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LE
(DIS)AVVENTURE
DEL
PENSIERO
FILOSO/SCIENTI-FICO
IL CORSARO
editore
LORIZZONTE ANTICO
IL MAPPAMONDO
LORIZZONTE ANTICO
LA SCOPERTA: LA REALTA COME ORDINE NATURALE
Cannocchiale su
LORIZZONTE STORICO-CULTURALE DELL ETA GRECA ARCAICA (VIII-VI sec. a.C.)
MESSAGGIO NELLA BOTTIGLIA
MAPPA
MAPPA
ALLARREMBAGGIO
IL DUELLO
ROTTA SU... I COSMOLOGI RAZIONALISTI
VITE DI CAPITANI: ERACLITO, PITAGORA, FILOLAO, PARMENIDE, ZENONE
Tappa 1: ERACLITO: IL PRINCIPIO E UNA LEGGE
VIAGGI DI IERI&VIAGGI DI OGGI: IL FUOCO E LA RELATIVITA RISTRETTA
Tappa 2: I PITAGORICI: IL PRINCIPIO SONO I NUMERI
VIAGGI DI IERI&VIAGGI DI OGGI: I PITAGORICI E LA FORMULA E=MC2
Tappa 3: PARMENIDE: LA REALTA E SOLO ESSERE
Tappa 4: ZENONE: LA MOLTEPLICITA E IL MOTO SONO ASSURDI
VIAGGI DI IERI&VIAGGI DI OGGI: ZENONE, IL CALCOLO INFINITESIMALE E IL
PRINCIPIO DI RELATIVITA
Tappa 5: LA SCIENZA DEI COSMOLOGI RAZIONALISTI
LO SCRIGNO
AMIR D. ACZEL: LA SCOPERTA DEL CONTINUO GEOMETRICO
KARL POPPER: LE FASI LUNARI COME GIOCO DI LUCE E OMBRA
LA MAPPA
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LA MAPPA
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LA MAPPA
LA MAPPA
LO SCRIGNO
ALEX VILENKIN: LUNIVERSO E CONTRADDITTORIO
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LORIZZONTE MEDIOEVALE
XI VIAGGIO LA REALTA COSTRUZIONE RAZIONALE DI DIO
CANNOCCHIALE SU
LORIZZONTE STORICO-CULTURALE DEL MEDIOEVO
LORIZZONTE SCIENTIFICO DEL MEDIOEVO
LORIZZONTE FILOSOFICO DEL MEDIOEVO
MESSAGGIO NELLA BOTTIGLIA
ROTTA SU... LA SCOLASTICA
VITA DI UN CAPITANO: ANSELMO DAOSTA
Tappa 1: ANSELMO: LESISTENZA DI DIO SI PUO DIMOSTRARE
VITA DI UN CAPITANO: TOMMASO DAQUINO
Tappa 2: TOMMASO: LESISTENZA DI DIO SI PUO ARGOMENTARE A POSTERIORI
Tappa 3: TOMMASO: DIO ESISTE PER ESSENZA
Tappa 4: TOMMASO: DIO HA CREATO UN COSMO AUTONOMO
Tappa 5: TOMMASO: LA VERITA E ASSIMILAZIONE DELLA MENTE ALLE COSE
Tappa 6: TOMMASO: LA FELICITA E LA CONTEMPLAZIONE DI DIO
Tappa 7: TOMMASO: LO STATO MIGLIORE E UNA REPUBBLICA PRESIDENZIALE
LO SCRIGNO
GERARD SCHROEDER: LA NATURA POSSIEDE UNINTELLIGENZA
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LA SCOPERTA
LA REALT COME ORDINE NATURALE
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Cannocchiale su
LORIZZONTE STORICO-CULTURALE
LETA GRECA ARCAICA (VIII-VI sec. a.C.)
Dallantichit per tradizione e oggi per convenzione, la nascita della filosofia cio del
pensiero di tipo razionale viene fatta coincidere con la vita e lopera di Talete di Mileto,
nato nel 626 e morto nel 548 a.C. Mileto era una citt greca situata sulla costa egeica
dellAnatolia, antica Asia Minore, attuale Turchia. In altre parole, la filosofia cominci e si
svilupp nel VI secolo a.C. in seno alla nazione greca, che per allora era stanziata non solo
sul territorio dellattuale Grecia, ma anche sulla costa egeica dellAnatolia, nella Magna
Grecia (lattuale Sud Italia), in Sicilia, e, bench in misura minore, anche sulle coste del
Mar Nero, dellAfrica settentrionale e della Francia meridionale.
La civilt greca arcaica era il prodotto finale di una serie di migrazioni e quindi di
sovrapposizioni e fusioni di diverse popolazioni, tutte appartenenti per al ceppo
linguistico indoeuropeo: i minoici, risalenti al 3600 a.C.; i micenei (gli achei dellIliade)
insediatisi tra il 1400 e il 1200; infine i dorici, che emigrarono nellEllade a partire dal 1100
a.C. A queste invasioni-migrazioni, seguirono circa tre secoli di decadenza culturale, il
cosiddetto medioevo ellenico (XI-IX secolo), durante i quali, per, si diffuse la tecnica di
lavorazione del ferro. Gi in questi secoli medievali, inoltre, i greci, sullonda di una forte
crescita demografica, emigrarono verso lEst e colonizzarono progressivamente le coste
occidentali dellAnatolia.
Il successivo inizio del periodo arcaico (VIII-VI secolo a.C.) fu caratterizzato politicamente
dalla nascita e dalla diffusione delle poleis, cio di un nuovo tipo di Stato. La polis non fu
propriamente uno Stato cittadino. Soprattutto inizialmente, e anche successivamente nella
maggior parte dei casi, la polis era unorganizzazione politica unitaria, uno Stato appunto,
comprendente pi villaggi e i territori rurali circostanti. Solo pi tardi, e solo in alcuni casi,
per esempio quello di Atene, la polis ebbe una connotazione prevalentemente urbana,
bench includesse pur sempre anche aree rurali. Tuttavia, le poleis, bench in misura
diversa, erano caratterizzate: da uneconomia non solo agricola ma anche, e in certi casi e
periodi soprattutto, commerciale e industriale; da una notevole diversificazione sociale
(grandi proprietari terrieri aristocratici, contadini piccoli o medi proprietari, mercanti,
artigiani, schiavi) e da una gestione collettiva del potere politico, inizialmente di tipo
aristocratico, successivamente, almeno in molti casi, di tipo oligarchico e perfino
democratico, anche se si tratt sempre di democrazie unicamente maschili.
Tra lVIII e il VII secolo, dalle poleis greche partirono nuove ondate migratorie dirette
questa volta verso lOvest, cio verso lItalia meridionale e la Sicilia, che portarono alla
fondazione di decine di nuove poleis, tutte indipendenti, ma con forti legami con le poleis
da cui erano partiti i colonizzatori. In tal modo, allinizio del VI secolo, la Grecia
comprendeva:
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I Greci, dunque, erano stanziati su unampia parte del bacino del Mediterraneo ed erano
politicamente divisi in una miriade di poleis indipendenti. Tuttavia, i Greci, pur non
facendo parte di un unico Stato, costituivano una nazione, cio una popolazione omogenea
per lingua, costumi, tradizioni storico-culturali. Per quanto riguarda queste ultime, una
particolare importanza rivestiva la religione, sebbene fosse tuttaltro che unica e uniforme.
I Greci, infatti, praticavano due culti religiosi diversi, bench compatibili e
progressivamente integrati tra loro:
1) quello ufficiale degli dei olimpici o celesti (Zeus, Atena, Apollo, Era, Afrodite,
ecc.), di origine dorica e strettamente legato allaristocrazia, o comunque alla
classe dominante e dirigente, e dunque alla gestione del potere e allo
svolgimento della vita politica delle poleis;
2) quello spontaneo degli dei terreni o agresti (Demetra, Persefone o Core,
Dioniso), retaggio delle civilt elleniche predoriche, legato prevalentemente
alla popolazione contadina, e dunque alla vita agricola delle campagne; un
culto spesso caratterizzato da rituali basati su travestimenti, danze sfrenate,
stati debbrezza alcolica, rapporti sessuali orgiastici, ma anche dai misteri,
riti che dovevano essere tenuti segreti (di qui il nome) durante i quali ai fedeli
erano svelate, spesso con rappresentazioni mimico-teatrali, verit relative
alla vita individuale successiva alla morte.
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In effetti, a livello dottrinale, la principale differenza tra le due tradizioni religiose greche
concerneva proprio il destino umano post mortem: per la religione olimpica, dopo la
morte, sopravviveva soltanto unombra dellindividuo nellAde, una sorta di mondo
sotterraneo, in una condizione tuttaltro che felice; invece, per la religione agreste dopo la
morte lanima individuale era destinata a una seconda vita pi felice della prima.
A questo dualismo, va poi aggiunto che ogni polis aveva una propria divinit privilegiata
differente da quelle venerate dalle altre. Ciononostante i Greci si riconobbero
gradualmente in un comune pantheon, composto dallinsieme di tutte le diverse divinit
venerate nelle varie poleis, giungendo anche a integrare dei celesti e dei terreni, come
attestato dallintroduzione ad Atene nel VI secolo delle feste dionisie nei cerimoniali
ufficiali della polis. In tal modo emersero dei templi comuni a tutti i Greci, come quello di
Apollo a Delfi, quello di Zeus a Olimpia, quello di Demetra a Eleusi. Inoltre, a partire dal
776 a.C. a Olimpia ogni quattro anni si svolgevano i Giochi olimpici, cerimonia religiosa in
onore di Zeus, cui partecipavano atleti di ogni polis greca.
Per completare il quadro della religiosit greca, per, alle due principali tradizioni
religiose, quella celeste e quella terrestre, va aggiunto un movimento religioso particolare,
di origini orientali: lorfismo, che prese il nome dal leggendario cantore Orfeo, il
protagonista del famoso mito di Orfeo ed Euridice. Come la religione demetro-dionisiaca,
la religione orfica puntava alla salvezza individuale dopo la morte, ma diversamente da
quella per lorfismo lobiettivo poteva essere conseguito soltanto seguendo rigorose
prescrizioni comportamentali di tipo ascetico. In particolare, la dottrina orfica sosteneva
che la natura umana originaria divina, immateriale e immortale, che luomo diventato
corporeo e mortale per punizione di una colpa commessa e che la sua missione purificarsi
dalla fisicit per riconquistare la propria condizione divina originaria.
Laltra grande sorgente della cultura greca, bench fortemente intrecciata con quella
religiosa, era costituita dalla tradizione artistica, quella poetico-letteraria, che includeva
anche la musica (la musica greca era tuttuno con la poesia), e quella delle arti plastiche
(scultura, pittura, architettura). Tutta la produzione artistica greca affondava le sue radici
in un sostrato comune, quello dellantico patrimonio mitico, costituito da miriadi di
racconti, molti dei quali in diverse versioni a seconda delle comunit e dei tempi. I miti
greci, la cui origine si perde nella notte dei tempi, erano il frutto dellinventiva popolare,
erano stati tramandati e arricchiti oralmente per secoli dagli aedi cantori professionisti
che si accompagnavano con la cetra ed erano imperniati sulle relazioni tra le divinit, tra
gli uomini e tra le divinit e gli uomini. Lingente e variegato patrimonio mitico greco orale
conflu, a partire forse dallVIII secolo a. C. (ma per alcuni studiosi addirittura dallXI), in
tre principali filoni letterari:
a) nei poemi Iliade e Odissea, attribuiti allaedo Omero;
b) nei poemi Teogonia e Opere e giorni del poeta Esiodo (VII secolo a.C.);
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c) nelle poesie liriche (cos chiamate perch cantate accompagnata dal suono della lira,
una cetra di dimensioni pi piccole) di numerosi poeti (Alceo, Saffo, Pindaro, ecc.)
vissuti nei secoli VII e VI a.C.
Furono soprattutto i grandi poemi di Omero e Esiodo a contribuire alla formazione della
cultura greca arcaica. I personaggi di questi poemi, e i loro comportamenti, infatti,
costituirono per i Greci successivi altrettanti modelli da imitare, ovvero un vero e proprio
repertorio di valori e regole etiche. In questo senso, anche la tradizione poetico-letteraria
greca presentava un dualismo corrispondente a quello religioso tra religiosit celeste e
religiosit terrena. I poemi omerici rappresentavano e propagandavano un modello
aristocratico di uomo il guerriero-eroe, lindividuo superiore basato sui valori della
forza, dellonore e dellorgoglio (soprattutto nellIliade) cui per si aggiungevano
(soprattutto nellOdissea) quelli dellintelligenza e della capacit di parlare in modo
persuasivo (vedi lepisodio di Odisseo e Polifemo), nonch quelli pacifici
dellamministrazione delleconomia domestica e della gestione dei rapporti familiari (vedi
il ritorno di Odisseo a Itaca). Al contrario, i poemi esioidei riflettevano e diffondevano un
modello contadino duomo il piccolo/medio proprietario terriero, luomo comune
offrendo, da un lato, una sintesi organica e completa dei miti Greci ovvero una
visione/spiegazione mitologica complessiva della natura e dei suoi principi divini e,
dallaltro, una nuova tavola dei valori, incentrata sul principio egualitario della giustizia
(dke).
A sua volta la poesia lirica, pi tarda, e composta per essere cantata nelle cerimonie
ufficiali delle poleis, veicolava i valori sociali connessi alla loro nascita e al loro sviluppo, e
di conseguenza tradusse il valore cosmico della giustizia in quelli politici della legge
(nmos) e del buon governo (eunoma).
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secolo, le scienze erano concepite e praticate come ricerche particolari allinterno della
filosofia). Come nel caso dellalfabeto, per, fin dallinizio e soprattutto a partire dal VI
secolo, gli intellettuali greci (che cominciarono a chiamarsi e a essere chiamati filosofi)
svilupparono in modo originale e potenziarono il patrimonio di conoscenze scientifiche
ereditato dai popoli del Medio Oriente.
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I VIAGGIO
LORDINE COME PRINCIPIO FISICO UNICO
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ROTTA SU
I COSMOLOGI MONISTI
Occorre prima di tutto unavvertenza generale. Di tutti i filosofi greci antecedenti a
Platone non ci pervenuta alcuna opera, ma solo frammenti pi o meno numerosi e
significativi a seconda dei casi e testimonianze indirette di filosofi, cronisti o storici
della filosofia successivi. Pertanto il loro pensiero una ricostruzione affinata nel tempo,
il pi possibile completa, fedele e sorvegliata, ma pur sempre ipotetica e non esaustiva.
Filosofia deriva dallunione di due termini greci: phils e sopha, che rispettivamente
significano amore e conoscenza. Dunque, letteralmente filosofia significa amore della
conoscenza. Ma ci che si ama lo si cerca. Pertanto, possiamo meglio tradurre filosofia
con ricerca della conoscenza.
Allinizio, e fino almeno al XVI secolo, la filosofia strettamente legata a quelle ricerche
conoscitive che oggi chiamiamo scienze (i Greci per scienza intendevano conoscenza
nel senso forte di conoscenza vera). Nellantichit esse si differenziano dalla filosofia
perch la filosofia considerata ricerca conoscitiva della realt nel suo insieme, cio nella
sua totalit; mentre le scienze sono considerate ricerche conoscitive di settori particolare
della realt (lastronomia dei corpi celesti e dei loro moti, la meteorologia dei fenomeni
atmosferici terrestri, la fisica dei moti terrestri, la biologia degli esseri viventi terrestri,
ecc.). In tal senso filosofia e scienze, nellantichit, si praticano insieme, e, seppur in
misure e modi diversi, i filosofi sono anche scienziati e gli scienziati anche filosofi.
La nascita, almeno ufficiale, della filosofia tradizionalmente individuata nel pensiero di
un intellettuale di nome Talte, nato e vissuto a Mileto tra la fine del VII e linizio del VI
secolo a.C. Sempre la tradizione storiografica ci ha tramandato che Talete avrebbe avuto
un discepolo, Anassimndro, e questo a sua volta un altro discepolo, Anassmene. Questi
tre filosofi vengono pertanto considerati altrettanti esponenti di ununica scuola, cio di
una corrente di pensiero omogenea, detta scuola di Mileto. Ci significa che Talete,
Anassimandro e Anassimene, bench abbiano elaborato filosofie originali e differenti,
condividono una medesima impostazione di fondo, una stessa visione complessiva della
realt.
Per tutti e tre, innanzitutto, la realt, ossia tutto ci che esiste, solo fisica, ovvero
materiale, e quindi sensibile, cio conoscibile solo a partire dei nostri cinque sensi. In
secondo luogo, la realt natura (in greco physis, da cui fisica), ovvero qualcosa che
nasce (natura viene dal latino nascor/natus) e quindi muore. Ci implica che la realt
concepita dai filosofi di Mileto come materia vivente, come vita. Questa concezione della
materia tradizionalmente denominata ilozoismo (dal greco hyle=materia e
zion=essere vivente), ma possiamo anche chiamarla organicismo, riferendoci alla
differenza attuale tra natura meccanica e natura organica (o vivente o biologica). Oggi,
per, consideriamo natura organica solo gli esseri vegetali e animali, non quelli minerali.
I filosofi di Mileto, invece, ritenevano che i minerali fossero dei viventi con un basso
grado di vitalit, basandosi forse sulla considerazione che gli esseri viventi presentano
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diversi gradi di vitalit (p.e., i vegetali sono meno vitali degli animali) e su alcuni
fenomeni magnetici (la calamita che attrae schegge di ferro) ed elettrici (lambra che
attrae i capelli) che erano creduti altrettante manifestazioni della forza vitale.
In terzo luogo, e soprattutto, la realt fisica per tutti e tre i filosofi di Mileto ordinata,
costituisce un ordine. In greco antico ordine si diceva csmos, ossia cosmo, parola che poi
diventata sinonimo di universo. In questo doppio senso, i primi filosofi sono chiamati,
oltre che fisici (da physis=natura), cosmologi. La loro tesi fondamentale la realt
csmos, cio ordine costituisce il presupposto necessario della filosofia e delle scienze
(astronomia, matematica, fisica, medicina, ecc.). La filosofia e le scienze, infatti,
consistono proprio nella ricerca conoscitiva dellordine della realt, in quanto questa si
presenta immediatamente disordinata, apparentemente priva di qualsiasi ordine.
Per i milesii cercare lordine della realt fisica significa individuare il suo principio
(arch in greco) unico: la sua scaturigine, ovvero la sua causa prima, la sostanza di cui
fatta, la legge che la governa. Talete, Anassimandro e Anassimene qualificano in tre
modi diversi il principio rispettivamente, come Acqua, come Illimitato e come Soffio
(aria che si muove) ma per tutti e tre esso ci che d lesistenza a ogni cosa (cio che fa
essere la realt fisica, che la rende reale) proprio in quanto la ordina. E la ordina in
quanto, essendo unico, la unifica, ne costituisce cio il denominatore comune al di l delle
innumerevoli differenze.
Ma per cercare occorre uno strumento. Lo strumento della ricerca conoscitiva il
metodo razionale, ossia argomentativo: una procedura logico-linguistica in base alla
quale ogni conoscenza che ambisca a (im)porsi come vera, cio come uneffettiva
descrizione/spiegazione della realt, deve essere giustificata/provata con uno o pi
argomenti, in modo tale che possa essere controllata e messa alla prova da tutti ed
eventualmente criticata e cambiata. In altre parole, la propriet decisiva del metodo
razionale (o razionalit o ragione), proprio della filosofia e delle scienze, quello di
essere criticabile, la criticabilit, perch la criticabilit permette di perfezionare le
conoscenze, cio di renderle sempre pi vere. Il valore della scienza contemporanea sta
essenzialmente nella sua capacit di cambiare, di innovarsi continuamente, perch
grazie a questa capacit che godiamo di un progresso scientifico, cio che la nostra
conoscenza della realt si amplia e si approfondisce.
A sua volta la criticabilit implica la discussione e questultima lesistenza di una
comunit di intellettuali in comunicazione tra loro. Quindi il metodo
razionale/argomentativo anche un metodo dialogico o dibattimentale. Come vedremo,
per, il metodo razionale o argomentativo ovvero la ragione o razionalit pu essere
concepito e praticato in modo diversi. In questo senso, la filosofia e le scienze sono anche
ricerca e dibattito critico intorno a quale sia il metodo razionale migliore per cercare, e
possibilmente trovare, la conoscenza della realt, cio il suo ordine nascosto.
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VITE DI CAPITANI
TALETE, ANASSIMANDRO, ANASSIMENE
La culla della filosofia occidentale fu la Grecia del VII-VI secolo a.C. e in particolare la citt
di Mileto, sulle coste egee dellattuale Turchia, che allora faceva parte delle colonie ioniche
in Anatolia, ovvero della parte pi orientale della nazione greca. Le colonie ionicoanatoliche, e soprattutto Mileto, erano citt commerciali, floride e allavanguardia per
mentalit e costumi, in stretto rapporto economico e culturale con le civilt mediorientali:
Fenici, Egiziani, Babilonesi, Israeliti, Persiani.
Fu a Mileto che nacque e visse Talete (640-550 c.ca), di origine fenicia (come il greco
scritto), che la tradizione considera il primo filosofo, ovvero il fondatore dellimpresa
filosofica. Questo suo primato e la distanza temporale lo hanno avvolto in unaura
leggendaria egli era considerato uno dei mitici Sette Sapienti dellantica Grecia che ci
impone di dubitare di almeno alcune delle informazioni che ci sono state tramandate sulla
sua vita. Per esempio, che viaggi in Egitto (che per i Greci era il Paese dei sapienti), dove
avrebbe calcolato laltezza delle piramidi in base alla proporzionalit con le loro ombre), e
in Mesopotamia (un altro Paese di sapienti per i Greci antichi). Queste notizie si
connettono alla sua attivit di matematico: gli sono attribuiti 3 teoremi relativi ai triangoli,
alle rette parallele e alla circonferenza. Platone, nel dialogo Teeteto, riporta un anedotto
allegorico della sua vita: camminando allaperto con gli occhi fissi al cielo, cio immerso
nello studio degli astri, non vide una grande buca e vi ci cadde dentro, suscitando le
fragorose risate di scherno di una sua serva tracia (i traci erano considerati ignoranti e
rozzi). Il significato allegorico dellaneddotto chiaro: il filosofo un uomo con la testa tra
le nuvole, cio un uomo dedito alla theora (in greco, contemplazione, cio osservazione
concentrata), disinteressato alla realt immediata e, pertanto, poco o per niente pratico e
quindi incompreso e dileggiato dalla gente comune. Aristotele, invece, ci riporta un
episodio di tenore diverso, se non opposto, della vita di Talete: osservando gli astri e gli
eventi meteorologici, Talete predisse uneccezionale raccolta di olive, affitt tutti i frantoi
di Mileto e, dopo il raccolto, impose un prezzo altissimo ai contadini per il loro uso,
arricchendosi incredibilmente. Forse fu da Talete che il termine speculazione (dal
termine latino che traduce il greco theora), che inizialmente significava pensiero
astratto, assunse il secondo significato di operazione economica che consegue alti
guadagni. Scherzi a parte, lepisodio raccontato da Aristotele attesta che il filosofo capace
di sfruttare utilitaristicamente la sua conoscenza e pertanto sa essere pi pratico degli
uomini comuni. In questo senso, ci stato anche tramandato che Talete avrebbe permesso
allesercito di Creso, re della Lidia, di guadare un fiume facendo costruire un canale che,
dividendone le acque, ne dimezzava la profondit e la corrente. Infine, sappiamo anche che
Talete previde leclissi solare del 585 (che aveva a tal punto atterrito Lidi e Medi da far loro
sospendere una battaglia). Ma Talete non si limit alle previsioni astronomiche. Previde
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infatti anche lespansionismo persiano e consigli le poleis ioniche (quelle dellAsia Minore
e dellAttica) di prevenirlo costituendo una lega politico-militare. Quanto alle relazioni
personali di Talete, non ci invece stato tramandato un granch: visse da solitario e non si
spos, ma adott il figlio di una sorella. Alla madre che lo sollecitava a sposarsi e ad avere
figli, da giovane avrebbe risposto che cera ancora tempo, dopo una certa et, che era ormai
troppo tardi. Secondo altri, non avrebbe voluto generare figli per effettivo amore paterno.
Allievo di Talete e suo successore fu Anassimandro (610-545 c.ca), nativo di Mileto.
Della sua vita sappiamo molto poco. Ci stato tramandato che mentre cantava fu deriso da
dei bambini e allora esclam che avrebbe dovuto cantare ancora meglio per farsi
apprezzare anche dai bambini. Laneddotto si pu interpretare come unallegoria
dellimpegno del filosofo a farsi comprendere anche dai pi ignoranti utilizzando uno stile
comunicativo accattivante. In questo senso, esso si pu collegare al fatto che Anassimandro
fu il primo filosofo che espose per scritto la sua filosofia (anche in seguito da alcuni filosofi
la filosofia fu identificata con il discorso orale) adottando, inoltre, una forma poetica. Gli si
attribuisce, infatti, un poema filosofico intitolato Sulla natura, di cui ci pervenuto un solo
frammento: Da dove infatti tutte le cose traggono origine, l trovano la loro distruzione
secondo necessit: poich esse pagano luna allaltra la pena e lespiazione dellingiustizia
secondo lordine del tempo. A livello scientifico gli sono stati attribuiti la determinazione
dei solstizi e degli equinozi, una teoria della generazione degli astri e una teoria
evoluzionistica dellorigine della specie umana. Ci stato tramandato che previde un
terremoto a Sparta e che fece evacuare la citt prima che esso si verificasse, salvando molte
vite umane. Anassimandro fu anche tecnico: costru uno gnomone, cio uno strumento per
misurare il moto apparente di rivoluzione annuale del Sole, e un orologio solare e inoltre
disegn una carta geografica della Terra.
Discepolo e successore di Anassimandro, e ultimo filosofo della scuola di Mileto, fu
Anassmene (588-528), della cui vita sappiamo ancora meno che di quella del suo
maestro. Anchegli nativo di Mileto, espose la sua filosofia nellopera Sulla natura, scritta
per in prosa, cio in uno stile pi semplice e accessibile. Di questa opera ci resta un unico
frammento: Come lanima nostra, che aria, ci sostiene, cos il soffio e laria circondano il
mondo intero. A livello scientifico, Anassmene si occup di meteorologia, cio studi le
nuvole, le precipitazioni atmosferiche, il regime dei venti e larcobaleno.
Tutti i filosofi di Mileto, inoltre, ebbero importanti incarichi di governo nella loro citt.
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TAPPA 1
Ma saremmo superficiali se pensassimo che questa tesi sia stata il primo vagito della
filosofia. Ogni tesi infatti presuppone una domanda, ogni soluzione un problema. La
filosofia innanzitutto capacit di vedere, e quindi porsi, un problema. Di conseguenza
plausibile congetturare che Talete inaugur limpresa filosofica innanzitutto chiedendosi:
Quella che assume che la realt sia physis (natura) e che lo scopo della filosofia sia trovare la causa naturale
di tutte le cose.
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Affermando che lacqua la natura di tutte le cose, Talete stabilisce implicitamente una
distinzione fondamentale tra:
la molteplicit degli enti naturali che nascono e muoiono, p.e. i fiori, gli animali, le
montagne;
un elemento eterno, cio che non nasce n muore, appunto lacqua, che il
fondamento unitario di tutti gli enti naturali.
Ma cosa intende per natura Talete? Per rispondere, bisogna innanzitutto dire che il
termine italiano natura deriva dal latino n a t u r a (traduzione del greco
physis=generazione, da cui fisica), legato al verbo nascor, che significava la realt fisica
in quanto composta da esseri che nascono e quindi mutano e muoiono. Nellitaliano
corrente natura indica la realt materiale non prodotta dallattivit umana. Ma ancora
oggi usiamo natura anche per significare la costituzione fondamentale, ovvero lidentit
profonda, di qualcosa, come nelle espressioni:
non nella tua natura comportarsi cos;
abbaiare fa parte della natura del cane.
Talete usa natura (physis ) in questultima accezione. Pi precisamente, assumendo che
la natura la costituzione fondamentale di tutte le cose, Talete vuol dire che lacqua :
a) ci che d origine a tutte le cose, che le genera, ossia le fa esistere;
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b) lingrediente di base delle diverse sostanze materiali (legno, ferro, roccia, ecc.) di cui
sono fatte tutte le cose, nel senso che tutte le altre sostanze sono trasformazioni
dellacqua;
c) ci che regola la crescita, la trasformazione e la dissoluzione di tutte le cose.
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a) la Terra (intesa sia come terraferma sia come astro) galleggia sullacqua, cio
sostenuta - e quindi non precipita ma stabile e vivibile - grazie allacqua;
b) lacqua ci che nutre - cio mantiene in vita - tutte le cose (sottintendendo che tutte le
cose che esistono, in un modo o in un altro, si alimentano, cio traggono dallesterno
ci che necessario alla loro esistenza);
c) lacqua il componente principale ed essenziale dei semi che a loro volta sono i
numerosi e diversificati composti (seme vegetale, spermatozoo, ovulo, germi cristallini,
ecc.) che generano ogni cosa.
Il modello fisico-empiristico della razionalit
Con queste tre argomentazioni, Talete d inizio alla filosofia come conoscenza razionale,
cio come conoscenza basata sulla ragione. Ma cosa si intende per ragione? In quanto
primo filosofo, Talete ha elaborato la prima concezione della ragione, ovvero di ci che i
Greci chiamavano l g o s (parola/discorso collegato, a differenza di
mythos=parola/discorso slegato, senza vincoli, libero). La ragione dunque, in prima
battuta, il pensiero/discorso in quanto usa il metodo dellargomentazione.
Ma le tre argomentazioni di Talete hanno il loro punto di partenza nellosservazione della
realt basata sulluso dei sensi (vista, udito, odorato, gusto, tatto), cio sulla esperienza
sensibile. Dunque, in seconda istanza, la ragione per Talete largomentazione che si
fonda sullesperienza sensibile.
A sua volta tale tipo di argomentazione conduce a riconoscere come reali, davvero
esistenti, e quindi veri, solo elementi naturali, cio fisico-materiali. Quindi, in terzo luogo,
la ragione per Talete largomentazione che, fondandosi sullesperienza sensibile, arriva
alla conclusione che la realt ha una natura fisico-materiale.
Questa conclusione ha la pretesa di essere vera, cio di dover essere condivisa da tutti gli
uomini, in quanto alla ragione, basata sullargomentazione a partire dai sensi, attribuita
la capacit di rispecchiare la realt fisica, cio di conoscere ci che davvero , ossia lordine
cosmico e il suo principio fondamentale (ci che d ordine), lacqua.
Ma questa pretesa pu essere contestata. Infatti proprio lessenza del metodo
argomentativo esporre chiaramente le motivazioni delle proprie opinioni rende
possibile la verifica e quindi la contestazione di una tesi. In conclusione, la ragione anche,
e soprattutto, quella forma di pensiero/discorso che permette a tutti di mettere alla prova,
criticare e discutere le opinioni di ognuno in modo da poter stabilire se e quanto sono
effettivamente veritiere.
A partire da Talete, la storia della filosofia uninterminabile e avvincente discussione
critica.
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TAPPA 2
Anassimandro riformula il problema da cui parte Talete, e con lui la filosofia. Egli infatti si
chiede:
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Per Anassimandro il principio (arch) della natura lIllimitato (peiron). Con questa
parola Anassimandro intende:
1. sia lindefinitezza qualitativa, cio qualcosa di indeterminato, che privo di forma e
caratteristiche precise.
2. sia linfinitezza quantitativa, cio qualcosa che possiede una vastit e una durata
senza fine.
Tradizionalmente, lIllimitato stato interpretato, per lo pi, come una via di mezzo tra
aria e fuoco. Recentemente, in base a nuove indagini etimologiche, si avanzata lipotesi
che per Anassimandro consistesse in una sorta di fango, cio in un misto di acqua e terra.
Di certo si tratta di qualcosa che, in quanto misto, si differenzia radicalmente da ogni
elemento specifico e proprio per questo pu assumere tutte le forme e le caratteristiche.
Secondo Anassimandro, lIllimitato lunico principio, cio lunica cosa esistente capace di
generare tutte le cose, proprio in quanto eterno, di grandezza infinita e privo di una
forma e di propriet determinate. Usando delle metafore esemplificative, si potrebbe dire
che lIllimitato come una miniera inesauribile ricca di ogni tipo di minerali; oppure che
come un enorme ammasso di creta che pu automodellarsi in tutti i modi possibili e
immaginabili.
Si pu sensatamente congetturare che la nuova configurazione del principio da parte di
Anassimandro sia la soluzione di un problema che egli si era posto a proposito della
filosofia di Talete:
com possibile pensare che un elemento limitato e definito, lacqua, possa generare
cose molto differenti o addirittura contrarie, p.e. la terra, i metalli, e soprattutto il
fuoco?
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Anassimandro non propone la sua tesi come una semplice opinione personale. Come
Talete, egli usa il metodo dellargomentazione per rendere la sua opinione una verit, cio
una tesi conoscitiva che tutti gli uomini devono condividere. La sua argomentazione parte
dallassunzione che ogni cosa che esiste:
o un principio, ovvero ci che d origine a qualcosaltro;
o un derivato, cio ci che prodotto da qualcosaltro.
In termini logici, Anassimandro stabilisce tra principi e derivati una disgiunzione
esclusiva, tale per cui se qualcosa principio non pu essere derivato e viceversa. Ma se
qualcosa principio, argomenta Anassimandro, non pu essere limitato. Infatti, se avesse
un limite, p.e. nel tempo, allora avrebbe un inizio, quindi sarebbe originato da
qualcosaltro, ma allora sarebbe un derivato.
Pertanto, conclude Anassimandro, il principio deve essere non-limitato, ossia non pu che
essere lIllimitato.
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escatologico, cio relativo al destino finale di tutti gli esseri viventi. Essa, infatti, offre una
spiegazione e una giustificazione della sofferenza propria dellesistenza individuale e della
sua conclusione ultima: la morte.
Anassimandro afferma che in origine esiste solo lunit indifferenziata dellIllimitato, in cui
tutto unito e fuso con tutto. Lindividualit di ogni cosa e degli uomini nasce da una
rottura e da un distacco rispetto allunit primigenia dellIllimitato. Rottura e distacco
costituiscono una colpa. Si tratta per di una colpa oggettiva, cio non volontaria ma
necessaria, in quanto conseguenza del moto rotatorio, cio di una propriet essenziale
dellIllimitato stesso. Tuttavia, per quanto involontaria, si tratta pur sempre di una colpa e
quindi comporta la necessit di espiare scontando una pena. Ma anche la pena
oggettiva. Essa, infatti, consiste nella stessa vita individuale, cio nel fatto che la scissione
dellunit in una molteplicit di cose individuali, diverse e contrarie, comporta
necessariamente la loro competizione e il loro conflitto, e quindi linfliggersi dolore a
vicenda.
Tale conflitto si manifesta come legge del tempo, cio come progressivo logoramento
reciproco che conduce inesorabilmente ogni individuo alla vecchiaia e alla morte. Eppure
proprio grazie a questa pena, la colpa viene espiata, cio cancellata. In altre parole, il
dolore purifica lindividuo e soprattutto, in questo modo, lo rende degno di rifluire
nellunit dellIllimitato. La morte quindi, secondo Anassimandro, non un male ma il
ripristino della condizione migliore dei viventi, quella della loro fusione nellIllimitato.
Infatti, non essendoci nellIllimitato divisioni, in esso non c nemmeno conflitto e quindi
non c dolore, ma solo pace e serenit. Inoltre, poich non ha un inizio, lIllimitato non ha
neanche una fine, cio non muore, non soggetto alla legge del tempo, bens eterno. La
morte individuale pertanto permette lingresso nella dimensione delleternit, cio segna
paradossalmente la liberazione dalla stessa morte.
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TAPPA 3
La nuova teoria filosofica di Anassimene si basa sulla distinzione tra i due aspetti che erano
fusi insieme nel concetto di Illimitato di Anassimandro:
1) lestensione senza limiti, cio linfinitezza estensiva o quantitativa;
3
38
Il soffio per Anassimene possiede il moto in quanto sua propriet costitutiva. Come per
Anassimandro, anche per Anassimene questo moto originario rotatorio ma si articola e si
manifesta in prima battuta in due modalit opposte e complementari:
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Altre argomentazioni, a sostegno del soffio caldo come principio, non ci sono pervenute,
ma possibile ipotizzarle con sufficiente plausibilit. Per esempio losservazione che molti
esseri viventi, gli uomini innanzitutto, quando muoiono emettono un ultimo respiro e poi
smettono di respirare. In altre parole la vita connessa al respirare, cio alla presenza del
soffio caldo, la morte allapnea, cio alla perdita del soffio caldo. Dunque il soffio caldo il
criterio della vita e della morte. Bisogna ricordare, a questo proposito, che i Greci
chiamavano lanima cio il principio della vita psych (da cui psiche) che
letteralmente significa alito o fiato. In questo senso l alito la porzione di soffio che
spira nelluomo e gli d la vita.
Un altro plausibile argomento invece quello che parte dallidentificazione del soffio con il
cielo, ovvero con la spazio che circonda la Terra. Il ciclo della pioggia sarebbe cos una
prova che lacqua deriva dal soffio e torna nel soffio; il fenomeno del fulmine, del fatto che
il soffio si trasforma in fuoco per poi tornare al suo stato originario.
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TAPPA 4
La nascita della filosofia coincide con la gestazione della scienza, ovvero del processo di
elaborazione delle sue basi teoriche e metodologiche. Per i primi filosofi, infatti, e anche
per molti dei filosofi successivi fino e oltre let moderna, dire filosofia equivaleva a dire
scienza, cio conoscenza vera. Insomma, le due attivit conoscitive non si erano ancora
specializzate e quindi separate in due settori autonomi di ricerca.
In questo senso, si deve senzaltro dire che i filosofi della scuola di Mileto Talete,
Anassimandro, Anassmene svolsero anche ricerca e attivit di tipo scientifico, sebbene
non possano essere considerati scienziati nel senso attuale del termine. Questo perch,
almeno fino allet ellenistica, nessun filosofo greco riusc a elaborare e a praticare la
conoscenza scientifica in base a una teorizzazione sistematica e a una metodologia
compiutamente sperimentale.
La tradizione attribuisce a Talete la scoperta di tre teoremi matematici (quelli delle rette
parallele che intersecano due trasversali, dei triangoli uguali, della circonferenza). Ma
Talete anche e soprattutto il primo filosofo a dare il suo contributo alla nascita della
cosmologia, cio di una teoria delluniverso puramente speculativa, che a sua volta
costituisce la premessa per la successiva nascita della scienza astronomica greca, cio di
una teoria delluniverso formulata matematicamente ed empiricamente argomentata.
Della cosmologia di Talete abbiamo per una sola breve testimonianza, secondo la quale la
Terra appoggiata sullacqua. In base a questa testimonianza, ragionevole ipotizzare che
Talete, a partire dallosservazione del cielo diurno e notturno, nonch dallesperienza
immediata della stabilit della Terra, si sia chiesto come mai essa possa stare sospesa e
immobile nellimmensit dello spazio, e si sia risposto che la Terra galleggia su
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unimmensa distesa dacqua che riempie luniverso. Sulla base di questa tesi, possiamo
anche ipotizzare che Talete attribuisse alla Terra una forma adatta al galleggiamento, cio
pensasse che fosse piatta.
Anassimandro d una risposta parzialmente diversa al problema posto da Talete. Per lui, la
Terra ha forma di cilindro schiacciato (con altezza pari a un terzo del diametro della base)
e sta immobile al centro delluniverso in quanto soggetta alla stessa pressione in ogni sua
parte, cio in quanto sottoposta a forze esterne in equilibrio fra loro. Inoltre, in base alle
testimonianze di cui disponiamo, Anassimandro fu il primo a teorizzare che il Sole si
muove intorno alla Terra, in base allosservazione del suo moto apparente durante il
giorno. Egli, dunque, per quel che sappiamo, linventore del geocentrismo, cio della
teoria secondo la quale la Terra ferma al centro del cosmo e tutti gli astri le ruotano
intorno. Ancora pi importante per la tesi anassimandrea secondo cui luniverso
infinito non solo nel senso che le sue dimensioni sono sconfinate ma anche e soprattutto in
quello che propriamente un multiverso, cio un insieme di miriadi di mondi
diversificati. Questa tesi si basa, da un lato, sullinfinitezza estensiva del Soffio, principio di
tutto; dallaltro, presumibilmente, sullosservazione notturna delle innumerevoli stelle del
firmamento.
Inoltre Anassimandro il primo filosofo/scienziato che affianca alla cosmologia una
cosmogonia, cio una teoria speculativa dellorigine e della formazione delluniverso. Egli
sostiene che allinizio luniverso un vortice il cui moto produce la separazione del caldo
dal freddo. Il freddo genera terra, acqua e aria, il caldo il fuoco. A causa del moto rotatorio i
primi elementi, pi pesanti, si dispongono al centro, il fuoco, pi leggero, ai bordi,
formando una specie di guaina sferica. Sempre sotto lazione del movimento vorticoso, tale
guaina infuocata si frantuma in tante schegge sferiche, che costituiscono il Sole, la Luna, i
pianeti e le stelle.
Anassmene, a sua volta, sostiene che la Terra ha una forma discoidale (il che avvalora la
supposizione che gi lo pensasse Talete) e che ferma nel centro delluniverso in quanto
circondata e pressata dal soffio aeriforme.
Egli si pone un nuovo problema astronomico a partire dallosservazione notturna del moto
apparente circolare e uniforme, da est verso ovest delle stelle del firmamento: perch le
stelle sono sospese nello spazio e come mai hanno un moto regolare continuo? Anassimene
si risponde che il cielo come una ruota di mulino che gira circolarmente intorno alla
Terra e che le stelle sono corpi infuocati confissi su questa ruota, cio nella volta celeste.
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Oltre alle indagini e alle scoperte specialistiche in determinati settori scientifici, i pensatori
di Mileto diedero un contributo alla formazione della scienza con le loro stesse teorie
filosofiche. Questo vale per almeno due aspetti:
perch le loro pur diverse concezioni del principio (acqua, illimitato, soffio) sono
sensatamente interpretabili come un tentativo di concepire e definire ci che la
fisica contemporanea chiama energia.
Ci non significa, naturalmente, che la teoria della relativit di Einstein sia uguale alla
teoria della natura della scuola di Mileto. In questo senso vanno rilevate, tra le numerose
altre dovute al secolare accumulo di conoscenze scientifiche, tre decisive differenze:
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Da questo punto di vista, si pu dire che i filosofi di Mileto con la parziale eccezione,
forse, di Anassmene - hanno operato una riduzione della fisica alla biologia, riduzione che
la scienza attuale non ritiene valida e anzi tende semmai a rovesciare a favore della fisica.
Unulteriore rilevante differenza tra scienza contemporanea e filosofia milesia data dal
fatto che Talete, Anassimandro e Anassimene considerano il loro principio di natura
divina. In altre parole essi non erano:
n teisti, cio non credevano in dei personificati, creatori e governatori della natura,
n atei, cio convinti dellesistenza della sola materia inerte, priva di vita;
bens panteisti, pensavano cio che il divino fosse il principio fisico che permea
ogni cosa e quindi coincide con la natura stessa, le sue forze e i suoi fenomeni.
In questo senso possibile sostenere che i filosofi di Mileto elaborarono per primi una
teologia naturale o scientifica. La maggior parte degli scienziati contemporanei si attiene
invece a una netta separazione tra teologia e scienza. Tuttavia, soprattutto negli ultimi
anni, non mancano autorevoli eccezioni, in particolare tra i fisici (p.e. Paul Davies o Frank
J. Tipler).
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LO SCRIGNO
PAUL DAVIES: FARE SCIENZA SIGNIFICA UNIFICARE
Lintera impresa scientifica una ricerca di unificazione. La scienza come la
conosciamo oggi ebbe inizio quando Newton, Galileo e altri scoprirono dei
legami tra il moto dei corpi sulla Terra e il movimento della Luna e dei
pianeti. Altri momenti decisivi furono la scoperta che magnetismo ed
elettricit sono in relazione tra loro e con la luce, e la formula di Einstein
E=mc2, che mostr lequivalenza tra massa ed energia. La capacit di
identificare legami nascosti tra fenomeni apparentemente disparati ci che
rende il metodo scientifico cos potente e convincente. La caratteristica
peculiare della scienza di essere a un tempo ampia e profonda: ampia per
come affronta tutti i fenomeni fisici e profonda per come li intreccia, in modo
economico, in uno schema esplicativo comune che richiede sempre meno
presupposti.
P. Davies, Una fortuna cosmica, Mondadori 2007, p. 134
PAUL DAVIES: ESISTONO MOLTI E DIFFERENTI UNIVERSI
Una quota minoritaria, ma in crescita, degli scienziati oggi sostiene la teoria
del multiverso in una versione o nellaltra. I moderni modelli cosmologici
depongono con forza a favore dellesistenza di una molteplicit di domini
cosmici (per esempio, universi-bolla, universi-tasca, regioni cosmiche
differenziate) come configurazione naturale e generica in cui il big bang che
ha dato origine al nostro universo soltanto uno tra i molti bang
(probabilmente in numero infinito) che generano una molteplicit di
universi. Inoltre, molte teorie che cercano di unificare la fisica predicono
qualche specie di variabilit di alcune almeno delle costanti di natura i
parametri che entrano nel modello standard della fisica delle particelle , e in
alcune di queste teorie c anche una variazione nella forma delle leggi della
fisica a bassa energia, il che rende verosimile che esse varino da un dominio
cosmico allaltro allorch gli universi si raffreddano uscendo dal crogiolo
delle loro origini. Il modello di unificazione preferito ma potrebbe trattarsi
di pi modelli noto come teoria delle corde/M, sembra implicare un
paesaggio di innumerevoli possibili universi a bassa energia, senza nulla di
ovvio che ne possa selezionare uno in particolare.
P. Davies, Una fortuna cosmica, Mondadori 2007, p. 332.
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ALLARREMBAGGIO!
1. Scrivi la definizione (o le definizioni) dei seguenti termini:
Filosofia:
Sperimentale:
Natura:
Cosmologia:
Argomentazione:
Astronomia:
Empirico:
Cosmogonia:
Principio:
Geocentrismo:
Induzione:
Multiverso:
Deduzione:
2. Leggi il brano di Aristotele e sottolinea con colori diversi:
Talete sostiene che il principio [di tutte le cose] lacqua; per questo asseriva
che anche la Terra galleggia sullacqua. Forse questa sua opinione gli fu
suggerita dallosservazione che umido ci di cui ogni cosa si alimenta e che
anche il caldo nasce dallumidit e sopravvive per mezzo di essa. Del resto il
principio di tutte le cose ci da cui traggono lorigine. E non soltanto in base
a questo egli ha concepito una tale teoria, ma anche in base al fatto che hanno
natura umida i semi di tutte le cose; e lacqua appunto il principio naturale
delle cose umide.
3. Riempi il diagramma di flusso che ricostruisce largomentazione di Talete:
Utilizzando i 7 asserti isolati nellesercizio precedente, incasellali in modo logicoconsequenziale nella seguente griglia basata sul nesso AB, avvero dato A ne segue B, in
cui A detto antecedente e B conseguente.
Tieni presente che la sequenza di tipo induttivo (cio procede dal particolare al generale),
dal momento che Talete parte dallosservazione di alcune caratteristiche della realt fisica,
ma che si conclude con una deduzione (dal generale al particolare), dal momento che
Talete ricava dal principio generale raggiunto per induzione una nuova caratteristica
generale della realt fisica.
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tutti e tre si pongono, per primi, uno dei problemi cruciali della filosofia, ossia
quello di far derivare da un principio, come tale omogeneo e superiore, tutte le cose,
eterogenee e inferiori in quanto derivati;
tutti e tre, di conseguenza, cercano di evitare un doppio e opposto pericolo: far
somigliare troppo il principio alle cose, rendendo poco credibile che possa
trasformarsi in tutte le cose nonch governarle; oppure differenziare troppo il
principio dalle cose, rendendo poco credibile che le cose possano derivare da esso.
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Il brano sopra riportato di un famoso fisico inglese vivente, autore di numerosi libri sulle
nuove frontiere della ricerca scientifica contemporanea.
Individua e spiega le concordanze tra le tesi sostenute da P. Davies e le filosofie dei primi
filosofi ionici, anche tenendo presente che, seppur non esplicitamente, Davies collega la
ricerca di unificazione della scienza con la scoperta delle leggi della natura (p.e. la legge
gravitazionale di Newton o la legge dellequivalenza di massa ed energia di Einstein).
***
E=mc2 la famosa formula della legge dellequivalenza tra energia e massa (cio materia).
Essa rappresenta il coronamento e al contempo la sintesi della teoria della relativit
ristretta che A. Einstein rese nota nel 1905 e che costituisce un pilastro della scienza
contemporanea.
Individua e illustra la possibile analogia tra la legge di Einstein e le concezioni del principio
dei filosofi ionici, specificando a quali di esse pu essere maggiormente avvicinata e per
quali motivi. Successivamente, individua e illustra le differenze che intercorrono tra la
legge di Einstein e le filosofie degli ionici.
***
Svolgi una breve ricerca sulle teorie scientifiche contemporanee dellorigine della vita e
dellevoluzione degli esseri viventi e, in base ai suoi risultati, individua e spiega le loro
affinit e le loro divergenze rispetto alla teoria biologica di Anassimandro.
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Quali tra queste NON una delle tesi sostenute da Paul Davies nei brani dello
Scrigno?
Tutti gli scienziati contemporanei condividono la teoria del multiverso.
La scienza consiste nello scoprire relazioni nascoste tra diverso elementi fisici.
La pi accreditata teoria del multiverso la variante detta M della teoria delle corde
(o delle stringhe).
Alcune teorie fisiche contemporanee ammettono la variabilit delle costanti di
natura.
Alcune teorie fisiche contemporanee includono la variabilit delle leggi della fisica a
bassa energia.
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ROTTA SU
I COSMOLOGI RAZIONALISTI
Nella seconda met del VI secolo a.C., mentre Anassmene prosegue e conclude il
percorso filosofico della scuola di Mileto, emergono nuove filosofie nella stessa Ionia, cio
sulle coste dellAsia Minore, ma soprattutto nella Magna Grecia, cio nelle colonie greche
occidentali. Queste nuove filosofie, pur nella loro diversit, sono accomunate da una
configurazione pi astratta del principio del cosmo. Esse, cio, non identificano la causa
prima di tutte le cose con un elemento naturale (Talete, Anassmene) o con un misto di
due elementi naturali (Anassimandro) ma con un principio pur sempre fisico ma pi
teorico, ossia con una maggiore e pi esplicita connotazione razionale. Gli autori di
queste nuove filosofie furono Eraclto, Pitagora e Filolao, Parmenide e Zenone.
Per Eraclto il principio di tutte le cose il lgos. Questo termine, da cui non a caso
derivato il nostro logica, in greco antico significava parola ordinata, quindi discorso,
ragione, regola, legge. Per Eraclto, insomma, la causa prima del cosmo una legge
razionale. Questa legge consiste nella complementarit di tutte le cose, anche se
apparentemente opposte, e quindi nellunit profonda di tutta la realt. Essa, per,
contenuta nellelemento fuoco, coincide con esso. Anche Eraclto, come i filosofi di Mileto,
si dedic a ricerche scientifiche, in particolare di tipo astronomico e meteorologico.
Pitagora, invece, sostiene per primo che il principio di tutte le cose sono i numeri e che
pertanto la natura organizzata matematicamente. A livello scientifico, si occupa
soprattutto di matematica e di teoria matematica della musica. Gli si attribuiscono la
scoperta e la dimostrazione del famoso teorema che porta il suo nome, nonch quella
dellottava musicale. Si occupa anche di ricerche astronomiche, sicuramente continuate e
sviluppate da Filolao e da altri discepoli con notevoli risultati. Gli astronomi pitagorici,
infatti, elaborano una teoria astronomica dapprima pirocentrica (al centro
delluniverso c un grande fuoco sacro di cui il Sole un riflesso) e poi eliocentrica.
Per Parmenide il principio di tutte le cose l essere, cio lesistere in s stesso e per s
stesso. E lessere, secondo lui, unico, omogeneo e privo di movimento. Zenone sostiene la
tesi del suo maestro con una serie di famose argomentazioni che mirano a dimostrare che
la realt sensibile unillusione e che lunica realt autentica appunto lessere. A livello
scientifico Parmenide si occupa di astronomia, in particolare delle eclissi lunari.
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VITE DI CAPITANI
ERACLITO, PITAGORA, FILOLAO, PARMENIDE, ZENONE
Eraclto (540-476 c.ca) nacque a Efeso, citt sulla costa egea dellAnatolia ionica (attuale
Turchia), poco pi a nord di Mileto. Di famiglia aristocratica, nonostante le sue origini
altolocate, rifiut sia la ricchezza sia il potere sia la fama e visse una vita ritirata e solitaria
nel tempio di Artemide, al quale don anche la sua unica opera filosofica, intitolata Sulla
natura. Ci stato tramandato che il re di Persia Dario, dopo averla letta, lo invit alla sua
corte prospettandogli grandi onori, ma Eraclit declin linvito.
Bench non aspirasse al potere, Eraclito era un sostenitore dellantico regime aristocratico
e un fiero oppositore della democrazia che si era imposta ad Efeso, poich riteneva che la
massa non potesse che essere ignorante e che la sapienza fosse raggiungibile solo da pochi
individui. A loro volta gli abitanti di Efeso lo detestavano, anche e soprattutto perch
rigettavano il suo modello di vita improntato alla sobriet.
Di Sulla natura ci sono rimasti circa cento frammenti. Si tratta di unopera in stile
aforistico, cio una raccolta di frasi brevi contenenti ciascuna un pensiero compiuto
espresso con parole e con un ordine sintattico volutamente ambigui o comunque di non
facile comprensione. Ladozione dello stile aforistico, sicuramente coerente con la visione
elitaria di Eraclto, attesta anche il suo legame con la tradizione religiosa di tipo oracolare.
Ci sono, per, buone ragioni per pensare che Eraclito finalizzasse la comunicazione
aforistica a suscitare nei suoi lettori una lettura attiva, cio basata sul loro ragionamento
autonomo.
Pitagora (580-490 c.ca) nacque a Samo, unisola dellEgeo che si trova di fronte a Mileto
ed Efeso, attualmente territorio della Grecia. Le vicende della vita di Pitagora sono incerte,
alcuni storici ritengono perfino che sia un personaggio leggendario, non realmente esistito.
La tradizione antica ci riporta che fu allievo di Anassimandro, soggiorn a scopo di studio
in Egitto e in Mesopotamia, fu un oppositore politico della tirannia impostasi a Samo, e per
questo a circa quarantanni emigr a Crotone, colonia dorica della Calabria, dove era nato e
si stava sviluppando un importante centro di cure e studi medici che ebbe il suo massimo
esponente in Alcmeone. A Crotone Pitagora fond una scuola filosofica, aperta anche alle
donne, che era al tempo stesso una comunit spirituale. Infatti, i suoi discepoli detti
matematici (addottrinati) mettevano in comune le loro propriet e convivevano in base
a rigorose regole ascetiche, che comprendevano numerosi divieti pratici come non
mangiare carne o non attizzare il fuoco con un coltello o non toccare le fave. Lo scopo della
regola di vita pitagorica era dedicare la maggior parte della propria vita alla ricerca
conoscitiva. La conoscenza, infatti, per i pitagorici era il mezzo atto a purificare il respiro
(psych), considerato la parte razionale e immortale delluomo, e a conseguire cos la
massima felicit nella dimensione terrena e la vita eterna nellaldil. Nella sua scuola
Pitagora fin con lessere divinizzato: in riferimento a lui fu coniata lespressione auts
pha (ipse dixit, lha detto lui), che implicava la credenza che fosse depositario della verit
61
assoluta e come tale non potesse mai sbagliare; ma gli furono attribuiti anche una
discendenza da Apollo e poteri taumaturgici. Pitagora non scrisse nulla. Fu il suo discepolo
Filolao (470-400 c.ca) a esporre la sua dottrina in tre opere (Sulla natura, Sul governo
delle citt, Sulleducazione), che Filolao stesso attribu al maestro tramandandole dunque
come opere di Pitagora.
Di tendenza politica aristocratica, la comunit pitagorica fu cacciata da Crotone dagli
avversari democratici e si diffuse in seguito in altre citt della Magna Grecia (Taranto,
Siracusa) ma anche della madrepatria greca. Filolao infatti si stabil a Tebe e l fond e
diresse una scuola pitagorica.
Parmenide (515-440 c.ca), di famiglia aristocratica, nacque a Elea (oggi Velia), colonia
greca sulla costa meridionale della Campania (Italia). Alcune fonti antiche attestano che fu
discepolo del filosofo Senofane, il quale aveva rigettato le immagini tradizionali degli dei,
perch inventate dagli uomini a propria somiglianza, e aveva loro contrapposto lidea di un
unico dio del tutto astratto, cio privo di forme sensibili. Nella maturit Parmenide scrisse
un poema filosofico, intitolato Sulla natura, che si apre con un proemio nel quale il filosofo
di Elea racconta di essere stato portato dalle figlie del sole al cospetto della dea Giustizia
che gli avrebbe rivelato la verit. In altre parole, Parmenide sosteneva che la sua filosofia
possedeva unorigine divina. In questo modo, egli da un lato si pose in continuit con lo
stile degli antichi poemi di Omero ed Esiodo, dallaltro per lo innov sostituendo
allispirazione poetica delle Muse quella razionale di una dea. Nel corso della sua vita,
Parmenide non si occup solo di filosofia ma contribu anche alla legislazione di Elea. Gi
anziano, pare si sia recato ad Atene, vi abbia incontrato il giovane Socrate e si sia
confrontato filosoficamente con lui.
Il suo discepolo e amico Zenone (500-430 c.ca) nacque anchegli a Elea e scrisse unopera
intitolata sempre Sulla natura ma in prosa. Secondo Platone, tra Parmenide e Zenone
intercorreva un rapporto damore, ma altre testimonianze antiche sostengono invece che
Zenone fosse il figlio adottivo di Parmenide. Ci stato anche tramandato che Zenone fu un
fiero oppositore del tiranno di Elea e che, arrestato, affront impavidamente la tortura e
lestremo supplizio.
Gli elementi biografici comuni ai cosmologi razionalisti attestano che le loro nuove filosofie
nacquero da un maggior legame con lantica tradizione culturale greca di stampo
aristocratico e mitico-religioso. Alcuni storici della filosofia per questo li hanno catalogati
come filosofi del tempio in contrapposizione ai filosofi dellagor, di origine borghese,
tra cui rientrerebbero Talete, Anassimandro e Anassmene.
62
TAPPA 1
Dallo studio della filosofia della scuola di Mileto, Eraclto ricava la convinzione che il
carattere pi generale della natura, quello che cogliamo immediatamente con i nostri sensi,
il divenire. Il concetto eracliteo di divenire ha tre aspetti distinti ma strettamente
correlati:
1. divenire significa innanzitutto che tutte le cose, in quanto naturali, nascono,
muoiono, si muovono, cambiano incessantemente. Eraclto esemplifica questo
aspetto con limmagine di un fiume. La natura, cio, come un fiume le cui acque
scorrono perennemente. A rigore, bisognerebbe dire che non ci si pu mai bagnare
due volte nello stesso fiume, cio che la natura non mai la stessa cosa, perch in
ogni istante muta rispetto allistante precedente. I discepoli di Eraclto sintetizzarono
questo primo significato del divenire nellespressione pnta ri (tutto scorre), che
divent cos lo slogan della filosofia eraclitea.
2. Divenire significa, in secondo luogo, molteplicit differenziata. La natura fatta di
individui4, cio di elementi singoli indipendenti (cose, propriet, stati di fatto) e
come tali costitutivamente diversi tra loro. P.e. leoni e gazzelle, bianco e nero,
giovinezza e vecchiaia, sono in casa e sono fuori casa. Questo secondo significato
concettuale condizione necessaria del primo, perch mutare significa sempre
passare da un individuo a un altro, p.e. dai capelli neri ai capelli bianchi o dalla vita
4
Dal latino individuum: non-divisibile, cio non-aggregato di pi cose, ma cosa o propriet singola.
63
Dunque, sostiene Eraclto, in base alla conoscenza sensibile, la natura in quanto divenire
ci si presenta come mutevole, molteplice, conflittuale. Si tratta di una nozione intuitiva,
condivisa da tutti, considerata perfino ovvia. Ma Eraclto va oltre questa ovviet,
scorgendovi un problema: se le opposizioni che costituiscono la natura come divenire
fossero assolute si distruggerebbero a vicenda e vi sarebbe solo il nulla; ma cos non ; per
quale ragione?
La soluzione raggiunta da Eraclto che la natura divenire solo in prima
approssimazione. In altre parole, secondo lui, cambiamento, molteplicit e conflitto sono
solo apparenza. Ci non significa che non esistono, che non hanno uneffettiva
consistenza reale. Significa per che sono solo lo strato superficiale e secondario oggi si
direbbe emergente della natura, sotto il quale si nasconde la natura ama
nascondersi, scrive Eraclto il suo strato primario e fondamentale, cio il principio
profondo della natura. Questo principio la Legge (lgos5) secondo cui tutti gli individui
sono s opposti ma anche complementari, ovvero compongono ununica grande e armonica
Unit (da tutte le cose luno e luno da tutte le cose, scrive ancora Eraclto). In parole
semplici, la Legge che governa tutte le cose consiste nel fatto che tutto Uno.
Per esemplificare questa concezione, si pu usare la similitudine con un puzzle: allinizio,
cio quando spargiamo i pezzi sul tavolo, il puzzle ci appare come un mucchio disordinato
di frammenti tutti diversi gli uni dagli altri; ma, alla fine, cio quando siamo riusciti a unire
ordinatamente tutti i frammenti, comprendiamo che essi sono tutti complementari gli uni
agli altri e cos il puzzle ci si svela come ununica cosa, ci mostra un disegno unitario.
Eraclto argomenta la sua tesi tutto Uno esibendo alcuni casi empirici da lui considerati
paradigmatici, cio modelli generali di tutti le cose. Tali casi empirici si possono
raggruppare in quattro tipologie:
5
Dal greco lgos che significa originariamente connessione-legge, poi parola-discorso, ovvero
insieme di parole collegate in un discorso ordinato, e di qui ragione, cio appunto ordine della
mente, del pensiero.
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Il mare potabile per i pesci, imbevibile per luomo: questo argomento si basa sulla
relativit degli opposti, cio sul fatto che una stessa cosa pu essere letale per un
individuo e invece vitale per un altro. In altre parole, le opposizioni dipendono da
diversi punti di vista.
Nel cerchio principio e fine coincidono: questo argomento non si riferisce a una
propriet di un individuo relativa ad altri, ma allessere in s dellindividuo: il cerchio
in s stesso tuttuno, non ha n principio n fine, stabilirli una convenzione.
Insomma lopposizione inizio/fine solo apparente, a un livello pi profondo sono la
stessa cosa, coincidono.
Secondo Eraclto, il principio della natura, cio la Legge (o Ragione) dellunit degli
opposti si identifica con una sostanza fisica, il Fuoco. Il Fuoco infatti la sostanza pi
mobile e mutevole, in s stesso scisso in pi parti (fiamme, scintille) che sembrano in
lotta tra loro, ma essendo al contempo una cosa sola la rappresentazione concreta
dellunit degli opposti.
Soprattutto il Fuoco, pi di ogni altro elemento, in grado di spiegare lopposizione
primaria e pi dolorosa della natura, quella tra vita e morte. Infatti a seconda della sua
misura il Fuoco d calore, e quindi genera, infonde la vita, oppure brucia, e quindi
distrugge, d la morte.
In un ciclo continuo, afferma Eraclto, raffreddandosi e condensandosi il fuoco diventa
progressivamente prima aria, poi acqua, infine terra; scaldandosi e rarefacendosi terra,
acqua e aria ritornano fuoco. Il primo processo coincide con formazione delluniverso, il
secondo con la sua dissoluzione. Il Fuoco, dunque, secondo Eraclito, genera e distrugge
luniverso per poi rigenerarlo e ridistruggerlo, e cos via allinfinito.
In quanto principio regolatore del tutto, unico ed eterno, il Fuoco il Divino. Eraclto dice
esplicitamente che corrisponde a Zeus e al simbolo della sua regalit, cio il fulmine. Ma
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dice anche che pensarlo tradizionalmente come Zeus, anzich filosoficamente come Fuoco,
un modo ingenuo e fuorviante di concepire il Divino.
Secondo Eraclito, dunque, tutte le cose sono una specifica trasformazione del Fuoco. A
differenza di tutte le altre cose, per, luomo possiede anche una scintilla di Fuoco puro e
divino. Questa scintilla il respiro (psych), che quindi intelligenza, razionalit.
Luomo, in altre parole, diversamente dagli altri enti naturali, ha la Legge razionale che
governa tutte le cose dentro di s. Solo luomo, pertanto, pu divenire cosciente della Legge
razionale universale e pu attuarla volontariamente. Ma, afferma Eraclto, solo pochi
uomini gli unici davvero svegli mettono a frutto questa possibilit, cio la conoscenza
razionale, e riescono a comprendere che tutto Uno. I pi, anche quando hanno gli occhi
aperti, rimangono in realt dei dormienti, cio si basano solo sulla conoscenza sensibile e
dunque credono che la realt sia solo divenire, cio mutamento, molteplicit e conflitto.
In questo senso, per Eraclto, il fine ultimo della vita umana consiste nel comprendere
completamente la Legge razionale che governa luniverso e nellagire conformemente ad
essa. Per fare ci, pi che osservare le cose esterne occorre scrutare dentro s stessi dal
momento che la Legge razionale presente nelluomo come respiro e utilizzare il
pensiero razionale, ovvero la teoria, anzich lesperienza sensibile immediata.
Infine, poich il respiro umano una scintilla del Fuoco divino eterno, secondo Eraclito,
esso immortale e destinato a unaltra vita dopo la morte del corpo.
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TAPPA 2
I pitagorici sono i primi filosofi a elaborare una compiuta teoria dualistica della natura. Per
essi infatti non c u n principio della natura, ma una coppia di principi opposti e
complementari:
1) un principio limitante o Unit;
2) un principio illimitato o Molteplicit.
Di tale coppia di principi, i pitagorici danno innanzitutto una descrizione cosmogonica.
Secondo i pitagorici, in origine esistono solo:
lIllimitato/Molteplicit, consistente in un immenso Vuoto,
il Limitante/Unit, che consiste in un punto pieno e compatto.
Il Limitante inspira in s lIllimitato e cos si genera il cosmo in quanto composto di
Illimitato/Vuoto e Limitante/Unit. Infatti, da un lato lIllimitato/Vuoto, infiltrandosi nel
pieno assoluto del Limitante/Unit, lo suddivide in molteplici parti; dallaltro il
Limitante/Unit riempie lIllimitato/Vuoto, dandogli un contenuto e dunque una
configurazione definita.
Da questa teoria dellorigine del cosmo possiamo ricavare che il Limitante/Uno il
principio della determinazione e dellidentit individuale di ogni cosa naturale, mentre
lIllimitato/Vuoto il principio dellestensione spaziale e della variet delle cose naturali.
Bench i pitagorici li considerino entrambi principi, essi attribuiscono la superiorit al
Limitante/Uno e per questo lo chiamano anche Dio.
Per i pitagorici linterazione tra Limitante e Illimitato genera innanzitutto i numeri. Per
comprendere questa tesi, basta considerare che ogni numero da un lato una grandezza
precisa, p.e. 3, e in tal senso limitato, cio finito; dallaltro lato, per, il significato di ogni
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numero si basa sulla sua relazione con linfinita serie numerica, cio con lillimitato: p.e. il
3 indica una grandezza precisa solo in rapporto al 2, al 4, al 5, e cos via allinfinito.
In questo senso, i pitagorici sostengono che ogni numero rappresenta un grado di
mescolanza di Limite e Illimite, un certo livello delle loro diverse e infinite dosi reciproche
di combinazione.
Cos concepiti, i numeri, affermano i pitagorici, non sono enti astratti ma sono gli elementi
fisici primi di tutte le cose. LUno/Limite, infatti, un punto di sostanza fisica, lunit
minima di materia; il due la linea e quindi la lunghezza; il tre il triangolo e cio il piano
bidimensionale; il quattro la piramide e quindi lo spazio tridimensionale. I solidi
tridimensionali, a loro volta, aggregandosi generano gli elementi naturali secondari, cio
fuoco, aria, terra, acqua. Infatti:
Mischiandosi tra loro in varie proporzioni quantitative i quattro elementi terrestri fuoco,
aria, acqua, terra danno luogo a tutte le cose. In base a questa teoria dellorigine di tutte
le cose, i pitagorici sostengono per primi una tesi di enorme importanza per la filosofia e la
scienza di ieri e ancor pi di oggi: tutti i fenomeni naturali dipendono da propriet
quantitativo-matematiche e dunque si possono e anzi si devono spiegare usando la
matematica. Per esempio la propriet di scaldare e bruciare del fuoco considerata un
effetto delle misure aritmetiche, della forma geometrica e in generale delle caratteristiche
matematiche del tetraedro. Quindi la temperatura pu e deve essere descritta
matematicamente, cio misurata, e fenomeni come la combustione o la fusione possono e
devono essere spiegati con leggi matematiche.
Grazie a questa concezione matematica della realt, i pitagorici per primi chiamano
luniverso cosmo. Questo termine in greco significa ordine, armonia. Per i pitagorici
luniverso un cosmo, perch costituito da un ordine quantitativo-matematico che
governa il divenire universale come un direttore dorchestra i suoi musicisti. Anzi, in
questo senso, per essi gli astri coi loro moti suonano e al contempo sono mossi da una vera
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e propria sinfonia cosmica che le nostre orecchie non odono perch adatte solo a percepire
i suoni terrestri.
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Tuttavia, il fine ultimo della filosofia, secondo i pitagorici, non di tipo politico, ma di
genere religioso, cio la liberazione del respiro individuale (psych) di ogni uomo dalle
sofferenze dovute al corpo. Riprendendo, infatti, lantica dottrina religiosa dellorfismo, i
pitagorici credono che i respiri individuali siano immortali e che la loro presenza dentro i
corpi umani sia lespiazione di una colpa originaria. Secondo i pitagorici, infatti, in origine,
noi uomini eravamo Titani, ovvero solo respiri immortali, ma, come tali, abbiamo ucciso
e divorato Dioniso, figlio di Zeus. Per punizione, Zeus ci ha condannati a passare da un
corpo allaltro in molte vite successive.
Dunque i pitagorici credono nella teoria della reincarnazione (o della metempsicosi) e si
pongono come fine ultimo luscita dal ciclo delle rinascite e la riacquisizione di una
condizione di puri respiri. Per raggiungere questo fine ogni uomo deve purificare il
proprio respiro conducendo una vita ascetica basata su una dieta vegetariana e sulla
rinuncia ai piaceri fisici e dedicata completamente alla conoscenza. La ricerca scientifica
e filosofica assume cos per i pitagorici il valore religioso di strumento di liberazione
delluomo dal dolore e dalla morte.
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TAPPA 3
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Dunque, per Parmenide, il mondo naturale non pu mai andare distrutto, cio che c
sempre stato e continuer a esserci in eterno.
Parmenide fonda in questo modo un nuovo settore della ricerca filosofica, l ontologia,
cio la teoria della realt in quanto Essere, stabilendone la legge fondamentale: lEssere
(la realt) necessario che esista mentre il non-essere (il nulla) impossibile che esista.
Allo stesso tempo Parmenide sancisce la regola fondamentale dellargomentazione
filosofica, ovvero della scienza intesa come conoscenza vera dellEssere:
vietato pensare e affermare che esiste il non-essere (ossia il nulla) e non solo in
modo esplicito ma anche solo implicitamente.
Il presupposto logico di questa regola il principio di non-contraddizione secondo il
quale non possibile pensare/affermare che una stessa cosa e insieme non , p.e.
Parmenide vive e non vive. In questo senso si pu dire che Parmenide fu il primo filosofo
a focalizzare il principio di non-contraddizione. Egli per non lo pens come un criterio
della mente umana, cio logico, bens come una legge della natura, cio ontologica, la legge
che impone appunto di considerare lessere come principio fondamentale e necessario
della realt e nega di conseguenza ogni possibilit di esistenza al non-essere o nulla.
Un corollario di questa legge, secondo Parmenide, la coincidenza Essere-pensierolinguaggio. Infatti se solo lEssere esiste, il pensiero e il linguaggio possono avere come
oggetto solo lEssere. In altri termini, possiamo pensare solo ci che esiste e parlare solo di
ci che esiste. Per questo, lEssere per Parmenide il criterio di verit del pensiero e del
linguaggio.
Una volta argomentato che lEssere il fondamento di ogni cosa, Parmenide passa ad
argomentare le sue caratteristiche. Utilizzando la sua legge ontologica esiste solo
lEssere, il non-essere non pu esistere Parmenide inventa un nuovo tipo di
argomentazione razionale, che in filosofia verr chiamata dialettica e in matematica
dimostrazione per assurdo. Si tratta di unargomentazione deduttiva indiretta in quanto
consiste nellargomentare una tesi dimostrando che la sua antitesi (cio la tesi opposta)
assurda, ovvero che implica una contraddizione.
In base alle dialettica Parmenide argomenta che lEssere :
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Date queste sue caratteristiche, lEssere di Parmenide non a rigore il principio (arch),
bens il fondamento divino di tutte le cose. Secondo i filosofi precedenti, infatti, il
principio si trasforma e da unico diventa duplice e poi molteplice. LEssere invece
immutabile e indifferenziato. Ma allora come spiega Parmenide il mondo naturale
mutevole e differenziato, ovvero il divenire? In prima approssimazione, egli afferma che il
mondo naturale unillusione della conoscenza sensibile, cio sostiene che i nostri sensi ci
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fanno percepire unimmagine distorta dellunica vera realt, lEssere. La ragione, cio la
conoscenza puramente razionale, invece, ci permette di capire che il divenire naturale
implicando il continuo passaggio dal non-essere allessere (nascita) e dallessere al nonessere (morte) infrange la legge secondo cui il non-essere non pu esistere, e dunque non
reale.
Daltra parte la conoscenza umana riflette sempre lEssere e dunque anche lillusione del
divenire naturale deve derivare dallEssere. Ma in che modo? Come pu lEssere produrre
lillusione dellesistenza del non-essere senza negarsi? La legge suprema di Parmenide non
afferma solo che lEssere deve esistere ma insieme nega che il non-essere possa esistere. In
altre parole lEssere non consiste solo nella propria autoaffermazione ma anche nella
negazione del suo opposto contraddittorio, cio il non-essere. Ma nel momento in cui lo
nega deve in qualche modo conferirgli una sorta di esistenza virtuale, evanescente,
fantasmatica: appunto il divenire.
Per comprendere meglio questa argomentazione, possiamo considerare un tipico miraggio
del deserto, quello di unoasi, ovvero di un bacino dacqua. Nel momento stesso in cui
capiamo che un miraggio, neghiamo col ragionamento la realt effettiva delloasi che
vediamo, la giudichiamo unillusione ottica, ma per farlo dobbiamo avere lesperienza
sensibile delloasi, cio dobbiamo ammettere la sua esistenza virtuale, apparente.
In conclusione, per Parmenide dobbiamo accettare lillusione della realt naturale essendo
per consapevoli che esiste solo lEssere e che pertanto tutti i cambiamenti, le opposizioni
e le diversit sono in realt sempre e solo le maschere di un unico e immutabile Essere/Dio
che coincide con il cosmo stesso.
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TAPPA 4
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prove empiriche a favore della propria tesi ma fa leva su ragionamenti e prove empiriche
che smantellano la tesi contraria.
Per questo aspetto essa una confutazione, cio unargomentazione negativa, che non
argomenta la verit di una tesi, bens la sua falsit. Attraverso la confutazione per la
dialettica pretende di dimostrare indirettamente la tesi opposta a quella confutata. Il
presupposto di tale strategia argomentativa che date due tesi opposte (p.e. giorno/
notte) la falsificazione di una delle due comporti automaticamente la convalida dellaltra.
Pertanto per Zenone la confutazione della molteplicit della realt un argomento a favore
della sua unit e la confutazione del mutamento della realt un argomento a favore della
sua fissit.
Tra i numerosi argomenti dialettici contro la molteplicit, due hanno particolare rilevanza.
Il primo si svolge cos:
la molteplicit minima la dualit;
perch ci siano 2 enti ci devessere qualcosa che li distingua/divida;
dunque ci devono essere almeno 3 enti;
ma allora ci vogliono altri 2 enti per distinguerli/dividerli;
dunque ci devono essere almeno 5 enti;
e cos via allinfinito, dimodoch la molteplicit risulta indefinita.
Zenone scopre cos la progressione (o regressione) allinfinito, cio unargomentazione
razionale condannata a proseguire senza mai giungere a una conclusione, il che comporta
lassurdit o insensatezza del suo presupposto: in questo caso lesistenza della molteplicit.
Il secondo argomento contro la molteplicit si dipana in questo modo:
se la realt fosse molteplice ogni cosa dovrebbe essere divisibile in parti pi piccole;
ognuna di queste parti pi piccole, avendo comunque una grandezza, pu a sua
volta essere divisa in parti ancora pi piccole, e cos via;
in questo modo possiamo arrivare a parti infinitamente piccole;
ma queste parti essendo a loro volta divisibili allinfinito sarebbero composte da
infinite sottoparti tutte dotate di una grandezza, seppure minima;
dunque sarebbero infinitamente grandi;
ma ci assurdo perch vorrebbe dire che qualcosa allo stesso tempo
infinitamente piccolo e infinitamente grande, il che contraddittorio.
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1. Se il moto esiste noi possiamo percorrere uno stadio in tutta la sua lunghezza. Ma
per farlo dobbiamo prima raggiungere la sua met, poi la met della met, poi la
met della met della met, e cos via allinfinito perch vi sono infinite met.
Pertanto non possiamo mai arrivare in fondo. Dunque il moto solo unillusione.
2. Se due uomini attraversano uno stadio partendo da lati opposti e muovendosi alla
stessa velocit, ognuno di loro ha una velocit V rispetto al fondo dello stadio e 2V
rispetto allaltro uomo che si muove nella direzione opposta alla sua. Ci assurdo
perch significa che una stessa quantit uguale al suo doppio (V=2V).
3. Se il pi veloce Achille ingaggia una gara di corsa con una tartaruga concedendole
una distanza D di vantaggio non vincer mai la gara. Infatti nel tempo che Achille
impiega per percorrere la distanza D, la tartaruga percorre la distanza D1 (<D) e
dunque si trova ancora davanti a Achille; nel tempo in cui Achille percorre la
distanza D1 la tartaruga percorre la distanza D2 (<D1) e dunque si trova ancora
davanti ad Achille; e cos via allinfinito. In altre parole, Achille accorcia sempre pi
la sua distanza dalla tartaruga ma non pu mai raggiungerla e superarla. Dunque
Achille si muove e non si muove, il che assurdo perch contraddittorio.
4. Una freccia lanciata da un arco verso un bersaglio percorre una traiettoria. In
ognuno degli istanti compresi tra il lancio e larrivo al bersaglio la freccia deve
occupare un segmento definito di questa traiettoria. Ma appunto se nellistante T
occupa il segmento S compreso tra due punti A e B ci significa che ferma. Dunque
la freccia dovrebbe al tempo stesso essere ferma e muoversi. Il che assurdo perch
contraddittorio.
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TAPPA 5
In ambito geometrico, poi, si attribuisce a Pitagora il famoso teorema che porta il suo
nome: in ogni triangolo rettangolo la somma delle aree dei quadrati costruiti sui cateti
equivalente allarea del quadrato costruito sullipotenusa. E quasi certo che gi egizi e
assiro-babilonesi avessero scoperto questa equivalenza almeno nel caso di un triangolo
rettangolo con i cateti di valore 3 e 4 e lipotenusa di valore 5 (nonch in altri casi
particolari analoghi).
La scoperta di Pitagora consiste nellaver compreso e dimostrato che si tratta di una
propriet generale, cio nellessere passato dal rilevamento della presenza di una propriet
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in alcuni casi alla formulazione e alla dimostrazione di una legge certamente valida per
tutti i casi di triangoli rettangoli. Si tratta di una riconduzione di una molteplicit
differenziata a una unit omogenea che per i pitagorici attesta la potenza ordinatrice della
matematica.
Lacustica, ovvero la parte della musica che studia i suoni, considerata dai pitagorici
unapplicazione dellaritmetica al mondo fisico, cos come lastronomia unapplicazione
della geometria al mondo fisico.
In campo acustico, la tradizione attribuisce a Pitagora la teoria matematica degli intervalli
musicali di ottava (tra un do e quello successivo di pi alta tonalit), di quinta (tra un do e
il sol successivo) e di quarta (tra un do e il fa successivo). Pitagora comprende infatti che
lottava corrisponde al rapporto matematico 2 a 1, la quinta a quello di 3 a 2, la quarta a
quello di 4 a 3. Ci significa, per esempio, che per passare da un do a quello pi alto o pi
basso bisogna dimezzare o raddoppiare il peso di un martello da percussione oppure la
lunghezza di una corda di chitarra. Analogamente negli altri due casi.
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La matematica della scuola pitagorica entra in crisi a causa della scoperta delle grandezze
incommensurabili, ovvero dei numeri irrazionali. Secondo la tradizione, questa scoperta,
opera degli stessi pitagorici, era stata dichiarata un segreto che era proibito divulgare
pubblicamente. Ma il divieto fu infranto dal pitagorico Ippaso di Metaponto, che per
questo sarebbe stato cacciato dalla scuola come traditore.
La scoperta degli incommensurabili nasce dallapplicazione del teorema di Pitagora ai due
triangoli rettangoli isosceli in cui si pu dividere un quadrato. Attribuendo ai cateti (cio ai
lati del quadrato) una lunghezza 1, la lunghezza dellipotenusa risulta essere uguale alla
radice quadrata di 2, che un numero irrazionale, di cui i pitagorici negavano e aborrivano
lesistenza. Ci significa che lato e diagonale di un quadrato non sono divisibili tra loro in
quanto non possiedono un sottomultiplo comune, cio una grandezza, per quanto minima,
che stia un numero intero e finito di volte m nel lato, e un numero intero e finito di volte n
nella diagonale. In una parola, lato e diagonale del quadrato sono appunto grandezze
incommensurabili, cio che non si possono misurare insieme, con la stessa unit di misura.
Cos stando le cose, non pi possibile pensare che lato e diagonale, e quindi in generale
tutte le grandezze geometriche, siano composti da un numero finito di punti. In questo
caso infatti almeno un punto, cio una grandezza minima, dovrebbe essere presente un
numero intero e finito di volte m nel lato e un numero intero e finito di volte n nella
diagonale. Di conseguenza diventa necessario concepire le grandezze geometriche come
composte da infiniti punti senza dimensioni. Ma ci a sua volta comporta la rottura della
corrispondenza tra aritmetica e geometria.
Eraclto fu forse il primo filosofo a fornire una teoria delle fasi lunari e delle eclissi di Sole e
di Luna. Secondo lui, questi fenomeni astronomici sono la conseguenza del fatto che Luna
e Sole sono fuochi contenuti in sfere, probabilmente di metallo, ruotanti intorno alla Terra.
Alcune parti della superficie di queste sfere sono opache e quando esse sono rivolte verso la
Terra noi vediamo oscurarsi in parte o completamente il Sole o la Luna.
Parmenide confuta la teoria di Eraclto e le contrappone una teoria alternativa. Secondo
Parmenide, i fenomeni delle fasi lunari e delle eclissi solari e lunari sono illusori, in quanto
prodotti da un gioco di luce e ombra. In altre parole, le fasi lunari dipendono dalle diverse
prospettive in cui dalla Terra possiamo osservare la met illuminata della Luna; le eclissi
dallanteporsi della Luna al Sole e dal frapporsi della Terra tra il Sole e la Luna.
Zenone, invece, con i suoi paradossi d un contributo agli sviluppi della matematica, in
particolare della geometria. Infatti, le sue argomentazioni dialettiche contro il moto e la
molteplicit si imperniano sulla concezione delle grandezze geometriche come composte
da infiniti punti senza dimensioni e pertanto infinitamente divisibili. In questo modo
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Zenone evidenzia tutta la spinosa problematicit del concetto di infinito. Riflettendo sui
paradossi di Zenone, i matematici Greci successivi arrivano a stabilire la distinzione tra
infinito potenziale (p.e. una retta) ed infinito attuale (p.e. linsieme di tutti i numeri interi),
accettando il primo come reale e rifiutando il secondo come impossibile e dunque irreale.
La scienza medica greca comincia a formarsi nel V sec. nella citt di Cnido, sulle coste
dellAsia Minore. La scuola medica di Cnido concepisce e pratica la medicina solamente
come patologia, cio diagnostica e terapia, e segue unimpostazione decisamente
empiristica, preoccupandosi unicamente di registrare e accumulare innumerevoli casi di
malattia e i loro sintomi.
Un ulteriore e pi significativo sviluppo della medicina si ha a Crotone, la citt dove si
trasfer Pitagora, soprattutto grazie a Alcmeone. Questi d inizio alla pratica della
dissezione, giungendo a comprendere che le sensazioni, pur partendo dagli organi di senso,
fanno capo al cervello, che per lui lorgano della comprensione e della coscienza.
Alcmeone, inoltre, allarga la medicina alla fisiologia e alla biologia del corpo umano. Egli,
infine, non si limita a registrare i dati dellesperienza ma li unifica in base a ipotesi
teoriche. In questo senso, Alcmeone elabora una teoria generale della malattia come
rottura dellequilibrio tra le varie componenti del corpo a causa della prevalenza di una di
esse facilitata dallinfluenza di fattori ambientali.
E evidente la connessione tra questa nuova impostazione pi teorica della medicina e lo
sviluppo delle filosofie fisico-razionaliste di Eraclto, Pitagora e Parmenide.
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LO SCRIGNO
AMIR D. ACZEL: LA SCOPERTA DEL CONTINUO GEOMETRICO
In un certo senso, lidea pitagorica della divinit degli interi mor con Ippaso,
per essere sostituita dal pi ricco concetto di continuo: infatti, la geometria
greca nacque dopo che il mondo venne a conoscenza dellesistenza dei numeri
irrazionali. La geometria ha a che fare con linee, piani e angoli, che sono tutte
entit continue. I numeri irrazionali sono gli abitatori naturali del mondo del
continuo (sebbene anche i numeri razionali vivano in quel mondo) dal
momento che costituiscono la maggioranza dei numeri presenti in esso.
Amir D. Aczel, Il mistero dellAlef, Net/il Saggiatore 2002, pp. 23-24
Venere, chiamata rispettivamente Fosforo (in greco porta-luce, equivalente di Lucifero, di origine latina) e
Espero (in greco della sera, equivalente di Vespero in latino)
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II VIAGGIO
LORDINE COME INTERAZIONE
DI PI PRINCIPI FISICI
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ROTTA SU
I COSMOLOGI PLURALISTI
Dal confronto argomentativo tra i fisici monisti (Talete, Anassimandro, Anassmene) e i
fisici razionalisti (Eraclto, Pitagora, Filolao, Parmenide, Zenone) emerge alla met del V
secolo a.C. una nuova tendenza filosofica che ha i suoi principali esponenti in Empedocle,
Anassagora e Democrito.
Questi nuovi filosofi cercano di valorizzare la realt fisico-naturale, anche e soprattutto
in quanto divenire, cio molteplicit e mutamento, rispettando per la legge parmenidea
dellinammissibilit del nulla (o non-essere). Per raggiungere la difficile conciliazione tra
il divenire e lessere, i fisici pluralisti teorizzano la derivazione di tutte le cose naturali
non da un unico principio fisico e dalle sue mutazioni, bens da una pluralit (ecco perch
pluralisti) di principi fisici immutabili che continuamente si aggregano e si disgregano
in modi diversi generando tutte le cose naturali.
Data questa impostazione, il processo di aggregazione/disgregazione dei principi assume
un ruolo centrale. In questo senso, i fisici pluralisti individuano, accanto ai principi, delle
forze, sempre fisiche ma distinte dai principi, che ne causano perennemente, secondo
una regola immutabile ed eterna, le combinazioni e le suddivisioni.
Tuttavia, le filosofie di Empedocle, Anassagora e Democrito concepiscono e configurano
in modi divergenti sia i principi che costituiscono tutte le cose sia le forze che ne
governano la continua generazione e dissoluzione. I cosmologi (o fisici) pluralisti,
dunque, non costituiscono una scuola.
Secondo Empedocle, i principi sono i quattro elementi: terra, acqua, aria e fuoco da lui
chiamati radici e le forze che ne governano combinazioni e ricombinazioni sono
lamicizia (attrazione) e la contesa (repulsione).
Anassagora, invece, ritiene che i principi siano infiniti, li chiama semi e li identifica con
le innumerevoli propriet qualitative di tutte le cose. Secondo lui, i semi sono governati
dall Intelletto, una forza razionale dotata di una materialit finissima.
Nonostante le loro diversit, Empedocle e Anassagora condividono una concezione
organicistica della natura, cio pensano che tutti gli esseri naturali siano viventi, e di
conseguenza ritengono primarie le loro propriet qualitative (odori, colori, sapori, ecc.).
Democrito, invece, si differenzia nettamente da entrambi perch ritiene che la natura sia
meccanica, ossia che tutti gli esseri naturali siano delle macchine. Secondo Democrito,
infatti, tutto composto di infiniti indivisibili (in greco toma), cio di particelle
materiali microscopiche, e dunque invisibili, prive di vita e caratterizzate unicamente da
propriet quantitative (volume, lunghezza, larghezza, velocit, ecc.). La forza che, per
Democrito, governa laggregazione e la disgregazione degli indivisibili il loro moto,
considerato una loro propriet originaria.
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VITE DI CAPITANI
EMPEDOCLE, ANASSAGORA E DEMOCRITO
I fisici pluralisti coprono geograficamente tutta la Grecia madrepatria, Grecia italica
occidentale e Grecia ionica orientale sia per la posizione delle loro citt di nascita sia
perch soggiornarono in molte citt diverse da quelle di nascita e in taluni casi vi si
stabilirono definitivamente. In particolare, fu Atene il polo di attrazione principale di molti
filosofi. Atene, infatti, nel corso del V sec. divent la polis economicamente, politicamente
e culturalmente pi sviluppata e al tempo stesso il simbolo della massima fioritura
dellintera civilt greca.
Nato ad Agrigento, in Sicilia, da famiglia aristocratica, Empedocle (490-430 c.ca) fu il
leader del partito democratico della sua citt e per questo fu esiliato nel Peloponneso.
Scrisse due poemi filosofici: Sulla natura, di argomento cosmologico; Purificazioni, di
argomento morale ed escatologico (relativo cio al destino ultraterreno delluomo). Di
entrambi i poemi ci restano un centinaio di versi. Ricercatore scientifico a livello fisico,
biologico e medico, esperto di tecniche, prefer per proporsi come guaritore e mago, e
addirittura come un dio fattosi uomo. Questa immagine fece nascere le pi disparate
leggende sul suo conto: gli vengono attribuiti dalla tradizione dei veri e propri miracoli, tra
cui addirittura la resurrezione di una donna, e ci viene tramandato che non mor di morte
naturale ma, secondo una fonte, che fu rapito da una luce celeste oppure, secondo unaltra
fonte, che si butt nel cratere dellEtna per riunirsi al fuoco sacro e riacquisire il proprio
rango divino.
Anassagora (496-428 c.ca) nacque a Clazmene, colonia ionica dellAsia Minore sul mar
Egeo, situata poco pi a nord di Efeso, ma si trasfer ad Atene, aprendovi una scuola e
introducendovi cos per primo la filosofia. Ad Atene trascorse la maggior parte della sua
vita, diventando maestro, consigliere e amico di Pericle. Ci nonostante, intorno al 430,
venne condannato a morte per ateismo dal tribunale popolare della democratica Atene in
seguito allaccusa di aver negato il carattere divino del Sole e degli astri. Solo grazie
allintervento di Pericle la condanna a morte gli viene commutata in esilio. Mor a
Lampsaco, sul Bosforo, lasciando ununica opera in prosa, intitolata Sulla natura, di cui ci
rimangono alcuni frammenti.
Democrito (460-370 c.ca) nacque ad Abdera, citt della costa egeica della Tracia, regione
del Nord-est della Grecia, situata tra il Mar Nero e il mare Egeo. Probabilmente di
estrazione sociale altolocata, rinunci al godimento delle sue ricchezze per dedicarsi alla
ricerca scientifica. Si form soprattutto nella scuola di Leucippo (480 ca.-?), fondatore del
cosiddetto atomismo, nato a Mileto, ma trasferitosi ad Abdera in seguito alla presa del
potere da parte del partito aristocratico. Dellindirizzo atomistico Democrito il
continuatore e il principale esponente. La tradizione gli attribuisce molti viaggi: in Egitto,
Persia, Etiopia e addirittura in India. Di sicuro soggiorn ad Atene pi volte nella sua vita,
pur tornando sempre ad Abdera. Visse molto a lungo, mor novantenne, ma negli ultimi
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anni di vita divenne cieco anche a causa dellintensa attivit di lettura, di scrittura ma
anche di osservazione dei cieli. Gli sono attribuiti pi di cinquanta trattati che spaziano in
tutto lo scibile umano: cosmologia, matematica, etica, musica, medicina, biologia,
agricoltura, linguistica, storia. Alcuni di essi (Grande cosmologia, Sullintelletto) per
probabile che siano del suo maestro Leucippo. Purtroppo non ce ne sono giunti che pochi
frammenti, anche a causa della censura che la sua opera sub per le sue implicazioni
ateistiche.
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TAPPA 1
La soluzione offerta da Empedocle parte dalle tesi secondo cui il cosmo naturale ha quattro
radici (rzai), cio quattro principi fisici originari: la terra, lacqua, il fuoco, il soffio
(aria). Questi elementi per Empedocle sono eterni, immutabili e divini, in quanto non si
generano, non si distruggono e ognuno sempre uguale a se stesso, cio non subisce
alcuna trasformazione. Essi costituiscono pertanto lessere, la realt suprema e
fondamentale. Ma come si forma allora il cosmo naturale? Loriginalit di Empedocle sta
proprio nella risposta a questa domanda. Egli infatti inventa una nuova cosmogonia
secondo cui il cosmo nasce dalla suddivisione delle quattro radici in miriadi di frammenti e
dallaggregazione di frammenti delluna con i frammenti di una, di due o di tutte e tre le
altre.
Ma la combinazione di soli quattro elementi come pu spiegare lesistenza di miriadi di
cose tra loro diverse? La grande variet degli enti naturali, risponde Empedocle, dovuta
allintreccio delle qualit e delle quantit delle radici. Ogni Radice infatti
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Con la sua nuova cosmogonia Empedocle riabilita dal punto di vista razionale la
molteplicit e il mutamento cio il divenire di cui Parmenide e Zenone avevano
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argomentato lassurdit in quanto, secondo loro, il divenire implica lesistenza del nonessere, cio una palese contraddizione.
Infatti, in base alla teoria di Empedocle:
la generazione o nascita non il passaggio dal non-essere allessere, ma
laggregazione di parti dellessere unico ed eterno (le radici);
la dissoluzione o morte non il passaggio dallessere al non-essere, ma la
separazione di parti dellessere unico ed eterno;
il mutamento non la distruzione di una propriet e la formazione di unaltra
propriet che sostituisce la prima p.e. la perdita dei capelli bruni e la loro
sostituzione con i capelli bianchi ma sempre un processo di scombinazione e
ricombinazione di parti delle radici che esistono eternamente.
In questo modo Empedocle pu legittimare la realt del divenire senza affermare
lesistenza del nulla, cio senza infrangere la legge filosofica della non-contraddizione che
Parmenide e Zenone aveva imposto grazie alla loro rigorosa argomentazione razionale.
Per raggiungere tale risultato, Empedocle per presuppone la molteplicit originaria
dellessere (Amicizia, Contesa, radici), anchessa contraddittoria secondo Parmenide, senza
offrire una confutazione della tesi parmenidea secondo cui anche la diversit implica
lammissione del nulla (p.e. lAria non-essere del Fuoco, dunque il suo annullamento).
In base alla sua visione ciclica del cosmo, Empedocle spiega anche e anzi soprattutto i
fenomeni biologici. A questo proposito, egli sostiene, per esempio, che gli esseri viventi si
formano gradualmente per progressive combinazioni. Inizialmente, per congiunzione di
membra separate, si generano esseri mostruosi, come i minotauri, i quali, per, non
essendo in grado di sopravvivere, sono poi sostituiti dai viventi esistenti, nati da
aggregazioni armoniose e quindi capaci di sopravvivere.
Di particolare interesse, nellambito della biologia empedoclea, la spiegazione e
soprattutto largomentazione della respirazione. Secondo Empedocle, gli animali aerobici
respirano attraverso i pori della pelle e laria inspirata circola allinterno del corpo
attraverso i vasi sanguigni. Per giustificare la duplice circolazione di sangue e aria nei vasi
sanguigni Empedocle teorizza un meccanismo capace di alternare al loro interno flussi di
aria (inspirazione) e flussi di sangue (espirazione). Largomentazione di questa teoria della
corrente alternata consiste in una sorta di esperimento: Empedocle sostiene che se
prendiamo una clessidra ad acqua (una specie di vaso-imbuto con un piccolo foro alla
base) vuota, ne tappiamo con la mano lentrata e la immergiamo nellacqua, essa non si
riempie (a causa della pressione dellaria); se, invece, togliamo la mano, la immergiamo
nellacqua, la lasciamo riempire e poi la tiriamo fuori dallacqua tappando lentrata, allora
lacqua non esce dal foro della base (sempre per la pressione dellaria). In altre parole: i
pori della pelle, aprendosi e chiudendosi, fanno scorrere nei vasi sanguigni o solo sangue o
solo aria.
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La ciclicit del cosmo per Empedocle si manifesta anche nel destino esistenziale delluomo
legato al ciclo delle reincarnazioni. Da questo punto di vista Empedocle condivide la teoria
della metempsicosi di orgine orfica e gi ripresa dai pitagorici. Egli per la personalizza e
insieme la radicalizza affermando che ogni uomo in origine un dmone, cio un dio
minore, una divinit di rango inferiore rispetto ai massimi dei olimpici (Zeus, Era, Ares,
Afrodite, ecc.) ma pur sempre un essere superiore e immortale come gli dei olimpici e,
come loro, consistente in un puro respiro (psych), ovvero privo di corpo.
In seguito a un atto di violenza aggravato da un falso giuramento di innocenza, entrambi
dovuti alla relativa prevalenza in lui di Contesa, il dmone-uomo condannato dagli dei
sommi a perdere la sua condizione divina, ad acquisire un corpo e a reincarnarsi in
numerose vite successive, non solo umane ma anche animali e vegetali, per un periodo
lunghissimo bench pur sempre finito. Da questa dottrina del destino esistenziale
delluomo Empedocle fa discendere unetica consistente in regole di purificazione, tra cui il
vegetarianesimo e la non-violenza nei confronti non solo degli uomini ma anche degli
animali. Attraverso lautopurificazione, infatti, ogni individuo pu reincarnarsi in forme
sempre pi elevate di esistenza umana fino a ripristinare il proprio rango divino originario.
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TAPPA 2
Per Anassagora il cosmo naturale possiede infiniti elementi costitutivi, corrispondenti alle
propriet qualitative di tutte le cose. Anassagora li denomina semi (sprmata) per
significare appunto che essi sono i principi generativi di tutti gli enti naturali. I semi sono
infiniti in un duplice senso:
il loro numero totale infinito
i loro tipi sono infiniti.
Insomma, per Anassagora vi sono infinite differenze qualitative originarie che danno
ragione dellimmensa variet di enti e caratteristiche presente nel cosmo. Esempi di semi,
cio di queste infinite qualit originarie, sono: il legno, il granito, la carne, lerba, la piuma,
loro, ecc.
Secondo Anassagora, ogni seme invisibile, perch di dimensioni infinitamente piccole. I
semi, infatti, sono infiniti anche in un ulteriore senso: essi possono essere divisi allinfinito.
Per, ognuna delle parti in cui un seme viene diviso rimane qualitativamente identica ad
esso in quanto mantiene la sua stessa composizione.
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In quanto infinitamente divisibili e quindi capaci di contenere infiniti aspetti, ogni seme
contiene al suo interno tutti gli altri, cio anche ogni altro tipo di qualit. Da questo punto
di vista, afferma Anassagora, ogni seme del tutto omogeneo a tutti gli altri semi. Ma
allora come fanno a essere diversi? Anassagora chiarisce che ogni tipo di semi si differenzia
dagli altri perch in ognuno di essi prevale quantitativamente quellaspetto qualitativo che
ne costituisce lidentit propria. Per esempio, nel seme delloro c anche il legno, il granito,
la carne, ecc., ma le parti auree prevalgono quantitativamente su tutte quelle di altro tipo.
I semi, per Anassagora, sono eterni. Essi non si generano, non si distruggono e non
mutano. Gli enti naturali non sono altro che dei composti di semi. La loro generazione, la
loro dissoluzione e il loro cambiamento sono la conseguenza dellaggregazione e della
disgregazione parziale o totale dei semi che li compongono. Il mutamento, pertanto,
razionalmente accettabile perch non implica lammissione dellesistenza del nulla.
Ogni seme contiene tutti gli altri, seppure in numero minore, e a sua volta ogni cosa
contiene ogni tipo di seme, bench in numero e quindi in proporzioni diverse rispetto alle
altre cose. In questo senso Anassagora afferma che tutto in tutto, cio che ogni cosa ha
in s gli stessi elementi con cui sono fatte tutte le altre, ovvero tutte le cose sono tra loro
qualitativamente omogenee. Anassagora pu cos conseguire tre importanti risultati:
1) legittimare razionalmente non solo il mutamento ma anche la molteplicit degli enti
naturali, ovvero argomentare in modo stringente che ammettere la molteplicit non
significa ammettere il non-essere: infatti, dal momento che ogni cosa contiene le
stesse qualit di ogni altra, seppur in proporzioni differenti nessuna cosa non
unaltra, cio la negazione assoluta di unaltra cosa diversa;
2) concepire le qualit opposte come complementari, cio fondamentalmente unite,
ovvero mai contraddittorie: infatti, per esempio, il caldo non lopposto
contraddittorio del freddo, ma una quantit minore di freddo, cos come il freddo
una quantit minore di caldo. In altre parole, gli opposti apparentemente
contraddittori sono solo livelli quantitativi diversi di una stessa qualit.
3) spiegare il fenomeno biologico dellalimentazione e altri fenomeni naturali analoghi
(che oggi chiamiamo reazioni chimiche) nei quali alcune sostanze si trasformano
in altre completamente diverse (per esempio il pane mangiato dalluomo si
trasforma in capelli, ossa, muscoli).
Il processo bio-chimico della digestione diventa, cos, per Anassagora un argomento
empirico, e dunque di tipo induttivo, a sostegno della sua teoria dei semi: il fatto che le
sostanze che mangiamo si trasformino in tessuti del nostro corpo prova che tutto
costituito dai semi.
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Ma come avviene il passaggio dai semi originari al cosmo? In origine, infatti, sostiene
Anassagora, tutti i semi sono condensati in una sorta di caotico magma. In questo stato le
loro qualit non sono differenziate e perci non possono manifestarsi, rendersi visibili,
essere pienamente reali. Il magma originario, insomma, , per cos dire, come una nebbia
uniformemente grigia.
Per spiegare il passaggio dal magma al cosmo, Anassagora introduce un nuovo principio,
lIntelligenza. Si tratta di un principio pur sempre fisico, ma eterno, immutabile e quindi
divino, dotato di una fisicit finissima e illimitata che gli permette di avvolgere e
compenetrare tutte le cose. Esso non ha carattere personale, cio non possiede coscienza,
intenzionalit e volont, ma non nemmeno soltanto una forza cosmica. E piuttosto una
legge razionale e dinamica che governa tutte le cose. Come tale presente in ogni cosa ma
senza mescolarsi con nessuna. In questo modo non limitata da niente e quindi del tutto
indipendente e pu pertanto imporre il suo ordine a tutti gli enti naturali.
LIntelligenza d origine al cosmo imprimendo al magma primordiale un movimento
rotatorio che a sua volta provoca la separazione:
dei semi pi pesanti, quelli pi densi, freddi, umidi e opachi, in origine fusi
nellaria;
dai semi pi leggeri, quelli pi rarefatti, caldi, secchi e luminosi, fusi nelletere (dal
greco athein=ardere, brillare), la sostanza di cui fatto il cielo.
Per effetto della forza centrifuga prodotta dalla rotazione, infatti, i semi pi pesanti si
dispongono nel centro, quelli pi leggeri si dislocano ai bordi. A partire da questa
distinzione, lIntelligenza orchestra il processo di continua aggregazione, disgregazione e
riaggregazione dei semi in base al quale il cosmo naturale prende forma e muta. In questo
modo dalletere si formano gli astri e dallaria tutti gli elementi terrestri (acqua e terra). Il
processo di formazione e trasformazione del cosmo si configura per Anassagora come
unevoluzione lineare, cio come un processo di progressivo e continuo perfezionamento.
Con la teoria dei semi Anassagora spiega e norma anche la conoscenza umana. Secondo
Anassagora, la conoscenza, per essere veritiera, deve partire dalle sensazioni, cio
dallesperienza sensibile. I dati sensibili al loro volta sono conservati, ma anche collegati e
ordinati per tipi, dalla facolt della memoria. In base ai dati sensibili lintelligenza umana
elabora delle ipotesi teoriche di spiegazione dei fenomeni. Quando le teorie trovano
conferma in un gran numero di dati sensibili accumulatisi nella memoria allora diventano
scienza, cio conoscenza veritiera e quindi affidabile. In questo senso, Anassagora sostiene
una strategia argomentativa di tipo empirico-induttivo.
98
Tuttavia, le conoscenze scientifiche per Anassagora hanno anche uno scopo pratico. In
altre parole, esse devono tradursi in tecniche applicabili alla realt naturale e capaci di
trasformarla in modo da permettere alluomo di produrre ci di cui ha bisogno. In questa
prospettiva, lapplicazione tecnica efficace di unipotesi scientifica costituisce unulteriore,
importante conferma della sua verit. Anassagora introduce cos una nuova strategia
argomentativa, largomentazione pragmatica, che induttiva come quella empirica, ma
non fa leva sulla corrispondenza tra una tesi e numerose osservazioni sensibili ma sulla
capacit di quella tesi di tradursi in tecniche che producono effetti efficaci e vantaggiosi per
luomo. Inoltre lattivit tecnica, per Anassagora, occasione a sua volta di nuove e pi
approfondite esperienze sensibili e contribuisce cos al progresso della scienza. In questa
prospettiva, Anassagora ritiene che lintelligenza delluomo sia strettamente connessa e
direttamente proporzionale alla sua abilit manuale.
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TAPPA 3
101
Democrito sostiene che gli indivisibili sono in numero infinito, eterni e immutabili e
dotati costitutivamente di movimento uniforme. Ci significa che il loro movimento non
leffetto di un principio o di una forza esterna ad essi ma un loro impulso fisico originario
e inesauribile. Questa loro decisiva propriet intrinseca presuppone, secondo Democrito,
lesistenza di un vuoto, cio dello spazio in cui gli indivisibili si muovono. E poich gli
indivisibili, e il loro moto, sono infiniti, anche il vuoto-spazio dovr necessariamente essere
infinito e dunque anche del tutto omogeneo, cio senza n centro n periferia, n alto n
basso.
Gli indivisibili, afferma Democrito, si differenziano per:
la conformazione fisica, ovvero grandezza, volume, forma geometrica, posizione
nello spazio (il peso dipende dalla relazione tra grandezza/volume e moto);
lordine di disposizione delle loro caratteristiche fisiche: p.e., spigolo-conca-piano
anzich conca-spigolo-piano.
Ogni fenomeno naturale delluniverso, ovvero il divenire naturale, dipende per Democrito
dal moto incessante degli indivisibili che, dopo essersi aggregati una prima volta,
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incessantemente si disgregano e si riaggregano urtandosi gli uni gli altri. In questo modo
Democrito elabora una concezione della natura nuova, che si pu definire:
meccanicistica, in quanto concepisce ogni fenomeno naturale come effetto del moto
e degli urti di particelle materiali, senza ricorrere a nessuna altra forza n ad alcuna
altra legge razionale esterna;
deterministica, in quanto tutti i fenomeni naturali sono concepiti come rapporti
necessari di causa-effetto, cio non possono non avvenire n possono avvenire
diversamente da come avvengono.
Poich tutti gli enti naturali sono aggregati di indivisibili e poich gli indivisibili hanno
caratteristiche unicamente quantitative, secondo Democrito, le uniche reali propriet della
natura sono quelle quantitative. Ma allora come mai la natura sembra possedere
soprattutto propriet qualitative come colori, odori, sapori, suoni, caldo e freddo, umido e
secco? Le propriet qualitative, risponde Democrito, sono solo nostre illusioni sensoriali.
Esse dipendono cio dalla natura e dalle modalit di funzionamento dei sensi delluomo.
Infatti, la conoscenza sensibile nasce dallurto dei corpi naturali con gli organi di senso del
nostro corpo. Questo urto nel caso del tatto e del gusto diretto, nel caso di udito, odorato
e vista indiretto, ovvero mediato da altri corpi. Per esempio, noi udiamo perch i suoni
sono vibrazioni dellaria che colpiscono il nostro orecchio, mentre odoriamo e vediamo
perch tutti i corpi esterni rilasciano continuamente delle loro immagini (idola), cio
delle loro copie microscopiche dei microagreggati di indivisibili identici ai
macroaggregati dai cui si distaccano i quali entrano nel naso o nellocchio.
Di conseguenza, secondo Democrito, la percezione sensibile sempre un misto delle
caratteristiche del corpo esterno e di quelle del nostro organo di senso. Ci equivale a dire
che i nostri sensi modificano le propriet dei corpi esterni, ovvero trasformano le loro
propriet quantitative in propriet qualitative e quindi le percepiscono come tali. Per
esempio, il gusto trasforma la rotondit degli atomi dello zucchero nella sensazione del
dolce, la vista trasforma lampiezza dellangolo di riflessione della luce sugli atomi dei
petali delle rose nel colore rosso, ecc.
Dato il carattere illusorio delle sensazioni, per Democrito la scienza cio la conoscenza
vera, certa, oggettiva non pu affidarsi alla conoscenza sensibile. Essa deve fondarsi sulla
ragione pura, cio sullelaborazione di modelli teorici di spiegazione razionale dei dati
empirici. In questa prospettiva, il principio teorico fondamentale della scienza che la
natura possiede una costituzione geometrico-quantitativa. Ne consegue che fare scienza
significa spiegare tutti i fenomeni naturali in base alle sole propriet geometricoquantitative (lunghezza, volume, peso, velocit, ecc.), astraendo completamente da quelle
103
qualitative (colore, sapore, odore, ecc.). Tuttavia, afferma Democrito, lesperienza sensibile
va considerata e usata come il banco di prova di ogni spiegazione teorica. In altre parole
una teoria scientifica non deve fondarsi sulla conoscenza dei sensi, ma non pu comunque
contraddirla. Se dunque lesperienza sensibile contraddice una teoria, questa teoria deve
essere considerata falsa.
Anche letica, cio la dottrina del miglior comportamento umano, deve basarsi sulla
razionalit. Letica di Democrito propone infatti a ogni uomo di perseguire la sua felicit
individuale considerando come massimo valore quello della serenit interiore e come
strumento fondamentale per raggiungerlo la ragione intesa come capacit di negare o
almeno moderare i desideri sensibili e le passioni.
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TAPPA 4
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Le prime due tesi sono basate sullosservazione di un meteorite caduto sulla superficie
terrestre che aveva permesso di appurarne le caratteristiche geologiche.
Anassagora inoltre abbozza una teoria evoluzionistica della formazione della specie umana
secondo la quale i primi uomini nacquero dallumidit e poi cominciarono a riprodursi
sessualmente incrementando continuamente la propria intelligenza fino a raggiungere un
primato su tutti gli enti naturali. Il progredire dellintelligenza umana si deve, secondo
Anassagora, alla manualit delluomo, cio alla capacit umana di usare le mani per
fabbricare oggetti artificiali.
In questo senso Anassagora esalta la tecnica e la utilizza anche come strumento di verifica
delle ipotesi scientifiche. Egli non fa solo esperienze ma anche esperimenti cio
esperienze progettate razionalmente e attuate con strumenti artificiali , come quello della
compressione di un otre di pelle senza liquidi ma tappato, che, opponendo resistenza,
evidenzia la pressione esercitata dallaria, attestando la sua materialit e linesistenza del
vuoto.
Una delle pi importanti innovazioni scientifiche del V secolo lo sviluppo della medicina
a opera di Ippocrate (460-370 a.C.) di Cos (isola ionica). Ippocrate innanzitutto il primo
medico che, pur non negando lesistenza di divinit, afferma il carattere esclusivamente
naturale delle malattie ed espelle dalla terapia medica tutti i residui di concezioni e
pratiche religiose.
E emblematica in questo senso la sua confutazione del cosiddetto male sacro, cio
dellepilessia in quanto creduta malattia di origine divina. Secondo Ippocrate, lepilessia
invece una malattia del cervello, da lui ritenuto organo della sensazione e del pensiero.
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Il principio pi generale della teoria ippocratica della malattia che essa sia la rottura
dellequilibrio tra le diverse componenti del corpo umano. Tra queste le pi importanti
sono il catarro, la bile e il sangue. Si tratta di liquidi organici che possiedono delle
propriet attive (p.e. lacidit, lastringenza, la diureticit) capaci di modificare il
funzionamento dellorganismo.
La malattia, in questo senso, consiste nelleccesso di una o pi qualit attive a sua volta
conseguenza della prevalenza di un umore sugli altri. Leccesso che rompe lequilibrio, cio
lo stato di salute, dovuto a una causa esterna al corpo.
Su questa base, Ippocrate stabilisce tre tipi generali di cause delle malattie:
1) ambientali, legate al luogo geografico e al clima ma anche al contesto sociale;
2) di stile di vita, connesse alle modalit della condotta individuale di vita
(alimentazione, tipo di lavoro, relazioni con gli altri, ecc.);
3) traumi, cio lesioni fisiche come ferite di guerra o rotture di arti ma anche lesioni
psichiche dovute a conflitti emotivi.
108
1) lanmnesi (in greco ricordo), cio la ricostruzione della storia della salute di un
individuo a partire dalla nascita;
2) la diagnosi, cio la comprensione del tipo di malattia di cui il malato affetto e
lindividuazione delle sue cause;
3) la prognosi, cio la previsione del decorso della malattia ovvero sulla possibilit o
meno di guarigione e sui suoi eventuali modi e tempi.
In base ad anmnesi, diagnosi e prognosi, secondo Ippocrate pu essere stabilita la terapia
adeguata che consiste in:
a)
b)
c)
d)
e)
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LO SCRIGNO
ALEX VILENKIN: LA SCOPERTA DELLA GRAVITA REPULSIVA
Cos stavano le cose [la gravit era considerata una forza solamente
attrattiva, ndr] fino al 1998 quando due gruppi di ricerca indipendenti
annunciarono una scoperta sensazionale. Essi misurarono la luminosit delle
esplosioni di supernova in galassie lontane, e utilizzarono i dati per calcolare
levolversi dellespansione cosmica. Con loro grande sorpresa, trovarono che,
anzich essere rallentata dalla gravit, lespansione sta in realt accelerando.
Questa scoperta fa pensare che lUniverso sia pieno di una qualche materia a
gravit repulsiva. La possibilit pi semplice che il vero vuoto, in cui noi ora
abitiamo, abbia una densit di massa diversa da zero. Come sappiamo, il
vuoto possiede gravit repulsiva, e se la sua densit superiore a 1/2 del
valore di densit media di materia, il risultato una forza repulsiva.
Alex Vilenkin, Un solo mondo o infiniti?, Cortina 2007, p. 126-127
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LA SCOPERTA
LA RAZIONALITA UMANA
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Cannocchiale su
LORIZZONTE STORICO-CULTURALE
LETA GRECA CLASSICA (V sec. a.C.)
Nella prima met del V secolo, le principali poleis greche, alleatesi sotto la guida di Sparta
e Atene, riuscirono, nel corso di due guerre successive (490-478 a.C.), a sconfiggere
limpero persiano, che aveva tentato di conquistarle. Fu un evento storico epocale, in
quanto in questo modo i Greci (bench non tutti, perch alcune poleis si allearono con i
persiani) non solo difesero la loro indipendenza e la loro libert, ma salvarono la loro
cultura che altrimenti sarebbe stata soffocata da quella orientale dei persiani e con essa
la futura cultura occidentale, dal momento che lantica cultura greca ne costitu la prima e
fondamentale pietra.
Nellimmediato, lesito vittorioso delle guerre persiane conferm e rafforz il primato delle
due maggiori poleis greche, Sparta e Atene. Ma mentre Sparta torn a una politica estera
isolazionistica, paga del suo dominio sul Peloponneso, e mantenne la propria
organizzazione politica interna e la propria tradizione culturale, Atene sfrutt appieno il
proprio successo militare con la costituzione della lega delio-attica in funzione antipersiana
e impose progressivamente la propria egemonia imperialistica sulle poleis del mar Egeo e
della Grecia continentale (nel 425 superarono le 400), garantendosi unenorme entrata in
tributi e dando il via a un sempre pi radicale processo interno di democratizzazione
politica e di innovazione culturale.
In questo contesto, a partire dal 462, inizi lascesa politica di Pericle membro dellantica
famiglia aristocratica degli Alcmeonidi ma leader del partito democratico e con essa la
riforma delle istituzioni ateniesi: lantico Areopago fu esautorato di ogni potere tranne
quello di giudicare i delitti di sangue; allEcclesa (lassemblea di tutti i cittadini) venne
affidato il potere decisionale sulle questioni politiche e giudiziarie; alla Bul (un consiglio
di 500 cittadini, scelti a rotazione tra tutti) fu attribuito il potere di governare; soprattutto
fu introdotta unindennit giornaliera per tutti i cittadini che partecipavano alle nuove
istituzioni democratiche cosicch anche gli ateniesi meno abbienti potessero permettersi il
lusso di fare politica in prima persona.
Dal 443 al 427 (anno della sua morte), Pericle fu sempre eletto stratega e grazie a questa
carica ufficiale ma soprattutto alla sua abilit politica e al suo carisma umano, riusc a
dirigere il governo ateniese. Due furono le sue pi importanti realizzazioni governative: il
finanziamento e la promozione dellarte, della cultura e dellistruzione; e il miglioramento
delle condizioni economiche e sociali delle classi inferiori. Per il primo aspetto, Pericle fece
costruire il Partenone e molti altri edifici pubblici e monumenti, e accolse e sostenne
artisti, poeti, filosofi, storici, organizzando nella propria dimora, insieme alla colta e
brillante moglie Aspasia, un circolo di intellettuali che comprendeva, tra gli altri, lo storico
112
In ambito culturale, il V secolo rappresenta let classica della civilt greca, da molti
considerata non solo quella della sua massima fioritura ma perfino uno dei periodi di
massimo splendore culturale dellintera storia della civilt umana.
Nellambito della letteratura, fu let del trionfo della creativit teatrale, sia di tipo tragico
sia di tipo comico. Il teatro greco era gi nato ad Atene nella seconda met del VI secolo
per volont del tiranno Pisistrato, che aveva istituito le feste Dionsie, sette giorni
primaverili, tra marzo e aprile, in cui si celebrava il dio agreste Dioniso con riti,
processioni, vere e proprie baldorie o addirittura orge, ma anche e soprattutto con
rappresentazioni teatrali di tragedie e commedie dallalba al tramonto. Trattandosi di una
ricorrenza civico-religiosa, a spese dei cittadini pi ricchi, tutti gli ateniesi erano tenuti a
parteciparvi e addirittura i cittadini pi poveri ricevevano un contributo affinch potessero
permettersi di non lavorare per un settimana. Ma alle Dionsie erano invitati anche gli
stranieri residenti o di passaggio. Il loro scopo politico erano, infatti, sia la coesione sociale
interna sia la propaganda della superiorit culturale e civile di Atene tra tutti i Greci.
Fu per nel corso del V secolo che la produzione teatrale ateniese raggiunse lacme
artistico, grazie alle tragedie di Eschilo, Sofocle ed Euripide e alle commedie di Aristofane.
Le tragedie greche attingevano allantichissimo patrimonio dei miti ma lo attualizzavano
sia elaborandone nuove versioni sia soprattutto con la loro rappresentazione teatrale.
Infatti, prima della nascita della tragedia i miti Greci erano cantati dagli aedi, mentre dalla
seconda met del VI secolo vennero trasmessi attraverso lazione scenica (drma in greco
antico significava azione), fermo restando che le battute dei protagonisti erano in versi,
cio in forma poetica, e che addirittura il coro, che aveva un ruolo fondamentale, cantava e
113
danzava (in questo senso la tragedia greca assomigliava pi a unodierna opera lirica che a
un attuale spettacolo teatrale).
I temi al centro della tragedia greca antica furono: innanzitutto il carattere conflittuale
della vita, non solo e non tanto nel senso che ogni individuo si scontra inevitabilmente con
altri individui, e non solo uomini ma perfino dei, ma anche e soprattutto che ogni
individuo diviso in se stesso, fondamentalmente doppio, sempre scisso e combattuto
nella scelta tra ragioni e valori che si escludono a vicenda (p.e. lamore per il fratello e il
rispetto delle leggi della plis); in secondo luogo, il fondo misterioso, incomprensibile,
dellesistenza, che si manifesta nelle insolubili alternative tra scelta o destino, colpa o
innocenza, responsabilit o irresponsabilit, nel senso che lagire individuale appare sia
determinato sia voluto, e quindi lindividuo al tempo stesso innocente e colpevole,
irresponsabile e responsabile; infine, la presenza di unenigmatica legge della vita, legata
alla correlazione tra lbris (la tracotanza, leccesso), propria di ogni individuo, e la
nmesis (la giustizia), ovvero la forza divina che punisce prepotenze ed eccessi ma
attraverso le azioni di altri individui (p.e. Agamennone, a causa del sacrificio umano della
figlia Ifigenia, si macchiato di bris e per nmesis viene ucciso da sua moglie
Clitennestra).
In questo senso la tragedia greca, da un lato, lespressione pi alta e profonda del rapido
e radicale mutamento della civilt greca, e in particolare di Atene, nel corso del V secolo,
cio del contrasto tra valori e concezioni vecchie e nuove; dallaltro, si intreccia con la
riflessione filosofica, cio ne influenzata e a sua volta la influenza. Da questo punto di
vista, il passaggio da Eschilo e Sofocle a Euripide rappresent una ulteriore, netta
accelerazione. Mentre, infatti, Eschilo aveva dato la preminenza agli dei e Sofocle ai
protagonisti umani ma intesi come eroi, cio come superuomini, Euripide, intriso di
filosofia sofistica, umanizz la tragedia, attribuendo ai protagonisti sentimenti e
comportamenti propri degli uomini comuni e denunciando lirrazionalit e limmoralit
degli dei.
La commedia, invece, che raggiunge un altissimo vertice con Aristofane, ebbe
prevalentemente una funzione di satira delle vicende e dei personaggi politici, ma anche
della nuova mentalit e dei nuovi vezzi degli ateniesi.
Anche la poesia lirica ebbe nel V secolo una funzione civile in quanto lirica corale, cio
poesia celebrativa di dei ed eroi che veniva cantata in cerimonie e feste pubbliche. I pi
grandi poeti lirici dellet classica furono Simonide, Bacchilide e soprattutto Pindaro,
particolarmente significativo perch la sua opera si caratterizza per la fede negli dei
tradizionali, considerati assolutamente giusti e buoni, tanto da negare la fondatezza degli
episodi mitici in cui essi commettevano azioni immorali e da offrirne delle diverse versioni.
Sempre a livello letterario, ma insieme anche scientifico, unaltra novit del V secolo fu la
nascita della storiografia (che includeva anche la geografia, lantropologia e letnografia) ad
opera di Erodoto, autore dei 9 libri delle Storie. Con questopera, infatti, dedicata alle
guerre greco-persiane, Erodoto innanzitutto non si limit alla registrazione dei fatti storici,
ma cerc di individuare le loro cause; e, in secondo luogo, proprio a tale scopo, allarg la
114
sua indagine ai diversi ambienti naturali, alle diverse mentalit e ai diversi costumi delle
popolazioni greche e persiane.
Nellambito delle arti plastiche e urbanistico-architettoniche, il V secolo fu caratterizzato
dal succedersi del periodo severo (480-450 a.C.) e di quello classico (450-430 a.C).
Nel primo da evidenziare innanzitutto il maggior uso del bronzo (vedi p.e. i famosi bronzi
di Riace), indice del progresso nella tecnica metallurgica. Ma soprattutto larte severa fu
caratterizzata dallabbandono della frontalit arcaica e dalladozione di forme pi
realistiche, morbide e anatomicamente dettagliate nella rappresentazione delle figure
umane (vedi p.e. il Discobolo di Mirone). Nacque inoltre la grande pittura murale (p.e. la
sto poikle, cio il portico dipinto, di Atene) o su cavalletto, che influenz anche la
ceramografia; lurbanistica assunse lo schema ortogonale, codificato e imposto da
Ippodamo di Mileto; e larchitettura ebbe la sua massima espressione nel grande tempio
dorico di Zeus a Olimpia.
Il successivo periodo classico fu caratterizzato dallimporsi della sezione aurea (il
rapporto tra due segmenti in cui la somma sta al maggiore come il maggiore al minore),
ovvero del numero aureo (1,6180, il numero che esprime quel rapporto), e pi in
generale dalladozione di rigorosi criteri di proporzionalit, armonia e simmetria. Il
numero aureo fu applicato sia alla raffigurazione scultorea (p.e. il Doriforo di Policleto) sia
allarchitettura (p.e. nel Partenone di Fidia). A livello scultoreo, le rappresentazioni del
corpo umano acquistarono ancor pi flessibilit e dinamicit, mentre in pittura si pass dai
grandi affreschi ai dipinti di piccole dimensioni e fu inventata la tecnica del chiaroscuro.
A livello scientifico, nella seconda met del V secolo vi fu un notevole sviluppo delle
tecniche artigianali e dei relativi saperi tecnici (metallurgia, cantieristica, strumenti di
navigazione, agricoltura, culinaria, ceramica, ecc.), favorito dalla diffusione delluso della
scrittura che ne permetteva una trasmissione pi precisa e completa. Tra le scienze vere e
proprie, cio non unicamente pratico-empiriche, ma anche e soprattutto teoriche, i
maggiori progressi si ebbero nella matematica con Ippocrate di Chio, che scopr il calcolo
dellarea delle lunole e introdusse nella logica matematica la dimostrazione per assurdo, e
nella medicina con Ippocrate di Cos, che elabor una nuova sintesi tra osservazioni
individuali e regole generali.
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116
alluomo. In tal modo, luomo ebbe la sapienza tecnica necessaria per la vita,
ma non ebbe la sapienza politica, perch questa si trovava presso Zeus, e a
Prometeo non era ormai pi possibile entrare nellacropoli, dimora di Zeus;
per giunta, cerano anche le terribili guardie di Zeus. Entra dunque
furtivamente nella officina di Atena e di Efesto, in cui essi praticavano
insieme la loro arte, e, rubata larte del fuoco di Efesto e quella di Atena, la
dona alluomo. Di qui vennero alluomo le sue risorse per la vita. Ma
Prometeo, a causa di Epimeteo, in seguito, come si narra, sub la pena per il
furto.
E, poich luomo divenne partecipe di sorte divina, in primo luogo, in virt di
questo legame di parentela che venne ad avere col divino, unico fra gli animali
credette negli dei, e intraprese a costruire altari e statue di dei. In secondo
luogo, rapidamente con larte sciolse la voce ed articol le parole, invent
abitazioni, vesti, calzari, letti e trasse gli alimenti dalla terra. Provvisti in
questo modo, da principio, gli uomini abitavano sparsi qua e l, e non
esistevano Citt. Pertanto perivano ad opera delle fiere, giacch erano molto
meno potenti di esse: larte che essi possedevano era per loro un adeguato
aiuto nel procurarsi il nutrimento, ma non era sufficiente alla guerra contro
le fiere. Infatti, essi non possedevano ancora larte politica, di cui larte della
guerra parte. Pertanto, essi cercavano di raccogliersi insieme e di salvarsi
fondando Citt; ma, allorch si raccoglievano insieme, si facevano ingiustizie
lun laltro, perch non possedevano larte politica, sicch, disperdendosi
nuovamente, perivano. Allora Zeus, nel timore che la nostra stirpe potesse
perire interamente, mand Ermes a portare agli uomini il rispetto e la
giustizia, perch fossero principi ordinatori di Citt e legami produttori di
amicizia. Allora Ermes domand a Zeus in quale modo dovesse dare agli
uomini la giustizia e il rispetto: Devo distribuire questi come sono state
distribuite le arti? Le arti furono distribuite in questo modo: uno solo che
possiede larte medica basta per molti che non la posseggono, e cos anche
per gli altri che posseggono unarte. Ebbene, anche la giustizia e il rispetto
debbo distribuirli agli uomini in questo modo, oppure li debbo distribuire a
tutti quanti?. E Zeus rispose: A tutti quanti. Che tutti quanti ne partecipino,
perch non potrebbero sorgere Citt, se solamente pochi uomini ne
partecipassero, cos come avviene per le altre arti. Anzi, poni come legge in
mio nome che chi non sa partecipare del rispetto e della giustizia venga ucciso
come un male della Citt.
Cos, o Socrate, e appunto per queste ragioni, gli Ateniesi, e anche gli altri,
allorch sia in questione labilit dellarte di costruire o di qualche altra arte,
ritengono che pochi debbano prender parte alle deliberazioni. E se qualcuno
che non sia di questi pochi vuol dare consigli, non lo sopportano, come tu dici:
e di buona ragione, aggiungo io. Ma quando si radunano in assemblea per
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VIAGGIO
LA RAZIONALITA
STRUMENTALE DELLUOMO
119
ROTTA SU
I SOFISTI
In ambito filosofico, nel V secolo si attua una duplice svolta: da un lato Atene diventa il
centro della ricerca filosofica e scientifica, dallaltro una nuova generazione di filosofi
assume come oggetto privilegiato della propria indagine luomo.
Questa duplice svolta avviene nel periodo di massimo sviluppo economico, sociale e
politico della civilt greca ed connessa in particolare alla supremazia di Atene, ovvero
della polis simbolo della democrazia antica.
In questo contesto nasce e si espande il movimento filosofico dei sofisti. In greco antico
sofista significa letteralmente sapiente. Ma nellAtene della seconda met del V secolo
il termine acquista laccezione di insegnante, in quanto viene usato per designare
uomini di cultura che trasmettono a pagamento le loro conoscenze ai giovani ateniesi. In
questo modo, la filosofia, che precedentemente era stata appannaggio di una lite, si
diffonde tra una cerchia sociale pi ampia. Ci accade perch molti giovani, sia
aristocratici sia borghesi, vogliono acquisire strumenti per poter partecipare alla vita
politica e per poter conseguire le pi ambite cariche politiche e militari.
Di conseguenza linsegnamento e lindagine conoscitiva dei sofisti si concentrano sulla
retorica (larte del parlare, comprendente conoscenze grammaticali, lessicali, stilistiche e
logico-argomentative), sulla letteratura, sulla storia, sulletica, sul diritto e sulla politica.
In questo senso, i sofisti possono essere considerati i fondatori delle scienze umane, o
scienze storico-sociali, ovvero delle scienze che studiano le produzioni storico-culturali
delluomo.
In base alla loro ricerca nellambito delle scienze umane, i sofisti elaborano un nuovo
modello di razionalit, alternativo e perfino antitetico rispetto a quello teorizzato dai
filosofi precedenti, ossia dai cosmologi o fisici. I sofisti, infatti, rigettano la nozione di
verit oggettiva e assoluta, a favore di una concezione soggettiva e relativa della verit.
In questo senso per i sofisti la razionalit la capacit logico-linguistica delluomo di
argomentare in modo convincente una tesi che ha comunque sempre un valore
conoscitivo parziale e temporaneo. In altre parole, per i sofisti in primo luogo la
razionalit una propriet unicamente umana, in secondo luogo essa solamente
strumentale o tecnica, ovvero solo uno strumento per sostenere con successo una tesi,
non il metodo per selezionare lunica tesi certamente vera.
I pi importanti sofisti furono Protagora e Gorgia, ma vi furono molti altri sofisti di
notevole levatura intellettuale, come Antifonte, Crizia, Ippia, Callicle, Prodico,
Trasimaco.
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VITA DI CAPITANI
PROTAGORA E GORGIA
Protagora (485-410 a.C. ca.) nacque ad Abdera, citt portuale della Tracia dove nel 460
era nato anche Democrito, ma abit e oper a lungo in Atene, guadagnandosi da vivere
come insegnante di retorica e scrittore di discorsi. Sostenitore della democrazia, amico di
Pericle, dopo la sua morte, nel 411, fu accusato di empiet, a causa della sua posizione
agnostica sugli dei, e costretto ad abbandonare Atene. Secondo la testimonianza dello
storico Diogene Laerzio (II-III sec. d.C.), le autorit politiche ateniesi fecero sequestrare e
bruciare pubblicamente le opere di Protagora. Altre testimonianze attestano che mor a
causa del naufragio della nave su cui viaggiava.
Si trattava di libri in prosa, di cui ci restano solo frammenti: Ragionamenti demolitori,
Antilogie (discorsi contrapposti), Sulla verit, Sugli dei. In Antilogie Protagora esponeva
e discuteva tesi contrapposte relativamente agli dei, allessere, allo stato e alle leggi, alle
tecniche. In Sulla verit illustrava la sua concezione strumentale della razionalit umana.
Gorgia (480-372 a.C. ca.) nacque in Sicilia a Leontini, oggi Lentini, citt della provincia di
Siracusa. Inizialmente discepolo di Empedocle, si trasfer ad Atene, dove insegn retorica e
prese parte al circolo intellettuale di Pericle, ma viaggi continuamente per tutta la Grecia,
insegnando ed esibendo il suo talento retorico anche molte altre citt. In particolare, si
rec a Delfi e ad Olimpia dove tenne, su commissione, discorsi pubblici di enorme
successo. Ebbe molti illustri allievi e divenne molto ricco, ma condusse sempre una vita
sobria e alla sua morte la sua eredit monetaria si rivel modesta. Peraltro mor
ultracentenario. A chi, in precedenza, gli aveva chiesto il segreto della sua longevit pare
avesse risposto: Non ho mai fatto niente per compiacere un altro.
Le sue opere pi importanti sono il saggio Intorno al non ente o intorno alla natura e
famosi discorsi quali Encomio di Elena e Apologia di Palamede, in cui Gorgia, per esibire
la sua abilit retorica, sfida il senso comune dei Greci argomentando a favore di tesi
considerate assurde e addirittura scandalose dalla maggior parte dei suoi contemporanei.
Nel primo discorso, infatti, Gorgia tesse le lodi Elena, da tutti considerata adultera e
traditrice; nel secondo immagina il discorso che lacheo Palamede avrebbe potuto
pronunciare per difendersi con successo dallaccusa di tradimento mossagli da Ulisse, cio
da colui che i Greci consideravano il pi scaltro e abile degli uomini.
121
TAPPA 1
PROTAGORA: LA RAZIONALITA E UMANA E RELATIVA
E per le donne, fare il bagno in casa bello, ma nella palestra brutto. (Invece
per gli uomini tanto nella palestra che nel ginnasio bello.) []
E ancora, laccoppiarsi col proprio marito bello, ma con un estraneo
bruttissimo; e cos anche per luomo, accoppiarsi con la propria moglie
bello, con unestranea brutto. []
Per esempio, per gli Spartani, che le fanciulle facciano ginnastica e si
esibiscano in pubblico sbracciate e senza tunica bello; per gli Ioni, brutto.
[]
I Massageti squartano i genitori e se li mangiano, perch pensano che lesser
sepolti nei propri figli sia la pi bella sepoltura; invece se qualcuno lo facesse
in Grecia, cacciato in bando morirebbe con infamia, come autore di cose turpi
e terribili. []
Se analizzi a fondo, vedrai che cos laltra legge dei mortali: nulla mai
assolutamente bello n brutto; ma le stesse cose, come il momento le afferri,
le fa brutte; come si cambi, belle.
Anonimo, Ragionamenti duplici (scritto sul modello delle Antilogie di Protagora)
122
Tuttavia, che la conoscenza razionale delluomo sia relativa, e quindi limitata, non significa
per Protagora che essa non abbia valore. Al contrario, e paradossalmente, proprio il fatto
che luomo non possa basarsi su verit e su valori oggettivi, e quindi universali, rende
decisivo luso della sua razionalit. Per ogni individuo, infatti, si tratta di fare le scelte
migliori unicamente sulla base del proprio giudizio e quindi delle proprie capacit di
elaborazione razionale. Insomma, il fenomenismo e il relativismo di Protagora non
sfociano in un invito allarbitrio sconsiderato, cio a pensare, dire e fare indifferentemente
123
qualsiasi cosa a seconda del proprio capriccio momentaneo, bens nella proposta di una
tecnica razionale di selezione delle conoscenze, dei valori e dei comportamenti pi efficaci.
Tale tecnica consiste nel seguire queste indicazioni:
assumere come riferimento conoscitivo lesperienza diretta e individuale, cio ci che
conosciamo in base alle nostre sensazioni e ai nostri ragionamenti relativi alle realt
particolari e circoscritte con cui abbiamo di volta in volta a che fare, ovvero il contesto
naturale o sociale concreto in cui agiamo;
assumere come criterio di selezione delle alternative conoscitive e pratiche quello
dellutilit, innanzitutto quella individuale, e poi a partire da essa quella del gruppo
sociale (famiglia, categoria professionale, classe sociale) o del popolo cui si
appartiene;
utilizzare largomentazione razionale (ovvero il ragionamento) per individuare e
motivare la scelta pi efficace tra le alternative conoscitive e pratiche a disposizione, e
soprattutto per convincere gli altri a condividere la propria scelta.
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126
TAPPA 2
Gorgia condivide il problema individuato da Protagora: com possibile che esista la verit
se ogni filosofo sostiene una verit diversa e antitetica da quelle degli altri filosofi? Ma la
soluzione che Gorgia d a questo problema ancora pi radicale di quella di Protagora.
Essa consistente in tre tesi tanto lapidarie quanto provocatorie:
1. Nulla esiste.
2. Se qualcosa esistesse, non sarebbe conoscibile.
3. Se qualcosa fosse conoscibile, non sarebbe comunicabile.
La prima tesi nulla esiste non va interpretata in senso empirico-fenomenico, ovvero
come affermazione dellinesistenza delle cose fisiche oggetto dei nostri sensi. Nulla esiste
ha un significato ontologico, cio vuol dire che non c un principio razionale unico e
fondamentale della realt (che sia acqua, illimitato, soffio, fuoco-logos, essere, numeri o
qualsiasi altra cosa) e quindi non c alcuna razionalit oggettiva, cio inerente alla natura.
La seconda e la terza tesi, da un lato, sono consequenziali alla prima: non esistendo
principi razionali oggettivi nessuna conoscenza umana e nessun discorso umano possono
essere universali e quindi comunicabili. Dunque, non vi nemmeno alcuna razionalit
127
soggettiva, cio propria delluomo. Da un altro lato, per, le due ultime tesi costituiscono
anche un esempio di virtuosismo retorico-argomentativo sul modello delle arringhe
giudiziarie. Esse infatti esibiscono argomenti supplementari, ad abundantiam, per rendere
mirabolante e inattaccabile limpianto argomentativo. In altre parole: sarebbe pi che
sufficiente largomentazione della prima tesi, e ancor pi quella della seconda ma perfino
ipotizzando per assurdo che una o tutte e due fossero false, la conclusione per Gorgia
sarebbe comunque la stessa: la razionalit impossibile.
La prima tesi nulla esiste sostenuta da Gorgia con una argomentazione dialettica
che parte dallassunto che se lessere esistesse o sarebbe generato o sarebbe ingenerato.
Ma:
1. Se fosse generato, sarebbe generato dallessere o dal non-essere. Se fosse generato
dallessere, ci implicherebbe una trasformazione dellessere e dunque lessere non
sarebbe pi tale, sarebbe divenire, cio si autonegherebbe. Se fosse generato dal nonessere, ci sono due possibilit: o il non-essere non e allora non potrebbe generare
lessere perch nulla pu nascere dal nulla; o il non-essere e allora non potrebbe
generare lessere perch ci implicherebbe lautonegazione del non-essere.
2. Se fosse ingenerato, lessere sarebbe infinito. Ma, in quanto infinito, lessere non
potrebbe trovarsi in alcun luogo. Infatti per definizione il luogo ci che contiene. Ma
linfinito non pu essere contenuto n da s stesso n da qualcosaltro altrimenti vi
sarebbero due infiniti, il che assurdo. Non essendo in alcun luogo, lessere il nulla,
in quanto non pu esistere qualcosa che non abbia una collocazione spaziale.
Dunque nulla . Ma anche ammesso per assurdo che lessere fosse, continua Gorgia, esso
non sarebbe razionalmente conoscibile. Infatti, per conoscere lessere, il nostro pensiero
dovrebbe coincidere con tutto ci che esiste. Se cos fosse, allora dovrebbe essere vero che
tutto ci che pensiamo esiste. Ma noi possiamo pensare molte cose che non esistono
come un uomo che vola o bighe che solcano i mari. Dunque il pensiero non coincide con
lessere. Di conseguenza lessere non pensato, cio inconoscibile.
Ma, prosegue implacabile Gorgia, anche ammesso per assurdo che lessere fosse
conoscibile, esso comunque non sarebbe comunicabile, cio gli uomini non potrebbero
scambiarsi informazioni o giudizi su di esso. Infatti per comunicare si usano le parole, le
quali sono suoni. Ma se sono suoni solo ludito pu cogliere e conoscere le parole. Poich i
colori possono essere conosciuti solo dalla vista e i sapori solo dal gusto, ma non dalludito,
nessuna parola pu trasmettere la conoscenza di un colore o di un sapore. Ma anche
128
ammesso per assurdo che una parola possa contenere qualsiasi esperienza sensibile, chi la
ascolta non potrebbe farsi la stessa rappresentazione mentale del suo contenuto di chi lha
proferita. Infatti, le menti di chi parla e di chi ascolta sono diverse, altrimenti essi
sarebbero la stessa persona. Dunque alla stessa parola corrispondono due contenuti
mentali diversi. Per esempio uno pu dire tavolo e pensarlo quadrato e un altro pu
udire tavolo e rappresentarselo tondo.
Gorgia giunge cos a confutare tutte le teorie filosofiche precedenti. Ma la sua grandezza
filosofica consiste soprattutto nel fatto che egli le confuta utilizzando quelle stesse strategie
argomentative razionali con le quali i filosofi precedenti, in particolare Parmenide e
Zenone, le avevano sostenute. In questo modo Gorgia ottiene il suo risultato pi
clamoroso: mostrare che nessuna argomentazione razionale cio assolutamente
fondata e univoca bens che tutte le argomentazioni sono soltanto retoriche, cio basate
sul potere incantatorio, ovvero ipnotico, della parola orale.
Questo significa che la parola pu modificare i nostri sentimenti, pu eliminare il dolore e
infondere il piacere, pu esercitare una coercizione pari se non superiore a quella basata
sulla forza fisica. La parola, afferma Gorgia, ha queste capacit perch possiede il potere di
persuadere, ovvero produce una sorta di ipnosi. La retorica appunto la tecnica
sviluppata e insegnata da Gorgia capace di rendere la parola il pi persuasiva, cio il pi
ipnotica, possibile. La tecnica retorica consiste nelluso translato delle parole (le figure
retoriche: metafora, sineddoche, metonimia, similitudine, ecc.), nella selezione di quelle
pi efficaci emotivamente, nellordine di successione e nella concatenazione degli
argomenti, nelluso del volume e dei toni della voce, ma anche nella scelta dei gesti e delle
espressioni del viso. In questo senso per Gorgia tutte le tesi sono solo credenze individuali
e come tali sono equivalenti. Ci che rende una migliore dellaltra solo la retorica, cio la
capacit delloratore di rendere alcune pi persuasive delle altre. Insomma, per Gorgia
una questione di magia, bench linguistica, non di verit; di forza, bench verbale, non di
ragione.
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LO SCRIGNO
LA COSTITUZIONE ITALIANA: IL DIRITTO-DOVERE DI VOTO
Sono elettori tutti i cittadini, uomini e donne, che hanno raggiunto la
maggiore et.
Il voto personale ed eguale, libero e segreto. Il suo esercizio dovere civico.
Costituzione della Repubblica italiana, art. 48, commi 1 e 2
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IV VIAGGIO
132
ROTTA SU
IL RAZIONALISMO CRITICO
Tra tutti gli antropologi, cio i filosofi greci che incentrano la loro ricerca sulluomo, la
figura di maggiore spessore umano e filosofico quella di Socrate. Pur legato ai sofisti
sia da rapporti di amicizia personale sia da affinit filosofiche, Socrate non si considera e
non un sofista. Oltre a insegnare gratuitamente, egli ritiene che la razionalit umana
sia s incapace di possedere verit complete e assolute ma anche che la verit, ovvero
lessere, esista e che la razionalit umana abbia la capacit di avvicinarsi sempre pi e
sempre meglio ad essa.
Per Socrate, infatti, le tesi conoscitive pur essendo molte e diverse e dunque parziali e
relative possono convergere e ridurre progressivamente la loro diversit e dunque la
loro parzialit e relativit. Di conseguenza, Socrate non un relativista in quanto,
secondo lui, c sempre una tesi conoscitiva oggettivamente migliore delle altre, per
quanto mai completa e dunque destinata a essere superata da una nuova tesi ancora
migliore.
La convergenza tra le diverse tesi pu realizzarsi, secondo Socrate, solo nel dialogo,
cio nella discussione filosofica, e dunque costituisce unimpresa collettiva. Il dialogo per
deve essere inteso e praticato come ricerca della definizione di un valore (p.e. il coraggio
o lamicizia). La definizione, infatti, almeno tendenzialmente universale, perch astrae
dalle particolarit delle diverse opinioni individuali ed evidenzia ci che c di comune in
tutte le possibili opinioni.
In questo senso, la posizione filosofica di Socrate pu essere denominata razionalismo
critico, in quanto, da un lato, valorizza la ragione umana, attribuendole la capacit di
una conoscenza oggettiva e universale sempre crescente; dallaltro lato, tuttavia, ritiene
limitata, e dunque sempre incompleta, la capacit conoscitiva della ragione umana.
Socrate pu essere considerato a buon diritto il fondatore del razionalismo critico, un
indirizzo filosofico fatto proprio da filosofi successivi di grande levatura come
Immanuel Kant (1724-1804), Karl Popper (1902-1994) e il vivente Karl Otto Apel.
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VITA DI UN CAPITANO
SOCRATE
Socrate (469-399) nacque ad Atene, figlio di uno scultore e di unostetrica, dunque in una
famiglia benestante, ma non aristocratica e nemmeno ricca. Da giovane fece il lavoro del
padre ma, una volta raggiunta lautosufficienza economica, si dedic completamente alla
filosofia.
Subito prima e durante la guerra del Peloponneso (431-404), combatt come oplita nelle
battaglie di Potidea (432), nella quale salv la vita al giovane Alcibiade, Delio (424) e
Anfipoli (422). Le testimonianze descrivono Socrate come un soldato ineccepibile, di
grande resistenza, ma al contempo particolare, in quanto a volte si metteva in disparte a
rimaneva immobile a lungo a meditare, come fosse in trance. Assolto il suo dovere militare,
Socrate si spos con Santippe, dalla quale ebbe tre figli. Secondo altre fonti, il terzo figlio
lavrebbe avuto da una seconda moglie o addirittura da una concubina. Tutte le fonti
convergono, per, nel descrivere Santippe come una donna insopportabile addirittura
lunico essere umano che Socrate non sarebbe mai riuscito a far ragionare e il rapporto
coniugale Socrate-Santippe come piuttosto burrascoso. Di certo, la totale dedizione di
Socrate alla ricerca filosofica non doveva lasciargli molto tempo per occuparsi della
famiglia ed plausibile, oltre che comprensibile, che Santippe non ne fosse molto contenta.
La formazione filosofica di Socrate si bas sul rapporto con diversi filosofi, quali
Anassagora, Protagora e soprattutto Parmenide. Socrate, per, non fu mai propriamente
discepolo di nessuno di essi e ben presto cominci a intraprendere un nuovo e personale
tipo di ricerca filosofica, che si differenziava da tutte le altre anche per le sue modalit
pratiche. I luoghi dellattivit filosofica di Socrate, infatti, erano le piazze e le strade di
Atene e la sua ricerca consisteva nel fermarsi a discutere con uno o pi concittadini, in
genere intellettuali come lui, ma anche militari o politici, e soprattutto con i giovani. Col
tempo, da questi ultimi, emerse un folto gruppo di discepoli: il futuro generale Alcibiade,
figlio adottivo di Pericle, laristocratico Platone, futuro filosofo idealista, laristocratico
Senofonte, futuro generale e storico, laristocratico Crizia, futuro membro del governo dei
trenta tiranni, Antistene, futuro filosofo cinico, e molti altri.
Socrate attirava i giovani non solo per loriginalit della sua filosofia ma anche per il modo
in cui viveva, del tutto coerente con le sue tesi filosofiche. Egli, infatti, pur non essendo
povero, seguiva uno stile di vita sobrio, dimostrando di curarsi e di godere molto pi della
conoscenza che dei beni materiali. Tuttavia, non disdegnava i numerosi inviti, che riceveva
da parte di ricchi aristocratici, a partecipare ai simposi, cio a incontri conviviali in case
private in cui si mangiava e soprattutto si beveva, passandosi di mano in mano ununica
coppa piena di vino e discutendo amabilmente di temi culturali, politici e filosofici. In
questo senso, i simposi erano per Socrate altrettante occasioni per intavolare i suoi
dialoghi e condurre la sua ricerca filosofica. In tali situazioni, egli era famoso perch, pur
bevendo abbondantemente, non perdeva la sua lucidit.
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TAPPA 1
SOCRATE: LA RAZIONALITA E DIALOGO ARGOMENTATIVO
Io vado esaminando [] me stesso per vedere se non si dia il caso che io sia
una qualche bestia assai intricata e pervasa di brame pi di Tifone, o se,
invece, sia un essere pi mansueto e pi semplice, partecipe per natura di una
sorte divina e senza fumosa arroganza.
Platone, Fedro, 230 A, a cura di G. Reale, Rusconi 1991
SOCRATE - Allora, o Lachte, cominceremo a definire il coraggio; dopo di che
indagheremo in che modo possa rendersi presente nei giovani, per quanto
possibile, attraverso lesercizio e lo studio. Ma provati a dire che cos il
coraggio.
LACHETE Per Zeus, o Socrate, non difficile rispondere: chi, durante la
battaglia, mantenendo la propria posizione, si difende dai nemici e non si d
alla fuga, questo un uomo dotato di coraggio.
SOCRATE Dici bene, o Lachete, ma forse colpa mia, del non essermi
espresso con chiarezza, se tu hai risposto non a ci che io avevo in mente,
mentre ti interrogavo, ma a altro.
LACHETE Come puoi dire questo, o Socrate?
SOCRATE Te lo spiegher se mi riesce. [191 A] Certamente ha del coraggio
questuomo di cui parli e che, conservando la propria posizione, combatte
contro i nemici.
LACHETE Per lappunto!
SOCRATE Sono daccordo; ma quello che, al contrario, non resta a pi
fermo al proprio posto, ma combatte il proprio nemico indietreggiando?
LACHETE Come sarebbe indietreggiando?
SOCRATE Ma s, come gli Sciiti che si dice sappiano combattere nella fuga
non meno che nellinseguimento; anche Omero, celebrando i cavalli di Enea
ugualmente veloci di qua e di l, disse che sapevano tanto inseguire quanto
fuggire, e, per il medesimo motivo, lod Enea stesso, per la sua abilit a
fuggire e lo defin maestro nella fuga. [B]
LACHETE E fece bene, o Socrate! E infatti parlava di carri; tu parli dei
cavalieri Sciiti: la loro cavalleria combatte proprio cos, mentre la fanteria
greca, come dico io.
SOCRATE Tranne forse quella dei Lacedemoni, o Lachete. Dicono infatti che
a Platea i Lacedemoni, quando si trovarono di fronte i gerrofori persiani [C]
non vollero combattere da fermi, ma indietreggiarono e, dopo che le schiere
persiane si sciolsero, ritornati sui loro passi combatterono come fa la
cavalleria e, in questo modo, vinsero.
LACHETE E vero.
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SOCRATE Come dunque dicevo poco fa, se tu non hai risposto esattamente,
la colpa mia, poich non ti ho posto in modo corretto la domanda; infatti
volevo sapere da te non solamente chi fosse coraggioso nella fanteria, ma
anche nella cavalleria [D] e in ogni genere di combattimento e non mi riferivo
solamente a chi lo fosse in guerra, ma anche nellaffrontare i pericoli per
mare e le malattie e la povert ed i problemi politici, e ancora non solamente a
chi coraggioso davanti al dolore e alla paura, ma anche alle passioni, ai
piaceri, sia restando fermo che volgendosi in fuga; ci sono infatti anche dei
coraggiosi in tal senso, o Lachete. [E]
LACHETE E molto coraggiosi, o Socrate.
[] [192 A, B]
SOCRATE Allora provati anche tu, o Lachete, a fare lo stesso a proposito del
coraggio e a dire cos questa facolt che si esercita nel piacere, nel dolore e in
tutte le circostanze in cui labbiamo riconosciuta presente e a cui diamo
questo nome.
LACHETE Mi pare che, se vogliamo parlare in generale della natura del
coraggio, in tutte queste circostanze, [C] esso sia una sorta di forza danimo.
SOCRATE Ma bisogna, se vogliamo rispondere al nostro interrogativo; ho
limpressione, per, che, per te, non ogni tipo di forza danimo sia coraggio e
lo deduco dal fatto di sapere che tu, o Lachete, annoveri il coraggio tra le
realt molto belle.
LACHETE Sta pur certo che tra le pi belle.
SOCRATE Ma la forza non bella e buona quando accompagnata dal
senno?
LACHETE Certo.
SOCRATE E quando invece ne priva? Non forse, al contrario, malvagia e
dannosa? [D]
LACHETE S.
SOCRATE Dirai allora che bello ci che malvagio e dannoso?
LACHETE Non sarebbe giusto, o Socrate.
SOCRATE Non potrai certo chiamare coraggio questa forza che non bella,
mentre il coraggio lo .
LACHETE Vero.
SOCRATE In base a quanto hai detto, dunque, il coraggio sarebbe una forza
illuminata dallintelligenza.
LACHETE Cos pare.
[]
Platone, Lachete, 190 E-192 D, a cura di G. Reale, Rusconi 1991
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Dopo aver posto la fatidica domanda, Socrate lascia la parola ai suoi interlocutori. Poich
questi sono per lo pi uomini di successo che si considerano sapienti, essi rispondono
prontamente e con sicurezza, sottovalutando il significato della domanda socratica e
sopravvalutando il valore conoscitivo della loro risposta. In una parola, presumono di
sapere mentre in realt non conoscono lessenziale. Contro questa presunzione Socrate usa
innanzitutto lironia (in greco, finzione, dissimulazione), elogiando lapparente
sapienza dei suoi interlocutori e dichiarandosi ignorante e inferiore rispetto a loro.
Lironia socratica sicuramente una tattica argomentativa finalizzata a spiazzare gli
avversari. Ma essa esprime anche una decisiva tesi filosofica di Socrate, il sapere di non
sapere, cio la convinzione che la pi alta sapienza di un uomo sia la consapevolezza che
la propria conoscenza sempre limitata e che pertanto bisogna sempre essere disponibili a
unulteriore ricerca conoscitiva.
Una volta disorientato linterlocutore con lironia, Socrate passa alla confutazione, cio
falsifica la tesi altrui dimostrando che essa implica conseguenze logiche assurde. Ma la sua
tecnica confutativa pur sempre maieutica e brachilogica, cio consiste nel porre delle
domande in modo tale che sia lo stesso interlocutore, rispondendo, ad autoconfutarsi e a
giungere cos ad ammettere a se stesso e a Socrate di essere ignorante.
140
A questo punto per Socrate pu iniziare la parte costruttiva della maiuetica, cio la ricerca
della vera risposta alla domanda iniziale: che cos ?. Il metodo non cambia: con
domande o brevi interventi di correzione (brachilogia), Socrate induce (maieutica) il suo
interlocutore ad argomentare in modo sempre pi coerente e stringente, avvicinandolo alla
comprensione del concetto della virt oggetto della ricerca. Per esempio, nel caso del
coraggio, si passa dalla sua prima definizione come capacit di non indietreggiare di
fronte al nemico, a quella di forza danimo, a quella di scienza delle cose da temere e da
osare, infine a quella di conoscenza dei beni e dei mali.
Eppure la conclusione del dialogo negativa: Socrate afferma che anche la migliore delle
definizioni elaborate non raggiunge lobiettivo, cio non riesce a rispondere pienamente
alla domanda che cos il coraggio?. Ci vale anche per i dialoghi intorno alle altre virt.
Perch? A cosa serve allora lo sforzo di ricerca se lobiettivo rimane irraggiungibile? La
risposta duplice. In primo luogo, secondo Socrate, ogni individuo deve arrivare
autonomamente alla verit, seppur dialogando con altri. In questo senso Socrate ritiene
che il suo compito sia solo quello di avviare e di instradare il processo di ricerca, non quello
di portarlo a termine. In secondo luogo, poich la conoscenza umana, a differenza di quella
divina, per principio limitata, lo scopo della ricerca conoscitiva umana, e dunque della
maieutica, non pu essere la conquista completa e definitiva della verit, ma solo il sempre
maggiore avvicinamento a essa.
141
TAPPA 2
SOCRATE: VIVE BENE SOLO CHI SA
Diceva che la giustizia e ogni altra virt era sapienza. Ogni cosa giusta e ogni
altra forma di attivit fondata sulla virt erano, a suo parere, belle e buone:
chi conosce il bello e il buono niente pu preferirgli; invece, chi non lo
conosce, non pu farlo, e se lo tenta, sbaglia: dunque, chi sa compie cose belle
e buone, chi non sa non pu compierle, ma se vi mette mano sbaglia. E poich
le cose giuste e tutte le altre, belle e buone, si realizzano mediante la virt,
chiaro che la giustizia e ogni virt sono scienza.
Senofonte, Memorabili, III, 9, trad. di R. Laurenti, Laterza
Una volta Antifonte, volendo portargli via i compagni, avvicinatosi a Socrate
mentre essi erano presenti, gli disse queste cose: O Socrate, io pensavo che
quelli che si dedicano alla filosofia dovessero diventare pi felici; ma mi
sembra che tu abbia ottenuto il contrario dalla filosofia. Tu davvero hai un
tenore di vita che neppure uno schiavo tenuto a regime dal padrone potrebbe
sopportare; mangi cibi e bevi bevande modestissimi, ed indossi una veste non
solo da poco, ma la stessa destate e dinverno, e vivi scalzo e senza chitone. E
per di pi non accetti denaro, che rallegra coloro che lo acquistano e rende la
vita pi libera e pi piacevole a coloro che lo possiedono. Se dunque, come
appunto i maestri delle altre discipline rendono i discepoli loro imitatori, cos
anche tu farai diventare i tuoi compagni simili a te, sappi che sei un maestro
di infelicit.
E Socrate in risposta: [] Mi sembra, o Antifonte, che la felicit consista,
secondo te, nella dissolutezza e nel lusso: io, invece, pensavo che non aver
bisogno di niente divino, di pochissimo vicino al divino: ora il divino la
perfezione stessa e quel che pi vicino al divino pi vicino alle perfezione.
Senofonte, Memorabili, I, 6
Io vado intorno facendo nientaltro che cercare di persuadere voi, e pi
giovani e pi vecchi, che non dei corpi dovete prendervi cura, n delle
ricchezze n di alcuna altra cosa prima e con maggiore impegno che della
psych in modo che diventi buona il pi possibile, sostenendo che la virt non
nasce dalle ricchezze, ma che dalla virt stessa nascono le ricchezze e tutti gli
altri beni per gli uomini, e in privato e in pubblico.
Platone, Apologia di Socrate, 30 A-B, a cura di G. Reale, Rusconi
[Socrate] non poneva confini fra sapienza e saggezza, ma riteneva sapiente e
saggio chi, conoscendo le cose belle e buone, sapesse usarne, conoscendo le
brutte, sapesse guardarsene. Interrogato se reputasse sapienti e moralmente
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deboli quelli che, pur sapendo quel che devono fare, facevano lopposto,
rispose: No, non pi che insipienti e moralmente deboli. Io credo che tutti gli
uomini scelgono con ogni mezzo possibile quel che pi giova ai loro interessi e
questo compiono. E penso che quelli che seguono una strada sbagliata non
sono n sapienti n saggi. Diceva che la giustizia e ogni altra virt era
sapienza. Ogni cosa giusta e ogni altra forma di attivit fondata sulla virt
erano, a suo parere, belle e buone: chi conosce il bello e il buono niente pu
preferirgli; invece, chi non lo conosce, non pu farlo, e se lo tenta, sbaglia:
dunque, chi sa, compie cose belle e buone, chi non sa, non pu compierle, ma
se vi mette mano, sbaglia. E poich le cose giuste e tutte le altre, belle e buone,
si realizzano mediante la virt, chiaro che la giustizia e ogni virt sono
scienza.
Senofonte, Memorabili, III, 9, 4 sgg.
Lobiettivo ultimo della ricerca filosofica, secondo Socrate, di tipo squisitamente praticomorale, cio lattuazione della migliore condotta di vita. Tale obiettivo sintetizzato da
Socrate in una sola parola: virt. In greco antico virt (aret) significava qualit
distintiva, ovvero indicava quella propriet o capacit per cui qualcosa o qualcuno eccelle.
In questo senso i Greci potevano dire che il volo era la virt degli uccelli oppure che larte
militare era la virt degli spartani o ancora che linossidabilit era la virt delloro.
Riferendosi alla specie umana, Socrate parla di una pluralit di virt, quali il coraggio,
lamicizia, lamore, la giustizia, lonest, ecc. Ma tutte queste virt, per lui, altro non sono
che aspetti particolari di ununica virt: lintelligenza o razionalit. Infatti onest, coraggio,
amicizia, ecc. altro non indicano che il comportamento pi razionale che ogni uomo deve
seguire in relazione a un determinato aspetto o circostanza della vita. P.e., lonest il
comportamento razionale nei rapporti economici, il coraggio il comportamento razionale
di fronte a un pericolo, ecc. Di conseguenza, Socrate pu affermare che la virt delluomo,
cio la capacit per cui eccelle e si distingue da ogni altro essere, consiste appunto nelluso
della sua razionalit, o intelligenza, ovvero nella scienza intesa come conoscenza praticomorale rigorosa e fondata. Infatti grazie alla scienza che possibile individuare e
praticare un comportamento razionale per ogni aspetto della vita, cio le diverse virt.
Ma in cosa consiste per Socrate la razionalit morale? Qual per lui il comportamento
virtuoso? Come si fa a stabilirlo? In sintonia con la natura dialogica e aperta del suo modo
di concepire e di praticare la filosofia, Socrate non d una una risposta sistematica e
143
compiuta a queste domande, ma si limita a offrire degli spunti, degli indizi. In particolare
dalle testimonianze sui suoi dialoghi possibile ricavare quattro criteri fondamentali:
1) lutilit, intesa per soprattutto come utilit interiore, cio come conservazione e
potenziamento della propria intelligenza, dal momento che, per Socrate, lessenza
delluomo la sua psich, cio la sua coscienza razionale;
2) lautocontrollo, inteso come la condizione in cui la coscienza razionale governa i
movimenti, le pulsioni istintive, i desideri e le emozioni del corpo;
3) l autarchia, intesa come la condizione di autosufficienza di ogni individuo che gli
permette di essere autonomo e libero, cio di non dipendere da niente e da nessuno;
4) la felicit, intesa come la condizione di benessere esteriore e interiore derivante
dallapplicazione dei tre criteri precedenti e consistente nel vivere dando il maggior
spazio possibile alluso dellintelligenza, cio dedicando la maggior parte del proprio
tempo alla ricerca conoscitiva che si svolge attraverso il dialogo filosofico.
Sulla base di questi criteri, la morale razionale di Socrate si caratterizza innanzitutto per la
sua contrapposizione alla morale comune basata sulle usanze e le abitudini. In questo
senso la razionalit morale di Socrate si propone come antitesi e insieme alternativa della
morale tradizionale: essa cio una morale elaborata in prima persona e liberamente
scelta anzich passivamente appresa e rispettata per conformismo e convenienza sociale.
Lantitradizionalismo della morale socratica si traduce nella preminenza dei valori interiori
cio quelli legati allesercizio dellintelligenza sui valori fisici e materiali. Questo
significa, per esempio, che la riflessivit mentale superiore, per Socrate, allagilit fisica.
Ma questo significa anche, e in particolare modo, che la ricchezza, la gloria, il successo, la
forza, la bellezza, ecc., di per s non possono essere considerati valori o beni ma devono
anzi essere giudicati potenziali disvalori e mali. Infatti, se non sono usati con intelligenza
essi sono dannosi per lindividuo, lo rendono schiavo dei propri impulsi, degli oggetti
materiali e degli altri, gli procurano solo infelicit. Insomma, i beni materiali sono tali solo
se usati con intelligenza, cio se subordinati ai valori intellettivi.
Porre il problema del rapporto coi beni materiali comporta affrontare la questione della
positivit o della negativit del piacere, inteso nel suo senso comune, cio come godimento
fisico. In altri termini: il mezzo principale per raggiungere e conservare la felicit il
piacere? dunque il piacere il criterio per stabilire se unazione buona, cio moralmente
144
Da quanto si detto emerge una concezione circolare della razionalit. Infatti, da un lato
Socrate pensa che la razionalit abbia un senso eminentemente pratico-morale, cio
consista nella ricerca conoscitiva del modo migliore di comportarsi. Dallaltro lato, Socrate
ritiene che il comportamento migliore, quello pi utile e pi felice, sia praticare la
razionalit come ricerca conoscitiva. Si tratta tuttavia, pi che mai, di un circolo virtuoso,
in quanto le due tesi si sostengono e si rafforzano a vicenda: i comportamenti migliori sono
quelli razionalmente fondati proprio perch il modo migliore di vivere, e dunque il fine
principale della vita, la ricerca razionale. E viceversa.
Il primato socratico della razionalit trova la sua glorificazione in un corollario del teorema
socratico delluguaglianza virt=scienza, ovvero moralit=razionalit: per comportarsi
bene non solo necessario ma anche sufficiente conoscere il vero bene e dunque per
comportarsi male sufficiente ignorare qual il vero bene. In parole semplici, il buono il
sapiente, il malvagio lignorante. Dunque il male umano una conseguenza
dellignoranza e per eliminarlo basta eliminare lignoranza, cio diffondere la conoscenza
razionale.
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uno Stato democratico, e solo in esso, la responsabilit delle leggi sempre collettiva.
Pertanto, in democrazia, non solo non si deve ricorrere alla violenza rivoluzionaria per
cambiare le leggi ma addirittura bisogna accettare le pene inflitte in base a leggi o sentenze
ingiuste, perfino in caso di condanna a morte. In questo senso Socrate pu legittimamente
essere considerato il primo teorico (almeno occidentale) della disubbidienza civile e della
non-violenza come unici metodi legittimi ed efficaci di lotta politica per il radicale, ma
necessariamente graduale, miglioramento dello Stato.
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TAPPA 3
SOCRATE: DIO E RAZIONALITA, LUOMO IL FINE DEL COSMO
E tu credi di avere un po dintelligenza?
Interroga e risponder.
E ritieni che altrove non esista affatto lintelligenza, soprattutto
considerando che nel tuo corpo hai una piccola parte di terra, che pur
tanta, unesigua parte dacqua, che pur tanta, e che il tuo corpo stato
messo insieme da qualcuno che ha preso dalla grande massa degli
elementi una piccola parte di ciascuno? Se lintelligenza non esistesse
affatto, come puoi pensare che solo tu, per un caso fortunato, te la sei
portata via, e che questi elementi, infiniti di numero e immensamente
grandi, sono stati sistemati in bellordine, a quanto supponi, da una
forza non intelligente?
- Gi, per Zeus, perch non vedo chi ne ha il potere, come vedo chi
produce le cose quagg.
- Ma nemmeno lanima [psych] tua vedi che ha il potere sul corpo,
sicch, secondo il tuo ragionamento, puoi affermare di non compiere
niente con la riflessione, ma tutto a caso.
[]
- E non bastato a Dio di prendersi cura del corpo, ma, ci che pi
grande ancora, ha immesso nelluomo unanima [p s y c h ] di
meravigliosa potenza. C altra creatura la cui anima avverta lesistenza
degli dei che hanno disposto cose tanto grandi e tanto belle? Quale altra
razza se non quella degli uomini venera gli dei? Quale anima, pi
dellumana, capace di evitare la fame o la sete, il freddo o il caldo, di
curare i mali, di mantenere la salute, di sforzarsi ad apprendere, o
capace, infine, di ricordare quanto ha udito, visto, imparato? Non ti par
chiaro che, rispetto agli altri animali, gli uomini vivono come dei,
disposti da natura a dominare con il corpo e lanima?
[]
- Rifletti, o caro, continu, che lintelligenza ch in te governa il tuo corpo
a suo piacere. Conviene quindi credere che pure la sapienza che sta
nelluniverso dispone le cose come le aggrada, e non che la tua vista
possa distendersi per molti stadi, locchio di Dio, invece, sia incapace a
scorgere tutto insieme, non che lanima tua riesca a pensare alle cose di
qui, a quelle dEgitto e di Sicilia, la sapienza di Dio, invece, non sia in
grado di prendersi contemporaneamente cura di tutto [].
Senofonte, Memorabili, I, 4
-
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Socrate un credente, ovvero un assertore dellesistenza degli dei. Non solo, ma la sua
stessa filosofia nutrita da unispirazione dichiaratamente religiosa. Tuttavia Socrate
propone e propugna una concezione del divino radicalmente diversa e innovativa rispetto a
quella della tradizione politeistica greca. Riprendendo e sviluppando le tesi di Senofane8,
Socrate critica e rigetta innanzitutto la visione volgarmente antropomorfica degli dei,
quella cio che attribuiva loro le fattezze fisiche e insieme le passioni e i vizi tipici di ogni
uomo, per esempio lira, linvidia, la dissolutezza alimentare e sessuale, ecc. Per Socrate gli
dei non hanno aspetto umano e pi in generale non sono sensibili, cio non possono
essere oggetto dei nostri sensi, insomma non si possono vedere, toccare, udire.
In questa prospettiva, Socrate si impegna nella confutazione dellobiezione
tradizionalistica secondo cui ci che non ha concretezza fisica non pu essere creduto
perch non esiste o perlomeno non si pu provare che esista. A tal fine egli argomenta che
il Sole non si lascia guardare bene e anzi abbaglia chi osa insistere a guardarlo, che il
fulmine non si vede prima e dopo la sua fugace apparizione e che il vento si manifesta
senza farsi vedere. Oltre a sostenere questi argomenti analogici, che hanno pi che altro
una funzione esemplificativa e preparatoria, Socrate soprattutto argomenta che anche
lintelligenza umana non si vede n si tocca, eppure esiste perch governa e muove il corpo.
Allo stesso modo, afferma Socrate, lintelligenza divina, pur invisibile e intoccabile,
governa luniverso.
Ma gli dei, secondo Socrate, differiscono dalla loro immagine popolare non solo e tanto
perch sono del tutto immateriali ma anche e soprattutto perch sono razionali e morali.
Lintelligenza, infatti, la propriet fondamentale del divino e ci comporta che gli dei
posseggano capacit e conoscenze razionali in sommo grado. Dal momento che la
conoscenza per Socrate coincide con la virt, in quanto sommamente razionali gli dei sul
piano pratico sono anche sommamente morali.
Dunque, anche da questo punto di vista, gli dei non sono come gli uomini, ma sono loro
superiori sia a livello teorico sia a livello comportamentale. Di qui la concezione critica
delluomo propria di Socrate: in quanto non un dio, luomo strutturalmente limitato e
fallibile. Di conseguenza la pi alta conoscenza umana sapere di non sapere. Ovvero
lautoconsapevolezza critica, cio appunto la coscienza dei limiti delle proprie capacit
conoscitive, ossia la consapevolezza della propria fallibilit.
Filosofo vissuto tra il 570 e il 475 ca. a.C., nato nella Ionia ma emigrato a Elea, nella Magna Grecia. Critic per primo
la concezione antropomorfica degli dei propria della tradizione religiosa greca.
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LO SCRIGNO
JOHN D. BARROW-FRANK J. TIPLER: LUNIVERSO E FATTO PER LUOMO
Che cos luomo perch luniverso debba preoccuparsi di lui? I telescopi
portano fino a noi la luce di remote sorgenti quasi stellari vissute miliardi di
anni prima della comparsa della vita sulla Terra, prima ancora che vi fosse
una Terra. Le ceneri ancora calde della creazione ci sono note come
radioattivit naturale. Un termometro e lattuale abbondanza relativa degli
elementi leggeri ci svelano le correlazioni tra temperatura e densit esistenti
nei primi tre minuti delluniverso. La fisica delle particelle elementari ci
illumina su condizioni ancora pi remote e ancora pi estreme. In questa
prospettiva di materia e di campi di tale energia, di tali escursioni di
temperatura e pressione, di tali vastit di spazio e di tempo, che cos luomo
se non un insignificante granello di polvere su un irrilevante pianeta in una
irrilevante galassia in una regione qualsiasi dellimmensit dello spazio?
E invece no, lantico filosofo aveva ragione! Il significato importante,
addirittura essenziale. Perch se da un lato luomo adatto alluniverso,
dallaltro luniverso adatto alluomo. Si immagini un universo in cui questa o
quella costante fondamentale differisse anche solo dellun per cento dal
valore numerico osservato. Un tale ambiente non vedrebbe mai la nascita
delluomo. Questo il significato del principio antropico. Secondo tale
principio, al centro del meccanismo e del progetto del cosmo c un fattore
capace di generare la vita.
John D. Barrow-Frank J. Tipler, Il principio antropico, Adelphi, 2002, pp.13-14
153
LA SCOPERTA
LA REALTA COME RAZIONALITA METAFISICA
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Cannocchiale su
LORIZZONTE STORICO-CULTURALE
LETA DELLA DECADENZA GRECA (431-323 a.C.)
Nella seconda met del V secolo a.C., liberata dalla paura dellinvasione persiana, Atene
trascorse il suo periodo di maggiore ricchezza economica e splendore culturale. Questo
periodo fu politicamente dominato da Pericle, leader carismatico del partito democratico.
In politica estera, Pericle attu una sempre pi radicale politica di espansione e
rafforzamento dellegemonia ateniese, trasformando le poleis alleate della Lega delo-attica
in protettorati di Atene. In questo modo, Atene entr in urto con Megara e Corinto, citt
della Lega del Peloponneso facente capo a Sparta. Ne scatur la trentennale guerra del
Peloponneso (431-404 a.C.), che fu al tempo stesso una guerra tra poleis e una guerra civile
allinterno delle poleis tra fazioni aristocratiche, favorevoli a Sparta, e fazioni
democratiche, favorevoli ad Atene. Morto Pericle nel 429, a causa della peste scoppiata
nellAtene assediata, gli ateniesi persero una salda guida politica e il conflitto interno tra
democratici e aristocratici divamp indebolendo la loro azione bellica. Atene usc cos
sconfitta e devastata dalla guerra del Peloponneso, perdendo il suo impero e subendo un
drastico ridimensionamento del suo livello di benessere.
Una volta vinta Atene, fu Sparta ad esercitare legemonia sulla Grecia fino al 371 a.C.,
quando lesercito spartano fu sconfitto da quello tebano nella battaglia di Leuttra.
Legemonia tebana scalz cos quella spartana. Nel 362, per, nella battaglia di Mantinea, i
tebani, pur prevalendo su spartani e ateniesi alleati, persero il loro generale Epaminonda e
con lui legemonia. Indebolite dalle continue guerre e dalle permanenti rivalit, nel corso
della prima met IV secolo tutte le poleis greche iniziarono a decadere, esponendosi
sempre pi alla conquista da parte del regno macedone. Infatti, nel 358 Filippo II di
Macedonia riusc a unificare tutta la sua regione, nel 352 conquist la Tessaglia e nel 338 a
Cheronea sconfisse la lega ellenica e stabil la sua egemonia sullintera Grecia. Il figlio
Alessandro, detto il Grande, alla guida di un esercito greco-macedone, conquist a sua
volta lintero impero persiano, giungendo fino al fiume Indo, e in seguit si impegn nella
costruzione di un impero universale basato sulla fusione della cultura greca e di quella
mediorientale. La sua impresa, che almeno in parte si realizz, fu interrotta dalla morte
improvvisa nel 323, in seguito alla quale il suo impero si divise in diversi regni.
La cultura greca risent fortemente sia della guerra del Peloponneso sia della successiva
decadenza economico-politica delle poleis.
Nellambito dellarchitettura e delle arti plastiche, il sintomo pi emblematico degli effetti
prodotti dalla guerra furono la sospensione e in parte anche labbandono ad Atene del
programma pericleo di abbellimento monumentale della citt. Tuttavia nel corso del
trentennio bellico, sullAcropoli fu ancora costruito lEretteo, con la famosa loggia delle
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Nellinsieme, la cultura greca classica si andava esaurendo e alla fine del secolo sarebbe
stata rimpiazzata dalla nuova cultura ellenistica, frutto della contaminazione della cultura
greca con le culture mediorientali resa possibile dalla formazione dellimpero di
Alessandro Magno.
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V VIAGGIO
LA RAZIONALITA IDEALE
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E se fra quelli cerano onori ed encomi e premi per chi mostrava la vista pi
acuta nellosservare le cose che passavano, e ricordava maggiormente quali di
esse fossero solite passare per prime o per ultime o insieme e quindi
mostrasse grandissima abilit nellindovinare che cosa stesse per arrivare,
credi che costui potrebbe provare ancora desiderio di ci, o che invidierebbe
coloro che sono onorati o che hanno potere presso quelli? Non pensi, invece,
che accadrebbe quanto dice Omero e che di molto preferirebbero vivere sopra
la terra a servizio di un altro uomo senza ricchezze, e patire qualsiasi cosa,
anzich ritornare ad avere quelle opinioni e vivere in quel modo?.
E cos disse . Io credo che egli soffrirebbe qualsiasi cosa piuttosto che
vivere in quel modo.
E rifletti anche su questo aggiunsi : se costui, di nuovo scendendo nella
caverna, tornasse a sedere al posto che prima aveva, non si troverebbe forse
con gli occhi pieni di tenebre, giungendovi allimprovviso dal sole?.
Evidentemente, disse.
E se egli dovesse di nuovo tornare a conoscere quelle ombre, gareggiando
con quelli che sono rimasti sempre prigionieri, fino a quando rimanesse con
la vista offuscata e prima che i suoi occhi ritornassero allo stato normale, e
questo tempo delladattamento non fosse affatto breve, non farebbe forse
ridere e non si direbbe di lui che, per essere salito sopra, ne disceso con gli
occhi guasti, e che, dunque, non mette conto di cercare di salire su? E chi
tentasse di scioglierli e di portarli su, se mai potessero afferrarlo nelle loro
mani, non lo ucciderebbero?.
Sicuramente, ammise.
Platone, Repubblica, 514 A -517 A, a cura di G. Reale, Rusconi
161
ROTTA SU
LIDEALISMO TRASCENDENTE
Il cuore della filosofia di Platone la teoria delle Idee, cio la teorizzazione e
largomentazione dellesistenza di un mondo metafisico ossia trascendente, al di l di
quello fisico, quindi non materiale costituito da un insieme unitario, e quindi ordinato,
di principi logici, matematici, etici, politici puramente razionali, perfetti ed eterni.
Platone denomina questi principi Idee. Con il termine Idea Platone non intende, per,
un contenuto della mente umana, ovvero un concetto, bens unentit reale, una cosa che
esiste di per s, indipendentemente dalla mente umana. Si tratta di una svolta epocale
nella storia della filosofia: per la prima volta, viene pensata lesistenza di una dimensione
del tutto diversa da quella fisica, oggetto dei sensi. Questa nuova dimensione ideale, per
Platone, il modello, ossia la matrice, del mondo fisico e quindi la realt naturale da lui
concepita come una copia materiale di una realt superiore puramente razionale. Ne
consegue che il mondo fisico ambivalente: da un lato positivo e ordinato in quanto
imita la perfezione ideale; dallaltro, data linsormontabile differenza ontologica tra la
pura razionalit e la materia, non una copia perfetta delle Idee dunque include una
quota di disordine, cio di male.
In quanto sono le matrici di tutte le cose fisiche, le Idee sono fondamenti dellesistenza del
mondo naturale, ovvero supremi principi ontologici. Come tali, secondo Platone, esse
sono anche principi gnoseologici, cio i criteri della scienza, intesa come conoscenza vera.
In altre parole, per conoscere cos veramente un essere naturale un animale, una
pianta o un minerale necessario conoscere lIdea di cui un derivato. Di conseguenza,
la scienza per Platone non pu basarsi sulla conoscenza sensibile, ovvero sullesperienza,
ma deve fondarsi invece sulla conoscenza puramente razionale, ovvero sulla teoria. Tale
conoscenza innata in ogni uomo dal momento che ogni uomo possiede unanima
razionale immortale che, originariamente, fa parte del mondo delle Idee. Il desiderio di
piaceri fisici provoca la caduta delle anime razionali, ovvero la loro incarnazione.
Imprigionate nel corpo le anime dimenticano la visione delle Idee ma poi possono
progressivamente ricordarla sempre meglio e acquisire cos una sempre pi ampia
scienza della realt. Le Idee, infatti, in quanto impresse nellanima, cio nella mente, e in
quanto poi ricordate, cio rese coscienti, costituiscono i concetti e le loro relazioni logiche,
che per Platone sono gli elementi fondamentali della conoscenza vera. Ma le Idee sono
anche i modelli dellagire umano individuale e collettivo, cio i supremi principi
dellestetica, della morale e della politica. In questo senso, per Platone, a mano a mano
che ogni uomo accresce la sua scienza, potenzia anche la sua vita estetico-amorosa, si
perfeziona moralmente ed elabora e mette in pratica la forma migliore di costituzione
statale. In questo modo luomo pu conseguire il suo fine ultimo: ripristinare la sua
conformazione originaria di pura anima razionale e ricongiungersi al mondo delle Idee.
162
In tal modo Platone assume nella storia della filosofia occidentale il ruolo di fondatore
dellidealismo, una posizione filosofica che sar in seguito sviluppata da molti altri
filosofi in molte varianti, dando corpo a una delle pi importanti e durature correnti
della storia della filosofia. Rispetto alla sua successiva evoluzione, lidealismo platonico si
caratterizza per il suo carattere oggettivo e trascendente, ovvero perch, come abbiamo
visto, le Idee sono concepite come enti reali esterni sia al soggetto, ossia alla mente
umana, sia alla dimensione spazio-temporale.
Infine, a proposito dellimportanza di Platone per la filosofia occidentale, non si pu fare
a meno di conoscere il giudizio del filosofo inglese novecentesco A. N. Whitehead: Tutta
la filosofia occidentale un commento in margine allopera di Platone. Forse si tratta di
uniperbole, ma non per questo la dice meno lunga.
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VITA DI UN CAPITANO
PLATONE
Platone il cui vero nome era Aristocle, ma fu cos soprannominato dal suo maestro di
ginnastica per lampiezza (in greco pltos) delle spalle nacque ad Atene nel 428 o nel 427
a.C., cio uno o due anni dopo la morte di Pericle, da genitori appartenenti ad antiche
stirpi aristocratiche: il padre vantava la sua discendenza da Codro, lultimo re di Atene,
secondo la tradizione leggendaria; la madre annoverava tra i suoi antenati Solone, il
famoso legislatore ateniese. Ancora bambino rimase orfano di padre e venne allevato da
Pirilampo, anchegli aristocratico ma amico di Pericle, che gli impart uneducazione
improntata ai valori della democrazia. Da giovane si dedic alla pittura e alla poesia
(compose ditirambi, liriche e tragedie), ma poi fu introdotto alla filosofia da Cratilo,
discepolo di Eraclito. Forse prese parte a tre campagne militari, dal 409 al 407, nellambito
della guerra del Peloponneso. Nel 407 conobbe Socrate, di cui divenne fedelissimo e
appassionato seguace, e rinunci alla poesia per darsi completamente alla filosofia. Ma
ancora in quegli anni Platone concepiva la filosofia socratica come la formazione
indispensabile a diventare un politico giusto. In altre parole, Platone credeva che la sua
vocazione fosse lattivit politica, come egli stesso scrisse nella sua Lettera VII.
Le esperienze degli anni seguenti lo convinsero ad abbandonare questo proposito.
Dapprima, nel 404, la sua vocazione alla politica fu posta in crisi dalle violenze e dalle
ingiustizie del governo aristocratico dei Trenta Tiranni tra cui vi erano Carmide e Crizia,
due suoi parenti cui inizialmente aveva dato il suo appoggio ideale. Poi, in seguito alla
restaurazione della democrazia, Platone sub una delusione ancora maggiore a causa
dellesecuzione capitale per volont popolare del suo maestro Socrate. Egli comprese che,
data la degenerazione morale degli ateniesi, era diventato impossibile fare politica in modo
onesto e giusto, e che pertanto il suo compito era quello di promuovere una riforma morale
e culturale degli individui.
Scioccato dallassassinio del venerato maestro, in pericolo di vita in quanto suo discepolo,
Platone fugg da Atene. Secondo le fonti antiche, soggiorn dapprima a Megare, ospite di
Euclide, un altro seguace di Socrate; poi a Cirene presso il matematico Teodoro; quindi a
Eliopoli, uno dei centri della sapienza sacerdotale egizia; successivamente a Taranto dove
fu iniziato al pitagorismo dal filosofo e matematico Archita; e infine a Siracusa, invitato dal
tiranno Diongi (o Dionsio) il Vecchio, su suggerimento del cognato Dione, ammiratore
della filosofia di Platone, in particolare sostenitore della sua tesi politica fondamentale,
quella secondo la quale i governanti devono essere filosofi, ovvero devono apprendere la
scienza politica.
Ma a causa delle critiche che Platone rivolse al suo modo arbitrario di governare, Dionigi il
Vecchio lo fece vendere come schiavo alla citt di Egina, in guerra con Atene. Grazie al
riscatto pagato dallamico Anniceride di Cirene, Platone pot tornare ad Atene, dove nel
387 acquist un terreno nel giardino dedicato alleroe Academo e vi fece costruire un
edificio, fondando cos una sua scuola filosofica, lAccademia, che divenne un istituto di
164
formazione culturale e morale della classe dirigente greca e, al tempo stesso, un centro di
ricerca scientifica soprattutto a livello matematico e astronomico. In questa prospettiva,
lAccademia di Platone rappresentava lalternativa alla scuola fondata nel 391 dalloratore
Isocrate, contrapponendo la formazione filosofica a quella retorica. Giuridicamente,
lAccademia era unassociazione religiosa dedita al culto di Apollo e delle Muse. Sul
modello delle comunit pitagoriche, nellAccademia maestri e discepoli non solo
insegnavano e studiavano, ma convivevano. Per, a differenza che nelle comunit
pitagoriche, nellAccademia non cerano donne. Lo stesso Platone non prese moglie n
risulta ebbe mai relazioni sentimentali, e tanto meno sessuali, con donne. Come
confermano i suoi scritti, in particolare i dialoghi Simposio e Fedro, Platone era
omosessuale, e teorizzava la superiorit dellamore omosessuale su quello eterosessuale,
ma considerava amore omosessuale, quindi moralmente lecito, solo quello che
intercorreva tra un adulto e un adolescente e solo se aveva un preminente scopo di
formazione morale e culturale delladolescente. Questo genere, e solo questo genere, di
relazione omosessuale da lui valorizzato per i suoi frutti intellettuali e chiamato
amicizia in contrapposizione allamore eterosessuale e allamore omosessuale tra
coeteanei, puramente o prevalentemente carnali. Inoltre, bench considerasse amici
anche gli amanti che avevano rapporti sessuali, Platone sosteneva che la vera amicizia
fosse puramente spirituale e quindi perorava lastensione dai rapporti sessuali. Da qui
derivata lespressione amore platonico che, dunque, non implica la proibizione della
sessualit, ma certamente la valorizzazione dellamore asessuale come forma superiore di
amore.
Dopo il 387, nonostante limpegno della direzione dellAccademia e let sempre pi
avanzata, Platone torn ancora a Siracusa per altre due volte, su richiesta di Dione e del
nuovo tiranno Dionigi il Giovane. Ma in entrambi i casi il tentativo di formare
filosoficamente Dionigi il Giovane fall e alla fine Platone rischi addirittura di essere
condannato a morte. Tornato definitivamente ad Atene nel 360 si dedic completamente
allinsegnamento nellAccademia e vi mor novantenne nel 348 o nel 347.
Platone il primo filosofo greco di cui ci pervenuta lopera completa, anzi addirittura in
sovrabbondanza. Infatti alcune delle opere tramandateci a suo nome sono apocrife, ovvero
non sono state scritte da lui ma da altri. Gli scritti sicuramente autentici sono: 3 lettere, un
discorso Apologia di Socrate, ovvero lautodifesa di Socrate di fronte al tribunale
popolare ateniese , 27 dialoghi (su 34 tramandatici a suo nome). Questi ultimi - in base
alla loro cronologia ma anche allevoluzione della filosofia platonica - possono essere cos
suddivisi:
1) dialoghi giovanili (cio anteriori alla fondazione dellAccademia): Critone (tema: il
rispetto delle leggi statali), Carmide (la temperanza), Lachete (il coraggio), Liside
(lamicizia), Ione (la poesia), Eutifrone (la piet intesa come devozione religiosa),
165
166
TAPPA 1
167
vista quando si passa dalla luce al buio e quello che laffligge quando si passa
dal buio alla luce [].
Platone, Repubblica, VII, a cura di G. Reale, Rusconi
Il problema centrale di Platone quello del suo maestro Socrate Che cos luomo?
ma da lui riproposto pi ampiamente e radicalmente: Qual il senso dellesistenza
umana?. La risposta di Platone a questa domanda coincide con lintera sua filosofia,
quanto mai vasta e articolata, ma anche sintetizzata in un mito platonico, il mito della
caverna.
Infatti, per esporre il suo pensiero, Platone ricorre spesso a miti, cio a racconti
immaginari da lui stesso inventati. Essi svolgono due funzioni fondamentali nellambito
della sua filosofia:
esemplificare, chiarire e rendere pi incisivo e avvincente il suo pensiero;
alludere simbolicamente alle verit pi profonde e complesse che sfuggono alla
comprensione logico-concettuale.
Il mito della caverna il pi famoso e importante dei miti di Platone. Esso pu essere
interpretato e utilizzato come una mappa allegorica di tutta la filosofia platonica, o
perlomeno delle sue tesi fondamentali.
Il titolo del mito deriva dallambiente in cui il racconto prende il via e dove si conclude: una
caverna, appunto, o meglio una grande cavit sotterranea, giacente a una certa profondit
sotto il livello del suolo terrestre, e dunque fredda, umida e buia. Intorno alla parete di
fondo, quella pi lontana dalla sua apertura sulla superficie terrestre, sono seduti degli
uomini. Sono prigionieri dunque la caverna un carcere e giacciono l, in catene e in
una fitta penombra, fin dalla nascita.
Le catene gli impediscono non solo di alzarsi e di camminare, ma anche solo di girare la
testa allindietro. Essi pertanto sono costretti a guardare unicamente verso la parete in
fondo alla caverna. Su questa parete i prigionieri vedono un agitarsi e avvicendarsi di
forme indistinte e confuse, e da essa sentono provenire suoni che attribuiscono a quelle
forme confuse e ai loro movimenti.
Descritta la situazione interna alla caverna, Platone fa partire lazione: accade che un
prigioniero viene liberato dalle sue catene, costretto ad alzarsi e a girarsi allindietro e
infine spinto a camminare nella direzione opposta a quella della parete di fondo. Chi sia il
liberatore e perch liberi un prigioniero Platone non lo dice. E plausibile che sia un enigma
168
voluto, quasi una suspense da giallo, che Platone usa per pungolare il lettore a cercarne
una soluzione leggendo gli altri suoi dialoghi e quindi apprendendo lintera sua filosofia.
(Ci che effettivamente faremo giungendo cos a sciogliere, almeno ipoteticamente,
lenigma.) Fatto sta che, in seguito allintervento del misterioso liberatore, il prigioniero
liberato si gira e prova un forte dolore agli occhi a causa della luce che lo abbaglia. I suoi
occhi infatti sono assuefatti alla penombra e perci ora non sono in grado di sostenere
immediatamente un livello pi intenso di luce.
Tuttavia, il liberato resiste al dolore e col tempo i suoi occhi si adattano e cominciano a
scorgere un muricciolo sopra il quale si muovono avanti e indietro oggetti di varie fogge e
dimensioni: animali, piante, rocce, montagne, nubi, uomini, ecc.. Il liberato si avvicina al
muro, scorge un spiraglio tra la parete laterale della caverna e il muro e, cos, infilandovisi
dentro lo oltrepassa. Riesce cos a vedere che, parallelamente al retro del muro, corre un
sentiero lungo il quale camminano avanti e indietro degli uomini che trasportano sulla
testa riproduzioni scultoree di ogni genere di cose. Il liberato capisce che il muro, alto
come i portatori, quando lui gli era davanti, li copriva alla sua vista facendogli credere che
le statuette si muovessero da sole, nello stesso modo in cui i teatrini dei burattinai coprono
il burattinaio dando lillusione che i burattini si muovano come persone reali. Inoltre il
liberato sente parlare i portatori e comprende che i suoni che prima aveva creduto
provenire dalla parete di fondo altro non erano che leco delle loro voci.
Sempre pi incuriosito, il liberato volge il suo sguardo ancora oltre e si accorge che dietro i
portatori, vicino alla parete opposta a quella dove giaceva imprigionato, brilla una luce pi
intensa. Avvicinatosi lentamente, per permettere nuovamente ai suoi occhi di abituarsi e di
superare il dolore, scopre un fuoco di legna e finalmente capisce che le forme confuse che
egli vedeva agitarsi sulla parete di fondo della caverna, quando era imprigionato, altro non
erano che le ombre delle statuette mosse dai portatori, proiettate dalla luce del fuoco sul
fondo della caverna.
A questo punto il liberato crede di aver concluso il suo cammino di esplorazione e scoperta.
Invece di nuovo spinto dal suo misterioso liberatore a scalare la parete ruvida e scoscesa
della caverna fino ad arrivare al livello del suolo terrestre e alluscita allaperto.
Naturalmente, una volta fuori il liberato rimane nuovamente abbagliato dalla luce solare in
modo molto pi intenso e doloroso di prima. Per molto tempo vaga come un cieco sul
suolo terrestre.
Poi lentamente i suoi occhi cominciano a sopportare la vista delle ombre delle cose
naturali, quindi delle loro immagini riflesse in stagni o ruscelli. Venuta la notte, il liberato
pu alzare gli occhi al cielo e vedere la luna e le stelle. Allalba del giorno successivo
finalmente pu guardare direttamente le cose naturali alberi, fiori, animali, montagne,
ecc. e alla fine perfino il sole stesso. Egli comprende cos che il sole la fonte prima e pi
potente di ogni luce e di ogni calore, e se ne gode leffetto benefico.
169
Nel nuovo mondo che ha raggiunto, il liberato, inebriato di luce e di calore, si sente al
colmo della beatitudine. Ma, ricordando la sua dolorosa vita nella caverna, prova
compassione per i suoi compagni prigionieri e decide allora di tornare nel mondo
sotterraneo per rivelargli la sua scoperta e per convincerli a salire allaperto e permettere
anche a loro di godere della luce e del calore del sole.
Tuttavia, una volta ridisceso, i suoi compagni non gli credono, pensano che la sua vista si
sia guastata, e, di fronte alle sue proteste, decidono di metterne alla prova la capacit di
vedere sfidandolo a riconoscere le ombre sul fondo della caverna. Ma gli occhi del liberato,
ormai abituati alla luce solare, non riescono pi a vedere nitidamente nella penombra della
caverna.
Egli pertanto sbaglia a identificare le ombre e i suoi compagni credono di avere cos la
prova definitiva che la sua vista difettosa e che quindi il suo racconto non attendibile. Il
liberato allora cerca di scioglierli dalle loro catene per trascinarli fuori, ma i suoi compagni,
adirati per la sua insistenza, finiscono per ucciderlo.
Fin qui il racconto di Platone. Trattandosi di unallegoria occorre ora decifrarlo. Di primo
acchito, facile rilevare lelemento simbolico pi appariscente del mito platonico, cio la
coppia luce/vista che rappresenta la conoscenza nei suoi due aspetti complementari:
quello oggettivo, ovvero lesistenza di una verit in s (la luce solare ci permette di
vedere le cose naturali cos come la verit ci permette di conoscere la realt);
e quello soggettivo, cio la capacit umana di recepire la verit (la vista).
In questo senso il mito della caverna innanzitutto e fondamentalmente un mito di
iniziazione alla conoscenza, ovvero alla filosofia.
Un secondo simbolo evidente del mito della caverna quello del cammino di ascesa,
potremmo anche dire del viaggio, che rappresenta il carattere processuale e insieme
progressivo della conoscenza. In altre parole, Platone vuole dirci che la conoscenza non la
si possiede n la si pu conquistare istantaneamente, bens pu solo essere acquisita
gradualmente, in misura sempre maggiore, attraverso una lunga e costante ricerca.
Oltretutto, come vedremo meglio in seguito, il cammino conoscitivo per Platone
composito, presenta almeno quattro sfaccettature, tra loro strettamente intrecciate:
quella teoretica o scientifica;
quella estetico-amorosa;
quella morale o etica;
170
quella politica.
Ma il cammino narrato da mito al tempo stesso una fuga, unevasione. Non dobbiamo
dimenticare infatti che la caverna una prigione. Ci significa che il cammino equivale a
un processo di liberazione, ovvero che il senso ultimo della ricerca conoscitiva, che
connette scienza, morale, estetica e politica, la conquista della libert.
In terzo luogo, nella decifrazione del mito della caverna, si pu rinvenire unaltra coppia
simbolica, quella basso/alto, che coincide con quella chiuso/aperto. Fuor di metafora, il
mito si basa sulla contrapposizione verticale tra un mondo inferiore e chiuso, quello della
caverna, e un mondo superiore e aperto, quello della superficie terrestre. La caverna
rappresenta cos il mondo fisico mentre la superficie terrestre un mondo superiore diverso
da quello fisico, cio metafisico. Tale mondo, la scoperta filosofica fondamentale di
Platone, un mondo privo di materia, costituito da puri principi razionali e come tale
conoscibile solo attraverso la ragione e non attraverso i sensi.
A questo punto risulta chiaro che per Platone la liberazione delluomo, e quindi in ultima
analisi la sua felicit, consiste nel trascendere la dimensione fisica per raggiungere il
mondo metafisico.
Infine, la parte finale del cammino/viaggio, non pi in ascesa ma in discesa, cio il ritorno
del prigioniero liberato nella caverna, rappresenta la missione propria di ogni uomo in
quanto filosofo: diffondere la conoscenza a tutti gli altri uomini per aiutarli a liberarsi e a
conseguire la felicit.
In questo senso, luccisione del liberato simboleggia il rischio mortale insito nella missione
filosofica dovuto al fatto che gli uomini sono attaccati alla fisicit, cio ai piaceri materiali
(le catene della prigionia), e dunque tendono a rifiutare e perfino a voler eliminare chi
vuole distoglierli dal godimento dei beni materiali.
Abbiamo cos analizzato cosa vuol dire il mito della caverna. Deve, per, essere chiaro che
questa decifrazione del mito della caverna ben lontana dallessere completa, esaustiva.
Essa ne comprende solo i significati pi generali, e quindi certamente fondamentali, ma
non unici. Lopera di decifrazione del mito della caverna dovr dunque proseguire,
entrando nei dettagli, in tutte le successive tappe di esplorazione del pensiero platonico.
171
Il filosofo ha il compito di
annunciare agli uomini la Verit e
di aiutarli a liberarsi, ma gli
uomini tendono a rifiutarlo.
172
TAPPA 2
PLATONE: LA SCIENZA SI BASA SULLINTUIZIONE DELLE IDEE
Io allora continuai in questi termini: Considera, pertanto, come dicevamo,
che due sono le realt e una domina sul genere e sul mondo intelligibile,
laltra sul visibile []. Hai ben colto queste due forme, il visibile e
lintelligibile?.
Le ho colte.
Prendi una linea divisa in due parti disuguali e dividila ulteriormente sia in
una parte che nellaltra ovvero nel genere visibile e in quello intelligibile ,
secondo la stessa proporzione. In seguito, se ti atterrai al criterio della
rispettiva chiarezza e oscurit, una delle parti del genere visibile sar
costituita dalle immagini; e per immagini intendo in primo luogo le ombre,
poi i riflessi sia quelli sullacqua che quelli sulle superfici solide, lisce e
brillanti e infine tutti gli altri fenomeni del genere. Mi segui?.
Ti seguo.
Per quanto concerne laltra sezione, ponivi i modelli di queste immagini,
ossia gli animali che ci circondano, ogni tipo di vegetale, nonch i prodotti
delluomo.
Va bene, la riserver a queste cose.
E non saresti tentato di dire suggerii che questa parte sia divisa in vero e
in falso e che limmagine sta al modello come loggetto dellopinione sta
alloggetto della conoscenza?.
S che lo dico, afferm.
Considera, dal canto suo, anche la sezione dellintelligibile, in quale modo si
debba dividere.
In che modo?.
In questo: una parte di essa, lanima costretta a indagarla servendosi delle
cose di prima come delle immagini, e procedendo via via di postulato non
verso il principio ma verso le conclusioni; laltra parte, invece poggiante su
un principio che non pi solo un postulato lanima la indaga procedendo
da postulati e senza immagini riferentesi allaltra sezione, seguendo un
procedimento con le Idee e per mezzo delle Idee.
Questultimo punto confess non lho ben compreso.
E allora dissi incominciamo di bel nuovo, perch premettendo queste
considerazioni certo il problema ti risulter pi comprensibile. Non puoi
ignorare, io credo, che chi si occupa di geometria, di matematica e di scienze
affini d per scontato il pari e il dispari, le figure e i tre tipi di angoli nonch
altri elementi della medesima natura, variabili da disciplina a disciplina.
173
Queste cose, dunque, gli scienziati le fissano come ipotesi, dopo di che non
ritengono pi necessario rimetterle in discussione n fra s n con altri,
appunto perch assolutamente evidenti; invece, prendono le mosse da questi
principi e, passando a trattare quel che resta, con la massima coerenza
finiscono per arrivare a quella verit che serano prefissi di raggiungere.
Questo lo so bene, disse.
E allora sai anche che essi usano modelli visibili e costruiscono su di essi
delle dimostrazioni; ma nel ragionamento non hanno per oggetto tali realt,
bens le realt a cui queste assomigliano, sicch quando ragionano hanno di
mira il quadrato in quanto tale, e non quel quadrato, quella diagonale o quella
data figura che vanno disegnando. Delle figure che compongono e tracciano,
le quali corrispondono alle ombre e alle immagini che si formano sullacqua,
si servono come di immagini per cercare di vedere le realt in s che non si
possono cogliere altrimenti che con lintelligenza.
Dici il vero, convenne.
Ora questultimo genere di realt lho chiamato intelligibile; e tuttavia
lanima nella ricerca di eso costretta a ricorrere a ipotesi, non gi per
risalire ai principi dato che la ricerca non pu andar oltre le ipotesi , ma
servendosi come immagini di quelle realt che corrispondono alle copie della
parte pi bassa della linea. Resta il fatto, comunque, che in confronto con
queste copie, quelle realt sono ritenute e valutate come oggetti evidenti.
Capisco disse che tu fai riferimento alla geometria e alle arti affini ad
essa.
Sappi, dunque, che io considero laltra parte dellintelligibile, quella che il
ragionamento stessa attinge con la potenza della dialettica, non trasformando
i postulati in principi, ma procedendo dai postulati per quello che essi sono,
ossia dei punti di appoggio e di partenza, per arrivare a ci che non pi solo
un postulato, al Principio di tutto. Raggiunto questo e attenendosi a ci che ad
esso consegue, il ragionamento prosegue verso il termine e, senza far uso in
alcun modo di alcuna cosa sensibile, ma solo delle Idee stesse con se stesse e
per se stesse, termina nelle Idee.
Capisco disse ma non quanto basta. Mi sembra, infatti, che tu vada
disegnando unoperazione complicata, con la quale vuoi chiarire che quella
parte dellessere e dellintelligibile che colta dalla scienza dialettica di gran
lunga pi evidente di quella colta dalle altre cosiddette arti per le quali le
ipotesi fungono da principi.
In effetti, per quanto coloro che scrutano lessere per mezzo di queste arti
siano tenuti a coglierlo tramite lintelligenza e non i sensi, tuttavia, poich lo
contemplano non risalendo al suo principio ma a partire dalle ipotesi, ti
sembra che costoro non abbiano piena conoscenza di tali oggetti, per quanto,
per via della loro connessione coi principi, essi pure siano degli intelligibili. E
174
mi pare che la condizione propria dei geometri e quella di coloro che sono
simili ai geometri tu la chiami d i a n o i a [pensiero discorsivo] e non
intelligenza, come se la dianoia fosse un alcunch di intermedio fra lopinione
e lintelligenza.
Hai compreso perfettamente dissi . E ora ammetti che ai quattro segmenti
della linea corrispondano le seguenti quattro funzioni dellanima:
lintellezione al pi elevato, la dianoia quello che segue, la credenza al terzo
segmento e al quarto la congettura [o immaginazione].
Platone, Repubblica, VII, 509 D-511 E, a cura di G. Reale, Rusconi
Come abbiamo visto, Platone sintetizza lintera articolazione della sua filosofia nel mito
della caverna, un racconto allegorico da lui stesso inventato. Loggetto del mito levasione
di un uomo dal carcere sotterraneo in cui tenuto da sempre prigioniero. Tale evasione
articolata in due cammini ognuno dei quali a sua volta si suddivide in due tappe:
1. il cammino allinterno della caverna: a) visione delle ombre sulla parete di fondo; b)
visione degli oggetti artificiali e del fuoco;
2. il cammino fuori della caverna sulla superficie terrestre: a) visione delle ombre e
delle immagini riflesse sulle superfici dacqua delle cose naturali; b) visione delle
cose naturali terrestri e celesti.
I due cammini sono rappresentazioni allegoriche dei due fondamentali mondi in cui,
secondo Platone, articolata la realt e, al contempo, dei due corrispettivi tipi generali di
conoscenza:
1. il mondo fisico (o sensibile) che oggetto della conoscenza sensibile;
2. il mondo ideale (o intelligibile) che oggetto della conoscenza razionale.
Le quattro tappe, a loro volta, sono rappresentazioni allegoriche dei tipi specifici di
conoscenza degli oggetti dei due diversi mondi:
1) limmaginazione (o congettura), che conosce le immagini superficiali delle
cose fisiche;
2) la credenza, che conosce le cose fisiche;
3) il ragionamento (o pensiero discorsivo/dimostrativo), che conosce gli enti
razionali matematici (figure geometriche, numeri, operazioni aritmetiche,
ecc.);
4) lintellezione (o intuizione intellettiva) che conosce gli enti razionali supremi,
cio le Idee.
175
Il cammino della conoscenza comincia, secondo Platone, dal pi basso grado della
conoscenza sensibile, cio della conoscenza basata unicamente sui cinque sensi: la
immaginazione. Essa, nel mito della caverna, rappresentata dalla visione delle ombre
sulla parete di fondo. La simbologia platonica esprime il carattere superficiale, oscuro e
confuso, ovvero parziale e approssimativo, di questo tipo di conoscenza. In altri termini,
per Platone l immaginazione ha il valore di una congettura, cio una sorta di azzardo
conoscitivo, quasi un tirare a indovinare. Il suo fondamento infatti labile: si tratta
dellanalogia sensibile, cio la percezione di somiglianze qualitative immediate tra singoli e
parziali aspetti di pi cose o di pi eventi. Per esempio (mio, non platonico), si immagina
lunicorno, sulla base della somiglianza tra un rinoceronte e un cavallo, oppure si
immagina che un alano un vitello solo per la somiglianza delle loro dimensioni e forme;
o ancora immaginare significa attribuire, in base allanalogia tra emozioni umane e
fenomeni naturali, le tempeste marine allira di Poseidone o linverno al dolore di Demetra
per il rapimento della figlia Persefone; ma anche, riferendoci a noi oggi, pensare che il
freddo sia la causa del raffreddore, come suggerisce il nome stesso, solo perch pi
diffuso in inverno, ovvero per una mera concomitanza temporale.
Insomma, limmaginazione platonica rimanda a quella vasta e variegata gamma di
pseudoconoscenze che costituiscono gli ingredienti di miti, fiabe, proverbi, superstizioni,
credenze magiche e astrologiche. Considerando la sua situazione storico-culturale,
plausibile che Platone intendesse riferirsi soprattutto alla tradizione mitico-religiosa greca,
e pi in generale alle false conoscenze popolari.
Il successivo grado di conoscenza sensibile costituito dalla credenza. Nel mito della
caverna essa rappresentata sia dagli oggetti artificiali cio le statuette delle cose
naturali, che misteriosi portatori fanno muovere al di sopra di un muricciolo sia dal
fuoco di legna che con la sua luce proietta le ombre degli oggetti artificiali visibili sulla
parete di fondo. La simbologia platonica esprime, da un lato, la maggiore profondit,
consistenza e chiarezza della credenza, dallaltro, il suo carattere artificiale, derivato,
secondario, ovvero la sua incapacit di arrivare al fondamento della realt. In questo senso
ragionevole ritenere che Platone con la credenza si riferisca alla filosofia/scienza
cosmologica da Talete a Democrito. Infatti il sapere filosofico-scientifico di tipo
naturalistico, a differenza dell immaginazione, non si basa sulla vaga somiglianza di
singoli aspetti delle cose e dei fatti, ma considera le cose nella loro interezza, ovvero tiene
conto dellinsieme delle loro propriet, e ricerca le cause pi generali e profonde dei fatti in
base a ripetute e accurate osservazioni.
In altre parole, la credenza non si affida, come limmaginazione, a una o poche casuali
osservazioni, ma si basa sull esperienza, cio sullaccumulo e il confronto ragionato di
molte sensazioni. Tuttavia lesperienza limitata alla dimensione fisica e pertanto rinviene
solo propriet e cause fisico-naturali. Ma poich la dimensione fisica caratterizzata dal
176
177
possiamo misurarli tutti dal momento che sono infiniti e anzi senza bisogno di
misurarne nemmeno uno.
Per, Platone rileva che tutte le scienze matematiche partono da principi primi non
dimostrati razionalmente, e che pertanto sono solo delle ipotesi. Dunque i principi delle
scienze matematiche non sono fondati e pertanto, basandosi solo sulle scienze
matematiche, non possibile garantire completamente che le loro inferenze deduttive
giungano a conclusioni certamente vere. Inoltre le scienze matematiche si servono di
rappresentazioni grafiche (p.e. le figure geometriche) che sono un residuo del mondo
fisico-sensibile. A causa di questi limiti le scienze matematiche, secondo Platone, non sono
autosufficienti ma devono fondarsi su un livello ulteriore di conoscenza.
178
CONOSCENZA SENSIBILE
DEL MONDO FISICO
IMMAGINAZIONE (o
congettura): conoscenza delle
propriet qualitative pi
immediate e superficiali delle
cose fisiche
Sapere miticoreligioso e
superstizioni e
leggende popolari
CREDENZA: conoscenza
empirica, basata su osservazioni
ripetute e accurate, delle cose
fisiche
La filosofia
cosmologica basata
su principi primi di
tipo fisico
CONOSCENZA
RAZIONALE DEL MONDO
METAFISICO
RAGIONAMENTO:
conoscenza ipotetico-deduttiva
degli enti matematici (figure
geometriche, numeri, ecc.)
Scienze: aritmetica,
geometria, musica,
astronomia
INTELLEZIONE: intuizione
dei principi primi degli enti
matematici e di tutte le cose,
ossia delle Idee
La scienza suprema,
ovvero la
dialettica
179
TAPPA 3
PLATONE : LE IDEE SONO I MODELLI RAZIONALI DI OGNI COSA
[] Diciamo noi che il giusto qualcosa per se stesso, oppure no?
S, lo diciamo, per Zeus!
E anche il bello e il buono?
E come no?
E hai mai vista qualcuna di queste cose con gli occhi?.
No, affatto, rispose.
E le hai mai colte, forse, con altro senso del corpo? Non parlo solo delle cose
nominate sopra, ma anche della grandezza, della salute, della forza, e, in una
parola, dellessenza di tutte le altre cose, ossia di ci che ciascuna di quelle
cose . Ebbene, forse che si conosce ci che in esse c di pi vero mediante il
corpo? O le cose stanno invece cos: solamente chi di noi si preparato a
considerare con la mente nella maniera pi precisa ciascuna cosa di cui fa
ricerca, solamente costui pu giungere pi vicino possibile alla conoscenza di
ciascuna di queste cose?.
Certamente.
Platone, Fedone, 65 D, a cura di G. Reale, Rusconi
Ma chiamare causa cose come queste [gli elementi naturali: aria, acqua,
ecc.] troppo fuori luogo.
Se uno dicesse che, se non avessi queste cose, cio ossa, nervi e tutte le altre
parti del corpo che ho, non sarei in grado di fare quello che ritengo di fare,
direbbe bene; ma se dicesse che io faccio le cose che faccio proprio a causa di
queste, e che, facendo le cose che faccio, io agisco, s, con la mia intelligenza,
ma non in virt della scelta del meglio, costui ragionerebbe con assai grande
leggerezza.
Questo vuol dire non essere capace di distinguere che altra la vera causa e
altro il mezzo senza il quale la causa non potrebbe mai essere causa. E mi
sembra che i pi, andando a tastoni come nelle tenebre, usando un nome che
non gli conviene, chiamano in questo modo il mezzo, come se fosse la causa
stessa.
Ed questo il motivo per cui qualcuno, ponendo intorno alla terra un
vortice, suppone che la terra resti ferma per effetto del movimento del cielo,
mentre altri le pone di sotto laria come sostegno, come se la terra fosse una
madia piatta. Ma quella forza per la quale terra, aria e cielo ora hanno la
migliore posizione che potessero avere, questo n cercano n credono che
abbia una potenza divina, ma credono di aver trovato un Atlante pi potente,
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Come si detto, le Idee nel mito della caverna sono simboleggiate dagli oggetti naturali
presenti sul suolo terrestre. Tali oggetti nel mito sono divisi , in base ai diversi momenti in
cui il prigioniero liberato le vede, in tre gruppi:
1. gli oggetti terrestri, quali piante, animali, minerali;
2. gli oggetti celesti notturni: le stelle e la Luna;
3. gli oggetti celesti diurni: il Sole.
E plausibile che Platone rappresenti cos, allegoricamente, larticolazione gerarchica del
mondo delle Idee:
1. al livello pi basso, le Idee delle cose naturali, p.e. lIdea di cane o lIdea di metallo o
ancora lIdea di temporale;
2. a un livello superiore le Idee delle cose astratte, cio dei valori etico-civili - p.e.
lIdea di coraggio o lIdea di onest , dei principi logici pi generali, p.e. lIdea di
uguaglianza o lIdea di causa e, ancora, le Idee dei numeri e la Diade (la Luna);
3. al massimo e supremo livello, il principio di tutte le Idee, cio lUno (il Sole).
Ma cosa sono lUno e la Diade? Secondo Platone, tutte le Idee sono costituite
dellinterazione di due principi opposti, ma originariamente correlati luno allaltro:
lUno, ovvero il principio della deliminazione, della determinazione, dellordine,
ossia dellorganizzazione;
la Diade, ovvero la dualit di infinitamente grande e infinitamente piccolo, cio la
molteplicit infinita costituita dalle illimitate gradazioni comprese tra un limite
tendente allinfinitamente grande e uno tendente allinfinitamente piccolo.
Linterazione tra Uno e Diade genera una molteplicit determinata, unitaria, cio ordinata,
per lappunto il mondo delle Idee. La Diade e pi ancora lUno sono dunque al di l e al di
sopra delle stesse Idee, in quanto ne sono i Principi generatori.
Le prime Idee a essere costituite dallinterazione di Uno e Diade sono i numeri ideali,
cio la decade, i primi dieci numeri, in base ai quali poi si formano tutte le altre Idee. Ci
significa che vi sono Idee monadiche, Idee diadiche, Idee triadiche, ecc., e, pi in generale,
che ogni Idea la manifestazione e la realizzazione di uno specifico valore numerico e
dunque che le relazioni logiche tra le Idee sono fondamentalmente di tipo matematico.
In questo senso, lUno definito da Platone la misura esatta, ovvero il metro, il criterio
supremo di misurazione di ogni Idea. In altre parole, lUno il parametro che stabilisce gli
esatti valori numerici di tutte le Idee facendo s che ognuna sia pienamente s stessa e al
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DIADE=dualit infinitamente
grande/infinitamente piccolo
Principio infinito di molteplicit disordinata
NUMERI IDEALI
della decade
IDEE
dei principi logico-matematici,
dei valori etici e
di tutte le cose fisiche
oggetti
puramente
razionali, cio
non fisici, che
esistono fuori
della mente
umana
universali, in
quanto
sintesi delle
propriet
comuni di un
insieme di
cose
eterne e
immutabili, in
quanto non
nascono, non
muoiono e non
cambiano
perfette,
perch
complete e
compiute
divine,
perch
posseggono
il massimo
grado di
realt ed
esistenza
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straordinariamente inaspettata bellezza nascosta che le idee stesse cos spesso rivelano.
(ed. cit., p. 22).
A chi vuole saperne di pi non resta che leggere il gi citato libro di Penrose: La strada
che porta alla realt, Rizzoli, 2005.
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TAPPA 4
PLATONE : IL MONDO FISICO E UNA COPIA DEL MONDO DELLE IDEE
Che cos ci che sempre e non ha generazione? E che cos ci che si
genera perennemente e non mai essere? Il primo ci che concepibile con
lintelligenza mediante il ragionamento, perch sempre nelle medesime
condizioni. Il secondo, al contrario, ci che opinabile mediante la
percezione sensoriale irrazionale, perch si genere e perisce, e non mai
pienamente essere.
Inoltre, ogni cosa che si genera, di necessit viene generata da qualche causa.
Infatti, impossibile che ogni cosa abbia generazione, senza avere una causa.
E quando lArtefice di qualsivoglia cosa, guardando sempre a ci che allo
stesso modo e servendosene come di esemplare, ne porta in atto lIdea e la
potenza, necessario che, in questo modo, riesca tutta quanta bella; quella
cosa, invece, che lArtefice porta in atto servendosi di un esemplare generato,
non sar bella. []
Ma evidente a tutti che Egli guard allesemplare eterno: infatti luniverso
la pi bella delle cose che sono state generate e lArtefice la migliore delle
cause.
Se, pertanto, lUniverso stato generato cos, fu realizzato dallArtefice
guardando a ci che si comprende con la ragione e con lintelligenza e che
sempre allo stesso modo.
Stando cos le cose, assolutamente necessario che questo cosmo sia
immagine di qualche cosa.
Platone, Timeo, 27 D-29B, a cura di G. Reale, Rusconi
Il principio che nuovamente riguarda luniverso si basi su una distinzionepi
ampia di quella di prima. Infatti allora distinguemmo due generi, ed ora
bisogna spiegare un terzo e differente genere. []
Quale potenza e natura dobbiamo pensare che abbia?
Questa soprattutto: di essere il ricettacolo di tutto ci che si genera, come una
nutrice. []
Bisogna dire che essa sempre una medesima cosa, perch essa non esce mai
dalla propria potenza. Infatti, per natura essa sta come materiale da impronta
per ogni cosa, mossa e modellata dalle cose che entrano in essa, e appare per
causa di esse ora in un modo e ora in un altro.
E le cose che entrano e che escono sono imitazioni delle cose che sono
sempre, improntate da esse in un certo modo difficile da spiegarsi e
meraviglioso, di cui pi avanti faremi ricerca. []
188
Dunque, allo stesso modo, anche a ci che deve ricevere molte volte e bene in
ogni parte di s le immagini di tutti gli esseri eterni conviene essere per sua
natura al di l di tutte le forme.
Perci la madre e il ricettacolo di ci che si genera ed visibile e interamente
sensibile, non diciamola n terra n acqua n fuoco n aria, n altre delle cose
che nascono da queste o da cui queste nascono. Ma dicendola una specie
invisibile e amorfa, capace di accogliere tutto, e che partecipa in un modo
assai complesso dellintelligibile e che difficile da concepirsi, non ci
inganneremo. []
E a sua volta bisogna ammettere che c un terzo genere, quello dello spazio,
che sempre e che non soggetto a distruzione, e che fornisce sede a tutte le
cose che sono soggette a generazione. E questo coglibile senza i sensi con un
argomento spurio ed a mala pena oggetto di persuasione. Guardando ad
esso noi sogniamo e diciamo che necessario che ogni cosa che , sia in
qualche luogo e occupi uno spazio, mentre ci che non in terra n in qualche
luogo in cielo, non nulla. []
E prima di questo tutte le cose si trovano senza ragione e senza misura. Ma
quando Dio incominci a ordinare lUniverso, il fuoco in primo luogo e la
terra e laria e lacqua, avevano bens qualche traccia di s, ma si trovavano in
quella condizione in cui naturale si trovi ogni cosa, quando Dio assente.
Queste cose, dunque, che allora si trovavano in questo stato, egli in primo
luogo le modell con forme e con numeri. Che Dio abbia costituito queste cose
nel modo pi bello e migliore che fosse possibile, muovendo da una loro
condizione che non era affatto cos, anche questo per ogni cosa resti saldo
come detto una volta per tutte.
Platone, Timeo, 49 A - 53 B, a cura di G. Reale, Rusconi
Secondo Platone il mondo fisico la caverna/prigione del suo mito una immagine,
ovvero una copia, del mondo delle Idee. Pi precisamente, il mondo fisico la
concretizzazione materiale degli enti matematici (numeri, propriet aritmetiche, figure
geometriche piane e solide, teoremi, ecc.) che sono immagini o copie dirette delle Idee. Nel
mito della caverna questa tesi espressa simbolicamente dal fatto che gli oggetti artificiali
di legno o pietra (=enti naturali) sono copie artigianali delle immagini riflesse (=enti
matematici) sugli specchi dacqua delle cose naturali (=Idee).
Ci significa che per Platone il mondo delle Idee la causa primaria e fondamentale del
mondo fisico. In questo senso, le Idee sono i modelli originari compiuti e quindi perfetti
di tutte le cose naturali e queste ultime altro non sono che molteplici imitazioni
incompiute e quindi imperfette delle Idee. P.e. lIdea di gatto il modello universale
perfetto da cui derivano tutti i gatti fisici e questi ultimi sono molteplici imitazioni
individuali e imperfette dellunica Idea di gatto.
189
Ma in che modo le cose fisiche sono derivate dalle Idee? Chi o cosa ha prodotto le copie
fisiche delle Idee? La risposta di Platone affidata a un altro mito di sua invenzione, il mito
del Demiurgo (che in greco antico significava artigiano, artefice). In questo caso,
Platone ci avverte esplicitamente che il suo mito non contiene una spiegazione vera della
genesi del cosmo fisico, ma solo una sua descrizione verosimile, dal momento che
impossibile spiegare in modo compiutamente razionale ci che fisico, poich la fisicit
nasce anche da un principio in s disordinato, dunque irrazionale.
Infatti, perch un modello ideale possa essere imitato occorre qualcosa con la quale e nella
quale sia possibile imitarlo. Questo qualcosa identificato da Platone come spazialit,
ma anche come recipiente. In altri termini, la spazialit il recipiente che ospita gli
enti matematici, cio le immagini delle Idee, che diventano cos tridimensionali, cio
acquistano una apparenza fisica, ovvero la propriet apparente della consistenza materiale.
Ci significa che per Platone la materia non un principio originario ma un effetto derivato
(gli scienziati odierni direbbero un fenomeno emergente).
La spazialit, afferma Platone, ingenerata ed eterna. Tuttavia, essa di per s, nel suo stato
originario, costituisce una molteplicit illimitata e caotica, una sorta di impensabile nonessere che , ovvero qualcosa di autocontraddittorio. La spazialit, in tal senso, unentit
amorfa composta da una quantit indefinita di elementi disposti in modo squilibrato e da
una quantit indefinita di forze che li agitano disordinatamente. Per questo, Platone
sostiene che la spazialit rappresenta una causa irregolare, ovvero una realt dominata
dal cieco caso, e che pertanto non pu essere razionalmente conosciuta in modo completo.
Lopera di ordinamento del Demiurgo comincia con la plasmazione dei quattro elementi
fisici fondamentali: terra, fuoco, aria, acqua. In origine, sostiene Platone, nella spazialit vi
sono solo tracce confuse di questi elementi. Il Demiurgo trasforma queste tracce in veri e
190
propri elementi dando a ognuna di esse una forma geometrica precisa. Ci significa che
egli produce ogni elemento dandogli una struttura corpuscolare di tipo geometrico, ovvero
dividendolo in parti minime invisibili e modellando ognuna di esse come un solido
regolare. Precisamente:
1. la terra costituita di particelle cubiche;
2. il fuoco costituito di particelle a forma di tetraedro;
3. laria costituita di particelle a forma di ottaedro;
4. lacqua costituita di particelle a forma di icosaedro.
Le propriet fisico-chimiche degli elementi dipendono dunque dalle propriet
matematiche delle particelle che li compongono. Poich tutti gli enti naturali sono
combinazioni in proporzioni diverse di particelle dei quattro elementi, ci comporta che il
mondo fisico ha una costituzione matematica, ovvero che tutti i fenomeni naturali sono
una manifestazione di relazioni matematiche.
Il Demiurgo, per, secondo Platone, non produce solo il corpo delluniverso ma anche la
sua anima. Si tratta dellAnima del mondo, cio di un principio puramente razionale che
pervade la natura fisica infondendole vita e movimento. LAnima del mondo plasmata dal
Demiurgo mescolando secondo precise proporzioni matematiche luguaglianza, la diversit
e il loro misto o intermedio. Dal momento che anche lAnima del mondo ha una struttura
razional-matematica, anche i movimenti del mondo fisico sono governati da leggi
matematiche.
191
192
In base al
CUBO
distingue e
produce
lelemento
TERRA
In base al
TETRAEDRO
distingue e
produce
lelemento
FUOCO
In base all
OTTAEDRO
distingue e
produce
lelemento
ARIA
In base all
ICOSAEDRO
distingue e
produce
lelemento
ACQUA
193
194
costruzione e alla messa in funzione (2008), nel sottosuolo di Ginevra, del Large Hadron
Collider (LHC), un potente acceleratore di particelle, ad opera del CERN,
lorganizzazione europea per la ricerca nucleare. Nellestate 2012, finalmente, si ebbe il
primo avvistamento, confermato nel marzo del 2013 poi da altri avvistamenti (bench
siano necessari ulteriori controlli soprattutto per stabilire la massa esatta del bosone di
Higgs).
In questo modo la teoria di Higgs stata ufficialmente confermata e Higgs uno dei
candidati pi accreditati al prossimo Nobel per la Fisica. Soprattutto, per, anche per
questo aspetto la teorizzazione puramente matematica la scoperta di Higgs
costituisce un forte argomento a favore della teoria della conoscenza di Platone, basata
appunto sul primato del ragionamento matematico sullosservazione sensibile.
195
TAPPA 5
PLATONE: CONOSCERE E RICORDARE LA PRIMA VISIONE DELLE IDEE
Si pensi, dunque, lanima come simile a una forza per sua natura composta
da un carro a due cavalli e di un auriga.
I cavalli e gli aurighi degli dei sono tutti buoni e derivati da buoni, invece
quelli degli altri sono misti.
In primo luogo, in noi lauriga guida un carro a due cavalli; inoltre, dei due
cavalli, uno bello e buono e derivante da belli e buoni; laltro, invece, deriva
da opposti ed opposto. Difficile e disagevole, di necessit, per quel che ci
riguarda, la guida del carro. []
La potenza dellala per sua natura tende a portare in alto ci che pesante,
sollevandolo l dove abita la stirpe degli dei, e in certo senso partecipa del
divino pi di tutte le cose che riguardano il corpo. []
Zeus, il grande sovrano che sta in cielo, conducendo il carro alato, il primo
a procedere, ordina tutte quante le cose e si prende cura di esse. A lui tien
dietro un esercito di dei e di dmoni ordinato in undici schiere. []
Quando essi vanno a banchetto per prendere cibo procedono per lascesa
fino a raggiungere la sommit della volta del cielo.
L i veicoli degli dei, che sono ben equilibrati ed agili da guidare, procedono
bene; gli altri, invece, procedono con fatica. Il cavallo che partecipe del
male, infatti, cala, piegando verso terra e opprimendo quellauriga che non
abbia saputo allevarlo bene.
Qui allanima si presenta la fatica e la prova suprema.
Infatti, allorch le anime che sono dette immortali pervengono alla sommit
del cielo, procedendo al di fuori, si posano sulla volta del cielo, e la rotazione
del cielo le trasporta cos posate, ed esse contemplano le cose che stanno al di
fuori del cielo.
LIperuranio, il luogo sopraceleste, nessuno dei poeti di quaggi lo cant
mai, n mai lo canter in modo degno.
La cosa sta in questo modo, perch bisogna avere veramente il coraggio di
dire il vero, specialmente se si parla della verit.
Lessere che realmente , senza colore, privo di figura e non visibile, e che
pu essere contemplato solo dalla guida dellanima, ossia dallintelletto, e
intorno a cui verte la conoscenza vera, occupa tale luogo.
Ora, poich la ragione di un dio nutrita da una intelligenza e da una scienza
pura, anche quella di ogni anima cui prema di conoscere ci che le conviene,
quando vede dopo un certo tempo lessere, si allieta, e, contemplando la
verit, se ne nutre e ne gode, finch la rotazione del cielo non labbia riportata
allo stesso punto.
196
Nel giro che essa compie vede la Giustizia stessa, vede la Temperanza, vede la
Scienza, non quella connessa col divenire, n quella che differente in quanto
si fonda su quelle cose alle quali noi ora diamo il nome di esseri, ma quella
che veramente scienza in ci che veramente essere. []
Quanto alle altre anime, invece, una, seguendo il dio nel modo migliore
possibile e rendendosi simile a lui, solleva il capo dallauriga verso il luogo che
sta al di fuori del cielo e viene trasportata nel moto di rotazione, ma a stento
contempla gli esseri, perch turbata dai cavalli.
Unaltra anima, invece, ora solleva il capo, ora lo abbassa; ma poich i cavalli
le fanno violenza, vede alcuni esseri, mentre altri no.
Seguono le altre anime, che aspirano tutte quante a salire in alto, ma, non
essendo capaci di farlo, vengono sommerse e trascinate nel moto di rotazione,
urtandosi luna con laltra, accalcandosi e tentando di passare luna davanti
allaltra. Nasce, dunque, un tumulto e una lotta con un estremo sudore, e, per
lignavia degli aurighi, molte anime rimangono storpiate, e molte riportano
molte delle loro penne spezzate.
Tutte, poi, oppresse da grande fatica, se ne allontanano senza aver fruito
della contemplazione dellessere; e, una volta che si siano allontanate, si
nutrono del cibo dellopinione.
Il motivo per cui esse mettono tanto impegno per vedere la Pianura della
Verit questo: il nutrimento adatto alla parte migliore dellanima proviene
dal prato che l, e la natura dellala con cui lanima pu volare si nutre
proprio di questo.
Platone, Fedro, 246A-248C
Le Idee, secondo Platone, sono i modelli oggettivi, e quindi le cause prime, di tutte le cose e
anche di tutti i fatti/comportamenti fisici. P.e., lIdea di rosa il modello di tutte le rose,
lIdea di rosso quello di tutti i rossi, lIdea di combustione quello di tutti gli incendi, lIdea
di coraggio quello di tutti gli atti coraggiosi, ecc. In altre parole tutte le cose e gli eventi
fisici sono riproduzioni o imitazioni delle Idee. Poich conoscere scientificamente, cio in
modo veritiero, qualcosa significa per Platone conoscerne la causa prima, ne segue che per
conoscere le cose/azioni fisiche necessario conoscere le Idee da cui ognuna deriva. Detto
in termini filosofici, le Idee in quanto supremi principi ontologici del mondo fisico ne sono
di conseguenza anche i supremi principi gnoseologici, cio conoscitivi.
Le Idee, per, sono forme universali puramente razionali, del tutto prive di qualsiasi
propriet fisica, e pertanto, come si visto, Platone sostiene che non possono essere
conosciute attraverso lesperienza sensibile. Ma allora come pu conoscerle luomo? E
come possibile quindi raggiungere una conoscenza di tipo scientifico, cio completa e
invariante?
197
La risposta di Platone, in prima battuta, affidata ancora una volta a un mito, il mito della
biga alata (chiamato anche mito dellauriga). Esso ha come protagoniste appunto delle
bighe alate, cio capaci di volare, ognuna guidata da un auriga e tirata da due cavalli, uno
bianco e docile e laltro nero e ribelle. La biga alata rappresenta l anima (psych9), cio il
principio individuale della vita e del movimento di ogni cosa.
Lanima, secondo Platone, non materiale, puramente razionale, e, in quanto tale,
immortale. Infatti, argomenta Platone, la morte consiste nella disgregazione di un corpo,
in quanto questo, essendo fisico, composto di pi elementi (terra, acqua, fuoco, aria); ma
lanima una sostanza semplice, cio unica, non composta, dunque non pu digregarsi,
ovvero morire. Inoltre, lanima il principio della vita del corpo e sarebbe contraddittorio
che il principio della vita fosse soggetto alla sua negazione, cio alla morte.
Come sappiamo, psych significava in greco fiato, respiro. Ma, poich Platone il primo filosofo (di
Socrate non possiamo essere certi) a sostenere che la psych del tutto immateriale, ci giustifica la sua
traduzione con anima, che in italiano indica anche lidentit non fisica e immortale di ogni uomo.
198
Il corpo, afferma Platone, imprigiona lanima umana nello stesso modo in cui le valve della
sua conchiglia rinserrano lostrica. Questa chiusura corporea opprime lanima a tal punto
da diventarne la prigione, anzi perfino la tomba, cio da soffocarla e spegnerla. Fuor di
metafora, in seguito allacquisizione di una dimensione fisica, lanima umana dimentica la
visione delle Idee e quindi perde perfino la coscienza di s stessa. In altre parole, luomo si
trova nella situazione descritta simbolicamente da Platone nel mito della caverna-prigione,
attraverso lallegoria dei prigionieri incatenati fin dalla nascita che guardano le ombre che
si agitano sulla parete di fondo. In questo senso il mito della biga alata pu essere
considerato lantefatto del mito della caverna. Ci significa che dopo la caduta e
lincarnazione dellanima, tutti gli uomini sono come prigionieri incatenati, ovvero che ogni
uomo nella fase iniziale della sua vita si basa solo sui sensi, non capace di usare
lintelligenza e addirittura ignora di esserne dotato.
Nel mito della caverna, per, uno dei prigionieri viene liberato dalle catene da qualcuno o
da qualcosa la cui identit non esplicitata da Platone. Il significato razionale di questa
liberazione che, durante la sua esistenza, ogni uomo ha la possibilit di diventare
cosciente della propria intelligenza e quindi di farne uso. Ma chi o cosa libera il
prigioniero? Ovvero, come avviene il passaggio dallincoscienza alla coscienza? La risposta
contenuta nella spiegazione platonica del mito della biga alata: lanima rinchiusa nel
corpo si ridesta nel momento in cui ricorda per la prima volta lIdea della bellezza. In altre
parole, il misterioso liberatore del prigioniero incatenato la Bellezza in s. Fuor di
metafora, quando luomo fa lesperienza della Bellezza, cio prova il piacere estetico, si
accende in lui il ricordo delle Idee, ovvero comincia il processo di riscoperta e di fruizione
della propria intelligenza.
Ma perch il ricordo delle Idee dovrebbe essere innescato dalla Bellezza e non invece dal
Bene o dalla Giustizia o dalla Uguaglianza, cio da unaltra delle Idee di livello superiore?
La risposta di Platone affidata ancora una volta a una metafora: la Bellezza lIdea pi
luminosa e come tale riesce, per cos dire, a filtrare e a trasparire attraverso la cortina
opaca della fisicit. Luomo allora pu scorgerla con il pi raffinato dei suoi sensi, quello
pi vicino allintelligenza: la vista. La metafora platonica sta a significare che lIdea della
bellezza quella che pi di ogni altra si manifesta nel mondo fisico e pu pertanto essere
oggetto di una speciale esperienza sensibile, si potrebbe dire di unesperienza sensibile
estrema, cio ai confini della realt fisica; ovvero di unintuizione che al tempo stesso sia
sensibile sia razionale. In questo senso fermo restando che il mondo naturale nel suo
insieme solo simile alle Idee in quanto ontologicamente diverso dalle Idee si pu dire
che la bellezza sensibile per Platone la quota del mondo fisico che rispecchia
completamente le Idee, ovvero ci che nella natura c di assolutamente uguale alle Idee, la
sua parte puramente razionale.
199
Lesperienza della Bellezza, per, non fa ricordare immediatamente allanima tutte le Idee
che lanima aveva contemplato in origine. Essa, secondo Platone, d solo il via a un lungo
processo di graduale rimemorazione delle visioni razionali avute e poi obliate. Tale
processo rappresentato simbolicamente nel mito della caverna dal cammino ascendente
del prigioniero liberato si basa per Platone su due fattori:
1. la forte somiglianza e lo stretto collegamento che sussistono tra tutte le Idee per cui
dalla conoscenza di ognuna di essere si pu passare razionalmente alla conoscenza
di quelle pi vicine;
2. la somiglianza delle cose sensibili alle Idee in base alla quale una volta che si sia
riacquistata la coscienza dellesistenza delle Idee possibile usare lesperienza
sensibile come stimolo e strumento della conoscenza razionale delle Idee.
Il primo di tali fattori si impernia sullordine matematico unitario del mondo delle Idee, il
secondo si fonda sullo stretto rapporto che intercorre, pur nella loro differenza, tra mondo
delle Idee e mondo fisico. Platone caratterizza questo rapporto in vari modi e a vari livelli:
limitazione: il mondo fisico imita il mondo delle Idee, cio gli rassomiglia;
la partecipazione: gli enti naturali prendono parte alle loro rispettive Idee;
la comunanza: le cose fisiche hanno qualcosa di comune con le Idee;
la presenza: le Idee sono parzialmente presenti nelle cose fisiche.
Questi diversi aspetti della relazione Idee/cose fisiche sono tutti riconducibili a un comune
denominatore: le Idee sono i modelli originari, ovvero le cause fondamentali, di tutte le
cose fisiche.
200
201
TAPPA 6
PLATONE: LA SCIENZA DELLE IDEE E LA DIALETTICA
Eppure, Glaucone osservai , non proprio questo il canto che il
procedimento dialettico esegue? E bench tale canto sia di natura intelligibile
la facolt della vista pu imitarlo, nella misura in cui, si diceva, essa riesce a
guardare agli animali in carne ed ossa, agli astri in quanto tali e, da ultimo, al
sole medesimo. Allo stesso modo, come essa giunta al vertice del sensibile,
cos uno pu giungere fino al vertice dellintelligibile solo quando, per mezzo
del procedimento dialettico e prescindendo totalmente dallapporto delle
sensazioni, incomincia, con la sola forza della ragione, a tendere a ci che
lessere di ciascuna realt, senza cedere mai, almeno finch non ha colto con
la pura intelligenza lessenza stessa del Bene.
Non c il minimo dubbio, riconobbe.
Ebbene, non forse questo quello che tu chiami procedimento dialettico?.
Come no?.
E la liberazione dalle catene dissi e il voltare lo sguardo dalle ombre alle
statuette e alla luce, e ancora lelevarsi dalla caverna al sole, e giunti qui,
limpossibilit a vedere gli animali, le piante e lo stesso splendore del sole, e
invece la capacit di vedere le immagini divine riflesse nellacqua e le ombre
degli oggetti reali nota, non pi ombre di statue prodotte da una luce
diversa da quella del sole, la quale andrebbe giudicata al pi come un
semplice riflesso di essa ; insomma, tutto questo lavorio che frutto delle
scienze che abbiamo preso in considerazione, ha appunto la funzione di
elevare la parte superiore dellanima alla visione della parte suprema
dellessere, come pocanzi la facolt pi perspicace del corpo si elevava verso
la parte pi splendente del mondo fisico e visibile.
Sono daccordo disse lui . E tuttavia mi sembra, da un lato, terribilmente
difficile concedere il proprio assenso a queste cose, dallaltro ugualmente
difficile il non concederlo. Ad ogni modo tenuto anche conto del fatto che
tali discorsi non vanno ascoltati solo ora, ma bisogner tornarci sopra molte
volte , dando per scontato che le cose stiano nel modo che si appena detto,
passiamo pure alla canzone vera e propria e andiamone a fondo, cos come si
fatto per il proemio. Dicci, dunque, di che tipo sia la forza di questa
dialettica, e in quali generi si divide e quali siano le sue vie. Queste vie, se non
erro, dovrebbero essere quelle che conducono l dove chi giunge trover
riposo del cammino e fine del viaggio.
Caro Glaucone dissi , oltre questo punto non sarai pi in grado di
seguirmi, nonostante io ci metta tutto il mio impegno. Qui non vedresti pi
limmagine di quel che trattiamo, ma il suo vero essere, o per lo meno quello
202
che a me sembra tale. Che poi lo sia veramente o no, non questo problema
su cui valga la pena insistere; ma che si debba assurgere a un tale livello di
comprensione, questo va ribadito. O non sei dellavviso?.
Come no?.
E non ti pare che solo la pratica della dialettica potrebbe aprire a una tale
comprensione chi gi esperto nelle discipline sopra indicate, mentre
nessunaltra scienza lo potrebbe?.
Anche di ci ammise si pu essere certi.
Ed ecco allora continuai un ulteriore punto che nessuno potrebbe
contestarci: non esiste altro procedimento che possa pretendere di cogliere
sistematicamente e universalmente lessenza di ciascun essere individuale.
Tutte le altre arti, in effetti, o sono rivolte alle opinioni degli uomini o ai loro
desideri, oppure agli esseri che si generano o a quelli che si costruiscono,
ovvero per custodire tutte le realt che si producono in natura o ad opera
delluomo. Le restanti discipline, quelle che dicevamo cogliere in qualche
misura lessere, come la geometria e le scienze derivate, le vediamo muoversi
in un certo senso come sonnambuli nei confronti dellessere, di modo che per
esse impossibile vederlo cos com, in uno stato di veglia, finch almeno si
servono di assiomi che lasciano indimostrati, solo perch non sanno darne
ragione.
Effettivamente, a chi assume come punto di partenza un principio
sconosciuto capita che anche il corpo del discorso e le sue conclusioni siano
sempre intimamente intrecciate con questa ignoranza; sicch come sarebbe
possibile che da una tale artificiosa convenzione scaturisca una scienza?.
Non c alcuna possibilit, ribad.
Pertanto continuai , solo il metodo dialettico procede per questa via,
togliendo le ipotesi fino a raggiungere il principio in quanto tale per conferire
solidit, e solleva e porta in alto locchio dellanima invischiato in un pantano
barbaro, facendo uso delle arti che abbiamo descritto come ausiliarie per
aiutare nella conversione. [].
Platone, Repubblica, 532 A-553 D
Sulla base della teoria del ricordo, espressa allegoricamente nel mito della biga alata,
Platone sostiene che tutti gli uomini nascono con una conoscenza innata, sebbene
maggiore o minore a seconda degli individui. Infatti, le anime razionali, cio le menti
umane, hanno contemplato le Idee e ne conservano la memoria, cio le hanno riprodotte in
s generando cos i concetti. In altre parole, i concetti per Platone sono le rappresentazioni
203
mentali delle Idee, ovvero sono le Idee in quanto concepite dallintelletto umano, e le menti
umane, fin dalla nascita, sono, per cos dire, piene di concetti.
Platone pertanto il primo filosofo a teorizzare esplicitamente che la conoscenza ha un
fondamento puramente razionale a priori, cio anteriore a ogni sensazione e quindi
indipendente dallesperienza sensibile. Ci significa che, secondo Platone, la scienza, cio
la conoscenza vera, completa e definitiva, non deve basarsi sullesperienza sensibile ma
deve imperniarsi sui concetti razionali che la nostra mente possiede fin dalla nascita grazie
alla sua originaria contemplazione (in greco theora) delle Idee. Usando termini pi
attuali, Platone sostiene una epistemologia, cio una filosofia della scienza, caratterizzata
dal primato della teoria rispetto allosservazione sperimentale.
204
vuole affatto suggerire che luomo possa acquisire ogni conoscenza istantaneamente. Al
contrario Platone chiarisce non solo che lesperienza estetica soltanto lavvio di un lungo
e graduale processo di rimemorazione, ossia di acquisizione conoscitiva, ma anche che tale
processo pu svilupparsi se e solo se si serve di un ben preciso metodo di ricerca. Tale
metodo chiamato da Platone dialettica. Poich il metodo dialettico quello che ci fa
(ri)conoscere le Idee esso il metodo scientifico supremo; e poich ci che la dialettica ci fa
(ri)conoscere sono le Idee, la dialettica al tempo stesso la scienza delle Idee, dunque la
scienza suprema, anzi lunica scienza in senso proprio, cio lunica conoscenza vera,
completa e invariabile.
205
Ora che dovrebbe essere chiaro in cosa consiste per Platone la dialettica, possiamo
comprendere meglio, innanzitutto, perch Platone lha chiamata dialettica. Essa, in
particolare nella fase analitica, la pi lunga e complessa, si basa sulla scelta di unIdea per
eliminazione di altre Idee parallele diverse da essa, ovvero con essa contraddittorie (p.e.
vertebrato rispetto a invertebrato). In altre parole, il metodo dialettico platonico una
ripresa del metodo argomentativo inventato da Parmenide, e battezzato dialettica dal suo
discepolo Zenone, ovvero dellargomentazione che arriva a corroborare una tesi partendo
dalla confutazione della sua antitesi (un tipo di argomentazione che poi era stata fatta
propria dai matematici i quali per lavevano ribattezzata dimostrazione per assurdo).
Ma Platone non si limita a copiare Parmenide. In realt a partire da Parmenide elabora
una versione ben pi articolata e sofisticata della dialettica. Infatti, in primo luogo, come
abbiamo visto, le antitesi per Platone possono essere ben pi di una; in secondo luogo, e
soprattutto, la relazione dialettica in Platone diventa la connessione logica che lega
unitariamente tutte le Idee, che ne fonda lordine armonico, ovvero , per cos dire, la rete
razionale che unifica e mette in comunicazione ogni Idea con ogni altra Idea. In altri
termini, ci che rende il mondo delle Idee effettivamente tale. Senza nessi dialettici con
tutte le altre Idee, unIdea non potrebbe essere ci che , ossia lessenza di un determinato
insieme di cose. P.e., lIdea di quadrupede si determina in relazione allIdea di bipede e di
apode, e queste in relazione a quella. Per questo, in quanto scienza delle Idee, e dunque
scienza suprema, la dialettica non consiste solo e tanto nella conoscenza di ogni singola
Idea, ma anche e soprattutto nella conoscenza delle relazioni che legano ogni Idea alle
altre, ovvero nella conoscenza dellordine armonico che caratterizza il mondo delle Idee e
che fa s che esso sia una perfetta sintesi di unit e molteplicit.
Ma in cosa consiste questo ordine ideale? E ancora, quali sono le relazioni dialettiche che
unificano le Idee? In prima approssimazione, si pu rispondere che le Idee sono ordinate
gerarchicamente, ovvero in base a una derivazione piramidale dalle pi generali alle pi
specifiche. In questo senso, il mondo delle Idee articolato nei seguenti livelli gerarchici
dal pi alto al pi basso:
Uno (=Bene=Verit=Bellezza) o Limite o Misura.
Diade o Illimitato.
Numeri ideali o Idee-numeri: Triade, Tetrade, ecc., fino alla Decade.
Generi supremi: Essere, Identit, Diversit, Quiete, Movimento.
Idee dei principi logici: Proporzione, Intelligenza, Relazione, Causa, ecc.
Idee dei valori etico-politici: Giustizia, Coraggio, Onest, Sincerit, Amicizia, ecc.
Idee degli enti fisici: Spazio, Tempo, Mammifero, Conifera, Ferro, Cane, Granito,
ecc.
Enti matematici: figure geometriche, numeri, relazioni e operazioni aritmetiche,
ecc.
206
Grazie alla connessione dialettica di tutte le Idee, Platone riesce a fondare filosoficamente,
e quindi a valorizzare scientificamente ed eticamente, sia lunit sia la molteplicit, meglio
ancora a rendere luna condizione dellaltra e viceversa. In altre parole, lEssere la realt
vera, davvero esistente , ossia il mondo delle Idee, non omogeneo e indifferenziato, ma
articolato e variegato. E, infatti, le Idee immediatamente subordinate a quella di Essere
sono Identico, Diverso, Quiete, Movimento. Ci significa che lEssere non solo identico a
se stesso, ma anche differenziato in molte parti/aspetti, e che lEssere, e insieme ogni altra
Idea, non si relaziona solo a se stesso (Quiete), non cio solo autoreferenziale, ma si
rapporta e rinvia a tutte le altre Idee (Movimento), ovvero comunica con esse.
A questo punto possiamo rilevare quanto sia ampia la distanza tra la dialettica parmenidea
e quella platonica. La dialettica di Parmenide non ammetteva il non-essere e quindi
cancellava ogni diversit e molteplicit dallEssere, lo rendeva ununit monotona,
autoreferenziale, statica. La dialettica di Platone ammette il non-essere e quindi riabilita
diversit e molteplicit, configurando lEssere in modo ricco, variopinto, dinamico. Ma
allora Platone rifiuta la legge parmenidea che stabilisce linesistenza e linammissibilit del
nulla? La risposta no. Come pu allora ammettere la molteplicit?
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TAPPA 7
PLATONE: LAMORE E IL SENTIMENTO CHE PORTA ALLE IDEE
Quando nacque Afrodite, gli dei tennero banchetto, e fra gli altri cera Poros
(lEspediente), figlio di Metis (la Perspicacia). Dopo che ebbero tenuto il
banchetto, venne Penia (la Povert) a mendicare, poich cera stata una
grande festa, e se ne stava vicino alla porta. Successe che Poros, ubriaco di
nettare, dato che il vino non cera ancora, entrato nel giardino di Zeus,
appesantito comera, fu colto dal sonno. Penia, allora, per la mancanza in cui
si trovava di tutto ci che ha Poros, escogitando di avere un figlio da Poros,
giacque con lui e concep Eros. Per questo divenne seguace e ministro di
Afrodite, perch fu generato durante le feste natalizie di lei; ad un tempo per
natura amante di bellezza, perch anche Afrodite bella.
Dunque, in quanto Eros figlio di Penia e Poros, gli toccato un destino di
questo tipo. Prima di tutto povero sempre, ed tuttaltro che bello e
delicato, come ritengono i pi. Invece, duro e ispido, scalzo e senza casa, si
sdraia sempre per terra senza coperte, e dorme allaperto davanti alle porte o
in mezzo alla strada e, poich ha la natura della madre, sempre
accompagnato con povert. Per ci che riceve dal padre, invece, egli
insidiatore dei belli e dei buoni, coraggioso, audace, impetuoso,
straordinario cacciatore, intento sempre a tramare intrighi, appassionato di
saggezza, pieno di risorse, filosofo per tutta la vita, straordinario incantatore,
preparatore di filtri, sofista. E per sua natura non n mortale n immortale,
ma, in uno stesso giorno, talora fiorisce e vive, quando riesce nei suoi
espedienti; talora, invece, muore, ma poi torna in vita, a causa della natura
del padre. E ci che si procura gli sfugge sempre di mano, sicch Eros non
mai n povero di risorse, n ricco.
Inoltre, sta in mezzo fra sapienza e ignoranza. Ed ecco come avviene questo.
Nessuno degli dei fa filosofia, n desidera diventare sapiente, dal momento
che lo gi. E chiunque altro sia sapiente, non filosofa. Ma neppure gli
ignoranti fanno filosofia, n desiderano diventare sapienti. Infatti,
lignoranza ha proprio questo di penoso: chi non n bello n buono n
saggio, ritiene invece di esserlo in modo conveniente. E, in effetti, colui che
non ritiene di essere bisognoso, non desidera ci di cui non ritiene di aver
bisogno. []
E, allora, io dissi: E sia, o straniera! Infatti, tu dici bene. Ma se Eros di
questo tipo, che vantaggio porta agli uomini? .
Questo punto, o Socrate, cercher di spiegartelo disse dopo queste altre
cose. Dunque, Eros di questo tipo, nato in questo modo, ed amore delle
cose belle, come tu affermi. Ma se qualcuno ci domandasse: perch, o Socrate
212
e Diotima, Eros amore delle cose belle? O, per dirla in modo ancora pi
chiaro: chi ama le cose belle, ama; ma che cosa ama? .
Ed io risposi: Che le cose belle diventino sue .
Ma la tua risposta disse comporta questa domanda: che vantaggio avr
colui che verr in possesso delle cose belle? .
E io risposi di non avere ancora a disposizione una risposta per tale
domanda.
Ma disse come se qualcuno usando il termine bene in luogo di quello
di bello, ti domandasse: Socrate, chi ama le cose buone ama; ma che cosa
ama? .
Che diventino sue, risposi io.
E che vantaggio avr dal venire in possesso delle cose buone?.
A questo dissi io mi pi facile fornirti una risposta: sar felice.
Infatti disse appunto per il possesso delle cose buone che sono felici
quelli che sono felici, e non c pi bisogno di fare questa ulteriore domanda:
Chi vuol essere felice a che scopo vuol essere felice? Perch la risposta ha
ormai raggiunto il suo fine.
Dici il vero, risposi.
Questa volont e questo amore credi che siano una cosa comune a tutti gli
uomini, e che tutti vogliano possedere? O come dici?.
Proprio cos dissi , che sia una cosa comune a tutti.
Platone, Simposio, 203 B-205 A, a cura di G. Reale, Longanesi
Come ormai sappiamo, secondo Platone, la scienza, cio la conoscenza assolutamente vera,
si fonda sulla capacit di ricordare le Idee che lanima di ogni uomo ha osservato
originariamente. Abbiamo anche appreso che, fuor di metafora, ricordare le Idee per
Platone significa intuire e portare alla coscienza i concetti razionali che sono presenti nella
mente umana fin dalla nascita e che costituiscono lintelligenza. Infine, come abbiamo
ancora gi visto, lintuizione dei concetti a sua volta si attua usando il metodo dialettico e
in questo senso la Dialettica costituisce la scienza per eccellenza.
Ma lacquisizione della Dialettica, cio della conoscenza delle Idee, per Platone non
unattivit solamente intellettuale nel linguaggio di oggi si direbbe cerebrale , bens
anche e indispensabilmente unesperienza sentimentale, ovvero emotiva. Platone afferma,
infatti, che il ricordare, ovvero il processo dialettico, , per cos dire, innescato dalla
visione sensibile dellIdea della Bellezza, ovvero dalla Bellezza in s, in quanto questa
lIdea che riesce a manifestarsi pi chiaramente nel mondo fisico. Ma lesperienza estetica
della Bellezza in s strettamente intrecciata con quella dellAmore. Infatti, secondo
Platone:
213
Dunque, tra Bellezza e Amore sussiste per Platone una correlazione necessaria,
uninterdipendenza indissolubile tale per cui luna rimanda allaltro e viceversa. Ma gi
sappiamo che la Bellezza una delle facce del principio ideale supremo, lUno, e che tutte
le Idee partecipano della Bellezza, cio sono tutte belle. Pertanto, ogni uomo per Platone,
almeno potenzialmente, innamorato delle Idee, ovvero si sente attratto dalla Bellezza del
mondo delle Idee.
Di conseguenza ogni scienza, ma al massimo grado la scienza dialettica, possiede una
componente di tipo emotivo-sentimentale, rappresentata appunto dallAmore. In tal senso
si pu dire che per Platone lAmore, inteso come ricerca della Bellezza, il propellente
emotivo della scienza che a sua volta una delle modalit di appagamento dellAmore.
Infatti, poich la scienza conoscenza delle Idee e poich tutte le Idee sono manifestazioni
della Bellezza, la ricerca scientifica, secondo Platone, permette un godimento sempre pi
ampio e intenso della Bellezza.
214
Il mito degli uomini doppi integrato e completato da un secondo mito, quello dellAmore
figlio di Povert (pena) e Acquisizione (pros), che Platone fa raccontare da Socrate a
significare che esso contiene la vera concezione dellAmore. Secondo questo mito, al
termine di un banchetto divino in onore della nascita di Afrodite, Povert, arrivata l per
mendicare, si accoppi con il dio Acquisizione, e dalla loro unione nacque Amore.
Questa allegoria significa, in primo luogo, che Amore non un dio, ma un dmone, cio
un semidio, un essere met divino, e quindi immortale, e met fisico, e quindi mortale, in
quanto suo padre il simbolo della razionalit e dellimmortalit mentre sua madre
lemblema della fisicit e della mortalit. Pi in generale, ci significa che lAmore, secondo
Platone, costituito dallinterazione di due caratteristiche fondamentali di ogni essere
umano:
1. la mancanza, cio la limitezza, limperfezione, lincompletezza;
2. il bisogno/desiderio e al tempo stesso la capacit di superare la mancanza, cio di
migliorarsi e completarsi, grazie al rapporto con un altro.
In sintesi, lAmore per Platone limpulso emotivo dellessere umano a perfezionarsi
mettendosi in relazione con un altro essere umano diverso da lui.
In secondo luogo, lallegoria platonica significa anche che Amore bisogno e desiderio di
Bellezza, in quanto il suo concepimento legato ad Afrodite, dea-simbolo della Bellezza. In
altre parole, laltro-da-s con cui lAmore mette in relazione deve possedere il requisito
della Bellezza. Perch? La risposta di Platone duplice. Da un parte, la Bellezza laspetto
visibile del Bene e quindi coincide con il Bene. Dato che il Bene procura la felicit, mettersi
in relazione con il Bello significa conseguire la felicit. Dunque Amore cerca il Bello perch
cerca la felicit. Dallaltra parte, poich naturale che ogni uomo desideri possedere la
felicit per sempre, lAmore desiderio e, al tempo stesso, capacit di conseguire
limmortalit. In che modo? Due sono per Platone le vie amorose allimmortalit:
1. la riproduzione sessuale: in questo senso lAmore desiderio/capacit di procreare figli
nel Bello, perch Bellezza significa armonia e ordine, e dunque senza la Bellezza la
procreazione sarebbe difettosa;
2. la creazione spirituale: in questo senso lAmore desiderio/capacit di conseguire
gloria e fama imperiture attraverso la produzione di opere poetiche e artistiche, ma
anche di costituzioni politiche, di teorie filosofiche e scientifiche, nonch lattuazione di
imprese eroiche, cio di azioni in cui si sacrifica la propria vita per il bene degli altri.
215
In particolare, la quarta tappa, cio quella dellamore per la bellezza delle opere
dellingegno umano, include anche le opere darte (poesie, sculture, pitture, musiche, ecc.),
ossia le opere che costituiscono loggetto dellestetica, cio della filosofia dellarte. Dato il
rilievo che ha la bellezza nella sua filosofia, Platone non pu esimersi dallelaborare una
sua estetica. E naturalmente lestetica platonica unestetica idealistica e dunque
antinaturalistica. In altre parole la vera arte, per Platone, non quella che cerca di
riprodurre la realt fisica cos com. Infatti, larte naturalistica, quella appunto che cerca
di imitare la natura, non altro che una copia della copia della vera realt, ossia del mondo
delle Idee, lunica realt che veramente bella. Pertanto larte naturalistica appanna e
sminuisce ulteriormente la bellezza del mondo fisico che gi inferiore a quella del mondo
delle Idee. La vera arte, dunque, larte che circoscrive, astrae e mette in evidenza la
bellezza delle Idee che traspare nel mondo fisico e che in questo modo riesce a produrre
delle opere veramente belle. E, dal momento che il mondo delle Idee, possiede un ordine
fondato sulla misura, la proporzione, la simmetria, unopera darte per essere tale deve
basarsi su questi stessi criteri.
Ma, come abbiamo visto, per Platone la Bellezza coincide con la Verit e con il Bene.
Dunque per Platone, la vera arte deve avere sempre un contenuto veritiero e deve sempre
trasmettere dei valori morali. In altri termini, secondo Platone, unopera darte che
rappresenti il falso o sostenga il vizio non unautentica opera darte, perch non pu
possedere il requisito essenziale dellarte, cio la bellezza.
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POVERTA
Lessere umano non completo,
carente, difettoso, e quindi ha
bisogno dellaltro.
ACQUISIZIONE
Lessere umano ha la capacit di
acquisire ci di cui carente, e
dunque di perfezionarsi,
attraverso un altro.
AMORE =
rapporto sentimentale di scambio e arricchimento reciproco.
DESIDERIO DI BELLEZZA =
qualit di chi si ama e che suscita lamore per lui.
DESIDERIO DI IMMORTALITA
CREAZIONE DI OPERE
INTELLETTUALI, in quanto
conferiscono gloria imperitura.
218
TAPPA 8
PLATONE: LA GIUSTIZIA E LA VIRTU SUPREMA
Invero, come sembra, la giustizia era qualcosa di analogo; solo che essa non
riguarda lazione esterna delle facolt dellindividuo, ma quella interiore che
concerne lui stesso e le cose che gli competono. In tal modo lindividuo non
permette che ciascuna sua parte compia uffici che sono propri di altre, o che
le differenti specie dellanima invadano luna il campo dellaltra, ma
disponendo in buon ordine le proprie cose e prendendo il comando di s,
dandosi un equilibrio e interiormente rappacificandosi ovvero raccordando
le tre parti dellanima come se fossero tre suoni di unarmonia: lalto, il basso
e il medio e altri ancora intermedi, se mai ce ne fossero , legati insieme tutti
questi elementi e diventando interamente uno di molti, temperato ed
equilibrato, cos dora innazi operi, quando decida di operare, o per lacquisto
di ricchezze, o per la cura del corpo, o per qualcosa riguardante la vita
pubblica, o per i commerci privati.
Platone, Repubblica, IV, 443 C-E a cura di G. Reale, Longanesi
Ed io cos iniziai: Non ti far certo il discorso di Alcinoo, ma di un uomo di
valore, Er figlio di Armenio, panfilo di origine. Questi a suo tempo mor in
combattimento, e mentre, dopo dieci giorni, si raccoglievano i cadaveri ormai
decomposti, lui fu raccolto ancora intatto. In seguito, riportato a casa per
essere seppellito, quando gi era adagiato sulla pira, ritorn a vivere, e,
ripresa la vista, raccont quello che aveva visto nellaldil.
Disse che, come lanima si era separata da lui, si era messa in viaggio insieme
a molte altre, finch non giunsero in un luogo meraviglioso, nel quale si
aprivano, a poca distanza luna dallaltra, due voragini sulla terra e, in
perfetta corrispondenza, altrettante su nel cielo.
In mezzo sedevano dei giudici, i quali, ad ogni loro sentenza, ordinavano ai
giusti di dirigersi in alto a destra, attraverso il cielo non prima, per, di aver
appeso davanti a loro il referto del giudizio , e agli ingiusti di muovere verso
la parte sinistra in basso, avendo anchessi il resoconto di tutte le loro azioni
appeso di dietro. Come fu il suo turno, gli fu comunicato che avrebbe dovuto
essere per gli uomini relatore delle cose di laggi, e per questo gli ordinarono
di osservare e ascoltare tutto quanto avveniva in quel posto. In tale maniera
pot assistere al dipartirsi delle anime appena giudicate da due delle voragini
del cielo e della terra.
Invece, per quanto concerne le altre due voragini, da una sbucavano anime
sudicie ddi terra e di polvere, dallaltra scendevano anime diverse, del tutto
pure provenienti dal cielo. E quelle che continuamente arrivavano davano
219
Abbiamo visto perch e come il cammino del prigioniero liberato del mito della caverna
rappresenti allegoricamente sia la crescita conoscitiva sia la maturazione esteticosentimentale di ogni individuo umano nel corso della sua vita. Ora vedremo come e perch
esso simboleggi anche, al tempo stesso, lo sviluppo della moralit di ogni uomo.
220
Per arrivare a comprenderlo, bisogna innanzitutto premettere che la moralit per Platone
consiste nel praticare le virt, ovvero nellagire in modo virtuoso. Ma cos allora la virt?
Per Platone, come per tutti gli antichi Greci, la virt in generale la propriet per cui
qualcosa eccelle, ovvero la qualit grazie alla quale raggiunge la sua perfezione. P.e., la
virt dellusignolo il canto, la virt delloro linossidabilit, ecc. In particolare, secondo
Platone, la virt delluomo la sua anima, in quanto questa la parte migliore e superiore
dellessere umano.
Lanima umana, per, secondo Platone, suddivisa in tre parti. Platone le rappresenta
simbolicamente nel mito della biga alata, in base alle tre componenti della biga:
1. lauriga alla guida il simbolo dellanima razionale (ossia dellintelligenza), cio della
facolt di pensare e conoscere, che ha sede nella testa;
2. il cavallo bianco e docile il simbolo dellanima volitiva, che risiede nel petto e consiste
nellaggressivit naturale che permette di attuare con determinazione le proprie scelte e
di opporsi a chi cercasse di impedirle;
3. il cavallo nero e ribelle il simbolo dellanima desiderante, che risiede nelladdome e
consiste nellinsieme dei bisogni istintivi del corpo (mangiare, bere, dormire, ecc.) il cui
soddisfacimento procura il piacere fisico.
Poich lanima articolata in tre parti, ognuna di esse, secondo Platone, possiede una sua
specifica virt:
1. la virt dellanima razionale la Sapienza, intesa come capacit di raggiungere la
conoscenza totale delle Idee e del Bene-Uno, cio del criterio della misura esatta;
2. la virt dellanima volitiva il Coraggio, inteso come capacit di non recedere da una
propria decisione o da una propria azione per il timore di subire un danno materiale e,
al limite, di morire;
3. la virt dellanima desiderante la Temperanza, intesa come capacit di limitare il
soddisfacimento dei bisogni istintivi del corpo e quindi il godimento dei piaceri fisici.
Tuttavia, dal momento che lanima, pur avendo tre parti, anche qualcosa di unitario, per
Platone essa deve avere una ulteriore virt complessiva. Questa virt la Giustizia, la quale
consiste nella capacit dellanima come insieme di stabilire il giusto equilibrio tra le sue tre
parti, ovvero di relazionarle in modo armonico e ordinato.
A sua volta lordinamento equilibrato e armonico dellanima consiste in un rapporto
gerarchico, anzi in una vera e propria catena di comando, tale per cui lanima razionale
comanda lanima volitiva che a sua volta comanda lanima desiderante. In questo modo, la
misura esatta, cio lUno-Bene, che viene conosciuta dallanima razionale, imposta
dallanima volitiva allanima desiderante cos che questa possa esercitare la sua virt, cio
221
Ma, come abbiamo visto, questo ordine per Platone si incardina sul criterio della giusta
misura, ovvero sul principio sommo dellUno-Bene. Ci significa che il comportamento
morale si fonda in ultima istanza sulla conoscenza. Daltra parte, solo la moralit, in
particolare la virt della Temperanza, permette allanima razionale di dedicarsi alla ricerca
conoscitiva e cos di potenziarsi al massimo grado. Dunque, per Platone conoscenza e
moralit si rafforzano reciprocamente. Ma la conoscenza, come abbiamo considerato,
promossa anche dallelevazione estetico-amorosa e, a sua volta, rafforza questultima.
Pertanto, per Platone la vita umana costituita da una triplice interazione di
rafforzamento reciproco tra conoscenza, moralit e amore.
Ecco spiegato perch il cammino ascensivo di liberazione del prigioniero nel mito della
caverna rappresenta al tempo stesso la crescita conoscitiva, quella estetico-sentimentale e
quella morale. Tanto vero che il suo traguardo simbolicamente il Sole il principio
ideale supremo dellUno che , al contempo, Verit, Bellezza e Bene, cio rispettivamente le
mete finali della conoscenza, dellamore e della moralit.
Secondo Platone, per, la fuga dalla caverna-carcere, cio appunto il ritorno dellanima al
mondo delle Idee, nellarco di una sola vita una possibilit riservata solo ai filosofi. Gli
altri uomini sono costretti a metterci molto di pi, ossia fino a dieci vite consecutive, e
devono purificarsi tra una vita e laltra subendo una pena per le azioni malvagie che hanno
commesso in vita.
In altre parole, la morale di Platone connessa alla teoria della metempsicosi, ovvero della
reincarnazione delle anime in pi corpi/personalit nel corso di pi vite successive.
Platone riprende tale teoria dai pitagorici, ma ne elabora una versione personale esposta in
un nuovo mito, quello di Er, un guerriero gravemente ferito in battaglia che ha avuto la
possibilit eccezionale di soggiornare nellaldil e poi di tornare a vivere.
222
Er narra che dopo la morte il comportamento in vita di ogni uomo viene giudicato e, in
caso di azioni immorali, lanima deve scontare una pena per mille anni per purificarsi dalle
sue colpe. Al termine dei mille anni a ogni anima viene attribuito a caso un numero che
stabilisce il suo turno per scegliere la sua nuova vita tra una serie di possibili modelli. Chi
ottiene dalla sorte i primi numeri ha pi possibilit di scelta, dunque sembra
avvantaggiato, tuttavia in realt non cos perch ha pi probabilit di scegliere i modelli
pi attraenti ma in realt peggiori, come per esempio quello del tiranno. Utilizzando
ancora una volta unallegoria, Platone afferma, in tal modo, che, nonostante un coefficiente
di casualit, ogni uomo libero, cio padrone e artefice della propria vita, e che, proprio
per questo, interamente responsabile delle proprie azioni. Tale libert e tale conseguente
responsabilit sono il fondamento della moralit, cio della capacit di ogni individuo di
perfezionare il proprio comportamento.
Una volta effettuata la scelta tutte le anime dimenticano quanto successo bevendo lacqua
del fiume Amelete e quindi rinascono nella dimensione terrena. Come anticipato, ci pu
ripetersi per dieci volte, fino a coprire un lasso di tempo di diecimila anni (la quantit
simbolica come quella dei mille anni di ogni periodo di pena). Al termine tutte le anime
arrivano finalmente alluscita dalla caverna, ovvero rimettono le ali e tornano nella Pianura
della verit, salvo cadere di nuovo e ricominciare un nuovo ciclo di reincarnazioni.
223
RAZIONALE,
(simboleggiata
dallauriga)
VOLITIVA
(simboleggiata
dal cavallo
bianco e docile)
DESIDERANTE
(simboleggiata
dal cavallo nero
e ribelle)
FUNZIONE
CONOSCITIVA
E DIRETTIVA
FUNZIONE
COERCITIVA E
DIFENSIVA
FUNZIONE DI
AUTOCONSERVAZIONE
MATERIALE
Virt della
SAPIENZA
Virt del
CORAGGIO
Virt della
TEMPERANZA
Virt della
GIUSTIZIA
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TAPPA 9
PLATONE: LO STATO GIUSTO DEVE BASARSI SULLA SCIENZA
Da giovane anchio feci lesperenza che molti hanno condiviso. Pensavo, non
appena divenuto padrone del mio destino, di volgermi allattivit politica. []
Avvenne per che alcuni potentati coinvolgessero in un processo quel nostro
amico Socrate, accusandolo del pi grave dei reati, e, fra laltro, di quello che
meno di tutti si addiceva ad uno come Socrate. Insomma, lo incriminarono
per empiet, lo ritennero colpevole e lo uccisero; e pensare che proprio lui si
era rifiutato di prender parte allarresto illegale di uno dei loro amici, quando
erano banditi dalla Citt e la malasorte li perseguitava.
Di fronte a tali episodi, a uomini siffatti che si occupavano di politica, a tali
leggi e costumi, quanto pi, col passare degli anni, riflettevo, tanto pi mi
sembrava difficile dedicarmi alla politica mantenendomi onesto. []
Ad un certo punto mi feci lidea che tutte le Citt soggiacevano a un cattivo
governo, in quanto le loro leggi, senza un intervento straordinario e una
buona dose di fortuna, si trovavano in condizioni pressoch disperate. In tal
modo, a lode della buona filosofia, fui costretto ad ammettere che solo da essa
viene il criterio per discernere il giusto nel suo complesso, sia a livello
pubblico che privato. I mali, dunque, non avrebbero mai lasciato lumanit
finch una generazione di filosofi veri e sinceri non fosse assurta alle somme
cariche dello Stato, oppure finch la classe dominante negli Stati, per un
qualche intervento divino, non si fosse essa stessa votata alla filosofia.
Platone, Lettera VII, 323 B-326 B, a cura di G. Reale, Longanesi
Ora, quando di una cosa pi grande e di una pi piccola si dice che sono la
stessa cosa, per il fatto dessere dette la stessa cosa, sono disuguali o sono
uguali?.
Uguali, rispose lui.
Di conseguenza, in rapporto allIdea di giustizia, luomo giusto e la Citt
giusta non differiranno in nulla, ma saranno uguali.
Uguali, ribad.
Ma la Citt ci parve essere giusta quando in essa le tre funzioni originarie che
la costituiscono [economia, difesa, governo] assolvono ciascuna al proprio
compito; invece ci sembrata temperante, coraggiosa e sapiente sempre per
questi suoi tipi, ma in relazione a certe altre attitudini e abitudini.
E vero, disse. []
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226
ATENIESE: Ascoltami bene. Fra i vari generi di costituzione, due sono simili
a delle madri, in quanto non sarebbe errato sostenere che gli altri tipi
traggono origine proprio da essi. Di questi luno indubbiamente si pu
chiamare monarchia; e laltro democrazia. E il prototipo del primo genere la
costituzione dei Persiani, mentre quello del secondo il nostro modello di
costituzione. Come ho detto, le altre forme di governo, quasi per intero, sono
variazioni di queste. Ora, se si vuol salvaguardare la libert e la concordia
insieme alla saggezza, assolutamente necessario che lo stato abbia parte di
ambedue le forme: ed esattamente questa la tesi che il nostro discorso vuole
sostenere quando afferma che mai una citt potrebbe essere ben
amministrata se prescinde da tali tipi di governo.
CLINIA: Certo, e come potrebbe?
ATENIESE: Una societ ha prediletto la forma monarchica, laltra ha scelto la
libert; ambedue, per, sono andate oltre il segno, al punto che nessuna ha
saputo mantenere la giusta misura.
Platone, Leggi, III, 693 D-E, a cura di G. Reale, Longanesi
Nel mito della caverna il prigioniero liberato, una volta giunto al traguardo del suo
cammino ascendente e aver goduto del Sole, decide di ridiscendere nella caverna per
rivelare la sua scoperta ai suoi compagni, liberarli e portarli allaria aperta.
Il ritorno del prigioniero nella caverna il simbolo dellimpegno politico. In altre parole,
per Platone, dovere di tutti gli uomini, e soprattutto di chi tra loro si pi elevato
interiormente, impegnarsi per rendere pi giusta la propria Citt, cio lo Stato di cui si fa
parte.
227
rapporti reciproci tra gli uomini che ne fanno parte e quindi di decidere quali regole di
convivenza adottare, ovvero nasce lo Stato.
A questo punto, Platone si chiede: cosa permette il miglior funzionamento dello Stato?, e
risponde: la giustizia. In altre parole, uno Stato per conservarsi e funzionare bene deve
basarsi su regole/leggi giuste. Dunque, ogni cittadino deve impegnarsi politicamente per
fare s che il proprio Stato sia sempre pi giusto altrimenti lo Stato verrebbe meno e con
esso la possibilit di sopravvivenza materiale.
Ma in cosa consiste allora lo Stato giusto e in che modo si realizza? Per risolvere questo
problema, Platone ritiene che si debba innanzitutto delineare chiaramente il modello
ideale di Stato giusto, ossia lIdea di Stato, lo Stato perfetto. A tale scopo, Platone individua
la prima condizione dello Stato giusto nel suo isomorfismo con lindividuo umano. In altre
parole, poich lo Stato un insieme di individui, dovr avere in grande la struttura interna
che ogni individuo ha in piccolo. Insomma, lo Stato deve essere un macrouomo.
Ora, poich, come si visto, ogni uomo costituito da unanima tripartita (razionale,
volitiva, desiderante) anche lo Stato dovr avere unanaloga tripartizione, cio dovr essere
diviso sulla base dellanima prevalente in ogni individuo, cio della sua dellindole
naturale in tre classi:
1. quella dei governanti, cui appartengono gli individui in cui prevale lanima razionale
e che dunque possono eccellere nella sapienza;
2. quella dei militari, cui appartengono gli individui in cui prevale lanima volitiva e
che dunque possono eccellere nel coraggio;
3. quella dei produttori, cui appartengono gli individui in cui prevale lanima
desiderante e che dunque possono eccellere nella temperanza.
I doveri, cio le funzioni, di ogni cittadino, secondo Platone, devono differenziarsi a
seconda della classe di appartenenza, ossia della propria indole:
1. I governanti devono elaborare le leggi, poich possedendo la sapienza, cio la
scienza delle Idee, sono i cittadini che possono prendere le decisioni pi equilibrate
ed efficaci.
2. I militari devono difendere la citt dalle aggressioni esterne e devono garantire il
rispetto delle leggi e la pacifica convivenza al suo interno, dal momento che
possedendo il coraggio sono i pi capaci nelluso della forza.
3. I produttori devono provvedere al soddisfacimento di tutti i bisogni materiali della
societ, poich, limitando i loro consumi grazie alla temperanza, sono i pi efficienti
ed efficaci nella produzione dei beni materiali.
228
Alla diversit dei doveri deve corrispondere, prosegue Platone, una diversit dei diritti
individuali. I produttori possono possedere beni individuali, una famiglia propria e una
vita privata. I governanti e i guerrieri, invece, hanno diritto a essere mantenuti
sobriamente a spese dello Stato, ma non a possedere beni individuali, una famiglia e una
vita privata.
Essi possono e anzi devono riprodursi, ma devono allevare ed educare in comune i
bambini, senza sapere quali di loro sono i propri figli, allo scopo di evitare la bench
minima possibilit di favoritismi. In tal modo, chi ha pi doveri, e quindi poteri, deve
godere di minori diritti individuali e viceversa.
In sintesi, per Platone uno Stato giusto, e quindi forte, quando ogni suo membro svolge
soltanto le funzioni che pi capace di svolgere e gode unicamente dei diritti derivanti
dalla funzione che svolge. Solo in questo caso, infatti, le tre classi che lo compongono si
integrano e cooperano tra loro nel migliore dei modi, ovvero raggiungono larmonia.
Si tratta, per, di unarmonia basata su unorganizzazione nettamente gerarchica, su una
catena di comando che parte dai governanti per giungere ai produttori passando per i
militari.
A maggior ragione per questo, il cardine della giustizia dello Stato costituito dal criterio
di attribuzione dei diversi individui alle diverse classi. In ultima analisi, uno Stato giusto,
piuttosto che ingiusto, a seconda di come decide se un individuo deve essere governante,
militare o produttore. Ribadito che il criterio della scelta devono essere le effettive doti
individuali, Platone afferma che spetta ai governanti, sempre in ragione della loro
sapienza, il compito di vagliare le doti e quindi di stabilire la funzione di ogni cittadino. Ma
egli precisa anche che la scelta dei governanti deve avvenire al termine di una fase di
educazione e istruzione pubbliche, basate sulla ginnastica e la musica, di tutti i bambini
della citt.
In altre parole la divisione nelle tre classi, per Platone, deve basarsi sulle attitudini e le
vocazioni appurate dai governanti durante un periodo di studio, senza alcuna
discriminazione n di nascita n di sesso. Insomma, anche i figli dei produttori o le donne
possono entrare nelle prime due classi. Ma per diventare governanti occorre un ulteriore
iter di studi 10 anni di scienze (aritmetica, geometria, astronomia, musica) pi 5 anni di
dialettica seguito da un tirocinio di 15 anni. Solo non prima dei 50 anni, e solo se
arrivato al termine delliter formativo, superando positivamente tutte le prove, un cittadino
pu essere ammesso allesercizio del governo.
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In conclusione, secondo Platone, uno Stato giusto quando tutti i suoi cittadini hanno le
stesse opportunit, grazie a un sistema distruzione pubblica e obbligatoria per tutti, di
comprendere e sviluppare le proprie migliori capacit e, su questa base, di svolgere poi la
funzione sociale per la quale sono portati.
Ma, come sappiamo, uno Stato cos organizzato lIdea di Stato. In questo senso, Platone
la definisce una utopa (in greco: in nessun luogo), ovvero uno Stato realizzabile solo se gli
uomini fossero dei, dunque di fatto irrealizzabile. Ma allora che senso ha averlo delineato?
Lobiettivo della politica non costruire uno Stato giusto reale, effettivo? Platone risponde
che solo sulla base di un modello ideale di Stato giusto possibile costruire uno Stato
giusto reale, in quanto lo Stato giusto reale quello pi simile allo Stato giusto ideale.
In base a questa impostazione, Platone, in due tappe successive, elabora delle versioni
realistiche dello Stato ideale. Egli sostiene, in prima battuta, che lo Stato reale migliore
sarebbe quello basato sul potere discrezionale, cio non vincolato a regole generali, di un
vero politico, cio di un leader carismatico dotato di virt e scienza e capace pertanto di
equilibrare secondo giusta misura le varie componenti sociali, allo stesso modo di un
abile tessitore che intreccia i fili di diverso colore della sua tela fino a comporre un insieme
unitario e armonico. Platone per ammette che lesistenza di un politico di questo genere
un evento storicamente pi unico che raro.
Pertanto, egli arriva a sostenere che preferibile che gli Stati si basino sul primato delle
costituzioni, cio su insiemi di leggi scritte che limitino e orientino i governanti. Su questa
base Platone individua tre possibili forme di governo costituzionali, tanto pi positive
quanto pi i rispettivi governanti rispettano le leggi:
1. la monarchia, cio il governo di un solo individuo;
2. laristocrazia, cio il governo di pochi pi ricchi, ma per questo pi istruiti;
3. la democrazia, cio il governo di tutto il popolo.
Quando invece le leggi vengono trasgredite queste forme di governo degenerano nelle loro
corrispettive varianti negative: la tirannide, loligarchia e lanarchia. Su queste basi,
Platone sostiene che la migliore costituzione realistica quella monarchica e la peggiore
la tirannide. La prima infatti la pi vicina al modello ideale del politico, la seconda la
pi lontana.
230
monarchia. Si tratta di una citt basata su una costituzione mista, cio sullequilibrio di tre
istituzioni fondamentali, ognuna corrispondente alle tre forme di governo costituzionali,
cio monarchia, aristocrazia e democrazia:
1. un re, che garantisca il principio dellunit della citt;
2. un consiglio dei cittadini migliori, cio pi esperti, che garantisca un governo
razionale;
3. unassemblea di tutti i cittadini, che garantisca la libert individuale.
Il baricentro della costituzione mista il consiglio aristocratico, composto cio dagli
uomini pi sapienti, necessariamente una ristretta lite. Pur nello sforzo di aderenza alla
realt storica, Platone conferma cos da un lato il sommo criterio della giusta misura,
ovvero dellUno-Bene-Verit-Bellezza, e dallaltro il primato relativo dei sapienti come
condizione necessaria della, seppur parziale, realizzazione politica della giustizia.
231
STATO
COSTITUZIONALE
Decidono ma
non possono
possedere niente
n avere famiglia
Difendono ma
non possono
possedere niente
n avere famiglia
Producono e
possono avere
propriet e
famiglia
MONARCHIA
antitesi della
GIUSTIZIA
=
Ogni
cittadino
deve
svolgere solo
il suo
compito
TIRANNIDE
ARISTOCRAZIA
OLIGARCHIA
DEMOCRAZIA
ANARCHIA
Un CONSIGLIO di
esperti, che garantisce la
competenza governativa
GIUSTIZIA =
EQUILIBRIO DEI
POTERI DEI 3
ORGANI
UnASSEMBLEA eletta
dal popolo che
garantisce la libert
232
233
TAPPA 10
PLATONE: LA SCIENZA DEVE BASARSI SULLA MATEMATICA
E [il Demiurgo] diede ad esso [luniverso] una forma che gli era conveniente e
affine. Infatti, al vivente che deve comprendere in s tutti i viventi
conveniente quella forma che comprende in s tutte quante le forme. Perci lo
torn arrotondato, in forma di sfera che si stende dal centro agli estremi in
modo eguale da ogni parte, ossia la pi perfetta di tutte le forme e la pi simile
a s medesima, ritenendo il simile pi bello del dissimile.
E lo fece perfettamente liscio di fuori tutto intorno, per molte ragioni. Infatti,
non aveva alcun bisogno di occhi, perch al di fuori non era rimasto nulla che
fosse visibile; n aveva bisogno di udito, perch non cera neppure nulla che
fosse udibile. []
In effetti, colui che lo costitu pens che il mondo, con lessere sufficiente a se
stesso, sarebbe stato migliore che non se avesse avuto bisogno di altre cose.
Pertanto non credette di dovere inutilmente attaccare mani, con le quali non
cera alcun bisogno di prendere o respingere qualcosa, n piedi, n, in
generale, quanto fornisse un servizio per camminare.
In effetti, gli assegn un movimento conveniente al suo corpo: dei sette
movimenti gli assegn quello che soprattutto conviene allintelligenza e alla
saggezza. Perci, appunto, facendolo ruotare allo stesso modo e, nello stesso
luogo e in s medesimo, fece s che si muovesse con movimento circolare. []
Ora, abbiamo notato che la natura del Vivente eterna, e questa non era
possibile adattarla perfettamente a ci che generato. Pertanto Egli pens di
produrre una immagine mobile delleternit, e, mentre costituisce lordine del
cielo, delleternit che permane nellunit, fa unimmagine eterna che procede
secondo il numero, che appunto quella che noi abbiamo chiamato tempo.
[]
Dunque, in base a tale pensiero e ragionamento intorno alla generazione del
tempo, ossia affinch il tempo si generasse, furono fatti il sole e la luna e
cinque altri astri, che hanno il nome di pianeti, per la distinzione e la
conservazione dei numeri nel tempo.
E formati i corpi di ciascuno di essi, Dio li colloc nelle orbite nelle quali si
muoveva il circuito circolare del Diverso. Essendo sette gli astri, sette sono le
orbite. Pose la Luna nella prima intorno alla terra, il Sole nella seconda al di
sopra della terra. Lucifero [Venere] e quello che detto sacro ad Ermes
[Mercurio] li fece procedere in un ciclo per velocit pari a quello del Sole, ma
avendo in sorte direzione contraria ad esso. Per questo il Sole, il pianeta di
234
Nellambito della sua riflessione filosofica a 360 gradi, Platone non solo si occupa di
ricerca scientifica, confrontandosi con molti grandi scienziati della sua epoca, ma inaugura
quel settore della filosofia che oggi si chiama epistemologia, cio teoria della scienza.
Epistme appunto il termine greco che Platone usa per designare la scienza in
contrapposizione a dxa (opinione).
Mentre la prima conoscenza vera per necessit razionale, e quindi sempre certa, la
seconda solo possibile che sia vera, in particolare se basata su unesperienza metodica, e
dunque rimane sempre incerta, cio solamente probabile. P.e., secondo Platone scienza
che la somma degli angoli interni di tutti i triangoli sia 180, mentre opinione che loro
sia inossidabile.
In questa prospettiva, le conoscenze empiriche fisica, chimica, biologia, ecc. - per Platone
sono solo tchnai, cio arti pratiche, saperi tecnici (oggi diremmo know how), ovvero non
sono vere ma verosimili, cio approssimate al vero. La scienza per eccellenza, la scienza
235
suprema, invece la dialettica, ovvero la scienza delle Idee. Essa infatti la conoscenza
intuitiva totale delle Idee, i principi razionali stabili e perfettamente ordinati di tutta la
realt. Ma, in questo senso, la dialettica come sapere universale, enciclopedico e
soprattutto metafisico coincide con la filosofia in senso stretto.
Di conseguenza in Platone le scienze vere e proprie, nel significato che oggi diamo a questo
termine, sono quelle dimostrative laritmetica, la geometrica, lastronomia e la musica
che pur non basandosi sullesperienza, si riferiscono per al mondo fisico e si occupano
di un oggetto particolare.
Il denominatore comune delle quattro scienze platoniche la matematica: aritmetica e
geometria sono matematica pura, cio indipendente dal mondo fisico, astronomia e musica
sono matematica applicata rispettivamente agli astri e ai suoni, cio a qualcosa di fisico.
Ci significa che per Platone la matematica il modello della razionalit scientifica, il
linguaggio stesso della scienza. Il fondamento metafisico di questa concezione
epistemologica lorganizzazione matematica del mondo delle Idee, dovuta alla
derivazione di tutte le Idee da sommi principi dellUno, della Diade e dei Numeri ideali
(Triade, Tetrade, ecc.).
236
237
descrizione matematica dei moti astrali mantenendo fermo il postulato della circolarit e
delluniformit cio della velocit costante di tutti i moti celesti.
Limpresa risulta facile per quanto riguarda i moti stellari. Infatti, osservando il cielo
stellato notturno possibile verificare che ogni stella presenta un moto circolare e
uniforme da est verso ovest, che dura 24 ore, simile cio a quello giornaliero del Sole10. La
faccenda si complica invece per quanto riguarda i pianeti. Questi, infatti, oltre al moto
giornaliero da est verso ovest, presentano anche un altro moto di durata annuale da ovest
verso est, che non sembra affatto n circolare n uniforme. In particolare ciclicamente essi
(a eccezione del Sole e della Luna) sembrano rallentare, fermarsi, tornare indietro
curvando, fermarsi e, infine, riprendere accelerando la direzione originaria.11 Proprio per
questo i Greci li avevano chiamati vagabondi, perch ciclicamente nel corso dellanno
solare uscivano dalla loro orbita circolare e si muovevano in modo irregolare.
La sfida lanciata da Platone raccolta e vinta dal matematico Eudosso, autore della prima
teoria matematica del funzionamento del cosmo, ovvero il padre dellastronomia come
scienza vera e propria. Ogni pianeta, secondo Eudosso, incastonato su un punto della
circonferenza maggiore di una grande sfera trasparente che ruota su se stessa e il cui asse
infisso su una seconda sfera pi grande, anchessa ruotante su se stessa e con asse infisso
su una terza sfera ruotante pi grande con asse infisso su unancora pi grande quarta ed
ultima sfera ruotante. In questo modo lorbita di ogni pianeta, secondo Eudosso, la
risultante della combinazione dei moti uniformi di quattro sfere concentriche e tra loro
collegate, aventi per ognuna uninclinazione dellasse e un periodo di rotazione differenti.
In questo modo Eudosso, utilizzando unicamente moti circolari uniformi, riesce a
descrivere matematicamente i moti orbitali irregolari di Sole, Luna e pianeti, utilizzando in
tutto 27 sfere (3 per il Sole e 3 per la Luna, 4 per ogni altro pianeta, pi la sfera massima
delle stelle fisse). In realt le orbite descritte dal modello di Eudosso non coincidono
perfettamente con quelle osservabili, soprattutto nei casi di Venere e Marte, ma la buona
approssimazione complessiva consentiva di considerare la teoria pi che soddisfacente.
Dobbiamo, inoltre, considerare che lepistemologia contemporanea ha raggiunto la
consapevolezza che nessuna teoria scientifica mai in grado di coincidere perfettamente
con la realt. Una teoria scientifica sempre approssimata, il suo valore dipende dal
grado di approssimazione.
10
Oggi sappiamo che un moto apparente dovuto alla rotazione della terra da ovest verso est.
Oggi sappiamo che ci dovuto al fatto che percorrendo le loro orbite ciclicamente i pianeti sorpassano la Terra o
sono sorpassati da essa.
11
238
In questo senso, la teoria astronomica di Eudosso, bench molto meno approssimata alla
realt dellattuale teoria della relativit di Einstein, risulta pienamente scientifica in quanto
la sua struttura di fondo la stessa della teoria della relativit di Einstein: un insieme di
figure geometriche e relazioni aritmetiche applicabili alla descrizione dei movimenti
osservabili di corpi in modo tale da isolarne e coglierne lordine, che altrimenti rimane
nascosto dallapparente irregolarit della sola osservazione sensibile.
In altre parole, la teoria astronomica di Eudosso scienza in quanto cerca come qualsiasi
teoria scientifica attuale di ricondurre la realt osservabile a regolarit di tipo teoricomatematico.
239
La Terra ferma al
centro del cosmo
240
LO SCRIGNO
ROGER PENROSE: LA MATEMATICA GUIDA LA RICERCA SCIENTIFICA
Il motivo di questo convincimento che quanto pi sondiamo i fondamenti
del comportamento fisico tanto pi scopriamo che esso accuratamente
controllato dalla matematica. Inoltre, questa matematica non solo di diretta
natura computazionale (cio fatta di calcoli, ndr), ma ha un carattere
profondamente sofisticato, in cui possibile scorgere una sottigliezza e una
bellezza non visibili nella matematica che importante per la fisica a un
livello meno fondamentale. Quindi, il progresso verso una pi profonda
comprensione fisica, se non pu essere guidato dettagliatamente
dallesperimento, deve basarsi sempre pi sullabilit di apprezzare la
rilevanza fisica e la profondit della matematica, e di fiutare le idee
appropriate per mezzo di una valutazione di estetica matematica
profondamente sensibile.
R. Penrose, La strada che porta alla realt, Rizzoli, 2005, p. 1026
241
VI VIAGGIO
LA RAZIONALITA ESSENZIALE
242
ROTTA SU
LIDEALISMO IMMANENTE
La filosofia aristotelica si pu considerare una riforma in senso immanentistico
dellidealismo di Platone. Aristotele, infatti, da un lato, tiene ferma la svolta metafisica
del suo maestro cio la tesi secondo cui esiste una realt puramente razionale
fondamento di quella fisica , dallaltro lato, avvicina e integra, almeno parzialmente,
realt razionale e realt fisica.
In questo senso, il punto di partenza di Aristotele senzaltro la critica alla trascendenza
assoluta delle Idee platoniche. Queste, secondo Aristotele, non sono in grado di fornire
una spiegazione razionalmente soddisfacente del mondo fisico: in primo luogo, perch,
essendo del tutto separate da esso, non possono esserne il principio generativo e, in
secondo luogo, perch, essendo fisse e immutabili, non sono in grado di rendere conto del
suo mutamento, cio della caratteristica fondamentale del mondo fisico. Non a caso,
Platone, per spiegare la generazione del mondo fisico, era dovuto ricorrere a un mito,
cio a un racconto verosimile, e, di conseguenza, aveva dovuto negare la possibilit di
costruire una scienza del mondo fisico. Aristotele, al contrario, pensa che si possa e si
debba fare scienza anche del mondo fisico e cio spiegare razionalmente la sua esistenza
e il suo mutamento.
Per raggiungere questo obiettivo, Aristotele immanentizza le Idee, trasformandole in
essenze, cio in principi di organizzazione razionale interni a tutte le cose fisiche e
dunque tuttuno con esse. Daltra parte, come si vedr, egli non rinuncia del tutto alla
razionalit metafisica, teorizzando lesistenza di un intelletto divino trascendente, che,
per, in quanto meta finale irraggiungibile di tutte le cose fisiche, non solo interagisce
con esse ma costituisce la spiegazione ultima della loro esistenza e del loro divenire.
In questo modo, grazie al suo idealismo immanentistico, Aristotele valorizza e promuove
a differenza di Platone la ricerca scientifica anche a livello della fisica, della chimica,
della geologia, della meteorologia e della biologia. Egli per svaluta la matematica non
considerandola pi, come il suo maestro, un requisito indispensabile di ogni vera scienza.
Pur con questo limite, Aristotele riusc a dare alla sua filosofia una ampiezza e una
profondit enciclopediche spaziando dalla metafisica alle scienze della natura,
dalletica alla politica, dalla psicologia alla logica, dalla retorica allestetica
imponendosi nella storia del pensiero filosofico e scientifico come uno dei riferimenti
fondamentali.
243
VITA DI UN CAPITANO
ARISTOTELE
Aristotele nacque nel 384 a.C. a Stagira, piccola colonia ionica al confine con il regno di
Macedonia, a circa 55 km dallodierna citt greca di Salonicco. Suo padre Nicomaco era un
medico di talento, tanto da diventare il medico di corte di Aminta re di Macedonia, padre
di Filippo II. Da ragazzo, pertanto, Aristotele visse a Pella, capitale del regno di Macedonia,
e fu stimolato dal padre ad interessarsi agli studi medico-biologici.
Rimasto orfano ancora adolescente, Aristotele fu affidato a un parente che, a diciotto anni,
lo fece entrare nellAccademia, diretta in quel momento da Eudosso, poich Platone era
andato per la seconda volta a Siracusa. La scuola platonica era ormai diventata il pi
importante centro culturale della Grecia dove si incontravano e dibattevano tra loro tutti i
pi importanti filosofi, scienziati e intellettuali greci, e non solo quelli di orientamento
platonico.
Aristotele vi rimase venti anni, fino alla morte di Platone, formandosi in base a contributi
enciclopedici e diversificati, emergendo ben presto come il pi brillante tra i giovani allievi
(tanto da meritarsi lappellativo di mente) e imponendosi poi come il pi intelligente e
determinato critico della teoria platonica (tanto che le sue critiche riecheggiano in uno dei
pi importanti dialoghi di Platone, il Parmenide, dedicato appunto alla verifica e alla
revisione della teoria delle idee).
Lasciata lAccademia, Aristotele soggiorn e insegn prima a Asso (vicino a Troia) poi a
Mitilene (isola di Lesbo), dove si dedic anche a ricerche scientifiche, soprattutto di tipo
biologico. In questi primi anni di insegnamento autonomo, Aristotele spos Pizia, nipote di
Ermia, tiranno di Atarneo che apprezzava la filosofia platonica, ed ebbe da lei una figlia.
Strinse inoltre amicizia con Teofrasto che divenne il suo pi stretto discepolo. Dal 343 al
338, Aristotele visse a Pella, alla corte di Filippo II il Macedone, in qualit di precettore del
figlio Alessandro. Rimasto vedovo di Pizia, ebbe un figlio, Nicomaco, dalla pi giovane
Erpillide, forse sua seconda sposa, sicuramente sua convivente fino alla morte.
Nel 335 torn ad Atene dove fond, grazie al sostegno di Alessandro Magno, una sua
scuola, il Liceo (il nome deriva dal tempio di Apollo Licio, che si trovava vicino al ginnasio
sede della scuola; licio significava dei lupi, nel senso di uccisore dei lupi), che di l a
poco divenne pi importante dellAccademia fino a oscurarla. Poich Aristotele usava
insegnare passeggiando con i suoi discepoli nei prati circostanti alla scuola, questa prese
anche il nome di Peripato (passeggiata) e i discepoli di Aristotele quello di peripatetici.
Nel 323, in seguito alla morte di Alessandro Magno, Aristotele sub la reazione politica del
partito antimacedone: accusato pretestuosamente di empiet si tramanda che abbia
dichiarato: Non voglio che gli ateniesi commettano un secondo crimine contro la
filosofia. Veritiero o meno che sia questo aneddoto, certo che, a differenza di Socrate,
Aristotele si sottrasse al processo fuggendo a Calcide (in Eubea) e lasciando la direzione del
Liceo allaffezionato discepolo Teofrasto.
244
Metafisica, in 14 libri, esposizione della filosofia prima, chiamata metafisica (in senso
letterale dopo la fisica, perch libro successivo a quello dedicato alla Fisica; in senso
metaforico, al di l del mondo fisico, perch tratta della realt puramente razionale) nel
I secolo a.C. da Andronico di Rodi, primo curatore della sua pubblicazione;
Categorie, De interpretatione, Analitici primi, Analitici secondi, Topici, Confutazioni
sofistiche, tutti trattati di argomento logico, che dalla tarda antichit furono pubblicati
insieme con il titolo di Organon (strumento);
La fisica, Il cielo, La generazione e la corruzione, La meteorologia, contenenti la teoria
fisica;
Sullanima, trattato di psicologia, contenente la teoria dellanima e della conoscenza;
Etica nicomachea, Etica eudemia, Grande etica;
Politica;
Poetica, Retorica;
Storia degli animali, Le parti degli animali, Il moto degli animali, La generazione degli
animali.
245
TAPPA 1
ARISTOTELE: LA REALTA E ESSENZA E ACCIDENTE
Lessente si dice in molteplici significati, ma sempre in riferimento a una
unit e a una realt determinata. Lessente, quindi, non si dice per mera
omonimia12, ma nello stesso modo in cui diciamo sano tutto ci che si
riferisce alla salute: o in quanto la conserva, o in quanto la produce, o in
quanto ne sintomo, o in quanto in grado di riceverla; o anche nel modo in
cui diciamo medico tutto ci che si riferisce alla medicina: o in quanto
possiede la medicina o in quanto a essa per natura ben disposto, o in quanto
opera della medicina; e potremmo addurre ancora altri esempi di cose che si
dicono nello stesso modo di queste. Cos, dunque, anche lessente si dice in
molti sensi, ma tutti in riferimento a un unico principio.
Aristotele, Metafisica, IV, 2
La filosofia prima indaga l essente (o essere), cio ogni cosa esistente solo in quanto
dotata della propriet dellesistenza, senza considerare nessunaltra propriet specifica. In
questo senso, la domanda fondamentale della filosofia prima : che cos lessente in
quanto essente?.
12
Essente ( o essere) non solo una medesima parola che si attribuisce a cose del tutto diverse, come nel caso di
pi persone che si chiamano Mario Rossi.
246
In quanto composto di due elementi, lessenza, per Aristotele, si definisce a tre livelli:
1. come materia (hyle, hypokemenon): il supporto o il riempimento dellessenza,
ovvero lelemento di per s passivo, amorfo, meramente virtuale che, lasciandosi
modellare dalla forma, le conferisce una concretezza spazio-temporale;
2. come forma (edos, morph): la modalit di determinazione dellessenza, ovvero il
principio attivo, organizzativo, puramente intellegibile che, modellando la materia in
un certo modo, le conferisce un ordine razionale;
3. come intero (synolon, letteralmente tutto insieme): lessenza nella sua totalit e
completezza, cio lessenza in quanto compenetrazione e fusione di forma e materia,
ovvero come essente reale, cio come una singola cosa realmente esistente.
Facciamo degli esempi attuali: riguardo a un atomo, la materia per Aristotele sarebbe la
sua massa/energia; la forma il numero di protoni, neutroni ed elettroni, la loro
disposizione e le loro propriet e relazioni matematiche; lintero il loro insieme, cio
appunto un singolo atomo di un certo elemento chimico, p.e. il ferro. Oppure, in una
cellula del corpo umano la materia sarebbe il protoplasma, la forma il suo DNA, lintero la
cellula stessa come protoplasma organizzato dal DNA.
I 3 livelli dellessenza bench tutti indispensabili, non hanno la medesima importanza
ontologica, cio non danno lo stesso contributo alla sua esistenza. Secondo Aristotele tra di
essi vige la seguente gerarchia ontologica:
la materia essenza al grado minimo, dal momento che la sua componente passiva e
irrazionale, cio meno qualificata e qualificante;
247
Ma, stabilito che lessenza per eccellenza forma, anche la risposta alla domanda che
cos lessenza ripropone una nuova domanda: in cosa consiste la forma e quali sono i
diversi tipi di forme?
Aristotele classifica le forme in tre gruppi, da quelle pi generali a quelle pi particolari:
1. le 10 categorie: qualit (p.e. liscio), quantit (pesa 1 chilo), relazione (labbronzatura
un effetto della luce solare), lagire (io parlo), il subire (io sono urtato), il luogo (in
casa), il tempo (alle 16), lavere (ho due mani), lo stare (sono in piedi) e infine la stessa
essenza, che la categoria principale, in quanto tutte le altre si riferiscono a essa (p.e.:
il tavolo liscio, la borsa pesa 1 chilo, ecc.);
2. i generi: p.e. animale, vegetale, minerale, vivente, mortale, etico, politico, colore, ecc.;
3. le specie: p.e. rosa, uomo, razionale, inossidabile, quadrupede, sincerit, monarchia,
verde, ecc.
In questo senso, per fare ancora un esempio, Socrate :
lessenza come intero, in quanto singolo individuo diverso da Platone o Democrito, che
necessariamente caratterizzato dalle 10 categorie (esiste, alto 1,70 m, pesa 70 kg, ha
la barba, cammina, marito di Santippe, condannato a morte, ecc.);
lessenza come materia in quanto muscoli, sangue, ossa, ecc.;
lessenza come forma, in quanto uomo, cio animale mammifero bipede a
deambulazione eretta, ecc., dotato di ragione.
Da quanto detto, e in particolare dallultimo esempio, risulta con maggiore evidenza il
primato dellessenza formale. Infatti, in primo luogo, la conformazione della materia
delluomo, cio il suo corpo, dipende dalla sua forma di animale mammifero..., cos come
il fatto che la materia dellalbero sia legno e non granito dipende dalla sua specifica forma.
In secondo luogo, la forma animale dotato di ragione la componente fondamentale
delluomo, e quindi anche di Socrate, perch ne costituisce lelemento identitario decisivo,
ci che lo distingue da tutti gli altri tipi di essenti. Lo stesso ragionamento vale, p.e., per
loro in quanto metallo inossidabile di colore giallo, e per ogni altro essente.
248
Risulta ancora pi chiaro che cos lessenza e perch la forma la sua parte pi rilevante,
considerando ci che costituisce lopposto dellessenza. Aristotele lo chiama accidente,
volendo intendere una caratteristica casuale e accessoria di qualcosa. P.e., essenziale che
Socrate sia intelligente, accidentale che abbia o non abbia i capelli o la barba; essenziale
che abbia unaltezza, accidentale che sia alto 1.65 piuttosto che 1.70; essenziale che
abbia i polmoni, accidentale che li usi per parlare o per suonare la tromba.
Le forme essenziali di qualcosa sono necessarie e invarianti nel senso che, p.e., senza
lintelligenza o la circolazione sanguigna doppia un uomo non sarebbe un uomo. Gli
accidenti di qualcosa, invece, sono possibili e variabili nel senso che, p.e., senza la barba o
con un naso piccolo anzich grande un uomo sarebbe comunque un uomo. Dunque,
lessente (o essere), cio la realt, per Aristotele si suddivide in essenze e accidenti.
Bench, in quanto casuali e accessori, possiedano un grado inferiore di essere, gli accidenti
nella filosofia aristotelica svolgono una funzione importante perch sono ci che d alle
forme e alle materie una configurazione individuale, ovvero che le rende degli interi.
Infatti, la differenza fondamentale tra lessenza come intero e lessenza come forma o come
materia che la prima individuale, cio un essente unico e irripetibile (p.e., Socrate), la
seconda universale, cio una propriet comune a tutti gli individui di uno stesso tipo
(p.e. bipede). In questo senso Aristotele distingue:
le essenze prime gli interi, cio le essenze unite alla materia e individualmente
configurate grazie allaggiunta degli accidenti;
le essenze seconde le forme, cio le essenze pure e universali.
Le essenze seconde, tuttavia, per Aristotele non esistono come tali, cio non sono realt
universali trascendenti rispetto alla materia e ai singoli essenti, cio alle essenze prime.
Le forme, insomma, esistono solo nellunione con la materia e dunque allinterno di un
intero (o essenza prima) che, come tale, sempre configurato individualmente tramite
laggiunta di una molteplicit di accidenti. Daltra parte, sostiene Aristotele, se non sono
universali reali, le forme sono universali mentali, cio concetti, in quanto, come si vedr
meglio pi avanti, lintelletto umano ha la capacit di astrarle dagli essenti e di isolarle
mentalmente nella loro razionalit pura e universale.
249
TAPPA 2
ARISTOTELE: LA REALTA E POTENZIALITA E ATTUAZIONE
E attuazione lesistenza reale delloggetto in un senso diverso da come
diciamo che loggetto potenzialit. Noi diciamo che una cosa potenziale nel
senso che, per esempio, Ermete [inteso come la statua del dio Ermete]
presente potenzialmente nel legno o la semiretta presente potenzialmente
nella retta intera, perch pu essere staccata da essa.
Aristotele, Metafisica, IX, 6, 1048ab
Dopo aver cos analizzato e approfondito i diversi aspetti del mutamento, Aristotele
affronta il problema decisivo: perch tutto muta? Che cosa fa mutare tutti gli essenti? La
soluzione di Aristotele si basa sulla sua teoria dellessenza, e segnatamente dellessenza
come forma. Ogni essente possiede una sua forma essenziale, cio un principio
organizzativo che lo contraddistingue, ovvero che ne costituisce lidentit pi propria. P.e.:
animale razionale per un individuo umano, metallo inossidabile per loro, insetto
volante con ali colorate per la farfalla, ecc. Ma la forma essenziale di ogni cosa non una
propriet statica, ovvero non una caratteristica che qualcosa possiede nello stesso modo
250
fin dalla nascita e che conserva invariata fino alla morte. Al contrario la forma essenziale
una propriet dinamica, ovvero una caratteristica che ogni essente acquisisce
gradualmente nel corso di un lungo processo. In questo senso, afferma Aristotele, i principi
fondamentali del mutamento sono i corrispettivi dinamici dei tre principi dellessenza, i
quali, reciprocamente, sono i corrispettivi statici dei tre principi del movimento.
In altre parole per Aristotele lessenza :
dal punto di vista statico
Materia
Intero
Forma
251
252
Aristotele sintetizza la sua teoria del mutamento sostenendo che tutti i mutamenti si
spiegano in base a 4 tipi di cause:
1) la causa formale;
2) la causa materiale;
3) la causa efficiente;
4) la causa finale.
Le prime due si riferiscono alla forma e alla materia, ovvero allessenza dal punto di vista
statico, e come tali sono le condizioni di sussistenza di ogni cosa. La terza e la quarta causa
sono i corrispettivi della potenzialit e dellattuazione/compimento. Infatti per Aristotele:
la causa efficiente ci che noi intendiamo per causa, ovvero lazione fisica che
provoca un mutamento il presupposto materiale o condizione di base che rende
possibile un cambiamento, p.e. il concepimento per un neonato;
la causa finale ci che costituisce lo scopo di un mutamento il fattore causale
determinante perch fa s che un cambiamento potenziale si realizzi, cio diventi reale,
p.e. il conseguimento dellintelligenza per il neonato.
In conclusione, secondo Aristotele, la causa fondamentale di ogni mutamento il fine per
cui esso avviene e, insieme, ogni mutamento avviene sempre per conseguire un fine. E
poich i fini coincidono con le attuazioni e i compimenti ci implica che
lattuazione/compimento preceda e sia pi importante della potenzialit. Utilizzando un
comune modo di dire, per Aristotele la gallina viene prima ed pi importante delluovo
non solo e non tanto perch la gallina che fa luovo ma soprattutto perch luovo viene
prodotto ed esiste per diventare gallina, cio di raggiungere la sua perfezione relativa.
253
TAPPA 3
ARISTOTELE: DIO E LA CAUSA FINALE DEL COSMO
Ma, sebbene esista una causa motrice e produttrice, se essa non in
attuazione non ci sar movimento, poich ci che ha la potenzialit di passare
allattuazione pu anche non passare allattuazione. [] Ma c di pi: pur
ammettendo che la causa sia in attuazione, non ci sar ugualmente attuazione
se questa causa sia per essenza potenzialit: infatti, in questo caso, sarebbe
impossibile leternit del mutamento, perch ci che potenziale pu anche
non essere. Ecco perch indispensabile che ci sia un principio la cui stessa
essenza sia lattuazione.
Aristotele, Metafisica, XII
254
mutamento/tempo prima del suo inizio e dopo la sua fine, il che assurdo. Dunque il
mutamento e il tempo sono eterni.
In questo modo Aristotele ritiene di aver dimostrato che deve esserci una causa prima,
ovvero un primo motore, di tutti i moti cosmici. Il problema, a questo punto,
comprendere quali caratteristiche deve avere questo primo motore per essere tale.
Aristotele argomenta che esso deve essere:
eterno: poich il mutamento, e quindi anche il movimento, eterno, la sua causa prima
deve essere eterna, ovvero deve svolgere eternamente la sua azione causante;
immobile: perch se si muovesse dovrebbe essere mosso da qualcosaltro, ovvero
essere leffetto di unaltra causa, ma allora sarebbe un motore secondo, il che
contraddittorio;
attuazione/compimento totali: dal momento che se fosse anche potenzialit a) si
dovrebbe muovere, ma ci sarebbe in contraddizione con la sua necessaria immobilit;
b) non eserciterebbe da sempre la sua azione motrice ma ci sarebbe in contraddizione
con leternit dei moti;
255
pura forma, cio unessenza immateriale: poich dire che non possiede potenzialit
equivale a dire che non possiede materia;
perfezione assoluta: perch solo qualcosa che assolutamente perfetto non ha bisogno
di passare dalla potenzialit allattuazione/compimento, cio non ha bisogno di
migliorarsi.
Tirando le somme di questa serie di argomentazioni, Aristotele arriva a concludere che il
primo motore Dio, in quanto perfezione, eternit, immaterialit sono le caratteristiche
proprie della divinit. Dio dunque, per Aristotele, esiste necessariamente in quanto causa
prima o motore primo del mutamento cosmico.
Ma, si chiede ancora Aristotele, in che modo Dio pu essere motore del mutamento
cosmico se, come si visto, immobile e immutabile? Se fosse causa efficiente dovrebbe
appunto fare qualcosa, cio mutare e muoversi, il che non possibile. Dunque non pu
essere causa efficiente. Per pu essere causa finale, perch, in quanto perfezione assoluta,
Dio costituisce la condizione che tutti gli essenti vorrebbero raggiungere.
Dio, afferma Aristotele, attira a s tutte le cose come lamato attrae lamante. In altre
parole, tutte le cose desiderano essere come Dio e dunque tendono a lui. Questa tensione
spiega il loro continuo ed eterno mutamento, spiega cio perch c un mondo fisico e
perch tutte le cose fisiche passino incessantemente dalla potenzialit allattuazione per
raggiungere il loro compimento. Ci significa che secondo Aristotele il senso delluniverso
fisico la tendenza a migliorarsi per imitare il pi possibile la perfezione divina.
Non ancora pago dei risultati raggiunti dalla sua riflessione, Aristotele si chiede ancora in
che cosa consista la perfezione divina, cio il compimento assoluto di Dio. Pi
semplicemente: che cos Dio? La risposta di Aristotele : puro pensiero, pura attivit
pensante, intelligenza totale, razionalit assoluta. Ma cosa pensa allora Dio? E assurdo,
afferma Aristotele, che pensi qualcosa di meno perfetto e meno completo di lui. Chi infatti
si occuperebbe di cose vili potendo occuparsi di cose eccelse? Di conseguenza Dio pu solo
pensare s stesso, cio pensiero di pensiero. Ci, per, non significa che la sua
intelligenza sia, per cos dire, tautologica, cio non faccia altro che replicare s stessa.
Aristotele, infatti, precisa che lintelligenza divina pensandosi si coglie come intellegibile
ovvero come essenza. In altri termini, pensandosi, Dio si distingue in pensante e pensato,
atto conoscitivo e contenuto della conoscenza. Il pensato, pur essendo laltra faccia del
pensante, cio pur essendo tuttuno con esso, tuttavia se ne differenzia come essenza,
cio come il principio che struttura il cosmo naturale, essendo il denominatore comune di
tutti gli essenti. E poich lessenza in Dio pu essere solo essenza seconda, cio forma, in
quanto Dio non ha nulla di materiale, Dio pensiero completo e immediato della totalit
256
257
258
TAPPA 4
ARISTOTELE: IL COSMO E DIVISO IN CELESTE E TERRESTRE
Delle realt che sussistono per natura, alcune, ingenerate e incorruttibili,
esistono per la totalit del tempo, altre invece partecipano della generazione e
della distruzione. Circa le prime, che sono nobili e divine, ci tocca di aver
minor conoscenze, giacch pochissimi sono i fatti accertati dallosservazione
sensibile a partire dai quali si possa condurre lindagine su tali realt, cio su
quanto aneliamo di sapere. Quanto invece alle cose corruttibili, piante e
animali, la nostra conoscenza di esse pi agevole grazie alla comunanza di
ambiente. [] Ma entrambi i campi di ricerca hanno la loro bellezza. [] Non
si deve dunque nutrire un disgusto infantile verso lo studio dei viventi pi
umili: in tutte le realt naturali c qualcosa di meraviglioso.
Aristotele, De partibus animalium, 15
La fisica aristotelica, o filosofia seconda, la scienza del cosmo fisico, ovvero la scienza
della natura (physis in greco significa natura). Essa comprende tutte le scienze empiriche
particolari, come astronomia, meteorologia, chimica, botanica, zoologia, ecc.
Per Aristotele due sono i principi costitutivi del cosmo fisico:
la materia, intesa come una sostanza tridimensionale amorfa e disorganizzata;
Dio, inteso come intelligenza immateriale e perfezione assoluta.
Sia Dio sia la materia sono eterni, cio senza inizio e senza fine, e interagiscono
dalleternit. Ci comporta, secondo Aristotele, che anche il cosmo sia eterno e immutabile
nel suo insieme, ovvero che sia sempre stato e che sempre persista cos com, cio con lo
stesso ordine complessivo. Infatti, la materia da sempre e per sempre attratta dalla
perfezione divina e dunque si d una forma, ovvero unorganizzazione razionale, passando
incessantemente dalla potenzialit allattuazione/compimento.
Il cosmo per Aristotele una sfera. Per lui, dunque, lo spazio di dimensioni finite ed
assoluto, cio costituisce un sistema di riferimento univoco per stabilire le posizioni, le
direzioni e le velocit dei movimenti di tutti i corpi. I punti cardinali di tale sistema sono il
centro della sfera ovvero il punto pi basso e la superficie della sfera cosmica (la volta
celeste) ovvero linsieme dei punti pi alti. In relazione ad essi possibile determinare
laltezza/bassezza di ogni luogo e la posizione di qualsiasi cosa per qualsiasi osservatore.
Nel Cielo la superficie interna della sfera che racchiude il cosmo sono infisse le stelle
del firmamento. La sfera celeste contiene al suo interno altre 55 sfere concentriche
259
trasparenti. Sullequatore di 7 di esse sono infissi i 7 pianeti, tutti sferici, nel seguente
ordine ad altezza crescente: Luna, Mercurio, Venere, Sole, Marte, Giove, Saturno. Il centro
del cosmo occupato dalla Terra, sferica anchessa, il cui punto centrale coincide con il
punto centrale, e dunque pi basso, del cosmo.
La regione terrestre, per Aristotele, comincia sotto la sfera della Luna (per questo detta
anche sub-lunare) e comprende latmosfera, la superficie e il sottosuolo terrestri. Ogni
corpo terrestre composto da 4 elementi: terra, acqua, aria, fuoco, che possono combinarsi
ma anche trasformarsi luno nellaltro. Di conseguenza nella regione terrestre vi sono tutti i
tipi di mutamento: nascita/morte, alterazione, accrescimento/diminuzione, movimento.
La causa di fondo di ogni mutamento sempre la tensione ad avvicinarsi alla perfezione
divina. I moti dei corpi terrestri, a differenza di quelli celesti, hanno velocit variabile, sono
in origine rettilinei (si incurvano a causa del contatto con altri corpi) con direzione dallalto
verso il basso o dal basso verso lalto. La velocit originaria di ogni corpo in moto
proporzionale al suo peso, da cui dipende anche la sua direzione verso lalto o verso il
basso.
260
Il peso a sua volta connesso al fatto che ogni elemento ha un proprio luogo naturale e
tende quindi a muoversi verso di esso: il fuoco ha il suo luogo naturale sotto la sfera lunare,
laria nellatmosfera, lacqua sulla superficie terrestre, la terra nel suolo e nel sottosuolo.
Pertanto, la terra pi pesante dellacqua, questa dellaria e laria del fuoco.
Aristotele, inoltre, distingue i moti terrestri in naturali e violenti. I primi sono quelli
che si dirigono verso il luogo naturale, i secondi quelli che vi si allontanano. I moti
violenti sono dovuti alle combinazioni/trasformazioni dei quattro elementi che
producono gli esseri naturali. P.e. lacqua, che il calore solare trasforma in vapore, sale
verso lalto e poi torna al suo luogo naturale cadendo come pioggia. In base a questa
impostazione, la condizione naturale di ogni elemento, e quindi di ogni corpo, la quiete.
Un corpo/elemento si muove perch e finch mosso per contatto diretto da un altro
corpo. Se un sasso lanciato da un uomo continua a volare per un po, anche quando si
staccato dalla mano umana, solo perch temporaneamente spinto dallaria che sposta.
Bench sostenga la superiorit ontologica del mondo celeste su quello terrestre, Aristotele
attribuisce pari dignit alla conoscenza di entrambi. In altri termini, per Aristotele non
solo possibile elaborare una fisica terrestre come scienza, ma essa ha lo stesso valore
conoscitivo della fisica celeste. Anzi, per un aspetto la fisica terrestre superiore a quella
celeste: essa infatti dispone di un numero maggiore di osservazioni empiriche.
Nellambito della fisica terrestre, Aristotele predilige la biologia, cio la scienza degli esseri
viventi. In particolare, egli pu essere considerato il fondatore della biologia, in quanto, da
un lato, raccoglie una messe enorme di dati empirici, attingendo sia ai filosofi precedenti
sia ai resoconti di cacciatori, pescatori, macellai e allevatori; dallaltro, e soprattutto, per
primo li inquadra e lo ordina teoricamente, individuando dei criteri razionali sia di
classificazione delle specie sia di spiegazione delle loro diverse morfologie.
261
di ogni animale, ma anche la sua morfologia. Infatti, per Aristotele, la funzione che
sviluppa lorgano, p.e. la capacit di volare (una forma) che fa sviluppare le ali delle
aquile. In parole semplici, ogni animale ha un certo corpo dotato di certi organi al fine di
poter svolgere determinate funzioni (volare, correre, nuotare, arrampicarsi sugli alberi,
nascondersi sottoterra, ecc.). Aristotele, inoltre, inventa un criterio semplice per la
classificazione delle specie in base alla loro definizione: indicare il loro genere e la loro
forma specifica, p.e., lequino un mammifero (genere) che cammina poggiando sul suolo
un solo dito degli arti (forma specifica).
In questo quadro, la matematica per Aristotele la scienza che studia gli aspetti
quantitativi della realt. Ma, poich la realt anche e soprattutto qualitativa, la
matematica una scienza settoriale come tutte le altre e la sua adozione non il requisito
fondamentale della scientificit della conoscenza.
Inoltre, gli enti matematici come tali (linea, triangolo, prisma, ecc.) sono mere astrazioni
mentali. I corpi fisici, di conseguenza, non collimano con gli enti matematici ma possono
solo esser loro approssimati. Dunque, le misurazioni matematiche degli oggetti reali sono
sempre approssimative.
Insomma, per Aristotele le scienze possono e devono fare un uso parziale della
matematica, ma non possono n devono basarsi solo e soprattutto su essa.
262
263
allungato il loro collo al fine di mangiare le foglie pi alte degli alberi, disponibili in
quantit pi abbondante. Data questa impostazione, bench antitetico al fissismo
aristotelico, levoluzionismo lamarckiano condivideva la concezione finalistica della
natura, e in particolare dei viventi, propria di Aristotele, in particolare la tesi secondo cui
la funzione che sviluppa lorgano (p.e. lalimentazione che ha sviluppato il collo delle
giraffe). Salvo che per Lamarck, a differenza che per Aristotele, il fine verso cui tende
levoluzione ladattamento sempre maggiore allambiente, ovvero la sopravvivenza pi
duratura e prolifica.
Ma la teoria evoluzionistica contemporanea il cosiddetto neodarwinismo non si
basa tanto su Lamarck, quanto appunto su Charles Darwin e la sua famosa opera
Lorigine delle specie, pubblicata nel 1859. Darwin, infatti, propose, sulla base di una
vasta messe di prove empiriche, una teoria dellevoluzione antitetica a quella di Lamarck
perch di impianto non finalistico ma meccanicistico. Secondo Darwin, le specie si
evolvono perch la riproduzione d origine ad alcuni individui caratterizzati da
mutazioni casuali rispetto ai loro genitori: se le mutazioni sono vantaggiose nella lotta
per la sopravvivenza, gli individui che ne sono portatori si riproducono maggiormente e
col tempo danno origine a una nuova specie; se le mutazioni sono svantaggiose, gli
individui portatori si estinguono. Lesempio paradigmatico della teoria darwiniana
quello della farfalla Biston betularia nellInghilterra dell800: prima della rivoluzione
industriale erano quasi tutte bianche perch si mimetizzavano meglio sul tronco bianco
delle betulle salvandosi dai predatori; in seguito allindustrializzazione, i tronchi delle
betulle si annerirono e progressivamente le farfalle divennero in maggioranza nere,
perch quelle bianche venivano predate mentre le mutanti nere, inizialmente rarissime,
sopravvivevano e si riproducevano.
E chiaro che per Darwin levoluzione non dipende da un fine, ma solo da variazioni
casuali dei caratteri genetici e dalla loro selezione naturale di tipo causalistico. In altre
parole, caso e necessit anzich finalit. In questo senso, la teoria dellevoluzione di
Darwin , al contempo, antilamarckiana e antiaristotelica, e rovescia anche la tesi la
funzione sviluppa lorgano: per Darwin lorgano, derivato da una mutazione casuale,
che sviluppa la funzione (se poi questa efficace lindividuo sopravvive, altrimenti
soccombe). Tuttavia, la teoria darwiniana conferma la tesi aristotelica secondo cui il
divenire naturale un processo di perfezionamento (bench non ciclico ma lineare).
Anche levoluzionismo darwiniano, infatti, teorizza che le specie si evolvono nella
direzione di una maggiore efficacia di adattamento allambiente e di migliori prestazioni
(fitness). In questo senso, levoluzionismo darwiniano mantiene un certo finalismo, salvo
che lo considera solo unapparenza, meglio unemergenza di una legge pi profonda e
diversa: infatti la combinazione di mutazioni casuali e di selezione naturale che produce
il perfezionamento delle specie e quindi lapparente finalismo dellevoluzione. Come scrive
un famoso biologo neodarwinista, Richard Dawkins, la natura un orologiaio cieco.
Per saperne di pi: R. Dawkins: Il pi grande spettacolo della Terra, Mondadori, 2010.
264
TAPPA 5
ARISTOTELE: LESPERIENZA E INDISPENSABILE ALLA SCIENZA
E c dunque un intelletto potenziale in quanto diventa tutte le cose e c un
intelletto attuato in quanto tutte le produce, che come uno stato simile alla
luce: infatti anche la luce in un certo senso rende i colori potenziali colori
attuati. E questo intelletto separato, impassibile e non mescolato e intatto
per sua essenza: infatti ci che agisce sempre superiore a ci che subisce e il
principio superiore alla materia [] Separato, esso solamente ci che
appunto , e questo solo immortale ed eterno.
Aristotele, Lanima, 5, 430
Per Aristotele, ogni essere vivente, da una margherita a un uomo, possiede unanima.
Lanima , infatti, lattuazione della potenzialit di vivere propria del corpo, ovvero il tipo
di forma che rende vivente la materia. In altri termini, essa il principio organizzativo
proprio della vita, in s puramente razionale ma inseparabile dalla fisicit corporea.
Aristotele distingue tre tipi di anima, corrispondenti alle tre partizioni fondamentali del
mondo biologico:
1. lanima vegetativa, propria dei vegetali, dotata delle funzioni del nutrimento, della
crescita e della riproduzione;
2. lanima sensitiva, propria degli animali, dotata delle funzioni dellanima vegetativa e
inoltre della conoscenza sensibile, del desiderio e del movimento;
3. lanima razionale o intellettiva, propria degli uomini, dotata delle funzioni delle anime
vegetativa e sensitiva e inoltre di quella della conoscenza razionale, cio del pensiero.
265
limpronta di una cosa cos come la neve, o la sabbia bagnata, riceve limpronta/forma
della scarpa , ma non la cosa stessa intesa come oggetto materiale. La forma sensibile
viene trasformata in unimmagine mentale dalla facolt dellimmaginazione. A sua volta
limmagine pu essere conservata dalla facolt della memoria. Laccumulo di immagini
memorizzate costituisce l esperienza.
Aristotele afferma che la sensazione infallibile, cio certamente vera, quando si basa sul
rapporto tra un senso e un suo contenuto specifico immediato, p.e. la vista e la propriet
giallo; invece probabile che sia vera quando si riferisce a un essente come intero cui
ineriscono molteplici propriet oltre a quella del giallo, p.e. un girasole; infine solo
possibile che sia vera quando concerne i caratteri sensibili comuni, p.e. il movimento.
Per Aristotele, dunque, la conoscenza deve partire dallesperienza sensibile e non pu fare
a meno di essa. Ci significa che senza lesperienza sensibile la mente umana non pu
attivarsi e non pu dunque avere nessun tipo di conoscenza. Daltra parte la conoscenza
sensibile solo condizione necessaria ma non sufficiente della verit, cio della scienza.
Per arrivare alla verit scientifica la conoscenza deve passare dal livello sensibile a quello
razionale, cio deve entrare in funzione una facolt mentale superiore, lintelletto.
La funzione dellintelletto quella di conoscere la forma razionale della forma
sensibile/immagine ricevuta dalla sensazione. Lintelletto, cio, la facolt capace di
isolare le forme razionali di ogni cosa, astraendole dagli interi, cio depurandole e
separandole dalla materia e dalle caratteristiche accessorie/accidentali. La forma
razionale, ovvero lessenza formale, isolata a livello mentale, costituisce il concetto.
Dunque la conoscenza razionale conoscenza dei concetti, cio degli elementi e dei
caratteri universali e necessari della realt. Ci significa che la verit, ovvero la scienza,
consiste per Aristotele nella conoscenza delle propriet generali, regolari e permanenti
delle cose. La materia in s, cio priva di forma, e le propriet individuali, irregolari e
variabili delle cose (gli accidenti) non possono essere conosciute scientificamente in
quanto in se stesse irrazionali.
266
Facciamo un esempio. Guardiamo una penna. In realt noi non vediamo immediatamente
una penna. Penna, infatti, gi un concetto, cio un prodotto della conoscenza
razionale, ovvero il risultato finale del processo conoscitivo. A livello di sensazione, quello
che noi effettivamente vediamo un oggetto cilindrico molto allungato, lungo circa 10-15
cm, di diametro inferiore a 1 cm, di colore nero, ecc. In base a questo grappolo di
sensazioni la nostra mente, secondo Aristotele, elabora limmagine o forma sensibile
delloggetto, cio una specie di disegno mentale che rappresenta unitariamente le
caratteristiche sopra elencate.
Questa immagine/forma sensibile viene collegata dallintelletto potenziale ad altre
analoghe conservate dalla memoria e derivate da altre sensazioni di oggetti dello stesso
tipo. In questo modo lintelletto potenziale stimola lintelletto attuato a fornirgli la
corrispondente forma razionale/essenza. Lintelletto potenziale entra in attuazione
ricevendo e cogliendo la forma razionale/essenza fornita dallintelletto attuato. In questo
modo lintelletto conosce il concetto di penna e pensa quella una penna.
Secondo Aristotele, come si detto, lintelletto attuato conosce tutte le essenze formali di
tutta la realt. Poich lintelletto potenziale corrisponde alla coscienza individuale,
lintelletto attuato rappresenta una specie di metacoscienza, cio una coscienza superiore e
sovraindividuale, cio universale. Essendo tale, la coscienza individuale non pu averne
una consapevolezza immediata e totale. Lintelletto attuato, inoltre, essendo solo
attuazione e compimento, pensiero puro, privo di potenzialit/materia, e dunque
ontologicamente distinto dal corpo.
In altri termini, mentre lintelletto potenziale vincolato al corpo, lintelletto attuato
separato e indipendente da esso. Ci significa, sostiene Aristotele, che lintelletto attuato
non soggetto al deperimento del corpo. Se una persona anziana sembra perdere capacit
di conoscenza e pensiero, ci non dovuto, secondo Aristotele, allindebolimento
dellintelletto attuato ma a quello degli organi di senso, cio del corpo. Lintelletto attuato
dunque non soggetto al divenire e pertanto non solo non muore ma eterno. Esso la
267
componente divina delluomo. Il divino umano, dunque, per Aristotele non consiste nella
sua personalit individuale, ma nella sua razionalit universale.
268
TAPPA 6
ARISTOTELE: LA SCIENZA E RAGIONAMENTO
Sillogismo un discorso (cio un ragionamento) in cui, posti alcuni dati (cio
le premesse), segue di necessit qualcosaltro distinto da essi, per il solo fatto
che questi sono stati posti. E con lespressione per il fatto che questi sono
stati posti intendo il conseguire in forza di essi, e ulteriormente con
lespressione conseguire in forza di essi intendo il non aver bisogno di alcun
termine estraneo in aggiunta perch abbia luogo la necessit.
Aristotele, Analitici primi, I, 4
Per quanto siano plurime e diversificate, tutte le scienze, secondo Aristotele, si basano su
uno stesso procedimento del pensiero. Aristotele lo chiama sillogismo, che in greco
letteralmente significa discorso collegato o pensiero concatenato e che corrisponde a
ci che noi chiamiamo genericamente ragionamento e pi precisamente inferenza.
Con questi termini si intende loperazione logico-linguistica con la quale si ricava una
conseguenza da una premessa. P.e., dato un triangolo ne consegue che la somma dei suoi
angoli interni sia 180.
Aristotele elabora una scienza degli elementi e modalit del ragionamento che egli chiama
analitica (in greco, scomposizione in elementi) e che corrisponde a ci che noi
chiamiamo logica. Lobiettivo della logica aristotelica stabilire le regole in base alle
quali il ragionamento pu conseguire la verit. Dunque la logica, in quanto scienza del
ragionamento, la scienza della verit, pi precisamente la scienza degli elementi e delle
regole mentali che ci permettono di conoscere la verit.
Ma cos per Aristotele la verit? La risposta semplice: la verit la copia mentale
dellessente. In tal modo, dopo aver stabilito che lessente in quanto essente lessenza,
Aristotele afferma che lessente in quanto essente il vero. Ma le due asserzioni non sono
discordanti, poich per Aristotele il vero non altro che la conoscenza dellessenza, ossia
il concetto in quanto configurazione mentale dellessenza.
Dunque, gli elementi di base del ragionamento per Aristotele sono i concetti a livello
mentale e i termini che li designano a livello del linguaggio. Concetti e termini si
corrispondono e insieme corrispondono a loro volta alle essenze seconde (uomo, metallo,
bipede, ecc.) cio alle forme della realt. In altre parole per Aristotele vi una
corrispondenza tra pensiero, linguaggio ed essere. Questa corrispondenza colta dalla
269
270
A
subalterne
E
contraddittorie
subalterne
O
subcontrarie
Alcuni uomini sono magri
magri
271
Dove:
(a) detto estremo maggiore (EM),
(c) estremo minore (Em) e
(b) termine medio (TM).
Il termine medio cos chiamato da Aristotele perch il termine/concetto che unisce e
concatena razionalmente le due premesse e, cos facendo, connette i due termini/concetti
estremi, generando la conclusione, ovvero producendo si potrebbe dire partorendo
una conoscenza aggiuntiva rispetto alle due conoscenze contenute nelle due premesse.
272
273
TAPPA 7
ARISTOTELE: LA VERITA SI BASA SULLA VALIDITA DEL RAGIONAMENTO
Chiamo principi in ciascun genere quelli dei quali non possibile dimostrare
che sono. Si assume quindi che cosa significhino i primi principi e ci che da
essi discende; ma necessariamente si deve assumere che i principi sono, e
dimostrare invece il resto. Per esempio: si assume che cosa significhino unit
o retto e triangolo; ma necessariamente si deve assumere che lunit o la
grandezza sono, e il resto dimostrarlo.
Aristotele, Analitici secondi, I, 10
Principio la premessa immediata di una dimostrazione, ed immediata la
premessa della quale non c unaltra premessa che sia anteriore. Premessa
una delle due alternative di un enunciato nel quale un termine predicato di
un altro. E dialettica la premessa che assume allo stesso modo qualsivoglia
dei due termini [predicabili]; invece dimostrativa la premessa che assume
uno dei due termini in modo definitivo, in quanto vero.
Aristotele, Analitici secondi, I, 2
Abbiamo visto che Gli uomini volano, Socrate un uomo, dunque Socrate vola un
sillogismo valido, cio la cui conclusione logicamente necessaria, ossia univoca e certa.
Ma, ci si potrebbe sensatamente chiedere, se il sillogismo lo strumento per accertarci
della verit di un giudizio/proposizione, com possibile che ci porti a concludere che
Socrate vola, tesi notoriamente falsa, in quanto non rispecchia unazione reale di
Socrate?
Aristotele risponde che per comprendere in che modo il sillogismo ci porti alla verit,
dobbiamo innanzitutto preoccuparci della sua validit. Cosa intende per validit? La
validit di un sillogismo riguarda la sua forma logica pura, cio consiste nella
consequenzialit e nella necessit della conclusione rispetto alle premesse, del tutto
indipendentemente dalla loro verit, cio dai loro contenuti.
In questo senso il sillogismo pu essere meglio formulato con simboli astratti, in questo
modo (utilizzando le lettere dellalfabeto come simboli dei concetti/termini come indicato
convenzionalmente nellesempio iniziale):
BA
CB
CA
A
..C C
274
Questa per Aristotele la forma perfetta del sillogismo da lui chiamata I figura in
quanto d sempre luogo ha una conclusione valida.
Ma Aristotele considera anche altre due possibilit: quella in cui il termine medio (B) sia
predicato in entrambe le premesse (II figura) e quella in cui il termine medio sia soggetto
in entrambe le premesse (III figura).
Un esempio del sillogismo di II figura il seguente:
A. Tutti gli equini (A) sono quadrupedi (B).
B. Tutti i cavalli (C) sono quadrupedi.
C. Tutti i cavalli sono equini.
Questo sillogismo sembra valido, ma solo perch premesse e conclusione sono vere. In
realt, invalido perch la conclusione non consequenziale rispetto alle premesse (cio
un non sequitur). Per comprenderlo consideriamo la formulazione simbolica del
sillogismo di II figura e la sua rappresentazione grafico-insiemistica:
AB
CB
CA
A
..C
C
275
A
BA
BC
CA
C
BB
276
Cos stabilite le regole di validit del sillogismo scientifico, Aristotele passa a individuare le
regole della sua verit, cio a risolvere il problema: come fa un sillogismo ad essere vero?
Naturalmente, la prima regola della verit di un sillogismo che sia valido. In altre parole,
per Aristotele, la validit condizione necessaria della verit di un sillogismo, ovvero di un
sillogismo scientifico. Nessun sillogismo pu essere vero se non valido.
Tuttavia, la validit di un sillogismo non condizione sufficiente perch la sua conclusione
sia vera. Qual allora la seconda condizione della verit di un sillogismo? Perch un
sillogismo valido sia anche vero, risponde Aristotele, le sue premesse devono essere
entrambe vere. Dunque, sintetizzando entrambe le precedenti regole, secondo Aristotele
un giudizio/proposizione vero quando la conclusione di un ragionamento valido basato
su premesse vere.
In questo modo, per, sembra che il problema non sia risolto, ma solo spostato. Infatti
come assicurarsi che le premesse siano vere?
Basta, risponde Aristotele, che siano conclusioni di altri ragionamenti validi basati su
premesse vere. P.e. la premessa tutti gli uomini sono mortali la conseguenza di un
ragionamento le cui premesse sono tutti gli animali sono mortali e tutti gli uomini sono
animali.
Anche in questo caso, per, sembra si tratti di un ulteriore spostamento sempre pi a
monte del problema, non una sua effettiva risoluzione. Anzi, addirittura sembra che
Aristotele proponga un rimando allinfinito di premessa in premessa. Ma non cos,
perch, secondo Aristotele, esistono dei principi primi (definizioni, assiomi, postulati),
diversi per ogni scienza, che costituiscono il punto di partenza dei ragionamenti. P.e., per
la biologia: tutti i viventi sono mortali, ovvero la mortalit una propriet essenziale
degli esseri viventi.
Ma su cosa si fonda la verit dei principi primi? Sullazione congiunta, chiarisce Aristotele,
dellinduzione e dellintuizione intellettiva. Linduzione (epagogh), come abbiamo visto,
quel particolare tipo di ragionamento che a partire dallesperienza di vari elementi/casi
singolari inferisce una conclusione generale. P.e. Parmenide, Socrate, Platone sono
morti, Parmenide, Socrate, Platone sono uomini, dunque gli uomini sono mortali.
Linduzione, per, secondo Aristotele, non pu mai arrivare a una conclusione davvero
universale, cio vera per tutti gli elementi/casi di una classe di cose. Infatti, per quanto
numerose siano le osservazioni, gli elementi/casi osservati sono sempre alcuni, mai
tutti.
Ma per Aristotele linduzione pu e deve essere integrata dallintuizione intellettiva, cio
dalla capacit dellintelletto umano di cogliere immediatamente e infallibilmente la forma
277
278
279
TAPPA 8
ARISTOTELE: LA MASSIMA FELICITA STA NEL CONOSCERE
Ritorniamo al bene che oggetto della nostra ricerca. Che cosa mai pu
essere? Infatti appare come una cosa in unazione e in unarte, come unaltra
in unaltra azione e in unaltra arte: infatti altro in medicina, in strategia e
cos di seguito nelle restanti arti. Che cos dunque il bene di ciascuna? Non
forse ci in vista del quale si compie il resto? Questo in medicina la salute, in
strategia la vittoria, in ingegneria la casa, in unarte una cosa, in unaltra
unaltra; ma in ogni azione e scelta il fine. Infatti in vista di questo che tutti
cpmpiono il resto. Di conseguenza, se qualcosa fine di tutto ci che oggetto
dazione, questo sar il bene realizzabile nella prassi; e se vi sono pi cose,
saranno queste. []
Poich i fini sono manifestamente molteplici e di questi noi scegliamo alcuni a
motivo di altro (ad esempio la ricchezza, i flauti e in generale gli strumenti),
evidente che non sono tutti perfetti; invece il bene supremo manifestamente
qualcosa di perfetto. Di conseguenza, se vi un fine soltanto che perfetto,
questo sar il bene che cerchiamo; se sono molti, il pi perfetto di questi.
Ci che degno di perseguirsi di per se stesso diciamo che pi perfetto di ci
che lo in ragione di altro; e ci che non mai sceglibile a motivo di altro
diciamo che pi perfetto delle cose che sono sceglibili e per se stesse e a
motivo di altro; pertanto diciamo che perfetto in senso assoluto ci che
sempre sceglibile per se stesso e mai a motivo di altro. Ora, una tale cosa tutti
ritengono che soprattutto la felicit. Questa infatti noi scegliamo sempr4 per
se stessa e mai a motivo di altro; invece lonore, il piacere, lintelligenza ed
ogni virt li scegliamo s anche per se stessi (infatti sceglieremmo ciascuno di
essi anche se non ci pervenisse alcun vantaggio), ma li scegliamo anche in
vista della felicit, supponendo che mediante essi saremo felici. Invece
nessuno sceglie la felicit in vista di questi beni, n, in generale, a motivo di
altro.
Aristotele, Etica Nicomachea, I 5
Ora, va detto che ogni virt, per la cosa di cui virt, ha per effetto che essa
sia in una buona condizione, e compie bene lopera di quella cosa. Ad esempio
la virt dellocchio e rende valido locchio e rende valida la sua opera: infatti
grazie alla virt dellocchio che vediamo. Parimenti la virt del cavallo e rende
un cavallo valido e lo rende buono a correre ed a portare il cavaliere e a
resistere ai nemici. Pertanto, se cos stanno le cose in tutti i casi, anche la
280
281
vizi difettano, altri eccedono ci che si deve sia nel campo delle emozioni sia
in quello delle azioni, mentre la virt ricerca e sceglie deliberatamente il
medio.
Aristotele, Etica Nicomachea, II, 5-6
Il presupposto della teoria etico-politica aristotelica la tesi secondo cui luomo per
natura un animale comunitario. La natura comunitaria delluomo si realizza
innanzitutto nella famiglia, poi nel villaggio e, al pi alto livello, nello Stato. Lo scopo dello
Stato realizzare il bene delluomo. Poich la politica la scienza della forma migliore di
Stato, essa ha il compito di individuare il tipo di Stato capace di realizzare al massimo
grado il bene delluomo.
Ma poich luomo innanzitutto un individuo e poich lo Stato una unione di individui,
la politica dovr stabilire in primo luogo in cosa consiste il bene di ogni individuo. In altre
parole, letica (o morale), cio la scienza del miglior modo di agire individuale, concepita
e sviluppata da Aristotele come premessa della politica, cio in funzione di essa.
Ogni individuo, afferma Aristotele, nel corso della sua vita persegue molti beni, p.e. vincere
una gara atletica, sposarsi, fare un viaggio, comprarsi una casa, ecc. Tutti questi beni, per,
sono relativi, in quanto da un lato sono obiettivi dellagire individuale, dallaltro sono
mezzi per ottenere altri beni, per esempio vincere una gara per ottenere un premio,
sposarsi per avere dei figli, ecc. In questo senso ogni bene si fonderebbe su un altro in un
rimando infinito. Poich tale rimando equivale alla mancanza di qualsiasi fondamento,
occorre un bene assoluto, ovvero un fine ultimo di tutti i beni relativi: la felicit. Dunque
letica la scienza di che cos e di come si consegue la felicit.
Poich lessenza delluomo la razionalit, la felicit delluomo consiste nella virt intesa
come perfezionamento della sua razionalit. Ci significa che la virt il comportamento
che permette allindividuo di sviluppare la sua intelligenza al massimo grado. Su questa
base Aristotele distingue innanzitutto due generi di virt:
le virt pratiche: sono quelle che consistono nel controllo razionale dei desideri
sensibili, delle emozioni e dei sentimenti che sono alla base dellagire quotidiano;
282
Il criterio unico e generale di tutte le virt pratiche il giusto mezzo. Ci significa che per
Aristotele vi sono due tipi, opposti ma convergenti, di comportamenti sbagliati, cio di vizi:
quello sbagliato per eccesso e quello sbagliato per carenza. P.e., la spericolatezza un
eccesso, la vigliaccheria una carenza. La virt consiste invece nel comportamento
mediano, cio intermedio, p.e. il coraggio in quanto via di mezzo tra spericolatezza e
vigliaccheria. Insomma il principio dei vizi lesagerazione, quello delle virt la
moderazione.
Il criterio del giusto mezzo, per Aristotele, si applica anche e innanzitutto al rapporto tra
razionalit e fisicit. Poich luomo per eccellenza un essere intelligente, ma pur sempre
un animale, cio per essenza anche corporeo e sensibile, il comportamento virtuoso
include la valorizzazione dei beni materiali. P.e., sul piano economico, virt lagiatezza,
intesa come giusto mezzo tra la povert e la ricchezza. In questo senso Aristotele legittima
eticamente anche i piaceri fisici purch naturalmente siano moderati.
283
della sua eccellenza, cio la razionalit. In questo senso la vita teoretica, cio dedita alla
conoscenza, la vita migliore per luomo, quella che lo rende simile a Dio.
284
TAPPA 9
ARISTOTELE: LO STATO DEVE GARANTIRE PACE E TEMPO LIBERO
Guardando al modo in cui le cose nascono dal loro principio, anche in questo
campo, come negli altri, si otterranno risultati migliori. Prima di tutto
necessario unire i termini che non possono sussistere separatamente, per
esempio la femmina e il maschio in quanto strumenti di generazione (e tali
non sono perch se lo propongono, ma perch naturale per luomo come per
gli altri animali e piante il mirare a lasciare un qualche altro essere simile a
s), chi naturalmente disposto al comando e chi naturalmente disposto ad
essere comandato, in quanto la loro unione ci per cui entrambi possono
sopravvivere, perch chi per le sue qualit intellettuali in grado di prevedere
per natura comanda e per natura padrone, mentre chi, per le doti inerenti al
corpo, in grado di eseguire deve essere comandato ed naturalmente
schiavo, sicch la stessa cosa vantaggiosa al padrone e allo schiavo. Per
natura dunque son distinti la femmina e il servo, perch la natura non fa nulla
con la povert con la quale gli artigiani fabbricano il coltello di Delfi, ma
destina ogni cosa a una sola funzione [].
Da queste due comunit sorge prima di tutto la famiglia, sicch giustamente
Esiodo disse poetando innanzitutto la casa, la donna e il bue che ara [].
La prima comunit, che deriva dallunione di pi famiglie volte a soddisfare
un bisogno non strettamente giornaliero, il villaggio. []
La comunit perfetta di pi villaggi costituisce la citt, che ha raggiunto quello
che si chiama il livello dellautosufficienza: sorge per rendere possibile la vita
e sussiste per produrre le condizioni di una buona esistenza. Perci ogni citt
unistituzione naturale, se lo sono anche i tipi di comunit che la precedono,
in quanto essa il loro fine e la natura di una cosa il suo fine [].
Da ci dunque chiaro che la citt appartiene ai prodotti naturali, che luomo
un animale che per natura deve vivere in una citt e che chi non vive in una
citt, per la sua natura e non per caso, o un essere inferiore o pi che un
uomo [].
E chi tale per natura anche desideroso di guerra, in quanto non ha legami
ed come una pedina isolata. Perci chiaro che luomo animale pi
socievole di qualsiasi ape e di qualsiasi altro animale che viva in greggi.
Infatti, secondo quanto sosteniamo, la natura non fa nulla invano, e luomo
lunico animale che abbia la favella: la voce segno del piacere e del dolore e
perci lhanno anche gli altri animali, in quanto la loro natura giunge fino ad
avere e a significare agli altri la sensazione del piacere e del dolore.
Invece la parola serve a indicare lutile e il dannoso, e perci anche il giusto e
lingiusto. E questo proprio delluomo rispetto agli altri animali: esser
285
lunico ad avere nozione del bene e del male, del giusto e dellingiusto e cos
via. proprio la comunanza di queste cose che costituisce la famiglia e la
citt. []
dunque chiaro che la citt per natura e che anteriore allindividuo
perch, se lindividuo, preso da s, non autosufficiente, sar rispetto al tutto
nella stessa relazione in cui lo sono le altri parti. Perci chi non pu entrare a
far parte di una comunit o chi non ha bisogno di nulla, bastando a se stesso,
non parte di una citt, ma o una belva o un dio.
Aristotele, Politica, a cura di C.A. Viano, Rizzoli, 2003, libro I, capp. 1-2, pp. 71-79
Una volta stabilito qual e come si raggiunge il fine ultimo di ogni individuo, possibile
per Aristotele affrontare il problema centrale della politica: qual il miglior tipo di Stato?
Per risolvere tale problema Aristotele elabora innanzitutto la seguente classificazione degli
Stati storici:
obiettivo del governo
Fa linteresse dei governati Fa linteresse dei governanti
n dei governanti
uno
alcuni
tutti
Monarchia
Aristocrazia
Civicrazia
Tirannide
Oligarchia
Democrazia
Tuttavia, Aristotele afferma che per i popoli pi sviluppati, in condizioni normali, la forma
di Stato mediamente migliore la civicrazia, cio il governo della comunit civica o
cittadinanza, ovvero lo Stato in cui tutti gli individui maschi e proprietari sono considerati
cittadini liberi e uguali e quindi partecipano alle decisioni e concorrono a pari titolo alle
cariche pubbliche. Come tale, la civicrazia rappresenta, secondo Aristotele, il giusto mezzo
tra la democrazia e loligarchia.
Infatti, mentre la democrazia il governo dei pi poveri e loligarchia quello dei pi ricchi,
la civicrazia il governo della classe media. Mentre poveri e ricchi, essendo classi estreme,
286
non possono che avere rapporti conflittuali e sono quindi socialmente portati a governare
nel loro esclusivo o preminente interesse, la classe media, essendo una classe intermedia,
che quindi intrattiene rapporti economici sia con i ricchi sia con i poveri, socialmente
portata a governare nellinteresse di tutti, perch il suo interesse di classe coincide con gli
interessi delle altre due classi.
La civicrazia, dunque, secondo Aristotele, realizza al massimo grado la funzione dello Stato
che quella di rendere effettivamente possibile la felicit di ogni individuo. Infatti, per
Aristotele, sebbene lo Stato sia ununione di individui e debba pertanto assumere come
proprio fine il fine etico di ogni individuo, cio la felicit, la felicit collettiva, garantita
dallo Stato, la condizione della felicit individuale e non viceversa.
Lindividuo isolato, o anche in un piccolo gruppo, non sarebbe in grado di conseguire la
felicit, sia perch ha bisogno di una efficace difesa militare e di unampia cooperazione
socio-economica per raggiungere le migliori condizioni materiali sia perch necessita di
leggi e pubblici ufficiali che lo pungolino alla pratica continua delle virt. Queste, infatti,
afferma Aristotele, si acquisiscono soltanto con lesercizio sistematico, cio con labitudine.
Lo Stato dunque ha un primato sullindividuo, analogo a quello del tutto sulla parte.
Ma allora cosa deve fare il governo dello Stato per realizzare la felicit collettiva,
condizione di quella individuale? Poich, come ha stabilito letica, il grado pi intenso di
felicit individuale deriva dallattivit conoscitiva, il governo dello Stato, afferma
Aristotele, deve rendere possibile la vita teoretica a tutti i cittadini, cio deve permettere
loro di dedicarsi alla conoscenza. Per raggiungere questo scopo lo Stato deve garantire due
condizioni fondamentali, strettamente connesse: la pace e il tempo libero. La guerra
dunque deve essere finalizzata e limitata alla sola difesa; e i tempi di lavoro devono essere
ridotti il pi possibile.
Se, per questo aspetto, la proposta politica aristotelica appare attuale, va evidenziata invece
la sua inattualit per quanto riguarda il principio delluguaglianza. Aristotele, infatti, non
solo esclude dalla cittadinanza, cio dal godimento di ogni diritto politico, i residenti non
ateniesi (oggi diremmo gli immigrati, anche di seconda o terza generazione), le donne e gli
schiavi, ma addirittura teorizza che i barbari (cio gli uomini non greci), le donne e gli
schiavi sono inferiori per natura. In tal modo Aristotele fornisce una giustificazione
scientifica al razzismo, al sessismo e allo schiavismo.
287
LO SCRIGNO
PAUL DAVIES: LA TEORIA DEL FINALISMO INTRINSECO DELLUNIVERSO
In questa teoria, il carattere propizio alla vita delluniverso deriva da una
legge o principio di vasto respiro che costringe luniverso/multiverso a
evolvere verso la vita e la mente. La teoria ha il vantaggio di prendere sul
serio la vita, non trattandola n come una bella sorpresa completamente
priva di spiegazione [...], n come un mezzo di selezione puramente passivo
[...]. Essa evita la sensazione di intrigo che si avverte in D [la teoria del
disegno intelligente facente capo a un dio personale, ndr], sostituendo a un
dio manipolatore (naturale o soprannaturale) un principio finalistico pi
sottile. In breve, introduce la finalit nei meccanismi del cosmo a un livello
fondamentale (invece che accidentale), senza postulare un agente
preesistente privo di spiegazione che immetta la finalit in modo miracoloso.
P. Davies, Una fortuna cosmica, Mondadori 2007, p. 335
MICHELE SARA: GLI ORGANISMI SI SVILUPPANO IN MODO FINALISTICO
Lordine che regola la vita dellorganismo in primo luogo il risultato di un
programma genetico che si trova per intero nello zigote o uovo fecondato, e
che solo parzialmente e diversamente attivato nelle cellule differenziate
dellorganismo pluricellulare, a causa della sua modulazione da parte delle
reti interattive dinformazione. Lattuazione di un programma prefissato
nello sviluppo dellorganismo rappresenta un tipo di finalismo al quale si d il
nome di teleonomico per distinguerlo dal teleologico che presuppone
unintenzione che tipica delle azioni umane.
M. Sar, Levoluzione costruttiva, Utet 2005, p. 121
288
289
LA SCOPERTA
IL PRIMATO DELLA VITA PRATICA
290
CANNOCCHIALE SU
LORIZZONTE STORICO-CULTURALE
DELLETA ELLENISTICA (323-168 a.C.)
Lo sfaldamento dellimpero alessandrino e i nuovi regni ellenistici
Il biennio 323-322 a.C., gli anni delle morti successive di Alessandro Magno e di Aristotele,
rappresenta lo spartiacque simbolico tra let greca classica e la nuova et ellenistica. Sul
piano politico, il vasto ma effimero impero di Alessandro si divise in quattro regni
principali: il regno di Macedonia (comprendente la Grecia), il regno dEgitto, il regno dei
Seleucidi (Siria, Palestina, Mesopotamia, Persia), il regno di Pergamo (Anatolia
occidentale). I nuovi Stati erano monarchie dispotiche in cui gli uomini erano sudditi, cio
erano privi di diritti politici. Anche le poleis greche, pur mantenendo un certo grado di
autonomia, persero definitivamente lindipendenza effettiva e i Greci smisero di essere
cittadini e diventarono sempre pi sudditi. Se questo, da un lato, comport una perdita di
libert e di protagonismo politico, dallaltro favor il superamento della dimensione
particolaristica dei Greci a vantaggio di unapertura cosmopolitica.
A questa riorganizzazione verticistica e autoritaria del potere corrispose, tuttavia, una vera
e propria rivoluzione culturale. Le dinastie monarchiche dei nuovi regni rivaleggiarono tra
loro in mecenatismo, finanziando e promuovendo laumento dellalfabetizzazione e lo
sviluppo culturale a tutti i livelli, da quello artistico a quello filosofico, da quello letterario a
quello scientifico, da quello religioso a quello tecnologico. Lo scopo di questa politica era
duplice: garantirsi il consenso delle lites intellettuali e rafforzare i propri apparati militari.
In particolare il mecenatismo delle nuove dinastie monarchiche si manifest nella
costruzione e nella gestione di grandi biblioteche, le maggiori delle quali furono quelle di
Alessandria (che arriv a contenere da 500.000 a 700.000 opere) e di Pergamo, i cui
funzionari erano inviati in ogni parte del mondo civile conosciuto allo scopo di procacciarsi
i testi che venivano trascritti su fogli di papiro o di pergamena (da Pergamo, dove si
produceva) e raccolti in rotoli.
La nascita di una nuova cultura cosmopolita
Anche grazie al sostegno economico statale, la cultura greca si diffuse in tutto il Medio
Oriente contaminandosi e fondendosi con le pi antiche culture dellEgitto, della Palestina,
della Siria, della Mesopotamia e della Persia. Il greco divenne cos la lingua internazionale
degli intellettuali della vasta area geografica che andava dal Mediterraneo orientale
allIndo. Di conseguenza gli intellettuali egiziani, ebrei, babilonesi, persiani cominciarono a
tradurre in greco gli scritti religiosi, filosofici, scientifici e letterari facenti parte delle loro
tradizioni culturali. Emblematica, in tal senso, fu la traduzione in greco della Bibbia
effettuata dagli ebrei. In questo modo, da un lato gli intellettuali Greci assorbirono i
patrimoni culturali mediorientali, dallaltro gli intellettuali mediorientali incamerarono il
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295
La vita per lui non un male, n un male il non vivere. Ma come dei cibi
sceglie i migliori, non la quantit, cos non il tempo pi lungo si gode, ma il
pi dolce. Chi ammonisce poi il giovane a vivere bene e il vecchio a ben morire
stolto non solo per la dolcezza che c sempre nella vita, anche da vecchi, ma
perch una sola larte del ben vivere e del ben morire. Ancora peggio chi va
dicendo: bello non essere mai nato, ma, nato, al pi presto varcare la porta
dellAde.
Se cos convinto perch non se ne va da questo mondo? Nessuno glielo vieta
se veramente il suo desiderio. Invece se lo dice cos per dire fa meglio a
cambiare argomento. Ricordiamoci poi che il futuro non del tutto nostro,
ma neanche del tutto non nostro. Solo cos possiamo non aspettarci che
assolutamente savveri, n allo stesso modo disperare del contrario. Cos pure
teniamo presente che per quanto riguarda i desideri, solo alcuni sono
naturali, altri sono inutili, e fra i naturali solo alcuni quelli proprio necessari,
altri naturali soltanto. Ma fra i necessari certi sono fondamentali per la
felicit, altri per il benessere fisico, altri per la stessa vita.
Una ferma conoscenza dei desideri fa ricondurre ogni scelta o rifiuto al
benessere del corpo e alla perfetta serenit dellanimo, perch questo il
compito della vita felice, a questo noi indirizziamo ogni nostra azione, al fine
di allontanarci dalla sofferenza e dallansia. Una volta raggiunto questo stato
ogni bufera interna cessa, perch il nostro organismo vitale non pi
bisognoso di alcuna cosa, altro non deve cercare per il bene dellanimo e del
corpo. Infatti proviamo bisogno del piacere quando soffriamo per la
mancanza di esso. Quando invece non soffriamo non ne abbiamo bisogno.
Per questo noi riteniamo il piacere principio e fine della vita felice, perch lo
abbiamo riconosciuto bene primo e a noi congenito. Ad esso ci ispiriamo per
ogni atto di scelta o di rifiuto, e scegliamo ogni bene in base al sentimento del
piacere e del dolore. E bene primario e naturale per noi, per questo non
scegliamo ogni piacere. Talvolta conviene tralasciarne alcuni da cui pu
venirci pi male che bene, e giudicare alcune sofferenze preferibili ai piaceri
stessi se un piacere pi grande possiamo provare dopo averle sopportate a
lungo. Ogni piacere dunque bene per sua intima natura, ma noi non li
scegliamo tutti. Allo stesso modo ogni dolore male, ma non tutti sono
sempre da fuggire.
Bisogna giudicare gli uni e gli altri in base alla considerazione degli utili e dei
danni. Certe volte sperimentiamo che il bene si rivela per noi un male, invece
il male un bene. Consideriamo inoltre una gran cosa lindipendenza dai
bisogni non perch sempre ci si debba accontentare del poco, ma per godere
anche di questo poco se ci capita di non avere molto, convinti come siamo che
labbondanza si gode con pi dolcezza se meno da essa dipendiamo. In fondo
ci che veramente serve non difficile a trovarsi, linutile difficile.
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297
VII VIAGGIO
ALLA RICERCA DELLA FELICITA TERRENA
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ROTTA SU
LA FELICITA COME RIFIUTO DELLA CIVILTA: CINISMO ED EPICUREISMO
A partire dal IV secolo a.C., in Grecia nascono e si affermano nuove correnti filosofiche
accomunate dal concepire la filosofia come ricerca della felicit individuale. Per questo,
nella periodizzazione della filosofia antica, il lasso di tempo che va dal III secolo a.C. al
III d.C., comprendente let ellenistica e let romana, stato denominato periodo etico.
Ci non significa che i pensatori di questi secoli, con leccezione parziale dei cinici,
smisero di occuparsi di fisica, conoscenza, logica, bens significa che essi subordinarono
la ricerca in campo fisico, gnoseologico e logico alla ricerca etica, cio alla ricerca del
modo di vivere e dei comportamenti capaci di garantire la felicit alluomo in quanto
individuo. In altre parole, le teorie fisiche, gnoseologiche e logiche furono concepite come
strumenti della teoria etica in nome del primato della vita pratica sulla vita teoretica.
Tuttavia, rispetto al periodo precedente, quello di Platone e Aristotele, i nuovi filosofi etici
archiviarono la ricerca metafisica, in quanto convinti dellinesistenza di una realt
razionale separata dal mondo fisico, ovvero trascendente. In questo senso il primato
della vita pratica, da loro sostenuto, si abbina alla tesi dellunicit della dimensione
materiale, cio immanente, e la felicit viene concepita come un obiettivo conseguibile
soltanto nel corso della vita terrena, dal momento che luomo ritenuto un essere
unicamente corporeo e dunque del tutto mortale.
Il movimento cinico, nato gi nel IV secolo a.C. come scuola socratica, cio come
interpretazione autentica dellinsegnamento di Socrate, fu cronologicamente il primo
movimento etico e il pi anticonformista. Esso, infatti, da un lato, concepisce la filosofia
come stile di vita, e dunque il filosofare non tanto come pensare e parlare, ma come agire
e comportarsi; dallaltro, segue e diffonde uno stile di vita decisamente controcorrente
rispetto alle tradizioni, alle convinzioni sociali e perfino alle leggi statali ispirato al
comportamento degli animali e imperniato su una vita povera, vagabonda, sregolata e
politicamente del tutto disimpegnata. In tal senso i cinici pensano che il segreto della
felicit sia lassoluta libert individuale.
La scuola epicurea condivide il rifiuto cinico della civilt, ma lo declina in modo pi
moderato. Gli epicurei, innanzitutto, valorizzano, seppur parzialmente e
strumentalmente, la vita teoretica, e quindi anche la ricerca scientifica, e, in secondo
luogo, propongono e praticano un modello di vita basato su piccole comunit residenziali
e sul soddisfacimento moderato e razionalmente guidato dei bisogni e dei desideri.
Infatti, per gli epicurei, la felicit coincide con il piacere autentico.
299
VITE DI CAPITANI
ANTISTENE, DIOGENE, EPICURO
Fondatore della scuola cinica fu Antistene, figlio di un ateniese e di una tracia (cio di
una barbara), vissuto tra la fine del V sec. e linizio del IV, che fu inizialmente discepolo
di Gorgia e poi di Socrate, da cui riprese e di cui radicalizz il motivo conduttore del
cinismo, ovvero lautosufficienza individuale come fondamento della libert. La
denominazione di cinismo (da kunisms, imitazione dei cani) pare sia nata dal fatto
che Antistene insegnava nel ginnasio detto Cinosarge (cane agile). In seguito, lui e i suoi
discepoli furono chiamati cinici perch rifiutavano la civilt e proponevano di vivere in
modo del tutto naturale, come i cani.
Ma il pi significativo e famoso rappresentante del cinismo antico fu Diogene che fece
proprio apertamente e provocatoriamente lappellativo il Cane e fu anche chiamato il
Socrate pazzo. Nato a Sinope, figlio di un banchiere, forse banchiere egli stesso, fugg dalla
sua citt per evitare la condanna come falsario. Visse ad Atene, dove divenne discepolo di
Antistene, e a Corinto, dove mor forse nel 323 a.C., nello stesso anno di Alessandro il
Grande. Di Diogene stato tramandato che viveva in una botte e di giorno andava in giro
con una lanterna accesa dicendo: Cerco luomo. Ma laneddoto pi rappresentativo della
sua filosofia di vita quello del suo incontro con Alessandro il quale, attirato dalla sua
fama di sapiente, volle avvicinarlo e gli offr di dargli tutto quello che avrebbe chiesto, al
che Diogene, che stava prendendo il sole, rispose: Lasciami il mio sole, ovvero: Togliti
di l, che mi fai ombra. Nessuno degli scritti di Diogene ci pervenuto.
Epicuro, fondatore ed eponimo dellepicureismo, nacque a Samo da padre ateniese.
Allievo di filosofi prima platonici e poi democritei, intorno al 307 a.C. fond la sua scuola chiamata il Giardino perch si trovava nella compagna fuori porta di Atene - aperta a
tutti compresi schiavi, donne e perfino ex prostitute. Il Giardino fu una comunit di vita e
un modello sociale alternativo ed Epicuro pi che un filosofo fu ben presto considerato una
sorta di profeta o di salvatore dellumanit (in modo simile allindiano Gothama
Siddharta, chiamato Buddha, cio risvegliato). Si tramanda che scrisse circa 300 opere,
ma anche a causa dellanatema culturale scagliato contro di lui dalla chiesa cristiana a
noi sono giunti soltanto alcuni frammenti, 3 lettere (A Meneceo, A Erodoto, A Pitocle) e 2
raccolte di massime.
300
TAPPA 1
I CINICI: LA FELICITA E LIBERTA INDIVIDUALE
Talvolta [i cinici] si cibano soltanto di erbaggi e in ogni modo bevono soltanto
acqua fresca; ogni alloggio buono, anche una botte, in cui viveva Diogene, il
quale era solito dire che proprio degli di non aver bisogno di nulla, di chi
simile agli di aver bisogno di poco.
Diogene Laerzio, VI, 66
Lodava [Diogene] quelli che stavano per sposarsi e non si sposavano, quelli
che stavano per intraprendere un viaggio e vi rinunciavano, quelli che stavano
per dedicarsi alla vita politica e non vi si dedicavano, quelli che volevano
crearsi una famiglia e non se la creavano, e quelli che si accingevano a vivere
insieme con i potenti e poi se ne astenevano.
Diogene Laerzio, VI, 29
Ammetteva [Diogene] la comunanza delle donne, non riconosceva il
matrimonio, la convivenza concordata fra uomo e donna. In conseguenza,
anche i figli dovevano essere comuni.
Diogene Laerzio, VI, 72
Alla base del cinismo vi una duplice rivoluzione filosofica. In primo luogo, i cinici
concepiscono la filosofia come miglior modo di vivere, cio come modello di vita
effettivamente praticato. In altre parole, per i cinici, la filosofia non teoria ma pratica, un
insieme coerente di comportamenti, e la stessa comunicazione filosofica altro non che
descrizione verbale e argomentazione razionale di un modo di vivere. Lunico che permetta
di conseguire il vero bene: la felicit.
Anzi, in questa prospettiva, il linguaggio filosofico pi appropriato quello gestuale e
largomentazione filosofica pi coerente ed efficace lesempio comportamentale:
possedere solo un mantello, una bisaccia e un bastone, abitare in una botte, girare di
giorno con la lanterna, entrare a teatro al termine dello spettacolo, sbeffeggiare o
addirittura maltrattare i ricchi e i potenti.
Il secondo aspetto rivoluzionario del cinismo il rifiuto della civilt e della cultura in nome
del ritorno alla dimensione di vita naturale. Questa drastica posizione la conseguenza
301
della scelta della libert individuale come valore fondamentale e anzi assoluto delluomo.
In altri termini, secondi i cinici luomo si realizza solo se un individuo assolutamente
libero, ossia la libert individuale sinonimo di felicit e viceversa. Ma come si fa allora a
essere individui assolutamente liberi? La risposta dei cinici : conseguendo lautarchia,
lautosufficienza, ovvero bastando a se stessi e facendo s che nulla di esterno a s sia
indispensabile alla propria vita.
In questo senso, Diogene sostiene che bisogna assumere come modello gli animali, e pi
precisamente un topo che corre qua e l senza alcuna meta. Ci significa rifiutare la civilt
a un duplice livello:
1. sia nei suoi aspetti materiali, dai cibi cotti e dal vino alle abitazioni, ai letti, alle
calzature, insomma a tutte le invenzioni e le tecniche con cui gli uomini si sono resi la
vita pi comoda e agiata;
2. sia nei suoi aspetti sociali, politici, religiosi e ideali, dal matrimonio allo Stato, ai doveri
civici, al galateo, ai riti religiosi, allavere un scopo.
Per i cinici, infatti, questi aspetti della civilt sono altrettante catene che imprigionano
lindividuo e gli impediscono di essere libero e quindi felice. Apparentemente lo agevolano
e gli rendono la vita pi piacevole, ma in realt alla lunga lindividuo ne viene fiaccato e
debilitato, si assuef ad essi e ne diventa dipendente, non ne pu pi fare a meno e in
questo modo perde la sua libert diventando sempre pi infelice.
302
secondo i cinici la libert autentica ha due aspetti essenziali: la libert di parola e la libert
dazione.
La libert di parola consiste, per cos dire, nel non aver peli sulla lingua, ossia nellessere
sempre schietti e franchi, anche e soprattutto quando si deve comunicare qualcosa di
spiacevole per laltro. E evidente che la libert di parola implica a monte, e quindi include,
la libert di pensiero, la libera opinione, ovvero la capacit di pensare in modo personale,
originale, anticonformistico e critico. Si tratta di un principio che acquista tanto pi
significato e spessore in quanto, per i cinici, deve essere praticato senza lasciarsi limitare
dal pietismo nei confronti degli altri e soprattutto senza lasciarsi intimidire qualora
colpisca sapienti, ricchi o potenti.
La libert dazione consiste, invece, nel comportarsi, per cos dire, anarchicamente, ossia
senza rispettare alcuna regola o convenzione sociale. Ci pu significare, per esempio,
mangiare nella piazza del mercato cos come orinare, defecare, masturbarsi o anche avere
rapporti sessuali quando e dove si vuole, anche in un luogo pubblico. La libert dazione,
dunque, ha per i cinici un significato radicale, per non dire estremo, che si fonda e si
giustifica, da un lato, in base al modello del comportamento istintivo, spontaneo e
deregolamentato degli animali; e, dallaltro, in nome della critica allartificialit e al
relativismo delle norme e delle convenzioni sociali.
Obiettivo polemico privilegiato della libert di parola e dazione dei cinici lamore.
Secondo i cinici, infatti, non solo bisogna rifiutare il matrimonio, in quanto istituzione
imposta dalla societ in contrasto con gli istinti naturali, ma anche lo stesso sentimento
amoroso, in quanto illusione generata dal bisogno di piacere sessuale e causa della
dipendenza nei confronti di un altro individuo, ovvero in entrambi i casi fonte di schiavit
e quindi di infelicit.
Riguardo alla pratica del rapporto tra uomini e donne, i cinici, per, si differenziano.
Alcuni praticano la rinuncia a qualsiasi rapporto stabile con unaltra donna; altri accettano
un rapporto continuativo, ma non esclusivo, con una donna, purch questa aderisca al
cinismo, cio viva in tutto e per tutto da cinica; altri ancora, infine, praticano il rapporto
sessuale come mero soddisfacimento di un bisogno naturale, privo di qualsiasi
componente sentimentale.
Il rifiuto dellamore da parte del cinismo emblematico della sua posizione riguardo alla
sfera psichico-emotiva. Le emozioni sono considerate potenziali passioni, ovvero forze
psichiche capaci di rendere lindividuo dipendente da oggetti o da persone o anche da
credenze e ideali. In questo senso, il cinismo identifica la libert con l apatia cio con
limpassibilit, lassenza di passioni e considera lapatia condizione necessaria e
ingrediente essenziale della felicit.
303
304
TAPPA 2
EPICURO: LA FELICITA E IL PIACERE QUIETO
Allorch affermiamo che il piacere il fine, non facciamo riferimento ai
piaceri dei dissoluti e a quelli che risiedono nel godimento come ritengono
alcuni ignoranti che non sono daccordo oppure che interpretano malamente
, ma il non soffrire nel corpo n turbarsi nellanima. Non sono, infatti, le
bevute e i continui bagordi ininterrotti, n il godimento di ragazzini e donne,
n il gustare pesci e altre cibarie quante ne porta una tavola riccamente
imbandita, che possono dar luogo a una vita piacevole, bens il ragionamento
assennato, che esamina le cause di ogni scelta e rifiuto, e che elimina le
opinioni per effetto delle quali il pi grande turbamento attanaglia le anime.
Epicuro, Epistola a Meneceo
305
momento che le catene di rapporti di causa ed effetto a volte sono interrotte da eventi
casuali.
Nonostante non abbiano alcun ruolo nella formazione e nel funzionamento delluniverso,
gli dei esistono, afferma Epicuro. Secondo lui, infatti, tutte le immagini presenti nella
mente umana derivano dallesperienza sensibile. Questa infallibile, in quanto consiste
nellimpronta che gli oggetti esterni producono sui nostri sensi. Tale impronta o diretta,
come quando tocchiamo qualcosa, o indiretta, come quando vediamo qualcosa. In questo
caso lorgano di senso colpito dagli invisibili micromodelli materiali che tutte le cose
emanano in continuazione.
Poich tutti gli uomini hanno immagini mentali degli dei esse derivano necessariamente
dallimpronta dei micromodelli degli dei sui nostri sensi. Dunque gli dei esistono e sono
materiali. La materia di cui sono fatti capace di rigenerarsi e dunque sono esseri
immortali. Per gli dei non governano il cosmo n si occupano in alcun modo degli uomini.
Infatti, sostiene Epicuro, in caso contrario, lesistenza del dolore umano comporterebbe
che gli dei siano o malvagi o impotenti, il che assurdo in quanto in contraddizione con la
nozione di dio.
Da questa concezione fisica, conseguono due decisive verit:
a) nessun uomo deve temere punizioni divine e nemmeno aspettarsi favori da parte degli
dei;
b) la vita di ogni uomo non determinata n dagli dei, n dalle leggi fisiche, ma soltanto
dalla libera scelta di ogni individuo, che quindi, in qualsiasi momento, ha la facolt di
modificare la propria condizione esistenziale per conquistare la felicit.
Per riuscirci, secondo Epicuro, luomo, una volta liberato dalla paura degli dei, deve
liberarsi anche dalla paura della morte. La terapia della paura della morte parte dalla tesi
della materialit di tutto ci che esiste, compresa lanima (psych), cio il principio della
vita, anchessa composta di indivisibili che differiscono da quelli corporei solo perch sono
pi piccoli e mobili. Dunque anche lanima nasce per aggregazione di indivisibili e muore
per la loro disgregazione. Di conseguenza, con la morte del corpo, lanima non inizia una
seconda vita ultraterrena ma smette completamente di esistere. Morire, pertanto, sostiene
Epicuro, non pu significare soffrire. Infatti, per soffrire dobbiamo essere sensibili e
coscienti. Ma nel momento in cui moriamo, sensibilit e coscienza si annullano, in quanto
la morte consiste nella disgregazione degli indivisibili che compongono tutte le parti
dellindividuo, compresa lanima, ossia la coscienza. In questo senso Epicuro dichiara che
fin quando esistiamo la morte non c e quando arriva non esistiamo pi noi. In altre
306
parole, secondo Epicuro la morte per definizione unesperienza impossibile, ossia una
non-esperienza, e dunque del tutto insensato temerla.
Ancora pi semplice, per Epicuro, liberarsi dalla paura del dolore. Basta infatti
considerare che il dolore pu essere o leggero o intenso. Nel primo caso facile
sopportarlo; nel secondo non pu che essere breve.
Infatti un forte dolore non pu che essere conseguenza di un grave stato patologico del
corpo. Pertanto o lorganismo si rimette rapidamente oppure muore. In entrambi i casi il
dolore cessa presto, e dunque facilmente sopportabile.
Leliminazione delle paure degli dei, della morte e del dolore la condizione necessaria ma
non sufficiente per il conseguimento della felicit. Per essere felici, afferma Epicuro,
occorre procurarsi il piacere. Sembrerebbe un obiettivo facile da raggiungere, ma in realt
non cos perch la maggior parte degli uomini si lascia ingannare da piaceri apparenti che
in realt sono dolori mascherati. Qual allora il piacere autentico e come si pu
riconoscerlo?
Chiarito preliminarmente che qualsiasi tipo di piacere ha un fondamento fisico-sensibile,
Epicuro risponde stabilendo innanzitutto i due requisiti indispensabili del vero piacere:
a) lanalgesia, cio lassenza di dolore fisico;
b) limperturbabilit, cio lassenza di dolore psichico.
In secondo luogo, Epicuro distingue 2 modalit di piacere:
1) il piacere movimentato (o dinamico), cio il piacere che si prova nel momento in cui si
soddisfa un bisogno/desiderio, p.e. mentre si beve un bicchiere dacqua o si mangia
una fetta di torta;
2) il piacere quieto (o statico), cio il piacere che si prova dopo aver completamente
soddisfatto un bisogno/desiderio, ovvero la condizione dellappagamento, p.e. sentirsi
dissetati o sazi.
Su queste basi, Epicuro sostiene che il piacere autentico il piacere quieto, in quanto esso
possiede al massimo grado i requisiti dellanalgesia e dellimperturbabilit. Infatti, il
piacere movimentato da un lato comporta sempre un certo grado di bisogno e dunque di
sofferenza psico-fisica; dallaltro tende a prolungare illimitatamente il godimento
danneggiando lequilibrio psico-fisico. P.e., mentre mangio la fame non si ancora del
tutto placata e se proseguo a mangiare illimitatamente non potr che stare male.
307
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309
ROTTA SU
FELICITA COME ADATTAMENTO AL DESTINO RAZIONALE: LO STOICISMO
Rispetto agli epicurei e ai cinici, gli stoici assumono un atteggiamento di accettazione,
seppur condizionata, della civilt, ovvero delle tradizioni, delle convenzioni sociali e delle
leggi statali. Essi, infatti, rivisitando le filosofie dei primi cosmologi, in particolare di
Eraclto, pensano che ogni aspetto e ogni evento della realt siano determinati in modo
necessario da una legge razionale divina che realizza un bene sempre maggiore fino al
raggiungimento della perfezione. Poich dotato di una mente razionale, luomo lunico
essere che pu e deve comprendere la legge razionale divina e adattarsi intenzionalmente
ad essa. Data questa impostazione, evidente che gli stoici valorizzano la condizione
civile dellumanit e quindi prescrivono di ottemperare a tutti i doveri sociali e politici.
Tuttavia, gli stoici ammettono che la razionalit della legge divina include eventi
momentanei irrazionali, ossia ingiusti o dolorosi, bench comunque positivi nel lungo
periodo in quanto mezzi necessari per raggiungere un maggior grado di razionalit.
Come antidoto allingiustizia e al dolore momentanei, essi propugnano il rifugio
nellinteriorit della mente, cio il libero esercizio del pensiero, che niente e nessuno pu
impedire e che immune alle sofferenze corporali. Sviluppando questo atteggiamento, gli
stoici praticano ladattamento alle convenzioni sociali e alle leggi statali come mera
rappresentazione teatrale, cio come finzione, affermando che lo stoico deve recitare il
suo ruolo sociale come un attore, cio mantenendo un completo distacco interiore dalla
parte recitata. In questo modo, gli stoici sono convinti che si possano accettare
impassibilmente anche le peggiori disgrazie.
Daltra parte, in condizioni di estrema e improduttiva sofferenza, gli stoici proclamano il
ricorso al suicidio.
310
VITE DI CAPITANI
ZENONE, CLEANTE, CRISIPPO
La prima scuola stoica, cio lo stoicismo antico, ebbe tre maestri: Zenone, Cleante e
Crisippo.
Zenone, il fondatore, nacque a Cizio, sullisola di Cipro, intorno al 335 a.C. da genitori
fenici e si trasfer ad Atene poco pi che ventenne. Ci stato tramandato che in una bottega
di libri, ud leggere un passo dei Memorabili di Senofonte sul comportamento di Socrate.
Ammaliato, Zenone chiese dove poteva trovare uomini come Socrate e gli fu indicato il
cinico Cretete, di cui effettivamente si fece discepolo. Intorno al 300, Zenone apr la
propria scuola, collocata nella sto poikle (portico dipinto), il grande portico pubblico
vicino allagor (piazza centrale) ateniese. Anche con questa collocazione nel centro della
pi grande citt greca, Zenone si differenzi da Epicuro, che aveva scelto di vivere fuori
delle mura, e dai cinici, che vagabondavano senza fissa dimora.
Vittima di un male incurabile e doloroso, Zenone si diede volontariamente la morte nel 262
a.C. Nonostante fosse straniero, in onore alla sua filosofia, fu seppellito nel cimitero di
Atene, a spese della plis e con una cerimonia pubblica ufficiale.
Delle sue opere, andate tutte perdute, ci rimangono solo testimonianze indirette.
Cleante nacque a Asso, nella Troade. Una testimonianza ci ha tramandato che
inizialmente svolse lattivit di pugile. Trasferitosi ad Atene divenne allievo di Zenone e si
mantenne lavorando di notte come portatore dacqua. Alla morte di Zenone, Cleante gli
successe come caposcuola, ma volle continuare a lavorare per mantenersi. Nel 232, a 99
anni, decise di lasciarsi morire digiunando, a causa, sembra, di una grave ulcera.
Della sua opera ci rimangono 40 versi dellInno a Zeus, nel quale, in forma poetica, aveva
sintetizzato la filosofia stoica. Dei numerosi trattati che scrisse ci sono rimasti solo
frammenti e testimonianze.
Crisippo nacque a Soli, nei pressi di Tarso, sulla costa meridionale dellAnatolia, verso il
277. Forse in seguito a un dissesto economico, si trafer ad Atene dove fu prima allievo e
poi successore di Cleante. Mor tra il 208 e il 204. Ci stato tramandato che sarebbe morto
per le risate vedendo che il suo asino, cui aveva dato del vino, cercava di mangiare dei fichi.
Delle sue numerosissime opere, circa 700, ci rimangono solo alcuni frammenti.
311
TAPPA 1
GLI STOICI: IL COSMO E MATERIA RAZIONALE E DIVINA
O pi glorioso degli immortali, sotto mille nomi sempre onnipotente,
Zeus, signore della natura, che con la legge governi ogni cosa,
Salve; perch sei tu che i mortali han diritto d'invocare.
Da te infatti siam nati, provvisti dell'imitazione che esercita la parola,
Soli tra tutti gli esseri che vivono e si muovono sulla terra;
Cos io ti celebrer e senza sosta canter la tua potenza.
E a te che tutto il nostro universo, girando attorno alla terra,
Obbedisce ovunque lo conduci, e volentieri subisce la tua forza;
Cos grande lo strumento che tieni tra le tue mani invitte,
Il fulmine a due punte, fiammeggiante, eterno.
Sotto i suoi colpi, tutto si rafferma;
Per suo mezzo reggi la Ragione universale, che attraverso tutte le cose
Circola, mista al grande astro e ai piccoli;
Grazie ad esso sei diventato cos grande ed eccoti re sovrano attraverso i
[tempi.
Senza di te, o Dio, non si fa niente sulla terra,
N nel divino etere del cielo, n nel mare,
Tranne che quel che ordiscono i malvagi nella loro follia.
Ma tu sai riportare gli estremi alla misura,
Ordinare quel che senz'ordine, e i tuoi nemici ti divengono amici.
Perch tu hai armonizzato cos bene insieme il bene e il male
Che vi per ogni cosa una sola Ragione eterna,
Quella che fuggono e abbandonano i perversi tra i mortali,
Disgraziati, che desiderano senza sosta il possesso dei (pretesi) beni,
E non badano alla legge universale di Dio, n l'ascoltano,
Mentre, se le obbedissero con intelligenza avrebbero una nobile vita;
Da se stessi si gettano, insensati, da un male all'altro;
Questi, spinti dall'ambizione, alla passione delle contese;
Quelli, volti al guadagno, senza alcun principio;
Altri, sfrenati nella licenza e nei piaceri del corpo,
(Insaziabili) vanno da un male all'altro
E fan di tutto perch succeda loro proprio il contrario di quel che desiderano.
Ah! Zeus, benefattore universale, dai cupi nembi, signore della folgore,
Salva gli uomini dalla loro funesta ignoranza;
Dissipa questa, o padre, lungi dalle loro anime; e concedi loro di scorgere
Il pensiero che ti guida per governare tutto con giustizia,
Affinch, onorati da te, ti rendiamo anche noi grande onore,
312
Secondo gli stoici, il cosmo una realt unicamente materiale organizzata, governata e
perennemente trasformata da una legge razionale unica, la Ragione. Infatti la materia che
costituisce ogni cosa possiede due aspetti, opposti ma complementari:
1) un aspetto passivo, irrazionale e informe che costituisce il sostrato ovvero la
consistenza fisica di ogni cosa;
2) un aspetto attivo, razionale e formativo che costituisce il principio dellorganizzazione
e del mutamento di ogni cosa.
Laspetto attivo, o Ragione, ulteriormente connotato dagli stoici come Soffio infuocato,
cio come una sorta di vento caldo. In questo modo gli stoici, pur ribadendone la natura
materiale, ne evidenziano la specificit, ovvero il carattere per cos dire microscopico, e
quindi impercettibile. In altre parole il Soffio consiste in una materia talmente sottile e
rarefatta da renderlo invisibile, impalpabile e imponderabile.
313
Ma cosa avverr dopo lesplosione e il ritorno alla condizione originaria? Tutto ricomincer
da capo, rispondono gli stoici. Insomma, allesplosione/contrazione del cosmo seguir una
sua nuova generazione/espansione fino a una nuova esplosione/contrazione e cos via in
314
eterno. Soprattutto, per, secondo gli stoici, ogni nuova fase di generazione/espansione si
realizzer allo stesso modo di tutte quelle precedenti e successive. In altre parole ogni volta
si genereranno le stesse cose e si ripeteranno per filo e per segno gli stessi eventi. P.e.,
rinascer lo stesso Socrate, che comincer a chiedere a tutti gli ateniesi che cos ?, che
sar processato e infine morit bevendo la cicuta tra i suoi pi fedeli discepoli.
Ma come argomentano gli stoici la loro tesi dellinfinito ripetersi degli stessi avvenimenti?
Essi affermano innanzitutto che il cosmo e il suo divenire sono perfetti, in quanto sono
costituiti e governati dal Dio/Soffio/Ragione. Ci significa che il numero e la variet degli
esseri naturali e insieme il concatenarsi e il susseguirsi degli avvenimenti sono generati e
organizzati in modo tale da concorrere a un unico fine positivo, cio producono il massimo
bene. In questa prospettiva ogni cosa e ogni evento sono dominati da un destino
ineluttabile, ovvero sono necessari e immodificabili. Ma tale destino razionale, e come
tale non solo finalistico ma anche provvidenziale, ovvero si attua sempre in modo tale da
produrre alla fine il maggior bene possibile per ogni essere. Gli eventi negativi, in questo
senso, sono solo apparentemente tali, in quanto sono solo mezzi transitori per realizzare
un bene maggiore.
Dunque, tutti gli eventi cosmici devono ripetersi eternamente in quanto anche il minimo
cambiamento per gli stoici equivarrebbe a un peggioramento, cio sarebbe irrazionale.
315
316
TAPPA 2
GLI STOICI: LA FELICITA E LIMPASSIBILITA
Per questo motivo il fine costituito dal vivere secondo natura, cio secondo
la natura singola e la natura delluniverso, nulla operando di ci che suole
proibire la legge a tutti comune, che identica alla retta ragione diffusa per
tutto luniverso ed identica anche a Zeus, guida e capo delluniverso. Ed in
ci consiste la virt delluomo felice e il facile corso della vita, quando tutte le
azioni compiute mostrino il perfetto accordo del demone che in ciascuno di
noi col volere del signore delluniverso.
Diogene Laerzio, Vite dei filosofi, libro VII
Gli Stoici proclamano la comunanza delle donne tra i sapienti, s che ogni
uomo possa avere relazione con ogni donna [...]. Ameremo cos tutti i bambini
di uguale amore paterno e avr fine la gelosia derivata dalladulterio.
Diogene Laerzio, Vite dei filosofi, Laterza, 1976
Secondo gli stoici tutto il cosmo permeato e guidato da Dio/Soffio/Ragione. Per essi
dunque natura e ragione, leggi naturali e leggi razionali coincidono. In altri termini la
natura in s stessa razionale. Da questo punto di vista, per gli stoici qualsiasi essere si
comporta bene quando segue la natura, cio quando agisce in base al principio
natural/razionale dell appropriazione. Con questo concetto gli stoici intendono al tempo
stesso:
lagire che si conforma alla natura cosmica, cio a Dio/Soffio/Ragione;
lagire che realizza effettivamente la natura propria di ogni essere, come specie e
come singolo.
Questi due aspetti dellappropriazione, quello individuale e quello universale, sono
condizione e insieme conseguenza luno dellaltro. In altre parole, lappropriazione, in
generale, la tendenza di ogni cosa a conservarsi e accrescersi in rapporto allambiente di
cui parte. Tale rapporto comporta sia un adattamento passivo, cio un conformarsi agli
elementi e alle leggi dellambiente, sia un adattamento attivo, cio un utilizzo/sfruttamento
dellambiente. Il primo condizione del secondo.
317
attua nella modalit dellistinto. Da questo punto di vista, la specie umana si differenzia da
tutte le altre perch in essa lappropriazione si realizza in modo coscientemente razionale.
La natura peculiare delluomo infatti coincide con la sua intelligenza e pertanto
appropriarsi di s stesso per lindividuo umano significa appropriarsi innanzitutto e
soprattutto della sua intelligenza. La condizione generale perch luomo possa appropriarsi
della sua intelligenza lappropriarsi, cio il rendersi conforme, alla ragione universale,
cio al destino. In altre parole luomo deve far coincidere la propria ragione individuale con
la ragione universale che governa tutte le cose e tutti gli eventi.
Per chiarire questa loro concezione, gli stoici utilizzano lallegoria di un cane legato a un
carro in movimento. Il cane pu muoversi volontariamente nella stessa direzione del carro,
oppure pu cercare di muoversi in altre direzioni piuttosto che rimanere inerte. Qualunque
cosa faccia si muover comunque nella direzione imboccata dal carro. Nel primo caso per
star bene, nel secondo soffrir o addirittura morir. E appena il caso di precisare che il
carro rappresenta il destino e insieme la natura/ragione, mentre il cane luomo e pi in
generale ogni essere naturale. Lallegoria del carro e del cane sintetizzata da Seneca nella
massima il destino accompagna chi lo vuole, trascina chi gli si oppone (Ducunt volentem
fata, nolentem trahunt). Lindicazione pratica conseguente che ogni uomo deve
comprendere con la sua ragione quale sia il corso del destino e scegliere di assecondarlo,
cio di contribuire alla sua attuazione. Insomma la libert umana per gli stoici consiste
nelladerire volontariamente e attivamente al destino.
Su queste basi, a giudizio degli stoici lappropriazione umana si realizza in due modi
fondamentali:
1) il vizio;
2) la virt.
Vizio e virt rappresentano rispettivamente il minimo e il massimo grado di
appropriazione. Il vizio consiste nel comportamento irrazionale, cio nel comportamento
che non si basa sulla ragione individuale e non si conforma alla Ragione universale. Il
comportamento vizioso infatti guidato dalle passioni, cio dalle emozioni istintive che
luomo appunto patisce, ossia subisce passivamente, in quanto implicano la rinuncia
alluso della ragione e quindi alla libera scelta volontaria. In parole semplici le passioni
rendono luomo schiavo, o burattino, dei suoi istinti e quindi luomo vizioso o malvagio
luomo che si comporta meccanicamente e sotto coercizione. Al tempo stesso lazione
viziosa o malvagia quella pi erronea e inefficace, ovvero quella che conduce prima o poi
allinfelicit.
La virt, cio lappropriazione massima, coincide invece con luso e lattuazione della
razionalit, cio con il comportamento pi razionale. In questo senso la virt coincide con
limpassibilit, cio con uno stato danimo lucidamente sereno perch non offuscato n
agitato da alcuna passione. Il comportamento virtuoso dunque lunico comportamento
318
davvero libero, dal momento che si basa sulla scelta consapevole e volontaria della ragione
che sottrae luomo alla schiavit nei confronti delle passioni. Esso al contempo il
comportamento pi efficace, cio quello capace di garantire alluomo la felicit.
Queste definizioni generali della virt e del vizio, nello specifico, portano gli stoici ad
accogliere le virt filosofiche tradizionali (prudenza, moderazione, giustizia, coraggio, ecc.)
e a respingere i vizi filosofici tradizionali (vilt, ingiustizia, intemperanza, spericolatezza,
ecc.), a cui, tuttavia, aggiungono la compassione, lumilt e lamore (cui contrappongono la
virt dellamicizia).
Tra i comportamenti virtuosi e quelli viziosi esiste, per, secondo gli stoici, una terza specie
intermedia di comportamenti che sono eticamente neutri, cio di per s n viziosi n
virtuosi. Tali comportamenti sono quelli relativi alle diverse condizioni materiali possibili,
p.e. la salute e la malattia, la ricchezza e la povert, ecc. Tutte le condizioni materiali,
affermano gli stoici, sono eticamente indifferenti, nel senso che la scelta tra virt e vizio
non dipende da esse. In altre parole pu esserci un vizioso povero tanto quanto un vizioso
ricco, cos come un virtuoso malato tanto quanto in perfetta salute fisica.
Tuttavia, una volta stabilito che luomo pu e deve essere virtuoso quali che siano le sue
condizioni materiali, gli stoici sostengono anche che beni indifferenti quali la bellezza, la
forza, la ricchezza, la salute, la fama, il piacere, la nobilt sono da preferire; mentre
indifferenti quali la bruttezza, la debolezza, la povert, la malattia, il dolore, il disonore, la
volgarit sono da evitare. Di conseguenza, gli stoici chiamano convenienti i
comportamenti volti a conseguire, conservare e accrescere gli indifferenti preferibili e
sconvenienti i comportamenti opposti. Tra i comportamenti convenienti gli stoici
annoverano anche e innanzitutto i doveri sociali e politici, cio amare i genitori e la patria,
obbedire alle leggi, svolgere le proprie funzioni civiche, ecc. In questo senso, letica stoica si
caratterizza come unetica del dovere (contrapposta alletica del piacere epicurea e alletica
della licenza cinica).
Lideale etico degli stoici rappresentato dalla figura del saggio, cio delluomo
stabilmente virtuoso che agisce sempre perfettamente. Il saggio gode della massima felicit
in quanto la felicit , per cos dire, una propriet intrinseca della virt. In altre parole la
virt condizione necessaria e sufficiente della felicit. Ci comporta, da un lato, che la
felicit non pu essere conquistata se non grazie alla virt; dallaltro, che il comportamento
virtuoso non ha bisogno di alcun premio n terreno n ultraterreno. Naturalmente ci vale
anche, simmetricamente, per il vizio: esso la punizione di se stesso, in quanto procura
linfelicit, e dunque non c bisogno per punire il malvagio di alcun castigo n umano n
divino.
319
Nella loro valorizzazione della virt, gli stoici giungono ad affermare che il saggio gode di
una condizione divina. Dio, infatti, razionale, impassibile e libero, e quindi felice, non pi
di quanto possa esserlo un uomo che raggiunga la virt perfetta.
Gli stoici stabiliscono una netta linea di demarcazione tra i pochi uomini saggi e la
maggioranza degli uomini stolti. In questo senso essi sostengono una sorta di elitarismo
intellettuale ed etico che ha il suo rovescio nello sprezzo delluomo comune. Tuttavia gli
stoici sono i primi filosofi a sostenere apertamente e totalmente che tutti gli uomini
possono diventare saggi indipendentemente da ogni differenza di classe, di razza e di
nazionalit. Insomma per gli stoici possibile che uno schiavo barbaro sia saggio e dunque
che egli sia il vero nobile mentre il suo padrone il vero schiavo.
Il fondamento di questa rivoluzionaria tesi la natura uniforme della specie umana, dalla
quale consegue non solo che tutti gli uomini sono dotati della stessa capacit razionale ma
anche che esiste una legge naturale universale che spinge tutti gli uomini ad unirsi
socialmente e politicamente. In questo senso gli stoici si sentivano e si dichiaravano, prima
ancora e pi che cittadini di uno stato storico, cittadini del mondo e anzi del cosmo intero,
dal momento che anche gli dei sono accomunati agli uomini dalla stessa legge naturale.
320
TAPPA 3
GLI STOICI: IL RAGIONAMENTO DEVE ESSERE PROPOSIZIONALE
Dicono gli Stoici che alla nascita dellessere umano la parte direttiva [la
ragione] della sua anima come una pergamena ben disposta ad essere
impressa dalla scrittura, e in essa viene segnata di volta in volta ogni nozione.
La prima forma di tale scrittura la sensazione.
Aezio, Placita, libro IV, 11
Zenone questa stessa cosa la rappresentava con gesti. Mostrando
allinterlocutore in faccia la mano aperta con le dita tese, diceva: La
rappresentazione cos. Poi, contraendo un poco le dita: Lassenso cos.
Stretta poi la mano a pugno, diceva: Questa la comprensione: e proprio da
questo paragone fu indotto a dare a questa un nome che prima non esisteva,
katlepsis. Accostata poi alla destra la sinistra, e con questa afferrato
fortemente e compresso ad arte il pugno chiuso, diceva che quella era la
scienza, e che era cosa tale che nessuno, fuorch il sapiente, poteva
rendersene padrone.
Cicerone, Academica priora, libro II, 144
Dicevano che vi sono tre cose strettamente collegate luna con laltra, il
significato, il significante, loggetto vero e proprio: significante
lespressione, per esempio il nome Dione; significato la realt che esso
indica e di cui noi abbiamo comprensione come di qualcosa che si pone di
fronte al nostro pensiero (i barbari non lo afferrano, pur intendendo il suono
materiale della voce); loggetto ci che esterno al pensiero, in questo caso,
per esempio, Dione in carne ed ossa. Di queste cose, due sono corporee,
lespressione vocale e loggetto; una, la realt significata, invece incorporea,
e prende appunto il nome di significato.
Sesto Empirico, Adversus logicus, libro II, 11
La dimostrazione, essi dicono, un ragionamento che, attraverso premesse
convenute, per via deduttiva rivela una conclusione non evidente. Ci che
intendono dire risulter pi chiaro da quanto segue. Ragionamento un
insieme composto di premesse e conclusione. Si dicono premesse di esso le
proposizioni assunte di comune accordo per stabilire la conclusione;
conclusione, invece, la proposizione stabilita a partire dalle premesse. Per
esempio in questo ragionamento: Se giorno, c luce; ma giorno, dunque
321
Secondo gli stoici, come abbiamo visto, il requisito essenziale della felicit limpassibilit,
cio un comportamento per nulla influenzato dalle emozioni ma dettato unicamente dalla
ragione. Solo lesercizio della propria ragione, infatti, d alluomo la capacit di
comprendere la Ragione cosmica il Pneuma-Dio di tutte le cose e quindi gli permette di
conformare le proprie azioni ad essa, stante che la felicit consiste proprio nella sintonia
tra lagire individuale e la Legge razionale che permea e governa tutta la realt.
Ma lesercizio della ragione altro non che la ricerca conoscitiva, ossia la scienza. Pertanto,
lattivit scientifica per gli Stoici, da un lato, lo strumento fondamentale per raggiungere
il fine etico della felicit, dallaltro in se stessa suo conseguimento, in quanto il suo
svolgimento infonde gi di per s felicit. Data questa prospettiva, gli stoici si impegnano a
fondo nellelaborazione della Logica, intesa in senso lato come teoria della conoscenza e,
stricto sensu, del linguaggio e del ragionamento (o argomentazione).
322
Secondo gli stoici, ma solo in prima approssimazione, alla nascita la mente umana come
un foglio bianco che in seguito viene sempre pi scritto a causa delle sensazioni. Dunque
per gli stoici la sensibilit condizione necessaria della conoscenza. Ma non sufficiente. Le
sensazioni, infatti, sono solo lavvio del processo conoscitivo. Per esemplificarlo, gli stoici
ricorrono a unaltra similitudine, quella di una mano con le dita tese che poi si incurvano
fino a chiudersi nel pugno che infine viene avvolto e stretto dallaltra mano. Lanalogia
gestuale indica che il processo conoscitivo consta di quattro momenti/operazioni:
1. la mano aperta rappresenta la sensazione, intesa come limpronta che loggetto
esterno produce sul corpo, e che viene immediatamente percepita dalla mente, cio
trasformata in rappresentazione (o immagine) mentale cosciente (che la memoria
pu conservare);
2. la mano semichiusa rappresenta lassenso che la mente pu accordare o non
accordare alla rappresentazione a seconda che la giudichi vera o falsa;
3. la mano chiusa a pugno corrisponde alla rappresentazione apprensiva, cio
allapprendimento effettivo (anzich allignoranza), allincameramento mentale, del
contenuto conoscitivo della sensazione che ha ricevuto lassenso, ossia che stata
giudicata vera;
4. lunione di entrambe le mani rappresenta la scienza, intesa come accumulo ma
anche e soprattutto concatenamento, ovvero ordinamento, di rappresentazioni
apprensive.
323
umana una parte del Pneuma-Ragione. Dunque la mente umana non pu non avere una
capacit autonoma di riconoscimento del vero, a maggior ragione perch essa solo
materia attiva e razionale, al contrario dei corpi, fonti delle sensazioni, che sono un misto
di materia passiva e irrazionale e di materia attiva e razionale.
La concezione del concetto degli stoici strettamente legata alla loro teoria del linguaggio,
secondo la quale il linguaggio costituito da tre elementi fondamentali:
1. il significante, cio un insieme di suoni o di segni grafici, ovvero una parola detta
o scritta, p.e. cavallo, che ha la funzione di contrassegnare e comunicare un
determinato significato;
2. il significato, cio il concetto, ovvero il contenuto mentale universale, che il
significante designa, p.e. mammifero quadrupede che nitrisce;
3. la cosa reale individuale ovvero una singola rappresentazione apprensiva cui
il significato/concetto si riferisce, p.e. un singolo cavallo corporeo, come
Bucefalo.
Lenunciato Bucefalo un cavallo, secondo gli stoici, una conoscenza razionale in
quanto contiene i tre elementi sopra definiti. Questo significa che la conoscenza razionale
per gli stoici coincide con il linguaggio, o quantomeno con luso rigoroso e quindi veritiero
del linguaggio, ossia con il linguaggio scientifico. Ma la dottrina stoica del significato
spiega anche e soprattutto la natura dei concetti. Dal momento che le cose reali, ossia
fisiche, sono sempre individuali, i concetti, in quanto sono universali, non sono cose reali,
ma espressioni, cio costruzioni linguistiche, ossia dei prodotti artificiali della mente.
Ma in che modo la mente costruisce i concetti, ovvero il linguaggio scientifico? Attraverso
operazioni mentali di confronto, scombinazione e ricombinazione delle rappresentazioni
apprensive, rispondono gli stoici, confermando cos che per loro la mente umana non
324
solo un foglio bianco scritto dalle sensazioni, ma anche un elaboratore attivo delle
sensazioni, necessariamente dotato pertanto di criteri autonomi di elaborazione.
Lattivit e la produttivit della mente, secondo gli stoici, raggiungono il massimo livello
nei ragionamenti, che costituiscono il traguardo e il vertice della scienza. Dunque la
scienza, per gli stoici, parte dalle sensazioni vere (o rappresentazioni apprensive) per
utilizzarle come elementi di base per la costruzione di concetti con i quali produrre
ragionamenti le cui conclusioni costituiscono la conoscenza vera e propria.
Di conseguenza, gli stoici dedicano grande attenzione alla teoria dei ragionamenti, da essi
denominata dialettica. La loro prima novit in questo senso che il ragionamento deve
essere inteso e condotto come una connessione di proposizioni, anzich di termini. La
realt naturale, infatti, non un insieme di cose separate e statiche, ma un processo, cio
un sistema di eventi correlati. Mentre i termini si riferiscono alle cose, le proposizioni i
cui elementi decisivi sono i verbi, cio le parole che designano le azioni corrispondono
agli eventi. Pertanto, concludono gli stoici, solo i ragionamenti proposizionali ci
permettono di conoscere scientificamente la realt.
In secondo luogo, gli stoici distinguono due tipi di ragionamenti proposizionali:
quelli ipotetici, basati su una premessa se p allora q (Se piove, allora si formano
pozzanghere);
quelli disgiuntivi, basati su una premessa o p o q (O piove o nevica), nella quale
ognuno dei due eventi esclude laltro.
Fatta questa distinzione, il nucleo della dialettica stoica consiste nello stabilire la
concludenza dei ragionamenti, ovvero la loro validit. A tal fine, gli stoici individuano
cinque modelli due ipotetici e tre disgiuntivi di ragionamenti validi:
1. Se p allora q; ma p, dunque q (Se piove ci sono nuvole; ma piove, dunque ci sono
nuvole).
2. Se p allora q; ma non q, dunque non p (Se piove ci sono nuvole; ma non ci sono
nuvole, dunque non piove).
3. Non sia p sia q; ma p dunque non q (Non si pu nuotare e rimanere asciutti; ma lui
nuota, dunque non asciutto).
4. O p o q; ma p dunque non q (O giorno o notte; ma giorno, dunque non notte).
5. O p o q; ma non q, dunque p (O giorno o notte; ma non notte, dunque
giorno).
Dai primi due modelli si ricava che i ragionamenti ipotetici sono quelli basati su
unimplicazione (pq), ossia su una correlazione non reversibile (a differenza di quella di
equivalenza p q), e che essi sono validi solo in due casi: quando allaffermazione
dellantecedente (p) segue laffermazione del conseguente (q) e quando alla negazione del
325
Una volta che sia valido, secondo gli stoici, un ragionamento anche vero quando le sue
premesse sono vere, cio si basano su rappresentazioni apprensive. Ma gli stoici non si
accontentano di garantirsi la verit in generale, ma vogliono raggiungere soprattutto la
verit scientifica, che per loro consiste nellindividuazione delle cause dei fenomeni
naturali. In questo senso, gli stoici chiamano i ragionamenti scientifici dimostrativi,
appunto in quanto sono quelli che dimostrano le cause effettive degli eventi. E nei
ragionamenti dimostrativi che la forma ipotetica (se p allora q) appare quella pi adeguata
a codificare e cos a conoscere i rapporti reali di causa ed effetto. Essi possono essere di tre
tipi, a seconda che la conclusione valga per il presente, il passato o il futuro:
1. Se c fumo nel bosco, allora c un incendio; ma c fumo nel bosco, dunque c un
incendio.
2. Se una donna ha latte nel seno, allora ha partorito; ma questa donna ha latte nel
seno, dunque ha partorito.
3. Se la pressione si alza, verr il bel tempo; ma la pressione si sta alzando, dunque
verr il bel tempo.
Questultimo esempio, quello di ragionamento dimostrativo relativo al futuro, assume per
gli stoici un valore particolare perch rende la scienza capace di previsione, permettendo
agli uomini di prepararsi nel migliore dei modi agli eventi futuri, sfruttandone al massimo i
vantaggi o diminuendone il pi possibile i danni, e, pi ingenerale, consentendo loro di
sintonizzarsi al massimo grado con il corso razionale del Destino, condizione necessaria e
sufficiente per godere della felicit.
Infine, gli stoici valorizzano la riflessione logica sui paradossi, ovvero su proposizioni
autocontraddittorie scoperte da altri filosofi (soprattutto da Eubulide di Megara). I due
casi pi interessanti sono i seguenti:
Il paradosso del Mentitore: Epimenide il cretese afferma: Tutti i cretesi mentono.
Laffermazione di Epimenide non pu essere giudicata n vera n falsa perch
appare sia vera sia falsa: infatti, se la consideriamo vera allora Epimenide, essendo
cretese, deve aver mentito, quindi la sua affermazione falsa; ma anche se la
consideriamo falsa, allora Epimenide ha mentito, dunque, essendo cretese, la sua
affermazione vera.
Il dilemma del coccodrillo: un coccodrillo ghermisce un bimbo, la mamma se ne
accorge e lo prega di ridarglielo, il coccodrillo allora le promette che glielo ridar
solo se la mamma indoviner se lui accetter oppure no la sua richiesta; poich la
326
mamma gli risponde che avrebbe mangiato il suo bimbo, il coccodrillo le replica che
non poteva darle il figlio in quanto in tal caso lei non avrebbe indovinato le sue
intenzioni e dunque lui non era tenuto a soddisfare la sua richiesta, ma a sua volta la
mamma controbatte che lui non poteva divorare suo figlio perch in tal caso lei
avrebbe indovinato le sue intenzioni e lui pertanto avrebbe dovuto restituirle il
figlio.
In entrambi i casi (il secondo una variante elaborata del primo), il problema logico
consiste nel fatto che una proposizione pu implicare due conseguenze logiche tra loro
contraddittorie senza che sia possibile stabilire quale tra le due sia quella valida. Di pi,
ognuna delle due conseguenze implica la verit dellaltra che per contraddice la prima,
cio ne attesta la falsit. In altre parole, questi due paradossi violano la regola logica dei
ragionamenti disgiuntivi, secondo la quale se vero p allora q falso e viceversa, in quanto
in tal caso sia p sia q sono entrambi sia veri sia falsi. Ma tale regola altro non che quella
del principio di non-contraddizione. Dunque i paradossi logici sembrano mettere in dubbio
il fondamento stesso della logica, e quindi della conoscenza umana, attestandone la
limitatezza e la fallibilit. Ma gli stoici li considerano invece dei problemi che si possono
risolvere e che stimolano la ricerca di regole logiche pi profonde e pi complesse.
327
328
329
LO SCRIGNO
LEON LEDERMAN: LEFFETTO TUNNEL
Un altro fenomeno controintuitivo leffetto tunnel. Abbiamo gi parlato
della possibilit di scagliare degli elettroni contro una barriera denergia.
Lanalogo classico il far rotolare una pallina su per un pendio. Se date alla
pallina una spinta iniziale sufficiente, essa riuscir ad andare oltre la
sommit. Se lenergia iniziale troppo debole, la pallina torner indietro. [...]
Descrivendo quello che succede agli elettroni scagliati contro una barriera
energetica o a un elettrone intrappolato fra due barriere, invece, dobbiamo
usare onde di probabilit. Succede che qualcuna delle onde possa sgusciare
attraverso la barriera (nei sistemi atomici o nucleari la barriera elettrica
oppure uninterazione forte), e perci c una probabilit finita che la
particella si liberi dalla trappola.
L. Lederman, La particella di Dio, Mondadori 1996, pp. 195-196
NORMAN DOIDGE: ECCITAZIONE E APPAGAMENTO
La pornografia pi eccitante che appagante, poich nel cervello abbiamo due
distinti sistemi del piacere, uno che ha a che fare con leccitazione, e un altro
che regola la soddisfazione del piacere. Il sistema delleccitazione in
relazione con il piacere appetitivo che proviamo immaginando qualcosa che
desideriamo, che si tratti di sesso o di un pasto gustoso. Dal punto di vista
neurochimico, questo sistema ampiamente connesso con la dopamina e
aumenta il nostro livello di tensione. Il secondo sistema del piacere ha a che
fare con la gratificazione, o piacere consumatorio, il quale accompagna
unesperienza sessuale concreta o la consumazione di un pasto gustoso,
quindi un piacere rilassante e appagante. Dal punto di vista neurochimico,
questo sistema si basa sul rilascio delle endorfine, sostanze oppiacee che
danno un senso di profonda rilassatezza e benessere.
N. Doidge, Il cervello infinito, Ponte delle Grazie, 2007 (2007), pp. 121-122
VITO MANCUSO: LENERGIA CONTIENE UN PRINCIPIO ORDINATORE
IMPERSONALE
La sede del divino dentro ogni cosa, dentro ogni ente naturale, dentro ogni
fenomeno ordinato. Se lessere energia, come insegna la fisica, e se lenergia
produce fenomeni ordinati, come attestano i nostri sensi, ci significa che
330
331
ROTTA SU
LA FELICITA COME ACCETTAZIONE DEL NON-SENSO DELLA VITA:
LO SCETTICISMO
Riprendendo il relativismo conoscitivo ed etico dei sofisti (che da questo punto di vista si
possono considerare, degli scettici ante litteram) e soprattutto del pi radicale dei
sofisti, cio Gorgia gli scettici incardinano la loro proposta etica sulla tesi
dellinesistenza di qualsiasi ordine razionale della realt e della conseguente impossibilit
per luomo di possedere qualsivoglia verit.
Essi, pertanto, a livello teorico-metafisico, rigettano qualsiasi ricerca e qualsiasi
discussione; e a livello pratico, propugnano lindifferenza, ossia un atteggiamento basato
sulla convinzione che qualsiasi condizione di vita va accettata e vissuta, in quanto
equivalente a tutte le altre.
Tuttavia, a questa posizione di principio gli scettici affiancano una ricetta di vita
caratterizzata dal pragmatismo, cio dalla scelta del comportamento pi efficace al fine
di conseguire la felicit, intesa come imperturbabilit. In questo senso, a livello
conoscitivo, essi ammettono una ricerca empirica basata sul confronto delle sensazioni e
finalizzata a individuare parziali uniformit di propriet ed eventi; a livello pratico,
giungono, invece, a proporre il conformismo, cio ladeguamento allo stile di vita e alle
regole di comportamento della comunit civile di cui si fa parte.
332
VITA DI CAPITANI
PIRRONE E TIMONE
Iniziatore dello scetticismo (dal greco skpsis=indagine, nel senso di ricerca continua in
antitesi alla convinzione di possedere la verit definitiva, ovvero al dogmatismo) fu
Pirrone che nacque a Elide, nel Peloponneso, tra il 365 e il 360 a.C. e fu discepolo prima
di filosofi socratici, in particolare dei megarici, e poi di un allievo di Democrito.
Ma la sua esperienza decisiva fu la partecipazione alla spedizione militare di Alessandro
Magno in Oriente, grazie alla quale entr in contatto diretto con le tradizioni sapienziali
mediorientali come quella dei magi persiani, sacerdoti del mazdeismo (o religione
zoroastriana) e perfino con quella indiana dei gimnosofisti, i quali teorizzavano e
praticavano una condotta di vita ascetica.
Morto Alessandro, Pirrone torn a Elide dove insegn fino alla sua morte tra il 275 e il 270
a.C. Seguendo il modello filosofico socratico, non scrisse nulla (ad eccezione di un carme
elogiativo di Alessandro), ma il suo insegnamento orale fu trascritto dal suo discepolo
Timone di Fliunte (citt del Peloponneso dove nacque nel 325/320), delle cui opere ci
rimangono per solo alcuni frammenti e varie testimonianze.
333
TAPPA 1
GLI SCETTICI: FELICITA E INDIFFERENZA E CONFORMISMO
Orbene, egli dice che Pirrone mostra che le cose sono ugualmente
indifferenziate, immisurabili e indiscriminabili e per questo n le nostre
sensazioni n le nostre opinioni possono essere vere oppure false. Per
conseguenza, non bisogna accordare a esse fiducia, ma bisogna essere senza
opinione, senza inclinazione, senza agitazione, affermando di ciascuna cosa
che non pi di quanto non , oppure che e non , oppure che n n non .
Coloro che si mettono in questa disposizione conseguiranno, dice Timone, in
primo luogo lafasia e limperturbabilit.
Aristocle, Frammenti, fr. 6 Heiland
Il termine scetticismo deriva dal greco skpsis che significa indagine. Gli scettici
adottano questo nome perch essi credono che la vita debba essere una ricerca continua e
senza fine, ossia senza alcuna conclusione certa e definitiva. Il presupposto di questa
concezione la tesi secondo cui la realt non essere, cio non costituita da nessun
principio unitario e universale, sia fisico come acqua, indivisibili, soffio, ecc. sia
metafisico come le idee o le essenze. Di conseguenza per gli scettici tutte le cose sono:
indifferenziate, cio non organizzate e ordinate in base a criteri universali che
permettano di distinguerle e classificarle;
immisurabili, cio non determinabili quantitativamente ma anche pi in generale
non definibili n valutabili;
indiscriminabili, cio non distinguibili e non selezionabili nel senso che di nessuna
si pu stabilire che sia superiore o migliore rispetto a unaltra.
In una parola, secondo gli scettici la realt non possiede alcun ordine razionale, cio caos
ossia disordine.
Dato che la realt caotica, per gli scettici non hanno alcun fondamento veritativo n la
conoscenza sensibile n la conoscenza razionale. Di conseguenza gli scettici indicano come
unico comportamento teoretico adeguato quello basato:
334
In altre parole gli unici giudizi e proposizioni che gli scettici ammettono sono quelli
contraddittori, ovvero quelli che negano ci che affermano e affermano ci che negano.
(Oggi li chiameremmo nonsense.) Ma soprattutto in questo modo gli scettici rigettano
quello che i filosofi razionalisti avevano considerato come il primo principio razionale,
ordinatore della realt e del pensiero, cio il principio di non-contraddizione.
Allastensione dal giudizio e allafasia teoretiche corrisponde sul piano pratico il principio
etico dellindifferenza (adiafora). In altri termini, per gli scettici ogni cosa, ogni
situazione, ogni attivit vale laltra. Lo scettico dunque pu fare le cose pi umili e
ripugnanti come quelle pi onorevoli e attraenti nello stesso modo, ovvero con totale
distacco. Ci vale anche nel caso in cui ci si trovi in situazioni pericolose, offese oppure
conflitti.
In questa prospettiva, gli scettici giungono a sostenere addirittura che nei confronti della
realt bisogna essere insensibili. Questa tesi risulta comprensibile considerando che ogni
sensazione implica uninterpretazione valutativa, ovvero lattribuzione di un significato a
ci che sentiamo, e di conseguenza induce a una reazione emotiva e attiva. P.e., se vediamo
e udiamo qualcuno insultarci noi interpretiamo e giudichiamo offensivi i tratti del suo
335
Proprio perch tutti i giudizi conoscitivi e tutti i comportamenti sono equivalenti, una volta
acquisita questa consapevolezza, per gli scettici per possibile seguire anche una linea di
condotta teorica e pratica moderata e realistica, ovvero pragmatica. In questo senso, a
livello teoretico, fermo restando che non esiste n conoscibile alcun essere, cio alcun
ordine razionale unitario della realt, lecito credere liberamente allapparenza sensibile,
ossia ai fenomeni cos come sono soggettivamente percepiti dai nostri sensi. P.e., non
posso n pensare n dire che il miele in generale dolce, ma posso pensare e dire che
questo miele che sto assaggiando qui e ora dolce per me.
In altre parole, riducendo lessere allapparire e la conoscenza alla credenza soggettiva,
vantaggioso pensare e comunicare. Si tratta per di un pensare e di un comunicare non
dogmatici, ma aperti e tolleranti, e pertanto immuni dallagitazione emotiva e
comportamentale. In questa direzione, alcuni scettici propongono come criterio di
selezione delle conoscenze quello dellopinione pi ragionevole, altri quello dellopinione
pi probabile. E chiaro che i criteri di ragionevolezza e probabilit sono accomunati
dallessere relativi e cio flessibili e negoziabili e dunque modificabili.
Analogamente sul piano pratico, fermo restando che non esiste alcun comportamento o
modo di vivere migliore in assoluto di un altro, gli scettici propongono di comportarsi
secondo i costumi della comunit socio-politica di cui si parte. In questo senso gli scettici
teorizzano unetica conformistica, cio basata sulladeguarsi alle norme comportamentali
stabilite da una societ, cio alle tradizioni, agli usi e alle abitudini di una popolazione. Il
conformismo scettico, per, consapevole del valore relativo dei costumi di qualsiasi
popolo e dunque induce a praticarli senza fanatismo e anzi con distacco, per mera
convenienza pratica.
Nei suoi sviluppi pi avanzati, lo scetticismo procede a confutare in modo sistematico tutti
i capisaldi delle precedenti filosofie razionalistiche. In questo senso assumono particolare
rilievo le confutazioni dei ragionamenti deduttivo e induttivo e addirittura del rapporto di
causa ed effetto.
336
La deduzione viene confutata dagli scettici in quanto circolo vizioso. Infatti la proposizione
universale (p.e., tutti gli uomini sono mortali) da cui si deduce la proposizione singolare
(p.e. Socrate mortale), per gli scettici, si basa surrettiziamente su una generalizzazione
induttiva di proposizioni singolari (p.e. Socrate mortale, Platone mortale, ecc.).
A sua volta linduzione viene confutata sostenendo che i casi singolari su cui si basa sono
infiniti, dunque non possono mai essere vagliati tutti, quindi sempre possibile che ci
siano uno o pi casi anomali. P.e. se dallosservazione di molti casi di uomini senza coda
traggo la conclusione che nessun uomo ha la coda, sbaglio perch non escluso che
possano esserci uno o pi uomini con la coda.
La confutazione scettica del rapporto di causa ed effetto, invece, si basa
sullargomentazione che tale rapporto postula sia un legame necessario, e quindi costante,
di affinit/continuit sia una netta distinzione tra loggetto causante e loggetto causato.
Allora delle due luna: o loggetto causato considerato parte delloggetto causante, cio un
suo prolungamento, e allora non potrebbe essere giudicato effetto delloggetto causante;
oppure loggetto causato tuttaltra cosa da quello causante ma allora non ha nulla a che
fare con questo, il quale pertanto non potrebbe essere giudicato sua causa.
Se gli scettici cercano di confutare sistematicamente i filosofi razionalisti, questi ultimi non
sono certo da meno nel contrattaccare i loro avversari. In particolare la pi acuta
confutazione dello scetticismo quella che rileva come la tesi nulla vero
autocontraddittoria: infatti, se la consideriamo vera confuta quello che sostiene perch in
tal caso ci sarebbe almeno una verit, ossia appunto che nulla vero; se invece si
interpreta la tesi scettica come anchessa non vera ne consegue che falso che nulla vero,
dunque vero che tutto vero.
Gli scettici pi sofisticati replicano a questa confutazione affermando che essi sostengono il
dubbio non in modo dogmatico, cio perentorio, ma in modo critico, cio appunto senza
alcuna certezza. Pertanto laffermazione nulla vero non va intesa come una tesi assoluta
e quindi certa, bens come una tesi relativa e quindi solo probabile. Ma che non sia assoluta
non implica che non abbia alcun valore conoscitivo. Al contrario, dato che le tesi assolute e
certe sono false, solo una tesi relativa e probabile pu avere un valore conoscitivo effettivo,
seppure parziale.
337
VIII VIAGGIO
LA FELICITA COME RICERCA SCIENTIFICA
338
ROTTA SU
LA I RIVOLUZIONE SCIENTIFICA?
E da tempo un fatto consolidato della storia del pensiero filosofico e scientifico che let
ellenistica fu un periodo di grande sviluppo delle scienze matematico-naurali, ossia di
matematica, astronomia, fisica, geografia, meccanica, biologia. Nellultimo ventennio,
per, lo sviluppo della ricerca archeologica e filologica ha portato a una radicale
reinterpretazione della portata e del valore del progresso scientifico nellet ellenistica.
La critica filosofico-scientifica pi recente, infatti, giunta a sostenere che la scienza
moderna, ovvero la scienza sperimentale, nacque nei regni ellenistici nel III e nel II secolo
a.C. In altre parole la rivoluzione scientifica moderna considerata tradizionalmente la I
rivoluzione scientifica , attuatasi nel 1500 e nel 1600 a opera di Copernico, Galilei e
Newton, sarebbe stata anticipata dalla rivoluzione scientifica ellenistica cui dunque
spetterebbe il titolo di prima effettiva rivoluzione scientifica.
Secondo questa interpretazione, la rivoluzione scientifica ellenistica ebbe tre fattori
fondamentali:
lelaborazione filosofica e scientifica della Grecia classica dal VI al IV secolo;
la contaminazione culturale tra civilt greca e civilt mediorientale conseguente
alle conquiste di Alessandro Magno;
la formazione e il mecenatismo delle monarchie ellenistiche dopo la morte di
Alessandro Magno.
Le nuove dinastie monarchiche dei regni ellenistici, infatti, promossero e finanziarono la
ricerca culturale e in particolare quella scientifica. Nel regno dEgitto i Tolomei fecero
costruire ad Alessandria il famoso Museo e lancor pi famosa Biblioteca. Il Museo, il
primo istituto di ricerca pubblico, una vera e propria universit dei saperi antichi
articolata in dipartimenti, era dotato di mensa, sale di lettura, sala anatomiche, un
osservatorio astronomico, un giardino zoologico e un orto botanico. Intellettuali e
scienziati vi convivevano e questo favoriva grandemente lo sviluppo culturale e
scientifico. La Biblioteca, riservata agli studiosi, giunse a raccogliere, almeno secondo le
stime pi generose, fino a 700.000 libri (nella forma di rotoli di papiri). Una sua sezione
staccata, il Serapeo, era a disposizione del pubblico e giunse a possedere oltre 40.000
libri. Nel regno di Pergamo, gli Attalidi a loro volta fecero costruire una biblioteca
seconda solo a quella di Alessandria e promossero in particolare gli studi di botanica,
agronomia, ingegneria civile e navale. In Mesopotamia, i Seleucidi diedero impulso alla
ricerca matematica, astronomica e allo sviluppo della tecnologia navale. Pi in generale,
linteresse per la scienza e la tecnologia erano diffusi in maniera maggiore o minore in
tutto il mondo ellenistico.
Lo sviluppo della rivoluzione scientifica ellenistica fu per interrotto dalla conquista
romana a partire dalla met del II secolo a.C. I romani da un lato eliminarono le dinastie
ellenistiche e dallaltro si disinteressarono alla promozione della scienza e della
339
340
da loro concepito come un grande organismo vivente le cui parti agivano per conseguire
il fine del massimo bene complessivo e inoltre alcune di queste parti i pianeti-dei:
Mercurio, Marte, Elio, ecc. erano ritenuti superiori alle altre e si credeva che
esercitassero la loro influenza sugli esseri terrestri a loro quindi subordinati. In questa
cornice, era difficile, per non dire impossibile, concepire delle leggi matematiche
universali, cio tali da governare allo stesso modo tutti gli esseri naturali. Infatti, in
primo luogo il cosmo terrestre risultava diverso e inferiore rispetto a quello celeste; in
secondo luogo, vi erano leggi diverse a seconda degli dei e soprattutto non erano vere e
proprie leggi naturali a governare il mondo terrestre, in quanto le influenze divine erano
personali, cio coincidevano con le decisioni e gli umori degli dei, e dunque potevano
variare nel tempo. Non a caso la visione antica del cosmo aveva la sua pi coerente
espressione nellastrologia, che era considerata appunto la scienza della conoscenza e
della previsione degli influssi astrali, cio delle variabili leggi degli dei/pianeti.
Certo, i filosofi Greci avevano elaborato una pi razionale versione del politeismo, ed
scontato che gli scienziati ellenistici non condividessero la mentalit religiosa popolare
ma semmai seguissero linterpretazione filosofica della religione antica. Ma bench
razionale il politeismo dei filosofi ne conservava i limiti: p.e. sia Platone sia Aristotele
concepirono il cosmo come diviso in due regioni, quella celeste divina, e perci superiore,
e quella terrestre fisica e perci inferiore; il loro monoteismo relativo ( lidea di UnoBene-Bellezza-Verit e il Dio motore immobile) ammetteva comunque lesistenza di
potenze divine inferiori ma dotate di poteri autonomi, cio di diversi e variabili poteri di
influenza sugli eventi terreni; luomo, secondo loro, era subordinato ai pianeti-dei e
quindi non poteva essere la creatura capace di conoscere pienamente le leggi del
funzionamento del cosmo.
Non dunque un caso, forse, che anche quando qualche scienziato ellenistico super i
limiti della concezione antica del cosmo p.e. il pitagorico Aristarco di Samo che elabor
la teoria eliocentrica quasi due millenni prima di Copernico non ebbe credito nemmeno
dai suoi colleghi contemporanei e che, di conseguenza, la sua teoria fu accantonata senza
dare frutti. Tanto vero che n Aristarco n nessun altro scienziato ellenistico si avvicin
alla scoperta delle tre leggi di Keplero per non dire a quella della legge di gravit di
Newton.
In conclusione, plausibile pensare che il salto di qualit della scienza, che
indubbiamente si registr nel periodo ellenistico, non sarebbe arrivato a compiere quella
rivoluzione scientifica che certamente avvenne tra il Cinquecento e il Seicento d.C., anche
se Roma non avesse mai invaso il Medio Oriente. Infatti, perch si potesse attuare la
rivoluzione scientifica moderna, era forse necessario non solo il passaggio dalla religione
politeistica a quella monoteistica ma anche la lunga evoluzione della teologia
monoteistica cristiana, quella che avvenne gradualmente durante lAlto e il Basso
Medioevo e che, a maggior ragione, dovr essere attentamente presa in considerazione.
341
VITE DI CAPITANI
GLI SCIENZIATI ELLENISTICI
I protagonisti della scienza ellenistica furono: Euclide, matematico, astronomo e ottico,
insegnante del Museo di Alessandria e autore di Elementi (300 a.C.), celeberrimo trattato
di geometria in 13 libri; Apollonio di Perga, matematico e astronomo, nato intorno al
260 a.C., studente del Museo di Alessandria e insegnante a Pergamo e ad Alessandria,
autore di Coniche, trattato sullellisse, la parabola e liperbole; Aristarco di Samo (310240), astronomo, di cui ci rimasta solo unopera minore, Sulle dimensioni e le distanze
del Sole e della Luna; Ipparco di Nicea (185-125), astronomo, insegnante a Rodi,
scopritore del moto di precessione degli equinozi, di cui ci restata ununica opera minore,
Commentario ai Fenomeni di Arato e Eudosso; Eratostene di Cirene (273-192),
geografo, bibliotecario del Museo di Alessandria; Archimede di Siracusa (287-212),
studente del Museo di Alessandria, matematico, astronomo, fisico, ingegnere idraulico e
meccanico, di cui ci sono rimaste le seguenti opere: Sulla misura del cerchio, La
quadratura della parabola, Sulle spirali, Sulla sfera e il cilindro, Sugli sferoidi e i conoidi,
Arenario (in cui calcola il numero di granelli di sabbia che il cosmo potrebbe contenere),
Sullequilibrio dei piani, Sui corpi galleggianti, Metodo; Ctesibio, vissuto nel III secolo
a.C., fondatore della pneumatica, ingegnere meccanico, autore di due opere perdute,
Dimostrazioni pneumatiche e Commentari, in cui erano descritte numerose macchine;
Filone di Bisanzio (III-II sec.), continuatore dellopera di Ctesibio, autore di
Pneumatica; Erone di Alessandria (I sec.), autore di una Meccanica e di una
Pneumatica; Erofilo di Calcedonia (IV-III sec.) ed Erasistrato di Ceo (310-250)
entrambi medici.
342
TAPPA 1
LA RICERCA MATEMATICA
1)
2)
3)
4)
5)
343
costitutivamente distinti dagli enti reali con i quali per possono avere rapporti di
corrispondenza in base a precise regole. In altre parole, la matematica in quanto teoria
scientifica non si identifica con la realt fisica ma si pu applicare ad essa in base al criterio
dellapprossimazione.
In secondo luogo, Euclide cataloga in modo rigoroso gli enti matematici (angoli, figure
piane, solidi, ecc.) riducendoli alle loro parti elementari (punti, rette, piani) e offrendone in
questo modo delle precise definizioni. Per evitare il regresso allinfinito Euclide poi fonda
tutte le dimostrazioni su cinque postulati, cio su cinque regole che devono essere
accettate senza dimostrazione, e su alcuni assiomi, cio su alcune verit considerate
evidenti (p.e. la parte sempre minore del suo tutto). Infine Euclide stabilisce che ogni
altra conoscenza matematica, cio ogni altra affermazione sulle propriet degli enti
matematici e sui loro rapporti, per essere valida deve essere dimostrata, ossia deve essere
dedotta logicamente dalle definzioni, dai postulati e dagli assiomi. In questo modo Euclide
configura la scienza matematica come un rigoroso sistema ipotetico-deduttivo, ovvero
come un insieme organico di conoscenze basate su alcuni principi primi (ypo-tsis in greco
significa fondamento di una tesi) dai quali devono essere dedotte tutte le tesi che dunque
risultano tra loro logicamente concatenate.
La scienza matematica di Euclide tratta sia le quantit discrete sia le quantit continue. Le
prime sono rappresentate dai numeri interi aritmetici, le seconde dalle grandezze
geometriche (lunghezze, perimetri, aree, ecc.).
Il teorema vi sono pi numeri primi che in ogni quantit [finita] data di numeri primi
implica al tempo stesso un esempio di dimostrazione e di trattazione sia di quantit
discrete sia del concetto di infinito. La sua dimostrazione parte dallassunzione di un
insieme finito qualunque di numeri primi diversi da 1 e dallindividuazione di un numero k
uguale al loro minimo comune multiplo (ovvero al loro prodotto) pi 1. Ne consegue che k
non pu essere multiplo di nessuno dei numeri primi dellinsieme qualunque iniziale.
Chiamando m un fattore primo di k diverso da 1, m non pu far parte di quellinsieme. In
altre parole, c sempre almeno un numero primo ulteriore rispetto a qualsiasi insieme di
numeri primi per quanto vasto esso possa essere. Questa dimostrazione tratta linfinito
in quanto dimostra che i numeri primi sono infiniti senza cadere in paradossi zenoniani
poich riduce e risolve il problema dellinfinito in relazioni tra quantit finite.
In riferimento, invece, al problema delle grandezze, cio delle quantit continue, Euclide
affronta la questione dellincommensurabilit consistente nellindeterminatezza del
rapporto tra due grandezze, p.e. il lato (a) e la diagonale (b) di un quadrato. Infatti,
essendo a e b privi di un sottomultiplo comune, non possibile che xa sia uguale a yb (dove
344
x e y sono due numeri interi) ovvero che il rapporto a/b sia uguale a quello x/y. Stando cos
le cose, quale pu essere dunque il significato teorico del rapporto tra a e b? Com
possibile che abbiano un rapporto?
Euclide, sviluppando e sistematizzando la teoria delle proporzioni di Eudosso, riesce a
determinare matematicamente il rapporto tra incommensurabili elaborando e utilizzando
la sua definizione di proporzione: quattro grandezze formano una proporzione a:b=c:d
quando per essa vale almeno una delle seguenti relazioni (dove x e y sono 2 numeri
naturali qualsiasi):
xa>yb e simultaneamente xc>yd
xa=yb e allo stesso tempo xc=yd
xa<yb e contemporaneamente xc<yd.
In questo modo anche un rapporto tra incommensurabili pu costituire una proporzione e
trovare cos un significato matematico. Infatti essendo a e b lato e diagonale del quadrato A
e c e d lato e diagonale del quadrato B vale a:b=c:d in base alla relazione di uguaglianza di
cui al punto 2.
In tutti i casi sopra indicati, i matematici ellenistici riescono, per cos dire, a domare,
ovvero ad addomesticare, linfinito, che per i Pitagorici era il fantasma dellirrazionalit,
cio del caos. Essi, infatti, trova il modo di descrivere e calcolare matematicamente
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linfinito usando solo concetti finiti ed evitando cos di incappare nei paradossi messi in
luce da Zenone.
E la prima vittoria della scienza matematica sullinfinito, ma certamente non lultima la
storia della matematica anche una guerra continua contro linfinito visto che ancora
oggi si ben lontani da quella definitiva, che ragionevole pensare che nemmeno ci sar
mai.
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347
TAPPA 2
LA RICERCA ASTRONOMICA
Doveva pensare [Timeo] che la Terra fosse stata progettata non confinata e
stabile ma rivolgentesi e ruotante, come successivamente affermarono
Aristarco e Seleuco, il primo assumendolo solo per ipotesi, e Seleuco invece
provandolo?
Plutarco, Platonicae quaestiones, 1006C
Il problema principale della teoria geocentrica ( I Viaggio, Tappa 4) messa a punto
scientificamente da Eudosso e canonizzata metafisicamente da Aristotele (VI Viaggio,
Tappa 4) era costituto dalle stazioni e dalle retrogradazioni cicliche dei moti
planetari. In altre parole, mentre la teoria prediceva dei moti circolari, unidirezionali e a
velocit uniforme, losservazione visiva evidenziava che, in determinati periodi,
ricorrentemente i pianeti rallentavano, si fermavano, e invertivano momentaneamente il
loro cammino per poi riprenderlo regolarmente come prima. Per salvare i fenomeni, cio
per conciliare la teoria con le osservazioni empiriche, Eudosso (V Viaggio, Tappa 10) era
ricorso a un complesso ma brillante sistema di combinazioni di pi moti circolari uniformi.
La teoria di Eudosso, per, non riusciva a collimare coi moti orbitali di Venere e Marte e
soprattutto non spiegava la loro variazione di luminosit, segno di avvicinamento e
allontanamento rispetto alla Terra. Apollonio di Perga, gi autore di un trattato
matematico sulle coniche (ellisse, parabola, iperbole), per risolvere questi problemi,
riforma la teoria geocentrica ipotizzando che ogni pianeta sia incastonato su una piccola
sfera ruotante su se stessa (epiciclo) con il centro in un punto della circonferenza massima
di una sfera molto pi grande (deferente) ruotante a sua volta intorno a un punto a poca
distanza dal centro della Terra. In questo modo Apollonio riesce ad approssimare molto
meglio le orbite di Venere e Marte e a spiegare la variazione della loro distanza dalla Terra.
Per risolvere gli stessi problemi, lo scienziato pitagorico Aristarco di Samo abbandona il
geocentrismo e teorizza per primo che il Sole occupa il centro del cosmo e che tutti i pianeti
si muovono intorno al Sole in orbite circolari. Su questa base Aristarco attribuisce
esplicitamente alla Terra 2 movimenti:
un moto annuale di rivoluzione intorno al Sole;
un moto giornaliero di rotazione intorno al proprio asse, inclinato rispetto al piano
dellorbita intorno al Sole.
Secondo Aristarco, la teoria eliocentrica in grado di salvare i fenomeni, ossia di spiegare
le apparenti stazioni e retrogradazioni dei pianeti, in modo pi semplice di quella
348
geocentrica, in quanto ricorre alla combinazione di 2 soli moti circolari, quello della Terra
e quello di ogni pianeta. Data infatti la diversa lunghezza delle orbite planetarie, la Terra
ciclicamente viene avvicinata e superata dai pianeti interni (cio pi vicini al Sole:
Mercurio e Venere) e si avvicina e supera i pianeti esterni (pi lontani dal Sole: Marte,
Giove, Saturno). Di conseguenza a un osservatore terrestre sembra che i pianeti
ciclicamente rallentino (fase di avvicinamento), si fermino (fase di affiancamento) e poi
tornino indietro (fase di allontanamento).
Ma questo punto di riferimento, c ed rappresentato dalle stelle del firmamento, che gli
astronomi geocentrici avevano chiamato stelle fisse per la perfetta circolarit del loro
moto apparente giornaliero e per linvarianza delle loro reciproche posizioni e distanze.
Dunque, se la Terra si muove, dovrebbe essere possibile per un osservatore terrestre notare
uno spostamento rispetto alla posizione di una stella fissa in un dato momento della
giornata, posizione che sempre la stessa ogni giorno.
349
Infatti, poich il punto di vista dellosservatore cambia nel corso dellanno, a causa del
moto di rivoluzione, una stessa stella osservabile in base a due prospettive diverse ed
possibile rilevare la parallasse della stella rispetto alla Terra, cio langolo tra le due rette
che congiungono la stella a ognuno dei due diversi punti di osservazione.
Poich invece le osservazioni non gli permettono di rilevare alcuna parallasse, mentre gli
astronomi geocentrici asseriscono che questa unaltra prova dellimmobilit della Terra,
Aristarco afferma che la parallasse troppo piccola per essere vista. Da questa conclusione
Aristarco deduce la tesi che la distanza tra la Terra e le stelle fisse immensa, mettendo in
discussione le ridotte dimensioni del cosmo sostenute dai geocentrici.
La teoria eliocentrica di Aristarco, tuttavia, non individua le cause fisiche dei moti
planetari. E Ipparco a elaborare una teoria dinamica del cosmo. Basandosi sullanalogia
con un sasso che ruota in una fionda antica, egli teorizza che le orbite circolari dei pianeti
sono la combinazione di due moti rettilinei: uno centrifugo, proprio di ogni pianeta, e uno
centripeto, dovuto allattrazione esercitata dal Sole su ogni pianeta. In questo modo
Ipparco giunge a sostenere linerzia cio la tendenza di ogni corpo a muoversi allinfinito
e la forza gravitazionale solare, che secondo lui si trasmette attraverso i raggi solari per
contatto diretto.
Ipparco inoltre sostiene per primo che le stelle fisse hanno un moto proprio diverso da
quello apparente giornaliero. Egli deduce questa tesi dal fatto che la teoria di Aristarco
spiega il moto circolare delle stelle come unapparenza ottica del moto di rotazione
terrestre. Ci significa per Ipparco che le stelle fisse non sono trasportate dalla sfera che
racchiude il cosmo, come sostenevano i geocentrici. Da un lato dunque esse sono libere da
vincoli, dallaltro devono muoversi per analogia con i pianeti. Data lenorme distanza, gi
teorizzata da Aristarco, tra Terra e stelle, i moti stellari per Ipparco appaiono lentissimi a
un osservatore terrestre e quindi non sono rilevabili nellarco di una o pi vite umane. Per
questo Ipparco compila una mappa delle posizioni delle stelle e affida ai posteri lincarico
di verificare i loro spostamenti.
Aristarco non aveva fornito unargomentazione decisiva a favore della superiorit della
teoria eliocentrica su quella geocentrica. In base alla sua opera le due teorie risultavano
ugualmente plausibili. La teorizzazione ipparchea dellattrazione solare favoriva
leliocentrismo perch si abbinava meglio a una posizione centrale e preminente del Sole.
Ma nemmeno questa era unargomentazione risolutiva. E Seleuco, basandosi sulla teoria
delle maree, a individuare una prova empirica consistente a favore delleliocentrismo.
Eratostene aveva teorizzato la dipendenza delle maree dalla Luna sulla base della
coincidenza tra intensit e fasi delle maree e posizioni e fasi della Luna. Lesistenza di
unattrazione esercitata dalla Luna sulla Terra poneva il problema del perch la Terra non
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si scontrasse con la Luna. Secondo Seleuco tale problema pu essere risolto solo
attribuendo alla Terra una forza centrifuga dovuto a un moto rotatorio mensile intorno al
baricentro del sistema Terra-Luna capace di controbilanciare la forza attrattiva lunare.
Dunque la Terra non pu essere ferma al centro del cosmo. Seleuco, inoltre, giunge ad
affermare che il cosmo infinito e aperto.
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TAPPA 3
LA RICERCA FISICA
Certo la Luna trattenuta dal cadere dallo stesso moto e dalla rapidit della
sua rotazione, proprio come gli oggetti posti nelle fionde sono trattenuti dal
cadere dal moto circolare. Il moto secondo natura guida infatti ogni corpo, se
non deviato da qualcosaltro.
Plutarco, De facie quae in orbe lunae apparet, 923 C-D
Come infatti il Sole attira a s le parti in cui consiste, cos anche la Terra [].
Plutarco, De facie quae in orbe lunae apparet, 924E
Il primo trattato ottico conosciuto quello di Euclide. La sua ottica individua come proprio
oggetto i raggi visuali cui attribuita la propriet della propagazione rettilinea. I filosofi
antichi avevano sostenuto che le apparenze visive sono ingannevoli. Platone, p.e., aveva
rilevato che la distanza fa vedere pi piccoli gli oggetti e aveva contrapposto la misurazione
matematica delle grandezze alla loro stima visiva. Euclide invece offre una spiegazione
scientifica delle percezioni visive in base a semplici corrispondenze tra percezioni e raggi
visuali che uniscono locchio agli oggetti visti. Egli pu cos ricondurre la grandezza
apparente degli oggetti alla loro grandezza angolare e dedurne cos la grandezza reale.
In questo modo lottica euclidea collega la geometria alle scienze della visione. Innanzitutto
allastronomia, permettendole stime della grandezza dei corpi celesti nonch la costruzione
degli astrolabi. Ma anche alla geografia, per il rilievi topografici, e alle arti figurative
(pittura, scenografia), alle quali consent di elaborare e praticare la tecnica della
prospettiva, soprattutto quella assiale, ma anche quella centrale.
Dopo Euclide, Archimede ed Erone sviluppano la catottrica, cio lo studio delle leggi
della riflessione, che serve loro per progettare ogni genere di specchi, compresi i famosi
specchi ustori, cio specchi parabolici che possono concentrare i raggi solari in un unico
punto (ma che non servono a bruciare le navi). Erone scopre il teorema per cui un raggio di
luce A che si riflette su specchio piano e arriva nel punto B percorre il cammino pi breve
tra tutti quelli tra A e B che toccano lo specchio: si tratta del principio di minimo pi antico
di cui abbiamo notizia.
352
La meccanica, intesa come scienza delle macchine, si deve a Ctesibio di Alessandria, Filone
di Bisanzio, Erone ma soprattutto Archimede. Essa nasce come ricerca dei principi di
funzionamento delle leve e dei metodi di determinazione dei baricentri delle figure piane.
Lobiettivo fondamentale della meccanica come spostare un peso P a unaltezza h usando
una forza F<P. Il rapporto P/F il vantaggio meccanico della macchina. Grazie alla
scienza meccanica per la prima volta possibile calcolare teoricamente il vantaggio
meccanico e quindi progettare teoricamente una macchina che abbia il vantaggio
meccanico voluto.
La meccanica di Archimede strettamente legata alla geometria di Euclide da cui mutua
limpostazione e lorganizzazione sistematica. In questo modo Archimede usa la meccanica
anche per scoprire nuovi teoremi di geometria. In particolare egli scopre la formula per
trovare il volume della sfera immaginando di equilibrare un oggetto sferico e uno cilindrico
posti sui due piani di una bilancia.
Anche la scienza dellacqua opera di Archimede, che la fonda sul seguente postulato: Se
porzioni di liquido sono contigue e allo stesso livello, la porzione pi compressa caccia via
la meno compressa. Ogni porzione compressa dal peso del liquido che sopra di s in
verticale, purch il liquido non sia rinchiuso in qualcosa e compresso da qualcosaltro.
Il noto principio dei vasi comunicanti implicito in questo postulato e dunque Archimede
lo conosceva e ne faceva uso, sebbene esso sia attribuito tradizionalmente a Erone.
Esplicitamente, invece, Archimede deduce dal postulato il famoso principio che porta il suo
nome secondo cui un corpo immerso in un liquido sposta una quantit di liquido di peso
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Pi noto come astronomo, Ipparco, in stretta relazione con la sua teoria dei moti celesti
(Viaggio VIII, Tappa 2), elabora anche una teoria relativa ai moti dei corpi terrestri,
unificando almeno parzialmente fisica celeste e fisica terrestre. Egli teorizza innanzitutto
un moto naturale rettilineo uniforme proprio di tutti i corpi che pu variare solo per
intervento di corpi o forze esterne. Inoltre, Ipparco (ma anche gli altri scienziati dellepoca)
elabora e utilizza il concetto di attrito come resistenza opposta dal suo mezzo (aria, piano
di un tavolo, ecc.) al moto naturale di un corpo. In altre parole Ipparco comprende il
principio di inerzia, pur senza chiamarlo cos e senza darne una definizione completa e
rigorosa.
In secondo luogo, per spiegare il moto dei gravi terrestri, Ipparco ricorre alla combinazione
del moto naturale rettilineo e della forza di gravit, intesa come spinta di tutti i corpi
verso il proprio centro. Egli sostiene che questa spinta diminuisce allavvicinarsi di un
corpo al centro e aumenta al suo allontanarsi dal centro. In sostanza, Ipparco sostituisce
alla teoria aristotelica dei luoghi naturali, una teoria dellattrazione gravitazionale e
sostiene anche che la gravit non causa del moto di un corpo, ma della sua variazione di
velocit, cio della sua accelerazione.
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TAPPA 4
Il salto di qualit dalla medicina come tecnica alla medicina come scienza costituito dalla
nascita dellanatomia e della fisiologia basate sulla dissezione del corpo umano. Questo
sviluppo decisivo si deve a Erofilo di Calcedonia. Erofilo il primo a descrivere il fegato e
lapparato digerente. Egli distingue le parti dellintestino, usando nomi (duodeno, digiuno)
rimasti nella nomenclatura della scienza medica.
Ancora pi importanti sono le sue scoperte relative al sistema nervoso. Erofilo non solo
comprende la funzione direttiva del cervello a differenza di Aristotele che pensava
servisse a raffreddare il sangue ma scopre i nervi e li distingue in sensori e motori.
Inoltre, studia lapparato circolatorio, scoprendo le cavit e le valvole del cuore, e quello
riproduttivo, scoprendo le ovaie, le tube di Falloppio e lepididimo. A proposito
dellapparato respiratorio, attribuisce ai polmoni la capacit non solo di inspirare aria ma
anche di veicolarla nel sangue arterioso. Per la prima volta, infine, descrive la retina, la
cornea, liride e la coroide.
Erofilo sviluppa anche le conoscenze diagnostiche e terapeutiche. Si deve a lui
lintroduzione della misura della frequenza del battito cardiaco - di cui scopre la
correlazione con la temperatura corporea e con let - come strumento diagnostico
fondamentale. Per misure il battito cardiaco Erofilo si fa costruire un orologio ad acqua
tarabile a seconda dellet.
A livello di terapia, Erofilo sostiene limportanza dellesercizio fisico, delle diete (anche a
scopo preventivo) e di farmaci di origine naturale. Sua lemblematica affermazione:
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Erofilo anche il fondatore della psichiatria. Egli infatti il primo a descrivere e catalogare
i sintomi delle patologie psichiche, che precedentemente erano state considerate
manifestazioni divine. Nellambito dei suoi studi della psiche umana, Erofilo elabora anche
una teoria naturale dei sogni, sostenendo che essi sono la manifestazione dei desideri
umani e che, come tali, rappresentano attraverso immagini situazioni o azioni in cui essi
vengono soddisfatti.
In questo senso, per Erofilo, i sogni possono anche prefigurare il futuro, non perch siano
una forma di divinazione, ma perch manifestano la volont e gli scopi profondi che gli
individui celano nella loro psiche e che dunque possono spingerli ad attuare azioni simili a
quelle sognate. E probabile che si debba a Erofilo anche la tesi del carattere simbolico dei
sogni, secondo cui nei sogni cose e persone reali sono rappresentati analogicamente da
altre cose e persone.
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LA SCOPERTA
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Cannocchiale su
LORIZZONTE STORICO-CULTURALE
DELLETA ROMANA (168 a.C.-529 d.C.)
Lassimilazione della cultura greca da parte della civilt romana
Dopo la battaglia di Pidna (168 a.C.), con la quale i romani stroncarono definitivamente il
regno di Macedonia, la Grecia, prima, e successivamente tutto il Medio Oriente furono
conquistati da Roma. Nellarea mediterranea fin let ellenistica e incominci lepoca
romana. Se nellet ellenistica la cultura greca si era fusa con quelle mediorientali dando
origine alla cultura ellenistica, nellet romana la cultura ellenistica che gi aveva
cominciato a diffondersi negli ambienti intellettuali romani nel III secolo a.C. in seguito
alla conquista della Magna Grecia venne assorbita da quella romana dando origine alla
cultura romana dellet imperiale, una cultura sempre pi cosmopolita. Questa cultura
costitu il collante dellunificazione socio-politica della popolazione dellimpero romano
che raggiunse il suo culmine con leditto di Caracalla (Constitutio antoniniana) del 212
d.C. in base al quale i maschi liberi di tutte le province imperiali acquisirono piena e uguale
cittadinanza romana.
Lassimilazione della cultura greco-ellenistica fu promossa dal partito innovatore, facente
capo alla famiglia degli Scipioni, ma allinizio fu duramente avversata e frenata dal partito
tradizionalista capeggiato da Marco Porcio Catone (detto il Censore) e sostenitore del mos
maiorum sintetizzato nelle leggi delle 12 Tavole (V secolo a.C.). Essa riguard innanzitutto
la letteratura ma subito dopo si allarg alla filosofia. Ancora pi di quella della letteratura
greca, la penetrazione della filosofia greca a Roma si scontr con le istituzioni politiche,
non solo inizialmente, e cio nellet repubblicana, ma anche in una fase pi avanzata,
quando ormai Roma si era trasformata in un impero. In altri termini, i filosofi, dapprima
Greci poi anche romani, furono spesso oggetto di provvedimenti repressivi non solo da
parte dei senatori tradizionalisti, ispirati da Catone, ma anche da imperatori quali Tiberio,
Nerone, Vespasiano. Solo a partire da Adriano, cio dal II secolo d.C., la filosofia cominci
a essere tollerata e poi anzi onorata.
Per comprendere meglio sia lavversione dei tradizionalisti romani alla filosofia sia il modo
in cui gli innovatori romani recepirono la filosofia, necessario ricordare che per i romani
la forma pi importante di cultura, ovvero la regina delle discipline conoscitive e quindi
scolastiche, era la retorica, intesa come larte di saper fare discorsi convincenti. La ragione
di questo privilegio nota: la civilt romana era essenzialmente unorganizzazione politicomilitare, lindividuo era innanzitutto un civis, e dunque la capacit di parlare, tanto per far
valere le proprie ragioni nei dibattiti politici quanto per incitare i soldati a combattere, era
considerata la dote prioritaria di ogni romano. Il romano, sosteneva Catone, doveva essere
vir bonus et dicendi peritus, un uomo buono ossia ubbidiente al mos maiorum ed
esperto nel parlare, cio nel tenere discorsi in pubblico. Di conseguenza, i tradizionalisti
romani rifiutarono la filosofia in quanto era costituita da saperi (metafisica, gnoseologia,
fisica) che essi ritenevano superflui e dispersivi, mentre gli innovatori, almeno
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del corpo umano: il flegma (freddo e umido), la bile nera (fredda e secca), la bile gialla
(calda e secca), il sangue (caldo e umido). Il prevalere in ogni corpo umano di uno di questi
umori determina il carattere dellindividuo, che dunque pu essere, rispettivamente,
flemmatico, malinconico, bilioso o sanguigno. Il benessere psicofisico dato dallequilibrio
perfetto tra i quattro umori, le malattie sono provocate dai loro diversi squilibri. La terapia
medica deve quindi mirare al riequilibrio, utilizzando s farmaci o interventi chirurgici, ma
solo come stimoli per attivare la naturale capacit di autoguarigione dellorganismo. La
scienza medica moderna, comunque, si svilupper da una critica e da un superamento
della scienza galenica, soprattutto perch sostituir alla spiegazione finalistica del
funzionamento del corpo, tipica di Galeno, quella meccanicistica.
Per quanto riguarda, invece, le cosiddette arti, ossia i saperi pratico-tecnici, come p.e. larte
meccanica, emblematica la condanna di Cicerone nel De officiis: [] tutti gli operai
esercitano una professione degradante; il lavoro manuale non pu avere alcun segno di
nobilt. Minimamente poi devono riscuotere approvazione quelle professioni destinate a
soddisfare i piaceri materiali. Le uniche arti che Cicerone salvava erano larchitettura e
lagricoltura.
Larrivo e lo sviluppo della filosofia a Roma
Per quanto riguarda, invece, gli aspetti non scientifici della filosofia, la prima
testimonianza significativa del contatto tra la cultura romana e la filosofia greca fu quella
dellambasceria a Roma, nel 156/155, dei tre pi rinomati e celebri filosofi Greci di quel
momento: Carneade, scolarca dellAccademia media, ad indirizzo scettico; Critolao,
scolarca del Peripato (o Liceo) aristotelico; Diogene (di Seleucia), caposcuola dello
stoicismo. I tre maestri trovarono modo di esporre pubblicamente le proprie dottrine.
Carneade in particolare diede una mirabile dimostrazione di tecnica dialettica tessendo
prima lelogio della giustizia e confutandone, invece, il giorno successivo, il valore. In
breve, i tre filosofi Greci furono espulsi da Roma e rispediti in Grecia. Il principale
fomentatore della loro espulsione fu, naturalmente, Catone. Lanno successivo, arrivarono
a Roma due filosofi Greci epicurei e tentarono anche loro di diffondere le loro idee, ma
furono anchessi immediatamente espulsi. In seguito, per, il romano Gaio Amafinio
scrisse in latino un trattato divulgativo della filosofia epicurea, che, tra la fine del II secolo
a.C. e linizio del I, diede origine a un movimento epicureo diffuso soprattutto tra la classe
plebea. Ancora nel I secolo a.C. il ricco Calpurnio Pisone, suocero di Cesare, fu convertito
allepicureismo dal siriano Filodemo e, insieme a lui, promosse la formazione di un circolo
epicureo aristocratico nella sua villa di Ercolano. Ma il massimo cultore e diffusore latino
della filosofia epicurea fu il poeta Lucrezio che visse nella prima met del I secolo a.C. e
scrisse il poema De rerum natura, nel quale espose fedelmente la filosofia di Epicuro
utilizzando lo stile poetico come mezzo per comunicarla e diffonderla, non solo
intellettualmente ma anche emotivamente, a un pi vasto pubblico. Tuttavia, la filosofia
epicurea in et romana rimase una filosofia dlite, coltivata soprattutto da plebei, gruppi
di intellettuali e qualche circolo aristocratico, tutti accomunati dallopposizione
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364
romana seppe dare allo sviluppo della filosofia. Leclettismo infatti si confaceva alla
mentalit romana, poco incline alle sottigliezze e alle distinzioni teoretiche, e pi
pragmaticamente interessata allesito pratico del pensiero. Cicerone, studioso e quindi
conoscitore di tutte le diverse filosofie greche pitagorismo, platonismo, aristotelismo,
epicureismo, stoicismo, scetticismo partiva dallassunto, di origine scettica, della
relativit veritativa di ogni scuola filosofica per giungere a sostenere che per possibile
individuare lopinione pi probabile, cio pi vicina possibile alla verit, confrontando le
diverse tesi e scegliendo per ogni questione quella che risulti migliore, indipendentemente
dalla scuola alla quale la si attinge. In tal senso Cicerone mise a punto un collage, o un
patchwork, filosofico, rifacendosi a tutte le tradizioni filosofiche da lui conosciute, con
leccezione dellepicureismo, di cui afferm di non condividere niente, e del cinismo, che
per lui non era nemmeno degno di essere considerato una filosofia.
Negli anni successivi alla morte di Cicerone, cio nella seconda met del I secolo a.C., ad
Alessandria dEgitto fu fondata una scuola neoscettica ad opera di Enesidemo (80-10 a.C.)
che si era staccato dallAccademia quando, con Filone di Larissa, questa aveva
abbandonato limpostazione scettica per abbracciare quella eclettica. Il neoscetticismo fu
poi portato avanti, tra gli altri, da Agrippa, nella seconda met del I secolo d.C., dal medico
empirico Menodoto e soprattutto da Sesto Empirico, nella prima met del II secolo d.C., il
quale svilupp lo scetticismo come fenomenismo sensista.
Il cinismo giunse a Roma tardi, a causa del declino del movimento filosofico nel II e nel I
secolo a.C., ma anche perch di tutte le filosofie greche era certamente quella pi
inconciliabile col mos maiorum, tanto che anche il tollerante ed eclettico Cicerone giunse a
sostenere che il cinismo doveva essere respinto in blocco perch contrario alla
verecondia. Ci nonostante, a partire dal I secolo d.C., anche il cinismo cominci a
diffondersi a Roma, prima con Demetrio e poi con Dione Crisostomo. Entrambi per
ebbero vita difficile: il primo fu espulso da Roma nel 71 d.C. dallimperatore Vespasiano, il
secondo esiliato nell82 d.C. da Domiziano, ma poi riaccolto e onorato da Traiano. Dal II
secolo d.C. il cinismo, o meglio la vita cinica, divenne la filosofia pi diffusa nei ceti
popolari, mantenendo la sua valenza anticivile.
Levoluzione della filosofia nei primi secoli dellimpero
Linfluenza di Panezio e Posidonio e laffinit elettiva tra la tradizione romana e lo
stoicismo fecero s che, a partire dal I secolo d.C., nascesse e si sviluppasse una nuova fase
dello stoicismo il neostoicismo o nuova sto del tutto romana, di cui furono principali
esponenti Seneca (4 a.C-65 d.C.), Epitteto (50-120 d.C.) e Marco Aurelio (121-180 d.C.).
Questo stoicismo romano si caratterizz per il prevalente o esclusivo interesse per letica,
per unapertura eclettica ad altre correnti filosofiche, in particolare al platonismo, e per la
sua curvatura intimistico-religiosa, ovvero per limportanza assunta dalla problematica del
rapporto tra linteriorit dellindividuo e la divinit.
Nel I secolo a.C., in particolare dopo il saccheggio di Atene da parte di Silla, lAccademia
platonica, che nellultima sua fase aveva abbracciato un indirizzo eclettico, si disciolse. Nel
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corso del I secolo d.C., per, il platonismo rinacque ad Alessandria dEgitto. Questa nuova
fase di sviluppo del platonismo chiamata medioplatonismo, prosegu fino alla fine del
II secolo d.C. ed ebbe come principali esponenti Plutarco di Cheronea, vissuto tra il I e II
secolo d.C., autore delle celebri Vite parallele; Apuleio di Madaura, vissuto nella prima
met del II secolo d.C. e autore di Metamorfosi (o Lasino doro); Celso vissuto nella
seconda met del II secolo d.C. Il medioplatonismo valorizz il versante trascendente della
filosofia di Platone, sviluppandola in senso teologico-religioso.
Sempre nel I secolo, e proprio in ambiente romano, emerse il neopitagorismo. E
Cicerone stesso che indica Publio Nigidio Figulo come liniziatore della ripresa e della
evoluzione dellantica filosofia pitagorica, mai del tutto spenta nei secoli precedenti.
Nigidio Figulo in particolare organizz una vera e propria scuola pitagorica. Tra la fine del
I secolo a.C. e linizio del I secolo d.C. Quintino Sestio ne fond unaltra. Altri esponenti del
neopitagorismo nel I e nel II secolo d.C. furono Moderato di Gades e Apollonio di Tania,
contemporanei di Nerone e dei Flavi, e Numenio di Apamea, vissuto nella seconda met
del II secolo d.C. Il neopitagorismo romano si caratterizz per la valorizzazione
dellimmaterialit dei principi primi (Monade e Diade) e dellanima umana, per una
tendenza monoteistica a far derivare tutta la realt, anche la Diade, dallunico principio
della Monade, per la tensione mistico-religiosa.
La genesi della filosofia cristiana e di altre filosofie religiose
Si visto come nei primi secoli dellimpero romano, le diverse correnti filosofiche avessero
assunto un orientamento religioso. Questo cambiamento va inserito nella pi generale
tendenza dellintera cultura romana verso un nuovo sentimento religioso, molto diverso da
quello tradizionale. La religione politeistica romana, che aveva inglobato le divinit dei
popoli italici e poi si era fusa con la religione olimpica greca, era una religione politica, cio
tuttuno con le autorit e le attivit dello Stato romano. Oltre alla religione ufficiale esisteva
una religiosit popolare strettamente legata alle attivit lavorativo-produttive, alla
riproduzione dei figli e, pi in generale, al benessere psico-fisico individuale e famigliare.
Ma entrambe le religioni, quella ufficiale e quella popolare, erano religioni
dellimmanenza, cio religioni credute e praticate al fine di assicurare una pi felice
condizione terrena. Laldil, la dimensione dellesistenza dopo la vita terrena, era concepito
come un regno di ombre, buio e cupo, dove si sopravviveva in modo larvale, un luogo
tuttaltro che attraente, la cui unica funzione era quella di consentire una comunicazione
con i parenti morti.
Tra la fine del I secolo a.C. e linizio del I d.C., per, cominciarono a diffondersi a Roma
nuove religioni di origine orientale che promettevano la salvezza eterna, cio la
sopravvivenza dellanima individuale, dopo la morte del corpo, in una dimensione
ultraterrena positivamente connotata. La diffusione delle religioni salvifiche, p.e. esempio
il culto di Mitra o la religione di Iside, attesta lemergere di un nuovo bisogno religioso
proiettato nella dimensione trascendente, ossia lesigenza di una vita immortale ancora pi
felice di quella mortale.
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Nel I secolo d.C. fu elaborata la prima filosofia dichiaratamente basata su una religione
orientale, e precisamente sullebraismo. Autore ne fu Filone di Alessandria (25 a.C.-40
d.C.), la citt in cui, nel III secolo a.C., la Bibbia ebraica era stata tradotta in greco. Filone
fu il primo filosofo a sostenere la tesi dellidentit tra la verit dellAntico Testamento
ebraico e la verit della filosofia greca. A tal fine, per, la Bibbia non andava recepita
letteralmente ma interpretata allegoricamente. Lo scopo ultimo della filosofia era per lui
lunione mistica con Dio.
A partire soprattutto dal II secolo d.C., una delle tante religioni salvifiche che pullulavano
nella societ romana, e che inizialmente era diffusa solo allinterno delle comunit
ebraiche, il cristianesimo, cominci a organizzarsi in comunit autonome e a diffondersi
sempre pi ampiamente soprattutto tra le classi medie urbane, in qualche caso anche tra
elementi della classe dominante. Nello stesso secolo i primi intellettuali cristiani gettarono
le basi della filosofia ispirata al cristianesimo, detta patristica, in quanto opera dei
padri della Chiesa, ovvero i primi intellettuali cristiani, coloro che gettarono le
fondamenta della dottrina teologica cristiana. La filosofia patristica del I-II secolo d.C. fu
chiamata apologetica perch aveva come scopo principale la difesa del cristianesimo
dagli attacchi dei filosofi legati alla tradizione classica. Il primo padre-apologeta di rilievo
fu Giustino (nato nei primi anni del II secolo d.C. e giustiziato come cristiano nel 165 d.C.)
che sostenne che i filosofi Greci avevano plagiato la Bibbia ma anche che alcuni di loro
avevano anticipato verit cristiane in quanto tutti gli uomini posseggono parzialmente quel
logos divino che Cristo avrebbe poi posseduto totalmente. Lapologetica cristiana provoc
la reazione dei filosofi legati alla religione politeistica greco-romana. Emblematico in
questo senso il Discorso vero (180 d.C.) in cui il medioplatonico Celso ribalt contro il
cristianesimo laccusa di minare limpero e di aver plagiato i filosofi Greci, soprattutto
Platone.
Ma la reazione della cultura filosofico-religiosa tradizionale si espresse ancor pi
significativamente in una serie di scritti del II-III secolo d.C. che tentarono una sintesi di
filosofia e religione diffondendola come trascrizione di antichissime e originarie tradizioni
sapienziali mediorientali scaturite da una rivelazione divina. Le pi importanti opere di
questo nuovo genere furono il Corpus Hermeticum e gli Oracoli Caldaici. Il Corpus
Hermeticum, costituito da 17 trattati, fu composto da vari autori, tutti sconosciuti, ma
diffuso come opera di Ermete Trismegisto (= tre volte grandissimo), denominazione
dellantico dio egizio della scrittura e della conoscenza Thoth (corrispondente allHermes
greco, ovvero al Mercurio latino). Il suo contenuto, proposto come sapienza egizia del II
millennio a.C. ed espresso in uno stile in parte narrativo-simbolico in parte logicoargomentativo, imperniato su un Dio-Luce unico e trascendente da cui derivano il Logos,
suo primogenito, lIntelletto demiurgico, suo secondogenito, lAnthropos, luomo
incorporeo, suo terzogenito, destinato a cadere nella materialit e, successivamente, a
salvarsi recuperando la propria natura puramente spirituale e indiandosi, cio unendosi
misticamente a Dio. Gli Oracoli Caldaici, scritti, in questo caso pare effettivamente, da
Giuliano detto il Teurgo, si rifacevano alla sapienza babilonese, ovvero alla religione
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mesopotamica del sole/fuoco, erano presentati come rivelazione di Ecate, dea della magia,
e contenevano una dottrina della divinit simile a quella ermetica ma soprattutto una
tecnica, detta appunto teurgia, che utilizzava immagini magiche e formule orali per
avvicinarsi a Dio fino a congiungersi con lui.
Nello stesso periodo, tra la fine del II e linizio del III secolo d.C., allinterno della patristica
cristiana emerse un orientamento decisamente antifilosofico. Ne fu iniziatore Tertulliano
(155-230 d.C. circa), nato a Cartagine, la cui tesi fondamentale fu successivamente
sintetizzata nella famosa sentenza credo quia absurdum (credo proprio perch
assurdo). In altri termini, Tertulliano, basandosi anche sui passi delle epistole di S. Paolo
che definivano la fede cristiana scandalo e follia, sosteneva che la fede era negazione e
rifiuto della ragione e dunque di qualsiasi filosofia. La posizione di Tertulliano prevalse
nella patristica latina, mentre la patristica greca segu e svilupp lorientamento di
Giustino, favorevole alla mediazione tra fede cristiana e filosofia greco-romana, con
Clemente Alessandrino (150-215) e Origene (185-284). Il primo attribu alla filosofia il
ruolo di introduzione alla fede cristiana; il secondo scrisse il Contra Celsum, cio la
confutazione delle critiche che Celso aveva mosso contro il cristianesimo, e sostenne che la
filosofia acquista un senso e unutilit solo se illuminata dalla fede.
Levoluzione della filosofia nel tardo impero: il neoplatonismo
Nel corso del III secolo d.C. ebbe inizio il declino dellimpero romano, o meglio della sua
parte occidentale. Dopo la dinastia dei Severi, dal 235 al 284, imperversarono la guerra
civile, la peste, il calo demografico, la recessione economica. In questa situazione il
cristianesimo aument notevolmente la sua diffusione facendo sempre pi breccia nella
classe dirigente romana. Eppure proprio nel III secolo la cultura greco-romana si dimostr
capace di reagire e di produrre una nuova filosofia di altissimo livello: il neoplatonismo,
cio una nuova versione della filosofia di Platone che rifondeva al suo interno spunti e
apporti di tutte le diverse correnti filosofiche dellet ellenistica e romana. Il fondatore del
neoplatonismo fu Plotino (204-270), nativo di Licopoli in Egitto, autore delle Enneadi, il
quale chiam Uno il principio primo di tutto e lo configur, al tempo stesso, come
immateriale e infinito, e concep e pratic la filosofia come un ritorno allUno culminante
nellestasi, cio nellabbandono del proprio io per fondersi con lUno-Tutto. Il
neoplatonismo fu ulteriormente sviluppato poi da Porfirio (234-305), discepolo di Plotino;
Giamblico (245-325), discepolo di Porfirio; Giuliano (331-363), limperatore romano
bollato dai cristiani come lApostata, cio il traditore, perch aveva cercato di restaurare il
politeismo; Ipazia di Alessandria (370-415), caso unico di donna filosofo nellantichit,
nonch di donna martire della filosofia, poich fu seviziata e uccisa da cristiani fanatici
aizzati dal vescovo di Alessandria Cirillo; Proclo (412-485), che sintetizz nella sua filosofia
tutto il pensiero neoplatonico precedente.
A partire dalleditto di Costantino (313), la chiesa cristiana, ormai strutturata
gerarchicamente, cominci ad acquisire funzioni e poteri politici, fino a quando
limperatore Teodosio, con leditto di Tessalonica (380), lo proclam unica religione di
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IX VIAGGIO
DIO COME INFINITA IMPERSONALE
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ROTTA SU
IL NEOPLATONISMO
Di diritto il fondatore della filosofia neoplatonica fu Ammonio Sacca, il quale per non
mise mai per iscritto il suo pensiero. Di conseguenza, di fatto fu il suo discepolo Plotino,
autore di 54 trattati intitolati Enneadi, il capostipite della scuola neoplatonica, destinata
a tener banco per tre secoli, dallinizio del III allinizio del VI secolo d.C., ovvero fino alla
fine della filosofia antica. In questo senso il neoplatonismo rappresent, per cos dire,
lultimo canto del cigno della filosofia e, pi in generale, della cultura greco-romana, cio,
fuori di metafora, lultima grande creazione filosofica dellantichit classica.
Il nome neoplatonismo segnala in modo fin troppo netto che la nuova filosofia avviata
da Plotino si pone in continuit con la grande filosofia di Platone. Addirittura Plotino
presenta il suo pensiero come una riesposizione fedele del pensiero platonico, solo in
forma di trattato, anzich in quella del dialogo, e completa, comprensiva, cio, anche dei
cosiddetti Insegnamenti orali, che Platone non aveva mai trascritto ma che erano stati
appuntati da alcuni dei suoi discepoli, innanzitutto Aristotele, e comunque erano stati
tramandati oralmente allinterno dellAccademia.
In realt, pur ispirandosi soprattutto a Platone, quella di Plotino una filosofia originale
e, in tal senso, si avvale di tutte le filosofie postplatoniche, a cominciare da quella
aristotelica, rifondendone vari aspetti allinterno del suo pensiero bench valorizzando
soprattutto quelli ebraico-religiosi di Filone di Alessandria. Per questo, si pu a buon
diritto affermare che il neoplatonismo una sintesi di tutte le filosofie antiche. Ci non
vuol dire che il neoplatonismo sia una forma di eclettismo, in quanto semmai un
raffinato esempio di sincretismo. Infatti Plotino rifuse elementi delle filosofie precedenti
allinsegna del platonismo, cio interpretandoli platonicamente e adattandoli ai capisaldi
del platonismo.
Il fulcro della sintesi plotiniana la nuova concezione del principio primo di tutte le cose.
Mentre in tutte le filosofie precedenti linfinitezza del principio, o dei principi, si abbina
alla materialit, e, invece, la sua immaterialit alla finitezza, Plotino spariglia le carte e
coniuga infinitezza e immaterialit, scoprendo un nuovo concetto dellinfinito, un infinito,
cio, non quantitativo ma qualitativo, non potenziale ma attuale. In tal modo, Plotino
conferisce al principio primo, da lui chiamato Uno ma anche Dio, una potenza e una
trascendenza mai prima concepite. Dopo essersi posto un problema inedito qual il
principio del principio e aver proposto la propria soluzione, Plotino spiega la
costituzione del mondo fisico elaborando una teoria del tutto originale, quella della
prosecuzione, ovvero dell irradiazione, del principio. Corollario di questa teoria una
nuova concezione della materia, intesa non pi come principio indipendente
contrapposto allessere, cio allordine razionale, ma come non-essere relativo, ossia
come privazione dellessere.
373
Infine, Plotino riprende e rilancia la teoria antica delluomo come dio decaduto e delinea
la strada conoscitiva, etica ed erotico-estetica per il suo ritorno alloriginaria condizione
divina, ma le aggiunge un esito finale del tutto inedito, quello dellestasi, cio della
possibilit per luomo di unirsi allUno-Dio mentre ancora in vita e di raggiungere cos
una felicit assoluta, in quanto infusa dallinfinit trascendente.
374
VITA DI UN CAPITANO
PLOTINO
Plotino nacque a Licopoli, citt del centro dellEgitto (oggi Asyut), nel 204 d.C. Delle sue
origini e della sua famiglia non si hanno notizie perch Plotino stesso si rifiut di
comunicarle a chiunque sostenendo che non avevano alcuna rilevanza. Appassionatosi alla
filosofia a ventotto anni, si trasfer ad Alessandria dEgitto per seguire le lezioni dei
numerosi maestri che vi insegnavano. Ma di nessuno fu soddisfatto fino a quando non
conobbe Ammonio Sacca, filosofo platonico, di cui fu discepolo per undici anni. Nel 243,
Plotino lasci Alessandria per unirsi alla spedizione contro i Persiani dellimperatore
Gordiano III, con lintento di fare conoscenza diretta delle filosofie dei maghi persiani e dei
gimnosofisti indiani. Ma, in seguito alla sconfitta di Gordiano, si ritrov sbandato in mezzo
alla Persia. Rischiando pi volte la vita, riusc fortunosamente a raggiungere Antiochia.
Dopo la brutta avventura persiana, si trasfer a Roma, dove apr una sua scuola,
frequentata anche da molte donne, e insegn per molti anni. Mentre fino al 254, Plotino,
seguendo la prescrizione del suo maestro Ammonio, emulo in questo di Socrate, svolse un
insegnamento unicamente orale, cio senza scrivere alcun testo proprio, a partire dal 254
cominci a mettere per iscritto la sua filosofia e negli anni successivi compose 54 trattati. Il
suo pi affezionato discepolo, Porfirio, autore anche di una sua biografia, ne cur la
pubblicazione raggruppandoli in 6 libri di 9 trattati ciascuno, da cui il titolo di Enneadi.
Dopo il travagliato ritorno dalla Persia, la vita di Plotino trascorse apparentemente nella
monotonia pi totale. Porfirio, per, ci testimonia che, in realt, Plotino visse la pi
straordinaria delle esperienze, quella della cosiddetta estasi, ovvero dellabbandono della
dimensione terrena, e della stessa coscienza individuale, e del congiungimento con il
principio divino e trascendente di tutte le cose, che Plotino denominava preferibilmente
Uno. Secondo la testimonianza di Porfirio, Plotino, nel corso di tutta la sua vita,
raggiunse lestasi quattro volte.
Gi cinquantenne Plotino soffriva di angina pectoris in forma stabile. Dopo i sessantanni,
la sua malattia si aggrav seriamente, la vista gli si indebol e la voce gli divenne rauca
tanto da rendere le sue parole poco comprensibili. Plotino decise cos di porre fine alle sue
lezioni, abbandon Roma e si trasfer in Campania nel podere rurale del suo amico e
discepolo Zeto. N prima n dopo il suo trasferimento in campagna Plotino volle mai farsi
curare, perch riteneva che un uomo non si dovesse dare pena dei malanni e dei dolori del
proprio corpo. Per lo stesso motivo, durante la sua vita, non si era mai voluto far ritrarre da
pittori o scultori. Porfirio testimonia che una volta che un suo discepolo gli propose di
lasciarsi fare un ritratto gli disse: Non abbastanza portare questimmagine che la natura
ci ha messo intorno, e bisogner anche permettere che di questa immagine rimanga
unaltra immagine pi duratura, come se essa fosse degna di uno sguardo?.
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376
TAPPA 1
PLOTINO: TUTTO E UNO INFINITO E IMMATERIALE
Tutti gli enti sono enti per lUno, sia quelli che sono tali in primo grado, sia
quelli che partecipano in qualche modo dellEssere. Che cosa sarebbero,
infatti, se non fossero uno? Poich nessuno di essi, privato della sua unit,
pi quello. Per esempio: non c lesercito se non uno, n sono il coro e il
gregge, se non sono uno; neppure sono la casa e la nave se non hanno unit,
perch la casa e la nave sono uno e, tolta lunit, la casa non sarebbe pi casa,
n la nave pi nave. []
Inoltre, anche i corpi delle piante e degli animali, essendo uno ciascuno, se
sfuggono allunit si dividono in molte parti e perdono lessere che avevano; e
se diventano qualcosa di diverso, anche il nuovo essere esiste in quanto uno.
Plotino, Enneadi, VI, 9, 1, Rusconi 1992, a cura di Giuseppe Faggin
Ma neppure Egli limitato. Da chi lo sarebbe? E nemmeno illimitato come
grandezza. Dove avrebbe bisogno di estendersi e che cosa diventare, dato che
non ha bisogno di nulla? Egli possiede linfinitezza in quanto potenza, poich
n attinge altrove, n si esaurisce, poich anche le cose che non si esauriscono
sono tali per opera sua.
La sua infinitezza dipende dal fatto che egli non pi di uno e che non c
nulla che possa limitare qualcuna delle cose che sono in Lui; proprio perch
Uno, Egli non misurabile n numerabile. Egli non trova un limite n in altri
n in se stesso, perch se cos fosse, sarebbe dualit. Non ha dunque figura, in
quanto non ha parti, n forma.
Non cercarlo dunque con occhi mortali, come il nostro discorso va dicendo; e
non credere di poterlo vedere come pretenderebbe chi suppone che tutte le
cose siano sensibili e nega ci che vale pi di ogni cosa. In realt sono proprio
le cose che si credono come le maggiormente esistenti che non esistono
affatto. Ma il Primo sorgente dellEssere ed molto superiore allessenza.
Plotino, Enneadi, V, 5, 10-11, ed. cit.
Bisogna concepirlo anche infinito, non perch sia interminabile in grandezza
o in numero, ma perch la sua potenza non limitata. Infatti, se tu lo pensi
come Intelligenza o Dio, egli da pi; se lo raccogli in unit col tuo pensiero,
allora Egli uno ancora pi di quanto possa rappresentarlo il tuo pensiero,
poich egli in s e per s senza alcuna accidentalit. Quanto alla sua
autosufficienza, nessuno potr negarne lunit. Infatti, se fra tutti gli esseri
Egli il pi dotato e il pi autosufficiente, ne consegue che Egli non ha
assolutamente bisogno di nulla. Tutto il molteplice e il non-uno manchevole
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378
qualcosa di astratto, cio a un principio puramente razionale, ovvero ideale. Plotino ricava
cos una seconda propriet fondamentale dellUno: la sua immaterialit appunto, da cui
conseguono necessariamente limmutabilit e leternit. A queste caratteristiche Plotino ne
aggiunge una ulteriore e decisiva: linfinitezza, intesa per non in senso quantitativo ma
qualitativo. Infatti, non essendo fisico, lUno non spazio-temporale, dunque non n
alto, n largo, n lungo, n pu avere estensione o grandezze di qualunque tipo (volume,
peso, velocit, ecc.). LUno, sostiene Plotino, infinito in quanto infinita potenza,
ovvero come infinita attivit produttiva, infinita energia (enrgheia in greco antico
significava azione, forza attiva) creativa. In altri termini, la potenza lattivit in virt della
quale lUno principio di tutte le cose, le fa esistere.
In questo senso, lUno per Plotino non un infinito potenziale (nel senso attribuito
allespressione da Aristotele, il quale per potenza intendeva potenzialit, possibilit), cio
qualcosa che si pu accrescere indefinitamente, p.e. una retta; bens un infinito attuale o
in atto (secondo Aristotele inconcepibile e quindi non reale), cio del tutto completo e
compiuto, effettivamente attuato. In quanto infinito attuale, ovvero potenza creatrice,
lUno comprende tutte le qualit essere, intelligenza, bellezza, bene, giustizia, ecc. al
massimo grado, cio a un grado infinito. Pertanto, secondo Plotino, lUno oltre lessere,
lintelligenza, il bene, la bellezza, la giustizia, in quanto queste sono qualit determinate e
quindi finite, limitate. LUno, in tal senso, non esiste, ma super-esiste, o meta-esiste; non
intelligente, ma super-intelligente, o meta-intelligente, e cos via. Dunque possedendo non
solo tutte le qualit ma possedendole anche in misura infinita perfetto, anzi superperfetto.
In questo modo, Plotino riesce a motivare e a fondare, pi di ogni altro filosofo precedente,
la superiorit assoluta del principio rispetto a tutte le cose. LUno, infatti, risulta
effettivamente trascendente, dal momento che tutte le cose, non solo quelle fisiche ma
anche quelle ideali (essere, intelligenza, bene, ecc.) sono finite o al massimo infiniti
potenziali. Ma se immateriale, immutabile, eterno, infinito, perfetto e trascendente,
allora lUno divino e pertanto Plotino lo chiama anche Dio.
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indifferenziato
immateriale
infinito attuale
eterno
immutabile
non quantitativamente ma
qualitativamente
super-essere, super-bene,
super-intelligenza
effettivamente
trascendente
Dio
380
TAPPA 2
PLOTINO: LUNO E INEFFABILE
Perci Egli , in verit, ineffabile. Poich qualsiasi cosa tu dica, tu dici sempre
qualche cosa. Ma lespressione al di l di tutto e al di l della Santissima
Intelligenza , di tutte le espressioni, la sola vera, perch non un nome
diverso da Lui, n una cosa fra tutte le altre, perch nulla veramente
possiamo dire di Lui; ma, dentro i limiti del possibile, cerchiamo di dare, cos
fra di noi, un cenno su di Lui. []
Plotino, Enneadi, V, 3, 13, ed. cit.
Ma perch allora parliamo di Lui? Veramente, noi diciamo solo qualche cosa
di Lui, ma non affermiamo nulla di Lui e non abbiamo di Lui n conoscenza
n pensiero.
E come dunque possiamo parlare di Lui se non lo possediamo? E vero, non lo
possediamo con la conoscenza, n lo possediamo pienamente: lo possediamo
per in tal modo da poter parlare di Lui senza per dirlo veramente. Noi
diciamo infatti quello che Egli non , ma non diciamo quello che .
Plotino, Enneadi, V, 3, 14, ed. cit.
Ma che cos ci che non ebbe lesistenza?
Dobbiamo andarcene in silenzio e, messi in imbarazzo dai nostri argomenti,
sospendere ogni ricerca. Cosa dovrebbe cercare chi non ha pi dove
procedere, allorch ogni ricerca arrivata a un principio e si ferma l? []
Dobbiamo perci eliminare il motivo dellaporia, sopprimendo in Lui ogni
luogo ed escludendo da Lui ogni posto, e non affermare che Egli si trovi in
esso e abbia qui la sua dimora eterna, n che vi sia arrivato; diciamo soltanto
che Egli come , dicendo che per necessit del discorso, e
riconosciamo che il luogo, come le altre cose, posteriore, e posteriore a
tutto. Pensandolo, come noi lo pensiamo, non-spaziale e non ponendo nulla
intorno a Lui, noi non riusciamo a circondarne lestensione e dobbiamo
riconoscere che Egli non ha estensione; e neppure la qualit, poich nessuna
forma, nemmeno intellegibile, pu esserci in Lui, e nemmeno alcuna
relazione con altro: Egli infatti in s stesso ed esisteva prima di ogni altra
cosa.
Che cosa possono dire dunque le parole gli accadde di essere cos? Come
potremmo pronunciarle, quando anche le altre che si dicono di Lui
consistono in una negazione? Perci pi giusto affermare che non gli
accadde di essere cos piuttosto che gli accadde di essere cos, poich l
accadere non gli appartiene affatto.
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382
costituisce uno dei pi originali e significativi contributi alla storia del pensiero. Egli,
infatti, scopre quella che a buon diritto possiamo oggi chiamare la logica dellinfinito,
una logica specifica e quindi diversa dalla logica tradizionale, che cos non pi la logica
ma diventa una logica, ovvero la logica del finito. In altri termini, per Plotino lUno, in
quanto infinito, ineffabile se cerchiamo di concepirlo e di esprimerlo con la logica
normale, cio la logica del finito; ma non lo se invece ci sforziamo di pensarlo e
manifestarlo in base a una logica speciale, la logica dellinfinito.
383
o propriet opposte. Per esempio, lUno non n bene n non-bene (ovvero male),
enunciato che, naturalmente, si pu variare utilizzando tutti gli opposti possibili: verofalso, bello-brutto, perfino unit e molteplicit. In tal senso, a rigore si deve dire anche che
lUno non n unit n molteplicit, ovvero n uno n non-uno. Se consideriamo, poi,
che per Plotino lUno il principio di ogni cosa, visto che ogni cosa costituita dallunit,
risulta conseguente, bench Plotino non lo espliciti, che si pu parlare dellUno anche con
paradossi positivi, cio attribuendogli contemporaneamente due cose o propriet opposte,
p.e. lUno sia uno sia non-uno (cio molteplice); e, ancora meglio, con paradossi sia
positivi sia negativi come lUno non n uno n molteplice ed sia uno sia molteplice. In
questo modo Plotino scopre che il principio di non-contraddizione valido per la
conoscenza della realt finita e che, invece, per conoscere linfinito occorre basarsi sulla
contraddizione. In altri termini, la logica dellinfinito incardinata sul principio di
contraddizione.
Una terza modalit della logica dellinfinito liperbole, cio luso di termini o espressioni
eccessivi quali Super-Bene, Super-Essere, Super-Vita, Perfettissimo, Purissimo, Supremo
o al di l di tutto, Padre degli dei, Padre dellIntelligenza, Re dei re. Luso
delliperbole correlato a quello della contraddizione, in quanto ne esplicita il senso,
ovvero rimanda a qualcosa che oltre gli opposti perch pi di essi: p.e., lUno sia
essere sia non-essere e, insieme, non n essere n non-essere perch non un essere
finito ma un essere infinito, appunto un Super-Essere, cio un essere di livello superiore.
Ma forse la locuzione pi iperbolica, e insieme paradossale, con la quale Plotino indica
lUno : il trascendente di se stesso; ovvero lUno talmente trascendente da trascendere
anche la sua stessa trascendenza, il che sarebbe come dire che talmente infinito da essere
maggiore di se stesso, cio ancora pi infinito di quanto sia infinito.
Infine, la logica dellinfinito si serve del linguaggio metaforico, cio di figure retoriche quali
la metafora in senso stretto o la similitudine. In tal caso, lUno viene identificato o
paragonato con un ente fisico dotato di un forte valore simbolico, p.e. una fonte di luce, in
particolare il Sole, un fuoco che emana calore, un profumo che si diffonde, una sorgente
dacqua, un albero. In tutti questi casi, gli enti fisici sono utilizzati da Plotino, per cos dire,
come controfigure dellUno, cio come immagini parziali dellUno capaci di
esemplificarlo e di avvicinarci alla comprensione di ci che veramente.
In questa prospettiva le immagini possibili dellUno, pensiamo a quella del Sole,
raggiungono il loro scopo di avvicinarci alla comprensione dellUno in un primo momento
per la loro immensa potenza, p.e. la capacit di illuminare del Sole da secoli e per secoli,
384
Cosa hanno in comune queste quattro modalit di pensare e dire lUno? Ovvero, qual la
caratteristica peculiare della logica dellinfinito? La sua allusivit, cio essa non definisce in
alcun modo lUno, ma rinvia allUno, non lo esibisce ma allude ad esso. Solo con
lallusione, secondo Plotino, possibile avvicinarsi il pi possibile alla comprensione
dellUno.
Per usare una metafora matematica, il pensiero dellUno pu essere solo un passaggio al
limite. Oppure, utilizzando una pi immediata metafora corporea, come arrivare sul
ciglio di un burrone e sporgersi con il busto e la testa oltre di esso per averne un fuggevole
colpo docchio.
385
LUno infinito
LUno al di l di ogni cosa, anche della mente delluomo
la negazione:
dire ci che
lUno non , cio
negarne ogni
propriet finita
il paradosso:
attribuire
allUno
propriet
opposte
liperbole:
indicare lUno
con superlativi
assoluti o con
locuzioni
esagerate
lanalogia:
paragonare
lUno al Sole,
alla sorgente di
un fiume, a un
fiore profumato
386
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periodici). In base a quanto dimostrato per linsieme dei numeri razionali, linsieme dei
numeri reali e quello dei numeri razionali avrebbero dovuto esibire la stessa cardinalit,
dato che il secondo un sottoinsieme del primo. E, invece, Cantor scopr che i numeri
reali non potevano essere posti in corrispondenza biunivoca con quelli razionali, ovvero
che i primi erano pi numerosi dei secondi. Dunque, esistono infiniti pi grandi di altri
infiniti, ovvero infiniti di diverso tipo, di diversa potenza. Proseguendo nella sua ricerca
Cantor scopr un terzo tipo di infinito, maggiore dellinfinito dei numeri reali, linfinito di
tutte le funzioni continue e discontinue della retta reale, ovvero linfinito esponenziale,
dato da due elevato allinfinito del primo tipo, quello dei numeri razionali.
Concludendo: per Cantor alcuni infiniti sono equivalenti alla loro met e, al contempo, vi
sono infiniti maggiori di altri infiniti. Plotino non avrebbe potuto chiedere di meglio come
attestato della fondatezza della sua logica paradossale dellinfinito. Inoltre, la distinzione
di Cantor tra diversi tipi di infinito fornisce una chiave di lettura e comprensione
matematica delle distinzione plotiniana tra linfinitezza dellUno, linfinitezza della Mente
e linfinitezza dellAnima: la prima si pu far corrispondere allinfinito di terzo tipo, o
infinito esponenziale; la seconda allinfinito di secondo tipo, o infinito dei numeri reali; la
terza allinfinito di primo tipo, quello minore, cio linfinito dei numeri razionali.
Per saperne di pi basta leggere Il mistero dellalef di Amir. D. Aczel, Net-Saggiatore,
2002.
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TAPPA 3
PLOTINO: LUNO SI AUTOCREA
Poich dunque non c nulla prima di Lui ed Egli il Primo, dobbiamo
fermarci qui e non dire pi nulla di Lui, ma cercare invece come siano sorte le
cose dopo di Lui; n dobbiamo cercare come Egli sia nato, perch Egli in
realt non mai nato.
Ma come? Se non mai nato, ma come , non padrone della sua essenza? E
se non padrone della sua essenza, ma quello che e non s dato da se
stesso lesistenza ma si accettato cos com, Egli necessariamente quello
che , e non diverso.
No, Egli non cos com perch non possa essere diverso, ma cos perch
perfetto.
Plotino, Enneadi, VI, 8, 10, ed. cit.
E nemmeno giusto dire che Egli esiste per caso, poich il caso esiste
soltanto nelle cose molteplici e secondarie; ma del Primo non possiamo dire
n che esista per caso, n che non sia padrone del suo nascere, poich Egli
non mai nato. Ed assurdo dire che Egli non libero perch crea conforme
alla sua natura: come sostenere che la libert ci sia soltanto quando Dio crei
o agisca contro natura. []
Ma poich quella che noi chiamiamo esistenza identica alla sua azione
esse qui non sono diverse, se nemmeno lo erano nellIntelligenza allora
affermare che Egli agisce conforme al suo essere non per nulla meglio che
affermare che Egli conforme al suo agire. Il Bene, dunque, non possiede
unattivit conforme alla sua natura; la sua attivit, cio la sua vita, non pu
venire predicata dalla sua cosiddetta essenza; ma la sua cosiddetta essenza
unita e come nata insieme con la sua attivit sin dalleternit; Egli crea se
stesso dal suo essere e dal suo atto e appartiene a se stesso e a nessuno.
Plotino, Enneadi, VI, 8, 7, ed. cit.
Se dunque gli attribuiamo degli atti e se i suoi atti si compiono, diciamo cos,
per mezzo della sua volont (che Egli non pu agire senza volere), e se questi
atti costituiscono la sua cosiddetta essenza, la sua volont e la sua essenza
saranno identiche. Ma allora, se cos, Egli come vuole. [] Egli dunque
padrone di s poich il suo essere dipende dalla sua libert. [].
Non si pu pensare un bene che sia privo della volont di essere, per se stesso,
ci che : Egli perci concorde con se stesso, in quanto vuole essere quello
che ed quello che vuole, e la sua volont e il suo essere sono una cosa sola,
e tuttavia Egli non meno unit, poich non c differenza fra ci che Egli si
trova ad essere e ci che voleva essere.
389
Stabilito in che modo sia possibile svolgere la ricerca filosofica intorno allUno, Plotino d
avvio alla sua indagine ponendosi una domanda inedita, una delle pi radicali domande
filosofiche, se non la pi radicale in assoluto: perch esiste lUno? Chi o cosa lha fatto
esistere? Qual la causa o chi lartefice della sua esistenza? In altre parole, a differenza di
tutti i filosofi precedenti, Plotino non si chiede solo quale sia il principio di tutte le cose ma
anche quale sia il principio dello stesso principio, una questione di per s al limite del
pensabile, ma che risulta ancora pi tale considerando che apparentemente una sola ma
in realt implicitamente triplice. Chiedersi, infatti, quale sia il principio del principio per
Plotino significa chiedersi:
1) perch esiste il principio, ovvero qual la causa o la ragione della sua esistenza;
2) perch esiste la realt piuttosto che il nulla, dal momento che dallesistenza del
principio deriva quella di ogni altra cosa;
3) perch il principio cos e non altrimenti, cio Uno, Infinito, Super-Bene,
Trascendente, ecc.; ovvero ha quellidentit piuttosto che unaltra.
Per risolvere questa formidabile questione una e trina, Plotino, seguendo la sua logica
dellinfinito, comincia con il confutare tutte le modalit possibili con le quali normalmente
pensiamo che qualcosa accada e quindi spieghiamo lesistenza di qualcosa:
a) la mera possibilit del caso;
b) la necessit della causalit meccanica o finalistica;
390
In questo modo Plotino argomenta lesistenza del principio e quindi spiega perch esiste la
realt anzich il nulla. Ma la sua argomentazione non ancora completa, ancora
insufficiente. Infatti, largomento con cui Plotino ha motivato lesistenza dellUno quello
della sua essenza attiva, ma allora si impone unaltra domanda: perch lUno ha questa
essenza, perch cos e non altrimenti?
Plotino comincia col precisare che, a rigore, lUno, in quanto potenza infinita, al di l
della stessa essenza, ovvero non pu avere una natura prestabilita, cio necessaria, cui
debba cogentemente essere conforme. Dunque non cos com perch costretto a
adeguarsi alla sua essenza. Lo , invece, per volont, perch si vuole cos. Questo passaggio
cruciale e rivoluzionario: lUno non necessit ma volont, ovvero libert. Daltra parte
ci non significa che lUno scelga in modo arbitrario una delle tante anzi, infinite!
identit a sua disposizione, ossia che avrebbe potuto anche sceglierne una qualsiasi delle
altre. Pur avendo a disposizione infinite possibilit, la sua libert consiste nello scegliere
una sola identit, la sua, ma non perch necessitato ma perch non pu volere che quella.
Perch? Perch la sua identit Uno come potenza infinita la massima e la migliore e
391
non avrebbe potuto volere unidentit minore e peggiore quando poteva sceglierne una
maggiore e migliore. In questo senso, lUno non poteva che volere liberamente la sua
propria e unica identit, quella appunto di potenza infinita. LUno libero effettivamente
perch e in quanto sceglie il meglio e solo quello.
Per far capire a fondo lintero ragionamento, Plotino lo risvolge utilizzando la
determinazione del Bene. Il principio, lUno, infatti, anche e soprattutto Bene, Bene con
la maiuscola per indicare che un Super-Bene, cio un bene infinito, trascendente
qualsiasi bene finito, ovvero qualunque sua definizione da parte della mente umana. Ora,
in quanto Bene, lUno vuole esistere, dal momento che sarebbe assurdo, irrazionale, che
ci che infinitamente bene non voglia esistere. Daltra parte in quanto esiste, lUno non
pu che volersi cos com, cio non pu che voler essere Bene, perch sarebbe altrettanto
assurdo e irrazionale che possa volersi anche solo un po meno bene.
392
LUno Libert
La libert dellUno non consiste nello scegliere una cosa piuttosto che
unaltra, ma nello scegliere razionalmente la cosa migliore
393
394
395
TAPPA 4
PLOTINO: LUNO CREA IL COSMO FINITO
Come dunque e cosa vede lIntelligenza? E come esiste e come nacque da Lui,
cos da poterlo vedere? Ora, certamente, lAnima conscia della necessit che
le realt intellegibili siano cos, ma desidera approfondire questo problema,
gi discusso dagli antichi pensatori: cio come dallUno quale noi labbiamo
concepito, sia venuta allesistenza ogni altra cosa, molteplicit, Diade, o
numero; oppure, come Egli non sia rimasto in se stesso, e abbia invece
generato una siffatta molteplicit quale si constata fra gli esseri, e che noi
postuliamo dover risalire a Lui.
Plotino, Enneadi, V, 1, 6, ed. cit.
Ma come il Tutto pu derivare dal semplice Uno, dal momento che in questo
non si pu manifestare nessuna variet e molteplicit? Ora, proprio perch
in Lui, tutto pu derivare da Lui; affinch lEssere sia, Egli per questo non
essere, ma soltanto il genitore dellessere, e questa che chiamer genitura
prima. Egli infatti perfetto perch nulla cerca e nulla possiede e di nulla ha
bisogno; e perci, diciamo cos, trabocca e la sua sovrabbondanza genera
unaltra cosa.
Plotino, Enneadi, V, 1, 6, ed. cit.
Ma come le [le propriet delle cose a partire dallesistenza] dona? O perch le
ha, o perch non le ha.
Ma come pu dare ci che non ha? Se le ha, Egli non semplice; se non le ha,
come pu derivare da Lui la molteplicit? Che ununit possa effondere da s
un semplice, si pu anche concedere, quantunque potremmo anche chiederci
come mai il semplice possa derivare da ci che assolutamente uno; qui
tuttavia potremmo anche dire che esso ne derivi come lirraggiamento della
luce. Ma della molteplicit che diremo? Certamente, ci che procede da Lui
non deve essere identico a Lui; ma se non pu essere identico, tanto meno pu
essere migliore. Infatti che cosa potrebbe essere migliore dellUno, o
addirittura al di l dellUno? Sar dunque inferiore, cio pi manchevole. Ma
che cos pi manchevole dellUno? Il non-uno, vale a dire il molteplice: il
quale, tuttavia, aspira allUno: e cio luno-molti. Difatti, ogni non-uno
conservato dallUno ed quello che per opera dellUno; effettivamente, se
esso, pur essendo fatto di molti elementi, non diventa unit, non si pu dire
che ; e se anche si sappia dire ci che ciascuno di essi, questo avviene
perch ciascuno di essi uno e identico.
Plotino, Enneadi, V, 3, 15, ed. cit.
396
In che maniera, dunque, e che cosa dobbiamo pensare del Primo, se Egli resta
immobile? Un irradiamento che si diffonde da Lui, da Lui che resta immobile,
com nel sole la luce che gli splende tuttintorno; un irradiamento che si
rinnova eternamente, mentre Egli resta immobile. Tutti gli esseri, finch
sussistono, producono necessariamente dal fondo della loro essenza, intorno
a s e fuori di s, una certa esistenza, congiunta alla loro attuale virt, che
come unimmagine degli archetipi dai quali nata: il fuoco effonde da s il suo
calore, e la neve non conserva il freddo soltanto dentro di s; unottima prova
di ci che stiamo dicendo la danno le sostanze odorose, dalle quali, finch
sono efficienti, deriva qualcosa tuttintorno, di cui gode chi gli sta vicino.
Plotino, Enneadi, V, 1, 6, ed. cit.
Dopo aver affrontato e risolto la triplice questione relativa al principio dellUno, Plotino si
misura con un altro, conseguente problema: perch e in che modo il principio, cio lUno,
genera tutte le cose? Si tratta di un problema tradizionale che per nella filosofia di Plotino
assume uno spessore di gran lunga maggiore e dunque risulta molto pi arduo da risolvere.
Infatti, nessun filosofo, prima di Plotino, aveva marcato come lui la differenza ontologica
del principio rispetto a tutte le cose. In modo pi esplicito: dal momento che lUno
assolutamente omogeneo, semplice, immateriale, immutabile, infinito, come pu produrre
cose molteplici e differenziate, materiali, mutevoli, finite, cio del tutto opposte a esso?
Com possibile che il trascendente di se stesso generi limmanente?
Anche per risolvere questo problema, Plotino, innanzitutto, fa leva ancora una volta sulla
natura dellUno, cio sul suo essere infinita attivit produttiva. In quanto infinita la sua
produttivit sovrabbondante, per cos dire straripa da se stessa e va oltre se stessa. Per
caratterizzare questa sorta di esondazione dellUno, Plotino usa prevalentemente tre
termini:
a) prosecuzione (proods, letteralmente andare avanti, ma anche nelle accezioni di
uscire e mostrarsi in pubblico),
b) irradiazione (perlampsis),
c) defluire (aporrin).
La pluralit e la valenza analogica di questi termini attestano che essi vanno compresi e
usati come del resto tutte le parole che si riferiscono allUno, a cominciare da Uno
medesimo come allusioni e non come definizioni. Ci chiarito, in prima approssimazione
si pu dire che per Plotino il mondo, le cose, sono la prosecuzione dellUno, il suo
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Nuovo concetto di
creazione
400
TAPPA 5
Egli infatti perfetto perch nulla cerca e nulla possiede e di nulla ha bisogno;
e perci, diciamo cos, trabocca e la sua sovrabbondanza genera unaltra cosa.
Ma lEssere cos generato si volge a Lui e tosto ne riempito e, una volta nato,
guarda a se stesso, e questa lIntelligenza [o Mente]. Il suo orientarsi verso
lUno genera lEssere; lo sguardo rivolto a se stesso genera lIntelligenza. Ma
poich lIntelligenza per contemplarsi deve persistere in se stessa, diviene
insieme Intelligenza ed Essere. E cos lEssere, essendo simile a Lui, genera
ci che gli affine, riversando fuori la sua grande potenza; ma anche questa
unimmagine di colui che, prima di lui, manifest la sua potenza. Questa forza
che procede dallEssere lAnima, ma questa diviene, mentre lIntelligenza
immobile, poich anche lIntelligenza nacque mentre Colui che prima di lei
persiste nella sua immortalit.
Plotino, Enneadi, V, 2, 11, ed. cit.
E dunque necessario che il pensiero, quando pensa, si trovi in una dualit; e
allora, o uno dei due termini fuori, oppure i due termini sono identici. Il
pensiero implica sempre unalterit e, necessariamente, anche unidentit; e
gli oggetti pensati, in senso stretto, sono, rispetto allIntelligenza, identici e
insieme diversi.
Plotino, Enneadi, V, 3, 10, ed. cit.
Da Lui lIntelligenza trae la potenza di generare e di restare incinto della sua
stessa prole, poich il Bene offre ci che Egli stesso non possiede. DallUno
deriva, per Intelligenza, la molteplicit: incapace di contenere la potenza che
porta in s, lIntelligenza la frantuma e riduce lunit a molteplicit per
poterla sostenere a parte a parte.
Plotino, Enneadi, VI, 7, 15, ed. cit.
LUno crea la realt oltrepassandosi, ovvero irradiandosi. Ma, secondo Plotino, lUno non
crea immediatamente la realt fisica, il cosmo naturale, ma unaltra realt preliminare a
quella: la realt razionale, ovvero il mondo ideale. Innanzitutto, infatti, lUno crea due
copie dirette per cos dire, due alter ego di se stesso: la Mente (Nos) e lAnima
(Psych). Esse, come lUno, sono realt immateriali, eterne e infinite; ma, a differenza
dellUno, non si autocreano, in quanto sono create appunto dallUno, e, come sue
401
Per comprendere meglio queste due facce della Mente, possiamo paragonare la Mente a un
duplice specchio: il primo specchio quello che rispecchia lUno; il secondo quello che
rispecchia il primo specchio, cio che rispecchia limmagine dellUno gi riflessa nel primo
specchio. Il primo specchio quello oggettivo, cio corrisponde al pensiero pensato,
ovvero allEssere in quanto realt puramente razionale; il secondo quello soggettivo,
ovvero il corrispettivo del pensiero pensante, ovvero della coscienza razionale. Poich il
primo specchio si rispecchia nel secondo, la Mente duplice, ma questa duplicit
402
Ma cosa sono queste parti? Plotino risponde che sono le idee, cio le forme razionali,
unitarie, immutabili e perfette, di tutti gli esseri fisici, e quindi anche di tutti i loro principi
e propriet matematici, logici, etici, estetici. In altre parole, la Mente corrisponde al mondo
delle idee di Platone, ma con una decisiva differenza. Le idee non sono pi oggetti razionali
indipendenti, ma sono i contenuti razionali di una coscienza pensante, che, come tale, ne
costituisce il principio di unificazione, in quanto, pensandole, le correla tutte
riconducendole alla propria unit. Il mondo delle idee di Platone in Plotino si trasforma in
un pensiero che fluisce incessantemente trascorrendo da unidea allaltra e che tutte in tal
modo le connette dinamicamente.
In tal senso si pu paragonare la Mente a un circuito elettrico costituito da una serie di
elementi o componenti (sorgente, resistenza, condensatori, trasformatori, ecc.) tra loro
collegati in modo tale da consentire il continuo passaggio tra essi della corrente elettrica:
gli elementi e i collegamenti del circuito corrispondono alle idee e alla loro correlazione
unitaria, cio al pensiero pensato, e la corrente che scorre nel circuito al pensiero pensante.
Ancor meglio, si pu comparare la Mente alla rete neuro-cerebrale: i neuroni
rappresentano le idee, le sinapsi i loro collegamenti, il pensiero umano il pensiero della
Mente. Salvo che la Mente del tutto immateriale, il cervello umano invece fisico; le idee e
le loro relazioni sono infinite, neuroni e sinapsi in numero enorme (circa 100 miliardi solo
i neuroni) ma pur sempre finito; il pensiero della Mente fluisce sempre in tutte le idee, il
pensiero umano solo in un certo numero di neuroni in uno stesso istante.
403
Pensiero pensato:
rispecchiamento dellUno
Pensiero pensante:
rispecchiamento del
rispecchiamento dellUno
MENTE
404
405
qualcosa del tutto uniforme, insomma similmente allUno di Plotino. Nel momento in cui
ci siamo riconosciuti per la prima volta allo specchio, in primo luogo ci siamo distinti in
due, ossia in me che guardo lo specchio e nella mia immagine guardata nello specchio,
analogamente alla Mente secondo Plotino; in secondo luogo, abbiamo distinto le varie
parti del nostro volto (naso, occhi, sopracciglia, ecc.) potendole finalmente guardare
nitidamente nella nostra immagine speculare, cos come la Mente, secondo Plotino,
contemplando lUno lo divide e lo moltiplica nelle varie idee.
Per chi vuole saperne di pi: Lautocoscienza, di P. Perconti, Laterza, 2008.
406
TAPPA 6
PLOTINO: LINDIVIDUALIZZAZIONE DELLUNO E LANIMA
Il compito dellanima razionale il pensare ma non soltanto il pensare,
perch, allora, che cosa la distinguerebbe dallIntelligenza? Poich essa
aggiunge al suo essere intellettuale qualche cosa daltro, per il quale acquista
la sua propria essenza, lAnima non resta pura Intelligenza, ma ottiene
anchessa una sua particolare funzione, come qualsiasi altro ente. Ma quando
guarda a ci che prima di essa, lAnima pensa; quando guarda se stessa, si
conserva; quando guarda ci che le posteriore [il mondo fisico], lanima
ordina, regge e governa su di esso. Poich luniverso non poteva fermarsi al
piano dellIntelligenza, dal momento che cera la possibilit che qualcosa
daltro [la materia] venisse dopo, inferiore s ma necessario, essendo
necessario anche ci che sopra di essa.
Plotino, Enneadi, IV, 8, 3, ed. cit.
Perci ogni anima rifletta anzitutto su questo: che essa ha generato tutti i
viventi infondendo in essi la vita; quelli che nutre la terra e che nutre il mare,
quelli che abitano nellaria e gli astri divini che sono nel cielo; che ha generato
il sole e questo cielo immenso e lo ha adornato; essa lo fa girare in un
determinato ordine, pur essendo una natura diversa dalle cose che ordina,
muove e vivifica: lanima perci vale necessariamente pi di esse, poich,
mentre queste nascono e muoiono, qualora essa le abbandoni o dia loro la
vita, essa invece sussiste eternamente poich non abbandona mai se stessa.
[]
Anche il cielo, pur essendo molteplice e vario, unitario in virt della potenza
dellAnima e in virt di essa anche questo mondo un dio. E anche il sole un
dio perch animato, e le altre stelle; e anche noi stessi, se pur siamo
qualcosa, lo siamo per questa ragione, poich i cadaveri vanno gettati via pi
che il letame [Eraclito, fr. B96].
Plotino, Enneadi, V, 1, 2, ed. cit.
Se questo detto bene, necessariamente lAnima delluniverso contempler
gli esseri migliori e tender sempre verso la natura intellegibile e verso Dio;
essa se ne riempie e da lei, una volta riempita e quasi ricolma, nasce
unimmagine che al suo limite estremo ed ci che produce le cose. E
lultima potenza produttrice: al di sopra c la parte superiore dellanima che
riempita <di forme> dallIntelligenza; al di sopra di tutto c lIntelligenza
demiurgica, che allanima che viene dopo d <le forme> le cui tracce sono
nella realt di terzo grado. Perci si dice giustamente che il mondo
unimmagine che sempre si rinnova, mentre la prima e la seconda realt sono
407
La creazione del mondo fisico da parte dellUno, non si basa solo sulla Mente ma anche su
un altro principio puramente razionale, che Plotino chiama Anima (psych). LAnima
discende dalla Mente come la Mente dallUno. Poich costituisce un ulteriore grado di
irradiazione dellUno pi lontana dallUno della Mente e dunque possiede una potenza
infinita qualitativamente inferiore a quella della Mente.
Di conseguenza, mentre la Mente originariamente duplice, lAnima originariamente
triplice, in quanto si articola in:
a) anima suprema,
b) anima delluniverso,
c) anime individuali molteplici.
LAnima suprema lattivit con cui lAnima si rivolge alla Mente e la contempla,
contemplando cos, attraverso la Mente, anche lUno, e dunque correlandosi a entrambi. In
questo senso, si pu dire che lAnima suprema un terzo specchio che rispecchia quello
della Mente come pensiero pensante (che a sua volta, ricordiamoci, rispecchia lo specchio
che rispecchia direttamente lUno, cio il pensiero pensato).
In altre parole: come la Mente una copia dellUno, lAnima una copia della Mente, cio
una copia della copia dellUno; per cos dire, unimmagine pi sbiadita dellUno.
408
LAnima universale lattivit con cui lAnima ordina e governa la materia producendo cos
il cosmo fisico. Questa seconda funzione dellAnima strettamente consequenziale alla
prima. I criteri dellordinamento e del governo della materia sono, infatti, le idee della
Mente contemplate dalla funzione superiore dellAnima, che, come tali, rappresentano i
principi razionali che regolano e guidano la produzione di tutte le cose fisiche.
LAnima universale svolge la funzione di applicare le idee, in quanto principi razionali, alla
materia, producendo cos effettivamente le cose fisiche, ovvero gli esseri naturali. Se lUno
, dunque, la potenza (o energia) creatrice, e la Mente lordine creatore, lAnima lattivit
che crea effettivamente, lesecutrice della creazione.
Per creare le cose fisiche, che come tali sono individuali, lAnima deve per configurare
individualmente le idee, che in s sono uniche e universali. Pertanto deve, per cos dire,
tradurre le idee, cio i principi razionali universali, in progetti (o disegni) razionali
individuali, che, come tali, sono delle immagini, cio delle copie, delle idee, cio
possiedono un grado di razionalit inferiore, ma indispensabile per poter adattare le idee
alla materia. Le anime individuali sono appunto questi stessi progetti/disegni razionali
chiamati anche da Plotino forme razionali, o ragioni formali, o ragioni seminali che
costituiscono ogni cosa fisica, ovvero sono i principi organizzatori di tutti gli esseri naturali
e dunque ci che infonde loro la vita.
Le anime individuali sono molteplici (una molteplicit di gran lunga maggiore a quella
delle idee, perch per ogni idea universale vi sono molti esseri naturali) e separate, in
quanto ognuna contenuta in un corpo; ma, dal momento che in ogni anima individuale
c lintera Anima, seppur configurata in un modo singolare, tutte le anime individuali,
afferma Plotino, sono unite, sono sempre anche un unico principio. Ci comporta che tutti
gli esseri naturali siano collegati gli uni agli altri da una simpatia, ovvero che siano
armonicamente correlati tra loro.
409
MENTE
ANIMA
Anime individuali
che sono i principi
vitali di ogni cosa
410
TAPPA 7
PLOTINO: IL MASSIMO DEPOTENZIAMENTO DELLUNO E LA MATERIA
Come devo pensare lassenza di grandezza della materia? E come puoi tu
pensare la materia senza qualit? E quale nozione ne hai tu e come la
comprendi tu col pensiero? []
E a questo pensava Platone quando disse che essa percepibile con un
ragionamento spurio.
E che cos dunque lindeterminatezza dellanima? E ignoranza completa e
impossibilit di enunciare alcunch?
No, lindeterminato oggetto di una positiva enunciazione, e come per
locchio loscurit la materia di ogni cosa invisibile, cos anche lanima, dopo
aver soppresso nelle cose sensibili quanto simile alla luce <cio le qualit> e
diventata incapace di determinare ci che rimane, diventa simile allocchio
nelloscurit e si fa in un certo modo identica alloscurit, che essa in un certo
senso vede. Ma la vede veramente?
Certo, per quanto si pu vedere la bruttezza stessa, senza colore, senza luce ed
anche senza grandezza; se no, <lanima> le attribuirebbe una figura.
E cos questa affezione dellanima non lo stesso che se essa non pensasse
nulla? No, quandessa non pensa nulla, nemmeno dice nulla, anzi, non ha
impressione alcuna; ma quando pensa alla materia, riceve in s passivamente
come limpronta di ci che non ha forma.
Plotino, Enneadi, II, 4, 10, ed. cit.
Il ricettacolo delle forme non deve dunque essere un volume, ma col diventare
volume riceve anche le altre qualit; lo si immagina come un volume, perch
capace di ricevere questo per primo. Ma come volume vuoto: perci alcuni
hanno detto la materia identica al vuoto. [] Perci non si dica che questo
indeterminato soltanto grande o soltanto piccolo, ma che grande e piccolo,
dunque un volume, ma inesteso, in quanto materia del volume; esso si
contrae da grande a piccolo e da piccolo si estende e diventa grande e <la
materia>, per cos dire, lo percorre. Linfinit della materia un volume
simile, ricettacolo della grandezza nella materia; ma questa non che
unimmagine.
Plotino, Enneadi, II, 4, 11, ed. cit.
Dunque la materia necessaria alla qualit e alla grandezza e quindi anche ai
corpi: ed essa non un nome insignificante, ma un reale soggetto, bench
invisibile e inesteso. Se essa non , diremo che per la stessa ragione non sono
n le qualit n la grandezza: infatti si potrebbe dire che esse non sono
411
412
LUno, la Mente e lAnima per Plotino sono i principi ideali che creano la realt puramente
razionale, cio le idee della Mente, declinate dallAnima in progetti razionali singolari, cio
in anime individuali. Ma perch le anime individuali diventino cose fisiche, ovvero corpi,
cio per spiegare lesistenza del mondo fisico, occorre un ulteriore componente: la materia.
Infatti, il cosmo fisico, secondo Plotino, costituito dallunione delle anime individuali e
della materia, ossia dalla materializzazione delle anime individuali.
Ma che cos la materia e qual la sua origine? Plotino, in prima battuta, risponde che
non-essere. Poich lessere, in senso stretto, la Mente, cio il pensiero delle idee, ossia
delle forme razionali universali, dire che la materia non-essere significa dire che
qualcosa di privo di razionalit, cio di ordine, di organizzazione. In una parola, la materia
lindefinito.
In questo senso, Plotino la descrive come un contenitore del tutto amorfo, ovvero come
uno spazio vuoto, in quanto capace di accogliere e ospitare, ma uno spazio privo di
qualsiasi connotazione, persino del volume, cio della tridimensionalit, e quindi di ogni
grandezza. Sempre in tal senso, Plotino lo paragona a uno specchio che, proprio perch
non possiede disegni e colori propri, pu rispecchiare in s qualsiasi cosa. In altre parole,
proprio in quanto non-essere, cio in quanto priva di qualsiasi configurazione, la materia
ci che pu assumere qualsiasi configurazione.
Tuttavia, anche se assenza di razionalit, non-essere appunto, la materia esiste. Allora da
cosa deriva e come? Plotino risponde che anche la materia deriva dallUno, n potrebbe
essere altrimenti, visto che lUno il principio unico di tutto, la potenza creatrice di tutto
413
ci che esiste. Ma se lUno super-essere, o super-razionalit, come pu creare il nonessere, ci che privo di razionalit? Plotino chiarisce che la materia s non-essere, ma
non come opposto dellessere, ovvero come sua antitesi assoluta, bens come diverso
dallessere, cio come non-essere relativo, come estrema riduzione dessere. In altre parole,
lirradiazione dellUno, che crea ogni cosa, si svolge come una progressiva diminuzione di
energia vitale, ovvero di essere, e dunque tende allo zero. Ma naturalmente lenergia
creativa dellUno non pu annullarsi altrimenti non sarebbe infinita, quale invece .
Lirradiazione dellUno, dunque, si approssima infinitesimalmente allannullamento ma
non si annulla mai del tutto.
Usando una similitudine matematica, si pu dire che la materia, in quanto non-essere, il
limite tendente a zero dellenergia creativa dellUno. Oppure, facendo ricorso allanalogia
plotiniana dellirraggiamento solare, la materia il confine del cono di luce prodotto dal
sole, ovvero il punto in cui la luce si esaurisce a favore delloscurit. Sviluppando questa
analogia, risulta che il buio, pur non essendo luce, prodotto dalla luce, in quanto senza la
diversit della luce non potrebbe esistere come buio.
Fuor di metafora, creando lessere, lUno implicitamente crea anche il non-essere, per
differenza, per massima diversit appunto. Senza lessere infatti il non-essere non potrebbe
esistere. In questo senso Plotino afferma che lUno don lesistenza alla materia e che
anche la materia partecipa della potenza infinita dellUno.
Ma c di pi. Finora ci siamo riferiti alla materia in s, cio alla materia come sarebbe se
non fosse organizzata dallAnima delluniverso, ovvero riempita delle sue anime individuali
o forme razionali. Ma la materia in s, ovvero come completo non-essere, diversit totale,
qualcosa di meramente potenziale, ha s unesistenza, ma del tutto virtuale, appunto,
come dice Plotino, un fantasma o uno specchio vuoto. Poich lAnima eterna, ab aeterno
ha ordinato la materia, e dunque di fatto la materia non mai esistita realmente in s e per
s, cio come mero non-essere, ma da sempre ospita le forme razionali dellAnima e
dunque da sempre possiede un certo grado dessere, cio di organizzazione. Solo che la
materia un mero recettore passivo di questo ordine, non lo possiede di per s, e quindi
non lo attiva, bens lo subisce soltanto.
Per, pur sempre lo riceve e quindi lo acquisisce. Pertanto, per cos dire, la materia, pur
essendo disordine, si piega allordine, pur essendo non-essere predisposta allessere, cio
malleabile per lAnima del mondo. Dunque anche la materia ha una sua razionalit. Certo
quello della materia il grado minimo di organizzazione, cio di razionalit, ma pur
sempre qualcosa. In tal senso Plotino afferma che anche la materia forma, bench
forma infima.
414
Il cosmo fisico, la natura, i corpi, cio tutti gli esseri fisici, sono il risultato
dellordinamento che lAnima immette nella materia, o meglio, come precisa Plotino, che la
materia assume in quanto inglobata, come assorbita, nellAnima. LAnima, infatti, fluisce
dentro la materia e, al contempo, labbraccia, la circonda. Lordinamento dellAnima
comincia dallinserimento nella materia di quattro forme primarie, quelle che, in quanto
poste nella materia, vengono a costituire i quattro elementi naturali: terra, acqua, aria,
fuoco. Simultaneamente la materia riceve anche lestensione, cio la tridimensionalit
spaziale, e di conseguenza volume, massa, peso, grandezza.
In altre parole, da spazio potenziale o virtuale, la materia diventa spazio reale,
tridimensionale. In questo senso la materia virtuale si pu paragonare a una creta informe
capace di estendersi elasticamente e di assumere le pi diverse configurazioni.
Linserimento delle anime individuali comporta poi la mescolanza di parti dei quattro
elementi naturali in proporzioni diverse per ogni anima. Da tale mescolanza, prodotta
dalle anime, derivano i singoli corpi, p.e. una roccia di basalto, unorchidea, un gatto, un
uomo, una nuvola, un pianeta, ecc.
Essendo ordinato dallAnima, il cosmo fisico essere, ma, poich costituito anche dalla
materia, cio dal non-essere, possiede un rango ontologico ovviamente inferiore a quello
dellAnima, della Mente e dellUno, cio delle tre realt che Plotino chiama ipostasi, cio
autoesistenze o autosussistenze, e che quindi sono eterne. In tal senso, Plotino sostiene che
il cosmo fisico unimmagine, una copia sbiadita dellAnima, ovvero delle stesse anime
individuali. Ricorrendo ancora allanalogia, Plotino definisce i corpi come i riflessi delle
anime nello specchio costituito dalla materia.
Oggi, potremmo dire che, secondo Plotino, i corpi sono come ologrammi, cio immagini
fotografiche tridimensionali prodotte da un laser, cio da un fascio di luce iperconcentrato.
In questa similitudine, la materia corrisponde appunto alla luce laser in quanto capace di
far sembrare tridimensionale una fotografia bidimensionale.
La natura per cos dire evanescente o fantasmatica degli esseri fisici, ovvero il loro statuto
ontologico inferiore, a met tra essere e non-essere, tuttuno con il loro divenire, cio con
il loro incessante trascorrere, con il loro costante mutamento, che naturalmente implica la
loro nascita e la loro morte. Le anime individuali, per, non muoiono, sono eterne e
immutabili. Sono solo i loro riflessi nello specchio materiale che vanno e vengono,
producendo cos lapparenza della nascita e della morte.
Ma il divenire la nascita, la morte, il cambiamento, il moto implica il tempo. Si visto
come la materia si possa considerare spazialit potenziale e dunque come possa spiegare la
415
tridimensionalit spaziale del mondo fisico. Il tempo, per, non inerente alla materia. Da
cosa prodotto allora? La risposta di Plotino : dallAnima. In che modo? LAnima,
afferma Plotino, dispone in successione, cio secondo il criterio del prima e del poi, ci che
nella Mente diviso in parti ma simultaneo, ovvero le idee in quanto sono conosciute
simultaneamente nelle loro relazioni dalla Mente stessa. Per comprendere meglio questa
tesi di Plotino, possiamo usare lesempio analogico di un film cinematografico, come noto
composto da migliaia di fotogrammi. Se possedessimo una vista straordinaria, potremmo
vedere tutti i fotogrammi simultaneamente, allo stesso modo, cio, in cui la Mente conosce
tutte le Idee; invece, poich disponiamo di una vista normale, li vediamo in successione,
vediamo appunto un film con un inizio e una fine (possibilmente lieta), cio al modo in cui
lanima riordina le idee. In altre parole, lAnima delluniverso, traducendo le idee in disegni
razionali, ossia in anime individuali, per adattarle alla materia, sostituisce il loro
collegamento sincronico con una connessione diacronica, ossia le pone in successione
cronologica. Sviluppando lanalogia del film, viene spontaneo concludere che per Plotino
gli esseri fisici sono cartoni animati!
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Le cose fisiche sono i riflessi delle anime individuali nello specchio della materia
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TAPPA 8
PLOTINO: LUOMO E UNANIMA CADUTA
E noi? Chi siamo noi? Forse che noi siamo quellEssere oppure siamo ci che
savvicina allEssere e diviene nel tempo? Ancor prima che nascessimo, noi
eravamo lass, uomini alcuni ed altri anche dei, anime pure e intelligenze
unite allEssenza intera, parti del mondo intelligibile, n separate n divise,
ma appartenenti al Tutto: infatti, anche oggi non ne siamo separati.
Oggi, purtroppo a quelluomo spirituale si aggiunto un altro uomo che vuole
esistere; egli ci ha trovati poich non eravamo fuori delluniverso e si
accostato a noi e si rivestito di quellUomo che ciascuno di noi era allora. []
Noi siamo diventati cos una coppia di due uomini e non siamo pi quello che
eravamo prima; anzi, qualche volta, siamo soltanto quel secondo uomo che si
aggiunge quando quel primo uomo non opera pi ed , in un certo senso,
lontano.
Plotino, Enneadi, IV, 4, 14, ed. cit.
Ma per quale causa le anime, pur essendo parti del mondo superiore e
appartenenti completamente ad esso, si sono dimenticate di Dio loro Padre e
ignorano se stesse e Lui? Per loro il principio del male fu la temerariet e il
nascere e lalterit originaria e il desiderio di appartenere a se stesse. In tal
modo soddisfatte di quella loro manifesta decisione, dopo aver abusato del
loro movimento e aver corso in senso contrario, una volta allontanatesi di
molto, ignorarono finalmente se stesse e il loro luogo dorigine: simili a
fanciulli che, troppo presto rapiti ai loro genitori e allevati per molto tempo
lontani da loro, non riconoscono pi n se stessi n i loro genitori.
Plotino, Enneadi, V, 1, 1, ed. cit.
Finch rimangono nel mondo intelligibile insieme con lAnima universale,
esistono senza alcun affanno; unite nel cielo allAnima universale,
condividono con essa il governo del mondo, simili a re che siano accanto al
supremo Signore e governino insieme con lui senza discendere
personalmente dalle loro dimore regali: allo stesso modo stanno insieme,
allora, le anime e nella stessa sede. Ma esse si allontanano dal Tutto sino ad
essere anime parziali: ciascuna vuole appartenere a se stessa e, come stanca
di essere in comunione con le altre, si ritrae in se stessa. Qualora lanima
faccia questo per lungo tempo fuggendo il Tutto e distinguendosi dal Tutto, e
pi non rivolga lo sguardo allIntelligibile, essa diventa un frammento, si
isola, perde il suo vigore e, dedicandosi alle faccende pratiche, guarda
soltanto alle cose particolari; separata dal Tutto, si abbassa a qualsiasi cosa
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dormiente; il vero risveglio consiste nel levarsi davvero senza il corpo e non
con esso.
Plotino, Enneadi, III, 6, 6, ed. cit.
Essa [lanima] ha tuttavia la capacit di riemergere nuovamente dopo aver
acquisito lesperienza di ci che vide e sofferse quaggi, e di comprendere che
cosa voglia dire essere lass e di conoscere pi chiaramente, attraverso il
raffronto con il suo contrario, ci che il Bene. Poich lesperienza del male
porta a una conoscenza pi precisa del Bene in quegli individui nei quali la
potenza troppo debole per poter conoscere il male con pura scienza ancor
prima di averlo provato.
Plotino, Enneadi, IV, 8, 7, ed. cit.
Luomo corporeo, luomo di carne ed ossa, non per Plotino luomo originario e dunque
non nemmeno luomo autentico, genuino ma una sua trasformazione o, per cos dire,
una sua copia.
Luomo originario e autentico, secondo Plotino, era infatti pura anima, ossia faceva parte
dellAnima nelle sue tre componenti: come anima individuale possedeva una propria
coscienza e una personalit unica, come Anima delluniverso partecipava al governo del
cosmo fisico e come Anima suprema contemplava la Mente e dunque era unito al cosmo
ideale, ovvero allEssere intellegibile.Come mai allora luomo diventato corporeo?
Plotino risponde che luomo corporeo lesito di una caduta, o di una discesa,
delluomo incorporeo, cio il risultato della sua acquisizione di una costituzione
ontologica inferiore, di un grado minore di essere, quello proprio del mondo fisico. Ma
perch luomo incorporeo sceso nella dimensione fisica, acquisendo cos un corpo?
Plotino lo spiega ricorrendo a quattro concetti, tutti da interpretare:
a) la temerariet, o meglio laudacia (tlma), cio la tendenza dellanima umana a
osare, a oltrepassare coraggiosamente, ma anche rischiosamente, i propri limiti;
b) la nascita, o meglio la generazione (gnesis), cio la volont di produrre qualcosa di
proprio, cio di riprodursi sessualmente ma anche di creare opere intellettuali o
artistiche;
c) lalterit originaria, cio la prima creazione dellUno, in quanto lidea di diversit da
se stesso il presupposto razionale della creazione di ogni altra idea e di ogni altra
cosa, il che significa che anche lanima umana, in quanto creata dallUno, vuole
diventare diversa da ci che originariamente ;
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In sintesi, come tutto ci che lUno irradia, anche lanima umana reca in s limpronta
dellUno, cio simile a esso, e dunque non pu che imitarlo, cio non pu che volere
anchessa svilupparsi ulteriormente e per farlo non pu che differenziarsi e per
differenziarsi non pu che abbassarsi, cio entrare nello specchio della materia e divenire
il riflesso fisico di se stessa, ovvero rivestirsi di un corpo. In questo senso, in modo simile
allUno, anche per le anime la differenziazione coincide con la molteplicit.
Infatti, le anime sono s individuali ma originariamente, essendo parti di ununica Anima,
non sono separate ma si coappartengono, sono in perfetta comunione tra loro. La caduta
nella fisicit, cio lacquisizione dei corpi, scinde le anime, le separa e le contrappone, fa
loro acquisire unindividualit indipendente e conflittuale, e dunque le fa passare da
molteplicit ordinata a molteplicit disordinata. In tal senso, lanima, una volta
incarnatasi, fa esperienza del male.
Dunque la caduta delle anime nella dimensione fisica per Plotino senzaltro un
peggioramento della loro condizione originaria e, come tale, implica una duplice colpa. La
prima la discesa stessa, cio il passaggio dalla dimensione razionale a quella materiale.
Per, come si visto tale passaggio inevitabile, voluto dallUno stesso, tanto vero che
ha un fine positivo: migliorare la materia e al tempo stesso arricchire la conoscenza delle
anime umane. Luomo corporeo, sostiene Plotino, esercitando la sua potenza sulla materia,
da un lato ne incrementa lordine, facendo cos il suo bene, dallaltro accresce la sua
esperienza e quindi attua se stesso in un modo pi ampio, completandosi.
La corporeit, infatti, offusca lanima ma non la elimina e pertanto lesperienza fisica si
aggiunge a quella razionale arricchendola. In questo senso, Plotino afferma che in linea di
principio unanima potrebbe incarnarsi senza patire il male ma limitandosi a farne
esperienza per poi immediatamente risalire, cio tornare alla sua condizione originaria.
Dunque, la colpa connessa alla caduta non si pu considerare una colpa effettiva.
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Eppure Plotino aggiunge che anche la seconda caduta ha un senso positivo. Infatti, mentre
gli uomini dotati di unanima pi forte possono acquisire la conoscenza del male senza
commetterlo, altri uomini, dotati di unanima pi debole, per conoscere il male devono
commetterlo e devono dunque soffrirne le inevitabili conseguenze.
In entrambi i casi, lacquisizione della conoscenza del male, ovvero della condizione
materiale, per finalizzata a una maggiore comprensione di cos il Bene, ovvero della
superiorit della condizione spirituale. Dunque la colpa delle anime pi deboli per esse
un mezzo necessario per rafforzarsi, cio per arricchirsi conoscitivamente. In altre parole,
anche la seconda caduta, in ultima analisi, un bene perch produce un miglioramento
delle anime e le spinge a tornare alla loro condizione originaria.
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Audacia
Generazione
Alterit
originaria
Autonomia
Uomo corporeo
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TAPPA 9
PLOTINO: LA MASSIMA FELICITA E LESTASI
Lanima, dopo la sua caduta, imprigionata e messa in ceppi ed agisce
soltanto per mezzo dei sensi poich impedita di agire, almeno allinizio,
mediante la sola intelligenza. Essa , come si dice, nel sepolcro e nella
caverna; ma quando si volge al pensare, si libera dalle catene e risale, non
appena la reminiscenza le abbia offerto lavvio alla contemplazione
dellEssere: essa infatti conserva sempre un qualcosa che, malgrado tutto,
rimane in alto.
Plotino, Enneadi, IV, 8, 4, ed. cit.
Necessariamente, la potenza sensitiva dellanima percepisce non le cose
sensibili, ma piuttosto le impronte che si producono nel vivente dopo la
sensazione; e queste sono intelligibili. Perci la sensazione esterna il riflesso
di questa <propria dellanima>, la quale pi vera e pi reale di quella,
essendo una contemplazione impassibile delle forme.
Plotino, Enneadi, I, 1, 7, ed. cit.
Perci queste sensazioni sono pensieri oscuri e i pensieri intellegibili sono
sensazioni chiare.
Plotino, Enneadi, VI, 7, 7, ed. cit.
La nostra anima ha una parte che sempre presso gli intelligibili, unaltra che
presso le cose <sensibili>, unaltra che tra le due; essa una natura unica
con parecchie potenze, che ora si raccoglie tutta in quella parte che la parte
migliore di lei e dellessere, ora la sua parte inferiore precipitando trascina
con s la parte media: perch non permesso che lanima sia trascinata
tuttintera.
Plotino, Enneadi, II, 9, 1, ed. cit.
Poich [lanima] in mezzo [tra il mondo intellegibile e il mondo sensibile],
essa li percepisce entrambi; si dice che pensi gli Intelligibili allorch riesce a
ricordarsene se si avvicina ad essi; essa infatti li conosce perch , in certo
modo, gli Intelligibili stessi e li conosce non perch abbiano in essa la loro
dimora, ma perch li possiede in qualche modo e li vede ed , un po
confusamente, quegli esseri stessi; ma quando essa si scuote, diciamo cos,
dal suo sonno oscuro, essi diventano pi chiari e passano dalla potenza
allatto.
Plotino, Enneadi, IV, 6, 3, ed. cit.
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nostro corpo. I corpi e le loro affezioni sono solo immagini, ombre, riflessi del grande
specchio della materia.
In realt, quando il nostro corpo sembra subire lurto di un altro corpo, la nostra anima
che al suo interno percepisce la forma razionale del corpo che ci ha urtato, grazie al fatto
che essa, in quanto parte dellAnima universale, possiede in s le forme razionali di tutti i
corpi. In questo senso anche la sensazione pensiero, ma un pensiero oscuro, il livello
pi basso di razionalit.
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Se il percorso di risalita per tornare alla dimora originaria in generale comune a tutte le
anime, le sue modalit e i suoi tempi, afferma Plotino, variano per ogni anima individuale.
Alcune anime, come si visto, possono purificarsi e risalire gi al termine di una sola vita
terrena; altre, invece, devono attraversare pi vite terrene, ovvero reincarnarsi in altri
corpi umani, ma anche in animali e perfino in vegetali, per potersi purificare e ripristinare
la loro condizione originaria. In ogni caso, prima o poi, dopo unultima morte, tutte le
anime tornano da dove erano partite.
Ma soprattutto Plotino mette in evidenza unaltra possibilit di risalita, una possibilit
straordinaria, in quanto pu realizzarsi gi nel corso della vita terrena, prima cio della
morte. Quando il corpo ancora vivo, sostiene Plotino, lanima che ha raggiunto la piena
purificazione pu momentaneamente separarsi dal corpo e ascendere non solo alla Mente
ma addirittura allUno. Ma lascesa fino allUno non pu avvenire che unendosi a lui, cio
diventando lui, come una goccia di pioggia che giunge nelloceano e diventa oceano,
perdendo la sua individualit. In questo senso Plotino chiama lunione dellanima
individuale con lUno estasi, che significa emersione, fuoriuscita.
Ma fuoriuscita da cosa? Da ogni cosa: dalla fisicit, ma anche dalle forme razionali
dellAnima e dalle idee della Mente, e perfino dalla propria individualit, ossia dal proprio
io, dalla propria coscienza. E non potrebbe essere altrimenti perch lUno
lassolutamente indifferenziato e omogeneo e dunque in lui non pu esserci la distinzione
io/tu. Non cio possibile per Plotino che unanima contempli lUno dal momento che per
contemplarlo lanima dovrebbe essere altro da lui e dunque lo perderebbe. La
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CAMMINO
CONOSCITIVO
CAMMINO ETICO
CAMMINO EROTICOESTETICO
Conoscenza
sensibile
Vizi
Amore per la
bellezza dei corpi
Conoscenza
razionale
Virt civili
Amore per la
bellezza delle anime
Conoscenza
intellettiva
Virt
catartiche
ESTASI
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LO SCRIGNO
ALEX VILENKIN: LUNIVERSO E CONTRADDITTORIO
La concezione del mondo che emersa dai nuovi sviluppi a dir poco
straordinaria. Per parafrasare Niels Bohr (scienziato del primo 900, uno dei
padri della fisica quantistica, ndr), abbastanza pazzesca per essere vera.
Tale visione del mondo combina, in modo sorprendente, alcune
caratteristiche apparentemente contraddittorie: lUniverso sia infinito sia
finito, evolve pur essendo stazionario, eterno eppure ha avuto un inizio.
Alex Vilenkin, Un solo mondo o infiniti?, Cortina, 2007 (2006), p. 16
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X VIAGGIO
DIO PERSONA ONNIPOTENTE E AMOREVOLE
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ROTTA SU
NEOPLATONISMO ED ESISTENZIALISMO CRISTIANI
Agostino di Tagaste giustamente considerato il maggior esponente della Patristica, cio
della filosofia cristiana che, nata gi nel II secolo d.C., si sviluppa nel periodo tardoimperiale e nellAlto Medioevo. Agostino, infatti, il primo pensatore cristiano che
elabora una filosofia cristiana complessiva e sistematica in grado di rivaleggiare a pieno
titolo con le filosofie antiche di matrice politeistica.
La sua impresa filosofica si basa sulla fusione della filosofia neoplatonica, ma pi in
generale di tutta la tradizione filosofica platonica, con la precedente filosofia patristica e
con la dottrina religiosa dellAntico e soprattutto del Nuovo Testamento. Tenendo
presente che il neoplatonismo aveva gi rifuso al suo interno elementi di quasi tutte le
altre correnti filosofiche antiche (dallaristotelismo allo scetticismo, allo stoicismo),
sensato dire che Agostino il principale artefice di una operazione ideologico-culturale di
portata epocale, di cui Agostino stesso pienamente consapevole tanto da chiamarla
esplicitamente furto sacro: lappropriazione da parte della chiesa cristiana della
filosofia antica allo scopo di fornire alla propria dottrina religiosa un fondamento
razionale e una dignit culturale e di imporre cos la propria egemonia ideologica sulla
classe dominante e sulllite intellettuale romana. In altre parole, con la sua filosofia
Agostino d un contributo decisivo alla sconfitta definitiva del politeismo e della filosofia
antica utilizzando contro di loro proprio le armi filosofico-culturali che il neoplatonismo
aveva forgiato e usato per combattere il cristianesimo.
In questa prospettiva, il nodo preliminare da sciogliere per Agostino quello del
rapporto tra fede, ovvero dottrina cristiana, e ragione, ossia filosofia antica. Conciliando
le diverse posizioni espresse dai precedenti padri della Chiesa, cio dai primi filosofi
cristiani, Agostino prospetta un rapporto di reciproco sostegno e potenziamento tra fede
e ragione, e dunque si schiera nettamente a favore dellaccoglimento della tradizione
filosofica antica, a partire per dal saldo e indiscutibile presupposto del primato della
fede, cio della verit rivelata da Dio nella Bibbia cristiana, composta dallAntico ma
soprattutto dal Nuovo Testamento (i quattro Vangeli, gli Atti degli apostoli, lApocalisse).
Posto tale rapporto, ne consegue che laccoglimento del neoplatonismo da parte di
Agostino tuttaltro che incondizionato. In parole pi esplicite, Agostino non copia
affatto il neoplatonismo, ma al contrario ne filtra rigorosamente le tesi, scartando quelle
incompatibili con la dottrina cristiana (p.e. la dissoluzione del corpo) e modificandone
altre (p.e. la teoria della caduta delluomo) in modo da renderle pienamente coerenti con
essa. Da questa reinterpretazione creativa del neoplatonismo, ispirata dalla fede
cristiana, nascono i cardini della filosofia agostiniana, che sono altrettanti cardini della
nascente dottrina della chiesa cristiana: la teoria della verit come illuminazione delle
menti umane da parte di Dio; la teoria della creazione della materia dal nulla da parte di
un Dio assolutamente trascendente e onnipotente; la teoria della personalit e dellamore
di Dio; la teoria del tempo come prodotto della mente umana; la teoria del male, come
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effetto del peccato originale delluomo; la teoria della salvezza attraverso la grazia
divina; la teoria dello Stato come citt delluomo - fondata sulla violenza e destinata a
una fine violenta - e della chiesa come citt di Dio, fondata sullamore e destinata
alleternit; la teoria della storia come processo rettilineo segnato dallevento centrale e
discriminante dellincarnazione di Dio come Ges Cristo; la teoria delluomo come
immagine di Dio e unit di anima e corpo.
Se, per quanto detto finora, la filosofia di Agostino si configura come un neoplatonismo
cristiano, bisogna per aggiungere che la creativit filosofica di Agostino presenta anche
unaltra faccia, non meno importante e certamente ancor pi originale: quella che si pu
denominare esistenzialismo cristiano, cio una ricerca filosofica centrata sul mistero
dellesperienza vissuta unica e irripetibile delluomo in quanto singolo individuo e
finalizzata a indicare la fede cristiana come la sola soluzione possibile a tale mistero. Le
confessioni, lopera pi nota di Agostino, proprio quella che contiene questa seconda e
ancor pi originale faccia della sua filosofia. Essa una sorta di diario interiore,
introspettivo, nel quale Agostino si mette a nudo, si confessa appunto, analizzando
apertamente e impietosamente tutte le sue debolezze, i suoi difetti, le sue cattive azioni,
ma anche cercando e alla fine trovando proprio dentro di s, proprio nel suo io limitato e
manchevole, la via che conduce alla verit e alla felicit, cio a Dio.
Da questo punto di vista, la filosofia di Agostino segna una rottura e una svolta rispetto a
tutte le filosofie antiche e inaugura un indirizzo che avr un seguito limitato in alcuni
successivi filosofi per cos dire solisti, di nicchia, quali Montaigne (XVI secolo), Pascal
(XVII secolo), Kierkegaard (XIX secolo), ma che nel Novecento si affermer come uno dei
pi rilevanti e diffusi, la filosofia dellesistenza appunto.
439
VITA DI UN CAPITANO
AGOSTINO DI TAGASTE
Agostino di Tagaste rappresenta una rivoluzione nella storia della filosofia innanzitutto a
livello biografico, non solo per le sue multiformi e tormentate vicende esistenziali, ma
anche perch il primo filosofo a scrivere unautobiografia filosofica: Le confessioni.
Dunque, nel suo caso disponiamo non solo di testimonianze altrui ma anche di
informazioni biografiche di prima mano e non solo di informazioni parziali, relative ad
alcuni episodi (desunte per esempio da lettere), ma complete, cio relative a buona parte
della sua lunga vita (Le confessioni furono scritte tra il 396 e il 400, Agostino mor nel
430).
Agostino, infatti, nacque nel 354 a Tagaste (nel territorio dellattuale Algeria, ma vicino al
confine con lattuale Tunisia), nella provincia romana della Numidia, figlio di un piccolo
proprietario terriero e funzionario imperiale di religione politeistica e di una cristiana,
entrambi berberi. Dunque, fin dalla nascita in Agostino convivono il vecchio la religione
politeistica tradizionale connessa alla cultura classica greco-romana e il nuovo, una
religione monoteistica legata alla cultura mediorientale ebraico-cristiana.
Alla sua nascita regnava Costanzo II, figlio di Costantino il Grande, limperatore che aveva
promulgato leditto di Milano (313), legalizzando il cristianesimo, attribuendo beni e
funzioni giudiziarie ai vescovi e avviando in tal modo la trasformazione della chiesa
cristiana in unistituzione con funzioni anche politiche. Anche per questo, nel corso del IV
secolo aument il numero dei romani della classe media ma anche dellaristocrazia che si
convertivano al cristianesimo. Agostino aveva sette anni quando cominci il breve regno di
Giuliano, filosofo neoplatonico, che cerc di restaurare il culto politeistico come religione
di Stato, fallendo e passando cos alla storia come lApostata, cio il rinnegato, marchio
dinfamia attribuitogli dai cristiani di allora. Cos si arriv, nel 379, quando Agostino era
25enne, al regno di Teodosio, limperatore che, emanando leditto di Tessalonica (380),
proclam definitivamente il cristianesimo unica religione di Stato e mise fuorilegge il culto
politeistico, dando un nuovo, decisivo impulso alladesione dei romani alla chiesa cristiana.
Dunque, Agostino nacque e trascorse la sua infanzia e la sua giovinezza nel trentennio di
massima contrapposizione e transizione tra due civilt, quella antica e quella medioevale,
ovvero di pi conflittuale e rapido passaggio dal vecchio al nuovo. E, come vedremo, nella
sua vita Agostino incarn dentro di s sia questo scontro di civilt sia questo cambiamento
epocale, diventandone lemblema individuale.
La sua formazione scolastica fu quella tradizionale romana, finalizzata a intraprendere la
carriera di funzionario o oratore: la scuola di grammatica latina (Agostino non impar mai
il greco) a Tagaste, quindi a Madaura (citt natale di Apuleio), e poi gli studi di retorica
latina a Cartagine, dove inizi la sua convivenza con una donna da cui ebbe un figlio nel
373. Ma non ancora 20enne, Agostino si appassion alla lettura dellOrtensio (il dialogo in
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Trinit (399-419), La citt di Dio (413-426), La grazia e il libero arbitrio (427), che sono
invece i suoi pi importanti trattati di contenuto filosofico-teologico.
In particolare, la composizione di La citt di Dio strettamente legata agli eventi storici
dellinizio del V secolo. Nel 405-406, una nuova ondata di popoli germanici invase limpero
romano dOccidente. Nel 410, uno di questi popoli, i Visigoti, al comando di Alarico,
espugn e saccheggi Roma. Per i cittadini dellimpero fu un evento epocale: Roma,
considerata citt invincibile e quindi eterna, era stata conquistata e distrutta da unorda di
barbari. Le emozioni che il primo sacco di Roma suscit negli uomini dellepoca sono
paragonabili a quelle suscitate in noi uomini contemporanei dalla distruzione delle Twin
Towers di New York nel 2001. Levento spinse Agostino a scrivere La citt di Dio, allo
scopo di rassicurare i suoi contemporanei indicando nella Chiesa listituzione capace di
sostituire lo Stato romano.
Negli anni successivi, i Vandali, un altro popolo germanico, guidati da Genserico, dalla
penisola iberica giunsero nel 429 nellAfrica romana e nel 430 posero lassedio a Ippona.
Durante lassedio vandalo, Agostino mor.
443
TAPPA 1
AGOSTINO: LA VERITA E ILLUMINAZIONE DIVINA
Dio stesso, che cerchiamo, ci aiuter, spero, perch il nostro sforzo non sia
infruttuoso e perch comprendiamo come lo scrittore santo abbia potuto dire
nel Salmo: Si rallegri il cuore di coloro che cercano Dio: cercate Dio e siate
forti; cercate sempre il suo volto. Sembra, infatti, che ci che si cerca sempre,
non si trovi mai e come allora si rallegrer e non si rattrister invece il cuore
di coloro che cercano, se non avranno potuto trovare ci che cercano? Perch
il Salmista non dice: Si rallegri il cuore di coloro che trovano, ma: di coloro
che cercano il Signore? E che tuttavia Dio Signore si possa trovare, quando lo
si cerca, lo testimonia il profeta Isaia, quando afferma: Cercate il Signore e
appena lo troverete, invocatelo; e quando si sar avvicinato a voi, lempio
abbandoni le sue vie e liniquo i suoi pensieri. Se dunque, cercandolo, si pu
trovare Dio, perch scritto: Cercate sempre il suo volto? Sar forse che,
anche una volta che lo si trovato, bisogna cercarlo ancora? cos infatti che
bisogna cercare le cose incomprensibili perch non ritenga di aver trovato
nulla colui che abbia potuto trovare quanto incomprensibile ci che cercava.
Perch allora cerca, se comprende che incomprensibile ci che cerca, se non
perch non deve desistere, fino a quando progredisce nella ricerca
dellincomprensibile e diventa sempre migliore cercando un bene cos grande,
che si cerca per trovarlo e lo si trova per cercarlo? Perch lo si cerca per
trovarlo con maggior dolcezza, lo si trova per cercarlo con maggiore ardore.
in questo senso che si pu intendere laffermazione che lEcclesiastico pone in
bocca della Sapienza: Coloro che mi mangiano avranno ancora fame e coloro
che mi bevono avranno ancora sete. Mangiano infatti e bevono, perch
trovano, e, poich hanno fame e sete, cercano ancora. La fede cerca,
lintelligenza trova; per questo il Profeta dice: Se non crederete, non
comprenderete. E daltra parte lintelligenza cerca ancora Colui che ha
trovato; perch Dio guarda sui figli delluomo, come si canta nel Salmo
ispirato, per vedere se c chi ha intelligenza, chi cerca Dio. Dunque per
questo luomo deve essere intelligente, per cercare Dio.
Agostino, La Trinit, 2-2
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Riconosci quindi in cosa consista la suprema armonia: non uscire fuori di te,
ritorna in te stesso: la verit abita nell'uomo interiore e, se troverai che la tua
natura mutevole, trascendi anche te stesso. Ma ricordati, quando trascendi
te stesso, che trascendi lanima razionale: tendi, pertanto, l dove si accende il
lume stesso della ragione. A che cosa perviene infatti chi sa ben usare la
ragione, se non alla verit? Non la verit che perviene a se stessa con il
ragionamento, ma essa che cercano quanti usano la ragione. Vedi in ci
unarmonia insuperabile e fa in modo di essere in accordo con essa. Confessa
di non essere tu ci che la verit, poich essa non cerca se stessa; tu invece
sei giunto ad essa non gi passando da un luogo allaltro, ma cercandola con la
disposizione della mente, in modo che luomo interiore potesse congiungersi
445
con ci che abita in lui non nel basso piacere della carne, ma in quello
supremo dello spirito.
Ma se non ti chiaro ci che dico e dubiti che sia vero, guarda almeno se non
dubiti di dubitarne; e, se sei certo di dubitare, cerca il motivo per cui sei certo.
In questo caso senzaltro non ti si presenter la luce di questo sole, ma la luce
vera che illumina ogni uomo che viene in questo mondo. Essa non si pu
percepire n con questi occhi n con quelli con cui sono pensate le
rappresentazioni che gli occhi stessi imprimono nellanima, ma con quelli con
cui alle stesse rappresentazioni diciamo: Non siete voi ci che io cerco, e non
siete neppure il principio in base al quale vi dispongo in ordine; ci che trovo
di brutto in voi lo disapprovo, mentre approvo ci che trovo di bello; ma,
poich il principio per cui disapprovo e approvo pi bello, lo approvo di pi
e lo antepongo non solo a voi, ma anche a tutti i corpi dai quali vi ho attinte.
Quindi questa regola che tu constati formulala cos: chiunque comprende che
sta dubitando, comprende il vero e di ci che comprende certo; dunque
certo del vero. Ci vuol dire che chiunque dubita dell'esistenza della verit, ha
in se stesso il vero, per cui non pu dubitarne. Ma il vero tale unicamente
per la verit; perci non deve dubitare della verit chi ha potuto dubitare per
qualche motivo. Queste cose appaiono manifeste dove risplende la luce che
non si estende n nello spazio n nel tempo e che non pu essere
rappresentata n in forma spaziale n in forma temporale. Tali cose possono
corrompersi da qualche parte? No, bench perisca o diventi vecchio tra gli
esseri carnali inferiori chiunque possiede luso di ragione. In realt, il
ragionamento non crea tali verit, ma le scopre. Esse perci sussistono in s
prima ancora che siano scoperte e, una volta scoperte, ci rinnovano.
Agostino, La vera religione, 39-73
Il presupposto della filosofia di Agostino la fede in Dio in quanto verit assoluta. Come
tale Dio si rivela attraverso Bibbia. La fede in Dio, dunque, per Agostino consiste nella
totale accettazione della rivelazione, ossia nellassunzione dellAntico e del Nuovo
Testamento come fonti indubitabili e inoppugnabili di verit. Ma allora, se la verit divina
gi stata rivelata alluomo nella Bibbia, e luomo deve sottomettersi ad essa, che funzione,
e dunque che valore, pu avere la ragione, ossia la ricerca filosofica e pi in generale la
conoscenza umana?
Questo il problema di partenza della filosofia agostiniana, e pi in generale di ogni
filosofia religiosa, ossia basata sulla fede in una rivelazione divina depositata in una sacra
scrittura. Un problema insidioso, perch, almeno in prima battuta, la verit razionale, cio
446
cercata e scoperta dalluomo, sembra essere incompatibile con la verit divina, cio esterna
alluomo e da lui passivamente ricevuta.
Daltra parte, sostiene Agostino, la fede non rende affatto superflua la ragione e anzi ne ha
bisogno in quanto indispensabile complemento. Anche la fede, infatti, perenne ricerca di
Dio, ovvero un processo acquisitivo interminabile, e la ragione le indispensabile per
trovare Dio, ossia per poter approfondirsi e rafforzarsi fino a raggiungere la sua meta
ultima: la salvezza eterna. Ma in che modo la ragione pu favorire la fede?
Aiutandoci, risponde Agostino, a comprendere la verit rivelata. Infatti, la ricezione della
parola di Dio da parte delluomo non pu essere soltanto passiva, ma deve implicare
unattivit interpretativa, ovvero deve essere mediata dalla ragione umana. In altri termini,
la ragione ha il compito di decifrare lautentico messaggio contenuto nel testo biblico
poich la verit divina, data la sua complessit, non contenuta immediatamente nella
lettera di alcuna singola parte della Bibbia, ma presente mediatamente nello spirito
dellintero testo biblico.
In questo senso, Agostino prospetta un circolo virtuoso tra fede e ragione, che stato poi
sintetizzato nella formula esortativa credi per conoscere e conosci per credere (crede ut
intelligas, intellige ut credas). In termini pi attuali, Agostino sostiene un rapporto di
feedback, di retroazione, cio di continuo rafforzamento reciproco, tra fede e ragione: la
fede orienta e sprona la ragione, la ragione chiarisce e potenzia la fede che in tal modo
orienta ancora pi precisamente e sprona con ancor maggior vigore la ragione, e cos via. Si
447
tratta, afferma Agostino, di un circolo perenne, destinato a durante quanto la vita di ogni
uomo, perch Dio infinito e dunque infinita la verit, ovvero la comprensione della
parola biblica. Ogni volta che la ragione, indirizzata e spronata dalla fede, trova Dio, questo
risultato a sua volta la base per cominciare una nuova pi vasta e approfondita ricerca
dellinesauribile verit divina. Insomma, grazie al rapporto circolare fede/ragione luomo,
secondo Agostino, acquisisce sempre pi conoscenza ma al tempo stesso non la esaurisce
mai: la sua identit consiste proprio nellincremento continuo della propria conoscenza del
mondo in quanto strumento per intensificare il pi possibile la propria fede in Dio.
La fecondit conoscitiva del circolo fede/ragione posta da Agostino alla prova della
questione preliminare della filosofia, ovvero la possibilit stessa che luomo possieda una
ragione, cio la sua capacit di conoscere la verit. Allo scetticismo, che aveva confutato
tale capacit, Agostino ribatte con un fuoco di fila di argomentazioni controconfutative, che
possono essere cos sintetizzate:
1. Latto mentale stesso del dubitare presuppone lesistenza e la comprensione della
verit, in quanto dubitare di qualcosa significa giudicare che non vera, ma non
potremmo giudicare che qualcosa non vero se non possedessimo il criterio della
verit.
2. Si fallor, sum, cio se mi inganno, esisto: anche qualora il mio pensiero si
ingannasse, io possiedo una verit certa, cio lindubitabile esistenza del pensiero,
in quanto lerrore del pensiero presuppone la sua esistenza, cio lattivit pensante.
3. Non possiamo dubitare di vivere, in quanto il dubitare presuppone lesistenza del
dubitante; perfino se sognassimo sempre, anche da svegli, sarebbe certo che
viviamo, perch non si pu sognare senza vivere; dunque il fatto che viviamo una
verit indubitabile e il fatto che sappiamo di vivere attesta che la ragione umana in
grado di conoscere la verit.
Cos argomentato che la ragione umana in grado di conoscere la verit, Agostino spiega
come sia possibile che luomo la conosca e delinea il metodo conoscitivo con cui luomo
pu effettivamente giungere ad essa. Agostino comincia col rilevare che la fonte primaria
della nostra conoscenza, cio la sensazione, non ha una natura fisica ma mentale. Non il
corpo che sente, ma la mente che sente utilizzando il corpo come un mezzo. Infatti,
innanzitutto solo grazie allattenzione (intentio), cio a unoperazione mentale, che
luomo pu conoscere la modificazione prodotta sui propri organi di senso dalle cose
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fisiche (tant vero che quando siamo distratti non sentiamo). In secondo luogo, in base
allo stimolo di questa modificazione, la mente trae da se stessa la rappresentazione delle
cose fisiche. In altre parole, la mente che produce le effettive sensazioni.
Ma da dove derivano, allora, i criteri razionali della mente? Agostino argomenta che essi
non possono essere un prodotto della stessa mente umana, dal momento che il pensiero
umano mutevole e oltretutto fallibile, e conclude che essi non possono che essere
limpronta nella mente umana di enti puramente razionali esterni ad essa, cio delle idee.
Ma come si spiega lesistenza delle idee? Ovvero: cosa sono effettivamente le idee? La
risposta, per Agostino, semplice: le idee altro non sono che concetti di Dio, cio i
contenuti della sua mente.
Dunque, la mente umana pu giungere a una conoscenza vera perch Dio, cio la Verit
assoluta e totale, le ha infuso i criteri razionali necessari a ricercare e trovare la verit,
fermo restando che, essendo finita, la mente umana potr conoscere solo parzialmente la
verit. In questo senso, Agostino afferma che la mente umana pu conoscere perch Dio la
illumina. Dio, infatti, in quanto Verit, come la luce che rende possibile la visione fisica
degli oggetti sensibili. Fuor di metafora, la mente umana pu cogliere e applicare i criteri
razionali indispensabili per conoscere solo grazie al fatto che correlata e in
comunicazione con Dio e dunque pervasa dalla razionalit divina.
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TAPPA 2
AGOSTINO: LA CREAZIONE DEL MONDO E UN ATTO DAMORE DI DIO
Il potere del vero Dio tale che non pu rimanere nascosto totalmente alla
creatura razionale, una volta che abbia cominciato a far uso della ragione
tutta la specie umana confessa che Dio creatore del mondo.
Tralasciando anche la testimonianza dei profeti, il mondo stesso, con la sua
ordinatissima veriet e mutabilit, e con la bellezza di tutti gli oggetti visibili,
proclama tacitamente di essere stato fatto, e fatto da Dio ineffabilmente e
invisibilmente grande, ineffabilmente e invisibilmente bello.
Agostino, La citt di Dio
Tu non ami certamente che il bene, perch buona la terra con le alte
montagne, le modulate colline, le piane campagne; buono il podere ameno e
fertile, buona la casa ampia e luminosa, dalle stanze disposte con
proporzioni armoniose, buoni i corpi animali dotati di vita; buona laria
temperata e salubre; buono il cibo saporito e sano; buona la salute senza
sofferenze n fatiche; buono il viso delluomo, armonioso, illuminato da un
soave sorriso e vivi colori; buona lanima dellamico per la dolcezza di
condividere gli stessi sentimenti e la fedelt dellamicizia; buono luomo
giusto e buone le ricchezze, che ci aiutano a trarci dimpaccio; buono il cielo
con il sole, la lune e le stelle; buoni gli Angeli per la loro santa obbedienza;
buona la parola che istruisce in modo piacevole e impressiona in modo
conveniente chi lascolta; buono il poema armonioso per il suo ritmo e
maestoso per le sue sentenze. Che altro aggiungere? Perch proseguire ancora
nellenumerazione Questo buono, quello buono. Sopprimi il questo e il
quello e contempla il bene stesso, se puoi; allora vedrai Dio, che non riceve la
sua bont da un altro bene, ma il Bene di ogni bene. Infatti fra tutti questi
beni noi non potremmo dire che uno migliore dellaltro, se non fosse
impressa in noi la nozione del bene stesso. Ecos che noi dobbiamo amare
Dio. Non come questo o quel bene, ma come il Bene stesso.
Agostino, La Trinit
5. II mondo il pi grande degli esseri visibili, Dio il pi grande degli esseri
invisibili. Noi percepiamo l'esistenza del mondo, l'esistenza di Dio la
crediamo. E crediamo che Dio abbia creato il mondo perch nessuno ne pu
dare la certezza che ne d Dio stesso. Dove abbiamo udito la sua voce? In
nessun luogo frattanto cos bene come nelle Scritture sante, in cui ha detto un
suo Profeta: Nel principio Dio cre il cielo e la terra. Questo Profeta non era
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ci che lui, ma le ha create dal nulla affinch non fossero uguali n a lui, dal
quale sono state create, n al proprio Figlio per mezzo del quale sono state
create, poich ci giusto. []
5. 9. [] Quanto invece all'affermazione della Scrittura: Nel principio Dio
cre il cielo e la terra, con l'espressione "cielo e terra" viene indicato tutto
l'universo creato e ordinato da Dio. Queste realt sono denotate con un
termine proprio di quelle visibili a causa della debolezza dei piccoli, che sono
meno capaci di comprendere le realt invisibili. Da principio fu dunque creata
la materia confusa e disordinata, affinch a partire da essa fossero fatte le
cose ora distinte e formate; credo che ci i Greci lo chiamino chos. Cos
infatti anche in un altro passo della Scrittura, tra le lodi di Dio, leggiamo la
frase: Tu che hai creato il mondo da una materia senza forma, o, come hanno
altri manoscritti: da una materia invisibile.
6. 10. Ecco perch assolutamente conforme alla ragione credere che Dio
cre tutto dal nulla poich, anche se tutte le cose con le loro forme particolari
furono create a partire da questa materia, tuttavia questa stessa materia fu
creata dal nulla assoluto. Noi infatti non dobbiamo assomigliare a siffatti
individui i quali non credono che Dio onnipotente potesse creare qualcosa dal
nulla in quanto vedono che gli artefici e gli operai di qualsiasi specie non
possono costruire alcun oggetto se non hanno una materia con cui foggiare o
fabbricare qualcosa. In realt, perch possa compiere la sua opera, al
carpentiere occorre il legname, all'argentiere l'argento, all'orefice l'oro, al
vasaio l'argilla. Se infatti essi non si servono della materia con cui fanno un
oggetto, non possono far nulla, in quanto non sono essi a creare la materia.
Non certamente il carpentiere che crea il legno e cos dicasi di tutti gli altri
di simil genere. Dio onnipotente, al contrario, non aveva bisogno di servirsi
d'alcuna cosa non creata da lui per compiere ci che voleva. Poich, se per le
cose che voleva creare gli fosse servita qualcosa ch'egli non aveva creato, non
era onnipotente; ma credere una simile cosa un sacrilegio.
Agostino, La Genesi contro i manichei, Libro I
Secondo Agostino, Dio, oltre a essere Verit assoluta, anche il creatore unico del mondo,
cio del cosmo fisico. La teoria agostiniana della creazione presuppone dunque la tesi
dellesistenza di Dio. Questa tesi, a sua volta, scaturisce, come si visto, dalla fede nella
rivelazione che Dio fa di s attraverso la Bibbia. Tuttavia, la ragione in grado di
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corroborare questa primaria verit di fede. Per questo, Agostino propone tre
argomentazioni razionali a favore dellesistenza di Dio:
1. La prima chiamata in seguito consensus gentium (condivisione universale) si
basa sulla premessa che tutti gli uomini, in tutti i tempi e in ogni luogo, hanno avuto
e hanno lidea che il mondo sia stato prodotto da Dio. Da questa premessa, Agostino
inferisce che Dio esiste necessariamente, sottintendendo che un accordo cos
generale e perenne tra gli uomini (che per il resto hanno opinioni diversissime e
variabilissime) si spiega soltanto grazie alla potenza rivelativa (la luce) di Dio.
2. La seconda argomentazione fa leva sulla constatazione che il cosmo ha una
dimensione enorme, contiene miriadi di enti tra loro diversissimi e oltretutto in
continuo mutamento, eppure incredibilmente bello, ovvero armonicamente
ordinato. Agostino ne inferisce che il cosmo debba essere stato generato da Dio,
sottintendendo che solo un essere intelligente e onnipotente pu generare un cosmo
con quelle caratteristiche.
3. La terza argomentazione si impernia sul rinvenimento nel mondo di diversi tipi e
gradi di bene, cio di cose e propriet buone per luomo: p.e. il calore del sole,
piuttosto che lombra degli alberi o il latte fornito dalle mucche. Agostino ne
inferisce che deve esistere un bene assoluto, ossia Dio, perch altrimenti ci
mancherebbe il metro di giudizio per poter stabilire che un bene terreno superiore
o inferiore a un altro.
Val la pena di notare, che Agostino elabora le tre argomentazioni dellesistenza di Dio en
passant, di sfuggita, ossia non le considera centrali per la sua riflessione filosofica e le
enuncia in modo sintetico, quasi solo abbozzato. E non potrebbe essere altrimenti, visto
che per lui lesistenza di Dio , pi che qualsiasi altra tesi, una verit di fede raggiungibile
attraverso una ricerca individuale dentro di s, cio scandagliando la propria esperienza di
vita.
Al contrario, Agostino dedica molto impegno allelaborazione della sua teoria della
creazione, che indubbiamente costituisce una svolta nel pensiero filosofico occidentale, a
maggior ragione perch avviene subito dopo, e sulla base, di unaltra grande svolta, quella
di Plotino, basata appunto sullinvenzione del nuovo concetto della creazione. Com
possibile, allora, che la teoria di Agostino rappresenti unulteriore svolta rispetto a quella
di Plotino?
Perch la creazione di Dio, secondo Agostino, avviene dal nulla, a partire semplicemente
dalla sua parola (E Dio disse), ovvero dal suo pensiero. In altri termini, Dio, in
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quanto pura mente razionale, evoca il mondo, e in primis la materia che lo costituisce,
senza usare niente, ovvero non si serve n di una sostanza indipendente da lui (come la
chra-chos del demiurgo platonico) n della sua stessa sostanza puramente razionale
(come lUno di Plotino). In seguito, questa tesi agostiniana verr canonizzata nella
definizione di creazione come produzione del mondo da parte di Dio ex nihilo sui et
subiecti, cio da niente di se stesso e da niente di qualcosa che gli sia inferiore, ossia che
sia comunque altro da lui.
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In quanto cosciente, vuole e ama, Dio non un principio impersonale, o una legge, ma
un essere personale. In altre parole, Dio una persona come luomo, salvo che luomo
una personalit finita, Dio una personalit infinita. Un aspetto dellinfinitezza della
pesonalit divina , per Agostino, il suo carattere trinitario: Dio , a un tempo, tre persone
distinte. In questo senso, la teoria dellamore di Agostino strettamente legata alla sua
interpretazione filosofica del dogma della trinit divina. Per Agostino, infatti, tale dogma
significa che Dio una sola essenza (o sostanza) distinta in tre persone: il padre, ossia
lessere; il figlio, ossia il conoscere; lo spirito santo, cio lamare.
Insomma, Dio lunit di tre distinte facolt: lesistenza, lintelligenza e lamore. Essendo
Dio infinito, queste facolt divine, a differenza di quelle umane, sono infinite. La creazione
si spiega solo considerando tutte e tre: Dio amando infinitamente il mondo decide di
crearlo finalizzandolo al massimo bene; possedendo infinitamente lessere trae la materia
dal nulla; essendo infinitamente intelligente le impone lordine che le permetta di
raggiungere il pi alto livello di bene possibile.
Ma com possibile che Dio sia al tempo stesso una persona e tre persone? Agostino lo
spiega sostenendo che le tre personalit divine non appartengono allessenza di Dio, che
dunque rimane assolutamente unica, ma alla sua relazionalit, cio al fatto che lessenza
unica di Dio possiede lattributo della relazione: Dio sia padre di sia figlio di e sia
amore reciproco di, e ognuna di queste relazioni rimanda alle altre due, senza le quali
non potrebbe sussistere.
Ma, ci chiarito, Agostino afferma anche che la trinit divina resta un mistero, cio una
verit di ordine superiore, che luomo pu solo avvicinare ma mai comprendere in modo
esaustivo. In questo senso, Agostino, pur dicendo che Dio una persona in modo analogo
allindividuo umano, sottolinea che Dio una persona infinita, a differenza delluomo che
una persona finita, e che dunque luomo pu comprendere Dio conoscendo ci che Dio non
, pi che ci che Dio . In parole pi semplici, luomo pu conoscere solo parzialmente
Dio, linfinita essenza divina imperscrutabile. Per spiegarlo Agostino usa una icastica
similitudine: per luomo voler conoscere Dio nella sua totalit sarebbe come cercare di
travasare il mare in una buca scavata nella spiaggia.
Proprio perch ama infinitamente il creato e quindi ne desidera il massimo bene, Dio,
secondo Agostino, non crea il mondo gi compiutamente realizzato, ma gli concede una
certa autonomia, cio lo crea in modo tale che esso raggiunga la sua perfezione attraverso
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TAPPA 3
AGOSTINO: IL TEMPO E UNA COSTRUZIONE DELLA MENTE UMANA
14. 17. Non ci fu dunque un tempo, durante il quale avresti fatto nulla, poich
il tempo stesso l'hai fatto tu; e non vi un tempo eterno con te, poich tu sei
stabile, mentre un tempo che fosse stabile non sarebbe tempo. Cos' il tempo?
Chi saprebbe spiegarlo in forma piana e breve? Chi saprebbe formarsene
anche solo il concetto nella mente, per poi esprimerlo a parole? Eppure, quale
parola pi familiare e nota del tempo ritorna nelle nostre conversazioni?
Quando siamo noi a parlarne, certo intendiamo, e intendiamo anche quando
ne udiamo parlare altri. Cos' dunque il tempo? Se nessuno m'interroga, lo
so; se volessi spiegarlo a chi m'interroga, non lo so. Questo per posso dire
con fiducia di sapere: senza nulla che passi, non esisterebbe un tempo
passato; senza nulla che venga, non esisterebbe un tempo futuro; senza nulla
che esista, non esisterebbe un tempo presente. Due, dunque, di questi tempi,
il passato e il futuro, come esistono, dal momento che il primo non pi, il
secondo non ancora? E quanto al presente, se fosse sempre presente, senza
tradursi in passato, non sarebbe pi tempo, ma eternit. Se dunque il
presente, per essere tempo, deve tradursi in passato, come possiamo dire
anche di esso che esiste, se la ragione per cui esiste che non esister? Quindi
non possiamo parlare con verit di esistenza del tempo, se non in quanto
tende a non esistere.
[]
16. 21. Eppure, Signore, noi percepiamo gli intervalli del tempo, li
confrontiamo tra loro, definiamo questi pi lunghi, quelli pi brevi,
misuriamo addirittura quanto l'uno pi lungo o pi breve di un altro,
rispondendo che questo doppio o triplo, quello semplice, oppure questo
lungo quanto quello. Ma si fa tale misurazione durante il passaggio del tempo;
essa legata a una nostra percezione. I tempi passati invece, ormai
inesistenti, o i futuri, non ancora esistenti, chi pu misurarli? Forse chi
osasse dire di poter misurare l'inesistente. Insomma, il tempo pu essere
percepito e misurato al suo passare; passato, non pu, perch non .
[]
20. 26. Un fatto ora limpido e chiaro: n futuro n passato esistono.
inesatto dire che i tempi sono tre: passato, presente e futuro. Forse sarebbe
esatto dire che i tempi sono tre: presente del passato, presente del presente,
presente del futuro. Queste tre specie di tempi esistono in qualche modo
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La sua nuova teoria della creazione costringe Agostino a confrontarsi con la questione del
tempo e lo stimola a elaborare la sua teoria della temporalit che, pur rifacendosi a Plotino,
quantomai originale e innovativa.
Agostino prende le mosse dagli avversari del cristianesimo, soprattutto i manichei, i quali
cercano di confutare la teoria della creazione, rilevando che, se Dio ha creato il mondo in
un certo istante, allora:
o prima aveva gi deciso di crearlo, ma in tal caso assurdo che non labbia creato
subito;
oppure, se ha deciso proprio in quellistante di crearlo, ne segue che la sua volont
mutata e dunque non perfetto.
Nel ribattere a queste obiezioni, Agostino prende esplicitamente le distanze dai suoi stessi
confratelli che replicavano: Prima della creazione Dio preparava linferno per chi osa
penetrare i suoi misteri. Questa, afferma Agostino, non una risposta, ma una presa in
giro fuori luogo, perch il problema posto pi che fondato e va affrontato seriamente.
Agostino, pertanto, lo affronta razionalmente e lo risolve affermando che prima della
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creazione il tempo non esisteva. La soluzione agostiniana appare fin troppo semplice, ma
in realt contiene delle acute e profonde implicazioni:
1. il tempo stato creato da Dio insieme al mondo, dunque ha unorigine e una fine (il
giudizio universale, ossia la fine del mondo);
2. il tempo, insieme allo spazio, una propriet fondamentale del mondo fisico, ossia
del tutto relativo alla dimensione materiale;
3. Dio, pura razionalit, non spazio-temporale, dunque non nel tempo, ma fuori del
tempo e senza tempo: questo il vero significato della sua eternit, cio assenza di
qualsiasi temporalit.
Agostino comincia a dipanare lintricata matassa, rilevando che il tempo si compone di tre
parti: il passato, il futuro e il presente. Si tratta allora di analizzare cosa siano passato,
futuro e presente. Cos il passato? Ci che non pi, risponde Agostino, qualcosa che non
esiste pi, un non-essere, nulla! Cos il futuro? Ci che non ancora, qualcosa che pu
esistere ma per il momento non esiste, dunque anchesso un non-essere, nulla! Cos il
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presente? Ci che avviene tra il passato e il futuro. Ma se il passato e il futuro sono nulla,
come pu esistere qualcosa tra due nulla? Inoltre, continua Agostino, il presente lattimo
immediato. Ma proviamo a cogliere questattimo: esso arriva dal futuro, ma non appena
non pi futuro gi trascorso, cio subito diventato passato. In altre parole, il futuro si
trasforma immediatamente in passato, il presente sfugge, inafferrabile, incoglibile.
Dunque anchesso nulla. In conclusione: il tempo linsieme di passato, futuro e
presente, ma passato, futuro e presente non esistono, dunque anche il tempo non esiste.
Questa conclusione, per, sembra rendere lenigma del tempo ancora pi oscuro e
indecifrabile. Come possibile che non esista qualcosa che mi sembra esistere
indiscutibilmente e che uso in ogni momento per pensare e agire? Possibile che il tempo
sia unillusione cos radicata in noi da impedirci di renderci conto del suo carattere
illusorio?
E a questo punto che Agostino trova la soluzione dellenigma del tempo: esso irrisolvibile
se noi crediamo che il tempo sia qualcosa di oggettivo, ossia di esterno alla nostra
coscienza. Il tempo oggettivo, afferma Agostino, questo s, davvero unillusione, un
inganno. Ma il tempo non qualcosa di oggettivo, bens qualcosa di soggettivo, un
prodotto della mente umana, una modalit del pensiero. Come?
Il passato, risponde Agostino, la memoria, cio la facolt mentale capace di conservare e
recuperare le nostre esperienze (p.e. lestate passata linsieme dei ricordi delle mie
vacanze); il presente lattenzione, cio loperazione mentale grazie alla quale la coscienza
si concentra su uno stimolo e cos acquisisce delle sensazioni (p.e. il presente la visione
delle lettere e delle sillabe di queste parole che sto leggendo); e il futuro la disposizione
mentale dellattendersi, o aspettare, qualcosa, il nostro perenne farsi delle nostre
aspettative (p.e. il futuro lattendermi di finire di leggere questa tappa, di svelare del tutto
lenigma del tempo e di andare poi a rilassarmi con una passeggiata in un parco).
Insomma, passato, presente e futuro sono il nome che diamo a tre attivit mentali il
ricordarsi, lattenzionarsi, laspettarsi , ovvero sono tre prodotti della nostra mente.
In conclusione, per Agostino il tempo non esiste oggettivamente, non una realt fisica;
ma esiste soggettivamente, una produzione del pensiero umano. Ci non significa che
Agostino neghi la realt oggettiva del divenire, cio del mutamento di tutte le cose fisiche e
quindi anche del corpo umano.
Anzi il tempo soggettivo ha nel divenire oggettivo un indispensabile correlato. Grazie al
divenire oggettivo, infatti, il tempo soggettivo pu adattarsi alla realt esterna e misurare il
mutamento fisico. Tuttavia, rimane fermo che solo in base al nostro tempo mentale che
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possiamo rilevare e cronometrare tutti i moti dei corpi, a cominciare da quelli degli astri,
ma anche le nostre esperienze e lo scorrere della nostra vita.
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TAPPA 4
AGOSTINO: IL MALE E COLPA DELLUOMO
5. 7. Cercavo l'origine del male cercando male e non vedendo il male nella mia
stessa ricerca. Davanti agli occhi del mio spirito ponevo l'intero creato, tutto
ci che ne possiamo scorgere, ossia la terra, il mare, l'aria, gli astri, gli alberi,
gli animali mortali, e tutto ci che ci rimane invisibile, ossia il firmamento
celeste sopra di noi, tutti gli angeli e tutti gli spiriti che lo abitano, spiriti che
la mia immaginazione distribuiva pure in vari luoghi, quasi fossero corpi; cos
feci del tuo creato un'unica massa enorme, ove spiccavano secondo il loro
genere i corpi, sia veri e reali, sia spirituali, resi arbitrariamente corporei
dalla mia immaginazione, e feci enorme questa massa, non quanto era
effettivamente, perch non potevo concepirlo, ma quanto mi piacque
immaginare, per finita in tutte le direzioni, avvolta e penetrata da ogni parte
da te, Signore, che pure rimanevi in tutti i sensi infinito, come un mare che si
stenda dovunque e da dovunque per spazi immensi infinito, un unico mare
che contenga nel suo interno una spugna grande a piacere, per finita e
ripiena evidentemente in ogni sua parte del mare immenso. Cos concepivo la
tua creazione, finita e ripiena di te infinito. Dicevo: "Ecco Dio, ed ecco le
creature di Dio. Dio buono, potentissimamente e larghissimamente
superiore ad esse. Ma in quanto buono cre cose buone e cos le avvolge e
riempie. Allora dov' il male, da dove e per dove penetrato qui dentro? Qual
la sua radice, quale il suo seme? O forse non esiste affatto? Perch allora
temere ed evitare una cosa inesistente? Se lo temiamo senza ragione,
certamente male il nostro stesso timore, che punge e tormenta invano il
nostro cuore, e un male tanto pi grave, in quanto non c' nulla da temere,
eppure noi temiamo. Quindi o esiste un male oggetto del nostro timore, o il
male il nostro stesso timore. Ma da dove proviene il male, se Dio ha fatto, lui
buono, buone tutte queste cose? Certamente egli un bene pi grande, il
sommo bene, e meno buone sono le cose che fece; tuttavia e creatore e
creature tutto bene. Da dove viene dunque il male? Forse da dove le fece,
perch nella materia c'era del male, e Dio nel darle una forma, un ordine, vi
lasci qualche parte che non mut in bene? Ma anche questo, perch? Era
forse impotente l'onnipotente a convertirla e trasformarla tutta, in modo che
non vi rimanesse nulla di male? Infine, perch volle trarne qualcosa e non
impieg piuttosto la sua onnipotenza per annientarla del tutto? O forse la
materia poteva esistere contro il suo volere? O, se la materia era eterna,
perch la lasci sussistere in questo stato cos a lungo, attraverso gli spazi su
su infiniti dei tempi, e dopo tanto decise di trarne qualcosa? O ancora, se gli
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466
Il problema del perch il mondo sia affetto dal male uno dei problemi pi spinosi, e
proprio per questo ricorrenti, della storia della filosofia. Per Agostino, per, di gran lunga
pi spinoso e arduo da risolvere che per tutti i filosofi a lui precedenti. Non solo perch
lepoca in cui vive Agostino particolarmente travagliata o perch Agostino ha una
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maggiore sensibilit per la sofferenza, ma anche e soprattutto perch nessuno, prima di lui,
aveva concepito il mondo come il prodotto di un essere assolutamente onnipotente che
crea per amore verso le sue creature. Di conseguenza, mentre i filosofi precedenti potevano
addebitare il male al fatto che il principio fisico del mondo possedeva unindipendenza
irriducibile o che il principio divino era indifferente alle vicende terrene, Agostino sembra
costretto ad ammettere che, dato che lesperienza del male nel mondo incontrovertibile, o
Dio non onnipotente o non buono e amorevole.
E in effetti Agostino, nel corso della sua esistenza, si tormenta a lungo intorno a questa
contraddizione nel tentativo di trovare una via duscita, ossia di conciliare lonnipotenza e
lamore di Dio con lindiscutibile presenza del male nel mondo. Alla fine, Agostino giunge a
trovare una soluzione, o quantomeno raggiunge la convinzione di averla trovata.
Data la complessit del problema del male, la soluzione agostiniana particolarmente
ampia e articolata. Per sintetizzarla e facilitarne la comprensione, la possiamo distinguere
e affrontare a tre livelli successivi:
1. a livello ontologico;
2. a livello cosmologico;
3. a livello antropologico.
A livello ontologico, il problema del male consiste nel chiedersi se esso sia un principio
costitutivo ed eterno dellessere, cio della realt, oppure un suo fenomeno secondario, e
quindi relativo, parziale e occasionale. In altre parole: il male esiste in senso forte e
permanente, cio sostanziale ovvero essenziale; oppure capita, ossia c ma in quanto
evento accidentale? La tesi di Agostino che il male non un essere, dunque non esiste
veramente, ovvero non un principio sostanziale (essenziale) del mondo. Infatti,
argomenta Agostino, se lessere fosse male, non potremmo farne esperienza, cos come se il
nostro corpo fosse costitutivamente malato non potremmo ammalarci. Al contrario, se ci
ammaliamo proprio perch siamo costitutivamente sani, e, analogamente, se facciamo
esperienza del male solo perch lessere essenzialmente bene.
Ma allora cos il male? Perch ne facciamo esperienza? Agostino risponde: il male
carenza di bene. Lessere Dio e ci che creato da Dio, cio il mondo. In entrambi i casi
lessere bene, afferma Agostino, e non pu che essere solamente bene. Ma il bene pu
avere vari gradi/quantit, da quello infinito e sommo di Dio, a quelli finiti propri delle
creature. Ognuno dei decrescenti gradi del bene, successivi a quello divino, implica una
diminuzione sempre maggiore del bene, fino a un grado minimo, fino cio al bene infimo,
che la massima privazione possibile di bene. La privazione totale di bene sarebbe il nulla,
ma il nulla non esiste per definizione. Quindi, il male assoluto non esiste, esiste solo il male
relativo, che per in realt bene sminuito. Dunque solo il bene , cio esiste
effettivamente, il male propriamente non , cio non esiste come tale ma solo come una
modalit del bene, una sua evenienza.
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A livello cosmologico, il problema del male consiste, per Agostino, nel chiedersi perch il
cosmo, creato da Dio per amore, contenga il male relativo, cio gradi di bene finiti e
decrescenti. In altre parole: posto che il male solo diminuzione progressiva del bene,
perch il creato non possiede il grado massimo di bene? Agostino risponde affermando che
il massimo grado di essere/bene quello infinito di Dio in quanto creatore e che dunque il
creato, in quanto necessariamente inferiore al creatore, e perci finito, non pu che avere
un grado inferiore di essere/bene. Ma perch allora il cosmo possiede tutti i gradi
decrescenti del bene, fino al minimo, anzich solo quello immediatamente inferiore al
massimo?
Perch, risponde Agostino, solo cos possibile che esistano la maggiore variet e il
maggior numero di creature e soprattutto perch proprio dallinterazione di tutti i tipi
possibili di creature, ognuno necessariamente con un grado diverso di essere/bene, deriva
quellarmonia grazie alla quale il cosmo nel suo insieme possiede il massimo grado di bene
possibile nella dimensione spazio-temporale, cio nella dimensione della finitezza. In
questo senso, considerando il cosmo nella sua totalit, afferma Agostino, il male presente
in esso minimo, poco pi che niente. Se, per esempio, luomo di fronte a una puntura di
una vespa a un bambino pensa che il mondo contenga il male e che Dio avrebbe potuto fare
a meno di creare le vespe, la sua credenza nel male e la sua critica a Dio , secondo
Agostino, solo il frutto della sua ignoranza, cio della sua incapacit di capire che anche le
vespe hanno una funzione fondamentale per mantenere lequilibrio biologico di tutte le
specie e quindi per garantire il massimo bene cosmico possibile.
A questo punto, forte della posizione guadagnata, Agostino affronta lo scontro diretto con
il vero male, quello antropologico, quello che si riferisce al male subto ma anche provocato
dalluomo. Innanzitutto, riconosce Agostino, gli uomini soffrono e le sofferenze che
provano sono, per intensit e numero, di gran lunga superiori a quel minimo di male
relativo che il cosmo necessariamente alberga in quanto perfezione finita. In altre parole,
Agostino ammette apertamente che lumanit da sempre soffre di mali incompatibili con
larmonia divina che governa il mondo. Ma com possibile? Forse che Dio ha posto luomo
ai margini dellarmonia cosmica e, unico tra le sue creature, gli ha inflitto il massimo grado
di male relativo, cio di privazione di bene?
No, non pu essere cos, perch la Bibbia, anzi, ci rivela proprio il contrario: Dio fece
luomo a sua immagine e somiglianza, pertanto luomo la creatura pi amata, quella cui
Dio ha conferito il massimo grado di essere/bene rispetto a tutte le altre. Ma allora, a
maggior ragione, come mai luomo soffre? Paradossalmente, afferma Agostino, proprio
perch stato il pi beneficato e il pi beneficiato da Dio. Agostino asserisce, infatti, che il
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conferimento alluomo del pi alto livello di essere, e quindi di bene, coincide con il dono
del libero arbitrio: Dio ha creato luomo simile a lui dandogli la possibilit di scegliere
liberamente come comportarsi. E, infatti, appena creato, nel giardino dellEden, luomo
non soffriva, partecipava pienamente dellarmonia cosmica, della quasi completa
perfezione originaria del mondo fisico. Addirittura gli era risparmiata lesperienza della
morte! Ma, in seguito, continua Agostino, luomo ha abusato del suo libero arbitrio, ha
trasgredito lunico divieto che Dio gli aveva imposto quello di mangiare il frutto
dellalbero della conoscenza , dunque si contrapposto per superbia al suo creatore,
macchiandosi cos del peccato originale.
Dio amore, ma anche giustizia, continua Agostino, e dunque punisce luomo cacciandolo
dallEden, costringendolo a lavorare con fatica e a partorire con dolore. In altre parole,
secondo Agostino, dopo il peccato originale il mondo si trasformato in un carcere nel
quale luomo deve scontare la pena per il peccato di superbia commesso. Ecco perch il
mondo terreno include una quantit di dolore di gran lunga superiore a quello che aveva
nella sua costituzione originaria, cio nellEden, morte corporea compresa. Ma il dolore
che luomo patisce sulla terra non ingiusto, non solo perch la giusta punizione del suo
errore, ma soprattutto perch ha la funzione di rendere luomo consapevole del suo errore
e di emendarlo, cio di riabilitarlo. Dunque, in ultima analisi, il dolore terreno non male,
ma bene, perch finalizzato al bene delluomo, al suo miglioramento.
Ma non basta. E lo stesso Agostino a sostenere che la quantit del male che lumanit
prova ancora superiore a quella che gli stata inflitta da Dio come punizione del suo
peccato originale. Il fatto , afferma Agostino, che una volta cacciato dallEden, luomo
continua a peccare, anzi, subisce, per cos dire, linerzia del peccato originale, e cos pecca
ancora pi facilmente e sempre pi spesso. Di qui la quota maggiore del dolore che
lumanit patisce: le azioni peccaminose degli uomini p.e. le percosse, i furti, gli omicidi,
le guerre, ecc. da un lato, di per se stesse, provocano dolore, dallaltro causano ulteriori
punizioni, e quindi ulteriori sofferenze.
In conclusione, secondo Agostino, il vero male, il pesantissimo insieme dei dolori che tutti
gli uomini provano nella loro vita, pur sempre male relativo, cio privazione del bene, ma
il grado infimo del bene, la sua massima privazione possibile. Soprattutto, il vero male
causato non da Dio, ma esclusivamente dalluomo; un male antropologico, meglio un
male morale, cio dovuto alla malvagit delluomo, alla sua incapacit di comportarsi
moralmente, cio bene.
Dunque, Dio per Agostino del tutto innocente, la presenza del male nel mondo non
inficia minimamente n lonnipotenza divina n lamore di Dio per le sue creature.
470
Ma Agostino si rende conto che la sua argomentazione lascia ancora irrisolto un problema.
Posto che il vero male il frutto avvelenato della scelta delluomo, se il male, a livello
ontologico, non esiste, come pu luomo scegliere il male, cio appunto qualcosa che non
esiste? Detto altrimenti: luomo per scegliere il male deve volerlo, ma in questo caso come
fa a volere qualcosa che non c? O, al contrario, dato che inconfutabile che luomo abbia
voluto e voglia il male, questo non attesta che il male esiste?
Agostino risolve anche questultimo problema basandosi ancora una volta sulla sua teoria
dei molteplici e decrescenti gradi di bene finito. Luomo, quando vuole e sceglie il male,
non fa che preferire a un bene maggiore innanzitutto a Dio, bene massimo un bene
inferiore, cio il bene proprio di una creatura che possiede un grado di essere/bene
inferiore al suo. P.e., il peccato di gola, che consiste nel mangiare pi del necessario,
consiste nel volere mangiare quanto un animale, cio appunto nello scegliere il bene
proprio di una specie inferiore. Dunque, conclude Agostino, luomo quando vuole e sceglie
il male non vuole e sceglie il nulla, il che sarebbe assurdo, ma un minor bene rispetto a
quello che gli proprio, a quello consono al suo statuto ontologico, e pertanto il fatto che
luomo voglia e scelga il male non significa che il male .
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TAPPA 5
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19. 20. Ma a fare buono l'albero l'uomo, quando accoglie la grazia di Dio.
Non infatti da se stesso che l'uomo si fa buono da cattivo, ma diventa buono
per iniziativa di Dio e per mezzo di Dio e per unione a Dio che sempre
buono. E non solo per essere un albero buono, ma anche per fare buoni frutti
necessario all'uomo d'essere aiutato dalla medesima grazia, senza la quale
non pu fare alcunch di buono. Alla produzione dei frutti coopera appunto
negli alberi buoni Dio stesso che all'esterno irriga e coltiva per mezzo di ogni
suo ministro e all'interno dona da s la crescita . Al contrario, l'uomo che fa
cattivo l'albero, quando fa cattivo se stesso, quando si distacca dal Bene
immutabile: questo distacco da Dio che d origine appunto alla volont
cattiva. Tale distacco non inizia un'altra natura cattiva, ma vizia quella che
stata creata buona. Risanato per quel vizio, non rimane pi nessun male,
perch nella natura c'era, s, il vizio, ma il vizio non era la natura.
Agostino, La grazia di Cristo e il peccato originale, Libro I
473
Come abbiamo visto, la soluzione agostiniana del problema del male ne attribuisce
alluomo la totale responsabilit: luomo, e solo luomo, che peccando causa il male e il
suo peccato colpa unicamente sua perch si basa sulla sua libera scelta, cio del tutto
volontario.
Cos trovata la soluzione al problema del male, Agostino si trova per di fronte a un nuovo
problema: se la volontariet del peccato umano presuppone il libero arbitrio dato alluomo
da Dio, perch Dio ha fatto questo dono alluomo, ben sapendo, grazie alla sua onniscienza,
che luomo ne avrebbe fatto un uso sbagliato e che quindi sarebbe stata la causa della
rovina umana?
In questo modo, pi di ogni altro filosofo precedente, Agostino mette a fuoco e valorizza la
volont come una delle capacit fondamentali delluomo in quanto essere razionale. In
altre parole, per Agostino la razionalit umana non solo teoretica, ma anche e, anzi, in
primo luogo pratica; la ragione non consiste solo e tanto nella conoscenza della verit,
ovvero del bene, ma soprattutto nellagire in conformit della verit, cio nellagire bene;
474
non serve a nulla per Agostino sapere cos il bene se poi non si capaci di metterlo in
pratica. La volont, fondata sul libero arbitrio, appunto la capacit delluomo di
determinare i propri comportamenti. In questo senso, sostiene Agostino, la conoscenza
condizione necessaria ma non sufficiente della volont, in particolare della buona volont,
cio della decisione di agire conformemente al bene. Non basta conoscere il bene per farlo.
Anche chi ha la coscienza di quale sia il comportamento migliore, spesso e volentieri finisce
per volere, cio per scegliere, quello peggiore.
Infatti, gi prima del peccato originale, secondo Agostino, la finitezza delluomo implicava
la possibilit di volere il male, senza la quale, peraltro, il suo libero arbitrio non sarebbe
potuto essere tale. Dopo il peccato originale, alla mera possibilit di compiere il male,
afferma Agostino, si aggiunge labitudine al male, una sorta di seconda natura che si
oppone alla scelta razionale del bene e fa propendere luomo al male. A maggior ragione,
dopo il peccato originale, per fare il bene del tutto insufficiente conoscerlo, occorre in pi
volere il bene, cio occorre un atto di volont capace di vincere lopposizione dellabitudine
inveterata a commettere il male.
Per vincere questopposizione, afferma Agostino, la volont umana da sola non
sufficiente. Infatti, mentre in origine, quando ancora luomo non aveva peccato, la volont
umana aveva unuguale possibilit di scegliere il bene oppure il male, in seguito al peccato
originale la volont umana si corrotta, ovvero si inclinata verso il male, e dunque la
scelta umana tra bene e male non pi alla pari, ma propensa al male. Per cos dire, la
volont diventa come un dado truccato a favore della faccia del male.
Stando cos le cose, com possibile per luomo liberarsi dal male, ovvero ottenere la
salvezza? Agostino risponde, in modo logicamente consequenziale, che luomo non pu
salvarsi da solo, ma solo grazie allaiuto di Dio. Dio infinitamente giusto, e quindi punisce
giustificatamente luomo per il peccato originale e per tutti i suoi successivi peccati; ma Dio
anche infinitamente misericordioso e quindi pu intervenire a rafforzare la volont
delluomo e consentirgli cos di agire bene. Questo aiuto divino del tutto gratuito, cio
non dipende affatto dal merito umano, che, dopo il peccato originale, non sarebbe
comunque sufficiente a fargli ottenere il premio della salvezza. Dunque, laiuto divino
una grazia e luomo pu salvarsi solo per grazia di Dio, ovvero perch Dio lo grazia.
A questo quadro Agostino aggiunge che Dio sceglie chi graziare in base alla sua infinita
sapienza e dunque luomo non pu pretendere di poter comprendere i criteri della sua
scelta. Luomo deve accontentarsi di sapere che, in base alla sola giustizia, egli meriterebbe
unicamente di essere punito e dunque di essere per sempre dannato, cio condannato al
male eterno. Dunque se Dio non lo salva, luomo non pu lamentarsi; se lo salva deve solo
ringraziare linfinita misericordia divina. In tal senso, per Agostino, ogni individuo
predestinato alla salvezza o alla dannazione. Ma ci non implica che luomo non sia libero,
e dunque responsabile, e che quindi, ancora una volta, il male sia voluto da Dio.
475
Predestinazione, infatti, afferma Agostino, non significa che Dio programma e determina le
azioni degli uomini, ma semplicemente che, data la sua onniscienza, conosce quali saranno
le libere scelte di tutti gli individui, e quindi, in base a questa conoscenza, da sempre ha
deciso e sa chi si salver e chi si danner. Oltretutto, precisa Agostino, la libert autentica
non consiste nel libero arbitrio, inteso come possibilit di scegliere indifferentemente il
bene o il male. Il libero arbitrio solo la condizione necessaria, ma del tutto insufficiente
della vera libert. La libert autentica conforme alla razionalit e dunque consiste
unicamente nello scegliere il bene e nellagire per il bene. Dunque gli uomini predestinati
alla salvezza, cio quelli che ricevono laiuto della grazia divina, e quindi riescono a
comportarsi bene, non solo non sono limitati nella loro libert, ma anzi sono gli unici
uomini davvero liberi.
Per comprendere appieno il significato della teoria della salvezza per grazia divina di
Agostino bisogna approfondire le sue implicazioni pratico-morali. La prima, a livello
individuale, quella dellumilt, come valore-faro di ogni altro valore morale. Il primo
peccato, il fondamento di tutti gli altri, stato per Agostino, come abbiamo visto, un
peccato di superbia. Dunque il valore morale fondamentale da seguire per emendarsi da
quel peccato ed evitare di peccare ancora, non pu che essere il contrario della superbia,
cio lumilt, ossia il riconoscimento teorico e laccettazione pratica dei propri limiti. E,
appunto, solo se riconosciamo e accettiamo di poter comportarci bene e salvarci solo in
virt dellaiuto di Dio, solo in tal caso, secondo Agostino, siamo veramente umili e dunque
possiamo emendare il nostro peccato originale.
La seconda implicazione pratico-morale della teoria agostiniana della grazia che ogni
individuo per comportarsi bene e salvarsi deve far parte della chiesa cristiana e obbedire
alle sue decisioni collettive, cio alle decisioni delle autorit ecclesiastiche, in particolare
alle sue prescrizioni comportamentali (sacramenti, messa domenicale, rispetto dei
comandamenti, ecc.). Infatti, Agostino sostiene che la chiesa cristiana la depositaria
terrena della grazia divina e che dunque far parte della chiesa condizione necessaria (ma
non sufficiente!) per ricevere la grazia e quindi raggiungere la salvezza. Addirittura, in tal
senso, Agostino si spinge a sostenere che lecito costringere gli infedeli a convertirsi, cio
farli entrare con la forza nella chiesa cristiana. Se, infatti, fuori dalla chiesa non c
salvezza, costringere qualcuno a farne parte significa fare il suo bene, cio amarlo;
astenersi dal farlo, invece, equivale a fare il suo massimo male, cio a odiarlo, dal momento
che la sua esclusione dalla chiesa cristiana equivale alla condanna alla dannazione eterna.
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TAPPA 6
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Quella ama la propria forza nei propri eroi, questa dice al suo Dio: Ti amer,
Signore, mia forza. Quindi nella citt terrena i suoi filosofi, che vivevano
secondo l'uomo, hanno dato rilievo al bene o del corpo o dell'anima o di tutti e
due. Coloro poi che poterono conoscere Dio, non lo adorarono e
ringraziarono come Dio, si smarrirono nei propri pensieri e fu lasciato
nell'ombra il loro cuore stolto perch credevano di esser sapienti, cio
perch dominava in loro la superbia in quanto si esaltavano nella propria
sapienza. Perci divennero sciocchi e sostituirono alla gloria di Dio non
soggetto a morire l'immagine dell'uomo soggetto a morire e di uccelli e di
quadrupedi e di serpenti e in tali forme di idolatria furono guide o partigiani
della massa. Cos si asservirono nel culto alla creatura anzich al Creatore
che benedetto per sempre. Nella citt celeste invece l'unica filosofia
dell'uomo la religione con cui Dio si adora convenientemente, perch essa
attende il premio nella societ degli eletti, non solo uomini ma anche angeli,
affinch Dio sia tutto in tutti.
Agostino, La citt di Dio, Libro XIV, 28
Nel 410 d.C. Roma espugnata e saccheggiata dai visigoti di Alarico. La caduta di quella
che era universalmente considerata la citt eterna ha un enorme impatto emotivo sulla
popolazione dellimpero romano: i romani politeisti ne attribuiscono la responsabilit al
cristianesimo accusandolo di costituire un fattore di indebolimento dello Stato; tra tutta la
popolazione dellimpero, cristiani compresi, si diffonde un forte senso di insicurezza e
smarrimento.
Agostino sollecitato da questa temperie storica a difendere la chiesa cristiana dalle accuse
dei politeisti ma anche a rassicurare i cristiani e pi in generale la popolazione romana. Per
conseguire questi obiettivi, elabora una grandiosa teoria della storia umana, incardinata
sulla provvidenza divina, ovvero interpretata come storia della salvezza delluomo da parte
della grazia di Dio.
Secondo Agostino, la storia umana ha un preciso inizio e una precisa fine: comincia con la
cacciata dallEden di Adamo ed Eva e si concluder con il giudizio universale. In questo
senso, la storia, per Agostino, possiede un corso lineare e finito. Si tratta di unaltra epocale
novit, dal momento che, salvo rare eccezioni, tutti i pensatori precedenti avevano
teorizzato il carattere circolare, ripetitivo, e quindi senza fine, del corso storico.
Soprattutto, per, afferma Agostino, il corso storico si impernia su un evento
fondamentale, che ne costituisce lasse, ovvero il suo senso: lincarnazione, la morte in
croce e la resurrezione di Ges Cristo, figlio di Dio e pienamente Dio egli stesso, secondo il
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principio dellunit essenziale della trinit divina. Dio, infatti, si fa uomo, muore e risorge
per portare la salvezza alluomo, cio per permettergli di redimersi dal suo peccato
originale e dunque di scontare del tutto la sua pena, ossia di smettere di soffrire. In altre
parole, la misericordia e la grazia divine nei confronti dellumanit dannata si realizzano
nella manifestazione diretta nel corpo, nelle parole e nelle azioni di un uomo di Dio agli
uomini.
In virt di questo evento decisivo, gli uomini possono accrescere la loro fede e liberarsi
dalla soggezione al peccato e al male. In tal senso, la vita di Ges Cristo per Agostino
costituisce lo spartiacque centrale della storia umana, la divide cio in due tempi con due
diversi ma complementari significati:
1. la storia umana prima di Cristo, il cui senso lattesa del salvatore;
2. la storia umana dopo Cristo, il cui senso lattuazione da parte dellumanit della
possibilit della salvezza attraverso la chiesa cristiana.
E chiaro dunque che, per Agostino, anche la storia umana costituisce un tassello del
disegno creativo di Dio. Essa, cio, la realizzazione di un piano provvidenziale offrire a
tutta lumanit la possibilit della salvezza e permettere la salvezza effettiva di una parte
degli uomini che ne costituisce il senso unico e unitario. In questa prospettiva, sostiene
Agostino, tutti gli eventi storici, anche quelli pi nefandi, sono mezzi per raggiungere il fine
ultimo, ovvero il massimo bene possibile. Da un lato, infatti, i crimini storici sono
responsabilit esclusiva delluomo, in quanto prodotti del cattivo uso del suo libero
arbitrio; dallaltro lato, per, la provvidenza divina li intreccia e li utilizza sapientemente
per realizzare il suo disegno di salvezza. Ne consegue che, per Agostino, il cammino storico
non solo rettilineo, ma anche progressivo: esso infatti procede e si sviluppa, nel suo
insieme, sempre dal peggio al meglio. Fermo restando che, per Agostino, il progresso
storico ha una valenza, se non esclusivamente, almeno fondamentalmente interiore,
religiosa; , cio, essenzialmente un progresso della fede degli uomini.
E in questa cornice, secondo Agostino, lo stesso peccato originale delluomo, e tutti i mali
che ne conseguono, trovano unulteriore e pi profonda giustificazione: grazie ai suoi
peccati luomo pu giungere, sempre con laiuto di Dio, a una consapevolezza del bene e a
una volont di fare il bene maggiori di quelle che avrebbe avuto se non avesse commesso il
peccato originale. Dunque, nel grande piano della creazione divina, anche il massimo male
relativo, il male commesso dalluomo, svolge una funzione positiva, e dunque si volge in
pieno bene. In altre parole, una volta raggiunto il fine della storia umana, tutte le
sofferenze patite dagli uomini saranno completamente redente.
Sulla base di questa visione religiosa della storia, Agostino ne spiega poi la dimensione
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propriamente umana individuandone due agenti essenziali: la citt degli uomini (o citt
terrena) e la citt di Dio (o citt celeste). Chiarito che, con il termine citt (civitas),
intende comunit, aggregato di uomini, Agostino caratterizza le due citt in questo
modo:
la citt delluomo fondata da Caino, assassino per invidia e gelosia del fratello
Abele costituita da tutti gli uomini che antepongono lamore per se stessi a
quello per Dio e di conseguenza vivono secondo la carne, cio mirando a
soddisfare tutti i loro desideri e le loro ambizioni;
la citt di Dio fondata da Abele, il fratello di Caino che piuttosto di uccidere si
lasci uccidere, e rifondata da Cristo stesso costituita da tutti gli uomini che
antepongono lamore di Dio allamore per se stessi e dunque vivono secondo lo
spirito, cio cercando di rispettare i comandamenti divini.
Agostino non identifica del tutto la citt delluomo con gli Stati in senso proprio, n la
citt di Dio con la chiesa cristiana. Entrambe le due citt, infatti, sono comunit
interiori linteriorit invisibile di ogni individuo che stabilisce chi fa parte delluna o
dellaltra dunque non consistono in strutture istituzionali concrete. Di conseguenza, in
linea di principio, le due citt sono compresenti sia negli Stati sia nella chiesa cristiana.
Listituzione statale, inoltre, giustificata da Agostino come unimposizione necessaria
nella dimensione terrena, in quanto male minore, cio in quanto violenza inferiore alla
maggiore violenza che, in una situazione di anarchia, la citt delluomo scatenerebbe. In
questa prospettiva, per Agostino la provvidenza divina ha utilizzato limpero romano per
diffondere meglio a tutti gli uomini il messaggio di Cristo e permettere la nascita e
lespansione della chiesa cristiana.
Di fatto, per, mentre la chiesa cristiana appartiene maggiormente alla citt di Dio, gli
Stati storici rientrano in misura maggiore nella citt delluomo. Infatti, negli Stati storici,
impero romano compreso, secondo Agostino, hanno sempre prevalso gli uomini terreni,
cio avidi, egoisti, ambiziosi e proprio per questo tutti gli Stati storici sono destinati, prima
o poi, alla distruzione. Essi, infatti, proprio perch nascono dalla violenza e crescono sulla
violenza cio sulla conquista e loppressione di altri Stati-popoli alla lunga si scontrano
inevitabilmente con uno Stato pi forte e soccombono. Ed giusto, sostiene Agostino, che
sia cos, perch in questo modo gli Stati si puniscono reciprocamente per i loro crimini.
Limpero romano, in tal senso, non solo non fa eccezione ma addirittura un esempio
iperbolico di violenza criminale, a cominciare dalla sua origine, lassassinio di Remo da
parte del fratello Romolo, una ripetizione del fratricidio di Abele da parte di Caino, a
conferma del fatto che la citt terrena si fonda sul crimine. Dunque, afferma Agostino,
481
E non c nemmeno motivo di preoccuparsi, di temere che la fine dellimpero romano sia la
fine del mondo, continua Agostino, perch tutti gli uomini possono e devono trovare la
salvezza nella citt celeste, la quale, poich non si fonda sulla violenza ma sullamore,
indistruttibile e destinata da Dio alleternit. Infatti, prosegue Agostino, quando il disegno
storico della provvidenza divina sar compiuto, Dio proclamer la fine del mondo e, con
essa, la fine della storia umana.
Ma, per Agostino, la fine della storia umana coincide con il conseguimento del suo fine: la
salvezza dei giusti, ossia di tutti gli uomini che hanno fatto parte della citt di Dio. La fine
del mondo, infatti, consiste, secondo Agostino, nel giudizio universale, nel corso del quale
Dio separer la citt delluomo dalla citt di Dio, abbandonando la prima alla
dannazione eterna, cio al male e al dolore perenni, e destinando la seconda alla
beatitudine eterna, cio allautentica e perenne felicit.
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TAPPA 7
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le cose. E ti sei degnato di abitare nella mia memoria dal giorno in cui ti
conobbi! Perch cercare in quale luogo vi abiti, come se col vi fossero luoghi?
Vi abiti certamente, poich io ti ricordo dal giorno in cui ti conobbi, e ti trovo
nella memoria ogni volta che mi ricordo di te.
Agostino, Le confessioni, Libro X
9. 2. I cristiani sono stimolati da questi sentimenti non solo a favore di se
stessi, ma anche di coloro di cui desiderano la liberazione e temono la
perdizione, si dolgono se si perdono e godono se ottengono la salvezza. A
proposito ricordiamo l'uomo pi buono e pi forte che si vanta delle proprie
debolezze, noi soprattutto che veniamo alla Chiesa di Cristo dai popoli pagani,
perch egli fu il Dottore dei popoli pagani nella fede e nella verit. Egli
[lapostolo Paolo, ndr] si adoper pi di tutti i suoi colleghi nell'apostolato ed
educ con molte lettere i popoli di Dio, non soltanto quelli da lui conosciuti
nel presente, ma anche quelli che si prevedevano in futuro. I cristiani, dico,
mediante gli occhi della fede ammirano con grande gioia quell'uomo,
campione del Cristo che lo addestr e plasm alla lotta, con lui crocifisso, in
lui glorioso, che competeva secondo le regole in una grande gara nel teatro di
questo mondo, in cui divenne oggetto di ammirazione agli angeli e agli uomini
e che consegu la palma della vocazione al cielo negli eventi che la precedono.
Osservano appunto, con gli occhi della fede, che egli godeva con chi gode,
piangeva con chi piange, che all'esterno aveva lotte, all'interno timori, che
bramava morire ed essere con Cristo, che desiderava di vedere i Romani per
conseguire i frutti di bene con loro come con gli altri popoli, che era geloso dei
Corinti ma a causa di questa gelosia temeva che i loro propositi fossero sviati
dalla purezza la quale nel Cristo, che aveva una grande tristezza e un
continuo intimo dolore a causa degli Ebrei, perch essi, ignorando la giustizia
di Dio e volendo sopravvalutare la propria, non erano sottomessi alla giustizia
di Dio, che dichiarava non solo il dolore ma anche il proprio pianto per alcuni
i quali avevano peccato e non avevano fatto penitenza della loro impurit e
fornicazione.
9. 3. Se queste emozioni e sentimenti provenienti dall'amore al bene e dalla
santa carit sono da considerare vizi, permetteremmo che siano considerate
virt quelli che sono veramente vizi. Ma se questi impulsi seguono la retta
ragione in modo che se ne usi quando conviene, non si pu presumere di
considerarli anormalit ossia passioni viziose. Per questo anche il Signore,
che si degnato di condurre la vita umana nella condizione di schiavo ma
senza alcun peccato, si valse di questi sentimenti quando lo ritenne
opportuno. In lui, nel quale erano veri il corpo e l'anima umana, non era falso
l'umano sentimento. Dunque non sono falsi gli episodi riferiti nel Vangelo, e
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cio che si rattrist con risentimento per la insensibilit del cuore dei Giudei,
che disse: Godo per voi affinch crediate, perfino che prima di risuscitare
Lazzaro pianse, che desider mangiare la pasqua con i suoi discepoli, che
all'approssimarsi della Passione la sua anima fu triste. Egli, quando volle, in
virt di una precisa intenzione accolse nel suo animo di uomo queste
emozioni come, quando volle, divenne uomo.
9. 4. Quindi, anche quando sperimentiamo nell'onest e secondo Dio questi
sentimenti, bisogna ammettere che sono di questa vita, non di quella futura
che speriamo e che ad essi spesso contro voglia cediamo. Talora piangiamo,
anche senza volerlo, quantunque siamo mossi non da desiderio colpevole ma
da lodevole carit. Li sperimentiamo dunque per la debolezza della
condizione umana. Non cos Ges, nel quale anche la debolezza deriv dalla
sua forza. Ma fintantoch abbiamo indosso la debolezza di questa vita, se non
avessimo affatto queste emozioni, allora piuttosto non vivremmo secondo
onest. L'Apostolo rimproverava e biasimava alcuni anche perch, diceva,
erano senza sentimento. Anche il Salmo li ha ripresi perch di essi dice: Ho
atteso chi mi compatisse, e non vi fu. Infatti non provare alcun dolore,
mentre siamo in questa condizione d'infelicit, certamente, come ha ritenuto
e detto anche uno degli scrittori della cultura profana, non avviene senza un
gran contributo di brutalit nell'animo e d'insensibilit nel corpo. V' quello
stato che in greco si denomina e che si potrebbe tradurre impassibilit. Poich
riguarda l'anima e non il corpo, se si deve intendere nel senso che si vive
senza queste emozioni, le quali condizionano la ragione e turbano la
coscienza, onesta e sommamente desiderabile, ma anche essa non di
questa vita. Non di individui qualunque ma veramente devoti e molto avanzati
nella santit sono le parole: Se dicessimo di non avere il peccato, inganniamo
noi stessi e in noi non la verit. Allora si avr l'apathia quando nell'uomo
non si avr alcun peccato. In questo mondo si vive abbastanza onestamente se
si vive senza delitto; chi invece ritiene di vivere senza peccato, non si
comporta in maniera da non avere il peccato ma di non ottenerne il perdono.
Inoltre se apathia si deve denominare lo stato in cui nessun sentimento pu
sfiorare l'animo, ciascuno ritiene che tale insensibilit peggiore di tutti i
vizi. Essa pu quindi non irragionevolmente esser considerata felicit
definitiva se avverr senza l'assillo del timore e senza alcuna tristezza, ma
soltanto chi alieno dalla verit potr dire che in quello stato non vi saranno
l'amore e il godimento. Se poi lo stato in cui non atterrisce il timore n
affanna il dolore, si deve rifiutare in questa vita, se in questa vita vogliamo
vivere onestamente, cio secondo Dio, ma si deve sperare per la vita felice che
ci promessa nell'eternit.
Agostino, La citt di Dio, Libro XIV
485
5. Per questo sarebbe stato incredibile una volta; ma ora il mondo ha creduto
che il corpo terrestre del Cristo stato elevato al cielo. Individui dotti e
ignoranti, esclusi pochissimi istupiditi, tanto dotti che ignoranti, hanno
creduto la risurrezione della carne e l'ascensione nelle dimore celesti. Se
hanno creduto una cosa credibile, riflettano quanto sono stolti quelli che non
credono; se invece stata creduta una cosa incredibile, anche questo
incredibile, che sia stato creduto ci che incredibile. Dunque il medesimo
Dio, prima che uno dei due eventi si avverasse, ha predetto che si sarebbero
avverati tutti e due questi eventi incredibili, cio la risurrezione del nostro
corpo nell'eternit e che il mondo avrebbe creduto una cosa cos incredibile.
[]
Agostino, La citt di Dio, Libro XXII
Come abbiamo visto, Agostino inventa una nuova concezione di Dio: un Dio persona,
dotato di unautocoscienza, di volont e di sentimenti, cio capace di amare; un Dio che, in
quanto uno e trino, insieme essere (in quanto padre), conoscenza (in quanto figlio) e
bene/amore (in quanto spirito santo).
La nuova teologia di Agostino il fondamento della sua altrettanto nuova antropologia. In
altre parole, la concezione delluomo di Agostino discende direttamente dalla sua
concezione di Dio. In questo modo, la rivoluzione teologica agostiniana innesca una forse
ancor pi profonda e influente rivoluzione antropologica.
Tre sono i ponti che congiungono, secondo Agostino, Dio alluomo, consentendo di
attribuire alluomo alcune caratteristiche divine:
1. innanzitutto, il dettato biblico, secondo il quale Dio fece luomo a propria
immagine e somiglianza;
2. in secondo luogo, Ges Cristo, Dio che si fatto corpo umano e ha assunto tutte le
caratteristiche di un individuo umano;
3. infine, lo spirito santo, Dio come amore, che soffia nelluomo e in ogni creatura, in
quanto la creazione latto damore per eccellenza.
E immediato notare come questi tre legami tra Dio e luomo corrispondano alle tre
persone della trinit divina. E infatti Agostino afferma che luomo immagine di Dio
innanzitutto e soprattutto in quanto lindividuo umano possiede tre facolt fondamentali,
corrispondenti alle tre persone della trinit divina:
1. lessere, cio la propria esistenza individuale;
2. il conoscere, cio la propria mente capace di conoscenza;
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Dunque luomo una copia di Dio ed per questo, per Agostino, che pu cercare e trovare
Dio dentro di s, in particolare in quellarca della mente che la memoria. Naturalmente
sussiste una differenza decisiva tra loriginale e la sua copia: Dio infinito, luomo finito;
Dio e luomo hanno le stesse qualit, ma le qualit divine sono infinite, mentre quelle
umane sono finite. Questo spiega anche perch luomo, a differenza di Dio, ha commesso e
commette il male.
Ci non toglie che luomo, secondo Agostino, abbia, seppure in tono minore, la stessa
conformazione di Dio, cio sia isomorfico a Dio. Poich Dio una persona, ogni uomo, in
quanto simile a Dio, una persona, cio una personalit unica e irripetibile, dotata di un
valore assoluto. In parole ancora pi chiare: le caratteristiche specifiche, esteriori e
interiori, di ogni individuo (il volto, il carattere, i gusti, ecc.) hanno un valore di gran lunga
maggiore delle sue caratteristiche comuni a tutta la specie umana (p.e. la bipidit).
Agostino non si limita a teorizzare questa tesi, ma la pratica continuamente: soprattutto
nelle sue opere autobiografiche ed esistenzialistiche, ma spesso anche nelle altre, Agostino
parla di se stesso, della propria personalit, delle proprie vicende, dei propri sentimenti,
delle proprie colpe. In questo senso, si pu dire che linvenzione agostiniana del nuovo
genere filosofico dellautobiografia esistenziale deriva proprio dalla sua nuova concezione
delluomo come persona e ne , al contempo, la pi riuscita e profonda espressione.
La seconda caratteristica nuova del Dio agostiniano lamore. In quanto persona, Dio ama,
cio prova dei sentimenti. Di conseguenza, se luomo simile a Dio, concepire luomo come
persona significa anche, per Agostino, valorizzare la sua componente emotivosentimentale. Per, se luomo si qualifica come persona in quanto prova dei sentimenti,
essendo, a differenza di Dio, una persona finita, i suoi sentimenti autentici sono quelli che
esprimono non solo e tanto la sua sicurezza, la sua forza e la sua autonomia, quanto la sua
insicurezza, la sua debolezza e la sua dipendenza. Si tratta di una rottura radicale con
lantropologia e letica greco-romane, in particolare con i principi etici delle filosofie
ellenistiche: limpassibilit (aptheia) e limperturbabilit (atarassa) degli stoici, degli
epicurei e degli scettici.
Pi in generale, mentre le filosofie etiche dellet ellenistica, ma anche il neoplatonismo,
ritenevano che luomo potesse essere autonomo e autosufficiente, cio in grado di
conquistare autonomamente la felicit nel corso della vita terrena, Agostino nega
recisamente che questo sia possibile: luomo, nella dimensione terrena, pu solo ridurre
ma mai eliminare la sofferenza, e dunque ipocrita e, insieme, inumano proporsi di
debellare i sentimenti legati al dolore e le loro manifestazioni, a cominciare dal pianto.
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La felicit umana raggiungibile, afferma Agostino, solo limitatamente nella vita terrena e
pienamente solo nella vita ultraterrena, cio come beatitudine eterna. In entrambi i casi,
inoltre, luomo pu provare la felicit solo grazie allintervento divino, cio solo se
riconosce umilmente la sua insufficienza e si affida a Dio.
Unulteriore, fondamentale rottura agostiniana, relativamente alla concezione grecoromana delluomo, riguarda il giudizio del corpo. Per Platone e per i neoplatonici il corpo
era la tomba dellanima, la fonte dellerrore e del male, e come tale la felicit ultraterrena
dellanima coincideva con la totale liberazione dellanima dal corpo. Per Agostino il corpo
non affatto fonte di male in se stesso, ma lo diventa solo in seguito al peccato originale,
cio per una decisione errata della libera volont, ovvero dellanima, delluomo.
Il corpo umano, secondo Agostino, bene e non pu che essere bene in quanto un corpo
creato da Dio, in cui Dio si incarnato come Ges Cristo e con il quale, sempre come Ges
Cristo, risorto e assurto in cielo. E infatti Agostino sostiene che, alla fine dei tempi, tutti i
corpi umani risorgeranno e la vita eterna sar propria sia delle anime sia dei corpi.
Solamente, il corpo che vivr eternamente sar un corpo compiutamente spiritualizzato,
cio un corpo in perfetta sintonia con la ragione e con il bene, ossia capace solo di fare il
bene.
Su questa base, la proposta etica di Agostino consiste nel vivere secondo lo spirito, ossia
nellavvicinarsi il pi possibile, con laiuto della grazia divina, alla corporeit spiritualizzata
della vita ultraterrena. Ma cosa vuol dire vivere secondo lo spirito? Fondamentalmente
per Agostino significa amare, vivere amando. Ma attenzione. Secondo Agostino, vi sono
due generi di amore, uno vero e uno falso. Il vero amore la carit (charitas), il falso
amore il desiderio (cupiditas).
La carit consiste nellamare innanzitutto Dio, come oggetto e fine ultimo del proprio
amore, e nellamare se stessi, gli altri uomini e tutte le cose come mezzi per raggiungere il
proprio fine ultimo, cio Dio. Di conseguenza amare autenticamente, ossia vivere secondo
lo spirito significa, per Agostino, seguire le regole morali che Dio d agli uomini attraverso
la chiesa cristiana.
Il desiderio, invece, significa amare innanzitutto se stessi come oggetti e fini ultimi, e
amare in secondo luogo gli altri e tutte le cose unicamente come mezzi per amare se stessi.
Il desiderio, in altre parole, egoismo ed egocentrismo mascherati ipocritamente da
amore. Vivere seguendo la legge del desiderio, afferma Agostino, significa vivere secondo
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la carne, ovvero seguendo i propri istinti fisici, godendo senza limiti di tutti i piaceri
corporei possibili. Ma vivere in questo modo significa non solo procurare il dolore agli altri
ma anche procurarlo a se stessi.
Chi vive secondo la carne, cio desiderando, sar dunque gi parzialmente punito nella
vita terrena per poi essere totalmente punito nella vita ultraterrena con linfelicit eterna;
chi vive secondo lo spirito, cio amando, sar gi parzialmente premiato nella vita
terrena per poi essere totalmente premiato nella vita celeste con la beatitudine eterna,
ossia la contemplazione diretta di Dio.
In conclusione, il criterio etico decisivo di Agostino dunque quello dellamore: Ama e fa
ci che vuoi! in tal senso il suo messaggio pi netto ed emblematico.
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