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LA GIUSTIZIA NEGLI STATUTI

MEDIEVALI
Il problema di disciplinare la vita comune sanzionando in modo adeguato le violazioni dei
diritti altrui venne affrontato dagli statuti comunali attraverso una normativa dettagliata che ci
fornisce un quadro molto interessante sia della vita come del modo di pensare proprio
dell'epoca. Le notizie che di seguito vi riportiamo nascono dalla lettura degli Statuti della città
ligure di Millesimo (SV) che ebbero validità per tutto il Medioevo ed oltre; si tratta di norme
che appaiono (specie quelle penali) di una violenza molto marcata ma tuttavia non prive di un
certo buon senso.
Consideriamo ad esempio quanto veniva disposto per il pagamento dei debiti da parte degli
insolventi: si cominciava col vendere i beni mobili del debitore: oggetti d'oro e argento per poi
passare a quelli di rame, bronzo o stagno. Se non bastava si vendevano il grano e le bestie
ma si lasciavano i buoi e gli strumenti per lavorare la terra affinchè il poveretto avesse modo
di campare (ma anche di guadagnarsi quel tanto che bastava a saldare i suoi conti).
I beni immobili erano "pubblicati" cioè venduti all'incanto in tre giorni di mercato consecutivi
decorsi i quali si faceva il conto delle offerte ricevute e si aggiudicava alla migliore. Al debitore
veniva lasciato un margine di tempo entro il quale avrebbe potuto riscattare i suoi beni e
comunque non gli venivano mai sottratti il vestito, il letto, la casa e l'orto.
Quanto ai debitori incalliti o a quelli che in nessun modo potevano rifondere il dovuto, a loro
restava quella che veniva ironicamente detta "la buona paga" cioè la prigione, dalla quale
sarebbero usciti solo dopo aver rifuso il creditore.
Non possiamo, anche se vorremmo, dilungarci su tutte le varie norme in materia di
commercio, gestione dei terreni, igiene, ecc.
Passiamo perciò direttamente ad una breve panoramica del codice penale. L'ottica di base
era quella secondo cui "chi sbaglia paga" ogni logica rieducativa era sconosciuta e la pena
aveva quindi due sole funzioni possibili: quella di rifondere il danneggiato del male subito e di
scoraggiare con la propria severità la commissione di reati.
Pene esemplari erano previste per coloro "che hanno l'ardire di assalire i viandanti" per essi si
diceva "siano appiccati così che muoiano", quanto poi ai recidivi o a malviventi colpevoli di
aver più volte ucciso "siano squartati in quattro parti, le quali si applichino nei luoghi ove sono
stati commessi i delitti, acciò siano da terrore agli altri". Pene economiche erano ammesse
per i briganti soltanto per furti di scarsa entità (meno di dieci fiorini) ma anche in quei casi,
dopo la terza volta "siano appiccati".
Assassini e stupratori dovevano essere "puniti nella testa", questi ultimi però avevano anche
l'obbligo di costituire una dote alla ragazza così da agevolarne il futuro matrimonio.
Un autentico tariffario era previsto per le risse: tre fiorini per chi sguainasse il coltello "con ira",
sei fiorini per colui che con il coltello "farà segno" e venti fiorini più le spese e i danni per chi
avesse fatto ferite. Salomonica soluzione era adottata per chi non avesse denaro per pagare
le multe "non avendo beni paghi membro per membro".
Ricordiamo ancora "il taglio di un membro (mano, naso oppure orecchie)" per il notaio
recidivo nel falsificare atti ed ancora le pene previste per i ladri i quali, oltre a restituire il
maltolto, dovevano pagare due fiorini oppure essere frustati per tutta Millesimo e "segnati
sulla fronte con un ferro caldo".
Oltre i fatti d'armi che sempre più affermano la potenza di alcuni stati nascenti, alla fine del
Medioevo, in parallelo si afferma anche un nuovo tipo di Stato, una nuova forma di gestione
del potere di monarchie basate sull'accentramento da parte del re delle funzioni pubbliche. E
le principali di queste funzioni sono l'amministrazione uniforme della giustizia, il prelievo
fiscale, le nuove milizie armate, il diritto e l'amministrazione giudiziaria. Tutte nuove funzioni
che connotano la modernità di una nuova era.

Nei Paesi che nel periodo dell'impero Romano, venivano considerati "barbari", non vi erano
solo penetrate le legioni con in testa gli Imperatori, ma con i vari funzionari via via anche il
diritto romano aveva cominciato a penetrare in questi territori. Una accelerazione la si ebbe
già nel periodo carolingio, quando Carlo Magno iniziò essere a capo di una sorta di
"federazione di popoli". E in effetti nel corso delle sue "Diete dell'Impero" vi partecipavano tutti
i dignitari dei vari regni, e Carlo nel famoso "Campo di Maggio", promulgava i "Capitolari",
leggi valide per tutti i sudditi del costituito grande impero.
Ma bisogna anche dire che la ricezione del diritto romano avvenne in forza dell'idea che il
sacro romano impero medioevale fosse una continuazione dell'antico impero romano, il cui
diritto quindi aveva bisogno di essere controbilanciato da un elemento più universale;
l'influenza del diritto canonico che si ricollegava strettamente al diritto romano; e finalmente il
sorgere delle università, soprattutto l'influenza delle università italiane la cui fama richiamò
proprio dai Paesi franchi e germanici innumerevoli scolari.

E' in queste università italiane che si formò qul corpo di funzionari giurisperiti che ben presto
divenne indispensabile agli Stati territoriali tedeschi in via di formazione, prima per
l'amministrazione e poi anche per la giurisdizione. L'introduzione di tali elementi nei tribunali
fu il vero e proprio fattore decisivo per la recezione del diritto romano. Dove questa fece più
rapido cammino fu nelle giurisdizioni imperiali; si pensi che il tribunale camerale istituito nel
1495 doveva avere almeno la metà dei giudici muniti del titolo di "dottore". Costoro giuravano
di giudicare "secondo il diritto dell'impero e secondo il diritto comune", formula che
abbracciava il noto "Corpus iuris civili" di Giustiniano. In seguito il diritto romano comune
penetrò anche nelle giurisdizioni territoriali e poi nei tribunali inferiori.

La Germania medioevale non ebbe mai un diritto uniforme come non ebbe un ordinamento
giudiziario uniforme; la produzione giuridica vi prese la stessa via dell'evoluzione politica, la via
del particolarismo. La verità dei diritti, già inerente alla conservazione tradizionale dei diversi
diritti popolari delle stirpi germaniche, aumentò nel corso del Medioevo per effetto di nuove
specializzazioni: taluni rapporti giuridici ebbero un regolamento particolare, e norme particolari
sorsero per determinate classi della popolazione. A ciò corrispose l'introduzione di tribunali
speciali.

Così si ebbero tribunali feudali per le controversie tra signori e vassalli o tra vassalli; il tribunale
è presieduto dal signore feudale con l'assistenza di giudici tratti dai pari (vassalli); essi
decidono secondo le norme del diritto feudale in antitesi al diritto ordinario che è applicato
dalla giurisdizione pubblica.
Accanto ai tribunali feudali funziono la giurisdizione patrimoniale per tutti i servi della glebe;
qui è giudice il funzionario che amministra nel territorio, giurati i pari, e si sentenzia in base al
diritto consuetudinario del territorio.
A questa giurisdizione furono all'inizio sottoposti anche i ministeriali, che erano di origine non
libera; ma poi essi vennero ad assogettarsi a seconda dei casi al diritto comune degli uomini
liberi o al diritto feudale.

Il più notevole fenomeno di produzione di diritto nuovo è il sorgere degli statuti. Da principio le
varie classi della popolazione cittadino: uomini liberi, ministeriali, artigiani, erano soggetti ad
un diritto diverso secondo la loro condizione; ma con lo sviluppo ulteriore delle città che portò
alla fusione delle classi cittadine in una comunità distinta dal resto della popolazione si ebbe
l'introduzione di tribunali cui erano soggetti tutti gli abitanti del comune e la creazione di un
corpo di diritto per tutti obbligatorio: gli statuti.

È un diritto che rispecchia una società già progredita economicamente e corrisponde al


bisogno che con lo sviluppo dei commerci e delle industrie le città sentirono di avere un
ordinamento giuridico sotto molti riguardi diverso da quello che vigeva nel contado per la
popolazione rustica.
In seguito il diritto statutario ebbe un grandioso svolgimento e molti istituti giuridici creati dalle
città vennero accolti dai sovrani territoriali nel diritto comune. Gli statuti diversificano molto tra
loro nei dettagli. Tuttavia soltanto un piccolo numero di città (e per lo più le più antiche) hanno
creato ex novo il loro diritto statutario; la grandissima maggioranza dei comuni più recenti
adottò invece gli statuti di una di queste città più antiche; ad esempio nella Germania
settentrionale e nei territori coloniali prevalsero gli statuti di Lubecca o di Magdeburgo e gli
statuti di quest'ultima furono accolti anche da molte città polacche.

Di fronte a tutti questi fattori che conducevano al predominio del particolarismo nel campo
del diritto l'unico organo centrale di produzione giuridica era il tribunale palatino. Idealmente il
re era la fonte di ogni giurisdizione ed il giudice comune in tutto lo Stato; tutti gli altri organi
giurisdizionali esercitavano le loro funzioni in sua vece ed in grazia di sua concessione.
Ma col sorgere delle signorie territoriali indipendenti anche questo legame con l'autorità
centrale si infrange; la concessione del banno, vale a dire della facoltà di esercitare la
giurisdizione - che ogni giudice all'inizio doveva personalmente chiedere al re - dalla metà del
XIII secolo cade a poco a poco e infine viene superato.

Il ricorso al re tuttavia continua ad essere ammesso in maniera generale per l'ipotesi di


negata giustizia, ed inoltre il tribunale regio rimane unico foro competente per i vassalli diretti
dal re o per le cause concernenti i demani regi e le regalie. Spetta pure a questo tribunale la
comminazione del bando; da principio tale sua competenza è esclusiva; in seguito possono
infliggere la stessa pena i tribunali territoriali regi che ancora sussistono.
Nel XV secolo spunta un apposito funzionario stabile per la tutela degli interessi fiscali dello
Stato, il procurator fiscalis camerae, il cui compito è di procedere d'ufficio per ogni
contravvenzione agli ordini del re e per ogni violazione delle regalie della corona.
Il tribunale palatino è presieduto dal 1235 da un iustitiarius, anch'esso un funzionario regio
stabile; i giudici invece sono scelti volta per volta dal re tra coloro che gli stanno più vicini, in
numero di sette almeno.

Ma già all'epoca degli ultimi imperatori di casa Lussemburgo che si trattennero poco o nulla
nel regno, il funzionamento di questo tribunale subì frequenti interruzioni, senza contare che
riusciva difficile trovare giudici idonei a costituirlo. Spunta allora come sostitutivo il tribunale
camerale. Già prima il re aveva usato sottrarre al tribunale palatino alcune controversie per
deciderle personalmente coni suoi consiglieri.

Un certo compenso alla mancanza di una efficace giurisdizione pubblica offrirono i tribunali
istituiti per vegliare all'osservanza delle tregue. Sappiamo infatti che queste tregue vennero
concluse e proclamate per frenare l'abuso della faida, e che allo scopo fu creato un organo
giudiziario apposito per decidere le controversie che insorgessero in seguito tra gli aderenti
alla tregua. All'atto della conclusione di queste tregue si usò inoltre emanare alcune norme
giuridiche specialmente di carattere penale; ma il tutto sempre nei limiti del territorio, e del
tempo per cui aveva valore la singola tregua.

I tribunali comitali continuarono da principio a sussistere, ma per la maggior parte trasformati


in tribunali territoriali. Erano il foro competente per le classi superiori, mentre la massa della
popolazione fu assoggettata alla giurisdizione dei tribunali inferiori che acquistarono pure
giurisdizione penale. Ma i tribunali comitali rimasero anche in questo caso tribunali d'appello
dai tribunali inferiori. In seguito ai tribunali comitali si sostituiscono le giurisdizioni patrimoniali
dei principi. Ed analogamente a quanto si è visto per la giurisdizione regia sorsero dei tribunali
camerali dei singoli territori.

Abbiamo già detto che il tribunale camerale istituito nel 1495 doveva avere la metà dei giudici
muniti del titolo di «dottore». Costoro giuravano di giudicare «secondo il diritto dell'impero e
secondo il diritto comune», formula che abbracciava il Corpus iuris di Giustiniano. In seguito il
diritto romano comune penetrò anche nelle giurisdizioni territoriali e poi nei tribunali inferiori.

Per quel che concerne la procedura, é noto come nel Medio-Evo l'ufficio di applicare il diritto
ed emanare la sentenza non spettasse al giudice; questi impersonava piuttosto il potere
esecutivo: dirigeva il processo e curava l'esecuzione della sentenza; ma quanto al giudicare
doveva starsene al verdetto dell'assemblea del popolo ovvero di una delegazione
permanente di essa, che era rappresentata dagli scabini.
La vecchia assemblea giudiziaria del popolo descritta da Tacito era da un pezzo
completamente scomparsa ovvero rimaneva semplice spettatrice; in suo luogo ora
sentenziano («trovano il diritto») gli scabini. Salvo differenze di dettaglio il procedimento
dinanzi agli scabini era lo stesso in penale ed in civile.
Originariamente accanto alle vie giudiziarie vigeva in larga misura la faida (vendetta), cioè
l'offeso aveva facoltà, osservando certe forme, di farsi ragione da sé; la scelta dell'una o
dell'altra via era libera. Quando poi si procedeva giudiziariamente la sentenza nei tempi più
antichi più che infliggere una pena condannava ad un indennizzo (compositio; multa); inoltre il
condannato doveva pagare il così detto «prezzo della pace», cioè un'altra multa per il
perturbamento della pace pubblica.

L'antico processo germanico era un processo accusatorio; in seguito però vi si mescolarono


elementi d'indole inquisitoria, principalmente per influenza del processo canonico quale era
stato riformato da Innocenzo III; ciò peraltro nei soli casi di delitti rivelati dalla voce pubblica.
L'uso della tortura era prima ignoto. Esso penetrò dopo il 1250 nei giudizi civili insieme con gli
altri non pochi istituti che vi trasmigrarono dai giudizi ecclesiastici. Per effetto di queste
influenze canoniche il giudice ebbe negli ultimi secoli del Medio-Evo la facoltà ed il dovere di
procedere contro chi fosse sospetto pubblicamente di reato, di incarcerarlo e di condannarlo
senza l'osservanza delle forme probatorie dell'antico processo. Se il giudice non era convinto
di quanto l'opinione generale attribuiva al reo, ricorreva alla tortura in luogo del giuramento
purgatorio e del giudizio di Dio dell'epoca antica che non erano più ormai reputati efficaci
mezzi di prova.

Naturalmente ciò accadeva soprattutto nei casi di assai fondato sospetto di colpevolezza,
vale a dire quando si era accertato mediante testimonianze che il prevenuto era
pubblicamente accusato di un delitto, mentre il presunto reo non confessava e mancavano
vere e proprie prove. Non si nega che spesso il timore della tortura abbia potuto strappare la
confessione a chi era veramente reo; ma ognuno vede d'altra parte a quali terribili abusi
questo sistema assai discutibile di ricercare la verità doveva facilmente dare adito, né é
possibile dire quanti innocenti ne siano realmente rimasti vittime dal primo all'ultimo giorno in
cui la tortura è stata applicata nei tribunali. Particolarmente esecrabile essa si rivelò nei
processi per stregoneria dei quali si macchiò l'epoca successiva.

Del resto la durezza e crudeltà dei rimedi giuridici é una caratteristica del Medio Evo. Lo
dimostra la frequenza dei casi in cui é comminata la pena di morte; questa pena (che si
eseguiva col capestro o con la spada) si incorreva per i reati di magia e stregoneria, rapina,
incendio, falsificazione di monete, stupro, adulterio, bigamia, atti di libidine contro natura.
Anche per i delitti di lesa maestà (crimen laesae majestatis) spunta assai presto la pena di
morte.
Sul finire del Medio-Evo aumenta poi sempre il numero dei reati passibili di pena capitale e nel
tempo stesso diviene più crudele il sistema di esecuzione.
Vediamo assoggettate a pena di morte persino semplici contravvenzioni a norme di pubblica
sicurezza, come ad esempio il porto d'armi vietate, la caccia di frodo e simili. Peraltro, se
erano d'accordo l'accusatore ed il giudice (o se il giudice lo riteneva opportuno nei casi in cui
procedeva d'ufficio) ogni pena poteva essere sostituita da una pena più mite (ad esempio
una pena corporale o da una multa), il che rappresenta alla meglio un certo correttivo al rigore
esagerato delle leggi.

In queste condizioni la necessità di una riforma legislativa del diritto penale fu così vivamente
sentita che quasi tutte le diete dell'ultima epoca medioevale vi dedicarono la loro attenzione.
Alla fine venne accolto il progetto di un regolamento della procedura penale redatto da
Giovanni di Schwarzenberg che fu introdotto nel 1507 nel vescovado di Bamberg e nel 1516
nei principati del Brandeburgo, e fece così buona prova che fu preso a modello nel 1532 per
l'analogo regolamento di Carlo V, la così detta Costitutio Carolina criminalis (chiamata anche
semplicemente Carolina). Questo regolamento pose dei limiti all'arbitraria comminazione della
pena di morte e degli altri supplizi corporali, ma mantenne la tortura, anzi ne rese tanto più
necessario l'impiego in quanto prescrisse che per i delitti capitali occorreva la confessione del
colpevole a meno che egli non fosse convinto reo mediante prove dirette o testimonianze di
tre testimoni; se quindi vi erano unicamente prove indirette ed il reo negava, bisognava
estorcergli una confessione.

La Carolina peraltro ebbe carattere di diritto sussidiario, cioè si applicava solo quando non
disponeva diversamente l'uso forense dei tribunali territoriali.
In Francia la separazione politica tra nord e sud, tra paesi di lingua d'Oil e paesi di lingua
d'Oc; si riflette anche nel campo del diritto.
Nel mezzogiorno come in Italia si era conservato il diritto romano volgare, originariamente
come diritto personale della popolazione romana, in seguito come diritto territoriale, cioè
comune a tutta la popolazione. Ma poi col diffondersi in queste regioni dei codici di
Giustiniano esso fu sostituito dal diritto romano col quale si era venuto formando nella
giurisprudenza italiana; lo si usò chiamare «diritto scritto». Sta in antitesi ad esso il «diritto
consuetudinario» (droit coutumier) vigente nei Franchi nel nord della Francia e in Italia durante
la dominazione dei "barbari" Longobardi.

Il «diritto consuetudinario» era in origine diritto germanico puro, e solo nel corso dei secoli
venne modificato per le influenze che vi esercitò il diritto romano ed il diritto canonico.
Viceversa anche nel diritto scritto del mezzogiorno si insinuarono concetti ed istituti di diritto
germanico; soprattutto gli statuti hanno talora carattere completamente antiromano; di modo
che l'antitesi tra diritto scritto e dritto consuetudinario non va intesa in senso rigoroso, quasi
che nel mezzogiorno (soprattutto nel grande territorio longobardo di Benevento) non vigesse
che diritto romano e nel nord vigesse unicamente diritto germanico.
Malgrado il fondo comune di diritto franco che vi dominava, il diritto del nord della Francia
non ci si presenta uniforme ovunque; anzi ogni regione ha la sua particolare «Coutume». Ciò
dipese dal fatto che il feudalesimo si sviluppò e si radicò nel regno franco occidentale prima
che altrove e vi produsse rapidamente le sue conseguenze: lo spezzamento del paese in una
folla di piccoli Stati feudali, e come corollario la localizzazione anche del diritto "particulare".

Tuttavia nel XIII secolo comincia a formarsi anche qui un diritto consuetudinario comune. Già
sappiamo che lo svolgimento politico della Francia seguì una via opposta a quella seguìta
dalla Germania; mentre in Germania si passa dall'unità politica e dal diritto regio al
particolarismo ed al diritto territoriale, in Francia la corona agisce come elemento unificatore e
la giurisprudenza della corte regia acquista sempre maggiore autorità ed é presa a modello. E
questa influenza della corte regia, ereditata dal Parlamento che le successe in funzione di
tribunale supremo, fece penetrare anche in maggior misura nel diritto consuetudinario istituti
di diritto romano e canonico, tanto più quanto più crebbe il numero dei legisti in seno al
parlamento.

LE TORTURE
Gogna
La gogna consisteva nell'esporre il prigioniero all'umiliazione pubblica, alla mercé di chiunque.
Il prigioniero veniva bloccato alla gogna per il collo e per le mani, ma poteva venire torturato
da chiunque desiderasse fargli del male e umiliarlo. Era una punizione particolarmente in voga
nel 1500 e veniva applicato anche per reati di piccola entità: una donna fu sottoposta a
gogna nel 1555 per aver picchiato il figlio e nel 1566 una donna fu posta alla gogna per aver
"procurato prostitute ai cittadini".
Un tipo di gogna di moda nei paesi anglosassoni consisteva nel legare il prigioniero a due
legni flessibili, possibilmente degli alberi. Mentre il prigioniero si trovava così bloccato, veniva
frustato con uno scudiscio a tre corde, o con un gatto a nove code. In alcuni casi venivano
tagliate le corde degli alberi cosicché il condannato dovesse soffrire un dolore estremo
mentre si lacerava.
Praticamente ogni città nel basso medioevo era provvista di questo "dispositivo", che di rado
rimaneva libero, essendo utilizzato per punire qualsiasi reato considerato "minore".

Bestie
Torturare i condannati con le bestie era un antico supplizio, che nel medioevo andò via via a
scomparire, senza mai sparire però del tutto.
I prigionieri potevano:

A. Essere imprigionati in una rete ed esposti a un toro selvatico.


B. Essere lanciati nudi a bestie selvagge.
C. Essere lasciati divorare da animali selvatici.
La prigione dei ratti: i prigionieri venivano rinchiusi in prigioni umide e maleodoranti. Ma non
era tutto. Con l'acqua giungevano orde di ratti affamati; dormire significava concedersi a
queste bestie fameliche. E così, in questa cella buia e fetida, il prigioniero combatteva da un
lato contro i ratti e dall'altro contro il sonno, fino a che, stanco e finito, non lottava più.
L'artiglio di gatto e il ragno: non è difficile immaginare a quali scopi questi due dispositivi
venissero usati. Con l'artiglio di gatto si straziavano le vittime, lacerandone la pelle finché non
svenivano.
Il ragno veniva utilizzato per stritolare come una morsa i testicoli dei prigionieri.
Lanciati da un dirupo
Non c'è dubbio che questo tipo di esecuzione fosse comune tra i popoli primitivi ed antichi,
che avevano a disposizione precipizi o rocce adatti allo scopo.
Vittime illustri che subirono questo destino furono il matematico Putuanio, l'imperatore
Zenone, lo scrittore Esopo, Perillo (l'inventore del toro di bronzo).
Non si hanno tracce di una sua inclusione nel codice penale in epoca più tarda, anche se è
stato detto che nelle persecuzioni del XVI sec. in Piemonte molte vittime andarono incontro a
questa morte.
La tortura che spesso si associava a questo tipo di esecuzione consisteva nelle sofferenze
che si dovevano sopportare prima di morire. La vittima giaceva impotente, con gli arti
fracassati, fino a quando moriva letteralmente di fame. È stato detto che molte di queste
vittime arrivavano a divorarsi la carne delle braccia in preda alla disperazione.

Annegamento
Molti popoli antichi compivano sacrifici per ingraziarsi i demoni delle acque, affogando degli
uomini.
Sembra che l'annegamento fosse uno dei sistemi prediletti per sbarazzarsi di stregoni e
streghe durante le persecuzioni medievali (fig. A).
Un'altra tecnica, la tortura delle barche, può essere così descritta: si prendevano due piccole
barche esattamente della stessa misura e della stessa forma. La vittima veniva fatta stendere
dentro una delle due, di schiena, lasciando fuori la testa, le mani e i piedi. Poi si capovolgeva
la seconda barca sistemandola sulla prima. In questo modo il corpo del condannato veniva
rinchiuso nelle due barche, mentre i piedi, le mani e la testa rimanevano fuori. Poi gli si offriva
del cibo e nel caso lo rifiutasse, veniva torturato o punzecchiato in altro modo, fin quando
accettava l'offerta. Il passo successivo consisteva nel riempirgli la bocca con una mistura di
miele e di latte, e nello spalmargliela sul volto. Poi lo si esponeva ai raggi cocenti del sole, ed
in breve tempo mosche ed insetti cominciavano a posarsi sul viso del prigioniero e a
pungerlo, fino a portarlo alla pazzia. E nel frattempo, poiché la natura proseguiva il suo corso,
all'interno della barca il cumulo degli escrementi emanava un lezzo terribile ed iniziava a
marcire. Quando sopraggiungeva la morte e si sollevava la barca superiore, si trovava il
cadavere divorato dai parassiti e si vedevano degli sciami di rumorose creature che gli
divoravano la carne, e così pareva, crescevano dentro le sue viscere.
Un'altra forma di tortura consisteva nel rinchiudere in un sacco la vittima, assieme a delle
bestie come un gatto, un gallo, una scimmia o un serpente ed annegarlo.
La grande ruota
Questo supplizio dalle antiche origini, sembra che si rifacesse a dei significati religiosi. Era
particolarmente di moda per punire criminali nel XVIII secolo, ed e' difficile immaginare una
pena capitale piu' brutale e ripugnante della grande ruota. Il criminale veniva steso di schiena
su una comune ruota di carro e veniva legato stretto ai raggi; successivamente il boia gli
fracassava le ossa una a una. Una variante, illustrata in figura, faceva si che il corpo della
vittima, legato ad una grande ruota, venisse lanciato per un dirupo irto di rocce appuntite.
Il pendolo
Tortura dell'inquisizione di Spagna che procura una lenta e tormentosa agonia. La
vittima veniva legata su un tavolo molto accuratamente, in modo che potesse
muovere solo gli occhi, mentre incombeva su di lei un pendolo grande e pesante con il
lato inferiore curvo e tagliente. Ma poi, nell'oscillare avanti e indietro, gradualmente ma
in manniera costante, l'asta del pendolo si allungava e il prigioniero in preda al terrore
e costretto contro la sua volontà ad osservare i movimenti della lama che scendeva,
sopportava l'orrore di vedere il tagli avvicinarsi sempre di più al volto. Alla fine la lama
affilata gli squarciava la pelle, continuando inesorabilmente a tagliare fino ad ucciderlo.
Ma nella maggior parte dei casi, prima che la lama facesse uscire del sangue, il
prigioniero cadeva in balia della pazzia.

Le sedie dell'inquisizione
Si trattava di sedie munite di pungiglioni ed aculei, cosparsi sullo schienale, sui poggia
braccia, sui poggiapiedi.
Risulta semplice comprendere quale fosse l'effetto sulla vittima seduta su queste
poltrone; in un'alternativa, come in figura, erano presenti delle stecche di legno, o di
cuoio, che venivano strette per permettere agli speroni di affogare e di penetrare la
carne fino a raggiungere l'osso.
Le sedie erano costruite in ferro, e non di rado venivano prima surriscaldate,
procurando alla vittima un dolore mostruoso.
Questa metodologia di tortura fu utilizzata dall'Inquisizione fino al 1700 in Spagna, in
Italia e fino al 1800 in Germania.

Maschera d'infamia
Questa tortura infliggeva allo stesso tempo due tipi di tortura: quella psicologica e
quella fisica.
Rendeva ridicoli ed umiliava di fronte al pubblico, ma allo stesso tempo provocava un
dolore tremendo poiché stringeva la testa e, spesso e volentieri, una pallina al suo
interno entrava in bocca in modo tale da impedire di urlare.

Sospensioni
Diverse erano le modalità con cui un condannato poteva patire la sospensione: nella
figura ne vengono illustrate tre.
Nella fig. A al condannato, appeso per i piedi, viene agganciato un pesante masso al
collo; la vittima viene strangolata e tormentata finché la colonna vertebrale non si
schianta e va a pezzi.
Nella fig. B, il prigioniero viene cosparso di miele ed altre sostanze dolci e viene
lasciato in balia di molesti insetti come api, vespe e calabroni.
Nella fig. C invece il condannato, sospeso per un piede, ha una gamba legata al
ginocchio dell'altra mentre l'altra è appesantita da un oggetto metallico.
Non raro era assistere a queste esecuzioni durante l'epoca medievale.

Rogo
Probabilmente si tratta della tortura prediletta da infliggere agli eretici durante il medioevo, e
centinaia di presunte streghe e stregoni la subirono.
Il martire veniva appeso molto in alto in modo che al suo orribile spettacolo tutta la
popolazione venisse colpita dal terrore, e nel frattempo gli si straziavano i fianchi e le costole
con dei pettini e degli uncini sino a renderlo una massa deforme che veniva incenerita.
Alcune vittime patirono terribili sofferenze, come risulta dal resoconto di un rogo scritto da un
reverendo nel XVI sec: "Poiché il fuoco" si legge "era stato applicato senz'arte, e poiché il
vento era contrario, la strega soffrì una tortura indicibile."
In seguito divenne normale strangolare il prigioniero prima di affidarlo alle fiamme, ma spesso
succedeva che l'operazione non riuscisse "in tempo" e che la vittima subisse ugualmente
l'orripilante fuoco sul suo corpo.
Altre modalità di rogo, sono illustrate nella figura:

A. Appesi al cavallo di legno e bruciati vivi con le fiamme delle torce.


B. Sospesi sul proprio piede da una puleggia e torturati alla vecchia maniera.
La vergine di Norimberga
Chi veniva accusato di eresia o di atti blasfemi contro Dio o i Santi, se si rifiutava
ostinatamente di confessare la propria colpa, veniva condotto in una cella. Su un piccolo
altare, il prigioniero riceveva i sacramenti; in seguito due ecclesiastici lo esortavano
insistentemente a confessare in presenza della Madre di Dio. "Vedi" dicevano "quanto
amorosamente la Vergine ti apre le braccia! Sul suo petto si scioglierà il tuo cuore duro; lì
confesserai!". Tutto a un tratto, la figura cominciava a tendergli le braccia: il prigioniero,
sopraffatto dallo stupore, veniva all'abbraccio ed ella se lo portava sempre più vicino,
arrivando a stringerselo al petto finché i pungiglioni e gli aculei lo trafiggevano.
Tenuto fermo in quella stretta dolorosa, il prigioniero veniva interrogato e se si rifiutava di
confessare, le braccia della statua stringevano sempre più il suo corpo, inesorabilmente e
lentamente, ammazzandolo.
La parte anteriore di questo marchingegno, consisteva in due porte che si chiudevano.
C'erano una gran quantità di pugnali inseriti sia nella parte interna del petto che dentro alla
statua in modo da trafiggere con precisione il fegato, i reni e gli occhi.
Chi subiva l'abbraccio della vergine di ferro dopo essere stata stritolato rimaneva attacato alle
punte dei chiodi e delle lame quando la Vergine riapriva le bra

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