissime cose fisiche come trasformazioni di
un unico principio.
Perch pensa che lacqua sia cos diversa dalle cose che dovrebbe generare da
rendere illogico concepire le cose come suoi derivati.
Perch ritiene illogico pensare che un elemento determinato possa trasformarsi in
elementi aventi propriet opposte alle proprie.
Perch effettua ulteriori osservazioni e scopre che i semi e gli alimenti non sono
composti solo da acqua.
Perch pensa che lacqua sia troppo poca rispetto alla vastit del cosmo che da essa
dovrebbe derivare.

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Qual la sequenza valida dellargomentazione di Anassimandro?


Ogni cosa o principio o derivato. Ogni derivato limitato nello spazio e nel
tempo. Se avesse un limite il principio sarebbe un derivato. Il principio
illimitato. Il principio non pu avere un limite.
Ogni derivato limitato nello spazio e nel tempo. Ogni cosa o principio o
derivato. Se avesse un limite il principio sarebbe un derivato. Il principio non
pu avere un limite. Il principio illimitato.
Ogni cosa o principio o derivato. Ogni derivato limitato nello spazio e nel
tempo. Se avesse un limite il principio sarebbe un derivato. Il principio non
pu avere un limite Il principio illimitato.
Ogni cosa o principio o derivato. Ogni derivato limitato nello spazio e nel
tempo. Il principio illimitato. Se avesse un limite il principio sarebbe un
derivato. Il principio non pu avere un limite.
Ogni cosa o principio o derivato. Il principio illimitato. Ogni derivato
limitato nello spazio e nel tempo. Se avesse un limite il principio sarebbe un
derivato. Il principio non pu avere un limite.
Come spiega e giustifica Anassimandro il dolore umano?
A causa di una colpa involontaria e inevitabile, gli uomini sono separati dallunit
originaria dellIllimitato e diventano una molteplicit di individui, logorandosi
necessariamente a vicenda ma cos purificandosi in modo da poter tornare
nellIllimitato.
A causa di una colpa involontaria e inevitabile, gli uomini decidono di separarsi
dallunit originaria dellIllimitato e di diventare una molteplicit di individui,
logorandosi necessariamente a vicenda ma cos purificandosi in modo da poter
evitare di tornare nellIllimitato.
A causa di una colpa involontaria e inevitabile, gli uomini sono separati dallunit
originaria dellIllimitato e diventano una molteplicit di individui, logorandosi per
libera scelta a vicenda ma cos purificandosi in modo da poter tornare
nellIllimitato.
A causa di una colpa volontaria ed evitabile, gli uomini sono separati dallunit
originaria dellIllimitato e diventano una molteplicit di individui, logorandosi
necessariamente a vicenda ma cos purificandosi in modo da poter tornare
nellIllimitato.
A causa di una colpa volontaria ed evitabile, gli uomini sono separati dallunit
originaria dellIllimitato e diventano una molteplicit di individui, logorandosi
necessariamente a vicenda ma cos purificandosi in modo da poter evitare di tornare
nellIllimitato.

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Secondo Anassimene quali sono le 2 propriet fondamentali del soffio


aeriforme?
Infinitezza e indeterminatezza.
Finitezza e determinatezza.
Infinitezza e determinatezza.
Finitezza e indeterminatezza.
Resilienza e malleabilit.
Perch Anassmene sostituisce lpeiron con il soffio/aria?
Perch ritiene illogico pensare che un elemento determinato possa generare elementi e
cose ad esso opposti.
Perch ritiene logico pensare che un elemento quantitativamente finito possa generare
elementi e cose ad esso opposti.
Perch pensa che un principio assolutamente indeterminato non possa spiegare
razionalmente la derivazione da esso di cose determinate.
Perch pensa che un principio di estensione infinita non possa spiegare razionalmente
la derivazione da esso di cose di estensione finita.
Perch giudica illogico pernsare che che un principio di grandezza infinita possa
generare cose qualitativamente determinate.
Qual la causa prima e fondamentale delle differenze tra tutte le cose secondo
Anassimene?
Diversi versi e gradi del movimento del soffio.
Diversi gradi di temperatura del soffio.
I tre diversi stati fisici del soffio: solido, gassoso, liquido.
Diverse percentuali di miscelazione dei quattro elementi (terra, acqua, aria, fuoco).
Le separazioni di caldo e freddo e di umido e secco.
Quale di queste inferenze uninduzione?
Gli equini sono quadrupedi, dunque gli asini sono quadrupedi.
Rose, margherite, papaveri e ciclamini hanno i petali, dunque i fiori hanno i petali.
Gli animali sono mortali, dunque gli uomini sono mortali.
I filosofi sono uomini, dunque Talete un uomo.
Questo un triangolo, dunque la somma dei suoi angoli interni 180.

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Cosa afferma il principio di relativit ottica?


Che se vediamo muoversi un oggetto, separato da noi, allora vuol dire che siamo noi
che ci stiamo muovendo.
Che se vediamo muoversi un oggetto, separato da noi, siamo sicuri che il moto
appartiene solo a quelloggetto.
Che se vediamo muoversi un oggetto, separato da noi, possibile tanto che sia
quelloggetto a muoversi e noi a stare fermi rispetto a esso, quanto che siamo noi in
moto e quelloggetto sia fermo rispetto a noi.
Che se vediamo muoversi un oggetto, separato da noi, pi probabile che siamo noi
in moto e quelloggetto sia fermo rispetto a noi, piuttosto che sia quelloggetto a
muoversi e noi a stare fermi rispetto a esso.
Che se vediamo muoversi un oggetto, separato da noi, pi probabile che sia
quelloggetto a muoversi e noi a stare fermi rispetto a esso, piuttosto che siamo noi
in moto e quelloggetto sia fermo rispetto a noi.
Come spiega Anassimandro la formazione degli astri?
Moto rotatorio dellpeiron. Gli elementi pesanti sono centripeti, quelli leggeri
centrifugi. Il fuoco si dispone sui bordi e forma una guaina. La pressione
interna rompe la guaina. I frammenti si spargono sui bordi del vortice-peiron.
Gli elementi pesanti sono centripeti, quelli leggeri centrifugi. Moto rotatorio
dellpeiron. Il fuoco si dispone sui bordi e forma una guaina. La pressione
interna rompe la guaina. I frammenti si spargono sui bordi del vortice-peiron.
Moto rotatorio dellpeiron. Gli elementi pesanti sono centrifugi, quelli leggeri
centripeti. Il fuoco si dispone sui bordi e forma una guaina. La pressione
interna rompe la guaina. I frammenti si spargono sui bordi del vortice-peiron.
Moto rotatorio dellpeiron. Il fuoco si dispone sui bordi e forma una guaina.
Gli elementi pesanti sono centripeti, quelli leggeri centrifugi. La pressione
interna rompe la guaina. I frammenti si spargono sui bordi del vortice-peiron.
Moto rotatorio dellpeiron. Gli elementi pesanti sono centripeti, quelli leggeri
centrifugi. Il soffio si dispone sui bordi e forma una guaina. La pressione
interna rompe la guaina. I frammenti si spargono sui bordi del vortice-peiron.

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Come spiega Anassmene losservazione visiva dei moti degli astri?


La Terra ferma al centro delluniverso, tutti gli astri sono attaccati alla volta sferica
del cielo, la quale si muove in modo uniforme da ovest verso est facendo compiere a
ogni astro una circonferenza completa ogni 24 ore.
La Terra si muove intorno al centro delluniverso, tutti gli astri sono attaccati alla
volta sferica del cielo, la quale si muove in modo uniforme da est verso ovest
facendo compiere a ogni astro una circonferenza completa ogni 24 ore.
La Terra ferma al centro delluniverso, tutti gli astri sono attaccati alla volta sferica
del cielo, la quale si muove in modo uniforme da est verso ovest facendo compiere a
ogni astro una circonferenza completa ogni 12 ore.
La Terra ferma al centro delluniverso, tutti gli astri sono attaccati alla volta sferica
del cielo, la quale si muove in modo uniforme da est verso ovest facendo compiere a
ogni astro una circonferenza completa ogni 24 ore.
La Terra ruota intorno al proprio asse da ovest verso est compiendo una rotazione
completa ogni 24 ore e pertanto a un osservatore terrestre sembra che gli astri
ruotino da est verso ovest intorno alla Terra compiendo una rotazione circolare
completa ogni 24 ore.
Qual la convergenza corretta tra la filosofia/scienza milesia e la formula
E=mc2?
Tutta la realt ricondotta a un unico principio considerato amorfo e capace,
proprio per questo, di assumere le forme di tutti i diversi elementi e le differenti
cose che esistono.
Tutta la realt ricondotta a un unico principio considerato amorfo e capace,
proprio per questo, di provocare una reazione nucleare di enorme potenza
distruttiva.
Tutta la realt ricondotta a un unico principio considerato amorfo ed equivalente,
proprio per questo, alla materia quando gli viene sottratta una quantit di moto pari
a quella della velocit della luce elevata al quadrato.
Tutta la realt ricondotta a due soli principi considerati amorfi e capaci, proprio
per questo, di assumere le forme di tutti i diversi elementi e le differenti cose che
esistono.
Ad eccezione dei fotoni, privi di massa a riposo, nessun corpo pu raggiungere la
velocit della luce (300.000 km/sec.) perch, avvicinandosi alla velocit della luce,
la sua massa tenderebbe a diventare infinita e pertanto occorrerebbe unenergia
infinita per accelerarla ulteriormente.

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Quali tra queste NON una delle tesi sostenute da Paul Davies nei brani dello
Scrigno?
Tutti gli scienziati contemporanei condividono la teoria del multiverso.
La scienza consiste nello scoprire relazioni nascoste tra diverso elementi fisici.
La pi accreditata teoria del multiverso la variante detta M della teoria delle corde
(o delle stringhe).
Alcune teorie fisiche contemporanee ammettono la variabilit delle costanti di
natura.
Alcune teorie fisiche contemporanee includono la variabilit delle leggi della fisica a
bassa energia.

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ROTTA SU
I COSMOLOGI RAZIONALISTI
Nella seconda met del VI secolo a.C., mentre Anassmene prosegue e conclude il
percorso filosofico della scuola di Mileto, emergono nuove filosofie nella stessa Ionia, cio
sulle coste dellAsia Minore, ma soprattutto nella Magna Grecia, cio nelle colonie greche
occidentali. Queste nuove filosofie, pur nella loro diversit, sono accomunate da una
configurazione pi astratta del principio del cosmo. Esse, cio, non identificano la causa
prima di tutte le cose con un elemento naturale (Talete, Anassmene) o con un misto di
due elementi naturali (Anassimandro) ma con un principio pur sempre fisico ma pi
teorico, ossia con una maggiore e pi esplicita connotazione razionale. Gli autori di
queste nuove filosofie furono Eraclto, Pitagora e Filolao, Parmenide e Zenone.
Per Eraclto il principio di tutte le cose il lgos. Questo termine, da cui non a caso
derivato il nostro logica, in greco antico significava parola ordinata, quindi discorso,
ragione, regola, legge. Per Eraclto, insomma, la causa prima del cosmo una legge
razionale. Questa legge consiste nella complementarit di tutte le cose, anche se
apparentemente opposte, e quindi nellunit profonda di tutta la realt. Essa, per,
contenuta nellelemento fuoco, coincide con esso. Anche Eraclto, come i filosofi di Mileto,
si dedic a ricerche scientifiche, in particolare di tipo astronomico e meteorologico.
Pitagora, invece, sostiene per primo che il principio di tutte le cose sono i numeri e che
pertanto la natura organizzata matematicamente. A livello scientifico, si occupa
soprattutto di matematica e di teoria matematica della musica. Gli si attribuiscono la
scoperta e la dimostrazione del famoso teorema che porta il suo nome, nonch quella
dellottava musicale. Si occupa anche di ricerche astronomiche, sicuramente continuate e
sviluppate da Filolao e da altri discepoli con notevoli risultati. Gli astronomi pitagorici,
infatti, elaborano una teoria astronomica dapprima pirocentrica (al centro
delluniverso c un grande fuoco sacro di cui il Sole un riflesso) e poi eliocentrica.
Per Parmenide il principio di tutte le cose l essere, cio lesistere in s stesso e per s
stesso. E lessere, secondo lui, unico, omogeneo e privo di movimento. Zenone sostiene la
tesi del suo maestro con una serie di famose argomentazioni che mirano a dimostrare che
la realt sensibile unillusione e che lunica realt autentica appunto lessere. A livello
scientifico Parmenide si occupa di astronomia, in particolare delle eclissi lunari.

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VITE DI CAPITANI
ERACLITO, PITAGORA, FILOLAO, PARMENIDE, ZENONE
Eraclto (540-476 c.ca) nacque a Efeso, citt sulla costa egea dellAnatolia ionica (attuale
Turchia), poco pi a nord di Mileto. Di famiglia aristocratica, nonostante le sue origini
altolocate, rifiut sia la ricchezza sia il potere sia la fama e visse una vita ritirata e solitaria
nel tempio di Artemide, al quale don anche la sua unica opera filosofica, intitolata Sulla
natura. Ci stato tramandato che il re di Persia Dario, dopo averla letta, lo invit alla sua
corte prospettandogli grandi onori, ma Eraclit declin linvito.
Bench non aspirasse al potere, Eraclito era un sostenitore dellantico regime aristocratico
e un fiero oppositore della democrazia che si era imposta ad Efeso, poich riteneva che la
massa non potesse che essere ignorante e che la sapienza fosse raggiungibile solo da pochi
individui. A loro volta gli abitanti di Efeso lo detestavano, anche e soprattutto perch
rigettavano il suo modello di vita improntato alla sobriet.
Di Sulla natura ci sono rimasti circa cento frammenti. Si tratta di unopera in stile
aforistico, cio una raccolta di frasi brevi contenenti ciascuna un pensiero compiuto
espresso con parole e con un ordine sintattico volutamente ambigui o comunque di non
facile comprensione. Ladozione dello stile aforistico, sicuramente coerente con la visione
elitaria di Eraclto, attesta anche il suo legame con la tradizione religiosa di tipo oracolare.
Ci sono, per, buone ragioni per pensare che Eraclito finalizzasse la comunicazione
aforistica a suscitare nei suoi lettori una lettura attiva, cio basata sul loro ragionamento
autonomo.
Pitagora (580-490 c.ca) nacque a Samo, unisola dellEgeo che si trova di fronte a Mileto
ed Efeso, attualmente territorio della Grecia. Le vicende della vita di Pitagora sono incerte,
alcuni storici ritengono perfino che sia un personaggio leggendario, non realmente esistito.
La tradizione antica ci riporta che fu allievo di Anassimandro, soggiorn a scopo di studio
in Egitto e in Mesopotamia, fu un oppositore politico della tirannia impostasi a Samo, e per
questo a circa quarantanni emigr a Crotone, colonia dorica della Calabria, dove era nato e
si stava sviluppando un importante centro di cure e studi medici che ebbe il suo massimo
esponente in Alcmeone. A Crotone Pitagora fond una scuola filosofica, aperta anche alle
donne, che era al tempo stesso una comunit spirituale. Infatti, i suoi discepoli detti
matematici (addottrinati) mettevano in comune le loro propriet e convivevano in base
a rigorose regole ascetiche, che comprendevano numerosi divieti pratici come non
mangiare carne o non attizzare il fuoco con un coltello o non toccare le fave. Lo scopo della
regola di vita pitagorica era dedicare la maggior parte della propria vita alla ricerca
conoscitiva. La conoscenza, infatti, per i pitagorici era il mezzo atto a purificare il respiro
(psych), considerato la parte razionale e immortale delluomo, e a conseguire cos la
massima felicit nella dimensione terrena e la vita eterna nellaldil. Nella sua scuola
Pitagora fin con lessere divinizzato: in riferimento a lui fu coniata lespressione auts
pha (ipse dixit, lha detto lui), che implicava la credenza che fosse depositario della verit

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assoluta e come tale non potesse mai sbagliare; ma gli furono attribuiti anche una
discendenza da Apollo e poteri taumaturgici. Pitagora non scrisse nulla. Fu il suo discepolo
Filolao (470-400 c.ca) a esporre la sua dottrina in tre opere (Sulla natura, Sul governo
delle citt, Sulleducazione), che Filolao stesso attribu al maestro tramandandole dunque
come opere di Pitagora.
Di tendenza politica aristocratica, la comunit pitagorica fu cacciata da Crotone dagli
avversari democratici e si diffuse in seguito in altre citt della Magna Grecia (Taranto,
Siracusa) ma anche della madrepatria greca. Filolao infatti si stabil a Tebe e l fond e
diresse una scuola pitagorica.
Parmenide (515-440 c.ca), di famiglia aristocratica, nacque a Elea (oggi Velia), colonia
greca sulla costa meridionale della Campania (Italia). Alcune fonti antiche attestano che fu
discepolo del filosofo Senofane, il quale aveva rigettato le immagini tradizionali degli dei,
perch inventate dagli uomini a propria somiglianza, e aveva loro contrapposto lidea di un
unico dio del tutto astratto, cio privo di forme sensibili. Nella maturit Parmenide scrisse
un poema filosofico, intitolato Sulla natura, che si apre con un proemio nel quale il filosofo
di Elea racconta di essere stato portato dalle figlie del sole al cospetto della dea Giustizia
che gli avrebbe rivelato la verit. In altre parole, Parmenide sosteneva che la sua filosofia
possedeva unorigine divina. In questo modo, egli da un lato si pose in continuit con lo
stile degli antichi poemi di Omero ed Esiodo, dallaltro per lo innov sostituendo
allispirazione poetica delle Muse quella razionale di una dea. Nel corso della sua vita,
Parmenide non si occup solo di filosofia ma contribu anche alla legislazione di Elea. Gi
anziano, pare si sia recato ad Atene, vi abbia incontrato il giovane Socrate e si sia
confrontato filosoficamente con lui.
Il suo discepolo e amico Zenone (500-430 c.ca) nacque anchegli a Elea e scrisse unopera
intitolata sempre Sulla natura ma in prosa. Secondo Platone, tra Parmenide e Zenone
intercorreva un rapporto damore, ma altre testimonianze antiche sostengono invece che
Zenone fosse il figlio adottivo di Parmenide. Ci stato anche tramandato che Zenone fu un
fiero oppositore del tiranno di Elea e che, arrestato, affront impavidamente la tortura e
lestremo supplizio.
Gli elementi biografici comuni ai cosmologi razionalisti attestano che le loro nuove filosofie
nacquero da un maggior legame con lantica tradizione culturale greca di stampo
aristocratico e mitico-religioso. Alcuni storici della filosofia per questo li hanno catalogati
come filosofi del tempio in contrapposizione ai filosofi dellagor, di origine borghese,
tra cui rientrerebbero Talete, Anassimandro e Anassmene.

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TAPPA 1

ERACLITO: IL PRINCIPIO E UNA LEGGE


Il conflitto padre di tutte le cose e di tutte re; e gli uni disvela come di e gli
altri come uomini, gli uni fa schiavi e gli altri liberi.
Eraclto, 22 B 53 Diels-Kranz
Ci che opposizione si concilia e dalle cose differenti nasce larmonia pi
bella, e tutto si genera per via di contrasto.
Eraclto, 22 B 8 Diels-Kranz
Questo ordine, che identico per tutte le cose, non lo fece nessuno degli di n
degli uomini, ma era sempre ed e sar fuoco eternamente vivo, che secondo
misura si accende e secondo misura si spegne.
Eraclto, 22 B 30 Diels-Kranz

Dallo studio della filosofia della scuola di Mileto, Eraclto ricava la convinzione che il
carattere pi generale della natura, quello che cogliamo immediatamente con i nostri sensi,
il divenire. Il concetto eracliteo di divenire ha tre aspetti distinti ma strettamente
correlati:
1. divenire significa innanzitutto che tutte le cose, in quanto naturali, nascono,
muoiono, si muovono, cambiano incessantemente. Eraclto esemplifica questo
aspetto con limmagine di un fiume. La natura, cio, come un fiume le cui acque
scorrono perennemente. A rigore, bisognerebbe dire che non ci si pu mai bagnare
due volte nello stesso fiume, cio che la natura non mai la stessa cosa, perch in
ogni istante muta rispetto allistante precedente. I discepoli di Eraclto sintetizzarono
questo primo significato del divenire nellespressione pnta ri (tutto scorre), che
divent cos lo slogan della filosofia eraclitea.
2. Divenire significa, in secondo luogo, molteplicit differenziata. La natura fatta di
individui4, cio di elementi singoli indipendenti (cose, propriet, stati di fatto) e
come tali costitutivamente diversi tra loro. P.e. leoni e gazzelle, bianco e nero,
giovinezza e vecchiaia, sono in casa e sono fuori casa. Questo secondo significato
concettuale condizione necessaria del primo, perch mutare significa sempre
passare da un individuo a un altro, p.e. dai capelli neri ai capelli bianchi o dalla vita
4

Dal latino individuum: non-divisibile, cio non-aggregato di pi cose, ma cosa o propriet singola.

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alla morte o da un luogo a un altro, e perci se non ci fosse la molteplicit individuale


non ci potrebbe essere alcun divenire.
3. Divenire significa, infine, lotta, conflitto, guerra, perch dire individui differenti
significa dire individui opposti, cio tra loro costitutivamente in competizione, in
maniera pi o meno intensa a seconda dei casi.

Dunque, sostiene Eraclto, in base alla conoscenza sensibile, la natura in quanto divenire
ci si presenta come mutevole, molteplice, conflittuale. Si tratta di una nozione intuitiva,
condivisa da tutti, considerata perfino ovvia. Ma Eraclto va oltre questa ovviet,
scorgendovi un problema: se le opposizioni che costituiscono la natura come divenire
fossero assolute si distruggerebbero a vicenda e vi sarebbe solo il nulla; ma cos non ; per
quale ragione?
La soluzione raggiunta da Eraclto che la natura divenire solo in prima
approssimazione. In altre parole, secondo lui, cambiamento, molteplicit e conflitto sono
solo apparenza. Ci non significa che non esistono, che non hanno uneffettiva
consistenza reale. Significa per che sono solo lo strato superficiale e secondario oggi si
direbbe emergente della natura, sotto il quale si nasconde la natura ama
nascondersi, scrive Eraclto il suo strato primario e fondamentale, cio il principio
profondo della natura. Questo principio la Legge (lgos5) secondo cui tutti gli individui
sono s opposti ma anche complementari, ovvero compongono ununica grande e armonica
Unit (da tutte le cose luno e luno da tutte le cose, scrive ancora Eraclto). In parole
semplici, la Legge che governa tutte le cose consiste nel fatto che tutto Uno.
Per esemplificare questa concezione, si pu usare la similitudine con un puzzle: allinizio,
cio quando spargiamo i pezzi sul tavolo, il puzzle ci appare come un mucchio disordinato
di frammenti tutti diversi gli uni dagli altri; ma, alla fine, cio quando siamo riusciti a unire
ordinatamente tutti i frammenti, comprendiamo che essi sono tutti complementari gli uni
agli altri e cos il puzzle ci si svela come ununica cosa, ci mostra un disegno unitario.

Eraclto argomenta la sua tesi tutto Uno esibendo alcuni casi empirici da lui considerati
paradigmatici, cio modelli generali di tutti le cose. Tali casi empirici si possono
raggruppare in quattro tipologie:
5

Dal greco lgos che significa originariamente connessione-legge, poi parola-discorso, ovvero
insieme di parole collegate in un discorso ordinato, e di qui ragione, cio appunto ordine della
mente, del pensiero.

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Il mare potabile per i pesci, imbevibile per luomo: questo argomento si basa sulla
relativit degli opposti, cio sul fatto che una stessa cosa pu essere letale per un
individuo e invece vitale per un altro. In altre parole, le opposizioni dipendono da
diversi punti di vista.

Nel cerchio principio e fine coincidono: questo argomento non si riferisce a una
propriet di un individuo relativa ad altri, ma allessere in s dellindividuo: il cerchio
in s stesso tuttuno, non ha n principio n fine, stabilirli una convenzione.
Insomma lopposizione inizio/fine solo apparente, a un livello pi profondo sono la
stessa cosa, coincidono.

Le cose fredde si scaldano, il caldo si raffredda: gli individui/propriet si


trasmutano luno nel proprio opposto e non potrebbero farlo se non avessere
qualcosa in comune, se non fossero uniti nella loro matrice.

La malattia rende dolce la salute, la fame la saziet: questo argomento ha un taglio


etico/antropologico e fa leva sul fatto che per noi uomini il benessere (o felicit) si
percepisce e si gode sempre e solo in relazione ai malesseri che si evitano, ai quali si
scampa.

Secondo Eraclto, il principio della natura, cio la Legge (o Ragione) dellunit degli
opposti si identifica con una sostanza fisica, il Fuoco. Il Fuoco infatti la sostanza pi
mobile e mutevole, in s stesso scisso in pi parti (fiamme, scintille) che sembrano in
lotta tra loro, ma essendo al contempo una cosa sola la rappresentazione concreta
dellunit degli opposti.
Soprattutto il Fuoco, pi di ogni altro elemento, in grado di spiegare lopposizione
primaria e pi dolorosa della natura, quella tra vita e morte. Infatti a seconda della sua
misura il Fuoco d calore, e quindi genera, infonde la vita, oppure brucia, e quindi
distrugge, d la morte.
In un ciclo continuo, afferma Eraclto, raffreddandosi e condensandosi il fuoco diventa
progressivamente prima aria, poi acqua, infine terra; scaldandosi e rarefacendosi terra,
acqua e aria ritornano fuoco. Il primo processo coincide con formazione delluniverso, il
secondo con la sua dissoluzione. Il Fuoco, dunque, secondo Eraclito, genera e distrugge
luniverso per poi rigenerarlo e ridistruggerlo, e cos via allinfinito.
In quanto principio regolatore del tutto, unico ed eterno, il Fuoco il Divino. Eraclto dice
esplicitamente che corrisponde a Zeus e al simbolo della sua regalit, cio il fulmine. Ma

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dice anche che pensarlo tradizionalmente come Zeus, anzich filosoficamente come Fuoco,
un modo ingenuo e fuorviante di concepire il Divino.

Secondo Eraclito, dunque, tutte le cose sono una specifica trasformazione del Fuoco. A
differenza di tutte le altre cose, per, luomo possiede anche una scintilla di Fuoco puro e
divino. Questa scintilla il respiro (psych), che quindi intelligenza, razionalit.
Luomo, in altre parole, diversamente dagli altri enti naturali, ha la Legge razionale che
governa tutte le cose dentro di s. Solo luomo, pertanto, pu divenire cosciente della Legge
razionale universale e pu attuarla volontariamente. Ma, afferma Eraclto, solo pochi
uomini gli unici davvero svegli mettono a frutto questa possibilit, cio la conoscenza
razionale, e riescono a comprendere che tutto Uno. I pi, anche quando hanno gli occhi
aperti, rimangono in realt dei dormienti, cio si basano solo sulla conoscenza sensibile e
dunque credono che la realt sia solo divenire, cio mutamento, molteplicit e conflitto.
In questo senso, per Eraclto, il fine ultimo della vita umana consiste nel comprendere
completamente la Legge razionale che governa luniverso e nellagire conformemente ad
essa. Per fare ci, pi che osservare le cose esterne occorre scrutare dentro s stessi dal
momento che la Legge razionale presente nelluomo come respiro e utilizzare il
pensiero razionale, ovvero la teoria, anzich lesperienza sensibile immediata.
Infine, poich il respiro umano una scintilla del Fuoco divino eterno, secondo Eraclito,
esso immortale e destinato a unaltra vita dopo la morte del corpo.

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VIAGGI DI IERI&VIAGGI DI OGGI


IL FUOCO E LA RELATIVITA RISTRETTA
A proposito dei filosofi di Mileto ho proposto un collegamento tra i loro concetti del
principio della natura (acqua, illimitato, soffio) e lattuale concetto scientifico di energia,
reso celebre e fondamentale dalla famosa formula nella quale Einstein ha sintetizzato la
sua teoria della relativit ristretta: E=mc2. Il collegamento mi sembra ancora pi
calzante nel caso del Logos/Fuoco di Eraclto.
Ma in questo caso lanalogia pi significativa non di tipo fisico, ma di tipo razionale.
Infatti, come il principio di Eraclto, la formula di Einstein proprio una legge, cio non
consiste in una cosa o in un elemento ma esprime una relazione razionale valida per ogni
cosa/elemento fisico. In altre parole, la Legge eraclitea tutto=Uno ha la stessa forma
logica di E=mc2, bench i loro contenuti siano naturalmente molto diversi.
Mentre con i loro principi i milesii non avevano evidenziato questo aspetto determinante,
Eraclto distingue e al tempo stesso connette la sostanzialit fisica (Fuoco) con la legalit
razionale (Legge dellunit degli opposti), facendo un altro passo avanti verso la formula
di Einstein, cio verso il concetto scientifico di legge naturale.

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TAPPA 2

I PITAGORICI: IL PRINCIPIO SONO I NUMERI


Tutte le cose sono necessariamente o limitanti o illimitate, o insieme limitanti
e illimitate. Solamente cose illimitate oppure solamente cose limitanti non
potrebbero esserci. Poich, dunque, risulta chiaro che le cose che sono non
possono essere costituite n solamente di elementi limitanti n solamente di
elementi illimitati, evidente che luniverso e le cose che sono in esso sono
costituite dallaccordo di elementi limitanti e di elementi illimitati.
Stobeo, Eclogae physicae et ethicae, I, 21, 7 a

I pitagorici sono i primi filosofi a elaborare una compiuta teoria dualistica della natura. Per
essi infatti non c u n principio della natura, ma una coppia di principi opposti e
complementari:
1) un principio limitante o Unit;
2) un principio illimitato o Molteplicit.
Di tale coppia di principi, i pitagorici danno innanzitutto una descrizione cosmogonica.
Secondo i pitagorici, in origine esistono solo:
lIllimitato/Molteplicit, consistente in un immenso Vuoto,
il Limitante/Unit, che consiste in un punto pieno e compatto.
Il Limitante inspira in s lIllimitato e cos si genera il cosmo in quanto composto di
Illimitato/Vuoto e Limitante/Unit. Infatti, da un lato lIllimitato/Vuoto, infiltrandosi nel
pieno assoluto del Limitante/Unit, lo suddivide in molteplici parti; dallaltro il
Limitante/Unit riempie lIllimitato/Vuoto, dandogli un contenuto e dunque una
configurazione definita.
Da questa teoria dellorigine del cosmo possiamo ricavare che il Limitante/Uno il
principio della determinazione e dellidentit individuale di ogni cosa naturale, mentre
lIllimitato/Vuoto il principio dellestensione spaziale e della variet delle cose naturali.
Bench i pitagorici li considerino entrambi principi, essi attribuiscono la superiorit al
Limitante/Uno e per questo lo chiamano anche Dio.

Per i pitagorici linterazione tra Limitante e Illimitato genera innanzitutto i numeri. Per
comprendere questa tesi, basta considerare che ogni numero da un lato una grandezza
precisa, p.e. 3, e in tal senso limitato, cio finito; dallaltro lato, per, il significato di ogni

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numero si basa sulla sua relazione con linfinita serie numerica, cio con lillimitato: p.e. il
3 indica una grandezza precisa solo in rapporto al 2, al 4, al 5, e cos via allinfinito.
In questo senso, i pitagorici sostengono che ogni numero rappresenta un grado di
mescolanza di Limite e Illimite, un certo livello delle loro diverse e infinite dosi reciproche
di combinazione.
Cos concepiti, i numeri, affermano i pitagorici, non sono enti astratti ma sono gli elementi
fisici primi di tutte le cose. LUno/Limite, infatti, un punto di sostanza fisica, lunit
minima di materia; il due la linea e quindi la lunghezza; il tre il triangolo e cio il piano
bidimensionale; il quattro la piramide e quindi lo spazio tridimensionale. I solidi
tridimensionali, a loro volta, aggregandosi generano gli elementi naturali secondari, cio
fuoco, aria, terra, acqua. Infatti:

il tetraedro, la piramide a base triangolare, la porzione/forma minima di materia di


cui fatto il fuoco;

lottaedro, o doppia piramide a base quadrangolare, la porzione/forma minima di


materia di cui fatta laria;

il cubo, la porzione/forma minima di materia di cui fatta la terra;

licosaedro, il poligono regolare con 20 facce triangolari, la porzione/forma minima


di materia di cui fatta lacqua.

Mischiandosi tra loro in varie proporzioni quantitative i quattro elementi terrestri fuoco,
aria, acqua, terra danno luogo a tutte le cose. In base a questa teoria dellorigine di tutte
le cose, i pitagorici sostengono per primi una tesi di enorme importanza per la filosofia e la
scienza di ieri e ancor pi di oggi: tutti i fenomeni naturali dipendono da propriet
quantitativo-matematiche e dunque si possono e anzi si devono spiegare usando la
matematica. Per esempio la propriet di scaldare e bruciare del fuoco considerata un
effetto delle misure aritmetiche, della forma geometrica e in generale delle caratteristiche
matematiche del tetraedro. Quindi la temperatura pu e deve essere descritta
matematicamente, cio misurata, e fenomeni come la combustione o la fusione possono e
devono essere spiegati con leggi matematiche.
Grazie a questa concezione matematica della realt, i pitagorici per primi chiamano
luniverso cosmo. Questo termine in greco significa ordine, armonia. Per i pitagorici
luniverso un cosmo, perch costituito da un ordine quantitativo-matematico che
governa il divenire universale come un direttore dorchestra i suoi musicisti. Anzi, in
questo senso, per essi gli astri coi loro moti suonano e al contempo sono mossi da una vera

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e propria sinfonia cosmica che le nostre orecchie non odono perch adatte solo a percepire
i suoni terrestri.

Largomentazione pitagorica dellordine matematico delluniverso in gran parte legata


proprio ai fenomeni acustico-musicali. I pitagorici comprendono e dimostrano, infatti, che
la diversa altezza dei suoni degli strumenti a percussione dipende dal loro peso; quella
degli strumenti a corda, dalla lunghezza delle corde; e che i rapporti armonici di ottava,
quinta e quarta dipendono da ben precise proporzioni matematiche (rispettivamente: 2 a 1,
3 a 2, 4 a 3) tra le lunghezze di due corde che vengano pizzicate insieme.
Dal momento che questa argomentazione, formalmente induttiva, si basava sulluso
intenzionale e mirato di strumenti musicali, cio di prodotti della tecnica umana, essa pu
essere considerata unanticipazione dellargomentazione sperimentale sulla quale si fonda
la scienza attuale.
Altri argomenti, bench molto pi approssimativi, i pitagorici li ricavano dallesperienza
dei fenomeni naturali: lanno dura 365 giorni, le stagioni sono 4, i giorni durano 24 ore, la
gestazione di un neonato dura 9 mesi, ecc.
E plausibile che tutte queste esperienze abbiano stimolato i pitagorici a porsi il seguente
problema: com possibile che i fenomeni naturali abbiano una regolarit cos precisa o
delle relazioni quantitative cos esatte? La filosofia pitagorica nasce dalla soluzione di
questo problema.

I pitagorici utilizzano i numeri anche per spiegare le diversit e le opposizioni che


caratterizzano il mondo naturale. Stante che tutti i numeri sono un misto di Limite e
Illimite, i pitagorici infatti ritengono che i dispari contengano pi Limite e i pari pi
Illimite. La ragione di questa tesi che i pari possono essere divisi in altri due numeri
interi, i dispari no.
Lopposizione dispari (Limite)/pari (Illimite) cos assunta dai pitagorici come modello
generale di tutte le opposizioni naturali, come p.e. uomo/donna, destra/sinistra,
bene/male, luce/tenebra, retto/curvo, ecc.
Poich il Limite superiore allIllimite, i dispari sono superiori ai pari e di conseguenza in
ogni coppia di opposti naturali uno dei due membri migliore dellaltro. Questa teoria
estesa dai pitagorici anche al mondo sociale delluomo e costituisce cos il fondamento
della loro scelta politica a favore di forme di governo aristocratiche.

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Tuttavia, il fine ultimo della filosofia, secondo i pitagorici, non di tipo politico, ma di
genere religioso, cio la liberazione del respiro individuale (psych) di ogni uomo dalle
sofferenze dovute al corpo. Riprendendo, infatti, lantica dottrina religiosa dellorfismo, i
pitagorici credono che i respiri individuali siano immortali e che la loro presenza dentro i
corpi umani sia lespiazione di una colpa originaria. Secondo i pitagorici, infatti, in origine,
noi uomini eravamo Titani, ovvero solo respiri immortali, ma, come tali, abbiamo ucciso
e divorato Dioniso, figlio di Zeus. Per punizione, Zeus ci ha condannati a passare da un
corpo allaltro in molte vite successive.
Dunque i pitagorici credono nella teoria della reincarnazione (o della metempsicosi) e si
pongono come fine ultimo luscita dal ciclo delle rinascite e la riacquisizione di una
condizione di puri respiri. Per raggiungere questo fine ogni uomo deve purificare il
proprio respiro conducendo una vita ascetica basata su una dieta vegetariana e sulla
rinuncia ai piaceri fisici e dedicata completamente alla conoscenza. La ricerca scientifica
e filosofica assume cos per i pitagorici il valore religioso di strumento di liberazione
delluomo dal dolore e dalla morte.

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VIAGGI DI IERI&VIAGGI DI OGGI


I PITAGORICI E LA FORMULA E=MC2
A proposito di Eraclto si detto che ha scoperto il carattere legale del principio, cio il
fatto che esso non consiste solo e tanto in una sostanza, ma in una Legge, in un ordine
regolare. In questo senso abbiamo rilevato una nuova affinit tra il concetto di
principio e la legge della relativit ristretta di Einstein: E=mc2.
Ora possiamo dire che la concezione pitagorica del principio si avvicina ancora di pi
alla legge di Einstein. Questa, infatti, espressa in termini matematici, cio una
formula che indica un preciso e permanente rapporto numerico-quantitativo tra
energia, massa e velocit della luce. E i pitagorici, muovendosi oltre Eraclto, non solo
affermano che il principio che governa il cosmo una Legge ma appunto che questa
Legge ha una forma matematica, cio una formula.

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TAPPA 3

PARMENIDE: LA REALTA E SOLO ESSERE


Le cavalle che mi portano fin dove il mio desiderio voleva
mi accompagnarono, dopo che mi ebbero posto sulla via che dice molte cose,
che appartiene alla divinit e che mi porta per tutti i luoghi che l'uomo sa.
L fui portato. Infatti, l mi portarono accorte cavalle
tirando il mio carro, e fanciulle indicavano la via.
L'asse dei mozzi mandava un sibilo acuto,
infiammandosi in quanto era premuto da due rotanti
cerchi da una parte e dallaltra , quando affrettavano il corso
dellaccompagnarmi,
le fanciulle Figlie del Sole, dopo aver lasciato le case della Notte,
verso la luce, togliendosi con le mani i veli dal capo.
L la porta dei sentieri della Notte e del Giorno,
con ai due estremi un architrave e una soglia di pietra;
e la porta, eretta nelletere, rinchiusa da grandi battenti.
Di questi, Giustizia, che molto punisce, tiene le chiavi che aprono e chiudono.
Le fanciulle, allora, rivolgendole soavi parole,
con accortezza la persuasero, affinch, per loro, la sbarra del chiavistello
senza indugiare togliesse dalla porta. E questa, subito aprendosi,
produsse una vasta apertura dei battenti, facendo ruotare
nei cardini, in senso inverso, i bronzei assi
fissati con chiodi e con borchie. Di l, subito, attraverso la porta,
diritto per la strada maestra le fanciulle guidarono carro e cavalle.
E la Dea di buon animo mi accolse, e con la sua mano la mia mano destra
prese, e incominci a parlare cos e mi disse:
O giovane, tu che, compagno di immortali guidatrici,
con le cavalle che ti portano giungi alla nostra dimora,
rallegrati, poich non uninfausta sorte ti ha condotto a percorrere
questo cammino infatti esso fuori dalla via battuta dagli uomini ,
ma legge divina e giustizia.
Bisogna che tutto tu apprenda:
e il solido cuore della Verit ben rotonda
e le opinioni dei mortali, nelle quali non c una vera certezza.
Eppure anche questo imparerai: come le cose che appaiono
bisogna che veramente siano, essendo tutte in ogni senso.
Parmedide, Sulla natura, frammento 1
Ora, io ti dir e tu ascolta e accogli la mia parola

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quali sono le vie di ricerca che sole si possono pensare:


luna che , e che non possibile che non sia
( il sentiero della Persuasione, che deriva dalla Verit)
laltra che non , e che necessario che non sia,
io ti dichiaro che questa una strada del tutto inesplorabile:
perch ci che non non lo puoi pensare ( infatti impossibile)
e non lo puoi nemmeno esprimere.
Infatti il pensare coincide con lessere.
Parmedide, Sulla natura, frammenti 2 e 3

Parmenide chiama Essere cio lesistere, lesistenza ci che i filosofi precedenti


avevano considerato principio della natura e chiamato Acqua o Fuoco o Aria, ecc. In altri
termini, secondo Parmenide laspetto comune e fondamentale di tutte le cose fisiche,
ovvero della realt o natura, la propriet dellesistenza, il fatto di esistere.
E plausibile che questa nuova tesi filosofica sia il risultato finale della riflessione di
Parmenide su un problema filosofico di estrema radicalit che lui per primo si pone, per lo
meno apertamente e chiaramente:
perch esiste una realt fisica (la natura, il cosmo) anzich il niente? perch, cio,
non c il nulla al posto di tutte le cose?
In linea di principio, infatti, che il mondo esista oppure che ci sia il nulla sono due
possibilit equivalenti, con pari probabilit di realizzarsi. Perch allora c qualcosa? Per
puro caso? Parmenide risponde di no. Secondo lui, che ci sia la realt fisica necessario ed
necessario che non ci sia il nulla cio le cose non potrebbero essere altrimenti da come
effettivamente sono. Perch? Come argomenta Parmenide questa potente tesi?

Largomento fondamentale di Parmenide che la propriet dellesistenza attribuibile solo


alla realt dal momento che tra il nulla e lesistere c una incompatibilit di principio, di
tipo logico. Infatti, la proposizione esiste il nulla equivale a esiste ci che non esiste. In
altre parole, pensare e dire il nulla (=esiste) assurdo, un nonsense, perch tra il
nulla e lesistere intercorre una contraddizione assoluta tale per cui se si pensa il nulla non
si pu pensare che esista e viceversa. Pertanto Parmenide conclude che si deve pensare e
dire solo:

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che il nulla non esiste n pu esistere;


e che quindi lEssere deve esistere per necessit.

Dunque, per Parmenide, il mondo naturale non pu mai andare distrutto, cio che c
sempre stato e continuer a esserci in eterno.

Parmenide fonda in questo modo un nuovo settore della ricerca filosofica, l ontologia,
cio la teoria della realt in quanto Essere, stabilendone la legge fondamentale: lEssere
(la realt) necessario che esista mentre il non-essere (il nulla) impossibile che esista.
Allo stesso tempo Parmenide sancisce la regola fondamentale dellargomentazione
filosofica, ovvero della scienza intesa come conoscenza vera dellEssere:
vietato pensare e affermare che esiste il non-essere (ossia il nulla) e non solo in
modo esplicito ma anche solo implicitamente.
Il presupposto logico di questa regola il principio di non-contraddizione secondo il
quale non possibile pensare/affermare che una stessa cosa e insieme non , p.e.
Parmenide vive e non vive. In questo senso si pu dire che Parmenide fu il primo filosofo
a focalizzare il principio di non-contraddizione. Egli per non lo pens come un criterio
della mente umana, cio logico, bens come una legge della natura, cio ontologica, la legge
che impone appunto di considerare lessere come principio fondamentale e necessario
della realt e nega di conseguenza ogni possibilit di esistenza al non-essere o nulla.
Un corollario di questa legge, secondo Parmenide, la coincidenza Essere-pensierolinguaggio. Infatti se solo lEssere esiste, il pensiero e il linguaggio possono avere come
oggetto solo lEssere. In altri termini, possiamo pensare solo ci che esiste e parlare solo di
ci che esiste. Per questo, lEssere per Parmenide il criterio di verit del pensiero e del
linguaggio.

Una volta argomentato che lEssere il fondamento di ogni cosa, Parmenide passa ad
argomentare le sue caratteristiche. Utilizzando la sua legge ontologica esiste solo
lEssere, il non-essere non pu esistere Parmenide inventa un nuovo tipo di
argomentazione razionale, che in filosofia verr chiamata dialettica e in matematica
dimostrazione per assurdo. Si tratta di unargomentazione deduttiva indiretta in quanto
consiste nellargomentare una tesi dimostrando che la sua antitesi (cio la tesi opposta)
assurda, ovvero che implica una contraddizione.
In base alle dialettica Parmenide argomenta che lEssere :

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1. ingenerato e indistruttibile: infatti se fosse generato e distruttibile dovrebbe nascere


dal non-essere e dovrebbe finire nel non-essere: nel primo caso il non-essere
diverrebbe Essere e nel secondo lEssere diverrebbe non-essere, ma ci assurdo
perch trasgredisce la legge ontologica, cio perch contraddittorio;
2. privo di passato e futuro, cio eternamente presente: infatti lEssere passato, cio
lEssere che fu, non esisterebbe pi ora; e lEssere futuro, cio lEssere che sar, in
questo momento non esisterebbe ancora. In entrambi i casi lEssere n o n
esisterebbe, ma ci contraddittorio per gli stessi motivi indicati al punto
precedente;
3. unico, indifferenziato e omogeneo: infatti se fosse diviso in parti queste potrebbero
distinguersi solo in base a qualcosa che fosse diverso dallEssere, cio in base al nonessere; e se avesse dei vuoti al proprio interno o dei punti di minore concentrazione
essi implicherebbero la presenza del non-essere, ma il non-essere non pu esistere;
4. immobile e immodificabile: se si muovesse da A a B, se fosse in A non esisterebbe in
B e viceversa; se da verde diventasse giallo, prima non esisterebbe giallo poi non
esisterebbe verde: in tutti i casi lEssere includerebbe il non-essere, ma ci
assurdo, quindi inammissibile.
5. finito ma non limitato: lEssere finito, nel senso che una totalit conclusa e
compiuta, perch altrimenti mancherebbe di qualcosa, cio conterrebbe non-essere;
ma non ha un confine, non limitato da qualcosa, in quanto potrebbe essere
limitato solo dal non-essere, ma il non-essere non esiste.
Infine Parmenide attribuisce allEssere una forma sferica. Infatti, afferma, lEssere del
tutto compatto e omogeneo e pertanto esercita la stessa pressione in tutte le direzioni. La
sfera appunto la figura geometrica che deriva da una forza che a partire da un punto si
espande omogeneamente in tutte le direzioni (le bolle di sapone ne sono un facile
esempio).

Date queste sue caratteristiche, lEssere di Parmenide non a rigore il principio (arch),
bens il fondamento divino di tutte le cose. Secondo i filosofi precedenti, infatti, il
principio si trasforma e da unico diventa duplice e poi molteplice. LEssere invece
immutabile e indifferenziato. Ma allora come spiega Parmenide il mondo naturale
mutevole e differenziato, ovvero il divenire? In prima approssimazione, egli afferma che il
mondo naturale unillusione della conoscenza sensibile, cio sostiene che i nostri sensi ci

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fanno percepire unimmagine distorta dellunica vera realt, lEssere. La ragione, cio la
conoscenza puramente razionale, invece, ci permette di capire che il divenire naturale
implicando il continuo passaggio dal non-essere allessere (nascita) e dallessere al nonessere (morte) infrange la legge secondo cui il non-essere non pu esistere, e dunque non
reale.
Daltra parte la conoscenza umana riflette sempre lEssere e dunque anche lillusione del
divenire naturale deve derivare dallEssere. Ma in che modo? Come pu lEssere produrre
lillusione dellesistenza del non-essere senza negarsi? La legge suprema di Parmenide non
afferma solo che lEssere deve esistere ma insieme nega che il non-essere possa esistere. In
altre parole lEssere non consiste solo nella propria autoaffermazione ma anche nella
negazione del suo opposto contraddittorio, cio il non-essere. Ma nel momento in cui lo
nega deve in qualche modo conferirgli una sorta di esistenza virtuale, evanescente,
fantasmatica: appunto il divenire.
Per comprendere meglio questa argomentazione, possiamo considerare un tipico miraggio
del deserto, quello di unoasi, ovvero di un bacino dacqua. Nel momento stesso in cui
capiamo che un miraggio, neghiamo col ragionamento la realt effettiva delloasi che
vediamo, la giudichiamo unillusione ottica, ma per farlo dobbiamo avere lesperienza
sensibile delloasi, cio dobbiamo ammettere la sua esistenza virtuale, apparente.
In conclusione, per Parmenide dobbiamo accettare lillusione della realt naturale essendo
per consapevoli che esiste solo lEssere e che pertanto tutti i cambiamenti, le opposizioni
e le diversit sono in realt sempre e solo le maschere di un unico e immutabile Essere/Dio
che coincide con il cosmo stesso.

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TAPPA 4

ZENONE: MOLTEPLICITA E MOTO SONO ASSURDI


[] Zenone di Elea, il quale faceva al sofista Protagora le seguenti domande:
Dimmi, Protagora, fa rumore cadendo un chicco di grano oppure la
decimillesima parte di un chicco di grano? E avendo Protagora risposto che
la decimillesima parte di un chicco di grano non fa rumore, quegli soggiunse:
Ma un medimno6 di chicchi di grano fa rumore o no, quando cade? E avendo
Protagora risposto che fa rumore, Zenone incalz: Ma non c forse una
proporzione fra un medimno di chicchi di grano e un singolo chicco e fra il
chicco e la sua decimillesima parte? E avendo Protagora ammesso che c, di
rimando disse Zenone: E non dovranno esserci le stesse reciproche
proporzioni anche tra i suoni? Come c proporzione tra le cose che
producono i suoni, cos ci deve essere proporzione fra i suoni; ma se cos, se
il medimno di grano fa rumore, anche il chicco da solo fa rumore e anche la
sua decimillesima parte. Cos argomentava Zenone.
Simplicio, Commento alla Fisica di Aristotele

Discepolo di Parmenide, Zenone non si propone di elaborare una nuova filosofia e


nemmeno di modificare quella del suo maestro anche solo per perfezionarla. La sua attivit
filosofica si concentrata completamente su un obiettivo: smontare tutte le critiche alla
filosofia di Parmenide per dimostrare che essa inattaccabile e insuperabile.
Ora, Parmenide aveva sostenuto che la vera realt unica, indifferenziata e immobile,
ovvero che il divenire molteplicit pi cambiamento unillusione dei sensi. Gli
avversari di Parmenide erano arrivati a irridere questa tesi in quanto del tutto contraria al
senso comune. Per loro, in altre parole, era ovvio che Parmenide avesse torto. Zenone
mette in discussione questa ovviet e ribalta il senso comune. Egli infatti proclama
provocatoriamente che non lunit e la fissit, ma proprio la molteplicit e il cambiamento
sono assurdi.
La maestria filosofica di Zenone non consiste per in questa tesi ma nel modo in cui
largomenta per renderla convincente. Egli si avvale di una particolare strategia di
argomentazione gi usata da Parmenide ma da Zenone sviluppata in tutte le sue
articolazioni ed esplicitata nella sua forma logico-linguistica: la dialettica (in matematica
dimostrazione per assurdo). Largomentazione dialettica non adduce ragionamenti o
6

Unit di misura dei volumi corrispondente a c.ca 52 litri.

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prove empiriche a favore della propria tesi ma fa leva su ragionamenti e prove empiriche
che smantellano la tesi contraria.
Per questo aspetto essa una confutazione, cio unargomentazione negativa, che non
argomenta la verit di una tesi, bens la sua falsit. Attraverso la confutazione per la
dialettica pretende di dimostrare indirettamente la tesi opposta a quella confutata. Il
presupposto di tale strategia argomentativa che date due tesi opposte (p.e. giorno/
notte) la falsificazione di una delle due comporti automaticamente la convalida dellaltra.
Pertanto per Zenone la confutazione della molteplicit della realt un argomento a favore
della sua unit e la confutazione del mutamento della realt un argomento a favore della
sua fissit.

Tra i numerosi argomenti dialettici contro la molteplicit, due hanno particolare rilevanza.
Il primo si svolge cos:
la molteplicit minima la dualit;
perch ci siano 2 enti ci devessere qualcosa che li distingua/divida;
dunque ci devono essere almeno 3 enti;
ma allora ci vogliono altri 2 enti per distinguerli/dividerli;
dunque ci devono essere almeno 5 enti;
e cos via allinfinito, dimodoch la molteplicit risulta indefinita.
Zenone scopre cos la progressione (o regressione) allinfinito, cio unargomentazione
razionale condannata a proseguire senza mai giungere a una conclusione, il che comporta
lassurdit o insensatezza del suo presupposto: in questo caso lesistenza della molteplicit.
Il secondo argomento contro la molteplicit si dipana in questo modo:
se la realt fosse molteplice ogni cosa dovrebbe essere divisibile in parti pi piccole;
ognuna di queste parti pi piccole, avendo comunque una grandezza, pu a sua
volta essere divisa in parti ancora pi piccole, e cos via;
in questo modo possiamo arrivare a parti infinitamente piccole;
ma queste parti essendo a loro volta divisibili allinfinito sarebbero composte da
infinite sottoparti tutte dotate di una grandezza, seppure minima;
dunque sarebbero infinitamente grandi;
ma ci assurdo perch vorrebbe dire che qualcosa allo stesso tempo
infinitamente piccolo e infinitamente grande, il che contraddittorio.

Contro il moto, Zenone elabor quattro famose argomentazioni dialettiche:

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1. Se il moto esiste noi possiamo percorrere uno stadio in tutta la sua lunghezza. Ma
per farlo dobbiamo prima raggiungere la sua met, poi la met della met, poi la
met della met della met, e cos via allinfinito perch vi sono infinite met.
Pertanto non possiamo mai arrivare in fondo. Dunque il moto solo unillusione.
2. Se due uomini attraversano uno stadio partendo da lati opposti e muovendosi alla
stessa velocit, ognuno di loro ha una velocit V rispetto al fondo dello stadio e 2V
rispetto allaltro uomo che si muove nella direzione opposta alla sua. Ci assurdo
perch significa che una stessa quantit uguale al suo doppio (V=2V).
3. Se il pi veloce Achille ingaggia una gara di corsa con una tartaruga concedendole
una distanza D di vantaggio non vincer mai la gara. Infatti nel tempo che Achille
impiega per percorrere la distanza D, la tartaruga percorre la distanza D1 (<D) e
dunque si trova ancora davanti a Achille; nel tempo in cui Achille percorre la
distanza D1 la tartaruga percorre la distanza D2 (<D1) e dunque si trova ancora
davanti ad Achille; e cos via allinfinito. In altre parole, Achille accorcia sempre pi
la sua distanza dalla tartaruga ma non pu mai raggiungerla e superarla. Dunque
Achille si muove e non si muove, il che assurdo perch contraddittorio.
4. Una freccia lanciata da un arco verso un bersaglio percorre una traiettoria. In
ognuno degli istanti compresi tra il lancio e larrivo al bersaglio la freccia deve
occupare un segmento definito di questa traiettoria. Ma appunto se nellistante T
occupa il segmento S compreso tra due punti A e B ci significa che ferma. Dunque
la freccia dovrebbe al tempo stesso essere ferma e muoversi. Il che assurdo perch
contraddittorio.

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VIAGGI DI IERI&VIAGGI DI OGGI


ZENONE, IL CALCOLO INFINITESIMALE E IL PRINCIPIO DI RELATIVITA
Le argomentazioni dialettiche di Zenone avevano numerose e importantissime
implicazioni matematiche e scientifiche. Il loro principale presupposto era infatti la tesi
dellinfinita divisibilit dello spazio. Tale tesi spinse i matematici antichi a superare la
concezione pitagorica del punto dotato di spessore a favore della concezione del punto
privo di dimensioni. In questo modo infatti era possibile ammettere linfinita divisibilit
di un segmento in quanto composto da infiniti punti. Per questa via gi nel V sec. a.C.
Eudosso arriv alla scoperta del metodo di esaustione, che, sviluppato da Archimede
nel III sec. a.C., divenne poi la base dellinvenzione del calcolo infinitesimale alla fine del
1600 ad opera di Newton e Leibniz.
Largomentazione dei due uomini che percorrono uno stadio implicava invece il pricipio
di relativit dei moti, che fu poi enunciato da Galilei nel 1600 e quindi fu ampliato e
ridefinito da Einstein nella sua teoria della relativit ristretta (1905), diventando un
caposaldo della scienza contemporanea. Secondo il principio di relativit i moti inerziali
(cio rettilinei uniformi) sono relativi gli uni agli altri, per cui la loro velocit cambia al
mutare del sistema di riferimento. P.e., camminando su un tram io vado a un certa
velocit rispetto a un albero esterno e a unaltra velocit rispetto a un passeggero seduto
allinterno del tram. Zenone, dunque, aveva intuito il principio di relativit dei moti, ma
lo giudicava assurdo, e dunque una prova dellimpossibilit del moto, mentre in seguito
fu riconosciuto come una propriet reale dei moti. Ma anche al senso comune odierno il
principio di relativit continua a sembrare assurdo, come dimostrano le reazioni
immediate allaffermazione einsteiniana che per la fisica si pu descrivere unauto in
viaggio lungo una strada sia dicendo che quellauto si muove su un nastro dasfalto fermo
sia dicendo che il nastro dasfalto si muove (nel verso opposto) sotto lauto ferma.

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TAPPA 5

LA SCIENZA DEI COSMOLOGI RAZIONALISTI


I cosiddetti pitagorici si dedicarono per primi alle scienze matematiche,
facendole progredire; e poich trovarono in esse il proprio nutrimento,
furono del parere che i principi di queste si identificassero con i principi di
tutte le cose. [] Essi individuavano, inoltre, nei numeri le propriet e i
rapporti delle armonie musicali e, insomma, pareva loro evidente che tutte le
cose modellassero sui numeri la loro intera natura e che i numeri fossero
lessenza primordiale di tutto luniverso fisico.
Aristotele, Metafisica, I, A, 5, 985b-986a

La scuola pitagorica ha unenorme importanza per il processo di formazione della scienza.


I suoi maggiori contributi alla ricerca scientifica riguardano la matematica, lacustica e
lastronomia.
In campo matematico, i pitagorici fondano innanzitutto laritmetica come teoria dei
numeri razionali e discreti. Per essi infatti i soli numeri ammissibili sono quelli interi e
quelli frazionari (o decimali, periodici compresi), ovvero solo i numeri divisibili tra loro. Di
conseguenza i numeri, per i pitagorici, sono discreti, cio discontinui, ossia ogni numero
una grandezza a s stante distinta e separata dalle altre. In altre parole, da ogni numero
(p.e. il 3) non si scivola, ma si salta allaltro (p.e. il 4).
In base a questa concezione discontinua del numero i pitagorici sostengono la
corrispondenza e la traducibilit reciproca di aritmetica e geometria. Una volta stabilito
che il numero uno corrisponde a un punto geometrico dotato di grandezza, per quanto
minima, diventa possibile far corrispondere a ogni numero un ente geometrico e viceversa.
Ci comporta che tutte le figure geometriche siano concepite come formate da un numero
finito di punti. In questo senso la matematica pitagorica stata definita aritmogeometria.

In ambito geometrico, poi, si attribuisce a Pitagora il famoso teorema che porta il suo
nome: in ogni triangolo rettangolo la somma delle aree dei quadrati costruiti sui cateti
equivalente allarea del quadrato costruito sullipotenusa. E quasi certo che gi egizi e
assiro-babilonesi avessero scoperto questa equivalenza almeno nel caso di un triangolo
rettangolo con i cateti di valore 3 e 4 e lipotenusa di valore 5 (nonch in altri casi
particolari analoghi).
La scoperta di Pitagora consiste nellaver compreso e dimostrato che si tratta di una
propriet generale, cio nellessere passato dal rilevamento della presenza di una propriet

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in alcuni casi alla formulazione e alla dimostrazione di una legge certamente valida per
tutti i casi di triangoli rettangoli. Si tratta di una riconduzione di una molteplicit
differenziata a una unit omogenea che per i pitagorici attesta la potenza ordinatrice della
matematica.

Lacustica, ovvero la parte della musica che studia i suoni, considerata dai pitagorici
unapplicazione dellaritmetica al mondo fisico, cos come lastronomia unapplicazione
della geometria al mondo fisico.
In campo acustico, la tradizione attribuisce a Pitagora la teoria matematica degli intervalli
musicali di ottava (tra un do e quello successivo di pi alta tonalit), di quinta (tra un do e
il sol successivo) e di quarta (tra un do e il fa successivo). Pitagora comprende infatti che
lottava corrisponde al rapporto matematico 2 a 1, la quinta a quello di 3 a 2, la quarta a
quello di 4 a 3. Ci significa, per esempio, che per passare da un do a quello pi alto o pi
basso bisogna dimezzare o raddoppiare il peso di un martello da percussione oppure la
lunghezza di una corda di chitarra. Analogamente negli altri due casi.

Di fondamentale importanza lapporto che i pitagorici danno allastronomia. Essi, infatti,


in contrasto con i filosofi di Mileto, sostengono che il cosmo finito e sferico, che il suo
centro occupato non dalla Terra ma da un Fuoco sacro (Hesta), manifestazione fisica del
Limite. Per i pitagorici, intorno a questo fuoco centrale ruotano 10 corpi celesti, tutti sferici
(dal pi vicino al pi lontano): lAntiterra (considerata invisibile), la Terra (sferica
anchessa), la Luna, il Sole, Mercurio, Venere, Marte, Giove, Saturno e il cielo delle stelle
fisse.
Linserimento dellAntiterra si spiega sia con lesigenza di rispettare il numero 10, cui i
pitagorici attribuivano un valore sacro, sia con la soluzione del problema astronomico della
maggiore frequenza, relativamente allo stesso punto di osservazione terrestre, delle eclissi
di Luna rispetto alle eclissi di Sole.
I moti dei corpi celesti per Pitagora sono ordinati matematicamente e proprio per questo
producono una musica che per ludito umano non in grado di percepire.
Filolao sviluppa la teoria astronomica pitagorica originaria sostenendo che il fuoco/limite
centrale ha prodotto lintero cosmo dapprima inspirando lillimitato caotico circostante e
poi espirandolo ordinatamente intorno a s. Filolao, inoltre, afferma che il Sole solo uno
specchio che riflette il fuoco centrale o Hesta.

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La matematica della scuola pitagorica entra in crisi a causa della scoperta delle grandezze
incommensurabili, ovvero dei numeri irrazionali. Secondo la tradizione, questa scoperta,
opera degli stessi pitagorici, era stata dichiarata un segreto che era proibito divulgare
pubblicamente. Ma il divieto fu infranto dal pitagorico Ippaso di Metaponto, che per
questo sarebbe stato cacciato dalla scuola come traditore.
La scoperta degli incommensurabili nasce dallapplicazione del teorema di Pitagora ai due
triangoli rettangoli isosceli in cui si pu dividere un quadrato. Attribuendo ai cateti (cio ai
lati del quadrato) una lunghezza 1, la lunghezza dellipotenusa risulta essere uguale alla
radice quadrata di 2, che un numero irrazionale, di cui i pitagorici negavano e aborrivano
lesistenza. Ci significa che lato e diagonale di un quadrato non sono divisibili tra loro in
quanto non possiedono un sottomultiplo comune, cio una grandezza, per quanto minima,
che stia un numero intero e finito di volte m nel lato, e un numero intero e finito di volte n
nella diagonale. In una parola, lato e diagonale del quadrato sono appunto grandezze
incommensurabili, cio che non si possono misurare insieme, con la stessa unit di misura.
Cos stando le cose, non pi possibile pensare che lato e diagonale, e quindi in generale
tutte le grandezze geometriche, siano composti da un numero finito di punti. In questo
caso infatti almeno un punto, cio una grandezza minima, dovrebbe essere presente un
numero intero e finito di volte m nel lato e un numero intero e finito di volte n nella
diagonale. Di conseguenza diventa necessario concepire le grandezze geometriche come
composte da infiniti punti senza dimensioni. Ma ci a sua volta comporta la rottura della
corrispondenza tra aritmetica e geometria.

Eraclto fu forse il primo filosofo a fornire una teoria delle fasi lunari e delle eclissi di Sole e
di Luna. Secondo lui, questi fenomeni astronomici sono la conseguenza del fatto che Luna
e Sole sono fuochi contenuti in sfere, probabilmente di metallo, ruotanti intorno alla Terra.
Alcune parti della superficie di queste sfere sono opache e quando esse sono rivolte verso la
Terra noi vediamo oscurarsi in parte o completamente il Sole o la Luna.
Parmenide confuta la teoria di Eraclto e le contrappone una teoria alternativa. Secondo
Parmenide, i fenomeni delle fasi lunari e delle eclissi solari e lunari sono illusori, in quanto
prodotti da un gioco di luce e ombra. In altre parole, le fasi lunari dipendono dalle diverse
prospettive in cui dalla Terra possiamo osservare la met illuminata della Luna; le eclissi
dallanteporsi della Luna al Sole e dal frapporsi della Terra tra il Sole e la Luna.

Zenone, invece, con i suoi paradossi d un contributo agli sviluppi della matematica, in
particolare della geometria. Infatti, le sue argomentazioni dialettiche contro il moto e la
molteplicit si imperniano sulla concezione delle grandezze geometriche come composte
da infiniti punti senza dimensioni e pertanto infinitamente divisibili. In questo modo

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Zenone evidenzia tutta la spinosa problematicit del concetto di infinito. Riflettendo sui
paradossi di Zenone, i matematici Greci successivi arrivano a stabilire la distinzione tra
infinito potenziale (p.e. una retta) ed infinito attuale (p.e. linsieme di tutti i numeri interi),
accettando il primo come reale e rifiutando il secondo come impossibile e dunque irreale.

La scienza medica greca comincia a formarsi nel V sec. nella citt di Cnido, sulle coste
dellAsia Minore. La scuola medica di Cnido concepisce e pratica la medicina solamente
come patologia, cio diagnostica e terapia, e segue unimpostazione decisamente
empiristica, preoccupandosi unicamente di registrare e accumulare innumerevoli casi di
malattia e i loro sintomi.
Un ulteriore e pi significativo sviluppo della medicina si ha a Crotone, la citt dove si
trasfer Pitagora, soprattutto grazie a Alcmeone. Questi d inizio alla pratica della
dissezione, giungendo a comprendere che le sensazioni, pur partendo dagli organi di senso,
fanno capo al cervello, che per lui lorgano della comprensione e della coscienza.
Alcmeone, inoltre, allarga la medicina alla fisiologia e alla biologia del corpo umano. Egli,
infine, non si limita a registrare i dati dellesperienza ma li unifica in base a ipotesi
teoriche. In questo senso, Alcmeone elabora una teoria generale della malattia come
rottura dellequilibrio tra le varie componenti del corpo a causa della prevalenza di una di
esse facilitata dallinfluenza di fattori ambientali.
E evidente la connessione tra questa nuova impostazione pi teorica della medicina e lo
sviluppo delle filosofie fisico-razionaliste di Eraclto, Pitagora e Parmenide.

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LO SCRIGNO
AMIR D. ACZEL: LA SCOPERTA DEL CONTINUO GEOMETRICO
In un certo senso, lidea pitagorica della divinit degli interi mor con Ippaso,
per essere sostituita dal pi ricco concetto di continuo: infatti, la geometria
greca nacque dopo che il mondo venne a conoscenza dellesistenza dei numeri
irrazionali. La geometria ha a che fare con linee, piani e angoli, che sono tutte
entit continue. I numeri irrazionali sono gli abitatori naturali del mondo del
continuo (sebbene anche i numeri razionali vivano in quel mondo) dal
momento che costituiscono la maggioranza dei numeri presenti in esso.
Amir D. Aczel, Il mistero dellAlef, Net/il Saggiatore 2002, pp. 23-24

KARL POPPER: LE FASI LUNARI COME GIOCO DI OMBRA E LUCE


Parmenide era un filosofo della natura (nel senso della philosophia naturalis
di Newton). Unintera serie di importantissime scoperte astronomiche viene
attribuita a lui: che la stella del mattino e quella della sera siano una sola
identica stella7, che la Terra sia sferica (anzich a forma cilindrica o di
colonna, come pensava Anassimandro). Pi o meno della stessa importanza
la sua scoperta che le fasi lunari sono dovute al cambiamento del modo in cui
la met illuminata della Luna viene vista dalla Terra.
Prima di questa la pi ingegnosa teoria delle fasi lunari era dovuta a Eraclito.
Egli spiegava che le fasi lunari e le eclissi di Luna e di Sole erano tutte da
interpretare partendo dallassunzione che questi corpi fossero fuochi
contenuti in sfere (di metallo?) che ruotavano attorno alla Terra: essi
potevano volgere le loro zone oscure in parte, o del tutto, verso di noi.
Secondo questa teoria, la Luna non starebbe pi crescendo o calando, ma le
sue fasi sarebbero invece il risultato di un vero e proprio movimento
allinterno della Luna. Ma, in accordo con la nuova scoperta di Parmenide, le
fasi della Luna non erano affatto dovute a motivi di questo genere. Esse non
coinvolgevano alcun tempo di mutamento e di movimento effettivo della
Luna. Erano, piuttosto, unillusione lingannevole effetto di un gioco di luce
e di ombra.
K. Popper, The classical Quarterly (1992), numero di dicembre 1995 della rivista Reset
7

Venere, chiamata rispettivamente Fosforo (in greco porta-luce, equivalente di Lucifero, di origine latina) e
Espero (in greco della sera, equivalente di Vespero in latino)

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II VIAGGIO
LORDINE COME INTERAZIONE
DI PI PRINCIPI FISICI

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ROTTA SU
I COSMOLOGI PLURALISTI
Dal confronto argomentativo tra i fisici monisti (Talete, Anassimandro, Anassmene) e i
fisici razionalisti (Eraclto, Pitagora, Filolao, Parmenide, Zenone) emerge alla met del V
secolo a.C. una nuova tendenza filosofica che ha i suoi principali esponenti in Empedocle,
Anassagora e Democrito.
Questi nuovi filosofi cercano di valorizzare la realt fisico-naturale, anche e soprattutto
in quanto divenire, cio molteplicit e mutamento, rispettando per la legge parmenidea
dellinammissibilit del nulla (o non-essere). Per raggiungere la difficile conciliazione tra
il divenire e lessere, i fisici pluralisti teorizzano la derivazione di tutte le cose naturali
non da un unico principio fisico e dalle sue mutazioni, bens da una pluralit (ecco perch
pluralisti) di principi fisici immutabili che continuamente si aggregano e si disgregano
in modi diversi generando tutte le cose naturali.
Data questa impostazione, il processo di aggregazione/disgregazione dei principi assume
un ruolo centrale. In questo senso, i fisici pluralisti individuano, accanto ai principi, delle
forze, sempre fisiche ma distinte dai principi, che ne causano perennemente, secondo
una regola immutabile ed eterna, le combinazioni e le suddivisioni.
Tuttavia, le filosofie di Empedocle, Anassagora e Democrito concepiscono e configurano
in modi divergenti sia i principi che costituiscono tutte le cose sia le forze che ne
governano la continua generazione e dissoluzione. I cosmologi (o fisici) pluralisti,
dunque, non costituiscono una scuola.
Secondo Empedocle, i principi sono i quattro elementi: terra, acqua, aria e fuoco da lui
chiamati radici e le forze che ne governano combinazioni e ricombinazioni sono
lamicizia (attrazione) e la contesa (repulsione).
Anassagora, invece, ritiene che i principi siano infiniti, li chiama semi e li identifica con
le innumerevoli propriet qualitative di tutte le cose. Secondo lui, i semi sono governati
dall Intelletto, una forza razionale dotata di una materialit finissima.
Nonostante le loro diversit, Empedocle e Anassagora condividono una concezione
organicistica della natura, cio pensano che tutti gli esseri naturali siano viventi, e di
conseguenza ritengono primarie le loro propriet qualitative (odori, colori, sapori, ecc.).
Democrito, invece, si differenzia nettamente da entrambi perch ritiene che la natura sia
meccanica, ossia che tutti gli esseri naturali siano delle macchine. Secondo Democrito,
infatti, tutto composto di infiniti indivisibili (in greco toma), cio di particelle
materiali microscopiche, e dunque invisibili, prive di vita e caratterizzate unicamente da
propriet quantitative (volume, lunghezza, larghezza, velocit, ecc.). La forza che, per
Democrito, governa laggregazione e la disgregazione degli indivisibili il loro moto,
considerato una loro propriet originaria.

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VITE DI CAPITANI
EMPEDOCLE, ANASSAGORA E DEMOCRITO
I fisici pluralisti coprono geograficamente tutta la Grecia madrepatria, Grecia italica
occidentale e Grecia ionica orientale sia per la posizione delle loro citt di nascita sia
perch soggiornarono in molte citt diverse da quelle di nascita e in taluni casi vi si
stabilirono definitivamente. In particolare, fu Atene il polo di attrazione principale di molti
filosofi. Atene, infatti, nel corso del V sec. divent la polis economicamente, politicamente
e culturalmente pi sviluppata e al tempo stesso il simbolo della massima fioritura
dellintera civilt greca.
Nato ad Agrigento, in Sicilia, da famiglia aristocratica, Empedocle (490-430 c.ca) fu il
leader del partito democratico della sua citt e per questo fu esiliato nel Peloponneso.
Scrisse due poemi filosofici: Sulla natura, di argomento cosmologico; Purificazioni, di
argomento morale ed escatologico (relativo cio al destino ultraterreno delluomo). Di
entrambi i poemi ci restano un centinaio di versi. Ricercatore scientifico a livello fisico,
biologico e medico, esperto di tecniche, prefer per proporsi come guaritore e mago, e
addirittura come un dio fattosi uomo. Questa immagine fece nascere le pi disparate
leggende sul suo conto: gli vengono attribuiti dalla tradizione dei veri e propri miracoli, tra
cui addirittura la resurrezione di una donna, e ci viene tramandato che non mor di morte
naturale ma, secondo una fonte, che fu rapito da una luce celeste oppure, secondo unaltra
fonte, che si butt nel cratere dellEtna per riunirsi al fuoco sacro e riacquisire il proprio
rango divino.
Anassagora (496-428 c.ca) nacque a Clazmene, colonia ionica dellAsia Minore sul mar
Egeo, situata poco pi a nord di Efeso, ma si trasfer ad Atene, aprendovi una scuola e
introducendovi cos per primo la filosofia. Ad Atene trascorse la maggior parte della sua
vita, diventando maestro, consigliere e amico di Pericle. Ci nonostante, intorno al 430,
venne condannato a morte per ateismo dal tribunale popolare della democratica Atene in
seguito allaccusa di aver negato il carattere divino del Sole e degli astri. Solo grazie
allintervento di Pericle la condanna a morte gli viene commutata in esilio. Mor a
Lampsaco, sul Bosforo, lasciando ununica opera in prosa, intitolata Sulla natura, di cui ci
rimangono alcuni frammenti.
Democrito (460-370 c.ca) nacque ad Abdera, citt della costa egeica della Tracia, regione
del Nord-est della Grecia, situata tra il Mar Nero e il mare Egeo. Probabilmente di
estrazione sociale altolocata, rinunci al godimento delle sue ricchezze per dedicarsi alla
ricerca scientifica. Si form soprattutto nella scuola di Leucippo (480 ca.-?), fondatore del
cosiddetto atomismo, nato a Mileto, ma trasferitosi ad Abdera in seguito alla presa del
potere da parte del partito aristocratico. Dellindirizzo atomistico Democrito il
continuatore e il principale esponente. La tradizione gli attribuisce molti viaggi: in Egitto,
Persia, Etiopia e addirittura in India. Di sicuro soggiorn ad Atene pi volte nella sua vita,
pur tornando sempre ad Abdera. Visse molto a lungo, mor novantenne, ma negli ultimi

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anni di vita divenne cieco anche a causa dellintensa attivit di lettura, di scrittura ma
anche di osservazione dei cieli. Gli sono attribuiti pi di cinquanta trattati che spaziano in
tutto lo scibile umano: cosmologia, matematica, etica, musica, medicina, biologia,
agricoltura, linguistica, storia. Alcuni di essi (Grande cosmologia, Sullintelletto) per
probabile che siano del suo maestro Leucippo. Purtroppo non ce ne sono giunti che pochi
frammenti, anche a causa della censura che la sua opera sub per le sue implicazioni
ateistiche.

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TAPPA 1

EMPEDOCLE: I PRINCIPI SONO RADICI, AMICIZIA E CONTESA


Ma unaltra cosa ti dir: non vi nascita di nessuna delle cose
mortali, n fine alcuna di morte funesta,
ma solo c mescolanza e separazione di cose mescolate,
ma il nome di nascita, per queste cose, usato dagli uomini.
[]
E queste cose continuamente mutando non cessano mai,
una volta ricongiungendosi tutte nelluno per Amicizia,
altra volta portate in direzioni opposte dallinimicizia della Contesa.
Empedocle, Sulla natura

Il problema fondamentale che Empedocle si pone e affronta quello di come conciliare


lessere, cio limmutabilit della realt, con il divenire, cio il mutamento della realt.
Empedocle, infatti, riconosce la fondatezza dellargomentazione con la quale Parmenide
aveva dichiarato inammissibile il non-essere, ma non quella del suo corollario, il carattere
del tutto illusorio e ingannevole del divenire.
In altre parole il problema di Empedocle : come si deve pensare il divenire senza
implicare lesistenza del non-essere, in modo tale che esso risulti pienamente reale e
veritiero?

La soluzione offerta da Empedocle parte dalle tesi secondo cui il cosmo naturale ha quattro
radici (rzai), cio quattro principi fisici originari: la terra, lacqua, il fuoco, il soffio
(aria). Questi elementi per Empedocle sono eterni, immutabili e divini, in quanto non si
generano, non si distruggono e ognuno sempre uguale a se stesso, cio non subisce
alcuna trasformazione. Essi costituiscono pertanto lessere, la realt suprema e
fondamentale. Ma come si forma allora il cosmo naturale? Loriginalit di Empedocle sta
proprio nella risposta a questa domanda. Egli infatti inventa una nuova cosmogonia
secondo cui il cosmo nasce dalla suddivisione delle quattro radici in miriadi di frammenti e
dallaggregazione di frammenti delluna con i frammenti di una, di due o di tutte e tre le
altre.
Ma la combinazione di soli quattro elementi come pu spiegare lesistenza di miriadi di
cose tra loro diverse? La grande variet degli enti naturali, risponde Empedocle, dovuta
allintreccio delle qualit e delle quantit delle radici. Ogni Radice infatti

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qualitativamente diversa dalle altre e ci costituisce il fondamento qualitativo della


diversit. In secondo luogo, le parti qualitativamente differenziate di ogni Radice si
combinano con le parti delle altre in proporzioni quantitative sempre diverse. In altre
parole ogni specie di enti naturali una miscela di parti delle quattro radici basata su un
peculiare rapporto quantitativo. Ci spiega le propriet distintive di ogni specie naturale.

Ma cosa provoca la frammentazione delle quattro radici e la ricombinazione dei frammenti


di una con quelli delle altre? E in che modo ci avviene? Per risolvere questi problemi,
Empedocle affianca alle quattro radici due forze cosmiche, distinte da esse ma agenti al
loro interno:
1) Amicizia (Phila), cio la forza attrattiva che unifica le parti delle radici;
2) Contesa (Nikos), cio la forza repulsiva che separa le parti delle radici.
Amicizia e Contesa, eterne e qualitativamente immutabili come le radici, interagiscono
sempre tra di loro, ovvero si contrappongono e si bilanciano in proporzioni
quantitativamente diverse. Le proporzioni dellinterazione Amicizia-Contesa, in continuo e
ciclico mutamento, sono il fondamento delle proporzioni di combinazione, anchesse in
ciclico mutamento, delle radici. In questo senso il cambiamento ciclico dellinterazione
Amicizia-Contesa costituisce la Legge che governa il cosmo e spiega il suo divenire.
Essendo ciclica, tale Legge si scandisce e si attua in quattro fasi principali, che si ripetono
eternamente, cosicch nessuna di esse va considerata n origine n fine:
a) la fase in cui Amicizia raggiunge la massima intensit e Contesa quella minima:
tutte le parti delle radici sono completamente unificate in un essere unico di forma
sferica, omogeneo e indifferenziato;
b) la fase in cui Contesa aumenta progressivamente la sua intensit e Amicizia la
diminuisce: una delle due fasi in cui il cosmo si forma, esiste propriamente e si
evolve passando dal massimo ordine al massimo disordine;
c) la fase in cui Contesa raggiunge la massima intensit e Amicizia quella minima:
tutte le quattro radici sono completamente divise e separate luna dallaltra;
d) la fase in cui Amicizia aumenta progressivamente la sua intensit e Contesa la
diminuisce: la seconda delle due fasi in cui il cosmo si forma, esiste propriamente
e si evolve, ma questa volta procede dal massimo di disordine al massimo di ordine.

Con la sua nuova cosmogonia Empedocle riabilita dal punto di vista razionale la
molteplicit e il mutamento cio il divenire di cui Parmenide e Zenone avevano

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argomentato lassurdit in quanto, secondo loro, il divenire implica lesistenza del nonessere, cio una palese contraddizione.
Infatti, in base alla teoria di Empedocle:
la generazione o nascita non il passaggio dal non-essere allessere, ma
laggregazione di parti dellessere unico ed eterno (le radici);
la dissoluzione o morte non il passaggio dallessere al non-essere, ma la
separazione di parti dellessere unico ed eterno;
il mutamento non la distruzione di una propriet e la formazione di unaltra
propriet che sostituisce la prima p.e. la perdita dei capelli bruni e la loro
sostituzione con i capelli bianchi ma sempre un processo di scombinazione e
ricombinazione di parti delle radici che esistono eternamente.
In questo modo Empedocle pu legittimare la realt del divenire senza affermare
lesistenza del nulla, cio senza infrangere la legge filosofica della non-contraddizione che
Parmenide e Zenone aveva imposto grazie alla loro rigorosa argomentazione razionale.
Per raggiungere tale risultato, Empedocle per presuppone la molteplicit originaria
dellessere (Amicizia, Contesa, radici), anchessa contraddittoria secondo Parmenide, senza
offrire una confutazione della tesi parmenidea secondo cui anche la diversit implica
lammissione del nulla (p.e. lAria non-essere del Fuoco, dunque il suo annullamento).

In base alla sua visione ciclica del cosmo, Empedocle spiega anche e anzi soprattutto i
fenomeni biologici. A questo proposito, egli sostiene, per esempio, che gli esseri viventi si
formano gradualmente per progressive combinazioni. Inizialmente, per congiunzione di
membra separate, si generano esseri mostruosi, come i minotauri, i quali, per, non
essendo in grado di sopravvivere, sono poi sostituiti dai viventi esistenti, nati da
aggregazioni armoniose e quindi capaci di sopravvivere.
Di particolare interesse, nellambito della biologia empedoclea, la spiegazione e
soprattutto largomentazione della respirazione. Secondo Empedocle, gli animali aerobici
respirano attraverso i pori della pelle e laria inspirata circola allinterno del corpo
attraverso i vasi sanguigni. Per giustificare la duplice circolazione di sangue e aria nei vasi
sanguigni Empedocle teorizza un meccanismo capace di alternare al loro interno flussi di
aria (inspirazione) e flussi di sangue (espirazione). Largomentazione di questa teoria della
corrente alternata consiste in una sorta di esperimento: Empedocle sostiene che se
prendiamo una clessidra ad acqua (una specie di vaso-imbuto con un piccolo foro alla
base) vuota, ne tappiamo con la mano lentrata e la immergiamo nellacqua, essa non si
riempie (a causa della pressione dellaria); se, invece, togliamo la mano, la immergiamo
nellacqua, la lasciamo riempire e poi la tiriamo fuori dallacqua tappando lentrata, allora
lacqua non esce dal foro della base (sempre per la pressione dellaria). In altre parole: i
pori della pelle, aprendosi e chiudendosi, fanno scorrere nei vasi sanguigni o solo sangue o
solo aria.

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Abbiamo gi incontrato in Anassmene (Rotta A, tappa 3) e nei pitagorici (Rotta B,


tappa 1) alcuni esempi di protoesperimenti. Questo di Empedocle, come quelli dei
pitagorici, a differenza di quello di Anassimene, sembra avvicinarsi ancora di pi
allesperimento in senso proprio in quanto anzich usare solo il corpo umano usa degli
oggetti artificiali (la clessidra). Tuttavia, esso diverge dallesperimento della scienza
moderna perch non diretto, ma indiretto, cio non utilizza loggetto della teoria da
controllare cio la pelle, il sangue e il respiro ma un oggetto diverso una clessidra,
lacqua e laria.
In altri termini, largomentazione sperimentale di Empedocle si basa sullassunzione di
unuguaglianza, tutta da provare, tra il funzionamento della pelle e dei vasi sanguigni e
quello della clessidra. In realt, largomentazione empedoclea di tipo analogico, cio fa
leva sulla somiglianza tra il fenomeno biologico e la sua ricostruzione sperimentale. In
questo senso possiamo dire che, a livello di strategia argomentativa, Empedocle scopre
appunto largomentazione analogica.

La ciclicit del cosmo per Empedocle si manifesta anche nel destino esistenziale delluomo
legato al ciclo delle reincarnazioni. Da questo punto di vista Empedocle condivide la teoria
della metempsicosi di orgine orfica e gi ripresa dai pitagorici. Egli per la personalizza e
insieme la radicalizza affermando che ogni uomo in origine un dmone, cio un dio
minore, una divinit di rango inferiore rispetto ai massimi dei olimpici (Zeus, Era, Ares,
Afrodite, ecc.) ma pur sempre un essere superiore e immortale come gli dei olimpici e,
come loro, consistente in un puro respiro (psych), ovvero privo di corpo.
In seguito a un atto di violenza aggravato da un falso giuramento di innocenza, entrambi
dovuti alla relativa prevalenza in lui di Contesa, il dmone-uomo condannato dagli dei
sommi a perdere la sua condizione divina, ad acquisire un corpo e a reincarnarsi in
numerose vite successive, non solo umane ma anche animali e vegetali, per un periodo
lunghissimo bench pur sempre finito. Da questa dottrina del destino esistenziale
delluomo Empedocle fa discendere unetica consistente in regole di purificazione, tra cui il
vegetarianesimo e la non-violenza nei confronti non solo degli uomini ma anche degli
animali. Attraverso lautopurificazione, infatti, ogni individuo pu reincarnarsi in forme
sempre pi elevate di esistenza umana fino a ripristinare il proprio rango divino originario.

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VIAGGI DI IERI&VIAGGI DI OGGI


EMPEDOCLE E LA TEORIA DEL BIG BANG
La cosmogonia di Empedocle collegabile alla teoria contemporanea del Big bang
secondo la quale luniverso si formato circa 14 miliardi di anni fa in seguito
allesplosione di una singolarit cio di un grumo superconcentrato ed omogeneo di
energia/materia con dimensioni nulle. Amicizia e Contesa possono essere avvicinate a
due delle grandi forze delluniverso individuate dalla teoria del Big bang: la forza
centrifuga repulsiva derivante dallesplosione/espansione originaria e la forza centripeta
attrattiva, o forza gravitazionale, prodotta dalla materia presente nelluniverso.
Inoltre la concezione empedoclea del ciclo cosmico di formazione-distruzioneriformazione delluniverso affine a una delle tre ipotesi scientifiche attuali sul decorso
futuro delluniverso: quella del cosiddetto big crunch secondo cui data la possibile
prevalenza della forza gravitazionale centripeta su quella espansiva centrifuga
lespansione delluniverso si fermer ed esso imploder su s stesso fino a tornare una
singolarit che poi riesploder nuovamente per dare origine di nuovo alluniverso.

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TAPPA 2

ANASSAGORA: I PRINCIPI SONO I SEMI E LINTELLIGENZA


Insieme erano tutte le cose, illimiti per quantit e per piccolezza, perch
anche il piccolo era illimite. E stando tutte insieme, nessuna era discernibile,
a causa della piccolezza: su tutte predominavano laria e letere, essendo
entrambi illimitati: sono infatti queste nella massa totale le pi grandi per
quantit e per grandezza.
DK 59 B 1
Bisogna supporre che in tutti gli aggregati ci siano molte cose e di ogni genere,
cio semi di tutte le cose con forme e colori e sapori di ogni tipo. []
Mentre tutte le altre cose sono parti di ogni altra cosa, lIntelligenza
illimitata, si autogoverna, non mescolata ad alcuna cosa ma
autonomamente in s. Se non fosse in se stessa, ma fosse mescolata ad altro,
prenderebbe parte a tutte le cose [] In tutto si trova infatti parte di ogni cosa
[] e le cose mischiate con essa la limiterebbero impedendole di dominarle
[] E infatti la pi sottile e la pi pura di tutte le cose e possiede piena
conoscenza di tutto []; e su quante cose hanno vita, quelle pi grandi e
quelle pi piccole, su tutte domina lIntelligenza.
Simplicio, In Aristotelis Physicorum libros

Per Anassagora il cosmo naturale possiede infiniti elementi costitutivi, corrispondenti alle
propriet qualitative di tutte le cose. Anassagora li denomina semi (sprmata) per
significare appunto che essi sono i principi generativi di tutti gli enti naturali. I semi sono
infiniti in un duplice senso:
il loro numero totale infinito
i loro tipi sono infiniti.
Insomma, per Anassagora vi sono infinite differenze qualitative originarie che danno
ragione dellimmensa variet di enti e caratteristiche presente nel cosmo. Esempi di semi,
cio di queste infinite qualit originarie, sono: il legno, il granito, la carne, lerba, la piuma,
loro, ecc.
Secondo Anassagora, ogni seme invisibile, perch di dimensioni infinitamente piccole. I
semi, infatti, sono infiniti anche in un ulteriore senso: essi possono essere divisi allinfinito.
Per, ognuna delle parti in cui un seme viene diviso rimane qualitativamente identica ad
esso in quanto mantiene la sua stessa composizione.

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In quanto infinitamente divisibili e quindi capaci di contenere infiniti aspetti, ogni seme
contiene al suo interno tutti gli altri, cio anche ogni altro tipo di qualit. Da questo punto
di vista, afferma Anassagora, ogni seme del tutto omogeneo a tutti gli altri semi. Ma
allora come fanno a essere diversi? Anassagora chiarisce che ogni tipo di semi si differenzia
dagli altri perch in ognuno di essi prevale quantitativamente quellaspetto qualitativo che
ne costituisce lidentit propria. Per esempio, nel seme delloro c anche il legno, il granito,
la carne, ecc., ma le parti auree prevalgono quantitativamente su tutte quelle di altro tipo.
I semi, per Anassagora, sono eterni. Essi non si generano, non si distruggono e non
mutano. Gli enti naturali non sono altro che dei composti di semi. La loro generazione, la
loro dissoluzione e il loro cambiamento sono la conseguenza dellaggregazione e della
disgregazione parziale o totale dei semi che li compongono. Il mutamento, pertanto,
razionalmente accettabile perch non implica lammissione dellesistenza del nulla.

Ogni seme contiene tutti gli altri, seppure in numero minore, e a sua volta ogni cosa
contiene ogni tipo di seme, bench in numero e quindi in proporzioni diverse rispetto alle
altre cose. In questo senso Anassagora afferma che tutto in tutto, cio che ogni cosa ha
in s gli stessi elementi con cui sono fatte tutte le altre, ovvero tutte le cose sono tra loro
qualitativamente omogenee. Anassagora pu cos conseguire tre importanti risultati:
1) legittimare razionalmente non solo il mutamento ma anche la molteplicit degli enti
naturali, ovvero argomentare in modo stringente che ammettere la molteplicit non
significa ammettere il non-essere: infatti, dal momento che ogni cosa contiene le
stesse qualit di ogni altra, seppur in proporzioni differenti nessuna cosa non
unaltra, cio la negazione assoluta di unaltra cosa diversa;
2) concepire le qualit opposte come complementari, cio fondamentalmente unite,
ovvero mai contraddittorie: infatti, per esempio, il caldo non lopposto
contraddittorio del freddo, ma una quantit minore di freddo, cos come il freddo
una quantit minore di caldo. In altre parole, gli opposti apparentemente
contraddittori sono solo livelli quantitativi diversi di una stessa qualit.
3) spiegare il fenomeno biologico dellalimentazione e altri fenomeni naturali analoghi
(che oggi chiamiamo reazioni chimiche) nei quali alcune sostanze si trasformano
in altre completamente diverse (per esempio il pane mangiato dalluomo si
trasforma in capelli, ossa, muscoli).
Il processo bio-chimico della digestione diventa, cos, per Anassagora un argomento
empirico, e dunque di tipo induttivo, a sostegno della sua teoria dei semi: il fatto che le
sostanze che mangiamo si trasformino in tessuti del nostro corpo prova che tutto
costituito dai semi.

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Ma come avviene il passaggio dai semi originari al cosmo? In origine, infatti, sostiene
Anassagora, tutti i semi sono condensati in una sorta di caotico magma. In questo stato le
loro qualit non sono differenziate e perci non possono manifestarsi, rendersi visibili,
essere pienamente reali. Il magma originario, insomma, , per cos dire, come una nebbia
uniformemente grigia.
Per spiegare il passaggio dal magma al cosmo, Anassagora introduce un nuovo principio,
lIntelligenza. Si tratta di un principio pur sempre fisico, ma eterno, immutabile e quindi
divino, dotato di una fisicit finissima e illimitata che gli permette di avvolgere e
compenetrare tutte le cose. Esso non ha carattere personale, cio non possiede coscienza,
intenzionalit e volont, ma non nemmeno soltanto una forza cosmica. E piuttosto una
legge razionale e dinamica che governa tutte le cose. Come tale presente in ogni cosa ma
senza mescolarsi con nessuna. In questo modo non limitata da niente e quindi del tutto
indipendente e pu pertanto imporre il suo ordine a tutti gli enti naturali.
LIntelligenza d origine al cosmo imprimendo al magma primordiale un movimento
rotatorio che a sua volta provoca la separazione:
dei semi pi pesanti, quelli pi densi, freddi, umidi e opachi, in origine fusi
nellaria;
dai semi pi leggeri, quelli pi rarefatti, caldi, secchi e luminosi, fusi nelletere (dal
greco athein=ardere, brillare), la sostanza di cui fatto il cielo.
Per effetto della forza centrifuga prodotta dalla rotazione, infatti, i semi pi pesanti si
dispongono nel centro, quelli pi leggeri si dislocano ai bordi. A partire da questa
distinzione, lIntelligenza orchestra il processo di continua aggregazione, disgregazione e
riaggregazione dei semi in base al quale il cosmo naturale prende forma e muta. In questo
modo dalletere si formano gli astri e dallaria tutti gli elementi terrestri (acqua e terra). Il
processo di formazione e trasformazione del cosmo si configura per Anassagora come
unevoluzione lineare, cio come un processo di progressivo e continuo perfezionamento.

Con la teoria dei semi Anassagora spiega e norma anche la conoscenza umana. Secondo
Anassagora, la conoscenza, per essere veritiera, deve partire dalle sensazioni, cio
dallesperienza sensibile. I dati sensibili al loro volta sono conservati, ma anche collegati e
ordinati per tipi, dalla facolt della memoria. In base ai dati sensibili lintelligenza umana
elabora delle ipotesi teoriche di spiegazione dei fenomeni. Quando le teorie trovano
conferma in un gran numero di dati sensibili accumulatisi nella memoria allora diventano
scienza, cio conoscenza veritiera e quindi affidabile. In questo senso, Anassagora sostiene
una strategia argomentativa di tipo empirico-induttivo.

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Tuttavia, le conoscenze scientifiche per Anassagora hanno anche uno scopo pratico. In
altre parole, esse devono tradursi in tecniche applicabili alla realt naturale e capaci di
trasformarla in modo da permettere alluomo di produrre ci di cui ha bisogno. In questa
prospettiva, lapplicazione tecnica efficace di unipotesi scientifica costituisce unulteriore,
importante conferma della sua verit. Anassagora introduce cos una nuova strategia
argomentativa, largomentazione pragmatica, che induttiva come quella empirica, ma
non fa leva sulla corrispondenza tra una tesi e numerose osservazioni sensibili ma sulla
capacit di quella tesi di tradursi in tecniche che producono effetti efficaci e vantaggiosi per
luomo. Inoltre lattivit tecnica, per Anassagora, occasione a sua volta di nuove e pi
approfondite esperienze sensibili e contribuisce cos al progresso della scienza. In questa
prospettiva, Anassagora ritiene che lintelligenza delluomo sia strettamente connessa e
direttamente proporzionale alla sua abilit manuale.

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VIAGGI DI IERI&VIAGGI DI OGGI


ANASSAGORA E LA CHIMICA E LA FISICA
La chimica contemporanea ha accertato lesistenza di 104 elementi di base, di cui 90
naturali e 14 artificiali.
La fisica subnucleare giunta (forse solo per il momento) a individuare come parti
minime della materia gli elettroni, i muoni, i tau, 3 tipi di neutrini (elettronico, muonico e
tau) e 6 tipi di quark (up, down, bottom, top, strange, charme). Ma ci sono anche le
particelle che costituiscono le 4 forze fondamentali (elettromagnetica, gravitazionale,
nucleare debole e nucleare forte), e cio fotoni, gravitoni, bosoni Z,W-,W+, e gluoni.
Insomma 28 tipi di particelle elementari, che diventano 56 considerando le rispettive
antiparticelle di antimateria.
Dunque, molti tipi di elementi chimici e di particelle elementari fisiche ma certo non
infiniti come i semi secondo Anassagora.

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TAPPA 3

DEMOCRITO: I PRINCIPI SONO GLI INDIVISIBILI


Democrito ritiene che la materia di ci che eterno consiste in piccole
sostanze infinite di numero; e suppone che queste siano contenute in altro
spazio, infinito per grandezza; e chiama lo spazio coi nomi di vuoto e di
niente e di infinito, mentre d a ciascuna delle sostanze il nome di ente
e di solido e di essere. Egli reputa che le sostanze siano cos piccole da
sfuggire ai nostri sensi; e che esse presentino ogni genere di figure e
differenze di grandezza. [] Esse lottano e si muovono nel vuoto, a causa
della loro diseguaglianza e delle altre differenze ricordate, e nel muoversi si
scontrano e si legano in un collegamento tale che le obbliga a venire in
contatto reciproco e a restare unite [].
Simplicio, In Aristotelis De caelo

Secondo Democrito, la realt fatta esclusivamente di materia e la materia non


infinitamente divisibile, ma composta da corpuscoli irriducibili da lui chiamati appunto
indivisibili (in greco toma). Essi sono piccolissimi e quindi non possono essere percepiti
dai sensi umani. Come possibile allora affermarne lesistenza? Democrito risponde che
gli indivisibili sono forme mentali, cio rappresentazioni concettuali la cui esistenza
reale ricavabile da un ragionamento puramente teorico. Per sostenere la sua tesi,
Democrito usa la strategia argomentativa di tipo dialettico.
Ci sono state tramandate due argomentazioni dialettiche dellesistenza degli indivisibili,
che partono entrambe dallipotesi che la materia sia divisibile allinfinito:
1) se cos fosse, ogni corpo fisico potrebbe penetrare e attraversare ogni altro corpo
fisico, per esempio un uomo potrebbe passare attraverso il tronco di un albero. Ma
questo assurdo perch lesperienza attesta che i corpi solidi non possono
attraversare altri corpi solidi, in quanto hanno propriet di durezza, resistenza e
impenetrabilit.
2) Sempre se la materia fosse divisibile allinfinito, ogni corpo sarebbe divisibile fino
ad arrivare a parti di grandezza nulla, ovvero a punti geometrici privi di dimensioni.
Se volessimo riaggregare tutte le parti ultime, cio tutti i punti, non riusciremmo pi
a ricostituire il corpo originario, perch una somma di zero d zero, ovvero una
gradezza nulla. Ma ci assurdo.

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Pertanto, conclude Democrito, lipotesi dellinfinita divisibilit confutata e quindi risulta


dimostrato che la materia composta da indivisibili. E proprio la loro irriducibilit che
spiega, infatti, la durezza e la grandezza dei corpi.

Democrito sostiene che gli indivisibili sono in numero infinito, eterni e immutabili e
dotati costitutivamente di movimento uniforme. Ci significa che il loro movimento non
leffetto di un principio o di una forza esterna ad essi ma un loro impulso fisico originario
e inesauribile. Questa loro decisiva propriet intrinseca presuppone, secondo Democrito,
lesistenza di un vuoto, cio dello spazio in cui gli indivisibili si muovono. E poich gli
indivisibili, e il loro moto, sono infiniti, anche il vuoto-spazio dovr necessariamente essere
infinito e dunque anche del tutto omogeneo, cio senza n centro n periferia, n alto n
basso.
Gli indivisibili, afferma Democrito, si differenziano per:
la conformazione fisica, ovvero grandezza, volume, forma geometrica, posizione
nello spazio (il peso dipende dalla relazione tra grandezza/volume e moto);
lordine di disposizione delle loro caratteristiche fisiche: p.e., spigolo-conca-piano
anzich conca-spigolo-piano.

In origine, continua Democrito, gli indivisibili si muovono disordinatamente in modo


simile alle particelle di pulviscolo atmosferico nella luce di un raggio di sole. Prima o poi,
necessariamente, essi si urtano e si aggregano. In questo modo il loro moto disordinato si
trasforma progressivamente in un moto rotatorio.
Di conseguenza gli indivisibili e i primi aggregati di indivisibili, pi voluminosi, e quindi
pi pesanti, si dispongono al centro del vortice, mentre quelli meno voluminosi e quindi
meno pesanti si dislocano ai bordi. Il moto rotatorio produce aggregati di indivisibili
sempre pi grandi fino alla formazione degli astri. Poich lo spazio e gli indivisibili sono
infiniti, luniverso per Democrito composto da infiniti mondi. Tutti gli esseri naturali
minerali, vegetali o animali che siano sono aggregati di indivisibili. La loro incredibile
variet si spiega sia con le differenze sussistenti tra gli indivisibili sia con quelle sussistenti
tra le loro diverse catene di aggregazione, in modo analogo a come le diverse parole
dipendono sia dalle diverse lettere dellalfabeto sia dalle diverse sequenze che le lettere
possono comporre.

Ogni fenomeno naturale delluniverso, ovvero il divenire naturale, dipende per Democrito
dal moto incessante degli indivisibili che, dopo essersi aggregati una prima volta,

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incessantemente si disgregano e si riaggregano urtandosi gli uni gli altri. In questo modo
Democrito elabora una concezione della natura nuova, che si pu definire:
meccanicistica, in quanto concepisce ogni fenomeno naturale come effetto del moto
e degli urti di particelle materiali, senza ricorrere a nessuna altra forza n ad alcuna
altra legge razionale esterna;
deterministica, in quanto tutti i fenomeni naturali sono concepiti come rapporti
necessari di causa-effetto, cio non possono non avvenire n possono avvenire
diversamente da come avvengono.

Poich tutti gli enti naturali sono aggregati di indivisibili e poich gli indivisibili hanno
caratteristiche unicamente quantitative, secondo Democrito, le uniche reali propriet della
natura sono quelle quantitative. Ma allora come mai la natura sembra possedere
soprattutto propriet qualitative come colori, odori, sapori, suoni, caldo e freddo, umido e
secco? Le propriet qualitative, risponde Democrito, sono solo nostre illusioni sensoriali.
Esse dipendono cio dalla natura e dalle modalit di funzionamento dei sensi delluomo.
Infatti, la conoscenza sensibile nasce dallurto dei corpi naturali con gli organi di senso del
nostro corpo. Questo urto nel caso del tatto e del gusto diretto, nel caso di udito, odorato
e vista indiretto, ovvero mediato da altri corpi. Per esempio, noi udiamo perch i suoni
sono vibrazioni dellaria che colpiscono il nostro orecchio, mentre odoriamo e vediamo
perch tutti i corpi esterni rilasciano continuamente delle loro immagini (idola), cio
delle loro copie microscopiche dei microagreggati di indivisibili identici ai
macroaggregati dai cui si distaccano i quali entrano nel naso o nellocchio.
Di conseguenza, secondo Democrito, la percezione sensibile sempre un misto delle
caratteristiche del corpo esterno e di quelle del nostro organo di senso. Ci equivale a dire
che i nostri sensi modificano le propriet dei corpi esterni, ovvero trasformano le loro
propriet quantitative in propriet qualitative e quindi le percepiscono come tali. Per
esempio, il gusto trasforma la rotondit degli atomi dello zucchero nella sensazione del
dolce, la vista trasforma lampiezza dellangolo di riflessione della luce sugli atomi dei
petali delle rose nel colore rosso, ecc.

Dato il carattere illusorio delle sensazioni, per Democrito la scienza cio la conoscenza
vera, certa, oggettiva non pu affidarsi alla conoscenza sensibile. Essa deve fondarsi sulla
ragione pura, cio sullelaborazione di modelli teorici di spiegazione razionale dei dati
empirici. In questa prospettiva, il principio teorico fondamentale della scienza che la
natura possiede una costituzione geometrico-quantitativa. Ne consegue che fare scienza
significa spiegare tutti i fenomeni naturali in base alle sole propriet geometricoquantitative (lunghezza, volume, peso, velocit, ecc.), astraendo completamente da quelle

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qualitative (colore, sapore, odore, ecc.). Tuttavia, afferma Democrito, lesperienza sensibile
va considerata e usata come il banco di prova di ogni spiegazione teorica. In altre parole
una teoria scientifica non deve fondarsi sulla conoscenza dei sensi, ma non pu comunque
contraddirla. Se dunque lesperienza sensibile contraddice una teoria, questa teoria deve
essere considerata falsa.
Anche letica, cio la dottrina del miglior comportamento umano, deve basarsi sulla
razionalit. Letica di Democrito propone infatti a ogni uomo di perseguire la sua felicit
individuale considerando come massimo valore quello della serenit interiore e come
strumento fondamentale per raggiungerlo la ragione intesa come capacit di negare o
almeno moderare i desideri sensibili e le passioni.

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VIAGGI DI IERI&VIAGGI DI OGGI


ATOMISMO ANTICO E ATOMISMO MODERNO
Indivisibile in greco antico si diceva tomos. Quando, allinizio dellOttocento
nellambito delle ricerche chimiche di Proust, Dalton e Avogadro si ebbero le prime
conferme sperimentali della natura corpuscolare della materia, in onore di Democrito gli
scienziati chiamarono atomo la parte minima di materia.
In realt non avevano ancora scoperto gli atomi, bens le molecole, ma da quelle prime
ricerche si giunse in breve allisolamento dellatomo e, nel 1911, al modello atomico di
Rutherford, quello secondo il quale ogni atomo composto da un nucleo centrale con
carica elettrica positiva intorno al quale ruotano uno o pi elettroni con carica elettrica
negativa.
La ricerca scientifica successiva, per, scopr che il nucleo atomico era a sua volta
divisibile in protoni e neutroni, questi ultimi a loro volta in quark e oggi molti e
accreditati fisici (ma non tutti) ipotizzano che i quark siano formati da filamenti elastici
chiamati stringhe o corde.
Insomma, non solo nella scienza attuale ci che viene chiamato atomo non corrisponde
allindivisibile di Democrito (semmai vi corrispondono i quark), ma non si pu fare a
meno di nutrire almeno un ragionevole dubbio sul fatto che la materia sia effettivamente
composta da indivisibili.
Inoltre, bench lantica teoria atomistica di Democrito abbia dato un contributo insigne
allo sviluppo della scienza dal XVII al XIX secolo, attestando ancora una volta quanto la
filosofia sia funzionale al progresso scientifico, a partire dal XX secolo, la scoperta della
teoria quantistica delle particelle elementari (gli indivisibili di Democrito) ha confutato
la concezione meccanicistico-deterministica democritea (fatta propria da molti scienziati
dellOttocento). Infatti, per la sempre pi confermata e quindi attuale teoria dei quanti, il
moto delle particelle elementari caotico e quindi imprevedibile e, a rigore, in tal senso,
non pi adeguato il concetto stesso di causalit.

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TAPPA 4

LA SCIENZA DEI COSMOLOGI PLURALISTI


A me dunque questa malattia [lepilessia] non pare affatto essere pi divina
delle altre, bens ha una base naturale comune a tutte, e una causa razionale
dalla quale ciascuna dipende: ed curabile, per nulla meno delle altre.
Quanti si sono accinti a parlare o a scrivere di medicina, fondando il proprio
discorso su un postulato, troppo semplificando la causa originaria delle
malattie e della morte degli uomini, a tutti i casi attribuendo la medesima
causa, costoro sono palesemente in errore.
Ippocrate, Corpus Hippocraticum

Empedocle svolge ricerca scientifica a livello medico-biologico studiando per esempio il


battito del cuore, il funzionamento della respirazione, lo sviluppo delle uova e anche a
livello fisico, studiando per esempio la riflessione della luce, levaporazione dellacqua, il
ciclo stagionale. Egli conduce, inoltre, una ricerca tecnica contribuendo per esempio al
miglioramento delle tecniche di travaso dei liquidi, di fabbricazione dei vasi e di
miscelazione dei colori.
Come scienziato, Empedocle fa leva sullosservazione empirica e sulla generalizzazione di
fenomeni e propriet. La sua, per, non una generalizzazione induttiva, ossia basata sulla
ricorrenza di molti casi uguali (p.e. losservazione che molti cani hanno quattro zampe, da
cui si ricava che tutti i cani sono quadrupedi), ma analogica, cio fondata sul presupposto
della somiglianza di ogni cosa con ogni altra cosa. Per esempio, in base allanalogia
Terra/corpo umano, Empedocle sostiene che il mare il sudore che si sprigiona dalla Terra
a causa dellazione del suo calore interno. In questo senso la scienza di Empedocle
costituisce un esempio di magia naturalistica, cio di un sapere empirico che, a differenza
della scienza vera e propria, si basa sui seguenti principi:

il carattere organico, vivente, animato di tutta la natura;


lisomorfismo, cio una comune struttura, di tutte le cose naturali;
la possibilit da parte delluomo di sfruttare le somiglianze/dissomiglianze tra tutte le
cose naturali per far loro produrre effetti prodigiosi utili alla vita pratica.

Ben diverso dalla magia fantastica o superstiziosa, il sapere magico-naturalistico


rappresenta una componente ricorrente del processo di costruzione e sviluppo della
scienza.

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La produzione scientifica di Anassagora si basa invece sulluso della generalizzazione


induttiva a partire dallesperienza. In questo modo egli giunge a elaborare le seguenti
innovative tesi astronomiche:

le stelle sono rocce infuocate;


le comete sono pianeti incendiati che sprigionano scintille;
le dimensioni del Sole, data la sua distanza dalla Terra, sono molto maggiori di
quelle che vediamo a occhio nudo;
la Luna brilla di luce solare riflessa, ha una superficie simile a quella terrestre ed
abitata, come del resto molti altri corpi celesti.

Le prime due tesi sono basate sullosservazione di un meteorite caduto sulla superficie
terrestre che aveva permesso di appurarne le caratteristiche geologiche.
Anassagora inoltre abbozza una teoria evoluzionistica della formazione della specie umana
secondo la quale i primi uomini nacquero dallumidit e poi cominciarono a riprodursi
sessualmente incrementando continuamente la propria intelligenza fino a raggiungere un
primato su tutti gli enti naturali. Il progredire dellintelligenza umana si deve, secondo
Anassagora, alla manualit delluomo, cio alla capacit umana di usare le mani per
fabbricare oggetti artificiali.
In questo senso Anassagora esalta la tecnica e la utilizza anche come strumento di verifica
delle ipotesi scientifiche. Egli non fa solo esperienze ma anche esperimenti cio
esperienze progettate razionalmente e attuate con strumenti artificiali , come quello della
compressione di un otre di pelle senza liquidi ma tappato, che, opponendo resistenza,
evidenzia la pressione esercitata dallaria, attestando la sua materialit e linesistenza del
vuoto.

Una delle pi importanti innovazioni scientifiche del V secolo lo sviluppo della medicina
a opera di Ippocrate (460-370 a.C.) di Cos (isola ionica). Ippocrate innanzitutto il primo
medico che, pur non negando lesistenza di divinit, afferma il carattere esclusivamente
naturale delle malattie ed espelle dalla terapia medica tutti i residui di concezioni e
pratiche religiose.
E emblematica in questo senso la sua confutazione del cosiddetto male sacro, cio
dellepilessia in quanto creduta malattia di origine divina. Secondo Ippocrate, lepilessia
invece una malattia del cervello, da lui ritenuto organo della sensazione e del pensiero.

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In secondo luogo, Ippocrate elabora un nuovo metodo scientifico basato sullinterazione e


sul reciproco controllo di osservazione empirica e teorizzazione razionale. Egli arriva al
nuovo metodo partendo dalla critica ai metodi tradizionali della scuola medica di Cnido
(isola vicina a Cos) e della scuola medica italica ( viaggio B, tappa 5). Alla prima
Ippocrate rimprovera di aver valorizzato solo la casistica individuale, cio la descrizione e
la registrazione dei sintomi specifici delle malattie di singoli malati, senza cercare di
individuarne gli aspetti e le cause comuni; alla seconda di aver ricondotto i casi individuali
a cause comuni troppo generali e astratte quali caldo, freddo, secco, umido senza tener
conto a sufficienza della loro effettiva corrispondenza allesperienza concreta, cio a
componenti reali del corpo umano.
Per superare questi due opposti difetti, Ippocrate concepisce e pratica la scienza medica
come individuazione delle modalit e delle cause generali delle malattie cio come loro
descrizione e spiegazione sulla base di modelli teorici generali fondata per su una
stretta corrispondenza ai casi empirici individuali cos come emergono dallosservazione.
In questa prospettiva, Ippocrate considera i suoi modelli teorici delle congetture, cio delle
conoscenze parziali e provvisorie, basate su passate esperienze, che devono essere
costantemente verificate e modificate alla luce di nuove esperienze.

Il principio pi generale della teoria ippocratica della malattia che essa sia la rottura
dellequilibrio tra le diverse componenti del corpo umano. Tra queste le pi importanti
sono il catarro, la bile e il sangue. Si tratta di liquidi organici che possiedono delle
propriet attive (p.e. lacidit, lastringenza, la diureticit) capaci di modificare il
funzionamento dellorganismo.
La malattia, in questo senso, consiste nelleccesso di una o pi qualit attive a sua volta
conseguenza della prevalenza di un umore sugli altri. Leccesso che rompe lequilibrio, cio
lo stato di salute, dovuto a una causa esterna al corpo.
Su questa base, Ippocrate stabilisce tre tipi generali di cause delle malattie:
1) ambientali, legate al luogo geografico e al clima ma anche al contesto sociale;
2) di stile di vita, connesse alle modalit della condotta individuale di vita
(alimentazione, tipo di lavoro, relazioni con gli altri, ecc.);
3) traumi, cio lesioni fisiche come ferite di guerra o rotture di arti ma anche lesioni
psichiche dovute a conflitti emotivi.

La terapia medica per Ippocrate deve basarsi su tre momenti:

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1) lanmnesi (in greco ricordo), cio la ricostruzione della storia della salute di un
individuo a partire dalla nascita;
2) la diagnosi, cio la comprensione del tipo di malattia di cui il malato affetto e
lindividuazione delle sue cause;
3) la prognosi, cio la previsione del decorso della malattia ovvero sulla possibilit o
meno di guarigione e sui suoi eventuali modi e tempi.
In base ad anmnesi, diagnosi e prognosi, secondo Ippocrate pu essere stabilita la terapia
adeguata che consiste in:
a)
b)
c)
d)
e)

farmaci di origine vegetale,


dieta alimentare appropriata,
comportamenti funzionali (riposo, ginnastica, bagni, massaggi),
soggiorni o trasferimenti in luoghi salubri,
interventi sullambiente in cui si vive per garantirne ligiene.

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LO SCRIGNO
ALEX VILENKIN: LA SCOPERTA DELLA GRAVITA REPULSIVA
Cos stavano le cose [la gravit era considerata una forza solamente
attrattiva, ndr] fino al 1998 quando due gruppi di ricerca indipendenti
annunciarono una scoperta sensazionale. Essi misurarono la luminosit delle
esplosioni di supernova in galassie lontane, e utilizzarono i dati per calcolare
levolversi dellespansione cosmica. Con loro grande sorpresa, trovarono che,
anzich essere rallentata dalla gravit, lespansione sta in realt accelerando.
Questa scoperta fa pensare che lUniverso sia pieno di una qualche materia a
gravit repulsiva. La possibilit pi semplice che il vero vuoto, in cui noi ora
abitiamo, abbia una densit di massa diversa da zero. Come sappiamo, il
vuoto possiede gravit repulsiva, e se la sua densit superiore a 1/2 del
valore di densit media di materia, il risultato una forza repulsiva.
Alex Vilenkin, Un solo mondo o infiniti?, Cortina 2007, p. 126-127

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LA SCOPERTA
LA RAZIONALITA UMANA

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Cannocchiale su
LORIZZONTE STORICO-CULTURALE
LETA GRECA CLASSICA (V sec. a.C.)

Nella prima met del V secolo, le principali poleis greche, alleatesi sotto la guida di Sparta
e Atene, riuscirono, nel corso di due guerre successive (490-478 a.C.), a sconfiggere
limpero persiano, che aveva tentato di conquistarle. Fu un evento storico epocale, in
quanto in questo modo i Greci (bench non tutti, perch alcune poleis si allearono con i
persiani) non solo difesero la loro indipendenza e la loro libert, ma salvarono la loro
cultura che altrimenti sarebbe stata soffocata da quella orientale dei persiani e con essa
la futura cultura occidentale, dal momento che lantica cultura greca ne costitu la prima e
fondamentale pietra.
Nellimmediato, lesito vittorioso delle guerre persiane conferm e rafforz il primato delle
due maggiori poleis greche, Sparta e Atene. Ma mentre Sparta torn a una politica estera
isolazionistica, paga del suo dominio sul Peloponneso, e mantenne la propria
organizzazione politica interna e la propria tradizione culturale, Atene sfrutt appieno il
proprio successo militare con la costituzione della lega delio-attica in funzione antipersiana
e impose progressivamente la propria egemonia imperialistica sulle poleis del mar Egeo e
della Grecia continentale (nel 425 superarono le 400), garantendosi unenorme entrata in
tributi e dando il via a un sempre pi radicale processo interno di democratizzazione
politica e di innovazione culturale.
In questo contesto, a partire dal 462, inizi lascesa politica di Pericle membro dellantica
famiglia aristocratica degli Alcmeonidi ma leader del partito democratico e con essa la
riforma delle istituzioni ateniesi: lantico Areopago fu esautorato di ogni potere tranne
quello di giudicare i delitti di sangue; allEcclesa (lassemblea di tutti i cittadini) venne
affidato il potere decisionale sulle questioni politiche e giudiziarie; alla Bul (un consiglio
di 500 cittadini, scelti a rotazione tra tutti) fu attribuito il potere di governare; soprattutto
fu introdotta unindennit giornaliera per tutti i cittadini che partecipavano alle nuove
istituzioni democratiche cosicch anche gli ateniesi meno abbienti potessero permettersi il
lusso di fare politica in prima persona.
Dal 443 al 427 (anno della sua morte), Pericle fu sempre eletto stratega e grazie a questa
carica ufficiale ma soprattutto alla sua abilit politica e al suo carisma umano, riusc a
dirigere il governo ateniese. Due furono le sue pi importanti realizzazioni governative: il
finanziamento e la promozione dellarte, della cultura e dellistruzione; e il miglioramento
delle condizioni economiche e sociali delle classi inferiori. Per il primo aspetto, Pericle fece
costruire il Partenone e molti altri edifici pubblici e monumenti, e accolse e sostenne
artisti, poeti, filosofi, storici, organizzando nella propria dimora, insieme alla colta e
brillante moglie Aspasia, un circolo di intellettuali che comprendeva, tra gli altri, lo storico

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Erodoto, il tragediografo Sofocle, lo scultore Fidia, il filosofo Anassagora, larchitetto e


urbanista Ippodamo. Per quanto riguarda la sua politica sociale, Pericle, grazie al suo
grande programma di costruzione di opere pubbliche, increment notevolmente i posti di
lavoro manuali, e inoltre nei territori conquistati o in quelli delle poleis alleate istitu
colonie ateniesi dando in usufrutto terre da coltivare ai teti (i nullatenenti) che cos
potevano diventare zeugiti (la classe dei piccoli proprietari) e combattere come opliti.
Quella di Atene durante let di Pericle fu, dunque, un tanto raro quanto significativo
esempio storico di democrazia diretta e di Stato sociale. Esso ebbe per tre grandi, e gravi,
limiti: 1) a livello di risorse finanziarie statali, si reggeva sul dominio imperialistico che
Atene esercitava sulle poleis della Lega di Delo, costrette a versarle tributi; 2) a livello
politico, i cittadini ateniesi, cio quelli che potevano votare e ottenere cariche o benefici
statali, erano solo i maschi adulti figli di genitori ateniesi e liberi, ossia le donne, gli
immigrati (anche di seconda o terza generazione), i minorenni e naturalmente gli schiavi
non avevano diritti politici; 3) a livello economico, la ricchezza prodotta si basava in gran
parte sullo sfruttamento spietato degli schiavi, anche e soprattutto nelle numerose miniere
dellAttica.

In ambito culturale, il V secolo rappresenta let classica della civilt greca, da molti
considerata non solo quella della sua massima fioritura ma perfino uno dei periodi di
massimo splendore culturale dellintera storia della civilt umana.
Nellambito della letteratura, fu let del trionfo della creativit teatrale, sia di tipo tragico
sia di tipo comico. Il teatro greco era gi nato ad Atene nella seconda met del VI secolo
per volont del tiranno Pisistrato, che aveva istituito le feste Dionsie, sette giorni
primaverili, tra marzo e aprile, in cui si celebrava il dio agreste Dioniso con riti,
processioni, vere e proprie baldorie o addirittura orge, ma anche e soprattutto con
rappresentazioni teatrali di tragedie e commedie dallalba al tramonto. Trattandosi di una
ricorrenza civico-religiosa, a spese dei cittadini pi ricchi, tutti gli ateniesi erano tenuti a
parteciparvi e addirittura i cittadini pi poveri ricevevano un contributo affinch potessero
permettersi di non lavorare per un settimana. Ma alle Dionsie erano invitati anche gli
stranieri residenti o di passaggio. Il loro scopo politico erano, infatti, sia la coesione sociale
interna sia la propaganda della superiorit culturale e civile di Atene tra tutti i Greci.
Fu per nel corso del V secolo che la produzione teatrale ateniese raggiunse lacme
artistico, grazie alle tragedie di Eschilo, Sofocle ed Euripide e alle commedie di Aristofane.
Le tragedie greche attingevano allantichissimo patrimonio dei miti ma lo attualizzavano
sia elaborandone nuove versioni sia soprattutto con la loro rappresentazione teatrale.
Infatti, prima della nascita della tragedia i miti Greci erano cantati dagli aedi, mentre dalla
seconda met del VI secolo vennero trasmessi attraverso lazione scenica (drma in greco
antico significava azione), fermo restando che le battute dei protagonisti erano in versi,
cio in forma poetica, e che addirittura il coro, che aveva un ruolo fondamentale, cantava e

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danzava (in questo senso la tragedia greca assomigliava pi a unodierna opera lirica che a
un attuale spettacolo teatrale).
I temi al centro della tragedia greca antica furono: innanzitutto il carattere conflittuale
della vita, non solo e non tanto nel senso che ogni individuo si scontra inevitabilmente con
altri individui, e non solo uomini ma perfino dei, ma anche e soprattutto che ogni
individuo diviso in se stesso, fondamentalmente doppio, sempre scisso e combattuto
nella scelta tra ragioni e valori che si escludono a vicenda (p.e. lamore per il fratello e il
rispetto delle leggi della plis); in secondo luogo, il fondo misterioso, incomprensibile,
dellesistenza, che si manifesta nelle insolubili alternative tra scelta o destino, colpa o
innocenza, responsabilit o irresponsabilit, nel senso che lagire individuale appare sia
determinato sia voluto, e quindi lindividuo al tempo stesso innocente e colpevole,
irresponsabile e responsabile; infine, la presenza di unenigmatica legge della vita, legata
alla correlazione tra lbris (la tracotanza, leccesso), propria di ogni individuo, e la
nmesis (la giustizia), ovvero la forza divina che punisce prepotenze ed eccessi ma
attraverso le azioni di altri individui (p.e. Agamennone, a causa del sacrificio umano della
figlia Ifigenia, si macchiato di bris e per nmesis viene ucciso da sua moglie
Clitennestra).
In questo senso la tragedia greca, da un lato, lespressione pi alta e profonda del rapido
e radicale mutamento della civilt greca, e in particolare di Atene, nel corso del V secolo,
cio del contrasto tra valori e concezioni vecchie e nuove; dallaltro, si intreccia con la
riflessione filosofica, cio ne influenzata e a sua volta la influenza. Da questo punto di
vista, il passaggio da Eschilo e Sofocle a Euripide rappresent una ulteriore, netta
accelerazione. Mentre, infatti, Eschilo aveva dato la preminenza agli dei e Sofocle ai
protagonisti umani ma intesi come eroi, cio come superuomini, Euripide, intriso di
filosofia sofistica, umanizz la tragedia, attribuendo ai protagonisti sentimenti e
comportamenti propri degli uomini comuni e denunciando lirrazionalit e limmoralit
degli dei.
La commedia, invece, che raggiunge un altissimo vertice con Aristofane, ebbe
prevalentemente una funzione di satira delle vicende e dei personaggi politici, ma anche
della nuova mentalit e dei nuovi vezzi degli ateniesi.
Anche la poesia lirica ebbe nel V secolo una funzione civile in quanto lirica corale, cio
poesia celebrativa di dei ed eroi che veniva cantata in cerimonie e feste pubbliche. I pi
grandi poeti lirici dellet classica furono Simonide, Bacchilide e soprattutto Pindaro,
particolarmente significativo perch la sua opera si caratterizza per la fede negli dei
tradizionali, considerati assolutamente giusti e buoni, tanto da negare la fondatezza degli
episodi mitici in cui essi commettevano azioni immorali e da offrirne delle diverse versioni.
Sempre a livello letterario, ma insieme anche scientifico, unaltra novit del V secolo fu la
nascita della storiografia (che includeva anche la geografia, lantropologia e letnografia) ad
opera di Erodoto, autore dei 9 libri delle Storie. Con questopera, infatti, dedicata alle
guerre greco-persiane, Erodoto innanzitutto non si limit alla registrazione dei fatti storici,
ma cerc di individuare le loro cause; e, in secondo luogo, proprio a tale scopo, allarg la

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sua indagine ai diversi ambienti naturali, alle diverse mentalit e ai diversi costumi delle
popolazioni greche e persiane.
Nellambito delle arti plastiche e urbanistico-architettoniche, il V secolo fu caratterizzato
dal succedersi del periodo severo (480-450 a.C.) e di quello classico (450-430 a.C).
Nel primo da evidenziare innanzitutto il maggior uso del bronzo (vedi p.e. i famosi bronzi
di Riace), indice del progresso nella tecnica metallurgica. Ma soprattutto larte severa fu
caratterizzata dallabbandono della frontalit arcaica e dalladozione di forme pi
realistiche, morbide e anatomicamente dettagliate nella rappresentazione delle figure
umane (vedi p.e. il Discobolo di Mirone). Nacque inoltre la grande pittura murale (p.e. la
sto poikle, cio il portico dipinto, di Atene) o su cavalletto, che influenz anche la
ceramografia; lurbanistica assunse lo schema ortogonale, codificato e imposto da
Ippodamo di Mileto; e larchitettura ebbe la sua massima espressione nel grande tempio
dorico di Zeus a Olimpia.
Il successivo periodo classico fu caratterizzato dallimporsi della sezione aurea (il
rapporto tra due segmenti in cui la somma sta al maggiore come il maggiore al minore),
ovvero del numero aureo (1,6180, il numero che esprime quel rapporto), e pi in
generale dalladozione di rigorosi criteri di proporzionalit, armonia e simmetria. Il
numero aureo fu applicato sia alla raffigurazione scultorea (p.e. il Doriforo di Policleto) sia
allarchitettura (p.e. nel Partenone di Fidia). A livello scultoreo, le rappresentazioni del
corpo umano acquistarono ancor pi flessibilit e dinamicit, mentre in pittura si pass dai
grandi affreschi ai dipinti di piccole dimensioni e fu inventata la tecnica del chiaroscuro.

A livello scientifico, nella seconda met del V secolo vi fu un notevole sviluppo delle
tecniche artigianali e dei relativi saperi tecnici (metallurgia, cantieristica, strumenti di
navigazione, agricoltura, culinaria, ceramica, ecc.), favorito dalla diffusione delluso della
scrittura che ne permetteva una trasmissione pi precisa e completa. Tra le scienze vere e
proprie, cio non unicamente pratico-empiriche, ma anche e soprattutto teoriche, i
maggiori progressi si ebbero nella matematica con Ippocrate di Chio, che scopr il calcolo
dellarea delle lunole e introdusse nella logica matematica la dimostrazione per assurdo, e
nella medicina con Ippocrate di Cos, che elabor una nuova sintesi tra osservazioni
individuali e regole generali.

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MESSAGGIO NELLA BOTTIGLIA


Cera un tempo in cui esistevano gli dei, ma non esistevano le stirpi mortali.
Quando anche per queste giunse il tempo segnato dal destino per la loro
generazione, nellinterno della terra gli dei le plasmarono, facendo una
mescolanza di terra e di fuoco, e degli altri elementi che si possono unire col
fuoco e con la terra. E quando si trovarono nel momento di farle venire alla
luce, affidarono a Prometeo e ad Epimeteo il compito di fornire e di
distribuire le facolt a ciascuna razza in modo conveniente. Ma Epimeteo
chiese a Prometeo di poterle distribuire lui da solo: Quando avr finito la
distribuzione soggiunse tu verrai a vedere. E, cos persuasolo, si accinse
allopera di distribuzione. Ad alcune razze diede la forza senza la velocit, e
forn invece le razze pi deboli di velocit. Ad altre assegn armi di difesa e di
offesa, mentre per altre ancora, cui aveva dato una natura inerme, escogit
altre facolt, per garantire la loro salvezza. Infatti, a quelle razze che egli
rivest di piccolezza, diede la capacit di fuggire con le ali, oppure di celarsi
sotto terra; invece a quelle cui forn la grandezza, diede la possibilit di
salvarsi appunto con questa. E anche le altre facolt distribu in questo modo,
in maniera che si equilibrassero. Ed escogit queste cose facendo attenzione
che nessuna razza si potesse estinguere. E, allorch ebbe premunite le varie
razze dei mezzi per sfuggire alle distruzioni reciproche, escogit un
espediente perch si difendessero contro le intemperie delle stagioni che
manda Zeus, rivestendole di folti peli e di spesse pelli, capaci di difenderle dal
freddo e in grado di proteggerle dalle calure, e tali che, quando si coricavano
nei loro giacigli, queste servissero da coltri naturali, proprie a ciascuna di
esse. E ad alcune forn cibi diversi per le diverse razze: ad alcune assegn le
erbe della terra, ad altre i frutti degli alberi, ad altre le radici. E vi sono razze
cui concesse di divorare altre razze di animali per nutrirsi; e provvide che le
prime avessero una scarsa prole, e che quelle che dovevano essere divorate da
queste avessero invece una numerosa prole, assicurando la conservazione
della razza. Orbene, Epimeteo, che non era troppo sapiente, non si accorse di
aver esaurito tutte le facolt per gli animali: e a questo punto gli restava
ancora la razza umana non sistemata, e non sapeva come rimediare. Mentre
egli si trovava in questa situazione imbarazzante, Prometeo viene a vedere la
distribuzione, e si accorge che tutte le razze degli altri animali erano
convenientemente fornite di tutto, mentre luomo era nudo, scalzo, scoperto e
inerme. E ormai savvicinava il giorno segnato dal destino in cui anche luomo
doveva uscire dalla terra alla luce. Allora, Prometeo, in questa imbarazzante
situazione, non sapendo quale mezzo di salvezza escogitare per luomo, ruba
ad Efesto e ad Atena la loro sapienza tecnica insieme col fuoco (senza il fuoco
era infatti impossibile acquisire e utilizzare quella sapienza), e la dona

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alluomo. In tal modo, luomo ebbe la sapienza tecnica necessaria per la vita,
ma non ebbe la sapienza politica, perch questa si trovava presso Zeus, e a
Prometeo non era ormai pi possibile entrare nellacropoli, dimora di Zeus;
per giunta, cerano anche le terribili guardie di Zeus. Entra dunque
furtivamente nella officina di Atena e di Efesto, in cui essi praticavano
insieme la loro arte, e, rubata larte del fuoco di Efesto e quella di Atena, la
dona alluomo. Di qui vennero alluomo le sue risorse per la vita. Ma
Prometeo, a causa di Epimeteo, in seguito, come si narra, sub la pena per il
furto.
E, poich luomo divenne partecipe di sorte divina, in primo luogo, in virt di
questo legame di parentela che venne ad avere col divino, unico fra gli animali
credette negli dei, e intraprese a costruire altari e statue di dei. In secondo
luogo, rapidamente con larte sciolse la voce ed articol le parole, invent
abitazioni, vesti, calzari, letti e trasse gli alimenti dalla terra. Provvisti in
questo modo, da principio, gli uomini abitavano sparsi qua e l, e non
esistevano Citt. Pertanto perivano ad opera delle fiere, giacch erano molto
meno potenti di esse: larte che essi possedevano era per loro un adeguato
aiuto nel procurarsi il nutrimento, ma non era sufficiente alla guerra contro
le fiere. Infatti, essi non possedevano ancora larte politica, di cui larte della
guerra parte. Pertanto, essi cercavano di raccogliersi insieme e di salvarsi
fondando Citt; ma, allorch si raccoglievano insieme, si facevano ingiustizie
lun laltro, perch non possedevano larte politica, sicch, disperdendosi
nuovamente, perivano. Allora Zeus, nel timore che la nostra stirpe potesse
perire interamente, mand Ermes a portare agli uomini il rispetto e la
giustizia, perch fossero principi ordinatori di Citt e legami produttori di
amicizia. Allora Ermes domand a Zeus in quale modo dovesse dare agli
uomini la giustizia e il rispetto: Devo distribuire questi come sono state
distribuite le arti? Le arti furono distribuite in questo modo: uno solo che
possiede larte medica basta per molti che non la posseggono, e cos anche
per gli altri che posseggono unarte. Ebbene, anche la giustizia e il rispetto
debbo distribuirli agli uomini in questo modo, oppure li debbo distribuire a
tutti quanti?. E Zeus rispose: A tutti quanti. Che tutti quanti ne partecipino,
perch non potrebbero sorgere Citt, se solamente pochi uomini ne
partecipassero, cos come avviene per le altre arti. Anzi, poni come legge in
mio nome che chi non sa partecipare del rispetto e della giustizia venga ucciso
come un male della Citt.
Cos, o Socrate, e appunto per queste ragioni, gli Ateniesi, e anche gli altri,
allorch sia in questione labilit dellarte di costruire o di qualche altra arte,
ritengono che pochi debbano prender parte alle deliberazioni. E se qualcuno
che non sia di questi pochi vuol dare consigli, non lo sopportano, come tu dici:
e di buona ragione, aggiungo io. Ma quando si radunano in assemblea per

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questioni che riguardano la virt politica, e si deve quindi procedere


esclusivamente secondo giustizia e temperanza, naturale che essi accettino
il consiglio di chiunque, convinti che tutti, di necessit, partecipino di questa
virt, altrimenti non esisterebbero Citt. Questa, o Socrate, ne la ragione.
Platone, Protagora, in Tutti gli scritti a cura di G. Reale, Rusconi, pp. 818-820.

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VIAGGIO
LA RAZIONALITA
STRUMENTALE DELLUOMO

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ROTTA SU
I SOFISTI
In ambito filosofico, nel V secolo si attua una duplice svolta: da un lato Atene diventa il
centro della ricerca filosofica e scientifica, dallaltro una nuova generazione di filosofi
assume come oggetto privilegiato della propria indagine luomo.
Questa duplice svolta avviene nel periodo di massimo sviluppo economico, sociale e
politico della civilt greca ed connessa in particolare alla supremazia di Atene, ovvero
della polis simbolo della democrazia antica.
In questo contesto nasce e si espande il movimento filosofico dei sofisti. In greco antico
sofista significa letteralmente sapiente. Ma nellAtene della seconda met del V secolo
il termine acquista laccezione di insegnante, in quanto viene usato per designare
uomini di cultura che trasmettono a pagamento le loro conoscenze ai giovani ateniesi. In
questo modo, la filosofia, che precedentemente era stata appannaggio di una lite, si
diffonde tra una cerchia sociale pi ampia. Ci accade perch molti giovani, sia
aristocratici sia borghesi, vogliono acquisire strumenti per poter partecipare alla vita
politica e per poter conseguire le pi ambite cariche politiche e militari.
Di conseguenza linsegnamento e lindagine conoscitiva dei sofisti si concentrano sulla
retorica (larte del parlare, comprendente conoscenze grammaticali, lessicali, stilistiche e
logico-argomentative), sulla letteratura, sulla storia, sulletica, sul diritto e sulla politica.
In questo senso, i sofisti possono essere considerati i fondatori delle scienze umane, o
scienze storico-sociali, ovvero delle scienze che studiano le produzioni storico-culturali
delluomo.
In base alla loro ricerca nellambito delle scienze umane, i sofisti elaborano un nuovo
modello di razionalit, alternativo e perfino antitetico rispetto a quello teorizzato dai
filosofi precedenti, ossia dai cosmologi o fisici. I sofisti, infatti, rigettano la nozione di
verit oggettiva e assoluta, a favore di una concezione soggettiva e relativa della verit.
In questo senso per i sofisti la razionalit la capacit logico-linguistica delluomo di
argomentare in modo convincente una tesi che ha comunque sempre un valore
conoscitivo parziale e temporaneo. In altre parole, per i sofisti in primo luogo la
razionalit una propriet unicamente umana, in secondo luogo essa solamente
strumentale o tecnica, ovvero solo uno strumento per sostenere con successo una tesi,
non il metodo per selezionare lunica tesi certamente vera.
I pi importanti sofisti furono Protagora e Gorgia, ma vi furono molti altri sofisti di
notevole levatura intellettuale, come Antifonte, Crizia, Ippia, Callicle, Prodico,
Trasimaco.

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VITA DI CAPITANI
PROTAGORA E GORGIA
Protagora (485-410 a.C. ca.) nacque ad Abdera, citt portuale della Tracia dove nel 460
era nato anche Democrito, ma abit e oper a lungo in Atene, guadagnandosi da vivere
come insegnante di retorica e scrittore di discorsi. Sostenitore della democrazia, amico di
Pericle, dopo la sua morte, nel 411, fu accusato di empiet, a causa della sua posizione
agnostica sugli dei, e costretto ad abbandonare Atene. Secondo la testimonianza dello
storico Diogene Laerzio (II-III sec. d.C.), le autorit politiche ateniesi fecero sequestrare e
bruciare pubblicamente le opere di Protagora. Altre testimonianze attestano che mor a
causa del naufragio della nave su cui viaggiava.
Si trattava di libri in prosa, di cui ci restano solo frammenti: Ragionamenti demolitori,
Antilogie (discorsi contrapposti), Sulla verit, Sugli dei. In Antilogie Protagora esponeva
e discuteva tesi contrapposte relativamente agli dei, allessere, allo stato e alle leggi, alle
tecniche. In Sulla verit illustrava la sua concezione strumentale della razionalit umana.
Gorgia (480-372 a.C. ca.) nacque in Sicilia a Leontini, oggi Lentini, citt della provincia di
Siracusa. Inizialmente discepolo di Empedocle, si trasfer ad Atene, dove insegn retorica e
prese parte al circolo intellettuale di Pericle, ma viaggi continuamente per tutta la Grecia,
insegnando ed esibendo il suo talento retorico anche molte altre citt. In particolare, si
rec a Delfi e ad Olimpia dove tenne, su commissione, discorsi pubblici di enorme
successo. Ebbe molti illustri allievi e divenne molto ricco, ma condusse sempre una vita
sobria e alla sua morte la sua eredit monetaria si rivel modesta. Peraltro mor
ultracentenario. A chi, in precedenza, gli aveva chiesto il segreto della sua longevit pare
avesse risposto: Non ho mai fatto niente per compiacere un altro.
Le sue opere pi importanti sono il saggio Intorno al non ente o intorno alla natura e
famosi discorsi quali Encomio di Elena e Apologia di Palamede, in cui Gorgia, per esibire
la sua abilit retorica, sfida il senso comune dei Greci argomentando a favore di tesi
considerate assurde e addirittura scandalose dalla maggior parte dei suoi contemporanei.
Nel primo discorso, infatti, Gorgia tesse le lodi Elena, da tutti considerata adultera e
traditrice; nel secondo immagina il discorso che lacheo Palamede avrebbe potuto
pronunciare per difendersi con successo dallaccusa di tradimento mossagli da Ulisse, cio
da colui che i Greci consideravano il pi scaltro e abile degli uomini.

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TAPPA 1
PROTAGORA: LA RAZIONALITA E UMANA E RELATIVA
E per le donne, fare il bagno in casa bello, ma nella palestra brutto. (Invece
per gli uomini tanto nella palestra che nel ginnasio bello.) []
E ancora, laccoppiarsi col proprio marito bello, ma con un estraneo
bruttissimo; e cos anche per luomo, accoppiarsi con la propria moglie
bello, con unestranea brutto. []
Per esempio, per gli Spartani, che le fanciulle facciano ginnastica e si
esibiscano in pubblico sbracciate e senza tunica bello; per gli Ioni, brutto.
[]
I Massageti squartano i genitori e se li mangiano, perch pensano che lesser
sepolti nei propri figli sia la pi bella sepoltura; invece se qualcuno lo facesse
in Grecia, cacciato in bando morirebbe con infamia, come autore di cose turpi
e terribili. []
Se analizzi a fondo, vedrai che cos laltra legge dei mortali: nulla mai
assolutamente bello n brutto; ma le stesse cose, come il momento le afferri,
le fa brutte; come si cambi, belle.
Anonimo, Ragionamenti duplici (scritto sul modello delle Antilogie di Protagora)

Il problema filosofico individuato da Protagora quello della pluralit e della diversit


irriducibile delle tesi. In altre parole, Protagora nota che non solo tutti gli uomini ma
perfino tutti i filosofi, cio i professionisti della ricerca della verit, sostengono tesi
differenti e perfino antitetiche. Ma, poich la verit per definizione una sola, com
possibile che esistano pi e discordanti verit? La soluzione a questo problema offerta da
Protagora sintetizzata in una tanto lapidaria quanto pregnante sentenza:
Luomo misura di tutte le cose, di quelle che sono in quanto sono, di quelle che non
sono in quanto non sono.
Questa affermazione di Protagora contiene diverse implicazioni filosofiche:
1. Luomo il criterio di giudizio, e quindi il principio della conoscenza, di ogni cosa. Ci
significa che dipende dalluomo com una cosa, cio quali propriet ha, a cominciare
da quella della sua stessa esistenza.
2. La natura non conoscibile oggettivamente, in ci che veramente, e
complessivamente, ma soltanto per ci che ci appare e nel modo in cui ci appare, e

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quindi solo soggettivamente e parzialmente. Questa posizione denominata


fenomenismo (dal greco finomai che significa mostrarsi, apparire, manifestarsi).
3. La conoscenza di cose, fatti e comportamenti e il giudizio sul loro valore sono relativi
al soggetto conoscente e giudicante, cio variano sia da individuo a individuo, sia da
gruppo a gruppo, sia da popolo a popolo. Questa posizione filosofica denominata
relativismo.
4. La filosofia deve mettere al centro della sua indagine non il cosmo ma luomo, perch
luomo pu conoscere molto di pi e molto meglio s stesso piuttosto che il cosmo.

La centralit filosofica delluomo sostenuta da Protagora non va per intesa come


unesaltazione acritica delle capacit conoscitive e pratiche umane. Al contrario, asserire,
come fa Protagora, che ogni conoscenza fenomenica e relativa significa affermare che la
razionalit umana limitata e che dunque non pu risolvere tutti i problemi teorici e
pratici. Questa tesi ha due conseguenze di grande rilevanza:
sul piano filosofico-scientifico, impossibile risolvere tutti i problemi conoscitivi che
luomo si pone e in particolare quelli relativi al cosmo: non possibile, per esempio,
sapere quali sono i suoi elementi costitutivi fondamentali n come abbia avuto
origine n qual il suo senso e se e come finir;
sul piano religioso, impossibile stabilire con certezza se gli dei esistono o non
esistono e pertanto a livello razionale bisogna astenersi da qualsiasi giudizio a favore
o contro la loro esistenza.
La posizione di Protagora, sotto questo aspetto, denominata agnosticismo
(letteralmente significa non-conoscibilismo).

Tuttavia, che la conoscenza razionale delluomo sia relativa, e quindi limitata, non significa
per Protagora che essa non abbia valore. Al contrario, e paradossalmente, proprio il fatto
che luomo non possa basarsi su verit e su valori oggettivi, e quindi universali, rende
decisivo luso della sua razionalit. Per ogni individuo, infatti, si tratta di fare le scelte
migliori unicamente sulla base del proprio giudizio e quindi delle proprie capacit di
elaborazione razionale. Insomma, il fenomenismo e il relativismo di Protagora non
sfociano in un invito allarbitrio sconsiderato, cio a pensare, dire e fare indifferentemente

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qualsiasi cosa a seconda del proprio capriccio momentaneo, bens nella proposta di una
tecnica razionale di selezione delle conoscenze, dei valori e dei comportamenti pi efficaci.
Tale tecnica consiste nel seguire queste indicazioni:
assumere come riferimento conoscitivo lesperienza diretta e individuale, cio ci che
conosciamo in base alle nostre sensazioni e ai nostri ragionamenti relativi alle realt
particolari e circoscritte con cui abbiamo di volta in volta a che fare, ovvero il contesto
naturale o sociale concreto in cui agiamo;
assumere come criterio di selezione delle alternative conoscitive e pratiche quello
dellutilit, innanzitutto quella individuale, e poi a partire da essa quella del gruppo
sociale (famiglia, categoria professionale, classe sociale) o del popolo cui si
appartiene;
utilizzare largomentazione razionale (ovvero il ragionamento) per individuare e
motivare la scelta pi efficace tra le alternative conoscitive e pratiche a disposizione, e
soprattutto per convincere gli altri a condividere la propria scelta.

La posizione di Protagora si pu definire pragmatismo, termine che indica una condotta


di vita basata sulla scelta delle opzioni conoscitive e pratiche pi realistiche, convenienti ed
efficaci a seconda del contesto e del momento. Il pragmatismo di Protagora, per, un
pragmatismo essenzialmente linguistico, in quanto si impernia sul linguaggio, concepito
come strumento di valutazione razionale e di comunicazione persuasiva.
In questa prospettiva la scienza pi importante per Protagora la retorica, la scienza che
insegna a usare il linguaggio nel modo pi efficace, cio che insegna a pensare, parlare e
comunicare nel modo pi valido e convincente. E in questo senso che Protagora afferma
con orgoglio di essere capace di trasformare il discorso pi debole in quello pi forte, e
perfino quello peggiore in quello migliore.

Il significato del pragmatismo linguistico di Protagora si fa pi chiaro e preciso in relazione


allagire politico. Infatti, il problema di fare la scelta migliore in assenza di criteri
oggettivi non si pone solo e tanto a livello individuale ma anche e soprattutto a livello
collettivo dal momento che la relativit soggettiva delle conoscenze e dei valori rischia di
produrre conflittualit e disgregazione. A questo riguardo, Protagora sostiene che la
comunit politica, democraticamente organizzata, il criterio per stabilire ci che vero e
ci che giusto. In altre parole, secondo Protagora, deve essere considerato vero e giusto
per tutti i cittadini ci che viene deciso a maggioranza nelle assemblee rappresentative

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competenti. Verit e giustizia, quindi, consistono nelle conclusioni delle discussioni


collettive, in quanto queste garantiscono la concordia, cio lunit e la forza della comunit
politica.
Ma per Protagora ci che viene deciso a maggioranza nelle assemblee rappresentative, e
che quindi da considerarsi vero e giusto, a sua volta ci che viene sostenuto dal discorso
pi forte, cio quello meglio strutturato e pertanto pi convincente. In questo senso, la
maggiore forza di unargomentazione, ratificata dalla maggioranza che
conseguentemente ottiene nella votazione, che fonda la maggior utilit della tesi che essa
sostiene, non viceversa. Dunque, per Protagora la razionalit umana non consiste tanto nel
contenuto intrinseco delle scelte, quanto nella loro modalit argomentativa. Ci significa
che una scelta migliore di unaltra se e in quanto argomentata meglio perch cos pu
ottenere ladesione della maggioranza e quindi diventare una scelta collettiva. In tal senso
la razionalit per Protagora strumentale, non sostanziale. Essa, cio, propria solo
del mezzo retorico e della procedura politica con il quale si sostiene una scelta, ma non
riguarda propriamente il suo contenuto, ovvero la sostanza (o il merito) di una scelta.

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VIAGGI DI IERI&VIAGGI DI OGGI


PROTAGORA E LA NUOVA RETORICA
Protagora e pi in generale i sofisti possono essere a buon diritto considerati i fondatori
di quelle che oggi si chiamano scienze umane o scienze storico-sociali, cio discipline
come la linguistica, la retorica e la semiotica, ma anche lantropologia, letnologia, la
sociologia, la giurisprudenza, la politologia, leconomia e la stessa storia.
In particolare la filosofia di Protagora in sintonia con la nuova retorica del filosofo
polacco C. Perelman (1912-1984) che ha analizzato e classificato le forme e le regole
dellargomentazione persuasiva. Esse costituiscono la ragionevolezza pratica valida
per le scelte etiche, giuridiche e politiche che si distingue dalla razionalit teorica
propria delle scienze naturali e basata invece sulla dimostrazione logico-matematica
perch il suo criterio di verit non la consequenzialit logica ma il consenso collettivo.
Per un approfondimento: Perelman-Olbrechts-Tyteca, Trattato dellargomentazione La
nuova retorica, Einaudi 1966 (edizione originale francese 1958).

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TAPPA 2

GORGIA: LA PAROLA E IPNOTICA


Passer allinizio del discorso che devo fare ed esporr le ragioni per cui era
naturale che avvenisse la partenza di Elena per Troia.
Certo o per volere della sorte o per decisione divina e per decreto della
necessit fece quello che ha fatto oppure trascinata con la forza, o persuasa
con la parola, o presa da amore. []
Ma se invece fu la parola a persuaderla e a ingannarle la mente, neppure per
questo aspetto difficile scusarla e scioglierla dallaccusa nel modo seguente.
La parola una potente signora, che pur dotata di un corpo piccolissimo e
invisibile compie le opere pi divine: pu far cessare il timore, togliere il
dolore, produrre la gioia e accrescere la compassione. []
Possiamo infatti vedere quale forza abbia la persuasione, che senza avere
laspetto della costrizione, ne ha la potenza. E la parola che persuase lanima
costrinse lanima, che persuase a prestar fede a quanto le veniva detto e ad
approvare quanto era fatto. Dunque chi persuase ha commesso ingiustizia in
quanto ha costretto, mentre lanima persuasa, in quanto costretta, ha cattiva
fama ingiustamente.
Gorgia, Encomio di Elena

Gorgia condivide il problema individuato da Protagora: com possibile che esista la verit
se ogni filosofo sostiene una verit diversa e antitetica da quelle degli altri filosofi? Ma la
soluzione che Gorgia d a questo problema ancora pi radicale di quella di Protagora.
Essa consistente in tre tesi tanto lapidarie quanto provocatorie:
1. Nulla esiste.
2. Se qualcosa esistesse, non sarebbe conoscibile.
3. Se qualcosa fosse conoscibile, non sarebbe comunicabile.
La prima tesi nulla esiste non va interpretata in senso empirico-fenomenico, ovvero
come affermazione dellinesistenza delle cose fisiche oggetto dei nostri sensi. Nulla esiste
ha un significato ontologico, cio vuol dire che non c un principio razionale unico e
fondamentale della realt (che sia acqua, illimitato, soffio, fuoco-logos, essere, numeri o
qualsiasi altra cosa) e quindi non c alcuna razionalit oggettiva, cio inerente alla natura.
La seconda e la terza tesi, da un lato, sono consequenziali alla prima: non esistendo
principi razionali oggettivi nessuna conoscenza umana e nessun discorso umano possono
essere universali e quindi comunicabili. Dunque, non vi nemmeno alcuna razionalit

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soggettiva, cio propria delluomo. Da un altro lato, per, le due ultime tesi costituiscono
anche un esempio di virtuosismo retorico-argomentativo sul modello delle arringhe
giudiziarie. Esse infatti esibiscono argomenti supplementari, ad abundantiam, per rendere
mirabolante e inattaccabile limpianto argomentativo. In altre parole: sarebbe pi che
sufficiente largomentazione della prima tesi, e ancor pi quella della seconda ma perfino
ipotizzando per assurdo che una o tutte e due fossero false, la conclusione per Gorgia
sarebbe comunque la stessa: la razionalit impossibile.

La prima tesi nulla esiste sostenuta da Gorgia con una argomentazione dialettica
che parte dallassunto che se lessere esistesse o sarebbe generato o sarebbe ingenerato.
Ma:
1. Se fosse generato, sarebbe generato dallessere o dal non-essere. Se fosse generato
dallessere, ci implicherebbe una trasformazione dellessere e dunque lessere non
sarebbe pi tale, sarebbe divenire, cio si autonegherebbe. Se fosse generato dal nonessere, ci sono due possibilit: o il non-essere non e allora non potrebbe generare
lessere perch nulla pu nascere dal nulla; o il non-essere e allora non potrebbe
generare lessere perch ci implicherebbe lautonegazione del non-essere.
2. Se fosse ingenerato, lessere sarebbe infinito. Ma, in quanto infinito, lessere non
potrebbe trovarsi in alcun luogo. Infatti per definizione il luogo ci che contiene. Ma
linfinito non pu essere contenuto n da s stesso n da qualcosaltro altrimenti vi
sarebbero due infiniti, il che assurdo. Non essendo in alcun luogo, lessere il nulla,
in quanto non pu esistere qualcosa che non abbia una collocazione spaziale.

Dunque nulla . Ma anche ammesso per assurdo che lessere fosse, continua Gorgia, esso
non sarebbe razionalmente conoscibile. Infatti, per conoscere lessere, il nostro pensiero
dovrebbe coincidere con tutto ci che esiste. Se cos fosse, allora dovrebbe essere vero che
tutto ci che pensiamo esiste. Ma noi possiamo pensare molte cose che non esistono
come un uomo che vola o bighe che solcano i mari. Dunque il pensiero non coincide con
lessere. Di conseguenza lessere non pensato, cio inconoscibile.
Ma, prosegue implacabile Gorgia, anche ammesso per assurdo che lessere fosse
conoscibile, esso comunque non sarebbe comunicabile, cio gli uomini non potrebbero
scambiarsi informazioni o giudizi su di esso. Infatti per comunicare si usano le parole, le
quali sono suoni. Ma se sono suoni solo ludito pu cogliere e conoscere le parole. Poich i
colori possono essere conosciuti solo dalla vista e i sapori solo dal gusto, ma non dalludito,
nessuna parola pu trasmettere la conoscenza di un colore o di un sapore. Ma anche

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ammesso per assurdo che una parola possa contenere qualsiasi esperienza sensibile, chi la
ascolta non potrebbe farsi la stessa rappresentazione mentale del suo contenuto di chi lha
proferita. Infatti, le menti di chi parla e di chi ascolta sono diverse, altrimenti essi
sarebbero la stessa persona. Dunque alla stessa parola corrispondono due contenuti
mentali diversi. Per esempio uno pu dire tavolo e pensarlo quadrato e un altro pu
udire tavolo e rappresentarselo tondo.

Gorgia giunge cos a confutare tutte le teorie filosofiche precedenti. Ma la sua grandezza
filosofica consiste soprattutto nel fatto che egli le confuta utilizzando quelle stesse strategie
argomentative razionali con le quali i filosofi precedenti, in particolare Parmenide e
Zenone, le avevano sostenute. In questo modo Gorgia ottiene il suo risultato pi
clamoroso: mostrare che nessuna argomentazione razionale cio assolutamente
fondata e univoca bens che tutte le argomentazioni sono soltanto retoriche, cio basate
sul potere incantatorio, ovvero ipnotico, della parola orale.
Questo significa che la parola pu modificare i nostri sentimenti, pu eliminare il dolore e
infondere il piacere, pu esercitare una coercizione pari se non superiore a quella basata
sulla forza fisica. La parola, afferma Gorgia, ha queste capacit perch possiede il potere di
persuadere, ovvero produce una sorta di ipnosi. La retorica appunto la tecnica
sviluppata e insegnata da Gorgia capace di rendere la parola il pi persuasiva, cio il pi
ipnotica, possibile. La tecnica retorica consiste nelluso translato delle parole (le figure
retoriche: metafora, sineddoche, metonimia, similitudine, ecc.), nella selezione di quelle
pi efficaci emotivamente, nellordine di successione e nella concatenazione degli
argomenti, nelluso del volume e dei toni della voce, ma anche nella scelta dei gesti e delle
espressioni del viso. In questo senso per Gorgia tutte le tesi sono solo credenze individuali
e come tali sono equivalenti. Ci che rende una migliore dellaltra solo la retorica, cio la
capacit delloratore di rendere alcune pi persuasive delle altre. Insomma, per Gorgia
una questione di magia, bench linguistica, non di verit; di forza, bench verbale, non di
ragione.

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VIAGGI DI IERI&VIAGGI DI OGGI


GORGIA TRA SCETTICISMO E NICHILISMO
Gorgia pu essere considerato il primo filosofo di rilievo che neg la possibilit della
Verit ovvero della razionalit o scientificit, intesa come: a) conoscenza oggettiva, cio
capace di rappresentare la realt, b) universale, cio condivisa da tutti gli uomini, c)
necessaria, cio certa e univoca. Due secoli pi tardi, la posizione di fondo di Gorgia fu
ripresa e sviluppata da un movimento filosofico che prese il nome di scetticismo (da
skpsis, che significa indagine, intesa come ricerca perenne perch non pu mai
arrivare a una verit definitiva).
Lo scetticismo sosteneva appunto che la verit, ammesso e non concesso che esista, in
ogni caso inconoscibile. Almeno limitatamente a quesa tesi, Gorgia fu il primo scettico
della storia della filosofia, sebbene la denominazione scettico sia nata dopo di lui e
sebbene, come si vedr, lo scetticismo antico abbia sviluppato anche una dottrina etica
del tutto originale e lontana dallo stile di vita di Gorgia.
Ad ogni modo, lo scetticismo una delle grandi e ricorrenti posizioni della storia della
filosofia, condivisa da filosofi di epoche e personalit molto diverse, come Pirrone (III sec.
a.C.), Sesto Empirico (II d.C.), David Hume (XVIII sec.), Friedrich Nietzsche (XIX sec.).
Nei suoi esiti estremi lo scetticismo prende il nome di nichilismo che sta a significare la
negazione totale di qualsiasi senso oggettivo e universale della realt e della vita. Il
nichilismo una delle posizioni filosofiche pi diffuse della nostra epoca.

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LO SCRIGNO
LA COSTITUZIONE ITALIANA: IL DIRITTO-DOVERE DI VOTO
Sono elettori tutti i cittadini, uomini e donne, che hanno raggiunto la
maggiore et.
Il voto personale ed eguale, libero e segreto. Il suo esercizio dovere civico.
Costituzione della Repubblica italiana, art. 48, commi 1 e 2

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IV VIAGGIO

LA RAZIONALITA SOSTANZIALE DELLUOMO

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ROTTA SU
IL RAZIONALISMO CRITICO
Tra tutti gli antropologi, cio i filosofi greci che incentrano la loro ricerca sulluomo, la
figura di maggiore spessore umano e filosofico quella di Socrate. Pur legato ai sofisti
sia da rapporti di amicizia personale sia da affinit filosofiche, Socrate non si considera e
non un sofista. Oltre a insegnare gratuitamente, egli ritiene che la razionalit umana
sia s incapace di possedere verit complete e assolute ma anche che la verit, ovvero
lessere, esista e che la razionalit umana abbia la capacit di avvicinarsi sempre pi e
sempre meglio ad essa.
Per Socrate, infatti, le tesi conoscitive pur essendo molte e diverse e dunque parziali e
relative possono convergere e ridurre progressivamente la loro diversit e dunque la
loro parzialit e relativit. Di conseguenza, Socrate non un relativista in quanto,
secondo lui, c sempre una tesi conoscitiva oggettivamente migliore delle altre, per
quanto mai completa e dunque destinata a essere superata da una nuova tesi ancora
migliore.
La convergenza tra le diverse tesi pu realizzarsi, secondo Socrate, solo nel dialogo,
cio nella discussione filosofica, e dunque costituisce unimpresa collettiva. Il dialogo per
deve essere inteso e praticato come ricerca della definizione di un valore (p.e. il coraggio
o lamicizia). La definizione, infatti, almeno tendenzialmente universale, perch astrae
dalle particolarit delle diverse opinioni individuali ed evidenzia ci che c di comune in
tutte le possibili opinioni.
In questo senso, la posizione filosofica di Socrate pu essere denominata razionalismo
critico, in quanto, da un lato, valorizza la ragione umana, attribuendole la capacit di
una conoscenza oggettiva e universale sempre crescente; dallaltro lato, tuttavia, ritiene
limitata, e dunque sempre incompleta, la capacit conoscitiva della ragione umana.
Socrate pu essere considerato a buon diritto il fondatore del razionalismo critico, un
indirizzo filosofico fatto proprio da filosofi successivi di grande levatura come
Immanuel Kant (1724-1804), Karl Popper (1902-1994) e il vivente Karl Otto Apel.

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VITA DI UN CAPITANO
SOCRATE
Socrate (469-399) nacque ad Atene, figlio di uno scultore e di unostetrica, dunque in una
famiglia benestante, ma non aristocratica e nemmeno ricca. Da giovane fece il lavoro del
padre ma, una volta raggiunta lautosufficienza economica, si dedic completamente alla
filosofia.
Subito prima e durante la guerra del Peloponneso (431-404), combatt come oplita nelle
battaglie di Potidea (432), nella quale salv la vita al giovane Alcibiade, Delio (424) e
Anfipoli (422). Le testimonianze descrivono Socrate come un soldato ineccepibile, di
grande resistenza, ma al contempo particolare, in quanto a volte si metteva in disparte a
rimaneva immobile a lungo a meditare, come fosse in trance. Assolto il suo dovere militare,
Socrate si spos con Santippe, dalla quale ebbe tre figli. Secondo altre fonti, il terzo figlio
lavrebbe avuto da una seconda moglie o addirittura da una concubina. Tutte le fonti
convergono, per, nel descrivere Santippe come una donna insopportabile addirittura
lunico essere umano che Socrate non sarebbe mai riuscito a far ragionare e il rapporto
coniugale Socrate-Santippe come piuttosto burrascoso. Di certo, la totale dedizione di
Socrate alla ricerca filosofica non doveva lasciargli molto tempo per occuparsi della
famiglia ed plausibile, oltre che comprensibile, che Santippe non ne fosse molto contenta.
La formazione filosofica di Socrate si bas sul rapporto con diversi filosofi, quali
Anassagora, Protagora e soprattutto Parmenide. Socrate, per, non fu mai propriamente
discepolo di nessuno di essi e ben presto cominci a intraprendere un nuovo e personale
tipo di ricerca filosofica, che si differenziava da tutte le altre anche per le sue modalit
pratiche. I luoghi dellattivit filosofica di Socrate, infatti, erano le piazze e le strade di
Atene e la sua ricerca consisteva nel fermarsi a discutere con uno o pi concittadini, in
genere intellettuali come lui, ma anche militari o politici, e soprattutto con i giovani. Col
tempo, da questi ultimi, emerse un folto gruppo di discepoli: il futuro generale Alcibiade,
figlio adottivo di Pericle, laristocratico Platone, futuro filosofo idealista, laristocratico
Senofonte, futuro generale e storico, laristocratico Crizia, futuro membro del governo dei
trenta tiranni, Antistene, futuro filosofo cinico, e molti altri.
Socrate attirava i giovani non solo per loriginalit della sua filosofia ma anche per il modo
in cui viveva, del tutto coerente con le sue tesi filosofiche. Egli, infatti, pur non essendo
povero, seguiva uno stile di vita sobrio, dimostrando di curarsi e di godere molto pi della
conoscenza che dei beni materiali. Tuttavia, non disdegnava i numerosi inviti, che riceveva
da parte di ricchi aristocratici, a partecipare ai simposi, cio a incontri conviviali in case
private in cui si mangiava e soprattutto si beveva, passandosi di mano in mano ununica
coppa piena di vino e discutendo amabilmente di temi culturali, politici e filosofici. In
questo senso, i simposi erano per Socrate altrettante occasioni per intavolare i suoi
dialoghi e condurre la sua ricerca filosofica. In tali situazioni, egli era famoso perch, pur
bevendo abbondantemente, non perdeva la sua lucidit.

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Nel 423, il pi grande commediografo greco, Aristofane, scrisse e fece rappresentare


durante le Grandi Dionisie, ovvero davanti a tutti gli ateniesi, la commedia Le nuvole, una
parodia di Socrate e della filosofia. Il Socrate aristofaneo, protagonista della commedia, il
maestro di una scuola (il Pensatoio) che passa la maggior parte del suo tempo a osservare
gli astri dentro una cesta sospesa in aria, che afferma che gli dei non esistono e che il
cosmo stato prodotto da un vortice aeriforme e che insegna, a pagamento, ad
argomentare efficacemente per poter vincere qualsiasi causa legale. Aristofane, in realt, in
questo modo volle rappresentare una beffarda caricatura non solo e non tanto di Socrate,
ma di tutti i filosofi che operavano in Atene (Anassagora, Protagora, ecc.) e chiam questa
caricatura Socrate, perch questi era il filosofo pi noto, pi fastidioso e pi eccentrico agli
occhi degli ateniesi, che nella stragrandre maggioranza non conoscevano certo le diverse
tesi dei vari filosofi e quindi non li differenziavano.
Nel 406, Socrate fu sorteggiato come membro della bul (o Consiglio dei 500) e come
pritano, cio come uno dei 50 governanti temporanei della democrazia ateniese, e come
tale fu lunico a opporsi allillegale giudizio collettivo contro i comandanti militari accusati
di non aver raccolto i naufraghi ateniesi durante la battaglia navale delle Arginuse. Nel
404, dopo linstaurazione del governo oligarchico dei trenta tiranni, uno dei quali era lex
discepolo Crizia, a Socrate venne chiesto di arrestare un politico democratico, ma Socrate
rifiut, pur sapendo che, per il suo rifiuto, avrebbe rischiato la morte.
Ci nonostante, dopo la restaurazione della democrazia con Trasibulo, nel 399 Socrate,
considerato antidemocratico per la sua frequentazione di ambienti aristocratici e per le
sue critiche alla democrazia, venne denunciato per empiet e corruzione dei giovani da
parte del poeta Meleto e del politico democratico Anito. Di fronte alla bul, riunita per
giudicarlo, Socrate si difese, argomentando linfondatezza delle accuse, ma fu ugualmente
dichiarato colpevole dalla maggioranza (280 voti di colpevolezza su 500). A questo punto,
per prassi la bul doveva votare la pena dopo aver sentito il condannato, e Socrate chiese
provocatoriamente che la sua pena consistesse nellessere mantenuto a vita a spese della
cittadinanza. Irritata, lassemblea, che altrimenti ne avrebbe probabilmente votato lesilio,
vot invece con una maggioranza ancora pi ampia (360) la comminazione della pena
capitale. Incarcerato e in attesa dellesecuzione della condanna, a Socrate fu offerta la
possibilit di fuggire dal carcere e da Atene, ma rifiut di farlo sostenendo che, in una
democrazia, anche se alcune leggi sono ingiuste, bisogna ugualmente rispettarle dal
momento che ognuno responsabile o di averle lasciate approvare o di non essersi
impegnato perch fossero abrogate.
Socrate mor cos nel 399 bevendo una tisana di cicuta, unerba velenosa che provoca una
morte lenta, e dialogando di filosofia fino allultimo con i suoi discepoli pi fedeli.
Non lasci opere scritte. Egli infatti concep e pratic il suo insegnamento filosofico
unicamente come dialogo orale, rifiutandosi quindi di metterlo per scritto. Conosciamo,
dunque, il suo pensiero solo indirettamente, grazie alle testimonianze di altri filosofi e
intellettuali, soprattutto di Platone e Senofonte, suoi discepoli.

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Ma il pensiero di Socrate ebbe moltissimi e differenti seguaci. La tradizione storiografica li


ha divisi in un socratico maggiore, cio Platone, e in una miriade di socratici minori
suddivisi a loro volta in tre scuole:
la scuola megarica (nella polis di Megara, in Attica), comprendente Euclide di Megara,
Eubulide, Stilpone, Diodoro Crono, di indirizzo soprattutto logico-gnoseologico, che
scopr e valorizz i paradossi logici (p.e. Epimenide il cretese afferma: Tutti i cretesi
mentono ) evidenziando i limiti della conoscenza razionale;
la scuola cirenaica (a Cirene, polis greca sulle coste dellattuale Libia), fondata da
Aristippo, che sosteneva unetica del piacere controllato e delladattamento positivo a
tutte le situazioni;
la scuola cinica (nata nel ginnasio ateniese chiamato Cinosarge, cio cane agile)
fondata da Antistene e resa celebre da Diogene di Sinope, che proponeva unetica della
libert basata su uno stile di vita naturale, alla maniera degli animali.

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TAPPA 1
SOCRATE: LA RAZIONALITA E DIALOGO ARGOMENTATIVO
Io vado esaminando [] me stesso per vedere se non si dia il caso che io sia
una qualche bestia assai intricata e pervasa di brame pi di Tifone, o se,
invece, sia un essere pi mansueto e pi semplice, partecipe per natura di una
sorte divina e senza fumosa arroganza.
Platone, Fedro, 230 A, a cura di G. Reale, Rusconi 1991
SOCRATE - Allora, o Lachte, cominceremo a definire il coraggio; dopo di che
indagheremo in che modo possa rendersi presente nei giovani, per quanto
possibile, attraverso lesercizio e lo studio. Ma provati a dire che cos il
coraggio.
LACHETE Per Zeus, o Socrate, non difficile rispondere: chi, durante la
battaglia, mantenendo la propria posizione, si difende dai nemici e non si d
alla fuga, questo un uomo dotato di coraggio.
SOCRATE Dici bene, o Lachete, ma forse colpa mia, del non essermi
espresso con chiarezza, se tu hai risposto non a ci che io avevo in mente,
mentre ti interrogavo, ma a altro.
LACHETE Come puoi dire questo, o Socrate?
SOCRATE Te lo spiegher se mi riesce. [191 A] Certamente ha del coraggio
questuomo di cui parli e che, conservando la propria posizione, combatte
contro i nemici.
LACHETE Per lappunto!
SOCRATE Sono daccordo; ma quello che, al contrario, non resta a pi
fermo al proprio posto, ma combatte il proprio nemico indietreggiando?
LACHETE Come sarebbe indietreggiando?
SOCRATE Ma s, come gli Sciiti che si dice sappiano combattere nella fuga
non meno che nellinseguimento; anche Omero, celebrando i cavalli di Enea
ugualmente veloci di qua e di l, disse che sapevano tanto inseguire quanto
fuggire, e, per il medesimo motivo, lod Enea stesso, per la sua abilit a
fuggire e lo defin maestro nella fuga. [B]
LACHETE E fece bene, o Socrate! E infatti parlava di carri; tu parli dei
cavalieri Sciiti: la loro cavalleria combatte proprio cos, mentre la fanteria
greca, come dico io.
SOCRATE Tranne forse quella dei Lacedemoni, o Lachete. Dicono infatti che
a Platea i Lacedemoni, quando si trovarono di fronte i gerrofori persiani [C]
non vollero combattere da fermi, ma indietreggiarono e, dopo che le schiere
persiane si sciolsero, ritornati sui loro passi combatterono come fa la
cavalleria e, in questo modo, vinsero.
LACHETE E vero.

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SOCRATE Come dunque dicevo poco fa, se tu non hai risposto esattamente,
la colpa mia, poich non ti ho posto in modo corretto la domanda; infatti
volevo sapere da te non solamente chi fosse coraggioso nella fanteria, ma
anche nella cavalleria [D] e in ogni genere di combattimento e non mi riferivo
solamente a chi lo fosse in guerra, ma anche nellaffrontare i pericoli per
mare e le malattie e la povert ed i problemi politici, e ancora non solamente a
chi coraggioso davanti al dolore e alla paura, ma anche alle passioni, ai
piaceri, sia restando fermo che volgendosi in fuga; ci sono infatti anche dei
coraggiosi in tal senso, o Lachete. [E]
LACHETE E molto coraggiosi, o Socrate.
[] [192 A, B]
SOCRATE Allora provati anche tu, o Lachete, a fare lo stesso a proposito del
coraggio e a dire cos questa facolt che si esercita nel piacere, nel dolore e in
tutte le circostanze in cui labbiamo riconosciuta presente e a cui diamo
questo nome.
LACHETE Mi pare che, se vogliamo parlare in generale della natura del
coraggio, in tutte queste circostanze, [C] esso sia una sorta di forza danimo.
SOCRATE Ma bisogna, se vogliamo rispondere al nostro interrogativo; ho
limpressione, per, che, per te, non ogni tipo di forza danimo sia coraggio e
lo deduco dal fatto di sapere che tu, o Lachete, annoveri il coraggio tra le
realt molto belle.
LACHETE Sta pur certo che tra le pi belle.
SOCRATE Ma la forza non bella e buona quando accompagnata dal
senno?
LACHETE Certo.
SOCRATE E quando invece ne priva? Non forse, al contrario, malvagia e
dannosa? [D]
LACHETE S.
SOCRATE Dirai allora che bello ci che malvagio e dannoso?
LACHETE Non sarebbe giusto, o Socrate.
SOCRATE Non potrai certo chiamare coraggio questa forza che non bella,
mentre il coraggio lo .
LACHETE Vero.
SOCRATE In base a quanto hai detto, dunque, il coraggio sarebbe una forza
illuminata dallintelligenza.
LACHETE Cos pare.
[]
Platone, Lachete, 190 E-192 D, a cura di G. Reale, Rusconi 1991

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La domanda chiave da cui scaturisce la filosofia socratica : Chi luomo?. Si tratta di


una domanda che ne sintetizza molte altre: qual lidentit propria dellessere umano?
Qual la propriet che lo contraddistingue da ogni altro essere? Che poteri possiede
luomo? I suoi poteri sono illimitati o limitati?
La risposta fondamentale di Socrate che la propriet peculiare delluomo il suo
principio identitario la sua psych. Con questo termine, il cui significato letterale
fiato o respiro, i filosofi precedenti avevano chiamato il principio della vita umana e in
taluni casi, al tempo stesso, quella parte del principio del cosmo (Soffio o Fuoco-Logos o
Intelligenza) che presente nelluomo e coincide con la sua intelligenza. In modo almeno
parzialmente nuovo e originale Socrate afferma che la psych la capacit, propria solo
delluomo:
a) di conoscere le virt, cio i principi e le regole di comportamento che permettono di
vivere nel modo migliore;
b) di praticare le virt, cio di vivere effettivamente secondo quei criteri in modo da
raggiungere la felicit.
In questo senso possiamo dire che la psych, per Socrate, la coscienza morale razionale:
coscienza perch propria di ogni individuo e coincidente con la consapevolezza della
propria identit individuale;
morale, perch ha come scopo finale il miglior comportamento pratico;
razionale, perch possiede la facolt di ricercare e conoscere, seppur parzialmente, le
virt universali, cio valide per tutti gli uomini.

Per Socrate la razionalit umana consiste nelluso di un metodo argomentativo particolare


da lui battezzato maieutica, che letteralmente significa ostetrcia, cio arte del far
partorire, ma che Socrate usa nel significato translato di arte di far pensare o ragionare,
ovvero di indurre ogni uomo a ricercare in prima persona la verit. Dal punto di vista
logico-argomentativo, la maieutica socratica uno sviluppo e una rielaborazione originale
dellargomentazione dialettica. Infatti, come la dialettica mira a individuare le tesi false e a
confutarle attraverso la loro riduzione allassurdo.
Diversamente dalla dialettica, per, non un monologo, cio unargomentazione
individuale, ma un dialogo, cio unargomentazione collettiva, frutto dellinterazione dei
ragionamenti di due o pi individui. Proprio perch dialogica, la maieutica utilizza la
brachilogia, cio la tecnica, per cos dire, del botta-e-risposta. In altre parole perch si
possa dialogare dialetticamente i dialoganti sono tenuti a fare interventi brevi e circoscritti
a un unico aspetto del problema in discussione, per evitare la dispersione e garantire
lefficacia conoscitiva.

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Il punto di partenza della maieutica lindividuazione di un problema, cio delloggetto


della ricerca conoscitiva. Essa consiste nellusare una formula interrogativa allapparenza
elementare, o addirittura banale: che cos ?. Questa formula viene applicata da Socrate
a diverse virt il coraggio, la giustizia, la piet, lamicizia, lamore dal momento che lo
scopo della conoscenza per lui pratico-morale.
Un esempio ne la domanda: che cos il coraggio?. Apparentemente semplice, o perfino
banale, questa domanda comporta in realt una ricerca profonda e difficile. Con essa,
infatti, Socrate propone a s e ai suoi interlocutori larduo obiettivo conoscitivo di scoprire
ed enunciare il criterio universale cio valido per tutti gli uomini in tutti i luoghi e i tempi
in base al quale possibile stabilire con certezza se unazione coraggiosa o no.
Utilizzando un termine coniato non da Socrate ma dai filosofi successivi, e da noi
comunemente usato, si pu dire che Socrate cerca il concetto di coraggio (e delle altre
virt), cio le propriet comuni e quindi fondamentali di tutti i possibili comportamenti
coraggiosi. Insomma, il che cos ? socratico implica un notevole e complesso impegno
intellettivo di generalizzazione e astrazione rispetto allesperienza immediata. Il suo scopo
pratico finale per evidente: solo sapendo cos davvero una virt possibile essere certi
di comportarsi moralmente, cio nel migliore dei modi, in ogni situazione e circostanza.

Dopo aver posto la fatidica domanda, Socrate lascia la parola ai suoi interlocutori. Poich
questi sono per lo pi uomini di successo che si considerano sapienti, essi rispondono
prontamente e con sicurezza, sottovalutando il significato della domanda socratica e
sopravvalutando il valore conoscitivo della loro risposta. In una parola, presumono di
sapere mentre in realt non conoscono lessenziale. Contro questa presunzione Socrate usa
innanzitutto lironia (in greco, finzione, dissimulazione), elogiando lapparente
sapienza dei suoi interlocutori e dichiarandosi ignorante e inferiore rispetto a loro.
Lironia socratica sicuramente una tattica argomentativa finalizzata a spiazzare gli
avversari. Ma essa esprime anche una decisiva tesi filosofica di Socrate, il sapere di non
sapere, cio la convinzione che la pi alta sapienza di un uomo sia la consapevolezza che
la propria conoscenza sempre limitata e che pertanto bisogna sempre essere disponibili a
unulteriore ricerca conoscitiva.
Una volta disorientato linterlocutore con lironia, Socrate passa alla confutazione, cio
falsifica la tesi altrui dimostrando che essa implica conseguenze logiche assurde. Ma la sua
tecnica confutativa pur sempre maieutica e brachilogica, cio consiste nel porre delle
domande in modo tale che sia lo stesso interlocutore, rispondendo, ad autoconfutarsi e a
giungere cos ad ammettere a se stesso e a Socrate di essere ignorante.

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A questo punto per Socrate pu iniziare la parte costruttiva della maiuetica, cio la ricerca
della vera risposta alla domanda iniziale: che cos ?. Il metodo non cambia: con
domande o brevi interventi di correzione (brachilogia), Socrate induce (maieutica) il suo
interlocutore ad argomentare in modo sempre pi coerente e stringente, avvicinandolo alla
comprensione del concetto della virt oggetto della ricerca. Per esempio, nel caso del
coraggio, si passa dalla sua prima definizione come capacit di non indietreggiare di
fronte al nemico, a quella di forza danimo, a quella di scienza delle cose da temere e da
osare, infine a quella di conoscenza dei beni e dei mali.
Eppure la conclusione del dialogo negativa: Socrate afferma che anche la migliore delle
definizioni elaborate non raggiunge lobiettivo, cio non riesce a rispondere pienamente
alla domanda che cos il coraggio?. Ci vale anche per i dialoghi intorno alle altre virt.
Perch? A cosa serve allora lo sforzo di ricerca se lobiettivo rimane irraggiungibile? La
risposta duplice. In primo luogo, secondo Socrate, ogni individuo deve arrivare
autonomamente alla verit, seppur dialogando con altri. In questo senso Socrate ritiene
che il suo compito sia solo quello di avviare e di instradare il processo di ricerca, non quello
di portarlo a termine. In secondo luogo, poich la conoscenza umana, a differenza di quella
divina, per principio limitata, lo scopo della ricerca conoscitiva umana, e dunque della
maieutica, non pu essere la conquista completa e definitiva della verit, ma solo il sempre
maggiore avvicinamento a essa.

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TAPPA 2
SOCRATE: VIVE BENE SOLO CHI SA
Diceva che la giustizia e ogni altra virt era sapienza. Ogni cosa giusta e ogni
altra forma di attivit fondata sulla virt erano, a suo parere, belle e buone:
chi conosce il bello e il buono niente pu preferirgli; invece, chi non lo
conosce, non pu farlo, e se lo tenta, sbaglia: dunque, chi sa compie cose belle
e buone, chi non sa non pu compierle, ma se vi mette mano sbaglia. E poich
le cose giuste e tutte le altre, belle e buone, si realizzano mediante la virt,
chiaro che la giustizia e ogni virt sono scienza.
Senofonte, Memorabili, III, 9, trad. di R. Laurenti, Laterza
Una volta Antifonte, volendo portargli via i compagni, avvicinatosi a Socrate
mentre essi erano presenti, gli disse queste cose: O Socrate, io pensavo che
quelli che si dedicano alla filosofia dovessero diventare pi felici; ma mi
sembra che tu abbia ottenuto il contrario dalla filosofia. Tu davvero hai un
tenore di vita che neppure uno schiavo tenuto a regime dal padrone potrebbe
sopportare; mangi cibi e bevi bevande modestissimi, ed indossi una veste non
solo da poco, ma la stessa destate e dinverno, e vivi scalzo e senza chitone. E
per di pi non accetti denaro, che rallegra coloro che lo acquistano e rende la
vita pi libera e pi piacevole a coloro che lo possiedono. Se dunque, come
appunto i maestri delle altre discipline rendono i discepoli loro imitatori, cos
anche tu farai diventare i tuoi compagni simili a te, sappi che sei un maestro
di infelicit.
E Socrate in risposta: [] Mi sembra, o Antifonte, che la felicit consista,
secondo te, nella dissolutezza e nel lusso: io, invece, pensavo che non aver
bisogno di niente divino, di pochissimo vicino al divino: ora il divino la
perfezione stessa e quel che pi vicino al divino pi vicino alle perfezione.
Senofonte, Memorabili, I, 6
Io vado intorno facendo nientaltro che cercare di persuadere voi, e pi
giovani e pi vecchi, che non dei corpi dovete prendervi cura, n delle
ricchezze n di alcuna altra cosa prima e con maggiore impegno che della
psych in modo che diventi buona il pi possibile, sostenendo che la virt non
nasce dalle ricchezze, ma che dalla virt stessa nascono le ricchezze e tutti gli
altri beni per gli uomini, e in privato e in pubblico.
Platone, Apologia di Socrate, 30 A-B, a cura di G. Reale, Rusconi
[Socrate] non poneva confini fra sapienza e saggezza, ma riteneva sapiente e
saggio chi, conoscendo le cose belle e buone, sapesse usarne, conoscendo le
brutte, sapesse guardarsene. Interrogato se reputasse sapienti e moralmente

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deboli quelli che, pur sapendo quel che devono fare, facevano lopposto,
rispose: No, non pi che insipienti e moralmente deboli. Io credo che tutti gli
uomini scelgono con ogni mezzo possibile quel che pi giova ai loro interessi e
questo compiono. E penso che quelli che seguono una strada sbagliata non
sono n sapienti n saggi. Diceva che la giustizia e ogni altra virt era
sapienza. Ogni cosa giusta e ogni altra forma di attivit fondata sulla virt
erano, a suo parere, belle e buone: chi conosce il bello e il buono niente pu
preferirgli; invece, chi non lo conosce, non pu farlo, e se lo tenta, sbaglia:
dunque, chi sa, compie cose belle e buone, chi non sa, non pu compierle, ma
se vi mette mano, sbaglia. E poich le cose giuste e tutte le altre, belle e buone,
si realizzano mediante la virt, chiaro che la giustizia e ogni virt sono
scienza.
Senofonte, Memorabili, III, 9, 4 sgg.

Lobiettivo ultimo della ricerca filosofica, secondo Socrate, di tipo squisitamente praticomorale, cio lattuazione della migliore condotta di vita. Tale obiettivo sintetizzato da
Socrate in una sola parola: virt. In greco antico virt (aret) significava qualit
distintiva, ovvero indicava quella propriet o capacit per cui qualcosa o qualcuno eccelle.
In questo senso i Greci potevano dire che il volo era la virt degli uccelli oppure che larte
militare era la virt degli spartani o ancora che linossidabilit era la virt delloro.
Riferendosi alla specie umana, Socrate parla di una pluralit di virt, quali il coraggio,
lamicizia, lamore, la giustizia, lonest, ecc. Ma tutte queste virt, per lui, altro non sono
che aspetti particolari di ununica virt: lintelligenza o razionalit. Infatti onest, coraggio,
amicizia, ecc. altro non indicano che il comportamento pi razionale che ogni uomo deve
seguire in relazione a un determinato aspetto o circostanza della vita. P.e., lonest il
comportamento razionale nei rapporti economici, il coraggio il comportamento razionale
di fronte a un pericolo, ecc. Di conseguenza, Socrate pu affermare che la virt delluomo,
cio la capacit per cui eccelle e si distingue da ogni altro essere, consiste appunto nelluso
della sua razionalit, o intelligenza, ovvero nella scienza intesa come conoscenza praticomorale rigorosa e fondata. Infatti grazie alla scienza che possibile individuare e
praticare un comportamento razionale per ogni aspetto della vita, cio le diverse virt.

Ma in cosa consiste per Socrate la razionalit morale? Qual per lui il comportamento
virtuoso? Come si fa a stabilirlo? In sintonia con la natura dialogica e aperta del suo modo
di concepire e di praticare la filosofia, Socrate non d una una risposta sistematica e

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compiuta a queste domande, ma si limita a offrire degli spunti, degli indizi. In particolare
dalle testimonianze sui suoi dialoghi possibile ricavare quattro criteri fondamentali:
1) lutilit, intesa per soprattutto come utilit interiore, cio come conservazione e
potenziamento della propria intelligenza, dal momento che, per Socrate, lessenza
delluomo la sua psich, cio la sua coscienza razionale;
2) lautocontrollo, inteso come la condizione in cui la coscienza razionale governa i
movimenti, le pulsioni istintive, i desideri e le emozioni del corpo;
3) l autarchia, intesa come la condizione di autosufficienza di ogni individuo che gli
permette di essere autonomo e libero, cio di non dipendere da niente e da nessuno;
4) la felicit, intesa come la condizione di benessere esteriore e interiore derivante
dallapplicazione dei tre criteri precedenti e consistente nel vivere dando il maggior
spazio possibile alluso dellintelligenza, cio dedicando la maggior parte del proprio
tempo alla ricerca conoscitiva che si svolge attraverso il dialogo filosofico.

Sulla base di questi criteri, la morale razionale di Socrate si caratterizza innanzitutto per la
sua contrapposizione alla morale comune basata sulle usanze e le abitudini. In questo
senso la razionalit morale di Socrate si propone come antitesi e insieme alternativa della
morale tradizionale: essa cio una morale elaborata in prima persona e liberamente
scelta anzich passivamente appresa e rispettata per conformismo e convenienza sociale.
Lantitradizionalismo della morale socratica si traduce nella preminenza dei valori interiori
cio quelli legati allesercizio dellintelligenza sui valori fisici e materiali. Questo
significa, per esempio, che la riflessivit mentale superiore, per Socrate, allagilit fisica.
Ma questo significa anche, e in particolare modo, che la ricchezza, la gloria, il successo, la
forza, la bellezza, ecc., di per s non possono essere considerati valori o beni ma devono
anzi essere giudicati potenziali disvalori e mali. Infatti, se non sono usati con intelligenza
essi sono dannosi per lindividuo, lo rendono schiavo dei propri impulsi, degli oggetti
materiali e degli altri, gli procurano solo infelicit. Insomma, i beni materiali sono tali solo
se usati con intelligenza, cio se subordinati ai valori intellettivi.

Porre il problema del rapporto coi beni materiali comporta affrontare la questione della
positivit o della negativit del piacere, inteso nel suo senso comune, cio come godimento
fisico. In altri termini: il mezzo principale per raggiungere e conservare la felicit il
piacere? dunque il piacere il criterio per stabilire se unazione buona, cio moralmente

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razionale, o cattiva, cio moralmente irrazionale? La risposta di Socrate a queste domande


negativa. Socrate infatti afferma a chiare lettere il primato del piacere intellettivo cio
del godimento mentale prodotto dal dialogo conoscitivo rispetto al piacere fisico.
Daltra parte Socrate non afferma nemmeno che il piacere fisico va totalmente rifiutato
sempre e comunque, cio non propone una morale di tipo ascetico. Tanto vero che le
testimonianze biografiche ce lo descrivono mentre partecipa a cene conviviali nel corso
delle quali il dialogo filosofico si abbina al piacere dei buoni cibi e delle buone bevande,
nonch dello scherzo, del riso e pi in generale della buona e allegra compagnia. Il punto
che per Socrate il piacere fisico deve essere funzionale a quello intellettuale, cio deve
essere goduto quanto basta a rendere possibile e a stimolare la ricerca conoscitiva.

Da quanto si detto emerge una concezione circolare della razionalit. Infatti, da un lato
Socrate pensa che la razionalit abbia un senso eminentemente pratico-morale, cio
consista nella ricerca conoscitiva del modo migliore di comportarsi. Dallaltro lato, Socrate
ritiene che il comportamento migliore, quello pi utile e pi felice, sia praticare la
razionalit come ricerca conoscitiva. Si tratta tuttavia, pi che mai, di un circolo virtuoso,
in quanto le due tesi si sostengono e si rafforzano a vicenda: i comportamenti migliori sono
quelli razionalmente fondati proprio perch il modo migliore di vivere, e dunque il fine
principale della vita, la ricerca razionale. E viceversa.
Il primato socratico della razionalit trova la sua glorificazione in un corollario del teorema
socratico delluguaglianza virt=scienza, ovvero moralit=razionalit: per comportarsi
bene non solo necessario ma anche sufficiente conoscere il vero bene e dunque per
comportarsi male sufficiente ignorare qual il vero bene. In parole semplici, il buono il
sapiente, il malvagio lignorante. Dunque il male umano una conseguenza
dellignoranza e per eliminarlo basta eliminare lignoranza, cio diffondere la conoscenza
razionale.

La morale razionale di Socrate, in quanto antitradizionale, potenzialmente in conflitto


con le leggi dello Stato, che sempre in misura maggiore o minore sono influenzate dalle
usanze tradizionali di un popolo. In questo senso Socrate, pur evitando intenzionalmente
limpegno politico, nellambito della sua ricerca conoscitiva collettiva critica
implicitamente e a volte esplicitamente le leggi e le decisioni dello Stato. Addirittura
sostiene che un uomo giusto deve astenersi dalla politica attiva perch altrimenti in breve
tempo, proprio in quanto giusto, sarebbe ucciso senza cos poter giovare in alcun modo alla
societ.
Socrate per sostiene anche che, in uno Stato democratico, il rifiuto di rispettare leggi e
decisioni sbagliate non deve comportare la trasgressione della legalit statale, in quanto in

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uno Stato democratico, e solo in esso, la responsabilit delle leggi sempre collettiva.
Pertanto, in democrazia, non solo non si deve ricorrere alla violenza rivoluzionaria per
cambiare le leggi ma addirittura bisogna accettare le pene inflitte in base a leggi o sentenze
ingiuste, perfino in caso di condanna a morte. In questo senso Socrate pu legittimamente
essere considerato il primo teorico (almeno occidentale) della disubbidienza civile e della
non-violenza come unici metodi legittimi ed efficaci di lotta politica per il radicale, ma
necessariamente graduale, miglioramento dello Stato.

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TAPPA 3
SOCRATE: DIO E RAZIONALITA, LUOMO IL FINE DEL COSMO
E tu credi di avere un po dintelligenza?
Interroga e risponder.
E ritieni che altrove non esista affatto lintelligenza, soprattutto
considerando che nel tuo corpo hai una piccola parte di terra, che pur
tanta, unesigua parte dacqua, che pur tanta, e che il tuo corpo stato
messo insieme da qualcuno che ha preso dalla grande massa degli
elementi una piccola parte di ciascuno? Se lintelligenza non esistesse
affatto, come puoi pensare che solo tu, per un caso fortunato, te la sei
portata via, e che questi elementi, infiniti di numero e immensamente
grandi, sono stati sistemati in bellordine, a quanto supponi, da una
forza non intelligente?
- Gi, per Zeus, perch non vedo chi ne ha il potere, come vedo chi
produce le cose quagg.
- Ma nemmeno lanima [psych] tua vedi che ha il potere sul corpo,
sicch, secondo il tuo ragionamento, puoi affermare di non compiere
niente con la riflessione, ma tutto a caso.
[]
- E non bastato a Dio di prendersi cura del corpo, ma, ci che pi
grande ancora, ha immesso nelluomo unanima [p s y c h ] di
meravigliosa potenza. C altra creatura la cui anima avverta lesistenza
degli dei che hanno disposto cose tanto grandi e tanto belle? Quale altra
razza se non quella degli uomini venera gli dei? Quale anima, pi
dellumana, capace di evitare la fame o la sete, il freddo o il caldo, di
curare i mali, di mantenere la salute, di sforzarsi ad apprendere, o
capace, infine, di ricordare quanto ha udito, visto, imparato? Non ti par
chiaro che, rispetto agli altri animali, gli uomini vivono come dei,
disposti da natura a dominare con il corpo e lanima?
[]
- Rifletti, o caro, continu, che lintelligenza ch in te governa il tuo corpo
a suo piacere. Conviene quindi credere che pure la sapienza che sta
nelluniverso dispone le cose come le aggrada, e non che la tua vista
possa distendersi per molti stadi, locchio di Dio, invece, sia incapace a
scorgere tutto insieme, non che lanima tua riesca a pensare alle cose di
qui, a quelle dEgitto e di Sicilia, la sapienza di Dio, invece, non sia in
grado di prendersi contemporaneamente cura di tutto [].
Senofonte, Memorabili, I, 4
-

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Dimmi, gli chiese, o Eutidemo, t mai accaduto di pensare con quanta


premura gli dei hanno preparato agli uomini il necessario?
- Mai, per Zeus, rispose quello.
- Eppure, sai che la nostra prima e fondamentale necessit la luce che
gli dei ci concedono?
- Certo: e se non lavessimo saremmo simili a ciechi con tutti i nostri
occhi.
- Abbiamo anche bisogno di riposo: ed essi ci offrono la notte come
ristoro dolcissimo.
- Anche di questo sha da essere grati, e molto.
- Inoltre, il sole col suo splendore illumina le varie ore del giorno e tutte
le altre cose, mentre la notte con le sue tenebre scura; e allora non
fanno essi brillare le stelle, che ci rischiarano le ore della notte, e ci
permettono di compiere molte operazioni, per noi indispensabili?
- E cos, disse.
- E la luna, poi, ci fa conoscere non solo le parti della notte, ma anche del
mese.
- Senzaltro.
- E siccome abbiamo bisogno di cibo, il farcelo crescere dal suolo e il
darci stagioni adatte a procurarci in grande quantit ogni specie di cose
non solo necessarie, ma anche dilettevoli?
[]
- Anche questo una prova segnalata damore per gli uomini.
- E che il sole dopo la rivoluzione invernale avanzi maturando certi
prodotti e seccandone altri, di cui passato il tempo, e, fatto ci, non
continui pi ad accostarsi ma torni indietro, badando a non rovinarci
con un calore eccessivo, e, quando poi, allontanandosi, ha raggiunto il
punto che, se andasse pi lontano, ci rattrappiremmo indubbiamente
tutti pel gelo, compia una nuova conversione e cominci ad avvicinarsi e
si volga in quella parte del cielo in cui, pi che in altra, possa esserci
utile?
[]
- Io, disse Eutidemo, mi sto gi chiedendo se gli Dei non abbiano nessuna
occupazione fuorch la cura degli uomini: unico ostacolo che pure gli
altri animali partecipano di questi beni.
E non chiaro, riprese Socrate, che anchessi esistono e crescono per
luomo? C una creatura che, quanto luomo, trae profitto dalle capre,
dalle pecore, dai buoi, dai cavalli, dagli asini e dagli altri animali? []
Senofonte, Memorabili, IV, 3
-

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Socrate un credente, ovvero un assertore dellesistenza degli dei. Non solo, ma la sua
stessa filosofia nutrita da unispirazione dichiaratamente religiosa. Tuttavia Socrate
propone e propugna una concezione del divino radicalmente diversa e innovativa rispetto a
quella della tradizione politeistica greca. Riprendendo e sviluppando le tesi di Senofane8,
Socrate critica e rigetta innanzitutto la visione volgarmente antropomorfica degli dei,
quella cio che attribuiva loro le fattezze fisiche e insieme le passioni e i vizi tipici di ogni
uomo, per esempio lira, linvidia, la dissolutezza alimentare e sessuale, ecc. Per Socrate gli
dei non hanno aspetto umano e pi in generale non sono sensibili, cio non possono
essere oggetto dei nostri sensi, insomma non si possono vedere, toccare, udire.
In questa prospettiva, Socrate si impegna nella confutazione dellobiezione
tradizionalistica secondo cui ci che non ha concretezza fisica non pu essere creduto
perch non esiste o perlomeno non si pu provare che esista. A tal fine egli argomenta che
il Sole non si lascia guardare bene e anzi abbaglia chi osa insistere a guardarlo, che il
fulmine non si vede prima e dopo la sua fugace apparizione e che il vento si manifesta
senza farsi vedere. Oltre a sostenere questi argomenti analogici, che hanno pi che altro
una funzione esemplificativa e preparatoria, Socrate soprattutto argomenta che anche
lintelligenza umana non si vede n si tocca, eppure esiste perch governa e muove il corpo.
Allo stesso modo, afferma Socrate, lintelligenza divina, pur invisibile e intoccabile,
governa luniverso.

Ma gli dei, secondo Socrate, differiscono dalla loro immagine popolare non solo e tanto
perch sono del tutto immateriali ma anche e soprattutto perch sono razionali e morali.
Lintelligenza, infatti, la propriet fondamentale del divino e ci comporta che gli dei
posseggano capacit e conoscenze razionali in sommo grado. Dal momento che la
conoscenza per Socrate coincide con la virt, in quanto sommamente razionali gli dei sul
piano pratico sono anche sommamente morali.
Dunque, anche da questo punto di vista, gli dei non sono come gli uomini, ma sono loro
superiori sia a livello teorico sia a livello comportamentale. Di qui la concezione critica
delluomo propria di Socrate: in quanto non un dio, luomo strutturalmente limitato e
fallibile. Di conseguenza la pi alta conoscenza umana sapere di non sapere. Ovvero
lautoconsapevolezza critica, cio appunto la coscienza dei limiti delle proprie capacit
conoscitive, ossia la consapevolezza della propria fallibilit.

Filosofo vissuto tra il 570 e il 475 ca. a.C., nato nella Ionia ma emigrato a Elea, nella Magna Grecia. Critic per primo
la concezione antropomorfica degli dei propria della tradizione religiosa greca.

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Socrate, inoltre, concepisce la divinit in modo parzialmente monoteistico. Infatti, mentre


per la religione greca tradizionale ogni dio rappresenta una potenza a s stante e di pari
dignit e Zeus soltanto, per cos dire, un primus inter pares, per Socrate, il divino
innanzitutto e fondamentalmente un intelligenza ordinatrice unica.
Tuttavia lIntelligenza divina, secondo Socrate, si articola in molteplici e diverse potenze
razionali che, pur essendo manifestazioni di un unico intelletto, posseggono una loro
autonomia e pertanto si possono rappresentare come singoli e particolari dei. Socrate
dunque rifiuta il politeismo tradizionale, ma non teorizza un monoteismo assoluto bens
un monoteismo parziale, relativo. In altre parole, per lui il Divino non ununica persona
ma una collettivit di persone, ovvero un insieme unitario di principi e forze razionali, per
complementari, coordinati e convergenti, in quanto manifestazioni e aspetti di una mente
razionale unitaria.

Ma forse laspetto pi rivoluzionario della speculazione teologica di Socrate costituito


dalla sua argomentazione dellesistenza di Dio. Essa cos schematizzabile:
1. Tutto ci che mostra in modo evidente un ordine cio unorganizzazione delle sue
parti finalizzata al raggiungimento di uno scopo non pu essere il prodotto del caso
ma deve essere il prodotto di unintelligenza ordinatrice che lha progettato e
realizzato intenzionalmente e razionalmente. Per esempio, una sedia non pu essersi
prodotta casualmente, ma il risultato del lavoro di un falegname che lha costruita
allo scopo di far sedere comodamente qualcuno.
2. Il corpo umano mostra un ordine evidente dato dalla mirabile interazione di tutti i
suoi organi finalizzata alla sua vita.
3. Il corpo umano non pu che essere il prodotto di unintelligenza superiore a quella
umana, ovvero dellIntelligenza divina.
4. Dunque Dio deve esistere, altrimenti non potrebbe esistere luomo.

Il carattere rivoluzionario dellargomentazione di Socrate consiste nel suo fare perno


sulluomo. In altri termini, lesistenza di Dio fondata da Socrate sulla centralit delluomo
nel cosmo che a sua volta trova nellesistenza di Dio la sua legittimazione. Socrate, infatti,
in aggiunta alla precedente argomentazione antropologica, adduce unulteriore

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argomentazione cosmologica che fa leva sullordine di tutta la natura e in questa


prospettiva arriva a concludere che Dio ha prodotto e governa il cosmo per permettere
alluomo di vivere nel modo migliore possibile.
Per esempio, argomenta Socrate facendo propria la teoria geocentrica del cosmo, il
movimento del Sole intorno alla Terra produce unalternanza di freddo e caldo, evitando
eccessi delluno e dellaltro e offrendo cos alluomo le migliori condizioni ambientali. In
questo modo, Socrate, da un lato, introduce lidea che Dio abbia una particolare attenzione
per luomo e, dallaltro, che luomo sia lessere naturale superiore a tutti gli altri e per
questo il fine ultimo del cosmo naturale.

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VIAGGI DI IERI E DI OGGI


SOCRATE E IL PRINCIPIO ANTROPICO
Lo sviluppo della ricerca scientifica nel 900, in particolare nellambito astrofisico, ha
posto gli scienziati di fronte a una serie di dati sperimentali che attestano che lesistenza
della vita sul nostro pianeta, e ancor pi di un essere intelligente quale luomo, leffetto
di condizioni originarie estremamente restrittive, cio di una gamma di coincidenze
altissimamente improbabili nelle propriet fondamentali della materia e di equilibri di
improbabilissima precisione tra le forze fisiche fondamentali. Per esempio, mentre
luniverso potrebbe in linea di principio avere una durata molto inferiore, esso ha
raggiunto e superato la dimensione spaziotemporale di 10 miliardi di anni luce, ovvero la
soglia minima necessaria alla produzione stellare del carbonio, elemento-base della vita
terrestre; ancora, la massa del corpo umano la media geometrica tra la massa di un
pianeta e una massa atomica, la massa di un pianeta la media geometrica tra la massa
atomica e la massa delluniverso ed entrambe queste coincidenze sono effetti dei valori
matematici delle interazioni gravitazionale ed elettromagnetica; inoltre se le intensit
relative di energia nucleare forte ed energia elettromagnetica fossero anche
minimamente maggiori o minori la loro interazione renderebbe impossibile la
formazione di atomi di carbonio e dunque della vita.
In base a queste e a molte altre evidenze, alcuni scienziati contemporanei di chiara fama
hanno teorizzato il principio antropico. Nella sua versione debole (PAD) esso
stabilisce che leccezionalit dei dati osservativi astrofisici relativa al fatto che
luniverso abbia prodotto casualmente una forma intelligente di vita capace di
rendersene conto. Nella sua versione forte (PAF) sostiene che luniverso deve possedere
propriet originarie che producano la vita intelligente, ovvero che luniverso
progettato al fine di generare osservatori.
Chi volesse approfondire, pu leggere Barrow-Tipler: Il principio antropico, Adelphi
2002 (The Anthropic Cosmological Principle, 1986).

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LO SCRIGNO
JOHN D. BARROW-FRANK J. TIPLER: LUNIVERSO E FATTO PER LUOMO
Che cos luomo perch luniverso debba preoccuparsi di lui? I telescopi
portano fino a noi la luce di remote sorgenti quasi stellari vissute miliardi di
anni prima della comparsa della vita sulla Terra, prima ancora che vi fosse
una Terra. Le ceneri ancora calde della creazione ci sono note come
radioattivit naturale. Un termometro e lattuale abbondanza relativa degli
elementi leggeri ci svelano le correlazioni tra temperatura e densit esistenti
nei primi tre minuti delluniverso. La fisica delle particelle elementari ci
illumina su condizioni ancora pi remote e ancora pi estreme. In questa
prospettiva di materia e di campi di tale energia, di tali escursioni di
temperatura e pressione, di tali vastit di spazio e di tempo, che cos luomo
se non un insignificante granello di polvere su un irrilevante pianeta in una
irrilevante galassia in una regione qualsiasi dellimmensit dello spazio?
E invece no, lantico filosofo aveva ragione! Il significato importante,
addirittura essenziale. Perch se da un lato luomo adatto alluniverso,
dallaltro luniverso adatto alluomo. Si immagini un universo in cui questa o
quella costante fondamentale differisse anche solo dellun per cento dal
valore numerico osservato. Un tale ambiente non vedrebbe mai la nascita
delluomo. Questo il significato del principio antropico. Secondo tale
principio, al centro del meccanismo e del progetto del cosmo c un fattore
capace di generare la vita.
John D. Barrow-Frank J. Tipler, Il principio antropico, Adelphi, 2002, pp.13-14

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LA SCOPERTA
LA REALTA COME RAZIONALITA METAFISICA

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Cannocchiale su
LORIZZONTE STORICO-CULTURALE
LETA DELLA DECADENZA GRECA (431-323 a.C.)
Nella seconda met del V secolo a.C., liberata dalla paura dellinvasione persiana, Atene
trascorse il suo periodo di maggiore ricchezza economica e splendore culturale. Questo
periodo fu politicamente dominato da Pericle, leader carismatico del partito democratico.
In politica estera, Pericle attu una sempre pi radicale politica di espansione e
rafforzamento dellegemonia ateniese, trasformando le poleis alleate della Lega delo-attica
in protettorati di Atene. In questo modo, Atene entr in urto con Megara e Corinto, citt
della Lega del Peloponneso facente capo a Sparta. Ne scatur la trentennale guerra del
Peloponneso (431-404 a.C.), che fu al tempo stesso una guerra tra poleis e una guerra civile
allinterno delle poleis tra fazioni aristocratiche, favorevoli a Sparta, e fazioni
democratiche, favorevoli ad Atene. Morto Pericle nel 429, a causa della peste scoppiata
nellAtene assediata, gli ateniesi persero una salda guida politica e il conflitto interno tra
democratici e aristocratici divamp indebolendo la loro azione bellica. Atene usc cos
sconfitta e devastata dalla guerra del Peloponneso, perdendo il suo impero e subendo un
drastico ridimensionamento del suo livello di benessere.
Una volta vinta Atene, fu Sparta ad esercitare legemonia sulla Grecia fino al 371 a.C.,
quando lesercito spartano fu sconfitto da quello tebano nella battaglia di Leuttra.
Legemonia tebana scalz cos quella spartana. Nel 362, per, nella battaglia di Mantinea, i
tebani, pur prevalendo su spartani e ateniesi alleati, persero il loro generale Epaminonda e
con lui legemonia. Indebolite dalle continue guerre e dalle permanenti rivalit, nel corso
della prima met IV secolo tutte le poleis greche iniziarono a decadere, esponendosi
sempre pi alla conquista da parte del regno macedone. Infatti, nel 358 Filippo II di
Macedonia riusc a unificare tutta la sua regione, nel 352 conquist la Tessaglia e nel 338 a
Cheronea sconfisse la lega ellenica e stabil la sua egemonia sullintera Grecia. Il figlio
Alessandro, detto il Grande, alla guida di un esercito greco-macedone, conquist a sua
volta lintero impero persiano, giungendo fino al fiume Indo, e in seguit si impegn nella
costruzione di un impero universale basato sulla fusione della cultura greca e di quella
mediorientale. La sua impresa, che almeno in parte si realizz, fu interrotta dalla morte
improvvisa nel 323, in seguito alla quale il suo impero si divise in diversi regni.

La cultura greca risent fortemente sia della guerra del Peloponneso sia della successiva
decadenza economico-politica delle poleis.
Nellambito dellarchitettura e delle arti plastiche, il sintomo pi emblematico degli effetti
prodotti dalla guerra furono la sospensione e in parte anche labbandono ad Atene del
programma pericleo di abbellimento monumentale della citt. Tuttavia nel corso del
trentennio bellico, sullAcropoli fu ancora costruito lEretteo, con la famosa loggia delle

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cariatidi. A livello stilistico, larte postclassica fu caratterizzata da una sempre maggiore


tendenza manieristica alla rottura dellequilibrio e della sobriet classica a favore di
unaccentuazione del movimento, del dettaglio ornamentale (soprattutto nel panneggio) e
dei giochi di chiaroscuro e di scorcio. I pi significativi scultori furono Timoteo (Leda con
il cigno), dallo stile fortemente espressivo; Prassitele (Afrodite Cnidia), importante per la
sua umanizzazione delle figure divine; Scopa (Statua di menade danzante), che
caratterizza le sue opere con movimenti violenti e forti torsioni, enfatizzandone il pathos;
Lisippo (Apoxyomeno, Ritratto di Socrate, di Aristotele, di Alessandro Magno), scultore
di corte del regno macedone, che impose un nuovo canone della figura umana, alternativo
a quello classico di Policleto, caratterizzato da una maggiore longilineit e da una testa pi
piccola, e finalizzato a rappresentare gli uomini non come sono ma come appaiono alla
vista; il pittore Apelle, che lavor per Alessandro Magno (Ritratto di Alessandro in veste di
Zeus con il fulmine in mano, Calunnia).
Nellambito della letteratura, il genere drammatico segu una parabola analoga a quella
delle arti plastiche. I tragediografici successivi a Euripide, e suoi imitatori, si basarono
sempre pi su effetti violenti e patetici e su dialoghi sempre pi artificiosi e retorici,
estromettendo il coro dallazione drammatica, con risultati artistici decisamente inferiori. I
commediografi successivi ad Aristofane, classificati come commedia di mezzo, anchessi
di molto a lui inferiori per livello artistico, abbandonarono i temi di attualit politica, e con
essi la satira e linvettiva contro i contemporanei, e si rifecero sempre pi a personaggi e
vicende del mito, usando un linguaggio meno volgare e pungente e uno stile pi raffinato e
innocuo. La tradizione poetica di genere lirico, a sua volta, cambi radicalmente per il
prevalere dellelemento musicale su quello letterario, liberandosi dai vincoli dei metri a
favore dei versi liberi, finendo con ladottare un linguaggio quasi prosaico e dando cos,
per, un forte impulso allevoluzione degli strumenti e dellarte musicale.
Il genere storiografico, invece, non risent, almeno inizialmente, della decadenza politica
greca, cui esso anzi si aliment. Tucidide, infatti, imperni la sua grandiosa opera storica
proprio sulla guerra del Peloponneso, proponendosi di descriverla in modo verosimile,
basandosi sullesperienza diretta e unattenta selezione di fonti e testimonianze, e
soprattutto di spiegarne le cause attribuendole esclusivamente a scelte umane, individuali
o collettive. In questo senso, Tucidide fu un allievo e un continuatore dei sofisti e le sue
Storie persero, rispetto a Erodoto, in piacevolezza artistica, ma guadagnarono in rigore
scientifico tanto da poter a buon diritto considerarsi latto fondativo della storia come
scienza umana. Senofonte in parte continu lopera di Tucidide, occupandasi della storia
greca a partire dal 411, anno al quale si era interrotto Tucidide, quello della fine della
guerra del Peloponneso, e rimanendo fedele alla sua impostazione scientifica; in parte,
oltretutto prevalente, sia nellAnabasi sia nella seconda met delle Elleniche (dal 404 al
362) Senofonte si allontan decisamente da Tucidide riprendendo e radicalizzando
Erodoto, ossia puntando sulla piacevolezza letteraria e basandosi quindi su temi favolistici,
ritratti di personaggi e interventi divini a tutto scapito della ricostruzione veritiera dei fatti.

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Nellinsieme, la cultura greca classica si andava esaurendo e alla fine del secolo sarebbe
stata rimpiazzata dalla nuova cultura ellenistica, frutto della contaminazione della cultura
greca con le culture mediorientali resa possibile dalla formazione dellimpero di
Alessandro Magno.

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V VIAGGIO
LA RAZIONALITA IDEALE

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MESSAGGIO NELLA BOTTIGLIA


Dopo di ci dissi paragona a una condizione di questo genere la nostra
natura per quanto concerne leducazione e la mancanza di educazione.
Immagina di vedere degli uomini rinchiusi in unabitazione sotterranea a
forma di caverna che abbia lingresso aperto verso la luce, estendendosi in
tutta la sua ampiezza per tutta quanta la caverna; inoltre, che si trovino qui
fin da fanciulli con le gambe e con il collo in catene in maniera da dover stare
fermi e guardare solamente davanti a s, incapaci di volgere intorno la testa a
causa di catene e che, dietro di loro e pi lontano, arda una luce di fuoco.
Infine, immagina che fra il fuoco e i prigionieri ci sia, in alto, una strada lungo
la quale sia costruito un muricciolo, come quella cortina che i giocatori
pongono fra s e gli spettatori, sopra la quale fanno vedere i loro spettacoli di
burattini.
Vedo, disse.
Immagina, allora, lungo questo muricciolo degli uomini portanti attrezzi di
ogni genere, che sporgono al di sopra del muro, e statue e altre figure di
viventi fabbricate in legno e pietra e in tutti i modi; e inoltre, come naturale,
che alcuni dei portatori parlino e che altri stiano in silenzio.
Tratti di cosa ben strana disse e di ben strani prigionieri.
Sono simili a noi ribattei . Infatti credi innanzi tutto che vedano di s e
degli altri qualcosaltro, oltre alle ombre proiettate dal fuoco sulla parte della
caverna che sta di fronte a loro?.
E come potrebbero rispose se sono costretti a tenere la testa immobile
per tutta la vita?.
E degli oggetti portati non vedranno pure la loro ombra?.
E come no?.
Se, dunque, fossero in grado di discorrere fra di loro, non credi che
riterrebbero come realt appunto quelle [ombre] che vedono?.
Necessariamente.
E se il carcere avesse anche uneco proveniente dalla parete di fronte, ogni
volta che uno dei passanti proferisse una parola, credi che essi riterrebbero
che ci che proferisce parole sia altro se non lombra che passa?.
Per Zeus! esclam . No di certo.
In ogni caso continuai riterrebbero che il vero non possa essere altro se
non le ombre di quelle cose artificiali.
Per forza, ammise lui.
Considera ora seguitai quale potrebbe essere la loro liberazione dalle
catene e la loro guarigione dallinsensatezza e se non accadrebbero loro le
seguenti cose. Poniamo che uno fosse sciolto e subito costretto ad alzarsi, a
girare il collo, a camminare e a levare lo sguardo in su verso la luce e, facendo

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tutto questo, provasse dolore, e per il bagliore fosse incapace di riconoscere


quelle cose delle quali prima vedeva le ombre; ebbene, che cosa credi che
risponderebbe se uno gli dicesse che, mentre prima vedeva solo vane ombre,
ora, invece, essendo pi vicino alla realt e rivolto a cose che hanno pi
essere, vede pi rettamente, e, mostrandogli ciascuno degli oggetti che
passano, lo costringesse a rispondere facendogli la domanda che cos? ?
Non credi che egli si troverebbe in dubbio e che riterrebbe le cose che prima
vedeva pi vere di quelle che gli si mostrano ora?
Molto, rispose.
E se uno poi lo sforzasse a guardare la luce medesima, non gli farebbero
male gli occhi e non fuggirebbe, voltandosi indietro verso quelle cose che pu
guardare, e non riterrebbe queste veramente pi chiare di quelle
mostrategli?.
E cos, disse.
Ed io di rimando: E se di l uno lo traesse a forza per la salita aspra ed erta, e
non lo lasciasse prima di averlo portato alla luce del sole, forse non
soffrirebbe e non proverebbe una forte irritazione per essere trascinato e,
dopo che sia giunto alla luce con gli occhi pieni di bagliore, non sarebbe pi
capace di vedere nemmeno una delle cose che ora sono dette vere?.
Certo disse almeno non subito.
Dovrebbe, invece, io credo, farvi abitudine, per riuscire a vedere le cose che
sono al di sopra. E dapprima potr vedere pi facilmente le ombre e, dopo
queste, le immagini degli uomini e delle altre cose riflesse nelle acque e, da
ultimo, le cose stesse. Dopo di ci potr vedere pi facilmente quelle realt
che sono nel cielo e il cielo stesso di notte, guardando la luce degli astri e della
luna, invece che di giorno il sole e la luce del sole.
Come no?.
Per ultimo, credo, potrebbe vedere il sole e non le sue immagini nelle acque o
in un luogo esterno ad esso, ma esso stesso di per s nella sede che gli
propria, e considerarlo cos come esso .
Necessariamente, ammise.
E, dopo questo, potrebbe trarre su di esso le conclusioni, ossia che proprio
lui che produce le stagioni e gli anni e che governa tutte le cose che sono nella
regione visibile e che, in certo modo, causa anche di tutte quelle realt che
lui e i suoi compagni prima vedevano.
E evidente disse che, dopo le precedenti, giungerebbe proprio a queste
conclusioni.
E allora, quando si ricordasse della dimora di un tempo, della sapienza che
qui credeva di avere e dei suoi compagni di prigionia, non crederesti che
sarebbe felice del cambiamento, e che proverebbe compassione per quelli?.
Certamente.

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E se fra quelli cerano onori ed encomi e premi per chi mostrava la vista pi
acuta nellosservare le cose che passavano, e ricordava maggiormente quali di
esse fossero solite passare per prime o per ultime o insieme e quindi
mostrasse grandissima abilit nellindovinare che cosa stesse per arrivare,
credi che costui potrebbe provare ancora desiderio di ci, o che invidierebbe
coloro che sono onorati o che hanno potere presso quelli? Non pensi, invece,
che accadrebbe quanto dice Omero e che di molto preferirebbero vivere sopra
la terra a servizio di un altro uomo senza ricchezze, e patire qualsiasi cosa,
anzich ritornare ad avere quelle opinioni e vivere in quel modo?.
E cos disse . Io credo che egli soffrirebbe qualsiasi cosa piuttosto che
vivere in quel modo.
E rifletti anche su questo aggiunsi : se costui, di nuovo scendendo nella
caverna, tornasse a sedere al posto che prima aveva, non si troverebbe forse
con gli occhi pieni di tenebre, giungendovi allimprovviso dal sole?.
Evidentemente, disse.
E se egli dovesse di nuovo tornare a conoscere quelle ombre, gareggiando
con quelli che sono rimasti sempre prigionieri, fino a quando rimanesse con
la vista offuscata e prima che i suoi occhi ritornassero allo stato normale, e
questo tempo delladattamento non fosse affatto breve, non farebbe forse
ridere e non si direbbe di lui che, per essere salito sopra, ne disceso con gli
occhi guasti, e che, dunque, non mette conto di cercare di salire su? E chi
tentasse di scioglierli e di portarli su, se mai potessero afferrarlo nelle loro
mani, non lo ucciderebbero?.
Sicuramente, ammise.
Platone, Repubblica, 514 A -517 A, a cura di G. Reale, Rusconi

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ROTTA SU
LIDEALISMO TRASCENDENTE
Il cuore della filosofia di Platone la teoria delle Idee, cio la teorizzazione e
largomentazione dellesistenza di un mondo metafisico ossia trascendente, al di l di
quello fisico, quindi non materiale costituito da un insieme unitario, e quindi ordinato,
di principi logici, matematici, etici, politici puramente razionali, perfetti ed eterni.
Platone denomina questi principi Idee. Con il termine Idea Platone non intende, per,
un contenuto della mente umana, ovvero un concetto, bens unentit reale, una cosa che
esiste di per s, indipendentemente dalla mente umana. Si tratta di una svolta epocale
nella storia della filosofia: per la prima volta, viene pensata lesistenza di una dimensione
del tutto diversa da quella fisica, oggetto dei sensi. Questa nuova dimensione ideale, per
Platone, il modello, ossia la matrice, del mondo fisico e quindi la realt naturale da lui
concepita come una copia materiale di una realt superiore puramente razionale. Ne
consegue che il mondo fisico ambivalente: da un lato positivo e ordinato in quanto
imita la perfezione ideale; dallaltro, data linsormontabile differenza ontologica tra la
pura razionalit e la materia, non una copia perfetta delle Idee dunque include una
quota di disordine, cio di male.
In quanto sono le matrici di tutte le cose fisiche, le Idee sono fondamenti dellesistenza del
mondo naturale, ovvero supremi principi ontologici. Come tali, secondo Platone, esse
sono anche principi gnoseologici, cio i criteri della scienza, intesa come conoscenza vera.
In altre parole, per conoscere cos veramente un essere naturale un animale, una
pianta o un minerale necessario conoscere lIdea di cui un derivato. Di conseguenza,
la scienza per Platone non pu basarsi sulla conoscenza sensibile, ovvero sullesperienza,
ma deve fondarsi invece sulla conoscenza puramente razionale, ovvero sulla teoria. Tale
conoscenza innata in ogni uomo dal momento che ogni uomo possiede unanima
razionale immortale che, originariamente, fa parte del mondo delle Idee. Il desiderio di
piaceri fisici provoca la caduta delle anime razionali, ovvero la loro incarnazione.
Imprigionate nel corpo le anime dimenticano la visione delle Idee ma poi possono
progressivamente ricordarla sempre meglio e acquisire cos una sempre pi ampia
scienza della realt. Le Idee, infatti, in quanto impresse nellanima, cio nella mente, e in
quanto poi ricordate, cio rese coscienti, costituiscono i concetti e le loro relazioni logiche,
che per Platone sono gli elementi fondamentali della conoscenza vera. Ma le Idee sono
anche i modelli dellagire umano individuale e collettivo, cio i supremi principi
dellestetica, della morale e della politica. In questo senso, per Platone, a mano a mano
che ogni uomo accresce la sua scienza, potenzia anche la sua vita estetico-amorosa, si
perfeziona moralmente ed elabora e mette in pratica la forma migliore di costituzione
statale. In questo modo luomo pu conseguire il suo fine ultimo: ripristinare la sua
conformazione originaria di pura anima razionale e ricongiungersi al mondo delle Idee.

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In tal modo Platone assume nella storia della filosofia occidentale il ruolo di fondatore
dellidealismo, una posizione filosofica che sar in seguito sviluppata da molti altri
filosofi in molte varianti, dando corpo a una delle pi importanti e durature correnti
della storia della filosofia. Rispetto alla sua successiva evoluzione, lidealismo platonico si
caratterizza per il suo carattere oggettivo e trascendente, ovvero perch, come abbiamo
visto, le Idee sono concepite come enti reali esterni sia al soggetto, ossia alla mente
umana, sia alla dimensione spazio-temporale.
Infine, a proposito dellimportanza di Platone per la filosofia occidentale, non si pu fare
a meno di conoscere il giudizio del filosofo inglese novecentesco A. N. Whitehead: Tutta
la filosofia occidentale un commento in margine allopera di Platone. Forse si tratta di
uniperbole, ma non per questo la dice meno lunga.

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VITA DI UN CAPITANO
PLATONE
Platone il cui vero nome era Aristocle, ma fu cos soprannominato dal suo maestro di
ginnastica per lampiezza (in greco pltos) delle spalle nacque ad Atene nel 428 o nel 427
a.C., cio uno o due anni dopo la morte di Pericle, da genitori appartenenti ad antiche
stirpi aristocratiche: il padre vantava la sua discendenza da Codro, lultimo re di Atene,
secondo la tradizione leggendaria; la madre annoverava tra i suoi antenati Solone, il
famoso legislatore ateniese. Ancora bambino rimase orfano di padre e venne allevato da
Pirilampo, anchegli aristocratico ma amico di Pericle, che gli impart uneducazione
improntata ai valori della democrazia. Da giovane si dedic alla pittura e alla poesia
(compose ditirambi, liriche e tragedie), ma poi fu introdotto alla filosofia da Cratilo,
discepolo di Eraclito. Forse prese parte a tre campagne militari, dal 409 al 407, nellambito
della guerra del Peloponneso. Nel 407 conobbe Socrate, di cui divenne fedelissimo e
appassionato seguace, e rinunci alla poesia per darsi completamente alla filosofia. Ma
ancora in quegli anni Platone concepiva la filosofia socratica come la formazione
indispensabile a diventare un politico giusto. In altre parole, Platone credeva che la sua
vocazione fosse lattivit politica, come egli stesso scrisse nella sua Lettera VII.
Le esperienze degli anni seguenti lo convinsero ad abbandonare questo proposito.
Dapprima, nel 404, la sua vocazione alla politica fu posta in crisi dalle violenze e dalle
ingiustizie del governo aristocratico dei Trenta Tiranni tra cui vi erano Carmide e Crizia,
due suoi parenti cui inizialmente aveva dato il suo appoggio ideale. Poi, in seguito alla
restaurazione della democrazia, Platone sub una delusione ancora maggiore a causa
dellesecuzione capitale per volont popolare del suo maestro Socrate. Egli comprese che,
data la degenerazione morale degli ateniesi, era diventato impossibile fare politica in modo
onesto e giusto, e che pertanto il suo compito era quello di promuovere una riforma morale
e culturale degli individui.
Scioccato dallassassinio del venerato maestro, in pericolo di vita in quanto suo discepolo,
Platone fugg da Atene. Secondo le fonti antiche, soggiorn dapprima a Megare, ospite di
Euclide, un altro seguace di Socrate; poi a Cirene presso il matematico Teodoro; quindi a
Eliopoli, uno dei centri della sapienza sacerdotale egizia; successivamente a Taranto dove
fu iniziato al pitagorismo dal filosofo e matematico Archita; e infine a Siracusa, invitato dal
tiranno Diongi (o Dionsio) il Vecchio, su suggerimento del cognato Dione, ammiratore
della filosofia di Platone, in particolare sostenitore della sua tesi politica fondamentale,
quella secondo la quale i governanti devono essere filosofi, ovvero devono apprendere la
scienza politica.
Ma a causa delle critiche che Platone rivolse al suo modo arbitrario di governare, Dionigi il
Vecchio lo fece vendere come schiavo alla citt di Egina, in guerra con Atene. Grazie al
riscatto pagato dallamico Anniceride di Cirene, Platone pot tornare ad Atene, dove nel
387 acquist un terreno nel giardino dedicato alleroe Academo e vi fece costruire un
edificio, fondando cos una sua scuola filosofica, lAccademia, che divenne un istituto di

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formazione culturale e morale della classe dirigente greca e, al tempo stesso, un centro di
ricerca scientifica soprattutto a livello matematico e astronomico. In questa prospettiva,
lAccademia di Platone rappresentava lalternativa alla scuola fondata nel 391 dalloratore
Isocrate, contrapponendo la formazione filosofica a quella retorica. Giuridicamente,
lAccademia era unassociazione religiosa dedita al culto di Apollo e delle Muse. Sul
modello delle comunit pitagoriche, nellAccademia maestri e discepoli non solo
insegnavano e studiavano, ma convivevano. Per, a differenza che nelle comunit
pitagoriche, nellAccademia non cerano donne. Lo stesso Platone non prese moglie n
risulta ebbe mai relazioni sentimentali, e tanto meno sessuali, con donne. Come
confermano i suoi scritti, in particolare i dialoghi Simposio e Fedro, Platone era
omosessuale, e teorizzava la superiorit dellamore omosessuale su quello eterosessuale,
ma considerava amore omosessuale, quindi moralmente lecito, solo quello che
intercorreva tra un adulto e un adolescente e solo se aveva un preminente scopo di
formazione morale e culturale delladolescente. Questo genere, e solo questo genere, di
relazione omosessuale da lui valorizzato per i suoi frutti intellettuali e chiamato
amicizia in contrapposizione allamore eterosessuale e allamore omosessuale tra
coeteanei, puramente o prevalentemente carnali. Inoltre, bench considerasse amici
anche gli amanti che avevano rapporti sessuali, Platone sosteneva che la vera amicizia
fosse puramente spirituale e quindi perorava lastensione dai rapporti sessuali. Da qui
derivata lespressione amore platonico che, dunque, non implica la proibizione della
sessualit, ma certamente la valorizzazione dellamore asessuale come forma superiore di
amore.
Dopo il 387, nonostante limpegno della direzione dellAccademia e let sempre pi
avanzata, Platone torn ancora a Siracusa per altre due volte, su richiesta di Dione e del
nuovo tiranno Dionigi il Giovane. Ma in entrambi i casi il tentativo di formare
filosoficamente Dionigi il Giovane fall e alla fine Platone rischi addirittura di essere
condannato a morte. Tornato definitivamente ad Atene nel 360 si dedic completamente
allinsegnamento nellAccademia e vi mor novantenne nel 348 o nel 347.
Platone il primo filosofo greco di cui ci pervenuta lopera completa, anzi addirittura in
sovrabbondanza. Infatti alcune delle opere tramandateci a suo nome sono apocrife, ovvero
non sono state scritte da lui ma da altri. Gli scritti sicuramente autentici sono: 3 lettere, un
discorso Apologia di Socrate, ovvero lautodifesa di Socrate di fronte al tribunale
popolare ateniese , 27 dialoghi (su 34 tramandatici a suo nome). Questi ultimi - in base
alla loro cronologia ma anche allevoluzione della filosofia platonica - possono essere cos
suddivisi:
1) dialoghi giovanili (cio anteriori alla fondazione dellAccademia): Critone (tema: il
rispetto delle leggi statali), Carmide (la temperanza), Lachete (il coraggio), Liside
(lamicizia), Ione (la poesia), Eutifrone (la piet intesa come devozione religiosa),

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Protagora (linsegnabilit della virt), Ippia minore (linconsapevolezza del


comportamento malvagio), Gorgia (le doti del politico);
2) dialoghi della maturit (tra la fondazione dellAccademia e il secondo viaggio a
Siracusa): Menesseno (critica della retorica), Menone (la conoscenza innata),
Eutidemo (le fallacie dei sofisti), Ippia maggiore (il bello), Cratilo (il linguaggio),
Fedone (limmortalit dellanima), Simposio (lamore), Fedro (la bellezza), Repubblica
(la giustizia e lo stato ideale);
3) dialoghi della tarda maturit e vecchiaia (dopo il secondo viaggio a Siracusa):
Teeteto (conoscenza), Parmenide (la teoria delle idee), Sofista (la dialettica), Politico
(la migliore forma di governo), Filebo (la dottrina morale), Timeo (la cosmologia),
Crizia (lo stato ideale), Leggi (la costituzione politica migliore), Epinomide (lo Stato).
Platone adotta il genere letterario del dialogo per fedelt al metodo filosofico socratico. In
questo modo, infatti, bench, a differenza di Socrate, accetti la scrittura come strumento di
elaborazione e trasmissione della filosofia, egli pu renderla il pi simile possibile allo stile
della comunicazione orale. Inoltre il protagonista della maggior parte dei dialoghi platonici
Socrate stesso. In altre parole Platone presenta la sua filosofia come una trascrizione
della filosofia socratica. Questo pone lo spinoso problema di stabilire fino a dove arrivi il
pensiero di Socrate e da dove cominci quello originale di Platone. In questo senso, si pu
dire, in linea di massima, che i dialoghi giovanili sono unesposizione fedele del pensiero di
Socrate, per quanto attraverso linevitabile filtro interpretativo di Platone; che i dialoghi
della maturit contengono invece la prima versione della teoria delle Idee, cio della
filosofia platonica originale nata dallo sviluppo del pensiero socratico; e infine che i
dialoghi della tarda maturit e della vecchiaia espongono la revisione critica e una nuova
versione della teoria delle Idee, pi lontana dal pensiero socratico e pi vicina al
pitagorismo.
A questultima fase del pensiero platonico sono legati anche i cosiddetti insegnamenti non
scritti, ossia un insieme di dottrine che Platone ha esposto solo oralmente ai membri
interni dellAccademia e che costituiscono il livello pi profondo e complesso della sua
filosofia. Tali insegnamenti non scritti sono stati ricostruiti in modo sufficientemente
attendibile, ma pur sempre incompleto, grazie alle testimonianze e alle trascrizioni
lasciateci dai discepoli di Platone, innanzitutto da Aristotele.

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TAPPA 1

PLATONE: LA VITA E UN VIAGGIO DAL BUIO ALLA LUCE


Caro Glaucone dissi , questa metafora nel suo complesso va adattata a
quanto si affermato in precedenza e cos questo luogo [la caverna] che ci
appare alla vista deve paragonarsi al luogo del carcere, e la luce del fuoco che
brilla in esso alla forza del sole. Se poi tu paragonassi lascesa verso lalto e la
contemplazione delle realt superne allelevazione dellanima al mondo
intellegibile non mancheresti di sapere quello che il mio intendimento, dato
che appunto questo che tu desideri conoscere; ma se poi esso sia vero solo
iddio lo sa. Ad ogni buon conto, questa la mia opinione: nel mondo delle
realt conoscibili lIdea del Bene viene contemplata per ultima e con grande
difficolt. Tuttavia, una volta che sia stata conosciuta non si pu fare a meno
di dedurre, in primo luogo, che la causa universale di tutto ci che buono e
bello e precisamente, nel mondo sensibile, essa genera la luce e il signore
della luce, e in quello intellegibile procura, in virt della sua posizione
dominante, verit e intelligenza e, in secondo luogo, che ad essa deve
guardare chi voglia avere una condotta ragionevole nella sfera pubblica e
privata.
Sono daccordo con te ammise almeno nella misura in cui mi riesce di
seguirti.
Allora aggiunsi io concordi con me che non vi sia nulla di strano che
persone che si sono elevate fino a tali vertici non vogliano pi impegnarsi in
imprese umane, ma che nel loro animo sempre siano attratti e sollecitati a
tornare lass. E ci perfettamente logico, se ci si deve attenere alla metafora
sopra illustrata [il mito della caverna].
Certo, logico, convenne.
E poi dissi ti sembrerebbe strano se qualcuno che discende dalla
contemplazione delle realt divine ai fatti umani rischia di far una brutta
figura, di apparire del tutto ridicolo, quando, muovendosi a tentoni, prima
ancora di esser riuscito ad abituarsi alla presente oscurit costretto nei
tribunali o in altro luogo a scendere in lizza solo per unombra di giustizia o
per quel simulacro che proietta quellombra e a stare a discutere sul modo in
cui queste apparenze debbano essere interpretate da chi non ha mai visto la
Giustizia in s?
Non ci sarebbe proprio nulla da meravigliarsi, disse.
Ma ripresi se uno ha un po di senno dovrebbe ricordare che ci sono due
tipi di disturbi degli occhi con due cause diverse: quel disturbo che affligge la

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vista quando si passa dalla luce al buio e quello che laffligge quando si passa
dal buio alla luce [].
Platone, Repubblica, VII, a cura di G. Reale, Rusconi

Il problema centrale di Platone quello del suo maestro Socrate Che cos luomo?
ma da lui riproposto pi ampiamente e radicalmente: Qual il senso dellesistenza
umana?. La risposta di Platone a questa domanda coincide con lintera sua filosofia,
quanto mai vasta e articolata, ma anche sintetizzata in un mito platonico, il mito della
caverna.
Infatti, per esporre il suo pensiero, Platone ricorre spesso a miti, cio a racconti
immaginari da lui stesso inventati. Essi svolgono due funzioni fondamentali nellambito
della sua filosofia:
esemplificare, chiarire e rendere pi incisivo e avvincente il suo pensiero;
alludere simbolicamente alle verit pi profonde e complesse che sfuggono alla
comprensione logico-concettuale.
Il mito della caverna il pi famoso e importante dei miti di Platone. Esso pu essere
interpretato e utilizzato come una mappa allegorica di tutta la filosofia platonica, o
perlomeno delle sue tesi fondamentali.

Il titolo del mito deriva dallambiente in cui il racconto prende il via e dove si conclude: una
caverna, appunto, o meglio una grande cavit sotterranea, giacente a una certa profondit
sotto il livello del suolo terrestre, e dunque fredda, umida e buia. Intorno alla parete di
fondo, quella pi lontana dalla sua apertura sulla superficie terrestre, sono seduti degli
uomini. Sono prigionieri dunque la caverna un carcere e giacciono l, in catene e in
una fitta penombra, fin dalla nascita.
Le catene gli impediscono non solo di alzarsi e di camminare, ma anche solo di girare la
testa allindietro. Essi pertanto sono costretti a guardare unicamente verso la parete in
fondo alla caverna. Su questa parete i prigionieri vedono un agitarsi e avvicendarsi di
forme indistinte e confuse, e da essa sentono provenire suoni che attribuiscono a quelle
forme confuse e ai loro movimenti.

Descritta la situazione interna alla caverna, Platone fa partire lazione: accade che un
prigioniero viene liberato dalle sue catene, costretto ad alzarsi e a girarsi allindietro e
infine spinto a camminare nella direzione opposta a quella della parete di fondo. Chi sia il
liberatore e perch liberi un prigioniero Platone non lo dice. E plausibile che sia un enigma

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voluto, quasi una suspense da giallo, che Platone usa per pungolare il lettore a cercarne
una soluzione leggendo gli altri suoi dialoghi e quindi apprendendo lintera sua filosofia.
(Ci che effettivamente faremo giungendo cos a sciogliere, almeno ipoteticamente,
lenigma.) Fatto sta che, in seguito allintervento del misterioso liberatore, il prigioniero
liberato si gira e prova un forte dolore agli occhi a causa della luce che lo abbaglia. I suoi
occhi infatti sono assuefatti alla penombra e perci ora non sono in grado di sostenere
immediatamente un livello pi intenso di luce.
Tuttavia, il liberato resiste al dolore e col tempo i suoi occhi si adattano e cominciano a
scorgere un muricciolo sopra il quale si muovono avanti e indietro oggetti di varie fogge e
dimensioni: animali, piante, rocce, montagne, nubi, uomini, ecc.. Il liberato si avvicina al
muro, scorge un spiraglio tra la parete laterale della caverna e il muro e, cos, infilandovisi
dentro lo oltrepassa. Riesce cos a vedere che, parallelamente al retro del muro, corre un
sentiero lungo il quale camminano avanti e indietro degli uomini che trasportano sulla
testa riproduzioni scultoree di ogni genere di cose. Il liberato capisce che il muro, alto
come i portatori, quando lui gli era davanti, li copriva alla sua vista facendogli credere che
le statuette si muovessero da sole, nello stesso modo in cui i teatrini dei burattinai coprono
il burattinaio dando lillusione che i burattini si muovano come persone reali. Inoltre il
liberato sente parlare i portatori e comprende che i suoni che prima aveva creduto
provenire dalla parete di fondo altro non erano che leco delle loro voci.
Sempre pi incuriosito, il liberato volge il suo sguardo ancora oltre e si accorge che dietro i
portatori, vicino alla parete opposta a quella dove giaceva imprigionato, brilla una luce pi
intensa. Avvicinatosi lentamente, per permettere nuovamente ai suoi occhi di abituarsi e di
superare il dolore, scopre un fuoco di legna e finalmente capisce che le forme confuse che
egli vedeva agitarsi sulla parete di fondo della caverna, quando era imprigionato, altro non
erano che le ombre delle statuette mosse dai portatori, proiettate dalla luce del fuoco sul
fondo della caverna.

A questo punto il liberato crede di aver concluso il suo cammino di esplorazione e scoperta.
Invece di nuovo spinto dal suo misterioso liberatore a scalare la parete ruvida e scoscesa
della caverna fino ad arrivare al livello del suolo terrestre e alluscita allaperto.
Naturalmente, una volta fuori il liberato rimane nuovamente abbagliato dalla luce solare in
modo molto pi intenso e doloroso di prima. Per molto tempo vaga come un cieco sul
suolo terrestre.
Poi lentamente i suoi occhi cominciano a sopportare la vista delle ombre delle cose
naturali, quindi delle loro immagini riflesse in stagni o ruscelli. Venuta la notte, il liberato
pu alzare gli occhi al cielo e vedere la luna e le stelle. Allalba del giorno successivo
finalmente pu guardare direttamente le cose naturali alberi, fiori, animali, montagne,
ecc. e alla fine perfino il sole stesso. Egli comprende cos che il sole la fonte prima e pi
potente di ogni luce e di ogni calore, e se ne gode leffetto benefico.

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Nel nuovo mondo che ha raggiunto, il liberato, inebriato di luce e di calore, si sente al
colmo della beatitudine. Ma, ricordando la sua dolorosa vita nella caverna, prova
compassione per i suoi compagni prigionieri e decide allora di tornare nel mondo
sotterraneo per rivelargli la sua scoperta e per convincerli a salire allaperto e permettere
anche a loro di godere della luce e del calore del sole.

Tuttavia, una volta ridisceso, i suoi compagni non gli credono, pensano che la sua vista si
sia guastata, e, di fronte alle sue proteste, decidono di metterne alla prova la capacit di
vedere sfidandolo a riconoscere le ombre sul fondo della caverna. Ma gli occhi del liberato,
ormai abituati alla luce solare, non riescono pi a vedere nitidamente nella penombra della
caverna.
Egli pertanto sbaglia a identificare le ombre e i suoi compagni credono di avere cos la
prova definitiva che la sua vista difettosa e che quindi il suo racconto non attendibile. Il
liberato allora cerca di scioglierli dalle loro catene per trascinarli fuori, ma i suoi compagni,
adirati per la sua insistenza, finiscono per ucciderlo.

Fin qui il racconto di Platone. Trattandosi di unallegoria occorre ora decifrarlo. Di primo
acchito, facile rilevare lelemento simbolico pi appariscente del mito platonico, cio la
coppia luce/vista che rappresenta la conoscenza nei suoi due aspetti complementari:
quello oggettivo, ovvero lesistenza di una verit in s (la luce solare ci permette di
vedere le cose naturali cos come la verit ci permette di conoscere la realt);
e quello soggettivo, cio la capacit umana di recepire la verit (la vista).
In questo senso il mito della caverna innanzitutto e fondamentalmente un mito di
iniziazione alla conoscenza, ovvero alla filosofia.

Un secondo simbolo evidente del mito della caverna quello del cammino di ascesa,
potremmo anche dire del viaggio, che rappresenta il carattere processuale e insieme
progressivo della conoscenza. In altre parole, Platone vuole dirci che la conoscenza non la
si possiede n la si pu conquistare istantaneamente, bens pu solo essere acquisita
gradualmente, in misura sempre maggiore, attraverso una lunga e costante ricerca.
Oltretutto, come vedremo meglio in seguito, il cammino conoscitivo per Platone
composito, presenta almeno quattro sfaccettature, tra loro strettamente intrecciate:
quella teoretica o scientifica;
quella estetico-amorosa;
quella morale o etica;

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quella politica.
Ma il cammino narrato da mito al tempo stesso una fuga, unevasione. Non dobbiamo
dimenticare infatti che la caverna una prigione. Ci significa che il cammino equivale a
un processo di liberazione, ovvero che il senso ultimo della ricerca conoscitiva, che
connette scienza, morale, estetica e politica, la conquista della libert.

In terzo luogo, nella decifrazione del mito della caverna, si pu rinvenire unaltra coppia
simbolica, quella basso/alto, che coincide con quella chiuso/aperto. Fuor di metafora, il
mito si basa sulla contrapposizione verticale tra un mondo inferiore e chiuso, quello della
caverna, e un mondo superiore e aperto, quello della superficie terrestre. La caverna
rappresenta cos il mondo fisico mentre la superficie terrestre un mondo superiore diverso
da quello fisico, cio metafisico. Tale mondo, la scoperta filosofica fondamentale di
Platone, un mondo privo di materia, costituito da puri principi razionali e come tale
conoscibile solo attraverso la ragione e non attraverso i sensi.
A questo punto risulta chiaro che per Platone la liberazione delluomo, e quindi in ultima
analisi la sua felicit, consiste nel trascendere la dimensione fisica per raggiungere il
mondo metafisico.

Infine, la parte finale del cammino/viaggio, non pi in ascesa ma in discesa, cio il ritorno
del prigioniero liberato nella caverna, rappresenta la missione propria di ogni uomo in
quanto filosofo: diffondere la conoscenza a tutti gli altri uomini per aiutarli a liberarsi e a
conseguire la felicit.
In questo senso, luccisione del liberato simboleggia il rischio mortale insito nella missione
filosofica dovuto al fatto che gli uomini sono attaccati alla fisicit, cio ai piaceri materiali
(le catene della prigionia), e dunque tendono a rifiutare e perfino a voler eliminare chi
vuole distoglierli dal godimento dei beni materiali.

Abbiamo cos analizzato cosa vuol dire il mito della caverna. Deve, per, essere chiaro che
questa decifrazione del mito della caverna ben lontana dallessere completa, esaustiva.
Essa ne comprende solo i significati pi generali, e quindi certamente fondamentali, ma
non unici. Lopera di decifrazione del mito della caverna dovr dunque proseguire,
entrando nei dettagli, in tutte le successive tappe di esplorazione del pensiero platonico.

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MAPPA della TAPPA 1


Nel fondo di una caverna
sotterranea, buia, fredda ed
umida, giacciono dei prigionieri
incatenati.

La vita fisica delluomo una


prigionia dolorosa dovuta
allattaccamento ai piaceri sensibili.

Un prigioniero viene liberato,


costretto ad alzarsi, a girarsi e a
camminare: vede il muro, le
statuette, i portatori, il fuoco di
legna.

Luomo si libera dalla dolorosa


prigionia della vita fisica
intraprendendo la ricerca
conoscitiva e scoprendo cos
nuove realt fisiche.

Il liberato scala la parete della


caverna, esce allaperto e vede le
cose naturali, le stelle, la Luna.

Approfondendo la sua indagine


conoscitiva, luomo scopre la
vera realt, quella razionale,
eterna e perfetta delle Idee.

Il liberato scopre il Sole in quanto


fonte prima della luce solo grazie
alla quale pu vedere, e ne gode il
calore.

Luomo conosce la Verit in s,


ovvero il principio primo di ogni
conoscenza e che anche Bene
perch gli infonde benessere.

Il liberato si ricorda dei compagni


ancora prigionieri e torna nella
caverna per annunciargli la sua
scoperta e condurli allaperto.

Il filosofo ha il compito di
annunciare agli uomini la Verit e
di aiutarli a liberarsi, ma gli
uomini tendono a rifiutarlo.

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TAPPA 2
PLATONE: LA SCIENZA SI BASA SULLINTUIZIONE DELLE IDEE
Io allora continuai in questi termini: Considera, pertanto, come dicevamo,
che due sono le realt e una domina sul genere e sul mondo intelligibile,
laltra sul visibile []. Hai ben colto queste due forme, il visibile e
lintelligibile?.
Le ho colte.
Prendi una linea divisa in due parti disuguali e dividila ulteriormente sia in
una parte che nellaltra ovvero nel genere visibile e in quello intelligibile ,
secondo la stessa proporzione. In seguito, se ti atterrai al criterio della
rispettiva chiarezza e oscurit, una delle parti del genere visibile sar
costituita dalle immagini; e per immagini intendo in primo luogo le ombre,
poi i riflessi sia quelli sullacqua che quelli sulle superfici solide, lisce e
brillanti e infine tutti gli altri fenomeni del genere. Mi segui?.
Ti seguo.
Per quanto concerne laltra sezione, ponivi i modelli di queste immagini,
ossia gli animali che ci circondano, ogni tipo di vegetale, nonch i prodotti
delluomo.
Va bene, la riserver a queste cose.
E non saresti tentato di dire suggerii che questa parte sia divisa in vero e
in falso e che limmagine sta al modello come loggetto dellopinione sta
alloggetto della conoscenza?.
S che lo dico, afferm.
Considera, dal canto suo, anche la sezione dellintelligibile, in quale modo si
debba dividere.
In che modo?.
In questo: una parte di essa, lanima costretta a indagarla servendosi delle
cose di prima come delle immagini, e procedendo via via di postulato non
verso il principio ma verso le conclusioni; laltra parte, invece poggiante su
un principio che non pi solo un postulato lanima la indaga procedendo
da postulati e senza immagini riferentesi allaltra sezione, seguendo un
procedimento con le Idee e per mezzo delle Idee.
Questultimo punto confess non lho ben compreso.
E allora dissi incominciamo di bel nuovo, perch premettendo queste
considerazioni certo il problema ti risulter pi comprensibile. Non puoi
ignorare, io credo, che chi si occupa di geometria, di matematica e di scienze
affini d per scontato il pari e il dispari, le figure e i tre tipi di angoli nonch
altri elementi della medesima natura, variabili da disciplina a disciplina.

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Queste cose, dunque, gli scienziati le fissano come ipotesi, dopo di che non
ritengono pi necessario rimetterle in discussione n fra s n con altri,
appunto perch assolutamente evidenti; invece, prendono le mosse da questi
principi e, passando a trattare quel che resta, con la massima coerenza
finiscono per arrivare a quella verit che serano prefissi di raggiungere.
Questo lo so bene, disse.
E allora sai anche che essi usano modelli visibili e costruiscono su di essi
delle dimostrazioni; ma nel ragionamento non hanno per oggetto tali realt,
bens le realt a cui queste assomigliano, sicch quando ragionano hanno di
mira il quadrato in quanto tale, e non quel quadrato, quella diagonale o quella
data figura che vanno disegnando. Delle figure che compongono e tracciano,
le quali corrispondono alle ombre e alle immagini che si formano sullacqua,
si servono come di immagini per cercare di vedere le realt in s che non si
possono cogliere altrimenti che con lintelligenza.
Dici il vero, convenne.
Ora questultimo genere di realt lho chiamato intelligibile; e tuttavia
lanima nella ricerca di eso costretta a ricorrere a ipotesi, non gi per
risalire ai principi dato che la ricerca non pu andar oltre le ipotesi , ma
servendosi come immagini di quelle realt che corrispondono alle copie della
parte pi bassa della linea. Resta il fatto, comunque, che in confronto con
queste copie, quelle realt sono ritenute e valutate come oggetti evidenti.
Capisco disse che tu fai riferimento alla geometria e alle arti affini ad
essa.
Sappi, dunque, che io considero laltra parte dellintelligibile, quella che il
ragionamento stessa attinge con la potenza della dialettica, non trasformando
i postulati in principi, ma procedendo dai postulati per quello che essi sono,
ossia dei punti di appoggio e di partenza, per arrivare a ci che non pi solo
un postulato, al Principio di tutto. Raggiunto questo e attenendosi a ci che ad
esso consegue, il ragionamento prosegue verso il termine e, senza far uso in
alcun modo di alcuna cosa sensibile, ma solo delle Idee stesse con se stesse e
per se stesse, termina nelle Idee.
Capisco disse ma non quanto basta. Mi sembra, infatti, che tu vada
disegnando unoperazione complicata, con la quale vuoi chiarire che quella
parte dellessere e dellintelligibile che colta dalla scienza dialettica di gran
lunga pi evidente di quella colta dalle altre cosiddette arti per le quali le
ipotesi fungono da principi.
In effetti, per quanto coloro che scrutano lessere per mezzo di queste arti
siano tenuti a coglierlo tramite lintelligenza e non i sensi, tuttavia, poich lo
contemplano non risalendo al suo principio ma a partire dalle ipotesi, ti
sembra che costoro non abbiano piena conoscenza di tali oggetti, per quanto,
per via della loro connessione coi principi, essi pure siano degli intelligibili. E

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mi pare che la condizione propria dei geometri e quella di coloro che sono
simili ai geometri tu la chiami d i a n o i a [pensiero discorsivo] e non
intelligenza, come se la dianoia fosse un alcunch di intermedio fra lopinione
e lintelligenza.
Hai compreso perfettamente dissi . E ora ammetti che ai quattro segmenti
della linea corrispondano le seguenti quattro funzioni dellanima:
lintellezione al pi elevato, la dianoia quello che segue, la credenza al terzo
segmento e al quarto la congettura [o immaginazione].
Platone, Repubblica, VII, 509 D-511 E, a cura di G. Reale, Rusconi

Come abbiamo visto, Platone sintetizza lintera articolazione della sua filosofia nel mito
della caverna, un racconto allegorico da lui stesso inventato. Loggetto del mito levasione
di un uomo dal carcere sotterraneo in cui tenuto da sempre prigioniero. Tale evasione
articolata in due cammini ognuno dei quali a sua volta si suddivide in due tappe:
1. il cammino allinterno della caverna: a) visione delle ombre sulla parete di fondo; b)
visione degli oggetti artificiali e del fuoco;
2. il cammino fuori della caverna sulla superficie terrestre: a) visione delle ombre e
delle immagini riflesse sulle superfici dacqua delle cose naturali; b) visione delle
cose naturali terrestri e celesti.
I due cammini sono rappresentazioni allegoriche dei due fondamentali mondi in cui,
secondo Platone, articolata la realt e, al contempo, dei due corrispettivi tipi generali di
conoscenza:
1. il mondo fisico (o sensibile) che oggetto della conoscenza sensibile;
2. il mondo ideale (o intelligibile) che oggetto della conoscenza razionale.
Le quattro tappe, a loro volta, sono rappresentazioni allegoriche dei tipi specifici di
conoscenza degli oggetti dei due diversi mondi:
1) limmaginazione (o congettura), che conosce le immagini superficiali delle
cose fisiche;
2) la credenza, che conosce le cose fisiche;
3) il ragionamento (o pensiero discorsivo/dimostrativo), che conosce gli enti
razionali matematici (figure geometriche, numeri, operazioni aritmetiche,
ecc.);
4) lintellezione (o intuizione intellettiva) che conosce gli enti razionali supremi,
cio le Idee.

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Il cammino della conoscenza comincia, secondo Platone, dal pi basso grado della
conoscenza sensibile, cio della conoscenza basata unicamente sui cinque sensi: la
immaginazione. Essa, nel mito della caverna, rappresentata dalla visione delle ombre
sulla parete di fondo. La simbologia platonica esprime il carattere superficiale, oscuro e
confuso, ovvero parziale e approssimativo, di questo tipo di conoscenza. In altri termini,
per Platone l immaginazione ha il valore di una congettura, cio una sorta di azzardo
conoscitivo, quasi un tirare a indovinare. Il suo fondamento infatti labile: si tratta
dellanalogia sensibile, cio la percezione di somiglianze qualitative immediate tra singoli e
parziali aspetti di pi cose o di pi eventi. Per esempio (mio, non platonico), si immagina
lunicorno, sulla base della somiglianza tra un rinoceronte e un cavallo, oppure si
immagina che un alano un vitello solo per la somiglianza delle loro dimensioni e forme;
o ancora immaginare significa attribuire, in base allanalogia tra emozioni umane e
fenomeni naturali, le tempeste marine allira di Poseidone o linverno al dolore di Demetra
per il rapimento della figlia Persefone; ma anche, riferendoci a noi oggi, pensare che il
freddo sia la causa del raffreddore, come suggerisce il nome stesso, solo perch pi
diffuso in inverno, ovvero per una mera concomitanza temporale.
Insomma, limmaginazione platonica rimanda a quella vasta e variegata gamma di
pseudoconoscenze che costituiscono gli ingredienti di miti, fiabe, proverbi, superstizioni,
credenze magiche e astrologiche. Considerando la sua situazione storico-culturale,
plausibile che Platone intendesse riferirsi soprattutto alla tradizione mitico-religiosa greca,
e pi in generale alle false conoscenze popolari.

Il successivo grado di conoscenza sensibile costituito dalla credenza. Nel mito della
caverna essa rappresentata sia dagli oggetti artificiali cio le statuette delle cose
naturali, che misteriosi portatori fanno muovere al di sopra di un muricciolo sia dal
fuoco di legna che con la sua luce proietta le ombre degli oggetti artificiali visibili sulla
parete di fondo. La simbologia platonica esprime, da un lato, la maggiore profondit,
consistenza e chiarezza della credenza, dallaltro, il suo carattere artificiale, derivato,
secondario, ovvero la sua incapacit di arrivare al fondamento della realt. In questo senso
ragionevole ritenere che Platone con la credenza si riferisca alla filosofia/scienza
cosmologica da Talete a Democrito. Infatti il sapere filosofico-scientifico di tipo
naturalistico, a differenza dell immaginazione, non si basa sulla vaga somiglianza di
singoli aspetti delle cose e dei fatti, ma considera le cose nella loro interezza, ovvero tiene
conto dellinsieme delle loro propriet, e ricerca le cause pi generali e profonde dei fatti in
base a ripetute e accurate osservazioni.
In altre parole, la credenza non si affida, come limmaginazione, a una o poche casuali
osservazioni, ma si basa sull esperienza, cio sullaccumulo e il confronto ragionato di
molte sensazioni. Tuttavia lesperienza limitata alla dimensione fisica e pertanto rinviene
solo propriet e cause fisico-naturali. Ma poich la dimensione fisica caratterizzata dal

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divenire, propriet e cause fisiche sono indefinatamente molteplici e variano


continuamente, e di conseguenza la credenza, secondo Platone, non in grado di arrivare
a una conoscenza universale completa e quindi certamente vera. Facendo un esempio
odierno, la credenza, basandosi su ripetute e metodiche osservazioni empiriche, pu
arrivare alla conclusione che loro sia inossidabile. Si tratta di una conclusione attendibile,
credibile, perch fondata su prove. Ma non arrivando alla causa razionale
dellinossidabilit, cio la struttura atomica delloro, in base alla semplice credenza non si
pu escludere che ci sia delloro ossidabile o che un pezzo doro possa diventare prima o
poi ossidabile. Per questo motivo, la credenza, e pi in generale la conoscenza sensibile,
rimane un opinione, cio una conoscenza relativa, che pu anche essere vera ma senza
che si possa essere certi di tale verit. (Daltronde anche un orologio fermo due volte al
giorno batte lora esatta.)

Il terzo livello della conoscenza il ragionamento costituisce la prima forma di


conoscenza razionale. Nel mito della caverna il passaggio dalla conoscenza sensibile alla
conoscenza razionale rappresentato dalla scalata del prigioniero liberato fino alluscita
allaria aperta e il ragionamento dalla visione delle immagini delle cose naturali riflesse
negli specchi dacqua, cio da una visione solo indiretta dovuta allimpossibilit per gli
occhi di abituarsi immediatamente alla maggiore intensit della luce solare. La simbologia
platonica sta a significare che il cammino conoscitivo finalmente arrivato agli oggetti
fondamentali, primari, cio ai modelli originali, di cui le statuette dei portatori sono copie e
le ombre copie delle copie; ma anche che tali oggetti primari, cio le fondamenta della
realt, non sono ancora conoscibili completamente ma solo parzialmente.
Infatti il ragionamento consiste per Platone nelle scienze matematiche aritmetica,
geometria, astronomia, musica le quali giungono a conoscere le propriet e le cause
razionali delle cose e dei fatti naturali, in quanto scoprono che tutti i fenomeni naturali
sono la manifestazione fisica di enti matematici e di relazioni matematiche. Poich tali enti
e tali relazioni sono determinati e invariabili, il ragionamento una conoscenza certa e
stabile. Tale conoscenza consiste nella dimostrazione logico-deduttiva, la quale a partire da
alcuni principi primi (assiomi e postulati) arriva, in base a una serie di inferenze deduttive,
a una conclusione necessaria e pertanto dotata di una verit certa. Un esempio
paradigmatico, che anche Platone avrebbe potuto fare, pu essere quello della
dimostrazione del teorema di Pitagora. Disegnando e misurando molti triangoli rettangoli
di diverse dimensioni, si pu verificare empiricamente che larea del quadrato costruito
sullipotenusa equivalente alla somma delle aree costruite sui cateti. Ma in base
allosservazione empirica non si pu avere la certezza che tale legge valga per tutti i
triangoli rettangoli. La dimostrazione del teorema di Pitagora, invece, attesta con certezza
proprio questo, che tale legge vale per tutti i possibili triangoli rettangoli, anche se non

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possiamo misurarli tutti dal momento che sono infiniti e anzi senza bisogno di
misurarne nemmeno uno.
Per, Platone rileva che tutte le scienze matematiche partono da principi primi non
dimostrati razionalmente, e che pertanto sono solo delle ipotesi. Dunque i principi delle
scienze matematiche non sono fondati e pertanto, basandosi solo sulle scienze
matematiche, non possibile garantire completamente che le loro inferenze deduttive
giungano a conclusioni certamente vere. Inoltre le scienze matematiche si servono di
rappresentazioni grafiche (p.e. le figure geometriche) che sono un residuo del mondo
fisico-sensibile. A causa di questi limiti le scienze matematiche, secondo Platone, non sono
autosufficienti ma devono fondarsi su un livello ulteriore di conoscenza.

Tale superiore grado di conoscenza l intellezione e, per Platone, costituisce il traguardo


del cammino conoscitivo. Nel mito della caverna rappresentato dalla visione degli enti
naturali terrestri (animali, piante, minerali), degli enti naturali celesti notturni (stelle e
Luna) e infine del Sole. La simbologia platonica esprime la conoscenza diretta e completa
degli oggetti primari, e quindi fondanti, di tutta la realt nella loro stratificazione
gerarchica.
L intellezione infatti latto mentale intuitivo con cui lintelletto conosce direttamente le
Idee, gli oggetti puramente razionali, cio del tutto privi di propriet fisico-sensibili, che
costituiscono il fondamento dei principi delle scienze matematiche e i modelli originali e
immutabili di tutti gli enti e di tutti i fenomeni naturali. Come vedremo, lintellezione alla
base della scienza suprema, che Platone denomina dialettica.
Il cammino conoscitivo pertanto giunge a compimento con la scoperta che le Idee sono i
principi primi di tutta la realt che, come tali, garantiscono una conoscenza completa e
certamente vera, cio rendono possibile la scienza. Ma cosa sono le Idee?

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MAPPA della TAPPA 2


VIAGGIO NELLA
CAVERNA

CONOSCENZA SENSIBILE
DEL MONDO FISICO

Visione delle ombre sul fondo


della caverna e ascolto degli
echi delle voci dei portatori
dietro al muro.

IMMAGINAZIONE (o
congettura): conoscenza delle
propriet qualitative pi
immediate e superficiali delle
cose fisiche

Sapere miticoreligioso e
superstizioni e
leggende popolari

Visione delle statuette


trasportate sulle spalle dei
portatori e del fuoco di legna
che arde nella caverna

CREDENZA: conoscenza
empirica, basata su osservazioni
ripetute e accurate, delle cose
fisiche

La filosofia
cosmologica basata
su principi primi di
tipo fisico

VIAGGIO FUORI DELLA


CAVERNA, SULLA
SUPERFICIE TERRESTRE

CONOSCENZA
RAZIONALE DEL MONDO
METAFISICO

Visione delle ombre degli enti


naturali e dei loro riflessi in
stagni e ruscelli.

RAGIONAMENTO:
conoscenza ipotetico-deduttiva
degli enti matematici (figure
geometriche, numeri, ecc.)

Scienze: aritmetica,
geometria, musica,
astronomia

Visione degli enti naturali,


delle stelle e della Luna,
infine del Sole

INTELLEZIONE: intuizione
dei principi primi degli enti
matematici e di tutte le cose,
ossia delle Idee

La scienza suprema,
ovvero la
dialettica

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TAPPA 3
PLATONE : LE IDEE SONO I MODELLI RAZIONALI DI OGNI COSA
[] Diciamo noi che il giusto qualcosa per se stesso, oppure no?
S, lo diciamo, per Zeus!
E anche il bello e il buono?
E come no?
E hai mai vista qualcuna di queste cose con gli occhi?.
No, affatto, rispose.
E le hai mai colte, forse, con altro senso del corpo? Non parlo solo delle cose
nominate sopra, ma anche della grandezza, della salute, della forza, e, in una
parola, dellessenza di tutte le altre cose, ossia di ci che ciascuna di quelle
cose . Ebbene, forse che si conosce ci che in esse c di pi vero mediante il
corpo? O le cose stanno invece cos: solamente chi di noi si preparato a
considerare con la mente nella maniera pi precisa ciascuna cosa di cui fa
ricerca, solamente costui pu giungere pi vicino possibile alla conoscenza di
ciascuna di queste cose?.
Certamente.
Platone, Fedone, 65 D, a cura di G. Reale, Rusconi
Ma chiamare causa cose come queste [gli elementi naturali: aria, acqua,
ecc.] troppo fuori luogo.
Se uno dicesse che, se non avessi queste cose, cio ossa, nervi e tutte le altre
parti del corpo che ho, non sarei in grado di fare quello che ritengo di fare,
direbbe bene; ma se dicesse che io faccio le cose che faccio proprio a causa di
queste, e che, facendo le cose che faccio, io agisco, s, con la mia intelligenza,
ma non in virt della scelta del meglio, costui ragionerebbe con assai grande
leggerezza.
Questo vuol dire non essere capace di distinguere che altra la vera causa e
altro il mezzo senza il quale la causa non potrebbe mai essere causa. E mi
sembra che i pi, andando a tastoni come nelle tenebre, usando un nome che
non gli conviene, chiamano in questo modo il mezzo, come se fosse la causa
stessa.
Ed questo il motivo per cui qualcuno, ponendo intorno alla terra un
vortice, suppone che la terra resti ferma per effetto del movimento del cielo,
mentre altri le pone di sotto laria come sostegno, come se la terra fosse una
madia piatta. Ma quella forza per la quale terra, aria e cielo ora hanno la
migliore posizione che potessero avere, questo n cercano n credono che
abbia una potenza divina, ma credono di aver trovato un Atlante pi potente,

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pi immortale e pi capace di tenere luniverso, e non credono affatto che il


bene e il conveniente siano ci che veramente lega e tiene insieme.
Io mi sarei fatto col pi grande piacere discepolo di chiunque, per poter
apprendere quale sia questa causa; ma, poich rimasi privo di essa e non mi
fu possibile scoprirla da me n apprenderla da altri; ebbene, vuoi che ti
esponga, o Cebete, la seconda navigazione [quella a remi, quando non c
vento] che intrapresi per andare alla ricerca di questa causa?.
Altro che se voglio!, rispose.
E Socrate allora disse: Dopo questo, poich ero stanco di indagare le cose, mi
parve di dover star bene attento che non mi capitasse quello che capita a
coloro che osservano e studiano il sole quando c leclissi, perch alcuni si
rovinano gli occhi, se non guardano la sua immagine rispecchiata nellacqua,
o in qualche altra cosa del genere.
A questo pensai, ed ebbi paura che anche lanima mia si accecasse
completamente, guardando le cose con gli occhi e cercando di coglierle con
ciascuno degli altri sensi.
Perci, ritenni di dovermi rifugiare in certi postulati e considerare in questi
le verit delle cose che sono.
Forse il paragone che ora ti ho fatto in un certo senso non calza, giacch io
non ammetto di certo che chi considera le cose alla luce di questi postulati le
consideri in immagini pi di chi le considera nella realt. Comunque, io mi
sono avviato in questa direzione e, di volta in volta, prendendo per base quel
postulato che mi sembri pi solido, giudico vero ci che concorda con esso, sia
rispetto alle cause sia rispetto alle altre cose, e ci che non concorda giudico
non vero [].
Platone, Fedone, 99 A-100 A, a cura di G. Reale, Rusconi

Come abbiamo visto, la forma pi alta e completa di conoscenza, secondo Platone,


lintuizione intellettiva o intellezione. Essa latto puramente mentale e immediato, e
quindi infallibile, con il quale conosciamo le Idee, cio gli oggetti fondamentali della
realt. Nel mito della caverna l intuizione rappresentata allegoricamente dalla visione
diretta e totale delle cose naturali (piante, animali, minerali, stelle, Luna, Sole) sulla
superficie terrestre. Le cose naturali sono dunque il simbolo delle Idee. Ma cosa sono allora
le Idee per Platone?
Non facile capirlo perch nel nostro linguaggio per idea intendiamo una
rappresentazione della mente umana, un pensiero, un concetto. Nel greco antico, invece,
idea (ida, ma anche edos) significava aspetto, figura, forma. Platone usa il
termine greco antico attribuendogli il significato filosofico di forma razionale, essenza

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intelligibile. In questo senso, lIdea platonica corrisponde in parte a ci che noi


intendiamo con concetto, cio linsieme delle propriet fondamentali che accomunano un
gruppo di cose e che si sintetizzano linguisticamente nella definizione. P.e., il concetto di
triangolo, ovvero poligono con tre lati e tre angoli, oppure il concetto di gatto, ovvero
felino di piccole dimensioni che miagola. LIdea platonica, per, a differenza del
concetto, non una rappresentazione mentale, bens un oggetto reale. P.e., per Platone
lIdea di gatto la forma razionale unica e universale di tutti i possibili gatti, che esiste
fuori della nostra mente e indipendentemente da ogni gatto esistente nel mondo fisico.

Ci premesso, vediamo quali sono le caratteristiche di questi strani oggetti chiamati da


Platone Idee. Secondo Platone le Idee sono:
puramente razionali, ossia metafisiche, cio non posseggono alcuna materialit, non
appartengono alla dimensione fisica, e quindi non si possono vedere, toccare,
odorare, ma soltanto intuire mentalmente;
universali, in quanto ognuna costituita dalle caratteristiche comuni a una
molteplicit di cose individuali (c unica Idea di gatto per tutti i gatti fisici presenti,
passati e futuri);
eterne, in quanto, non essendo fisiche, le Idee non si generano n si distruggono;
immutabili, in quanto, non essendo fisiche, non sono soggette al divenire;
perfette, poich ognuna di esse lessenza totale e piena di qualcosa;
divine, perch tutte le precedenti caratteristiche sono proprio quelle che
contraddistinguono il divino.
Date queste caratteristiche, per Platone, bench metafisico e non esperibile sensibilmente,
il mondo delle Idee costituisce la realt suprema, la Realt con la maiuscola. Solo le Idee,
infatti, posseggono davvero lesistenza, cio esistono in virt di s stesse, non essendo
generate da qualcosaltro, ed esistono in modo pieno, totale, dal momento che sono eterne.

Ma se le Idee non sono empiricamente conoscibili e dunque provabili, come pu Platone


sostenerne lesistenza? La principale argomentazione platonica dellesistenza delle Idee si
impernia sul concetto di uguaglianza, intesa come completa coincidenza/collimanza di due
cose. Platone sostiene che evidente che tutti gli uomini possiedono tale concetto, in
quanto esso il criterio in base al quale valutiamo continuamente se due oggetti sono
simili o diversi. Per, osserva Platone, nel mondo fisico, caratterizzato dalla molteplicit
individuale illimitata, non esistono due o pi cose perfettamente uguali, p.e. due abeti
uguali.
Dunque impossibile che gli uomini abbiano ricavato il concetto di uguaglianza dal mondo
fisico tramite lesperienza sensibile. Lunica spiegazione plausibile del fatto che

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possediamo il concetto di uguaglianza pertanto, secondo Platone, che esista lIdea di


uguaglianza cio lUguaglianza in s, lUguaglianza perfetta e che le nostre menti siano
in grado di intuirla.

Come si detto, le Idee nel mito della caverna sono simboleggiate dagli oggetti naturali
presenti sul suolo terrestre. Tali oggetti nel mito sono divisi , in base ai diversi momenti in
cui il prigioniero liberato le vede, in tre gruppi:
1. gli oggetti terrestri, quali piante, animali, minerali;
2. gli oggetti celesti notturni: le stelle e la Luna;
3. gli oggetti celesti diurni: il Sole.
E plausibile che Platone rappresenti cos, allegoricamente, larticolazione gerarchica del
mondo delle Idee:
1. al livello pi basso, le Idee delle cose naturali, p.e. lIdea di cane o lIdea di metallo o
ancora lIdea di temporale;
2. a un livello superiore le Idee delle cose astratte, cio dei valori etico-civili - p.e.
lIdea di coraggio o lIdea di onest , dei principi logici pi generali, p.e. lIdea di
uguaglianza o lIdea di causa e, ancora, le Idee dei numeri e la Diade (la Luna);
3. al massimo e supremo livello, il principio di tutte le Idee, cio lUno (il Sole).

Ma cosa sono lUno e la Diade? Secondo Platone, tutte le Idee sono costituite
dellinterazione di due principi opposti, ma originariamente correlati luno allaltro:
lUno, ovvero il principio della deliminazione, della determinazione, dellordine,
ossia dellorganizzazione;
la Diade, ovvero la dualit di infinitamente grande e infinitamente piccolo, cio la
molteplicit infinita costituita dalle illimitate gradazioni comprese tra un limite
tendente allinfinitamente grande e uno tendente allinfinitamente piccolo.
Linterazione tra Uno e Diade genera una molteplicit determinata, unitaria, cio ordinata,
per lappunto il mondo delle Idee. La Diade e pi ancora lUno sono dunque al di l e al di
sopra delle stesse Idee, in quanto ne sono i Principi generatori.
Le prime Idee a essere costituite dallinterazione di Uno e Diade sono i numeri ideali,
cio la decade, i primi dieci numeri, in base ai quali poi si formano tutte le altre Idee. Ci
significa che vi sono Idee monadiche, Idee diadiche, Idee triadiche, ecc., e, pi in generale,
che ogni Idea la manifestazione e la realizzazione di uno specifico valore numerico e
dunque che le relazioni logiche tra le Idee sono fondamentalmente di tipo matematico.
In questo senso, lUno definito da Platone la misura esatta, ovvero il metro, il criterio
supremo di misurazione di ogni Idea. In altre parole, lUno il parametro che stabilisce gli
esatti valori numerici di tutte le Idee facendo s che ognuna sia pienamente s stessa e al

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contempo intrattenga rapporti di armonica integrazione e proficuo equilibrio con le altre.


Il principio dellUno, aggiunge Platone, coincide a sua volta con il Bene in s, la Verit in s
e la Bellezza in s. Il Bene infatti misura/ordinamento dei nostri istinti, delle nostre
emozioni, dei nostri sentimenti e di conseguenza dei nostri comportamenti. La Verit
misura/ordinamento delle nostre conoscenze empiriche e dei nostri ragionamenti. La
Bellezza misura/ordinamento degli aspetti fisico-sensibili dei nostri corpi e in generale
delle cose.
Dal momento che Bene, Verit e Bellezza hanno lUno come denominatore comune
essenziale, secondo Platone ci che davvero bello anche vero e buono, ci che vero
anche buono e bello, ci che buono anche vero e bello. Insomma, al vertice del mondo
delle Idee sta lequazione multipla Uno=Bene=Vero=Bello. In questo senso tutte le Idee
sono buone, vere e belle, ovvero ognuna di esse un modo specifico di realizzare il Bene, il
Vero e il Bello, e tutte insieme costituiscono il Bene-Vero-Bello compiuto e totale.

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MAPPA della TAPPA 3

UNO = Bene = Bello = Vero


Principio finito di determinazione e ordine,
misura esattissima

DIADE=dualit infinitamente
grande/infinitamente piccolo
Principio infinito di molteplicit disordinata

NUMERI IDEALI
della decade

IDEE
dei principi logico-matematici,
dei valori etici e
di tutte le cose fisiche

oggetti
puramente
razionali, cio
non fisici, che
esistono fuori
della mente
umana

universali, in
quanto
sintesi delle
propriet
comuni di un
insieme di
cose

eterne e
immutabili, in
quanto non
nascono, non
muoiono e non
cambiano

perfette,
perch
complete e
compiute

divine,
perch
posseggono
il massimo
grado di
realt ed
esistenza

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VIAGGI DI IERI & VIAGGI DI OGGI


LE IDEE PLATONICHE E ROGER PENROSE
Alcuni grandi scienziati contemporanei condividono la teoria delle Idee di Platone,
bench limitatamente alle Idee logico-matematiche. Il caso pi significativo quello del
fisico Roger Penrose, professore emerito delluniversit di Oxford, autore insieme a
Stephen Hawking della teoria dei buchi neri, il quale sostiene che i concetti e le relazioni
matematiche, in quanto oggettivamente veri, sono delle Idee proprio nel significato
platonico del termine.
Penrose argomenta la sua tesi utilizzando linsieme di Mandelbrot. Si tratta di un
frattale, cio di una figura matematica divisibile allinfinito in cui ogni parte, sempre pi
piccola che sia, ha la stessa configurazione, e la stessa grandezza infinita, dellinsieme. B.
Mandelbrot il matematico della seconda met del 900 che scopr i frattali ed elabor la
loro teoria geometrica.
Linsieme di Mandelbrot, afferma Penrose, esiste oggettivamente, unIdea platonica, in
quanto impossibile che possa esistere nella mente umana o in un computer, per quanto
potente sia. Infatti, pur scaturendo da una regola matematica molto semplice, linsieme
di Mandelbrot infinito e, come tale, non pu per principio essere riprodotto
completamente n nella mente di un uomo n sul video o nei tabulati di un computer. La
sua esistenza pu trovarsi solo nel mondo platonico delle forme matematiche, conclude.
E, per chiarire la sua tesi, aggiunge: Le forme matematiche del mondo platonico non
hanno evidentemente lo stesso tipo di esistenza dei comuni oggetti fisici, come tavoli o
sedie. Non hanno una posizione spaziale e non esistono nel tempo. Si deve pensare che le
nozioni matematiche oggettive siano entit atemporali, che non devono essere
considerate come esistenti soltanto nel momento in cui sono percepite dagli esseri umani
per la prima volta (R. Penrose, La strada che porta alla realt, Rizzoli, 2005, p. 17).
Su questa base, Penrose sostiene che la realt costituita dallinterazione di 3 mondi:
1. il mondo delle idee matematiche;
2. il mondo mentale delluomo;
3. il mondo fisico.
In che modo i tre mondi possano comunicare tra loro, data la loro eterogeneit, secondo
Penrose, ancora in gran parte un mistero. Tuttavia che il mondo fisico sia governato da
leggi matematiche, e cio dal mondo delle Idee, per Penrose attestato da molte e robuste
prove.
Infine, un ultimo punto di contatto tra la filosofia di Platone e il pensiero di Penrose la
tesi della bellezza del mondo delle Idee matematiche. Scrive Penrose: [] i criteri estetici
sono fondamentali per lo sviluppo delle Idee matematiche in s e per s, fornendo sia lo
stimolo verso la scoperta sia una potente guida verso la verit. Supporrei addirittura che
un importante elemento nella comune convinzione del matematico che un mondo
platonico esterno abbia unesistenza realmente indipendente da noi provenga dalla

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straordinariamente inaspettata bellezza nascosta che le idee stesse cos spesso rivelano.
(ed. cit., p. 22).
A chi vuole saperne di pi non resta che leggere il gi citato libro di Penrose: La strada
che porta alla realt, Rizzoli, 2005.

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TAPPA 4
PLATONE : IL MONDO FISICO E UNA COPIA DEL MONDO DELLE IDEE
Che cos ci che sempre e non ha generazione? E che cos ci che si
genera perennemente e non mai essere? Il primo ci che concepibile con
lintelligenza mediante il ragionamento, perch sempre nelle medesime
condizioni. Il secondo, al contrario, ci che opinabile mediante la
percezione sensoriale irrazionale, perch si genere e perisce, e non mai
pienamente essere.
Inoltre, ogni cosa che si genera, di necessit viene generata da qualche causa.
Infatti, impossibile che ogni cosa abbia generazione, senza avere una causa.
E quando lArtefice di qualsivoglia cosa, guardando sempre a ci che allo
stesso modo e servendosene come di esemplare, ne porta in atto lIdea e la
potenza, necessario che, in questo modo, riesca tutta quanta bella; quella
cosa, invece, che lArtefice porta in atto servendosi di un esemplare generato,
non sar bella. []
Ma evidente a tutti che Egli guard allesemplare eterno: infatti luniverso
la pi bella delle cose che sono state generate e lArtefice la migliore delle
cause.
Se, pertanto, lUniverso stato generato cos, fu realizzato dallArtefice
guardando a ci che si comprende con la ragione e con lintelligenza e che
sempre allo stesso modo.
Stando cos le cose, assolutamente necessario che questo cosmo sia
immagine di qualche cosa.
Platone, Timeo, 27 D-29B, a cura di G. Reale, Rusconi
Il principio che nuovamente riguarda luniverso si basi su una distinzionepi
ampia di quella di prima. Infatti allora distinguemmo due generi, ed ora
bisogna spiegare un terzo e differente genere. []
Quale potenza e natura dobbiamo pensare che abbia?
Questa soprattutto: di essere il ricettacolo di tutto ci che si genera, come una
nutrice. []
Bisogna dire che essa sempre una medesima cosa, perch essa non esce mai
dalla propria potenza. Infatti, per natura essa sta come materiale da impronta
per ogni cosa, mossa e modellata dalle cose che entrano in essa, e appare per
causa di esse ora in un modo e ora in un altro.
E le cose che entrano e che escono sono imitazioni delle cose che sono
sempre, improntate da esse in un certo modo difficile da spiegarsi e
meraviglioso, di cui pi avanti faremi ricerca. []

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Dunque, allo stesso modo, anche a ci che deve ricevere molte volte e bene in
ogni parte di s le immagini di tutti gli esseri eterni conviene essere per sua
natura al di l di tutte le forme.
Perci la madre e il ricettacolo di ci che si genera ed visibile e interamente
sensibile, non diciamola n terra n acqua n fuoco n aria, n altre delle cose
che nascono da queste o da cui queste nascono. Ma dicendola una specie
invisibile e amorfa, capace di accogliere tutto, e che partecipa in un modo
assai complesso dellintelligibile e che difficile da concepirsi, non ci
inganneremo. []
E a sua volta bisogna ammettere che c un terzo genere, quello dello spazio,
che sempre e che non soggetto a distruzione, e che fornisce sede a tutte le
cose che sono soggette a generazione. E questo coglibile senza i sensi con un
argomento spurio ed a mala pena oggetto di persuasione. Guardando ad
esso noi sogniamo e diciamo che necessario che ogni cosa che , sia in
qualche luogo e occupi uno spazio, mentre ci che non in terra n in qualche
luogo in cielo, non nulla. []
E prima di questo tutte le cose si trovano senza ragione e senza misura. Ma
quando Dio incominci a ordinare lUniverso, il fuoco in primo luogo e la
terra e laria e lacqua, avevano bens qualche traccia di s, ma si trovavano in
quella condizione in cui naturale si trovi ogni cosa, quando Dio assente.
Queste cose, dunque, che allora si trovavano in questo stato, egli in primo
luogo le modell con forme e con numeri. Che Dio abbia costituito queste cose
nel modo pi bello e migliore che fosse possibile, muovendo da una loro
condizione che non era affatto cos, anche questo per ogni cosa resti saldo
come detto una volta per tutte.
Platone, Timeo, 49 A - 53 B, a cura di G. Reale, Rusconi
Secondo Platone il mondo fisico la caverna/prigione del suo mito una immagine,
ovvero una copia, del mondo delle Idee. Pi precisamente, il mondo fisico la
concretizzazione materiale degli enti matematici (numeri, propriet aritmetiche, figure
geometriche piane e solide, teoremi, ecc.) che sono immagini o copie dirette delle Idee. Nel
mito della caverna questa tesi espressa simbolicamente dal fatto che gli oggetti artificiali
di legno o pietra (=enti naturali) sono copie artigianali delle immagini riflesse (=enti
matematici) sugli specchi dacqua delle cose naturali (=Idee).
Ci significa che per Platone il mondo delle Idee la causa primaria e fondamentale del
mondo fisico. In questo senso, le Idee sono i modelli originari compiuti e quindi perfetti
di tutte le cose naturali e queste ultime altro non sono che molteplici imitazioni
incompiute e quindi imperfette delle Idee. P.e. lIdea di gatto il modello universale
perfetto da cui derivano tutti i gatti fisici e questi ultimi sono molteplici imitazioni
individuali e imperfette dellunica Idea di gatto.

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Ma in che modo le cose fisiche sono derivate dalle Idee? Chi o cosa ha prodotto le copie
fisiche delle Idee? La risposta di Platone affidata a un altro mito di sua invenzione, il mito
del Demiurgo (che in greco antico significava artigiano, artefice). In questo caso,
Platone ci avverte esplicitamente che il suo mito non contiene una spiegazione vera della
genesi del cosmo fisico, ma solo una sua descrizione verosimile, dal momento che
impossibile spiegare in modo compiutamente razionale ci che fisico, poich la fisicit
nasce anche da un principio in s disordinato, dunque irrazionale.
Infatti, perch un modello ideale possa essere imitato occorre qualcosa con la quale e nella
quale sia possibile imitarlo. Questo qualcosa identificato da Platone come spazialit,
ma anche come recipiente. In altri termini, la spazialit il recipiente che ospita gli
enti matematici, cio le immagini delle Idee, che diventano cos tridimensionali, cio
acquistano una apparenza fisica, ovvero la propriet apparente della consistenza materiale.
Ci significa che per Platone la materia non un principio originario ma un effetto derivato
(gli scienziati odierni direbbero un fenomeno emergente).
La spazialit, afferma Platone, ingenerata ed eterna. Tuttavia, essa di per s, nel suo stato
originario, costituisce una molteplicit illimitata e caotica, una sorta di impensabile nonessere che , ovvero qualcosa di autocontraddittorio. La spazialit, in tal senso, unentit
amorfa composta da una quantit indefinita di elementi disposti in modo squilibrato e da
una quantit indefinita di forze che li agitano disordinatamente. Per questo, Platone
sostiene che la spazialit rappresenta una causa irregolare, ovvero una realt dominata
dal cieco caso, e che pertanto non pu essere razionalmente conosciuta in modo completo.

Idee e spazialit per Platone costituiscono originariamente due realt indipendenti,


eterogenee e antitetiche che, come tali, non posso interagire direttamente tra loro. A
rendere possibile la loro interazione interviene, narra Platone, una terza causa, il
Demiurgo. Con questo nome, Platone designa il dio supremo inteso come il dio che ha
prodotto il mondo fisico, e anche gli altri dei, con la sua opera consapevole e intelligente.
Il Demiurgo, infatti, un essere personale privo di fisicit, totalmente razionale e quindi
ingenerato ed eterno. In altre parole, egli fa parte del mondo delle Idee, dunque le conosce
pienamente e sulla base di questa conoscenza ordina la spazialit infondendole lordine
razional-matematico proprio delle Idee e trasformandola cos nel cosmo fisico.

Lopera di ordinamento del Demiurgo comincia con la plasmazione dei quattro elementi
fisici fondamentali: terra, fuoco, aria, acqua. In origine, sostiene Platone, nella spazialit vi
sono solo tracce confuse di questi elementi. Il Demiurgo trasforma queste tracce in veri e

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propri elementi dando a ognuna di esse una forma geometrica precisa. Ci significa che
egli produce ogni elemento dandogli una struttura corpuscolare di tipo geometrico, ovvero
dividendolo in parti minime invisibili e modellando ognuna di esse come un solido
regolare. Precisamente:
1. la terra costituita di particelle cubiche;
2. il fuoco costituito di particelle a forma di tetraedro;
3. laria costituita di particelle a forma di ottaedro;
4. lacqua costituita di particelle a forma di icosaedro.
Le propriet fisico-chimiche degli elementi dipendono dunque dalle propriet
matematiche delle particelle che li compongono. Poich tutti gli enti naturali sono
combinazioni in proporzioni diverse di particelle dei quattro elementi, ci comporta che il
mondo fisico ha una costituzione matematica, ovvero che tutti i fenomeni naturali sono
una manifestazione di relazioni matematiche.
Il Demiurgo, per, secondo Platone, non produce solo il corpo delluniverso ma anche la
sua anima. Si tratta dellAnima del mondo, cio di un principio puramente razionale che
pervade la natura fisica infondendole vita e movimento. LAnima del mondo plasmata dal
Demiurgo mescolando secondo precise proporzioni matematiche luguaglianza, la diversit
e il loro misto o intermedio. Dal momento che anche lAnima del mondo ha una struttura
razional-matematica, anche i movimenti del mondo fisico sono governati da leggi
matematiche.

Ma perch il Demiurgo ordina la spazialit e produce il cosmo fisico? Qual il movente


della sua opera di ordinamento della spazialit? Ovvero qual lo scopo ultimo per il quale
ha prodotto il mondo fisico? La risposta di Platone : il Bene. Infatti, facendo parte del
mondo delle Idee, il Demiurgo ne venera il principio primo, cio lUno-Bene. In altri
termini, essendo buono, il Demiurgo vuole il bene della spazialit e quindi vuole migliorare
la sua condizione. Lordine, cio la molteplicit unitaria e determinata, migliore del
disordine, cio della molteplicit illimitata e caotica. Il Bene, infatti, coincide con lUno,
cio con lunit e la determinazione ed entrambi sono alla base dellessere, ovvero
dellesistenza effettiva. Il Demiurgo, pertanto, conferendo un ordine unitario alla
molteplicit illimitata e caotica della spazialit, e conferendole cos un vero essere, agisce a
fin di bene. Ci, a sua volta, comporta che il mondo fisico organizzato finalisticamente,
cio che ogni cosa e ogni fenomeno naturale si spiegano in quanto contribuiscono a
realizzare un unico fine, il Bene appunto.

Tuttavia il mondo fisico per Platone contiene costitutivamente un ineliminabile grado di


imperfezione. Ci non dipende dallopera del Demiurgo, che perfetta, ma dalla differenza

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ontologica irriducibile tra le Idee e la spazialit. Infatti, mentre le Idee, in quanto


puramente razionali, hanno una costituzione unitaria, cio sono ordinate nella loro stessa
essenza, la spazialit, come si visto, ha una costituzione molteplice, cio possiede
unessenza disordinata, ovvero costitutivamente e originariamente irrazionale.
Di conseguenza, secondo Platone, bench lopera ordinatrice del Demiurgo sia magistrale,
essa non pu giungere a rendere la spazialit uguale alle Idee. Pertanto, mentre il mondo
delle Idee perfetto, il mondo fisico imperfetto, anche se non assolutamente ma solo
relativamente. Questa strutturale imperfezione relativa del mondo fisico ha due importanti
conseguenze:
1. il mondo fisico non pu essere conosciuto scientificamente, cio non permette una
conoscenza vera, ma solo una conoscenza verosimile, cio approssimata alla verit,
ovvero una conoscenza non completa e certa ma solo parziale e probabile;
2. il mondo fisico implica il male, il cui fondamento ontologico appunto lo scarto, lo
iato, il divario incolmabile tra mondo fisico e mondo ideale.
Ci non significa che il mondo fisico sia male. In quanto migliore copia possibile della
perfezione ideale, il cosmo pur sempre soprattutto bene. Per un bene inferiore a quello
totale delle Idee. Il male, insomma, costituito dalla differenza quantitativa tra il Bene
totale delle Idee e il Bene parziale del cosmo.

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MAPPA della TAPPA 4


MONDO DELLE IDEE
puramente razionale e unitario quindi
dotato di piena esistenza e
modello perfetto di ordine
Guardando il
DEMIURGO
=
dio artefice del cosmo fisico
Ordina la
SPAZIALITA
dimensione tridimensionale molteplice e
caotica basata sul caso e quindi dotata di
unesistenza meramente virtuale

In base al
CUBO
distingue e
produce
lelemento
TERRA

In base al
TETRAEDRO
distingue e
produce
lelemento
FUOCO

In base all
OTTAEDRO
distingue e
produce
lelemento
ARIA

In base all
ICOSAEDRO
distingue e
produce
lelemento
ACQUA

CORPO del mondo


ANIMA del mondo principio
razionale di vita e movimento
COSMO FISICO = grande e ordinato animale vivente

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VIAGGI DI IERI & VIAGGI DI OGGI


LA CHORA PLATONICA E IL CAMPO DI HIGGS
Come abbiamo visto, per Platone il principio fisico originario e fondamentale la
spazialit (in greco chra), cio la tridimensionalit, e la materia unapparenza, cio
un effetto secondario prodotto dalla spazialit. In tale senso, Platone sostiene anche che
la realt fisica, cos come la osserviamo in base ai nostri sensi, equivale a un sogno.
Questa tesi platonica trova punti di contatto con una importante teoria fisica
contemporanea, quella del campo di Higgs (detto scherzosamente oceano di Higgs), o
del bosone di Higgs (detto scherzosamente la particella di Dio), che prende il nome dal
suo autore, Peter Higgs, attualmente fisico emerito allUniversit di Edimburgo.
Secondo la teoria di Higgs, lintero universo pervaso da un campo formato da un
particolare bosone. Un bosone una particella elementare il cui scambio costituisce le 4
forze/energie fondamentali: elettromagnetica, nucleare forte, nucleare debole,
gravitazionale. Il bosone di Higgs interagisce con quasi tutte le altre particelle elementari
(p.e. neutrini, elettroni, quarks, ma non con i fotoni) conferendo a ognuna una propria
massa (a riposo). Usando una metafora, un po come se lo spazio fosse pervaso da un
fluido vischioso che conferisce resistenza e durezza alle particelle elementari, le quali
originariamente sono tutte prive di massa, ovvero sono energia pura.
In origine, cio nei primi attimi successivi al big bang, secondo Higgs, ma questo vale per
tutti i fisici contemporanei, lo spazio-tempo era pervaso solo da energia pura simmetrica,
cio omogenea, non differenziata. Con il successivo abbassamento della temperatura
sarebbe emerso il campo di Higgs e con esso lenergia unica originaria si sarebbe
differenziata nelle 4 forze fondamentali e nelle diverse particelle elementari che
costituiscono i mattoni dei corpi. I fotoni, invece, secondo la teoria di Higgs, sono privi di
massa, e viaggiano nello spazio alla massima velocit possibile, proprio perch non
interagiscono con i bosoni di Higgs e quindi hanno conservato la loro natura fisica
originaria di energia pura.
Insomma, per Higgs, cos come per Platone, la materia (che i fisici chiamano
tecnicamente massa) non originaria ma il prodotto derivato di qualcosa di originario,
che per Platone era la spazialit e per Higgs il campo che prende il suo nome e che s
un concetto diverso, decisamente pi specifico e ricco, ma che comunque coincide con
lestensione spaziale.
Per concludere, indispensabile sapere che Higgs avanz lipotesi dellesistenza del
campo che porta il suo nome nel 1964, in base soltanto a calcoli matematici e
ragionamenti puramente teorici. Fino allestate del 2012 la teoria di Higgs non ebbe
alcuna conferma sperimentale. Infatti, prima del 2008, non esistevano apparecchiature
sperimentali in grado di produrre, intercettare e osservare un oggetto cos piccolo e
veloce come dovrebbe essere il bosone di Higgs secondo i calcoli teorici. Soltanto nel 2012
sono cominciati i primi tentativi di acchiappare i bosoni di Higgs grazie alla

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costruzione e alla messa in funzione (2008), nel sottosuolo di Ginevra, del Large Hadron
Collider (LHC), un potente acceleratore di particelle, ad opera del CERN,
lorganizzazione europea per la ricerca nucleare. Nellestate 2012, finalmente, si ebbe il
primo avvistamento, confermato nel marzo del 2013 poi da altri avvistamenti (bench
siano necessari ulteriori controlli soprattutto per stabilire la massa esatta del bosone di
Higgs).
In questo modo la teoria di Higgs stata ufficialmente confermata e Higgs uno dei
candidati pi accreditati al prossimo Nobel per la Fisica. Soprattutto, per, anche per
questo aspetto la teorizzazione puramente matematica la scoperta di Higgs
costituisce un forte argomento a favore della teoria della conoscenza di Platone, basata
appunto sul primato del ragionamento matematico sullosservazione sensibile.

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TAPPA 5
PLATONE: CONOSCERE E RICORDARE LA PRIMA VISIONE DELLE IDEE
Si pensi, dunque, lanima come simile a una forza per sua natura composta
da un carro a due cavalli e di un auriga.
I cavalli e gli aurighi degli dei sono tutti buoni e derivati da buoni, invece
quelli degli altri sono misti.
In primo luogo, in noi lauriga guida un carro a due cavalli; inoltre, dei due
cavalli, uno bello e buono e derivante da belli e buoni; laltro, invece, deriva
da opposti ed opposto. Difficile e disagevole, di necessit, per quel che ci
riguarda, la guida del carro. []
La potenza dellala per sua natura tende a portare in alto ci che pesante,
sollevandolo l dove abita la stirpe degli dei, e in certo senso partecipa del
divino pi di tutte le cose che riguardano il corpo. []
Zeus, il grande sovrano che sta in cielo, conducendo il carro alato, il primo
a procedere, ordina tutte quante le cose e si prende cura di esse. A lui tien
dietro un esercito di dei e di dmoni ordinato in undici schiere. []
Quando essi vanno a banchetto per prendere cibo procedono per lascesa
fino a raggiungere la sommit della volta del cielo.
L i veicoli degli dei, che sono ben equilibrati ed agili da guidare, procedono
bene; gli altri, invece, procedono con fatica. Il cavallo che partecipe del
male, infatti, cala, piegando verso terra e opprimendo quellauriga che non
abbia saputo allevarlo bene.
Qui allanima si presenta la fatica e la prova suprema.
Infatti, allorch le anime che sono dette immortali pervengono alla sommit
del cielo, procedendo al di fuori, si posano sulla volta del cielo, e la rotazione
del cielo le trasporta cos posate, ed esse contemplano le cose che stanno al di
fuori del cielo.
LIperuranio, il luogo sopraceleste, nessuno dei poeti di quaggi lo cant
mai, n mai lo canter in modo degno.
La cosa sta in questo modo, perch bisogna avere veramente il coraggio di
dire il vero, specialmente se si parla della verit.
Lessere che realmente , senza colore, privo di figura e non visibile, e che
pu essere contemplato solo dalla guida dellanima, ossia dallintelletto, e
intorno a cui verte la conoscenza vera, occupa tale luogo.
Ora, poich la ragione di un dio nutrita da una intelligenza e da una scienza
pura, anche quella di ogni anima cui prema di conoscere ci che le conviene,
quando vede dopo un certo tempo lessere, si allieta, e, contemplando la
verit, se ne nutre e ne gode, finch la rotazione del cielo non labbia riportata
allo stesso punto.

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Nel giro che essa compie vede la Giustizia stessa, vede la Temperanza, vede la
Scienza, non quella connessa col divenire, n quella che differente in quanto
si fonda su quelle cose alle quali noi ora diamo il nome di esseri, ma quella
che veramente scienza in ci che veramente essere. []
Quanto alle altre anime, invece, una, seguendo il dio nel modo migliore
possibile e rendendosi simile a lui, solleva il capo dallauriga verso il luogo che
sta al di fuori del cielo e viene trasportata nel moto di rotazione, ma a stento
contempla gli esseri, perch turbata dai cavalli.
Unaltra anima, invece, ora solleva il capo, ora lo abbassa; ma poich i cavalli
le fanno violenza, vede alcuni esseri, mentre altri no.
Seguono le altre anime, che aspirano tutte quante a salire in alto, ma, non
essendo capaci di farlo, vengono sommerse e trascinate nel moto di rotazione,
urtandosi luna con laltra, accalcandosi e tentando di passare luna davanti
allaltra. Nasce, dunque, un tumulto e una lotta con un estremo sudore, e, per
lignavia degli aurighi, molte anime rimangono storpiate, e molte riportano
molte delle loro penne spezzate.
Tutte, poi, oppresse da grande fatica, se ne allontanano senza aver fruito
della contemplazione dellessere; e, una volta che si siano allontanate, si
nutrono del cibo dellopinione.
Il motivo per cui esse mettono tanto impegno per vedere la Pianura della
Verit questo: il nutrimento adatto alla parte migliore dellanima proviene
dal prato che l, e la natura dellala con cui lanima pu volare si nutre
proprio di questo.
Platone, Fedro, 246A-248C

Le Idee, secondo Platone, sono i modelli oggettivi, e quindi le cause prime, di tutte le cose e
anche di tutti i fatti/comportamenti fisici. P.e., lIdea di rosa il modello di tutte le rose,
lIdea di rosso quello di tutti i rossi, lIdea di combustione quello di tutti gli incendi, lIdea
di coraggio quello di tutti gli atti coraggiosi, ecc. In altre parole tutte le cose e gli eventi
fisici sono riproduzioni o imitazioni delle Idee. Poich conoscere scientificamente, cio in
modo veritiero, qualcosa significa per Platone conoscerne la causa prima, ne segue che per
conoscere le cose/azioni fisiche necessario conoscere le Idee da cui ognuna deriva. Detto
in termini filosofici, le Idee in quanto supremi principi ontologici del mondo fisico ne sono
di conseguenza anche i supremi principi gnoseologici, cio conoscitivi.
Le Idee, per, sono forme universali puramente razionali, del tutto prive di qualsiasi
propriet fisica, e pertanto, come si visto, Platone sostiene che non possono essere
conosciute attraverso lesperienza sensibile. Ma allora come pu conoscerle luomo? E
come possibile quindi raggiungere una conoscenza di tipo scientifico, cio completa e
invariante?

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La risposta di Platone, in prima battuta, affidata ancora una volta a un mito, il mito della
biga alata (chiamato anche mito dellauriga). Esso ha come protagoniste appunto delle
bighe alate, cio capaci di volare, ognuna guidata da un auriga e tirata da due cavalli, uno
bianco e docile e laltro nero e ribelle. La biga alata rappresenta l anima (psych9), cio il
principio individuale della vita e del movimento di ogni cosa.
Lanima, secondo Platone, non materiale, puramente razionale, e, in quanto tale,
immortale. Infatti, argomenta Platone, la morte consiste nella disgregazione di un corpo,
in quanto questo, essendo fisico, composto di pi elementi (terra, acqua, fuoco, aria); ma
lanima una sostanza semplice, cio unica, non composta, dunque non pu digregarsi,
ovvero morire. Inoltre, lanima il principio della vita del corpo e sarebbe contraddittorio
che il principio della vita fosse soggetto alla sua negazione, cio alla morte.

Lauriga, il cavallo bianco e il cavallo nero rappresentano le tre componenti fondamentali


dellanima immortale: rispettivamente lintelligenza, laggressivit, il desiderio. Platone
racconta che in origine le bighe alate volano fino ad avvicinarsi alla volta del cielo,
concepito come una sfera rotante che racchiude lintero cosmo. Al di l della sfera celeste si
estende la pianura della verit o iperuranio, cio il mondo delle Idee. Le bighe alate
puntano a posarsi sulla volta celeste e a lasciarsi trasportare dal moto di rotazione della
sfera celeste in modo da poter contemplare tutte le Idee da ogni punto di vista.
Ma solo le bighe divine, dotate di due cavalli entrambi bianchi, cio docili, riescono nella
difficile impresa. Le bighe umane, invece, a causa della resistenza del cavallo nero,
riescono a rimanere per un tempo limitato sulla volta celeste e quindi hanno una visione
limitata delle Idee. Inoltre i tempi di permanenza delle bighe umane variano e quindi
alcune hanno una visione pi ampia delle Idee, altre una pi ristretta. Tutte per prima o
poi sono trascinate verso il basso dal cavallo nero, cio dalla loro componente desiderante.
Le bighe/anime cadono cos nella dimensione terrena e si incarnano, cio sono ricoperte
da un corpo. Infine, altre bighe ancora, narra Platone, si scontrano prima di poter
raggiungere la volta celeste e di conseguenza cadono sulla Terra addirittura senza aver
avuto alcuna visione delle Idee, incarnandosi cos come animali, vegetali e minerali.

Come sappiamo, psych significava in greco fiato, respiro. Ma, poich Platone il primo filosofo (di
Socrate non possiamo essere certi) a sostenere che la psych del tutto immateriale, ci giustifica la sua
traduzione con anima, che in italiano indica anche lidentit non fisica e immortale di ogni uomo.

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Il corpo, afferma Platone, imprigiona lanima umana nello stesso modo in cui le valve della
sua conchiglia rinserrano lostrica. Questa chiusura corporea opprime lanima a tal punto
da diventarne la prigione, anzi perfino la tomba, cio da soffocarla e spegnerla. Fuor di
metafora, in seguito allacquisizione di una dimensione fisica, lanima umana dimentica la
visione delle Idee e quindi perde perfino la coscienza di s stessa. In altre parole, luomo si
trova nella situazione descritta simbolicamente da Platone nel mito della caverna-prigione,
attraverso lallegoria dei prigionieri incatenati fin dalla nascita che guardano le ombre che
si agitano sulla parete di fondo. In questo senso il mito della biga alata pu essere
considerato lantefatto del mito della caverna. Ci significa che dopo la caduta e
lincarnazione dellanima, tutti gli uomini sono come prigionieri incatenati, ovvero che ogni
uomo nella fase iniziale della sua vita si basa solo sui sensi, non capace di usare
lintelligenza e addirittura ignora di esserne dotato.

Nel mito della caverna, per, uno dei prigionieri viene liberato dalle catene da qualcuno o
da qualcosa la cui identit non esplicitata da Platone. Il significato razionale di questa
liberazione che, durante la sua esistenza, ogni uomo ha la possibilit di diventare
cosciente della propria intelligenza e quindi di farne uso. Ma chi o cosa libera il
prigioniero? Ovvero, come avviene il passaggio dallincoscienza alla coscienza? La risposta
contenuta nella spiegazione platonica del mito della biga alata: lanima rinchiusa nel
corpo si ridesta nel momento in cui ricorda per la prima volta lIdea della bellezza. In altre
parole, il misterioso liberatore del prigioniero incatenato la Bellezza in s. Fuor di
metafora, quando luomo fa lesperienza della Bellezza, cio prova il piacere estetico, si
accende in lui il ricordo delle Idee, ovvero comincia il processo di riscoperta e di fruizione
della propria intelligenza.
Ma perch il ricordo delle Idee dovrebbe essere innescato dalla Bellezza e non invece dal
Bene o dalla Giustizia o dalla Uguaglianza, cio da unaltra delle Idee di livello superiore?
La risposta di Platone affidata ancora una volta a una metafora: la Bellezza lIdea pi
luminosa e come tale riesce, per cos dire, a filtrare e a trasparire attraverso la cortina
opaca della fisicit. Luomo allora pu scorgerla con il pi raffinato dei suoi sensi, quello
pi vicino allintelligenza: la vista. La metafora platonica sta a significare che lIdea della
bellezza quella che pi di ogni altra si manifesta nel mondo fisico e pu pertanto essere
oggetto di una speciale esperienza sensibile, si potrebbe dire di unesperienza sensibile
estrema, cio ai confini della realt fisica; ovvero di unintuizione che al tempo stesso sia
sensibile sia razionale. In questo senso fermo restando che il mondo naturale nel suo
insieme solo simile alle Idee in quanto ontologicamente diverso dalle Idee si pu dire
che la bellezza sensibile per Platone la quota del mondo fisico che rispecchia
completamente le Idee, ovvero ci che nella natura c di assolutamente uguale alle Idee, la
sua parte puramente razionale.

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Lesperienza della Bellezza, per, non fa ricordare immediatamente allanima tutte le Idee
che lanima aveva contemplato in origine. Essa, secondo Platone, d solo il via a un lungo
processo di graduale rimemorazione delle visioni razionali avute e poi obliate. Tale
processo rappresentato simbolicamente nel mito della caverna dal cammino ascendente
del prigioniero liberato si basa per Platone su due fattori:
1. la forte somiglianza e lo stretto collegamento che sussistono tra tutte le Idee per cui
dalla conoscenza di ognuna di essere si pu passare razionalmente alla conoscenza
di quelle pi vicine;
2. la somiglianza delle cose sensibili alle Idee in base alla quale una volta che si sia
riacquistata la coscienza dellesistenza delle Idee possibile usare lesperienza
sensibile come stimolo e strumento della conoscenza razionale delle Idee.
Il primo di tali fattori si impernia sullordine matematico unitario del mondo delle Idee, il
secondo si fonda sullo stretto rapporto che intercorre, pur nella loro differenza, tra mondo
delle Idee e mondo fisico. Platone caratterizza questo rapporto in vari modi e a vari livelli:
limitazione: il mondo fisico imita il mondo delle Idee, cio gli rassomiglia;
la partecipazione: gli enti naturali prendono parte alle loro rispettive Idee;
la comunanza: le cose fisiche hanno qualcosa di comune con le Idee;
la presenza: le Idee sono parzialmente presenti nelle cose fisiche.
Questi diversi aspetti della relazione Idee/cose fisiche sono tutti riconducibili a un comune
denominatore: le Idee sono i modelli originari, ovvero le cause fondamentali, di tutte le
cose fisiche.

200

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MAPPA della TAPPA 5


La biga alata composta da un
auriga, un cavallo bianco e docile
e un cavallo nero e ribelle

Lanima umana, immateriale e


dunque capace di conoscere le Idee,
articolata in una parte razionale,
una aggressiva e una desiderante.

Le bighe alate volano verso lalto


nel tentativo di raggiungere la
sommit della volta celeste per
poter contemplare la Pianura della
Verit che si estende al di l.

La tendenza della parte superiore


dellanima, quella intelligente, a
staccarsi dallesperienza sensibile
per cogliere le Idee, cio i
principi razionali della realt.

Alcune bighe umane riescono a


posarsi sulla volta celeste e a
guardare bene le Idee, altre le
guardano da lontano e in parte.

Gli uomini posseggono gradi


diversi di intelligenza, solo alcuni
sono capaci di conoscere la
struttura razionale della realt.

Tutte le bighe umane, prima o


poi, sono trascinate verso il basso
dal cavallo nero, cadono sulla
terra e sono coperte da un corpo.

Lanima umana ha una pulsione


insopprimibile verso il piacere
sensibile che spiega perch luomo
un essere fisico.

Il corpo racchiude lanima come


le valve di unostrica, o come una
prigione, o come una tomba,
facendole dimenticare le Idee.

I sensi e la conoscenza sensibile


impediscono allintelligenza
umana di scoprire la struttura
razionale del mondo fisico.

LIdea di bellezza, capace di


filtrare attraverso la cortina della
fisicit, riaccende il ricordo delle
Idee e ne avvia la rimemorazione.

Lesperienza estetica, che fonde


sensibilit e razionalit, avvia la
ricerca conoscitiva dei principi
razionali del mondo fisico.

201

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TAPPA 6
PLATONE: LA SCIENZA DELLE IDEE E LA DIALETTICA
Eppure, Glaucone osservai , non proprio questo il canto che il
procedimento dialettico esegue? E bench tale canto sia di natura intelligibile
la facolt della vista pu imitarlo, nella misura in cui, si diceva, essa riesce a
guardare agli animali in carne ed ossa, agli astri in quanto tali e, da ultimo, al
sole medesimo. Allo stesso modo, come essa giunta al vertice del sensibile,
cos uno pu giungere fino al vertice dellintelligibile solo quando, per mezzo
del procedimento dialettico e prescindendo totalmente dallapporto delle
sensazioni, incomincia, con la sola forza della ragione, a tendere a ci che
lessere di ciascuna realt, senza cedere mai, almeno finch non ha colto con
la pura intelligenza lessenza stessa del Bene.
Non c il minimo dubbio, riconobbe.
Ebbene, non forse questo quello che tu chiami procedimento dialettico?.
Come no?.
E la liberazione dalle catene dissi e il voltare lo sguardo dalle ombre alle
statuette e alla luce, e ancora lelevarsi dalla caverna al sole, e giunti qui,
limpossibilit a vedere gli animali, le piante e lo stesso splendore del sole, e
invece la capacit di vedere le immagini divine riflesse nellacqua e le ombre
degli oggetti reali nota, non pi ombre di statue prodotte da una luce
diversa da quella del sole, la quale andrebbe giudicata al pi come un
semplice riflesso di essa ; insomma, tutto questo lavorio che frutto delle
scienze che abbiamo preso in considerazione, ha appunto la funzione di
elevare la parte superiore dellanima alla visione della parte suprema
dellessere, come pocanzi la facolt pi perspicace del corpo si elevava verso
la parte pi splendente del mondo fisico e visibile.
Sono daccordo disse lui . E tuttavia mi sembra, da un lato, terribilmente
difficile concedere il proprio assenso a queste cose, dallaltro ugualmente
difficile il non concederlo. Ad ogni modo tenuto anche conto del fatto che
tali discorsi non vanno ascoltati solo ora, ma bisogner tornarci sopra molte
volte , dando per scontato che le cose stiano nel modo che si appena detto,
passiamo pure alla canzone vera e propria e andiamone a fondo, cos come si
fatto per il proemio. Dicci, dunque, di che tipo sia la forza di questa
dialettica, e in quali generi si divide e quali siano le sue vie. Queste vie, se non
erro, dovrebbero essere quelle che conducono l dove chi giunge trover
riposo del cammino e fine del viaggio.
Caro Glaucone dissi , oltre questo punto non sarai pi in grado di
seguirmi, nonostante io ci metta tutto il mio impegno. Qui non vedresti pi
limmagine di quel che trattiamo, ma il suo vero essere, o per lo meno quello

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che a me sembra tale. Che poi lo sia veramente o no, non questo problema
su cui valga la pena insistere; ma che si debba assurgere a un tale livello di
comprensione, questo va ribadito. O non sei dellavviso?.
Come no?.
E non ti pare che solo la pratica della dialettica potrebbe aprire a una tale
comprensione chi gi esperto nelle discipline sopra indicate, mentre
nessunaltra scienza lo potrebbe?.
Anche di ci ammise si pu essere certi.
Ed ecco allora continuai un ulteriore punto che nessuno potrebbe
contestarci: non esiste altro procedimento che possa pretendere di cogliere
sistematicamente e universalmente lessenza di ciascun essere individuale.
Tutte le altre arti, in effetti, o sono rivolte alle opinioni degli uomini o ai loro
desideri, oppure agli esseri che si generano o a quelli che si costruiscono,
ovvero per custodire tutte le realt che si producono in natura o ad opera
delluomo. Le restanti discipline, quelle che dicevamo cogliere in qualche
misura lessere, come la geometria e le scienze derivate, le vediamo muoversi
in un certo senso come sonnambuli nei confronti dellessere, di modo che per
esse impossibile vederlo cos com, in uno stato di veglia, finch almeno si
servono di assiomi che lasciano indimostrati, solo perch non sanno darne
ragione.
Effettivamente, a chi assume come punto di partenza un principio
sconosciuto capita che anche il corpo del discorso e le sue conclusioni siano
sempre intimamente intrecciate con questa ignoranza; sicch come sarebbe
possibile che da una tale artificiosa convenzione scaturisca una scienza?.
Non c alcuna possibilit, ribad.
Pertanto continuai , solo il metodo dialettico procede per questa via,
togliendo le ipotesi fino a raggiungere il principio in quanto tale per conferire
solidit, e solleva e porta in alto locchio dellanima invischiato in un pantano
barbaro, facendo uso delle arti che abbiamo descritto come ausiliarie per
aiutare nella conversione. [].
Platone, Repubblica, 532 A-553 D

Sulla base della teoria del ricordo, espressa allegoricamente nel mito della biga alata,
Platone sostiene che tutti gli uomini nascono con una conoscenza innata, sebbene
maggiore o minore a seconda degli individui. Infatti, le anime razionali, cio le menti
umane, hanno contemplato le Idee e ne conservano la memoria, cio le hanno riprodotte in
s generando cos i concetti. In altre parole, i concetti per Platone sono le rappresentazioni

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mentali delle Idee, ovvero sono le Idee in quanto concepite dallintelletto umano, e le menti
umane, fin dalla nascita, sono, per cos dire, piene di concetti.
Platone pertanto il primo filosofo a teorizzare esplicitamente che la conoscenza ha un
fondamento puramente razionale a priori, cio anteriore a ogni sensazione e quindi
indipendente dallesperienza sensibile. Ci significa che, secondo Platone, la scienza, cio
la conoscenza vera, completa e definitiva, non deve basarsi sullesperienza sensibile ma
deve imperniarsi sui concetti razionali che la nostra mente possiede fin dalla nascita grazie
alla sua originaria contemplazione (in greco theora) delle Idee. Usando termini pi
attuali, Platone sostiene una epistemologia, cio una filosofia della scienza, caratterizzata
dal primato della teoria rispetto allosservazione sperimentale.

Come prova dellinnatismo dei concetti, Platone riporta un episodio emblematico


dellinsegnamento maieutico di Socrate. Egli racconta che Socrate, dialogando con
Menone, un giovane aristocratico esperto di matematica, coinvolge nella discussione un
suo schiavo e, attraverso una serie ben congegnata di domande, riesce a portarlo alla
soluzione di un problema di geometria facendogli scoprire e utilizzare il teorema di
Pitagora. In altre parole, Socrate dimostra che, bench lo schiavo non avesse ricevuto
alcuna istruzione, la sua mente conteneva i principi logico-matematici indispensabili a
scoprire il teorema di Pitagora e ad applicarlo.
Ma perch allora lo schiavo di Menone non era gi consapevole del teorema di Pitagora e
dei concetti logico-matematici in esso impliciti? Pi in generale, perch, se fin dalla nascita
li possediamo, non ne siamo coscienti gi da bambini e invece dobbiamo apprenderli? La
risposta di Platone si basa sulla sua teoria della memoria e del ricordo, sempre connessa al
mito della biga alata: lanima umana, quando cade sulla Terra e si incarna, viene
imprigionata e offuscata dal corpo e per questo dimentica la visione delle Idee. In questo
modo, cio usando un linguaggio simbolico, Platone vuol dire che la mente umana
possiede s dei concetti innati, ma inizialmente essa non ne consapevole, non cosciente
di possederli. Di conseguenza, la conoscenza per Platone consiste nel ricordare, cio nel
portare alla coscienza i concetti inconsci da sempre presenti nella nostra mente.

Ma anche il termine ricordare usato da Platone in senso metaforico. Fuor di metafora,


dunque, cosa significa ricordare? Significa risponde Platone che i concetti innati, copie
mentali delle Idee, si conoscono in base a unintuizione intellettiva, cio attraverso un atto
intramentale immediato in cui lintelletto scopre dentro di s e conosce i propri concetti
innati, ri-conoscendo in essi le Idee oggetto della sua contemplazione originaria.
Come abbiamo visto, per Platone la scintilla che accende il ricordo costituita
dallesperienza estetica, ossia dalla visione della Bellezza. Ma con questa tesi Platone non

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vuole affatto suggerire che luomo possa acquisire ogni conoscenza istantaneamente. Al
contrario Platone chiarisce non solo che lesperienza estetica soltanto lavvio di un lungo
e graduale processo di rimemorazione, ossia di acquisizione conoscitiva, ma anche che tale
processo pu svilupparsi se e solo se si serve di un ben preciso metodo di ricerca. Tale
metodo chiamato da Platone dialettica. Poich il metodo dialettico quello che ci fa
(ri)conoscere le Idee esso il metodo scientifico supremo; e poich ci che la dialettica ci fa
(ri)conoscere sono le Idee, la dialettica al tempo stesso la scienza delle Idee, dunque la
scienza suprema, anzi lunica scienza in senso proprio, cio lunica conoscenza vera,
completa e invariabile.

In cosa consiste dunque il metodo dialettico? Abbiano gi detto che lo strumento


conoscitivo per individuare lIdea di qualcosa. Dunque, si deve partire da una cosa, p.e. un
uomo (lesempio non di Platone che ne fa un altro pi desueto e complicato: la pesca con
la lenza). In altre parole si comincia ponendosi una domanda/problema: che cos un
uomo, ovvero qual lIdea di uomo? Per rispondere alla domanda, secondo Platone
bisogna svolgere due operazioni intellettive:
la sintesi (letteralmente: unificazione) che consiste nellindividuare lIdea pi
generale di cui unIdea pi specifica o un oggetto fisico individuale sono derivazioni;
la analisi (letteralmente: divisione) che consiste nel dividere lIdea generale
individuata nelle sue parti, e nelle parti delle sue parti, fino a arrivare allIdea o
alloggetto da cui si partiti.
Applicando la sintesi a un uomo individuiamo lIdea di animale in quanto Idea generale
(ossia genere) in cui inclusa quella delluomo. A questo punto applichiamo lanalisi
allIdea di animale, cio la dividiamo nelle sue sottoidee (le specie) fino a giungere, per
divisioni successive, allIdea delluomo. Innanzitutto possiamo dividere lidea di animale in
vertebrato e invertebrato. Effettuata questa prima divisione dobbiano selezionare le due
sottoidee, ossia scartare quella da cui lIdea delluomo non deriva invertebrato e
dividere ulteriormente laltra, cio vertebrato. Abbiamo: pesce, rettile, anfibio, uccello,
mammifero. Di nuovo selezioniamo lidea di mammifero e la dividiamo in roditore,
marsupiale, equino, bovino, ecc., primate. Ancora selezioniamo lidea di primate e la
dividiamo in capaci di comunicare con suoni e gesti e capaci di comunicare con la
parola. Selezioniamo la seconda sottoidea e a questo punto ci fermiamo perch siamo
arrivati allIdea di uomo. In cosa consiste, dunque? Nellinsieme delle Idee che abbiamo
selezionato a partire da quella di animale. In altre parole, lIdea di uomo : animale
vertebrato, mammifero, primate, capace di comunicare con la parola. E facile notare che il
risultato coincide con la definizione del concetto di uomo.

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Ora che dovrebbe essere chiaro in cosa consiste per Platone la dialettica, possiamo
comprendere meglio, innanzitutto, perch Platone lha chiamata dialettica. Essa, in
particolare nella fase analitica, la pi lunga e complessa, si basa sulla scelta di unIdea per
eliminazione di altre Idee parallele diverse da essa, ovvero con essa contraddittorie (p.e.
vertebrato rispetto a invertebrato). In altre parole, il metodo dialettico platonico una
ripresa del metodo argomentativo inventato da Parmenide, e battezzato dialettica dal suo
discepolo Zenone, ovvero dellargomentazione che arriva a corroborare una tesi partendo
dalla confutazione della sua antitesi (un tipo di argomentazione che poi era stata fatta
propria dai matematici i quali per lavevano ribattezzata dimostrazione per assurdo).
Ma Platone non si limita a copiare Parmenide. In realt a partire da Parmenide elabora
una versione ben pi articolata e sofisticata della dialettica. Infatti, in primo luogo, come
abbiamo visto, le antitesi per Platone possono essere ben pi di una; in secondo luogo, e
soprattutto, la relazione dialettica in Platone diventa la connessione logica che lega
unitariamente tutte le Idee, che ne fonda lordine armonico, ovvero , per cos dire, la rete
razionale che unifica e mette in comunicazione ogni Idea con ogni altra Idea. In altri
termini, ci che rende il mondo delle Idee effettivamente tale. Senza nessi dialettici con
tutte le altre Idee, unIdea non potrebbe essere ci che , ossia lessenza di un determinato
insieme di cose. P.e., lIdea di quadrupede si determina in relazione allIdea di bipede e di
apode, e queste in relazione a quella. Per questo, in quanto scienza delle Idee, e dunque
scienza suprema, la dialettica non consiste solo e tanto nella conoscenza di ogni singola
Idea, ma anche e soprattutto nella conoscenza delle relazioni che legano ogni Idea alle
altre, ovvero nella conoscenza dellordine armonico che caratterizza il mondo delle Idee e
che fa s che esso sia una perfetta sintesi di unit e molteplicit.

Ma in cosa consiste questo ordine ideale? E ancora, quali sono le relazioni dialettiche che
unificano le Idee? In prima approssimazione, si pu rispondere che le Idee sono ordinate
gerarchicamente, ovvero in base a una derivazione piramidale dalle pi generali alle pi
specifiche. In questo senso, il mondo delle Idee articolato nei seguenti livelli gerarchici
dal pi alto al pi basso:
Uno (=Bene=Verit=Bellezza) o Limite o Misura.
Diade o Illimitato.
Numeri ideali o Idee-numeri: Triade, Tetrade, ecc., fino alla Decade.
Generi supremi: Essere, Identit, Diversit, Quiete, Movimento.
Idee dei principi logici: Proporzione, Intelligenza, Relazione, Causa, ecc.
Idee dei valori etico-politici: Giustizia, Coraggio, Onest, Sincerit, Amicizia, ecc.
Idee degli enti fisici: Spazio, Tempo, Mammifero, Conifera, Ferro, Cane, Granito,
ecc.
Enti matematici: figure geometriche, numeri, relazioni e operazioni aritmetiche,
ecc.

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In secondo luogo, e soprattutto, ogni Idea al tempo stesso:


una parte/aspetto specifico di unIdea superiore/pi generale
lunit del gruppo di Idee, ad essa subordinate, in cui si articola e si specifica.
P.e. lIdea di gatto una parte dellIdea di felino e a sua volta si articola nelle Idee di
persiano, soriano, certosino, ecc. In questo senso si potrebbe dire che le Idee si diramano le
une dalle altre secondo uno schema ad albero genealogico tale per cui ogni Idea figlia di
unaltra e madre di altre ancora. Utilizzando invece il linguaggio della logica
contemporanea, possiamo dire che ogni Idea una sottoclasse (o sottoinsieme) di unIdea
superiore ed la classe (o linsieme) di una Idea inferiore. La conclusione la stessa: ogni
Idea contenuta, insieme ad altre Idee-sorelle, in unIdea-madre e al contempo contiene in
s altre Idee-figlie. In questo modo tutte le Idee pi specifiche sono contenute in quelle via
via pi generali fino ad essere tutte contenute nellunica Idea dellEssere. DellEssere, non
dellUno, perch lUno trascende le Idee. Ma lEssere un Uno parziale e cos anche ogni
Idea, seppure a un livello inferiore, in quanto lunit di un gruppo di Idee oppure di una
molteplicit di enti fisici.

Grazie alla connessione dialettica di tutte le Idee, Platone riesce a fondare filosoficamente,
e quindi a valorizzare scientificamente ed eticamente, sia lunit sia la molteplicit, meglio
ancora a rendere luna condizione dellaltra e viceversa. In altre parole, lEssere la realt
vera, davvero esistente , ossia il mondo delle Idee, non omogeneo e indifferenziato, ma
articolato e variegato. E, infatti, le Idee immediatamente subordinate a quella di Essere
sono Identico, Diverso, Quiete, Movimento. Ci significa che lEssere non solo identico a
se stesso, ma anche differenziato in molte parti/aspetti, e che lEssere, e insieme ogni altra
Idea, non si relaziona solo a se stesso (Quiete), non cio solo autoreferenziale, ma si
rapporta e rinvia a tutte le altre Idee (Movimento), ovvero comunica con esse.
A questo punto possiamo rilevare quanto sia ampia la distanza tra la dialettica parmenidea
e quella platonica. La dialettica di Parmenide non ammetteva il non-essere e quindi
cancellava ogni diversit e molteplicit dallEssere, lo rendeva ununit monotona,
autoreferenziale, statica. La dialettica di Platone ammette il non-essere e quindi riabilita
diversit e molteplicit, configurando lEssere in modo ricco, variopinto, dinamico. Ma
allora Platone rifiuta la legge parmenidea che stabilisce linesistenza e linammissibilit del
nulla? La risposta no. Come pu allora ammettere la molteplicit?

Platone scopre che il termine essere implica un omonimia e quindi pu produrre un


errore logico. Infatti essere significa:
sia esistere, come nellenunciato Ci sono molte specie di alberi, e in tal caso
costituisce un predicato verbale;

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sia appartenere a oppure ha la propriet di, come negli enunciati il cavallo un


equino e il cavallo veloce, e in questo caso costituisce un predicato nominale.
Ora, se io dico LEssere non , nego lesistenza dellessere e affermo lesistenza del nulla,
il che contraddittorio e dunque inaccettabile. Dunque, in tal senso Platone concorda con
le argomentazioni dialettiche con cui Parmenide aveva sostenuto la non generazione,
leternit, limmutabilit e latemporalit dellEssere dal momento che in caso contrario si
sarebbe ammessa lesistenza del nulla. Tuttavia, se io dico Il cavallo non una pecora,
oppure Il gatto non un rettile, piuttosto che La tartaruga non veloce, in questi casi,
rileva Platone, il non-essere non equivale al nulla bens al diverso. Il cavallo non una
pecora non significa che il cavallo non esiste, ma che diverso dalla pecora, ovvero che
lIdea di cavallo non inclusa in quella di pecora. Dunque, per Platone, Parmenide era
caduto nella trappola di un equivoco logico-linguistico quando aveva argomentato
dialetticamente lomogeneit e lindifferenziazione dellEssere perch altrimenti, anche in
tal caso, si sarebbe ammessa lesistenza del non-essere.

Su questa base Platone riabilita parzialmente il concetto di non-essere. Egli infatti da un


lato riafferma che il non-essere assoluto, cio il nulla, inesistente e impensabile, ma
dallaltro sostiene che esiste ed pensabile il non-essere relativo nel senso di diversit.
Dunque il mondo delle Idee comprende il non-essere come diversit e pertanto esso
ammette e valorizza la molteplicit.
Ma qual il senso filosofico profondo della parziale riabilitazione del non-essere in quanto
diversit? La valorizzazione, almeno parziale, del mondo fisico. Questo, infatti,
caratterizzato dalla molteplicit. Se lEssere, cio il mondo delle Idee, non fosse molteplice,
non potrebbe in alcun modo essere la matrice/modello del mondo fisico, ovvero il mondo
fisico non possederebbe alcun ordine, ossia alcuna esistenza effettiva, sarebbe solo
illusione e inganno, e lesistenza fisica non avrebbe alcun senso, come aveva appunto
sostenuto Parmenide. In ultima analisi, dunque, Platone, legittimando filosoficamente il
non-essere relativo, rid dignit e senso bench relativi, non assoluti alla dimensione
terrena e alla vita corporea delluomo.

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MAPPA della TAPPA 6


Lanima/mente umana originariamente ha contemplato
le Idee, cio i principi primi della realt fisica

La mente umana possiede fin dalla nascita dei concetti


innati, cio le copie mentali delle Idee.

La conoscenza per essere scientifica, cio vera, deve


basarsi su concetti a priori, cio indipendenti
dallesperienza sensibile, puramente razionali

Tali concetti possono essere intuiti dallintelletto


utilizzando il metodo dialettico che dunque il metodo
scientifico fondamentale di ogni conoscenza.

DIALETTICA = scienza delle Idee

SINTESI: cogliere lIdea generale


cui fa capo lIdea della cosa
individuale che vogliamo
conoscere, p.e. animale in
relazione a un individuo umano.

ANALISI: dividere lIdea


generale in tutte le sue sottoidee
(p.e. vertebrato/invertebrato)
fino ad arrivare allIdea di
uomo.

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VIAGGI DI IERI & VIAGGI DI OGGI


LINNATISMO DI PLATONE E DI CHOMSKY
La teoria innatistica platonica delle idee, intese come concetti, sostenuta ancora oggi,
seppur con consistenti varianti, da molti scienziati cognitivisti, psicologi, linguisti. Uno
dei casi pi significativi quello del linguista statunitense Noam Chomsky, attualmente
professore emerito di Linguistica al MIT (Massachusetts Institute of Technology) di
Boston.
Chomsky autore di una teoria dellorigine e del funzionamento del linguaggio umano
incentrata sul concetto di grammatica generativo-trasformazionale. Secondo Chomsky,
ogni individuo umano dotato fin dalla nascita, e prima di qualsiasi esperienza, di un
programma linguistico la grammatica generativa costituito da principi e regole
generali da lui addirittura matematicamente formalizzati. Questo programma, e dunque
la capacit linguistica, si sviluppa con la crescita, in modo omogeneo allo sviluppo del
corpo e di tutte le altre capacit fisico-organiche (p.e. camminare). Lambiente, ovvero
lesperienza, ha solo una funzione di stimolo e modulazione, ovvero pu favorirne uno
sviluppo maggiore o minore, producendo differenti livelli di abilit linguistica, e pu far
s che si configuri in un certo modo piuttosto che in un altro, producendo le diverse lingue
(inglese, cinese, ecc.) in cui gli uomini parlano. In tale senso Chomsky chiama la sua
grammatica originaria e universale generativa e trasformazionale, in quanto cio
genera le lingue parlate attraverso la propria trasformazione, ossia adattandosi ai
diversi contesti sociali.
Il possesso di questa grammatica generativo-trasformazionale da parte di ogni uomo
corroborato, secondo Chomsky, dalla rapidit con la quale i bambini apprendono la
lingua-madre (ma eventualmente anche altre lingue). Infatti, gli input dellesperienza
infantile, cio lascolto delle voci degli adulti, non sarebbero per Chomsky sufficienti a
permettere a un bambino di cominciare a parlare alla fine del primo anno di vita sulla
base della semplice imitazione e riproduzione delle parole udite e dellapplicazione delle
regole dedotte dalle frasi. Solo il possesso innato di una struttura linguistica di base
permette al bambino di capire quasi immediatamente e di immagazzinare
ordinatamente le parole e i loro significati nonch di scoprire le regole sintattiche e di
rispettarle.
Chomsky nei suoi libri si richiama esplicitamente a Platone, sostenendo che il filosofo
ateniese aveva completamente ragione quando affermava che ogni uomo nasce con un
patrimonio conoscitivo innato. Tuttavia, per Chomsky, la conoscenza innata delluomo
non deriva, come per Platone, dal possesso di unanima razionale immortale che in
origine ha contemplato il mondo delle Idee. Divergendo da Platone, Chomsky fonda la
sua teoria innatistica del linguaggio sulla teoria dellevoluzione: la grammatica
generativo-trasformazionale costituisce una parte del nostro genoma, ovvero insita in
alcuni dei nostri geni i quali si sono formati e selezionati nel corso dellevoluzione della
specie umana in base al rapporto con lambiente naturale e sociale.

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In questo senso, pi in generale, oggi tutti gli psicologi, i cognitivisti, i linguisti


ammettono che le capacit mentali di ogni uomo dipendono almeno in parte dal suo
genoma, e dunque sono in tal senso innate. Le differenze dipendono dalle diverse stime
dellimportanza del fattore genetico rispetto al fattore ambientale: alcuni danno pi peso
al primo, altri al secondo.

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TAPPA 7
PLATONE: LAMORE E IL SENTIMENTO CHE PORTA ALLE IDEE
Quando nacque Afrodite, gli dei tennero banchetto, e fra gli altri cera Poros
(lEspediente), figlio di Metis (la Perspicacia). Dopo che ebbero tenuto il
banchetto, venne Penia (la Povert) a mendicare, poich cera stata una
grande festa, e se ne stava vicino alla porta. Successe che Poros, ubriaco di
nettare, dato che il vino non cera ancora, entrato nel giardino di Zeus,
appesantito comera, fu colto dal sonno. Penia, allora, per la mancanza in cui
si trovava di tutto ci che ha Poros, escogitando di avere un figlio da Poros,
giacque con lui e concep Eros. Per questo divenne seguace e ministro di
Afrodite, perch fu generato durante le feste natalizie di lei; ad un tempo per
natura amante di bellezza, perch anche Afrodite bella.
Dunque, in quanto Eros figlio di Penia e Poros, gli toccato un destino di
questo tipo. Prima di tutto povero sempre, ed tuttaltro che bello e
delicato, come ritengono i pi. Invece, duro e ispido, scalzo e senza casa, si
sdraia sempre per terra senza coperte, e dorme allaperto davanti alle porte o
in mezzo alla strada e, poich ha la natura della madre, sempre
accompagnato con povert. Per ci che riceve dal padre, invece, egli
insidiatore dei belli e dei buoni, coraggioso, audace, impetuoso,
straordinario cacciatore, intento sempre a tramare intrighi, appassionato di
saggezza, pieno di risorse, filosofo per tutta la vita, straordinario incantatore,
preparatore di filtri, sofista. E per sua natura non n mortale n immortale,
ma, in uno stesso giorno, talora fiorisce e vive, quando riesce nei suoi
espedienti; talora, invece, muore, ma poi torna in vita, a causa della natura
del padre. E ci che si procura gli sfugge sempre di mano, sicch Eros non
mai n povero di risorse, n ricco.
Inoltre, sta in mezzo fra sapienza e ignoranza. Ed ecco come avviene questo.
Nessuno degli dei fa filosofia, n desidera diventare sapiente, dal momento
che lo gi. E chiunque altro sia sapiente, non filosofa. Ma neppure gli
ignoranti fanno filosofia, n desiderano diventare sapienti. Infatti,
lignoranza ha proprio questo di penoso: chi non n bello n buono n
saggio, ritiene invece di esserlo in modo conveniente. E, in effetti, colui che
non ritiene di essere bisognoso, non desidera ci di cui non ritiene di aver
bisogno. []
E, allora, io dissi: E sia, o straniera! Infatti, tu dici bene. Ma se Eros di
questo tipo, che vantaggio porta agli uomini? .
Questo punto, o Socrate, cercher di spiegartelo disse dopo queste altre
cose. Dunque, Eros di questo tipo, nato in questo modo, ed amore delle
cose belle, come tu affermi. Ma se qualcuno ci domandasse: perch, o Socrate

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e Diotima, Eros amore delle cose belle? O, per dirla in modo ancora pi
chiaro: chi ama le cose belle, ama; ma che cosa ama? .
Ed io risposi: Che le cose belle diventino sue .
Ma la tua risposta disse comporta questa domanda: che vantaggio avr
colui che verr in possesso delle cose belle? .
E io risposi di non avere ancora a disposizione una risposta per tale
domanda.
Ma disse come se qualcuno usando il termine bene in luogo di quello
di bello, ti domandasse: Socrate, chi ama le cose buone ama; ma che cosa
ama? .
Che diventino sue, risposi io.
E che vantaggio avr dal venire in possesso delle cose buone?.
A questo dissi io mi pi facile fornirti una risposta: sar felice.
Infatti disse appunto per il possesso delle cose buone che sono felici
quelli che sono felici, e non c pi bisogno di fare questa ulteriore domanda:
Chi vuol essere felice a che scopo vuol essere felice? Perch la risposta ha
ormai raggiunto il suo fine.
Dici il vero, risposi.
Questa volont e questo amore credi che siano una cosa comune a tutti gli
uomini, e che tutti vogliano possedere? O come dici?.
Proprio cos dissi , che sia una cosa comune a tutti.
Platone, Simposio, 203 B-205 A, a cura di G. Reale, Longanesi

Come ormai sappiamo, secondo Platone, la scienza, cio la conoscenza assolutamente vera,
si fonda sulla capacit di ricordare le Idee che lanima di ogni uomo ha osservato
originariamente. Abbiamo anche appreso che, fuor di metafora, ricordare le Idee per
Platone significa intuire e portare alla coscienza i concetti razionali che sono presenti nella
mente umana fin dalla nascita e che costituiscono lintelligenza. Infine, come abbiamo
ancora gi visto, lintuizione dei concetti a sua volta si attua usando il metodo dialettico e
in questo senso la Dialettica costituisce la scienza per eccellenza.
Ma lacquisizione della Dialettica, cio della conoscenza delle Idee, per Platone non
unattivit solamente intellettuale nel linguaggio di oggi si direbbe cerebrale , bens
anche e indispensabilmente unesperienza sentimentale, ovvero emotiva. Platone afferma,
infatti, che il ricordare, ovvero il processo dialettico, , per cos dire, innescato dalla
visione sensibile dellIdea della Bellezza, ovvero dalla Bellezza in s, in quanto questa
lIdea che riesce a manifestarsi pi chiaramente nel mondo fisico. Ma lesperienza estetica
della Bellezza in s strettamente intrecciata con quella dellAmore. Infatti, secondo
Platone:

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da un lato, la percezione gratificante della bellezza di qualcosa provoca


necessariamente linnamoramento, cio unattrazione affettiva, per quella cosa stessa;
dallaltro, lAmore un bisogno emotivo fondamentale delluomo che trova il suo
appagamento nellesperienza estetica della Bellezza e pertanto, al contempo, la forza
psicofisica che spinge ogni uomo alla ricerca del Bello.

Dunque, tra Bellezza e Amore sussiste per Platone una correlazione necessaria,
uninterdipendenza indissolubile tale per cui luna rimanda allaltro e viceversa. Ma gi
sappiamo che la Bellezza una delle facce del principio ideale supremo, lUno, e che tutte
le Idee partecipano della Bellezza, cio sono tutte belle. Pertanto, ogni uomo per Platone,
almeno potenzialmente, innamorato delle Idee, ovvero si sente attratto dalla Bellezza del
mondo delle Idee.
Di conseguenza ogni scienza, ma al massimo grado la scienza dialettica, possiede una
componente di tipo emotivo-sentimentale, rappresentata appunto dallAmore. In tal senso
si pu dire che per Platone lAmore, inteso come ricerca della Bellezza, il propellente
emotivo della scienza che a sua volta una delle modalit di appagamento dellAmore.
Infatti, poich la scienza conoscenza delle Idee e poich tutte le Idee sono manifestazioni
della Bellezza, la ricerca scientifica, secondo Platone, permette un godimento sempre pi
ampio e intenso della Bellezza.

Ma qual lorigine dellAmore? E perch lAmore un impulso fondamentale della vita


umana? In prima battuta, la risposta affidata a un nuovo mito il mito dellandrogino
che Platone fa raccontare al commediografo Aristofane, per segnalare che si tratta solo di
una prima approssimazione alla verit. Secondo questo mito, in origine la specie umana
era composta da individui doppi, ovvero dotati di due volti su ununica testa, quattro
braccia, quattro gambe e due sessi, o entrambi maschili o entrambi femminili oppure uno
maschile e uno femminile.
A causa della loro maggiore potenza, racconta Platone per bocca di Aristofane, questi
uomini doppi si lasciarono ottenebrare dalla superbia e tentarono di dare lassalto
allOlimpo per sostituirsi agli dei. Zeus allora per punirli ordin ad Apollo di dividerli in
due, dando cos luogo alla specie umana attuale. Da quel momento nacque lAmore, ovvero
limpulso nostalgico di due individui, inizialmente uniti e in seguito scissi, a ricomporre la
loro unit originaria. E poich gli esseri umani originari erano o un maschio e una
femmina o entrambi maschi o entrambi femmine, lamore pu essere sia eterosessuale sia
omosessuale. Nel primo caso esso finalizzato alla riproduzione della specie; nel secondo,
invece, ma solo nella sua variante maschile, il suo scopo la fusione delle anime e la vita
comune.

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Il mito degli uomini doppi integrato e completato da un secondo mito, quello dellAmore
figlio di Povert (pena) e Acquisizione (pros), che Platone fa raccontare da Socrate a
significare che esso contiene la vera concezione dellAmore. Secondo questo mito, al
termine di un banchetto divino in onore della nascita di Afrodite, Povert, arrivata l per
mendicare, si accoppi con il dio Acquisizione, e dalla loro unione nacque Amore.
Questa allegoria significa, in primo luogo, che Amore non un dio, ma un dmone, cio
un semidio, un essere met divino, e quindi immortale, e met fisico, e quindi mortale, in
quanto suo padre il simbolo della razionalit e dellimmortalit mentre sua madre
lemblema della fisicit e della mortalit. Pi in generale, ci significa che lAmore, secondo
Platone, costituito dallinterazione di due caratteristiche fondamentali di ogni essere
umano:
1. la mancanza, cio la limitezza, limperfezione, lincompletezza;
2. il bisogno/desiderio e al tempo stesso la capacit di superare la mancanza, cio di
migliorarsi e completarsi, grazie al rapporto con un altro.
In sintesi, lAmore per Platone limpulso emotivo dellessere umano a perfezionarsi
mettendosi in relazione con un altro essere umano diverso da lui.

In secondo luogo, lallegoria platonica significa anche che Amore bisogno e desiderio di
Bellezza, in quanto il suo concepimento legato ad Afrodite, dea-simbolo della Bellezza. In
altre parole, laltro-da-s con cui lAmore mette in relazione deve possedere il requisito
della Bellezza. Perch? La risposta di Platone duplice. Da un parte, la Bellezza laspetto
visibile del Bene e quindi coincide con il Bene. Dato che il Bene procura la felicit, mettersi
in relazione con il Bello significa conseguire la felicit. Dunque Amore cerca il Bello perch
cerca la felicit. Dallaltra parte, poich naturale che ogni uomo desideri possedere la
felicit per sempre, lAmore desiderio e, al tempo stesso, capacit di conseguire
limmortalit. In che modo? Due sono per Platone le vie amorose allimmortalit:
1. la riproduzione sessuale: in questo senso lAmore desiderio/capacit di procreare figli
nel Bello, perch Bellezza significa armonia e ordine, e dunque senza la Bellezza la
procreazione sarebbe difettosa;
2. la creazione spirituale: in questo senso lAmore desiderio/capacit di conseguire
gloria e fama imperiture attraverso la produzione di opere poetiche e artistiche, ma
anche di costituzioni politiche, di teorie filosofiche e scientifiche, nonch lattuazione di
imprese eroiche, cio di azioni in cui si sacrifica la propria vita per il bene degli altri.

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Ma c un altro aspetto fondamentale della concezione platonica dellAmore, ovvero la sua


processualit. In altre parole, lAmore non un sentimento statico, sempre uguale a se
stesso, bens un sentimento che ogni uomo deve migliorare e intensificare nel corso della
sua vita. Pi precisamente, per Platone lesperienza erotico-estetica delluomo un
cammino ascendente, cio un processo dinamico di maturazione e perfezionamento. Tale
processo scandito da Platone in 6 tappe:
1. lamore per la bellezza del corpo di ununica persona;
2. lamore per la bellezza di tutti i corpi, cio della corporeit umana in generale;
3. lamore per la bellezza dellanima di unaltra persona, cio per la sua interiorit;
4. lamore per la bellezza delle opere dellingegno umano e in particolare delle leggi;
5. lamore per la bellezza delle scienze matematiche;
6. lamore per la Bellezza in s, cio per lUno-Bello-Bene-Verit.
Platone, dunque, concepisce lAmore come un processo di elevazione spirituale che
partendo dal livello pi basso della fisicit arriva gradualmente al traguardo del massimo
livello, quello puramente e totalmente ideale. In questo senso egli definisce ancora lAmore
come il mediatore e il ponte tra sensibilit e razionalit, tra il mondo fisico e il mondo delle
Idee, e lo identifica con la filosofia stessa, da lui intesa come ricerca della conoscenza, cio
appunto come slancio verso le Idee.

In particolare, la quarta tappa, cio quella dellamore per la bellezza delle opere
dellingegno umano, include anche le opere darte (poesie, sculture, pitture, musiche, ecc.),
ossia le opere che costituiscono loggetto dellestetica, cio della filosofia dellarte. Dato il
rilievo che ha la bellezza nella sua filosofia, Platone non pu esimersi dallelaborare una
sua estetica. E naturalmente lestetica platonica unestetica idealistica e dunque
antinaturalistica. In altre parole la vera arte, per Platone, non quella che cerca di
riprodurre la realt fisica cos com. Infatti, larte naturalistica, quella appunto che cerca
di imitare la natura, non altro che una copia della copia della vera realt, ossia del mondo
delle Idee, lunica realt che veramente bella. Pertanto larte naturalistica appanna e
sminuisce ulteriormente la bellezza del mondo fisico che gi inferiore a quella del mondo
delle Idee. La vera arte, dunque, larte che circoscrive, astrae e mette in evidenza la
bellezza delle Idee che traspare nel mondo fisico e che in questo modo riesce a produrre
delle opere veramente belle. E, dal momento che il mondo delle Idee, possiede un ordine
fondato sulla misura, la proporzione, la simmetria, unopera darte per essere tale deve
basarsi su questi stessi criteri.
Ma, come abbiamo visto, per Platone la Bellezza coincide con la Verit e con il Bene.
Dunque per Platone, la vera arte deve avere sempre un contenuto veritiero e deve sempre
trasmettere dei valori morali. In altri termini, secondo Platone, unopera darte che
rappresenti il falso o sostenga il vizio non unautentica opera darte, perch non pu
possedere il requisito essenziale dellarte, cio la bellezza.

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In conclusione, ricolleghiamoci al mito della caverna. Sulla base di quanto ulteriormente


acquisito a proposito dellamore, risulta evidente che il cammino di fuga dal carcere del
prigioniero liberato, al centro del mito della caverna, il simbolo non solo dellascesa
conoscitiva ma anche simultaneamente della maturazione amorosa e, pi in generale, della
crescita emotiva e sentimentale delluomo.
Luna infatti non possibile per Platone senza laltra.

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MAPPA della TAPPA 7

POVERTA
Lessere umano non completo,
carente, difettoso, e quindi ha
bisogno dellaltro.

ACQUISIZIONE
Lessere umano ha la capacit di
acquisire ci di cui carente, e
dunque di perfezionarsi,
attraverso un altro.

AMORE =
rapporto sentimentale di scambio e arricchimento reciproco.

DESIDERIO DI BELLEZZA =
qualit di chi si ama e che suscita lamore per lui.

DESIDERIO DI BENE, cio di FELICITA PERMANENTE

DESIDERIO DI IMMORTALITA

PROCREAZIONE DEI FIGLI, in


quanto sono prolungamenti dei
genitori nel tempo.

CREAZIONE DI OPERE
INTELLETTUALI, in quanto
conferiscono gloria imperitura.

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TAPPA 8
PLATONE: LA GIUSTIZIA E LA VIRTU SUPREMA
Invero, come sembra, la giustizia era qualcosa di analogo; solo che essa non
riguarda lazione esterna delle facolt dellindividuo, ma quella interiore che
concerne lui stesso e le cose che gli competono. In tal modo lindividuo non
permette che ciascuna sua parte compia uffici che sono propri di altre, o che
le differenti specie dellanima invadano luna il campo dellaltra, ma
disponendo in buon ordine le proprie cose e prendendo il comando di s,
dandosi un equilibrio e interiormente rappacificandosi ovvero raccordando
le tre parti dellanima come se fossero tre suoni di unarmonia: lalto, il basso
e il medio e altri ancora intermedi, se mai ce ne fossero , legati insieme tutti
questi elementi e diventando interamente uno di molti, temperato ed
equilibrato, cos dora innazi operi, quando decida di operare, o per lacquisto
di ricchezze, o per la cura del corpo, o per qualcosa riguardante la vita
pubblica, o per i commerci privati.
Platone, Repubblica, IV, 443 C-E a cura di G. Reale, Longanesi
Ed io cos iniziai: Non ti far certo il discorso di Alcinoo, ma di un uomo di
valore, Er figlio di Armenio, panfilo di origine. Questi a suo tempo mor in
combattimento, e mentre, dopo dieci giorni, si raccoglievano i cadaveri ormai
decomposti, lui fu raccolto ancora intatto. In seguito, riportato a casa per
essere seppellito, quando gi era adagiato sulla pira, ritorn a vivere, e,
ripresa la vista, raccont quello che aveva visto nellaldil.
Disse che, come lanima si era separata da lui, si era messa in viaggio insieme
a molte altre, finch non giunsero in un luogo meraviglioso, nel quale si
aprivano, a poca distanza luna dallaltra, due voragini sulla terra e, in
perfetta corrispondenza, altrettante su nel cielo.
In mezzo sedevano dei giudici, i quali, ad ogni loro sentenza, ordinavano ai
giusti di dirigersi in alto a destra, attraverso il cielo non prima, per, di aver
appeso davanti a loro il referto del giudizio , e agli ingiusti di muovere verso
la parte sinistra in basso, avendo anchessi il resoconto di tutte le loro azioni
appeso di dietro. Come fu il suo turno, gli fu comunicato che avrebbe dovuto
essere per gli uomini relatore delle cose di laggi, e per questo gli ordinarono
di osservare e ascoltare tutto quanto avveniva in quel posto. In tale maniera
pot assistere al dipartirsi delle anime appena giudicate da due delle voragini
del cielo e della terra.
Invece, per quanto concerne le altre due voragini, da una sbucavano anime
sudicie ddi terra e di polvere, dallaltra scendevano anime diverse, del tutto
pure provenienti dal cielo. E quelle che continuamente arrivavano davano

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limpressione di aver concluso un lungo viaggio e nel giungere sul prato


avevano laria felice come se si dessero convegno per una festa di paese. Cos
le anime che gi si conoscevano si salutavano cordialmente, e quelle reduci
dalla terra si informavano, chiedendo notizie della vita di l, mentre le altre,
provenienti dal cielo, chiedevano informazioni della vita di qua. In tal modo,
ognuna raccontava alle altre la sua vicenda. Le une, ricordando quali e quante
sofferenze avevano patito e visto patire nel millenario viaggio sotto terra,
sconsolatamente piangevano, le altre, quelle che venivano dal cielo,
raccontavano di esperienze e visoni di straordinaria bellezza.
Erano a tal punto numerose, Glaucone, che a raccontarle tutte ci vorrebbe
troppo tempo; tuttavia, il succo della vicenda il seguente. Per quante colpe
ciascuno avesse commesso o per quanti uomini avesse offeso, per tutto ci,
puntualmente, doveva subire una pena decupla per ogni capo daccusa.
Siccome ogni volta lunit di misura della pena era cento anni in quanto tale
si considera la durata della vita umana le anime risultavano pagare il fio
della loro colpa dieci volte. []
E dopo la permanenza di una settimana in quel prato, lottavo giorno
ciascuna anima doveva levarsi da l e mettersi in cammino, per giungere, in
seguito a un viaggio di quattro giorni, in una localit da cui si poteva vedere
una luce dritta, a forma di colonna, che si protendeva dallalto attraverso tutto
il cielo e la terra: queta era molto simile allarcobaleno, ma ancor pi
splendente e pura. []
Come giunsero in quel luogo dovettero presentarsi a Lachesi. Qui un
interprete del dio per prima cosa le dispose in ordine, e poi, dopo aver
raccolto dalle ginocchia di Lachesi le sorti e i paradgmi delle vite, montato su
un palco rialzato, parl in questo modo: Parola della vergine Lachesi, figlia di
Necessit. Anime cadute, eccovi giunte allinizio di un altro ciclo di vita di
genere mortale, in quanto si conclude con la morte. Non sar il dmone a
scegliere voi, ma voi il dmone. Il primo estratto sceglier per primo la vita
alla quale sar tenuto di necessit. Non ha padroni la virt; quanto pi
ciascuno di voi lonora tanto pi ne avr; quanto meno lonora, tanto meno ne
avr. La responsabilit, pertanto, di chi sceglie. Il dio non ne ha colpa. .
Platone, Repubblica, 614 B-617 E, a cura di G. Reale, Longanesi

Abbiamo visto perch e come il cammino del prigioniero liberato del mito della caverna
rappresenti allegoricamente sia la crescita conoscitiva sia la maturazione esteticosentimentale di ogni individuo umano nel corso della sua vita. Ora vedremo come e perch
esso simboleggi anche, al tempo stesso, lo sviluppo della moralit di ogni uomo.

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Per arrivare a comprenderlo, bisogna innanzitutto premettere che la moralit per Platone
consiste nel praticare le virt, ovvero nellagire in modo virtuoso. Ma cos allora la virt?
Per Platone, come per tutti gli antichi Greci, la virt in generale la propriet per cui
qualcosa eccelle, ovvero la qualit grazie alla quale raggiunge la sua perfezione. P.e., la
virt dellusignolo il canto, la virt delloro linossidabilit, ecc. In particolare, secondo
Platone, la virt delluomo la sua anima, in quanto questa la parte migliore e superiore
dellessere umano.

Lanima umana, per, secondo Platone, suddivisa in tre parti. Platone le rappresenta
simbolicamente nel mito della biga alata, in base alle tre componenti della biga:
1. lauriga alla guida il simbolo dellanima razionale (ossia dellintelligenza), cio della
facolt di pensare e conoscere, che ha sede nella testa;
2. il cavallo bianco e docile il simbolo dellanima volitiva, che risiede nel petto e consiste
nellaggressivit naturale che permette di attuare con determinazione le proprie scelte e
di opporsi a chi cercasse di impedirle;
3. il cavallo nero e ribelle il simbolo dellanima desiderante, che risiede nelladdome e
consiste nellinsieme dei bisogni istintivi del corpo (mangiare, bere, dormire, ecc.) il cui
soddisfacimento procura il piacere fisico.
Poich lanima articolata in tre parti, ognuna di esse, secondo Platone, possiede una sua
specifica virt:
1. la virt dellanima razionale la Sapienza, intesa come capacit di raggiungere la
conoscenza totale delle Idee e del Bene-Uno, cio del criterio della misura esatta;
2. la virt dellanima volitiva il Coraggio, inteso come capacit di non recedere da una
propria decisione o da una propria azione per il timore di subire un danno materiale e,
al limite, di morire;
3. la virt dellanima desiderante la Temperanza, intesa come capacit di limitare il
soddisfacimento dei bisogni istintivi del corpo e quindi il godimento dei piaceri fisici.

Tuttavia, dal momento che lanima, pur avendo tre parti, anche qualcosa di unitario, per
Platone essa deve avere una ulteriore virt complessiva. Questa virt la Giustizia, la quale
consiste nella capacit dellanima come insieme di stabilire il giusto equilibrio tra le sue tre
parti, ovvero di relazionarle in modo armonico e ordinato.
A sua volta lordinamento equilibrato e armonico dellanima consiste in un rapporto
gerarchico, anzi in una vera e propria catena di comando, tale per cui lanima razionale
comanda lanima volitiva che a sua volta comanda lanima desiderante. In questo modo, la
misura esatta, cio lUno-Bene, che viene conosciuta dallanima razionale, imposta
dallanima volitiva allanima desiderante cos che questa possa esercitare la sua virt, cio

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autolimitarsi. La temperanza, infatti, consiste appunto nel soddisfare un bisogno istintivo


nella sua giusta misura, ovvero n troppo n troppo poco, in modo tale che i diversi
bisogni istintivi si armonizzino tra loro e soprattutto non danneggino le due parti superiori
dellanima. Il che implica per Platone un forte autocontrollo e una drastica limitazione del
godimento dei piaceri fisici.
In conclusione, dunque, secondo Platone essere morali significa agire sulla base di un
equilibrio interiore, cio stabilire un ordine armonico tra i propri valori ideali, i propri
sentimenti, le proprie emozioni e i propri desideri istintivi, dosando ognuna delle
componenti dellanima in modo diverso a seconda della sua importanza.

Ma, come abbiamo visto, questo ordine per Platone si incardina sul criterio della giusta
misura, ovvero sul principio sommo dellUno-Bene. Ci significa che il comportamento
morale si fonda in ultima istanza sulla conoscenza. Daltra parte, solo la moralit, in
particolare la virt della Temperanza, permette allanima razionale di dedicarsi alla ricerca
conoscitiva e cos di potenziarsi al massimo grado. Dunque, per Platone conoscenza e
moralit si rafforzano reciprocamente. Ma la conoscenza, come abbiamo considerato,
promossa anche dallelevazione estetico-amorosa e, a sua volta, rafforza questultima.
Pertanto, per Platone la vita umana costituita da una triplice interazione di
rafforzamento reciproco tra conoscenza, moralit e amore.
Ecco spiegato perch il cammino ascensivo di liberazione del prigioniero nel mito della
caverna rappresenta al tempo stesso la crescita conoscitiva, quella estetico-sentimentale e
quella morale. Tanto vero che il suo traguardo simbolicamente il Sole il principio
ideale supremo dellUno che , al contempo, Verit, Bellezza e Bene, cio rispettivamente le
mete finali della conoscenza, dellamore e della moralit.

Secondo Platone, per, la fuga dalla caverna-carcere, cio appunto il ritorno dellanima al
mondo delle Idee, nellarco di una sola vita una possibilit riservata solo ai filosofi. Gli
altri uomini sono costretti a metterci molto di pi, ossia fino a dieci vite consecutive, e
devono purificarsi tra una vita e laltra subendo una pena per le azioni malvagie che hanno
commesso in vita.
In altre parole, la morale di Platone connessa alla teoria della metempsicosi, ovvero della
reincarnazione delle anime in pi corpi/personalit nel corso di pi vite successive.
Platone riprende tale teoria dai pitagorici, ma ne elabora una versione personale esposta in
un nuovo mito, quello di Er, un guerriero gravemente ferito in battaglia che ha avuto la
possibilit eccezionale di soggiornare nellaldil e poi di tornare a vivere.

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Er narra che dopo la morte il comportamento in vita di ogni uomo viene giudicato e, in
caso di azioni immorali, lanima deve scontare una pena per mille anni per purificarsi dalle
sue colpe. Al termine dei mille anni a ogni anima viene attribuito a caso un numero che
stabilisce il suo turno per scegliere la sua nuova vita tra una serie di possibili modelli. Chi
ottiene dalla sorte i primi numeri ha pi possibilit di scelta, dunque sembra
avvantaggiato, tuttavia in realt non cos perch ha pi probabilit di scegliere i modelli
pi attraenti ma in realt peggiori, come per esempio quello del tiranno. Utilizzando
ancora una volta unallegoria, Platone afferma, in tal modo, che, nonostante un coefficiente
di casualit, ogni uomo libero, cio padrone e artefice della propria vita, e che, proprio
per questo, interamente responsabile delle proprie azioni. Tale libert e tale conseguente
responsabilit sono il fondamento della moralit, cio della capacit di ogni individuo di
perfezionare il proprio comportamento.
Una volta effettuata la scelta tutte le anime dimenticano quanto successo bevendo lacqua
del fiume Amelete e quindi rinascono nella dimensione terrena. Come anticipato, ci pu
ripetersi per dieci volte, fino a coprire un lasso di tempo di diecimila anni (la quantit
simbolica come quella dei mille anni di ogni periodo di pena). Al termine tutte le anime
arrivano finalmente alluscita dalla caverna, ovvero rimettono le ali e tornano nella Pianura
della verit, salvo cadere di nuovo e ricominciare un nuovo ciclo di reincarnazioni.

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MAPPA della TAPPA 8


ANIMA
(simboleggiata dalla biga alata)

RAZIONALE,
(simboleggiata
dallauriga)

VOLITIVA
(simboleggiata
dal cavallo
bianco e docile)

DESIDERANTE
(simboleggiata
dal cavallo nero
e ribelle)

FUNZIONE
CONOSCITIVA
E DIRETTIVA

FUNZIONE
COERCITIVA E
DIFENSIVA

FUNZIONE DI
AUTOCONSERVAZIONE
MATERIALE

Virt della
SAPIENZA

Virt del
CORAGGIO

Virt della
TEMPERANZA

Virt della
GIUSTIZIA

Armonia delle 3 parti dellanima


basata sul comando dellanima
razionale su quella aggressiva e di
questa su quella desiderante.

224

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TAPPA 9
PLATONE: LO STATO GIUSTO DEVE BASARSI SULLA SCIENZA
Da giovane anchio feci lesperenza che molti hanno condiviso. Pensavo, non
appena divenuto padrone del mio destino, di volgermi allattivit politica. []
Avvenne per che alcuni potentati coinvolgessero in un processo quel nostro
amico Socrate, accusandolo del pi grave dei reati, e, fra laltro, di quello che
meno di tutti si addiceva ad uno come Socrate. Insomma, lo incriminarono
per empiet, lo ritennero colpevole e lo uccisero; e pensare che proprio lui si
era rifiutato di prender parte allarresto illegale di uno dei loro amici, quando
erano banditi dalla Citt e la malasorte li perseguitava.
Di fronte a tali episodi, a uomini siffatti che si occupavano di politica, a tali
leggi e costumi, quanto pi, col passare degli anni, riflettevo, tanto pi mi
sembrava difficile dedicarmi alla politica mantenendomi onesto. []
Ad un certo punto mi feci lidea che tutte le Citt soggiacevano a un cattivo
governo, in quanto le loro leggi, senza un intervento straordinario e una
buona dose di fortuna, si trovavano in condizioni pressoch disperate. In tal
modo, a lode della buona filosofia, fui costretto ad ammettere che solo da essa
viene il criterio per discernere il giusto nel suo complesso, sia a livello
pubblico che privato. I mali, dunque, non avrebbero mai lasciato lumanit
finch una generazione di filosofi veri e sinceri non fosse assurta alle somme
cariche dello Stato, oppure finch la classe dominante negli Stati, per un
qualche intervento divino, non si fosse essa stessa votata alla filosofia.
Platone, Lettera VII, 323 B-326 B, a cura di G. Reale, Longanesi
Ora, quando di una cosa pi grande e di una pi piccola si dice che sono la
stessa cosa, per il fatto dessere dette la stessa cosa, sono disuguali o sono
uguali?.
Uguali, rispose lui.
Di conseguenza, in rapporto allIdea di giustizia, luomo giusto e la Citt
giusta non differiranno in nulla, ma saranno uguali.
Uguali, ribad.
Ma la Citt ci parve essere giusta quando in essa le tre funzioni originarie che
la costituiscono [economia, difesa, governo] assolvono ciascuna al proprio
compito; invece ci sembrata temperante, coraggiosa e sapiente sempre per
questi suoi tipi, ma in relazione a certe altre attitudini e abitudini.
E vero, disse. []

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E allora da ci viene pure unaltra conseguenza necessaria: che i motivi e i


modi che fanno sapiente una Citt, fanno nello stesso tempo sapiente anche il
singolo cittadino.
Come no?.
E i motivi e i modi che fan s che il singolo cittadino sia coraggioso, non sono
poi gli stessi che determinano il coraggio della Citt? Cos riguardo a questi
aspetti luno con laltra stanno nel medesimo rapporto.
Di necessit.
E cos, o Glaucone, io credo che si possa dire giusto un uomo allo stesso titolo
con cui si dice giusta una Citt.
E anche ci con assoluto rigore.
Questo punto per non c passato di mente: che la Citt era giusta perch
ciascuna delle tre classi di cui composta svolgeva in essa il compito che le
spettava.
Non mi par proprio che lavessimo scordato, disse. []
E allora, non forse vero che alla facolt razionale spetta, dunque, il compito
di comandare, in quanto sapiente e ha la responsabilit di tutta lanima e a
quella irascibile [volitiva] tocca il compito di obbedirle e di darle man forte?.
Indubbiamente.
E non sar per caso, come gi prima si diceva, la fusione di ginnastica e
musica a creare fra esse questa intesa, luna dando tono e alimento con belle
parole e nozioni, e laltra conferendo calma, quiete e una certa grazia in virt
dellarmonia e del ritmo?.
E evidente, rispose.
Ora queste due facolt, cos nutrite e messe in grado di assolvere davvero
bene al proprio compito per via delleducazione, devono comandare sulla
facolt concupiscibile [cio desiderante]. Essa, invero, costituisce in ciascun
uomo la parte maggiore dellanima ed per sua natura mai sazia di ricchezze;
per tale motivo va tenuta docchio perch non si riempia dei cosiddetti piaceri
del corpo, e, aumentata di forza e di dimensioni, non rinunci ad assolvere al
proprio compito e cerchi invece di assoggettare e di sopraffare le altre due
facolt che non hanno nulla a che vedere con il suo genere, in tal modo
sovvertendo il sistema di vita di tutti.
Va bene, disse.
E poi aggiunsi non forse vero che queste facolt farebbero linteresse
dellanima e del corpo custodendoli dai nemici esterni nel modo migliore,
luna con la sua capacit di decidere, e laltra con la sua capacit di combattere
e la disponibilit ad obbedire alla parte che comanda, dando coraggiosamente
esecuzione alle sue deliberazioni?
E davvero cos.
Platone, Repubblica, 435 A-442 B, a cura di G. Reale, Longanesi

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ATENIESE: Ascoltami bene. Fra i vari generi di costituzione, due sono simili
a delle madri, in quanto non sarebbe errato sostenere che gli altri tipi
traggono origine proprio da essi. Di questi luno indubbiamente si pu
chiamare monarchia; e laltro democrazia. E il prototipo del primo genere la
costituzione dei Persiani, mentre quello del secondo il nostro modello di
costituzione. Come ho detto, le altre forme di governo, quasi per intero, sono
variazioni di queste. Ora, se si vuol salvaguardare la libert e la concordia
insieme alla saggezza, assolutamente necessario che lo stato abbia parte di
ambedue le forme: ed esattamente questa la tesi che il nostro discorso vuole
sostenere quando afferma che mai una citt potrebbe essere ben
amministrata se prescinde da tali tipi di governo.
CLINIA: Certo, e come potrebbe?
ATENIESE: Una societ ha prediletto la forma monarchica, laltra ha scelto la
libert; ambedue, per, sono andate oltre il segno, al punto che nessuna ha
saputo mantenere la giusta misura.
Platone, Leggi, III, 693 D-E, a cura di G. Reale, Longanesi

Nel mito della caverna il prigioniero liberato, una volta giunto al traguardo del suo
cammino ascendente e aver goduto del Sole, decide di ridiscendere nella caverna per
rivelare la sua scoperta ai suoi compagni, liberarli e portarli allaria aperta.
Il ritorno del prigioniero nella caverna il simbolo dellimpegno politico. In altre parole,
per Platone, dovere di tutti gli uomini, e soprattutto di chi tra loro si pi elevato
interiormente, impegnarsi per rendere pi giusta la propria Citt, cio lo Stato di cui si fa
parte.

Ma perch limpegno politico un dovere? Per rispondere a questa domanda Platone si


pone, innanzitutto, unaltra domanda preliminare: perch ci sono gli Stati? Come sono
nati? Perch, risponde Platone, gli individui umani nascono con una serie di bisogni
materiali (mangiare, bere, dormire, coprirsi, ecc.) e non sono in grado di soddisfarli
individualmente, o quantomeno da soli potrebbero soddisfarli in modo molto pi limitato
e precario.
Di conseguenza gli uomini si associano in base alla regola sociale della divisione del lavoro:
un uomo coltiva, un secondo alleva, un terzo produce il pane, un altro ancora costruisce le
case, ecc. e poi tutti si scambiano tra loro i diversi prodotti del lavoro di ognuno. Una volta
che si cos formata una vasta comunit, sorge la necessit di regolamentare tutti i

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rapporti reciproci tra gli uomini che ne fanno parte e quindi di decidere quali regole di
convivenza adottare, ovvero nasce lo Stato.

A questo punto, Platone si chiede: cosa permette il miglior funzionamento dello Stato?, e
risponde: la giustizia. In altre parole, uno Stato per conservarsi e funzionare bene deve
basarsi su regole/leggi giuste. Dunque, ogni cittadino deve impegnarsi politicamente per
fare s che il proprio Stato sia sempre pi giusto altrimenti lo Stato verrebbe meno e con
esso la possibilit di sopravvivenza materiale.
Ma in cosa consiste allora lo Stato giusto e in che modo si realizza? Per risolvere questo
problema, Platone ritiene che si debba innanzitutto delineare chiaramente il modello
ideale di Stato giusto, ossia lIdea di Stato, lo Stato perfetto. A tale scopo, Platone individua
la prima condizione dello Stato giusto nel suo isomorfismo con lindividuo umano. In altre
parole, poich lo Stato un insieme di individui, dovr avere in grande la struttura interna
che ogni individuo ha in piccolo. Insomma, lo Stato deve essere un macrouomo.

Ora, poich, come si visto, ogni uomo costituito da unanima tripartita (razionale,
volitiva, desiderante) anche lo Stato dovr avere unanaloga tripartizione, cio dovr essere
diviso sulla base dellanima prevalente in ogni individuo, cio della sua dellindole
naturale in tre classi:
1. quella dei governanti, cui appartengono gli individui in cui prevale lanima razionale
e che dunque possono eccellere nella sapienza;
2. quella dei militari, cui appartengono gli individui in cui prevale lanima volitiva e
che dunque possono eccellere nel coraggio;
3. quella dei produttori, cui appartengono gli individui in cui prevale lanima
desiderante e che dunque possono eccellere nella temperanza.
I doveri, cio le funzioni, di ogni cittadino, secondo Platone, devono differenziarsi a
seconda della classe di appartenenza, ossia della propria indole:
1. I governanti devono elaborare le leggi, poich possedendo la sapienza, cio la
scienza delle Idee, sono i cittadini che possono prendere le decisioni pi equilibrate
ed efficaci.
2. I militari devono difendere la citt dalle aggressioni esterne e devono garantire il
rispetto delle leggi e la pacifica convivenza al suo interno, dal momento che
possedendo il coraggio sono i pi capaci nelluso della forza.
3. I produttori devono provvedere al soddisfacimento di tutti i bisogni materiali della
societ, poich, limitando i loro consumi grazie alla temperanza, sono i pi efficienti
ed efficaci nella produzione dei beni materiali.

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Alla diversit dei doveri deve corrispondere, prosegue Platone, una diversit dei diritti
individuali. I produttori possono possedere beni individuali, una famiglia propria e una
vita privata. I governanti e i guerrieri, invece, hanno diritto a essere mantenuti
sobriamente a spese dello Stato, ma non a possedere beni individuali, una famiglia e una
vita privata.
Essi possono e anzi devono riprodursi, ma devono allevare ed educare in comune i
bambini, senza sapere quali di loro sono i propri figli, allo scopo di evitare la bench
minima possibilit di favoritismi. In tal modo, chi ha pi doveri, e quindi poteri, deve
godere di minori diritti individuali e viceversa.

In sintesi, per Platone uno Stato giusto, e quindi forte, quando ogni suo membro svolge
soltanto le funzioni che pi capace di svolgere e gode unicamente dei diritti derivanti
dalla funzione che svolge. Solo in questo caso, infatti, le tre classi che lo compongono si
integrano e cooperano tra loro nel migliore dei modi, ovvero raggiungono larmonia.
Si tratta, per, di unarmonia basata su unorganizzazione nettamente gerarchica, su una
catena di comando che parte dai governanti per giungere ai produttori passando per i
militari.

A maggior ragione per questo, il cardine della giustizia dello Stato costituito dal criterio
di attribuzione dei diversi individui alle diverse classi. In ultima analisi, uno Stato giusto,
piuttosto che ingiusto, a seconda di come decide se un individuo deve essere governante,
militare o produttore. Ribadito che il criterio della scelta devono essere le effettive doti
individuali, Platone afferma che spetta ai governanti, sempre in ragione della loro
sapienza, il compito di vagliare le doti e quindi di stabilire la funzione di ogni cittadino. Ma
egli precisa anche che la scelta dei governanti deve avvenire al termine di una fase di
educazione e istruzione pubbliche, basate sulla ginnastica e la musica, di tutti i bambini
della citt.
In altre parole la divisione nelle tre classi, per Platone, deve basarsi sulle attitudini e le
vocazioni appurate dai governanti durante un periodo di studio, senza alcuna
discriminazione n di nascita n di sesso. Insomma, anche i figli dei produttori o le donne
possono entrare nelle prime due classi. Ma per diventare governanti occorre un ulteriore
iter di studi 10 anni di scienze (aritmetica, geometria, astronomia, musica) pi 5 anni di
dialettica seguito da un tirocinio di 15 anni. Solo non prima dei 50 anni, e solo se
arrivato al termine delliter formativo, superando positivamente tutte le prove, un cittadino
pu essere ammesso allesercizio del governo.

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In conclusione, secondo Platone, uno Stato giusto quando tutti i suoi cittadini hanno le
stesse opportunit, grazie a un sistema distruzione pubblica e obbligatoria per tutti, di
comprendere e sviluppare le proprie migliori capacit e, su questa base, di svolgere poi la
funzione sociale per la quale sono portati.
Ma, come sappiamo, uno Stato cos organizzato lIdea di Stato. In questo senso, Platone
la definisce una utopa (in greco: in nessun luogo), ovvero uno Stato realizzabile solo se gli
uomini fossero dei, dunque di fatto irrealizzabile. Ma allora che senso ha averlo delineato?
Lobiettivo della politica non costruire uno Stato giusto reale, effettivo? Platone risponde
che solo sulla base di un modello ideale di Stato giusto possibile costruire uno Stato
giusto reale, in quanto lo Stato giusto reale quello pi simile allo Stato giusto ideale.

In base a questa impostazione, Platone, in due tappe successive, elabora delle versioni
realistiche dello Stato ideale. Egli sostiene, in prima battuta, che lo Stato reale migliore
sarebbe quello basato sul potere discrezionale, cio non vincolato a regole generali, di un
vero politico, cio di un leader carismatico dotato di virt e scienza e capace pertanto di
equilibrare secondo giusta misura le varie componenti sociali, allo stesso modo di un
abile tessitore che intreccia i fili di diverso colore della sua tela fino a comporre un insieme
unitario e armonico. Platone per ammette che lesistenza di un politico di questo genere
un evento storicamente pi unico che raro.
Pertanto, egli arriva a sostenere che preferibile che gli Stati si basino sul primato delle
costituzioni, cio su insiemi di leggi scritte che limitino e orientino i governanti. Su questa
base Platone individua tre possibili forme di governo costituzionali, tanto pi positive
quanto pi i rispettivi governanti rispettano le leggi:
1. la monarchia, cio il governo di un solo individuo;
2. laristocrazia, cio il governo di pochi pi ricchi, ma per questo pi istruiti;
3. la democrazia, cio il governo di tutto il popolo.
Quando invece le leggi vengono trasgredite queste forme di governo degenerano nelle loro
corrispettive varianti negative: la tirannide, loligarchia e lanarchia. Su queste basi,
Platone sostiene che la migliore costituzione realistica quella monarchica e la peggiore
la tirannide. La prima infatti la pi vicina al modello ideale del politico, la seconda la
pi lontana.

In un secondo e ultimo tempo, Platone conclude la sua riflessione politica proponendo un


nuovo modello di Stato, ancora pi realistico e praticabile, ma anche migliore, della

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monarchia. Si tratta di una citt basata su una costituzione mista, cio sullequilibrio di tre
istituzioni fondamentali, ognuna corrispondente alle tre forme di governo costituzionali,
cio monarchia, aristocrazia e democrazia:
1. un re, che garantisca il principio dellunit della citt;
2. un consiglio dei cittadini migliori, cio pi esperti, che garantisca un governo
razionale;
3. unassemblea di tutti i cittadini, che garantisca la libert individuale.
Il baricentro della costituzione mista il consiglio aristocratico, composto cio dagli
uomini pi sapienti, necessariamente una ristretta lite. Pur nello sforzo di aderenza alla
realt storica, Platone conferma cos da un lato il sommo criterio della giusta misura,
ovvero dellUno-Bene-Verit-Bellezza, e dallaltro il primato relativo dei sapienti come
condizione necessaria della, seppur parziale, realizzazione politica della giustizia.

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MAPPA della TAPPA 9


GOVERNANTI: cittadini in cui
prevale lanima razionale e
dunque la virt della sapienza
STATO
IDEALE
UTOPICO

STATO
COSTITUZIONALE

Decidono ma
non possono
possedere niente
n avere famiglia

MILITARI: cittadini in cui


prevale lanima volitiva e
dunque la virt del coraggio

Difendono ma
non possono
possedere niente
n avere famiglia

PRODUTTORI: cittadini in cui


prevale lanima desiderante e
dunque la virt della
temperanza

Producono e
possono avere
propriet e
famiglia

MONARCHIA

antitesi della

GIUSTIZIA
=
Ogni
cittadino
deve
svolgere solo
il suo
compito

TIRANNIDE

ARISTOCRAZIA

OLIGARCHIA

DEMOCRAZIA

ANARCHIA

Un RE, che garantisce


lunit
STATO BASATO
SU
COSTITUZIONE
MISTA

Un CONSIGLIO di
esperti, che garantisce la
competenza governativa

GIUSTIZIA =
EQUILIBRIO DEI
POTERI DEI 3
ORGANI

UnASSEMBLEA eletta
dal popolo che
garantisce la libert

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VIAGGI DI IERI & VIAGGI DI OGGI


PLATONE E LA COSTITUZIONE ITALIANA
Il concetto platonico di costituzione mista ancora oggi, seppur solo parzialmente, alla
base di tutte le Costituzioni liberal-democratiche, in quanto queste si basano sia sulla
compresenza di pi organi istituzionali, ognuno dei quali assolve una distinta funzione,
sia sul principio della tripartizione dei tre poteri fondamentali (esecutivo, legislativo,
giudiziario), secondo il quale ogni potere deve essere autonomo dagli altri due e non
interferire con essi.
Prendendo come esempio la Costituzione italiana, essa prevede:
un Presidente della Repubblica che rappresenta lunit dello Stato;
un Consiglio dei ministri, che svolge la funzione governativa in base alle
competenze dei suoi diversi componenti;
un Parlamento, eletto dal popolo in sua rappresentanza e dotato del potere di
approvare o respingere le leggi, di scegliere, attraverso il voto di fiducia, il
Consiglio dei ministri e anche di eleggere il Presidente della Repubblica.
E facile notare le affinit con la concezione platonica della costituzione mista, a
maggior ragione perch anche la Costituzione italiana sottolinea la necessit di un
equilibrio armonico tra gli organi istituzionali fondamentali e in tal senso attribuisce al
Presidente della Repubblica il compito di essere arbitro super partes e moderatore,
ovvero di garantire lequilibrio istituzionale.
Tuttavia, non vanno messe in secondo piano le differenze: non solo e tanto quella tra
Presidente e Re, dal momento che anche i Re greci erano eletti; quanto quella tra il ruolo
preponderante che, secondo la Costituzione italiana, deve avere il Parlamento, e il ruolo
preponderante che, invece, per Platone deve svolgere il Consiglio aristocratico degli
esperti, corrispettivo del Consiglio dei ministri.
Inoltre, per quanto riguarda il principio della tripartizione dei poteri, canonizzato da
Montesquieu nella prima met del 700 e divenuto presupposto di tutte le costituzioni
liberal-democratiche dall800 in poi, Platone lo abbozza nella sua costituzione mista
attribuendo allassemblea popolare quello legislativo e di controllo, e quello esecutivo al
Re e al Consiglio. Platone, per, non separa il potere giudiziario da quello esecutivo, e per
questo indubbiamente il suo modello di Stato non pu essere considerato, almeno
pienamente, quello di uno Stato liberale di diritto, cio di uno Stato che garantisce il
rispetto dei diritti individuali dei suoi cittadini.
In tal senso, al contrario, la Costituzione italiana prevede altre due organi istituzionali
fondamentali, entrambi di tipo giudiziario: il CSM (Consiglio superiore della
magistratura) che deve garantire lindipendenza dei magistrati (giudici e pubblici
ministeri), e la Corte costituzionale, che deve controllare e giudicare la costituzionalit di
tutte le leggi e di tutti gli atti amministrativi, proprio per impedire che siano lesi i diritti
individuali e collettivi dei cittadini sanciti dalla Costituzione.

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TAPPA 10
PLATONE: LA SCIENZA DEVE BASARSI SULLA MATEMATICA
E [il Demiurgo] diede ad esso [luniverso] una forma che gli era conveniente e
affine. Infatti, al vivente che deve comprendere in s tutti i viventi
conveniente quella forma che comprende in s tutte quante le forme. Perci lo
torn arrotondato, in forma di sfera che si stende dal centro agli estremi in
modo eguale da ogni parte, ossia la pi perfetta di tutte le forme e la pi simile
a s medesima, ritenendo il simile pi bello del dissimile.
E lo fece perfettamente liscio di fuori tutto intorno, per molte ragioni. Infatti,
non aveva alcun bisogno di occhi, perch al di fuori non era rimasto nulla che
fosse visibile; n aveva bisogno di udito, perch non cera neppure nulla che
fosse udibile. []
In effetti, colui che lo costitu pens che il mondo, con lessere sufficiente a se
stesso, sarebbe stato migliore che non se avesse avuto bisogno di altre cose.
Pertanto non credette di dovere inutilmente attaccare mani, con le quali non
cera alcun bisogno di prendere o respingere qualcosa, n piedi, n, in
generale, quanto fornisse un servizio per camminare.
In effetti, gli assegn un movimento conveniente al suo corpo: dei sette
movimenti gli assegn quello che soprattutto conviene allintelligenza e alla
saggezza. Perci, appunto, facendolo ruotare allo stesso modo e, nello stesso
luogo e in s medesimo, fece s che si muovesse con movimento circolare. []
Ora, abbiamo notato che la natura del Vivente eterna, e questa non era
possibile adattarla perfettamente a ci che generato. Pertanto Egli pens di
produrre una immagine mobile delleternit, e, mentre costituisce lordine del
cielo, delleternit che permane nellunit, fa unimmagine eterna che procede
secondo il numero, che appunto quella che noi abbiamo chiamato tempo.
[]
Dunque, in base a tale pensiero e ragionamento intorno alla generazione del
tempo, ossia affinch il tempo si generasse, furono fatti il sole e la luna e
cinque altri astri, che hanno il nome di pianeti, per la distinzione e la
conservazione dei numeri nel tempo.
E formati i corpi di ciascuno di essi, Dio li colloc nelle orbite nelle quali si
muoveva il circuito circolare del Diverso. Essendo sette gli astri, sette sono le
orbite. Pose la Luna nella prima intorno alla terra, il Sole nella seconda al di
sopra della terra. Lucifero [Venere] e quello che detto sacro ad Ermes
[Mercurio] li fece procedere in un ciclo per velocit pari a quello del Sole, ma
avendo in sorte direzione contraria ad esso. Per questo il Sole, il pianeta di

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Ermes e Lucifero raggiungono il Sole e sono raggiunti luno dallaltro nella


stessa maniera. []
La maggior parte dellIdea del divino la realizz di fuoco, affinch fosse
luminosissima e bellissima a vedersi. E facendola simile alluniverso la
produsse ben rotonda e la pose nellintelligenza del cerchio pi potente [cio
la sfera massima] come suo seguace, e la distribu in circolo per tutto il cielo,
perch fosse un vero ornamento ad esso e vario nella sua totalit.
E a ciascuno di questi, poi, assegn due movimenti: luno in s stesso e nel
medesimo modo, in quanto ciascuno pensa sempre in s le medesime cose;
laltro movimento, invece, in avanti, in quanto ciascuno dominato dal moto
circolare dellIdentico e Simile. E rispetto agli altri cinque movimenti, poi,
Egli fece ciascuno immobile e fisso, affinch ciascuno diventasse ottimo in
sommo grado. Da questa causa furono generati quegli astri [le stelle del
firmamento] che non sono erranti [cio che differiscono dai pianeti], viventi
divini ed eterni, i quali allo stesso modo e nello stesso luogo ruotando stanno
sempre immobili. Invece quelli che ruotano ed hanno un siffatto corso
errabondo sono stati generati nel modo che s detto prima.
La Terra, poi, nostra nutrice, stretta intorno allasse che si estende attraverso
lUniverso, Egli la costru custode ed artefice della notte e del giorno, la prima
e la pi antica fra gli dei, quanti sono stati generati dentro al cielo.
Platone, Timeo, 33B-40 C, a cura di G. Reale, Longanesi

Nellambito della sua riflessione filosofica a 360 gradi, Platone non solo si occupa di
ricerca scientifica, confrontandosi con molti grandi scienziati della sua epoca, ma inaugura
quel settore della filosofia che oggi si chiama epistemologia, cio teoria della scienza.
Epistme appunto il termine greco che Platone usa per designare la scienza in
contrapposizione a dxa (opinione).
Mentre la prima conoscenza vera per necessit razionale, e quindi sempre certa, la
seconda solo possibile che sia vera, in particolare se basata su unesperienza metodica, e
dunque rimane sempre incerta, cio solamente probabile. P.e., secondo Platone scienza
che la somma degli angoli interni di tutti i triangoli sia 180, mentre opinione che loro
sia inossidabile.

In questa prospettiva, le conoscenze empiriche fisica, chimica, biologia, ecc. - per Platone
sono solo tchnai, cio arti pratiche, saperi tecnici (oggi diremmo know how), ovvero non
sono vere ma verosimili, cio approssimate al vero. La scienza per eccellenza, la scienza

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suprema, invece la dialettica, ovvero la scienza delle Idee. Essa infatti la conoscenza
intuitiva totale delle Idee, i principi razionali stabili e perfettamente ordinati di tutta la
realt. Ma, in questo senso, la dialettica come sapere universale, enciclopedico e
soprattutto metafisico coincide con la filosofia in senso stretto.

Di conseguenza in Platone le scienze vere e proprie, nel significato che oggi diamo a questo
termine, sono quelle dimostrative laritmetica, la geometrica, lastronomia e la musica
che pur non basandosi sullesperienza, si riferiscono per al mondo fisico e si occupano
di un oggetto particolare.
Il denominatore comune delle quattro scienze platoniche la matematica: aritmetica e
geometria sono matematica pura, cio indipendente dal mondo fisico, astronomia e musica
sono matematica applicata rispettivamente agli astri e ai suoni, cio a qualcosa di fisico.
Ci significa che per Platone la matematica il modello della razionalit scientifica, il
linguaggio stesso della scienza. Il fondamento metafisico di questa concezione
epistemologica lorganizzazione matematica del mondo delle Idee, dovuta alla
derivazione di tutte le Idee da sommi principi dellUno, della Diade e dei Numeri ideali
(Triade, Tetrade, ecc.).

La conseguenza di questa visione duplice:


da un lato per Platone sono scientifiche solo le conoscenze che sono organizzabili
matematicamente, cio che hanno una concatenazione logica interna e una
precisione di tipo matematico;
dallaltro lato, possibile matematizzare, e cio conoscere scientificamente, solo
quelle parti della realt fisica che sono pi simili al mondo ideale ovvero il cielo,
che proprio per questo il luogo degli dei, e i suoni armonici anchessi connessi alla
dimensione celeste.
Per il primo aspetto, Platone d un contributo di enorme importanza al futuro sviluppo
della cultura scientifica occidentale, incentrato appunto sullutilizzo e lo sviluppo della
matematica. Sotto il secondo aspetto, invece, oppone un forte limite allo sviluppo della
ricerca scientifica. Egli infatti diffonde la convinzione che le conoscenze terrestri fisica,
chimica, biologia, ecc. non sarebbero mai potute diventare scientifiche a causa
dellintrinseca irriducibilit alla matematica dei loro rispettivi oggetti. In parole pi
semplici, Platone sostiene che, poich il mondo fisico terrestre troppo diverso dal mondo
delle Idee, in esso domina lirregolarit e dunque non pu essere conosciuto
matematicamente, ovvero non se ne pu fare scienza. Pertanto la fisica, la chimica, la
biologia non potranno mai basarsi sulla matematica e assurgere cos al rango di scienze.

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Tuttavia, pi in generale, Platone favor il successivo sviluppo della scienza moderna


proprio grazie alla sua teoria delle Idee, cio diffondendo la tesi che un concetto mentale
pu essere pi vero di unosservazione sensibile, ossia che lelaborazione teoricomatematica deve prevalere sullesperienza dei sensi.
Infatti, come avrebbe potuto altrimenti Galileo Galilei solo per fare un esempio intuire
e sostenere che una piuma e una roccia cadono con la stessa accelerazione? E sostituire,
per provarlo, lesperienza naturale con lesperimento, cio con losservazione di una realt
artificiale, razionalmente progettata, e quindi molto diversa da quella percepibile solo con i
sensi?
Nellambito delle scienze platoniche, basate sulla matematica, assume un particolare
rilievo lastronomia, che di fatto assurge a modello della scienza platonica. Essa infatti
appare a Platone sia come la pi significativa possibilit di matematizzare la realt, e
quindi di costruire una scienza fisica, sia come il miglior modo di confermare la natura
divina degli astri sulla base della regolarit matematica dei loro moti. In questo senso,
Platone elabora innanzitutto una sua cosmologia rifacendosi sia alla cosmologia della
scuola pitagorica sia a quella della scuola di Mileto.
Dai pitagorici Platone riprende la forma sferica del cosmo, della Terra e dei pianeti, e
insieme la circolarit dei moti celesti. Ma mentre i pitagorici avevano sostenuto che tutti gli
astri ruotano intorno a un fuoco sacro centrale, una specie di super-Sole, Platone fa
proprio il geocentrismo dei filosofi milesii.

Secondo Platone, pertanto, il cosmo composto dalla Terra, immobile al centro, da 7


pianeti (in greco erranti, vagabondi) Luna, Mercurio, Venere, Sole, Marte, Giove,
Saturno e dalle stelle del firmamento che sono infisse nel cielo, cio nella parte interna
della grande sfera che racchiude lintero universo.
Tutti i corpi celesti ruotano intorno alla Terra. Il loro moto finalizzato allesistenza e alla
misurazione del tempo. In pi, il moto del Sole causa lalternanza del giorno e della notte e
quella delle stagioni. Il tempo scandito dai moti astrali, e dunque circolare come loro, a sua
volta, secondo Platone, limitazione da parte del mondo fisico delleternit propria del
mondo ideale.

Sulla base di questa impostazione cosmologica Platone si propone di costruire


unastronomia scientifica. Egli chiede agli scienziati dellAccademia di elaborare una

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descrizione matematica dei moti astrali mantenendo fermo il postulato della circolarit e
delluniformit cio della velocit costante di tutti i moti celesti.
Limpresa risulta facile per quanto riguarda i moti stellari. Infatti, osservando il cielo
stellato notturno possibile verificare che ogni stella presenta un moto circolare e
uniforme da est verso ovest, che dura 24 ore, simile cio a quello giornaliero del Sole10. La
faccenda si complica invece per quanto riguarda i pianeti. Questi, infatti, oltre al moto
giornaliero da est verso ovest, presentano anche un altro moto di durata annuale da ovest
verso est, che non sembra affatto n circolare n uniforme. In particolare ciclicamente essi
(a eccezione del Sole e della Luna) sembrano rallentare, fermarsi, tornare indietro
curvando, fermarsi e, infine, riprendere accelerando la direzione originaria.11 Proprio per
questo i Greci li avevano chiamati vagabondi, perch ciclicamente nel corso dellanno
solare uscivano dalla loro orbita circolare e si muovevano in modo irregolare.

La sfida lanciata da Platone raccolta e vinta dal matematico Eudosso, autore della prima
teoria matematica del funzionamento del cosmo, ovvero il padre dellastronomia come
scienza vera e propria. Ogni pianeta, secondo Eudosso, incastonato su un punto della
circonferenza maggiore di una grande sfera trasparente che ruota su se stessa e il cui asse
infisso su una seconda sfera pi grande, anchessa ruotante su se stessa e con asse infisso
su una terza sfera ruotante pi grande con asse infisso su unancora pi grande quarta ed
ultima sfera ruotante. In questo modo lorbita di ogni pianeta, secondo Eudosso, la
risultante della combinazione dei moti uniformi di quattro sfere concentriche e tra loro
collegate, aventi per ognuna uninclinazione dellasse e un periodo di rotazione differenti.
In questo modo Eudosso, utilizzando unicamente moti circolari uniformi, riesce a
descrivere matematicamente i moti orbitali irregolari di Sole, Luna e pianeti, utilizzando in
tutto 27 sfere (3 per il Sole e 3 per la Luna, 4 per ogni altro pianeta, pi la sfera massima
delle stelle fisse). In realt le orbite descritte dal modello di Eudosso non coincidono
perfettamente con quelle osservabili, soprattutto nei casi di Venere e Marte, ma la buona
approssimazione complessiva consentiva di considerare la teoria pi che soddisfacente.
Dobbiamo, inoltre, considerare che lepistemologia contemporanea ha raggiunto la
consapevolezza che nessuna teoria scientifica mai in grado di coincidere perfettamente
con la realt. Una teoria scientifica sempre approssimata, il suo valore dipende dal
grado di approssimazione.

10

Oggi sappiamo che un moto apparente dovuto alla rotazione della terra da ovest verso est.
Oggi sappiamo che ci dovuto al fatto che percorrendo le loro orbite ciclicamente i pianeti sorpassano la Terra o
sono sorpassati da essa.
11

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In questo senso, la teoria astronomica di Eudosso, bench molto meno approssimata alla
realt dellattuale teoria della relativit di Einstein, risulta pienamente scientifica in quanto
la sua struttura di fondo la stessa della teoria della relativit di Einstein: un insieme di
figure geometriche e relazioni aritmetiche applicabili alla descrizione dei movimenti
osservabili di corpi in modo tale da isolarne e coglierne lordine, che altrimenti rimane
nascosto dallapparente irregolarit della sola osservazione sensibile.
In altre parole, la teoria astronomica di Eudosso scienza in quanto cerca come qualsiasi
teoria scientifica attuale di ricondurre la realt osservabile a regolarit di tipo teoricomatematico.

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MAPPA della TAPPA 10

Tutti gli astri sono


sferici

Tutti gli astri hanno


moti circolari uniformi

La Terra ferma al
centro del cosmo

Il cosmo racchiuso da una grande


sfera che ruota intorno al proprio asse
da est ad ovest a velocit costante

Le stelle fisse sono attaccate alla


sfera e questo spiega il loro moto
giornaliero da est a ovest, circolare e
uniforme

I 7 pianeti (Luna, Mercurio, Venere,


Sole, Marte, Giove, Saturno) sono
attaccati sullequatore di sfere
trasparenti concentriche che hanno
direzioni, velocit e assi differenti

I 7 pianeti hanno 2 moti:


1) quello giornaliero circolare
uniforme come le stelle fisse;
2) quello annuale non circolare
n uniforme che per la
risultante dei moti di pi sfere
che girano sul proprio asse a
velocit costante.

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LO SCRIGNO
ROGER PENROSE: LA MATEMATICA GUIDA LA RICERCA SCIENTIFICA
Il motivo di questo convincimento che quanto pi sondiamo i fondamenti
del comportamento fisico tanto pi scopriamo che esso accuratamente
controllato dalla matematica. Inoltre, questa matematica non solo di diretta
natura computazionale (cio fatta di calcoli, ndr), ma ha un carattere
profondamente sofisticato, in cui possibile scorgere una sottigliezza e una
bellezza non visibili nella matematica che importante per la fisica a un
livello meno fondamentale. Quindi, il progresso verso una pi profonda
comprensione fisica, se non pu essere guidato dettagliatamente
dallesperimento, deve basarsi sempre pi sullabilit di apprezzare la
rilevanza fisica e la profondit della matematica, e di fiutare le idee
appropriate per mezzo di una valutazione di estetica matematica
profondamente sensibile.
R. Penrose, La strada che porta alla realt, Rizzoli, 2005, p. 1026

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VI VIAGGIO
LA RAZIONALITA ESSENZIALE

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ROTTA SU
LIDEALISMO IMMANENTE
La filosofia aristotelica si pu considerare una riforma in senso immanentistico
dellidealismo di Platone. Aristotele, infatti, da un lato, tiene ferma la svolta metafisica
del suo maestro cio la tesi secondo cui esiste una realt puramente razionale
fondamento di quella fisica , dallaltro lato, avvicina e integra, almeno parzialmente,
realt razionale e realt fisica.
In questo senso, il punto di partenza di Aristotele senzaltro la critica alla trascendenza
assoluta delle Idee platoniche. Queste, secondo Aristotele, non sono in grado di fornire
una spiegazione razionalmente soddisfacente del mondo fisico: in primo luogo, perch,
essendo del tutto separate da esso, non possono esserne il principio generativo e, in
secondo luogo, perch, essendo fisse e immutabili, non sono in grado di rendere conto del
suo mutamento, cio della caratteristica fondamentale del mondo fisico. Non a caso,
Platone, per spiegare la generazione del mondo fisico, era dovuto ricorrere a un mito,
cio a un racconto verosimile, e, di conseguenza, aveva dovuto negare la possibilit di
costruire una scienza del mondo fisico. Aristotele, al contrario, pensa che si possa e si
debba fare scienza anche del mondo fisico e cio spiegare razionalmente la sua esistenza
e il suo mutamento.
Per raggiungere questo obiettivo, Aristotele immanentizza le Idee, trasformandole in
essenze, cio in principi di organizzazione razionale interni a tutte le cose fisiche e
dunque tuttuno con esse. Daltra parte, come si vedr, egli non rinuncia del tutto alla
razionalit metafisica, teorizzando lesistenza di un intelletto divino trascendente, che,
per, in quanto meta finale irraggiungibile di tutte le cose fisiche, non solo interagisce
con esse ma costituisce la spiegazione ultima della loro esistenza e del loro divenire.
In questo modo, grazie al suo idealismo immanentistico, Aristotele valorizza e promuove
a differenza di Platone la ricerca scientifica anche a livello della fisica, della chimica,
della geologia, della meteorologia e della biologia. Egli per svaluta la matematica non
considerandola pi, come il suo maestro, un requisito indispensabile di ogni vera scienza.
Pur con questo limite, Aristotele riusc a dare alla sua filosofia una ampiezza e una
profondit enciclopediche spaziando dalla metafisica alle scienze della natura,
dalletica alla politica, dalla psicologia alla logica, dalla retorica allestetica
imponendosi nella storia del pensiero filosofico e scientifico come uno dei riferimenti
fondamentali.

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VITA DI UN CAPITANO
ARISTOTELE
Aristotele nacque nel 384 a.C. a Stagira, piccola colonia ionica al confine con il regno di
Macedonia, a circa 55 km dallodierna citt greca di Salonicco. Suo padre Nicomaco era un
medico di talento, tanto da diventare il medico di corte di Aminta re di Macedonia, padre
di Filippo II. Da ragazzo, pertanto, Aristotele visse a Pella, capitale del regno di Macedonia,
e fu stimolato dal padre ad interessarsi agli studi medico-biologici.
Rimasto orfano ancora adolescente, Aristotele fu affidato a un parente che, a diciotto anni,
lo fece entrare nellAccademia, diretta in quel momento da Eudosso, poich Platone era
andato per la seconda volta a Siracusa. La scuola platonica era ormai diventata il pi
importante centro culturale della Grecia dove si incontravano e dibattevano tra loro tutti i
pi importanti filosofi, scienziati e intellettuali greci, e non solo quelli di orientamento
platonico.
Aristotele vi rimase venti anni, fino alla morte di Platone, formandosi in base a contributi
enciclopedici e diversificati, emergendo ben presto come il pi brillante tra i giovani allievi
(tanto da meritarsi lappellativo di mente) e imponendosi poi come il pi intelligente e
determinato critico della teoria platonica (tanto che le sue critiche riecheggiano in uno dei
pi importanti dialoghi di Platone, il Parmenide, dedicato appunto alla verifica e alla
revisione della teoria delle idee).
Lasciata lAccademia, Aristotele soggiorn e insegn prima a Asso (vicino a Troia) poi a
Mitilene (isola di Lesbo), dove si dedic anche a ricerche scientifiche, soprattutto di tipo
biologico. In questi primi anni di insegnamento autonomo, Aristotele spos Pizia, nipote di
Ermia, tiranno di Atarneo che apprezzava la filosofia platonica, ed ebbe da lei una figlia.
Strinse inoltre amicizia con Teofrasto che divenne il suo pi stretto discepolo. Dal 343 al
338, Aristotele visse a Pella, alla corte di Filippo II il Macedone, in qualit di precettore del
figlio Alessandro. Rimasto vedovo di Pizia, ebbe un figlio, Nicomaco, dalla pi giovane
Erpillide, forse sua seconda sposa, sicuramente sua convivente fino alla morte.
Nel 335 torn ad Atene dove fond, grazie al sostegno di Alessandro Magno, una sua
scuola, il Liceo (il nome deriva dal tempio di Apollo Licio, che si trovava vicino al ginnasio
sede della scuola; licio significava dei lupi, nel senso di uccisore dei lupi), che di l a
poco divenne pi importante dellAccademia fino a oscurarla. Poich Aristotele usava
insegnare passeggiando con i suoi discepoli nei prati circostanti alla scuola, questa prese
anche il nome di Peripato (passeggiata) e i discepoli di Aristotele quello di peripatetici.
Nel 323, in seguito alla morte di Alessandro Magno, Aristotele sub la reazione politica del
partito antimacedone: accusato pretestuosamente di empiet si tramanda che abbia
dichiarato: Non voglio che gli ateniesi commettano un secondo crimine contro la
filosofia. Veritiero o meno che sia questo aneddoto, certo che, a differenza di Socrate,
Aristotele si sottrasse al processo fuggendo a Calcide (in Eubea) e lasciando la direzione del
Liceo allaffezionato discepolo Teofrasto.

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Mor nel 322, un anno dopo il suo pupillo Alessandro.


Le opere di Aristotele sono suddivisibili innanzitutto in due tipi:
1) opere destinate alla pubblicazione: ce ne rimangono solo alcuni titoli (Grillo o Sulla
retorica, Protrettico, Sulla Filosofia, Sulle idee, Intorno al Bene, Eudemo o Sullanima)
e alcuni frammenti;
2) opere destinate allinsegnamento allinterno del Liceo, ovvero appunti di lezioni orali: ci
sono pervenute quasi tutte e gran parte di esse furono scritte quando ancora Aristotele
era nellAccademia, ovvero contemporaneamente ai dialoghi della maturit e della
vecchiaia di Platone.
Queste ultime sono:

Metafisica, in 14 libri, esposizione della filosofia prima, chiamata metafisica (in senso
letterale dopo la fisica, perch libro successivo a quello dedicato alla Fisica; in senso
metaforico, al di l del mondo fisico, perch tratta della realt puramente razionale) nel
I secolo a.C. da Andronico di Rodi, primo curatore della sua pubblicazione;
Categorie, De interpretatione, Analitici primi, Analitici secondi, Topici, Confutazioni
sofistiche, tutti trattati di argomento logico, che dalla tarda antichit furono pubblicati
insieme con il titolo di Organon (strumento);
La fisica, Il cielo, La generazione e la corruzione, La meteorologia, contenenti la teoria
fisica;
Sullanima, trattato di psicologia, contenente la teoria dellanima e della conoscenza;
Etica nicomachea, Etica eudemia, Grande etica;
Politica;
Poetica, Retorica;
Storia degli animali, Le parti degli animali, Il moto degli animali, La generazione degli
animali.

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TAPPA 1
ARISTOTELE: LA REALTA E ESSENZA E ACCIDENTE
Lessente si dice in molteplici significati, ma sempre in riferimento a una
unit e a una realt determinata. Lessente, quindi, non si dice per mera
omonimia12, ma nello stesso modo in cui diciamo sano tutto ci che si
riferisce alla salute: o in quanto la conserva, o in quanto la produce, o in
quanto ne sintomo, o in quanto in grado di riceverla; o anche nel modo in
cui diciamo medico tutto ci che si riferisce alla medicina: o in quanto
possiede la medicina o in quanto a essa per natura ben disposto, o in quanto
opera della medicina; e potremmo addurre ancora altri esempi di cose che si
dicono nello stesso modo di queste. Cos, dunque, anche lessente si dice in
molti sensi, ma tutti in riferimento a un unico principio.
Aristotele, Metafisica, IV, 2

Il problema da cui prende avvio la filosofia di Aristotele quello, di origine platonica, di


come connettere lessere puramente razionale, inteso come fondamento unitario e
immutabile di tutto il reale, con il divenire, cio con il mondo fisico in quanto molteplice e
in perenne mutamento.
Per affrontare questo problema, Aristotele innanzitutto articola la ricerca filosofica in due
branche:
la filosofia prima, che in seguito fu chiamata metafisica, ovvero teoria della realt
sovrannaturale: essa indagine conoscitiva dei principi fondamentali generali della
realt nella sua totalit;
le filosofie seconde, che corrispondono a ci che noi oggi chiamiamo scienze: esse
sono le indagini conoscitive dei principi fondamentali particolari di singoli aspetti della
realt.

La filosofia prima indaga l essente (o essere), cio ogni cosa esistente solo in quanto
dotata della propriet dellesistenza, senza considerare nessunaltra propriet specifica. In
questo senso, la domanda fondamentale della filosofia prima : che cos lessente in
quanto essente?.
12

Essente ( o essere) non solo una medesima parola che si attribuisce a cose del tutto diverse, come nel caso di
pi persone che si chiamano Mario Rossi.

246

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Secondo Aristotele, l essente, cio tutto ci che esiste, molteplice e diversificato.


Eppure, al tempo stesso, tutte le innumerevoli e differentissime cose esistenti hanno un
denominatore comune, condividono cio una stessa propriet fondamentale. Aristotele
chiama tale propriet essenza (ousa, tradotto impropriamente in latino substantia e
quindi altrettanto impropriamente in italiano sostanza). Dunque, lessente in quanto
essente per Aristotele lessenza.
Ma, a sua volta, cos lessenza di ogni cosa? In cosa consiste? Aristotele risponde: lessere
ununione di forma e di materia. In altre parole, ogni essente diverso da ogni altro, ma
tutti gli essenti possiedono una stessa costituzione o struttura di base in quanto sono tutti
dei composti di un principio formale e di un elemento materiale. Per esempio, una goccia
dacqua diversissima da un elefante, ma entrambi questi essenti, in quanto essenti, sono
composti di un certo tipo di materia e di un certo tipo di forma.

In quanto composto di due elementi, lessenza, per Aristotele, si definisce a tre livelli:
1. come materia (hyle, hypokemenon): il supporto o il riempimento dellessenza,
ovvero lelemento di per s passivo, amorfo, meramente virtuale che, lasciandosi
modellare dalla forma, le conferisce una concretezza spazio-temporale;
2. come forma (edos, morph): la modalit di determinazione dellessenza, ovvero il
principio attivo, organizzativo, puramente intellegibile che, modellando la materia in
un certo modo, le conferisce un ordine razionale;
3. come intero (synolon, letteralmente tutto insieme): lessenza nella sua totalit e
completezza, cio lessenza in quanto compenetrazione e fusione di forma e materia,
ovvero come essente reale, cio come una singola cosa realmente esistente.
Facciamo degli esempi attuali: riguardo a un atomo, la materia per Aristotele sarebbe la
sua massa/energia; la forma il numero di protoni, neutroni ed elettroni, la loro
disposizione e le loro propriet e relazioni matematiche; lintero il loro insieme, cio
appunto un singolo atomo di un certo elemento chimico, p.e. il ferro. Oppure, in una
cellula del corpo umano la materia sarebbe il protoplasma, la forma il suo DNA, lintero la
cellula stessa come protoplasma organizzato dal DNA.
I 3 livelli dellessenza bench tutti indispensabili, non hanno la medesima importanza
ontologica, cio non danno lo stesso contributo alla sua esistenza. Secondo Aristotele tra di
essi vige la seguente gerarchia ontologica:
la materia essenza al grado minimo, dal momento che la sua componente passiva e
irrazionale, cio meno qualificata e qualificante;

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lintero essenza a un grado intermedio, perch, pur rappresentando la totalit


concretamente individuale dellessenza, non ne il principio determinante;
la forma essenza al massimo grado in quanto, grazie alla sua razionalit, il principio
di determinazione, cio di organizzazione/ordinamento, senza il quale non ci sarebbero
essenti.

Ma, stabilito che lessenza per eccellenza forma, anche la risposta alla domanda che
cos lessenza ripropone una nuova domanda: in cosa consiste la forma e quali sono i
diversi tipi di forme?
Aristotele classifica le forme in tre gruppi, da quelle pi generali a quelle pi particolari:
1. le 10 categorie: qualit (p.e. liscio), quantit (pesa 1 chilo), relazione (labbronzatura
un effetto della luce solare), lagire (io parlo), il subire (io sono urtato), il luogo (in
casa), il tempo (alle 16), lavere (ho due mani), lo stare (sono in piedi) e infine la stessa
essenza, che la categoria principale, in quanto tutte le altre si riferiscono a essa (p.e.:
il tavolo liscio, la borsa pesa 1 chilo, ecc.);
2. i generi: p.e. animale, vegetale, minerale, vivente, mortale, etico, politico, colore, ecc.;
3. le specie: p.e. rosa, uomo, razionale, inossidabile, quadrupede, sincerit, monarchia,
verde, ecc.
In questo senso, per fare ancora un esempio, Socrate :
lessenza come intero, in quanto singolo individuo diverso da Platone o Democrito, che
necessariamente caratterizzato dalle 10 categorie (esiste, alto 1,70 m, pesa 70 kg, ha
la barba, cammina, marito di Santippe, condannato a morte, ecc.);
lessenza come materia in quanto muscoli, sangue, ossa, ecc.;
lessenza come forma, in quanto uomo, cio animale mammifero bipede a
deambulazione eretta, ecc., dotato di ragione.
Da quanto detto, e in particolare dallultimo esempio, risulta con maggiore evidenza il
primato dellessenza formale. Infatti, in primo luogo, la conformazione della materia
delluomo, cio il suo corpo, dipende dalla sua forma di animale mammifero..., cos come
il fatto che la materia dellalbero sia legno e non granito dipende dalla sua specifica forma.
In secondo luogo, la forma animale dotato di ragione la componente fondamentale
delluomo, e quindi anche di Socrate, perch ne costituisce lelemento identitario decisivo,
ci che lo distingue da tutti gli altri tipi di essenti. Lo stesso ragionamento vale, p.e., per
loro in quanto metallo inossidabile di colore giallo, e per ogni altro essente.

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Risulta ancora pi chiaro che cos lessenza e perch la forma la sua parte pi rilevante,
considerando ci che costituisce lopposto dellessenza. Aristotele lo chiama accidente,
volendo intendere una caratteristica casuale e accessoria di qualcosa. P.e., essenziale che
Socrate sia intelligente, accidentale che abbia o non abbia i capelli o la barba; essenziale
che abbia unaltezza, accidentale che sia alto 1.65 piuttosto che 1.70; essenziale che
abbia i polmoni, accidentale che li usi per parlare o per suonare la tromba.
Le forme essenziali di qualcosa sono necessarie e invarianti nel senso che, p.e., senza
lintelligenza o la circolazione sanguigna doppia un uomo non sarebbe un uomo. Gli
accidenti di qualcosa, invece, sono possibili e variabili nel senso che, p.e., senza la barba o
con un naso piccolo anzich grande un uomo sarebbe comunque un uomo. Dunque,
lessente (o essere), cio la realt, per Aristotele si suddivide in essenze e accidenti.

Bench, in quanto casuali e accessori, possiedano un grado inferiore di essere, gli accidenti
nella filosofia aristotelica svolgono una funzione importante perch sono ci che d alle
forme e alle materie una configurazione individuale, ovvero che le rende degli interi.
Infatti, la differenza fondamentale tra lessenza come intero e lessenza come forma o come
materia che la prima individuale, cio un essente unico e irripetibile (p.e., Socrate), la
seconda universale, cio una propriet comune a tutti gli individui di uno stesso tipo
(p.e. bipede). In questo senso Aristotele distingue:
le essenze prime gli interi, cio le essenze unite alla materia e individualmente
configurate grazie allaggiunta degli accidenti;
le essenze seconde le forme, cio le essenze pure e universali.
Le essenze seconde, tuttavia, per Aristotele non esistono come tali, cio non sono realt
universali trascendenti rispetto alla materia e ai singoli essenti, cio alle essenze prime.
Le forme, insomma, esistono solo nellunione con la materia e dunque allinterno di un
intero (o essenza prima) che, come tale, sempre configurato individualmente tramite
laggiunta di una molteplicit di accidenti. Daltra parte, sostiene Aristotele, se non sono
universali reali, le forme sono universali mentali, cio concetti, in quanto, come si vedr
meglio pi avanti, lintelletto umano ha la capacit di astrarle dagli essenti e di isolarle
mentalmente nella loro razionalit pura e universale.

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TAPPA 2
ARISTOTELE: LA REALTA E POTENZIALITA E ATTUAZIONE
E attuazione lesistenza reale delloggetto in un senso diverso da come
diciamo che loggetto potenzialit. Noi diciamo che una cosa potenziale nel
senso che, per esempio, Ermete [inteso come la statua del dio Ermete]
presente potenzialmente nel legno o la semiretta presente potenzialmente
nella retta intera, perch pu essere staccata da essa.
Aristotele, Metafisica, IX, 6, 1048ab

Secondo Aristotele, il mutamento una propriet fondamentale e universale della realt.


In altre parole, tutte gli essenti non sono mai identici a se stessi, ma cambiano in ogni
istante e incessantemente. Compito decisivo della filosofia prima, ovvero della metafisica,
deve essere comprendere e spiegare il continuo cambiamento della realt. Aristotele
comincia ad affrontare questo compito distinguendo quattro modalit di mutamento:
1. il mutamento essenziale, cio quello che consiste nel cambiamento dellintera
essenza individuale di qualcosa: la nascita e la morte, la generazione e la
distruzione;
2. il mutamento qualitativo, cio quello che consiste nel cambiamento delle propriet
qualitative di qualcosa: il trascolorare delle foglie in autunno, linnamorarsi di
qualcuno, la trasformazione del bruco in farfalla, ecc.
3. il mutamento quantitativo, cio quello che consiste nel cambiamento delle propriet
quantitative di qualcosa: diminuzione del peso, aumento dellaltezza, crescita della
conoscenza, potenziamento della forza muscolare, ecc.
4. il mutamento spaziale, cio quello che consiste nel cambiamento del luogo in cui
qualcosa si trova: tutti i tipi di movimento di ogni cosa.

Dopo aver cos analizzato e approfondito i diversi aspetti del mutamento, Aristotele
affronta il problema decisivo: perch tutto muta? Che cosa fa mutare tutti gli essenti? La
soluzione di Aristotele si basa sulla sua teoria dellessenza, e segnatamente dellessenza
come forma. Ogni essente possiede una sua forma essenziale, cio un principio
organizzativo che lo contraddistingue, ovvero che ne costituisce lidentit pi propria. P.e.:
animale razionale per un individuo umano, metallo inossidabile per loro, insetto
volante con ali colorate per la farfalla, ecc. Ma la forma essenziale di ogni cosa non una
propriet statica, ovvero non una caratteristica che qualcosa possiede nello stesso modo

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fin dalla nascita e che conserva invariata fino alla morte. Al contrario la forma essenziale
una propriet dinamica, ovvero una caratteristica che ogni essente acquisisce
gradualmente nel corso di un lungo processo. In questo senso, afferma Aristotele, i principi
fondamentali del mutamento sono i corrispettivi dinamici dei tre principi dellessenza, i
quali, reciprocamente, sono i corrispettivi statici dei tre principi del movimento.
In altre parole per Aristotele lessenza :
dal punto di vista statico
Materia
Intero
Forma

dal punto di vista dinamico


Potenzialit
Attuazione
Compimento

Ci significa che lessenza di ogni cosa:


in un determinato istante, cio astraendo dal suo mutamento nel tempo, consiste nella
sua materia, nella sua forma e nel suo intero di forma e materia;
intesa come processo che si svolge nel tempo, consiste nella sua potenzialit, nella sua
attuazione e nel suo compimento finale.

In cosa consistono precisamente i 3 principi dellessenza da un punto di vista dinamico? La


risposta aristotelica la seguente:
1. la potenzialit, cio la materia in senso dinamico, indica innanzitutto lo stato di
privazione di una forma, cio di un tipo/grado di ordine, ma anche, in secondo luogo,
la possibilit/capacit di conseguire tale forma, cio unorganizzazione razionale di
tipo/grado pi elevato;
2. lattuazione, cio lintero (materia + forma) in senso dinamico, lo svolgimento del
processo di formazione - cio di sempre maggiore e migliore organizzazione - di un
singolo essente, che consiste nellacquisizione in successione di una serie di forme di
grado progressivamente superiore che superano le carenze della potenzialit;
3. il compimento, cio la forma in senso dinamico, il raggiungimento da parte di un
singolo essente della sua forma massima, cio del suo grado di organizzazione pi
elevato, che coincide con la piena acquisizione di quella forma peculiare che ne
costituisce lidentit e che coincide al contempo con la sua perfezione relativa.

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Prendiamo come esempio un uomo. Lovulo materno e lo spermatozoo paterno sono la


materia/potenzialit dello zigote (cio della prima cellula nata dalla fusione dei cromosomi
materni e paterni) che ne la forma/attuazione; lo zigote, a sua volta, la
materia/potenzialit dellembrione che ne forma/attuazione; e cos via allo stesso modo
per le coppie successive di embrione/neonato, neonato/bambino, bambino/adolescente,
ecc. Questo esempio permette di evidenziare che ogni stadio del processo al tempo stesso
attuazione/forma del precedente e potenzialit/materia del successivo.
Naturalmente ogni stadio successivo, inteso come forma/attuazione, implica lacquisizione
di una molteplicit di propriet formali (p.e. respirare, succhiare, camminare, parlare,
leggere, ecc.) e di propriet accidentali (p.e. peso 3 chili, poi 5, poi 10, fino a 70) che sono
proprio ci che costituiscono il fenomeno del mutamento. Poich la forma essenziale
delluomo per Aristotele lintelligenza, il compimento di un uomo ladulto nel momento
in cui raggiunge il suo pi alto livello di conoscenza. Il massimo sviluppo dellintelletto la
perfezione relativa delluomo, ovvero la capacit per cui la specie umana migliore di
tutte le altre specie di animali.

Secondo Aristotele, per, il mutamento presuppone un fondamento invariabile. Infatti il


mutamento sempre relativo a una permanenza, cio pu esistere e manifestarsi solo per
differenza rispetto a qualcosa che non muta. Per Aristotele, il fondamento immutabile del
mutamento la materia in quanto supporto o sostrato (hypokemenon, substantia) delle
forme. Inoltre, afferma Aristotele, ogni processo di mutamento programmato in modo
necessario dalla forma ultima o compimento, che, come tale, fisso e permanente. In altre
parole, il compimento precede e preordina le forme che via via vengono acquisite per
arrivare ad esso. P.e., il mutamento dellindividuo umano dallo zigote alladulto intelligente
fin dallinizio organizzato e programmato nella successione, nei modi e nei tempi dal suo
compimento che dunque ne costituisce un fondamento invariante.
Su queste basi, Aristotele pu confutare la tesi di Parmenide secondo la quale il divenire
non razionalmente accettabile perch implica lesistenza del nulla. Secondo Aristotele,
infatti, lessenza, sia come materia sia come compimento, in quanto fondamento
immutabile rende lessere permanente. Dunque il divenire implica s un non-essere
relativo la potenzialit in quanto non-essere completo, cio in quanto essere carente
ma mai un non-essere assoluto, cio assenza completa di essere, in quanto sempre un
non-ancora-essere completo, ossia qualcosa che sta diventando essere completo e deve
necessariamente diventare essere completo.

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Aristotele sintetizza la sua teoria del mutamento sostenendo che tutti i mutamenti si
spiegano in base a 4 tipi di cause:
1) la causa formale;
2) la causa materiale;
3) la causa efficiente;
4) la causa finale.
Le prime due si riferiscono alla forma e alla materia, ovvero allessenza dal punto di vista
statico, e come tali sono le condizioni di sussistenza di ogni cosa. La terza e la quarta causa
sono i corrispettivi della potenzialit e dellattuazione/compimento. Infatti per Aristotele:
la causa efficiente ci che noi intendiamo per causa, ovvero lazione fisica che
provoca un mutamento il presupposto materiale o condizione di base che rende
possibile un cambiamento, p.e. il concepimento per un neonato;
la causa finale ci che costituisce lo scopo di un mutamento il fattore causale
determinante perch fa s che un cambiamento potenziale si realizzi, cio diventi reale,
p.e. il conseguimento dellintelligenza per il neonato.
In conclusione, secondo Aristotele, la causa fondamentale di ogni mutamento il fine per
cui esso avviene e, insieme, ogni mutamento avviene sempre per conseguire un fine. E
poich i fini coincidono con le attuazioni e i compimenti ci implica che
lattuazione/compimento preceda e sia pi importante della potenzialit. Utilizzando un
comune modo di dire, per Aristotele la gallina viene prima ed pi importante delluovo
non solo e non tanto perch la gallina che fa luovo ma soprattutto perch luovo viene
prodotto ed esiste per diventare gallina, cio di raggiungere la sua perfezione relativa.

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TAPPA 3
ARISTOTELE: DIO E LA CAUSA FINALE DEL COSMO
Ma, sebbene esista una causa motrice e produttrice, se essa non in
attuazione non ci sar movimento, poich ci che ha la potenzialit di passare
allattuazione pu anche non passare allattuazione. [] Ma c di pi: pur
ammettendo che la causa sia in attuazione, non ci sar ugualmente attuazione
se questa causa sia per essenza potenzialit: infatti, in questo caso, sarebbe
impossibile leternit del mutamento, perch ci che potenziale pu anche
non essere. Ecco perch indispensabile che ci sia un principio la cui stessa
essenza sia lattuazione.
Aristotele, Metafisica, XII

Come si visto, secondo Aristotele, il mutamento un carattere fondamentale della realt.


Infatti, lessenza il principio universale e determinante di tutte le cose consiste in un
processo di autoperfezionamento di tutti gli essenti che si svolge nel tempo come continuo
passaggio dalla potenzialit allattuazione fino al compimento finale. Ci spiega, per
Aristotele, perch tutto muta in ogni istante, continuamente. Lessenzialit e la perennit
del mutamento, a loro volta, permettono di comprendere perch c il tempo e che cos il
tempo.
Esso, afferma Aristotele, la misura del mutamento secondo il prima e il poi. In altre
parole il tempo , per cos dire, il metro del mutamento, cio lo strumento che ci
permette di misurare, e quindi pensare, il mutamento. In questo senso il prima e il poi,
cio la successione cronologica, sono i criteri fondamentali del tempo come metro del
mutamento. Per esempio posso pensare la crescita di un bambino solo sapendo che un
anno fa (prima) era alto 1.20 e ora (poi) alto 1.26. Se conoscessi solo le due misure della
sua altezza ma non il loro ordine di successione nel tempo, ovvero la loro relazione di
continuit cronologica, non potrei concepire il loro mutamento, ma solo la loro differenza.

Aristotele, dunque, connette strettamente mutamento e tempo. Su questa base egli si


chiede: il mutamento, e quindi anche il tempo, finito o infinito, cio eterno? La sua
risposta che il mutamento e il tempo sono eterni. Perch?
Perch, argomenta Aristotele, se il mutamento/tempo avesse un inizio non potremmo fare
a meno di pensare al prima del suo inizio; se inoltre avesse una fine non potremmo fare a
meno di pensare al dopo la sua fine. Ma ci comporta che ci debba essere un

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mutamento/tempo prima del suo inizio e dopo la sua fine, il che assurdo. Dunque il
mutamento e il tempo sono eterni.

Ci stabilito, Aristotele si chiede se c una causa prima del mutamento eterno e, se ci


fosse, come e cosa potrebbe essere. Per rispondere Aristotele prende in considerazione un
tipo particolare di mutamento, quello spaziale, ovvero il moto. Egli sostiene che il moto di
tutti gli essenti ha sempre una causa esterna, cio un motore. In questo senso tutti i moti
possono essere pensati come una lunghissima catena di motori e mossi, ossia di cause ed
effetti, in cui ogni causa leffetto di una causa precedente e ogni effetto la causa di un
effetto successivo: p.e., il sole motore/causa dellevaporazione, levaporazione delle
nuvole, le nuvole delle piogge, le piogge delle frane, le frane della fuga degli abitanti di un
villaggio, ecc.
Aristotele si chiede: percorrendo a ritroso, cio di effetto in causa, la catena causale dei
moti, possiamo o non possiamo arrivare a una causa iniziale di tutti i moti? La questione
pu essere esemplificata ipotizzando un tentativo di ricostruzione dellalbero genealogico
di tutta lumanit, ovvero: risalendo di figlio in padre/madre arriveremmo a una coppia
iniziale da cui derivata tutta lumanit oppure no? La risposta di Aristotele : s, ci deve
essere necessariamente una causa iniziale ovvero un motore cosmico (nellesempio, una
coppia padre/madre di tutta lumanit). Perch? Perch, risponde Aristotele, in caso
contrario bisognerebbe ipotizzare una risalita allinfinito di effetto in causa senza mai
fermarsi. Ma per Aristotele ammettere un tale regressus ad infinitum equivale a sostenere
che non c alcuna causa iniziale e quindi che nessun moto fisico possibile, il che
assurdo perch smentito dallesperienza.

In questo modo Aristotele ritiene di aver dimostrato che deve esserci una causa prima,
ovvero un primo motore, di tutti i moti cosmici. Il problema, a questo punto,
comprendere quali caratteristiche deve avere questo primo motore per essere tale.
Aristotele argomenta che esso deve essere:
eterno: poich il mutamento, e quindi anche il movimento, eterno, la sua causa prima
deve essere eterna, ovvero deve svolgere eternamente la sua azione causante;
immobile: perch se si muovesse dovrebbe essere mosso da qualcosaltro, ovvero
essere leffetto di unaltra causa, ma allora sarebbe un motore secondo, il che
contraddittorio;
attuazione/compimento totali: dal momento che se fosse anche potenzialit a) si
dovrebbe muovere, ma ci sarebbe in contraddizione con la sua necessaria immobilit;
b) non eserciterebbe da sempre la sua azione motrice ma ci sarebbe in contraddizione
con leternit dei moti;

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pura forma, cio unessenza immateriale: poich dire che non possiede potenzialit
equivale a dire che non possiede materia;
perfezione assoluta: perch solo qualcosa che assolutamente perfetto non ha bisogno
di passare dalla potenzialit allattuazione/compimento, cio non ha bisogno di
migliorarsi.
Tirando le somme di questa serie di argomentazioni, Aristotele arriva a concludere che il
primo motore Dio, in quanto perfezione, eternit, immaterialit sono le caratteristiche
proprie della divinit. Dio dunque, per Aristotele, esiste necessariamente in quanto causa
prima o motore primo del mutamento cosmico.

Ma, si chiede ancora Aristotele, in che modo Dio pu essere motore del mutamento
cosmico se, come si visto, immobile e immutabile? Se fosse causa efficiente dovrebbe
appunto fare qualcosa, cio mutare e muoversi, il che non possibile. Dunque non pu
essere causa efficiente. Per pu essere causa finale, perch, in quanto perfezione assoluta,
Dio costituisce la condizione che tutti gli essenti vorrebbero raggiungere.
Dio, afferma Aristotele, attira a s tutte le cose come lamato attrae lamante. In altre
parole, tutte le cose desiderano essere come Dio e dunque tendono a lui. Questa tensione
spiega il loro continuo ed eterno mutamento, spiega cio perch c un mondo fisico e
perch tutte le cose fisiche passino incessantemente dalla potenzialit allattuazione per
raggiungere il loro compimento. Ci significa che secondo Aristotele il senso delluniverso
fisico la tendenza a migliorarsi per imitare il pi possibile la perfezione divina.

Non ancora pago dei risultati raggiunti dalla sua riflessione, Aristotele si chiede ancora in
che cosa consista la perfezione divina, cio il compimento assoluto di Dio. Pi
semplicemente: che cos Dio? La risposta di Aristotele : puro pensiero, pura attivit
pensante, intelligenza totale, razionalit assoluta. Ma cosa pensa allora Dio? E assurdo,
afferma Aristotele, che pensi qualcosa di meno perfetto e meno completo di lui. Chi infatti
si occuperebbe di cose vili potendo occuparsi di cose eccelse? Di conseguenza Dio pu solo
pensare s stesso, cio pensiero di pensiero. Ci, per, non significa che la sua
intelligenza sia, per cos dire, tautologica, cio non faccia altro che replicare s stessa.
Aristotele, infatti, precisa che lintelligenza divina pensandosi si coglie come intellegibile
ovvero come essenza. In altri termini, pensandosi, Dio si distingue in pensante e pensato,
atto conoscitivo e contenuto della conoscenza. Il pensato, pur essendo laltra faccia del
pensante, cio pur essendo tuttuno con esso, tuttavia se ne differenzia come essenza,
cio come il principio che struttura il cosmo naturale, essendo il denominatore comune di
tutti gli essenti. E poich lessenza in Dio pu essere solo essenza seconda, cio forma, in
quanto Dio non ha nulla di materiale, Dio pensiero completo e immediato della totalit

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delle essenze seconde o forme che, organizzando la materia, costituiscono luniverso


naturale.
Al termine della sua indagine, dunque, la filosofia prima o metafisica giunge a scoprire che
esiste un essere perfetto immateriale e che le essenze formali non esistono solo in unione
con la materia ma anche allo stato puro in quanto contenuti del pensiero divino.

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VIAGGI DI IERI&VIAGGI DI OGGI


FINALISMO ARISTOTELICO E TEORIA DEL PRINCIPIO VITALE
Uno dei maggiori problemi, per non dire enigmi, della scienza contemporanea quello
dellorigine della vita. Per quanto fino a ora sappiamo, la vita emersa sul nostro
pianeta tra 4,4 miliardi di anni fa, quando la Terra fu ricoperta dacqua, e 2,7 miliardi di
anni fa, et cui risale la prima prova della fotosintesi.
Non solo, come noto, nessun scienziato finora riuscito a produrre artificialmente in
laboratorio un organismo vivente, ma non esiste attualmente nemmeno una teoria
condivisa dellorigine della vita dal momento che la comunit scientifica ha elaborato
molte e assai differenti ipotesi (compresa quella della panspermia, cio dellarrivo della
vita da altri pianeti), nessuna delle quali ritenuta soddisfacente.
In compenso, sono ritenute attendibili le stime sullordine di non probabilit della nascita
della vita sulla Terra: le probabilit contrarie ad essa sarebbero dellordine di 10 elevato
a 40.000. E abbastanza nota, a questo riguardo, la battuta del fisico Fred Hoyle: Le
probabilit che un processo casuale metta insieme un essere vivente sono analoghe a
quelle che una tromba daria, spazzando un deposito di robivecchi, produca un Boeing
747 perfettamente funzionante.
Bench numerosi scienziati non si lascino impressionare da questa stima e sostengano
che, dato un periodo sufficientemente lungo di tempo, risorsa di cui certo luniverso non
sembra scarseggiare, la vita nata per combinazioni casuali di elementi chimici, vi sono
altri scienziati che la pensano diversamente. Questi pensano che, anche concedendo un
lasso di tempo pari allet delluniverso (13,7 miliardi di anni), lorigine casuale della vita
sia ampiamente improbabile. Come alternativa, essi ipotizzano che luniverso includa, fin
dal suo inizio, un principio vitale, cio una legge specifica (accanto alle altre leggi
fisiche, come quella gravitazionale o quella quantistica) che lo fa evolvere verso la vita. In
altre parole, per questi scienziati, come per Aristotele, lo sviluppo delluniverso sarebbe
finalistico, salvo che il fine ultimo delluniverso non sarebbe un Dio immutabile e
trascendente ma la vita mutevole e del tutto immanente.
Va chiarito che lipotesi del principio vitale non ha nulla a che vedere con quella del
cosiddetto disegno intelligente, che invece, avvicinandosi maggiormente ad Aristotele,
sostiene che la vita si pu spiegare soltanto con un finalismo teologico, dovuto cio
allazione creatrice consapevole di un Dio trascendente. I sostenitori del principio vitale,
infatti, ritengono che il finalismo biologico delluniverso sia una legge impersonale
intrinseca alluniverso stesso.
Per approfondire: P. Davies, Una fortuna cosmica, Mondadori 2007.

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TAPPA 4
ARISTOTELE: IL COSMO E DIVISO IN CELESTE E TERRESTRE
Delle realt che sussistono per natura, alcune, ingenerate e incorruttibili,
esistono per la totalit del tempo, altre invece partecipano della generazione e
della distruzione. Circa le prime, che sono nobili e divine, ci tocca di aver
minor conoscenze, giacch pochissimi sono i fatti accertati dallosservazione
sensibile a partire dai quali si possa condurre lindagine su tali realt, cio su
quanto aneliamo di sapere. Quanto invece alle cose corruttibili, piante e
animali, la nostra conoscenza di esse pi agevole grazie alla comunanza di
ambiente. [] Ma entrambi i campi di ricerca hanno la loro bellezza. [] Non
si deve dunque nutrire un disgusto infantile verso lo studio dei viventi pi
umili: in tutte le realt naturali c qualcosa di meraviglioso.
Aristotele, De partibus animalium, 15

La fisica aristotelica, o filosofia seconda, la scienza del cosmo fisico, ovvero la scienza
della natura (physis in greco significa natura). Essa comprende tutte le scienze empiriche
particolari, come astronomia, meteorologia, chimica, botanica, zoologia, ecc.
Per Aristotele due sono i principi costitutivi del cosmo fisico:
la materia, intesa come una sostanza tridimensionale amorfa e disorganizzata;
Dio, inteso come intelligenza immateriale e perfezione assoluta.
Sia Dio sia la materia sono eterni, cio senza inizio e senza fine, e interagiscono
dalleternit. Ci comporta, secondo Aristotele, che anche il cosmo sia eterno e immutabile
nel suo insieme, ovvero che sia sempre stato e che sempre persista cos com, cio con lo
stesso ordine complessivo. Infatti, la materia da sempre e per sempre attratta dalla
perfezione divina e dunque si d una forma, ovvero unorganizzazione razionale, passando
incessantemente dalla potenzialit allattuazione/compimento.

Il cosmo per Aristotele una sfera. Per lui, dunque, lo spazio di dimensioni finite ed
assoluto, cio costituisce un sistema di riferimento univoco per stabilire le posizioni, le
direzioni e le velocit dei movimenti di tutti i corpi. I punti cardinali di tale sistema sono il
centro della sfera ovvero il punto pi basso e la superficie della sfera cosmica (la volta
celeste) ovvero linsieme dei punti pi alti. In relazione ad essi possibile determinare
laltezza/bassezza di ogni luogo e la posizione di qualsiasi cosa per qualsiasi osservatore.
Nel Cielo la superficie interna della sfera che racchiude il cosmo sono infisse le stelle
del firmamento. La sfera celeste contiene al suo interno altre 55 sfere concentriche

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trasparenti. Sullequatore di 7 di esse sono infissi i 7 pianeti, tutti sferici, nel seguente
ordine ad altezza crescente: Luna, Mercurio, Venere, Sole, Marte, Giove, Saturno. Il centro
del cosmo occupato dalla Terra, sferica anchessa, il cui punto centrale coincide con il
punto centrale, e dunque pi basso, del cosmo.

Lintero cosmo spazialmente diviso in due regioni, caratterizzate da elementi naturali e


leggi fisiche diverse:
la regione celeste, ovvero divina, che va dalla sfera della Luna al Cielo;
la regione terrestre, ovvero umana, che va dalla sfera della Luna al centro della Terra.
La regione celeste costituita da un solo elemento naturale, letere, e non caratterizzata
da alcun tipo di mutamento (nascita-morte, alterazione, accrescimento-diminuzione), ad
eccezione del movimento circolare uniforme, causato dallattrazione verso Dio/motore
immobile, immateriale e quindi al di l del Cielo.
Pi precisamente, le sfere celesti ruotano intorno al proprio asse perch sono mosse da
divinit/motori immobili, in successione gerarchica dallalto verso il basso. Esse cercano di
imitare la perfezione di Dio/primo motore, producendo il moto relativamente pi perfetto,
perch pi simile alla immobilit di Dio. Il moto circolare uniforme, infatti, un
movimento fisso, che avviene cio nello stesso luogo. In questo senso, Aristotele chiama
fisse le stelle del firmamento perch attribuisce loro un moto giornaliero circolare e
uniforme senza alcuna variazione di posizione/distanza di ognuna rispetto alle altre.
Chiama invece pianeti (erranti, vagabondi) la Luna, il Sole, Mercurio, Venere, Marte,
Giove, Saturno perch dotati anche di un moto annuale non circolare e non uniforme,
bench spiegabile come prodotto della combinazione dei moti circolari uniformi di pi
sfere trasparenti interdipendenti (secondo la teoria di Eudosso III viaggio, tappa 10).

La regione terrestre, per Aristotele, comincia sotto la sfera della Luna (per questo detta
anche sub-lunare) e comprende latmosfera, la superficie e il sottosuolo terrestri. Ogni
corpo terrestre composto da 4 elementi: terra, acqua, aria, fuoco, che possono combinarsi
ma anche trasformarsi luno nellaltro. Di conseguenza nella regione terrestre vi sono tutti i
tipi di mutamento: nascita/morte, alterazione, accrescimento/diminuzione, movimento.
La causa di fondo di ogni mutamento sempre la tensione ad avvicinarsi alla perfezione
divina. I moti dei corpi terrestri, a differenza di quelli celesti, hanno velocit variabile, sono
in origine rettilinei (si incurvano a causa del contatto con altri corpi) con direzione dallalto
verso il basso o dal basso verso lalto. La velocit originaria di ogni corpo in moto
proporzionale al suo peso, da cui dipende anche la sua direzione verso lalto o verso il
basso.

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Il peso a sua volta connesso al fatto che ogni elemento ha un proprio luogo naturale e
tende quindi a muoversi verso di esso: il fuoco ha il suo luogo naturale sotto la sfera lunare,
laria nellatmosfera, lacqua sulla superficie terrestre, la terra nel suolo e nel sottosuolo.
Pertanto, la terra pi pesante dellacqua, questa dellaria e laria del fuoco.
Aristotele, inoltre, distingue i moti terrestri in naturali e violenti. I primi sono quelli
che si dirigono verso il luogo naturale, i secondi quelli che vi si allontanano. I moti
violenti sono dovuti alle combinazioni/trasformazioni dei quattro elementi che
producono gli esseri naturali. P.e. lacqua, che il calore solare trasforma in vapore, sale
verso lalto e poi torna al suo luogo naturale cadendo come pioggia. In base a questa
impostazione, la condizione naturale di ogni elemento, e quindi di ogni corpo, la quiete.
Un corpo/elemento si muove perch e finch mosso per contatto diretto da un altro
corpo. Se un sasso lanciato da un uomo continua a volare per un po, anche quando si
staccato dalla mano umana, solo perch temporaneamente spinto dallaria che sposta.

Bench sostenga la superiorit ontologica del mondo celeste su quello terrestre, Aristotele
attribuisce pari dignit alla conoscenza di entrambi. In altri termini, per Aristotele non
solo possibile elaborare una fisica terrestre come scienza, ma essa ha lo stesso valore
conoscitivo della fisica celeste. Anzi, per un aspetto la fisica terrestre superiore a quella
celeste: essa infatti dispone di un numero maggiore di osservazioni empiriche.
Nellambito della fisica terrestre, Aristotele predilige la biologia, cio la scienza degli esseri
viventi. In particolare, egli pu essere considerato il fondatore della biologia, in quanto, da
un lato, raccoglie una messe enorme di dati empirici, attingendo sia ai filosofi precedenti
sia ai resoconti di cacciatori, pescatori, macellai e allevatori; dallaltro, e soprattutto, per
primo li inquadra e lo ordina teoricamente, individuando dei criteri razionali sia di
classificazione delle specie sia di spiegazione delle loro diverse morfologie.

Il cardine dellordinamento teorico aristotelico dei fatti biologici il concetto di specie


biologica, chiaramente improntato ai concetti metafisici di forma e di essenza seconda.
Secondo Aristotele, le specie animali non sono classi mentali, cio astrazioni, ma insiemi
reali, cio esistono come tali, e sono fisse e separate, cio immutabili nel tempo e non
trasformabili luna nellaltra. Ogni specie costituita da un insieme peculiare e distinto di
forme che ordinano i corpi degli animali facendo in modo che ogni loro parte sia funzionale
allintero. Linsieme di forme che caratterizza ogni specie a sua volta dipende dalla formacompimento della specie, quella finale che rappresenta il raggiungimento della sua
perfezione relativa.
In questo senso, la teoria biologica aristotelica pi finalistica che mai, perch appunto
la causa finale (la forma-compimento) che spiega non solo nascita, crescita e riproduzione

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di ogni animale, ma anche la sua morfologia. Infatti, per Aristotele, la funzione che
sviluppa lorgano, p.e. la capacit di volare (una forma) che fa sviluppare le ali delle
aquile. In parole semplici, ogni animale ha un certo corpo dotato di certi organi al fine di
poter svolgere determinate funzioni (volare, correre, nuotare, arrampicarsi sugli alberi,
nascondersi sottoterra, ecc.). Aristotele, inoltre, inventa un criterio semplice per la
classificazione delle specie in base alla loro definizione: indicare il loro genere e la loro
forma specifica, p.e., lequino un mammifero (genere) che cammina poggiando sul suolo
un solo dito degli arti (forma specifica).

In questo quadro, la matematica per Aristotele la scienza che studia gli aspetti
quantitativi della realt. Ma, poich la realt anche e soprattutto qualitativa, la
matematica una scienza settoriale come tutte le altre e la sua adozione non il requisito
fondamentale della scientificit della conoscenza.
Inoltre, gli enti matematici come tali (linea, triangolo, prisma, ecc.) sono mere astrazioni
mentali. I corpi fisici, di conseguenza, non collimano con gli enti matematici ma possono
solo esser loro approssimati. Dunque, le misurazioni matematiche degli oggetti reali sono
sempre approssimative.
Insomma, per Aristotele le scienze possono e devono fare un uso parziale della
matematica, ma non possono n devono basarsi solo e soprattutto su essa.

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VIAGGI DI IERI&VIAGGI DI OGGI


LA FISICA DI ARISTOTELE E DI EINSTEIN
Le divergenze tra la teoria della relativit di Einstein e la cosmologia di Aristotele sono
numerose e radicali: per il primo luniverso omogeneo, le leggi della fisica sono
invarianti, ogni corpo sempre in moto, non vi pu essere nessun centro assoluto perch
tutti i moti e tutti i luoghi sono relativi, lo spaziotempo unico e varia per ogni sistema di
riferimento, i moti di rivoluzione dei pianeti sono ellittici e accelerati; per il secondo il
cosmo diviso in due regioni differenziate, le leggi della fisica sono duplici, ogni corpo
tende alla quiete, vi un centro assoluto (coincidente col centro della Terra) perch vi
sono uno spazio e un tempo distinti e assoluti, i moti dei pianeti sono circolari e a velocit
uniforme.
A maggior ragione, tuttavia, sono interessanti le convergenze che possiamo notare tra la
fisica einsteiniana e quella aristotelica:
anche per Einstein, come per Aristotele, luniverso, bench enormemente pi
grande, finito e quasi-sferico;
inoltre, per entrambi i moti di rivoluzione dei pianeti dipendono da una propriet
dello spazio: per Aristotele dalle sfere concentriche che riempiono lo spazio e
trasportano i pianeti, per Einstein dal fatto che la massa solare (come tutte le
masse ma maggiormente data la sua maggiore grandezza) incurva lo spazio
circostante costringendo i pianeti a seguire una traiettoria curvilinea;
infine, a lungo Einstein condivise e difese la teoria delluniverso stazionario,
analoga a quella aristotelica delluniverso eterno, contro lipotesi della nascita e
dellevoluzione nel tempo delluniverso, e cambi idea solo di fronte alle prove
sperimentali a favore della nuova teoria del big bang.
FINALISMO BIOLOGICO ED EVOLUZIONISMO
Per Aristotele le specie biologiche sono eterne come il cosmo: esse sono sempre state cos e
tali rimaranno sempre, senza nessuna possibilit di una trasformazione di una specie in
unaltra. Questa posizione nella storia della biologia si denomina fissismo.
Come abbiamo visto, abbozzi di teorie evoluzionistiche delle specie viventi sono presenti
in Anassimandro, Empedocle e Anassagora. Tuttavia, levoluzionismo biologico moderno
nasce con Jean-Baptiste de Lamarck (1744-1829), il quale teorizz, con il sostegno di
numerose prove empiriche, che gli organismi si mutano nello sforzo di adattarsi
allambiente in cui vivono e poi trasmettono alla loro prole le mutazioni acquisite in modo
tale che, con il passare delle generazioni, una specie pu dare origine a unaltra nuova
specie. Famoso da questo punto di vista lesempio-prova delle giraffe, che per Lamarck
derivano dallevoluzione di precedenti equini che nel corso del tempo hanno sempre pi

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allungato il loro collo al fine di mangiare le foglie pi alte degli alberi, disponibili in
quantit pi abbondante. Data questa impostazione, bench antitetico al fissismo
aristotelico, levoluzionismo lamarckiano condivideva la concezione finalistica della
natura, e in particolare dei viventi, propria di Aristotele, in particolare la tesi secondo cui
la funzione che sviluppa lorgano (p.e. lalimentazione che ha sviluppato il collo delle
giraffe). Salvo che per Lamarck, a differenza che per Aristotele, il fine verso cui tende
levoluzione ladattamento sempre maggiore allambiente, ovvero la sopravvivenza pi
duratura e prolifica.
Ma la teoria evoluzionistica contemporanea il cosiddetto neodarwinismo non si
basa tanto su Lamarck, quanto appunto su Charles Darwin e la sua famosa opera
Lorigine delle specie, pubblicata nel 1859. Darwin, infatti, propose, sulla base di una
vasta messe di prove empiriche, una teoria dellevoluzione antitetica a quella di Lamarck
perch di impianto non finalistico ma meccanicistico. Secondo Darwin, le specie si
evolvono perch la riproduzione d origine ad alcuni individui caratterizzati da
mutazioni casuali rispetto ai loro genitori: se le mutazioni sono vantaggiose nella lotta
per la sopravvivenza, gli individui che ne sono portatori si riproducono maggiormente e
col tempo danno origine a una nuova specie; se le mutazioni sono svantaggiose, gli
individui portatori si estinguono. Lesempio paradigmatico della teoria darwiniana
quello della farfalla Biston betularia nellInghilterra dell800: prima della rivoluzione
industriale erano quasi tutte bianche perch si mimetizzavano meglio sul tronco bianco
delle betulle salvandosi dai predatori; in seguito allindustrializzazione, i tronchi delle
betulle si annerirono e progressivamente le farfalle divennero in maggioranza nere,
perch quelle bianche venivano predate mentre le mutanti nere, inizialmente rarissime,
sopravvivevano e si riproducevano.
E chiaro che per Darwin levoluzione non dipende da un fine, ma solo da variazioni
casuali dei caratteri genetici e dalla loro selezione naturale di tipo causalistico. In altre
parole, caso e necessit anzich finalit. In questo senso, la teoria dellevoluzione di
Darwin , al contempo, antilamarckiana e antiaristotelica, e rovescia anche la tesi la
funzione sviluppa lorgano: per Darwin lorgano, derivato da una mutazione casuale,
che sviluppa la funzione (se poi questa efficace lindividuo sopravvive, altrimenti
soccombe). Tuttavia, la teoria darwiniana conferma la tesi aristotelica secondo cui il
divenire naturale un processo di perfezionamento (bench non ciclico ma lineare).
Anche levoluzionismo darwiniano, infatti, teorizza che le specie si evolvono nella
direzione di una maggiore efficacia di adattamento allambiente e di migliori prestazioni
(fitness). In questo senso, levoluzionismo darwiniano mantiene un certo finalismo, salvo
che lo considera solo unapparenza, meglio unemergenza di una legge pi profonda e
diversa: infatti la combinazione di mutazioni casuali e di selezione naturale che produce
il perfezionamento delle specie e quindi lapparente finalismo dellevoluzione. Come scrive
un famoso biologo neodarwinista, Richard Dawkins, la natura un orologiaio cieco.
Per saperne di pi: R. Dawkins: Il pi grande spettacolo della Terra, Mondadori, 2010.

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TAPPA 5
ARISTOTELE: LESPERIENZA E INDISPENSABILE ALLA SCIENZA
E c dunque un intelletto potenziale in quanto diventa tutte le cose e c un
intelletto attuato in quanto tutte le produce, che come uno stato simile alla
luce: infatti anche la luce in un certo senso rende i colori potenziali colori
attuati. E questo intelletto separato, impassibile e non mescolato e intatto
per sua essenza: infatti ci che agisce sempre superiore a ci che subisce e il
principio superiore alla materia [] Separato, esso solamente ci che
appunto , e questo solo immortale ed eterno.
Aristotele, Lanima, 5, 430

Per Aristotele, ogni essere vivente, da una margherita a un uomo, possiede unanima.
Lanima , infatti, lattuazione della potenzialit di vivere propria del corpo, ovvero il tipo
di forma che rende vivente la materia. In altri termini, essa il principio organizzativo
proprio della vita, in s puramente razionale ma inseparabile dalla fisicit corporea.
Aristotele distingue tre tipi di anima, corrispondenti alle tre partizioni fondamentali del
mondo biologico:
1. lanima vegetativa, propria dei vegetali, dotata delle funzioni del nutrimento, della
crescita e della riproduzione;
2. lanima sensitiva, propria degli animali, dotata delle funzioni dellanima vegetativa e
inoltre della conoscenza sensibile, del desiderio e del movimento;
3. lanima razionale o intellettiva, propria degli uomini, dotata delle funzioni delle anime
vegetativa e sensitiva e inoltre di quella della conoscenza razionale, cio del pensiero.

Secondo Aristotele animali e uomini condividono la capacit della conoscenza sensibile.


Essa ha il suo presupposto fisiologico nei cinque sensi, ognuno dei quali preposto a
ricevere uno specifico contenuto sensibile: ludito i suoni, il gusto i sapori, ecc. Ma
Aristotele sostiene lesistenza anche di un senso comune, dato dallinterazione
simultanea di due o pi sensi. Esso registra contenuti sensibili generali legati a pi sensi,
come il moto, la quiete, la forma esterna, la grandezza.
Ogni senso ha la potenzialit di sentire ma questa diventa attuazione del sentire, cio una
sensazione effettiva, se, e solo se, lorgano di senso entra in contatto con un oggetto esterno
- direttamente (tatto, gusto) o attraverso un elemento intermedio (la luce per la vista, laria
per olfatto e udito). La sensazione consiste nella ricezione da parte del senso non
delloggetto come tale ma della sua forma sensibile. In altre parole sentire significa ricevere

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limpronta di una cosa cos come la neve, o la sabbia bagnata, riceve limpronta/forma
della scarpa , ma non la cosa stessa intesa come oggetto materiale. La forma sensibile
viene trasformata in unimmagine mentale dalla facolt dellimmaginazione. A sua volta
limmagine pu essere conservata dalla facolt della memoria. Laccumulo di immagini
memorizzate costituisce l esperienza.
Aristotele afferma che la sensazione infallibile, cio certamente vera, quando si basa sul
rapporto tra un senso e un suo contenuto specifico immediato, p.e. la vista e la propriet
giallo; invece probabile che sia vera quando si riferisce a un essente come intero cui
ineriscono molteplici propriet oltre a quella del giallo, p.e. un girasole; infine solo
possibile che sia vera quando concerne i caratteri sensibili comuni, p.e. il movimento.

Per Aristotele, dunque, la conoscenza deve partire dallesperienza sensibile e non pu fare
a meno di essa. Ci significa che senza lesperienza sensibile la mente umana non pu
attivarsi e non pu dunque avere nessun tipo di conoscenza. Daltra parte la conoscenza
sensibile solo condizione necessaria ma non sufficiente della verit, cio della scienza.
Per arrivare alla verit scientifica la conoscenza deve passare dal livello sensibile a quello
razionale, cio deve entrare in funzione una facolt mentale superiore, lintelletto.
La funzione dellintelletto quella di conoscere la forma razionale della forma
sensibile/immagine ricevuta dalla sensazione. Lintelletto, cio, la facolt capace di
isolare le forme razionali di ogni cosa, astraendole dagli interi, cio depurandole e
separandole dalla materia e dalle caratteristiche accessorie/accidentali. La forma
razionale, ovvero lessenza formale, isolata a livello mentale, costituisce il concetto.
Dunque la conoscenza razionale conoscenza dei concetti, cio degli elementi e dei
caratteri universali e necessari della realt. Ci significa che la verit, ovvero la scienza,
consiste per Aristotele nella conoscenza delle propriet generali, regolari e permanenti
delle cose. La materia in s, cio priva di forma, e le propriet individuali, irregolari e
variabili delle cose (gli accidenti) non possono essere conosciute scientificamente in
quanto in se stesse irrazionali.

Ma in che modo lintelletto svolge la raffinata operazione di ricavare la forma razionale


dalla forma sensibile? Aristotele afferma che la forma sensibile/immagine ha la
potenzialit di offrire la sua forma razionale e che lintelletto a sua volta ha la potenzialit
di riceverla. Ma questa doppia potenzialit non pu attuarsi se non grazie allintervento di
una facolt intellettiva superiore che Aristotele chiama intelletto attuato.
Esso conoscenza compiuta, ma non immediatamente cosciente, di tutte le forme
razionali/essenze di tutta la realt. Grazie al suo intervento, lintelletto potenziale, inferiore

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ma autocosciente, attua la sua potenzialit di cogliere la forma razionale/essenza, ovvero


isola e conosce il concetto corrispondente a una certa forma sensibile.
Lintelletto attuato comune a tutti gli uomini e dunque nelle menti di tutti gli uomini
sono presenti le stesse forme razionali/essenze. Se dunque la conoscenza sensibile
soggettiva e relativa, cio non scientifica, perch legata allesperienza di oggetti individuali
e pertanto differenti per ogni uomo, la conoscenza razionale assoluta e oggettiva, cio
scientifica, proprio perch si basa su forme razionali presenti identicamente nella mente di
ogni uomo e che inoltre sono le stesse che ordinano e strutturano la realt naturale.

Facciamo un esempio. Guardiamo una penna. In realt noi non vediamo immediatamente
una penna. Penna, infatti, gi un concetto, cio un prodotto della conoscenza
razionale, ovvero il risultato finale del processo conoscitivo. A livello di sensazione, quello
che noi effettivamente vediamo un oggetto cilindrico molto allungato, lungo circa 10-15
cm, di diametro inferiore a 1 cm, di colore nero, ecc. In base a questo grappolo di
sensazioni la nostra mente, secondo Aristotele, elabora limmagine o forma sensibile
delloggetto, cio una specie di disegno mentale che rappresenta unitariamente le
caratteristiche sopra elencate.
Questa immagine/forma sensibile viene collegata dallintelletto potenziale ad altre
analoghe conservate dalla memoria e derivate da altre sensazioni di oggetti dello stesso
tipo. In questo modo lintelletto potenziale stimola lintelletto attuato a fornirgli la
corrispondente forma razionale/essenza. Lintelletto potenziale entra in attuazione
ricevendo e cogliendo la forma razionale/essenza fornita dallintelletto attuato. In questo
modo lintelletto conosce il concetto di penna e pensa quella una penna.

Secondo Aristotele, come si detto, lintelletto attuato conosce tutte le essenze formali di
tutta la realt. Poich lintelletto potenziale corrisponde alla coscienza individuale,
lintelletto attuato rappresenta una specie di metacoscienza, cio una coscienza superiore e
sovraindividuale, cio universale. Essendo tale, la coscienza individuale non pu averne
una consapevolezza immediata e totale. Lintelletto attuato, inoltre, essendo solo
attuazione e compimento, pensiero puro, privo di potenzialit/materia, e dunque
ontologicamente distinto dal corpo.
In altri termini, mentre lintelletto potenziale vincolato al corpo, lintelletto attuato
separato e indipendente da esso. Ci significa, sostiene Aristotele, che lintelletto attuato
non soggetto al deperimento del corpo. Se una persona anziana sembra perdere capacit
di conoscenza e pensiero, ci non dovuto, secondo Aristotele, allindebolimento
dellintelletto attuato ma a quello degli organi di senso, cio del corpo. Lintelletto attuato
dunque non soggetto al divenire e pertanto non solo non muore ma eterno. Esso la

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componente divina delluomo. Il divino umano, dunque, per Aristotele non consiste nella
sua personalit individuale, ma nella sua razionalit universale.

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TAPPA 6
ARISTOTELE: LA SCIENZA E RAGIONAMENTO
Sillogismo un discorso (cio un ragionamento) in cui, posti alcuni dati (cio
le premesse), segue di necessit qualcosaltro distinto da essi, per il solo fatto
che questi sono stati posti. E con lespressione per il fatto che questi sono
stati posti intendo il conseguire in forza di essi, e ulteriormente con
lespressione conseguire in forza di essi intendo il non aver bisogno di alcun
termine estraneo in aggiunta perch abbia luogo la necessit.
Aristotele, Analitici primi, I, 4

Per quanto siano plurime e diversificate, tutte le scienze, secondo Aristotele, si basano su
uno stesso procedimento del pensiero. Aristotele lo chiama sillogismo, che in greco
letteralmente significa discorso collegato o pensiero concatenato e che corrisponde a
ci che noi chiamiamo genericamente ragionamento e pi precisamente inferenza.
Con questi termini si intende loperazione logico-linguistica con la quale si ricava una
conseguenza da una premessa. P.e., dato un triangolo ne consegue che la somma dei suoi
angoli interni sia 180.
Aristotele elabora una scienza degli elementi e modalit del ragionamento che egli chiama
analitica (in greco, scomposizione in elementi) e che corrisponde a ci che noi
chiamiamo logica. Lobiettivo della logica aristotelica stabilire le regole in base alle
quali il ragionamento pu conseguire la verit. Dunque la logica, in quanto scienza del
ragionamento, la scienza della verit, pi precisamente la scienza degli elementi e delle
regole mentali che ci permettono di conoscere la verit.
Ma cos per Aristotele la verit? La risposta semplice: la verit la copia mentale
dellessente. In tal modo, dopo aver stabilito che lessente in quanto essente lessenza,
Aristotele afferma che lessente in quanto essente il vero. Ma le due asserzioni non sono
discordanti, poich per Aristotele il vero non altro che la conoscenza dellessenza, ossia
il concetto in quanto configurazione mentale dellessenza.

Dunque, gli elementi di base del ragionamento per Aristotele sono i concetti a livello
mentale e i termini che li designano a livello del linguaggio. Concetti e termini si
corrispondono e insieme corrispondono a loro volta alle essenze seconde (uomo, metallo,
bipede, ecc.) cio alle forme della realt. In altre parole per Aristotele vi una
corrispondenza tra pensiero, linguaggio ed essere. Questa corrispondenza colta dalla

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definizione. Per elaborare la corretta definizione di un termine, afferma Aristotele,


bisogna indicare il suo genere prossimo, cio pi vicino, e la sua caratteristica specifica,
cio distintiva. P.e.: la rosa un arbusto (genere prossimo) fornito di spine ricurve, foglie
pennato-composte e fiori profumati e variamente colorati (caratteristiche specifiche).
Aristotele, inoltre, distingue ulteriormente i concetti/termini in base a due criteri comuni a
ognuno di essi:
lestensione (o denotazione), cio lampiezza quantitativa dei suoi elementi/casi,
ovvero il suo grado di generalit;
lintensione (o connotazione), cio il numero e la dettagliatezza delle sue propriet,
ovvero il suo grado di determinazione/specificazione.
P.e. animale ha pi estensione e meno intensione di canarino e viceversa. E evidente
che estensione e intensione sono inversamente proporzionali.

La connessione di due o pi concetti/termini costituisce a livello mentale un giudizio cui


corrisponde a livello linguistico una proposizione. La connessione pu essere una
congiunzione (ogni uomo bipede) oppure una disgiunzione (gli uomini non hanno
branchie). In questo senso i giudizi/proposizioni possono essere divisi, dal punto di vista
qualitativo, in affermativi e negativi. Inoltre, a seconda dellestensione del soggetto, dal
punto di vista quantitativo, i giudizi/proposizioni si dividono in 3 tipi:
1. universali: quando il soggetto comprende tutti gli elementi di un concetto/termine
(p.e. tutti gli uomini sono bipedi);
2. particolari: quando il soggetto comprende una parte degli elementi di un
concetto/termine (p.e. alcuni uomini sono calvi);
3. singolari: quando il soggetto coincide con un solo elemento di un concetto/termine
(p.e. Socrate un filosofo).
I giudizi/proposizioni a differenza dei termini/concetti possono essere veri o falsi. Il
criterio pi generale per stabilire se sono veri o falsi sempre quello della loro
corrispondenza allessenza formale. In altre parole un giudizio/proposizione vero se la
connessione che stabilisce tra due concetti/termini corrisponde alla connessione delle
corrispettive forme reali. P.e.: ogni uomo bipede vera perch la congiunzione mentale
di uomo e bipede corrisponde alla loro congiunzione reale nellessenza delluomo.

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In relazione ai giudizi/proposizioni, Aristotele enuncia la prima regola della logica: il


principio di non-contraddizione. Esso cos formulato:
non possibile pensare e affermare, nello stesso tempo e nello stesso senso, che
una cosa esista e non esista, n che abbia e non abbia una medesima propriet.

Cos definitolo, Aristotele usa il principio di non-contraddizione per classificare 4 tipi di


giudizi/proposizioni, cos rappresentabili schematicamente:
Tutti gli uomini sono magri

Nessun uomo magro


contrarie

A
subalterne

E
contraddittorie

subalterne
O

subcontrarie
Alcuni uomini sono magri
magri

Alcuni uomini non sono

(Le lettere A, I, E, O come contrassegno di ognuno dei 4 giudizi/proposizioni sono una


convenzione stabilita dai filosofi medievale, derivante da A-df-I-rmo e n-E-g-O.)
Aristotele stabilisce i seguenti rapporti logici tra i 4 tipi di giudizi da lui individuati:
tra giudizi/proposizioni contraddittori : se uno vero laltro necessariamente falso
(Tutti gli uomini sono magri/Alcuni uomini non sono magri; Nessun uomo
magro/alcuni uomini sono magri);
tra giudizi/proposizioni contrari: possono essere uno vero e uno falso (Tutti gli
uomini sono bipedi/Nessun uomo bipede), ma anche entrambi falsi (come
nellesempio della tabella: A-E);
tra giudizi/proposizioni sub-contrari: possono essere uno vero e uno falso (Alcuni
uomini sono bipedi/Alcuni uomini non sono bipedi), ma anche entrambi veri
(come negllesempio della tabella: I-O)
tra giudizi/proposizioni subalterni: possono essere o entrambi veri o entrambi falsi
(vedi gli esempi della tabella: A-I e E-O).

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Ma come possibile assicurarsi che un giudizio/proposizione rispecchi lessenza della


realt e quindi sia vero? In altre parole, in che modo possiamo essere certi che un
giudizio/proposizione sia vero? Aristotele risponde che il mezzo per accertarsi della verit
di un giudizio/proposizione il sillogismo (letteralmente: concatenazione,
collegamento). Con questo nome Aristotele designa ci che noi chiamiamo ragionamento
(a livello mentale) e argomentazione (a livello linguistico).
Secondo Aristotele, un ragionamento/argomentazione deve constare di 3
giudizi/proposizioni che concatenino 3 concetti/termini secondo lordine cos
esemplificato:
A.
B.
C.

Tutti gli uomini (b) volano (a)


[PREMESSA MAGGIORE - PM]
Socrate (c ) un uomo (b) [PREMESSA MINORE - pm]
Socrate (c) vola (a)
[CONCLUSIONE C]

Dove:
(a) detto estremo maggiore (EM),
(c) estremo minore (Em) e
(b) termine medio (TM).
Il termine medio cos chiamato da Aristotele perch il termine/concetto che unisce e
concatena razionalmente le due premesse e, cos facendo, connette i due termini/concetti
estremi, generando la conclusione, ovvero producendo si potrebbe dire partorendo
una conoscenza aggiuntiva rispetto alle due conoscenze contenute nelle due premesse.

In questo senso, per Aristotele le due caratteristiche fondamentali del sillogismo,


perlomeno di quello apodittico (dimostrativo), ossia del sillogismo per eccellenza, sono:
la consequenzialit (o coerenza), ovvero la non-contraddittoriet: nellesempio
indicato, non posso concludere Socrate non vola, perch questa conclusione
sarebbe in contraddizione con le premesse, ossia perch Tutti gli uomini volano e
Socrate non vola sono contraddittorie (in base a quanto stabilito dal quadrato
degli opposti, tenendo presente che i giudizi/proposizioni singolari sono casi-limite
di quelli particolari);
la necessit, ovvero la certezza assoluta della conclusione, che proprio per questo,
afferma Aristotele, apodittica, cio indubitabilmente dimostrativa.

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La consequenzialit riguarda il contenuto della conclusione, cio la sussistenza di un


rapporto di congiunzione, anzich di disgiunzione (o viceversa) tra i due concetti/termini
che la costituiscono. La necessit concerne la modalit della conclusione, ossia il suo grado
di certezza, che altrimenti potrebbe anche essere solo quello della probabilit (E
probabile che Socrate voli) o addirittura della mera possibilit (Forse Socrate vola, E
possibile che Socrate voli).

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TAPPA 7
ARISTOTELE: LA VERITA SI BASA SULLA VALIDITA DEL RAGIONAMENTO
Chiamo principi in ciascun genere quelli dei quali non possibile dimostrare
che sono. Si assume quindi che cosa significhino i primi principi e ci che da
essi discende; ma necessariamente si deve assumere che i principi sono, e
dimostrare invece il resto. Per esempio: si assume che cosa significhino unit
o retto e triangolo; ma necessariamente si deve assumere che lunit o la
grandezza sono, e il resto dimostrarlo.
Aristotele, Analitici secondi, I, 10
Principio la premessa immediata di una dimostrazione, ed immediata la
premessa della quale non c unaltra premessa che sia anteriore. Premessa
una delle due alternative di un enunciato nel quale un termine predicato di
un altro. E dialettica la premessa che assume allo stesso modo qualsivoglia
dei due termini [predicabili]; invece dimostrativa la premessa che assume
uno dei due termini in modo definitivo, in quanto vero.
Aristotele, Analitici secondi, I, 2
Abbiamo visto che Gli uomini volano, Socrate un uomo, dunque Socrate vola un
sillogismo valido, cio la cui conclusione logicamente necessaria, ossia univoca e certa.
Ma, ci si potrebbe sensatamente chiedere, se il sillogismo lo strumento per accertarci
della verit di un giudizio/proposizione, com possibile che ci porti a concludere che
Socrate vola, tesi notoriamente falsa, in quanto non rispecchia unazione reale di
Socrate?
Aristotele risponde che per comprendere in che modo il sillogismo ci porti alla verit,
dobbiamo innanzitutto preoccuparci della sua validit. Cosa intende per validit? La
validit di un sillogismo riguarda la sua forma logica pura, cio consiste nella
consequenzialit e nella necessit della conclusione rispetto alle premesse, del tutto
indipendentemente dalla loro verit, cio dai loro contenuti.
In questo senso il sillogismo pu essere meglio formulato con simboli astratti, in questo
modo (utilizzando le lettere dellalfabeto come simboli dei concetti/termini come indicato
convenzionalmente nellesempio iniziale):
BA
CB
CA

A
..C C

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Questa per Aristotele la forma perfetta del sillogismo da lui chiamata I figura in
quanto d sempre luogo ha una conclusione valida.

Ma Aristotele considera anche altre due possibilit: quella in cui il termine medio (B) sia
predicato in entrambe le premesse (II figura) e quella in cui il termine medio sia soggetto
in entrambe le premesse (III figura).
Un esempio del sillogismo di II figura il seguente:
A. Tutti gli equini (A) sono quadrupedi (B).
B. Tutti i cavalli (C) sono quadrupedi.
C. Tutti i cavalli sono equini.
Questo sillogismo sembra valido, ma solo perch premesse e conclusione sono vere. In
realt, invalido perch la conclusione non consequenziale rispetto alle premesse (cio
un non sequitur). Per comprenderlo consideriamo la formulazione simbolica del
sillogismo di II figura e la sua rappresentazione grafico-insiemistica:

AB
CB
CA

A
..C
C

Le premesse non ci impongono di inserire linsieme C nellinsieme A, ma solo nellinsieme


B. Dunque la conclusione CA invalida. Tuttavia quando la PM universale affermativa
(p.e.: Tutti gli equini sono quadrupedi) e la pm universale negativa (Nessun uomo
quadrupede) anche il sillogismo di II figura valido perch in tal caso la sua conclusione
universale negativa (Nessun uomo equino) consequenziale (basta farne la
rappresentazione grafico-insiemistica per vederlo).

Invece, un esempio di sillogismo di III figura pu essere il seguente:

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A. Tutti i filosofi (B) sono bipedi (A).


B. Tutti i filosofi sono uomini (C).
C. Tutti gli uomini sono bipedi.
Anche in questo caso la conclusione un non sequitur, cio invalida, a dispetto della sua
verit. Vediamo perch:

A
BA
BC
CA

C
BB

Anche il sillogismo di III figura pu essere valido, ma la conclusione deve essere


particolare anzich universale (Alcuni uomini sono bipedi).
Il sillogismo di III figura, per, particolarmente interessante perch include come
sottospecie il ragionamento induttivo, quello che dallosservazione di un consistente
numero di casi singolarti inferisce una propriet generale. Consideriamo questo esempio:
Parmenide, Socrate, Platone, Aristotele sono bipedi.
Parmenide, Socrate, Platone, Aristotele sono uomini.
Gli uomini sono bipedi.
Da quanto sappiamo, la conclusione universale invalida. Lunica conclusione valida
particolare: Alcuni uomini sono bipedi, e il fatto che il numero dei casi riscontrati
aumenti non cambia nulla, a meno che sia possibile osservare e considerare effettivamente
tutti i casi (passati e futuri compresi), il che impossibile perch di numero indefinito. Per
questo motivo, secondo Aristotele, uninduzione non pu mai arrivare a una conclusione
universale ma solo particolare. Questo, per, se ci si attiene alla modalit della necessit,
come Aristotele imponeva almeno per i giudizi scientifici. E chiaro, per, che i sillogismi
sia di II sia di III figura possono essere universalmente validi se rimodulati in base alla
possibilit: p.e. Tutti i cavalli potrebbero essere equini o Tutti gli uomini potrebbero
essere bipedi.

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Cos stabilite le regole di validit del sillogismo scientifico, Aristotele passa a individuare le
regole della sua verit, cio a risolvere il problema: come fa un sillogismo ad essere vero?
Naturalmente, la prima regola della verit di un sillogismo che sia valido. In altre parole,
per Aristotele, la validit condizione necessaria della verit di un sillogismo, ovvero di un
sillogismo scientifico. Nessun sillogismo pu essere vero se non valido.
Tuttavia, la validit di un sillogismo non condizione sufficiente perch la sua conclusione
sia vera. Qual allora la seconda condizione della verit di un sillogismo? Perch un
sillogismo valido sia anche vero, risponde Aristotele, le sue premesse devono essere
entrambe vere. Dunque, sintetizzando entrambe le precedenti regole, secondo Aristotele
un giudizio/proposizione vero quando la conclusione di un ragionamento valido basato
su premesse vere.

In questo modo, per, sembra che il problema non sia risolto, ma solo spostato. Infatti
come assicurarsi che le premesse siano vere?
Basta, risponde Aristotele, che siano conclusioni di altri ragionamenti validi basati su
premesse vere. P.e. la premessa tutti gli uomini sono mortali la conseguenza di un
ragionamento le cui premesse sono tutti gli animali sono mortali e tutti gli uomini sono
animali.
Anche in questo caso, per, sembra si tratti di un ulteriore spostamento sempre pi a
monte del problema, non una sua effettiva risoluzione. Anzi, addirittura sembra che
Aristotele proponga un rimando allinfinito di premessa in premessa. Ma non cos,
perch, secondo Aristotele, esistono dei principi primi (definizioni, assiomi, postulati),
diversi per ogni scienza, che costituiscono il punto di partenza dei ragionamenti. P.e., per
la biologia: tutti i viventi sono mortali, ovvero la mortalit una propriet essenziale
degli esseri viventi.

Ma su cosa si fonda la verit dei principi primi? Sullazione congiunta, chiarisce Aristotele,
dellinduzione e dellintuizione intellettiva. Linduzione (epagogh), come abbiamo visto,
quel particolare tipo di ragionamento che a partire dallesperienza di vari elementi/casi
singolari inferisce una conclusione generale. P.e. Parmenide, Socrate, Platone sono
morti, Parmenide, Socrate, Platone sono uomini, dunque gli uomini sono mortali.
Linduzione, per, secondo Aristotele, non pu mai arrivare a una conclusione davvero
universale, cio vera per tutti gli elementi/casi di una classe di cose. Infatti, per quanto
numerose siano le osservazioni, gli elementi/casi osservati sono sempre alcuni, mai
tutti.
Ma per Aristotele linduzione pu e deve essere integrata dallintuizione intellettiva, cio
dalla capacit dellintelletto umano di cogliere immediatamente e infallibilmente la forma

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essenziale di qualcosa sulla base dello stimolo dellesperienza. Grazie allintuizione il


giudizio/proposizione particolare molti uomini sono morti pu trasformarsi in quello
universale tutti gli uomini sono mortali, che a sua volta, insieme ad altri analoghi, pu
portare a stabilire che tutti i viventi sono mortali. Da questo principio primo possono poi
partire le deduzioni, ovvero i ragionamenti che da un giudizio/proposizione universale
inferiscono un giudizio/proposizione particolare.
Le scienze dunque, secondo Aristotele, consistono in un metodico intreccio di intuizioni,
induzioni e deduzioni.
Tuttavia, questa impostazione generale, per Aristotele, va diversamente modulata a
seconda del tipo di scienza. Le scienze, infatti, afferma Aristotele, si suddividono in due
generi:
1. le scienze del necessario Filosofia prima, Fisica e Matematica cos definite
perch il loro oggetto invariante e che, pertanto, possono utilizzare i sillogismi
apodittici (=dimostrativi) e arrivare cos a conclusioni univoche e certe;
2. le scienze del possibile che a loro volta si suddividono in poietiche (retorica,
poesia e in genere tutte le arti e le tecniche) e pratiche (etica e politica) cos
definite perch il loro oggetto mutevole, in quanto dipendente dai bisogni e dalle
decisioni degli uomini che variano nel tempo, e le quali, di conseguenza, si basano
su sillogismi dialettici che permettono conclusioni plurime e solo possibili o
probabili.
Ma cos un sillogismo dialettico? E un sillogismo, risponde Aristotele, che, a differenza di
quello apodittico, non parte da ununica premessa certamente vera, bens da una premessa
duplice p.e. lornitornico un uccello e lornitorinco un mammifero in quanto
nessuna delle sue due versioni alternative in grado di escludere la verit dellaltra. In
questo senso la duplice premessa dialettica non necessaria ma solamente possibile.
Stando cos le cose, afferma Aristotele, il sillogismo dialettico si basa sulla scelta della
premessa pi probabile, cio quella considerata pi attendibile dalla maggioranza degli
uomini, oppure dai pi esperti.
Ma, poich parte da una premessa solo probabile, il sillogismo dialettico giunge a
conclusioni che non sono universali e necessarie, ma particolari e probabili, cio che
possono essere vere in alcuni o molti casi ma non detto che lo siano in molti o
quantomeno in tutti. Per questa loro caratteristica, i sillogismi dialettici per Aristotele
sono propri dei contesti conoscitivi dibattimentali, quelli cio in cui si confrontano tesi
(premesse) diverse per metterne alla prova la maggiore o minore attendibilit e scegliere
cos quella migliore, cio la pi probabile.
Bench non nasconda la sua preferenza per il sillogismo apodittico, Aristotele attribuisce
tuttavia una funzione importante al sillogismo dialettico in quanto esso per lui non
costituisce solo il nerbo metodologico delle scienze pratiche e poietiche ma anche uno

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strumento ausiliario e, in certi casi, perfino indispensabile per accertare i principi


primi, in particolare le definizioni, delle stesse scienze del necessario o apodittiche.

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TAPPA 8
ARISTOTELE: LA MASSIMA FELICITA STA NEL CONOSCERE
Ritorniamo al bene che oggetto della nostra ricerca. Che cosa mai pu
essere? Infatti appare come una cosa in unazione e in unarte, come unaltra
in unaltra azione e in unaltra arte: infatti altro in medicina, in strategia e
cos di seguito nelle restanti arti. Che cos dunque il bene di ciascuna? Non
forse ci in vista del quale si compie il resto? Questo in medicina la salute, in
strategia la vittoria, in ingegneria la casa, in unarte una cosa, in unaltra
unaltra; ma in ogni azione e scelta il fine. Infatti in vista di questo che tutti
cpmpiono il resto. Di conseguenza, se qualcosa fine di tutto ci che oggetto
dazione, questo sar il bene realizzabile nella prassi; e se vi sono pi cose,
saranno queste. []
Poich i fini sono manifestamente molteplici e di questi noi scegliamo alcuni a
motivo di altro (ad esempio la ricchezza, i flauti e in generale gli strumenti),
evidente che non sono tutti perfetti; invece il bene supremo manifestamente
qualcosa di perfetto. Di conseguenza, se vi un fine soltanto che perfetto,
questo sar il bene che cerchiamo; se sono molti, il pi perfetto di questi.
Ci che degno di perseguirsi di per se stesso diciamo che pi perfetto di ci
che lo in ragione di altro; e ci che non mai sceglibile a motivo di altro
diciamo che pi perfetto delle cose che sono sceglibili e per se stesse e a
motivo di altro; pertanto diciamo che perfetto in senso assoluto ci che
sempre sceglibile per se stesso e mai a motivo di altro. Ora, una tale cosa tutti
ritengono che soprattutto la felicit. Questa infatti noi scegliamo sempr4 per
se stessa e mai a motivo di altro; invece lonore, il piacere, lintelligenza ed
ogni virt li scegliamo s anche per se stessi (infatti sceglieremmo ciascuno di
essi anche se non ci pervenisse alcun vantaggio), ma li scegliamo anche in
vista della felicit, supponendo che mediante essi saremo felici. Invece
nessuno sceglie la felicit in vista di questi beni, n, in generale, a motivo di
altro.
Aristotele, Etica Nicomachea, I 5
Ora, va detto che ogni virt, per la cosa di cui virt, ha per effetto che essa
sia in una buona condizione, e compie bene lopera di quella cosa. Ad esempio
la virt dellocchio e rende valido locchio e rende valida la sua opera: infatti
grazie alla virt dellocchio che vediamo. Parimenti la virt del cavallo e rende
un cavallo valido e lo rende buono a correre ed a portare il cavaliere e a
resistere ai nemici. Pertanto, se cos stanno le cose in tutti i casi, anche la

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virt delluomo sar la disposizione da cui un uomo diventa buono e da cui


compir bene la sua opera.
Come questo sar, gi labbiamo detto, ma in pi sar chiaro anche in questo
modo: se consideriamo di che specie la natura della virt.
Ora, in tutto ci che continuo, vale a dire divisibile, si pu prendere il pi, il
meno e luguale; e queste determinazioni possono essere o secondo loggetto
stesso o in relazione a noi.
Luguale una sorta di medio tra leccesso e il difetto. Chiamo medio della
cosa il punto che dista ugualmente da ciascuno dei due estremi, punto che
unico ed identico per tutti; chiamo invece medio rispetto a noi ci che n
eccede n difetta. Questo non unico n identico per tutti. Ad esempio, se il
dieci troppo e il due poco, si prende il sei come medio secondo la cosa:
infatti supera ed superato di uguale quantit. Questo medio secondo la
proporzione aritmetica. Ma il medio rispetto a noi non va preso cos: infatti se
per un uomo mangiare dieci mine troppo e due mine poco, il maestro di
ginnastica non gli prescriver sei mine; forse infatti anche questa quantit
troppa, o poca per la persona che lassorbe. Per Milone [famoso atleta] infatti
poca, ma per un principiante di esercizi ginnici troppa. Parimenti per la
corsa e per la lotta.
Cos pertanto ogni persona che ha conoscenza fugge leccesso e il difetto;
invece il giusto mezzo che cerca ed questo che sceglie: il mezzo non
delloggetto, ma in rapporto a noi.
Pertanto, se ogni scienza cos esegue bene il suo compito, fissando lo sguardo
sul mezzo ed indirizzando ad esso le sue opere (donde siamo soliti dire per le
opere ben riuscite che non vi nulla da togliere e nulla da aggiungere,
supponendo che eccesso e difetto rovinino la perfezione, mentre la via di
mezzo la salvaguardaq, e i buoni artigiani, come diciamo, lavorano fissando lo
sguardo sul medio); e se la virt pi esatta di ogni arte ed migliore, come
pure la natura, allora essa tender al medio. Intendo la virt etica: questa
infatti ha per oggetto le passioni e le azioni, e in queste vi sono eccesso, difetto
e il mezzo. Ad esempio, avere paura, esser coraggiosi, desiderare, adirarsi,
avere piet, in generale provare delle sensazioni e provare dolore ammettono
un troppo e un poco, ed ambedue non vanno bene. Ma provare queste
passioni quando si deve e nelle circostanze in cui si deve e verso le persone
che si deve e in vista del fine che si deve e come si deve, realizzare il medio e
al tempo stesso leccellenza: il che proprio della virt.
[]
La virt dunque una disposizione che orienta la scelta deliberata,
consistente in una via di mezzo rispetto a noi determinata dalla razionalit,
cio nel modo in cui la determinerebbe luomo saggio. E una mediet tra due
vizi, uno per eccesso e laltro per difetto. E lo , inoltre, per il fatto che alcuni

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vizi difettano, altri eccedono ci che si deve sia nel campo delle emozioni sia
in quello delle azioni, mentre la virt ricerca e sceglie deliberatamente il
medio.
Aristotele, Etica Nicomachea, II, 5-6

Il presupposto della teoria etico-politica aristotelica la tesi secondo cui luomo per
natura un animale comunitario. La natura comunitaria delluomo si realizza
innanzitutto nella famiglia, poi nel villaggio e, al pi alto livello, nello Stato. Lo scopo dello
Stato realizzare il bene delluomo. Poich la politica la scienza della forma migliore di
Stato, essa ha il compito di individuare il tipo di Stato capace di realizzare al massimo
grado il bene delluomo.
Ma poich luomo innanzitutto un individuo e poich lo Stato una unione di individui,
la politica dovr stabilire in primo luogo in cosa consiste il bene di ogni individuo. In altre
parole, letica (o morale), cio la scienza del miglior modo di agire individuale, concepita
e sviluppata da Aristotele come premessa della politica, cio in funzione di essa.
Ogni individuo, afferma Aristotele, nel corso della sua vita persegue molti beni, p.e. vincere
una gara atletica, sposarsi, fare un viaggio, comprarsi una casa, ecc. Tutti questi beni, per,
sono relativi, in quanto da un lato sono obiettivi dellagire individuale, dallaltro sono
mezzi per ottenere altri beni, per esempio vincere una gara per ottenere un premio,
sposarsi per avere dei figli, ecc. In questo senso ogni bene si fonderebbe su un altro in un
rimando infinito. Poich tale rimando equivale alla mancanza di qualsiasi fondamento,
occorre un bene assoluto, ovvero un fine ultimo di tutti i beni relativi: la felicit. Dunque
letica la scienza di che cos e di come si consegue la felicit.
Poich lessenza delluomo la razionalit, la felicit delluomo consiste nella virt intesa
come perfezionamento della sua razionalit. Ci significa che la virt il comportamento
che permette allindividuo di sviluppare la sua intelligenza al massimo grado. Su questa
base Aristotele distingue innanzitutto due generi di virt:

le virt pratiche: sono quelle che consistono nel controllo razionale dei desideri
sensibili, delle emozioni e dei sentimenti che sono alla base dellagire quotidiano;

le virt teoretiche: sono quelle che consistono nellesercizio dellintelligenza in quanto


tale, ovvero sono le attivit razionali fondamentali.

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Il criterio unico e generale di tutte le virt pratiche il giusto mezzo. Ci significa che per
Aristotele vi sono due tipi, opposti ma convergenti, di comportamenti sbagliati, cio di vizi:
quello sbagliato per eccesso e quello sbagliato per carenza. P.e., la spericolatezza un
eccesso, la vigliaccheria una carenza. La virt consiste invece nel comportamento
mediano, cio intermedio, p.e. il coraggio in quanto via di mezzo tra spericolatezza e
vigliaccheria. Insomma il principio dei vizi lesagerazione, quello delle virt la
moderazione.
Il criterio del giusto mezzo, per Aristotele, si applica anche e innanzitutto al rapporto tra
razionalit e fisicit. Poich luomo per eccellenza un essere intelligente, ma pur sempre
un animale, cio per essenza anche corporeo e sensibile, il comportamento virtuoso
include la valorizzazione dei beni materiali. P.e., sul piano economico, virt lagiatezza,
intesa come giusto mezzo tra la povert e la ricchezza. In questo senso Aristotele legittima
eticamente anche i piaceri fisici purch naturalmente siano moderati.

Le virt pratiche sono comportamenti adeguati in quanto finalizzati a rendere possibile il


miglior esercizio delle virt teoretiche. In questo senso il criterio della moderazione
coincide con quello della funzionalit allo sviluppo dellintelligenza. Tale sviluppo si attua,
secondo Aristotele, a 5 livelli, corrispondenti ad altrettante virt teoretiche:
1) larte: la capacit razionale di produrre, ovvero la creativit artigianale e artistica, che
si manifesta p.e. nella produzione di un vaso, di un tempio, di una poesia, ecc.
2) la saggezza: la capacit razionale di controllare e guidare desideri, emozioni e
sentimenti, dando luogo a comportamenti virtuosi, ovvero la razionalit che produce
le virt pratiche;
3) lintelletto: lintuizione intellettiva, cio la capacit razionale di conoscere i principi
primi di tutte le scienze;
4) la scienza: la capacit razionale di dedurre le conseguenze dei principi primi, cio di
trarre da essi delle conoscenze universali e necessarie.
5) la sapienza: la fusione di intelletto e scienza e come tale la virt teoretica pi alta,
coincidente con la conoscenza totale, ovvero con la conoscenza di tutte le filosofie
seconde, cio le scienze, sul fondamento della filosofia prima, cio la metafisica.
Lesercizio delle virt teoretiche, afferma Aristotele, e soprattutto della sapienza, procura
alluomo il massimo grado di felicit in quanto coincide con lattuazione e il compimento

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della sua eccellenza, cio la razionalit. In questo senso la vita teoretica, cio dedita alla
conoscenza, la vita migliore per luomo, quella che lo rende simile a Dio.

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TAPPA 9
ARISTOTELE: LO STATO DEVE GARANTIRE PACE E TEMPO LIBERO
Guardando al modo in cui le cose nascono dal loro principio, anche in questo
campo, come negli altri, si otterranno risultati migliori. Prima di tutto
necessario unire i termini che non possono sussistere separatamente, per
esempio la femmina e il maschio in quanto strumenti di generazione (e tali
non sono perch se lo propongono, ma perch naturale per luomo come per
gli altri animali e piante il mirare a lasciare un qualche altro essere simile a
s), chi naturalmente disposto al comando e chi naturalmente disposto ad
essere comandato, in quanto la loro unione ci per cui entrambi possono
sopravvivere, perch chi per le sue qualit intellettuali in grado di prevedere
per natura comanda e per natura padrone, mentre chi, per le doti inerenti al
corpo, in grado di eseguire deve essere comandato ed naturalmente
schiavo, sicch la stessa cosa vantaggiosa al padrone e allo schiavo. Per
natura dunque son distinti la femmina e il servo, perch la natura non fa nulla
con la povert con la quale gli artigiani fabbricano il coltello di Delfi, ma
destina ogni cosa a una sola funzione [].
Da queste due comunit sorge prima di tutto la famiglia, sicch giustamente
Esiodo disse poetando innanzitutto la casa, la donna e il bue che ara [].
La prima comunit, che deriva dallunione di pi famiglie volte a soddisfare
un bisogno non strettamente giornaliero, il villaggio. []
La comunit perfetta di pi villaggi costituisce la citt, che ha raggiunto quello
che si chiama il livello dellautosufficienza: sorge per rendere possibile la vita
e sussiste per produrre le condizioni di una buona esistenza. Perci ogni citt
unistituzione naturale, se lo sono anche i tipi di comunit che la precedono,
in quanto essa il loro fine e la natura di una cosa il suo fine [].
Da ci dunque chiaro che la citt appartiene ai prodotti naturali, che luomo
un animale che per natura deve vivere in una citt e che chi non vive in una
citt, per la sua natura e non per caso, o un essere inferiore o pi che un
uomo [].
E chi tale per natura anche desideroso di guerra, in quanto non ha legami
ed come una pedina isolata. Perci chiaro che luomo animale pi
socievole di qualsiasi ape e di qualsiasi altro animale che viva in greggi.
Infatti, secondo quanto sosteniamo, la natura non fa nulla invano, e luomo
lunico animale che abbia la favella: la voce segno del piacere e del dolore e
perci lhanno anche gli altri animali, in quanto la loro natura giunge fino ad
avere e a significare agli altri la sensazione del piacere e del dolore.
Invece la parola serve a indicare lutile e il dannoso, e perci anche il giusto e
lingiusto. E questo proprio delluomo rispetto agli altri animali: esser

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lunico ad avere nozione del bene e del male, del giusto e dellingiusto e cos
via. proprio la comunanza di queste cose che costituisce la famiglia e la
citt. []
dunque chiaro che la citt per natura e che anteriore allindividuo
perch, se lindividuo, preso da s, non autosufficiente, sar rispetto al tutto
nella stessa relazione in cui lo sono le altri parti. Perci chi non pu entrare a
far parte di una comunit o chi non ha bisogno di nulla, bastando a se stesso,
non parte di una citt, ma o una belva o un dio.
Aristotele, Politica, a cura di C.A. Viano, Rizzoli, 2003, libro I, capp. 1-2, pp. 71-79

Una volta stabilito qual e come si raggiunge il fine ultimo di ogni individuo, possibile
per Aristotele affrontare il problema centrale della politica: qual il miglior tipo di Stato?
Per risolvere tale problema Aristotele elabora innanzitutto la seguente classificazione degli
Stati storici:
obiettivo del governo
Fa linteresse dei governati Fa linteresse dei governanti
n dei governanti
uno
alcuni
tutti

Monarchia
Aristocrazia
Civicrazia

Tirannide
Oligarchia
Democrazia

Tra le forme di governe classificate, Aristotele naturalmente ritiene preferibili monarchia,


aristocrazia e civicrazia ma afferma che nessuna di queste tre si pu giudicare la migliore
in assoluto, bens che ognuna pu essere migliore relativamente a una specifica situazione
storico-sociale, p.e. a seconda del grado di civilt di un popolo o della presenza di uno o pi
uomini di grande levatura intellettuale ed etico-politica.

Tuttavia, Aristotele afferma che per i popoli pi sviluppati, in condizioni normali, la forma
di Stato mediamente migliore la civicrazia, cio il governo della comunit civica o
cittadinanza, ovvero lo Stato in cui tutti gli individui maschi e proprietari sono considerati
cittadini liberi e uguali e quindi partecipano alle decisioni e concorrono a pari titolo alle
cariche pubbliche. Come tale, la civicrazia rappresenta, secondo Aristotele, il giusto mezzo
tra la democrazia e loligarchia.
Infatti, mentre la democrazia il governo dei pi poveri e loligarchia quello dei pi ricchi,
la civicrazia il governo della classe media. Mentre poveri e ricchi, essendo classi estreme,

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non possono che avere rapporti conflittuali e sono quindi socialmente portati a governare
nel loro esclusivo o preminente interesse, la classe media, essendo una classe intermedia,
che quindi intrattiene rapporti economici sia con i ricchi sia con i poveri, socialmente
portata a governare nellinteresse di tutti, perch il suo interesse di classe coincide con gli
interessi delle altre due classi.

La civicrazia, dunque, secondo Aristotele, realizza al massimo grado la funzione dello Stato
che quella di rendere effettivamente possibile la felicit di ogni individuo. Infatti, per
Aristotele, sebbene lo Stato sia ununione di individui e debba pertanto assumere come
proprio fine il fine etico di ogni individuo, cio la felicit, la felicit collettiva, garantita
dallo Stato, la condizione della felicit individuale e non viceversa.
Lindividuo isolato, o anche in un piccolo gruppo, non sarebbe in grado di conseguire la
felicit, sia perch ha bisogno di una efficace difesa militare e di unampia cooperazione
socio-economica per raggiungere le migliori condizioni materiali sia perch necessita di
leggi e pubblici ufficiali che lo pungolino alla pratica continua delle virt. Queste, infatti,
afferma Aristotele, si acquisiscono soltanto con lesercizio sistematico, cio con labitudine.
Lo Stato dunque ha un primato sullindividuo, analogo a quello del tutto sulla parte.
Ma allora cosa deve fare il governo dello Stato per realizzare la felicit collettiva,
condizione di quella individuale? Poich, come ha stabilito letica, il grado pi intenso di
felicit individuale deriva dallattivit conoscitiva, il governo dello Stato, afferma
Aristotele, deve rendere possibile la vita teoretica a tutti i cittadini, cio deve permettere
loro di dedicarsi alla conoscenza. Per raggiungere questo scopo lo Stato deve garantire due
condizioni fondamentali, strettamente connesse: la pace e il tempo libero. La guerra
dunque deve essere finalizzata e limitata alla sola difesa; e i tempi di lavoro devono essere
ridotti il pi possibile.

Se, per questo aspetto, la proposta politica aristotelica appare attuale, va evidenziata invece
la sua inattualit per quanto riguarda il principio delluguaglianza. Aristotele, infatti, non
solo esclude dalla cittadinanza, cio dal godimento di ogni diritto politico, i residenti non
ateniesi (oggi diremmo gli immigrati, anche di seconda o terza generazione), le donne e gli
schiavi, ma addirittura teorizza che i barbari (cio gli uomini non greci), le donne e gli
schiavi sono inferiori per natura. In tal modo Aristotele fornisce una giustificazione
scientifica al razzismo, al sessismo e allo schiavismo.

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LO SCRIGNO
PAUL DAVIES: LA TEORIA DEL FINALISMO INTRINSECO DELLUNIVERSO
In questa teoria, il carattere propizio alla vita delluniverso deriva da una
legge o principio di vasto respiro che costringe luniverso/multiverso a
evolvere verso la vita e la mente. La teoria ha il vantaggio di prendere sul
serio la vita, non trattandola n come una bella sorpresa completamente
priva di spiegazione [...], n come un mezzo di selezione puramente passivo
[...]. Essa evita la sensazione di intrigo che si avverte in D [la teoria del
disegno intelligente facente capo a un dio personale, ndr], sostituendo a un
dio manipolatore (naturale o soprannaturale) un principio finalistico pi
sottile. In breve, introduce la finalit nei meccanismi del cosmo a un livello
fondamentale (invece che accidentale), senza postulare un agente
preesistente privo di spiegazione che immetta la finalit in modo miracoloso.
P. Davies, Una fortuna cosmica, Mondadori 2007, p. 335
MICHELE SARA: GLI ORGANISMI SI SVILUPPANO IN MODO FINALISTICO
Lordine che regola la vita dellorganismo in primo luogo il risultato di un
programma genetico che si trova per intero nello zigote o uovo fecondato, e
che solo parzialmente e diversamente attivato nelle cellule differenziate
dellorganismo pluricellulare, a causa della sua modulazione da parte delle
reti interattive dinformazione. Lattuazione di un programma prefissato
nello sviluppo dellorganismo rappresenta un tipo di finalismo al quale si d il
nome di teleonomico per distinguerlo dal teleologico che presuppone
unintenzione che tipica delle azioni umane.
M. Sar, Levoluzione costruttiva, Utet 2005, p. 121

FRITJOF CAPRA: LORGANISMO E SCHEMA, STRUTTURA E PROCESSO


E mia convinzione che la chiave per una teoria completa dei sistemi viventi
stia nella sintesi di questi due approcci: lo studio dello schema (ovvero di
forma, ordine, qualit), e lo studio della struttura (ovvero di sostanza,
materia, quantit). []
Per schema di organizzazione intendiamo quella configurazione di relazioni
che conferisce a un sistema le sue caratteristiche essenziali. La struttura di un
sistema la materializzazione fisica del suo schema di organizzazione.

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Per illustrare la differenza tra schema e struttura, consideriamo un sistema


non vivente noto a tutti: una bicicletta. Perch possiamo dare a un oggetto il
nome di bicicletta bisogna che esista un certo numero di relazioni funzionali
fra componenti che chiamiamo telaio, pedali, manubrio, ruote, catena,
corona eccetera. La configurazione completa di tali relazioni funzionali
costituisce lo schema di organizzazione della bicicletta. [] La struttura della
bicicletta la materializzazione fisica del suo schema di organizzazione in
componenti dotati di una forma specifica, costruiti con materiali specifici. []
In una macchina come la bicicletta le varie parti sono state progettate,
costruite e assemblate per formare una struttura di componenti fissi. In un
sistema vivente, al contrario, i componenti cambiano di continuo. Un flusso
incessante di materia attraversa gli organismi viventi. [] C crescita,
sviluppo ed evoluzione. []
Questa straordinaria propriet dei sistemi viventi suggerisce di utilizzare il
processo come terzo criterio per una descrizione completa della natura della
vita. Il processo della vita lattivit necessario alla continua
materializzazione dello schema di organizzazione del sistema. Dunque il
criterio di processo costituisce il legame fra schema e struttura. Nel caso della
bicicletta, lo schema di organizzazione rappresentato dai disegni del
progetto che vengono utilizzati per la costruzione, la struttura loggetto
materiale costituito da una specifica bicicletta e il legame tra schema e
struttura nella mente del progettista. Nel caso di un organismo vivente,
invece, lo schema di organizzazione sempre materializzato nella struttura
dellorganismo, e il legame fra schema e struttura consiste nel continuo
processo di materializzazione.
Fritjof Capra, La rete della vita, Rizzoli, 1997, pp. 178-179-180 (ed. BUR)

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LA SCOPERTA
IL PRIMATO DELLA VITA PRATICA

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CANNOCCHIALE SU
LORIZZONTE STORICO-CULTURALE
DELLETA ELLENISTICA (323-168 a.C.)
Lo sfaldamento dellimpero alessandrino e i nuovi regni ellenistici
Il biennio 323-322 a.C., gli anni delle morti successive di Alessandro Magno e di Aristotele,
rappresenta lo spartiacque simbolico tra let greca classica e la nuova et ellenistica. Sul
piano politico, il vasto ma effimero impero di Alessandro si divise in quattro regni
principali: il regno di Macedonia (comprendente la Grecia), il regno dEgitto, il regno dei
Seleucidi (Siria, Palestina, Mesopotamia, Persia), il regno di Pergamo (Anatolia
occidentale). I nuovi Stati erano monarchie dispotiche in cui gli uomini erano sudditi, cio
erano privi di diritti politici. Anche le poleis greche, pur mantenendo un certo grado di
autonomia, persero definitivamente lindipendenza effettiva e i Greci smisero di essere
cittadini e diventarono sempre pi sudditi. Se questo, da un lato, comport una perdita di
libert e di protagonismo politico, dallaltro favor il superamento della dimensione
particolaristica dei Greci a vantaggio di unapertura cosmopolitica.
A questa riorganizzazione verticistica e autoritaria del potere corrispose, tuttavia, una vera
e propria rivoluzione culturale. Le dinastie monarchiche dei nuovi regni rivaleggiarono tra
loro in mecenatismo, finanziando e promuovendo laumento dellalfabetizzazione e lo
sviluppo culturale a tutti i livelli, da quello artistico a quello filosofico, da quello letterario a
quello scientifico, da quello religioso a quello tecnologico. Lo scopo di questa politica era
duplice: garantirsi il consenso delle lites intellettuali e rafforzare i propri apparati militari.
In particolare il mecenatismo delle nuove dinastie monarchiche si manifest nella
costruzione e nella gestione di grandi biblioteche, le maggiori delle quali furono quelle di
Alessandria (che arriv a contenere da 500.000 a 700.000 opere) e di Pergamo, i cui
funzionari erano inviati in ogni parte del mondo civile conosciuto allo scopo di procacciarsi
i testi che venivano trascritti su fogli di papiro o di pergamena (da Pergamo, dove si
produceva) e raccolti in rotoli.
La nascita di una nuova cultura cosmopolita
Anche grazie al sostegno economico statale, la cultura greca si diffuse in tutto il Medio
Oriente contaminandosi e fondendosi con le pi antiche culture dellEgitto, della Palestina,
della Siria, della Mesopotamia e della Persia. Il greco divenne cos la lingua internazionale
degli intellettuali della vasta area geografica che andava dal Mediterraneo orientale
allIndo. Di conseguenza gli intellettuali egiziani, ebrei, babilonesi, persiani cominciarono a
tradurre in greco gli scritti religiosi, filosofici, scientifici e letterari facenti parte delle loro
tradizioni culturali. Emblematica, in tal senso, fu la traduzione in greco della Bibbia
effettuata dagli ebrei. In questo modo, da un lato gli intellettuali Greci assorbirono i
patrimoni culturali mediorientali, dallaltro gli intellettuali mediorientali incamerarono il

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patrimonio culturale greco. Da questa contaminazione e da questa fusione tra la cultura


greca classica e la pi antica culturale mediorientale nacque una nuova cultura, chiamata
ellenistica, o anche alessandrina, forse meno originale ma certo non meno ricca ed alta
di quella ellenica.
Unarte realistica e dintrattenimento
Nellambito letterario, let ellenistica fu caratterizzata innanzitutto dallestinzione della
tragedia, che aveva rappresentato il vertice della letteratura classica greca. Si conserv e
fior, invece, la commedia, ma in base a una radicale trasformazione: il coro divent
marginale mentre centrali diventarono la vicenda e lintreccio, i dialoghi e la
caratterizzazione psicologica dei personaggi, che sempre pi si configurarono come tipi
umani (p.e. lavaro, il misantropo, ecc.). Quanto ai contenuti, nella commedia spar la
satira politica, a favore della descrizione della vita quotidiana, caratterizzata da passioni e
ambizioni materialistiche ed edonistiche, da comportamenti istintivi, e quindi immorali,
macchinazioni, sotterfugi, equivoci, eventi sorprendenti. In questo senso, la fine della
tragedia e il fiorire della commedia nuova furono il sintomo dellabbandono di ogni
ideale eroico e di ogni problematica esistenziale, di cui rimangono solo gli echi in singoli
personaggi, unici e isolati, vere eccezioni alla regola, che soli conservano alcuni valori ideali
e il rispetto delle norme morali. Il principale commediografo ellenistico fu Menandro (342291 a.C.), le cui commedie furono poi tradotte dal romano Terenzio (185-159 a.C.) e
diventarono cos i modelli della commedia latina.
Anche il genere poetico, nellet ellenistica, abbandon i temi storico-civili a favore di
quelli quotidiani e individuali, in particolare di carattere amoroso, e soprattutto a favore
della cura dello stile, sempre pi ricercato e raffinato nonch infarcito di erudizione per lo
pi mitologica ma a volte anche scientifica. Tra i poeti ellenistici, detti anche
alessandrini, emersero Callimaco, Teocrito e Apollonio Rodio.
Sebbene la maggior parte degli storici ellenistici cedesse alla sofisticazione retorica e al
gusto del meraviglioso, la storiografia ellenistica si svilupp anche in controtendenza
grazie allopera di Polibio. Nelle sue Storie, infatti, che trattano delle guerre puniche e della
conquista romana della Grecia, Polibio si attenne rigorosamente al criterio
dellaccertamento dei fatti reali e, al contempo, li generalizz allo scopo di individuare delle
leggi dello sviluppo storico.
Larte ellenistica ebbe caratteristiche analoghe alla letteratura. Larchitettura fu improntata
alla monumentalit e al decorativismo, finalizzati a manifestare, rispettivamente, la
potenza e la magnificenza delle dinastie regnanti. La scultura punt sempre pi alla
spettacolarit, cio a suscitare forti reazioni emotive di meraviglia o di compassione
(Galata morente, Marsia legato, Menelao e Patroclo) o di paura e orrore (Laocoonte). Le
divinit furono ancor pi umanizzate e in tal senso le dee cominciarono a essere
rappresentate nude o comunque discinte (Afrodite accovacciata di Doidalsas, Afrondite di
Milo). Pi in generale, le opere scultoree si fecero pi dinamiche (Il fanciullo fantino),
impreziosite di dettagli (Nike di Samotracia), pi realistiche, arrivando a rappresentare

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anche figure umane brutte o grottesche (Vecchio pescatore, Vecchia ubriaca).


Parallelamente, nella pittura si accentuarono il colorismo e gli effetti di luce, con esiti di
tipo impressionistico.
La rivoluzione scientifica fallita
In ambito scientifico, let ellenistica fu caratterizzata da uno sviluppo senza precedenti,
favorito dal mecenatismo delle dinastie monarchiche che stipendiarono gli scienziati e
misero a loro disposizione strutture e strumenti di ricerca innovativi. Il pi significativo
esempio fu il Museo (= casa delle muse) di Alessandria, una sorta di grande universit
fornita di un osservatorio astronomico, sale di dissezione anatomica, un giardino
zoologico, un orto botanico, oltre alla gi citata immensa Biblioteca. Nel Museo scienziati
di tutto il mondo ellenistico insegnavano e facevano ricerca scientifica.
Anche grazie a queste funzionali condizioni pratico-materiali, gli scienziati alessandrini
come Euclide, Aristarco di Samo, Archimede, Eratostene fecero notevoli progressi in
matematica, astronomia, fisica, medicina, biologia, geografia nonch nella meccanica,
anticipando, per esempio con leliocentrismo, teorie che si sarebbero affermate con la
rivoluzione scientifica moderna, cio pi di 1800 anni dopo. In questo senso si pu parlare
di una semirivoluzione scientifica ellenistica in quanto essa si avvi ma si arrest in corso
dopera, rimanendo cos incompiuta ( VIII viaggio La felicit come ricerca scientifica).
La svolta etico-immanentistica della filosofia
In questo contesto, la filosofia perse parte della sua centralit a favore delle arti e
soprattutto della ricerca scientifica, ma da un lato approfond come mai prima la ricerca
etica e dallaltro, anche grazie a questa specializzazione, ebbe una diffusione assai pi
larga.
Dopo la devastazione della guerra del Peloponneso, la conquista macedone e il
declassamento della polis da Stato sovrano a organo amministrativo, luomo greco si
consider sempre meno un animale politico, un elemento di una comunit civica,
secondo la famosa definizione di Aristotele. In altre parole, gi alla fine dellet classica e
durante let ellenistica avvenne una mutazione antropologica: luomo greco si sent
innanzitutto e soprattutto un individuo, scopr la dimensione privata, la privacy.
Questa mutazione antropologica, che tuttuno con la rivoluzione culturale ellenistica,
produsse una nuova domanda di etica, ovvero di criteri e modelli di comportamento
individuale e interindividuale.
In questo modo, letica, che nellet classica faceva blocco con la politica, venne a costituirsi
come dottrina autonoma e addirittura ad acquisire il primato nellambito della ricerca
filosofica. Ci non signific la riduzione della filosofia alletica ma certamente la
finalizzazione etica delle altre branche della filosofia (fisica, logica) e soprattutto la
rinuncia alla metafisica. In altre parole, la filosofia ellenistica, in quanto centrata sulletica,
fu altres una filosofia dellimmanenza, una filosofia che individuava la realizzazione
delluomo nella dimensione terrena dellindividuo e del piccolo gruppo di amici.

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Il privilegiamento della dimensione individuale si abbin allesaltazione dellinteriorit


razionale, ovvero della spiritualit, e alla svalutazione dellesteriorit corporea e
materiale. Ci port i filosofi ellenistici a elaborare per primi una tesi rivoluzionaria, quella
delluguaglianza spirituale cio soltanto interiore di tutti gli uomini. Corollari di questa
tesi furono il cosmopolitismo ovvero il considerarsi cittadini del mondo al di l di tutte
le differenze etnico-politiche , lantischiavismo e lemancipazione femminile.
Questi nuovi valori etici sono indici quanto mai emblematici della radicalit della
rivoluzione culturale ellenistica.

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MESSAGGIO NELLA BOTTIGLIA


Meneceo,
non si mai troppo giovani o troppo vecchi per la conoscenza della felicit. A
qualsiasi et bello occuparsi del benessere dellanima. Chi sostiene che non
ancora giunto il momento di dedicarsi alla conoscenza di essa, o che ormai
troppo tardi, come se andasse dicendo che non ancora il momento di
essere felice, o che ormai passata let. Da giovani come da vecchi giusto
che noi ci dedichiamo a conoscere la felicit. Per sentirci sempre giovani
quando saremo avanti con gli anni in virt del grato ricordo della felicit
avuta in passato, e da giovani, irrobustiti in essa, per prepararci a non temere
lavvenire. Cerchiamo di conoscere allora le cose che fanno la felicit, perch
quando essa c tutto abbiamo, altrimenti tutto facciamo per averla.
Pratica e medita le cose che ti ho sempre raccomandato: sono fondamentali
per una vita felice. Prima di tutto considera lessenza del divino materia
eterna e felice, come rettamente suggerisce la nozione di divinit che ci
innata. Non attribuire alla divinit niente che sia diverso dal sempre vivente o
contrario a tutto ci che felice, vedi sempre in essa lo stato eterno congiunto
alla felicit. Gli dei esistono, evidente a tutti, ma non sono come crede la
gente comune, la quale portata a tradire sempre la nozione innata che ne ha.
Perci non irreligioso chi rifiuta la religione popolare, ma colui che i giudizi
del popolo attribuisce alla divinit.
Tali giudizi, che non ascoltano le nozioni ancestrali, innate, sono opinioni
false. A seconda di come si pensa che gli dei siano, possono venire da loro le
pi grandi sofferenze come i beni pi splendidi. Ma noi sappiamo che essi
sono perfettamente felici, riconoscono i loro simili, e chi non tale lo
considerano estraneo. Poi abituati a pensare che la morte non costituisce
nulla per noi, dal momento che il godere e il soffrire sono entrambi nel
sentire, e la morte altro non che la sua assenza. Lesatta coscienza che la
morte non significa nulla per noi rende godibile la mortalit della vita,
togliendo lingannevole desiderio dellimmortalit.
Non esiste nulla di terribile nella vita per chi davvero sappia che nulla c da
temere nel non vivere pi. Perci sciocco chi sostiene di aver paura della
morte, non tanto perch il suo arrivo lo far soffrire, ma in quanto laffligge la
sua continua attesa. Ci che una volta presente non ci turba, stoltamente
atteso ci fa impazzire. La morte, il pi atroce dunque di tutti i mali, non esiste
per noi. Quando noi viviamo la morte non c, quando c lei non ci siamo noi.
Non nulla n per i vivi n per i morti. Per i vivi non c, i morti non sono pi.
Invece la gente ora fugge la morte come il peggior male, ora la invoca come
requie ai mali che vive.
Il vero saggio, come non gli dispiace vivere, cos non teme di non vivere pi.

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La vita per lui non un male, n un male il non vivere. Ma come dei cibi
sceglie i migliori, non la quantit, cos non il tempo pi lungo si gode, ma il
pi dolce. Chi ammonisce poi il giovane a vivere bene e il vecchio a ben morire
stolto non solo per la dolcezza che c sempre nella vita, anche da vecchi, ma
perch una sola larte del ben vivere e del ben morire. Ancora peggio chi va
dicendo: bello non essere mai nato, ma, nato, al pi presto varcare la porta
dellAde.
Se cos convinto perch non se ne va da questo mondo? Nessuno glielo vieta
se veramente il suo desiderio. Invece se lo dice cos per dire fa meglio a
cambiare argomento. Ricordiamoci poi che il futuro non del tutto nostro,
ma neanche del tutto non nostro. Solo cos possiamo non aspettarci che
assolutamente savveri, n allo stesso modo disperare del contrario. Cos pure
teniamo presente che per quanto riguarda i desideri, solo alcuni sono
naturali, altri sono inutili, e fra i naturali solo alcuni quelli proprio necessari,
altri naturali soltanto. Ma fra i necessari certi sono fondamentali per la
felicit, altri per il benessere fisico, altri per la stessa vita.
Una ferma conoscenza dei desideri fa ricondurre ogni scelta o rifiuto al
benessere del corpo e alla perfetta serenit dellanimo, perch questo il
compito della vita felice, a questo noi indirizziamo ogni nostra azione, al fine
di allontanarci dalla sofferenza e dallansia. Una volta raggiunto questo stato
ogni bufera interna cessa, perch il nostro organismo vitale non pi
bisognoso di alcuna cosa, altro non deve cercare per il bene dellanimo e del
corpo. Infatti proviamo bisogno del piacere quando soffriamo per la
mancanza di esso. Quando invece non soffriamo non ne abbiamo bisogno.
Per questo noi riteniamo il piacere principio e fine della vita felice, perch lo
abbiamo riconosciuto bene primo e a noi congenito. Ad esso ci ispiriamo per
ogni atto di scelta o di rifiuto, e scegliamo ogni bene in base al sentimento del
piacere e del dolore. E bene primario e naturale per noi, per questo non
scegliamo ogni piacere. Talvolta conviene tralasciarne alcuni da cui pu
venirci pi male che bene, e giudicare alcune sofferenze preferibili ai piaceri
stessi se un piacere pi grande possiamo provare dopo averle sopportate a
lungo. Ogni piacere dunque bene per sua intima natura, ma noi non li
scegliamo tutti. Allo stesso modo ogni dolore male, ma non tutti sono
sempre da fuggire.
Bisogna giudicare gli uni e gli altri in base alla considerazione degli utili e dei
danni. Certe volte sperimentiamo che il bene si rivela per noi un male, invece
il male un bene. Consideriamo inoltre una gran cosa lindipendenza dai
bisogni non perch sempre ci si debba accontentare del poco, ma per godere
anche di questo poco se ci capita di non avere molto, convinti come siamo che
labbondanza si gode con pi dolcezza se meno da essa dipendiamo. In fondo
ci che veramente serve non difficile a trovarsi, linutile difficile.

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I sapori semplici danno lo stesso piacere dei pi raffinati, lacqua e un pezzo


di pane fanno il piacere pi pieno a chi ne manca. Saper vivere di poco non
solo porta salute e ci fa privi dapprensione verso i bisogni della vita ma
anche, quando ad intervalli ci capita di menare unesistenza ricca, ci fa
apprezzare meglio questa condizione e indifferenti verso gli scherzi della
sorte. Quando dunque diciamo che il bene il piacere, non intendiamo il
semplice piacere dei goderecci, come credono coloro che ignorano il nostro
pensiero, o lo avversano, o lo interpretano male, ma quanto aiuta il corpo a
non soffrire e lanimo a essere sereno.
Perch non sono di per se stessi i banchetti, le feste, il godersi fanciulli e
donne, i buoni pesci e tutto quanto pu offrire una ricca tavola che fanno la
dolcezza della vita felice, ma il lucido esame delle cause di ogni scelta o rifiuto,
al fine di respingere i falsi condizionamenti che sono per lanimo causa di
immensa sofferenza. Di tutto questo, principio e bene supremo la saggezza,
perci questa anche pi apprezzabile della stessa filosofia, madre di tutte
le altre virt. Essa ci aiuta a comprendere che non si d vita felice senza che
sia saggia, bella e giusta, n vita saggia, bella e giusta priva di felicit, perch
le virt sono connaturate alla felicit e da questa inseparabili.
Chi suscita pi ammirazione di colui che ha unopinione corretta e reverente
riguardo agli dei, nessun timore della morte, chiara coscienza del senso della
natura, che tutti i beni che realmente servono sono facilmente procacciabili,
che i mali se affliggono duramente affliggono per poco, altrimenti se lo fanno
a lungo vuol dire che si possono sopportare? Questo genere duomo sa anche
che vana opinione credere il fato padrone di tutto, come fanno alcuni,
perch le cose accadono o per necessit, o per arbitrio della fortuna, o per
arbitrio nostro. La necessit irresponsabile, la fortuna instabile, invece il
nostro arbitrio libero, per questo pu meritarsi biasimo o lode.
Piuttosto che essere schiavi del destino dei fisici, era meglio allora credere ai
racconti degli dei, che almeno offrono la speranza di placarli con le preghiere,
invece dellatroce, inflessibile necessit. La fortuna per il saggio non una
divinit come per la massa - la divinit non fa nulla a caso - e neppure
qualcosa priva di consistenza. Non crede che essa dia agli uomini alcun bene o
male determinante per la vita felice, ma sa che pu offrire lavvio a grandi
beni o mali.
Per meglio essere senza fortuna ma saggi che fortunati e stolti, e nella
pratica preferibile che un bel progetto non vada in porto piuttosto che abbia
successo un progetto dissennato. Medita giorno e notte tutte queste cose e
altre congeneri, con te stesso e con chi ti simile, e mai sarai preda dellansia.
Vivrai invece come un dio fra gli uomini. Non sembra pi nemmeno mortale
luomo che vive fra beni immortali.
Epicuro, Lettera a Meneceo

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VII VIAGGIO
ALLA RICERCA DELLA FELICITA TERRENA

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ROTTA SU
LA FELICITA COME RIFIUTO DELLA CIVILTA: CINISMO ED EPICUREISMO
A partire dal IV secolo a.C., in Grecia nascono e si affermano nuove correnti filosofiche
accomunate dal concepire la filosofia come ricerca della felicit individuale. Per questo,
nella periodizzazione della filosofia antica, il lasso di tempo che va dal III secolo a.C. al
III d.C., comprendente let ellenistica e let romana, stato denominato periodo etico.
Ci non significa che i pensatori di questi secoli, con leccezione parziale dei cinici,
smisero di occuparsi di fisica, conoscenza, logica, bens significa che essi subordinarono
la ricerca in campo fisico, gnoseologico e logico alla ricerca etica, cio alla ricerca del
modo di vivere e dei comportamenti capaci di garantire la felicit alluomo in quanto
individuo. In altre parole, le teorie fisiche, gnoseologiche e logiche furono concepite come
strumenti della teoria etica in nome del primato della vita pratica sulla vita teoretica.
Tuttavia, rispetto al periodo precedente, quello di Platone e Aristotele, i nuovi filosofi etici
archiviarono la ricerca metafisica, in quanto convinti dellinesistenza di una realt
razionale separata dal mondo fisico, ovvero trascendente. In questo senso il primato
della vita pratica, da loro sostenuto, si abbina alla tesi dellunicit della dimensione
materiale, cio immanente, e la felicit viene concepita come un obiettivo conseguibile
soltanto nel corso della vita terrena, dal momento che luomo ritenuto un essere
unicamente corporeo e dunque del tutto mortale.
Il movimento cinico, nato gi nel IV secolo a.C. come scuola socratica, cio come
interpretazione autentica dellinsegnamento di Socrate, fu cronologicamente il primo
movimento etico e il pi anticonformista. Esso, infatti, da un lato, concepisce la filosofia
come stile di vita, e dunque il filosofare non tanto come pensare e parlare, ma come agire
e comportarsi; dallaltro, segue e diffonde uno stile di vita decisamente controcorrente
rispetto alle tradizioni, alle convinzioni sociali e perfino alle leggi statali ispirato al
comportamento degli animali e imperniato su una vita povera, vagabonda, sregolata e
politicamente del tutto disimpegnata. In tal senso i cinici pensano che il segreto della
felicit sia lassoluta libert individuale.
La scuola epicurea condivide il rifiuto cinico della civilt, ma lo declina in modo pi
moderato. Gli epicurei, innanzitutto, valorizzano, seppur parzialmente e
strumentalmente, la vita teoretica, e quindi anche la ricerca scientifica, e, in secondo
luogo, propongono e praticano un modello di vita basato su piccole comunit residenziali
e sul soddisfacimento moderato e razionalmente guidato dei bisogni e dei desideri.
Infatti, per gli epicurei, la felicit coincide con il piacere autentico.

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VITE DI CAPITANI
ANTISTENE, DIOGENE, EPICURO
Fondatore della scuola cinica fu Antistene, figlio di un ateniese e di una tracia (cio di
una barbara), vissuto tra la fine del V sec. e linizio del IV, che fu inizialmente discepolo
di Gorgia e poi di Socrate, da cui riprese e di cui radicalizz il motivo conduttore del
cinismo, ovvero lautosufficienza individuale come fondamento della libert. La
denominazione di cinismo (da kunisms, imitazione dei cani) pare sia nata dal fatto
che Antistene insegnava nel ginnasio detto Cinosarge (cane agile). In seguito, lui e i suoi
discepoli furono chiamati cinici perch rifiutavano la civilt e proponevano di vivere in
modo del tutto naturale, come i cani.
Ma il pi significativo e famoso rappresentante del cinismo antico fu Diogene che fece
proprio apertamente e provocatoriamente lappellativo il Cane e fu anche chiamato il
Socrate pazzo. Nato a Sinope, figlio di un banchiere, forse banchiere egli stesso, fugg dalla
sua citt per evitare la condanna come falsario. Visse ad Atene, dove divenne discepolo di
Antistene, e a Corinto, dove mor forse nel 323 a.C., nello stesso anno di Alessandro il
Grande. Di Diogene stato tramandato che viveva in una botte e di giorno andava in giro
con una lanterna accesa dicendo: Cerco luomo. Ma laneddoto pi rappresentativo della
sua filosofia di vita quello del suo incontro con Alessandro il quale, attirato dalla sua
fama di sapiente, volle avvicinarlo e gli offr di dargli tutto quello che avrebbe chiesto, al
che Diogene, che stava prendendo il sole, rispose: Lasciami il mio sole, ovvero: Togliti
di l, che mi fai ombra. Nessuno degli scritti di Diogene ci pervenuto.
Epicuro, fondatore ed eponimo dellepicureismo, nacque a Samo da padre ateniese.
Allievo di filosofi prima platonici e poi democritei, intorno al 307 a.C. fond la sua scuola chiamata il Giardino perch si trovava nella compagna fuori porta di Atene - aperta a
tutti compresi schiavi, donne e perfino ex prostitute. Il Giardino fu una comunit di vita e
un modello sociale alternativo ed Epicuro pi che un filosofo fu ben presto considerato una
sorta di profeta o di salvatore dellumanit (in modo simile allindiano Gothama
Siddharta, chiamato Buddha, cio risvegliato). Si tramanda che scrisse circa 300 opere,
ma anche a causa dellanatema culturale scagliato contro di lui dalla chiesa cristiana a
noi sono giunti soltanto alcuni frammenti, 3 lettere (A Meneceo, A Erodoto, A Pitocle) e 2
raccolte di massime.

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TAPPA 1
I CINICI: LA FELICITA E LIBERTA INDIVIDUALE
Talvolta [i cinici] si cibano soltanto di erbaggi e in ogni modo bevono soltanto
acqua fresca; ogni alloggio buono, anche una botte, in cui viveva Diogene, il
quale era solito dire che proprio degli di non aver bisogno di nulla, di chi
simile agli di aver bisogno di poco.
Diogene Laerzio, VI, 66
Lodava [Diogene] quelli che stavano per sposarsi e non si sposavano, quelli
che stavano per intraprendere un viaggio e vi rinunciavano, quelli che stavano
per dedicarsi alla vita politica e non vi si dedicavano, quelli che volevano
crearsi una famiglia e non se la creavano, e quelli che si accingevano a vivere
insieme con i potenti e poi se ne astenevano.
Diogene Laerzio, VI, 29
Ammetteva [Diogene] la comunanza delle donne, non riconosceva il
matrimonio, la convivenza concordata fra uomo e donna. In conseguenza,
anche i figli dovevano essere comuni.
Diogene Laerzio, VI, 72

Alla base del cinismo vi una duplice rivoluzione filosofica. In primo luogo, i cinici
concepiscono la filosofia come miglior modo di vivere, cio come modello di vita
effettivamente praticato. In altre parole, per i cinici, la filosofia non teoria ma pratica, un
insieme coerente di comportamenti, e la stessa comunicazione filosofica altro non che
descrizione verbale e argomentazione razionale di un modo di vivere. Lunico che permetta
di conseguire il vero bene: la felicit.
Anzi, in questa prospettiva, il linguaggio filosofico pi appropriato quello gestuale e
largomentazione filosofica pi coerente ed efficace lesempio comportamentale:
possedere solo un mantello, una bisaccia e un bastone, abitare in una botte, girare di
giorno con la lanterna, entrare a teatro al termine dello spettacolo, sbeffeggiare o
addirittura maltrattare i ricchi e i potenti.

Il secondo aspetto rivoluzionario del cinismo il rifiuto della civilt e della cultura in nome
del ritorno alla dimensione di vita naturale. Questa drastica posizione la conseguenza

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della scelta della libert individuale come valore fondamentale e anzi assoluto delluomo.
In altri termini, secondi i cinici luomo si realizza solo se un individuo assolutamente
libero, ossia la libert individuale sinonimo di felicit e viceversa. Ma come si fa allora a
essere individui assolutamente liberi? La risposta dei cinici : conseguendo lautarchia,
lautosufficienza, ovvero bastando a se stessi e facendo s che nulla di esterno a s sia
indispensabile alla propria vita.
In questo senso, Diogene sostiene che bisogna assumere come modello gli animali, e pi
precisamente un topo che corre qua e l senza alcuna meta. Ci significa rifiutare la civilt
a un duplice livello:
1. sia nei suoi aspetti materiali, dai cibi cotti e dal vino alle abitazioni, ai letti, alle
calzature, insomma a tutte le invenzioni e le tecniche con cui gli uomini si sono resi la
vita pi comoda e agiata;
2. sia nei suoi aspetti sociali, politici, religiosi e ideali, dal matrimonio allo Stato, ai doveri
civici, al galateo, ai riti religiosi, allavere un scopo.
Per i cinici, infatti, questi aspetti della civilt sono altrettante catene che imprigionano
lindividuo e gli impediscono di essere libero e quindi felice. Apparentemente lo agevolano
e gli rendono la vita pi piacevole, ma in realt alla lunga lindividuo ne viene fiaccato e
debilitato, si assuef ad essi e ne diventa dipendente, non ne pu pi fare a meno e in
questo modo perde la sua libert diventando sempre pi infelice.

Proprio la condizione di assuefazione agli agi e ai piaceri, e quindi di infiacchimento e


schiavizzazione, cui la civilt ha condotto gli uomini, rende necessarie ladozione e la
pratica sistematica di un metodo di autoliberazione imperniato sullesercizio della fatica.
In altre parole, per raggiungere lautarchia, e con essa la libert/felicit, lindividuo deve
allenarsi in modo continuo e progressivo a faticare, cio a fare a meno degli agi e dei
piaceri fisici e psichici, ad apprezzare la frugalit e la rudezza della vita naturale e a
sopportarne le asprezze.
In questo senso, il cinismo nega lesistenza di virt innate e di predisposizioni elettive,
ovvero di qualsiasi forma di superiorit congenita, per nascita. Per i cinici, insomma,
campioni si diventa, non si nasce, ossia ogni uomo pu realizzarsi grazie all esercizio,
cio allimpegno e al merito personali. Ci comprovato, sostengono i cinici, dal fatto che i
bravi artigiani, cos come i grandi artisti o anche gli atleti pi valenti sono tali unicamente
grazie ad anni e anni di assiduo e intenso esercizio.

Il metodo di decondizionamento dai vincoli della civilt ha come obiettivo il


raggiungimento di una pratica completa della libert individuale. Da questo punto di vista,

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secondo i cinici la libert autentica ha due aspetti essenziali: la libert di parola e la libert
dazione.
La libert di parola consiste, per cos dire, nel non aver peli sulla lingua, ossia nellessere
sempre schietti e franchi, anche e soprattutto quando si deve comunicare qualcosa di
spiacevole per laltro. E evidente che la libert di parola implica a monte, e quindi include,
la libert di pensiero, la libera opinione, ovvero la capacit di pensare in modo personale,
originale, anticonformistico e critico. Si tratta di un principio che acquista tanto pi
significato e spessore in quanto, per i cinici, deve essere praticato senza lasciarsi limitare
dal pietismo nei confronti degli altri e soprattutto senza lasciarsi intimidire qualora
colpisca sapienti, ricchi o potenti.
La libert dazione consiste, invece, nel comportarsi, per cos dire, anarchicamente, ossia
senza rispettare alcuna regola o convenzione sociale. Ci pu significare, per esempio,
mangiare nella piazza del mercato cos come orinare, defecare, masturbarsi o anche avere
rapporti sessuali quando e dove si vuole, anche in un luogo pubblico. La libert dazione,
dunque, ha per i cinici un significato radicale, per non dire estremo, che si fonda e si
giustifica, da un lato, in base al modello del comportamento istintivo, spontaneo e
deregolamentato degli animali; e, dallaltro, in nome della critica allartificialit e al
relativismo delle norme e delle convenzioni sociali.

Obiettivo polemico privilegiato della libert di parola e dazione dei cinici lamore.
Secondo i cinici, infatti, non solo bisogna rifiutare il matrimonio, in quanto istituzione
imposta dalla societ in contrasto con gli istinti naturali, ma anche lo stesso sentimento
amoroso, in quanto illusione generata dal bisogno di piacere sessuale e causa della
dipendenza nei confronti di un altro individuo, ovvero in entrambi i casi fonte di schiavit
e quindi di infelicit.
Riguardo alla pratica del rapporto tra uomini e donne, i cinici, per, si differenziano.
Alcuni praticano la rinuncia a qualsiasi rapporto stabile con unaltra donna; altri accettano
un rapporto continuativo, ma non esclusivo, con una donna, purch questa aderisca al
cinismo, cio viva in tutto e per tutto da cinica; altri ancora, infine, praticano il rapporto
sessuale come mero soddisfacimento di un bisogno naturale, privo di qualsiasi
componente sentimentale.
Il rifiuto dellamore da parte del cinismo emblematico della sua posizione riguardo alla
sfera psichico-emotiva. Le emozioni sono considerate potenziali passioni, ovvero forze
psichiche capaci di rendere lindividuo dipendente da oggetti o da persone o anche da
credenze e ideali. In questo senso, il cinismo identifica la libert con l apatia cio con
limpassibilit, lassenza di passioni e considera lapatia condizione necessaria e
ingrediente essenziale della felicit.

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Ma come si mantengono i cinici? Escluso il lavoro, in quanto innaturale, mero prodotto


della civilt, i cinici vivono dei frutti spontanei della natura e soprattutto di elemosina. Ma
essi considerano le elargizioni ricevute come qualcosa di loro dovuto. Infatti, da un lato le
ritengono il giusto riconoscimento della propria funzione filosofica di modelli viventi di
vita; dallaltro sostengono che ogni cosa appartiene agli dei e che i filosofi, in quanto amici
degli dei, possono disporre di ogni cosa.
In questo senso, la maggior parte dei cinici, pur rigettando riti e credenze religiosi, non
negano lesistenza di divinit. Tra questi, alcuni credono in un unico dio. Tuttavia, altri
cinici sostengono, pi o meno apertamente, lateismo.

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TAPPA 2
EPICURO: LA FELICITA E IL PIACERE QUIETO
Allorch affermiamo che il piacere il fine, non facciamo riferimento ai
piaceri dei dissoluti e a quelli che risiedono nel godimento come ritengono
alcuni ignoranti che non sono daccordo oppure che interpretano malamente
, ma il non soffrire nel corpo n turbarsi nellanima. Non sono, infatti, le
bevute e i continui bagordi ininterrotti, n il godimento di ragazzini e donne,
n il gustare pesci e altre cibarie quante ne porta una tavola riccamente
imbandita, che possono dar luogo a una vita piacevole, bens il ragionamento
assennato, che esamina le cause di ogni scelta e rifiuto, e che elimina le
opinioni per effetto delle quali il pi grande turbamento attanaglia le anime.
Epicuro, Epistola a Meneceo

Epicuro concepisce e pratica la filosofia come una terapia psicologica finalizzata a


conseguire la felicit individuale. In questo senso la filosofia epicurea si propone come un
quadrifarmaco, cio come una cura delle quattro fondamentali malattie della mente
umana:
1) la paura degli dei;
2) la paura della morte;
3) la paura del dolore;
4) la paura della frigidit, cio dellincapacit di provare piacere.
Dunque, la filosofia, per Epicuro, lattivit teorica e pratica capace di liberare luomo
dalle paure infondate e di permettergli cos di provare il piacere, condizione necessaria e
suffciente della felicit.

Per Epicuro, la realt totalmente materiale. La materia composta da infiniti


indivisibili (toma), cio da particelle minime non riducibili, che si muovono a causa del
loro peso, ovvero cadono nello spazio vuoto infinito. Di conseguenza i loro moti sono
originariamente rettilinei e paralleli. Tuttavia, essi si scontrano tra loro perch talvolta
deviano casualmente dalla loro traiettoria rettilinea. Gli scontri tra indivisibili provocano la
loro aggregazione che porta alla formazione di infiniti mondi e di infiniti esseri naturali.
Tutti i processi fisici sono effetti di moti di aggregazione, disgregazione e riaggregazione
degli indivisibili. Dunque, luniverso si formato e funziona in modo del tutto autonomo,
cio in base a leggi causali di natura. Queste, per, non sono non di tipo deterministico, dal

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momento che le catene di rapporti di causa ed effetto a volte sono interrotte da eventi
casuali.

Nonostante non abbiano alcun ruolo nella formazione e nel funzionamento delluniverso,
gli dei esistono, afferma Epicuro. Secondo lui, infatti, tutte le immagini presenti nella
mente umana derivano dallesperienza sensibile. Questa infallibile, in quanto consiste
nellimpronta che gli oggetti esterni producono sui nostri sensi. Tale impronta o diretta,
come quando tocchiamo qualcosa, o indiretta, come quando vediamo qualcosa. In questo
caso lorgano di senso colpito dagli invisibili micromodelli materiali che tutte le cose
emanano in continuazione.
Poich tutti gli uomini hanno immagini mentali degli dei esse derivano necessariamente
dallimpronta dei micromodelli degli dei sui nostri sensi. Dunque gli dei esistono e sono
materiali. La materia di cui sono fatti capace di rigenerarsi e dunque sono esseri
immortali. Per gli dei non governano il cosmo n si occupano in alcun modo degli uomini.
Infatti, sostiene Epicuro, in caso contrario, lesistenza del dolore umano comporterebbe
che gli dei siano o malvagi o impotenti, il che assurdo in quanto in contraddizione con la
nozione di dio.
Da questa concezione fisica, conseguono due decisive verit:
a) nessun uomo deve temere punizioni divine e nemmeno aspettarsi favori da parte degli
dei;
b) la vita di ogni uomo non determinata n dagli dei, n dalle leggi fisiche, ma soltanto
dalla libera scelta di ogni individuo, che quindi, in qualsiasi momento, ha la facolt di
modificare la propria condizione esistenziale per conquistare la felicit.

Per riuscirci, secondo Epicuro, luomo, una volta liberato dalla paura degli dei, deve
liberarsi anche dalla paura della morte. La terapia della paura della morte parte dalla tesi
della materialit di tutto ci che esiste, compresa lanima (psych), cio il principio della
vita, anchessa composta di indivisibili che differiscono da quelli corporei solo perch sono
pi piccoli e mobili. Dunque anche lanima nasce per aggregazione di indivisibili e muore
per la loro disgregazione. Di conseguenza, con la morte del corpo, lanima non inizia una
seconda vita ultraterrena ma smette completamente di esistere. Morire, pertanto, sostiene
Epicuro, non pu significare soffrire. Infatti, per soffrire dobbiamo essere sensibili e
coscienti. Ma nel momento in cui moriamo, sensibilit e coscienza si annullano, in quanto
la morte consiste nella disgregazione degli indivisibili che compongono tutte le parti
dellindividuo, compresa lanima, ossia la coscienza. In questo senso Epicuro dichiara che
fin quando esistiamo la morte non c e quando arriva non esistiamo pi noi. In altre

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parole, secondo Epicuro la morte per definizione unesperienza impossibile, ossia una
non-esperienza, e dunque del tutto insensato temerla.

Ancora pi semplice, per Epicuro, liberarsi dalla paura del dolore. Basta infatti
considerare che il dolore pu essere o leggero o intenso. Nel primo caso facile
sopportarlo; nel secondo non pu che essere breve.
Infatti un forte dolore non pu che essere conseguenza di un grave stato patologico del
corpo. Pertanto o lorganismo si rimette rapidamente oppure muore. In entrambi i casi il
dolore cessa presto, e dunque facilmente sopportabile.

Leliminazione delle paure degli dei, della morte e del dolore la condizione necessaria ma
non sufficiente per il conseguimento della felicit. Per essere felici, afferma Epicuro,
occorre procurarsi il piacere. Sembrerebbe un obiettivo facile da raggiungere, ma in realt
non cos perch la maggior parte degli uomini si lascia ingannare da piaceri apparenti che
in realt sono dolori mascherati. Qual allora il piacere autentico e come si pu
riconoscerlo?
Chiarito preliminarmente che qualsiasi tipo di piacere ha un fondamento fisico-sensibile,
Epicuro risponde stabilendo innanzitutto i due requisiti indispensabili del vero piacere:
a) lanalgesia, cio lassenza di dolore fisico;
b) limperturbabilit, cio lassenza di dolore psichico.
In secondo luogo, Epicuro distingue 2 modalit di piacere:
1) il piacere movimentato (o dinamico), cio il piacere che si prova nel momento in cui si
soddisfa un bisogno/desiderio, p.e. mentre si beve un bicchiere dacqua o si mangia
una fetta di torta;
2) il piacere quieto (o statico), cio il piacere che si prova dopo aver completamente
soddisfatto un bisogno/desiderio, ovvero la condizione dellappagamento, p.e. sentirsi
dissetati o sazi.

Su queste basi, Epicuro sostiene che il piacere autentico il piacere quieto, in quanto esso
possiede al massimo grado i requisiti dellanalgesia e dellimperturbabilit. Infatti, il
piacere movimentato da un lato comporta sempre un certo grado di bisogno e dunque di
sofferenza psico-fisica; dallaltro tende a prolungare illimitatamente il godimento
danneggiando lequilibrio psico-fisico. P.e., mentre mangio la fame non si ancora del
tutto placata e se proseguo a mangiare illimitatamente non potr che stare male.

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Daltra parte senza il piacere movimentato non si pu raggiungere il piacere quieto.


Dunque, afferma Epicuro, il piacere movimentato va perseguito ma considerandolo e
godendolo solo come mezzo per conseguire il fine del piacere quieto. In questo modo il
piacere movimentato viene limitato e reso funzionale al raggiungimento della condizione
di appagamento, cio di assenza di dolore.

Ma come si fa a finalizzare il piacere movimentato al piacere quieto? Epicuro risponde


fornendo una ricetta dettagliata sulla base della seguente classificazione dei bisogni umani:
1) bisogni naturali e necessari, cio i bisogni psico-fisici fondamentali, indispensabili alla
sopravvivenza, p.e. mangiare, dissetarsi, vestirsi, ripararsi, avere amici, ecc.;
2) bisogni naturali ma non necessari, cio i bisogni psico-fisici superflui, derivanti dalla
sofisticazione dei bisogni naturali, p.e. mangiare cibi raffinati e gustosi, bere vini
pregiati, indossare bei vestiti, avere rapporti sessuali, ecc.
3) bisogni artificiali, cio bisogni che non hanno alcun legame con la nostra costituzione
psico-fisica, ma che sono indotti dalle convenzioni sociali, p.e. la ricchezza, la fama, la
gloria, il potere politico, limmortalit, ecc.
Per conseguire e mantenere il piacere quieto, ovvero lanalgesia e limperturbabilit,
secondo Epicuro, bisogna sodddisfare sempre e completamente i bisogni naturali e
necessari; raramente e in modo controllato i bisogni naturali ma non necessari; mai e in
nessuna misura i bisogni artificiali.

Tra i bisogni artificiali spicca quello di immortalit. Epicuro si impegna in modo


particolare a dimostrarne linsensatezza. Egli sostiene che il vero piacere, cio il piacere
quieto, ovvero lappagamento, qualcosa di finito, limitato, non suscettibile di incremento.
In altre parole, quando lindividuo raggiunge il piacere quieto lo prova immediatamente al
massimo grado possibile e dunque non pu goderne di pi n quantitativamente n
qualitativamente.
A un piacere e quindi a una felicit finiti non pu che corrispondere una vita finita. La vita
mortale infatti pi che sufficiente a permetterci di gustare tutto il piacere possibile,
mentre una esistenza infinita sarebbe inutile e insensata dal momento che non potrebbe
farci raggiungere un grado di felicit maggiore. Il bisogno di immortalit dunque per
Epicuro un falso bisogno, un bisogno artificiale, del quale ogni uomo deve liberarsi.

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VIAGGI DI IERI&VIAGGI DI OGGI


EPICURO E LA FISICA QUANTISTICA
Secondo Epicuro, gli indivisibili, di cui sono composte tutte le cose, sono dotati di un
movimento rettilineo che, tuttavia, del tutto casualmente e quindi imprevedibilmente, a
volte pu avere una improvvisa deviazione. Per questo la fisica materialisticomeccanicistica di Epicuro, a differenza di quella di Democrito, si pu, a buon ragione,
definire indeterministica.
In questo senso, la fisica epicurea ha trovato una conferma con la fisica quantistica, nata
allinizio del 1900 e sviluppatasi nel corso del secolo successivo fino ai giorni nostri. Essa
sostiene che lenergia, che costituisce la materia, composta da unit minime dette
quanti di energia le quali si muovono in modo irregolare e imprevedibile, tanto da
poter essere considerate in pi luoghi contemporaneamente.
In particolare, sulla base degli esperimenti relativi al comportamento dei quanti, il fisico
quantista Heisenberg nel 1927 formul il principio di indeterminazione, secondo il quale
la precisione nella misurazione della posizione di un quanto inversamente
proporzionale a quella nella misurazione della sua velocit, per cui impossibile
calcolare precisamente lo stato fisico di un quanto.
In seguito il principio di indeterminazione fu interpretato da alcuni scienziati come una
propriet oggettiva dei quanti ovvero in sintonia con la fisica epicurea da altri, tra
cui Einstein, come un limite soggettivo delle capacit conoscitive delluomo. Gli
esperimenti pi recenti hanno avvalorato linterpretazione oggettivistica. Va tuttavia
chiarito che il comportamento quantistico attribuito solo alle particelle elementari, non
ai corpi macroscopici, bench questi siano aggregati di particelle elementari.
Come questo sia possibile lenigma principale della fisica contemporanea.
Per approfondimenti: Robert Gilmore, Il quanto di Natale, Cortina 1999

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ROTTA SU
FELICITA COME ADATTAMENTO AL DESTINO RAZIONALE: LO STOICISMO
Rispetto agli epicurei e ai cinici, gli stoici assumono un atteggiamento di accettazione,
seppur condizionata, della civilt, ovvero delle tradizioni, delle convenzioni sociali e delle
leggi statali. Essi, infatti, rivisitando le filosofie dei primi cosmologi, in particolare di
Eraclto, pensano che ogni aspetto e ogni evento della realt siano determinati in modo
necessario da una legge razionale divina che realizza un bene sempre maggiore fino al
raggiungimento della perfezione. Poich dotato di una mente razionale, luomo lunico
essere che pu e deve comprendere la legge razionale divina e adattarsi intenzionalmente
ad essa. Data questa impostazione, evidente che gli stoici valorizzano la condizione
civile dellumanit e quindi prescrivono di ottemperare a tutti i doveri sociali e politici.
Tuttavia, gli stoici ammettono che la razionalit della legge divina include eventi
momentanei irrazionali, ossia ingiusti o dolorosi, bench comunque positivi nel lungo
periodo in quanto mezzi necessari per raggiungere un maggior grado di razionalit.
Come antidoto allingiustizia e al dolore momentanei, essi propugnano il rifugio
nellinteriorit della mente, cio il libero esercizio del pensiero, che niente e nessuno pu
impedire e che immune alle sofferenze corporali. Sviluppando questo atteggiamento, gli
stoici praticano ladattamento alle convenzioni sociali e alle leggi statali come mera
rappresentazione teatrale, cio come finzione, affermando che lo stoico deve recitare il
suo ruolo sociale come un attore, cio mantenendo un completo distacco interiore dalla
parte recitata. In questo modo, gli stoici sono convinti che si possano accettare
impassibilmente anche le peggiori disgrazie.
Daltra parte, in condizioni di estrema e improduttiva sofferenza, gli stoici proclamano il
ricorso al suicidio.

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VITE DI CAPITANI
ZENONE, CLEANTE, CRISIPPO
La prima scuola stoica, cio lo stoicismo antico, ebbe tre maestri: Zenone, Cleante e
Crisippo.
Zenone, il fondatore, nacque a Cizio, sullisola di Cipro, intorno al 335 a.C. da genitori
fenici e si trasfer ad Atene poco pi che ventenne. Ci stato tramandato che in una bottega
di libri, ud leggere un passo dei Memorabili di Senofonte sul comportamento di Socrate.
Ammaliato, Zenone chiese dove poteva trovare uomini come Socrate e gli fu indicato il
cinico Cretete, di cui effettivamente si fece discepolo. Intorno al 300, Zenone apr la
propria scuola, collocata nella sto poikle (portico dipinto), il grande portico pubblico
vicino allagor (piazza centrale) ateniese. Anche con questa collocazione nel centro della
pi grande citt greca, Zenone si differenzi da Epicuro, che aveva scelto di vivere fuori
delle mura, e dai cinici, che vagabondavano senza fissa dimora.
Vittima di un male incurabile e doloroso, Zenone si diede volontariamente la morte nel 262
a.C. Nonostante fosse straniero, in onore alla sua filosofia, fu seppellito nel cimitero di
Atene, a spese della plis e con una cerimonia pubblica ufficiale.
Delle sue opere, andate tutte perdute, ci rimangono solo testimonianze indirette.
Cleante nacque a Asso, nella Troade. Una testimonianza ci ha tramandato che
inizialmente svolse lattivit di pugile. Trasferitosi ad Atene divenne allievo di Zenone e si
mantenne lavorando di notte come portatore dacqua. Alla morte di Zenone, Cleante gli
successe come caposcuola, ma volle continuare a lavorare per mantenersi. Nel 232, a 99
anni, decise di lasciarsi morire digiunando, a causa, sembra, di una grave ulcera.
Della sua opera ci rimangono 40 versi dellInno a Zeus, nel quale, in forma poetica, aveva
sintetizzato la filosofia stoica. Dei numerosi trattati che scrisse ci sono rimasti solo
frammenti e testimonianze.
Crisippo nacque a Soli, nei pressi di Tarso, sulla costa meridionale dellAnatolia, verso il
277. Forse in seguito a un dissesto economico, si trafer ad Atene dove fu prima allievo e
poi successore di Cleante. Mor tra il 208 e il 204. Ci stato tramandato che sarebbe morto
per le risate vedendo che il suo asino, cui aveva dato del vino, cercava di mangiare dei fichi.
Delle sue numerosissime opere, circa 700, ci rimangono solo alcuni frammenti.

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TAPPA 1
GLI STOICI: IL COSMO E MATERIA RAZIONALE E DIVINA
O pi glorioso degli immortali, sotto mille nomi sempre onnipotente,
Zeus, signore della natura, che con la legge governi ogni cosa,
Salve; perch sei tu che i mortali han diritto d'invocare.
Da te infatti siam nati, provvisti dell'imitazione che esercita la parola,
Soli tra tutti gli esseri che vivono e si muovono sulla terra;
Cos io ti celebrer e senza sosta canter la tua potenza.
E a te che tutto il nostro universo, girando attorno alla terra,
Obbedisce ovunque lo conduci, e volentieri subisce la tua forza;
Cos grande lo strumento che tieni tra le tue mani invitte,
Il fulmine a due punte, fiammeggiante, eterno.
Sotto i suoi colpi, tutto si rafferma;
Per suo mezzo reggi la Ragione universale, che attraverso tutte le cose
Circola, mista al grande astro e ai piccoli;
Grazie ad esso sei diventato cos grande ed eccoti re sovrano attraverso i
[tempi.
Senza di te, o Dio, non si fa niente sulla terra,
N nel divino etere del cielo, n nel mare,
Tranne che quel che ordiscono i malvagi nella loro follia.
Ma tu sai riportare gli estremi alla misura,
Ordinare quel che senz'ordine, e i tuoi nemici ti divengono amici.
Perch tu hai armonizzato cos bene insieme il bene e il male
Che vi per ogni cosa una sola Ragione eterna,
Quella che fuggono e abbandonano i perversi tra i mortali,
Disgraziati, che desiderano senza sosta il possesso dei (pretesi) beni,
E non badano alla legge universale di Dio, n l'ascoltano,
Mentre, se le obbedissero con intelligenza avrebbero una nobile vita;
Da se stessi si gettano, insensati, da un male all'altro;
Questi, spinti dall'ambizione, alla passione delle contese;
Quelli, volti al guadagno, senza alcun principio;
Altri, sfrenati nella licenza e nei piaceri del corpo,
(Insaziabili) vanno da un male all'altro
E fan di tutto perch succeda loro proprio il contrario di quel che desiderano.
Ah! Zeus, benefattore universale, dai cupi nembi, signore della folgore,
Salva gli uomini dalla loro funesta ignoranza;
Dissipa questa, o padre, lungi dalle loro anime; e concedi loro di scorgere
Il pensiero che ti guida per governare tutto con giustizia,
Affinch, onorati da te, ti rendiamo anche noi grande onore,

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Cantando continuamente le tue opere, come si conviene


A un mortale, poich n per gli uomini pi grande privilegio
N per gli di, di cantare per sempre, nella giustizia, la legge universale.
Cleante, Inno a Zeus
Come ben sai i nostri Stoici sostengono questo: in natura esistono due realt
dalle quali tutto deriva, la causa e la materia. La materia giace immobile,
come un essere pronto a ogni trasformazione, e per di per s sarebbe inerte
se qualcosa non la muovesse. Invece, la causa, cio la Ragione, d forma alla
materia e la trasforma in tutto ci che vuole, producendo a partire da essa gli
esseri pi diversi. Deve esistere, quindi, un ci da cui le cose si generano, e
un ci a causa di cui le cose si generano: questultimo la causa, il primo
la materia.
Seneca, Epistole, 106, 2

Secondo gli stoici, il cosmo una realt unicamente materiale organizzata, governata e
perennemente trasformata da una legge razionale unica, la Ragione. Infatti la materia che
costituisce ogni cosa possiede due aspetti, opposti ma complementari:
1) un aspetto passivo, irrazionale e informe che costituisce il sostrato ovvero la
consistenza fisica di ogni cosa;
2) un aspetto attivo, razionale e formativo che costituisce il principio dellorganizzazione
e del mutamento di ogni cosa.
Laspetto attivo, o Ragione, ulteriormente connotato dagli stoici come Soffio infuocato,
cio come una sorta di vento caldo. In questo modo gli stoici, pur ribadendone la natura
materiale, ne evidenziano la specificit, ovvero il carattere per cos dire microscopico, e
quindi impercettibile. In altre parole il Soffio consiste in una materia talmente sottile e
rarefatta da renderlo invisibile, impalpabile e imponderabile.

Il principio del cosmo, in senso proprio, il Soffio/Ragione. Il Soffio/Ragione infatti


eterno e, in origine, lunico essente, a uno stato puro, concentrato e indifferenziato. In
questo senso il Soffio/Ragione chiamato dagli stoici Dio, bench non sia da loro inteso
come una persona ma come una legge impersonale. Il cosmo, dunque, secondo gli stoici,
il prodotto della trasformazione di Dio/Soffio/Ragione. Una sua parte, infatti,
rarefacendosi ed espandendosi, diventa materia passiva. Poich la materia passiva

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infinitamente divisibile, il Soffio razionale e divino in grado di penetrarla e permearla


totalmente fino ad amalgamarsi completamente con essa.
In questo modo, il Soffio ordina e trasforma la materia passiva dal suo interno,
differenziandola innanzitutto nei quattro elementi naturali (terra, acqua, aria, fuoco) e poi
in tutte le cose individuali. Il passaggio dallunit omogenea alla molteplicit eterogenea,
per gli stoici, mediato dalle ragioni seminali, le parti unitarie del Dio/Soffio/Ragione,
che sono al contempo i principi generativo-organizzativi di tutte le specie di cose. Esse
infatti stabiliscono le proporzioni delle mescolanze dei 4 elementi che danno origine a ogni
tipo di essere naturale.
La compenetrazione totale di Dio/Soffio/Ragione e della materia passiva implica che
laspetto attivo e laspetto passivo della materia sono due facce della stessa medaglia, ossia
che essi sono ontologicamente una cosa sola e che il cosmo dunque essenzialmente
unitario e omogeneo. Da questo punto di vista, la distinzione tra Dio/Soffio/Ragione e
materia passiva ha un valore soltanto conoscitivo, cio solo unastrazione mentale
finalizzata alla comprensione scientifica della realt. Insomma, gli stoici sostengono un
rigoroso panteismo, cio pensano che Dio e cosmo/natura coincidano: ogni cosa dunque
una parte di Dio e Dio non altro che la totalit di tutte le cose.

Lespansione/trasformazione del Dio/Soffio/Ragione, affermano gli stoici, produce un


cosmo sferico e finito, oltre il quale c un vuoto infinito coincidente con il nulla. Poich gli
elementi naturali pi pesanti tendono al centro, questo occupato dalla Terra, composta
prevalentemente di terra e acqua. La Terra circondata dallaria e la restante parte del
cosmo, la regione celeste, composta unicamente di fuoco, lelemento naturale pi simile
al Soffio divino e razionale. In questo senso tutti gli astri (pianeti e stelle fisse) sono esseri
intelligenti e divini, cio divinit minori. Esse corrispondono agli dei politeistici
tradizionali, interpretati per filosoficamente come aspetti e articolazioni dellunico grande
Dio cosmico.
Secondo gli stoici, lalternanza di costruzione e distruzione, nascita e morte, espansione e
contrazione, una legge naturale che si manifesta in tutte le cose. Essa dunque una
propriet del Soffio divino e razionale. Pertanto, lintero cosmo, sostengono gli stoici, dopo
la sua generazione ed espansione, al termine del grande anno, destinato allesplosione e
alla contrazione. In altri termini, il cosmo torner alla sua condizione originaria, cio alla
concentrazione, alla purezza e alla totale omogeneit del Dio/Soffio/Ragione.

Ma cosa avverr dopo lesplosione e il ritorno alla condizione originaria? Tutto ricomincer
da capo, rispondono gli stoici. Insomma, allesplosione/contrazione del cosmo seguir una
sua nuova generazione/espansione fino a una nuova esplosione/contrazione e cos via in

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eterno. Soprattutto, per, secondo gli stoici, ogni nuova fase di generazione/espansione si
realizzer allo stesso modo di tutte quelle precedenti e successive. In altre parole ogni volta
si genereranno le stesse cose e si ripeteranno per filo e per segno gli stessi eventi. P.e.,
rinascer lo stesso Socrate, che comincer a chiedere a tutti gli ateniesi che cos ?, che
sar processato e infine morit bevendo la cicuta tra i suoi pi fedeli discepoli.
Ma come argomentano gli stoici la loro tesi dellinfinito ripetersi degli stessi avvenimenti?
Essi affermano innanzitutto che il cosmo e il suo divenire sono perfetti, in quanto sono
costituiti e governati dal Dio/Soffio/Ragione. Ci significa che il numero e la variet degli
esseri naturali e insieme il concatenarsi e il susseguirsi degli avvenimenti sono generati e
organizzati in modo tale da concorrere a un unico fine positivo, cio producono il massimo
bene. In questa prospettiva ogni cosa e ogni evento sono dominati da un destino
ineluttabile, ovvero sono necessari e immodificabili. Ma tale destino razionale, e come
tale non solo finalistico ma anche provvidenziale, ovvero si attua sempre in modo tale da
produrre alla fine il maggior bene possibile per ogni essere. Gli eventi negativi, in questo
senso, sono solo apparentemente tali, in quanto sono solo mezzi transitori per realizzare
un bene maggiore.
Dunque, tutti gli eventi cosmici devono ripetersi eternamente in quanto anche il minimo
cambiamento per gli stoici equivarrebbe a un peggioramento, cio sarebbe irrazionale.

Lordine finalistico necessario del cosmo si manifesta e al contempo si basa su un criterio


gerarchico. Ci significa che il regno minerale, il regno vegetale e il regno animale
costituiscono una scala gerarchica caratterizzata dal grado decrescente della materia
passiva e dal grado crescente di materia attiva, ovvero da un sempre maggiore livello di
organizzazione razionale. Alla gerarchia dei 3 regni corrisponde la gerarchia delle varie
specie allinterno di ognuno di essi. In questa prospettiva la specie umana rappresenta il
vertice dellordine gerarchico di tutte le specie del mondo terrestre.
La gerarchia cosmica si connette al finalismo in quanto questo consiste nel fatto che ogni
specie gerarchicamente inferiore finalizzata a quella superiore, cio ha come scopo
lesistenza di questultima. Dal momento che la specie umana occupa il primo posto della
gerarchia terrena, ci comporta che tutte le altre specie naturali siano finalizzate alla sua
esistenza. Il determinismo finalistico degli stoici ha dunque un carattere decisamente
antropocentrico. Lantropocentrismo stoico, tuttavia, trova un limite negli astri che, in
quanto divini, sono superiori alluomo.

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VIAGGI DI IERI&VIAGGI DI OGGI


LA COSMOLOGIA STOICA E LA FISICA CONTEMPORANEA
Ancor pi dei principi dei primi filosofi ionici, il concetto stoico di Soffio si avvicina al
concetto fisico contemporaneo di energia, segnatamente per quanto riguarda il principio
einsteiniano della reciproca trasformabilit della massa ( materia passiva) e
dellenergia ( materia attiva).
Ancor pi significativa lanalogia tra la cosmogonia stoica e la teoria del big bang e non
solo perch entrambe sostengono lorigine nel tempo delluniverso sulla base di un moto
espansivo. Infatti la teoria stoica dellesplosione/contrazione finale del cosmo
corrisponde a una delle tre ipotesi che i fisici contemporanei hanno elaborato a proposito
del futuro delluniverso, quella cosiddetta del big crunch. Secondo questa ipotesi
luniverso raggiunto un certo livello di espansione imploderebbe su se stesso a causa del
fatto che la forza gravitazionale attrattiva diverrebbe superiore a quella centrifuga
espansiva derivata dal big bang. Le altre due ipotesi prevedono invece o che continui a
espandersi allinfinito, disperdendosi nello spazio, o che raggiunga un equilibrio e si
stabilizzi.
Attualmente, per, questultima lipotesi di decorso futuro pi accreditata.

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TAPPA 2
GLI STOICI: LA FELICITA E LIMPASSIBILITA
Per questo motivo il fine costituito dal vivere secondo natura, cio secondo
la natura singola e la natura delluniverso, nulla operando di ci che suole
proibire la legge a tutti comune, che identica alla retta ragione diffusa per
tutto luniverso ed identica anche a Zeus, guida e capo delluniverso. Ed in
ci consiste la virt delluomo felice e il facile corso della vita, quando tutte le
azioni compiute mostrino il perfetto accordo del demone che in ciascuno di
noi col volere del signore delluniverso.
Diogene Laerzio, Vite dei filosofi, libro VII
Gli Stoici proclamano la comunanza delle donne tra i sapienti, s che ogni
uomo possa avere relazione con ogni donna [...]. Ameremo cos tutti i bambini
di uguale amore paterno e avr fine la gelosia derivata dalladulterio.
Diogene Laerzio, Vite dei filosofi, Laterza, 1976
Secondo gli stoici tutto il cosmo permeato e guidato da Dio/Soffio/Ragione. Per essi
dunque natura e ragione, leggi naturali e leggi razionali coincidono. In altri termini la
natura in s stessa razionale. Da questo punto di vista, per gli stoici qualsiasi essere si
comporta bene quando segue la natura, cio quando agisce in base al principio
natural/razionale dell appropriazione. Con questo concetto gli stoici intendono al tempo
stesso:
lagire che si conforma alla natura cosmica, cio a Dio/Soffio/Ragione;
lagire che realizza effettivamente la natura propria di ogni essere, come specie e
come singolo.
Questi due aspetti dellappropriazione, quello individuale e quello universale, sono
condizione e insieme conseguenza luno dellaltro. In altre parole, lappropriazione, in
generale, la tendenza di ogni cosa a conservarsi e accrescersi in rapporto allambiente di
cui parte. Tale rapporto comporta sia un adattamento passivo, cio un conformarsi agli
elementi e alle leggi dellambiente, sia un adattamento attivo, cio un utilizzo/sfruttamento
dellambiente. Il primo condizione del secondo.

Il principio comportamentale dellappropriazione si declina nelle specifiche leggi naturali


di ogni regno e di ogni specie di esseri. P.e., negli animali lappropriazione si manifesta e si

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attua nella modalit dellistinto. Da questo punto di vista, la specie umana si differenzia da
tutte le altre perch in essa lappropriazione si realizza in modo coscientemente razionale.
La natura peculiare delluomo infatti coincide con la sua intelligenza e pertanto
appropriarsi di s stesso per lindividuo umano significa appropriarsi innanzitutto e
soprattutto della sua intelligenza. La condizione generale perch luomo possa appropriarsi
della sua intelligenza lappropriarsi, cio il rendersi conforme, alla ragione universale,
cio al destino. In altre parole luomo deve far coincidere la propria ragione individuale con
la ragione universale che governa tutte le cose e tutti gli eventi.
Per chiarire questa loro concezione, gli stoici utilizzano lallegoria di un cane legato a un
carro in movimento. Il cane pu muoversi volontariamente nella stessa direzione del carro,
oppure pu cercare di muoversi in altre direzioni piuttosto che rimanere inerte. Qualunque
cosa faccia si muover comunque nella direzione imboccata dal carro. Nel primo caso per
star bene, nel secondo soffrir o addirittura morir. E appena il caso di precisare che il
carro rappresenta il destino e insieme la natura/ragione, mentre il cane luomo e pi in
generale ogni essere naturale. Lallegoria del carro e del cane sintetizzata da Seneca nella
massima il destino accompagna chi lo vuole, trascina chi gli si oppone (Ducunt volentem
fata, nolentem trahunt). Lindicazione pratica conseguente che ogni uomo deve
comprendere con la sua ragione quale sia il corso del destino e scegliere di assecondarlo,
cio di contribuire alla sua attuazione. Insomma la libert umana per gli stoici consiste
nelladerire volontariamente e attivamente al destino.

Su queste basi, a giudizio degli stoici lappropriazione umana si realizza in due modi
fondamentali:
1) il vizio;
2) la virt.
Vizio e virt rappresentano rispettivamente il minimo e il massimo grado di
appropriazione. Il vizio consiste nel comportamento irrazionale, cio nel comportamento
che non si basa sulla ragione individuale e non si conforma alla Ragione universale. Il
comportamento vizioso infatti guidato dalle passioni, cio dalle emozioni istintive che
luomo appunto patisce, ossia subisce passivamente, in quanto implicano la rinuncia
alluso della ragione e quindi alla libera scelta volontaria. In parole semplici le passioni
rendono luomo schiavo, o burattino, dei suoi istinti e quindi luomo vizioso o malvagio
luomo che si comporta meccanicamente e sotto coercizione. Al tempo stesso lazione
viziosa o malvagia quella pi erronea e inefficace, ovvero quella che conduce prima o poi
allinfelicit.
La virt, cio lappropriazione massima, coincide invece con luso e lattuazione della
razionalit, cio con il comportamento pi razionale. In questo senso la virt coincide con
limpassibilit, cio con uno stato danimo lucidamente sereno perch non offuscato n
agitato da alcuna passione. Il comportamento virtuoso dunque lunico comportamento

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davvero libero, dal momento che si basa sulla scelta consapevole e volontaria della ragione
che sottrae luomo alla schiavit nei confronti delle passioni. Esso al contempo il
comportamento pi efficace, cio quello capace di garantire alluomo la felicit.

Queste definizioni generali della virt e del vizio, nello specifico, portano gli stoici ad
accogliere le virt filosofiche tradizionali (prudenza, moderazione, giustizia, coraggio, ecc.)
e a respingere i vizi filosofici tradizionali (vilt, ingiustizia, intemperanza, spericolatezza,
ecc.), a cui, tuttavia, aggiungono la compassione, lumilt e lamore (cui contrappongono la
virt dellamicizia).
Tra i comportamenti virtuosi e quelli viziosi esiste, per, secondo gli stoici, una terza specie
intermedia di comportamenti che sono eticamente neutri, cio di per s n viziosi n
virtuosi. Tali comportamenti sono quelli relativi alle diverse condizioni materiali possibili,
p.e. la salute e la malattia, la ricchezza e la povert, ecc. Tutte le condizioni materiali,
affermano gli stoici, sono eticamente indifferenti, nel senso che la scelta tra virt e vizio
non dipende da esse. In altre parole pu esserci un vizioso povero tanto quanto un vizioso
ricco, cos come un virtuoso malato tanto quanto in perfetta salute fisica.
Tuttavia, una volta stabilito che luomo pu e deve essere virtuoso quali che siano le sue
condizioni materiali, gli stoici sostengono anche che beni indifferenti quali la bellezza, la
forza, la ricchezza, la salute, la fama, il piacere, la nobilt sono da preferire; mentre
indifferenti quali la bruttezza, la debolezza, la povert, la malattia, il dolore, il disonore, la
volgarit sono da evitare. Di conseguenza, gli stoici chiamano convenienti i
comportamenti volti a conseguire, conservare e accrescere gli indifferenti preferibili e
sconvenienti i comportamenti opposti. Tra i comportamenti convenienti gli stoici
annoverano anche e innanzitutto i doveri sociali e politici, cio amare i genitori e la patria,
obbedire alle leggi, svolgere le proprie funzioni civiche, ecc. In questo senso, letica stoica si
caratterizza come unetica del dovere (contrapposta alletica del piacere epicurea e alletica
della licenza cinica).

Lideale etico degli stoici rappresentato dalla figura del saggio, cio delluomo
stabilmente virtuoso che agisce sempre perfettamente. Il saggio gode della massima felicit
in quanto la felicit , per cos dire, una propriet intrinseca della virt. In altre parole la
virt condizione necessaria e sufficiente della felicit. Ci comporta, da un lato, che la
felicit non pu essere conquistata se non grazie alla virt; dallaltro, che il comportamento
virtuoso non ha bisogno di alcun premio n terreno n ultraterreno. Naturalmente ci vale
anche, simmetricamente, per il vizio: esso la punizione di se stesso, in quanto procura
linfelicit, e dunque non c bisogno per punire il malvagio di alcun castigo n umano n
divino.

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Nella loro valorizzazione della virt, gli stoici giungono ad affermare che il saggio gode di
una condizione divina. Dio, infatti, razionale, impassibile e libero, e quindi felice, non pi
di quanto possa esserlo un uomo che raggiunga la virt perfetta.

Gli stoici stabiliscono una netta linea di demarcazione tra i pochi uomini saggi e la
maggioranza degli uomini stolti. In questo senso essi sostengono una sorta di elitarismo
intellettuale ed etico che ha il suo rovescio nello sprezzo delluomo comune. Tuttavia gli
stoici sono i primi filosofi a sostenere apertamente e totalmente che tutti gli uomini
possono diventare saggi indipendentemente da ogni differenza di classe, di razza e di
nazionalit. Insomma per gli stoici possibile che uno schiavo barbaro sia saggio e dunque
che egli sia il vero nobile mentre il suo padrone il vero schiavo.
Il fondamento di questa rivoluzionaria tesi la natura uniforme della specie umana, dalla
quale consegue non solo che tutti gli uomini sono dotati della stessa capacit razionale ma
anche che esiste una legge naturale universale che spinge tutti gli uomini ad unirsi
socialmente e politicamente. In questo senso gli stoici si sentivano e si dichiaravano, prima
ancora e pi che cittadini di uno stato storico, cittadini del mondo e anzi del cosmo intero,
dal momento che anche gli dei sono accomunati agli uomini dalla stessa legge naturale.

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TAPPA 3
GLI STOICI: IL RAGIONAMENTO DEVE ESSERE PROPOSIZIONALE
Dicono gli Stoici che alla nascita dellessere umano la parte direttiva [la
ragione] della sua anima come una pergamena ben disposta ad essere
impressa dalla scrittura, e in essa viene segnata di volta in volta ogni nozione.
La prima forma di tale scrittura la sensazione.
Aezio, Placita, libro IV, 11
Zenone questa stessa cosa la rappresentava con gesti. Mostrando
allinterlocutore in faccia la mano aperta con le dita tese, diceva: La
rappresentazione cos. Poi, contraendo un poco le dita: Lassenso cos.
Stretta poi la mano a pugno, diceva: Questa la comprensione: e proprio da
questo paragone fu indotto a dare a questa un nome che prima non esisteva,
katlepsis. Accostata poi alla destra la sinistra, e con questa afferrato
fortemente e compresso ad arte il pugno chiuso, diceva che quella era la
scienza, e che era cosa tale che nessuno, fuorch il sapiente, poteva
rendersene padrone.
Cicerone, Academica priora, libro II, 144
Dicevano che vi sono tre cose strettamente collegate luna con laltra, il
significato, il significante, loggetto vero e proprio: significante
lespressione, per esempio il nome Dione; significato la realt che esso
indica e di cui noi abbiamo comprensione come di qualcosa che si pone di
fronte al nostro pensiero (i barbari non lo afferrano, pur intendendo il suono
materiale della voce); loggetto ci che esterno al pensiero, in questo caso,
per esempio, Dione in carne ed ossa. Di queste cose, due sono corporee,
lespressione vocale e loggetto; una, la realt significata, invece incorporea,
e prende appunto il nome di significato.
Sesto Empirico, Adversus logicus, libro II, 11
La dimostrazione, essi dicono, un ragionamento che, attraverso premesse
convenute, per via deduttiva rivela una conclusione non evidente. Ci che
intendono dire risulter pi chiaro da quanto segue. Ragionamento un
insieme composto di premesse e conclusione. Si dicono premesse di esso le
proposizioni assunte di comune accordo per stabilire la conclusione;
conclusione, invece, la proposizione stabilita a partire dalle premesse. Per
esempio in questo ragionamento: Se giorno, c luce; ma giorno, dunque

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c luce, la parte dunque c luce la conclusione, mentre le altre sono


premesse.
Sesto Empirico, Schizzi pirroniani, libro II, 135

Secondo gli stoici, come abbiamo visto, il requisito essenziale della felicit limpassibilit,
cio un comportamento per nulla influenzato dalle emozioni ma dettato unicamente dalla
ragione. Solo lesercizio della propria ragione, infatti, d alluomo la capacit di
comprendere la Ragione cosmica il Pneuma-Dio di tutte le cose e quindi gli permette di
conformare le proprie azioni ad essa, stante che la felicit consiste proprio nella sintonia
tra lagire individuale e la Legge razionale che permea e governa tutta la realt.
Ma lesercizio della ragione altro non che la ricerca conoscitiva, ossia la scienza. Pertanto,
lattivit scientifica per gli Stoici, da un lato, lo strumento fondamentale per raggiungere
il fine etico della felicit, dallaltro in se stessa suo conseguimento, in quanto il suo
svolgimento infonde gi di per s felicit. Data questa prospettiva, gli stoici si impegnano a
fondo nellelaborazione della Logica, intesa in senso lato come teoria della conoscenza e,
stricto sensu, del linguaggio e del ragionamento (o argomentazione).

Il soggetto della conoscenza, sostengono gli stoici, lanima (psych=respiro). Essa


materiale come il resto del corpo ma di una materialit diversa da quella corporea, in
quanto uguale a quella finissima del Pneuma, ed articolata in otto parti cui
corrispondono altrettante funzioni: generante, tattile, odorante, gustante, udente, vedente,
parlante e pensante. In particolare, la parte pensante dellanima, cio la mente o
autocoscienza razionale, chiamata dagli stoici egemonico, in quanto quella che dirige
e unifica tutte le altre. In questo senso, legemonico in primo luogo percepisce, cio si
rende coscienti le sensazioni colte dai cinque sensi; in secondo luogo, d il suo assenso alle
percezioni, discriminando tra quelle vere e quelle false; in terzo luogo, decide le azioni
corporee; e infine ragiona, cio elabora le percezioni vere producendo conoscenza.
In ogni sua funzione, lanima interagisce col corpo. Senza questa interazione essa non
potrebbe sentire, percepire, assentire, decidere, ragionare e generare. Questo, per gli stoici,
largomento decisivo a favore della materialit dellanima: se essa infatti fosse
immateriale non potrebbe interagire con il corpo e quindi non potrebbe svolgere le sue
funzioni. In altri termini, solo il comune denominatore materiale di anima e corpo
permette la loro indispensabile comunicazione.

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Secondo gli stoici, ma solo in prima approssimazione, alla nascita la mente umana come
un foglio bianco che in seguito viene sempre pi scritto a causa delle sensazioni. Dunque
per gli stoici la sensibilit condizione necessaria della conoscenza. Ma non sufficiente. Le
sensazioni, infatti, sono solo lavvio del processo conoscitivo. Per esemplificarlo, gli stoici
ricorrono a unaltra similitudine, quella di una mano con le dita tese che poi si incurvano
fino a chiudersi nel pugno che infine viene avvolto e stretto dallaltra mano. Lanalogia
gestuale indica che il processo conoscitivo consta di quattro momenti/operazioni:
1. la mano aperta rappresenta la sensazione, intesa come limpronta che loggetto
esterno produce sul corpo, e che viene immediatamente percepita dalla mente, cio
trasformata in rappresentazione (o immagine) mentale cosciente (che la memoria
pu conservare);
2. la mano semichiusa rappresenta lassenso che la mente pu accordare o non
accordare alla rappresentazione a seconda che la giudichi vera o falsa;
3. la mano chiusa a pugno corrisponde alla rappresentazione apprensiva, cio
allapprendimento effettivo (anzich allignoranza), allincameramento mentale, del
contenuto conoscitivo della sensazione che ha ricevuto lassenso, ossia che stata
giudicata vera;
4. lunione di entrambe le mani rappresenta la scienza, intesa come accumulo ma
anche e soprattutto concatenamento, ovvero ordinamento, di rappresentazioni
apprensive.

Superficialmente, la teoria della conoscenza stoica si potrebbe classificare come


sensismo, dal momento che si fonda sulla sensazione. Ma, come si visto, non tutte le
sensazioni, secondo gli stoici, sono fonte di conoscenza. In altre parole, gli stoici sono
consapevoli del carattere ingannevole di molte sensazioni (p.e. i miraggi, ma anche il
semplice movimento del Sole). E infatti, per gli stoici, loperazione conoscitiva preliminare
la selezione delle sensazioni vere, cio reali, oggettive, effettivamente esistenti, sulla base
dellassenso/dissenso della mente.
In questa cornice, il problema cruciale diventa il criterio dellassenso. In altri termini, qual
il metro in base al quale la mente pu giudicare una rappresentazione vera piuttosto che
falsa? Gli stoici rispondono: levidenza, ossia lintuizione immediata e indubitabile, e
quindi del tutto persuasiva, della verit di qualcosa (p.e. della levigatezza di un tavolo). Ma
si tratta di unevidenza oggettiva, cio imposta alla mente dalla sensazione stessa, o
soggettiva, cio stabilita e quindi scelta dalla mente? In altri termini, levidenza per gli
stoici una propriet della sensazione o un criterio della mente? La risposta sia luna sia
laltra, o meglio lunione/corrispondenza delluna e dellaltra. Non bisogna dimenticare,
infatti, che per gli stoici tutte le cose sono pervase dal Pneuma-Ragione e che la mente

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umana una parte del Pneuma-Ragione. Dunque la mente umana non pu non avere una
capacit autonoma di riconoscimento del vero, a maggior ragione perch essa solo
materia attiva e razionale, al contrario dei corpi, fonti delle sensazioni, che sono un misto
di materia passiva e irrazionale e di materia attiva e razionale.

Dunque, se di sensismo si pu parlare, a proposito della teoria della conoscenza stoica, si


tratta di un sensismo sofisticato, di un razionalsensismo. Questa classificazione ibrida
confermata dal fatto che, secondo gli stoici, il risultato finale del processo conoscitivo
cio la scienza non soltanto e tanto accumulo di singole rappresentazioni apprensive
derivate da sensazioni vere.
La scienza, per gli stoici, costituita anche e soprattutto da rappresentazioni intellettive
universali, ossia da concetti. In questo modo, gli stoici sostengono che la conoscenza
sensibile non fine a se stessa ma il mezzo per costruire una conoscenza razionale, cio
logico-concettuale. Addirittura, in questo senso, essi affermano che i prodotti della
conoscenza razionale, cio i concetti, sono qualcosa di assolutamente immateriale. Ma
allora in cosa consistono i concetti e qual la loro genesi?

La concezione del concetto degli stoici strettamente legata alla loro teoria del linguaggio,
secondo la quale il linguaggio costituito da tre elementi fondamentali:
1. il significante, cio un insieme di suoni o di segni grafici, ovvero una parola detta
o scritta, p.e. cavallo, che ha la funzione di contrassegnare e comunicare un
determinato significato;
2. il significato, cio il concetto, ovvero il contenuto mentale universale, che il
significante designa, p.e. mammifero quadrupede che nitrisce;
3. la cosa reale individuale ovvero una singola rappresentazione apprensiva cui
il significato/concetto si riferisce, p.e. un singolo cavallo corporeo, come
Bucefalo.
Lenunciato Bucefalo un cavallo, secondo gli stoici, una conoscenza razionale in
quanto contiene i tre elementi sopra definiti. Questo significa che la conoscenza razionale
per gli stoici coincide con il linguaggio, o quantomeno con luso rigoroso e quindi veritiero
del linguaggio, ossia con il linguaggio scientifico. Ma la dottrina stoica del significato
spiega anche e soprattutto la natura dei concetti. Dal momento che le cose reali, ossia
fisiche, sono sempre individuali, i concetti, in quanto sono universali, non sono cose reali,
ma espressioni, cio costruzioni linguistiche, ossia dei prodotti artificiali della mente.
Ma in che modo la mente costruisce i concetti, ovvero il linguaggio scientifico? Attraverso
operazioni mentali di confronto, scombinazione e ricombinazione delle rappresentazioni
apprensive, rispondono gli stoici, confermando cos che per loro la mente umana non

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solo un foglio bianco scritto dalle sensazioni, ma anche un elaboratore attivo delle
sensazioni, necessariamente dotato pertanto di criteri autonomi di elaborazione.

Lattivit e la produttivit della mente, secondo gli stoici, raggiungono il massimo livello
nei ragionamenti, che costituiscono il traguardo e il vertice della scienza. Dunque la
scienza, per gli stoici, parte dalle sensazioni vere (o rappresentazioni apprensive) per
utilizzarle come elementi di base per la costruzione di concetti con i quali produrre
ragionamenti le cui conclusioni costituiscono la conoscenza vera e propria.
Di conseguenza, gli stoici dedicano grande attenzione alla teoria dei ragionamenti, da essi
denominata dialettica. La loro prima novit in questo senso che il ragionamento deve
essere inteso e condotto come una connessione di proposizioni, anzich di termini. La
realt naturale, infatti, non un insieme di cose separate e statiche, ma un processo, cio
un sistema di eventi correlati. Mentre i termini si riferiscono alle cose, le proposizioni i
cui elementi decisivi sono i verbi, cio le parole che designano le azioni corrispondono
agli eventi. Pertanto, concludono gli stoici, solo i ragionamenti proposizionali ci
permettono di conoscere scientificamente la realt.
In secondo luogo, gli stoici distinguono due tipi di ragionamenti proposizionali:
quelli ipotetici, basati su una premessa se p allora q (Se piove, allora si formano
pozzanghere);
quelli disgiuntivi, basati su una premessa o p o q (O piove o nevica), nella quale
ognuno dei due eventi esclude laltro.
Fatta questa distinzione, il nucleo della dialettica stoica consiste nello stabilire la
concludenza dei ragionamenti, ovvero la loro validit. A tal fine, gli stoici individuano
cinque modelli due ipotetici e tre disgiuntivi di ragionamenti validi:
1. Se p allora q; ma p, dunque q (Se piove ci sono nuvole; ma piove, dunque ci sono
nuvole).
2. Se p allora q; ma non q, dunque non p (Se piove ci sono nuvole; ma non ci sono
nuvole, dunque non piove).
3. Non sia p sia q; ma p dunque non q (Non si pu nuotare e rimanere asciutti; ma lui
nuota, dunque non asciutto).
4. O p o q; ma p dunque non q (O giorno o notte; ma giorno, dunque non notte).
5. O p o q; ma non q, dunque p (O giorno o notte; ma non notte, dunque
giorno).
Dai primi due modelli si ricava che i ragionamenti ipotetici sono quelli basati su
unimplicazione (pq), ossia su una correlazione non reversibile (a differenza di quella di
equivalenza p q), e che essi sono validi solo in due casi: quando allaffermazione
dellantecedente (p) segue laffermazione del conseguente (q) e quando alla negazione del

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conseguente segue la negazione dellantecedente. Nei casi contrari le conclusioni sono


invalide (Ci sono le nuvole, dunque piove , Non piove, dunque non ci sono le nuvole).

Una volta che sia valido, secondo gli stoici, un ragionamento anche vero quando le sue
premesse sono vere, cio si basano su rappresentazioni apprensive. Ma gli stoici non si
accontentano di garantirsi la verit in generale, ma vogliono raggiungere soprattutto la
verit scientifica, che per loro consiste nellindividuazione delle cause dei fenomeni
naturali. In questo senso, gli stoici chiamano i ragionamenti scientifici dimostrativi,
appunto in quanto sono quelli che dimostrano le cause effettive degli eventi. E nei
ragionamenti dimostrativi che la forma ipotetica (se p allora q) appare quella pi adeguata
a codificare e cos a conoscere i rapporti reali di causa ed effetto. Essi possono essere di tre
tipi, a seconda che la conclusione valga per il presente, il passato o il futuro:
1. Se c fumo nel bosco, allora c un incendio; ma c fumo nel bosco, dunque c un
incendio.
2. Se una donna ha latte nel seno, allora ha partorito; ma questa donna ha latte nel
seno, dunque ha partorito.
3. Se la pressione si alza, verr il bel tempo; ma la pressione si sta alzando, dunque
verr il bel tempo.
Questultimo esempio, quello di ragionamento dimostrativo relativo al futuro, assume per
gli stoici un valore particolare perch rende la scienza capace di previsione, permettendo
agli uomini di prepararsi nel migliore dei modi agli eventi futuri, sfruttandone al massimo i
vantaggi o diminuendone il pi possibile i danni, e, pi ingenerale, consentendo loro di
sintonizzarsi al massimo grado con il corso razionale del Destino, condizione necessaria e
sufficiente per godere della felicit.

Infine, gli stoici valorizzano la riflessione logica sui paradossi, ovvero su proposizioni
autocontraddittorie scoperte da altri filosofi (soprattutto da Eubulide di Megara). I due
casi pi interessanti sono i seguenti:
Il paradosso del Mentitore: Epimenide il cretese afferma: Tutti i cretesi mentono.
Laffermazione di Epimenide non pu essere giudicata n vera n falsa perch
appare sia vera sia falsa: infatti, se la consideriamo vera allora Epimenide, essendo
cretese, deve aver mentito, quindi la sua affermazione falsa; ma anche se la
consideriamo falsa, allora Epimenide ha mentito, dunque, essendo cretese, la sua
affermazione vera.
Il dilemma del coccodrillo: un coccodrillo ghermisce un bimbo, la mamma se ne
accorge e lo prega di ridarglielo, il coccodrillo allora le promette che glielo ridar
solo se la mamma indoviner se lui accetter oppure no la sua richiesta; poich la

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mamma gli risponde che avrebbe mangiato il suo bimbo, il coccodrillo le replica che
non poteva darle il figlio in quanto in tal caso lei non avrebbe indovinato le sue
intenzioni e dunque lui non era tenuto a soddisfare la sua richiesta, ma a sua volta la
mamma controbatte che lui non poteva divorare suo figlio perch in tal caso lei
avrebbe indovinato le sue intenzioni e lui pertanto avrebbe dovuto restituirle il
figlio.
In entrambi i casi (il secondo una variante elaborata del primo), il problema logico
consiste nel fatto che una proposizione pu implicare due conseguenze logiche tra loro
contraddittorie senza che sia possibile stabilire quale tra le due sia quella valida. Di pi,
ognuna delle due conseguenze implica la verit dellaltra che per contraddice la prima,
cio ne attesta la falsit. In altre parole, questi due paradossi violano la regola logica dei
ragionamenti disgiuntivi, secondo la quale se vero p allora q falso e viceversa, in quanto
in tal caso sia p sia q sono entrambi sia veri sia falsi. Ma tale regola altro non che quella
del principio di non-contraddizione. Dunque i paradossi logici sembrano mettere in dubbio
il fondamento stesso della logica, e quindi della conoscenza umana, attestandone la
limitatezza e la fallibilit. Ma gli stoici li considerano invece dei problemi che si possono
risolvere e che stimolano la ricerca di regole logiche pi profonde e pi complesse.

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VIAGGI DI IERI&VIAGGI DI OGGI


I PARADOSSI NELLA LOGICA CONTEMPORANEA
Nel 900, il paradosso del Mentitore venne riscoperto, in versione logico-formale, da
Bertrand Russell (1872-1970). Perseguendo il suo programma di fondazione logica della
matematica come sistema assiomatico-deduttivo, Russell scopr una contraddizione che
colpiva proprio il principio fondamentale della sua costruzione logico-matematica,
ovvero il concetto di classe (un insieme di elementi). Esso implica che ci sia una classe
di classi. Questa una classe che riunisce altre classi come propri elementi: per esempio
la classe mammiferi in quanto unifica le classi primati, felini, canini, ecc. In questo senso,
secondo Russell, alcune classi sembra possano includere se stesse tra i propri elementi,
altre no. Per esempio la classe tutto deve contenere se stessa altrimenti non sarebbe
completa. Invece la classe mammifero non necessario che contenga se stessa come
proprio elemento.
Su queste basi, Russell individua una classe particolare, definita come la classe che
raccoglie le classi che non contengono se stesse come propri elementi. Il problema :
questa classe contiene o non contiene se stessa come proprio elemento? Entrambe le
risposte possibili a questa domanda si dimostrano contraddittorie rispetto alla
definizione di partenza . Infatti: se si risponde s, allora la classe contiene se stessa: ma
ci comporta che essa contenga una classe che contiene se stessa; se si risponde no, allora
la classe non contiene se stessa: ma ci comporta che essa non contenga tutte le classi che
non contengono se stesse.
Russell fornisce anche una versione semplificata e pi gradevole del suo paradosso,
immaginando un villaggio in cui risiede un unico barbiere che rade solamente i residenti
che non si radono da soli. Il problema in questo caso : chi rade il barbiere? Entrambe le
soluzioni possibili sono ugualmente contraddittorie rispetto alla premessa.
Pochi anni dopo, riprendendo e applicando il paradosso del Mentitore alla logica
matematica, Kurt Gdel (1906-1978) nel 1931 scopr i due Teoremi di incompletezza,
validi per tutti i sistemi assiomatico-deduttivi (la matematica pu essere considerata un
sistema assiomatico-deduttivo), i cui requisiti fondamentali erano stati individuati nella
coerenza (ossia, la non-contraddittoriet) e nella completezza (ossia, la dimostrazione
totale) di tutti i suoi enunciati.
Secondo il primo Teorema di incompletezza, ogni sistema assiomatico-deduttivo contiene
un enunciato indecidibile, ovvero un enunciato n dimostrabile come vero n confutabile
come falso. Si tratta dellenunciato Questo enunciato non dimostrabile. Infatti, tale
enunciato se fosse dimostrabile sarebbe falso, e quindi il sistema sarebbe incoerente
(conterrebbe una contraddizione); se non fosse dimostrabile sarebbe vero, ma allora la
sua verit non sarebbe dimostrabile dal sistema, che dunque risulterebbe incompleto.
Il secondo Teorema di incompletezza un corollario del primo. Esso afferma che un
sistema assiomatico-deduttivo non pu dimostrare la propria coerenza. Infatti, poich

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contiene almeno un enunciato indecidibile (Questo enunciato non dimostrabile), non


possibile stabilire se esso coerente o contraddittorio rispetto agli assiomi del sistema
stesso.
Tuttavia, Gdel stesso chiar che i suoi due teoremi non confutavano la completezza e la
coerenza della matematica, ma solo della matematica interpretata come sistema
assiomatico-deduttivo. Dunque i Teoremi di incompletezza, furono pensati e proposti da
Gdel per confutare la fondazione formalistica della matematica e sostenerne la
fondazione alternativa, cio quella idealistica. Per Gdel, infatti, la matematica si fonda,
come per Platone, sullintuizione razionale degli oggetti matematici, che sono idee
immutabili realmente esistenti.
Nellambito della logica, una possibile soluzione del paradosso del mentitore stata
proposta da Alfred Tarski (1902-1983), il quale, sviluppando unidea di Russell, sostenne
che i paradossi contengono un errore logico, quello dellautoreferenzialit. In altre
parole, per Tarski una regola logica che un enunciato non possa mai riferirsi a se
stesso. P.e. lenunciato Io sto mentendo pu riferirsi solo ad altri enunciati precedenti o
successivi (p.e. Io non ero a Roma il 12 aprile del 2012) ma non a se stesso, per cui esso
attesta che effettivamente le cose che sto dicendo sono false. Analogamente, se Epimenide
il cretese dice Tutti i cretesi mentono, laffermazione non riguarda anche Epimenide e
dunque non risulta autocontraddittoria. In questo senso Tarski stabilisce che la logica
deve includere una distinzione tra due livelli logici, da lui chiamati il linguaggiooggetto e il metalinguaggio. Per verificare se un enunciato, p.e. Io sto mentendo,
vero o falso necessario considerarlo come loggetto di un enunciato di livello superiore
(metalinguaggio), p.e. Io sto mentendo falsa perch quello che sto dicendo vero.;
Oppure Io sto mentendo vera perch quello che sto dicendo falso.
Per saperne di pi: Francesco Berto, Tutti pazzi per Gdel, Laterza 2008.

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LO SCRIGNO
LEON LEDERMAN: LEFFETTO TUNNEL
Un altro fenomeno controintuitivo leffetto tunnel. Abbiamo gi parlato
della possibilit di scagliare degli elettroni contro una barriera denergia.
Lanalogo classico il far rotolare una pallina su per un pendio. Se date alla
pallina una spinta iniziale sufficiente, essa riuscir ad andare oltre la
sommit. Se lenergia iniziale troppo debole, la pallina torner indietro. [...]
Descrivendo quello che succede agli elettroni scagliati contro una barriera
energetica o a un elettrone intrappolato fra due barriere, invece, dobbiamo
usare onde di probabilit. Succede che qualcuna delle onde possa sgusciare
attraverso la barriera (nei sistemi atomici o nucleari la barriera elettrica
oppure uninterazione forte), e perci c una probabilit finita che la
particella si liberi dalla trappola.
L. Lederman, La particella di Dio, Mondadori 1996, pp. 195-196
NORMAN DOIDGE: ECCITAZIONE E APPAGAMENTO
La pornografia pi eccitante che appagante, poich nel cervello abbiamo due
distinti sistemi del piacere, uno che ha a che fare con leccitazione, e un altro
che regola la soddisfazione del piacere. Il sistema delleccitazione in
relazione con il piacere appetitivo che proviamo immaginando qualcosa che
desideriamo, che si tratti di sesso o di un pasto gustoso. Dal punto di vista
neurochimico, questo sistema ampiamente connesso con la dopamina e
aumenta il nostro livello di tensione. Il secondo sistema del piacere ha a che
fare con la gratificazione, o piacere consumatorio, il quale accompagna
unesperienza sessuale concreta o la consumazione di un pasto gustoso,
quindi un piacere rilassante e appagante. Dal punto di vista neurochimico,
questo sistema si basa sul rilascio delle endorfine, sostanze oppiacee che
danno un senso di profonda rilassatezza e benessere.
N. Doidge, Il cervello infinito, Ponte delle Grazie, 2007 (2007), pp. 121-122
VITO MANCUSO: LENERGIA CONTIENE UN PRINCIPIO ORDINATORE
IMPERSONALE
La sede del divino dentro ogni cosa, dentro ogni ente naturale, dentro ogni
fenomeno ordinato. Se lessere energia, come insegna la fisica, e se lenergia
produce fenomeni ordinati, come attestano i nostri sensi, ci significa che

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lenergia abitata da una forma orientata allordine, mossa da una logica


che la porta verso livelli sempre pi complessi di organizzazione. [...]
Il mondo governato, e lo dimostra la progressiva crescita
dellorganizzazione [...] ma governato da un principio ordinatore
impersonale, il che costituisce lunica garanzia perch la libert, il vero scopo
della creazione, possa essere effettivamente reale. Proprio perch il fine del
mondo la generazione dello spirito, il mondo deve essere libero, ma non c
modo di garantire la libert se non mediante ci che io chiamo principio
ordinatore impersonale, il quale nella Bibbia noto [] come sapienza,
presso i cinesi come tao, presso gli antichi egizi come maat, presso i Greci
come logos, presso gli ind e i buddisti come dharma.
C. Augias e V. Mancuso, Disputa su Dio, Mondadori 2009, p. 230 e p. 145

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ROTTA SU
LA FELICITA COME ACCETTAZIONE DEL NON-SENSO DELLA VITA:
LO SCETTICISMO
Riprendendo il relativismo conoscitivo ed etico dei sofisti (che da questo punto di vista si
possono considerare, degli scettici ante litteram) e soprattutto del pi radicale dei
sofisti, cio Gorgia gli scettici incardinano la loro proposta etica sulla tesi
dellinesistenza di qualsiasi ordine razionale della realt e della conseguente impossibilit
per luomo di possedere qualsivoglia verit.
Essi, pertanto, a livello teorico-metafisico, rigettano qualsiasi ricerca e qualsiasi
discussione; e a livello pratico, propugnano lindifferenza, ossia un atteggiamento basato
sulla convinzione che qualsiasi condizione di vita va accettata e vissuta, in quanto
equivalente a tutte le altre.
Tuttavia, a questa posizione di principio gli scettici affiancano una ricetta di vita
caratterizzata dal pragmatismo, cio dalla scelta del comportamento pi efficace al fine
di conseguire la felicit, intesa come imperturbabilit. In questo senso, a livello
conoscitivo, essi ammettono una ricerca empirica basata sul confronto delle sensazioni e
finalizzata a individuare parziali uniformit di propriet ed eventi; a livello pratico,
giungono, invece, a proporre il conformismo, cio ladeguamento allo stile di vita e alle
regole di comportamento della comunit civile di cui si fa parte.

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VITA DI CAPITANI
PIRRONE E TIMONE
Iniziatore dello scetticismo (dal greco skpsis=indagine, nel senso di ricerca continua in
antitesi alla convinzione di possedere la verit definitiva, ovvero al dogmatismo) fu
Pirrone che nacque a Elide, nel Peloponneso, tra il 365 e il 360 a.C. e fu discepolo prima
di filosofi socratici, in particolare dei megarici, e poi di un allievo di Democrito.
Ma la sua esperienza decisiva fu la partecipazione alla spedizione militare di Alessandro
Magno in Oriente, grazie alla quale entr in contatto diretto con le tradizioni sapienziali
mediorientali come quella dei magi persiani, sacerdoti del mazdeismo (o religione
zoroastriana) e perfino con quella indiana dei gimnosofisti, i quali teorizzavano e
praticavano una condotta di vita ascetica.
Morto Alessandro, Pirrone torn a Elide dove insegn fino alla sua morte tra il 275 e il 270
a.C. Seguendo il modello filosofico socratico, non scrisse nulla (ad eccezione di un carme
elogiativo di Alessandro), ma il suo insegnamento orale fu trascritto dal suo discepolo
Timone di Fliunte (citt del Peloponneso dove nacque nel 325/320), delle cui opere ci
rimangono per solo alcuni frammenti e varie testimonianze.

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TAPPA 1
GLI SCETTICI: FELICITA E INDIFFERENZA E CONFORMISMO
Orbene, egli dice che Pirrone mostra che le cose sono ugualmente
indifferenziate, immisurabili e indiscriminabili e per questo n le nostre
sensazioni n le nostre opinioni possono essere vere oppure false. Per
conseguenza, non bisogna accordare a esse fiducia, ma bisogna essere senza
opinione, senza inclinazione, senza agitazione, affermando di ciascuna cosa
che non pi di quanto non , oppure che e non , oppure che n n non .
Coloro che si mettono in questa disposizione conseguiranno, dice Timone, in
primo luogo lafasia e limperturbabilit.
Aristocle, Frammenti, fr. 6 Heiland

Il termine scetticismo deriva dal greco skpsis che significa indagine. Gli scettici
adottano questo nome perch essi credono che la vita debba essere una ricerca continua e
senza fine, ossia senza alcuna conclusione certa e definitiva. Il presupposto di questa
concezione la tesi secondo cui la realt non essere, cio non costituita da nessun
principio unitario e universale, sia fisico come acqua, indivisibili, soffio, ecc. sia
metafisico come le idee o le essenze. Di conseguenza per gli scettici tutte le cose sono:
indifferenziate, cio non organizzate e ordinate in base a criteri universali che
permettano di distinguerle e classificarle;
immisurabili, cio non determinabili quantitativamente ma anche pi in generale
non definibili n valutabili;
indiscriminabili, cio non distinguibili e non selezionabili nel senso che di nessuna
si pu stabilire che sia superiore o migliore rispetto a unaltra.
In una parola, secondo gli scettici la realt non possiede alcun ordine razionale, cio caos
ossia disordine.

Dato che la realt caotica, per gli scettici non hanno alcun fondamento veritativo n la
conoscenza sensibile n la conoscenza razionale. Di conseguenza gli scettici indicano come
unico comportamento teoretico adeguato quello basato:

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a livello mentale individuale, sullastensione da ogni giudizio conoscitivo (o


epoch, termine greco entrato poi nel vocabolario filosofico), ovvero sullevitare
qualsiasi elaborazione razionale sulla natura ultima e universale delle cose;
a livello comunicativo, sullafasia, ovvero sul non affermare, cio esprimere e
manifestare, alcun giudizio conoscitivo e quindi sullevitare di farsi coinvolgere in
alcuna discussione relativa alla natura ultima e universale delle cose.
Sia lepoche sia lafasia hanno un implicito fine pratico: la prima quello di evitare
frustrazioni, data limpossibilit umana di giungere a elaborare teorie veritiere; la seconda
quello di inquietarsi lasciandosi coinvolgere in dispute irrisolubili e quindi vane.

In questa prospettiva, gli scettici sostengono provocatoriamente che su ogni cosa si


possono fare solo le seguenti affermazioni:
1)
2)
3)

che non pi di quanto non ;


che e che non ;
che n n non .

In altre parole gli unici giudizi e proposizioni che gli scettici ammettono sono quelli
contraddittori, ovvero quelli che negano ci che affermano e affermano ci che negano.
(Oggi li chiameremmo nonsense.) Ma soprattutto in questo modo gli scettici rigettano
quello che i filosofi razionalisti avevano considerato come il primo principio razionale,
ordinatore della realt e del pensiero, cio il principio di non-contraddizione.

Allastensione dal giudizio e allafasia teoretiche corrisponde sul piano pratico il principio
etico dellindifferenza (adiafora). In altri termini, per gli scettici ogni cosa, ogni
situazione, ogni attivit vale laltra. Lo scettico dunque pu fare le cose pi umili e
ripugnanti come quelle pi onorevoli e attraenti nello stesso modo, ovvero con totale
distacco. Ci vale anche nel caso in cui ci si trovi in situazioni pericolose, offese oppure
conflitti.
In questa prospettiva, gli scettici giungono a sostenere addirittura che nei confronti della
realt bisogna essere insensibili. Questa tesi risulta comprensibile considerando che ogni
sensazione implica uninterpretazione valutativa, ovvero lattribuzione di un significato a
ci che sentiamo, e di conseguenza induce a una reazione emotiva e attiva. P.e., se vediamo
e udiamo qualcuno insultarci noi interpretiamo e giudichiamo offensivi i tratti del suo

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volto e le sue parole e immediatamente ci sentiamo irritati, aggressivi e siamo portati a


rispondergli per le rime. In questo caso, la massima scettica del non sentire, significa che
dobbiamo invece limitarci a registrare dei movimenti facciali e dei suoni, senza
interpretarli e valutarli e dunque senza avere alcuna reazione emotiva, rimanendo cio del
tutto distaccati.
Attraverso lindifferenza e linsensibilit, secondo gli scettici, si consegue la disposizione
psichica e pratica ottimale, cio limperturbabilit (atarassa), ossia una totale rilassatezza
interiore ed esteriore.

Proprio perch tutti i giudizi conoscitivi e tutti i comportamenti sono equivalenti, una volta
acquisita questa consapevolezza, per gli scettici per possibile seguire anche una linea di
condotta teorica e pratica moderata e realistica, ovvero pragmatica. In questo senso, a
livello teoretico, fermo restando che non esiste n conoscibile alcun essere, cio alcun
ordine razionale unitario della realt, lecito credere liberamente allapparenza sensibile,
ossia ai fenomeni cos come sono soggettivamente percepiti dai nostri sensi. P.e., non
posso n pensare n dire che il miele in generale dolce, ma posso pensare e dire che
questo miele che sto assaggiando qui e ora dolce per me.
In altre parole, riducendo lessere allapparire e la conoscenza alla credenza soggettiva,
vantaggioso pensare e comunicare. Si tratta per di un pensare e di un comunicare non
dogmatici, ma aperti e tolleranti, e pertanto immuni dallagitazione emotiva e
comportamentale. In questa direzione, alcuni scettici propongono come criterio di
selezione delle conoscenze quello dellopinione pi ragionevole, altri quello dellopinione
pi probabile. E chiaro che i criteri di ragionevolezza e probabilit sono accomunati
dallessere relativi e cio flessibili e negoziabili e dunque modificabili.
Analogamente sul piano pratico, fermo restando che non esiste alcun comportamento o
modo di vivere migliore in assoluto di un altro, gli scettici propongono di comportarsi
secondo i costumi della comunit socio-politica di cui si parte. In questo senso gli scettici
teorizzano unetica conformistica, cio basata sulladeguarsi alle norme comportamentali
stabilite da una societ, cio alle tradizioni, agli usi e alle abitudini di una popolazione. Il
conformismo scettico, per, consapevole del valore relativo dei costumi di qualsiasi
popolo e dunque induce a praticarli senza fanatismo e anzi con distacco, per mera
convenienza pratica.

Nei suoi sviluppi pi avanzati, lo scetticismo procede a confutare in modo sistematico tutti
i capisaldi delle precedenti filosofie razionalistiche. In questo senso assumono particolare
rilievo le confutazioni dei ragionamenti deduttivo e induttivo e addirittura del rapporto di
causa ed effetto.

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La deduzione viene confutata dagli scettici in quanto circolo vizioso. Infatti la proposizione
universale (p.e., tutti gli uomini sono mortali) da cui si deduce la proposizione singolare
(p.e. Socrate mortale), per gli scettici, si basa surrettiziamente su una generalizzazione
induttiva di proposizioni singolari (p.e. Socrate mortale, Platone mortale, ecc.).
A sua volta linduzione viene confutata sostenendo che i casi singolari su cui si basa sono
infiniti, dunque non possono mai essere vagliati tutti, quindi sempre possibile che ci
siano uno o pi casi anomali. P.e. se dallosservazione di molti casi di uomini senza coda
traggo la conclusione che nessun uomo ha la coda, sbaglio perch non escluso che
possano esserci uno o pi uomini con la coda.
La confutazione scettica del rapporto di causa ed effetto, invece, si basa
sullargomentazione che tale rapporto postula sia un legame necessario, e quindi costante,
di affinit/continuit sia una netta distinzione tra loggetto causante e loggetto causato.
Allora delle due luna: o loggetto causato considerato parte delloggetto causante, cio un
suo prolungamento, e allora non potrebbe essere giudicato effetto delloggetto causante;
oppure loggetto causato tuttaltra cosa da quello causante ma allora non ha nulla a che
fare con questo, il quale pertanto non potrebbe essere giudicato sua causa.

Se gli scettici cercano di confutare sistematicamente i filosofi razionalisti, questi ultimi non
sono certo da meno nel contrattaccare i loro avversari. In particolare la pi acuta
confutazione dello scetticismo quella che rileva come la tesi nulla vero
autocontraddittoria: infatti, se la consideriamo vera confuta quello che sostiene perch in
tal caso ci sarebbe almeno una verit, ossia appunto che nulla vero; se invece si
interpreta la tesi scettica come anchessa non vera ne consegue che falso che nulla vero,
dunque vero che tutto vero.
Gli scettici pi sofisticati replicano a questa confutazione affermando che essi sostengono il
dubbio non in modo dogmatico, cio perentorio, ma in modo critico, cio appunto senza
alcuna certezza. Pertanto laffermazione nulla vero non va intesa come una tesi assoluta
e quindi certa, bens come una tesi relativa e quindi solo probabile. Ma che non sia assoluta
non implica che non abbia alcun valore conoscitivo. Al contrario, dato che le tesi assolute e
certe sono false, solo una tesi relativa e probabile pu avere un valore conoscitivo effettivo,
seppure parziale.

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VIII VIAGGIO
LA FELICITA COME RICERCA SCIENTIFICA

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ROTTA SU
LA I RIVOLUZIONE SCIENTIFICA?
E da tempo un fatto consolidato della storia del pensiero filosofico e scientifico che let
ellenistica fu un periodo di grande sviluppo delle scienze matematico-naurali, ossia di
matematica, astronomia, fisica, geografia, meccanica, biologia. Nellultimo ventennio,
per, lo sviluppo della ricerca archeologica e filologica ha portato a una radicale
reinterpretazione della portata e del valore del progresso scientifico nellet ellenistica.
La critica filosofico-scientifica pi recente, infatti, giunta a sostenere che la scienza
moderna, ovvero la scienza sperimentale, nacque nei regni ellenistici nel III e nel II secolo
a.C. In altre parole la rivoluzione scientifica moderna considerata tradizionalmente la I
rivoluzione scientifica , attuatasi nel 1500 e nel 1600 a opera di Copernico, Galilei e
Newton, sarebbe stata anticipata dalla rivoluzione scientifica ellenistica cui dunque
spetterebbe il titolo di prima effettiva rivoluzione scientifica.
Secondo questa interpretazione, la rivoluzione scientifica ellenistica ebbe tre fattori
fondamentali:
lelaborazione filosofica e scientifica della Grecia classica dal VI al IV secolo;
la contaminazione culturale tra civilt greca e civilt mediorientale conseguente
alle conquiste di Alessandro Magno;
la formazione e il mecenatismo delle monarchie ellenistiche dopo la morte di
Alessandro Magno.
Le nuove dinastie monarchiche dei regni ellenistici, infatti, promossero e finanziarono la
ricerca culturale e in particolare quella scientifica. Nel regno dEgitto i Tolomei fecero
costruire ad Alessandria il famoso Museo e lancor pi famosa Biblioteca. Il Museo, il
primo istituto di ricerca pubblico, una vera e propria universit dei saperi antichi
articolata in dipartimenti, era dotato di mensa, sale di lettura, sala anatomiche, un
osservatorio astronomico, un giardino zoologico e un orto botanico. Intellettuali e
scienziati vi convivevano e questo favoriva grandemente lo sviluppo culturale e
scientifico. La Biblioteca, riservata agli studiosi, giunse a raccogliere, almeno secondo le
stime pi generose, fino a 700.000 libri (nella forma di rotoli di papiri). Una sua sezione
staccata, il Serapeo, era a disposizione del pubblico e giunse a possedere oltre 40.000
libri. Nel regno di Pergamo, gli Attalidi a loro volta fecero costruire una biblioteca
seconda solo a quella di Alessandria e promossero in particolare gli studi di botanica,
agronomia, ingegneria civile e navale. In Mesopotamia, i Seleucidi diedero impulso alla
ricerca matematica, astronomica e allo sviluppo della tecnologia navale. Pi in generale,
linteresse per la scienza e la tecnologia erano diffusi in maniera maggiore o minore in
tutto il mondo ellenistico.
Lo sviluppo della rivoluzione scientifica ellenistica fu per interrotto dalla conquista
romana a partire dalla met del II secolo a.C. I romani da un lato eliminarono le dinastie
ellenistiche e dallaltro si disinteressarono alla promozione della scienza e della

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tecnologia. Le istituzioni culturali dei regni ellenistici decaddero e in alcuni casi


scomparvero. Cominci cos un regresso culturale e scientifico in seguito al quale, gi
pochi secoli dopo, i nuovi scienziati e intellettuali dellepoca romana non solo non
disponevano di molte opere, andate distrutte, dei loro predecessori ellenistici, ma
soprattutto non riuscivano a comprendere molte parti di quelle che si erano salvate dalla
distruzione.
Tuttavia, pur riconoscendo la plausibilit e il valore euristico della nuova tesi
interpretativa della rivoluzione scientifica fallita, ovvero soffocata prima che potesse
completarsi, rimane aperto un interrogativo: senza lintervento distruttivo delle legioni
romane, davvero lo sviluppo delle scienze nellet ellenistica sarebbe arrivato ai risultati
della rivoluzione scientifica moderna? In altre parole, sarebbe effettivamente stato
rivoluzionario?
Fermo restando che impossibile rispondere in modo certo sia affermativamente sia
negativamente, ragionevole nutrire dei dubbi sulla tesi che, senza lintervento romano,
gli scienziati ellenistici sarebbero giunti agli stessi risultati conseguiti quasi due millenni
dopo dagli scienziati moderni, soprattutto tenendo conto dei limiti difficilmente
superabili che la mentalit politeistico-astrologica diffusa anche tra gli scienziati
ellenistici poneva alla teorizzazione di leggi matematico-razionali universali (p.e. la
legge di gravit di Newton). Infatti, le teorie scientifiche degli scienziati moderni si
fondarono su una visione materialistico-meccanicistica e insieme teologico-monoteistica
del cosmo fisico: il cosmo era concepito come unimmensa e mirabile macchina che
funzionava autonomamente in base a leggi matematiche impersonali stabilite da un
unico Dio, onnipotente creatore e quindi signore assoluto di tutti gli esseri fisici. In questa
prospettiva, il cosmo era considerato unico e omogeneo, in quanto tutte le creature erano
sullo stesso piano rispetto a Dio, ovvero tutte ugualmente subordinate alle sue leggi.
Semmai, nel periodo umanistico-rinascimentale, non a caso immediatamente precedente
allinizio della rivoluzione scientifica moderna, era stato luomo a venire considerato
relativamente superiore a tutte le altre creature angeli compresi! ma solo in quanto
Dio gli aveva assegnato il compito di ammirare la sua creazione, ovvero di studiarla
scientificamente. Insomma, secondo i rinascimentali, luomo proprio in quanto
scienziato, cio in quanto capace di scoprire le leggi matematiche che governano la
natura, poteva diventare la creatura superiore del cosmo, la pi simile a Dio proprio
perch lunica in grado di comprendere la sua opera.
A sostegno di questa interpretazione sta il dato di fatto che tutti i protagonisti della
rivoluzione scientifica moderna furono cristiani credenti e molti, in particolare Keplero e
Newton, si ispirarono allidea di Dio creatore matematico del cosmo per motivare e
orientare le proprie lunghe ricerche scientifiche e per arrivare alla fine a trovare le
conferme delle loro grandi scoperte. Newton, in particolare, era anche uno studioso di
teologia e scrisse anche opere teologiche.
Al contrario, gli scienziati ellenistici avevano come retroterra culturale una visione
organicistico-finalistica e astrologico-politeistica del cosmo. In altre parole, il cosmo era

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da loro concepito come un grande organismo vivente le cui parti agivano per conseguire
il fine del massimo bene complessivo e inoltre alcune di queste parti i pianeti-dei:
Mercurio, Marte, Elio, ecc. erano ritenuti superiori alle altre e si credeva che
esercitassero la loro influenza sugli esseri terrestri a loro quindi subordinati. In questa
cornice, era difficile, per non dire impossibile, concepire delle leggi matematiche
universali, cio tali da governare allo stesso modo tutti gli esseri naturali. Infatti, in
primo luogo il cosmo terrestre risultava diverso e inferiore rispetto a quello celeste; in
secondo luogo, vi erano leggi diverse a seconda degli dei e soprattutto non erano vere e
proprie leggi naturali a governare il mondo terrestre, in quanto le influenze divine erano
personali, cio coincidevano con le decisioni e gli umori degli dei, e dunque potevano
variare nel tempo. Non a caso la visione antica del cosmo aveva la sua pi coerente
espressione nellastrologia, che era considerata appunto la scienza della conoscenza e
della previsione degli influssi astrali, cio delle variabili leggi degli dei/pianeti.
Certo, i filosofi Greci avevano elaborato una pi razionale versione del politeismo, ed
scontato che gli scienziati ellenistici non condividessero la mentalit religiosa popolare
ma semmai seguissero linterpretazione filosofica della religione antica. Ma bench
razionale il politeismo dei filosofi ne conservava i limiti: p.e. sia Platone sia Aristotele
concepirono il cosmo come diviso in due regioni, quella celeste divina, e perci superiore,
e quella terrestre fisica e perci inferiore; il loro monoteismo relativo ( lidea di UnoBene-Bellezza-Verit e il Dio motore immobile) ammetteva comunque lesistenza di
potenze divine inferiori ma dotate di poteri autonomi, cio di diversi e variabili poteri di
influenza sugli eventi terreni; luomo, secondo loro, era subordinato ai pianeti-dei e
quindi non poteva essere la creatura capace di conoscere pienamente le leggi del
funzionamento del cosmo.
Non dunque un caso, forse, che anche quando qualche scienziato ellenistico super i
limiti della concezione antica del cosmo p.e. il pitagorico Aristarco di Samo che elabor
la teoria eliocentrica quasi due millenni prima di Copernico non ebbe credito nemmeno
dai suoi colleghi contemporanei e che, di conseguenza, la sua teoria fu accantonata senza
dare frutti. Tanto vero che n Aristarco n nessun altro scienziato ellenistico si avvicin
alla scoperta delle tre leggi di Keplero per non dire a quella della legge di gravit di
Newton.
In conclusione, plausibile pensare che il salto di qualit della scienza, che
indubbiamente si registr nel periodo ellenistico, non sarebbe arrivato a compiere quella
rivoluzione scientifica che certamente avvenne tra il Cinquecento e il Seicento d.C., anche
se Roma non avesse mai invaso il Medio Oriente. Infatti, perch si potesse attuare la
rivoluzione scientifica moderna, era forse necessario non solo il passaggio dalla religione
politeistica a quella monoteistica ma anche la lunga evoluzione della teologia
monoteistica cristiana, quella che avvenne gradualmente durante lAlto e il Basso
Medioevo e che, a maggior ragione, dovr essere attentamente presa in considerazione.

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VITE DI CAPITANI
GLI SCIENZIATI ELLENISTICI
I protagonisti della scienza ellenistica furono: Euclide, matematico, astronomo e ottico,
insegnante del Museo di Alessandria e autore di Elementi (300 a.C.), celeberrimo trattato
di geometria in 13 libri; Apollonio di Perga, matematico e astronomo, nato intorno al
260 a.C., studente del Museo di Alessandria e insegnante a Pergamo e ad Alessandria,
autore di Coniche, trattato sullellisse, la parabola e liperbole; Aristarco di Samo (310240), astronomo, di cui ci rimasta solo unopera minore, Sulle dimensioni e le distanze
del Sole e della Luna; Ipparco di Nicea (185-125), astronomo, insegnante a Rodi,
scopritore del moto di precessione degli equinozi, di cui ci restata ununica opera minore,
Commentario ai Fenomeni di Arato e Eudosso; Eratostene di Cirene (273-192),
geografo, bibliotecario del Museo di Alessandria; Archimede di Siracusa (287-212),
studente del Museo di Alessandria, matematico, astronomo, fisico, ingegnere idraulico e
meccanico, di cui ci sono rimaste le seguenti opere: Sulla misura del cerchio, La
quadratura della parabola, Sulle spirali, Sulla sfera e il cilindro, Sugli sferoidi e i conoidi,
Arenario (in cui calcola il numero di granelli di sabbia che il cosmo potrebbe contenere),
Sullequilibrio dei piani, Sui corpi galleggianti, Metodo; Ctesibio, vissuto nel III secolo
a.C., fondatore della pneumatica, ingegnere meccanico, autore di due opere perdute,
Dimostrazioni pneumatiche e Commentari, in cui erano descritte numerose macchine;
Filone di Bisanzio (III-II sec.), continuatore dellopera di Ctesibio, autore di
Pneumatica; Erone di Alessandria (I sec.), autore di una Meccanica e di una
Pneumatica; Erofilo di Calcedonia (IV-III sec.) ed Erasistrato di Ceo (310-250)
entrambi medici.

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TAPPA 1
LA RICERCA MATEMATICA
1)
2)
3)
4)
5)

[E possibile] tracciare un segmento da ogni punto a ogni punto.


[E possibile] prolungare con continuit un segmento in una retta.
[E possibile] tracciare una circonferenza con qualsiasi centro e raggio.
Tutti gli angoli retti sono uguali tra loro.
Se una retta intersecandone altre due forma nello stesso semipiano
angoli interni la cui somma minore di due retti, allora le due rette si
incontrano su quel semipiano.
Euclide, Elementi

Come abbiamo visto (Cannocchiale su Lorizzonte storico-culturale dellet ellenistica),


il periodo ellenico, cio greco classico, rappresenta il momento di gestazione della scienza
matematica, cio quello in cui se ne costruiscono alcuni elementi fondamentali. Tra questi
il pi significativo il metodo dimostrativo che permette la fondazione di teoremi, cio di
sistemi di relazioni matematiche, una sorta di leggi della matematica, validi per uninfinit
di casi dello stesso tipo, p.e. il teorema di Pitagora valido per tutti i possibili triangoli
rettangoli.
Non si pu dire, per, che la matematica ellenica raggiunga pienamente lo status di
scienza. Essa infatti accumula molti elementi della scienza matematica ma non tutti e
soprattutto non li assembla in un tutto, cio non li collega fino a comporre un insieme
unitario esauriente. Nellet ellenistica invece viene raggiunto proprio questo risultato, ad
opera del matematico Euclide. Per questo possiamo dire che Euclide fu il padre della
matematica come vera e propria scienza.
La ricerca matematica dellet ellenica aveva aperto una serie di problemi:
non era chiaro quale fosse il rapporto tra concetti matematici e mondo reale;
il metodo dimostrativo sembrava comportare che ogni dimostrazione dovesse
fondarsi su unaltra dimostrazione logicamente anteriore, cadendo cos in un
regresso allinfinito;
la scoperta dellincommensurabilit da parte dei pitagorici () e i paradossi di
Zenone () avevano evidenziato il dualismo tra quantit continue e quantit
discrete e i paradossi del concetto di infinito.

Euclide trasforma in scienza il sapere matematico greco affrontando e risolvendo questi


problemi. Egli infatti assume gli enti matematici come enti teorici, cio come enti

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costitutivamente distinti dagli enti reali con i quali per possono avere rapporti di
corrispondenza in base a precise regole. In altre parole, la matematica in quanto teoria
scientifica non si identifica con la realt fisica ma si pu applicare ad essa in base al criterio
dellapprossimazione.
In secondo luogo, Euclide cataloga in modo rigoroso gli enti matematici (angoli, figure
piane, solidi, ecc.) riducendoli alle loro parti elementari (punti, rette, piani) e offrendone in
questo modo delle precise definizioni. Per evitare il regresso allinfinito Euclide poi fonda
tutte le dimostrazioni su cinque postulati, cio su cinque regole che devono essere
accettate senza dimostrazione, e su alcuni assiomi, cio su alcune verit considerate
evidenti (p.e. la parte sempre minore del suo tutto). Infine Euclide stabilisce che ogni
altra conoscenza matematica, cio ogni altra affermazione sulle propriet degli enti
matematici e sui loro rapporti, per essere valida deve essere dimostrata, ossia deve essere
dedotta logicamente dalle definzioni, dai postulati e dagli assiomi. In questo modo Euclide
configura la scienza matematica come un rigoroso sistema ipotetico-deduttivo, ovvero
come un insieme organico di conoscenze basate su alcuni principi primi (ypo-tsis in greco
significa fondamento di una tesi) dai quali devono essere dedotte tutte le tesi che dunque
risultano tra loro logicamente concatenate.

La scienza matematica di Euclide tratta sia le quantit discrete sia le quantit continue. Le
prime sono rappresentate dai numeri interi aritmetici, le seconde dalle grandezze
geometriche (lunghezze, perimetri, aree, ecc.).
Il teorema vi sono pi numeri primi che in ogni quantit [finita] data di numeri primi
implica al tempo stesso un esempio di dimostrazione e di trattazione sia di quantit
discrete sia del concetto di infinito. La sua dimostrazione parte dallassunzione di un
insieme finito qualunque di numeri primi diversi da 1 e dallindividuazione di un numero k
uguale al loro minimo comune multiplo (ovvero al loro prodotto) pi 1. Ne consegue che k
non pu essere multiplo di nessuno dei numeri primi dellinsieme qualunque iniziale.
Chiamando m un fattore primo di k diverso da 1, m non pu far parte di quellinsieme. In
altre parole, c sempre almeno un numero primo ulteriore rispetto a qualsiasi insieme di
numeri primi per quanto vasto esso possa essere. Questa dimostrazione tratta linfinito
in quanto dimostra che i numeri primi sono infiniti senza cadere in paradossi zenoniani
poich riduce e risolve il problema dellinfinito in relazioni tra quantit finite.

In riferimento, invece, al problema delle grandezze, cio delle quantit continue, Euclide
affronta la questione dellincommensurabilit consistente nellindeterminatezza del
rapporto tra due grandezze, p.e. il lato (a) e la diagonale (b) di un quadrato. Infatti,
essendo a e b privi di un sottomultiplo comune, non possibile che xa sia uguale a yb (dove

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x e y sono due numeri interi) ovvero che il rapporto a/b sia uguale a quello x/y. Stando cos
le cose, quale pu essere dunque il significato teorico del rapporto tra a e b? Com
possibile che abbiano un rapporto?
Euclide, sviluppando e sistematizzando la teoria delle proporzioni di Eudosso, riesce a
determinare matematicamente il rapporto tra incommensurabili elaborando e utilizzando
la sua definizione di proporzione: quattro grandezze formano una proporzione a:b=c:d
quando per essa vale almeno una delle seguenti relazioni (dove x e y sono 2 numeri
naturali qualsiasi):
xa>yb e simultaneamente xc>yd
xa=yb e allo stesso tempo xc=yd
xa<yb e contemporaneamente xc<yd.
In questo modo anche un rapporto tra incommensurabili pu costituire una proporzione e
trovare cos un significato matematico. Infatti essendo a e b lato e diagonale del quadrato A
e c e d lato e diagonale del quadrato B vale a:b=c:d in base alla relazione di uguaglianza di
cui al punto 2.

Un ulteriore apporto di enorme importanza per lo sviluppo della scienza matematica


rappresentato dallo sviluppo e dalluso del metodo di esaustione, scoperto da Eudosso,
da parte di Archimede. Il metodo di esaustione (che fu chiamato cos dai matematici
moderni) unulteriore e pi potente modalit di determinazione ed uso matematico del
continuo e dellinfinito. Archimede lo applic per risolvere il problema di calcolare larea di
un segmento di parabola. Sulla base del postulato che se due aree sono disuguali esiste un
multiplo della loro differenza che maggiore di esse, Archimede costruisce allinterno del
segmento di parabola il triangolo ABC in cui A e B sono gli estremi della base del segmento
di parabola e C il punto dellarco di parabola pi distante da AB. Ne consegue che la sua
area maggiore della met dellarea del segmento di parabola.
Quindi Archimede costruisce un nuovo triangolo CBD con base un lato del triangolo ABC e
vertice il punto pi distante dal segmento di parabola CB dellarco di parabola di CB. Larea
del triangolo CBD 1/8 di quella di ABC. Lo stesso procedimento si pu ripetere
costruendo triangoli con base CD e DB e cos via allinfinito fino ad approssimare ovvero
a esaurire larea definita dalla parabola. Pur senza usare il termine limite, Archimede
ne scopre e ne utilizza il concetto, ovvero scopre e utilizza il calcolo infinitesimale,
fondando su di esso la geometria differenziale.

In tutti i casi sopra indicati, i matematici ellenistici riescono, per cos dire, a domare,
ovvero ad addomesticare, linfinito, che per i Pitagorici era il fantasma dellirrazionalit,
cio del caos. Essi, infatti, trova il modo di descrivere e calcolare matematicamente

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linfinito usando solo concetti finiti ed evitando cos di incappare nei paradossi messi in
luce da Zenone.
E la prima vittoria della scienza matematica sullinfinito, ma certamente non lultima la
storia della matematica anche una guerra continua contro linfinito visto che ancora
oggi si ben lontani da quella definitiva, che ragionevole pensare che nemmeno ci sar
mai.

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VIAGGI DI IERI&VIAGGI DI OGGI


MATEMATICA ELLENISTICA E MATEMATICA MODERNA
La trattazione euclidea dellinfinito tramite quantit finite coincide con il metodo usato
nellanalisi matematica contemporanea che alla base della teoria matematica degli
insiemi finiti di Cantor. La definizione euclidea di proporzione fu ripresa dai matematici
contemporanei Weierstrass e Dedekind che la usarono per fondare la moderna teoria dei
numeri reali, comprensivi dei numeri irrazionali (espressioni matematiche degli
incommensurabili). Il metodo di esaustione di Archimede aveva gi definito il concetto
di limite (pur senza usare un termine greco equivalente per denominarlo). Il suo
metodo fu ripreso alla fine del 1600 da Newton e da Leibniz, considerati a torto gli unici
inventori del calcolo infinitesimale.
La matematica moderna e contemporanea non ha superato quella ellenistica a livello di
rigore logico e metodologico, ma a livello di estensione e di potenziamento delle capacit
di calcolo. Infatti la compilazione delle tavole logaritmiche e la loro stampa (1614) rese
per la prima volta il calcolo numerico (basato sulla numerazione posizionale scoperta
sempre dai matematici ellenistici ma da loro sottoutilizzata) pi semplice e rapido,
consentendo di invertire il rapporto aritmetica (algebra)/geometria: mentre i
matematici ellenistici risolvevano i problemi algebrici impostandoli in modo geometrico
(con riga e compasso), i matematici moderni cominciano a fare lopposto.

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TAPPA 2
LA RICERCA ASTRONOMICA
Doveva pensare [Timeo] che la Terra fosse stata progettata non confinata e
stabile ma rivolgentesi e ruotante, come successivamente affermarono
Aristarco e Seleuco, il primo assumendolo solo per ipotesi, e Seleuco invece
provandolo?
Plutarco, Platonicae quaestiones, 1006C
Il problema principale della teoria geocentrica ( I Viaggio, Tappa 4) messa a punto
scientificamente da Eudosso e canonizzata metafisicamente da Aristotele (VI Viaggio,
Tappa 4) era costituto dalle stazioni e dalle retrogradazioni cicliche dei moti
planetari. In altre parole, mentre la teoria prediceva dei moti circolari, unidirezionali e a
velocit uniforme, losservazione visiva evidenziava che, in determinati periodi,
ricorrentemente i pianeti rallentavano, si fermavano, e invertivano momentaneamente il
loro cammino per poi riprenderlo regolarmente come prima. Per salvare i fenomeni, cio
per conciliare la teoria con le osservazioni empiriche, Eudosso (V Viaggio, Tappa 10) era
ricorso a un complesso ma brillante sistema di combinazioni di pi moti circolari uniformi.
La teoria di Eudosso, per, non riusciva a collimare coi moti orbitali di Venere e Marte e
soprattutto non spiegava la loro variazione di luminosit, segno di avvicinamento e
allontanamento rispetto alla Terra. Apollonio di Perga, gi autore di un trattato
matematico sulle coniche (ellisse, parabola, iperbole), per risolvere questi problemi,
riforma la teoria geocentrica ipotizzando che ogni pianeta sia incastonato su una piccola
sfera ruotante su se stessa (epiciclo) con il centro in un punto della circonferenza massima
di una sfera molto pi grande (deferente) ruotante a sua volta intorno a un punto a poca
distanza dal centro della Terra. In questo modo Apollonio riesce ad approssimare molto
meglio le orbite di Venere e Marte e a spiegare la variazione della loro distanza dalla Terra.

Per risolvere gli stessi problemi, lo scienziato pitagorico Aristarco di Samo abbandona il
geocentrismo e teorizza per primo che il Sole occupa il centro del cosmo e che tutti i pianeti
si muovono intorno al Sole in orbite circolari. Su questa base Aristarco attribuisce
esplicitamente alla Terra 2 movimenti:
un moto annuale di rivoluzione intorno al Sole;
un moto giornaliero di rotazione intorno al proprio asse, inclinato rispetto al piano
dellorbita intorno al Sole.
Secondo Aristarco, la teoria eliocentrica in grado di salvare i fenomeni, ossia di spiegare
le apparenti stazioni e retrogradazioni dei pianeti, in modo pi semplice di quella

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geocentrica, in quanto ricorre alla combinazione di 2 soli moti circolari, quello della Terra
e quello di ogni pianeta. Data infatti la diversa lunghezza delle orbite planetarie, la Terra
ciclicamente viene avvicinata e superata dai pianeti interni (cio pi vicini al Sole:
Mercurio e Venere) e si avvicina e supera i pianeti esterni (pi lontani dal Sole: Marte,
Giove, Saturno). Di conseguenza a un osservatore terrestre sembra che i pianeti
ciclicamente rallentino (fase di avvicinamento), si fermino (fase di affiancamento) e poi
tornino indietro (fase di allontanamento).

La teoria eliocentrica di Aristarco, dunque, spiega losservazione dei moti di


retrogradazione dei pianeti in base alla relativit ottica. Il principio di relativit ottica dei
moti era gi stata teorizzata da Euclide. Il poeta latino Lucrezio (I sec. a.C.) lavrebbe
ripresa nel De rerum natura (IV libro) col famoso esempio dei passeggeri della nave in
moto parallelamente alla costa ai quali sembra che sia la costa a muoversi. Allo stesso
modo, il moto circolare giornaliero delle stelle e del Sole intorno alla Terra in direzione
ovest (antioraria) poteva essere spiegato con il moto circolare giornaliero della Terra sul
proprio asse in direzione est (oraria).
I moti della Terra, per, pongono un difficile problema. Infatti, a differenza di una nave o
di un altro oggetto in movimento, in base alla stima nota delle dimensioni terrestri di
Eratostene (VIII Viaggio, Tappa 3), alla Terra si attribuiva una velocit di rotazione di
circa 1.600 km/h. Di conseguenza non si poteva fare a meno di pensare che il moto della
Terra avrebbe dovuto produrre effetti fisici clamorosi per non dire terrificanti, p.e. un
vento ciclonico permanente da est verso ovest.
Per risolvere questo problema gli scienziati ellenistici (oltre a Aristarco, anche Archimede,
Ipparco e Seleuco) sviluppano in senso pi radicale la relativit ottica, arrivando a
teorizzare la relativit come il principio fisico secondo il quale ogni moto relativo
allosservatore e le osservazioni empiriche non descrivono oggettivamente il moto dei
corpi, ma il rapporto tra losservatore e i corpi osservati. Su questa base infatti si pu
sostenere che la Terra (atmosfera compresa) si muove insieme a un osservatore terrestre.
Questi pertanto non pu rilevare coi sensi il moto della Terra. Per farlo avrebbe bisogno,
infatti, di un punto di riferimento esterno e immobile rispetto alla Terra.

Ma questo punto di riferimento, c ed rappresentato dalle stelle del firmamento, che gli
astronomi geocentrici avevano chiamato stelle fisse per la perfetta circolarit del loro
moto apparente giornaliero e per linvarianza delle loro reciproche posizioni e distanze.
Dunque, se la Terra si muove, dovrebbe essere possibile per un osservatore terrestre notare
uno spostamento rispetto alla posizione di una stella fissa in un dato momento della
giornata, posizione che sempre la stessa ogni giorno.

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Infatti, poich il punto di vista dellosservatore cambia nel corso dellanno, a causa del
moto di rivoluzione, una stessa stella osservabile in base a due prospettive diverse ed
possibile rilevare la parallasse della stella rispetto alla Terra, cio langolo tra le due rette
che congiungono la stella a ognuno dei due diversi punti di osservazione.
Poich invece le osservazioni non gli permettono di rilevare alcuna parallasse, mentre gli
astronomi geocentrici asseriscono che questa unaltra prova dellimmobilit della Terra,
Aristarco afferma che la parallasse troppo piccola per essere vista. Da questa conclusione
Aristarco deduce la tesi che la distanza tra la Terra e le stelle fisse immensa, mettendo in
discussione le ridotte dimensioni del cosmo sostenute dai geocentrici.

La teoria eliocentrica di Aristarco, tuttavia, non individua le cause fisiche dei moti
planetari. E Ipparco a elaborare una teoria dinamica del cosmo. Basandosi sullanalogia
con un sasso che ruota in una fionda antica, egli teorizza che le orbite circolari dei pianeti
sono la combinazione di due moti rettilinei: uno centrifugo, proprio di ogni pianeta, e uno
centripeto, dovuto allattrazione esercitata dal Sole su ogni pianeta. In questo modo
Ipparco giunge a sostenere linerzia cio la tendenza di ogni corpo a muoversi allinfinito
e la forza gravitazionale solare, che secondo lui si trasmette attraverso i raggi solari per
contatto diretto.
Ipparco inoltre sostiene per primo che le stelle fisse hanno un moto proprio diverso da
quello apparente giornaliero. Egli deduce questa tesi dal fatto che la teoria di Aristarco
spiega il moto circolare delle stelle come unapparenza ottica del moto di rotazione
terrestre. Ci significa per Ipparco che le stelle fisse non sono trasportate dalla sfera che
racchiude il cosmo, come sostenevano i geocentrici. Da un lato dunque esse sono libere da
vincoli, dallaltro devono muoversi per analogia con i pianeti. Data lenorme distanza, gi
teorizzata da Aristarco, tra Terra e stelle, i moti stellari per Ipparco appaiono lentissimi a
un osservatore terrestre e quindi non sono rilevabili nellarco di una o pi vite umane. Per
questo Ipparco compila una mappa delle posizioni delle stelle e affida ai posteri lincarico
di verificare i loro spostamenti.
Aristarco non aveva fornito unargomentazione decisiva a favore della superiorit della
teoria eliocentrica su quella geocentrica. In base alla sua opera le due teorie risultavano
ugualmente plausibili. La teorizzazione ipparchea dellattrazione solare favoriva
leliocentrismo perch si abbinava meglio a una posizione centrale e preminente del Sole.
Ma nemmeno questa era unargomentazione risolutiva. E Seleuco, basandosi sulla teoria
delle maree, a individuare una prova empirica consistente a favore delleliocentrismo.
Eratostene aveva teorizzato la dipendenza delle maree dalla Luna sulla base della
coincidenza tra intensit e fasi delle maree e posizioni e fasi della Luna. Lesistenza di
unattrazione esercitata dalla Luna sulla Terra poneva il problema del perch la Terra non

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si scontrasse con la Luna. Secondo Seleuco tale problema pu essere risolto solo
attribuendo alla Terra una forza centrifuga dovuto a un moto rotatorio mensile intorno al
baricentro del sistema Terra-Luna capace di controbilanciare la forza attrattiva lunare.
Dunque la Terra non pu essere ferma al centro del cosmo. Seleuco, inoltre, giunge ad
affermare che il cosmo infinito e aperto.

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TAPPA 3
LA RICERCA FISICA
Certo la Luna trattenuta dal cadere dallo stesso moto e dalla rapidit della
sua rotazione, proprio come gli oggetti posti nelle fionde sono trattenuti dal
cadere dal moto circolare. Il moto secondo natura guida infatti ogni corpo, se
non deviato da qualcosaltro.
Plutarco, De facie quae in orbe lunae apparet, 923 C-D
Come infatti il Sole attira a s le parti in cui consiste, cos anche la Terra [].
Plutarco, De facie quae in orbe lunae apparet, 924E

Il primo trattato ottico conosciuto quello di Euclide. La sua ottica individua come proprio
oggetto i raggi visuali cui attribuita la propriet della propagazione rettilinea. I filosofi
antichi avevano sostenuto che le apparenze visive sono ingannevoli. Platone, p.e., aveva
rilevato che la distanza fa vedere pi piccoli gli oggetti e aveva contrapposto la misurazione
matematica delle grandezze alla loro stima visiva. Euclide invece offre una spiegazione
scientifica delle percezioni visive in base a semplici corrispondenze tra percezioni e raggi
visuali che uniscono locchio agli oggetti visti. Egli pu cos ricondurre la grandezza
apparente degli oggetti alla loro grandezza angolare e dedurne cos la grandezza reale.
In questo modo lottica euclidea collega la geometria alle scienze della visione. Innanzitutto
allastronomia, permettendole stime della grandezza dei corpi celesti nonch la costruzione
degli astrolabi. Ma anche alla geografia, per il rilievi topografici, e alle arti figurative
(pittura, scenografia), alle quali consent di elaborare e praticare la tecnica della
prospettiva, soprattutto quella assiale, ma anche quella centrale.
Dopo Euclide, Archimede ed Erone sviluppano la catottrica, cio lo studio delle leggi
della riflessione, che serve loro per progettare ogni genere di specchi, compresi i famosi
specchi ustori, cio specchi parabolici che possono concentrare i raggi solari in un unico
punto (ma che non servono a bruciare le navi). Erone scopre il teorema per cui un raggio di
luce A che si riflette su specchio piano e arriva nel punto B percorre il cammino pi breve
tra tutti quelli tra A e B che toccano lo specchio: si tratta del principio di minimo pi antico
di cui abbiamo notizia.

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La geografia diventa scienza assumendo come proprio obiettivo la descrizione


quantitativo-matematica precisa di tutto il mondo conosciuto. Essa si serve del principio
di triangolazione in base al quale possibile stabilire la distanza di un punto inaccessibile
misurando le direzioni in cui visto da due punti a distanza nota. Matematicamente il
principio di triangolazione implica luso della trigonometria che viene sviluppata anche in
relazione allastronomia, ovvero per misurare le distanze tra i corpi celesti.
Il primo geografo scientifico Dicearco, un allievo di Aristotele che individua un parallello
stabilendo tutte le localit da Gibilterra alla Persia che si trovano alla stessa latitudine. Ma
il pi grande geografo ellenistico Eratostene, autore della prima mappa scientifica cio
basata sul latitudini e longitudini del mondo da Gibilterra allIndia e dal circolo polare
artico alla Somalia. Eratostene riusc anche a stimare la lunghezza del meridiano terrestre
con un errore inferiore all1%.

La meccanica, intesa come scienza delle macchine, si deve a Ctesibio di Alessandria, Filone
di Bisanzio, Erone ma soprattutto Archimede. Essa nasce come ricerca dei principi di
funzionamento delle leve e dei metodi di determinazione dei baricentri delle figure piane.
Lobiettivo fondamentale della meccanica come spostare un peso P a unaltezza h usando
una forza F<P. Il rapporto P/F il vantaggio meccanico della macchina. Grazie alla
scienza meccanica per la prima volta possibile calcolare teoricamente il vantaggio
meccanico e quindi progettare teoricamente una macchina che abbia il vantaggio
meccanico voluto.
La meccanica di Archimede strettamente legata alla geometria di Euclide da cui mutua
limpostazione e lorganizzazione sistematica. In questo modo Archimede usa la meccanica
anche per scoprire nuovi teoremi di geometria. In particolare egli scopre la formula per
trovare il volume della sfera immaginando di equilibrare un oggetto sferico e uno cilindrico
posti sui due piani di una bilancia.

Anche la scienza dellacqua opera di Archimede, che la fonda sul seguente postulato: Se
porzioni di liquido sono contigue e allo stesso livello, la porzione pi compressa caccia via
la meno compressa. Ogni porzione compressa dal peso del liquido che sopra di s in
verticale, purch il liquido non sia rinchiuso in qualcosa e compresso da qualcosaltro.
Il noto principio dei vasi comunicanti implicito in questo postulato e dunque Archimede
lo conosceva e ne faceva uso, sebbene esso sia attribuito tradizionalmente a Erone.
Esplicitamente, invece, Archimede deduce dal postulato il famoso principio che porta il suo
nome secondo cui un corpo immerso in un liquido sposta una quantit di liquido di peso

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pari al suo. In base questo principio Archimede determina le linee di galleggiamento di


solidi immersi in liquidi e la stabilit delle loro posizioni di equilibrio.

Pi noto come astronomo, Ipparco, in stretta relazione con la sua teoria dei moti celesti
(Viaggio VIII, Tappa 2), elabora anche una teoria relativa ai moti dei corpi terrestri,
unificando almeno parzialmente fisica celeste e fisica terrestre. Egli teorizza innanzitutto
un moto naturale rettilineo uniforme proprio di tutti i corpi che pu variare solo per
intervento di corpi o forze esterne. Inoltre, Ipparco (ma anche gli altri scienziati dellepoca)
elabora e utilizza il concetto di attrito come resistenza opposta dal suo mezzo (aria, piano
di un tavolo, ecc.) al moto naturale di un corpo. In altre parole Ipparco comprende il
principio di inerzia, pur senza chiamarlo cos e senza darne una definizione completa e
rigorosa.
In secondo luogo, per spiegare il moto dei gravi terrestri, Ipparco ricorre alla combinazione
del moto naturale rettilineo e della forza di gravit, intesa come spinta di tutti i corpi
verso il proprio centro. Egli sostiene che questa spinta diminuisce allavvicinarsi di un
corpo al centro e aumenta al suo allontanarsi dal centro. In sostanza, Ipparco sostituisce
alla teoria aristotelica dei luoghi naturali, una teoria dellattrazione gravitazionale e
sostiene anche che la gravit non causa del moto di un corpo, ma della sua variazione di
velocit, cio della sua accelerazione.

Il punto di partenza del metodo scientifico ellenistico indubbiamente la tecnica


dimostrativa messa a punto dai filosofi antichi. Luso della tecnica dimostrativa, cio di
concatenazioni deduttive, implica lindividuazione esplicita e precisa di principi di
partenza, chiamati postulati o assunzioni o anche ipotesi (il cui significato primo
fondamenti). Un primo elemento specifico e decisivo del metodo scientifico ellenistico
lindividuazione dei fenomeni, cio delle esperienze sensibili, come criterio di scelta delle
ipotesi iniziali. In altre parole le premesse di ogni scienza sono selezionate in base alla loro
capacit di trarne deduzioni che possano spiegare le apparenze osservative. P.e., Aristarco
sceglie lipotesi del moto di rivoluzione terrestre in quanto da esso deducibile la
spiegazione dei fenomeni della stazione e della retrogradazione dei pianeti.
Dunque la scienza concepita come una teoria ipotetico-deduttiva legata allosservazione
empirica. Questa per concepita come una apparenza che cela o dissimula la vera
realt, alla quale si pu giungere solo attraverso una spiegazione razionale dellapparenza,
cio grazie alla teoria. A sua volta la ricostruzione teorica della realt si basa sulla
misurazione matematica e ha i suoi criteri di verifica nellesperimento e nellapplicazione
tecnica. Gli scienziati ellenistici, infatti, non verificano le loro teorie sulla base
dellesperienza naturale, ma sulla base di esperienze costruite artificialmente grazie alluso

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di strumenti e apparecchi tecnici. Lesempio pi semplice, dovuto a Filone di Bisanzio,


quello della candela accesa in una campana sommersa dallacqua per misurare gli effetti
della combustione sul livello dellacqua contenuta nella campana. In questo senso la
scienza ellenistica produsse, e al tempo stesso utilizz per svilupparsi, un grande numero
di importanti innovazioni tecnologiche quali: argano, leva, puleggia, cuneo, vite, ruota
dentata, pompe, lenti, cannocchiali, orologi a acqua, catapulte a torsione lanciapietre,
giunti cardanici, astrolabio piano, macchine per sollevamento dellacqua, vite di Archimede
o coclea, mulini a vento e ad acqua, macchine a vapore, differenziale, alberi a camme,
meccanismi di retroazione, automi, macchine agricole automatiche, organo idraulico.

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TAPPA 4

LA RICERCA NELLE SCIENZE EMPIRICHE


Erofilo ammette una capacit motoria nei nervi, arterie e muscoli. Egli pensa
che il polmone abbia una tendenza a dilatarsi e a contrarsi. La naturale
attivit del polmone, egli dice, laspirazione del soffio (pneuma)
dallesterno.
Pseudo-Galeno, De historia philosopha, 103
Erofilo dice che i sogni mandati da un dio si hanno necessariamente, i
naturali invece si presentano quando la psiche forma le immagini di ci che
a proprio vantaggio e di ci che certamente accadr; i sogni composti si
formano poi spontaneamente, al sopraggiungere delle immagini, ogni volta
che sogniamo ci che desideriamo, come accade agli uomini innamorati
quando nei loro sogni fanno lamore con le donne che amano.
Pseudo-Galeno, De historia philisopha, 106

Il salto di qualit dalla medicina come tecnica alla medicina come scienza costituito dalla
nascita dellanatomia e della fisiologia basate sulla dissezione del corpo umano. Questo
sviluppo decisivo si deve a Erofilo di Calcedonia. Erofilo il primo a descrivere il fegato e
lapparato digerente. Egli distingue le parti dellintestino, usando nomi (duodeno, digiuno)
rimasti nella nomenclatura della scienza medica.
Ancora pi importanti sono le sue scoperte relative al sistema nervoso. Erofilo non solo
comprende la funzione direttiva del cervello a differenza di Aristotele che pensava
servisse a raffreddare il sangue ma scopre i nervi e li distingue in sensori e motori.
Inoltre, studia lapparato circolatorio, scoprendo le cavit e le valvole del cuore, e quello
riproduttivo, scoprendo le ovaie, le tube di Falloppio e lepididimo. A proposito
dellapparato respiratorio, attribuisce ai polmoni la capacit non solo di inspirare aria ma
anche di veicolarla nel sangue arterioso. Per la prima volta, infine, descrive la retina, la
cornea, liride e la coroide.
Erofilo sviluppa anche le conoscenze diagnostiche e terapeutiche. Si deve a lui
lintroduzione della misura della frequenza del battito cardiaco - di cui scopre la
correlazione con la temperatura corporea e con let - come strumento diagnostico
fondamentale. Per misure il battito cardiaco Erofilo si fa costruire un orologio ad acqua
tarabile a seconda dellet.
A livello di terapia, Erofilo sostiene limportanza dellesercizio fisico, delle diete (anche a
scopo preventivo) e di farmaci di origine naturale. Sua lemblematica affermazione:

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Sono le medicine le mani degli dei. Soprattutto Erofilo riconosce linutilit di


somministrare medicine in alcuni casi estremi come quelli dei malati di colera. Il che
forse la riprova pi convincente del suo approccio scientifico alla cura del corpo umano.

Erofilo anche il fondatore della psichiatria. Egli infatti il primo a descrivere e catalogare
i sintomi delle patologie psichiche, che precedentemente erano state considerate
manifestazioni divine. Nellambito dei suoi studi della psiche umana, Erofilo elabora anche
una teoria naturale dei sogni, sostenendo che essi sono la manifestazione dei desideri
umani e che, come tali, rappresentano attraverso immagini situazioni o azioni in cui essi
vengono soddisfatti.
In questo senso, per Erofilo, i sogni possono anche prefigurare il futuro, non perch siano
una forma di divinazione, ma perch manifestano la volont e gli scopi profondi che gli
individui celano nella loro psiche e che dunque possono spingerli ad attuare azioni simili a
quelle sognate. E probabile che si debba a Erofilo anche la tesi del carattere simbolico dei
sogni, secondo cui nei sogni cose e persone reali sono rappresentati analogicamente da
altre cose e persone.

Limportanza attribuita da Erofilo alla matematica come strumento fondamentale della


conoscenza attestata dalla sua scoperta della misurazione del battito cardiaco. Egli
probabilmente il primo scienziato a porsi il problema di determinare ununit di misura
per durate temporali dellordine di un secondo. Egli risolve questo problema scegliendo la
durata media del battito di un neonato. Inoltre Erofilo per analizzare i ritmi cardiaci fa uso
della matematica, determinando i rapporti tra durata della sistole e durata della diastole e
distinguendoli in rapporti razionali e rapporti irrazionali.
Erofilo da questo punto di vista mostra familiarit con i concetti e i termini degli Elementi
di Euclide ma anche con i termini musicali e metrici che utilizza per denominare i vari tipi
di ritmi cardiaci. Vi sono inoltre rapporti evidenti degli studi e delle tecniche di Erofilo con
la meccanica e la pneumatica di Ctesibio, rispettivamente per luso di orologi tarati e per il
funzionamento di pompe e valvole. Un ulteriore elemento di scientificit della medicina di
Erofilo costituito dalla sua scelta di rinunciare alla terminologia naturale, legata al
linguaggio corrente, a favore di una terminologia convenzionale legata a un linguaggio
specialistico e alla consapevolezza del carattere teorico, ovvero ipotetico-deduttivo, della
conoscenza medica.

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La scientificit della medicina ellenistica per attestata in modo ancor pi significativo


dalla pratica della dissezione dei cadaveri nonch da quella della sperimentazione in vivo,
cio sui corpi di condannati a morte. Ci significa che la medicina praticata da Erofilo si
basava non solo e non tanto sullesperienza quanto soprattutto sullesperimento. A questo
proposito disponiamo di una testimonianza emblematica su un esperimento realizzato da
Erasistrato di Ceo, che prosegu e allarg la sua ricerca.
Erasistrato teorizza che gli animali emanino materia non visibile a occhi nudi. Per
verificarlo chiude in un contenitore, dopo averlo pesato, un animale senza nutrirlo. Dopo
alcuni giorni lo ripesa insieme ai suoi escrementi e confronta peso iniziale e peso finale. Il
carattere moderno di questo esperimento attestato non solo dalla sua progettazione
teorica e dalla sua dimensione artificiale ma anche e soprattutto dalla sua impostazione
quantitativo-matematica.

I pi significativi sviluppi della ricerca scientifica in campo biologico si devono a Teofrasto,


allievo di Aristotele e suo successore alla guida del Liceo. Interessato soprattutto alla
botanica, Teofrasto abbozza una teoria di fisiologia vegetale basandosi sia sul patrimonio
passato di conoscenze empiriche sia su osservazioni ed esperimenti da lui stesso svolti. Egli
poi si concentra in particolare sul problema dei cambiamenti degli esseri viventi nel
passaggio da una generazione allaltra. Da questo punto di vista, Teofrasto distingue
innanzitutto cambiamenti spontanei e cambiamenti dovuti ai mutamenti dellambiente
esterno.
In secondo luogo egli afferma che i cambiamenti spontanei, sia nelle piante sia negli
animali, avvengono nel seme, sono ereditari e possono portare a cambiamenti consistenti
nel succedersi di pi generazioni. In terzo luogo, su questa base, Teofrasto critica
linterpretazione finalistica del vivente di Aristotele. Poich nella sua Fisica, Aristotele
riporta, per confutarla, uninterpretazione delle mutazioni biologiche basata
sullinterazione tra mutazione casuale e selezione naturale, plausibile che sia Teofrasto
lautore di questa teoria.

La nascita della chimica empirica attestata innanzitutto da descrizioni di composti e


reazioni chimiche connessi alla produzione artigianale di coloranti, metalli, vetro,
cosmetici, profumi, medicine nonch imitazioni delloro, dellargento, delle gemme e della
porpora. Ma lattribuzione di un carattere scientifico alla chimica ellenistica si base
soprattutto su lacquisizione di nozioni teoriche quali:
la distinzione tra sostanze eterogenee, miscele e composti chimici;

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il concetto di nkos (tradotto in latino moles), che comunemente significava


volume, massa, mole, usato per indicare quella componente ultima di una sostanza
che per, a differenza dellatomo, pu subire trasformazioni in base una
scomposizione e riagreggazione delle sue parti: ci che in et moderna verr
chiamato molecola;
la divisione delle sostanze in parti caratterizzate da un peso misurato dalla bilancia;
il principio di conservazione della massa, sulla base dellidea che qualsiasi consumo
apparente di materia consiste in una sua trasformazione che a volte pu dar luogo a
sostanze impercettibili;
il concetto di acido.

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LA SCOPERTA

LA REALTA COME CREAZIONE DI UN DIO INFINITO

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Cannocchiale su
LORIZZONTE STORICO-CULTURALE
DELLETA ROMANA (168 a.C.-529 d.C.)
Lassimilazione della cultura greca da parte della civilt romana
Dopo la battaglia di Pidna (168 a.C.), con la quale i romani stroncarono definitivamente il
regno di Macedonia, la Grecia, prima, e successivamente tutto il Medio Oriente furono
conquistati da Roma. Nellarea mediterranea fin let ellenistica e incominci lepoca
romana. Se nellet ellenistica la cultura greca si era fusa con quelle mediorientali dando
origine alla cultura ellenistica, nellet romana la cultura ellenistica che gi aveva
cominciato a diffondersi negli ambienti intellettuali romani nel III secolo a.C. in seguito
alla conquista della Magna Grecia venne assorbita da quella romana dando origine alla
cultura romana dellet imperiale, una cultura sempre pi cosmopolita. Questa cultura
costitu il collante dellunificazione socio-politica della popolazione dellimpero romano
che raggiunse il suo culmine con leditto di Caracalla (Constitutio antoniniana) del 212
d.C. in base al quale i maschi liberi di tutte le province imperiali acquisirono piena e uguale
cittadinanza romana.
Lassimilazione della cultura greco-ellenistica fu promossa dal partito innovatore, facente
capo alla famiglia degli Scipioni, ma allinizio fu duramente avversata e frenata dal partito
tradizionalista capeggiato da Marco Porcio Catone (detto il Censore) e sostenitore del mos
maiorum sintetizzato nelle leggi delle 12 Tavole (V secolo a.C.). Essa riguard innanzitutto
la letteratura ma subito dopo si allarg alla filosofia. Ancora pi di quella della letteratura
greca, la penetrazione della filosofia greca a Roma si scontr con le istituzioni politiche,
non solo inizialmente, e cio nellet repubblicana, ma anche in una fase pi avanzata,
quando ormai Roma si era trasformata in un impero. In altri termini, i filosofi, dapprima
Greci poi anche romani, furono spesso oggetto di provvedimenti repressivi non solo da
parte dei senatori tradizionalisti, ispirati da Catone, ma anche da imperatori quali Tiberio,
Nerone, Vespasiano. Solo a partire da Adriano, cio dal II secolo d.C., la filosofia cominci
a essere tollerata e poi anzi onorata.
Per comprendere meglio sia lavversione dei tradizionalisti romani alla filosofia sia il modo
in cui gli innovatori romani recepirono la filosofia, necessario ricordare che per i romani
la forma pi importante di cultura, ovvero la regina delle discipline conoscitive e quindi
scolastiche, era la retorica, intesa come larte di saper fare discorsi convincenti. La ragione
di questo privilegio nota: la civilt romana era essenzialmente unorganizzazione politicomilitare, lindividuo era innanzitutto un civis, e dunque la capacit di parlare, tanto per far
valere le proprie ragioni nei dibattiti politici quanto per incitare i soldati a combattere, era
considerata la dote prioritaria di ogni romano. Il romano, sosteneva Catone, doveva essere
vir bonus et dicendi peritus, un uomo buono ossia ubbidiente al mos maiorum ed
esperto nel parlare, cio nel tenere discorsi in pubblico. Di conseguenza, i tradizionalisti
romani rifiutarono la filosofia in quanto era costituita da saperi (metafisica, gnoseologia,
fisica) che essi ritenevano superflui e dispersivi, mentre gli innovatori, almeno

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inizialmente, accolsero s la filosofia ma selezionandone e valorizzandone quelle branche


(etica, politica, retorica) che erano consonanti con la mentalit romana e dunque
privilegiando i filosofi e le scuole che pi avevano dato spazio ad esse.
La stasi e la decadenza della ricerca scientifica
In questa prospettiva, in particolare, i romani si disinteressarono quasi completamente
della componente scientifica della filosofia. I saperi scientifici matematica, astronomia,
fisica, biologia, medicina si erano sviluppati sin dallinizio nel seno della filosofia, o
comunque in rapporto ad essa, e, nellet ellenistica, avevano raggiunto un livello tale di
fioritura da dare avvio a una vera e propria rivoluzione scientifica, che avrebbe potuto
anticipare di due millenni la rivoluzione scientifica moderna. La conquista romana del
Mediterraneo orientale, invece, fece abortire la rivoluzione scientifica ellenistica. I romani,
infatti, al contrario delle monarchie ellenistiche postalessandrine, non promossero,
finanziandola, la ricerca scientifica e lasciarono deperire le istituzioni scientifiche dellet
ellenistica. Emblematico, in tal senso, il fatto che la conquista di Alessandria dEgitto da
parte di Cesare nel 48 a.C. provoc, in seguito a un incendio, la distruzione di una parte,
piccola ma ugualmente significativa, dellimmenso patrimonio librario della Biblioteca
regia, che sarebbe poi stata ancor pi danneggiata dalla guerra tra limperatore Aureliano e
la regina Zenobia nel III secolo d.C., e poi distrutta definitivamente dagli arabi nel VII
secolo. Ci spiega come mai lo sviluppo scientifico della civilt romano-mediterranea si
arrest nel II secolo d.C. e perch dopo questo secolo il livello delle conoscenze scientifiche
cal drasticamente. Infatti, le pi significative opere scientifiche romane, quali il D e
architectura (29-23 c.ca a.C) di Vitruvio e la Naturalis historia (77 d.C.) di Plinio il
Vecchio, ebbero un carattere meramente enciclopedico e divulgativo, erano cio opere di
erudizione che raccoglievano e diffondevano il sapere acquisito dalle civilt greca ed
ellenistica senza aggiungervi quasi nulla di nuovo.
Ancor pi emblematico della stasi e della decandenza delle scienze nellepoca romana il
caso dellastronomo Claudio Tolomeo, vissuto nella seconda met del II secolo d.C., che
seppur ancora dotato di ottime cognizioni matematico-scientifiche, disponeva per di un
livello di conoscenza scientifica inferiore a quello dei grandi scienziati dei secoli precedenti,
come Archimede e Ipparco. Tolomeo elabor una nuova pi precisa e unitaria versione
della teoria geocentrica, ma il suo merito maggiore, bench non di poco conto, fu quello di
sintetizzare in un unico sistema le invenzioni teoriche degli astronomi geocentrici dellet
ellenistica. Soprattutto, pur conoscendola direttamente, Tolomeo rifiut la raffinata teoria
eliocentrica di Aristarco di Samo (III secolo a.C.), la confut teoricamente e fu il principale
responsabile scientifico delloblio delleliocentrismo fino alla sua ripresa da parte di
Copernico nel XVI secolo.
Parzialmente controcorrente fu la ricerca scientifica in campo medico, dato che lutilit
della medicina risultava, naturalmente, evidente anche ai romani. In particolare, Claudio
Galeno (129-212 d.C.) sintetizz nella sua opera la tradizione scientifica medica
dellantichit. La scienza medica, secondo Galeno, doveva basarsi sulla teoria dei 4 umori

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del corpo umano: il flegma (freddo e umido), la bile nera (fredda e secca), la bile gialla
(calda e secca), il sangue (caldo e umido). Il prevalere in ogni corpo umano di uno di questi
umori determina il carattere dellindividuo, che dunque pu essere, rispettivamente,
flemmatico, malinconico, bilioso o sanguigno. Il benessere psicofisico dato dallequilibrio
perfetto tra i quattro umori, le malattie sono provocate dai loro diversi squilibri. La terapia
medica deve quindi mirare al riequilibrio, utilizzando s farmaci o interventi chirurgici, ma
solo come stimoli per attivare la naturale capacit di autoguarigione dellorganismo. La
scienza medica moderna, comunque, si svilupper da una critica e da un superamento
della scienza galenica, soprattutto perch sostituir alla spiegazione finalistica del
funzionamento del corpo, tipica di Galeno, quella meccanicistica.
Per quanto riguarda, invece, le cosiddette arti, ossia i saperi pratico-tecnici, come p.e. larte
meccanica, emblematica la condanna di Cicerone nel De officiis: [] tutti gli operai
esercitano una professione degradante; il lavoro manuale non pu avere alcun segno di
nobilt. Minimamente poi devono riscuotere approvazione quelle professioni destinate a
soddisfare i piaceri materiali. Le uniche arti che Cicerone salvava erano larchitettura e
lagricoltura.
Larrivo e lo sviluppo della filosofia a Roma
Per quanto riguarda, invece, gli aspetti non scientifici della filosofia, la prima
testimonianza significativa del contatto tra la cultura romana e la filosofia greca fu quella
dellambasceria a Roma, nel 156/155, dei tre pi rinomati e celebri filosofi Greci di quel
momento: Carneade, scolarca dellAccademia media, ad indirizzo scettico; Critolao,
scolarca del Peripato (o Liceo) aristotelico; Diogene (di Seleucia), caposcuola dello
stoicismo. I tre maestri trovarono modo di esporre pubblicamente le proprie dottrine.
Carneade in particolare diede una mirabile dimostrazione di tecnica dialettica tessendo
prima lelogio della giustizia e confutandone, invece, il giorno successivo, il valore. In
breve, i tre filosofi Greci furono espulsi da Roma e rispediti in Grecia. Il principale
fomentatore della loro espulsione fu, naturalmente, Catone. Lanno successivo, arrivarono
a Roma due filosofi Greci epicurei e tentarono anche loro di diffondere le loro idee, ma
furono anchessi immediatamente espulsi. In seguito, per, il romano Gaio Amafinio
scrisse in latino un trattato divulgativo della filosofia epicurea, che, tra la fine del II secolo
a.C. e linizio del I, diede origine a un movimento epicureo diffuso soprattutto tra la classe
plebea. Ancora nel I secolo a.C. il ricco Calpurnio Pisone, suocero di Cesare, fu convertito
allepicureismo dal siriano Filodemo e, insieme a lui, promosse la formazione di un circolo
epicureo aristocratico nella sua villa di Ercolano. Ma il massimo cultore e diffusore latino
della filosofia epicurea fu il poeta Lucrezio che visse nella prima met del I secolo a.C. e
scrisse il poema De rerum natura, nel quale espose fedelmente la filosofia di Epicuro
utilizzando lo stile poetico come mezzo per comunicarla e diffonderla, non solo
intellettualmente ma anche emotivamente, a un pi vasto pubblico. Tuttavia, la filosofia
epicurea in et romana rimase una filosofia dlite, coltivata soprattutto da plebei, gruppi
di intellettuali e qualche circolo aristocratico, tutti accomunati dallopposizione

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allestablishment romano. In altre parole, lepicureismo romano fu una filosofia del


dissenso e di dissidenti, e non poteva che essere tale considerando che Epicuro aveva
sostenuto il rifiuto della vita politica e pubblica a favore di una vita ritirata e vissuta in un
piccolo gruppo di amici.
Contemporaneamente, a Roma cominci a diffondersi lo stoicismo, attraverso i due
capiscuola del mediostoicismo, e cio Panezio di Rodi, della seconda met del II secolo
a.C., e Posidonio di Apamea (Siria), della prima met del I secolo a.C. Panezio soggiorn a
lungo a Roma, ospitato e protetto dal Circolo degli Scipioni; Posidonio, che insegnava a
Rodi, ebbe come ascoltatori Cicerone e Pompeo, e moltissimi giovani delle famiglie
aristocratiche romane furono mandati da lui a completare i loro studi. In questo modo lo
stoicismo divenne progressivamente la filosofia dellestablishment romano, della sua classe
dominante e dirigente. Ci si spiega sia con la maggiore compatibilit tra il mos maiorum e
la filosofia stoica originaria, sia con la revisione moderata e accomodante che Panezio e
Posidonio fecero dello stoicismo originario, anche in seguito allinfluenza esercitata su di
loro dalla civilt romana. In questo senso, per esempio, Panezio e Posidonio sostennero
che, tra i beni indifferenti ve ne sono alcuni preferibili (agiatezza, salute, forza, ecc.),
cio da valorizzare e utilizzare per rendere pi facile la pratica della virt, cosicch le azioni
intermedie per procurarseli devono essere considerate dei doveri. Una posizione,
questa, che calzava perfettamente con la mentalit romana.
Allinizio del I secolo a.C. si verific anche una rinascita del pensiero aristotelico, che
dallinizio del III secolo a.C. non aveva pi avuto sviluppi di rilievo. In questo modo anche
laristotelismo cominci a diffondersi a Roma, in particolare grazie a Stasea di Napoli,
Aristone di Alessandria e Cratippo di Pergamo. Nell86 a.C., poi, Silla saccheggi Atene e
port a Roma la biblioteca del Liceo, o Peripato, la scuola aristotelica, cosicch negli anni
successivi cominciarono a essere pubblicati a Roma alcuni scritti di Aristotele. Ma fu
soprattutto lordinamento e la pubblicazione del Corpus Aristotelicum, cio dellopera
completa di Aristotele, ad opera di Livio Andronico, nella seconda met del I secolo, a
rilanciare il pensiero aristotelico. Infatti, precedentemente, in Grecia, al di fuori del Liceo,
circolavano solo gli scritti essoterici (cio rivolti al pubblico esterno), mentre non erano
mai stati pubblicati gli scritti esoterici (cio riservati agli studenti del Liceo). Stimolata dal
Corpus Aristotelicum, la corrente peripatetica continu a svilupparsi fino a Alessandro di
Afrodisia, tra la fine del II e linizio del III secolo d.C., per poi esaurirsi. Mentre gli
aristotelici precedenti Livio Andronico interpretarono Aristotele in senso naturalisticomaterialistico, quelli successivi lo interpretarono sempre pi in senso platonico.
Intorno all88 a.C. il nuovo scolarca dellAccademia platonica, Filone di Larissa, si trasfer
a Roma, dove apr una scuola e nell87 pubblic due suoi libri. Filone abbandon lindirizzo
scettico dellAccademia di Carneade a favore di un nuovo orientamento aperto alla
contaminazione delle tesi ritenute pi valide di altre scuole filosofiche. Questo nuovo
orientamento chiamato eclettismo. Tra i romani che frequentarono la scuola di Filone,
vi fu Marco Tullio Cicerone (106-43 a.C.), che divenne iniziatore e principale esponente
delleclettismo romano, che si pu considerare lapporto pi originale e tipico che la cultura

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romana seppe dare allo sviluppo della filosofia. Leclettismo infatti si confaceva alla
mentalit romana, poco incline alle sottigliezze e alle distinzioni teoretiche, e pi
pragmaticamente interessata allesito pratico del pensiero. Cicerone, studioso e quindi
conoscitore di tutte le diverse filosofie greche pitagorismo, platonismo, aristotelismo,
epicureismo, stoicismo, scetticismo partiva dallassunto, di origine scettica, della
relativit veritativa di ogni scuola filosofica per giungere a sostenere che per possibile
individuare lopinione pi probabile, cio pi vicina possibile alla verit, confrontando le
diverse tesi e scegliendo per ogni questione quella che risulti migliore, indipendentemente
dalla scuola alla quale la si attinge. In tal senso Cicerone mise a punto un collage, o un
patchwork, filosofico, rifacendosi a tutte le tradizioni filosofiche da lui conosciute, con
leccezione dellepicureismo, di cui afferm di non condividere niente, e del cinismo, che
per lui non era nemmeno degno di essere considerato una filosofia.
Negli anni successivi alla morte di Cicerone, cio nella seconda met del I secolo a.C., ad
Alessandria dEgitto fu fondata una scuola neoscettica ad opera di Enesidemo (80-10 a.C.)
che si era staccato dallAccademia quando, con Filone di Larissa, questa aveva
abbandonato limpostazione scettica per abbracciare quella eclettica. Il neoscetticismo fu
poi portato avanti, tra gli altri, da Agrippa, nella seconda met del I secolo d.C., dal medico
empirico Menodoto e soprattutto da Sesto Empirico, nella prima met del II secolo d.C., il
quale svilupp lo scetticismo come fenomenismo sensista.
Il cinismo giunse a Roma tardi, a causa del declino del movimento filosofico nel II e nel I
secolo a.C., ma anche perch di tutte le filosofie greche era certamente quella pi
inconciliabile col mos maiorum, tanto che anche il tollerante ed eclettico Cicerone giunse a
sostenere che il cinismo doveva essere respinto in blocco perch contrario alla
verecondia. Ci nonostante, a partire dal I secolo d.C., anche il cinismo cominci a
diffondersi a Roma, prima con Demetrio e poi con Dione Crisostomo. Entrambi per
ebbero vita difficile: il primo fu espulso da Roma nel 71 d.C. dallimperatore Vespasiano, il
secondo esiliato nell82 d.C. da Domiziano, ma poi riaccolto e onorato da Traiano. Dal II
secolo d.C. il cinismo, o meglio la vita cinica, divenne la filosofia pi diffusa nei ceti
popolari, mantenendo la sua valenza anticivile.
Levoluzione della filosofia nei primi secoli dellimpero
Linfluenza di Panezio e Posidonio e laffinit elettiva tra la tradizione romana e lo
stoicismo fecero s che, a partire dal I secolo d.C., nascesse e si sviluppasse una nuova fase
dello stoicismo il neostoicismo o nuova sto del tutto romana, di cui furono principali
esponenti Seneca (4 a.C-65 d.C.), Epitteto (50-120 d.C.) e Marco Aurelio (121-180 d.C.).
Questo stoicismo romano si caratterizz per il prevalente o esclusivo interesse per letica,
per unapertura eclettica ad altre correnti filosofiche, in particolare al platonismo, e per la
sua curvatura intimistico-religiosa, ovvero per limportanza assunta dalla problematica del
rapporto tra linteriorit dellindividuo e la divinit.
Nel I secolo a.C., in particolare dopo il saccheggio di Atene da parte di Silla, lAccademia
platonica, che nellultima sua fase aveva abbracciato un indirizzo eclettico, si disciolse. Nel

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corso del I secolo d.C., per, il platonismo rinacque ad Alessandria dEgitto. Questa nuova
fase di sviluppo del platonismo chiamata medioplatonismo, prosegu fino alla fine del
II secolo d.C. ed ebbe come principali esponenti Plutarco di Cheronea, vissuto tra il I e II
secolo d.C., autore delle celebri Vite parallele; Apuleio di Madaura, vissuto nella prima
met del II secolo d.C. e autore di Metamorfosi (o Lasino doro); Celso vissuto nella
seconda met del II secolo d.C. Il medioplatonismo valorizz il versante trascendente della
filosofia di Platone, sviluppandola in senso teologico-religioso.
Sempre nel I secolo, e proprio in ambiente romano, emerse il neopitagorismo. E
Cicerone stesso che indica Publio Nigidio Figulo come liniziatore della ripresa e della
evoluzione dellantica filosofia pitagorica, mai del tutto spenta nei secoli precedenti.
Nigidio Figulo in particolare organizz una vera e propria scuola pitagorica. Tra la fine del
I secolo a.C. e linizio del I secolo d.C. Quintino Sestio ne fond unaltra. Altri esponenti del
neopitagorismo nel I e nel II secolo d.C. furono Moderato di Gades e Apollonio di Tania,
contemporanei di Nerone e dei Flavi, e Numenio di Apamea, vissuto nella seconda met
del II secolo d.C. Il neopitagorismo romano si caratterizz per la valorizzazione
dellimmaterialit dei principi primi (Monade e Diade) e dellanima umana, per una
tendenza monoteistica a far derivare tutta la realt, anche la Diade, dallunico principio
della Monade, per la tensione mistico-religiosa.
La genesi della filosofia cristiana e di altre filosofie religiose
Si visto come nei primi secoli dellimpero romano, le diverse correnti filosofiche avessero
assunto un orientamento religioso. Questo cambiamento va inserito nella pi generale
tendenza dellintera cultura romana verso un nuovo sentimento religioso, molto diverso da
quello tradizionale. La religione politeistica romana, che aveva inglobato le divinit dei
popoli italici e poi si era fusa con la religione olimpica greca, era una religione politica, cio
tuttuno con le autorit e le attivit dello Stato romano. Oltre alla religione ufficiale esisteva
una religiosit popolare strettamente legata alle attivit lavorativo-produttive, alla
riproduzione dei figli e, pi in generale, al benessere psico-fisico individuale e famigliare.
Ma entrambe le religioni, quella ufficiale e quella popolare, erano religioni
dellimmanenza, cio religioni credute e praticate al fine di assicurare una pi felice
condizione terrena. Laldil, la dimensione dellesistenza dopo la vita terrena, era concepito
come un regno di ombre, buio e cupo, dove si sopravviveva in modo larvale, un luogo
tuttaltro che attraente, la cui unica funzione era quella di consentire una comunicazione
con i parenti morti.
Tra la fine del I secolo a.C. e linizio del I d.C., per, cominciarono a diffondersi a Roma
nuove religioni di origine orientale che promettevano la salvezza eterna, cio la
sopravvivenza dellanima individuale, dopo la morte del corpo, in una dimensione
ultraterrena positivamente connotata. La diffusione delle religioni salvifiche, p.e. esempio
il culto di Mitra o la religione di Iside, attesta lemergere di un nuovo bisogno religioso
proiettato nella dimensione trascendente, ossia lesigenza di una vita immortale ancora pi
felice di quella mortale.

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Nel I secolo d.C. fu elaborata la prima filosofia dichiaratamente basata su una religione
orientale, e precisamente sullebraismo. Autore ne fu Filone di Alessandria (25 a.C.-40
d.C.), la citt in cui, nel III secolo a.C., la Bibbia ebraica era stata tradotta in greco. Filone
fu il primo filosofo a sostenere la tesi dellidentit tra la verit dellAntico Testamento
ebraico e la verit della filosofia greca. A tal fine, per, la Bibbia non andava recepita
letteralmente ma interpretata allegoricamente. Lo scopo ultimo della filosofia era per lui
lunione mistica con Dio.
A partire soprattutto dal II secolo d.C., una delle tante religioni salvifiche che pullulavano
nella societ romana, e che inizialmente era diffusa solo allinterno delle comunit
ebraiche, il cristianesimo, cominci a organizzarsi in comunit autonome e a diffondersi
sempre pi ampiamente soprattutto tra le classi medie urbane, in qualche caso anche tra
elementi della classe dominante. Nello stesso secolo i primi intellettuali cristiani gettarono
le basi della filosofia ispirata al cristianesimo, detta patristica, in quanto opera dei
padri della Chiesa, ovvero i primi intellettuali cristiani, coloro che gettarono le
fondamenta della dottrina teologica cristiana. La filosofia patristica del I-II secolo d.C. fu
chiamata apologetica perch aveva come scopo principale la difesa del cristianesimo
dagli attacchi dei filosofi legati alla tradizione classica. Il primo padre-apologeta di rilievo
fu Giustino (nato nei primi anni del II secolo d.C. e giustiziato come cristiano nel 165 d.C.)
che sostenne che i filosofi Greci avevano plagiato la Bibbia ma anche che alcuni di loro
avevano anticipato verit cristiane in quanto tutti gli uomini posseggono parzialmente quel
logos divino che Cristo avrebbe poi posseduto totalmente. Lapologetica cristiana provoc
la reazione dei filosofi legati alla religione politeistica greco-romana. Emblematico in
questo senso il Discorso vero (180 d.C.) in cui il medioplatonico Celso ribalt contro il
cristianesimo laccusa di minare limpero e di aver plagiato i filosofi Greci, soprattutto
Platone.
Ma la reazione della cultura filosofico-religiosa tradizionale si espresse ancor pi
significativamente in una serie di scritti del II-III secolo d.C. che tentarono una sintesi di
filosofia e religione diffondendola come trascrizione di antichissime e originarie tradizioni
sapienziali mediorientali scaturite da una rivelazione divina. Le pi importanti opere di
questo nuovo genere furono il Corpus Hermeticum e gli Oracoli Caldaici. Il Corpus
Hermeticum, costituito da 17 trattati, fu composto da vari autori, tutti sconosciuti, ma
diffuso come opera di Ermete Trismegisto (= tre volte grandissimo), denominazione
dellantico dio egizio della scrittura e della conoscenza Thoth (corrispondente allHermes
greco, ovvero al Mercurio latino). Il suo contenuto, proposto come sapienza egizia del II
millennio a.C. ed espresso in uno stile in parte narrativo-simbolico in parte logicoargomentativo, imperniato su un Dio-Luce unico e trascendente da cui derivano il Logos,
suo primogenito, lIntelletto demiurgico, suo secondogenito, lAnthropos, luomo
incorporeo, suo terzogenito, destinato a cadere nella materialit e, successivamente, a
salvarsi recuperando la propria natura puramente spirituale e indiandosi, cio unendosi
misticamente a Dio. Gli Oracoli Caldaici, scritti, in questo caso pare effettivamente, da
Giuliano detto il Teurgo, si rifacevano alla sapienza babilonese, ovvero alla religione

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mesopotamica del sole/fuoco, erano presentati come rivelazione di Ecate, dea della magia,
e contenevano una dottrina della divinit simile a quella ermetica ma soprattutto una
tecnica, detta appunto teurgia, che utilizzava immagini magiche e formule orali per
avvicinarsi a Dio fino a congiungersi con lui.
Nello stesso periodo, tra la fine del II e linizio del III secolo d.C., allinterno della patristica
cristiana emerse un orientamento decisamente antifilosofico. Ne fu iniziatore Tertulliano
(155-230 d.C. circa), nato a Cartagine, la cui tesi fondamentale fu successivamente
sintetizzata nella famosa sentenza credo quia absurdum (credo proprio perch
assurdo). In altri termini, Tertulliano, basandosi anche sui passi delle epistole di S. Paolo
che definivano la fede cristiana scandalo e follia, sosteneva che la fede era negazione e
rifiuto della ragione e dunque di qualsiasi filosofia. La posizione di Tertulliano prevalse
nella patristica latina, mentre la patristica greca segu e svilupp lorientamento di
Giustino, favorevole alla mediazione tra fede cristiana e filosofia greco-romana, con
Clemente Alessandrino (150-215) e Origene (185-284). Il primo attribu alla filosofia il
ruolo di introduzione alla fede cristiana; il secondo scrisse il Contra Celsum, cio la
confutazione delle critiche che Celso aveva mosso contro il cristianesimo, e sostenne che la
filosofia acquista un senso e unutilit solo se illuminata dalla fede.
Levoluzione della filosofia nel tardo impero: il neoplatonismo
Nel corso del III secolo d.C. ebbe inizio il declino dellimpero romano, o meglio della sua
parte occidentale. Dopo la dinastia dei Severi, dal 235 al 284, imperversarono la guerra
civile, la peste, il calo demografico, la recessione economica. In questa situazione il
cristianesimo aument notevolmente la sua diffusione facendo sempre pi breccia nella
classe dirigente romana. Eppure proprio nel III secolo la cultura greco-romana si dimostr
capace di reagire e di produrre una nuova filosofia di altissimo livello: il neoplatonismo,
cio una nuova versione della filosofia di Platone che rifondeva al suo interno spunti e
apporti di tutte le diverse correnti filosofiche dellet ellenistica e romana. Il fondatore del
neoplatonismo fu Plotino (204-270), nativo di Licopoli in Egitto, autore delle Enneadi, il
quale chiam Uno il principio primo di tutto e lo configur, al tempo stesso, come
immateriale e infinito, e concep e pratic la filosofia come un ritorno allUno culminante
nellestasi, cio nellabbandono del proprio io per fondersi con lUno-Tutto. Il
neoplatonismo fu ulteriormente sviluppato poi da Porfirio (234-305), discepolo di Plotino;
Giamblico (245-325), discepolo di Porfirio; Giuliano (331-363), limperatore romano
bollato dai cristiani come lApostata, cio il traditore, perch aveva cercato di restaurare il
politeismo; Ipazia di Alessandria (370-415), caso unico di donna filosofo nellantichit,
nonch di donna martire della filosofia, poich fu seviziata e uccisa da cristiani fanatici
aizzati dal vescovo di Alessandria Cirillo; Proclo (412-485), che sintetizz nella sua filosofia
tutto il pensiero neoplatonico precedente.
A partire dalleditto di Costantino (313), la chiesa cristiana, ormai strutturata
gerarchicamente, cominci ad acquisire funzioni e poteri politici, fino a quando
limperatore Teodosio, con leditto di Tessalonica (380), lo proclam unica religione di

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Stato. Come attesta lassassinio di Ipazia, lo sviluppo del neoplatonismo fu sempre pi


osteggiato dai cristiani.
Ma paradossalmente il neoplatonismo, nato come risposta e alternativa al cristianesimo,
fin con lessere colonizzato e utilizzato proprio dal cristianesimo e gli consent, in tal
modo, di conquistare legemonia culturale, sconfiggendo definitivamente la tradizione
filosofica greco-romana. Infatti, in particolare a Milano verso la fine del IV secolo, per
iniziativa del vescovo Ambrogio, si form un circolo di chierici-intellettuali dedito allo
studio della filosofia neoplatonica e alla sua conciliazione con la religione cristiana.
Lartefice dellinnesto del neoplatonismo sul tronco del cristianesimo fu uno dei membri
del circolo ambrosiano, Agostino di Tagaste (354-430), che elabor cos il primo sistema
filosofico cristiano complessivo capace di rivaleggiare con le grandi filosofie greco-romane.
Nel corso del V secolo d.C., mentre limpero romano dOccidente cessava desistere del
tutto con la deposizione di Romolo Augustolo (476), la religione e la filosofia cristiane
conquistarono la maggioranza della classe dirigente. Il neoplatonismo si ridusse sempre di
pi fino a essere definitivamente soppresso, insieme con tutte le altre superstiti filosofie
antiche, da un editto del 529 con il quale limperatore dOriente Giustiniano, che era
riuscito a riconquistare la penisola italiana, ordin la chiusura di tutte le scuole filosofiche
non cristiane.

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IX VIAGGIO
DIO COME INFINITA IMPERSONALE

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MESSAGGIO NELLA BOTTIGLIA


E questo il significato della famosa prescrizione dei misteri: Non divulgare
nulla ai non iniziati: proprio perch il Divino non devessere divulgato, fu
proibito di manifestarlo ad altri, a meno che questi non abbia gi avuto per se
stesso la fortuna di contemplare.
Poich, dunque, non erano due, ma il veggente era una cosa sola con loggetto
visto (unito, dunque, non visto), chi allora divenne tale quando si un a
Lui, se riuscisse a ricordare, possederebbe in s unimmagine di Lui; egli,
per, in quel momento, era uno di per s e non aveva in s alcuna
differenziazione n rispetto a se stesso n rispetto alle altre cose; non cera in
lui alcun movimento; n collera n desiderio erano in lui, una volta salito a
quellaltezza, e nemmeno cera ragione o pensiero; non cera nemmeno lui
stesso, insomma, se proprio dobbiano dir cos. E invece, quasi rapito o
ispirato, entrato silenziosamente nella solitudine e in uno stato che non
conosce turbamenti, e non si allontana pi dallessere di Lui, n pi si aggira
intorno a se stesso, essendo ormai assolutamente fermo, identico alla stessa
immobilit.
Egli ha trasceso ormai le stesse cose belle, anzi, ha trasceso il Bello stesso e il
coro delle virt: simile ad uno che, entrato nellinterno del penetrale, abbia
lasciato dietro di s le statue collocate nel tempio, quelle statue che, quando
egli uscir nuovamente dal penetrale, gli si faranno avanti per prime, dopo
aver avuto lintima visione e dopo essersi unito non con una statua, con una
immagine, ma con Lui stesso: quelle statue che sono, dunque, di secondo
ordine.
Quella per non fu una vera visione, ma una visione ben diversa, unestasi,
una semplificazione, una dedizione di s, brama di contatto, quiete e studio di
adattamento; solo cos si pu vedere ci che v nel penetrale; ma se si guarda
in altra maniera, tutto scompare.
Tutto ci soltanto unimmagine, un modo allusivo, di cui si servono i profeti
sapienti per indicare come il Dio supremo va contemplato; ma un saggio
sacerdote che comprenda lallusione, pu giungere alla vera visione solo che
entri allinterno del penetrale. Anche se non vi entra, cio se pensa che questo
penetrale sia qualcosa di invisibile, la sorgente e il Principio, egli sa tuttavia
che solo il Principio vede il Principio e che solo il simile si unisce al simile; e
non trascurer alcuno degli elementi divini che la sua anima capace di
contenere, gi prima della visione; e il resto, poi, lo esiger dalla visione
stessa; ma il resto, per chi ha trasceso tutto, Colui che prima di tutte le
cose.

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Lanima, infatti, non pu mai arrivare al non-essere assoluto; se scende in


basso, scende al male, e cio verso il non-essere, ma non al non-essere
assoluto; invece, se corre sulla via opposta, giunge non ad un altro ma a se
stessa; e cos, poich non in un altro, non pu essere in nulla ma solo in se
stessa; ma essere in s sola e non nellessere, vuol dire in Lui; e il
contemplante diventa non essenza, ma al di l dellessenza, poich si unisce
a Lui.
Se uno si vede gi trasformato in Lui, egli possiede dunque in s unimmagine
di Lui e se passa da s, che copia, alloriginale, ha toccato finalmente il
termine del suo viaggio. Ma se decade dalla contemplazione, egli pu
risvegliare la virt che in lui e, meditando sul suo ordine interiore, ritrover
la sua leggerezza e salir allIntelligenza sulla via della virt e, mediante la
saggezza, a Lui.
Questa la vita degli dei e degli uomini divini e beati: distacco dalle restanti
cose di quaggi, vita che non si compiace pi delle cose terrene, fuga di solo a
solo.
Plotino, Enneadi, libro VI, trattato 9, pragrafo 11

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ROTTA SU
IL NEOPLATONISMO
Di diritto il fondatore della filosofia neoplatonica fu Ammonio Sacca, il quale per non
mise mai per iscritto il suo pensiero. Di conseguenza, di fatto fu il suo discepolo Plotino,
autore di 54 trattati intitolati Enneadi, il capostipite della scuola neoplatonica, destinata
a tener banco per tre secoli, dallinizio del III allinizio del VI secolo d.C., ovvero fino alla
fine della filosofia antica. In questo senso il neoplatonismo rappresent, per cos dire,
lultimo canto del cigno della filosofia e, pi in generale, della cultura greco-romana, cio,
fuori di metafora, lultima grande creazione filosofica dellantichit classica.
Il nome neoplatonismo segnala in modo fin troppo netto che la nuova filosofia avviata
da Plotino si pone in continuit con la grande filosofia di Platone. Addirittura Plotino
presenta il suo pensiero come una riesposizione fedele del pensiero platonico, solo in
forma di trattato, anzich in quella del dialogo, e completa, comprensiva, cio, anche dei
cosiddetti Insegnamenti orali, che Platone non aveva mai trascritto ma che erano stati
appuntati da alcuni dei suoi discepoli, innanzitutto Aristotele, e comunque erano stati
tramandati oralmente allinterno dellAccademia.
In realt, pur ispirandosi soprattutto a Platone, quella di Plotino una filosofia originale
e, in tal senso, si avvale di tutte le filosofie postplatoniche, a cominciare da quella
aristotelica, rifondendone vari aspetti allinterno del suo pensiero bench valorizzando
soprattutto quelli ebraico-religiosi di Filone di Alessandria. Per questo, si pu a buon
diritto affermare che il neoplatonismo una sintesi di tutte le filosofie antiche. Ci non
vuol dire che il neoplatonismo sia una forma di eclettismo, in quanto semmai un
raffinato esempio di sincretismo. Infatti Plotino rifuse elementi delle filosofie precedenti
allinsegna del platonismo, cio interpretandoli platonicamente e adattandoli ai capisaldi
del platonismo.
Il fulcro della sintesi plotiniana la nuova concezione del principio primo di tutte le cose.
Mentre in tutte le filosofie precedenti linfinitezza del principio, o dei principi, si abbina
alla materialit, e, invece, la sua immaterialit alla finitezza, Plotino spariglia le carte e
coniuga infinitezza e immaterialit, scoprendo un nuovo concetto dellinfinito, un infinito,
cio, non quantitativo ma qualitativo, non potenziale ma attuale. In tal modo, Plotino
conferisce al principio primo, da lui chiamato Uno ma anche Dio, una potenza e una
trascendenza mai prima concepite. Dopo essersi posto un problema inedito qual il
principio del principio e aver proposto la propria soluzione, Plotino spiega la
costituzione del mondo fisico elaborando una teoria del tutto originale, quella della
prosecuzione, ovvero dell irradiazione, del principio. Corollario di questa teoria una
nuova concezione della materia, intesa non pi come principio indipendente
contrapposto allessere, cio allordine razionale, ma come non-essere relativo, ossia
come privazione dellessere.

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Infine, Plotino riprende e rilancia la teoria antica delluomo come dio decaduto e delinea
la strada conoscitiva, etica ed erotico-estetica per il suo ritorno alloriginaria condizione
divina, ma le aggiunge un esito finale del tutto inedito, quello dellestasi, cio della
possibilit per luomo di unirsi allUno-Dio mentre ancora in vita e di raggiungere cos
una felicit assoluta, in quanto infusa dallinfinit trascendente.

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VITA DI UN CAPITANO
PLOTINO
Plotino nacque a Licopoli, citt del centro dellEgitto (oggi Asyut), nel 204 d.C. Delle sue
origini e della sua famiglia non si hanno notizie perch Plotino stesso si rifiut di
comunicarle a chiunque sostenendo che non avevano alcuna rilevanza. Appassionatosi alla
filosofia a ventotto anni, si trasfer ad Alessandria dEgitto per seguire le lezioni dei
numerosi maestri che vi insegnavano. Ma di nessuno fu soddisfatto fino a quando non
conobbe Ammonio Sacca, filosofo platonico, di cui fu discepolo per undici anni. Nel 243,
Plotino lasci Alessandria per unirsi alla spedizione contro i Persiani dellimperatore
Gordiano III, con lintento di fare conoscenza diretta delle filosofie dei maghi persiani e dei
gimnosofisti indiani. Ma, in seguito alla sconfitta di Gordiano, si ritrov sbandato in mezzo
alla Persia. Rischiando pi volte la vita, riusc fortunosamente a raggiungere Antiochia.
Dopo la brutta avventura persiana, si trasfer a Roma, dove apr una sua scuola,
frequentata anche da molte donne, e insegn per molti anni. Mentre fino al 254, Plotino,
seguendo la prescrizione del suo maestro Ammonio, emulo in questo di Socrate, svolse un
insegnamento unicamente orale, cio senza scrivere alcun testo proprio, a partire dal 254
cominci a mettere per iscritto la sua filosofia e negli anni successivi compose 54 trattati. Il
suo pi affezionato discepolo, Porfirio, autore anche di una sua biografia, ne cur la
pubblicazione raggruppandoli in 6 libri di 9 trattati ciascuno, da cui il titolo di Enneadi.
Dopo il travagliato ritorno dalla Persia, la vita di Plotino trascorse apparentemente nella
monotonia pi totale. Porfirio, per, ci testimonia che, in realt, Plotino visse la pi
straordinaria delle esperienze, quella della cosiddetta estasi, ovvero dellabbandono della
dimensione terrena, e della stessa coscienza individuale, e del congiungimento con il
principio divino e trascendente di tutte le cose, che Plotino denominava preferibilmente
Uno. Secondo la testimonianza di Porfirio, Plotino, nel corso di tutta la sua vita,
raggiunse lestasi quattro volte.
Gi cinquantenne Plotino soffriva di angina pectoris in forma stabile. Dopo i sessantanni,
la sua malattia si aggrav seriamente, la vista gli si indebol e la voce gli divenne rauca
tanto da rendere le sue parole poco comprensibili. Plotino decise cos di porre fine alle sue
lezioni, abbandon Roma e si trasfer in Campania nel podere rurale del suo amico e
discepolo Zeto. N prima n dopo il suo trasferimento in campagna Plotino volle mai farsi
curare, perch riteneva che un uomo non si dovesse dare pena dei malanni e dei dolori del
proprio corpo. Per lo stesso motivo, durante la sua vita, non si era mai voluto far ritrarre da
pittori o scultori. Porfirio testimonia che una volta che un suo discepolo gli propose di
lasciarsi fare un ritratto gli disse: Non abbastanza portare questimmagine che la natura
ci ha messo intorno, e bisogner anche permettere che di questa immagine rimanga
unaltra immagine pi duratura, come se essa fosse degna di uno sguardo?.

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Prima di morire, Plotino pronunci, quale testamento spirituale, queste parole: Io mi


sforzo di ricondurre il divino ch in me al divino che nelluniverso. Correva lanno 270
d.C.

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TAPPA 1
PLOTINO: TUTTO E UNO INFINITO E IMMATERIALE
Tutti gli enti sono enti per lUno, sia quelli che sono tali in primo grado, sia
quelli che partecipano in qualche modo dellEssere. Che cosa sarebbero,
infatti, se non fossero uno? Poich nessuno di essi, privato della sua unit,
pi quello. Per esempio: non c lesercito se non uno, n sono il coro e il
gregge, se non sono uno; neppure sono la casa e la nave se non hanno unit,
perch la casa e la nave sono uno e, tolta lunit, la casa non sarebbe pi casa,
n la nave pi nave. []
Inoltre, anche i corpi delle piante e degli animali, essendo uno ciascuno, se
sfuggono allunit si dividono in molte parti e perdono lessere che avevano; e
se diventano qualcosa di diverso, anche il nuovo essere esiste in quanto uno.
Plotino, Enneadi, VI, 9, 1, Rusconi 1992, a cura di Giuseppe Faggin
Ma neppure Egli limitato. Da chi lo sarebbe? E nemmeno illimitato come
grandezza. Dove avrebbe bisogno di estendersi e che cosa diventare, dato che
non ha bisogno di nulla? Egli possiede linfinitezza in quanto potenza, poich
n attinge altrove, n si esaurisce, poich anche le cose che non si esauriscono
sono tali per opera sua.
La sua infinitezza dipende dal fatto che egli non pi di uno e che non c
nulla che possa limitare qualcuna delle cose che sono in Lui; proprio perch
Uno, Egli non misurabile n numerabile. Egli non trova un limite n in altri
n in se stesso, perch se cos fosse, sarebbe dualit. Non ha dunque figura, in
quanto non ha parti, n forma.
Non cercarlo dunque con occhi mortali, come il nostro discorso va dicendo; e
non credere di poterlo vedere come pretenderebbe chi suppone che tutte le
cose siano sensibili e nega ci che vale pi di ogni cosa. In realt sono proprio
le cose che si credono come le maggiormente esistenti che non esistono
affatto. Ma il Primo sorgente dellEssere ed molto superiore allessenza.
Plotino, Enneadi, V, 5, 10-11, ed. cit.
Bisogna concepirlo anche infinito, non perch sia interminabile in grandezza
o in numero, ma perch la sua potenza non limitata. Infatti, se tu lo pensi
come Intelligenza o Dio, egli da pi; se lo raccogli in unit col tuo pensiero,
allora Egli uno ancora pi di quanto possa rappresentarlo il tuo pensiero,
poich egli in s e per s senza alcuna accidentalit. Quanto alla sua
autosufficienza, nessuno potr negarne lunit. Infatti, se fra tutti gli esseri
Egli il pi dotato e il pi autosufficiente, ne consegue che Egli non ha
assolutamente bisogno di nulla. Tutto il molteplice e il non-uno manchevole

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perch consta di molti: perci la sua essenza ha bisogno dellunit; lUno,


invece, non ha bisogno di se stesso perch Egli stesso uno. [] Di fatto, a Lui
non manca nulla n per avere lessere n per avere il benessere n per
possedere il suo fondamento: poich, essendo causa per le altre cose, Egli non
trae ci che da queste cose; quanto poi al benessere, potrebbe trovarsi fuori
di Lui? Insomma, per Lui il benessere non accidentale, ma Lui stesso. []
Perci nulla bene per lUno, e quindi non avr voglia di nessun bene, anzi
Egli Super-Bene, e non bene per se stesso, ma bene per gli altri esseri che
possono parteciparne.
Plotino, Enneadi, VI, 9, 6, ed. cit.

Innanzitutto e soprattutto, Plotino denomina il principio primo di tutte le cose Uno. Ma


al contempo Plotino afferma che Uno non il suo unico nome e, ancor di pi, che non il
suo vero nome, ma , per cos dire, solo uno dei suoi possibili epiteti. Infatti, il principio
primo di tutto (come approfondiremo in seguito) a rigore innominabile, in quanto nessun
nome sufficiente a connotarlo, cio in grado di significare la sua identit. Tuttavia, per
Plotino Uno comunque la sua denominazione preferibile poich ne esprime la prima
delle sue propriet essenziali: lessere senza parti e indifferenziato, cio assolutamente
omogeneo. E proprio questa caratteristica che rende lUno principio della realt fisica,
ovvero suo fondamento ontologico, e pertanto rende possibile argomentarne lesistenza a
partire dallosservazione delle cose sensibili.
Infatti, argomenta Plotino, se consideriamo qualunque cosa sensibile - una roccia, un
albero, un cane, ecc. - non possiamo non rilevare che essa un composto di pi e differenti
parti. P.e., un albero, si compone di radici, tronco, rami, foglie, un insieme di molte e
diverse cose, cio una molteplicit. Ma se esiste come un albero, quellalbero l, poniamo
quel pino, non pu essere molteplice. Dunque, perch quel pino possa esistere, deve esserci
qualcosa che unifichi le parti che lo compongono. Questo qualcosa appunto lUno, lunit.
Per usare unanalogia esemplificativa, si pu dire che lUno come un collante che unifica i
vari e diversi aspetti di ogni cosa, rendendola una determinata cosa, ossia una roccia o un
cane o un albero, e facendola quindi esistere come tale. Ma se ogni cosa, conclude Plotino,
esiste in quanto costituita dallunit, allora lesistenza delle cose attesta necessariamente
lesistenza dellUno come principio di tutte le cose.

Nellanalogia utilizzata per esemplificare e semplificare, lUno apparentato a un collante.


Ma bisogna ora rilevare una differenza fondamentale: mentre il collante qualcosa di
fisico, lUno, cio il criterio dellunit, secondo Plotino non invece fisico. Questa tesi
intuitivamente comprensibile: quando diciamo o pensiamo uno o unit, ci riferiamo a

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qualcosa di astratto, cio a un principio puramente razionale, ovvero ideale. Plotino ricava
cos una seconda propriet fondamentale dellUno: la sua immaterialit appunto, da cui
conseguono necessariamente limmutabilit e leternit. A queste caratteristiche Plotino ne
aggiunge una ulteriore e decisiva: linfinitezza, intesa per non in senso quantitativo ma
qualitativo. Infatti, non essendo fisico, lUno non spazio-temporale, dunque non n
alto, n largo, n lungo, n pu avere estensione o grandezze di qualunque tipo (volume,
peso, velocit, ecc.). LUno, sostiene Plotino, infinito in quanto infinita potenza,
ovvero come infinita attivit produttiva, infinita energia (enrgheia in greco antico
significava azione, forza attiva) creativa. In altri termini, la potenza lattivit in virt della
quale lUno principio di tutte le cose, le fa esistere.

In questo senso, lUno per Plotino non un infinito potenziale (nel senso attribuito
allespressione da Aristotele, il quale per potenza intendeva potenzialit, possibilit), cio
qualcosa che si pu accrescere indefinitamente, p.e. una retta; bens un infinito attuale o
in atto (secondo Aristotele inconcepibile e quindi non reale), cio del tutto completo e
compiuto, effettivamente attuato. In quanto infinito attuale, ovvero potenza creatrice,
lUno comprende tutte le qualit essere, intelligenza, bellezza, bene, giustizia, ecc. al
massimo grado, cio a un grado infinito. Pertanto, secondo Plotino, lUno oltre lessere,
lintelligenza, il bene, la bellezza, la giustizia, in quanto queste sono qualit determinate e
quindi finite, limitate. LUno, in tal senso, non esiste, ma super-esiste, o meta-esiste; non
intelligente, ma super-intelligente, o meta-intelligente, e cos via. Dunque possedendo non
solo tutte le qualit ma possedendole anche in misura infinita perfetto, anzi superperfetto.
In questo modo, Plotino riesce a motivare e a fondare, pi di ogni altro filosofo precedente,
la superiorit assoluta del principio rispetto a tutte le cose. LUno, infatti, risulta
effettivamente trascendente, dal momento che tutte le cose, non solo quelle fisiche ma
anche quelle ideali (essere, intelligenza, bene, ecc.) sono finite o al massimo infiniti
potenziali. Ma se immateriale, immutabile, eterno, infinito, perfetto e trascendente,
allora lUno divino e pertanto Plotino lo chiama anche Dio.

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MAPPA della TAPPA 1

Ogni cosa composta di parti


Per esistere come una cosa deve possedere un principio unificatore

LUno il principio di ogni cosa

indifferenziato

immateriale

infinito attuale

eterno

immutabile

non quantitativamente ma
qualitativamente

super-essere, super-bene,
super-intelligenza

effettivamente
trascendente

Dio

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TAPPA 2
PLOTINO: LUNO E INEFFABILE
Perci Egli , in verit, ineffabile. Poich qualsiasi cosa tu dica, tu dici sempre
qualche cosa. Ma lespressione al di l di tutto e al di l della Santissima
Intelligenza , di tutte le espressioni, la sola vera, perch non un nome
diverso da Lui, n una cosa fra tutte le altre, perch nulla veramente
possiamo dire di Lui; ma, dentro i limiti del possibile, cerchiamo di dare, cos
fra di noi, un cenno su di Lui. []
Plotino, Enneadi, V, 3, 13, ed. cit.
Ma perch allora parliamo di Lui? Veramente, noi diciamo solo qualche cosa
di Lui, ma non affermiamo nulla di Lui e non abbiamo di Lui n conoscenza
n pensiero.
E come dunque possiamo parlare di Lui se non lo possediamo? E vero, non lo
possediamo con la conoscenza, n lo possediamo pienamente: lo possediamo
per in tal modo da poter parlare di Lui senza per dirlo veramente. Noi
diciamo infatti quello che Egli non , ma non diciamo quello che .
Plotino, Enneadi, V, 3, 14, ed. cit.
Ma che cos ci che non ebbe lesistenza?
Dobbiamo andarcene in silenzio e, messi in imbarazzo dai nostri argomenti,
sospendere ogni ricerca. Cosa dovrebbe cercare chi non ha pi dove
procedere, allorch ogni ricerca arrivata a un principio e si ferma l? []
Dobbiamo perci eliminare il motivo dellaporia, sopprimendo in Lui ogni
luogo ed escludendo da Lui ogni posto, e non affermare che Egli si trovi in
esso e abbia qui la sua dimora eterna, n che vi sia arrivato; diciamo soltanto
che Egli come , dicendo che per necessit del discorso, e
riconosciamo che il luogo, come le altre cose, posteriore, e posteriore a
tutto. Pensandolo, come noi lo pensiamo, non-spaziale e non ponendo nulla
intorno a Lui, noi non riusciamo a circondarne lestensione e dobbiamo
riconoscere che Egli non ha estensione; e neppure la qualit, poich nessuna
forma, nemmeno intellegibile, pu esserci in Lui, e nemmeno alcuna
relazione con altro: Egli infatti in s stesso ed esisteva prima di ogni altra
cosa.
Che cosa possono dire dunque le parole gli accadde di essere cos? Come
potremmo pronunciarle, quando anche le altre che si dicono di Lui
consistono in una negazione? Perci pi giusto affermare che non gli
accadde di essere cos piuttosto che gli accadde di essere cos, poich l
accadere non gli appartiene affatto.

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Plotino, Enneadi, VI, 8, 11, ed. cit.


Poich Egli il Bene in s e non un bene, necessario che Egli non abbia
nulla in s, dal momento che non ha nemmeno un bene. Ci che Egli avesse in
s, lo dovrebbe avere o come bene, o come non-bene: nel Bene in senso stretto
e primario non potrebbe esserci il non-bene, n il Bene pu avere il bene.
Se dunque Egli non n il bene n il non-bene, non ha veramente nulla. E se
non ha nulla, Egli solo e privo di ogni cosa. Perci, se le altre cose o sono
buone, pur non essendo il Bene, o non sono buone, Egli non ha n il bene n il
non-bene e, non avendo nulla, e proprio perch non ha nulla, il Bene.
Plotino, Enneadi, V, 5, 12-13, ed. cit.
Che cosa dunque? LUno la potenza di tutte le cose; se esso non fosse, nulla
esisterebbe, n lIntelligenza, n la Vita prima, n la Vita universale. Ci che
al di sopra della vita causa della vita; lattivit della vita, che tutte le cose,
non la prima, ma scaturisce da esso come da una sorgente. Si immagini una
sorgente che non ha alcun principio e che a tutti i fiumi si espande senza che i
fiumi la esauriscano, e rimane sempre calma; i fiumi che escono da essa
scorrono tutti assieme prima di dirigersi verso punti diversi, ma ciascuno sa
gi dove i flutti lo porteranno. Oppure <simmagini> la vita di un albero
grandissmo, la quale trascorre in esso, mentre il suo principio rimane
immobile senza disperdersi per tutto lalbero, poich risiede nelle radici.
Plotino, Enneadi, III, 8, 10, ed. cit.

Secondo Plotino, il principio di tutte le cose, lUno, potenza immateriale infinita e


dunque trascendente, cio al di l di ogni cosa finita, compresa la mente delluomo. Di
conseguenza niente e nessuno pu conoscere lUno, nessun uomo, nemmeno il pi
intelligente dei filosofi, pu giungere a comprendere chi o cosa . In questo senso, Plotino
afferma che lUno, in quanto infinito, inconcepibile, cio impensabile da parte della
mente umana, e dunque ineffabile, cio indefinibile e inesprimibile. Addirittura, come
gi si visto, non potremmo, a rigore, nemmeno nominarlo, neanche chiamarlo Uno, n
in alcun altro modo, perch qualsiasi nome ha un significato determinato, dunque finito, e
pertanto non pu esprimere la sua infinitezza.
In tal modo sembra, ed Plotino stesso ad ammetterlo, che la filosofia plotiniana si infili in
un vicolo cieco da cui impossibile uscire, ovvero si trovi di fronte a unaporia
indistricabile. Infatti, se lUno non si pu pensare n dire, sembrerebbe impossibile
sviluppare una ricerca razionale sullUno. Ma cos la filosofia di Plotino finirebbe ancor
prima di cominciare. In realt, Plotino esce abilmente dal vicolo cieco e il modo in cui lo fa

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costituisce uno dei pi originali e significativi contributi alla storia del pensiero. Egli,
infatti, scopre quella che a buon diritto possiamo oggi chiamare la logica dellinfinito,
una logica specifica e quindi diversa dalla logica tradizionale, che cos non pi la logica
ma diventa una logica, ovvero la logica del finito. In altri termini, per Plotino lUno, in
quanto infinito, ineffabile se cerchiamo di concepirlo e di esprimerlo con la logica
normale, cio la logica del finito; ma non lo se invece ci sforziamo di pensarlo e
manifestarlo in base a una logica speciale, la logica dellinfinito.

In cosa consiste allora la scoperta di Plotino, ovvero la logica dellinfinito, il discorso


razionale capace di parlare di ci di cui non si pu parlare (se ci si attiene alla logica del
finito)? Plotino ne indica e ne utilizza quattro modalit:
1) la negazione;
2) il paradosso;
3) liperbole;
4) la metafora.
La logica dellinfinito consiste innanzitutto nel definire lUno non positivamente, ma
negativamente. Per esempio, dellUno non bisogna dire che bene, piuttosto che alto,
oppure che verde, ecc. Al contrario, per comprenderlo bisogna dire che non bene, che
non alto, che non verde, e cos via elencando tutte le cose e le propriet. In altri termini,
anzich affermare ci che , bisogna negare che sia qualsiasi cosa, ovvero che abbia
qualsiasi propriet. Perch? Perch qualsiasi cosa o qualsiasi propriet che gli si
attribuisca, ovvero qualsiasi sua connotazione o determinazione, sarebbe finita e quindi
non solo inappropriata ma anche fuorviante in quanto ridurrebbe linfinito a finito. Invece,
negando che sia qualsiasi cosa o abbia qualsiasi propriet, ovvero qualsiasi connotazione o
determinazione, solo cos possibile esprimere lUno in modo appropriato, in quanto se ne
evidenzia appunto lindeterminatezza e quindi linfinit. Questa modalit della plotiniana
logica dellinfinito che successivamente fu etichettata teologia negativa raggiunge il
suo vertice, cio la massima capacit di pensare e dire lUno infinito, nellenunciato
negativo lUno non nulla (usando la doppia negazione linguistica dellitaliano), ovvero
lUno nulla (usando la negazione unica della logica e del latino), equivalente a lUno
non . Infatti, la negazione di ogni cosa o propriet il nulla come negazione assoluta di
tutto ci che finito. Dunque il nulla il non finito, cio appunto linfinito. E, in tal senso,
lUno, in quanto infinito, non , dal momento che anche lessere/esistere una
determinazione finita, e lUno al di l, ovvero prima, a monte, dello stesso essere.

In secondo luogo, la logica plotiniana dellinfinito utilizza i paradossi, ovvero asserzioni


contraddittorie, in quanto consistenti in una doppia contemporanea negazione di due cose

383

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o propriet opposte. Per esempio, lUno non n bene n non-bene (ovvero male),
enunciato che, naturalmente, si pu variare utilizzando tutti gli opposti possibili: verofalso, bello-brutto, perfino unit e molteplicit. In tal senso, a rigore si deve dire anche che
lUno non n unit n molteplicit, ovvero n uno n non-uno. Se consideriamo, poi,
che per Plotino lUno il principio di ogni cosa, visto che ogni cosa costituita dallunit,
risulta conseguente, bench Plotino non lo espliciti, che si pu parlare dellUno anche con
paradossi positivi, cio attribuendogli contemporaneamente due cose o propriet opposte,
p.e. lUno sia uno sia non-uno (cio molteplice); e, ancora meglio, con paradossi sia
positivi sia negativi come lUno non n uno n molteplice ed sia uno sia molteplice. In
questo modo Plotino scopre che il principio di non-contraddizione valido per la
conoscenza della realt finita e che, invece, per conoscere linfinito occorre basarsi sulla
contraddizione. In altri termini, la logica dellinfinito incardinata sul principio di
contraddizione.

Una terza modalit della logica dellinfinito liperbole, cio luso di termini o espressioni
eccessivi quali Super-Bene, Super-Essere, Super-Vita, Perfettissimo, Purissimo, Supremo
o al di l di tutto, Padre degli dei, Padre dellIntelligenza, Re dei re. Luso
delliperbole correlato a quello della contraddizione, in quanto ne esplicita il senso,
ovvero rimanda a qualcosa che oltre gli opposti perch pi di essi: p.e., lUno sia
essere sia non-essere e, insieme, non n essere n non-essere perch non un essere
finito ma un essere infinito, appunto un Super-Essere, cio un essere di livello superiore.
Ma forse la locuzione pi iperbolica, e insieme paradossale, con la quale Plotino indica
lUno : il trascendente di se stesso; ovvero lUno talmente trascendente da trascendere
anche la sua stessa trascendenza, il che sarebbe come dire che talmente infinito da essere
maggiore di se stesso, cio ancora pi infinito di quanto sia infinito.

Infine, la logica dellinfinito si serve del linguaggio metaforico, cio di figure retoriche quali
la metafora in senso stretto o la similitudine. In tal caso, lUno viene identificato o
paragonato con un ente fisico dotato di un forte valore simbolico, p.e. una fonte di luce, in
particolare il Sole, un fuoco che emana calore, un profumo che si diffonde, una sorgente
dacqua, un albero. In tutti questi casi, gli enti fisici sono utilizzati da Plotino, per cos dire,
come controfigure dellUno, cio come immagini parziali dellUno capaci di
esemplificarlo e di avvicinarci alla comprensione di ci che veramente.
In questa prospettiva le immagini possibili dellUno, pensiamo a quella del Sole,
raggiungono il loro scopo di avvicinarci alla comprensione dellUno in un primo momento
per la loro immensa potenza, p.e. la capacit di illuminare del Sole da secoli e per secoli,

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ma soprattutto in un secondo momento, cio quando si evidenzia che esse, nonostante


tutta la loro potenza, sono piccola cosa rispetto alla potenza infinita dellUno.

Cosa hanno in comune queste quattro modalit di pensare e dire lUno? Ovvero, qual la
caratteristica peculiare della logica dellinfinito? La sua allusivit, cio essa non definisce in
alcun modo lUno, ma rinvia allUno, non lo esibisce ma allude ad esso. Solo con
lallusione, secondo Plotino, possibile avvicinarsi il pi possibile alla comprensione
dellUno.
Per usare una metafora matematica, il pensiero dellUno pu essere solo un passaggio al
limite. Oppure, utilizzando una pi immediata metafora corporea, come arrivare sul
ciglio di un burrone e sporgersi con il busto e la testa oltre di esso per averne un fuggevole
colpo docchio.

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MAPPA della TAPPA 2

LUno infinito
LUno al di l di ogni cosa, anche della mente delluomo

LUno ineffabile, ovvero impensabile


Ma allora
Com possibile una filosofia dellUno?

Bisogna rinunciare alla logica classica, basata sul principio di non


contraddizione, perch valida ma solo relativamente al finito

Bisogna adottare una logica dellinfinito, una


logica allusiva basata su:

la negazione:
dire ci che
lUno non , cio
negarne ogni
propriet finita

il paradosso:
attribuire
allUno
propriet
opposte

liperbole:
indicare lUno
con superlativi
assoluti o con
locuzioni
esagerate

lanalogia:
paragonare
lUno al Sole,
alla sorgente di
un fiume, a un
fiore profumato

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VIAGGI DI IERI&VIAGGI DI OGGI


PLOTINO E GLI INSIEMI INFINITI DI CANTOR
Gi prima di Plotino il problema dellinfinito aveva dato filo da torcere non solo a filosofi
come Aristotele ma anche a scienziati come Eudosso e Archimede. Ma sicuramente
Plotino lo rilanci in modo clamoroso e infatti dopo di lui non ci fu quasi filosofo che non
si misur con esso. A livello scientifico, in particolare in campo astronomico e
matematico, la ricerca intorno allinfinito riprese, almeno in Europa, con la rivoluzione
scientifica moderna e port alla fine del Seicento alla messa a punto del calcolo
infinitesimale da parte del fisico Newton e del filosofo Leibniz.
Ma una svolta decisiva alla concezione matematica dellinfinito fu data due secoli dopo
da Georg Cantor (1845-1918) con lelaborazione della teoria degli insiemi infiniti. Cantor,
innanzitutto, denomin cardinalit il numero degli elementi di un insieme e stabil che
due insiemi hanno la stessa cardinalit, cio sono equivalenti, quando ogni elemento di
un insieme pu essere posto in corrispondenza biunivoca con un elemento di un altro
insieme. Ci stabilito, Cantor prese in considerazione linsieme infinito dei numeri
razionali (numeri interi pi le frazioni ovvero i numeri decimali finiti o periodici) e
dimostr che un sottoinsieme dei numeri razionali, p.e. i numeri naturali (lo zero pi gli
interi positivi), ha la stessa cardinalit dellinsieme dei numeri razionali di cui fa parte.
Per comprendere meglio il risultato della dimostrazione di Cantor possiamo assumere un
esempio pi semplice, quello dellinsieme dei numeri naturali e quello dellinsieme dei
numeri naturali pari, che naturalmente un sottoinsieme del primo. In questo caso la
dimostrazione di Cantor attesta che linsieme di tutti i numeri naturali (pari e dispari)
equivalente allinsieme dei numeri naturali pari. Ci significa che in un insieme infinito di
questo tipo un sottoinsieme ha la stessa cardinalit (cio lo stesso numero di elementi)
dellinsieme di cui parte. Detto pi semplicemente, e pi stupefacentemente: bench i
numeri naturali (pari e dispari) siano il doppio dei numeri naturali pari essi sono lo
stesso numero di quelli pari. In parole povere, il doppio uguale alla sua met.
Uno degli assiomi della geometria di Euclide sanciva che il tutto sempre maggiore di
una delle sue parti. La dimostrazione di Cantor attestava invece che, per linsieme
infinito dei numeri razionali, il tutto uguale a una delle sue parti. Insomma, un
paradosso. Cantor aveva certificato matematicamente ci che Plotino aveva
argomentato filosoficamente: la logica classica, incardinata sul principio di noncontraddizione, non tutta la logica, ma una logica del finito, cio valida limitatamente
alle grandezze finite; per le grandezze infinite entra in campo unaltra logica, una logica
paradossale, basata cio sulla contraddizione.
Per diradare ogni residuo dubbio a questo proposito, Cantor fece una scoperta ancora
pi stupefacente e paradossale della precedente. Dopo aver considerato linsieme infinito
dei numeri razionali, rivolse la sua attenzione a un altro, diverso insieme infinito, quello
dei numeri reali (i numeri razionali pi i numeri irrazionali, cio i decimali infiniti non

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periodici). In base a quanto dimostrato per linsieme dei numeri razionali, linsieme dei
numeri reali e quello dei numeri razionali avrebbero dovuto esibire la stessa cardinalit,
dato che il secondo un sottoinsieme del primo. E, invece, Cantor scopr che i numeri
reali non potevano essere posti in corrispondenza biunivoca con quelli razionali, ovvero
che i primi erano pi numerosi dei secondi. Dunque, esistono infiniti pi grandi di altri
infiniti, ovvero infiniti di diverso tipo, di diversa potenza. Proseguendo nella sua ricerca
Cantor scopr un terzo tipo di infinito, maggiore dellinfinito dei numeri reali, linfinito di
tutte le funzioni continue e discontinue della retta reale, ovvero linfinito esponenziale,
dato da due elevato allinfinito del primo tipo, quello dei numeri razionali.
Concludendo: per Cantor alcuni infiniti sono equivalenti alla loro met e, al contempo, vi
sono infiniti maggiori di altri infiniti. Plotino non avrebbe potuto chiedere di meglio come
attestato della fondatezza della sua logica paradossale dellinfinito. Inoltre, la distinzione
di Cantor tra diversi tipi di infinito fornisce una chiave di lettura e comprensione
matematica delle distinzione plotiniana tra linfinitezza dellUno, linfinitezza della Mente
e linfinitezza dellAnima: la prima si pu far corrispondere allinfinito di terzo tipo, o
infinito esponenziale; la seconda allinfinito di secondo tipo, o infinito dei numeri reali; la
terza allinfinito di primo tipo, quello minore, cio linfinito dei numeri razionali.
Per saperne di pi basta leggere Il mistero dellalef di Amir. D. Aczel, Net-Saggiatore,
2002.

388

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TAPPA 3
PLOTINO: LUNO SI AUTOCREA
Poich dunque non c nulla prima di Lui ed Egli il Primo, dobbiamo
fermarci qui e non dire pi nulla di Lui, ma cercare invece come siano sorte le
cose dopo di Lui; n dobbiamo cercare come Egli sia nato, perch Egli in
realt non mai nato.
Ma come? Se non mai nato, ma come , non padrone della sua essenza? E
se non padrone della sua essenza, ma quello che e non s dato da se
stesso lesistenza ma si accettato cos com, Egli necessariamente quello
che , e non diverso.
No, Egli non cos com perch non possa essere diverso, ma cos perch
perfetto.
Plotino, Enneadi, VI, 8, 10, ed. cit.
E nemmeno giusto dire che Egli esiste per caso, poich il caso esiste
soltanto nelle cose molteplici e secondarie; ma del Primo non possiamo dire
n che esista per caso, n che non sia padrone del suo nascere, poich Egli
non mai nato. Ed assurdo dire che Egli non libero perch crea conforme
alla sua natura: come sostenere che la libert ci sia soltanto quando Dio crei
o agisca contro natura. []
Ma poich quella che noi chiamiamo esistenza identica alla sua azione
esse qui non sono diverse, se nemmeno lo erano nellIntelligenza allora
affermare che Egli agisce conforme al suo essere non per nulla meglio che
affermare che Egli conforme al suo agire. Il Bene, dunque, non possiede
unattivit conforme alla sua natura; la sua attivit, cio la sua vita, non pu
venire predicata dalla sua cosiddetta essenza; ma la sua cosiddetta essenza
unita e come nata insieme con la sua attivit sin dalleternit; Egli crea se
stesso dal suo essere e dal suo atto e appartiene a se stesso e a nessuno.
Plotino, Enneadi, VI, 8, 7, ed. cit.
Se dunque gli attribuiamo degli atti e se i suoi atti si compiono, diciamo cos,
per mezzo della sua volont (che Egli non pu agire senza volere), e se questi
atti costituiscono la sua cosiddetta essenza, la sua volont e la sua essenza
saranno identiche. Ma allora, se cos, Egli come vuole. [] Egli dunque
padrone di s poich il suo essere dipende dalla sua libert. [].
Non si pu pensare un bene che sia privo della volont di essere, per se stesso,
ci che : Egli perci concorde con se stesso, in quanto vuole essere quello
che ed quello che vuole, e la sua volont e il suo essere sono una cosa sola,
e tuttavia Egli non meno unit, poich non c differenza fra ci che Egli si
trova ad essere e ci che voleva essere.

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Che cosa infatti avrebbe voluto essere se non ci che ?


Supponiamo che Egli scelga di diventare ci che vuole e che gli sia concesso di
mutare la sua natura in qualcosa di diverso; mai Egli vorrebbe diventare
qualcosa di diverso, n mai potrebbe biasimare se stesso come se soltanto per
necessit Egli fosse ci che , cio quello stesso Essere che Egli stesso sempre
volle e vuole essere.
La natura del Bene realmente la sua volont: Egli non sedotto n attratto
dalla sua propria natura, ma sceglie liberamente se stesso, poich non c
nientaltro da cui Egli possa essere attratto. []
Perci il nostro ragionamento ha scoperto che Egli ha creato se stesso: se
dunque la volont deriva da Lui ed , per cos dire, opera sua, ed inoltre
identica alla sua esistenza, vuol dire che Egli stesso si dato lesistenza: non
dunque per caso ci che , ma quello che Egli stesso ha voluto.
Plotino, Enneadi, VI, 8, 13, ed. cit.

Stabilito in che modo sia possibile svolgere la ricerca filosofica intorno allUno, Plotino d
avvio alla sua indagine ponendosi una domanda inedita, una delle pi radicali domande
filosofiche, se non la pi radicale in assoluto: perch esiste lUno? Chi o cosa lha fatto
esistere? Qual la causa o chi lartefice della sua esistenza? In altre parole, a differenza di
tutti i filosofi precedenti, Plotino non si chiede solo quale sia il principio di tutte le cose ma
anche quale sia il principio dello stesso principio, una questione di per s al limite del
pensabile, ma che risulta ancora pi tale considerando che apparentemente una sola ma
in realt implicitamente triplice. Chiedersi, infatti, quale sia il principio del principio per
Plotino significa chiedersi:
1) perch esiste il principio, ovvero qual la causa o la ragione della sua esistenza;
2) perch esiste la realt piuttosto che il nulla, dal momento che dallesistenza del
principio deriva quella di ogni altra cosa;
3) perch il principio cos e non altrimenti, cio Uno, Infinito, Super-Bene,
Trascendente, ecc.; ovvero ha quellidentit piuttosto che unaltra.

Per risolvere questa formidabile questione una e trina, Plotino, seguendo la sua logica
dellinfinito, comincia con il confutare tutte le modalit possibili con le quali normalmente
pensiamo che qualcosa accada e quindi spieghiamo lesistenza di qualcosa:
a) la mera possibilit del caso;
b) la necessit della causalit meccanica o finalistica;

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c) la contingenza del libero arbitrio, intesa come possibilit di scegliere


indifferentemente unopzione piuttosto che unaltra, p.e. di essere verde
anzich rosso.
Tutte queste modalit, afferma Plotino, presuppongono il divenire, cio il mutamento e la
molteplicit. Ma il principio al di l, ovvero a monte, del divenire e dunque immobile e
unico. Pertanto non pu essere stato prodotto n dal caso, n da una necessit, n dal
libero arbitrio. Ma allora da cosa e come stato prodotto?

Plotino comincia a dipanare lintricata questione, ricordando e ribadendo che lUno, in


quanto principio, potenza produttiva infinita, ovvero attivit infinita. Ci non significa
che si muova o muti, perch lUno immateriale e indifferenziato, e dunque azione
puramente razionale, pensiero puro. In prima approssimazione, dunque, Plotino afferma
che in quanto lUno attivit produttiva infinita la sua esistenza implicita nella sua
essenza di potenza generatrice infinita.
In parole pi semplici: poich lidentit del principio, la sua connotazione pi propria,
essere attivit generatrice senza limiti, il principio non pu che autogenerarsi. Insomma, il
principio dellUno lUno stesso in quanto, per essenza, capace di autoprodursi. Detto
ancora in un altro modo: lUno causa di se stesso, fondamento della sua esistenza, o, in
una parola sola, autoesistenza. Ci implica che lesistenza dellUno sia correlata alla sua
attivit, ovvero che lessere dellUno sia una cosa sola con il suo agire. Dunque, lUno non
esiste e quindi agisce, ma esiste in quanto agisce e agisce in quanto esiste.

In questo modo Plotino argomenta lesistenza del principio e quindi spiega perch esiste la
realt anzich il nulla. Ma la sua argomentazione non ancora completa, ancora
insufficiente. Infatti, largomento con cui Plotino ha motivato lesistenza dellUno quello
della sua essenza attiva, ma allora si impone unaltra domanda: perch lUno ha questa
essenza, perch cos e non altrimenti?
Plotino comincia col precisare che, a rigore, lUno, in quanto potenza infinita, al di l
della stessa essenza, ovvero non pu avere una natura prestabilita, cio necessaria, cui
debba cogentemente essere conforme. Dunque non cos com perch costretto a
adeguarsi alla sua essenza. Lo , invece, per volont, perch si vuole cos. Questo passaggio
cruciale e rivoluzionario: lUno non necessit ma volont, ovvero libert. Daltra parte
ci non significa che lUno scelga in modo arbitrario una delle tante anzi, infinite!
identit a sua disposizione, ossia che avrebbe potuto anche sceglierne una qualsiasi delle
altre. Pur avendo a disposizione infinite possibilit, la sua libert consiste nello scegliere
una sola identit, la sua, ma non perch necessitato ma perch non pu volere che quella.
Perch? Perch la sua identit Uno come potenza infinita la massima e la migliore e

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non avrebbe potuto volere unidentit minore e peggiore quando poteva sceglierne una
maggiore e migliore. In questo senso, lUno non poteva che volere liberamente la sua
propria e unica identit, quella appunto di potenza infinita. LUno libero effettivamente
perch e in quanto sceglie il meglio e solo quello.
Per far capire a fondo lintero ragionamento, Plotino lo risvolge utilizzando la
determinazione del Bene. Il principio, lUno, infatti, anche e soprattutto Bene, Bene con
la maiuscola per indicare che un Super-Bene, cio un bene infinito, trascendente
qualsiasi bene finito, ovvero qualunque sua definizione da parte della mente umana. Ora,
in quanto Bene, lUno vuole esistere, dal momento che sarebbe assurdo, irrazionale, che
ci che infinitamente bene non voglia esistere. Daltra parte in quanto esiste, lUno non
pu che volersi cos com, cio non pu che voler essere Bene, perch sarebbe altrettanto
assurdo e irrazionale che possa volersi anche solo un po meno bene.

Utilizzando la logica classica, largomentazione di Plotino non sfugge alla contestazione


della fallacia di petitio principii: la volont di essere Bene, cio lessenza dellUno, e la sua
volont di essere, cio lesistenza stessa dellUno, rimandano luna allaltra, si fondano
luna sullaltra. Lesistenza dellUno presuppone il suo essere Bene, ma a sua volta lessere
Bene dellUno presuppone la sua esistenza. Sia il Bene sia la volont desistenza sono
argomento del loro argomento. Per capirlo in modo pi intuitivo si pu ricorrere alla
famosa immagine del barone di Mnchhausen che riesce a uscire dalle sabbie mobili in cui
era caduto afferrando con una mano i suoi lunghi capelli e sollevandosi cos verso lalto.
Ma, come si visto, la logica classica una logica del finito, mentre per parlare dellUno
dobbiamo ricorrere alla logica dellinfinito. Da questo punto di vista, secondo Plotino, il
circolo logico tra volont di Bene (o di Attivit produttiva) e volont di esistere non
filosoficamente vizioso ma virtuoso, ovvero non ci allontana dalla Verit ma ci avvicina ad
essa. NellUno, infatti, e solo nellUno, non vi pu essere alcuna differenziazione e pertanto
solo una relazione logica di circolarit tra differenti determinazioni pu approssimarci alla
comprensione di ci che lUno .

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MAPPA della TAPPA 3


Perch esiste il principio, ovvero
perch esiste qualcosa anzich nulla?
N per caso, n per necessit, n per libero arbitrio

LUno esiste perch, essendo produttivit infinita, si autoproduce volontariamente


Infatti
LUno Bene e dunque vuole esistere perch ci che Bene assurdo non voglia esistere
Ma al tempo stesso
In quanto esiste, lUno vuole essere Bene perch sarebbe assurdo
che volesse essere meno o peggiore di com

LUno Libert

La libert dellUno non consiste nello scegliere una cosa piuttosto che
unaltra, ma nello scegliere razionalmente la cosa migliore

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VIAGGI DI IERI & VIAGGI DI OGGI


PLOTINO E LORIGINE DEL BIG BANG
Il 29 maggio 1998 sulla rivista online Physical Review fu pubblicato un articolo del fisico
statunitense J. Richard Gott e del fisico cinese Li-Xin Li, entrambi delluniversit di
Princeton, nel quale veniva presentata una nuova teoria dellorigine delluniverso che
presenta sbalorditive analogie con la teoria dellautocreazione dellUno di Plotino, in
quanto sono entrambe incardinate sul concetto di causa sui. Gott e Li partivano
naturalmente dalla teoria della relativit generale di Einstein, secondo la quale spazio e
tempo sono una cosa sola lo spaziotempo o crontopo e inoltre sono incurvati dalla
massa in modo tale che unalta concentrazione di massa pu produrre un ripiegamento
dello spaziotempo su se stesso. In linea di principio, sostenevano Gott e Li, la curvatura
dello spaziotempo rende possibili i viaggi nel tempo. Infatti viaggiando alla velocit della
luce, secondo la teoria della relativit generale, il tempo cessa di scorrere e quindi
oltrepassando la velocit della luce il tempo scorrerebbe allindietro. Ma la teoria della
relativit stabilisce anche che la velocit della luce insuperabile allinterno delluniverso
e dunque che non possibile viaggiare a ritroso nel tempo. Secondo Gott e Li, per, forti
incurvature dello spaziotempo producono dei cunicoli di tarlo (wormholes) che
congiungono regioni molto lontane dello spaziotempo e costituirebbero perci delle specie
di scorciatoie che permettono di tornare indietro nel tempo.
Il clou, cio il nucleo pi interessante, dellarticolo di Gott e Li consisteva nellapplicazione
di questa teoria del viaggio nel tempo alla spiegazione dellorigine delluniverso.
Precedentemente lipotesi teorica pi accreditata sulla genesi delluniverso era quella
della singolarit, secondo cui in origine esisteva solo un grumo puntiforme di energia di
densit e massa quasi infinite e quindi lo spaziotempo era quasi del tutto arrotolato su se
stesso. Questa singolarit avrebbe dato luogo a un big bang, a una grande esplosione,
ovvero a una continua espansione sia dello spaziotempo sia dellenergia, la quale poi
avrebbe prodotto la materia. Ma come si era formata la singolarit? Ovvero, cosa
laveva prodotta?
Gott e Li nel loro articolo fornivano una soluzione a questo problema. Essi si avvalsero
innanzitutto della nuova teoria degli universi a bolla basata sulleffetto tunnel descritto
dalla teoria quantistica e sperimentalmente testato. Per dirla in parole semplici, grazie
alla fluttuazione quantistica dellenergia, si possono formare ed espandere dal nulla
bolle di spaziotempo che danno luogo a molteplici universi. Secondo Gott e Li ogni
bolla spaziotemporale appena formatasi si ripiega su se stessa fino ad assumere la
forma di un anello, per poi continuare a espandersi linearmente. In tal modo pu tornare
indietro nel tempo fino allistante in cui aveva avuto inizio e innescare il processo stesso
che aveva dato origine alla sua formazione, cio la fluttuazione quantistica che produce
la bolla. In termini metaforici, grazie al viaggio nel tempo, luniverso insieme madre e
figlio di se stesso. Fuor di metafora, luniverso, per Gott e Li, causa sui, causa di se
stesso. Questo significa che leffetto causa della sua causa, ovvero che la causa effetto

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del suo effetto. Dunque tra universo-madre e universo-figlio c lo stesso rapporto


circolare che Plotino aveva posto allorigine dellUno, salvo che per lui luniverso-madre
era il Bene e luniverso-figlio la Volont di esistere.
Chi ha voglia di approfondire legga Viaggiare nel tempo di J.R. Gott, Mondadori, 2002.

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TAPPA 4
PLOTINO: LUNO CREA IL COSMO FINITO
Come dunque e cosa vede lIntelligenza? E come esiste e come nacque da Lui,
cos da poterlo vedere? Ora, certamente, lAnima conscia della necessit che
le realt intellegibili siano cos, ma desidera approfondire questo problema,
gi discusso dagli antichi pensatori: cio come dallUno quale noi labbiamo
concepito, sia venuta allesistenza ogni altra cosa, molteplicit, Diade, o
numero; oppure, come Egli non sia rimasto in se stesso, e abbia invece
generato una siffatta molteplicit quale si constata fra gli esseri, e che noi
postuliamo dover risalire a Lui.
Plotino, Enneadi, V, 1, 6, ed. cit.
Ma come il Tutto pu derivare dal semplice Uno, dal momento che in questo
non si pu manifestare nessuna variet e molteplicit? Ora, proprio perch
in Lui, tutto pu derivare da Lui; affinch lEssere sia, Egli per questo non
essere, ma soltanto il genitore dellessere, e questa che chiamer genitura
prima. Egli infatti perfetto perch nulla cerca e nulla possiede e di nulla ha
bisogno; e perci, diciamo cos, trabocca e la sua sovrabbondanza genera
unaltra cosa.
Plotino, Enneadi, V, 1, 6, ed. cit.
Ma come le [le propriet delle cose a partire dallesistenza] dona? O perch le
ha, o perch non le ha.
Ma come pu dare ci che non ha? Se le ha, Egli non semplice; se non le ha,
come pu derivare da Lui la molteplicit? Che ununit possa effondere da s
un semplice, si pu anche concedere, quantunque potremmo anche chiederci
come mai il semplice possa derivare da ci che assolutamente uno; qui
tuttavia potremmo anche dire che esso ne derivi come lirraggiamento della
luce. Ma della molteplicit che diremo? Certamente, ci che procede da Lui
non deve essere identico a Lui; ma se non pu essere identico, tanto meno pu
essere migliore. Infatti che cosa potrebbe essere migliore dellUno, o
addirittura al di l dellUno? Sar dunque inferiore, cio pi manchevole. Ma
che cos pi manchevole dellUno? Il non-uno, vale a dire il molteplice: il
quale, tuttavia, aspira allUno: e cio luno-molti. Difatti, ogni non-uno
conservato dallUno ed quello che per opera dellUno; effettivamente, se
esso, pur essendo fatto di molti elementi, non diventa unit, non si pu dire
che ; e se anche si sappia dire ci che ciascuno di essi, questo avviene
perch ciascuno di essi uno e identico.
Plotino, Enneadi, V, 3, 15, ed. cit.

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In che maniera, dunque, e che cosa dobbiamo pensare del Primo, se Egli resta
immobile? Un irradiamento che si diffonde da Lui, da Lui che resta immobile,
com nel sole la luce che gli splende tuttintorno; un irradiamento che si
rinnova eternamente, mentre Egli resta immobile. Tutti gli esseri, finch
sussistono, producono necessariamente dal fondo della loro essenza, intorno
a s e fuori di s, una certa esistenza, congiunta alla loro attuale virt, che
come unimmagine degli archetipi dai quali nata: il fuoco effonde da s il suo
calore, e la neve non conserva il freddo soltanto dentro di s; unottima prova
di ci che stiamo dicendo la danno le sostanze odorose, dalle quali, finch
sono efficienti, deriva qualcosa tuttintorno, di cui gode chi gli sta vicino.
Plotino, Enneadi, V, 1, 6, ed. cit.

Dopo aver affrontato e risolto la triplice questione relativa al principio dellUno, Plotino si
misura con un altro, conseguente problema: perch e in che modo il principio, cio lUno,
genera tutte le cose? Si tratta di un problema tradizionale che per nella filosofia di Plotino
assume uno spessore di gran lunga maggiore e dunque risulta molto pi arduo da risolvere.
Infatti, nessun filosofo, prima di Plotino, aveva marcato come lui la differenza ontologica
del principio rispetto a tutte le cose. In modo pi esplicito: dal momento che lUno
assolutamente omogeneo, semplice, immateriale, immutabile, infinito, come pu produrre
cose molteplici e differenziate, materiali, mutevoli, finite, cio del tutto opposte a esso?
Com possibile che il trascendente di se stesso generi limmanente?

Anche per risolvere questo problema, Plotino, innanzitutto, fa leva ancora una volta sulla
natura dellUno, cio sul suo essere infinita attivit produttiva. In quanto infinita la sua
produttivit sovrabbondante, per cos dire straripa da se stessa e va oltre se stessa. Per
caratterizzare questa sorta di esondazione dellUno, Plotino usa prevalentemente tre
termini:
a) prosecuzione (proods, letteralmente andare avanti, ma anche nelle accezioni di
uscire e mostrarsi in pubblico),
b) irradiazione (perlampsis),
c) defluire (aporrin).
La pluralit e la valenza analogica di questi termini attestano che essi vanno compresi e
usati come del resto tutte le parole che si riferiscono allUno, a cominciare da Uno
medesimo come allusioni e non come definizioni. Ci chiarito, in prima approssimazione
si pu dire che per Plotino il mondo, le cose, sono la prosecuzione dellUno, il suo

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oltrepassamento, ossia lo strabordare da se stesso e proseguire oltre se stesso, oltre ci che


originariamente e propriamente. Per, pur fuoriuscendo da se stessa, linfinita energia
generatrice dellUno rimane intatta e immota in se stessa. La stessa infinitezza, infatti, che
fa s che lenergia generatrice tracimi dallUno, comporta anche che essa permanga
invariata nellUno, ovvero che lUno resti sempre indefettibilmente uguale a s.
La prosecuzione dellUno, in quanto effetto della sua infinita sovrabbondanza, in prima
battuta appare una sua conseguenza necessaria, un evento non intenzionale. In tal caso,
lUno si sarebbe voluto, ma non avrebbe voluto il mondo, la realt. Ma le cose non stanno
cos per Plotino. Infatti, come si visto, lUno si vuole infinita potenza produttiva, ovvero si
vuole sovrabbondante. Poich la sua prosecuzione implicita nella sua sovrabbondanza,
lUno volendosi infinito ipso facto si vuole oltrepassante. Dunque, proprio volendosi
infinita potenza produttiva, lUno si vuole anche prosecuzione di se stesso e, pertanto,
vuole produrre la realt finita.

Ma come va intesa la prosecuzione dellUno, ovvero la sua irradiazione, o anche il suo


defluire, ovvero la sua effusione? Pi precisamente: perch la prosecuzione equivale alla
generazione della realt finita? Si potrebbe rispondere che la prosecuzione un
accrescimento, ovvero, data la natura qualitativa dellinfinita attivit produttiva dellUno,
un miglioramento. Ma, dal momento che lUno linfinito, cio il massimo, non pu
accrescersi n migliorarsi. Dunque lunico modo per oltrepassarsi sminuirsi/peggiorarsi:
il mondo, la prosecuzione dellUno, un suo depotenziamento e peggioramento.
Paradossalmente ma come sappiamo il paradosso si addice allinfinito lUno si espande
ridimensionandosi, si accresce sminuendosi. Ma se lUno infinito la sua sminuizione
appunto il finito. Ecco dunque che la prosecuzione spiega come linfinito possa generare il
suo opposto, il finito.
Per rendere pi intuitiva, ma anche pi suggestiva, la sua concezione dellirradiazione
dellUno che genera il mondo, Plotino ricorre anche a varie analogie: quella del fuoco che
espande il suo calore, quella della sorgente da cui si diramano molti fiumi, quella della
radice che d nutrimento e vita allalbero, quella del Sole che irradia la sua luce.
Questultima lanalogia pi emblematica e la pi rivelativa, nonch quella pi legata alla
tradizione filosofica, in particolare a Platone e al suo mito della caverna. Il Sole la
massima fonte denergia vitale del mondo fisico e in questo senso la migliore immagine
dellUno. Ma naturalmente lenergia vitale dellUno infinitamente superiore a quella pur
enorme che possiamo attribuire al Sole. Lirradiazione del Sole come la prosecuzione
dellUno, salvo che lirradiazione solare consuma lenergia presente nel Sole e si estende in
una misura comunque finita, mentre quella dellUno non ne riduce minimamente la
potenza e si espande infinitamente.

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Ma lanalogia col Sole permette a Plotino non solo di esemplificare ma anche di


approfondire la sua teoria della prosecuzione. Infatti, lirradiazione luminosa del Sole, che
rappresenta la generazione della realt, diminuisce dintensit in proporzione al suo
allontanamento dal centro solare. Dunque essa avr diversi e continuativamente
decrescenti gradi di intensit.
In tal modo lirradiazione rappresenta analogicamente anche il passaggio dallunicit
dellUno alla molteplicit della realt, nonch la struttura gerarchica della realt: tutte le
cose si differenziano per la loro appartenenza a successivi e decrescenti livelli di intensit
della prosecuzione dellUno. Inoltre, e infine, lanalogia con lirradiazione solare, chiarisce
anche che il mondo fisico costituito dalla stessa sostanza di cui fatto lUno, bench
fortemente indebolita, cio finitizzata. Ci sta a significare che lUno il principio unico di
tutta la realt.

A questo punto possiamo arrivare a una conclusione di grande rilevanza: la produzione


della realt da parte dellUno qualcosa di sostanzialmente diverso da quanto avevano
teorizzato tutti i filosofi precedenti. Plotino, infatti:
a) in primo luogo esclude che esista un principio materiale indipendente da quello
ideale;
b) in secondo luogo, sostiene che la produzione della realt un atto voluto dellunico
principio ideale.
In questo modo Plotino fa una nuova scoperta filosofica: il concetto di creazione, cio
appunto il concetto di una produzione intenzionale del mondo fisico ad opera di un
(meta)essere puramente razionale senza ricorso ad alcun altro principio coesistente con
esso.
In questo senso, in riferimento alle precedenti teorie filosofiche della derivazione del
mondo dal principio, si devono usare i termini di produzione o di generazione, mentre
luso dei termini creazione/creare va riservato alla filosofia di Plotino e dei filosofi a lui
successivi.

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MAPPA della TAPPA 4

LUno infinita produttivit

Lenergia infinita, che lUno , prosegue, sirradia, defluisce oltre lUno

Essendo il massimo, lUno si oltrepassa sminuendosi/peggiorandosi

LUno produce il finito, ossia la molteplicit, rimanendo infinito


Come

Una sorgente dacqua


che d vita a molti
fiumi

Il Sole che irradia la sua


luce intorno a s

Un fiore che spande


il suo profumo

Nuovo concetto di
creazione

La produzione del mondo finito


volontaria e non si basa su un
principio materiale indipendente

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TAPPA 5

PLOTINO: LAUTOCOSCIENZA DELLUNO E LA MENTE

Egli infatti perfetto perch nulla cerca e nulla possiede e di nulla ha bisogno;
e perci, diciamo cos, trabocca e la sua sovrabbondanza genera unaltra cosa.
Ma lEssere cos generato si volge a Lui e tosto ne riempito e, una volta nato,
guarda a se stesso, e questa lIntelligenza [o Mente]. Il suo orientarsi verso
lUno genera lEssere; lo sguardo rivolto a se stesso genera lIntelligenza. Ma
poich lIntelligenza per contemplarsi deve persistere in se stessa, diviene
insieme Intelligenza ed Essere. E cos lEssere, essendo simile a Lui, genera
ci che gli affine, riversando fuori la sua grande potenza; ma anche questa
unimmagine di colui che, prima di lui, manifest la sua potenza. Questa forza
che procede dallEssere lAnima, ma questa diviene, mentre lIntelligenza
immobile, poich anche lIntelligenza nacque mentre Colui che prima di lei
persiste nella sua immortalit.
Plotino, Enneadi, V, 2, 11, ed. cit.
E dunque necessario che il pensiero, quando pensa, si trovi in una dualit; e
allora, o uno dei due termini fuori, oppure i due termini sono identici. Il
pensiero implica sempre unalterit e, necessariamente, anche unidentit; e
gli oggetti pensati, in senso stretto, sono, rispetto allIntelligenza, identici e
insieme diversi.
Plotino, Enneadi, V, 3, 10, ed. cit.
Da Lui lIntelligenza trae la potenza di generare e di restare incinto della sua
stessa prole, poich il Bene offre ci che Egli stesso non possiede. DallUno
deriva, per Intelligenza, la molteplicit: incapace di contenere la potenza che
porta in s, lIntelligenza la frantuma e riduce lunit a molteplicit per
poterla sostenere a parte a parte.
Plotino, Enneadi, VI, 7, 15, ed. cit.

LUno crea la realt oltrepassandosi, ovvero irradiandosi. Ma, secondo Plotino, lUno non
crea immediatamente la realt fisica, il cosmo naturale, ma unaltra realt preliminare a
quella: la realt razionale, ovvero il mondo ideale. Innanzitutto, infatti, lUno crea due
copie dirette per cos dire, due alter ego di se stesso: la Mente (Nos) e lAnima
(Psych). Esse, come lUno, sono realt immateriali, eterne e infinite; ma, a differenza
dellUno, non si autocreano, in quanto sono create appunto dallUno, e, come sue

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irradiazioni successive, ne costituiscono un indebolimento, seppure infinitesimale, e


dunque sono s infinite, ma la loro infinitezza inferiore a quella dellUno. Cos
configurate, Mente e Anima costituiscono due strutture razionali, ovvero due tipologie di
ordinamento, due sistemi di organizzazione isomorfi e contigui, entrambi indispensabili
allesistenza, e quindi alla creazione, del mondo fisico.

La mente, in prima approssimazione, si pu definire come lUno che pensa se stesso,


ovvero come il pensiero o lautocoscienza dellUno. Il pensiero, infatti, o meglio il pensare,
implica necessariamente la distinzione tra:
a) il suo oggetto, cio il pensato, ci che viene pensato, il contenuto della conoscenza;
b) il suo soggetto, il pensante, colui che pensa loggetto, ovvero lo conosce.
P.e., proviamo a immaginare una mela, lultima che abbiamo visto e magari mangiato.
Nella nostra mente, per cos dire, c limmagine della mela ma c anche la nostra
coscienza che la guarda. Con una similitudine pi tecnologica, possiamo paragonare il
pensiero a un film, in quanto questo la sintesi di una serie di oggetti (le persone umane,
gli animali, le cose che abbiamo filmato) e di una cinepresa che li ha filmati: gli oggetti
corrispondono ai pensati, la cinepresa al pensante.
Ora, il fatto che il pensare presupponga larticolazione in pensato e pensante equivale a
dire che il pensare costitutivamente dualistico, implica una differenziazione. Certo, il
pensare la correlazione di pensato e pensante, ma non ci pu essere correlazione senza
preventiva distinzione. Di conseguenza, afferma Plotino, lUno non pu pensare, al di l
anche del pensiero, perch unit assoluta, del tutto indifferenziata. Ma lUno potenza di
pensiero e dunque crea il pensiero, ovvero la Mente, e quindi pensa attraverso ci che
altro da lui, in quanto sua prosecuzione, ma che anche lui perch proviene da lui.
Il fatto che lUno, al tempo stesso, non sia e sia la Mente risulta pi chiaro considerando
che la Mente, secondo Plotino, si costituisce in un duplice e convergente modo:
da un lato, si rivolge allUno, lo riflette in s e se ne riempie;
dallaltro si rivolge a se stessa e cos riflette lUno riflesso in s.

Per comprendere meglio queste due facce della Mente, possiamo paragonare la Mente a un
duplice specchio: il primo specchio quello che rispecchia lUno; il secondo quello che
rispecchia il primo specchio, cio che rispecchia limmagine dellUno gi riflessa nel primo
specchio. Il primo specchio quello oggettivo, cio corrisponde al pensiero pensato,
ovvero allEssere in quanto realt puramente razionale; il secondo quello soggettivo,
ovvero il corrispettivo del pensiero pensante, ovvero della coscienza razionale. Poich il
primo specchio si rispecchia nel secondo, la Mente duplice, ma questa duplicit

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ricondotta ad unit, cio unificazione di distinti, in quanto i due rispecchiamenti che


costituiscono la Mente rispecchiano la stessa cosa, cio lUno.
Se consideriamo che due specchi che si rispecchiano lun laltro moltiplicano infinitamente
limmagine che riflettono, possiamo facilitarci la comprensione dellinfinitezza della
Mente. La Mente, infatti, non solo e tanto unit di una dualit. E, afferma Plotino, unit
di una molteplicit infinita, di cui la dualit pensato/pensante solo il grado minimo
iniziale, il punto di partenza. Ci significa che lEssere che costituisce loggetto della Mente
infinitamente molteplice, cio differenziato e articolato in infinite parti o determinazioni.
Come e perch dalla dualit della Mente scaturisce una molteplicit infinita? Plotino lo
spiega con la relativa debolezza della Mente rispetto allUno. Poich un infinito di livello
inferiore a quello dellUno, la Mente non in grado di sostenere la visione dellUno nella
sfolgorante potenza della sua interezza uniforme. Dunque la Mente pu avere solo una
visione attenuata dellUno, cio appunto quella dellUno diviso in parti. Ma, poich la
Mente la contemplazione medesima dellUno, cio consiste tutta e solamente nel pensare
lUno, essa stessa risulta divisa in parti.

Ma cosa sono queste parti? Plotino risponde che sono le idee, cio le forme razionali,
unitarie, immutabili e perfette, di tutti gli esseri fisici, e quindi anche di tutti i loro principi
e propriet matematici, logici, etici, estetici. In altre parole, la Mente corrisponde al mondo
delle idee di Platone, ma con una decisiva differenza. Le idee non sono pi oggetti razionali
indipendenti, ma sono i contenuti razionali di una coscienza pensante, che, come tale, ne
costituisce il principio di unificazione, in quanto, pensandole, le correla tutte
riconducendole alla propria unit. Il mondo delle idee di Platone in Plotino si trasforma in
un pensiero che fluisce incessantemente trascorrendo da unidea allaltra e che tutte in tal
modo le connette dinamicamente.
In tal senso si pu paragonare la Mente a un circuito elettrico costituito da una serie di
elementi o componenti (sorgente, resistenza, condensatori, trasformatori, ecc.) tra loro
collegati in modo tale da consentire il continuo passaggio tra essi della corrente elettrica:
gli elementi e i collegamenti del circuito corrispondono alle idee e alla loro correlazione
unitaria, cio al pensiero pensato, e la corrente che scorre nel circuito al pensiero pensante.
Ancor meglio, si pu comparare la Mente alla rete neuro-cerebrale: i neuroni
rappresentano le idee, le sinapsi i loro collegamenti, il pensiero umano il pensiero della
Mente. Salvo che la Mente del tutto immateriale, il cervello umano invece fisico; le idee e
le loro relazioni sono infinite, neuroni e sinapsi in numero enorme (circa 100 miliardi solo
i neuroni) ma pur sempre finito; il pensiero della Mente fluisce sempre in tutte le idee, il
pensiero umano solo in un certo numero di neuroni in uno stesso istante.

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MAPPA della TAPPA 5


UNO

Pensiero pensato:
rispecchiamento dellUno

Pensiero pensante:
rispecchiamento del
rispecchiamento dellUno

Essere, ovvero il mondo delle


idee

Coscienza razionale che conosce


unitariamente le idee

MENTE

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VIAGGI DI IERI & VIAGGI DI OGGI


LA MENTE E LA TEORIA DELLAUTOCOSCIENZA
Come si visto, per spiegare cos la Mente in quanto autocoscienza dellUno, Plotino
ricorre alla similitudine degli specchi, sostenendo che la Mente pu essere paragonata a
due specchi: il primo rispecchia lUno, il secondo rispecchia limmagine dellUno riflessa
nel primo. Lanalogia di Plotino pu essere applicata anche alla nostra mente, ovvero
alla spiegazione della nostra autocoscienza.
A tale proposito interessante confrontarla con alcune delle pi recenti acquisizioni della
scienza cognitiva, cio della scienza della mente, una scienza recente e articolata, in
quanto si avvale dei contributi di vari tipi di ricerca scientifica: quella neurocerebrale,
quella psicologica (in particolare la psicologia della percezione e la psicologia dello
sviluppo), quella linguistica, quella etologica. Una delle direzioni di ricerca della scienza
cognitiva appunto quella che si propone di comprendere che cos lautocoscienza e
come funziona. In tal senso, la forma pi semplice di autocoscienza, ovvero la sua
funzione elementare, ma anche la pi antica dal punto di vista evolutivo, considerato il
riconoscimento di s da parte di un individuo. Per riconoscimento di s si intende il
riconoscimento della propria voce, del proprio odore, delle proprie mani, ecc., e infine
della propria immagine, cio della raffigurazione complessiva del proprio corpo.
Lautoriconoscimento implica il possesso di una rappresentazione riflessiva di s, cio di
uno schema mentale del proprio corpo che viene confrontato con la sua immagine
esterna.
Una delle forme pi comuni e significative, se non la pi significativa, di
autoriconoscimento il riconoscersi allo specchio. Gli scienziati cognitivisti, infatti, si
sono avvalsi dello specchio per organizzare molti dei loro esperimenti, in particolare
quelli mirati a stabilire se gli animali e i bambini sono in grado di autoriconoscersi.
Questi esperimenti hanno accertato che solo alcune specie di animali sono in grado di
riconoscersi allo specchio, e quindi mostrano di possedere il grado minimo di
autocoscienza: scimpanz, oranghi, bonobo, delfini, elefanti. Per quanto riguarda i
bambini, si appurato che fino ai due anni circa essi non riconoscono la propria
immagine allo specchio, cio credono che sia unimmagine di qualcosa daltro da loro.
Questi risultati sperimentali possono essere utilizzati per impostare un esperimento
mentale utile a comprendere meglio la concezione plotiniana dellUno, della Mente e della
loro correlazione. Proviamo a immaginare che rappresentazione mentale potevamo
avere del nostro volto prima della prima volta che labbiamo riconosciuto nello specchio,
ovvero prima di averlo guardato allo specchio. Buio? Vuoto? Risposta esatta! Astraendo
dal tatto, ovvero dal fatto che toccandoci il viso avremmo potuto scoprire che il nostro
volto fatto di rilievi e concavit, non potevamo avere nessuna immagine visiva del
nostro volto. Dunque non potevamo che intuirlo come un tuttuno indifferenziato, un

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qualcosa del tutto uniforme, insomma similmente allUno di Plotino. Nel momento in cui
ci siamo riconosciuti per la prima volta allo specchio, in primo luogo ci siamo distinti in
due, ossia in me che guardo lo specchio e nella mia immagine guardata nello specchio,
analogamente alla Mente secondo Plotino; in secondo luogo, abbiamo distinto le varie
parti del nostro volto (naso, occhi, sopracciglia, ecc.) potendole finalmente guardare
nitidamente nella nostra immagine speculare, cos come la Mente, secondo Plotino,
contemplando lUno lo divide e lo moltiplica nelle varie idee.
Per chi vuole saperne di pi: Lautocoscienza, di P. Perconti, Laterza, 2008.

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TAPPA 6
PLOTINO: LINDIVIDUALIZZAZIONE DELLUNO E LANIMA
Il compito dellanima razionale il pensare ma non soltanto il pensare,
perch, allora, che cosa la distinguerebbe dallIntelligenza? Poich essa
aggiunge al suo essere intellettuale qualche cosa daltro, per il quale acquista
la sua propria essenza, lAnima non resta pura Intelligenza, ma ottiene
anchessa una sua particolare funzione, come qualsiasi altro ente. Ma quando
guarda a ci che prima di essa, lAnima pensa; quando guarda se stessa, si
conserva; quando guarda ci che le posteriore [il mondo fisico], lanima
ordina, regge e governa su di esso. Poich luniverso non poteva fermarsi al
piano dellIntelligenza, dal momento che cera la possibilit che qualcosa
daltro [la materia] venisse dopo, inferiore s ma necessario, essendo
necessario anche ci che sopra di essa.
Plotino, Enneadi, IV, 8, 3, ed. cit.
Perci ogni anima rifletta anzitutto su questo: che essa ha generato tutti i
viventi infondendo in essi la vita; quelli che nutre la terra e che nutre il mare,
quelli che abitano nellaria e gli astri divini che sono nel cielo; che ha generato
il sole e questo cielo immenso e lo ha adornato; essa lo fa girare in un
determinato ordine, pur essendo una natura diversa dalle cose che ordina,
muove e vivifica: lanima perci vale necessariamente pi di esse, poich,
mentre queste nascono e muoiono, qualora essa le abbandoni o dia loro la
vita, essa invece sussiste eternamente poich non abbandona mai se stessa.
[]
Anche il cielo, pur essendo molteplice e vario, unitario in virt della potenza
dellAnima e in virt di essa anche questo mondo un dio. E anche il sole un
dio perch animato, e le altre stelle; e anche noi stessi, se pur siamo
qualcosa, lo siamo per questa ragione, poich i cadaveri vanno gettati via pi
che il letame [Eraclito, fr. B96].
Plotino, Enneadi, V, 1, 2, ed. cit.
Se questo detto bene, necessariamente lAnima delluniverso contempler
gli esseri migliori e tender sempre verso la natura intellegibile e verso Dio;
essa se ne riempie e da lei, una volta riempita e quasi ricolma, nasce
unimmagine che al suo limite estremo ed ci che produce le cose. E
lultima potenza produttrice: al di sopra c la parte superiore dellanima che
riempita <di forme> dallIntelligenza; al di sopra di tutto c lIntelligenza
demiurgica, che allanima che viene dopo d <le forme> le cui tracce sono
nella realt di terzo grado. Perci si dice giustamente che il mondo
unimmagine che sempre si rinnova, mentre la prima e la seconda realt sono

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immutabili ed immutabile anche la terza, bench essa si muova per


accidente nella materia. Finch ci sar unIntelligenza e unAnima, le ragioni
le proseguiranno nella specie inferiore dellanima, come, finch ci sar il sole,
da esso irradier ogni splendore.
Plotino, Enneadi, II, 3, 18, ed. cit.
Essa fa vivere cos le altre cose che non vivrebbero per se stesse e d loro
quella vita di cui essa stessa vive. E poich essa vive in una forma razionale, d
al corpo una forma razionale che unimmagine di quella che possiede
infatti tutto ci che essa d al corpo unimmagine della vita e d ai corpi le
forme di cui possiede le ragioni. Lanima possiede anche le ragioni degli dei e
di tutte le cose. Perci il mondo possiede tutto.
Plotino, Enneadi, IV, 3, 10, ed. cit.

La creazione del mondo fisico da parte dellUno, non si basa solo sulla Mente ma anche su
un altro principio puramente razionale, che Plotino chiama Anima (psych). LAnima
discende dalla Mente come la Mente dallUno. Poich costituisce un ulteriore grado di
irradiazione dellUno pi lontana dallUno della Mente e dunque possiede una potenza
infinita qualitativamente inferiore a quella della Mente.
Di conseguenza, mentre la Mente originariamente duplice, lAnima originariamente
triplice, in quanto si articola in:
a) anima suprema,
b) anima delluniverso,
c) anime individuali molteplici.

LAnima suprema lattivit con cui lAnima si rivolge alla Mente e la contempla,
contemplando cos, attraverso la Mente, anche lUno, e dunque correlandosi a entrambi. In
questo senso, si pu dire che lAnima suprema un terzo specchio che rispecchia quello
della Mente come pensiero pensante (che a sua volta, ricordiamoci, rispecchia lo specchio
che rispecchia direttamente lUno, cio il pensiero pensato).
In altre parole: come la Mente una copia dellUno, lAnima una copia della Mente, cio
una copia della copia dellUno; per cos dire, unimmagine pi sbiadita dellUno.

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LAnima universale lattivit con cui lAnima ordina e governa la materia producendo cos
il cosmo fisico. Questa seconda funzione dellAnima strettamente consequenziale alla
prima. I criteri dellordinamento e del governo della materia sono, infatti, le idee della
Mente contemplate dalla funzione superiore dellAnima, che, come tali, rappresentano i
principi razionali che regolano e guidano la produzione di tutte le cose fisiche.
LAnima universale svolge la funzione di applicare le idee, in quanto principi razionali, alla
materia, producendo cos effettivamente le cose fisiche, ovvero gli esseri naturali. Se lUno
, dunque, la potenza (o energia) creatrice, e la Mente lordine creatore, lAnima lattivit
che crea effettivamente, lesecutrice della creazione.

Per creare le cose fisiche, che come tali sono individuali, lAnima deve per configurare
individualmente le idee, che in s sono uniche e universali. Pertanto deve, per cos dire,
tradurre le idee, cio i principi razionali universali, in progetti (o disegni) razionali
individuali, che, come tali, sono delle immagini, cio delle copie, delle idee, cio
possiedono un grado di razionalit inferiore, ma indispensabile per poter adattare le idee
alla materia. Le anime individuali sono appunto questi stessi progetti/disegni razionali
chiamati anche da Plotino forme razionali, o ragioni formali, o ragioni seminali che
costituiscono ogni cosa fisica, ovvero sono i principi organizzatori di tutti gli esseri naturali
e dunque ci che infonde loro la vita.
Le anime individuali sono molteplici (una molteplicit di gran lunga maggiore a quella
delle idee, perch per ogni idea universale vi sono molti esseri naturali) e separate, in
quanto ognuna contenuta in un corpo; ma, dal momento che in ogni anima individuale
c lintera Anima, seppur configurata in un modo singolare, tutte le anime individuali,
afferma Plotino, sono unite, sono sempre anche un unico principio. Ci comporta che tutti
gli esseri naturali siano collegati gli uni agli altri da una simpatia, ovvero che siano
armonicamente correlati tra loro.

Da questo punto di vista, si pu paragonare lAnima di Plotino a unorchestra sinfonica: il


direttore dorchestra, che rappresenta lAnima suprema, riceve e interpreta lo spartito
musicale, cio la musica (solo scritta) che dovr far suonare, dal compositore corrispettivo della Mente; linsieme dei diversi spartiti di ogni orchestrale, ognuno dei
quali adatta la musica a uno specifico strumento, rappresenta lAnima delluniverso; i
diversi orchestrali che suonano la musica leggendo i loro diversi spartiti rappresentano le
anime individuali, gli strumenti gli esseri naturali, la sinfonia effettivamente suonata
lesistenza e il funzionamento ordinato del cosmo fisico.

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MAPPA della TAPPA 6

MENTE

Anima suprema, che


contempla la Mente

ANIMA

Anima delluniverso che


produce i progetti
razionali delle cose

Anime individuali
che sono i principi
vitali di ogni cosa

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TAPPA 7
PLOTINO: IL MASSIMO DEPOTENZIAMENTO DELLUNO E LA MATERIA
Come devo pensare lassenza di grandezza della materia? E come puoi tu
pensare la materia senza qualit? E quale nozione ne hai tu e come la
comprendi tu col pensiero? []
E a questo pensava Platone quando disse che essa percepibile con un
ragionamento spurio.
E che cos dunque lindeterminatezza dellanima? E ignoranza completa e
impossibilit di enunciare alcunch?
No, lindeterminato oggetto di una positiva enunciazione, e come per
locchio loscurit la materia di ogni cosa invisibile, cos anche lanima, dopo
aver soppresso nelle cose sensibili quanto simile alla luce <cio le qualit> e
diventata incapace di determinare ci che rimane, diventa simile allocchio
nelloscurit e si fa in un certo modo identica alloscurit, che essa in un certo
senso vede. Ma la vede veramente?
Certo, per quanto si pu vedere la bruttezza stessa, senza colore, senza luce ed
anche senza grandezza; se no, <lanima> le attribuirebbe una figura.
E cos questa affezione dellanima non lo stesso che se essa non pensasse
nulla? No, quandessa non pensa nulla, nemmeno dice nulla, anzi, non ha
impressione alcuna; ma quando pensa alla materia, riceve in s passivamente
come limpronta di ci che non ha forma.
Plotino, Enneadi, II, 4, 10, ed. cit.
Il ricettacolo delle forme non deve dunque essere un volume, ma col diventare
volume riceve anche le altre qualit; lo si immagina come un volume, perch
capace di ricevere questo per primo. Ma come volume vuoto: perci alcuni
hanno detto la materia identica al vuoto. [] Perci non si dica che questo
indeterminato soltanto grande o soltanto piccolo, ma che grande e piccolo,
dunque un volume, ma inesteso, in quanto materia del volume; esso si
contrae da grande a piccolo e da piccolo si estende e diventa grande e <la
materia>, per cos dire, lo percorre. Linfinit della materia un volume
simile, ricettacolo della grandezza nella materia; ma questa non che
unimmagine.
Plotino, Enneadi, II, 4, 11, ed. cit.
Dunque la materia necessaria alla qualit e alla grandezza e quindi anche ai
corpi: ed essa non un nome insignificante, ma un reale soggetto, bench
invisibile e inesteso. Se essa non , diremo che per la stessa ragione non sono
n le qualit n la grandezza: infatti si potrebbe dire che esse non sono

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alcunch di reale, se vengono considerate in se stesse. Ma se esistono, bench


ciascuna esista oscuramente, a pi forte ragione deve esistere la materia,
bench non sia chiara n sia percepibile dai sensi: non < percepita> dagli
occhi, perch non colorata, non dalludito, poich non sonora; n <la
percepisce> quindi il gusto o il naso o la lingua.
Plotino, Enneadi, II, 4, 12, ed. cit.
Che diremo dunque di essa? Come pu essere materia degli esseri?
In quanto essa in potenza.
Dunque essa, in quanto gi in potenza, non ancora ci che poi diventer,
ma il suo essere soltanto lessere futuro che in lei sannunzia: cos, il suo
essere si riduce a ci che sar. []
Essa dunque un fantasma in atto, e quindi una menzogna in atto, cio una
vera menzogna, o meglio il reale non-essere.
Plotino, Enneadi, II, 5, 5, ed. cit.
In tutto ci che promette essa mentisce: se immaginata grande, piccola; se
maggiore minore, e lessere che immaginiamo di lei un non-essere, simile
a un gioco fugace, ed illusorio quanto crediamo esistere in lei, mero
fantasma in un fantasma, proprio come in uno specchio in cui loggetto
appare in un luogo diverso da quello in cui realmente si trova. <Lo specchio>
sembra pieno di oggetti, eppure non ha nulla e sembra aver tutto. Ci che
entra e ci che esce sono immagini degli esseri e fantasmi <che entrano> in
un fantasma senza forma, e poich essa senza forma, ci che si vede in essa
sembra agire su di essa, e invece non produce nulla, poich sono cose
inconsistenti, deboli e prive di solidit; e poich anche la materia non ha
solidit, esse la attraversano senza dividerla, come <oggetti> nellacqua, o
come forme che vengono poste dentro il cosiddetto spazio vuoto.
Plotino, Enneadi, III, 6, 7, ed. cit.
Per lassoluto non-essere non pu unirsi allessere; ne deriva questo fatto
strano: che esso pur non partecipando <dellessere> ne partecipa e trae ogni
cosa come dalla sua vicinanza ad esso, bench per la sua natura non possa,
per cos dire, amalgamarsi con esso.
Plotino, Enneadi, III, 6, 14, ed. cit.
Tutto qui tenuto insieme dalle forme dal principio alla fine; anzitutto, la
materia dalle forme degli elementi; poi, sulle forme altre se ne
sovrappongono ed altre ancora di nuovo, sicch difficile trovare la materia
nascosta sotto tante forme. Ma poich anchessa una forma infima, questo
universo forma e tutte le cose sono forme, poich il modello era gi forma.

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Plotino, Enneadi, V, 8, 7, ed. cit.


Anche la materia, se esiste dalleternit, non pu, appunto perch esiste, non
partecipare di quella potenza [lUno] che dispensa a tutti il bene secondo le
possibilit di ciascuno; e se la sua nascita una necessaria conseguenza di
cause anteriori, non deve tuttavia essere separata dal suo principio, come se
questo principio, che le don, come per grazia, lesistenza, si arrestasse poi
per impotenza di giungere sino ad essa.
Plotino, Enneadi, IV, 8, 6, ed. cit.
Ma il male assoluto non esiste, grazie alla potenza e alla natura del bene,
poich si mostra necessariamente chiuso nei vincoli del bello, come un
prigioniero coperto da catene doro [].
Plotino, Enneadi, I, 8, 15, ed. cit.

LUno, la Mente e lAnima per Plotino sono i principi ideali che creano la realt puramente
razionale, cio le idee della Mente, declinate dallAnima in progetti razionali singolari, cio
in anime individuali. Ma perch le anime individuali diventino cose fisiche, ovvero corpi,
cio per spiegare lesistenza del mondo fisico, occorre un ulteriore componente: la materia.
Infatti, il cosmo fisico, secondo Plotino, costituito dallunione delle anime individuali e
della materia, ossia dalla materializzazione delle anime individuali.
Ma che cos la materia e qual la sua origine? Plotino, in prima battuta, risponde che
non-essere. Poich lessere, in senso stretto, la Mente, cio il pensiero delle idee, ossia
delle forme razionali universali, dire che la materia non-essere significa dire che
qualcosa di privo di razionalit, cio di ordine, di organizzazione. In una parola, la materia
lindefinito.
In questo senso, Plotino la descrive come un contenitore del tutto amorfo, ovvero come
uno spazio vuoto, in quanto capace di accogliere e ospitare, ma uno spazio privo di
qualsiasi connotazione, persino del volume, cio della tridimensionalit, e quindi di ogni
grandezza. Sempre in tal senso, Plotino lo paragona a uno specchio che, proprio perch
non possiede disegni e colori propri, pu rispecchiare in s qualsiasi cosa. In altre parole,
proprio in quanto non-essere, cio in quanto priva di qualsiasi configurazione, la materia
ci che pu assumere qualsiasi configurazione.
Tuttavia, anche se assenza di razionalit, non-essere appunto, la materia esiste. Allora da
cosa deriva e come? Plotino risponde che anche la materia deriva dallUno, n potrebbe
essere altrimenti, visto che lUno il principio unico di tutto, la potenza creatrice di tutto

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ci che esiste. Ma se lUno super-essere, o super-razionalit, come pu creare il nonessere, ci che privo di razionalit? Plotino chiarisce che la materia s non-essere, ma
non come opposto dellessere, ovvero come sua antitesi assoluta, bens come diverso
dallessere, cio come non-essere relativo, come estrema riduzione dessere. In altre parole,
lirradiazione dellUno, che crea ogni cosa, si svolge come una progressiva diminuzione di
energia vitale, ovvero di essere, e dunque tende allo zero. Ma naturalmente lenergia
creativa dellUno non pu annullarsi altrimenti non sarebbe infinita, quale invece .
Lirradiazione dellUno, dunque, si approssima infinitesimalmente allannullamento ma
non si annulla mai del tutto.
Usando una similitudine matematica, si pu dire che la materia, in quanto non-essere, il
limite tendente a zero dellenergia creativa dellUno. Oppure, facendo ricorso allanalogia
plotiniana dellirraggiamento solare, la materia il confine del cono di luce prodotto dal
sole, ovvero il punto in cui la luce si esaurisce a favore delloscurit. Sviluppando questa
analogia, risulta che il buio, pur non essendo luce, prodotto dalla luce, in quanto senza la
diversit della luce non potrebbe esistere come buio.
Fuor di metafora, creando lessere, lUno implicitamente crea anche il non-essere, per
differenza, per massima diversit appunto. Senza lessere infatti il non-essere non potrebbe
esistere. In questo senso Plotino afferma che lUno don lesistenza alla materia e che
anche la materia partecipa della potenza infinita dellUno.

Ma c di pi. Finora ci siamo riferiti alla materia in s, cio alla materia come sarebbe se
non fosse organizzata dallAnima delluniverso, ovvero riempita delle sue anime individuali
o forme razionali. Ma la materia in s, ovvero come completo non-essere, diversit totale,
qualcosa di meramente potenziale, ha s unesistenza, ma del tutto virtuale, appunto,
come dice Plotino, un fantasma o uno specchio vuoto. Poich lAnima eterna, ab aeterno
ha ordinato la materia, e dunque di fatto la materia non mai esistita realmente in s e per
s, cio come mero non-essere, ma da sempre ospita le forme razionali dellAnima e
dunque da sempre possiede un certo grado dessere, cio di organizzazione. Solo che la
materia un mero recettore passivo di questo ordine, non lo possiede di per s, e quindi
non lo attiva, bens lo subisce soltanto.
Per, pur sempre lo riceve e quindi lo acquisisce. Pertanto, per cos dire, la materia, pur
essendo disordine, si piega allordine, pur essendo non-essere predisposta allessere, cio
malleabile per lAnima del mondo. Dunque anche la materia ha una sua razionalit. Certo
quello della materia il grado minimo di organizzazione, cio di razionalit, ma pur
sempre qualcosa. In tal senso Plotino afferma che anche la materia forma, bench
forma infima.

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Il cosmo fisico, la natura, i corpi, cio tutti gli esseri fisici, sono il risultato
dellordinamento che lAnima immette nella materia, o meglio, come precisa Plotino, che la
materia assume in quanto inglobata, come assorbita, nellAnima. LAnima, infatti, fluisce
dentro la materia e, al contempo, labbraccia, la circonda. Lordinamento dellAnima
comincia dallinserimento nella materia di quattro forme primarie, quelle che, in quanto
poste nella materia, vengono a costituire i quattro elementi naturali: terra, acqua, aria,
fuoco. Simultaneamente la materia riceve anche lestensione, cio la tridimensionalit
spaziale, e di conseguenza volume, massa, peso, grandezza.
In altre parole, da spazio potenziale o virtuale, la materia diventa spazio reale,
tridimensionale. In questo senso la materia virtuale si pu paragonare a una creta informe
capace di estendersi elasticamente e di assumere le pi diverse configurazioni.
Linserimento delle anime individuali comporta poi la mescolanza di parti dei quattro
elementi naturali in proporzioni diverse per ogni anima. Da tale mescolanza, prodotta
dalle anime, derivano i singoli corpi, p.e. una roccia di basalto, unorchidea, un gatto, un
uomo, una nuvola, un pianeta, ecc.

Essendo ordinato dallAnima, il cosmo fisico essere, ma, poich costituito anche dalla
materia, cio dal non-essere, possiede un rango ontologico ovviamente inferiore a quello
dellAnima, della Mente e dellUno, cio delle tre realt che Plotino chiama ipostasi, cio
autoesistenze o autosussistenze, e che quindi sono eterne. In tal senso, Plotino sostiene che
il cosmo fisico unimmagine, una copia sbiadita dellAnima, ovvero delle stesse anime
individuali. Ricorrendo ancora allanalogia, Plotino definisce i corpi come i riflessi delle
anime nello specchio costituito dalla materia.
Oggi, potremmo dire che, secondo Plotino, i corpi sono come ologrammi, cio immagini
fotografiche tridimensionali prodotte da un laser, cio da un fascio di luce iperconcentrato.
In questa similitudine, la materia corrisponde appunto alla luce laser in quanto capace di
far sembrare tridimensionale una fotografia bidimensionale.

La natura per cos dire evanescente o fantasmatica degli esseri fisici, ovvero il loro statuto
ontologico inferiore, a met tra essere e non-essere, tuttuno con il loro divenire, cio con
il loro incessante trascorrere, con il loro costante mutamento, che naturalmente implica la
loro nascita e la loro morte. Le anime individuali, per, non muoiono, sono eterne e
immutabili. Sono solo i loro riflessi nello specchio materiale che vanno e vengono,
producendo cos lapparenza della nascita e della morte.
Ma il divenire la nascita, la morte, il cambiamento, il moto implica il tempo. Si visto
come la materia si possa considerare spazialit potenziale e dunque come possa spiegare la

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tridimensionalit spaziale del mondo fisico. Il tempo, per, non inerente alla materia. Da
cosa prodotto allora? La risposta di Plotino : dallAnima. In che modo? LAnima,
afferma Plotino, dispone in successione, cio secondo il criterio del prima e del poi, ci che
nella Mente diviso in parti ma simultaneo, ovvero le idee in quanto sono conosciute
simultaneamente nelle loro relazioni dalla Mente stessa. Per comprendere meglio questa
tesi di Plotino, possiamo usare lesempio analogico di un film cinematografico, come noto
composto da migliaia di fotogrammi. Se possedessimo una vista straordinaria, potremmo
vedere tutti i fotogrammi simultaneamente, allo stesso modo, cio, in cui la Mente conosce
tutte le Idee; invece, poich disponiamo di una vista normale, li vediamo in successione,
vediamo appunto un film con un inizio e una fine (possibilmente lieta), cio al modo in cui
lanima riordina le idee. In altre parole, lAnima delluniverso, traducendo le idee in disegni
razionali, ossia in anime individuali, per adattarle alla materia, sostituisce il loro
collegamento sincronico con una connessione diacronica, ossia le pone in successione
cronologica. Sviluppando lanalogia del film, viene spontaneo concludere che per Plotino
gli esseri fisici sono cartoni animati!

Ma qual il giudizio complessivo di Plotino sul mondo fisico? Da un lato, Plotino ne


evidenzia il carattere illusorio, dovuto al suo legame con il non-essere, cio con la materia.
In questo senso, poich lessere/ordine equivale al bene, cio benessere, la materia in
quanto non-essere/disordine equivale al male. Ma cos come la materia non-essere nel
senso di massima privazione dellessere, allo stesso modo il male massima privazione del
bene, ovvero non un principio maligno antitetico e concorrenziale a quello del bene.
In quanto il mondo fisico anche materiale include dunque il male, ma si tratta tuttavia di
un male parziale, che nemmeno incrina la superiorit del bene. Insomma: in quanto copia
sfocata del mondo ideale il mondo fisico imperfetto e dunque contiene una dose di
negativit, tuttavia la migliore delle copie possibili e dunque la sua negativit limitata e
il bene in esso di gran lunga preponderante.

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MAPPA della TAPPA 7


LUno crea lessere
Implicitamente
LUno crea il non-essere relativo, come massima privazione dellessere

Il non-essere contenitore, spazio senza determinazione, simile a uno specchio

LAnima lo ordina, assorbendolo in s e infondendogli le anime individuali

Le cose fisiche sono i riflessi delle anime individuali nello specchio della materia

Il divenire il continuo andirivieni e alternarsi dei riflessi nello specchio materiale

Il tempo creato dallanima universale che sostituisce alla connessione sincronica


delle idee la successione diacronica delle anime individuali

Il mondo fisico, essendo legato al non-essere, implica il male, ma essendo


soprattutto essere in esso il bene preponderante rispetto al male

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VIAGGI DI IERI & VIAGGI DI OGGI


LANIMA, LENTANGLEMENT E IL PRINCIPIO OLOGRAFICO
La teoria plotiniana dellanima delluniverso che innerva e governa il mondo, con il suo
corollario della simpatia universale che connette ogni cosa a ogni altra cosa, fu ripresa e
sviluppata dalla filosofia rinascimentale, ma, con la rivoluzione scientifica moderna, fu
soppiantata dalla opposta teoria meccanicistica. Tuttavia, con la rivoluzione scientifica
contemporanea, a cavallo dei secoli XIX e XX, e in particolare con la scoperta della teoria
dei quanti ossia delle particelle elementari la visione meccanicistica della scienza
moderna stata messa in discussione. Per capire come, consideriamo uno dei pi
stupefacenti fenomeni quantistici: lentanglement, traducibile intreccio, correlazione.
Il termine significa che due particelle elementari, p.e. due fotoni, possono interagire
istantaneamente anche se distano tra loro un milione di anni-luce. Per esempio, se il
fotone A cambia la direzione del suo spin (la rotazione su se stesso) immediatamente il
correlato fotone B la muta. Alcuni esperimenti hanno accertato che due particelle
elementari correlate sono al tempo stesso divise e unite, ovvero, p.e. esempio, due fotoni
sono separati ma anche uno stesso fotone. Addirittura, nel 1997 due gruppi di scienziati
sono riusciti a teletrasportare lo stato quantistico di una singola particella a unaltra,
realizzando effettivamente (pur in modo alquanto diverso) il teletrasporto
fantascientifico di Star Trek.
Per spiegare lentanglement, i fisici quantistici sostengono che le particelle elementari
sono non-locali o alocali, cio non sono localizzate, non hanno una posizione spaziale
precisa. Su questa base, essi sono giunti a ipotizzare che tutte le particelle elementari
(fotoni, protoni, neutroni, elettroni, ecc.) siano in uno stato di entanglement, cio sono
tutte correlate tra loro. Poich ogni corpo fisico fatto di particelle elementari, ogni
corpo fisico collegato a tutti gli altri. In questo senso, molti fisici quantistici usano
espressioni quali magia quantistica o danza magica dei quanti.
Ma questa non lunica, e forse nemmeno la pi clamorosa, somiglianza tra la filosofia
plotiniana e la fisica contemporanea. Unaltra quella relativa alla scoperta della
cosiddetta energia del vuoto (altrimenti detta energia oscura). Mentre la fisica
classica meccanicistica credeva nellesistenza di uno spazio infinito in massima parte del
tutto vuoto, cio privo di massa e energia, la fisica quantistica contemporanea ha
accertato che ogni porzione di spazio pullula di particelle (elettroni, positroni, fotoni)
virtuali, cio di particelle che apparentemente non esistono ma che improvvisamente si
manifestano per minuscole frazioni di secondo per poi di nuovo sparire. Questo
fenomeno, che viene chiamato anche fluttuazione quantistica, ha portato a ridefinire lo
spazio vuoto: esso non pi uno stato di energia/massa nulla, bens uno stato di
energia/massa minima. In termini plotiniani il non-essere (o nulla) non lassenza totale
dellessere ma il grado minimo dellessere, per cui il nulla, inteso come non-essere
assoluto, non esiste.

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Unulteriore somiglianza tra neoplatonismo e fisica attuale concerne la teoria delle


stringhe, che, nei suoi pi recenti sviluppi, giunta a ipotizzare che il mondo reale giaccia
su una membrana, cio su una superficie elastica nastriforme a due dimensioni. Su
queste basi, alcuni fisici hanno elaborato una teoria della realt basata sul principio
olografico: tutte le cose sono ologrammi, cio immagini tridimensionali di dati scritti in
minuscoli pixel (a loro volta collezioni di informazioni numeriche binarie) su una
superficie bidimensionale.
Per approfondimenti, leggere Entanglement, di A.C. Aczel, Cortina, 2004, e Il Paesaggio
cosmico, di L. Susskind, Adelphi 2007.

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TAPPA 8
PLOTINO: LUOMO E UNANIMA CADUTA
E noi? Chi siamo noi? Forse che noi siamo quellEssere oppure siamo ci che
savvicina allEssere e diviene nel tempo? Ancor prima che nascessimo, noi
eravamo lass, uomini alcuni ed altri anche dei, anime pure e intelligenze
unite allEssenza intera, parti del mondo intelligibile, n separate n divise,
ma appartenenti al Tutto: infatti, anche oggi non ne siamo separati.
Oggi, purtroppo a quelluomo spirituale si aggiunto un altro uomo che vuole
esistere; egli ci ha trovati poich non eravamo fuori delluniverso e si
accostato a noi e si rivestito di quellUomo che ciascuno di noi era allora. []
Noi siamo diventati cos una coppia di due uomini e non siamo pi quello che
eravamo prima; anzi, qualche volta, siamo soltanto quel secondo uomo che si
aggiunge quando quel primo uomo non opera pi ed , in un certo senso,
lontano.
Plotino, Enneadi, IV, 4, 14, ed. cit.
Ma per quale causa le anime, pur essendo parti del mondo superiore e
appartenenti completamente ad esso, si sono dimenticate di Dio loro Padre e
ignorano se stesse e Lui? Per loro il principio del male fu la temerariet e il
nascere e lalterit originaria e il desiderio di appartenere a se stesse. In tal
modo soddisfatte di quella loro manifesta decisione, dopo aver abusato del
loro movimento e aver corso in senso contrario, una volta allontanatesi di
molto, ignorarono finalmente se stesse e il loro luogo dorigine: simili a
fanciulli che, troppo presto rapiti ai loro genitori e allevati per molto tempo
lontani da loro, non riconoscono pi n se stessi n i loro genitori.
Plotino, Enneadi, V, 1, 1, ed. cit.
Finch rimangono nel mondo intelligibile insieme con lAnima universale,
esistono senza alcun affanno; unite nel cielo allAnima universale,
condividono con essa il governo del mondo, simili a re che siano accanto al
supremo Signore e governino insieme con lui senza discendere
personalmente dalle loro dimore regali: allo stesso modo stanno insieme,
allora, le anime e nella stessa sede. Ma esse si allontanano dal Tutto sino ad
essere anime parziali: ciascuna vuole appartenere a se stessa e, come stanca
di essere in comunione con le altre, si ritrae in se stessa. Qualora lanima
faccia questo per lungo tempo fuggendo il Tutto e distinguendosi dal Tutto, e
pi non rivolga lo sguardo allIntelligibile, essa diventa un frammento, si
isola, perde il suo vigore e, dedicandosi alle faccende pratiche, guarda
soltanto alle cose particolari; separata dal Tutto, si abbassa a qualsiasi cosa

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parziale e fuggendo ogni altra realt, va incontro a questo unico oggetto, in


contrasto con tutti gli altri; allontanatasi dalluniverso, essa governa con
fatica lessere particolare e rimane in contatto con esso, si dedica alle cose
esterne ed loro presente e vi si sprofonda dentro in buona parte. Le accade
allora ci che si dice di essa, cio che perdette le ali e che cadde nelle
catene del corpo, poich abbandon quellinnocenza con cui si curava prima
di cose pi alte e che possedeva accanto allAnima universale; e questo stato
anteriore era assolutamente migliore di quello dellanima retrocessa.
Plotino, Enneadi, IV, 8, 4, ed. cit.
Tutto ci che va verso il peggio involontario; ma poich ci si va col
movimento proprio, si pu dire che il male il castigo delle azioni compiute.
Ma poich questo patire e questo agire sono ineluttabili per lanima secondo
una legge eterna della natura, poich ogni evento che le accade in questa sua
discesa finisce per essere utile a qualche altro essere in quanto discende da
una regione superiore, chi dicesse che Dio che lha inviata gi non sarebbe
in contrasto n con la verit n con se stesso. Anche le ultime conseguenze
devono risalire tutte a un primo Principio, anche se gli esseri intermedi sono
molti.
La colpa <dellanima> duplice: luna quella che ha dato luogo alla discesa,
laltra consiste nelle cattive azioni che essa compie, una volta venuta quaggi;
il castigo della prima colpa il fatto stesso di discendere; nel secondo caso,
quanto meno lanima si immerge in corpi via via diversi, tanto pi presto ne
riemerge conforme e un giudizio di merito qui con la parola giudizio si
vuole indicare ci che accade per decreto divino ; ma ad ogni grado enorme
di malvagit corrisponde un degno castigo sotto la vigilanza di demoni
vendicatori.
E cos lanima, bench sia un essere divino e venga dagli spazi superiori,
discende allinterno del corpo; essa, che lultima entit divina, con
inclinazione spontanea viene quaggi per esercitare la sua potenza e porre
ordine in ci che si trova dopo di essa; e se poi riesce a fuggire al pi presto,
non riceve alcun danno per aver sperimentato il male e aver conosciuto la
natura del vizio, ma rivela le sue azioni e le sue operazioni, le quali sarebbero
inutili nel mondo corporeo perch rimarrebbero sempre inattuate [].
Plotino, Enneadi, IV, 8, 5, ed. cit.
Queste cose dunque vanno dette contro coloro che considerano come esseri i
corpi cercando una prova della verit nella testimonianza degli urti e nei
fantasmi derivanti dalle sensazioni; assomigliando cos a coloro che sognano
e che considerano evidente tutto ci che vedono in sogno. La sensazione
infatti dellanima che dorme, poich la parte dellanima che nel corpo

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dormiente; il vero risveglio consiste nel levarsi davvero senza il corpo e non
con esso.
Plotino, Enneadi, III, 6, 6, ed. cit.
Essa [lanima] ha tuttavia la capacit di riemergere nuovamente dopo aver
acquisito lesperienza di ci che vide e sofferse quaggi, e di comprendere che
cosa voglia dire essere lass e di conoscere pi chiaramente, attraverso il
raffronto con il suo contrario, ci che il Bene. Poich lesperienza del male
porta a una conoscenza pi precisa del Bene in quegli individui nei quali la
potenza troppo debole per poter conoscere il male con pura scienza ancor
prima di averlo provato.
Plotino, Enneadi, IV, 8, 7, ed. cit.

Luomo corporeo, luomo di carne ed ossa, non per Plotino luomo originario e dunque
non nemmeno luomo autentico, genuino ma una sua trasformazione o, per cos dire,
una sua copia.
Luomo originario e autentico, secondo Plotino, era infatti pura anima, ossia faceva parte
dellAnima nelle sue tre componenti: come anima individuale possedeva una propria
coscienza e una personalit unica, come Anima delluniverso partecipava al governo del
cosmo fisico e come Anima suprema contemplava la Mente e dunque era unito al cosmo
ideale, ovvero allEssere intellegibile.Come mai allora luomo diventato corporeo?

Plotino risponde che luomo corporeo lesito di una caduta, o di una discesa,
delluomo incorporeo, cio il risultato della sua acquisizione di una costituzione
ontologica inferiore, di un grado minore di essere, quello proprio del mondo fisico. Ma
perch luomo incorporeo sceso nella dimensione fisica, acquisendo cos un corpo?
Plotino lo spiega ricorrendo a quattro concetti, tutti da interpretare:
a) la temerariet, o meglio laudacia (tlma), cio la tendenza dellanima umana a
osare, a oltrepassare coraggiosamente, ma anche rischiosamente, i propri limiti;
b) la nascita, o meglio la generazione (gnesis), cio la volont di produrre qualcosa di
proprio, cio di riprodursi sessualmente ma anche di creare opere intellettuali o
artistiche;
c) lalterit originaria, cio la prima creazione dellUno, in quanto lidea di diversit da
se stesso il presupposto razionale della creazione di ogni altra idea e di ogni altra
cosa, il che significa che anche lanima umana, in quanto creata dallUno, vuole
diventare diversa da ci che originariamente ;

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d) la volont di appropriarsi della propria individualit, di essere padrone di s, nel


senso sia di darsi origine sia di conquistarsi, ovvero realizzarsi, in modo autonomo.

In sintesi, come tutto ci che lUno irradia, anche lanima umana reca in s limpronta
dellUno, cio simile a esso, e dunque non pu che imitarlo, cio non pu che volere
anchessa svilupparsi ulteriormente e per farlo non pu che differenziarsi e per
differenziarsi non pu che abbassarsi, cio entrare nello specchio della materia e divenire
il riflesso fisico di se stessa, ovvero rivestirsi di un corpo. In questo senso, in modo simile
allUno, anche per le anime la differenziazione coincide con la molteplicit.
Infatti, le anime sono s individuali ma originariamente, essendo parti di ununica Anima,
non sono separate ma si coappartengono, sono in perfetta comunione tra loro. La caduta
nella fisicit, cio lacquisizione dei corpi, scinde le anime, le separa e le contrappone, fa
loro acquisire unindividualit indipendente e conflittuale, e dunque le fa passare da
molteplicit ordinata a molteplicit disordinata. In tal senso, lanima, una volta
incarnatasi, fa esperienza del male.

Dunque la caduta delle anime nella dimensione fisica per Plotino senzaltro un
peggioramento della loro condizione originaria e, come tale, implica una duplice colpa. La
prima la discesa stessa, cio il passaggio dalla dimensione razionale a quella materiale.
Per, come si visto tale passaggio inevitabile, voluto dallUno stesso, tanto vero che
ha un fine positivo: migliorare la materia e al tempo stesso arricchire la conoscenza delle
anime umane. Luomo corporeo, sostiene Plotino, esercitando la sua potenza sulla materia,
da un lato ne incrementa lordine, facendo cos il suo bene, dallaltro accresce la sua
esperienza e quindi attua se stesso in un modo pi ampio, completandosi.
La corporeit, infatti, offusca lanima ma non la elimina e pertanto lesperienza fisica si
aggiunge a quella razionale arricchendola. In questo senso, Plotino afferma che in linea di
principio unanima potrebbe incarnarsi senza patire il male ma limitandosi a farne
esperienza per poi immediatamente risalire, cio tornare alla sua condizione originaria.
Dunque, la colpa connessa alla caduta non si pu considerare una colpa effettiva.

Ma allora perch Plotino la chiama colpa? Perch lo pu diventare in quanto costituisce il


presupposto di una seconda colpa, quella, per cos dire, di uno sprofondamento nella
dimensione fisica, cio di unadesione completa al mondo fisico e agli esseri naturali. Una
volta caduta nella dimensione spazio-temporale, e quindi incarnatasi in un corpo, lanima
pu dimenticare del tutto la sua origine e rivolgersi sempre pi verso il basso, cio

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scendere ulteriormente, interessandosi solo alle cose fisiche e, in particolare, dedicando la


sua vita al godimento dei piaceri sensibili e abbrutendosi, cio trasformandosi
completamente in un animale. Come tale, luomo corporeo basa tutta la sua conoscenza
sulle sensazioni e in tal modo egli non fa altro, dice Plotino, che sognare le cose fisiche che
crede di percepire, e dalle quali si lascia sedurre, in quanto esse sono solo immagini
oniriche, costruzioni della fantasia. Dunque luomo corporeo un dormiente, crede di
vivere ma in realt dorme, la sua vita un lungo sonno.
A differenza della prima caduta, la seconda caduta, questo sprofondamento nelle sabbie
mobili della fisicit, non voluta dallUno, ovvero non la realizzazione di uninclinazione
dellanima, ma una sua degenerazione voluta dalluomo diventato corporeo. In altre
parole, luomo corporeo, pur potendolo evitare, si lascia tuttavia irretire dalla fisicit e
sceglie di abbrutirsi, di diventare un essere totalmente fisico. Dunque la seconda caduta
comporta una vera e propria colpa che rende colpevole anche la prima caduta in quanto
in un rapporto di continuit con essa. La colpa che cos luomo corporeo si assume spiega e
al contempo giustifica le sofferenze della vita fisica. Infatti, da un lato, tali sofferenze sono
leffetto inevitabile della rottura della comunione originaria delle anime e della
conseguente conflittualit interindividuale; dallaltro, esse sono la punizione della colpa
commessa.

Eppure Plotino aggiunge che anche la seconda caduta ha un senso positivo. Infatti, mentre
gli uomini dotati di unanima pi forte possono acquisire la conoscenza del male senza
commetterlo, altri uomini, dotati di unanima pi debole, per conoscere il male devono
commetterlo e devono dunque soffrirne le inevitabili conseguenze.
In entrambi i casi, lacquisizione della conoscenza del male, ovvero della condizione
materiale, per finalizzata a una maggiore comprensione di cos il Bene, ovvero della
superiorit della condizione spirituale. Dunque la colpa delle anime pi deboli per esse
un mezzo necessario per rafforzarsi, cio per arricchirsi conoscitivamente. In altre parole,
anche la seconda caduta, in ultima analisi, un bene perch produce un miglioramento
delle anime e le spinge a tornare alla loro condizione originaria.

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MAPPA della TAPPA 8

Uomo incorporeo, ovvero pura anima

Audacia

Generazione

Alterit
originaria

Autonomia

Prima caduta inevitabile

Uomo corporeo

Attaccamento alla fisicit e abbrutimento

Seconda caduta volontaria e colpevole

Conflittualit e sofferenza, cio esperienza del male

Aumento della consapevolezza del bene

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TAPPA 9
PLOTINO: LA MASSIMA FELICITA E LESTASI
Lanima, dopo la sua caduta, imprigionata e messa in ceppi ed agisce
soltanto per mezzo dei sensi poich impedita di agire, almeno allinizio,
mediante la sola intelligenza. Essa , come si dice, nel sepolcro e nella
caverna; ma quando si volge al pensare, si libera dalle catene e risale, non
appena la reminiscenza le abbia offerto lavvio alla contemplazione
dellEssere: essa infatti conserva sempre un qualcosa che, malgrado tutto,
rimane in alto.
Plotino, Enneadi, IV, 8, 4, ed. cit.
Necessariamente, la potenza sensitiva dellanima percepisce non le cose
sensibili, ma piuttosto le impronte che si producono nel vivente dopo la
sensazione; e queste sono intelligibili. Perci la sensazione esterna il riflesso
di questa <propria dellanima>, la quale pi vera e pi reale di quella,
essendo una contemplazione impassibile delle forme.
Plotino, Enneadi, I, 1, 7, ed. cit.
Perci queste sensazioni sono pensieri oscuri e i pensieri intellegibili sono
sensazioni chiare.
Plotino, Enneadi, VI, 7, 7, ed. cit.
La nostra anima ha una parte che sempre presso gli intelligibili, unaltra che
presso le cose <sensibili>, unaltra che tra le due; essa una natura unica
con parecchie potenze, che ora si raccoglie tutta in quella parte che la parte
migliore di lei e dellessere, ora la sua parte inferiore precipitando trascina
con s la parte media: perch non permesso che lanima sia trascinata
tuttintera.
Plotino, Enneadi, II, 9, 1, ed. cit.
Poich [lanima] in mezzo [tra il mondo intellegibile e il mondo sensibile],
essa li percepisce entrambi; si dice che pensi gli Intelligibili allorch riesce a
ricordarsene se si avvicina ad essi; essa infatti li conosce perch , in certo
modo, gli Intelligibili stessi e li conosce non perch abbiano in essa la loro
dimora, ma perch li possiede in qualche modo e li vede ed , un po
confusamente, quegli esseri stessi; ma quando essa si scuote, diciamo cos,
dal suo sonno oscuro, essi diventano pi chiari e passano dalla potenza
allatto.
Plotino, Enneadi, IV, 6, 3, ed. cit.

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Lanima, purificata, diventa dunque una forma, una ragione, si fa tutta


incorporea, intellettuale ed appartiene interamente al divino, ov la fonte
della bellezza e donde ci vengono tutte le cose dello stesso genere. Lanima,
dunque, ricondotta allIntelligenza, molto pi bella. Ma lIntelligenza e ci
che ne deriva per lanima una bellezza propria, non estranea, perch lanima
allora veramente sola. Per questo si dice giustamente che il bene e la
bellezza dellanima consistono nel rassomigliare a Dio, poich da Lui derivano
il Bello e la natura essenziale degli esseri. [] Bisogna porre anzitutto che il
Bello lo stesso che il Bene, dal quale lIntelligenza trae la sua Bellezza: e
lanima bella per lIntelligenza; le altre bellezze quelle delle azioni e delle
occupazioni sono tali, poich lanima le informa.
Plotino, Enneadi, I, 6, 6, ed. cit.
Poich necessariamente i mali esistono quaggi e saggirano intorno a questi
luoghi terreni, e poich lanima vuole fuggire i mali, bisogna fuggire di qui.
Che cos questa fuga? Diventare simili a Dio dice <Platone>. E noi
otterremo questo, se, mediante la prudenza e in generale con la virt,
diventeremo giusti e pii.
Plotino, Enneadi, I, 2, 1, ed. cit.
E chiaro che non c in lei [lanima] nessun desiderio di cosa turpe: desidera
il mangiare e il bere non per s, ma per soddisfare <i bisogni del corpo>, n
ricerca i piaceri damore, o soltanto, io credo, quelli naturali che non abbiano
un cieco impulso; e se fa questo, lo fa con una fantasia gi dominata.
Plotino, Enneadi, I, 2, 5, ed. cit.
No, egli conoscer queste <virt inferiori> [le virt civili] e posseder tutto
ci che ne deriva, forsanche agir conformandosi ad alcune di esse, se le
circostanze lo richiederanno. Ma, arrivato a principi e a norme superiori,
agir secondo queste, non col riporre la sua temperanza nel limitare <i
desideri>, ma con lisolarsi completamente, per quanto sar possibile, <dal
corpo>; egli non vive pi la vita delluomo dabbene, come esige la virt civile,
ma la abbandona, scegliendone unaltra, quella degli dei: perch a questi, e
non agli uomini dabbene vuol rassomigliare.
Plotino, Enneadi, I, 2, 7, ed. cit.
Eros conduce dunque ogni anima verso la natura del bene; lEros dellAnima
superiore un Dio che la congiunge eternamente al Bene, quello dellanima
mista <alla materia> un demone.
Plotino, Enneadi, III, 5, 4, ed. cit.

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Lanima devessere nuda di forme, se veramente desidera che nulla


intervenga a ostacolare la pienezza e la folgorazione in lei da parte della
Natura prima. Se cos, essa deve staccarsi da tutte le cose esteriori,
rivolgersi alla sua interiorit, completamente, non piegarsi pi verso qualcosa
di esterno, ma spegnendo ogni conoscenza, prima attraverso la propria
disposizione, poi, di fatto, negli stessi contenuti di pensiero, spegnendo altres
la conoscenza del proprio essere, deve abbandonarsi alla contemplazione di
Lui.
Plotino, Enneadi, VI, 9, 7, ed. cit.
Poich, dunque, non erano due, ma il veggente era una cosa sola con loggetto
visto (unito, dunque, non visto), chi allora divenne tale quando si un a
Lui, se riuscisse a ricordare, possederebbe in s unimmagine di Lui; egli,
per, in quel momento, era uno di per s e non aveva in s alcuna
differenziazione n rispetto a se stesso n rispetto alle altre cose; non cera in
lui alcun movimento; n collera n desiderio erano in lui, una volta salito a
quellaltezza, e nemmeno cera ragione o pensiero; non cera nemmeno lui
stesso, insomma, se proprio dobbiano dir cos. E invece, quasi rapito o
ispirato, entrato silenziosamente nella solitudine e in uno stato che non
conosce turbamenti, e non si allontana pi dallessere di Lui, n pi si aggira
intorno a se stesso, essendo ormai assolutamente fermo, identico alla stessa
immobilit. []
Quella per non fu una vera visione, ma una visione ben diversa, unestasi,
una semplificazione, una dedizione di s, brama di contatto, quiete e studio di
adattamento; solo cos si pu vedere ci che v nel penetrale; ma se si guarda
in altra maniera, tutto scompare. []
Questa la vita degli dei e degli uomini divini e beati: distacco dalle restanti
cose di quaggi, vita che non si compiace pi delle cose terrene, fuga di solo a
solo.
Plotino, Enneadi, VI, 9, 11, ed. cit.

Luomo corporeo, secondo Plotino, pu abbrutirsi e dimenticare di essere un uomo


incorporeo, ma mai totalmente. Per quanto si abbrutisca, egli conserva in s intatta la
propria anima e non pu non possedere una consapevolezza di essa, ancorch minima.
Persino le sensazioni, che avvinghiano luomo corporeo al mondo fisico, sono un prodotto
dellattivit dellanima, e quindi rimandano ad essa. Infatti le sensazioni, afferma Plotino,
solo apparentemente sono provocate dalle impronte che gli altri corpi producono sul

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nostro corpo. I corpi e le loro affezioni sono solo immagini, ombre, riflessi del grande
specchio della materia.
In realt, quando il nostro corpo sembra subire lurto di un altro corpo, la nostra anima
che al suo interno percepisce la forma razionale del corpo che ci ha urtato, grazie al fatto
che essa, in quanto parte dellAnima universale, possiede in s le forme razionali di tutti i
corpi. In questo senso anche la sensazione pensiero, ma un pensiero oscuro, il livello
pi basso di razionalit.

Tuttavia, la conoscenza sensibile stimola luomo corporeo a un livello superiore di


conoscenza, cio a chiarire il suo pensiero. Luomo corporeo pu cos pervenire alla
conoscenza razionale, cio alla conoscenza dei progetti razionali di tutte le cose e delle loro
correlazioni. Si tratta della conoscenza propria dellAnima delluniverso, una razionalit
dimostrativa, cio basata su ragionamenti e argomentazioni.
A sua volta la conoscenza razionale intermedia stimola luomo corporeo a raggiungere la
conoscenza intellettiva, cio la conoscenza dialettica delle idee, quella propria dellAnima
suprema che contempla la Mente. In questo modo luomo corporeo, afferma Plotino, pu
risalire nel luogo dal quale era caduto, cio pu riconquistare la piena consapevolezza del
suo vero essere lAnima, appunto e ritornare alla sua condizione originaria.

Ma il ritorno dellanima alla propria origine non solo un cammino conoscitivo ma


anche, al tempo stesso un cammino etico e un cammino erotico-estetico. I tre cammini per
Plotino procedono insieme e si intrecciano fondendosi in un unico cammino. Ognuno di
essi, infatti, stimola gli altri ed stimolato da essi.
Il cammino etico consiste nella pratica sempre pi completa delle virt. Inizialmente
bisogna acquisire le virt civili, cio quelle connesse alla vita terrena allinterno della
societ e dello Stato, in quanto gi queste virt saggezza, coraggio, giustizia, temperanza
permettono di limitare e moderare i desideri del corpo e il godimento dei piaceri
sensibili. Ma in un secondo momento la pratica delle virt civili deve essere abbandonata e
sostituita da quella delle virt catartiche, cio dalle virt che purificano lanima
liberandola progressivamente da ogni desiderio fisico del corpo. In altre parole, Plotino
propone unetica ascetica, di graduale rinuncia al godimento dei piaceri corporei fino allo
spegnimento di ogni desiderio di godimento fisico. Solo cos, infatti, lanima pu liberarsi
della zavorra del corpo e salire verso il mondo ideale.

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A sua volta il cammino erotico-estetico fornisce unulteriore spinta allascesa dellanima


grazie alla forza dellamore suscitata dalla bellezza. Anche a questo livello, inizialmente
lanima coglie la bellezza dei corpi, in quanto immagini delle forme razionali, e si innamora
di essi; ma successivamente la bellezza dei corpi sostituita dalla superiore bellezza delle
anime e quindi dalla ancora maggiore bellezza delle idee, e allora lamore per i corpi si
trasforma in amore per lAnima, prima, e poi in amore per la Mente, e trascina lanima fino
alla sua condizione originaria.
In questa ascesa erotico-estetica, per Plotino svolge un ruolo fondamentale anche larte,
nella misura in cui non imita le cose naturali, ma invece raffigura le anime e le idee da cui
derivano le cose naturali. In questo modo larte pu comunicare la Bellezza ideale, la
Bellezza della Mente, e farci sentire che il massimo e pi autentico amore che possiamo
provare quello per la Bellezza in s, cio per la Bellezza della Mente e dunque per la
Mente.

Se il percorso di risalita per tornare alla dimora originaria in generale comune a tutte le
anime, le sue modalit e i suoi tempi, afferma Plotino, variano per ogni anima individuale.
Alcune anime, come si visto, possono purificarsi e risalire gi al termine di una sola vita
terrena; altre, invece, devono attraversare pi vite terrene, ovvero reincarnarsi in altri
corpi umani, ma anche in animali e perfino in vegetali, per potersi purificare e ripristinare
la loro condizione originaria. In ogni caso, prima o poi, dopo unultima morte, tutte le
anime tornano da dove erano partite.
Ma soprattutto Plotino mette in evidenza unaltra possibilit di risalita, una possibilit
straordinaria, in quanto pu realizzarsi gi nel corso della vita terrena, prima cio della
morte. Quando il corpo ancora vivo, sostiene Plotino, lanima che ha raggiunto la piena
purificazione pu momentaneamente separarsi dal corpo e ascendere non solo alla Mente
ma addirittura allUno. Ma lascesa fino allUno non pu avvenire che unendosi a lui, cio
diventando lui, come una goccia di pioggia che giunge nelloceano e diventa oceano,
perdendo la sua individualit. In questo senso Plotino chiama lunione dellanima
individuale con lUno estasi, che significa emersione, fuoriuscita.

Ma fuoriuscita da cosa? Da ogni cosa: dalla fisicit, ma anche dalle forme razionali
dellAnima e dalle idee della Mente, e perfino dalla propria individualit, ossia dal proprio
io, dalla propria coscienza. E non potrebbe essere altrimenti perch lUno
lassolutamente indifferenziato e omogeneo e dunque in lui non pu esserci la distinzione
io/tu. Non cio possibile per Plotino che unanima contempli lUno dal momento che per
contemplarlo lanima dovrebbe essere altro da lui e dunque lo perderebbe. La

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contemplazione dellUno, lunica possibile, non pu che consistere nellimmedesimarsi


totalmente con lUno, nel farsi unit assoluta con lui e in lui. E in tal senso Plotino chiama
lestasi anche semplificazione.
Ma se lanima individuale si spoglia di tutto, della sua conoscenza sensibile, ma anche
razionale e intellettiva, della sua virt, del suo amore per la bellezza, non si annulla, ovvero
non si abbandona allirrazionalit pi totale, allassoluto caos? Plotino risponde di no, in
quanto diventare uno con lUno significa per lui acquisire uniperrazionalit, una
supervirt, un iperamore per una metabellezza, una bellezza superiore alla stessa bellezza
della Mente.
Lesperienza dellestasi per Plotino temporanea, ma ugualmente conferisce alla vita di un
uomo un senso assoluto, permettendogli di immunizzarsi da tutti i dolori fisici e di
conseguire cos una completa felicit.
Tenendo presente questa tesi, per concludere vale la pena evidenziare che il ritorno dopo la
caduta permette alle anime individuali non solo di tornare alla loro condizione originaria
ma addirittura di superarla per giungere ancora pi in alto, ovvero fino alla massima
altezza, quella dellUno.
In questa prospettiva, lesperienza della caduta perde ogni traccia di negativit e si disvela
come il mezzo necessario alluomo per compiersi totalmente diventando egli stesso
assoluto, ovvero il Dio.

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MAPPA della TAPPA 9

Ritorno dellanima alla sua origine divina

CAMMINO
CONOSCITIVO

CAMMINO ETICO

CAMMINO EROTICOESTETICO

Conoscenza
sensibile

Vizi

Amore per la
bellezza dei corpi

Conoscenza
razionale

Virt civili

Amore per la
bellezza delle anime

Conoscenza
intellettiva

Virt
catartiche

Amore per la bellezza


delle opere artistiche che
rappresentano le idee

ESTASI

Raggiungimento di una felicit piena gi durante la vita

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LO SCRIGNO
ALEX VILENKIN: LUNIVERSO E CONTRADDITTORIO
La concezione del mondo che emersa dai nuovi sviluppi a dir poco
straordinaria. Per parafrasare Niels Bohr (scienziato del primo 900, uno dei
padri della fisica quantistica, ndr), abbastanza pazzesca per essere vera.
Tale visione del mondo combina, in modo sorprendente, alcune
caratteristiche apparentemente contraddittorie: lUniverso sia infinito sia
finito, evolve pur essendo stazionario, eterno eppure ha avuto un inizio.
Alex Vilenkin, Un solo mondo o infiniti?, Cortina, 2007 (2006), p. 16

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X VIAGGIO
DIO PERSONA ONNIPOTENTE E AMOREVOLE

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MESSAGGIO NELLA BOTTIGLIA


Dio mio, chio mi ricordi di ringraziarti e di confessare le tue misericordie a
mio riguardo. Siano pervase le mie ossa del tuo amore e dicano: Signore, chi
simile a Te? Tu hai spezzate le mie catene; far un sacrificio di lode.
Racconter in qual modo le hai spezzate e tutti i tuoi adoratori, udendolo,
esclameranno: Benedetto il Signore nel cielo e sulla terra; grande e
ammirabile il nome suo.
Le tue parole mi erano rimaste scolpite nel pi profondo del cuore e dogni
parte ero assediato da Te. Della tua vita eterna avevo certezza, quantunque
lavessi vista in enigma e quasi attraverso uno specchio.
Tuttavia ogni dubbio sullincorrutibile sostanza e perch da essa derivi ogni
sostanza mera stato tolto ed io desideravo non di avere maggiore certezza di
Te, ma pi sicura stabilit in Te.
Intanto nella mia vita temporale tutto vacillava: dovevo mondare il cuore dal
fermento vecchio. Mi piaceva la via ch il Salvatore stesso, ma ancora mi
rincresceva andare per le sue strettezze.
Ma Tu mi facesti venire in mente, e la cosa parve buona ai miei occhi, di
recarmi da Simpliciano, che mi appariva un servo tuo buono: in lui splendeva
la tua grazia.
Avevo sentito dire che fin dalla sua giovent era vissuto con tutta dedizione a
Te. Ora, per, egli era gi vecchietto e avendo trascorso la lunga vita nel
seguire con tanto impegno la tua via, mi pareva che avesse molta esperienza:
ed era veramente cos.
Perci volevo metterlo a parte della mia agitazione perch mi indicasse,
travagliato comero, il modo migliore di camminare nella tua via.
Vedevo infatti piena la Chiesa e chi andava per una strada e chi per unaltra.
A me spiaceva vivere nel mondo e mi era di gran peso. E non erano pi le
passioni ad infiammarmi, come solevano, con la speranza di onore e lucro, a
sopportare una schiavit cos gravosa.
Ormai tutte quelle cose non mi attiravano pi in confronto della tua dolcezza
e della bellezza della tua casa che amavo: per mi teneva ancora tenacemente
avvinto la donna. []
Io avevo gi scoperta la perla preziosa e avrei dovuto vendere tutti i miei averi
per comprarla; eppure ero esitante. []
Cos due volont in me, una vecchia e laltra nuova, una carnale e laltra
spirituale, combattevano fra di loro e il loro conflitto lacerava lanima mia.
Cos capivo per mia stessa esperienza quel passo che avevo letto: come la
carne ha desideri contrari allo spirito e lo spirito contrari alla carne. Ed io
provavo gli uni e gli altri; ma ero pi forte in quelli che dentro di me

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approvavo che in quelli da me disapprovati: in questi, difatti, non era ormai il


mio io, perch in gran parte li subivo contro voglia pi che agire io stesso
volontariamente. []
E non avevo pi la scusa solita di prima, quando mi pareva che se non
disprezzavo il mondo per servirti, la ragione si era perch non ero sicuro del
possesso della verit.
Ora invece ne avevo certezza. Ma intanto io, ancor tutto legato alla terra,
ricusavo di militare per Te e temevo di esser liberato da ogni impedimento
come si deve temere desserne intricato.
Cos il peso del mondo, come suol accadere nel sonno, mi opprimeva
dolcemente e i pensieri che avevo per Te erano simili appunto ai tentativi di
coloro che vogliono svegliarsi, ma vinti di nuovo simmergono nel sonno
profondo. []
Inutilmente mi compiacevo della tua legge secondo luomo interiore, mentre
nella mie membra una legge diversa combatteva contro la legge del mio
spirito e mi conduceva schiavo sotto la legge del peccato che era nelle mie
membra.
La legge del peccato la violenza dellabitudine, da cui lanima trascinata e
posseduta anche contro suo volere; meritatamente, perch volendo vi si
lasciata andare. Me infelice! Chi mi avrebbe liberato dal corpo di questa morte
se non la tua grazia, per opera di Ges Cristo Signore nostro? []
In quella grande rissa della mia casa interiore, che io avevo scatenato violenta
contro lanima mia nella stanza del mio cuore, con faccia e anima sconvolte
assalgo Alipio esclamando: Che cosa ci tocca di vedere? Che accade? Che hai
sentito? Sorgono gli ignoranti e si portano via il cielo e noi con la nostra
scienza, senza senno, ecco dove ci voltoliamo: nella carne e nel sangue! Ci
hanno preceduti; ci vergogniamo di seguirli. E non ci vergogniamo di non
seguirli almeno?.
Dette pressa poco queste parole, in preda alla mia agitazione mi strappai a
lui; egli in silenzio, attonito mi guardava. Infatti non era quello il mio solito
parlare; meglio delle parole che mi sfuggivano esprimevano il mio stato
danimo la fronte, le guance, il colore, gli occhi, il tono della voce.
Un giardino faceva parte della nostra casa ospitale, ed era a nostra
disposizione, come tutta la casa, che non era abitata dal nostro ospite padrone
della casa.
La tempesta della mia anima mi aveva portato l, dove nessuno avrebbe
potuto impedire la mischia ardente che avevo impegnato con me, fino a
quellesito che Tu sapevi ed io no.
Ma frattanto impazzivo per aver senno e morivo per aver vita, conscio
dessere un grande male, inconsapevole del bene che tra poco sarei diventato.
[]

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Mi strappai i capelli, mi battei la fronte, conserte le dita, abbracciai le


ginocchia: tutto ci feci perch volli. Avrei potuto vederlo e non farlo, se non
mi avessero obbedito le membra con la loro agilit. []
Io quando andavo deliberando di servire ormai il mio Dio Signore, come da
molto avevo disposto, ero io che volevo, ero io che non volevo; io, io ero. Non
volevo totalmente, n totalmente non volevo: quindi ero in contesa con me
stesso e dividevo me da me stesso.
Questa divisione avveniva certo contro mia volont, e mi dimostrava non gi
lesistenza di unanima di natura diversa, ma il tormento dellanima mia. []
Sgorgarono fiumi di pianto dai miei occhi, sacrificio a Te gradito.
Non con queste parole, ma in questo senso Ti dissi a lungo: E Tu, o Signore,
fino a quando? Fino a quando, o Signore, sarai adirato? Fino alla fine? Non
ricordare le iniquit nostre antiche. Sentivo di essere schiavo e mandavo
gemiti strazianti. Fino a quando, fino a quando, domani e domani? Perch
non ora? Perch non questa lora che segna la fine delle mie turpitudini?.
Cos dicevo e piangevo con tutta lamara desolazione del mio cuore.
Quandecco sento venire dalla casa vicina un canto, come di un bimbo o di
bimba, che diceva e spesso poi ripeteva: Prendi, leggi; prendi, leggi. Subito
mutai faccia.
Con tutta attenzione mi posi a riflettere se era costume dei fanciulli in qualche
loro gioco cantare simile ritornello: non ricordavo per nulla daverlo udito
mai.
Frenato limpeto delle lacrime, mi rialzai sicuro di interpretare quello come
un comando divino di aprire il libro e di leggere il primo passo che vi avessi
trovato.
Avevo, infatti, sentito raccontare che Antonio dalla lettura del Vangelo, a cui
era per caso sopraggiunto, aveva accolto, come un avviso detto a lui, quel
tratto che si leggeva: Va, vendi tutto quello che hai e dallo ai poveri; e avrai
un tesoro nel cielo. Poi vieni e seguimi. Per tale oracolo subito si era
convertito a Te.
Pertanto, in fretta tornai al luogo, in cui era seduto Alipio: l avevo deposto il
libro dellApostolo, quando mero alzato. Lo afferrai, lapersi, e, in silenzio,
lessi il versetto che per primo mi cadde sottocchio: Non nelle gozzoviglie e
nelle ubriachezze, non nelle morbidezze e nelle impudicizie, non nella
discordia e nellinvidia; ma rivestitevi del Signore Ges Cristo e non
prendetevi cura della carne nella concupiscenza.
Non volli leggere oltre: non ce nera bisogno.
Alla fine di questo passo subito, come se fosse infusa nel mio cuore una luce di
certezza, tutte le tenebre del dubbio si dileguarono.

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ROTTA SU
NEOPLATONISMO ED ESISTENZIALISMO CRISTIANI
Agostino di Tagaste giustamente considerato il maggior esponente della Patristica, cio
della filosofia cristiana che, nata gi nel II secolo d.C., si sviluppa nel periodo tardoimperiale e nellAlto Medioevo. Agostino, infatti, il primo pensatore cristiano che
elabora una filosofia cristiana complessiva e sistematica in grado di rivaleggiare a pieno
titolo con le filosofie antiche di matrice politeistica.
La sua impresa filosofica si basa sulla fusione della filosofia neoplatonica, ma pi in
generale di tutta la tradizione filosofica platonica, con la precedente filosofia patristica e
con la dottrina religiosa dellAntico e soprattutto del Nuovo Testamento. Tenendo
presente che il neoplatonismo aveva gi rifuso al suo interno elementi di quasi tutte le
altre correnti filosofiche antiche (dallaristotelismo allo scetticismo, allo stoicismo),
sensato dire che Agostino il principale artefice di una operazione ideologico-culturale di
portata epocale, di cui Agostino stesso pienamente consapevole tanto da chiamarla
esplicitamente furto sacro: lappropriazione da parte della chiesa cristiana della
filosofia antica allo scopo di fornire alla propria dottrina religiosa un fondamento
razionale e una dignit culturale e di imporre cos la propria egemonia ideologica sulla
classe dominante e sulllite intellettuale romana. In altre parole, con la sua filosofia
Agostino d un contributo decisivo alla sconfitta definitiva del politeismo e della filosofia
antica utilizzando contro di loro proprio le armi filosofico-culturali che il neoplatonismo
aveva forgiato e usato per combattere il cristianesimo.
In questa prospettiva, il nodo preliminare da sciogliere per Agostino quello del
rapporto tra fede, ovvero dottrina cristiana, e ragione, ossia filosofia antica. Conciliando
le diverse posizioni espresse dai precedenti padri della Chiesa, cio dai primi filosofi
cristiani, Agostino prospetta un rapporto di reciproco sostegno e potenziamento tra fede
e ragione, e dunque si schiera nettamente a favore dellaccoglimento della tradizione
filosofica antica, a partire per dal saldo e indiscutibile presupposto del primato della
fede, cio della verit rivelata da Dio nella Bibbia cristiana, composta dallAntico ma
soprattutto dal Nuovo Testamento (i quattro Vangeli, gli Atti degli apostoli, lApocalisse).
Posto tale rapporto, ne consegue che laccoglimento del neoplatonismo da parte di
Agostino tuttaltro che incondizionato. In parole pi esplicite, Agostino non copia
affatto il neoplatonismo, ma al contrario ne filtra rigorosamente le tesi, scartando quelle
incompatibili con la dottrina cristiana (p.e. la dissoluzione del corpo) e modificandone
altre (p.e. la teoria della caduta delluomo) in modo da renderle pienamente coerenti con
essa. Da questa reinterpretazione creativa del neoplatonismo, ispirata dalla fede
cristiana, nascono i cardini della filosofia agostiniana, che sono altrettanti cardini della
nascente dottrina della chiesa cristiana: la teoria della verit come illuminazione delle
menti umane da parte di Dio; la teoria della creazione della materia dal nulla da parte di
un Dio assolutamente trascendente e onnipotente; la teoria della personalit e dellamore
di Dio; la teoria del tempo come prodotto della mente umana; la teoria del male, come

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effetto del peccato originale delluomo; la teoria della salvezza attraverso la grazia
divina; la teoria dello Stato come citt delluomo - fondata sulla violenza e destinata a
una fine violenta - e della chiesa come citt di Dio, fondata sullamore e destinata
alleternit; la teoria della storia come processo rettilineo segnato dallevento centrale e
discriminante dellincarnazione di Dio come Ges Cristo; la teoria delluomo come
immagine di Dio e unit di anima e corpo.
Se, per quanto detto finora, la filosofia di Agostino si configura come un neoplatonismo
cristiano, bisogna per aggiungere che la creativit filosofica di Agostino presenta anche
unaltra faccia, non meno importante e certamente ancor pi originale: quella che si pu
denominare esistenzialismo cristiano, cio una ricerca filosofica centrata sul mistero
dellesperienza vissuta unica e irripetibile delluomo in quanto singolo individuo e
finalizzata a indicare la fede cristiana come la sola soluzione possibile a tale mistero. Le
confessioni, lopera pi nota di Agostino, proprio quella che contiene questa seconda e
ancor pi originale faccia della sua filosofia. Essa una sorta di diario interiore,
introspettivo, nel quale Agostino si mette a nudo, si confessa appunto, analizzando
apertamente e impietosamente tutte le sue debolezze, i suoi difetti, le sue cattive azioni,
ma anche cercando e alla fine trovando proprio dentro di s, proprio nel suo io limitato e
manchevole, la via che conduce alla verit e alla felicit, cio a Dio.
Da questo punto di vista, la filosofia di Agostino segna una rottura e una svolta rispetto a
tutte le filosofie antiche e inaugura un indirizzo che avr un seguito limitato in alcuni
successivi filosofi per cos dire solisti, di nicchia, quali Montaigne (XVI secolo), Pascal
(XVII secolo), Kierkegaard (XIX secolo), ma che nel Novecento si affermer come uno dei
pi rilevanti e diffusi, la filosofia dellesistenza appunto.

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VITA DI UN CAPITANO
AGOSTINO DI TAGASTE
Agostino di Tagaste rappresenta una rivoluzione nella storia della filosofia innanzitutto a
livello biografico, non solo per le sue multiformi e tormentate vicende esistenziali, ma
anche perch il primo filosofo a scrivere unautobiografia filosofica: Le confessioni.
Dunque, nel suo caso disponiamo non solo di testimonianze altrui ma anche di
informazioni biografiche di prima mano e non solo di informazioni parziali, relative ad
alcuni episodi (desunte per esempio da lettere), ma complete, cio relative a buona parte
della sua lunga vita (Le confessioni furono scritte tra il 396 e il 400, Agostino mor nel
430).
Agostino, infatti, nacque nel 354 a Tagaste (nel territorio dellattuale Algeria, ma vicino al
confine con lattuale Tunisia), nella provincia romana della Numidia, figlio di un piccolo
proprietario terriero e funzionario imperiale di religione politeistica e di una cristiana,
entrambi berberi. Dunque, fin dalla nascita in Agostino convivono il vecchio la religione
politeistica tradizionale connessa alla cultura classica greco-romana e il nuovo, una
religione monoteistica legata alla cultura mediorientale ebraico-cristiana.
Alla sua nascita regnava Costanzo II, figlio di Costantino il Grande, limperatore che aveva
promulgato leditto di Milano (313), legalizzando il cristianesimo, attribuendo beni e
funzioni giudiziarie ai vescovi e avviando in tal modo la trasformazione della chiesa
cristiana in unistituzione con funzioni anche politiche. Anche per questo, nel corso del IV
secolo aument il numero dei romani della classe media ma anche dellaristocrazia che si
convertivano al cristianesimo. Agostino aveva sette anni quando cominci il breve regno di
Giuliano, filosofo neoplatonico, che cerc di restaurare il culto politeistico come religione
di Stato, fallendo e passando cos alla storia come lApostata, cio il rinnegato, marchio
dinfamia attribuitogli dai cristiani di allora. Cos si arriv, nel 379, quando Agostino era
25enne, al regno di Teodosio, limperatore che, emanando leditto di Tessalonica (380),
proclam definitivamente il cristianesimo unica religione di Stato e mise fuorilegge il culto
politeistico, dando un nuovo, decisivo impulso alladesione dei romani alla chiesa cristiana.
Dunque, Agostino nacque e trascorse la sua infanzia e la sua giovinezza nel trentennio di
massima contrapposizione e transizione tra due civilt, quella antica e quella medioevale,
ovvero di pi conflittuale e rapido passaggio dal vecchio al nuovo. E, come vedremo, nella
sua vita Agostino incarn dentro di s sia questo scontro di civilt sia questo cambiamento
epocale, diventandone lemblema individuale.
La sua formazione scolastica fu quella tradizionale romana, finalizzata a intraprendere la
carriera di funzionario o oratore: la scuola di grammatica latina (Agostino non impar mai
il greco) a Tagaste, quindi a Madaura (citt natale di Apuleio), e poi gli studi di retorica
latina a Cartagine, dove inizi la sua convivenza con una donna da cui ebbe un figlio nel
373. Ma non ancora 20enne, Agostino si appassion alla lettura dellOrtensio (il dialogo in

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cui Cicerone elogia e propaganda lo studio della filosofia), scoprendo in s il bisogno


filosofico, lesigenza di rispondere ai grandi interrogativi sul fine ultimo della vita, e quindi
sul suo senso, suscitati dallesperienza delle tante sofferenze che affliggono lesistenza.
Per rispondere a questi interrogativi, Agostino aveva a disposizione anche la Bibbia, alla
cui lettura era sollecitato dalla madre Monica, che fin da piccolo gli aveva insegnato i
fondamenti del cristianesimo, ma in questa fase della sua vita la rifiut, perch la giudicava
di basso livello culturale, a ragione del suo stile rozzo e dellinfantile concezione
antropomorfica di Dio. Cos, per nove anni, dal 374 al 383, Agostino soddisf il suo
bisogno di filosofia seguendo il manicheismo, una religione salvifica di origine persiana,
che sosteneva lesistenza di due principi divini contrapposti, uno positivo e uno negativo,
di uguale potenza, e che considerava il mondo fisico, cio la materia, come una produzione
della divinit maligna, spiegando in tal modo la presenza del male nella vita umana e
proponendo la vita spirituale ultraterrena come unica alternativa alla sofferenza. Agli occhi
del ventenne Agostino il manicheismo sembrava offrire una spiegazione razionale della
realt fisica, e soprattutto della presenza in esso del male, e una giustificazione
allimmoralit della sua vita, in particolare alla sua irresistibile attrazione per i piaceri
fisici, innanzitutto quelli sessuali.
In questi anni Agostino divent maestro di grammatica a Tagaste e poi di retorica a
Cartagine. Nel 382, ormai convinto di poter insegnare a Roma, vi si trasfer con la sua
convivente e il figlio. NellUrbe, Agostino fu subito apprezzato e in breve gli fu proposta
una cattedra di retorica a Milano. Si trattava di un incarico di grande prestigio perch
Milano, a partire da Diocleziano, era diventata la capitale dellImpero romano dOccidente.
Sul piano filosofico, nel breve soggiorno romano, Agostino, rendendosi sempre pi conto
dei limiti dottrinali del manicheismo, se ne allontan e abbracci lo scetticismo, ovvero si
convinse dellimpossibilit umana di conoscere la verit intorno ai grandi problemi della
vita.
Trasferitosi a Milano, dove cominci subito a insegnare, Agostino fu raggiunto dalla madre
che lo convinse ad abbandonare la sua convivente, in modo da poter combinare un
matrimonio con una cattolica di famiglia ricca. Tuttavia, una volta che la sua compagna
part per lAfrica, Agostino, in attesa del matrimonio, concordato per due anni dopo a
causa della giovane et della promessa sposa, inizi una convivenza con unaltra donna.
Ma soprattutto a Milano, incuriosito dalla sua fama di oratore, Agostino and ad ascoltare
le prediche del vescovo Ambrogio e ne fu sempre pi affascinato. Ambrogio era un
esponente dellantica famiglia aristocratico-senatoriale degli Aurelii, che si era convertita al
cristianesimo gi nel III secolo a.C. anticipando la scelta successiva di molte altre famiglie
aristocratiche e in seguito dellintera aristocrazia romana. Prima di diventare vescovo di
Milano aveva frequentato le migliori scuole di Roma, aveva studiato anche filosofia e in
particolare il neoplatonismo. Dopo la sua nomina imperiale a vescovo, aveva costituito
intorno al lui un circolo religioso-filosofico che si proponeva di conciliare cristianesimo e
neoplatonismo. Questo spiega come mai Agostino fu affascinato dalle prediche di
Ambrogio: esse univano lo stile retorico ciceroniano allinterpretazione allegorica, ossia in

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chiave filosofico-razionale, della Bibbia, rendendo cos letterariamente e razionalmente


dignitosi per Agostino quei testi che in giovent aveva disprezzato per la loro sciatteria
stilistica e per il semplicismo dei loro contenuti. Agostino che, fino a quel momento, non
avendo imparato il greco, aveva conosciuto la filosofia platonica indirettamente, attraverso
le opere di Cicerone, e forse anche attraverso le traduzioni latine del Timeo e del Fedone, fu
indotto a leggere le nuove traduzioni delle opere di Plotino e del discepolo Porfirio,
intuendo innanzitutto che la concezione di Cristo come Verbo (il Lgos) proposta dal
Vangelo di Giovanni era il fulcro su cui far leva per arrivare a una sintesi tra cristianesimo
e neoplatonismo, ovvero tra fede e ragione.
Questa intuizione fu il catalizzatore della conversione al cristianesimo di Agostino, che
comunque avvenne lentamente tra il 384 e il 386, dal momento che comport il sofferto
abbandono della sua seconda convivente, la rinuncia al suo incarico di insegnante di
retorica, il rigetto dei suoi progetti di carriera politica e lo scioglimento della sua promessa
di matrimonio, cio un radicale e totale cambiamento della sua vita, incoraggiato e
confortato dalla madre. La decisione definitiva della conversione avvenne in un paesino
della Brianza dove Agostino si era ritirato con la madre e alcuni amici per fare esperienza
di una vita comunitaria dedita alla ricerca filosofico-religiosa. Agostino nelle Confessioni
racconta che i giorni passavano, lui continuava a meditare, a riflettere, ma finiva sempre
con il rinviare la decisione definitiva, vergognandosi e tormentandosi per la sua
irresolutezza, finch non sent provenire da una casa vicina una cantilena fanciullesca che
ripeteva prendi e leggi. Poich le parole non corrispondevano a quelle di nessuna
cantilena infantile, Agostino si convinse che fosse la voce divina che lo esortava ad aprire a
caso la Bibbia e a leggere, cos apr la Bibbia e lesse un brano della Lettera ai Romani di
Paolo che esortava ad abbandonare i vizi della carne per abbracciare lo spirito di Cristo.
Agostino sent che questa esortazione era mirata proprio a lui, dato che ci che gli
impediva di fare il grande passo era proprio il suo indomabile desiderio di piaceri fisici.
Lemozione fu tale che in quel momento credette davvero e decise definitivamente di
convertirsi. In seguito, Agostino comment la sua conversione dicendo che il suo problema
era che cercava Dio fuori di s, cio esigendo delle prove della sua esistenza nel mondo,
mentre Dio stava dentro di lui, cio nella sua interiorit, dove alla fine lo aveva trovato.
Cos nel 387, a 33 anni, Agostino si fece battezzare da Ambrogio e poi decise di tornare a
Tagaste, nel podere di famiglia, insieme al figlio e alla madre, che per mor poco prima
della partenza. A Tagaste fond con alcuni amici una comunit cattolica laica e approfond
la sua conoscenza del neoplatonismo e della Bibbia. In seguito alla morte del figlio nel 391,
decise di fondare un monastero a Ippona una citt dellallora Numidia, attuale Algeria
ma la comunit cattolica e il vescovo di Ippona lo convinsero a ordinarsi sacerdote e a
impegnarsi come tale nella diocesi. Nel 396, a 42 anni, Agostino divent vescovo di Ippona
e da allora, nei suoi restanti 34 anni, diresse la diocesi, combatt i manicheisti e i
movimenti cristiani considerati eretici (donatismo e pelagianesimo), insegn e scrisse le
sue opere pi importanti: Le confessioni (396-400) che, insieme al precedente Soliloqui
(386) e al finale Ritrattazioni, contengono la filosofia esistenzialistica di Agostino; La

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Trinit (399-419), La citt di Dio (413-426), La grazia e il libero arbitrio (427), che sono
invece i suoi pi importanti trattati di contenuto filosofico-teologico.
In particolare, la composizione di La citt di Dio strettamente legata agli eventi storici
dellinizio del V secolo. Nel 405-406, una nuova ondata di popoli germanici invase limpero
romano dOccidente. Nel 410, uno di questi popoli, i Visigoti, al comando di Alarico,
espugn e saccheggi Roma. Per i cittadini dellimpero fu un evento epocale: Roma,
considerata citt invincibile e quindi eterna, era stata conquistata e distrutta da unorda di
barbari. Le emozioni che il primo sacco di Roma suscit negli uomini dellepoca sono
paragonabili a quelle suscitate in noi uomini contemporanei dalla distruzione delle Twin
Towers di New York nel 2001. Levento spinse Agostino a scrivere La citt di Dio, allo
scopo di rassicurare i suoi contemporanei indicando nella Chiesa listituzione capace di
sostituire lo Stato romano.
Negli anni successivi, i Vandali, un altro popolo germanico, guidati da Genserico, dalla
penisola iberica giunsero nel 429 nellAfrica romana e nel 430 posero lassedio a Ippona.
Durante lassedio vandalo, Agostino mor.

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TAPPA 1
AGOSTINO: LA VERITA E ILLUMINAZIONE DIVINA
Dio stesso, che cerchiamo, ci aiuter, spero, perch il nostro sforzo non sia
infruttuoso e perch comprendiamo come lo scrittore santo abbia potuto dire
nel Salmo: Si rallegri il cuore di coloro che cercano Dio: cercate Dio e siate
forti; cercate sempre il suo volto. Sembra, infatti, che ci che si cerca sempre,
non si trovi mai e come allora si rallegrer e non si rattrister invece il cuore
di coloro che cercano, se non avranno potuto trovare ci che cercano? Perch
il Salmista non dice: Si rallegri il cuore di coloro che trovano, ma: di coloro
che cercano il Signore? E che tuttavia Dio Signore si possa trovare, quando lo
si cerca, lo testimonia il profeta Isaia, quando afferma: Cercate il Signore e
appena lo troverete, invocatelo; e quando si sar avvicinato a voi, lempio
abbandoni le sue vie e liniquo i suoi pensieri. Se dunque, cercandolo, si pu
trovare Dio, perch scritto: Cercate sempre il suo volto? Sar forse che,
anche una volta che lo si trovato, bisogna cercarlo ancora? cos infatti che
bisogna cercare le cose incomprensibili perch non ritenga di aver trovato
nulla colui che abbia potuto trovare quanto incomprensibile ci che cercava.
Perch allora cerca, se comprende che incomprensibile ci che cerca, se non
perch non deve desistere, fino a quando progredisce nella ricerca
dellincomprensibile e diventa sempre migliore cercando un bene cos grande,
che si cerca per trovarlo e lo si trova per cercarlo? Perch lo si cerca per
trovarlo con maggior dolcezza, lo si trova per cercarlo con maggiore ardore.
in questo senso che si pu intendere laffermazione che lEcclesiastico pone in
bocca della Sapienza: Coloro che mi mangiano avranno ancora fame e coloro
che mi bevono avranno ancora sete. Mangiano infatti e bevono, perch
trovano, e, poich hanno fame e sete, cercano ancora. La fede cerca,
lintelligenza trova; per questo il Profeta dice: Se non crederete, non
comprenderete. E daltra parte lintelligenza cerca ancora Colui che ha
trovato; perch Dio guarda sui figli delluomo, come si canta nel Salmo
ispirato, per vedere se c chi ha intelligenza, chi cerca Dio. Dunque per
questo luomo deve essere intelligente, per cercare Dio.
Agostino, La Trinit, 2-2

AGOSTINO: Dunque, per iniziare dalle cose pi evidenti, ti chiedo anzitutto se


tu stesso esisti. Temi forse di ingannarti in questo dialogo? Ma se tu non esistessi
non potresti nemmeno ingannarti.
EVODIO: Vai pure avanti.

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AGOSTINO: Dunque poich ti evidente che esisti e non lo sarebbe se non


vivessi, anche evidente che vivi. E comprendi che queste due cose sono
assolutamente vere?
EVODIO: Lo capisco perfettamente.
AGOSTINO: Dunque ti chiara anche questa terza cosa: che tu comprendi.
EVODIO: S, mi chiaro.
Agostino, Il libero arbitrio, libro II, 3-7

N si pu mettere in dubbio che la natura immutabile, che al di sopra


dellanima razionale, sia Dio e che dove si trovano la prima vita e la prima
essenza l si trova anche la prima sapienza. Questa infatti la verit immutabile
che, a buon diritto, detta legge di tutte le arti e arte dell'artefice onnipotente.
Quindi l'anima, in quanto si rende conto che non giudica della bellezza e dei
movimenti dei corpi in base a se stessa, bisogna che riconosca che, se la propria
natura superiore a quella di ci che giudica, invece inferiore a quella in base
alla quale giudica e della quale in nessun modo pu giudicare. Io posso dire per
quale motivo vi deve essere corrispondenza simmetrica tra le parti simili di
ciascun corpo, perch mi compiaccio di quella somma proporzione che di certo
non scorgo con gli occhi del corpo ma con quelli della mente. Pertanto giudico
ci che scorgo con gli occhi tanto migliore quanto pi, per sua stessa natura,
pi vicino a ci che colgo con lanima. Perch poi le cose stiano cos nessuno lo
pu dire, come pure nessuno potrebbe in modo rigoroso affermare che devono
essere cos, quasi che potessero essere diversamente.
Agostino, La vera religione, 31-57

Riconosci quindi in cosa consista la suprema armonia: non uscire fuori di te,
ritorna in te stesso: la verit abita nell'uomo interiore e, se troverai che la tua
natura mutevole, trascendi anche te stesso. Ma ricordati, quando trascendi
te stesso, che trascendi lanima razionale: tendi, pertanto, l dove si accende il
lume stesso della ragione. A che cosa perviene infatti chi sa ben usare la
ragione, se non alla verit? Non la verit che perviene a se stessa con il
ragionamento, ma essa che cercano quanti usano la ragione. Vedi in ci
unarmonia insuperabile e fa in modo di essere in accordo con essa. Confessa
di non essere tu ci che la verit, poich essa non cerca se stessa; tu invece
sei giunto ad essa non gi passando da un luogo allaltro, ma cercandola con la
disposizione della mente, in modo che luomo interiore potesse congiungersi

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con ci che abita in lui non nel basso piacere della carne, ma in quello
supremo dello spirito.
Ma se non ti chiaro ci che dico e dubiti che sia vero, guarda almeno se non
dubiti di dubitarne; e, se sei certo di dubitare, cerca il motivo per cui sei certo.
In questo caso senzaltro non ti si presenter la luce di questo sole, ma la luce
vera che illumina ogni uomo che viene in questo mondo. Essa non si pu
percepire n con questi occhi n con quelli con cui sono pensate le
rappresentazioni che gli occhi stessi imprimono nellanima, ma con quelli con
cui alle stesse rappresentazioni diciamo: Non siete voi ci che io cerco, e non
siete neppure il principio in base al quale vi dispongo in ordine; ci che trovo
di brutto in voi lo disapprovo, mentre approvo ci che trovo di bello; ma,
poich il principio per cui disapprovo e approvo pi bello, lo approvo di pi
e lo antepongo non solo a voi, ma anche a tutti i corpi dai quali vi ho attinte.
Quindi questa regola che tu constati formulala cos: chiunque comprende che
sta dubitando, comprende il vero e di ci che comprende certo; dunque
certo del vero. Ci vuol dire che chiunque dubita dell'esistenza della verit, ha
in se stesso il vero, per cui non pu dubitarne. Ma il vero tale unicamente
per la verit; perci non deve dubitare della verit chi ha potuto dubitare per
qualche motivo. Queste cose appaiono manifeste dove risplende la luce che
non si estende n nello spazio n nel tempo e che non pu essere
rappresentata n in forma spaziale n in forma temporale. Tali cose possono
corrompersi da qualche parte? No, bench perisca o diventi vecchio tra gli
esseri carnali inferiori chiunque possiede luso di ragione. In realt, il
ragionamento non crea tali verit, ma le scopre. Esse perci sussistono in s
prima ancora che siano scoperte e, una volta scoperte, ci rinnovano.
Agostino, La vera religione, 39-73

Il presupposto della filosofia di Agostino la fede in Dio in quanto verit assoluta. Come
tale Dio si rivela attraverso Bibbia. La fede in Dio, dunque, per Agostino consiste nella
totale accettazione della rivelazione, ossia nellassunzione dellAntico e del Nuovo
Testamento come fonti indubitabili e inoppugnabili di verit. Ma allora, se la verit divina
gi stata rivelata alluomo nella Bibbia, e luomo deve sottomettersi ad essa, che funzione,
e dunque che valore, pu avere la ragione, ossia la ricerca filosofica e pi in generale la
conoscenza umana?
Questo il problema di partenza della filosofia agostiniana, e pi in generale di ogni
filosofia religiosa, ossia basata sulla fede in una rivelazione divina depositata in una sacra
scrittura. Un problema insidioso, perch, almeno in prima battuta, la verit razionale, cio

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cercata e scoperta dalluomo, sembra essere incompatibile con la verit divina, cio esterna
alluomo e da lui passivamente ricevuta.

Agostino affronta questo problema e lo risolve trasformando innanzitutto la difficolt in un


opportunit. Egli sostiene, infatti, che senza la fede in una verit originaria ed eterna la
ragione umana priva di un criterio di orientamento, si degrada a curiositas, cio si
disperde in una molteplicit di nozioni futili, e in ultima analisi non riesce ad approdare ad
alcun risultato, cio non riesce a conseguire alcuna salda verit. In questo modo, la ragione
non pu che perdere fiducia in se stessa e abbandonarsi al dubbio, cio cadere
nellabbraccio soffocante dello scetticismo.
Secondo Agostino, la fede lunico rimedio a tale deriva rinunciataria della ragione, in
quanto innanzitutto offre alla ragione la certezza nellesistenza della verit e, in secondo
luogo, le indica dove trovarla: in Dio e nel cammino che conduce a lui. Usando una
metafora, si potrebbe dire che per Agostino la fede la bussola del viaggio conoscitivo che
altrimenti non saprebbe che direzione seguire.

Daltra parte, sostiene Agostino, la fede non rende affatto superflua la ragione e anzi ne ha
bisogno in quanto indispensabile complemento. Anche la fede, infatti, perenne ricerca di
Dio, ovvero un processo acquisitivo interminabile, e la ragione le indispensabile per
trovare Dio, ossia per poter approfondirsi e rafforzarsi fino a raggiungere la sua meta
ultima: la salvezza eterna. Ma in che modo la ragione pu favorire la fede?
Aiutandoci, risponde Agostino, a comprendere la verit rivelata. Infatti, la ricezione della
parola di Dio da parte delluomo non pu essere soltanto passiva, ma deve implicare
unattivit interpretativa, ovvero deve essere mediata dalla ragione umana. In altri termini,
la ragione ha il compito di decifrare lautentico messaggio contenuto nel testo biblico
poich la verit divina, data la sua complessit, non contenuta immediatamente nella
lettera di alcuna singola parte della Bibbia, ma presente mediatamente nello spirito
dellintero testo biblico.

In questo senso, Agostino prospetta un circolo virtuoso tra fede e ragione, che stato poi
sintetizzato nella formula esortativa credi per conoscere e conosci per credere (crede ut
intelligas, intellige ut credas). In termini pi attuali, Agostino sostiene un rapporto di
feedback, di retroazione, cio di continuo rafforzamento reciproco, tra fede e ragione: la
fede orienta e sprona la ragione, la ragione chiarisce e potenzia la fede che in tal modo
orienta ancora pi precisamente e sprona con ancor maggior vigore la ragione, e cos via. Si

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tratta, afferma Agostino, di un circolo perenne, destinato a durante quanto la vita di ogni
uomo, perch Dio infinito e dunque infinita la verit, ovvero la comprensione della
parola biblica. Ogni volta che la ragione, indirizzata e spronata dalla fede, trova Dio, questo
risultato a sua volta la base per cominciare una nuova pi vasta e approfondita ricerca
dellinesauribile verit divina. Insomma, grazie al rapporto circolare fede/ragione luomo,
secondo Agostino, acquisisce sempre pi conoscenza ma al tempo stesso non la esaurisce
mai: la sua identit consiste proprio nellincremento continuo della propria conoscenza del
mondo in quanto strumento per intensificare il pi possibile la propria fede in Dio.

La fecondit conoscitiva del circolo fede/ragione posta da Agostino alla prova della
questione preliminare della filosofia, ovvero la possibilit stessa che luomo possieda una
ragione, cio la sua capacit di conoscere la verit. Allo scetticismo, che aveva confutato
tale capacit, Agostino ribatte con un fuoco di fila di argomentazioni controconfutative, che
possono essere cos sintetizzate:
1. Latto mentale stesso del dubitare presuppone lesistenza e la comprensione della
verit, in quanto dubitare di qualcosa significa giudicare che non vera, ma non
potremmo giudicare che qualcosa non vero se non possedessimo il criterio della
verit.
2. Si fallor, sum, cio se mi inganno, esisto: anche qualora il mio pensiero si
ingannasse, io possiedo una verit certa, cio lindubitabile esistenza del pensiero,
in quanto lerrore del pensiero presuppone la sua esistenza, cio lattivit pensante.
3. Non possiamo dubitare di vivere, in quanto il dubitare presuppone lesistenza del
dubitante; perfino se sognassimo sempre, anche da svegli, sarebbe certo che
viviamo, perch non si pu sognare senza vivere; dunque il fatto che viviamo una
verit indubitabile e il fatto che sappiamo di vivere attesta che la ragione umana in
grado di conoscere la verit.

Cos argomentato che la ragione umana in grado di conoscere la verit, Agostino spiega
come sia possibile che luomo la conosca e delinea il metodo conoscitivo con cui luomo
pu effettivamente giungere ad essa. Agostino comincia col rilevare che la fonte primaria
della nostra conoscenza, cio la sensazione, non ha una natura fisica ma mentale. Non il
corpo che sente, ma la mente che sente utilizzando il corpo come un mezzo. Infatti,
innanzitutto solo grazie allattenzione (intentio), cio a unoperazione mentale, che
luomo pu conoscere la modificazione prodotta sui propri organi di senso dalle cose

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fisiche (tant vero che quando siamo distratti non sentiamo). In secondo luogo, in base
allo stimolo di questa modificazione, la mente trae da se stessa la rappresentazione delle
cose fisiche. In altre parole, la mente che produce le effettive sensazioni.

Oltretutto, continua Agostino, la conoscenza sensibile solo il punto di partenza. Per


giungere a una conoscenza completa, e dunque vera, occorre la conoscenza razionale la
quale innanzitutto giudica le sensazioni, cio ne stabilisce leffettivo contenuto conoscitivo
(p.e., se vediamo un remo spezzato in acqua la ragione decreta che unapparenza ottica),
e in secondo luogo ordina i contenuti delle sensazioni classificandoli (p.e., questo un
pesce) e riconducendoli a regolarit generali (p.e., il fuoco brucia il legno).
I criteri in base ai quali la ragione umana giudica e ordina le sensazioni, secondo Agostino,
non derivano dalle sensazioni stesse, cio dallesperienza sensibile, ma sono innati nella
mente. Infatti, argomenta Agostino, le sensazioni sono singolari e mutevoli, mentre i criteri
della conoscenza razionale sono universali e immutabili. Per esempio, chiarisce Agostino,
se giudichiamo un viso simmetrico, lo possiamo fare perch cogliamo un rapporto unitario
tra le parti e il tutto, e al contempo riconduciamo alcune parti alluguaglianza e altre alla
differenza. Ma appunto unit, uguaglianza, differenza, e quindi simmetria, sono criteri
mentali universali e immutabili, non derivabili dallesperienza, dal momento che
lesperienza sempre singolare, molteplice e mutevole.

Ma da dove derivano, allora, i criteri razionali della mente? Agostino argomenta che essi
non possono essere un prodotto della stessa mente umana, dal momento che il pensiero
umano mutevole e oltretutto fallibile, e conclude che essi non possono che essere
limpronta nella mente umana di enti puramente razionali esterni ad essa, cio delle idee.
Ma come si spiega lesistenza delle idee? Ovvero: cosa sono effettivamente le idee? La
risposta, per Agostino, semplice: le idee altro non sono che concetti di Dio, cio i
contenuti della sua mente.
Dunque, la mente umana pu giungere a una conoscenza vera perch Dio, cio la Verit
assoluta e totale, le ha infuso i criteri razionali necessari a ricercare e trovare la verit,
fermo restando che, essendo finita, la mente umana potr conoscere solo parzialmente la
verit. In questo senso, Agostino afferma che la mente umana pu conoscere perch Dio la
illumina. Dio, infatti, in quanto Verit, come la luce che rende possibile la visione fisica
degli oggetti sensibili. Fuor di metafora, la mente umana pu cogliere e applicare i criteri
razionali indispensabili per conoscere solo grazie al fatto che correlata e in
comunicazione con Dio e dunque pervasa dalla razionalit divina.

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In conclusione, la ricerca conoscitiva per Agostino parte e si svolge principalmente non


fuori della mente, ma allinterno della mente, non cercando nel mondo fisico, ma dentro di
s, nella propria interiorit, nella propria anima razionale.

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TAPPA 2
AGOSTINO: LA CREAZIONE DEL MONDO E UN ATTO DAMORE DI DIO
Il potere del vero Dio tale che non pu rimanere nascosto totalmente alla
creatura razionale, una volta che abbia cominciato a far uso della ragione
tutta la specie umana confessa che Dio creatore del mondo.
Tralasciando anche la testimonianza dei profeti, il mondo stesso, con la sua
ordinatissima veriet e mutabilit, e con la bellezza di tutti gli oggetti visibili,
proclama tacitamente di essere stato fatto, e fatto da Dio ineffabilmente e
invisibilmente grande, ineffabilmente e invisibilmente bello.
Agostino, La citt di Dio
Tu non ami certamente che il bene, perch buona la terra con le alte
montagne, le modulate colline, le piane campagne; buono il podere ameno e
fertile, buona la casa ampia e luminosa, dalle stanze disposte con
proporzioni armoniose, buoni i corpi animali dotati di vita; buona laria
temperata e salubre; buono il cibo saporito e sano; buona la salute senza
sofferenze n fatiche; buono il viso delluomo, armonioso, illuminato da un
soave sorriso e vivi colori; buona lanima dellamico per la dolcezza di
condividere gli stessi sentimenti e la fedelt dellamicizia; buono luomo
giusto e buone le ricchezze, che ci aiutano a trarci dimpaccio; buono il cielo
con il sole, la lune e le stelle; buoni gli Angeli per la loro santa obbedienza;
buona la parola che istruisce in modo piacevole e impressiona in modo
conveniente chi lascolta; buono il poema armonioso per il suo ritmo e
maestoso per le sue sentenze. Che altro aggiungere? Perch proseguire ancora
nellenumerazione Questo buono, quello buono. Sopprimi il questo e il
quello e contempla il bene stesso, se puoi; allora vedrai Dio, che non riceve la
sua bont da un altro bene, ma il Bene di ogni bene. Infatti fra tutti questi
beni noi non potremmo dire che uno migliore dellaltro, se non fosse
impressa in noi la nozione del bene stesso. Ecos che noi dobbiamo amare
Dio. Non come questo o quel bene, ma come il Bene stesso.
Agostino, La Trinit
5. II mondo il pi grande degli esseri visibili, Dio il pi grande degli esseri
invisibili. Noi percepiamo l'esistenza del mondo, l'esistenza di Dio la
crediamo. E crediamo che Dio abbia creato il mondo perch nessuno ne pu
dare la certezza che ne d Dio stesso. Dove abbiamo udito la sua voce? In
nessun luogo frattanto cos bene come nelle Scritture sante, in cui ha detto un
suo Profeta: Nel principio Dio cre il cielo e la terra. Questo Profeta non era

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presente quando Dio cre il cielo e la terra, ma vera la sapienza di Dio,


mediante la quale furono fatte tutte le cose. Essa si svela nelle anime sante,
forma gli amici di Dio e i Profeti, fa conoscere nel silenzio le opere di lui.
Parlano loro anche gli angeli di Dio che vedono sempre la faccia del Padre e
annunziano il suo volere a chi dovuto. Uno di essi era il Profeta che ha detto
e scritto: In principio Dio cre il cielo e la terra. Ed egli teste tanto idoneo a
farci credere in Dio appunto perch mediante l'ispirazione divina, con cui
conobbe queste verit rivelategli, ha previsto anche tanto tempo prima che si
sarebbe avuta la nostra fede.
21. Egli dunque ha intuito che bene ci che ha fatto dove ha intuito che
bene il farlo. E non ha duplicato o aumentato in qualche aspetto la propria
scienza perch ha intuito l'opera dopo che era stata fatta, come se avesse una
scienza minore prima di fare ci che intuiva. Egli non produrrebbe le cose
nella loro interezza mediante una scienza nella sua interezza, se non perch
ad essa non viene aggiunto nulla da parte delle opere prodotte. Pertanto se ci
si dovesse far sapere soltanto chi ha fatto la luce, basterebbe dire: "Dio ha
fatto la luce"; se invece non soltanto chi l'ha prodotta, ma per mezzo di che
cosa l'ha prodotta, basterebbe questa frase: E Dio ha detto: Sia fatta la luce e
la luce fu fatta. Apprendiamo cos non soltanto che Dio l'ha prodotta ma che
l'ha prodotta per mezzo del Verbo. Siccome era opportuno che
principalmente tre concetti ci fossero comunicati sul creato, chi l'ha creato,
per mezzo di che cosa l'ha creato, perch l'ha creato, scritto: Dio ha detto:
Sia fatta la luce e la luce fu fatta. E Dio vide che la luce era buona. Se dunque
chiediamo chi l'ha prodotta, si risponde: Dio; se per mezzo di che cosa: Ha
detto: Sia fatta, ed stata fatta; se perch stata fatta: Perch buona. E non
vi autore pi eccellente di Dio, idea pi efficiente del Verbo, ragione pi
buona che un essere buono fosse creato da un Dio buono.
Agostino, La citt di Dio, Libro XI
2. 4. Supponiamo per che non dicano: "Come mai Dio decise all'improvviso
di creare il cielo e la terra?", ma tolgano dalla frase l'avverbio "all'improvviso"
e dicano soltanto: "Perch Dio decise di creare il cielo e la terra?". Noi infatti
non diciamo che questo mondo coevo a Dio, poich l'eternit di questo
mondo non la medesima di quella di Dio; certamente Dio fece il mondo e
cos, con la stessa creatura che Dio fece, i tempi iniziarono ad essere, e perci
sono detti tempi eterni. I tempi tuttavia non sono eterni com' eterno Dio, per
il fatto che Dio esiste prima della successione dei tempi essendo lui l'artefice
dei tempi; allo stesso modo che sono buone tutte le cose create da Dio, ma non
sono buone com' buono Dio poich stato lui a crearle, mentre quelle sono
state create. Dio per non le ha generate dal proprio essere affinch fossero

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ci che lui, ma le ha create dal nulla affinch non fossero uguali n a lui, dal
quale sono state create, n al proprio Figlio per mezzo del quale sono state
create, poich ci giusto. []
5. 9. [] Quanto invece all'affermazione della Scrittura: Nel principio Dio
cre il cielo e la terra, con l'espressione "cielo e terra" viene indicato tutto
l'universo creato e ordinato da Dio. Queste realt sono denotate con un
termine proprio di quelle visibili a causa della debolezza dei piccoli, che sono
meno capaci di comprendere le realt invisibili. Da principio fu dunque creata
la materia confusa e disordinata, affinch a partire da essa fossero fatte le
cose ora distinte e formate; credo che ci i Greci lo chiamino chos. Cos
infatti anche in un altro passo della Scrittura, tra le lodi di Dio, leggiamo la
frase: Tu che hai creato il mondo da una materia senza forma, o, come hanno
altri manoscritti: da una materia invisibile.
6. 10. Ecco perch assolutamente conforme alla ragione credere che Dio
cre tutto dal nulla poich, anche se tutte le cose con le loro forme particolari
furono create a partire da questa materia, tuttavia questa stessa materia fu
creata dal nulla assoluto. Noi infatti non dobbiamo assomigliare a siffatti
individui i quali non credono che Dio onnipotente potesse creare qualcosa dal
nulla in quanto vedono che gli artefici e gli operai di qualsiasi specie non
possono costruire alcun oggetto se non hanno una materia con cui foggiare o
fabbricare qualcosa. In realt, perch possa compiere la sua opera, al
carpentiere occorre il legname, all'argentiere l'argento, all'orefice l'oro, al
vasaio l'argilla. Se infatti essi non si servono della materia con cui fanno un
oggetto, non possono far nulla, in quanto non sono essi a creare la materia.
Non certamente il carpentiere che crea il legno e cos dicasi di tutti gli altri
di simil genere. Dio onnipotente, al contrario, non aveva bisogno di servirsi
d'alcuna cosa non creata da lui per compiere ci che voleva. Poich, se per le
cose che voleva creare gli fosse servita qualcosa ch'egli non aveva creato, non
era onnipotente; ma credere una simile cosa un sacrilegio.
Agostino, La Genesi contro i manichei, Libro I

Secondo Agostino, Dio, oltre a essere Verit assoluta, anche il creatore unico del mondo,
cio del cosmo fisico. La teoria agostiniana della creazione presuppone dunque la tesi
dellesistenza di Dio. Questa tesi, a sua volta, scaturisce, come si visto, dalla fede nella
rivelazione che Dio fa di s attraverso la Bibbia. Tuttavia, la ragione in grado di

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corroborare questa primaria verit di fede. Per questo, Agostino propone tre
argomentazioni razionali a favore dellesistenza di Dio:
1. La prima chiamata in seguito consensus gentium (condivisione universale) si
basa sulla premessa che tutti gli uomini, in tutti i tempi e in ogni luogo, hanno avuto
e hanno lidea che il mondo sia stato prodotto da Dio. Da questa premessa, Agostino
inferisce che Dio esiste necessariamente, sottintendendo che un accordo cos
generale e perenne tra gli uomini (che per il resto hanno opinioni diversissime e
variabilissime) si spiega soltanto grazie alla potenza rivelativa (la luce) di Dio.
2. La seconda argomentazione fa leva sulla constatazione che il cosmo ha una
dimensione enorme, contiene miriadi di enti tra loro diversissimi e oltretutto in
continuo mutamento, eppure incredibilmente bello, ovvero armonicamente
ordinato. Agostino ne inferisce che il cosmo debba essere stato generato da Dio,
sottintendendo che solo un essere intelligente e onnipotente pu generare un cosmo
con quelle caratteristiche.
3. La terza argomentazione si impernia sul rinvenimento nel mondo di diversi tipi e
gradi di bene, cio di cose e propriet buone per luomo: p.e. il calore del sole,
piuttosto che lombra degli alberi o il latte fornito dalle mucche. Agostino ne
inferisce che deve esistere un bene assoluto, ossia Dio, perch altrimenti ci
mancherebbe il metro di giudizio per poter stabilire che un bene terreno superiore
o inferiore a un altro.
Val la pena di notare, che Agostino elabora le tre argomentazioni dellesistenza di Dio en
passant, di sfuggita, ossia non le considera centrali per la sua riflessione filosofica e le
enuncia in modo sintetico, quasi solo abbozzato. E non potrebbe essere altrimenti, visto
che per lui lesistenza di Dio , pi che qualsiasi altra tesi, una verit di fede raggiungibile
attraverso una ricerca individuale dentro di s, cio scandagliando la propria esperienza di
vita.

Al contrario, Agostino dedica molto impegno allelaborazione della sua teoria della
creazione, che indubbiamente costituisce una svolta nel pensiero filosofico occidentale, a
maggior ragione perch avviene subito dopo, e sulla base, di unaltra grande svolta, quella
di Plotino, basata appunto sullinvenzione del nuovo concetto della creazione. Com
possibile, allora, che la teoria di Agostino rappresenti unulteriore svolta rispetto a quella
di Plotino?
Perch la creazione di Dio, secondo Agostino, avviene dal nulla, a partire semplicemente
dalla sua parola (E Dio disse), ovvero dal suo pensiero. In altri termini, Dio, in

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quanto pura mente razionale, evoca il mondo, e in primis la materia che lo costituisce,
senza usare niente, ovvero non si serve n di una sostanza indipendente da lui (come la
chra-chos del demiurgo platonico) n della sua stessa sostanza puramente razionale
(come lUno di Plotino). In seguito, questa tesi agostiniana verr canonizzata nella
definizione di creazione come produzione del mondo da parte di Dio ex nihilo sui et
subiecti, cio da niente di se stesso e da niente di qualcosa che gli sia inferiore, ossia che
sia comunque altro da lui.

Le implicazioni di questa ridefinizione del concetto di creazione sono molteplici e


dirompenti, e ci fanno comprendere ancora di pi e ancor meglio la portata della svolta di
Agostino (e in generale del pensiero filosofico cristiano). La teoria agostiniana della
creazione:
da un lato, assolutizza la trascendenza divina: in quanto produce il mondo ex nihilo
sui cio in quanto il mondo non il prodotto di una trasformazione della sostanza
divina, e dunque non ha alcuna commistione con Dio, ossia totalmente altro da lui
, Dio non solo infinitamente superiore al mondo, ma assolutamente diverso dal
mondo, perch il mondo fatto di qualcosa (la materia spaziotemporale) che
assolutamente differente da ci di cui fatto Dio (pura razionalit senza tempo n
spazialit);
dallaltro lato, massimizza lonnipotenza di Dio: in quanto produce il mondo ex
nihilo subiecti cio in quanto il mondo non deriva da una materia autonoma ma
da una materia prodotta esclusivamente dal pensiero divino Dio ha un dominio
totale sul mondo fisico, la sua potenza infinita, senza limiti.
Per entrambi questi aspetti, Agostino enfatizza la consapevolezza e la volontariet della
creazione. Proprio perch Dio assolutamente trascendente e infinitamente potente, la
creazione del mondo pi che mai una decisione cosciente e intenzionale. In altre parole,
Dio, essendo onnipotente, avrebbe anche potuto non creare il mondo. Se lo ha creato, ha
voluto crearlo, e se ha voluto crearlo deve aver avuto un motivo razionale. Ma, proprio
perch le cose stanno cos, Agostino non pu non porsi una domanda: perch Dio ha creato
il mondo? Qual la ragione che ha motivato la sua decisione di creare? La risposta
perch Dio amore. In altre parole, Dio ha deciso di creare il mondo per amore delle
creature, cio di tutti gli esseri che ha creato; la creazione dunque per Agostino un atto
damore. Ci significa che Dio vuole e fa il bene delle creature, ma non per un freddo e
distaccato ragionamento, o per semplice compassione, ma per il pi intenso dei
sentimenti, lamore appunto.

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In quanto cosciente, vuole e ama, Dio non un principio impersonale, o una legge, ma
un essere personale. In altre parole, Dio una persona come luomo, salvo che luomo
una personalit finita, Dio una personalit infinita. Un aspetto dellinfinitezza della
pesonalit divina , per Agostino, il suo carattere trinitario: Dio , a un tempo, tre persone
distinte. In questo senso, la teoria dellamore di Agostino strettamente legata alla sua
interpretazione filosofica del dogma della trinit divina. Per Agostino, infatti, tale dogma
significa che Dio una sola essenza (o sostanza) distinta in tre persone: il padre, ossia
lessere; il figlio, ossia il conoscere; lo spirito santo, cio lamare.
Insomma, Dio lunit di tre distinte facolt: lesistenza, lintelligenza e lamore. Essendo
Dio infinito, queste facolt divine, a differenza di quelle umane, sono infinite. La creazione
si spiega solo considerando tutte e tre: Dio amando infinitamente il mondo decide di
crearlo finalizzandolo al massimo bene; possedendo infinitamente lessere trae la materia
dal nulla; essendo infinitamente intelligente le impone lordine che le permetta di
raggiungere il pi alto livello di bene possibile.

Ma com possibile che Dio sia al tempo stesso una persona e tre persone? Agostino lo
spiega sostenendo che le tre personalit divine non appartengono allessenza di Dio, che
dunque rimane assolutamente unica, ma alla sua relazionalit, cio al fatto che lessenza
unica di Dio possiede lattributo della relazione: Dio sia padre di sia figlio di e sia
amore reciproco di, e ognuna di queste relazioni rimanda alle altre due, senza le quali
non potrebbe sussistere.
Ma, ci chiarito, Agostino afferma anche che la trinit divina resta un mistero, cio una
verit di ordine superiore, che luomo pu solo avvicinare ma mai comprendere in modo
esaustivo. In questo senso, Agostino, pur dicendo che Dio una persona in modo analogo
allindividuo umano, sottolinea che Dio una persona infinita, a differenza delluomo che
una persona finita, e che dunque luomo pu comprendere Dio conoscendo ci che Dio non
, pi che ci che Dio . In parole pi semplici, luomo pu conoscere solo parzialmente
Dio, linfinita essenza divina imperscrutabile. Per spiegarlo Agostino usa una icastica
similitudine: per luomo voler conoscere Dio nella sua totalit sarebbe come cercare di
travasare il mare in una buca scavata nella spiaggia.

Proprio perch ama infinitamente il creato e quindi ne desidera il massimo bene, Dio,
secondo Agostino, non crea il mondo gi compiutamente realizzato, ma gli concede una
certa autonomia, cio lo crea in modo tale che esso raggiunga la sua perfezione attraverso

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un graduale processo di sviluppo e miglioramento. In parole pi semplici, Dio, afferma


Agostino, ha creato i semi razionali di tutte le cose, cio i loro programmi di svolgimento,
facendo s che da tali semi tutte le cose si formino e si sviluppino in molteplici e
diversificati modi e in vari e differenti tempi.
Ma, ci si potrebbe chiedere in conclusione, qual il fondamento della teoria agostiniana
della creazione? Ovvero quali sono gli argomenti che attestano che Dio ha prodotto il
mondo dal nulla di s e di qualsiasi altra sostanza indipendente da lui, con tutto quello che
ne consegue e che abbiamo analizzato?La risposta di Agostino semplice e immediata: la
Bibbia, in particolare il suo primo libro, il Genesi. Questa risposta ribadisce ed esemplifica
il rapporto religione/filosofia teorizzato e praticato da Agostino. La filosofia, nella
fattispecie la teoria della creazione, consiste nellinterpretazione e nella chiarificazione
razionale della rivelazione divina presente nella Bibbia, che dunque ne rappresenta il
fondamento assolutamente certo e incontrovertibile.

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TAPPA 3
AGOSTINO: IL TEMPO E UNA COSTRUZIONE DELLA MENTE UMANA
14. 17. Non ci fu dunque un tempo, durante il quale avresti fatto nulla, poich
il tempo stesso l'hai fatto tu; e non vi un tempo eterno con te, poich tu sei
stabile, mentre un tempo che fosse stabile non sarebbe tempo. Cos' il tempo?
Chi saprebbe spiegarlo in forma piana e breve? Chi saprebbe formarsene
anche solo il concetto nella mente, per poi esprimerlo a parole? Eppure, quale
parola pi familiare e nota del tempo ritorna nelle nostre conversazioni?
Quando siamo noi a parlarne, certo intendiamo, e intendiamo anche quando
ne udiamo parlare altri. Cos' dunque il tempo? Se nessuno m'interroga, lo
so; se volessi spiegarlo a chi m'interroga, non lo so. Questo per posso dire
con fiducia di sapere: senza nulla che passi, non esisterebbe un tempo
passato; senza nulla che venga, non esisterebbe un tempo futuro; senza nulla
che esista, non esisterebbe un tempo presente. Due, dunque, di questi tempi,
il passato e il futuro, come esistono, dal momento che il primo non pi, il
secondo non ancora? E quanto al presente, se fosse sempre presente, senza
tradursi in passato, non sarebbe pi tempo, ma eternit. Se dunque il
presente, per essere tempo, deve tradursi in passato, come possiamo dire
anche di esso che esiste, se la ragione per cui esiste che non esister? Quindi
non possiamo parlare con verit di esistenza del tempo, se non in quanto
tende a non esistere.
[]
16. 21. Eppure, Signore, noi percepiamo gli intervalli del tempo, li
confrontiamo tra loro, definiamo questi pi lunghi, quelli pi brevi,
misuriamo addirittura quanto l'uno pi lungo o pi breve di un altro,
rispondendo che questo doppio o triplo, quello semplice, oppure questo
lungo quanto quello. Ma si fa tale misurazione durante il passaggio del tempo;
essa legata a una nostra percezione. I tempi passati invece, ormai
inesistenti, o i futuri, non ancora esistenti, chi pu misurarli? Forse chi
osasse dire di poter misurare l'inesistente. Insomma, il tempo pu essere
percepito e misurato al suo passare; passato, non pu, perch non .
[]
20. 26. Un fatto ora limpido e chiaro: n futuro n passato esistono.
inesatto dire che i tempi sono tre: passato, presente e futuro. Forse sarebbe
esatto dire che i tempi sono tre: presente del passato, presente del presente,
presente del futuro. Queste tre specie di tempi esistono in qualche modo

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nell'animo e non le vedo altrove: il presente del passato la memoria, il


presente del presente la visione, il presente del futuro l'attesa. Mi si
permettano queste espressioni, e allora vedo e ammetto tre tempi, e tre tempi
ci sono. Si dica ancora che i tempi sono tre: passato, presente e futuro,
secondo l'espressione abusiva entrata nell'uso; si dica pure cos: vedete, non
vi bado, non contrasto n biasimo nessuno, purch si comprenda ci che si
dice: che il futuro ora non , n il passato. Di rado noi ci esprimiamo
esattamente; per lo pi ci esprimiamo inesattamente, ma si riconosce cosa
vogliamo dire.
21. 27. Dissi poc'anzi che misuriamo il tempo al suo passaggio. Cos possiamo
dire che questa porzione di tempo doppia di quella, che semplice, o lunga
quanto quella; oppure, misurandola, indicare qualsiasi altro rapporto fra
porzioni di tempo. In tal modo, come dicevo, misuriamo il tempo al suo
passaggio. Se mi si chiedesse: "Come lo sai?", risponderei: "Lo so perch
misuriamo, e non possiamo misurare ci che non , e non n il passato n il
futuro". Il tempo presente, poi, come lo misuriamo, se non ha estensione? Lo
si misura mentre passa; passato, non lo si misura, perch non vi sar nulla da
misurare. Ma da dove, per dove, verso dove passa il tempo, quando lo si
misura? Non pu passare che dal futuro, attraverso il presente, verso il
passato, ossia da ci che non ancora, attraverso ci che non ha estensione,
verso ci che non pi. Ma noi non misuriamo il tempo in una certa
estensione? Infatti non parliamo di tempi semplici, doppi, tripli, uguali, e di
altri rapporti del genere, se non riferendoci a estensioni di tempo. In quale
estensione dunque misuriamo il tempo al suo passaggio? Nel futuro, da dove
passa? Ma ci che non ancora, non si misura. Nel presente, per dove passa?
Ma una estensione inesistente non si misura. Nel passato, verso dove passa?
Ma ci che non pi, non si misura.
22. 28. Il mio spirito si acceso dal desiderio di penetrare questo enigma
intricatissimo. Non voler chiudere, Signore Dio mio, padre buono, te ne
scongiuro per Cristo, non voler chiudere al mio desiderio la conoscenza di
questi problemi familiari e insieme astrusi. Lascia che vi penetri e
s'illuminino al lume della tua misericordia, Signore. [] Noi parliamo di
tempo e tempo, di tempi e tempi. "Quanto tempo fa lo disse!", "Quanto tempo
fa lo fece!", e: "Da quanto tempo non lo vedo!", e: "Questa sillaba ha una
durata di tempo doppia di quell'altra, breve": cos diciamo e udiamo, cos ci
facciamo comprendere e comprendiamo. Sono espressioni chiarissime,
usatissime; eppure sono estremamente oscure, e astrusa la loro spiegazione.
[]

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24. 31. Mi comandi di approvare chi dicesse che il tempo il movimento di un


corpo? No certo. Nessun corpo si muove fuori dal tempo; questo lo intendo: tu
lo dici. Ma che il movimento stesso del corpo sia il tempo, questo non lo
intendo: tu non lo dici. Di un corpo che si muove, misuro col tempo la durata
del movimento, da quando inizia a quando finisce. Se non ho visto quando
inizi, e continua a muoversi di modo che non vedo quando finisce, mi
impossibile misurarlo, a meno di misurarlo da quando inizio a quando finisco
di vederlo. Vedendolo a lungo, riferisco soltanto che un tempo lungo, senza
riferire quanto, poich, per dire anche quanto, facciamo un confronto, ad
esempio: "Questo quanto quello", oppure: "Questo doppio di quello", e
cos via. Se invece avremo potuto rilevare nello spazio il punto da cui partito
e il punto in cui arriva un corpo in movimento, oppure le sue parti, qualora si
muova come un tornio, possiamo dire in quanto tempo si effettuato il
movimento del corpo o di una sua parte da un punto a un altro. Il movimento
del corpo dunque cosa distinta dalla misura della sua durata. E chi non
capisce ormai a quale delle due nozioni conviene dare il nome di tempo?
Infatti, se anche un corpo alternamente si muove e sta fermo, noi misuriamo
col tempo non soltanto il suo movimento, ma anche la stasi. Diciamo: "Stette
fermo tanto, quanto si mosse", oppure: "Stette fermo due, tre volte pi di
quanto si mosse"; oppure indichiamo altri rapporti, misurati con precisione o
a stima, pi o meno, come si suol dire. Dunque il tempo non il movimento
dei corpi.
[]
27. 36. in te, spirito mio, che misuro il tempo. Non strepitare contro di me:
cos; non strepitare contro di te per colpa delle tue impressioni, che ti
turbano. in te, lo ripeto, che misuro il tempo. L'impressione che le cose
producono in te al loro passaggio e che perdura dopo il loro passaggio,
quanto io misuro, presente, e non gi le cose che passano, per produrla;
quanto misuro, allorch misuro il tempo. E questo dunque il tempo, o non
il tempo che misuro. Ma quando misuriamo i silenzi e diciamo che tale
silenzio dur tanto tempo, quanto dur tale voce, non concentriamo il
pensiero a misurare la voce, come se risuonasse affinch noi possiamo
riferire qualcosa sugli intervalli di silenzio in termine di estensione
temporale? Anche senza impiego della voce e delle labbra noi percorriamo col
pensiero poemi e versi e discorsi, riferiamo tutte le dimensioni del loro
sviluppo e le proporzioni tra i vari spazi di tempo, esattamente come se li
recitassimo parlando. Chi, volendo emettere un suono piuttosto esteso, ne ha
prima determinato l'estensione col pensiero, ha certamente riprodotto in
silenzio questo spazio di tempo, e affidandolo alla memoria comincia a

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emettere il suono, che si produce finch sia condotto al termine prestabilito: o


meglio, si produsse e si produrr, poich la parte gi compiuta evidentemente
si prodotta, quella che rimane si produrr. Cos si compie. La tensione
presente fa passare il futuro in passato, il passato cresce con la diminuzione
del futuro, finch con la consumazione del futuro tutto non che passato.
28. 37. Ma come diminuirebbe e si consumerebbe il futuro, che ancora non ,
e come crescerebbe il passato, che non pi, se non per l'esistenza nello
spirito, autore di questa operazione, dei tre momenti dell'attesa,
dell'attenzione e della memoria? Cos l'oggetto dell'attesa fatto oggetto
dell'attenzione passa nella memoria. Chi nega che il futuro non esiste ancora?
Tuttavia esiste gi nello spirito l'attesa del futuro. E chi nega che il passato
non esiste pi? Tuttavia esiste ancora nello spirito la memoria del passato. E
chi nega che il tempo presente manca di estensione, essendo un punto che
passa? Tuttavia perdura l'attenzione, davanti alla quale corre verso la sua
scomparsa ci che vi appare. Dunque il futuro, inesistente, non lungo, ma
un lungo futuro l'attesa lunga di un futuro; cos non lungo il passato,
inesistente, ma un lungo passato la memoria lunga di un passato.
Agostino, Le confessioni, Libro XI

La sua nuova teoria della creazione costringe Agostino a confrontarsi con la questione del
tempo e lo stimola a elaborare la sua teoria della temporalit che, pur rifacendosi a Plotino,
quantomai originale e innovativa.
Agostino prende le mosse dagli avversari del cristianesimo, soprattutto i manichei, i quali
cercano di confutare la teoria della creazione, rilevando che, se Dio ha creato il mondo in
un certo istante, allora:
o prima aveva gi deciso di crearlo, ma in tal caso assurdo che non labbia creato
subito;
oppure, se ha deciso proprio in quellistante di crearlo, ne segue che la sua volont
mutata e dunque non perfetto.
Nel ribattere a queste obiezioni, Agostino prende esplicitamente le distanze dai suoi stessi
confratelli che replicavano: Prima della creazione Dio preparava linferno per chi osa
penetrare i suoi misteri. Questa, afferma Agostino, non una risposta, ma una presa in
giro fuori luogo, perch il problema posto pi che fondato e va affrontato seriamente.
Agostino, pertanto, lo affronta razionalmente e lo risolve affermando che prima della

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creazione il tempo non esisteva. La soluzione agostiniana appare fin troppo semplice, ma
in realt contiene delle acute e profonde implicazioni:
1. il tempo stato creato da Dio insieme al mondo, dunque ha unorigine e una fine (il
giudizio universale, ossia la fine del mondo);
2. il tempo, insieme allo spazio, una propriet fondamentale del mondo fisico, ossia
del tutto relativo alla dimensione materiale;
3. Dio, pura razionalit, non spazio-temporale, dunque non nel tempo, ma fuori del
tempo e senza tempo: questo il vero significato della sua eternit, cio assenza di
qualsiasi temporalit.

Ma a questo punto, Agostino costretto ad affrontare un altro problema, ancora pi


spinoso: appurato che la temporalit ha avuto unorigine, e quindi avr una fine, ovvero
che il tempo derivato e temporaneo, che cos allora il tempo? In cosa consiste?
Agostino prende in esame, innanzitutto, la teoria platonica secondo cui il tempo la
rotazione del Sole e degli astri. Egli ribatte che, se il tempo fosse il movimento perenne e
uniforme di qualcosa, allora anche un corpo terrestre, p.e. anche un tornio, potrebbe
spiegare il tempo anche in assenza di qualsiasi astro. Ma in tal caso, il movimento di un
corpo sarebbe la misura del tempo. Eppure, continua Agostino, per misurare la durata del
moto di un corpo bisogna stabilire un inizio e una fine del moto, e questo gi presuppone il
tempo. In altre parole, com possibile che il moto sia il fondamento del tempo se il tempo
il presupposto per misurare la durata del moto? Agostino ne conclude che il tempo non
riconducibile al moto n degli astri n dei corpi terrestri.
Tuttavia, sostiene Agostino, indubbio che noi viviamo nel tempo e misuriamo i tempi
delle nostre azioni, p.e. della lettura di uno scritto, perfino della durata di una sillaba, e che
possiamo stabilire, p.e., che la durata di una parola, o di un suono, doppia rispetto a
quella di unaltra. Com possibile allora la nostra misurazione temporale? Il tempo, da un
lato, sembra che esista inoppugnabilmente ma, dallaltro, no! Si pu risolvere
questenigma? E se s, come?

Agostino comincia a dipanare lintricata matassa, rilevando che il tempo si compone di tre
parti: il passato, il futuro e il presente. Si tratta allora di analizzare cosa siano passato,
futuro e presente. Cos il passato? Ci che non pi, risponde Agostino, qualcosa che non
esiste pi, un non-essere, nulla! Cos il futuro? Ci che non ancora, qualcosa che pu
esistere ma per il momento non esiste, dunque anchesso un non-essere, nulla! Cos il

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presente? Ci che avviene tra il passato e il futuro. Ma se il passato e il futuro sono nulla,
come pu esistere qualcosa tra due nulla? Inoltre, continua Agostino, il presente lattimo
immediato. Ma proviamo a cogliere questattimo: esso arriva dal futuro, ma non appena
non pi futuro gi trascorso, cio subito diventato passato. In altre parole, il futuro si
trasforma immediatamente in passato, il presente sfugge, inafferrabile, incoglibile.
Dunque anchesso nulla. In conclusione: il tempo linsieme di passato, futuro e
presente, ma passato, futuro e presente non esistono, dunque anche il tempo non esiste.
Questa conclusione, per, sembra rendere lenigma del tempo ancora pi oscuro e
indecifrabile. Come possibile che non esista qualcosa che mi sembra esistere
indiscutibilmente e che uso in ogni momento per pensare e agire? Possibile che il tempo
sia unillusione cos radicata in noi da impedirci di renderci conto del suo carattere
illusorio?

E a questo punto che Agostino trova la soluzione dellenigma del tempo: esso irrisolvibile
se noi crediamo che il tempo sia qualcosa di oggettivo, ossia di esterno alla nostra
coscienza. Il tempo oggettivo, afferma Agostino, questo s, davvero unillusione, un
inganno. Ma il tempo non qualcosa di oggettivo, bens qualcosa di soggettivo, un
prodotto della mente umana, una modalit del pensiero. Come?
Il passato, risponde Agostino, la memoria, cio la facolt mentale capace di conservare e
recuperare le nostre esperienze (p.e. lestate passata linsieme dei ricordi delle mie
vacanze); il presente lattenzione, cio loperazione mentale grazie alla quale la coscienza
si concentra su uno stimolo e cos acquisisce delle sensazioni (p.e. il presente la visione
delle lettere e delle sillabe di queste parole che sto leggendo); e il futuro la disposizione
mentale dellattendersi, o aspettare, qualcosa, il nostro perenne farsi delle nostre
aspettative (p.e. il futuro lattendermi di finire di leggere questa tappa, di svelare del tutto
lenigma del tempo e di andare poi a rilassarmi con una passeggiata in un parco).
Insomma, passato, presente e futuro sono il nome che diamo a tre attivit mentali il
ricordarsi, lattenzionarsi, laspettarsi , ovvero sono tre prodotti della nostra mente.

In conclusione, per Agostino il tempo non esiste oggettivamente, non una realt fisica;
ma esiste soggettivamente, una produzione del pensiero umano. Ci non significa che
Agostino neghi la realt oggettiva del divenire, cio del mutamento di tutte le cose fisiche e
quindi anche del corpo umano.
Anzi il tempo soggettivo ha nel divenire oggettivo un indispensabile correlato. Grazie al
divenire oggettivo, infatti, il tempo soggettivo pu adattarsi alla realt esterna e misurare il
mutamento fisico. Tuttavia, rimane fermo che solo in base al nostro tempo mentale che

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possiamo rilevare e cronometrare tutti i moti dei corpi, a cominciare da quelli degli astri,
ma anche le nostre esperienze e lo scorrere della nostra vita.

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TAPPA 4
AGOSTINO: IL MALE E COLPA DELLUOMO
5. 7. Cercavo l'origine del male cercando male e non vedendo il male nella mia
stessa ricerca. Davanti agli occhi del mio spirito ponevo l'intero creato, tutto
ci che ne possiamo scorgere, ossia la terra, il mare, l'aria, gli astri, gli alberi,
gli animali mortali, e tutto ci che ci rimane invisibile, ossia il firmamento
celeste sopra di noi, tutti gli angeli e tutti gli spiriti che lo abitano, spiriti che
la mia immaginazione distribuiva pure in vari luoghi, quasi fossero corpi; cos
feci del tuo creato un'unica massa enorme, ove spiccavano secondo il loro
genere i corpi, sia veri e reali, sia spirituali, resi arbitrariamente corporei
dalla mia immaginazione, e feci enorme questa massa, non quanto era
effettivamente, perch non potevo concepirlo, ma quanto mi piacque
immaginare, per finita in tutte le direzioni, avvolta e penetrata da ogni parte
da te, Signore, che pure rimanevi in tutti i sensi infinito, come un mare che si
stenda dovunque e da dovunque per spazi immensi infinito, un unico mare
che contenga nel suo interno una spugna grande a piacere, per finita e
ripiena evidentemente in ogni sua parte del mare immenso. Cos concepivo la
tua creazione, finita e ripiena di te infinito. Dicevo: "Ecco Dio, ed ecco le
creature di Dio. Dio buono, potentissimamente e larghissimamente
superiore ad esse. Ma in quanto buono cre cose buone e cos le avvolge e
riempie. Allora dov' il male, da dove e per dove penetrato qui dentro? Qual
la sua radice, quale il suo seme? O forse non esiste affatto? Perch allora
temere ed evitare una cosa inesistente? Se lo temiamo senza ragione,
certamente male il nostro stesso timore, che punge e tormenta invano il
nostro cuore, e un male tanto pi grave, in quanto non c' nulla da temere,
eppure noi temiamo. Quindi o esiste un male oggetto del nostro timore, o il
male il nostro stesso timore. Ma da dove proviene il male, se Dio ha fatto, lui
buono, buone tutte queste cose? Certamente egli un bene pi grande, il
sommo bene, e meno buone sono le cose che fece; tuttavia e creatore e
creature tutto bene. Da dove viene dunque il male? Forse da dove le fece,
perch nella materia c'era del male, e Dio nel darle una forma, un ordine, vi
lasci qualche parte che non mut in bene? Ma anche questo, perch? Era
forse impotente l'onnipotente a convertirla e trasformarla tutta, in modo che
non vi rimanesse nulla di male? Infine, perch volle trarne qualcosa e non
impieg piuttosto la sua onnipotenza per annientarla del tutto? O forse la
materia poteva esistere contro il suo volere? O, se la materia era eterna,
perch la lasci sussistere in questo stato cos a lungo, attraverso gli spazi su
su infiniti dei tempi, e dopo tanto decise di trarne qualcosa? O ancora, se gli

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venne un desiderio improvviso di agire, perch con la sua onnipotenza non


ag piuttosto nel senso di annientare la materia e rimanere lui solo, bene
integralmente vero, sommo, infinito? O, se non era ben fatto che chi era
buono non edificasse, anche, qualcosa di buono, non avrebbe dovuto
eliminare e annientare la materia cattiva, per istituirne da capo una buona, da
cui trarre ogni cosa? Quale onnipotenza infatti era la sua, se non poteva
creare alcun bene senza l'aiuto di una materia non creata da lui?". Questi
pensieri rimescolavo nel mio povero cuore gravido di assilli pungentissimi,
frutto del timore della morte e della mancata scoperta della verit. Rimaneva
tuttavia saldamente radicata nel mio cuore la fede nella Chiesa cattolica del
Cristo tuo, signore e salvatore nostro. Certo una fede ancora rozza in molti
punti e fluttuante oltre il limite della giusta dottrina; per il mio spirito non
l'abbandonava, anzi se ne imbeveva ogni giorno di pi.
[]
12. 18. Mi si rivel anche nettamente la bont delle cose corruttibili, che non
potrebbero corrompersi n se fossero beni sommi, n se non fossero beni.
Essendo beni sommi, sarebbero incorruttibili; essendo nessun bene, non
avrebbero nulla in se stesse di corruttibile. La corruzione infatti un danno,
ma non vi danno senza una diminuzione di bene. Dunque o la corruzione
non danno, il che non pu essere, o, com' invece certissimo, tutte le cose
che si corrompono subiscono una privazione di bene. Private per di tutto il
bene non esisteranno del tutto. Infatti, se sussisteranno senza potersi pi
corrompere, saranno migliori di prima, permanendo senza corruzione; ma
pu esservi asserzione pi mostruosa di questa, che una cosa divenuta
migliore dopo la perdita di tutto il bene? Dunque, private di tutto il bene, non
esisteranno del tutto; dunque, finch sono, sono bene. Dunque tutto ci che
esiste bene, e il male, di cui cercavo l'origine, non una sostanza, perch, se
fosse tale, sarebbe bene: infatti o sarebbe una sostanza incorruttibile, e allora
sarebbe inevitabilmente un grande bene; o una sostanza corruttibile, ma
questa non potrebbe corrompersi senza essere buona. Cos vidi, cos mi si
rivel chiaramente che tu hai fatto tutte le cose buone e non esiste nessuna
sostanza che non sia stata fatta da te; e poich non hai fatto tutte le cose
uguali, tutte esistono in quanto buone ciascuna per s e assai buone tutte
insieme, avendo il nostro Dio fatto tutte le cose buone assai.
13. 19. In te il male non esiste affatto, e non solo in te, ma neppure in tutto il
tuo creato, fuori del quale non esiste nulla che possa irrompere e corrompere
l'ordine che vi hai imposto. Tra le parti poi del creato, alcune ve ne sono, che,
per non essere in accordo con alcune altre, sono giudicate cattive, mentre con

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altre si accordano, e perci sono buone, e buone sono in se stesse. Tutte


queste parti, che non si accordano fra loro, si accordano poi con la porzione
inferiore dell'universo, che chiamiamo terra, la quale provvista di un suo
cielo percorso da nubi e venti, ad essa conveniente. Lontano d'ora in poi da
me l'augurio: "Oh, se tali cose non esistessero!". Quand'anche vedessi soltanto
tali cose, potrei certo desiderarne di migliori, ma non pi mancare di lodarti
anche soltanto per queste. Che ti si debba lodare, lo mostrano infatti sulla
terra i draghi e tutti gli abissi, il fuoco, la grandine, la neve, il ghiaccio, il
soffio della tempesta, esecutori della tua parola, i monti e tutti i colli, gli
alberi da frutto e tutti i cedri, le bestie e tutti gli armenti, i rettili e i volatili
pennuti; i re della terra e tutti i popoli, i principi e tutti i giudici della terra, i
giovani e le fanciulle, gli anziani con gli adolescenti lodino il tuo nome. Ma,
poich anche dai cieli salgono verso di te le lodi, ti lodino, Dio nostro,
nell'alto tutti gli angeli tuoi; tutte le potenze tue, il sole e la luna, tutte le
stelle e la luce, i cieli dei cieli e le acque che stanno sopra i cieli, lodino il tuo
nome. Ormai non desideravo di meglio: tutte le cose abbracciavo col mio
pensiero, e se le creature superiori sono meglio di quelle inferiori, tutte
insieme sono per meglio delle prime sole. Con pi sano giudizio davo questa
valutazione.
[]
16. 22. E capii per esperienza che non cosa sorprendente, se al palato
malsano riesce una pena il pane, che al sano soave; se agli occhi offesi
odiosa la luce, che ai vividi amabile. La tua giustizia sgradita ai malvagi, e a
maggior ragione le vipere e i vermiciattoli che hai creato buoni e in accordo
con le parti inferiori del tuo creato. A queste i malvagi stessi si accordano
nella misura in cui non ti assomigliano, mentre si accordano alle parti
superiori nella misura in cui ti assomigliano. Ricercando poi l'essenza della
malvagit, trovai che non una sostanza, ma la perversione della volont, la
quale si distoglie dalla sostanza suprema, cio da te, Dio, per volgersi alle cose
pi basse, e, ributtando le sue interiora, si gonfia esternamente.
Agostino, Le confessioni, Libro VII

Il problema del perch il mondo sia affetto dal male uno dei problemi pi spinosi, e
proprio per questo ricorrenti, della storia della filosofia. Per Agostino, per, di gran lunga
pi spinoso e arduo da risolvere che per tutti i filosofi a lui precedenti. Non solo perch
lepoca in cui vive Agostino particolarmente travagliata o perch Agostino ha una

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maggiore sensibilit per la sofferenza, ma anche e soprattutto perch nessuno, prima di lui,
aveva concepito il mondo come il prodotto di un essere assolutamente onnipotente che
crea per amore verso le sue creature. Di conseguenza, mentre i filosofi precedenti potevano
addebitare il male al fatto che il principio fisico del mondo possedeva unindipendenza
irriducibile o che il principio divino era indifferente alle vicende terrene, Agostino sembra
costretto ad ammettere che, dato che lesperienza del male nel mondo incontrovertibile, o
Dio non onnipotente o non buono e amorevole.
E in effetti Agostino, nel corso della sua esistenza, si tormenta a lungo intorno a questa
contraddizione nel tentativo di trovare una via duscita, ossia di conciliare lonnipotenza e
lamore di Dio con lindiscutibile presenza del male nel mondo. Alla fine, Agostino giunge a
trovare una soluzione, o quantomeno raggiunge la convinzione di averla trovata.
Data la complessit del problema del male, la soluzione agostiniana particolarmente
ampia e articolata. Per sintetizzarla e facilitarne la comprensione, la possiamo distinguere
e affrontare a tre livelli successivi:
1. a livello ontologico;
2. a livello cosmologico;
3. a livello antropologico.

A livello ontologico, il problema del male consiste nel chiedersi se esso sia un principio
costitutivo ed eterno dellessere, cio della realt, oppure un suo fenomeno secondario, e
quindi relativo, parziale e occasionale. In altre parole: il male esiste in senso forte e
permanente, cio sostanziale ovvero essenziale; oppure capita, ossia c ma in quanto
evento accidentale? La tesi di Agostino che il male non un essere, dunque non esiste
veramente, ovvero non un principio sostanziale (essenziale) del mondo. Infatti,
argomenta Agostino, se lessere fosse male, non potremmo farne esperienza, cos come se il
nostro corpo fosse costitutivamente malato non potremmo ammalarci. Al contrario, se ci
ammaliamo proprio perch siamo costitutivamente sani, e, analogamente, se facciamo
esperienza del male solo perch lessere essenzialmente bene.
Ma allora cos il male? Perch ne facciamo esperienza? Agostino risponde: il male
carenza di bene. Lessere Dio e ci che creato da Dio, cio il mondo. In entrambi i casi
lessere bene, afferma Agostino, e non pu che essere solamente bene. Ma il bene pu
avere vari gradi/quantit, da quello infinito e sommo di Dio, a quelli finiti propri delle
creature. Ognuno dei decrescenti gradi del bene, successivi a quello divino, implica una
diminuzione sempre maggiore del bene, fino a un grado minimo, fino cio al bene infimo,
che la massima privazione possibile di bene. La privazione totale di bene sarebbe il nulla,
ma il nulla non esiste per definizione. Quindi, il male assoluto non esiste, esiste solo il male
relativo, che per in realt bene sminuito. Dunque solo il bene , cio esiste
effettivamente, il male propriamente non , cio non esiste come tale ma solo come una
modalit del bene, una sua evenienza.

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A livello cosmologico, il problema del male consiste, per Agostino, nel chiedersi perch il
cosmo, creato da Dio per amore, contenga il male relativo, cio gradi di bene finiti e
decrescenti. In altre parole: posto che il male solo diminuzione progressiva del bene,
perch il creato non possiede il grado massimo di bene? Agostino risponde affermando che
il massimo grado di essere/bene quello infinito di Dio in quanto creatore e che dunque il
creato, in quanto necessariamente inferiore al creatore, e perci finito, non pu che avere
un grado inferiore di essere/bene. Ma perch allora il cosmo possiede tutti i gradi
decrescenti del bene, fino al minimo, anzich solo quello immediatamente inferiore al
massimo?
Perch, risponde Agostino, solo cos possibile che esistano la maggiore variet e il
maggior numero di creature e soprattutto perch proprio dallinterazione di tutti i tipi
possibili di creature, ognuno necessariamente con un grado diverso di essere/bene, deriva
quellarmonia grazie alla quale il cosmo nel suo insieme possiede il massimo grado di bene
possibile nella dimensione spazio-temporale, cio nella dimensione della finitezza. In
questo senso, considerando il cosmo nella sua totalit, afferma Agostino, il male presente
in esso minimo, poco pi che niente. Se, per esempio, luomo di fronte a una puntura di
una vespa a un bambino pensa che il mondo contenga il male e che Dio avrebbe potuto fare
a meno di creare le vespe, la sua credenza nel male e la sua critica a Dio , secondo
Agostino, solo il frutto della sua ignoranza, cio della sua incapacit di capire che anche le
vespe hanno una funzione fondamentale per mantenere lequilibrio biologico di tutte le
specie e quindi per garantire il massimo bene cosmico possibile.

A questo punto, forte della posizione guadagnata, Agostino affronta lo scontro diretto con
il vero male, quello antropologico, quello che si riferisce al male subto ma anche provocato
dalluomo. Innanzitutto, riconosce Agostino, gli uomini soffrono e le sofferenze che
provano sono, per intensit e numero, di gran lunga superiori a quel minimo di male
relativo che il cosmo necessariamente alberga in quanto perfezione finita. In altre parole,
Agostino ammette apertamente che lumanit da sempre soffre di mali incompatibili con
larmonia divina che governa il mondo. Ma com possibile? Forse che Dio ha posto luomo
ai margini dellarmonia cosmica e, unico tra le sue creature, gli ha inflitto il massimo grado
di male relativo, cio di privazione di bene?
No, non pu essere cos, perch la Bibbia, anzi, ci rivela proprio il contrario: Dio fece
luomo a sua immagine e somiglianza, pertanto luomo la creatura pi amata, quella cui
Dio ha conferito il massimo grado di essere/bene rispetto a tutte le altre. Ma allora, a
maggior ragione, come mai luomo soffre? Paradossalmente, afferma Agostino, proprio
perch stato il pi beneficato e il pi beneficiato da Dio. Agostino asserisce, infatti, che il

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conferimento alluomo del pi alto livello di essere, e quindi di bene, coincide con il dono
del libero arbitrio: Dio ha creato luomo simile a lui dandogli la possibilit di scegliere
liberamente come comportarsi. E, infatti, appena creato, nel giardino dellEden, luomo
non soffriva, partecipava pienamente dellarmonia cosmica, della quasi completa
perfezione originaria del mondo fisico. Addirittura gli era risparmiata lesperienza della
morte! Ma, in seguito, continua Agostino, luomo ha abusato del suo libero arbitrio, ha
trasgredito lunico divieto che Dio gli aveva imposto quello di mangiare il frutto
dellalbero della conoscenza , dunque si contrapposto per superbia al suo creatore,
macchiandosi cos del peccato originale.
Dio amore, ma anche giustizia, continua Agostino, e dunque punisce luomo cacciandolo
dallEden, costringendolo a lavorare con fatica e a partorire con dolore. In altre parole,
secondo Agostino, dopo il peccato originale il mondo si trasformato in un carcere nel
quale luomo deve scontare la pena per il peccato di superbia commesso. Ecco perch il
mondo terreno include una quantit di dolore di gran lunga superiore a quello che aveva
nella sua costituzione originaria, cio nellEden, morte corporea compresa. Ma il dolore
che luomo patisce sulla terra non ingiusto, non solo perch la giusta punizione del suo
errore, ma soprattutto perch ha la funzione di rendere luomo consapevole del suo errore
e di emendarlo, cio di riabilitarlo. Dunque, in ultima analisi, il dolore terreno non male,
ma bene, perch finalizzato al bene delluomo, al suo miglioramento.
Ma non basta. E lo stesso Agostino a sostenere che la quantit del male che lumanit
prova ancora superiore a quella che gli stata inflitta da Dio come punizione del suo
peccato originale. Il fatto , afferma Agostino, che una volta cacciato dallEden, luomo
continua a peccare, anzi, subisce, per cos dire, linerzia del peccato originale, e cos pecca
ancora pi facilmente e sempre pi spesso. Di qui la quota maggiore del dolore che
lumanit patisce: le azioni peccaminose degli uomini p.e. le percosse, i furti, gli omicidi,
le guerre, ecc. da un lato, di per se stesse, provocano dolore, dallaltro causano ulteriori
punizioni, e quindi ulteriori sofferenze.

In conclusione, secondo Agostino, il vero male, il pesantissimo insieme dei dolori che tutti
gli uomini provano nella loro vita, pur sempre male relativo, cio privazione del bene, ma
il grado infimo del bene, la sua massima privazione possibile. Soprattutto, il vero male
causato non da Dio, ma esclusivamente dalluomo; un male antropologico, meglio un
male morale, cio dovuto alla malvagit delluomo, alla sua incapacit di comportarsi
moralmente, cio bene.
Dunque, Dio per Agostino del tutto innocente, la presenza del male nel mondo non
inficia minimamente n lonnipotenza divina n lamore di Dio per le sue creature.

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Ma Agostino si rende conto che la sua argomentazione lascia ancora irrisolto un problema.
Posto che il vero male il frutto avvelenato della scelta delluomo, se il male, a livello
ontologico, non esiste, come pu luomo scegliere il male, cio appunto qualcosa che non
esiste? Detto altrimenti: luomo per scegliere il male deve volerlo, ma in questo caso come
fa a volere qualcosa che non c? O, al contrario, dato che inconfutabile che luomo abbia
voluto e voglia il male, questo non attesta che il male esiste?
Agostino risolve anche questultimo problema basandosi ancora una volta sulla sua teoria
dei molteplici e decrescenti gradi di bene finito. Luomo, quando vuole e sceglie il male,
non fa che preferire a un bene maggiore innanzitutto a Dio, bene massimo un bene
inferiore, cio il bene proprio di una creatura che possiede un grado di essere/bene
inferiore al suo. P.e., il peccato di gola, che consiste nel mangiare pi del necessario,
consiste nel volere mangiare quanto un animale, cio appunto nello scegliere il bene
proprio di una specie inferiore. Dunque, conclude Agostino, luomo quando vuole e sceglie
il male non vuole e sceglie il nulla, il che sarebbe assurdo, ma un minor bene rispetto a
quello che gli proprio, a quello consono al suo statuto ontologico, e pertanto il fatto che
luomo voglia e scelga il male non significa che il male .

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TAPPA 5

AGOSTINO: SOLO LA GRAZIA DIVINA CI LIBERA DAL MALE


1. 3. A. - Certo che se le cose stanno cos, gi risolto il problema che hai
proposto. Se l'uomo un determinato bene e se non potesse agire secondo
ragione se non volendolo, ha dovuto avere la libera volont, senza di cui non
poteva agire moralmente. Infatti non perch mediante essa anche si pecca, si
deve ritenere che per questo Dio ce l'ha data. ragione sufficiente che doveva
esser data il fatto che senza di essa l'uomo non pu vivere moralmente. Si pu
inoltre comprendere che per questo scopo stata data anche dal motivo che
se la si user per peccare, viene punita per ordinamento divino. Ma sarebbe
ingiusto se la libera volont fosse stata data non solo per vivere secondo
ragione ma anche per peccare. Come infatti sarebbe giustamente punita la
volont di chi l'ha usata per un'azione per cui stata data? Quando invece Dio
punisce il peccatore, sembra proprio dire: "Perch non hai usato la libera
volont per il fine cui te l'ho data? "; cio per agir bene. Se l'uomo fosse privo
del libero arbitrio della volont, come si potrebbe concepire quel bene per cui
si pregia la giustizia nel punire i peccati e onorare le buone azioni? Non
sarebbe appunto n peccato n atto virtuoso l'azione che non si compie con la
volont. Conseguentemente, se l'uomo non avesse la libera volont, sarebbero
ingiusti pena e premio. Fu necessario dunque che tanto nella pena come nel
premio ci fosse la giustizia poich questo uno dei beni che provengono da
Dio. Fu necessario quindi che Dio desse all'uomo la libera volont.
Agostino, Il libero arbitrio, Libro II
18. 52. Non c' da meravigliarsi che l'uomo o per ignoranza non abbia il libero
arbitrio della volont, con cui scegliere il da farsi secondo ragione, ovvero che
per la resistenza dell'abito della passione, sviluppatosi in certo senso come
un'altra natura a causa della illibert nella propagazione della specie, egli
conosca il da farsi e lo voglia, ma non possa compierlo. pena giustissima del
peccato che si perda ci che non si voluto usar bene, sebbene fosse possibile
senza alcuna difficolt, se si volesse. quanto dire che chi, pur conoscendo,
non agisce secondo ragione, perde la conoscenza di ci che ragionevole e chi
non ha voluto agire secondo ragione potendolo, ne perde la possibilit quando
lo vuole. Vi sono in realt per l'anima che pecca queste due condizioni di
pena: l'ignoranza e la debolezza. A causa dell'ignoranza ci toglie dignit
l'errore, a causa della debolezza ci tormenta il dolore. Ma affermare il falso a
posto del vero fino ad errare involontariamente e non poter trattenersi da
azioni passionali, perch reagisce con tormento la sofferenza della soggezione
alla carne, non natura dell'uomo in quanto tale, ma pena dell'uomo

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condannato. Ma quando si parla della libera volont di agire secondo ragione,


si parla di quella, in cui l'uomo stato creato.
Agostino, Il libero arbitrio, Libro III

13. Appena avvenuta la trasgressione del comando, i progenitori rimasero


sconvolti dalla nudit dei propri corpi, perch la grazia divina li aveva
abbandonati. Perci con foglie di fico, che eventualmente per prime si offrirono
al loro sbigottimento, coprirono le parti che suscitavano il loro pudore. Erano le
stesse di prima ma non erano oggetto di pudore. Provavano un nuovo stimolo
della propria carne ribelle, quasi uno scambio del castigo dovuto alla loro
ribellione. Ormai l'anima, che si compiaceva della propria libert
all'insubordinazione e sdegnava di sottomettersi a Dio, era privata della
connaturale sottomissione del corpo. Poich aveva abbandonato di suo arbitrio il
Padrone a lei superiore, non conteneva pi al proprio arbitrio il servo a lei
inferiore e non riusciva in alcun modo a sottomettere la carne, come avrebbe
sempre potuto se lei fosse rimasta sottomessa a Dio. La carne cominci a
rivoltarsi contro lo spirito. Siamo nati con questo dissidio da cui deriviamo la
primitiva soggezione alla morte e per cui dalla prima disobbedienza portiamo
sempre nelle nostre membra e nella natura viziata il suo contrasto o trionfo.
Agostino, La citt di Dio, Libro XIII

19. 20. Ma a fare buono l'albero l'uomo, quando accoglie la grazia di Dio.
Non infatti da se stesso che l'uomo si fa buono da cattivo, ma diventa buono
per iniziativa di Dio e per mezzo di Dio e per unione a Dio che sempre
buono. E non solo per essere un albero buono, ma anche per fare buoni frutti
necessario all'uomo d'essere aiutato dalla medesima grazia, senza la quale
non pu fare alcunch di buono. Alla produzione dei frutti coopera appunto
negli alberi buoni Dio stesso che all'esterno irriga e coltiva per mezzo di ogni
suo ministro e all'interno dona da s la crescita . Al contrario, l'uomo che fa
cattivo l'albero, quando fa cattivo se stesso, quando si distacca dal Bene
immutabile: questo distacco da Dio che d origine appunto alla volont
cattiva. Tale distacco non inizia un'altra natura cattiva, ma vizia quella che
stata creata buona. Risanato per quel vizio, non rimane pi nessun male,
perch nella natura c'era, s, il vizio, ma il vizio non era la natura.
Agostino, La grazia di Cristo e il peccato originale, Libro I

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Come abbiamo visto, la soluzione agostiniana del problema del male ne attribuisce
alluomo la totale responsabilit: luomo, e solo luomo, che peccando causa il male e il
suo peccato colpa unicamente sua perch si basa sulla sua libera scelta, cio del tutto
volontario.
Cos trovata la soluzione al problema del male, Agostino si trova per di fronte a un nuovo
problema: se la volontariet del peccato umano presuppone il libero arbitrio dato alluomo
da Dio, perch Dio ha fatto questo dono alluomo, ben sapendo, grazie alla sua onniscienza,
che luomo ne avrebbe fatto un uso sbagliato e che quindi sarebbe stata la causa della
rovina umana?

Agostino risolve il problema affermando, innanzitutto, che Dio ha donato alluomo la


volont, cio appunto la capacit di scegliere le proprie azioni, affinch luomo compisse
liberamente il bene. Tenendo conto che a questa tesi si potrebbe ancora obiettare che Dio
avrebbe potuto far compiere alluomo il bene per necessit, evitando cos la possibilit che
egli volesse e facesse il male, Agostino, in secondo luogo, elabora una tesi ancora pi
impegnativa: se Dio non avesse dato alluomo una volont fondata sul libero arbitrio, e
quindi potenzialmente sia buona sia cattiva, luomo non potrebbe essere un soggetto
morale, cio non sarebbe responsabile delle sue buone azioni e dunque non ne avrebbe
alcun merito.
In termini positivi: per Agostino unazione buona scelta volontariamente rende meritevoli,
mentre unazione buona compiuta per necessit, priva di qualsiasi merito. Dunque,
grazie al dono della volont libera, luomo ha la possibilit di raggiungere un livello
ontologico, e quindi un bene, superiore a quelli delle altre creature. E non solo. Poich un
merito maggiore implica una maggiore ricompensa, Dio, sostiene Agostino, ha dato
alluomo una volont libera per potergli poi conferire una maggiore felicit. Insomma, Dio
ha agito per il massimo bene delluomo. Ma, naturalmente, proprio per ottenerlo, luomo
deve disporre della possibilit di volere e commettere il male, altrimenti la sua scelta del
bene non sarebbe volontaria e quindi meritevole. Quindi, se luomo compie il male, la
punizione divina non inficia minimamente lamore di Dio per luomo e, al tempo stesso,
giustificata tanto quanto il premio delle sue azioni buone.

In questo modo, pi di ogni altro filosofo precedente, Agostino mette a fuoco e valorizza la
volont come una delle capacit fondamentali delluomo in quanto essere razionale. In
altre parole, per Agostino la razionalit umana non solo teoretica, ma anche e, anzi, in
primo luogo pratica; la ragione non consiste solo e tanto nella conoscenza della verit,
ovvero del bene, ma soprattutto nellagire in conformit della verit, cio nellagire bene;

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non serve a nulla per Agostino sapere cos il bene se poi non si capaci di metterlo in
pratica. La volont, fondata sul libero arbitrio, appunto la capacit delluomo di
determinare i propri comportamenti. In questo senso, sostiene Agostino, la conoscenza
condizione necessaria ma non sufficiente della volont, in particolare della buona volont,
cio della decisione di agire conformemente al bene. Non basta conoscere il bene per farlo.
Anche chi ha la coscienza di quale sia il comportamento migliore, spesso e volentieri finisce
per volere, cio per scegliere, quello peggiore.
Infatti, gi prima del peccato originale, secondo Agostino, la finitezza delluomo implicava
la possibilit di volere il male, senza la quale, peraltro, il suo libero arbitrio non sarebbe
potuto essere tale. Dopo il peccato originale, alla mera possibilit di compiere il male,
afferma Agostino, si aggiunge labitudine al male, una sorta di seconda natura che si
oppone alla scelta razionale del bene e fa propendere luomo al male. A maggior ragione,
dopo il peccato originale, per fare il bene del tutto insufficiente conoscerlo, occorre in pi
volere il bene, cio occorre un atto di volont capace di vincere lopposizione dellabitudine
inveterata a commettere il male.
Per vincere questopposizione, afferma Agostino, la volont umana da sola non
sufficiente. Infatti, mentre in origine, quando ancora luomo non aveva peccato, la volont
umana aveva unuguale possibilit di scegliere il bene oppure il male, in seguito al peccato
originale la volont umana si corrotta, ovvero si inclinata verso il male, e dunque la
scelta umana tra bene e male non pi alla pari, ma propensa al male. Per cos dire, la
volont diventa come un dado truccato a favore della faccia del male.

Stando cos le cose, com possibile per luomo liberarsi dal male, ovvero ottenere la
salvezza? Agostino risponde, in modo logicamente consequenziale, che luomo non pu
salvarsi da solo, ma solo grazie allaiuto di Dio. Dio infinitamente giusto, e quindi punisce
giustificatamente luomo per il peccato originale e per tutti i suoi successivi peccati; ma Dio
anche infinitamente misericordioso e quindi pu intervenire a rafforzare la volont
delluomo e consentirgli cos di agire bene. Questo aiuto divino del tutto gratuito, cio
non dipende affatto dal merito umano, che, dopo il peccato originale, non sarebbe
comunque sufficiente a fargli ottenere il premio della salvezza. Dunque, laiuto divino
una grazia e luomo pu salvarsi solo per grazia di Dio, ovvero perch Dio lo grazia.
A questo quadro Agostino aggiunge che Dio sceglie chi graziare in base alla sua infinita
sapienza e dunque luomo non pu pretendere di poter comprendere i criteri della sua
scelta. Luomo deve accontentarsi di sapere che, in base alla sola giustizia, egli meriterebbe
unicamente di essere punito e dunque di essere per sempre dannato, cio condannato al
male eterno. Dunque se Dio non lo salva, luomo non pu lamentarsi; se lo salva deve solo
ringraziare linfinita misericordia divina. In tal senso, per Agostino, ogni individuo
predestinato alla salvezza o alla dannazione. Ma ci non implica che luomo non sia libero,
e dunque responsabile, e che quindi, ancora una volta, il male sia voluto da Dio.

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Predestinazione, infatti, afferma Agostino, non significa che Dio programma e determina le
azioni degli uomini, ma semplicemente che, data la sua onniscienza, conosce quali saranno
le libere scelte di tutti gli individui, e quindi, in base a questa conoscenza, da sempre ha
deciso e sa chi si salver e chi si danner. Oltretutto, precisa Agostino, la libert autentica
non consiste nel libero arbitrio, inteso come possibilit di scegliere indifferentemente il
bene o il male. Il libero arbitrio solo la condizione necessaria, ma del tutto insufficiente
della vera libert. La libert autentica conforme alla razionalit e dunque consiste
unicamente nello scegliere il bene e nellagire per il bene. Dunque gli uomini predestinati
alla salvezza, cio quelli che ricevono laiuto della grazia divina, e quindi riescono a
comportarsi bene, non solo non sono limitati nella loro libert, ma anzi sono gli unici
uomini davvero liberi.

Per comprendere appieno il significato della teoria della salvezza per grazia divina di
Agostino bisogna approfondire le sue implicazioni pratico-morali. La prima, a livello
individuale, quella dellumilt, come valore-faro di ogni altro valore morale. Il primo
peccato, il fondamento di tutti gli altri, stato per Agostino, come abbiamo visto, un
peccato di superbia. Dunque il valore morale fondamentale da seguire per emendarsi da
quel peccato ed evitare di peccare ancora, non pu che essere il contrario della superbia,
cio lumilt, ossia il riconoscimento teorico e laccettazione pratica dei propri limiti. E,
appunto, solo se riconosciamo e accettiamo di poter comportarci bene e salvarci solo in
virt dellaiuto di Dio, solo in tal caso, secondo Agostino, siamo veramente umili e dunque
possiamo emendare il nostro peccato originale.
La seconda implicazione pratico-morale della teoria agostiniana della grazia che ogni
individuo per comportarsi bene e salvarsi deve far parte della chiesa cristiana e obbedire
alle sue decisioni collettive, cio alle decisioni delle autorit ecclesiastiche, in particolare
alle sue prescrizioni comportamentali (sacramenti, messa domenicale, rispetto dei
comandamenti, ecc.). Infatti, Agostino sostiene che la chiesa cristiana la depositaria
terrena della grazia divina e che dunque far parte della chiesa condizione necessaria (ma
non sufficiente!) per ricevere la grazia e quindi raggiungere la salvezza. Addirittura, in tal
senso, Agostino si spinge a sostenere che lecito costringere gli infedeli a convertirsi, cio
farli entrare con la forza nella chiesa cristiana. Se, infatti, fuori dalla chiesa non c
salvezza, costringere qualcuno a farne parte significa fare il suo bene, cio amarlo;
astenersi dal farlo, invece, equivale a fare il suo massimo male, cio a odiarlo, dal momento
che la sua esclusione dalla chiesa cristiana equivale alla condanna alla dannazione eterna.

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TAPPA 6

AGOSTINO: LA STORIA UMANA PROCEDE VERSO LA SALVEZZA


Frattanto Roma fu messa a ferro e fuoco con linvasione dei Goti che
militavano sotto il re Alarico; loccupazione caus unenorme sciagura. Gli
adoratori dei molti falsi di, che con un appellativo in uso chiamiamo pagani
tentarono di attribuire il disastro alla religione cristiana e cominciarono a
insultare il Dio vero con maggiore acrimonia e insolenza del solito. Per questo
motivo io, ardendo dello zelo della casa di Dio, ho stabilito di scrivere i libri de
La citt di Dio contro questi insulti perch sono errori. Lopera mi tenne
occupato per molti anni. Si frapponevano altri impegni che non era
opportuno rimandare e che esigevano da me una soluzione immediata.
Finalmente questa grande opera, La citt di Dio, fu condotta a termine in
ventidue libri. I primi cinque confutano coloro i quali vogliono la vicenda
umana cos prospera da ritenere necessario il culto dei molti di che i pagani
erano soliti adorare. Sostengono quindi che avvengano in grande numero
queste sciagure in seguito alla proibizione del culto politeistico. Gli altri
cinque contengono la confutazione di coloro i quali ammettono che le
sciagure non sono mai mancate e non mancheranno mai agli uomini e che
esse, ora grandi ora piccole, variano secondo i luoghi, i tempi e le persone.
Sostengono tuttavia che il politeismo e relative pratiche sacrali sono utili per
la vita che verr dopo la morte. Con questi dieci libri dunque sono respinte
queste due infondate opinioni contrarie alla religione cristiana. Qualcuno
poteva ribattere che noi avevamo confutato gli errori degli altri senza
affermare le nostre verit. Questo lassunto della seconda parte dellopera
che comprende dodici libri. Tuttavia alloccasione anche nei primi dieci
affermiamo le nostre verit e negli altri dodici confutiamo gli errori contrari.
Dei dodici libri che seguono dunque i primi quattro contengono lorigine delle
due citt, una di Dio e laltra del mondo; gli altri quattro, il loro svolgimento o
sviluppo; i quattro successivi, che sono anche gli ultimi, il fine proprio.
Sebbene tutti i ventidue libri riguardino luna e laltra citt, hanno tuttavia
derivato il titolo dalla migliore. Perci stata preferita lintestazione La citt
di Dio. []
Agostino, Ritrattazioni, Libro II, 43
[] Penso di aver fatto gi abbastanza con una vasta e assai difficile
problematica sull'origine del mondo, dell'anima e del genere umano che ho
distribuito in due categorie, una di quelli che vivono secondo l'uomo, l'altra di
quelli che vivono secondo Dio. Anche in senso analogico le chiamo due citt,
cio due societ umane, di cui una destinata a regnare eternamente con Dio,

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l'altra a subire un eterno tormento col diavolo.


Agostino, La citt di Dio, Libro XV, 1-1
Dai progenitori del genere umano nacque prima Caino che appartiene alla
citt degli uomini, poi Abele che appartiene alla citt di Dio. Riscontriamo
infatti che in un solo uomo si avvera il pensiero dell'Apostolo che ha detto:
Prima non ci che spirituale ma ci che animale, in seguito lo spirituale.
necessario dunque che ogni individuo, poich proviene da una stirpe
condannata, dapprima sia cattivo e carnale in Adamo, in seguito, se si
rinnover rinascendo in Cristo, sar buono e spirituale. Ugualmente in tutto
l'uman genere, quando all'inizio cominciarono a sviluppare le due citt con
nascite e morti, prima nato il cittadino di questo mondo, dopo di lui l'esule
in cammino nel mondo e cittadino della citt di Dio, perch predestinato ed
eletto mediante la grazia, esule quaggi e cittadino lass mediante la grazia.
Se si considera in s anche egli proviene dalla massa che stata tutta
condannata sin dall'inizio. Per Dio, come un vasaio (non per sprezzo ma con
accortezza l'Apostolo usa questa immagine), da una medesima massa ha
foggiato un vaso per usi rispettabili e un altro per usi ignobili. Prima stato
foggiato il vaso per usi ignobili, poi l'altro per usi rispettabili perch, come ho
gi detto, in uno stesso uomo prima v' la forma riprovevole da cui
necessario iniziare ma non rimanervi, poi la forma lodevole a cui avanzando
arrivare e una volta giunti rimanervi. Quindi non ogni uomo cattivo sar
buono, tuttavia non v' uomo buono che non sia stato cattivo, ma quanto pi
prestamente un individuo progredisce nel bene, definisce in s questo
traguardo che ha raggiunto e sostituisce pi celermente la terminologia del
prima con quella del poi. Si legge nella Scrittura che Caino per primo edific
una citt mentre Abele, in quanto esule, non la edific. La citt degli eletti in
cielo, sebbene si procuri nel mondo i cittadini con i quali in cammino finch
giunga il tempo del suo regno. Allora raduner tutti i risorti con il loro corpo,
quando sar loro dato il regno dove regneranno senza limite di tempo con il
loro fondatore, il re di tutti i tempi.
Agostino, La citt di Dio, Libro XV, 1-2
Due amori dunque diedero origine a due citt, alla terrena l'amor di s fino
all'indifferenza per Iddio, alla celeste l'amore di Dio fino all'indifferenza per
s. Inoltre quella si gloria in s, questa nel Signore. Quella infatti esige la
gloria dagli uomini, per questa la pi grande gloria Dio testimone della
coscienza. Quella leva in alto la testa nella sua gloria, questa dice a Dio: Tu sei
la mia gloria anche perch levi in alto la mia testa. In quella domina la
passione del dominio nei suoi capi e nei popoli che assoggetta, in questa si
scambiano servizi nella carit i capi col deliberare e i sudditi con l'obbedire.

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Quella ama la propria forza nei propri eroi, questa dice al suo Dio: Ti amer,
Signore, mia forza. Quindi nella citt terrena i suoi filosofi, che vivevano
secondo l'uomo, hanno dato rilievo al bene o del corpo o dell'anima o di tutti e
due. Coloro poi che poterono conoscere Dio, non lo adorarono e
ringraziarono come Dio, si smarrirono nei propri pensieri e fu lasciato
nell'ombra il loro cuore stolto perch credevano di esser sapienti, cio
perch dominava in loro la superbia in quanto si esaltavano nella propria
sapienza. Perci divennero sciocchi e sostituirono alla gloria di Dio non
soggetto a morire l'immagine dell'uomo soggetto a morire e di uccelli e di
quadrupedi e di serpenti e in tali forme di idolatria furono guide o partigiani
della massa. Cos si asservirono nel culto alla creatura anzich al Creatore
che benedetto per sempre. Nella citt celeste invece l'unica filosofia
dell'uomo la religione con cui Dio si adora convenientemente, perch essa
attende il premio nella societ degli eletti, non solo uomini ma anche angeli,
affinch Dio sia tutto in tutti.
Agostino, La citt di Dio, Libro XIV, 28

Nel 410 d.C. Roma espugnata e saccheggiata dai visigoti di Alarico. La caduta di quella
che era universalmente considerata la citt eterna ha un enorme impatto emotivo sulla
popolazione dellimpero romano: i romani politeisti ne attribuiscono la responsabilit al
cristianesimo accusandolo di costituire un fattore di indebolimento dello Stato; tra tutta la
popolazione dellimpero, cristiani compresi, si diffonde un forte senso di insicurezza e
smarrimento.
Agostino sollecitato da questa temperie storica a difendere la chiesa cristiana dalle accuse
dei politeisti ma anche a rassicurare i cristiani e pi in generale la popolazione romana. Per
conseguire questi obiettivi, elabora una grandiosa teoria della storia umana, incardinata
sulla provvidenza divina, ovvero interpretata come storia della salvezza delluomo da parte
della grazia di Dio.

Secondo Agostino, la storia umana ha un preciso inizio e una precisa fine: comincia con la
cacciata dallEden di Adamo ed Eva e si concluder con il giudizio universale. In questo
senso, la storia, per Agostino, possiede un corso lineare e finito. Si tratta di unaltra epocale
novit, dal momento che, salvo rare eccezioni, tutti i pensatori precedenti avevano
teorizzato il carattere circolare, ripetitivo, e quindi senza fine, del corso storico.
Soprattutto, per, afferma Agostino, il corso storico si impernia su un evento
fondamentale, che ne costituisce lasse, ovvero il suo senso: lincarnazione, la morte in
croce e la resurrezione di Ges Cristo, figlio di Dio e pienamente Dio egli stesso, secondo il

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principio dellunit essenziale della trinit divina. Dio, infatti, si fa uomo, muore e risorge
per portare la salvezza alluomo, cio per permettergli di redimersi dal suo peccato
originale e dunque di scontare del tutto la sua pena, ossia di smettere di soffrire. In altre
parole, la misericordia e la grazia divine nei confronti dellumanit dannata si realizzano
nella manifestazione diretta nel corpo, nelle parole e nelle azioni di un uomo di Dio agli
uomini.
In virt di questo evento decisivo, gli uomini possono accrescere la loro fede e liberarsi
dalla soggezione al peccato e al male. In tal senso, la vita di Ges Cristo per Agostino
costituisce lo spartiacque centrale della storia umana, la divide cio in due tempi con due
diversi ma complementari significati:
1. la storia umana prima di Cristo, il cui senso lattesa del salvatore;
2. la storia umana dopo Cristo, il cui senso lattuazione da parte dellumanit della
possibilit della salvezza attraverso la chiesa cristiana.

E chiaro dunque che, per Agostino, anche la storia umana costituisce un tassello del
disegno creativo di Dio. Essa, cio, la realizzazione di un piano provvidenziale offrire a
tutta lumanit la possibilit della salvezza e permettere la salvezza effettiva di una parte
degli uomini che ne costituisce il senso unico e unitario. In questa prospettiva, sostiene
Agostino, tutti gli eventi storici, anche quelli pi nefandi, sono mezzi per raggiungere il fine
ultimo, ovvero il massimo bene possibile. Da un lato, infatti, i crimini storici sono
responsabilit esclusiva delluomo, in quanto prodotti del cattivo uso del suo libero
arbitrio; dallaltro lato, per, la provvidenza divina li intreccia e li utilizza sapientemente
per realizzare il suo disegno di salvezza. Ne consegue che, per Agostino, il cammino storico
non solo rettilineo, ma anche progressivo: esso infatti procede e si sviluppa, nel suo
insieme, sempre dal peggio al meglio. Fermo restando che, per Agostino, il progresso
storico ha una valenza, se non esclusivamente, almeno fondamentalmente interiore,
religiosa; , cio, essenzialmente un progresso della fede degli uomini.
E in questa cornice, secondo Agostino, lo stesso peccato originale delluomo, e tutti i mali
che ne conseguono, trovano unulteriore e pi profonda giustificazione: grazie ai suoi
peccati luomo pu giungere, sempre con laiuto di Dio, a una consapevolezza del bene e a
una volont di fare il bene maggiori di quelle che avrebbe avuto se non avesse commesso il
peccato originale. Dunque, nel grande piano della creazione divina, anche il massimo male
relativo, il male commesso dalluomo, svolge una funzione positiva, e dunque si volge in
pieno bene. In altre parole, una volta raggiunto il fine della storia umana, tutte le
sofferenze patite dagli uomini saranno completamente redente.

Sulla base di questa visione religiosa della storia, Agostino ne spiega poi la dimensione

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propriamente umana individuandone due agenti essenziali: la citt degli uomini (o citt
terrena) e la citt di Dio (o citt celeste). Chiarito che, con il termine citt (civitas),
intende comunit, aggregato di uomini, Agostino caratterizza le due citt in questo
modo:
la citt delluomo fondata da Caino, assassino per invidia e gelosia del fratello
Abele costituita da tutti gli uomini che antepongono lamore per se stessi a
quello per Dio e di conseguenza vivono secondo la carne, cio mirando a
soddisfare tutti i loro desideri e le loro ambizioni;
la citt di Dio fondata da Abele, il fratello di Caino che piuttosto di uccidere si
lasci uccidere, e rifondata da Cristo stesso costituita da tutti gli uomini che
antepongono lamore di Dio allamore per se stessi e dunque vivono secondo lo
spirito, cio cercando di rispettare i comandamenti divini.
Agostino non identifica del tutto la citt delluomo con gli Stati in senso proprio, n la
citt di Dio con la chiesa cristiana. Entrambe le due citt, infatti, sono comunit
interiori linteriorit invisibile di ogni individuo che stabilisce chi fa parte delluna o
dellaltra dunque non consistono in strutture istituzionali concrete. Di conseguenza, in
linea di principio, le due citt sono compresenti sia negli Stati sia nella chiesa cristiana.
Listituzione statale, inoltre, giustificata da Agostino come unimposizione necessaria
nella dimensione terrena, in quanto male minore, cio in quanto violenza inferiore alla
maggiore violenza che, in una situazione di anarchia, la citt delluomo scatenerebbe. In
questa prospettiva, per Agostino la provvidenza divina ha utilizzato limpero romano per
diffondere meglio a tutti gli uomini il messaggio di Cristo e permettere la nascita e
lespansione della chiesa cristiana.

Di fatto, per, mentre la chiesa cristiana appartiene maggiormente alla citt di Dio, gli
Stati storici rientrano in misura maggiore nella citt delluomo. Infatti, negli Stati storici,
impero romano compreso, secondo Agostino, hanno sempre prevalso gli uomini terreni,
cio avidi, egoisti, ambiziosi e proprio per questo tutti gli Stati storici sono destinati, prima
o poi, alla distruzione. Essi, infatti, proprio perch nascono dalla violenza e crescono sulla
violenza cio sulla conquista e loppressione di altri Stati-popoli alla lunga si scontrano
inevitabilmente con uno Stato pi forte e soccombono. Ed giusto, sostiene Agostino, che
sia cos, perch in questo modo gli Stati si puniscono reciprocamente per i loro crimini.
Limpero romano, in tal senso, non solo non fa eccezione ma addirittura un esempio
iperbolico di violenza criminale, a cominciare dalla sua origine, lassassinio di Remo da
parte del fratello Romolo, una ripetizione del fratricidio di Abele da parte di Caino, a
conferma del fatto che la citt terrena si fonda sul crimine. Dunque, afferma Agostino,

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non n storicamente inspiegabile e strano, n moralmente negativo e riprovevole che


Roma sia distrutta dai germani.

E non c nemmeno motivo di preoccuparsi, di temere che la fine dellimpero romano sia la
fine del mondo, continua Agostino, perch tutti gli uomini possono e devono trovare la
salvezza nella citt celeste, la quale, poich non si fonda sulla violenza ma sullamore,
indistruttibile e destinata da Dio alleternit. Infatti, prosegue Agostino, quando il disegno
storico della provvidenza divina sar compiuto, Dio proclamer la fine del mondo e, con
essa, la fine della storia umana.
Ma, per Agostino, la fine della storia umana coincide con il conseguimento del suo fine: la
salvezza dei giusti, ossia di tutti gli uomini che hanno fatto parte della citt di Dio. La fine
del mondo, infatti, consiste, secondo Agostino, nel giudizio universale, nel corso del quale
Dio separer la citt delluomo dalla citt di Dio, abbandonando la prima alla
dannazione eterna, cio al male e al dolore perenni, e destinando la seconda alla
beatitudine eterna, cio allautentica e perenne felicit.

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TAPPA 7

AGOSTINO: LA FELICITA STA NELLAMARE


22. 32. [] Tu non dicesti: "Sia fatto l'uomo secondo la sua specie", bens:
"Facciamo l'uomo a nostra immagine e somiglianza", per farci riconoscere
quale sia la tua volont. [] Perci tu non dici: "Sia fatto l'uomo", bens:
"Facciamo"; non dici: "secondo la sua specie", bens: "a nostra immagine e
somiglianza". Chi, rinnovato nel cuore, contempla e comprende la tua verit,
non ha bisogno delle indicazioni di altri uomini per imitare la propria specie,
ma con le tue indicazioni riconosce da se stesso quale sia la tua volont, che
buona, gradevole e perfetta. Tu gli insegni, poich ormai ne capace, a
vedere la trinit dell'Unit e l'unit della Trinit. Quindi detto al plurale:
"Facciamo l'uomo", e poi aggiunto al singolare: "e fece Dio l'uomo"; detto al
plurale: "a nostra immagine", e aggiunto al singolare: "a immagine di Dio".
Cos l'uomo si rinnova, nella conoscenza di Dio, secondo l'immagine del suo
creatore e, divenuto spirituale, giudica tutte le cose, quelle evidentemente
che sono da giudicare, mentre egli non giudicato da nessuno.
Agostino, Le confessioni, Libro XIII
26. Noi ravvisiamo in noi l'immagine di Dio, cio della somma Trinit.
Certamente non eguale, anzi assai differente e non coeterna e, per dir tutto
in breve, non della medesima essenza di cui Dio. Tuttavia tale che nessuna
delle cose da lui create gli pi vicina nell'essere ed ancora da perfezionarsi
in un rinnovamento continuo perch gli sia sempre pi vicina nella
somiglianza. Noi esistiamo infatti, abbiamo coscienza di esistere e amiamo il
nostro esistere e l'averne coscienza. []
Agostino, La citt di Dio, Libro XI
25. 36. Ma dove dimori nella mia memoria, Signore, dove vi dimori? Quale
stanza ti sei fabbricato, quale santuario ti sei edificato? Hai concesso alla mia
memoria l'onore di dimorarvi, ma in quale parte vi dimori? A ci sto
pensando. Cercandoti col ricordo, ho superato le zone della mia memoria che
possiedono anche le bestie, poich non ti trovavo l, fra immagini di cose
corporee. Passai alle zone ove ho depositato i sentimenti del mio spirito, ma
neppure l ti trovai. Entrai nella sede che il mio spirito stesso possiede nella
mia memoria, perch lo spirito ricorda anche se medesimo, ma neppure l tu
non eri, poich, come non sei immagine corporea n sentimento di spirito
vivo, quale gioia, tristezza, desiderio, timore, ricordo, oblio e ogni altro, cos
non sei neppure lo spirito stesso, essendo il Signore e Dio dello spirito, e
mutandosi tutte queste cose, mentre tu rimani immutabile al di sopra di tutte

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le cose. E ti sei degnato di abitare nella mia memoria dal giorno in cui ti
conobbi! Perch cercare in quale luogo vi abiti, come se col vi fossero luoghi?
Vi abiti certamente, poich io ti ricordo dal giorno in cui ti conobbi, e ti trovo
nella memoria ogni volta che mi ricordo di te.
Agostino, Le confessioni, Libro X
9. 2. I cristiani sono stimolati da questi sentimenti non solo a favore di se
stessi, ma anche di coloro di cui desiderano la liberazione e temono la
perdizione, si dolgono se si perdono e godono se ottengono la salvezza. A
proposito ricordiamo l'uomo pi buono e pi forte che si vanta delle proprie
debolezze, noi soprattutto che veniamo alla Chiesa di Cristo dai popoli pagani,
perch egli fu il Dottore dei popoli pagani nella fede e nella verit. Egli
[lapostolo Paolo, ndr] si adoper pi di tutti i suoi colleghi nell'apostolato ed
educ con molte lettere i popoli di Dio, non soltanto quelli da lui conosciuti
nel presente, ma anche quelli che si prevedevano in futuro. I cristiani, dico,
mediante gli occhi della fede ammirano con grande gioia quell'uomo,
campione del Cristo che lo addestr e plasm alla lotta, con lui crocifisso, in
lui glorioso, che competeva secondo le regole in una grande gara nel teatro di
questo mondo, in cui divenne oggetto di ammirazione agli angeli e agli uomini
e che consegu la palma della vocazione al cielo negli eventi che la precedono.
Osservano appunto, con gli occhi della fede, che egli godeva con chi gode,
piangeva con chi piange, che all'esterno aveva lotte, all'interno timori, che
bramava morire ed essere con Cristo, che desiderava di vedere i Romani per
conseguire i frutti di bene con loro come con gli altri popoli, che era geloso dei
Corinti ma a causa di questa gelosia temeva che i loro propositi fossero sviati
dalla purezza la quale nel Cristo, che aveva una grande tristezza e un
continuo intimo dolore a causa degli Ebrei, perch essi, ignorando la giustizia
di Dio e volendo sopravvalutare la propria, non erano sottomessi alla giustizia
di Dio, che dichiarava non solo il dolore ma anche il proprio pianto per alcuni
i quali avevano peccato e non avevano fatto penitenza della loro impurit e
fornicazione.
9. 3. Se queste emozioni e sentimenti provenienti dall'amore al bene e dalla
santa carit sono da considerare vizi, permetteremmo che siano considerate
virt quelli che sono veramente vizi. Ma se questi impulsi seguono la retta
ragione in modo che se ne usi quando conviene, non si pu presumere di
considerarli anormalit ossia passioni viziose. Per questo anche il Signore,
che si degnato di condurre la vita umana nella condizione di schiavo ma
senza alcun peccato, si valse di questi sentimenti quando lo ritenne
opportuno. In lui, nel quale erano veri il corpo e l'anima umana, non era falso
l'umano sentimento. Dunque non sono falsi gli episodi riferiti nel Vangelo, e

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cio che si rattrist con risentimento per la insensibilit del cuore dei Giudei,
che disse: Godo per voi affinch crediate, perfino che prima di risuscitare
Lazzaro pianse, che desider mangiare la pasqua con i suoi discepoli, che
all'approssimarsi della Passione la sua anima fu triste. Egli, quando volle, in
virt di una precisa intenzione accolse nel suo animo di uomo queste
emozioni come, quando volle, divenne uomo.
9. 4. Quindi, anche quando sperimentiamo nell'onest e secondo Dio questi
sentimenti, bisogna ammettere che sono di questa vita, non di quella futura
che speriamo e che ad essi spesso contro voglia cediamo. Talora piangiamo,
anche senza volerlo, quantunque siamo mossi non da desiderio colpevole ma
da lodevole carit. Li sperimentiamo dunque per la debolezza della
condizione umana. Non cos Ges, nel quale anche la debolezza deriv dalla
sua forza. Ma fintantoch abbiamo indosso la debolezza di questa vita, se non
avessimo affatto queste emozioni, allora piuttosto non vivremmo secondo
onest. L'Apostolo rimproverava e biasimava alcuni anche perch, diceva,
erano senza sentimento. Anche il Salmo li ha ripresi perch di essi dice: Ho
atteso chi mi compatisse, e non vi fu. Infatti non provare alcun dolore,
mentre siamo in questa condizione d'infelicit, certamente, come ha ritenuto
e detto anche uno degli scrittori della cultura profana, non avviene senza un
gran contributo di brutalit nell'animo e d'insensibilit nel corpo. V' quello
stato che in greco si denomina e che si potrebbe tradurre impassibilit. Poich
riguarda l'anima e non il corpo, se si deve intendere nel senso che si vive
senza queste emozioni, le quali condizionano la ragione e turbano la
coscienza, onesta e sommamente desiderabile, ma anche essa non di
questa vita. Non di individui qualunque ma veramente devoti e molto avanzati
nella santit sono le parole: Se dicessimo di non avere il peccato, inganniamo
noi stessi e in noi non la verit. Allora si avr l'apathia quando nell'uomo
non si avr alcun peccato. In questo mondo si vive abbastanza onestamente se
si vive senza delitto; chi invece ritiene di vivere senza peccato, non si
comporta in maniera da non avere il peccato ma di non ottenerne il perdono.
Inoltre se apathia si deve denominare lo stato in cui nessun sentimento pu
sfiorare l'animo, ciascuno ritiene che tale insensibilit peggiore di tutti i
vizi. Essa pu quindi non irragionevolmente esser considerata felicit
definitiva se avverr senza l'assillo del timore e senza alcuna tristezza, ma
soltanto chi alieno dalla verit potr dire che in quello stato non vi saranno
l'amore e il godimento. Se poi lo stato in cui non atterrisce il timore n
affanna il dolore, si deve rifiutare in questa vita, se in questa vita vogliamo
vivere onestamente, cio secondo Dio, ma si deve sperare per la vita felice che
ci promessa nell'eternit.
Agostino, La citt di Dio, Libro XIV

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5. Per questo sarebbe stato incredibile una volta; ma ora il mondo ha creduto
che il corpo terrestre del Cristo stato elevato al cielo. Individui dotti e
ignoranti, esclusi pochissimi istupiditi, tanto dotti che ignoranti, hanno
creduto la risurrezione della carne e l'ascensione nelle dimore celesti. Se
hanno creduto una cosa credibile, riflettano quanto sono stolti quelli che non
credono; se invece stata creduta una cosa incredibile, anche questo
incredibile, che sia stato creduto ci che incredibile. Dunque il medesimo
Dio, prima che uno dei due eventi si avverasse, ha predetto che si sarebbero
avverati tutti e due questi eventi incredibili, cio la risurrezione del nostro
corpo nell'eternit e che il mondo avrebbe creduto una cosa cos incredibile.
[]
Agostino, La citt di Dio, Libro XXII

Come abbiamo visto, Agostino inventa una nuova concezione di Dio: un Dio persona,
dotato di unautocoscienza, di volont e di sentimenti, cio capace di amare; un Dio che, in
quanto uno e trino, insieme essere (in quanto padre), conoscenza (in quanto figlio) e
bene/amore (in quanto spirito santo).
La nuova teologia di Agostino il fondamento della sua altrettanto nuova antropologia. In
altre parole, la concezione delluomo di Agostino discende direttamente dalla sua
concezione di Dio. In questo modo, la rivoluzione teologica agostiniana innesca una forse
ancor pi profonda e influente rivoluzione antropologica.

Tre sono i ponti che congiungono, secondo Agostino, Dio alluomo, consentendo di
attribuire alluomo alcune caratteristiche divine:
1. innanzitutto, il dettato biblico, secondo il quale Dio fece luomo a propria
immagine e somiglianza;
2. in secondo luogo, Ges Cristo, Dio che si fatto corpo umano e ha assunto tutte le
caratteristiche di un individuo umano;
3. infine, lo spirito santo, Dio come amore, che soffia nelluomo e in ogni creatura, in
quanto la creazione latto damore per eccellenza.
E immediato notare come questi tre legami tra Dio e luomo corrispondano alle tre
persone della trinit divina. E infatti Agostino afferma che luomo immagine di Dio
innanzitutto e soprattutto in quanto lindividuo umano possiede tre facolt fondamentali,
corrispondenti alle tre persone della trinit divina:
1. lessere, cio la propria esistenza individuale;
2. il conoscere, cio la propria mente capace di conoscenza;

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3. lamare, cio linsieme dei sentimenti che tendono e portano al bene.

Dunque luomo una copia di Dio ed per questo, per Agostino, che pu cercare e trovare
Dio dentro di s, in particolare in quellarca della mente che la memoria. Naturalmente
sussiste una differenza decisiva tra loriginale e la sua copia: Dio infinito, luomo finito;
Dio e luomo hanno le stesse qualit, ma le qualit divine sono infinite, mentre quelle
umane sono finite. Questo spiega anche perch luomo, a differenza di Dio, ha commesso e
commette il male.
Ci non toglie che luomo, secondo Agostino, abbia, seppure in tono minore, la stessa
conformazione di Dio, cio sia isomorfico a Dio. Poich Dio una persona, ogni uomo, in
quanto simile a Dio, una persona, cio una personalit unica e irripetibile, dotata di un
valore assoluto. In parole ancora pi chiare: le caratteristiche specifiche, esteriori e
interiori, di ogni individuo (il volto, il carattere, i gusti, ecc.) hanno un valore di gran lunga
maggiore delle sue caratteristiche comuni a tutta la specie umana (p.e. la bipidit).
Agostino non si limita a teorizzare questa tesi, ma la pratica continuamente: soprattutto
nelle sue opere autobiografiche ed esistenzialistiche, ma spesso anche nelle altre, Agostino
parla di se stesso, della propria personalit, delle proprie vicende, dei propri sentimenti,
delle proprie colpe. In questo senso, si pu dire che linvenzione agostiniana del nuovo
genere filosofico dellautobiografia esistenziale deriva proprio dalla sua nuova concezione
delluomo come persona e ne , al contempo, la pi riuscita e profonda espressione.

La seconda caratteristica nuova del Dio agostiniano lamore. In quanto persona, Dio ama,
cio prova dei sentimenti. Di conseguenza, se luomo simile a Dio, concepire luomo come
persona significa anche, per Agostino, valorizzare la sua componente emotivosentimentale. Per, se luomo si qualifica come persona in quanto prova dei sentimenti,
essendo, a differenza di Dio, una persona finita, i suoi sentimenti autentici sono quelli che
esprimono non solo e tanto la sua sicurezza, la sua forza e la sua autonomia, quanto la sua
insicurezza, la sua debolezza e la sua dipendenza. Si tratta di una rottura radicale con
lantropologia e letica greco-romane, in particolare con i principi etici delle filosofie
ellenistiche: limpassibilit (aptheia) e limperturbabilit (atarassa) degli stoici, degli
epicurei e degli scettici.
Pi in generale, mentre le filosofie etiche dellet ellenistica, ma anche il neoplatonismo,
ritenevano che luomo potesse essere autonomo e autosufficiente, cio in grado di
conquistare autonomamente la felicit nel corso della vita terrena, Agostino nega
recisamente che questo sia possibile: luomo, nella dimensione terrena, pu solo ridurre
ma mai eliminare la sofferenza, e dunque ipocrita e, insieme, inumano proporsi di
debellare i sentimenti legati al dolore e le loro manifestazioni, a cominciare dal pianto.

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La felicit umana raggiungibile, afferma Agostino, solo limitatamente nella vita terrena e
pienamente solo nella vita ultraterrena, cio come beatitudine eterna. In entrambi i casi,
inoltre, luomo pu provare la felicit solo grazie allintervento divino, cio solo se
riconosce umilmente la sua insufficienza e si affida a Dio.

Unulteriore, fondamentale rottura agostiniana, relativamente alla concezione grecoromana delluomo, riguarda il giudizio del corpo. Per Platone e per i neoplatonici il corpo
era la tomba dellanima, la fonte dellerrore e del male, e come tale la felicit ultraterrena
dellanima coincideva con la totale liberazione dellanima dal corpo. Per Agostino il corpo
non affatto fonte di male in se stesso, ma lo diventa solo in seguito al peccato originale,
cio per una decisione errata della libera volont, ovvero dellanima, delluomo.
Il corpo umano, secondo Agostino, bene e non pu che essere bene in quanto un corpo
creato da Dio, in cui Dio si incarnato come Ges Cristo e con il quale, sempre come Ges
Cristo, risorto e assurto in cielo. E infatti Agostino sostiene che, alla fine dei tempi, tutti i
corpi umani risorgeranno e la vita eterna sar propria sia delle anime sia dei corpi.
Solamente, il corpo che vivr eternamente sar un corpo compiutamente spiritualizzato,
cio un corpo in perfetta sintonia con la ragione e con il bene, ossia capace solo di fare il
bene.

Su questa base, la proposta etica di Agostino consiste nel vivere secondo lo spirito, ossia
nellavvicinarsi il pi possibile, con laiuto della grazia divina, alla corporeit spiritualizzata
della vita ultraterrena. Ma cosa vuol dire vivere secondo lo spirito? Fondamentalmente
per Agostino significa amare, vivere amando. Ma attenzione. Secondo Agostino, vi sono
due generi di amore, uno vero e uno falso. Il vero amore la carit (charitas), il falso
amore il desiderio (cupiditas).
La carit consiste nellamare innanzitutto Dio, come oggetto e fine ultimo del proprio
amore, e nellamare se stessi, gli altri uomini e tutte le cose come mezzi per raggiungere il
proprio fine ultimo, cio Dio. Di conseguenza amare autenticamente, ossia vivere secondo
lo spirito significa, per Agostino, seguire le regole morali che Dio d agli uomini attraverso
la chiesa cristiana.

Il desiderio, invece, significa amare innanzitutto se stessi come oggetti e fini ultimi, e
amare in secondo luogo gli altri e tutte le cose unicamente come mezzi per amare se stessi.
Il desiderio, in altre parole, egoismo ed egocentrismo mascherati ipocritamente da
amore. Vivere seguendo la legge del desiderio, afferma Agostino, significa vivere secondo

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la carne, ovvero seguendo i propri istinti fisici, godendo senza limiti di tutti i piaceri
corporei possibili. Ma vivere in questo modo significa non solo procurare il dolore agli altri
ma anche procurarlo a se stessi.
Chi vive secondo la carne, cio desiderando, sar dunque gi parzialmente punito nella
vita terrena per poi essere totalmente punito nella vita ultraterrena con linfelicit eterna;
chi vive secondo lo spirito, cio amando, sar gi parzialmente premiato nella vita
terrena per poi essere totalmente premiato nella vita celeste con la beatitudine eterna,
ossia la contemplazione diretta di Dio.
In conclusione, il criterio etico decisivo di Agostino dunque quello dellamore: Ama e fa
ci che vuoi! in tal senso il suo messaggio pi netto ed emblematico.

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