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Lezione 8 – Memoria visiva e immagini mentali

La lezione si riferisce alla relazione tra memoria visiva e immagini mentali.

Argomenti della lezione

Ci chiederemo se le immagini mentali possono essere considerate delle rappresentazioni speciali,


distinte e distinguibili da altre forme di rappresentazione come le parole.

Analizzeremo la relazione tra immaginazione e memoria a breve termine e quella tra


immaginazione e memoria a lungo termine.

Cercheremo infine di rispondere alla domanda se e come le immagini mentali possono servire come
efficaci strumenti del ricordo.

Le conoscenze pregresse che sono da recuperare nella nostra memoria per comprendere questa
lezione sono:

• Il concetto di “RAPPRESENTAZIONE MENTALE”.

• La differenza tra memoria a breve termine e a lungo termine.

• Il concetto di “CODICE” o “FORMATO”.

• Il concetto di Memoria di Lavoro.

Cominceremo con il leggere una poesia di Borges tratta da“STORIA DELLA NOTTE”.

“Perché, facendo girare la chiave, torna ai miei occhi con stupore antico l’incisione di un tartaro che
allaccia dal suo cavallo un lupo della steppa? La belva si ritorce eternamente. L’osserva il cavaliere.
La memoria mi cede quest’immagine di un libro il cui colore e la cui lingua ignoro. Molti anni sono
ormai che non la vedo. Talvolta mi impaurisce la memoria. Nelle sue concave grotte e
palazzi….stanno tante cose……”

L’incisione di Borges descrive una delle capacità più stupefacenti della memoria umana: quella di
rivedere con l’occhio della mente immagini che non sono più sotto i nostri occhi.

Quando guardiamo un’immagine mentale, spesso chiudiamo gli occhi per vedere meglio e, molte
delle sensazioni che proviamo durante l’immaginazione, assomigliano a quelle che proviamo
nell’atto di percepire qualcosa, con la fondamentale differenza però che, quando immaginiamo,
l’oggetto della nostra immaginazione, il correlato esterno, è assente.

Ma che cos’è un’immagine mentale?

Va subito precisato che quando si parla di immaginazione, nella psicologia dei processi cognitivi,
non ci si riferisce alla fantasia o a processi creativi (il corrispondente inglese sarebbe imagination),
ma ad una specifica attività della mente umana che riguarda la produzione e l’uso di immagini
mentali (il corrispondente inglese è imagery).

Mentre dal punto di vista dell’esperienza personale ognuno di noi sa che cosa vuol dire avere
un’immagine mentale, la definizione scientifica di questo concetto è stata per molto tempo una
questione molto dibattuta tra gli studiosi di memoria.

La definizione più generale e più generica è che un’immagine mentale è un tipo di


rappresentazione, cioè è una specie di modello della cosa che rappresenta, una costellazione di
simboli creati, usati e interpretati dagli esseri umani, per comunicare.

Come è chiaro, in questa definizione non vi è nulla che distingua un’immagine mentale da una
parola: anche le parole sono simboli creati dagli uomini per comunicare.

Durante gli anni ’70 c’è stato un acceso dibattito che si è articolato attorno a due domande
principali: innanzitutto se l’architettura della mente, cioè gli algoritmi di base dell’elaborazione
dell’informazione, contengano o meno strutture specifiche dell’immaginazione, e quale sia la natura
di questi processi.

In altri termini la domanda è se esiste un sistema immaginativo con caratteristiche sue proprie e se
sì quali sono i processi che ne distinguono il funzionamento, rispetto ad esempio ad un sistema più
astratto di natura proposizionale.

Vediamo di analizzare questi punti uno per uno.

1. Figure e parole sono rappresentate nella nostra mente con formati differenti?

Per comprendere quale sia la natura delle immagini mentali è indispensabile avere chiara la
differenza tra una rappresentazione linguistica ed una rappresentazione figurativa.

Se è vero infatti che figure e parole possono veicolare la stessa informazione, tuttavia esse lo fanno
in modo differente: una figura è fondamentalmente rassomigliante all’oggetto che rappresenta ed ha
delle relazioni non arbitrarie con esso; una parola o una frase invece non hanno alcuna somiglianza
con il loro contenuto e quindi rappresentano l’oggetto attraverso regole arbitrarie del tutto
indipendenti.

Volendo semplificare potremmo dire che, mentre le figure e così le immagini mentali raffigurano le
relazioni tra gli oggetti, le poroposizioni le descrivono.

Raffigurazione da un lato, e descrizione dall’altro, sono formati o codici attraverso i quali la nostra
mente può immagazzinare una stessa informazione.

Vediamo quindi qual è la definizione scientifica di immagini mentali: le immagini mentali sono
delle rappresentazioni che producono in noi un’esperienza simile al “VEDERE” in assenza dei
corrispondenti stimoli visivi.

Ad esempio, se qualcuno ci chiede di descrivere come è fatta la nostra casa, probabilmente noi ce
ne formiamo l’immagine e la percorriamo come se stessimo camminando al suo interno.
L’origine delle immagini mentali è ESSENZIALMENTE PERCETTIVA, ma esse non sono necessariamente
legate alla presenza effettiva di un correlato esterno.

Questo vuol dire che i prodotti dei processi immaginativi sono derivati dalla percezione.

I contenuti dell’attività immaginativa quindi sono determinati da processi percettivi che li hanno
preceduti.

Il materiale grezzo, per così dire, di un’immagine è o è stato un percetto.

Se è vero che immaginazione e percezione funzionano in modo simile, esse però non devono essere
considerate identiche: cosa ce ne faremmo di due sistemi perfettamente sovrapponibili e come
faremmo a distinguere se un contenuto, temporaneamente presente alla nostra coscienza, è frutto
dell’immaginazione o della percezione?

Al contrario, l’esperienza quotidiana ci insegna che noi siamo quasi sempre capaci di distinguere se
ciò che è presente alla nostra coscienza è il prodotto di un processo immaginativo o di un processo
percettivo.

In che cosa le immagini mentali sono diverse dalle proposizioni?

Una proposizione è una rappresentazione astratta (SPESSO SIMIL-LINGUISTICA), che descrive o asserisce
fatti. Le proposizioni hanno valore di verità o falsità e sono prive di ambiguità.

Nella logica, il concetto di proposizione si riferisce al contenuto concettuale di un enunciato.

A questo enunciato noi attribuiamo valore di verità o falsità e quindi un enunciato non può mai
essere ambiguo.

Come già accennato, negli anni ’70, c’è stato un acceso dibattito che ha visto opporsi sostenitori del
PITTORIALISMO e quelli del PROPOSIZIONALISMO.

Secondo i Pittorialisti la rappresentazione ha relazioni non arbitrarie con l’oggetto che rappresenta.
Ogni sua parte corrisponde alla stessa parte dell’oggetto rappresentato.

Questo significa sostenere la specificità funzionale delle immagini mentali e la stretta somiglianza
tra immagini e figure.

E’ chiaro che i pittorialisti, non sostenevano banalmente che quando immaginiamo abbiamo delle
figure nella testa, piuttosto essi insistevano sul fatto che una figura ed un’immagine mentale
rappresentano un oggetto in un modo molto simile.

D’altra parte i sostenitori del Proposizionalismo sostenevano che l’immaginazione consiste nell’uso
di processi di pensiero generale, svolti da un sistema probabilmente amodale e quindi in qualche
modo sovraordinato, sovraordinato sia al sistema immaginativo, sia al sistema verbale.
Secondo i Proposizionalisti la rappresentazione è una descrizione strutturale, un sottoprodotto di
proposizioni astratte che contengono informazioni sulle proprietà delle parti dell’oggetto e sulle loro
relazioni spaziali.

La controversia sull’esistenza o meno delle immagini mentali come sistema autonomo oggi ha
perso molta della sua forza.

Molte risposte sono venute dalle neuroscienze: ad esempio, gli studi di neuroimmagine funzionale
condotti con PET di risonanza magnetica funzionale, hanno permesso di accertare che, quando si
percepisce e quando si immagina, si attivano le stesse aree cerebrali.

Allo stato attuale la ricerca è centrata su temi più specifici che non sul tentativo di dimostrare la
legittimità degli studi sull’immaginazione.

2. Esistono strutture e processi specifici dell’immaginazione?

Allo stato attuale le due teorie più accreditate sono:

• la teoria del doppio codice di Allan PAIVIO;

• il modello computazionale di KOSSLYN.

La teoria del doppio codice di Allan Paivio, formulata nel ‘71 e rivista poi negli anni ’90, assume
che il comportamento sia mediato da due sistemi in Memoria a Lungo Termine: uno VERBALE E
l’altro IMMAGINATIVO.

L’assunzione più importante della teoria del doppio codice è che questi due sistemi siano
indipendenti ma interconnessi.

Indipendenza significa che ogni sistema può lavorare autonomamente: l’idea che i due codici,
visivo e verbale, siano indipendenti, implica che un item può essere recuperato se il soggetto ricorda
il nome dell’oggetto, se ricorda la sua immagine o entrambe le cose.

Interconnessione significa invece che l’informazione può essere facilmente tradotta da un codice ad
un altro: ad esempio la teoria del doppio codice suggerisce di associare ad ogni parola un’immagine
mentale.

Tuttavia questo non sempre è possibile: uno dei risultati più importanti nella letteratura sulla
relazione tra immaginazione e memoria si riferisce proprio al fatto che le parole concrete, come ad
esempio lampada, vengono ricordate meglio delle parole astratte, come ad esempio attenzione, e le
figure vengono ricordate meglio delle parole, siano esse concrete o astratte.

Questi due effetti sono noti rispettivamente come “effetto di concretezza” ed “effetto di superiorità
delle figure”.

Nella teoria di Paivio, il sistema verbale, più astratto, è composto di unità chiamate LOGOGENS, che
contengono le informazioni delle quali ci serviamo quando utilizziamo le parole, mentre il sistema
immaginativo contiene unità chiamate IMAGENS le quali contengono appunto le informazioni per
generare immagini mentali.

Il sistema verbale, avendo a che fare con il linguaggio, secondo la teoria di Paivio, opera in maniera
sequenziale, mentre il sistema immaginativo, avendo a che fare con rappresentazioni di oggetti o
parti di essi, opera in maniera sincronica.

La teoria di Paivio ha influenzato e influenza ancora oggi la ricerca sull’immaginazione.

Tuttavia, la teoria del doppio codice non è volta ad indagare la natura delle immagini mentali e le
modalità attraverso le quali le immagini vengono formate e manipolate.

Solo con la teoria computazionale di Steven Kosslyn del 1980 si trovano le prime risposte a queste
domande.

Come si possono indagare allora le proprietà e le funzioni delle immagini mentali?

Dopotutto un’immagine mentale è un fenomeno del tutto soggettivo, non è direttamente osservabile
e quindi le sue proprietà e le sue funzioni devono necessariamente essere inferite. Inoltre le
immagini mentali sono notoriamente elusive: appaiono e scompaiono da un momento all’altro.

Quindi, in sostanza, servivano dei metodi che permettessero, non solo di ottenere misure affidabili
dell’esistenza di un’immagine mentale nella testa di un’altra persona (il soggetto degli esperimenti),
ma anche di elicitare l’immagine all’occorrenza.

A questo scopo, negli ultimi vent’anni, sono state messe a punto delle tecniche che hanno fatto
avanzare di molto le nostre conoscenze sulla natura e sul funzionamento dell’immaginazione.

Mentre nei compiti di memoria visiva, la rappresentazione che il soggetto usa per rievocare o
riconoscere, è, in un certo senso, statica, nei compiti di immaginazione la rappresentazione è
dinamica, nel senso che la persona tipicamente deve manipolare mentalmente la propria immagine
mentale per rispondere ad una specifica richiesta del compito.

I compiti di immaginazione più usati sono i seguenti:

• Rotazione mentale.

• Scanning o perlustrazione mentale.

• Scoperte mentali.

• Interferenza selettiva.

Il metodo più utilizzato per studiare la natura, le proprietà e il funzionamento delle immagini
mentali, è noto come Cronometria mentale.
Già nota ai primi psicologi nella seconda metà dell’800, la cronometria mentale
sull’immaginazione, si riferisce al tentativo di misurare il tempo che i soggetti impiegano per
svolgere un compito di immaginazione che comporta una trasformazione spaziale dell’immagine.

Vediamo adesso un esempio di rotazione mentale e uno di scanning o perlustrazione mentale.

In un esperimento di rotazione mentale, per esempio, si mostrano ai soggetti, coppie di figure


geometriche come quelle illustrate nella parte superiore della figura seguente e si chiede loro di
decidere il più rapidamente ed accuratamente possibile se le due figure di ogni coppia sono o meno
rappresentazioni dello stesso oggetto, osservato però da punti di vista differenti.

Per svolgere questo compito è necessario visualizzare la prima figura e confrontarla con l’altra,
mantenendo fissa la prima figura e immaginando di ruotare la seconda figura della coppia fino a
farla coincidere con l’altra.

A questo punto si fornisce la risposta, cioè si decide se i due oggetti sono o no rappresentazioni
dello stesso solido ma da punti di vista differenti.

In un compito di scanning mentale, illustrato nella parte inferiore figura sopra presentata, i soggetti
perlustrano un’immagine dopo averla memorizzata, quindi formano un’immagine, la perlustrano, la
ispezionano, percorrendola mentalmente da un punto all’altro.

In un noto esperimento di Kosslyn e collaboratori, al quale si riferisce questa figura, venne chiesto
ai soggetti di memorizzare una mappa sulla quale erano disegnati sette punti.

Le distanze tra ciascuna delle possibili coppie di punti erano differenti.

Dopo essere stati addestrati a mantenere l’immagine dell’intera mappa, i soggetti dovevano mettere
a fuoco con l’occhio della mente un luogo e poi, partendo da quel punto, cercarne un altro.

Per metà delle volte, questo secondo luogo era realmente presente nella mappa, per l’altra metà
invece non c’era.

Se il luogo era disegnato sulla mappa, i soggetti dovevano immaginare un puntino nero che si
muoveva il più velocemente possibile da un punto all’altro, e dovevano premere un tasto non
appena il puntino immaginato raggiungeva il luogo di destinazione.

Altrimenti, se ispezionando mentalmente la mappa non trovavano il luogo indicato, dovevano


premere un altro tasto.
La misura di interesse in questi compiti (così come nei compiti di rotazione mentale) è il tempo di
reazione (cioè il tempo impiegato dai soggetti per rispondere).

Infatti, se un’immagine mentale raffigura veramente l’oggetto, anziché descriverlo come fanno le
proposizioni, essa deve avere una grandezza, una forma e un orientamento spaziale e queste
proprietà dell’immagine devono riflettersi nel tempo necessario per perlustrare o ruotare
visivamente un’immagine, cioè il soggetto deve impiegare più tempo a rispondere quando il luogo è
lontano rispetto per esempio a quando è vicino.

Inoltre, va detto che se è vero che le distanze oggettive sono preservate in un’immagine mentale, il
tempo deve incrementare linearmente con la distanza tra due luoghi o con l’angolo di rotazione.

Nella figura seguente sono riportati i risultati di questi studi.

Questi grafici si riferiscono al compito di rotazione mentale.

Come si può vedere esiste una relazione lineare tra tempo impiegato dai soggetti per dire se le due
coppie di stimoli sono rappresentazioni dello stesso oggetto osservate da punti di vista differenti
(tempo impiegato per dire uguale) e angolo di rotazione in gradi.

Come si può notare, il risultato è una funzione lineare cioè, il tempo impiegato per dire uguale,
cresce ad un tasso costante all’aumentare dell’angolo di rotazione.

Questo è vero sia per la rotazione sul piano pittorico che per la rotazione in profondità.

Questi risultati suggeriscono che l’immagine mentale è organizzata in un modo che riflette la
struttura spaziale dell’oggetto esterno ed in particolare le distanze relative tra le parti.

L’idea di base quindi è che le immagini posseggano sostanzialmente una struttura che riflette la
struttura degli oggetti rappresentati e che questo fatto influenzi il modo in cui queste
rappresentazioni funzionano nella nostra testa.

Questi risultati hanno influenzato moltissimo la ricerca sperimentale sull’immaginazione tanto che,
all’inizio degli anni ’80, fu possibile formulare la prima ed ancora oggi più esaustiva teoria
dell’immaginazione: il modello computazionale di Kosslyn.
La domanda alla quale il modello cerca di rispondere è la seguente: “dove vengono formate,
mantenute e trasformate le immagini mentali?”

Input

Loading

Rappresentazioni di Buffer visivo


superficie

Ispezione Generazione
Trasformazione
Rappresentazioni
profonde
MLT

Letterali Proposizionali

Nella teoria di Kosslyn le immagini mentali sono aree di attivazione su un sistema bidimensionale,
chiamato buffer visivo, che corrisponde sostanzialmente alla nostra memoria a breve termine visiva.
Sul buffer le immagini mentali possono arrivare da due direzioni, in due modi: indirettamente
attraverso rappresentazioni profonde contenute nella memoria a lungo termine che ci permettono di
generare l’informazione sul buffer visivo e portarla per così dire alla coscienza o direttamente
attraverso gli occhi in seguito all’osservazione di uno stimolo esterno.

Nella memoria a lungo termine esistono due tipi di rappresentazioni profonde chiamate da Kosslyn
letterali e proposizionali.

Le prime conservano l’informazione sull’apparenza degli oggetti, mentre le seconde, le


rappresentazioni proposizionali, descrivono un oggetto o una scena sottoforma di una lista di
proposizioni alle quali si accede attraverso i nomi che indicano il contenuto dell’immagine e i
formati della codifica.

Mentre per rispondere alla domanda “dove vengono formate, mantenute e trasformate le immagini
mentali” è necessario postulare un sistema visivo di memoria a breve termine, per rispondere alla
domanda “come vengono formate, mantenute e trasformate” è necessario riferirsi all’attività di un
sistema di memoria a lungo termine.

Riassumendo, il buffer visivo e le rappresentazioni letterali e proposizionali, contenute nella


Memoria a Lungo Termine, si riferiscono al funzionamento di due strutture dati.

Accanto ad esse Kosslyn postula l’esistenza di tre processi fondamentali:


• Generazione
• Ispezione
• Trasformazione

Il processo di generazione agisce sull’apparenza degli oggetti e sulla loro struttura e permette di
formare l’immagine nel buffer.
Il processo di ispezione esamina le aree attivate nel buffer, permettendoci di riconoscere forme e
configurazioni spaziali degli oggetti.

Il processo di trasformazione modifica le immagini così formate.

Riassumendo nel modello di Kosslyn la relazione tra immaginazione e memoria a breve termine
dipende dalle proprietà del BUFFER VISIVO.

Il buffer visivo è un sistema bidimensionale con proprietà spaziali; le immagini sono punti di
attivazione su questa matrice.

Il buffer visivo corrisponde alla Memoria a Breve Termine visiva.

Le immagini mentali dipendono dalla STRUTTURA DEL BUFFER.

Le immagini mentali sono RAPPRESENTAZIONI DI SUPERFICIE.

Vediamo di analizzare queste proprietà.

I punti di attivazione corrispondono sempre a POSIZIONI SPECIFICHE dentro il campo visivo.

Questo significa che non si può avere un’immagine che esuli dal punto di vista di chi la sta
osservando. In altri termini noi non possiamo formare un’immagine mentale senza attribuirle una
certa grandezza, non possiamo immaginare due oggetti uno accanto all’altro senza che uno sia alla
sinistra dell’altro, né immaginare due oggetti opachi sovrapposti senza che uno occluda l’altro.

Un’immagine quindi è sempre UNA SPECIFICA RAPPRESENTAZIONE NELLA NOSTRA MEMORIA A BREVE TERMINE
VISIVA.

Si dice appunto una rappresentazione centrata sul soggetto.

Passiamo ora ad analizzare la relazione tra immaginazione e memoria a lungo termine nel modello
computazionale di Kosslyn.

Abbiamo già detto che Kosslyn distingue tra rappresentazioni letterali e rappresentazioni
proposizionali.

Le RAPPRESENTAZIONI “LETTERALI” conservano l’informazione sull’aspetto esterno dell’oggetto.

Le RAPPRESENTAZIONI PROPOSIZIONALI invece descrivono un oggetto sotto forma di una lista di


proposizioni alle quali si accede attraverso i nomi che indicano il contenuto dell’immagine.

Accanto a questa struttura di memoria a lungo termine agiscono dei processi.


I tre più importanti sono:

• GENERAZIONE = agisce sull’apparenza degli oggetti e sulla loro struttura spaziale e crea
l’immagine nel buffer visivo.

• ISPEZIONE = esamina le aree attivate nel buffer e ci permette di riconoscere oggetti e


configurazioni.

• TRASFORMAZIONE = modifica le immagini formate.

L’ultimo argomento della lezione si riferisce all’uso delle immagini mentali come strumenti per
aiutare la memoria.

Le immagini mentali quindi come dei mediatori del ricordo.

I metodi più noti sono il metodo delle parole-chiave e le immagini interattive e il metodo dei loci.

Col metodo delle parole chiave è possibile costruire delle immagini interattive, per esempio, per
imparare delle parole nuove in una lingua straniera.

Ad esempio la parola inglese Money (denaro) ha lo stesso suono della parola Mani in italiano.

Per ricordare la parola inglese ed il suo significato basterà immaginare delle mani che stanno per
ricevere del denaro ed associare i due suoni pur tenendo separati i significati.

Un altro metodo molto antico e molto efficace è noto come mnemotecnica a carattere immaginativa
ed è il metodo dei LOCI.

Tecniche di organizzazione del materiale per mettere in relazione informazioni note con
informazioni nuove attraverso l’uso di immagini, tecniche come il metodo dei loci, sono note sin
dall’antichità.

In che cosa consiste il metodo dei loci: consiste nell’immaginare una lista di informazioni
collocandole mentalmente in uno spazio familiare.

Poniamo di voler ricordare la lista della spesa. Come possiamo fare per poter recuperare i singoli
items con facilità?

Immaginiamo ad esempio la nostra casa, uno spazio a noi molto familiare e, a partire ad esempio
dalla porta d’entrata, immaginiamo di collocare i singoli items in diversi punti.

Quando ci servirà di recuperare la lista della spesa non dovremo far altro che immaginare
nuovamente casa nostra e raccogliere gli items che abbiamo collocato in precedenza.

Negli ultimi decenni si è assistito a un rinnovato interesse teorico per le mnemotecniche a carattere
immaginativo poiché queste permettono di studiare la funzione mestica quando mostra di lavorare
al meglio.
In questa lezione abbiamo trattato la relazione tra memoria visiva e immagini mentali.

Abbiamo cercato di distinguere le immagini mentali da altre forme di rappresentazione, in


particolare le proposizioni.

Abbiamo analizzato la relazione tra immaginazione e memoria a breve termine e quella tra
immaginazione e memoria a lungo termine all’interno del modello computazionale di Steven
Kosslyn.

Infine abbiamo accennato alla funzione adattiva delle immagini mentali quando vengono utilizzate
come strumenti di aiuto per il ricordo.

Le parole chiave che possono guidare nello studio di questi argomenti sono:
immagini mentali, proposizioni, descrizioni strutturali, BUFFER VISIVO, generazione, ispezione,
trasformazione, mnemotecniche.

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