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Candidata
Dott.ssa Annalisa Sacchi
Relatore
Prof. Marco De Marinis
Coordinatore
Prof. Marco De Marinis
A Stefano
Annalisa Sacchi
Indice
Premessa
Introduzione
Parte prima
La rivoluzione copernicana
ovvero
La nascita della regia dallo spirito del modernismo
Capitolo I: Le estetiche
1.1 Il faut tre absolument moderne
1.2 Basso materialismo
1.3 Straniamento
1.4 Astrazione
1.5 Perch il realismo fa problema
1.6 La folla (essere singolare-plurale)
1.7 Lo shock e il montaggio
1.8 Interiorit ed esteriorit
Paralipomeni: per una critica della region tecnica. La parola a
sua maest Ejzen!tejn
2.5 La pedagogia
2.6 La cura del s
a. Epimeleisthai heautou
b.Si tratta del cammino della vita e della conoscenza
c. Leadership e pedagogia
d. Esilio dalla scena
e. La cura del s, oggi
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Parte seconda
La rivoluzione einsteiniana
ovvero
La regia nellepoca della sua accelerazione
Capitolo III: Le estetiche
3.1.Disputa sulla natura della regia contemporanea
a. Moderni e sopravvissuti
b. Contro i prefissi in postc. Lpreuve de risque
d. Una proposta dialettica
e. Una trasgressione dialettica: la terza via di Fabre
f. Il fronte comune: la minorazione
3.2 Linforme: istruzioni per luso
a. Death of Olympia e morte (veemente) del mollusco
Amleto
b. I would prefer not to (be Amlet) ovvero, la
forclusione del Nome del Padre
c. Laltro polo: espellere/essere espulsi dalla madre
Postilla: sulla metamorfosi animale ovvero sullessere povero di
mondo
3.3 Straniamento, ovvero del perturbante nellarte teatrale
a. Fabre e les maries mises nu
b. Ostermeier e il rimosso del testo
c. Castellucci e la ricerca del poco pi in l
3.4 Astrazione
a. LIsolamento
b. Il geometrismo
c. Teatro astratto e teatro concreto
d. Volatilit e tensioni dinnalzamento
e. Il teatro delle immagini interne
3.5 Coralit
a. Il formicaio e la metafora entomologica
(la coralit della forma)
b. Il monologo e la parola del coro
(la coralit in quanto coro)
c. Io sono legione
(la coralit del soggetto unico)
d. LHomo tantum, il qualunque
(la coralit in quanto comunit)
e. La coralit: alla fine, una questione di singolarit
3.6 Il sublime traumatico
a. Trionfi di Masoch
b. Il mussulmano
c. Il freddo
d. Il crudele
3.7 Interiorit vs interno
a. Il sogno di Irma
b. Fabre e la nudit: contro la superficie cosmetica
c. Castellucci e la bocca muta della ferita
d. Ostermeier e il rovescio della scena
3.8 Conclusioni provvisorie
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PREMESSA
Il titolo scelto allude ad un capitolo de Le parole e le cose di
Michel Foucault in cui lautore analizza Las meninas di
Velasquez mostrando come il vero soggetto sia esterno alla
scena, come muova la rappresentazione rimanendone estraneo o
esterno. L erano i regnanti, il cui riflesso poteva indovinarsi
nello specchio posto sul fondo della scena, qui il regista,
figura fuori-scena la cui imago, idealmente, potrebbe essere
catturata da un medesimo specchio di fondo.
sufficiente scorrere velocemente le bibliografie inerenti il
fenomeno registico per verificare come laura di regalit
(spesso assunta in tono polemico) riservata alla figura del
regista sia riscontrabile gi dai titoli: Il signore della scena, Sua
maest Ejzen!tejn, In contacts with Gods?, per citarne solo
alcuni.
Del resto, nel postulare quellidea di Marionetta divina in cui
si sarebbe decantata lesuberante umanit dellattore, Craig
ritagliava per il regista precisamente il ruolo di una divinit a
cui la marionetta inorganica si sarebbe docilmente piegata, per
essere da lui diretta in maniera incontrastata, insieme a tutti gli
altri elementi che concorrono al fatto scenico e che solo il
regista pu orchestrare. Per questo si potrebbe dire di Craig
quello che una volta Gorkij disse di Tolstoj: Con Dio ha
rapporti molto diffidenti; a volte mi ricordano il rapporto di
due galli nello stesso pollaio.
Foucaultiana , del resto, la chiusura del pezzo famoso in cui
Fabrizio Cruciani passava in rassegna, con abilit analitica
destinata a far scuola, lesperienza de I Padri fondatori e il
teatro del Novecento, auspicando infine di rimettere le parole
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Marotti indica che un certo qual ritardo del teatro rispetto alle altri arti sia
imputabile al suo carattere sociale: il teatro, in quanto arte collettiva, di
valore immediatamente sociale, segue sempre assai a rilento le altre forme
despressione artistica, (ivi, p. 337), mentre Hans-Thies Lehmann ne propone
piuttosto una lettura economica: Poich il teatro, come prassi estetica
dispendiosa nella societ borghese, doveva pensare necessariamente alla
possibilit di conservarsi attraverso guadagni significativi, e cio attraverso
una ricerca di consenso il pi ampia possibile, emergono novit rischiose,
cambiamenti decisivi e modernizzazioni con un caratteristico ritardo rispetto
allo stato delle cose in forme artistiche materialmente meno dispendiose come
la poesia o la pittura (H.-Th. Lehmann, Postdramatisches Theater, Frankfurt
am Main, Varlag der Autoren, 1999, trad. it. in Biblioteca teatrale, nn. 7476, 2005, p. 37).
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F. Taviani, Uomini di scena, uomini di libro, Bologna, Il Mulino, 1995, p.
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ivi, p. 11.
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PARTE I
LA RIVOLUZIONE COPERNICANA
OVVERO
LA NASCITA DELLA REGIA
DALLO SPIRITO DEL MODERNISMO
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CAPITOLO I
LE ESTETICHE
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Tale utilizzo del mondo delle cose viene avvertito con chirezza
da Zola, la cui capacit peculiare - come del resto quella di
Manet donde la particolare confidenza artistica che li leg sarebbe quella di vedere tramite oggetti42, e cos loggetto, da
elemento essenzialmente strumentale alla funzione decorativa,
fa irruzione in modo eclatante e basso nella scena, si insinua
al centro della rappresentazione43. La bassezza del motivo (il
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Ivi, p.109.
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1.3 STRANIAMENTO
Forse un mattino andando in un'aria di vetro,
arida, rivolgendomi, vedr compirsi il miracolo:
il nulla alle mie spalle, il vuoto dietro
di me, con un terrore di ubriaco.
Poi come s'uno schermo, s'accamperanno di gitto
alberi case colli per l'inganno consueto.
Ma sar troppo tardi; ed io me n'andr zitto
tra gli uomini che non si voltano, col mio segreto.
E. Montale
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Ivi, Breve descrizione di una nuova tecnica della recitazione che produce
leffetto di straniamento, p. 187.
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1.4 ASTRAZIONE
La terza mossa concettuale si riconosce nellastrazione. Essa
un processo attraverso il quale tramite opportune tecniche
interpretative si eliminano tutti gli elementi occasionali che
circondano le cose e le contestualizzano per pervenire alla
forma estrema delle cose stesse, alla loro sostanza specifica,
alla loro essenza. Lastrazione comporta la capacit dellartista
di cogliere luniversale, laddove lastratto appare come
riduzione della multiforme verit accidentale dei concreti, come
invarianza di determinati tratti caratterizzati il concreto.
Il processo astrattivo mira a pervenire allidea assoluta:
lastrazione non si pone in conflitto con la realt questa
sarebbe una semplificazione eccessiva ma pone accanto a
questa un suo simulacro metaforico rispetto al quale la realt
sviluppa una qualche forma di ambivalente competizione. Per
pi di un verso infatti lastrazione rappresenta un
perfezionamento della realt, che vi assume una nitidezza
altrimenti irraggiungibile; essa ricapitolazione, nel pensiero,
dei tratti ontologicamente caratterizzanti delle cose.
Lastrazione un connotato essenziale della scena moderna ed
intimamente legata allavvento stesso della regia. Non
concordiamo per con Marotti quando indica nella sola
astrazione listanza natale del processo registico, che viene cos
ad essere collocato nel solco lungo dellestetica idealista di
marca hegeliana. Scrive infatti lo studioso: Il rapporto
fondamentale fra scena e arte figurativa [] quello che si
determina tramite la riflessione filosofica sul problema
dellarte, cio il rapporto instaurato dallestetica idealistica
quando essa identifica con Shelling il vero con lidea e assegna
come scopo dellarte il manifestare la verit sotto la forma della
rappresentazione sensibile, e, traendo poi da tali premesse le
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E. Gordon Craig, Per un nuovo teatro, in Id., Il mio teatro, cit., p. 173.
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Cfr. S. M. Ejzen!tejn, Teresa Raquin, in Id., Stili di regia, cit., pp. 91118. Ci inoltre ci conferma la fondatezza dellesempio zoliano utilizzato
come motivo davvio per il modernismo teatrale, poich in particolare la
Threse Raquin rappresenta un oggetto tanto attivo nella cultura scenica
dinizio secolo da poter agevolmente piegarsi alle interpretazioni registiche
pi diverse, giungendo addirittura, com nel caso analizzato, a farsi operamanifesto di poetiche sceniche fortemente antagoniste.
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Cfr. R. Barthes, Il teatro greco, in Id., Lovvio e lottuso. Saggi critici III,
Torino, Einaudi, (1985) 2001, pp. 63-88.
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E. A. Poe, Luomo della folla, in Id., Racconti del terrore, trad. it. Milano,
Mondadori, 1997.
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Ch. Baudelaire, Il pittore, cit., p. 284.
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Ivi, p. 286.
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importante osservare, come ci invita a fare Mirella Schino, che, sebbene
vada riconosciuto ai Meininger il merito di aver favorito la nascita della
moderna regia, non vada per confuso il semplice spettacolo dinsieme da
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ci riferiamo alla produzione del periodo tra il 1916 e il 1921, quello in cui
la Ekster divenne la scenografa di riferimento di Tairov, curando
lallestimento di spettacoli come Le allegre comari di Winsor, Famira il
citaredo e Salom. Cfr. J. E. Bowlt, M. Drutt, Amazons of the avant-garde,
London, Paperback, 1999; F. Ciofi degli Atti, M. Kolesnikov, Alexandra
Exter e il Teatro da Camera, Milano, Electa, 1991. Per il lavoro dela Exter si
rimanda inoltre alla mostra La Danza delle Avanguardie. Dipinti, scene e
costumi, da Degas a Picasso, da Matisse a Keith Haring [Rovereto, Museo di
arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto, 17 dicembre 2005-7
maggio 2006], a cura di G. Belli ed E. Guzzo Vaccarino. Catalogo La Danza
delle Avanguardie , Milano, Skira, 2005.
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questa sigla design la Fabrika EKScentriceskogo aktera (Fabbrica
dell'attore eccentrico), laboratorio artistico sperimentale sorto a Pietrogrado
nel 1921 per iniziativa di giovanissimi (i registi G. Kozincev e L. Trauberg, lo
scenografo e regista S. Jutkevi" e altri) allo scopo di portare in teatro, e poi
nel cinema, il soffio vitale della Rivoluzione, del futurismo,
dell'americanismo e del circo.
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c un evento,
che determina, secondo la sensibilit interiore,
cio la capacit di sentire del soggetto che ne
protagonista, una reazione emotiva,
alla quale, secondo la sensibilit esteriore, che la
capacit di esprimere ci che si sente, fa seguito
una reazione fisica.175
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Ejzen!tejn segue lantico maestro per questa via, sino agli esiti
registici pi tardi quando, in occasione dellallestimento della
Valchiria da Wagner, nel 1940, sostiene che la scenografia non
debba nascere come rappresentazione esteriore, ma
innanzitutto come senso messo in immagine, lasciandosi
generare dal fondo di quel contenuto interno che essa appunto
chiamata a manifestare in modo sensibile188.
Per altri aspetti Tairov, specie nella stagione iniziale del suo
Teatro da Camera, ambisce a forgiare un attore col gusto
dellacrobatismo e dellesattezza motoria, capace di convertirsi
in un meccanismo tanto preciso da invocare limmagine di una
viva marionetta, di un corpo in cui pistoni e stantuffi
sostituivano metaforicamente i muscoli. Tuttavia, come sostiene
Ripellino, lattore-acrobata di Tairov non rinunciava allapporto
di stimoli e di impulsioni interiori. Il regista russo infatti
asserisce: Limmagine scenica una sintesi demozione e di
forma, generata dalla fantasia creativa dellattore189, e parla di
un Teatro di Forme sature dEmozione. Il concetto di
emozione, attinto dalla teoria periferica delle emozioni di
William James, dunque il cardine della dottrina di Tairov.
Egli considera lo spettacolo unaddizione di momenti emotivi, e
desidera che linterprete immetta nella compiutezza della forma
mejercholdiani mi ha colpito la profondit psicologica. Gli imbecilli ci
vedono soltanto le trovate sceniche, senza accorgersi che ogni giochetto
denso di psicologia, fondato su una conoscenza penetrante dellanimo
umano. Non sospettavo nemmeno che Mejerchold fosse un tale conoscitore
del cuore umano. Se non avesse fatto il regista, sarebbe stato un grande
scrittore, sul genere di James Joyce. Il suo capitale costituito da una
straordinaria conoscenza della psicofisica, e proprio questo che gli consente
di mettere in scena in modo nuovo La foresta e Il revisore. Cit. ibidem.
187
cit. ivi, p. 37.
188
S. M. Ejzen!tejn, Incarnazione del mito, in Id., Il movimento espressivo...,
cit., p. 137.
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A. Tairov, cit. in A. M. Ripellino, Il trucco, cit., p. 353.
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Sul ruolo ricoperto dai futuristi nel porre al centro della logica scenica
leffetto provocato sui nervi dello spettatore cfr. F. Taviani, Uomini di scena,
uomini di libro. Introduzione alla letteratura teatrale italiana del Novecento,
Bologna, Il Mulino, 1995. Si veda anche Mirella Schino, la quale, in
particolare, afferma il Manifesto di Marinetti, con le innumerevoli sue
consonanze rispetto agli spettacoli dei primi registi, utilissimo per capire
finalmente quale potesse essere e quale fu la ricaduta sul pubblico su quella
parte poco testimoniata che il sistema nervoso dello spettatore di quelle
che in Appia, Craig o in Fuchs, in Stanislavskij o in Mejerchold, possono
sembrare teorizzazioni o modi di lavorare molto personali (il secondo
corsivo nostro), M. Schino, La nascita, cit., p. 67. Del resto, la fisicofollia auspicata dai futuristi altro non sarebbe che la reazione allo shock
indotto dallopera, un teatro che voleva montare, secondo uno sviluppo alogico e anti lineare, pezzi contrastanti, secondo una logica di simultaneit
di effetti opposti. I futuristi [] teorizzavano una stimolazione prima del
sistema nervoso e poi del cervello (ibidem). Per quanto riguarda invece
linfluenza determinante che i futuristi ebbero sulle sperimentazioni del teatro
russo allepoca dellaffermarsi della regia si veda A. M. Ripellino,
Majakovskij e il teatro russo davanguardia, Torino, Einaudi, 1959.
195
Della vibrazione psichica e della sua messa in forma materiale come fine
ultimo dei mezzi artistici parla anche Kandinskij nel saggio Sulla
composizione scenica del 1912 in cui scrive: Il mezzo trovato nel modo
opportuno dallartista una forma materiale della sua vibrazione psichica, alla
quale egli costratto a trovare unespressione. Se questo mezzo quello
giusto, produce una vibrazione quasi identica dellanima del ricevente, W.
Kandinskij, Tutti gli scritti, a cura di P. Sers, Milano, Feltrinelli, 1974, p. 269.
196
Sul ruolo della cinestesia nel pensiero dei Padri della regia si veda M. De
Marinis, In cerca, cit., in particolare il capitolo 8, Verso lazione efficace,
pp. 227-252.
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PARALIPOMENI
PER UNA CRITICA DELLA RAGION TECNICA.
LA PAROLA A SUA MAEST EJZEN#TEJN
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CAPITOLO II
LE PRASSI OPERATIVE
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Brecht aveva ravvisato i limiti del Sistema alla fine degli anni trenta
(quindi prima della conversione a Stanislavskij che avverr ventanni pi
tardi) non tanto nella volont di facilitare la ripetizione, quanto
nellimperativo dellimmedesimazione: Studiando il sistema di
Stanislavskij egli scrive e della sua scuola si pot constatare che erano
sorte difficolt non lievi nel conseguimento forzato della immedesimazione:
provocare quellatto psichico stava diventando sempre pi difficile. Si dovette
inventare uningegnosa pedagogia affinch lattore non uscisse dalla parte e
il contatto suggestivo fra lui e lo spettatore non venisse esposto a disturbi.
Stanislavskij affront il problema con grande ingenuit trattando tali disturbi
come fenomeni puramente negativi stati di debolezza passeggeri,
assolutamente da eliminare ed eliminabili. Il teatro si ridusse cos sempre pi
allarte di provocare forzatamente limmedesimazione. Non venne nemmeno
lidea che quegli elementi perturbatori potessero dipendere da non ovviabili
mutamenti avvenuti nella coscienza delluomo moderno, e tanto pi si rimase
lontani da quellidea quanto pi intensi e promettenti si facevano gli sforzi
destinati a garantire il verificarsi dellimmedesimazione. Di fronte a simili
discordanze un altro atteggiamento sarebbe stato possibile, e cio domandarsi
se provocare limmedesimazione totale fosse ancora desiderabile (B. Brecht,
Carattere cultuale del sistema, in Id., Scritti teatrali, vol. I, cit., p. 195).
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E. Hrvatin, Ripetizione, follia, disciplina: l'opera teatrale di Jan Fabre,
Torino, Infinito, 2001, p. 47.
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Cos definita quella corrente del pensiero che in genere viene fatta risalire
a Nietzsche e che trova i suoi punti di riferimento essenziali in Freud, in
Heidegger, in Walter Benjamin, e in tempi pi recenti soprattutto nel pensiero
francese, prima in Blanchot, Bataille e Klossowski, e poi a partire soprattutto
dagli anni sessanta in Derrida, e di Deleuze, teorici cui guarda con particolare
attenzione tanta parte della scena contemporanea (ma gi, solo per fare un
esempio, esemplare era stato il rapporto di Carmelo Bene, in particolare, con
Deleuze e Klossowski).
218
Cfr. C. Vicentini, Le avventure del sistema negli Stati Uniti, in M. Gordon,
Il sistema di Stanislavskij: dagli esperimenti del Teatro d'arte alle tecniche
dell'Actors studio, Venezia, Marsilio, (1992) 1995, pp. 149-182.
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al contrario, Franco Ruffini sostiene che il cinema non sia la destinazione
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Prima di addentrarci nellanalisi che qui viene proposta del gesto, occorre
chiarire quale sia la differenza che lo separa dalla nozione di azione. Se il
gesto (gero, gerere = portare, spingere, tendere) un modo di configurarsi
dellidea, un modo di farsi spazio dellidea, vuol dire che esso origina
nellapertura di una distanza, cio da un allontanarsi da un luogo originario
che in quanto allontanato non pu essere compreso (velamento
heideggeriano), allora l'azione (ago, agere = ad+gerere = portare verso)
diventa l'interpretazione umana del gesto primitivo, diventa cio un gesto
orientato verso un luogo che pertanto conosciuto. L'azione unestrazione
del gesto dallidealit per renderlo comprensibile alla nostra realt. L'azione
dunque
una
rappresentazione
del
gesto,
una
tentata
interpretazione/riproduzione. Ci che in questa sede interessa non sar allora
lazione (che ha a che fare col fenomenico del gesto e con la mediazione
dellattore in circostanze tra loro irriducibili a un tentativo di definizione), ma
il gesto nella sua idealit. In questo senso il gesto non termine coestensivo di
azione ma di azione efficace, cos come stata investigata da De Marinis
(cfr., in particolare, il capitolo 8, Verso lazione efficace, di M. De Marinis, In
cerca, cit., pp. 227-252). Il problema complesso, specie quando ci si
aggira nei territori impervi delle terminologie proposte dagli stessi artisti, e
non si ha in questa sede la pretesa di esaurirlo. Perch per sia chiaro, a livello
terminologico, ci che qui si intende per gesto rispetto alla categoria
dellazione e a quella dellatto, necessario svolgere una veloce carrellata su
come i termini vengono utilizzati nei maestri cui ci riferiremo. Se la nozione
sopra analizzata di gesto conforme alluso che ne fanno, ad esempio, Appia,
Craig, Mejerchold, Ejzen"tejn, Brecht e Artaud, il problema si pone di fronte
a Stanislavskij e poi a Grotowski. Semplificando di molto, com necessario
in questa sede, potremmo dire che nel maestro russo il gesto rappresenta
lunit minima, molecolare, dellazione efficace, ovvero che lazione efficace,
per essere tale, deve essere costruita attraverso un montaggio di gesti in
movimento che a loro volta ambiscono ad essere singolarmente efficaci;
mentre per Grotowski potremmo dire che il gesto corrisponde allatto
contrapposto allazione. Cos latto totale attualizza lidealit dellazione,
ovvero realizza il gesto. Interessante inoltre osservare che, lungo questo
crinale, sebbene avvalendosi di un apparato ermeneutico dissimile, si ponga
Carmelo Bene, il quale insiste su come latto e lazione siano due fasi
logicamente distinte dellagire umano. Lazione il progetto, ossia il concetto
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G. Agamben, Note sul gesto, in Id. Mezzi senza fine. Note sulla politica,
Torino, Bollati Boringhieri (1996) 2005, p. 45.
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Ivi, p. 48.
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Il posto del re(gista)
PARTE
II
etiche, luomo.
Poich, com stato indicato da Michel
Foucault, la libert la condizione ontologica delletica. Ma
letica la forma riflessa che assume la libert283. La volont di
liberare lattore risulta poi particolarmente pregnante se riferita
alla prassi scenica registica, ovvero a un territorio relazionale
nel quale lattore e il regista rappresentano due poli presi in un
processo dialettico che rischia costantemente di essere
sbilanciato a favore del secondo (lasimmetria massima
realizzandosi appunto nel caso del regista despota). Liberare
lattore significa dunque, in primo luogo, emanciparlo dal
pericolo di sudditanza nei confronti del regista, ovvero fare di
lui il partner di una relazione paritaria. Lattore, poi, un
soggetto che appare particolarmente arduo per il dispiegarsi del
presupposto etico, poich nel suo stesso ruo
LA RIVOLUZIONE EINSTEINIANA
OVVERO
LA REGIA
NELLEPOCA DELLA SUA ACCELERAZIONE
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CAPITOLO III
LE ESTETICHE
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NATURA
DELLA
REGIA
a. Moderni e soprvissuti
A chi savvicini al tentativo danalisi delle estetiche e delle
prassi operative del contemporaneo registico, una questione si
impone: quale rapporto si debba istituire, in sede teorica, con il
lascito della tradizione. Se infatti, da un lato, molte
esperienze rivendicano una totale estraneit rispetto alleredit
modernista, altre affermano invece la necessit di riattivare le
acquisizioni maturate dalla regia primonovecentesca. La
dialettica che si instaura tra questi poli antitetici quella che
distingue il moderno dal sopravvissuto. stato Alain
Finkielkraut a proporre una simile opposizione: riflettendo sulle
posizioni di un moderno radicale come Roland Barthes,
Finkielkraut ricorda come egli arrivi a un certo punto a
sostenere: Di colpo, non essere moderno mi risultato
indifferente374. Barthes scrisse questo allindomani della morte
della madre. Perch? Perch il lutto - scrive Finkielkraut
lha trasformato in un sopravvissuto, e perch non si pu essere
contemporaneamente un sopravvissuto e un moderno integrale.
Perch il semplice fatto di sopravvivere alle persone contiene
una smentita alla rappresentazione del tempo veicolata dallidea
stessa di moderno375.
Il moderno luomo al quale il passato pesa. Il sopravvissuto
luomo al quale il passato manca. Il Moderno vede nel presente
un campo di battaglia tra la vita e la morte, tra un passato
soffocante e un futuro liberatore. Il sopravvissuto, invece, per il
solo fatto di ricordare un morto, vede rompersi lo slancio verso
374
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261
Craig, fra rivoluzione della scena e cultura delle donne, Roma, Bulzoni,
2003), mentre in generale una tale posizione proposta in particolare, specie
in area anglofona, dagli esponenti dei gender studies. Scrive a questo
proposito la Gandolfi: In questi anni, ho rafforzato la convinzione che le vere
unit danalisi, per studiare le prime modellizzazioni novecentesche delle
pratiche registiche, non siano tanto e solo i nomi di singoli autori-registi, ma
le pratiche dei piccoli teatri europei, cui la Pioneer Players di diritto
appartiene. Fenomeno di media durata (circa una settantina danni), diffuso a
macchia dolio in tutta Europa, i piccoli teatri si caratterizzarono per affini
modalit organizzative, obiettivi artistici, sperimentazioni linguistiche; furono
gli ambienti di lavoro dove si forgiarono le pratiche e le ideologie registiche, e
ancora necessitano esplorazioni globali, come specifico campo di produzione
culturale (Bourdieu). Sono convinta che ad accurate analisi comparative e di
contesto, storiche, estetiche e sociologiche, il fenomeno dei piccoli teatri
riserverebbe alcune sorprese (fra le quali quella di una storia meno dicotomica
del teatro del Novecento, diviso fra teatro istituzionale e di ricerca). Analoghe
indicazioni circa la necessit di revisione del discorso storiografico sulla regia
teatrale, che isola i singoli registi dalle comunit dei teatranti [C. Canning,
Directing History: Women, Performance and Scholarship, Theatre Research
International, nn. 30-31, 2005, p. 52] provengono da altri studi di teatro e
gender. Nel suo saggio Directing History: Women, Performance and
Scholarship, la studiosa americana Charlotte Canning entra in merito al
discorso sulla regia costruito nei primi decenni del Novecento dalla rivista
americana Theatre Arts. La politica editoriale a favore del nuovo fenomeno
registico si esprimeva con medaglioni individuali dedicati alle singole
personalit, secondo definizioni ristrette che portavano allesclusione delle
pratiche registiche delle donne, o meglio e pi precisamente, si parlava di
donne registe, ma non in quanto autrici/registe/genialit individuali, quanto
nel contesto di articoli dedicati allart theatre, little theatre, community
theatre, dove non poche donne lavoravano da registe e educatrici, attrici,
drammaturghe, secondo logiche collaborative. Ma accanto alla strategia dei
medaglioni individuali, il tandem editoriale costituito da Edith Juliet Rich
Isaac (editrice di Theatre Arts dal 1922) e dalla sua collaboratrice
Rosamond Gilder inaugur anche una serie di articoli che, con sensibilit
storicista, conduceva lesplorazione della storia del teatro interrogandone i
forti momenti di protagonismo femminile; era unindagine a favore del
presente, volta a costruire una genealogia femminile a uso e riferimento delle
teatranti novecentesche. Tali saggi furono poi raccolti nel 1931 nel libro di
262
Rosamond Gilder, Enter the Actress, che era concepito come biografia
collettiva, con capitoli dedicati a teatranti di cui si metteva in rilievo lattivit
di mise en scne; Charlotte Canning argomenta che esso offre la possibilit
di scrivere una storia differente dellemergere della regia, R. Gandolfi, Gli
studi sulla regia teatrale, cit.
263
391
264
392
265
NOTA METODOLOGICA
La struttura del presente capitolo concepita come simmetrica
(nei limiti del possibile e tentando di evitare forzature
concettuali) a quella del Capitolo I. Si tenta cos di chiarire,
avvalendosi anche di una griglia compositiva, il continuo
confronto da noi operato tra la scena contemporanea e il
modernismo registico. A un determinato paragrafo del Capitolo
I corrisponde un doppio qui preso in esame, che definisce il
sistema di scambi e di rimandi che intendiamo evidenziare. Ad
esempio, il seguente paragrafo da considerarsi simmetrico col
Basso materialismo del Capitolo I, mentre in altri casi il titolo
stesso del paragrafo risulta identico (es. Astrazione).
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Ivi, p. 81.
A. Artaud, Il teatro della crudelt. Primo manifesto, in Id. Il teatro e il suo
doppio, cit., p. 213.
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P. 70.
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3.3 STRANIAMENTO
OVVERO DEL PERTURBANTE NELLARTE TEATRALE
Osceno. questa la parola, una parola
dalletimologia discussa, alla quale
Elizabeth si aggrappa come a un
talismano. Ha deciso di credere che
osceno significhi fuori dalla scena. Per
salvare la nostra umanit, alcune cose
che potremmo voler vedere (che
potremmo voler vedere perch siamo
umani!) devono rimanere fuori dalla
scena.
J. M. Coetzee, Elizabeth Costello
304
Ivi, p. 94.
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Giorgio Agamben, in una splendida pagina del suo La comunit che viene,
racconta e analizza la favola della perfezione, scrivendo: nota la parabola
sul regno messianico che Benjamin (che laveva udita da Scholem) raccont
una sera a Bloch e che questi trascrisse in Spuren: Un rabbino, un vero
cabalista, disse una volta: per instaurare il regno della pace, non necessario
distruggere tutto e dare inizio a un mondo completamente nuovo; basta
spostare solo un pochino questa tazza o questarboscello o quella pietra, e cos
tutte le cose. Ma questo pochino cos difficile da realizzare e la sua misura
cos difficile da trovare che, per quanto riguarda il mondo, gli uomini non ce
la fanno ed necessario che arrivi il messia. Nella redazione di Benjamin,
essa suona: Fra i chassidim si racconta una storia sul mondo a venire, che
dice: l tutto sar proprio come qui. Come ora la nostra stanza, cos sar
nel mondo a venire; dove ora dorme il nostro bambino, l dormir anche
nellaltro mondo. E quello che indossiamo in questo mondo, lo porteremo
addosso anche l. Tutto sar com ora, solo un po diverso.
La tesi secondo cui lAssoluto identico a questo mondo non una novit.
Nella sua forma estrema essa stata enunciata dai logici indiani nellassioma:
fra il nirvana e il mondo non c che una piccola differenza. Nuovo ,
323
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325
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470
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3.4 ASTRAZIONE
Io sono inafferrabile nellimmanenza
P. Klee
328
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330
331
473
474
Ibidem.
H.-Th. Lehmann, Segnali teatrali del teatro, cit., p. 25.
332
b. Il geometrismo
Pi prossime allo scenario modernista sono forse le tensioni
contemporanee verso il geometrismo, ravvisabili in particolare
nella scena di Fabre e in quella di Ostermeier.
La costruzione spaziale delle opere di Fabre, il quadrettamento
che egli opera nello spazio, denunciano una passione per la
formula geometrica che si estende al ricorso continuo alla
simmetria, al doppio, al rispecchiamento. Le sue parate di
attori-insetti disciplinati, livellati nelle loro specificit
individuali grazie al ricorso allarmatura (o a un medesimo
abbigliamento, ad esempio il vestito da sposa, indossato
indifferentemente da uomini e donne), non si limitano a riattivare un motivo che gi fu della regia modernista, quando
questa volle privilegiare un polo anti-rappresentativo della
messa in scena. Perch la geometria dellallestimento, in Fabre,
continuamente minata dellaccidente, dellevento che si
insinua come ostacolo e incidente.
La leggibilit previsionale dell'evento infatti pari a un lancio
di dadi: non si lascia raggiungere dall'episteme, ricade nel
campo dell'indeterminabile. In questo senso, essa pu risultare
come il luogo-crogiolo della possibilit, esibita in variazioni
che arrivano a comprendere il suo fraintendimento e addirittura
il suo fallimento (che non coincide, per, con la nullificazione).
La possibilit viene anzi ribadita di fronte al presentificarsi
fortuito, improvviso, mobile il sorriso del gatto
dellincidente, di fronte alla passione del fallimento. Il
fallimento diviene qui evento, accadimento in quanto caduta,
possibilit di irruzione dell'imprevisto in forma di tradimento.
Lincidente sempre il bios dentro la meccanica (in questo
senso un forsennamento delle posizioni di Mejerchold), ci
che le conferisce umanit: il tremito dei muscoli, lesibizione
della fatica, la dispersione di liquidi corporei. lirruzione di
333
334
335
Ibidem.
336
Ivi, p. 42.
337
338
339
Ibidem.
340
341
342
343
344
3.5 CORALIT
Nellanalizzare le figure della coralit scenica contemporanea,
riteniamo necessario ripartire la materia in quattro punti:
1. la coralit della forma (fronte della scrittura scenica)
2. la coralit in quanto coro (fronte dellenunciazione
corale)
3. la coralit del soggetto unico (fronte dellenunciazione
polivocale o poli-individuata)
4. la coralit in quanto comunit (relazione teatrale scenasala)
Rispetto allindirizzo modernista nelluso delle forme della
coralit vedremo come, nel contemporaneo, la tensione stessa a
una visione collettivista e alla possibilit di inclusione
dellindividuo
nellorizzonte
di
un
progetto
comune/comunitario venga radicalmente ri-negoziata. Rispetto
allulteriore termine di trazione che la coralit sembra indicare,
e cio il coro greco, avremo modo di analizzare come questo
venga passato in contropelo, crivellato da parte a parte per
tornare allaffermazione di una determinazione singolare. La
coralit, come stata definita da Martin Mgevand, leffettofantasma del coro485, ci che resta del coro quando questo
venuto meno 486.
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77.
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357
en saccadant en avant
et en arrire500
La Sposa, che Duchamp rappresent come sistema robotico
estraneo alluniverso organico, torna a incarnarsi in una donna
di carne e sangue. Ma, come avverte Hertmans, Fabre compie
un passo ulteriore; trasforma il corpo vivente dellattrice in una
macchina del desiderio erotico anonimo, ce qui revient dire
que la rptition perptuelle ne dbouche sur aucune
perspective pertinente501.
Els Deceukelier rinuncia allesercizio individuale della sua
parola
per
fondersi
nell'enunciazione
collettiva
dellinnumerevole moltitudine degli oggetti di desiderio.
Gli enunciati della sposa solitaria tendono al concatenamento di
unenunciazione collettiva della specie femminile, anche se
questa collettivit non pi o non ancora data. Non c
soggetto, ci sono solo concatenamenti collettivi denunciazione
e la scena esprime tali concatenamenti nelle condizioni in cui
non sono dati al di fuori, e in cui esistono soltanto come
potenze diaboliche a venire o come forze rivoluzionarie da
costruire. Els portata dalla sua solitudine ad aprirsi a tutto ci
che traversa la storia dei giorni nostri. La Marie duchampiana
non designa pi n un narratore n un personaggio, ma un
concatenamento tanto pi macchinistico, un agente che
collettivo nella misura in cui un individuo vi si trova innestato
nella sua solitudine. Alla fine, la Sposa non lavanguardia
scenica di un processo di emancipazione dellindividuo radicato
500
J. Fabre, Elle tait et elle est, mme, in Id, Elle tait et elle est, mme L'interview qui meurt - Qui exprime ma pense - Falsification telle quelle,
infalsifie LEmpereur de la perte, Paris, L' Arche, 1997.
501
S. Hertmans, LAnge de la metamorphose: sur l'uvre de Jan Fabre, Paris,
L'Arche, 2003, p. 49.
358
359
360
361
362
363
alle
derive
del
comunitarismo
(che
sostituisce
allindividualismo del soggetto un individualismo di gruppo).
Communitas allora, in prima istanza, la comunit istantanea
degli spettatori, questa la comunit che viene, capace di
riattivare una possibilit politica non in nome di un programma,
ma grazie al semplice essere-con che fonda lesperienza della
scena rimarcandola nella sua ecceit. La comunit istantanea
una comunit senza unorigine comune, si fonda solo da una
dis-posizione, ovvero su un essere-in-comune nello spazio e nel
tempo dello spettacolo. A proposito della possibilit di attivare
un Tragico contemporaneo, - il tragico che cerca Castellucci,
capace di sostenere la portata di questa epoca - Enrico Pitozzi
scrive che lunica dimensione in cui ci appare possibile
quella della costruzione di una comunit istantanea, non
utopica, ma profondamente localizzata: Tuttavia una comunit
senza fondamento. [] Parlare di una comunit senza
fondamento tuttavia unaporia. Una Comunit senza
fondamento una comunit disattivata, che non ha alcuna idea
di s, nessun fondamento la determina e le preesiste. di
conseguenza la comunit priva di nome, cos come lo sono le
figure che ne fanno parte, a patto di non avere nessuna
coscienza di questa appartenenza. quindi innominabile: da qui
laporia. Il termine comunit le estraneo in quanto tale;
nellimpossibilit della dominazione il paradigma di questa
espropria, in parte o per intero, della loro propriet iniziale, della loro
propriet pi propria vale a dire della loro stessa soggettivit (Ivi, p. xvi).
La comunit percepita dunque dal soggetto come unespropriazione, un
pericolo, come un sacrificio, che spingendolo a contatto con ci che egli
non , con il suo niente la pi strema delle sue possibilit, ma anche la pi
rischiosa delle minacce. Ci che ciascuno teme la perdita violenta dei
confini che, conferendogli identit, gli assicurano la sussistenza (Ivi, p.
XVIII).
364
365
che Motus sia diretto da due persone implica gi in partenza una forte matrice
dialettica e non solipsistica.
EGO SUM=EGO CUM, riutilizziamo questo gioco di parole di Jean Luc
Nancy, perch incarna tanto di noi, ora che con questo nuovo progetto il senso
plurale sempre pi allargato: un plurale che non moltiplica semplicemente il
singolare, ma si situa al di l del concetto stesso di singolarit.
vertiginosamente vasto e si accresce con laccumulo di esperienze, con
labbattimento progressivo dei confini tra territori.
366
367
368
R.
Bodei,
Lestetica
del
bello
e
www.emsf.rai.it/scripts/interviste.asp?d=152
511
E. Burke, Inchiesta sul bello e il sublime, cit., p. 144.
369
del
sublime
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513
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384
385
Ostermeier qui colui che rompe i ponti con la terra dei Padri,
colui che sottopone il concetto stesso di origine a una
decostruzione tanto radicale da proiettarla nel suo opposto:
lavvenire dei Figli liberi da qualsiasi vincolo precostituito. Ma
daltro canto anche colui che denuncia il carattere
intimamente contraddittorio di tale libert: libert di/da nulla,
perdita senza recupero. Qui, forse, riverbera unulteriorit del
significato che non si estingue nel solo ordine dellestetica
scenica. Laddove infatti, per Castellucci, la rivolta antitradizionale si traduce in scena, ad esempio, con un Amleto che,
a sue spese, estromette il Nome del Padre, per Ostermeier
leliminazione della generazione precedente non pu avvenire
se non a costo dellapertura di un vuoto che inghiotte chi lo ha
scatenato. Per Ostermeier esiste cio un canone scenico da cui
impossibile emanciparsi completamente, pena lo snaturamento
dello stesso fare teatrale. Ma su questo tema avremo modo di
insistere nella seconda parte del presente capitolo, dedicata ai
processi filiativi, in specie, nelle prassi operative della regia
contemporanea.
Come di consueto nel lavoro del regista tedesco, anche in
Trauer muss Elektra tragen lopera drammatica passata al
setaccio del contemporaneo: le creature di ONeill, cos, abitano
una modernit indicata con pochi segni essenziali, alcuni
elementi di mobilio e una grande parete di vetro che chiude, in
proscenio, lambiente. Al pari dellAmleto di Castellucci, poi,
grandi teli di nylon affollano la scena: servono a gelidificare e
sospendere il passato in attesa del ritorno del Padre. Quando
questi viene assassinato, nella scena esplode il caos, che in un
primo momento si impone come effervescenza crudele di un
regime rivoluzionario dei fratelli. Il coro dei personaggi minori
previsto dal testo stato espulso dalla scena, esistono solo le
azioni caricate di luce sinistra. Landamento per iperbole: il
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535
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a. Il sogno di Irma
Parlare di sublime traumatico significa parlare delle strategie
che larte scenica adotta per elaborare, secondo un registro
estetico, lesperienza traumatica. Poich la scena ha in qualche
modo, nella sua fenomenologia contemporanea, esaurito la
topografia interno/esterno nei termini della psicologia del
personaggio, il trauma si trover essenzialmente ad essere
esibito sub specie corporis. Il corpo il puro comunicabile,
dice Romeo Castellucci: il corpo nel suo aspetto materiale, nella
sua pura superficie che si fa luogo della comunicazione. Ma, a
ben vedere, non si tratta di una superficie compatta, continua,
inaccessibile. , viceversa, una superficie costantemente
assediata, aperta, in un processo di escavazione che espone e
tiene slabbrati i margini di una ferita. ancora un paradigma di
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ivi, p. 73.
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La crudelt dellesposizione dello scheletro, (meglio, del divenirescheletro) pari a quella delleffrazione e come questa recupera la visione
artaudiana del corpo senzorgani, cos come gi aveva fatto Carmelo Bene di
cui Camille Dumouli aveva scritto che egli, in quanto attore, tendeva a
vuotare il corpo di qualsivoglia materia organica, a cominciare
dallorganizzazione simbolica che lo costituisce, ma anche smembrare il
corpo costituito del testo per riuscire a dire, il che equivale a dis-dire il detto e
il senso in un delirio del testo555, C. Dumouli, Chora, cit., p.
406
556
407
Ibidem.
Ibidem.
560
R. Castellucci, Il pellegrino della materia, in ivi, p. 271.
559
408
nella misura in cui non ha il rifiuto della Terra umida che lha
generata e a cui ritorner561.
Il mondo del ventre, la Terra umida, i rituali di morte e
rinascita, tutto ci si presenta per il tramite della donna, colei
che crea linforme, ma anche, si direbbe, colei che dallinforme
creata. Cos Hey girl!, lo spettacolo pi femminile di
Castellucci, presenta in apertura la scena di una nascita: quella
di un giovane corpo di donna che emerge lentamente da un
bozzolo vischioso di materia rosa, che avvolge completamente
la figura sdraiata su un tavolo parodiando unanatomia umana
deliquescente. La mollezza rosa della membrana ricorda,
tradotto in altra e pi ingombrante materia, quellutero di nylon
che tratteneva Amleto. Si compie cos, si direbbe, il giro
completo, e si ritorna ad Amleto, di cui questa girl sorella.
d. Ostermeier e il rovescio della scena
Nellopinione di Ostermeier, il realismo stesso (ma meglio
sarebbe parlare di un iperrealismo) capace di questo
movimento di apertura del reale, come gi fu investigato da
Brecht: pour moi, - afferma il regista - intrinsquement la mise
en scne ne se limite pas au rel, elle lexplore, cest pourquoi
le ralisme va au-del. Brecht interrogeait trs justement la
notion de ralisme en voquant une photo de lusine Krupp.
Selon lui la photo ne raconte rien sur la ralit du travail qui sy
droule. Or le ralisme, cest donner voir la ralit
lintrieur de lusine, ce nest pas seulement (et simplement !)
la photo de lexterieur. Je fais de la mise en scne pour faire
surgir justement ce qui se cache derrire la faade. Je veux
parler aussi de lintrieur. La premire partie dAnantis montre
561
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CAPITOLO IV
LE PRASSI OPERATIVE
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Ivi, p. 186.
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F. Cruciani, Il teatro pedagogia nel Novecento, in Id., Registi pedagoghi e
comunit teatrali nel Novecento (e scritti inediti), Roma, Editori & Associati,
(1985) 1995, p. 67. Cfr. anche M. De Marinis, In cerca dellattore, cit., in
particolare pp. 56-60, dove si affronta la questione dei registi-padagoghi.
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Ivi, p. 89.
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442
443
444
******
A ben vedere, per, tanto Romeo quanto Claudia Castellucci
non si oppongono alla tecnica in s (proponendo addirittura una
supertecnica), ma ai margini di indipendenza attoriale e allora
daria della creativit. I loro maggiori bersagli polemici sono
limprovvisazione, la spontaneit dellespressione, il darsi
da fare sul palco. Non elaborano una tecnica particolare, ma
asseriscono limperativo di una disciplina della scena, come
faranno, in modo diverso, anche Ostermeier e Fabre. Romeo
scrive: Eccola via dellattore brutta e tortuosa; irta di spine
e buia; piena di rospi e di locuste; cosparsa di merda e
pozzanghere di sangue spaventevoli; con laghi di vomito e di
sputi; satura di miasmi. una via iniziatica. Strana, per: non
approda a nulla. Il mondo degli adulti non si d neppure a
vedere. Solo, si cammina cos, in queste condizioni587. E
altrove, a proposito della sua tecnica scenica: una tecnica
che senza dubbio ha molto pi a che fare con la religione che
con il teatro. un fatto sacro. Si tratta di reperire la tua tecnica
e di farla
marcire. C una glorificazione,
e
contemporaneamente una umiliazione, non mai in linea. In
questo modo si ha il massimo della comunicazione. Siamo
partiti dallo studio della iconoclastia e delle icone588.
La tecnica che ha a che fare con la religione ha qualcosa della
tecnica mistica (e Ejzen!tejn, si badi, aveva aperto tutto un
campo del pensiero nellaccostare il Sistema agli esercizi
spirituali di Loyola), anche se in Castellucci essa si compone in
uno strano paradosso: la via dellattore iniziatica, ma tale da
587
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447
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proprio corpo, a volte anche con il proprio nome (come sar per
gli attori de Cest du thtre comme il tait esprer et
prvoir, che entrano in scena presentandosi) non mirando a
rappresentare altro che se stesso. Sarebbe questa, anche
nellopinione di Lehmann, una delle strategie forti per
estromettere definitivamente il carattere drammatico del
teatro, la medialit rappresentata dallattore come figura di
relazione tra la sua individualit e quella del personaggio. Ma
una simile analisi non penetra ancora lessenziale: lattore
infatti, per il solo fatto di essere inscritto in una cornice
spettacolare e nella logica di ripetizione che questa presuppone,
non pu semplicemente essere se stesso. Non vi pu essere
coincidenza totale tra realt e finzione nel soggetto spettacolare:
quandanche egli non rappresentasse un personaggio, finir per
rappresentare se stesso. Ma Fabre ne assolutamente
consapevole, e congeda con un gesto sovrano ogni feticcio di
equivalenza tra soggetto e ruolo, rompe i legami tra di essi,
stabilisce la loro ineguaglianza attraverso una vertigine del
senso: introduce coppie gemellari arrivando a comporre sul
tema una sorta di trilogia: Linterview qui meurt, Le palais
quatre heures du matin e La rincarnation de Dieu.
Il tentativo dellattore di essere se stesso, e dunque unico, cos
immediatamente frustrato dalla negazione che la presenza
dellaltro, identico, gli oppone. Siamo alla massima distanza
dallefficacia dellincarnazione attoriale. Questultima vuol far
passare il pi consistente carico di verosimiglianza attraverso il
mezzo di uninterpretazione convincente, una vita nel
personaggio la cui verit dovrebbe determinare lo scopo
T. Murray, Mimesis, Masochism & Mime: The Politics of Theatricality in
Contemporary French Thought, ed. Mimesis, University of Michigan Press,
1997, pp. 289-300.
450
451
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453
454
455
R. Castellucci, in V. Bussadori, Corpi in scena, Archivio della Rivista HPAccaparlante, Numero HP: 40 Anno: 1995, www.accaparlante.it/cdhbo/informazione/hp/archivio/libro.asp?ID=419
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459
Cfr. J. Derrida, Lanimale che dunque sono, Milano, Jaca Book, 2006.
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Ogni artista della scena sembra cos creare ogni volta una
tecnica artigianale immacolata, affrancata da ogni riferimento a
un ordine manifesto della tradizione.
In un capitolo del suo bel libro, Laura la forma la tecnica,
dedicato appunto a questultima, Lorenzo Mango affronta la
questione in questi termini: Parliamo, dunque, della fabbrilit
dellopera come di quanto riguarda, prima di ogni altra cosa, la
manualit dellartefice, di colui che artem facit. Il primo dato
che emerge, spostando il discorso in questa direzione, labilit
dellartista, la sua competenza. In termini pi generali il saper
fare. Cosa significa? Che per dar corpo e vita allopera lartista
deve essere in possesso di una serie di conoscenza specifiche
che consentano al progetto, allidea di partenza, di farsi evento
della percezione, oggetto materiale, manufatto. Questo saper
fare dipende in buona parte dal possesso di quegli strumenti, di
quei mezzi espressivi che definiamo, abitualmente, tecnica.
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623
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a. No alla pedagogia
Occorre ora sostare un poco su una considerazione centrale: al
di l degli esiti manifesti e delle logiche di contatto che il
discorso sulla tradizione veicola, perch, nellambito artistico
come in quello storiografico, il tema delle tecniche e delle
pedagogie ha assunto uno spessore determinante? Perch, al di
l dellovvia considerazione circa la medialit della tecnica
(ovvero lammissione che in sua assenza non si d
composizione e dunque opera darte) questa ha preso poi a
caricarsi di connotati ulteriori per cui spesso s preferito
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630
Ibidem.
R. Barthes, Anche lincontro una battaglia, in Id., Sul teatro, a cura di M.
Consolini, Roma, Meltemi, 2002, p. 201.
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Ibidem.
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M. Foucault, La filosofia analitica della politica, testo n. 4, in Id., 19781985 : estetica dell'esistenza, etica, politica, cura di A. Pandolfi, Archivio
Foucault vol. 3, Milano, Feltrinelli, 1998, p. 109.
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490
Ivi, p. 292.
R. Castellucci, Legenda dei termini e del sistema, dal programma di sala di
Cesena#01.
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501
Ibidem.
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504
T. Ostermeier, Ma passion est de montrer sur scne tout ce qui nest pas
dit,
intervista
a
cura
di
M.
Rothe
e
L.
Travet,
www.humanite.presse.fr/journal/2001-07-21/2001-07-21-247717
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506
654
R. Esposito, Communitas. Origine e destino della comunit, Torino,
Einaudi, (1998) 2006, pp.161-162.
655
Cfr., in particolare, le ricerche di Fabrizio Cruciani sugli spazi del teatro,
che sono a suo avviso, specie nel Novecento, configurazioni plurali di
ununica impellenza: quella della relazione (F. Cruciani, Lo spazio del teatro,
Roma-Bari, Laterza, (1992) 1998.
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