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Delacroix 1831:

la Libertà guida
il popolo
di Roy Brown

Storia dell’arte Einaudi 1


Edizione di riferimento:
in Europa 1700-1992: storia di un’identità. La disgre-
gazione dell’Ancien Régime, a cura di Enrico Castel-
nuovo e Valerio Castronovo, vol. II, Electa, Milano
1987

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Il dipinto che Eugène Delacroix intitolò La Libertà
guida il popolo fu presentato al pubblico per la prima
volta al Salon di Parigi del 1831. L’immagine della
Libertà che guida le proprie coorti in cima alle barrica-
te sembra essersi fissata nella coscienza collettiva della
modernità come simbolo dei diritti umani, per i france-
si in special modo, ma anche, piú in generale, per il
mondo intero.
Tuttavia, a ciò non si è giunti senza impedimenti.
Alcuni fra i primi testimoni misero in discussione non
soltanto la maniera in cui Delacroix presenta la Libertà,
ma anche quella in cui ne presenta i compagni, obiet-
tando che non questi, ma altri combattenti avrebbero
rappresentato piú esattamente i protagonisti dei «gior-
ni gloriosi» del luglio del 1830. E altri critici dell’epo-
ca mossero forti obiezioni su tutto il resto: dall’ambi-
guità dei rapporti spaziali della scena, alla postura e al
colorito dei personaggi.
Rispondendo al critico Thoré nel 1837, Delacroix
definí il dipinto un’allegoria. In quest’opera, molti
hanno trovato problematica la commistione tra il suo
carattere allegorico e il suo carattere realistico; il lavo-
ro, invece di collocarsi tra le metafore morte dell’ico-
nografia convenzionale, continua a essere di stimolo alla
speculazione, per motivi sia ideologici, sia estetici. Inol-
tre, si lega alla psicologia di Delacroix molto piú stret-

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Roy Brown - Delacroix 1831: la Libertà guida il popolo

tamente di quanto abbia indicato la maggioranza dei


critici.
Coloro che pervennero al potere con la rivoluzione di
luglio usarono cautela nell’estendere i diritti politici e
nel promuovere la libertà; e, dopo la sollevazione popo-
lare del 1831, misero a freno il pubblico dibattito svi-
luppatosi in merito. Perciò la promessa di libertà uni-
versale avanzata nel 1789 rimase inadempiuta: per timo-
re che i nuovi dominatori venissero abbattuti da un’on-
data di protesta risorgente dal quarto stato. Royer-Col-
lard, liberale moderato, da poco nominato consigliere
per le Belle arti, caratterizzò cosí lo stato d’animo dei
nuovi dominatori: «Eccomi anch’io fra i vittoriosi: tri-
ste fra i vittoriosi».
Tale era il contesto in cui nacque il dipinto di Dela-
croix. Di fatto, sulla sua origine non esiste alcuna docu-
mentazione scritta, né dell’artista, né di coloro che gli
erano prossimi. Il suo Diario è segnato da una lacuna che
va dal 1824 al 1832; quando le annotazioni riprendono,
dell’opera non si dice nulla. Il 12 ottobre 1830, Dela-
croix scrisse al fratello Henri, generale in congedo già
al servizio di Napoleone: «Ho iniziato ad affrontare un
soggetto moderno, una barricata: se non ho colto vitto-
rie per la patria, almeno dipingerò per lei. La cosa mi ha
rimesso di buon umore».
Il 6 dicembre 1830 scrisse all’amico d’infanzia Guil-
lemardet informandolo che il dipinto era terminato,
tranne che per alcuni tocchi.
Delacroix non aveva granché goduto del favore del
regime precedente, specie dopo aver esposto La morte di
Sardanapalo al Salon del 1827. Quest’opera dal colorito
brillante raffigura il sovrano assiro nella stretta dei
Medi, nell’istante in cui, già allestita la pira funebre, sta
per essere massacrato e dato alle fiamme insieme con il
suo destriero prediletto e le sue voluttuose concubine.
Il tema sadomasochistico apparve scandaloso pratica-

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mente a tutti gli spettatori, al punto che il regime non


commissionò piú alcuna opera a Delacroix. Chiusa la
mostra, l’artista mantenne in proprio possesso il dipin-
to, che non entrò a far parte della collezione del Louvre
prima del 1921. All’epoca della sua prima esposizione,
tuttavia, scrittori e attivisti liberali come Victor Hugo,
pur esprimendo dubbi sull’opera, si raccolsero a difesa
dell’artista contro la censura.
Dunque, le gravi ripercussioni del 1827 potrebbero
ancora aver influito sull’artista quando nel 1830 concepí
La Libertà guida il popolo. Negli anni di mezzo non
dipinse soggetti altrettanto esotici e controversi, anche
se La Grecia spirante sulle rovine di Missolungi (esposto a
Parigi nel 1827 e a Londra nel 1828, nel contesto di una
raccolta di fondi a favore dei greci impegnati nella guer-
ra di indipendenza contro i turchi) aveva mandato su
tutte le furie i conservatori monarchici, i quali, con otti-
me ragioni, identificavano il filoellenismo con l’offensi-
va liberale.
Avendo alle proprie spalle tutto ciò, nel 1831 Dela-
croix si preparava a scoprire La Libertà guida il popolo.
Nonostante l’opera fosse terminata e pronta per essere
spedita a un’esposizione invernale al Palais du Luxem-
bourg, volta a commemorare le vittime della rivoluzio-
ne di luglio, per presentarla attese il piú importante
Salon, che si aprí il 14 aprile 1831.
Gli amici di Delacroix avevano già diffuso notizie su
quest’opera sensazionale che stava per essere esposta per
celebrare il nuovo regime. Ad ogni modo, Delacroix
tornava nelle grazie dei politici, almeno per il momen-
to. Non poteva non giovargli il fatto che diversi suoi
sostenitori, come Talleyrand e Thiers, avessero guada-
gnato in potere e influenza sotto la monarchia di
Orléans. Anche il figlio del re, il duca di Orléans, era
un patrono dell’artista.

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Il nuovo governo aveva proposto vari temi da com-


missionare ad artisti con lo scopo di celebrare Luigi
Filippo, una personalità non proprio carismatica. Erano
soggetti incentrati sul ruolo avuto dal monarca a Jemap-
pes e a Valmy, due battaglie vinte nel 1792 dall’eserci-
to francese durante la Rivoluzione. Secondo Trapp, che
cita la lettera, Merimée, amico di Delacroix e primo assi-
stente del ministro incaricato delle commesse di opere
d’arte, scrisse a Stendhal, altro personaggio vicino a
Delacroix: «Delacroix, cui è toccato non so che sogget-
to di quel genere, vuole svolgerne un altro; dice: tra un
anno creperà uno dei due: o il re, quel somaro, o io».
L’artista ne aveva già determinato i tratti essenziali,
la Libertà in cima alla barricata, con le sue coorti al
seguito e, sparsi a terra, in primo piano, i morenti e i
morti? Questo è quanto appare in uno schizzo che è
stato attribuito al suo assistente Andrien, giudicandolo
una copia dell’originale di Delacroix, ma che indubbia-
mente è della mano del maestro. Sotto molti aspetti
significativi ricorda La Grecia spirante sulle rovine di Mis-
solungi, tuttavia lo spirito stoico di quel dipinto, il sen-
timento di una nobiltà sconfitta, si trasforma qui nel
presagio di una Libertà che lancia esultante la sua sfida.
Nello schizzo non compare ancora il tricolore, ma se
ne consideriamo il significato di bandiera repubblicana
(issata a garrire gloriosa su una delle torri di Notre-Dame
il 27 luglio, un elemento che l’artista comprese nello
sfondo del dipinto) Delacroix non poteva avere in mente
nient’altro che questo. La Libertà di Delacroix rappre-
sentava quindi il compiersi di un desiderio repubblica-
no ardente e represso, la cui intensità infondeva paura
in molti cuori.
Non c’è dunque da meravigliarsi se critici di diversi
periodici recensirono il dipinto esprimendo giudizi
diversi. Come va rappresentata la «libertà» – posto che
vada rappresentata? I critici che scrivevano sulle riviste

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dei monarchici conservatori demolirono il dipinto come


opera scandalosa pressoché sotto ogni profilo. Ma subi-
re degli attacchi da parte liberale, da coloro che presu-
mibilmente stavano sulla medesima barricata con Dela-
croix, era diverso. Il pittore, per alcuni di questi criti-
ci, aveva intaccato la gloria della rivoluzione ritraendo
un’eroina sordida e rozza (addirittura non rasata, con i
peli che le crescono nelle ascelle, come ha rilevato la
Toussaint). E per molti la canaglia che la segue poteva
a stento rappresentare il nerbo, i protagonisti della rivo-
luzione: gli artigiani, la Guardia nazionale, i mercanti e
gli studenti.
Un realismo cosí attento ai dettagli sfidava aperta-
mente ciò che rimaneva della grande arte eroica france-
se, le vestigia di David e di Gros, ancora presenti nella
tradizione accademica. Delécluze, allievo di David, ben-
ché di fede repubblicana, fu disturbato dall’aspetto vol-
gare dell’opera, pur riconoscendole una certa verve e un
colorismo che suscita forti impressioni. L’elemento piú
dissonante era proprio la rappresentazione della Libertà:
se era una figura allegorica, perché mai darle un aspet-
to cosí comune? E se era una figura comune, come pote-
va rendere il significato trascendente della libertà?
Il dissidio fra due modi di dipingere esigeva dallo
spettatore una profonda trasformazione del suo atteg-
giamento estetico. L’autorità della pittura allegorica
continuava a depositarsi in immagini classiche, di una
grazia trasparente e generica: qualità che i secoli pre-
cedenti avevano tramandato alla nuova generazione di
artisti (e si rifletté anche nella rappresentazione data
dallo stesso Delacroix alla Grecia morente). Dall’altra
parte, la vivida specificità della caratteristica, il parti-
colare descrittivo ritagliato, per cosí dire, dal mondo
che effettivamente ci circonda. Géricault non intende-
va presentare un’allegoria con La zattera della Medusa,
quel panorama dell’abiezione e della disperazione

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umana che scandalizzò quando venne esposto, nel 1819.


Questo grande dipinto voleva mostrare gli orribili effet-
ti della corruzione del governo. Pagando una somma a
un ispettore, si era ottenuto il permesso affinché la
nave passeggeri «Medusa» partisse per attraversare il
Mediterraneo priva di adeguate misure di sicurezza. La
nave affondò, con conseguenze tragiche. In questo caso,
il dettaglio si fa tanto piú vivido, perché ci si attende
che cosí gli spettatori provino maggior simpatia per le
vittime.
Tra i pochi critici liberali favorevoli all’opera di Dela-
croix vi fu Gustav Planche, che ne lodò le figure come
ignoble beaux e attribuí la rappresentazione della Libertà
all’ispirazione esercitata sull’artista da un’umile ope-
raia, Charlotte D., la quale, alla vista della salma nuda
del fratello, afferrò un moschetto e colpí nove guardie
svizzere prima di venire abbattuta da un capitano dei
lancieri. È degno di nota che Planche, per trovare accet-
tabile l’opera, la interpretò come una scena che ebbe
luogo nelle strade di Parigi. Con ciò la rappresentazio-
ne di Delacroix veniva distinta dal regno esangue del-
l’astrazione allegorica, termini con i quali i critici del
XIX secolo avrebbero caratterizzato il neoclassicismo.
Heinrich Heine, poeta tedesco radicale e avversario
del classicismo, riferendo del Salon del 1831 per un
giornale tedesco, parlò della folla che circondava ammi-
rata il dipinto di Delacroix. Lamentandone la cupezza
del colorito e la meschinità delle figure, Heine vide nella
Libertà una «strana mistura di Frine, di una pesciven-
dola e della dea della libertà». E proseguí: «Non è evi-
dente che l’artista intendesse rappresentare quest’ulti-
ma: piuttosto, è rappresentata la forza selvaggia con cui
il popolo rigetta un fardello insopportabile». Quindi,
dopo aver caratterizzato gli altri personaggi in una
maniera che allo spettatore moderno ricorda una scena
brechtiana («il piccolo spazzacamino Cupido si erge con

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una pistola per mano al fianco di questa Venere di stra-


da»), conclude con parole di lode: «Ed ecco! Una gran-
de idea ha nobilitato e santificato questa povera gente
comune, questi abietti, ed ha risvegliato la dignità asso-
pita nelle loro anime». Nel 1837, Thoré avrebbe scrit-
to di La Libertà guida il popolo come di un’opera davvero
moderna che fonde realtà e allegoria in un’unica forma
– e Courbet, ancora piú tardi, avrebbe chiamato il suo
Interno (il mio studio) una allegorie réelle.
Ad ogni modo, il nuovo regime del 1831, che nel
dipinto percepí con inquietudine il medesimo spirito
intuito da Heine, non si sentiva disposto ad altrettanta
tolleranza. Dopo la chiusura del Salon, il quadro rima-
se esposto per parecchi mesi al Luxembourg, che era
stato trasformato in un museo, finché per ordine di
Royer-Collard, consigliere per le Belle arti, fu messo qui
in deposito.
Caré, successore di Royer-Collard e amico dell’arti-
sta, restituí il dipinto a Delacroix nel 1839. In segui-
to alla rivoluzione del 1848, La Libertà guida il popolo
venne esposto per molte settimane al Luxembourg, per
poi tornare di nuovo all’artista. Nel marzo del 1848 il
ministero degli Interni approvò che il dipinto venisse
riacquistato e fu messo in deposito, dove rimase fino
al 1855.
Con il permesso dell’imperatore, fu messo in mostra
all’Esposizione universale di Parigi del 1855 e quindi
rinviato in deposito, di nuovo al Luxembourg. Infine,
nel 1874, dopo l’inizio della Terza repubblica, l’opera
venne trasferita al Louvre in esposizione permanente,
dove è rimasta.
Le date di questa difficile carriera sono significative.
Ogniqualvolta un nuovo regime voleva dimostrare il
proprio spirito democratico, o almeno ingraziarsi l’opi-
nione pubblica, il dipinto veniva esibito. Ma ogni volta
che il terrore e la repressione prevalevano, veniva ripo-

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sto nell’ombra. Adhemar rileva che nel 1840 un’imma-


gine tratta dal dipinto fu usata in un manifesto per pub-
blicizzare Histoire de dix ans, un libro del repubblicano
di sinistra Louis Blanc, elemento di spicco fra i promo-
tori della rivoluzione del 1848. Nel marzo del 1848,
prima dei terribili giorni del giugno, Thoré propose sul
liberale «Constitutionnel» che Delacroix dipingesse una
Uguaglianza sulle barricate di febbraio da affiancare a La
Libertà guida il popolo, per appendere entrambe sopra il
seggio presidenziale dell’Assemblea. Stanco delle cause
rivoluzionarie e amareggiato dalle rivolte di giugno,
Delacroix declinò l’invito. Chiese, tuttavia, che La
Libertà guida il popolo venisse restituito alla nazione, il
che però non avvenne.
Gli eventi politici del nostro secolo ispirarono ulte-
riori impieghi dell’opera di Delacroix. Come suggerisce
la Toussaint, negli stranieri questa non suscita i mede-
simi sentimenti che evoca per il popolo francese. Ai
francesi, compatti dietro il tricolore, parla del patriotti-
smo radicato nel cuore repubblicano. Perciò nel 1944,
dopo la Liberazione, la Libertà apparve sui manifesti che
celebravano la restituzione del paese al suo popolo. Un
anno dopo, il generale de Gaulle coprí l’intera Francia
di manifesti con la stessa immagine per spingere i citta-
dini a votare. La Libertà serví a celebrare nel 1981 l’e-
lezione del socialista Mitterrand a presidente. Dagli
anni sessanta il dipinto viene riprodotto nei libri di
testo per la scuola secondaria e nel 1989 è servito per
promuovere le celebrazioni del bicentenario della Rivo-
luzione del 1789 – anche se un’opera di David sarebbe
risultata storicamente piú adeguata.
Fuori della Francia, la Libertà si è prestata, da sola o
come elemento di un piú composito repertorio di imma-
gini, a sostenere diverse cause (la causa repubblicana
nella guerra civile spagnola, la lotta di indipendenza
dell’Algeria contro la Francia, la resistenza in Germania

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e in Polonia) e a promuovere tutta una serie di altre


coraggiose iniziative. In Francia, inoltre, la Libertà ha
ispirato i partecipanti al movimento del 1968 e, piú di
recente, a quello per i diritti femminili. Nondimeno,
circa la fede repubblicana di Delacroix si sono costan-
temente nutriti dei dubbi, tanto era sdegnoso ed elita-
rio il suo atteggiamento generale. Un dandy per quasi
tutta la sua vita, emulato da Baudelaire, questo morali-
sta complesso, dottissimo e intelligente fu (come lo chia-
ma Cassou) un commentatore del mondo, impegnato ma
scettico. Nello stile di vita non era diverso dai molti
amici e colleghi con cui corrispondeva o con cui cenava
ai ricevimenti che spesso e volentieri lo vedevano ospi-
te. Per lo piú frequentò dei liberali, almeno nella prima
maturità. Benché avvocati delle riforme repubblicane,
non erano agitatori di strada. È bene ricordare che negli
anni venti Delacroix dimostrò simpatie liberali e filoel-
leniche e contribuí con le sue opere a delle raccolte di
fondi per la causa greca.
Durante la rivoluzione di luglio si trovava a Parigi.
In una lettera al nipote, parecchie settimane piú tardi,
scrisse dei pericoli corsi tra le pallottole che volavano
dappertutto e del sollievo che aveva provato quando dei
capi di buon senso domarono i rivoltosi. Molti anni
dopo, morto Delacroix, Dumas ricordò di averlo incon-
trato vicino al Pont de la Grève, la postazione chiave
presso cui la sollevazione era incominciata. Quel ponte
fu poi ribattezzato Pont d’Arcole, dal nome dell’eroico
giovane che, reggendo il tricolore, si mise audacemente
alla testa degli insorti e lí venne ucciso dalla Guardia
svizzera. Secondo Dumas, Delacroix rimase timoroso e
incerto finché, scorto in lontananza un altro tricolore
issato su Notre-Dame, fu preso da entusiasmo per la
rivoluzione.
Rispetto alla prima volta in cui venne esposto, se
inteso come documento della rivoluzione di luglio, La

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Libertà guida il popolo rimane oggi controverso come


allora. Sulle sue fonti e sui significati cui allude vige sem-
pre l’incertezza. In effetti, non è ben chiaro quale even-
to rappresenti. Le coorti della Libertà si stanno prepa-
rando a un assalto, o hanno già conquistato il terreno?
Assistiamo a una scena che procede in crescendo, come
quelle tanto apprezzate nel teatro del Sette e dell’Otto-
cento, un attimo prima che cali il sipario finale, un’im-
magine fermata a riassumere il significato essenziale del-
l’azione? Il dipinto di Delacroix equivaleva forse a ciò
che furono al loro tempo gli Orazi e il Bruto di David,
quella sorta di ritratti di scena che galvanizzarono i sen-
timenti patriottici alla base della Rivoluzione francese?
Robaut contò circa un centinaio di schizzi prepara-
tori al dipinto di Delacroix, tracciati immediatamente
prima dell’esecuzione. Ce ne furono indubbiamente
molti di piú: alcuni sono stati distrutti e altri vanno
ancora ritrovati. Se vi aggiungiamo le figure abbozzate
o rifinite secondo concezioni molto anteriori che sem-
brano anticipare l’impianto generale del dipinto, o il suo
tema di fondo, il numero potrebbe salire a diverse cen-
tinaia. È come se un’idea che germinava da molti anni
si fosse finalmente rivelata sotto le fattezze della
Libertà.
Data l’assenza di documenti espliciti, o di indizi rela-
tivi a prestiti diretti, ogni ricerca iconografica su La
Libertà guida il popolo risulta problematica. In tempi a
noi prossimi, diversi storici dell’arte hanno tentato di
spiegarne il repertorio di immagini. Fra questi, i piú con-
siderevoli sono Hamilton, Hoffman e Toussaint. Lo stu-
dio della Toussaint è quello piú recente e, sotto molti
aspetti, il piú esaustivo, poiché rileva senza ripeterli gli
scritti degli altri due autori. Nella mia analisi del lavo-
ro dell’artista che va dal 1822 al 1831, ho aggiunto delle
considerazioni sulle sue componenti idiosincratiche.

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Quali furono i primi pensieri che Delacroix ebbe per


il dipinto? Gautier e Silvestre, contemporanei dell’arti-
sta, scorsero la sua fonte di ispirazione in un poema di
Auguste Barbier, La Curée, pubblicato nel settembre
del 1830. Delacroix non li smentí mai. Eccone i versi
che risultano maggiormente significativi: «È una donna
forte, dal seno robusto, dalla voce roca, dal fascino
duro, che, la pelle brunita, le pupille infuocate, mar-
ciando agile e a grandi passi, si compiace delle grida del
popolo, delle mischie sanguinose, dei lunghi rulli dei
tamburi, dell’odore della polvere, del lontano rintocco
delle campane e di sordi cannoni».
Gautier e Silvestre erano uomini di lettere: conside-
ravano del tutto naturale che un’opera visiva servisse a
illustrare un poema. Delacroix si riteneva legato alla
penna quasi quanto al pennello e per tutta la vita trovò
di frequente ispirazione nella letteratura. L’importanza
delle sue affermazioni in tal senso non può essere smi-
nuita.
Ma affinché delle immagini si possano trasferire
dalla sfera verbale a quella visiva occorre un percetto-
re strutturato in senso icastico, come ci ricorda Hoff-
man, il che è peculiare dell’artista. Hoffman cita un
passo dal Diario di Delacroix del 1854, in cui si discor-
re del moule consacré, il «sacro stampo», o «modello»,
che determina in modo necessario le risposte estetiche
e creative dell’artista, quanto quelle del pubblico. In
termini moderni, è una sorta di Gestalt, ma una Gestalt
unica e personale, quasi ossessiva, che si potrebbe defi-
nire autografica.
La struttura scelta da Delacroix per La Libertà guida
il popolo era stata già fissata in ciò che ho chiamato il
«motivo della zattera» del suo La barca di Dante, espo-
sto al Salon del 1822. Il motivo della zattera è essen-
zialmente triangolare, ribaltato in avanti fin quasi a toc-
care il piano frontale del quadro, e fluttua sopra un

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primo piano spazialmente equivoco. Lo sfondo crea l’ef-


fetto di un fondale di teatro: provvede uno scenario,
lasciando però indefinita la sua relazione spaziale con il
triangolo centrale. Il protagonista (o la coppia di prota-
gonisti, nel caso dell’opera del 1822) è raffigurato all’a-
pice del triangolo, mentre alla sua base giacciono le vit-
time sventurate e i detriti abbandonati dalla catastrofe.
Strutture analoghe caratterizzano I massacri di Scio (nel
settore significativo, a destra), La Grecia spirante sulle
rovine di Missolungi e La morte di Sardanapalo. Fu que-
sto modello che informò le sue prime concezioni di La
Libertà guida il popolo, descritte sopra.
Dovremmo prendere l’artista alla lettera, quando dice
che il suo intento era quello di dipingere una «allegoria»
per «la patria». Come centro tematico scelse una figu-
ra femminile già consolidata come immagine rappresen-
tante la Republique in diverse incisioni pubblicate negli
anni della Rivoluzione. Tra queste, in particolare, se ne
trova una, ripresa da un disegno di Boizot e incisa da
Clement nel 1794, che mostra una grande donna a seno
scoperto con in capo un berretto frigio. Sopra l’incisio-
ne leggiamo: «La France Republicaine ouvrant son sein
à tous les Français». Hamilton e Hoffman citano altre
incisioni. La Toussaint ha trovato un esempio ancora piú
aderente in un dipinto di Le Barbier il Vecchio, datato
1778, distrutto dal fuoco nel 1940. Mostrava Jeanne
Hachette all’assedio di Beauvais.
Il punto di forza dell’argomentazione della Toussaint
non sta però in questo rilievo. La studiosa risale a degli
schizzi tracciati dieci anni prima del dipinto e riferibili
alle idee filoelleniche dell’artista. Fra questi, appaiono
degni di nota i disegni ritraenti una figura femminile che
si erge sopra una massa di combattenti; ha le braccia tese
e, posata sulla testa, la corona turrita della dea madre
Cibele. Hoffman vi scorge un nesso con diverse raffi-

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gurazioni della Madonna, altro soggetto che interessò


precocemente l’artista.
Da allora tutta una serie di idee percorse l’immagi-
nazione di Delacroix, lasciando tracce nei suoi taccuini,
prima che la Libertà assumesse definitivamente la forma
che vediamo. Alcuni schizzi di dettaglio ce la mostrano
deerotizzata, ce la mostrano perdere i fianchi formosi e
guadagnare in imponenza. Un esame del dipinto ai raggi
X ha rivelato un volto originariamente in posizione fron-
tale, voltato poi sul profilo sinistro nell’immagine defi-
nitiva. Fu ispirato, forse, dal celebre Raffaello: proba-
bilmente dalla Madonna Sistina, o da San Pietro liberato
dall’angelo, conservato al Vaticano. Questa citazione di
Raffaello, come hanno suggerito molti studiosi, voleva
forse essere una stoccata al massimo rivale di Delacroix,
Ingres, devoto al maestro dell’Alto Rinascimento.
Secondo Hamilton, dunque, la Libertà ricorda l’antico
simbolo della Vittoria. In ultima analisi, come la Tous-
saint torna a sottolineare, la Libertà, l’unica donna della
scena, è una figura mitica e non uno degli insorti.
Ma le altre figure rispondono forse di meno a inten-
zioni mitologiche o allegoriche? Prendiamo i due corpi
in primissimo piano: a destra, una guardia svizzera in
alta uniforme; a sinistra, un uomo seminudo, privo di
ogni abito che possa identificarlo. A destra della guar-
dia troviamo la testa e le spalle di un corazziere morto;
entrambi i soldati sono i protettori sconfitti della monar-
chia borbonica. La disposizione dei corpi in primo piano
si rifà probabilmente a Il campo di battaglia di Eylau di
Gros, molto ammirato da Delacroix. L’uomo denudato
sulla sinistra ricorda La zattera della Medusa di Géri-
cault, un’altra opera che l’artista apprezzava. I due corpi
in primo piano si contrappongono in ogni tratto signi-
ficativo: l’uno è identificabile, classificabile, e un mem-
bro dell’ordine civile, per quanto tale ordine attual-
mente sia scosso; l’altro non è affatto ricollegabile a

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categorie mondane, tranne che per il sesso maschile.


L’uno è il nemico, l’altro è presumibilmente un rivolu-
zionario caduto, ma entrambi sono delle vittime e, insie-
me, offrono un largo sostegno a ciò che si dispiega sopra
di loro. Non raffigurano i poli opposti della gamma delle
vittime, non riassumono il tragico tributo imposto dalla
rivoluzione e, nella morte, non rappresentano la ricon-
ciliazione della nazione intera?
E poi, la figura che sta inginocchiata alla sinistra
della Libertà e la guarda in adorazione, come la dob-
biamo intendere? Com’è strano, in questa scena carat-
terizzata dalla vigilanza, dove tutti sono all’erta e pron-
ti alle armi, trovare qualcuno dimentico del pericolo.
Data la cura scrupolosa con cui l’artista ha rappresenta-
to i costumi (o la loro assenza) degli altri attori di que-
sta scena, andrebbe considerata la genericità dell’abito
di questo personaggio, forse quello di un contadino.
Qui, a Parigi, può bene rappresentare i non parigini,
l’intera nazione che si getta adorante ai piedi della divi-
na Libertà.
Oltre ai due attori principali di cui discuterò ora, ve
ne sono diversi altri la cui postura e il cui abbigliamen-
to riflettevano diversi settori della popolazione france-
se, visti da un parigino appartenente alla classe superiore
e detentore di un messaggio eccezionale. Il ragazzo che
emerge all’estrema sinistra porta un copricapo della Poli-
zia a piedi della Guardia nazionale, in cui Delacroix
svolse tanto orgogliosamente il suo servizio. È curioso
che la figura sia quella di un adolescente e non quella di
un adulto. Ne va di un’identificazione personale con tale
figura, complementare a quella che avanza al fianco
della Libertà?
Dietro all’uomo con il cappello a cilindro sta un ope-
raio appena uscito dall’officina, con un fodero ad arma-
collo e in mano una sciabola di fanteria. Sul berretto
tiene appuntata la coccarda bianca realista e attorno al

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polso ha avvolto un fazzoletto di seta che, secondo la


Toussaint, evocava il ricordo della insurrezione della
Vandea del 1795, a cui partecipò l’allora duca di
Orléans, l’attuale re borghese. Tali insegne dovevano
essere ben comprese dal pubblico del 1831. La Toussaint
si chiede se questa figura avesse lo scopo di lusingare il
nuovo regime, tuttavia sarebbe potuta anche servire a
sottolineare il momento della riconciliazione. Sullo sfon-
do si distinguono i copricapi di un soldato della Guar-
dia nazionale, di uno studente del Politecnico e di altri
cittadini: uno porta in capo un fazzoletto, l’altro un
cappello a cilindro (quest’ultimo è probabilmente un
borghese, un negoziante).
Perché Delacroix ha posto un ragazzo di strada accan-
to alla Libertà con tanta evidenza? Sulla effettiva par-
tecipazione di fanciulli alla rivoluzione i resoconti varia-
no. La maggior parte delle incisioni che raffigurano l’e-
vento mostrano soltanto uomini adulti. Il monello di
Delacroix porta un berretto da studente, suggerendo,
secondo la Toussaint, un legame con Jehan Frollo, il per-
sonaggio di Notre-Dame de Paris di Hugo. Il Gavroche
dei Miserabili, scritto molto piú tardi, fornisce un ter-
mine di paragone assai piú esatto.
Oggi, abbiamo molti esempi di ragazzi ribelli oltre a
quello di Gavroche: Oliver Twist, Huckleberry Finn,
Pellé, per fare solo qualche nome. Ma per Delacroix si
trattava di una novità. Forse gli venne in mente il gio-
vane Bara, martire della prima Rivoluzione francese, a
rafforzare ciò che aveva udito o visto durante la rivolu-
zione di luglio. A ogni modo: ne andava forse di un
affetto tutto personale per i giovani privi, a quanto sem-
bra, di genitori?
Diversi anni prima, Delacroix aveva ritratto un’or-
fanella. Dopo la morte di sua madre, a sedici anni, anche
Delacroix, secondo suo cugino Riesener, rimase orfano
e quasi totalmente privo di risorse. Il padre nominale,

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Charles Delacroix, era morto in rovina quando Eugène


aveva soltanto sette anni, ma la vera paternità dell’arti-
sta è avvolta nel mistero. Le prime pagine del Diario
rivelano la confusione di un giovane alla ricerca della
propria identità.
Delacroix trascorse tutta la sua vita da scapolo, pur
vivendo diverse vicende sentimentali di una certa
importanza. Intrecciò altre relazioni con donne, rela-
zioni non segnate da un carattere erotico, e in partico-
lare con la cugina, Josephine de Forget, a cui fu tene-
ramente legato dal 1829. Escholier, seguendo Rudrauf,
chiamò questa compagna dell’artista «la consolatrice».
Escholier suggerisce, inoltre, che i ritratti femminili
prodotti da Delacroix si collegano alle sue relazioni
concrete piú strettamente di quanto si sia generalmen-
te riconosciuto.
Delacroix espresse le oscillazioni psicologiche del-
l’attaccamento duplice e contraddittorio (e cosí tipico
dell’uomo moderno) che lo legava alle donne. Se La
morte di Sardanapalo rappresenta una traboccante fan-
tasia erotica (o persino una fantasmagoria) e la Grecia
spirante una compagna piú modesta, quasi domestica,
la Libertà diventa la «consolatrice» che protegge il
monello che le sta al fianco. Si noti quanto stretta-
mente si intreccino dal punto di vista formale, come
seguano dei ritmi paralleli che si sviluppano lungo le
linee dei fianchi.
Infine, arriviamo al giovane con il cilindro, che tiene
in posizione di «pronti» una carabina da caccia (non un
moschetto). Veste un abito per il tempo libero: dunque,
pur non essendo un autoritratto, rappresenta un dandy,
figura a cui l’artista avrebbe assimilato se stesso e la
maggior parte dei suoi amici illustri e influenti. Costui
simboleggia il vero vincitore della rivoluzione di luglio,
il jeune ambitieux di Guizot, un individuo che parteci-
pa alla battaglia e al contempo ne sta al disopra. Come

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ho scritto in un articolo: «Occupa uno spazio isolato. Il


suo asse diverge dalla direzione del movimento culmi-
nante della Libertà, affermando la propria indipenden-
za. Se questa figura fosse stata parallela a quell’imma-
gine di forza, la sua identità si sarebbe perduta nell’i-
dentità collettiva. Delacroix, quindi, ci offre un secon-
do tema, una ‘zattera’ secondaria dove il suo protago-
nista si distingue per antitesi, elevandosi sugli emblemi
di morte che stanno sotto di lui».
La Libertà guida il popolo è dunque un’affermazione
personale e un messaggio pubblico. Come per Guernica
di Picasso, la sua efficacia gli deriva dall’inestricabile
intreccio fra questi due momenti.

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