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APPUNTI DELLE LEZIONI DI

FISICA DEI LIQUIDI


Prof. Mauro Rovere
Corso di Laurea in Fisica
Universit`a di Roma Tre
c Questa opera `e pubblicata sotto una Licenza Creative Commons

http://creativecommons.org/licenses/by-nc-nd/2.5/it/

Indice
1 Introduzione alla Fisica dei Liquidi
1.1 Stato liquido della materia . . . . . . . . . . .
1.2 Sistemi e modelli microscopici . . . . . . . . .
1.3 Teorie approssimate e metodi esatti . . . . . .
1.4 Metodi sperimentali e funzioni di correlazione

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2 Richiami di Termodinamica
2.1 Funzioni estensive ed intensive . . . . . . . . . . . .
2.2 Primo principio della termodinamica . . . . . . . . .
2.3 Vincoli e trasformazioni . . . . . . . . . . . . . . . .
2.4 Il secondo principio della termodinamica e lentropia
2.5 Definizione della temperatura . . . . . . . . . . . . .
2.6 Condizioni di equilibrio . . . . . . . . . . . . . . . .
2.7 Potenziale chimico ed equilibrio chimico . . . . . . .
2.8 Equazioni di stato e condizioni di equilibrio . . . . .
2.9 Funzioni intensive e quantit`
a molari . . . . . . . . .
2.10 Relazione di Gibbs-Duhem . . . . . . . . . . . . . . .
2.11 Trasformate di Legendre e potenziali termodinamici
2.12 Relazioni di Maxwell e alcune conseguenze . . . . . .
2.13 Le funzioni risposta macroscopiche . . . . . . . . . .
2.14 Condizioni di stabilit`a per un sistema . . . . . . . .
2.15 Equilibrio delle fasi . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
2.16 Transizioni di fase e loro classificazione . . . . . . . .
2.17 Equazione di Van der Waals . . . . . . . . . . . . . .
2.18 Principio degli stati corrispondenti . . . . . . . . . .
3 Richiami di Meccanica Statistica
3.1 Teoria degli ensembles . . . . . . . . . .
3.2 Ensemble microcanonico e legame con la
3.3 Vari tipi di ensemble . . . . . . . . . . .
3.3.1 Canonico . . . . . . . . . . . . .
3.3.2 Gran-canonico . . . . . . . . . .
3.3.3 Isobarico . . . . . . . . . . . . .
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3.4

Sviluppi delle formule per i sistemi classici .


3.4.1 Ensemble Canonico . . . . . . . . . .
3.4.2 Ensemble gran-canonico . . . . . . .
3.4.3 Fluttuazioni del numero di particelle

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4 Potenziali efficaci ed espansione del viriale


4.1 Modelli microscopici per i fluidi . . . . . . . . .
4.1.1 Approssimazione di Born-Oppenheimer
4.1.2 Potenziali efficaci. . . . . . . . . . . . .
4.2 Espansione del Viriale per il gas . . . . . . . .
4.3 Sfere dure . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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5 La struttura dei liquidi


5.1 Struttura locale di un liquido . . . . . . . .
5.2 Funzioni di distribuzione nel canonico . . .
5.3 Legame della FDR con la termodinamica .
5.3.1 Lenergia . . . . . . . . . . . . . . .
5.3.2 Calcolo della pressione dal viriale . .
5.4 Funzioni di distribuzione nel gran-canonico
5.5 Andamento qualitativo della FDR . . . . .
5.6 Liquidi a pi`
u componenti . . . . . . . . . .

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6 Misura della struttura di un liquido.


6.1 Raggi X e neutroni . . . . . . . . . . . . . . . .
6.2 La diffrazione dei neutroni: il limite elastico . .
6.3 Fattore di struttura statico . . . . . . . . . . .
6.4 Fattore di struttura di liquidi a pi`
u componenti
6.4.1 Fattori di struttura parziali . . . . . . .
6.4.2 Sostituzione isotopica . . . . . . . . . .
6.4.3 Il caso molecolare . . . . . . . . . . . . .

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7 Teorie della struttura


7.1 Il potenziale di forza media . . . . . .
7.2 Equazione di Born-Green . . . . . . .
7.3 Metodo di Percus . . . . . . . . . . . .
7.4 Funzione risposta statica . . . . . . . .

7.5 Lequazione di Ornstein-Zernike


. . . .
7.6 Sviluppo in diagrammi . . . . . . . . .
7.7 Relazioni di chiusura . . . . . . . . . .
7.7.1 Unequazione esatta per la g(r)
7.7.2 HNC e Percus-Yevick . . . . .
7.8 Il liquido di sfere dure . . . . . . . . .
7.8.1 PY per le sfere dure . . . . . .
7.8.2 Inconsistenza termodinamica .

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7.9

Una strada per la consistenza: HNC modificata . . . . . . . .

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81

Indice

iv

Capitolo 1

Introduzione alla Fisica dei


Liquidi
La Fisica dei Liquidi, nell accezione che intendiamo dargli in questo corso, `e lo studio di come la composizione microscopica e linterazione fra gli
atomi che costituiscono i sistemi in fase liquida siano collegati alle propriet`a
macroscopiche.
La Fisica dei Liquidi si pu`o considerare come un importante campo di
applicazione della Meccanica Statistica alla Fisica della Materia.

1.1

Stato liquido della materia

Lo stato liquido della materia presenta caratteristiche peculiari notevoli.


Guardiamo al diagramma di fase di una sostanza semplice, assumendo per
ora la definizione tautologica che una sostanza `e semplice se ha un diagramma di fase come nelle figure 1.1 e 1.2
Vediamo che sia nel piano (T, p), sia in quello (, T ), la regione della fase
liquida `e molto ristretta. Essa `e caratterizzata dalle curve di coesistenza
liquido-gas e liquido-solido. La curva liquido-gas termina nel punto critico
(P.C.), sopra il quale abbiamo un generico stato fluido. La curva liquidosolido invece non presenta un punto critico e pu`o estendersi indefinitamente.
In accordo alla regola delle fasi di Gibbs, per il nostro sistema monoatomico
esiste un punto, dove le tre fasi coesistono, detto punto triplo (P.T.).
La presenza di un punto critico fa in modo che si possa passare con
continuit`a dallo stato di gas a quello di liquido, seguendo un cammino nel
piano termodinamico, che parta dal gas, giri intorno al punto critico e finisca
nel liquido. Partendo dal solido, invece, dovremo sempre attraversare la
curva di coesistenza per giungere al liquido, questo implica che non potremo
` unindicazione di come
mai evitare una discontinuit`a nel passaggio di fase. E
ci sia una maggiore affinit`a di comportamento fra il liquido e il gas, piuttosto
che fra il solido e il liquido. Anche se a livello macroscopico ci possono essere
1

differenze notevoli fra gas e liquido, a livello microscopico le differenze non


sono sempre evidenti.
Si pu`o quindi parlare di uno stato fluido della materia, caratterizzato da
una struttura microscopica omogenea e isotropa. Esso coesiste con una fase
detta solida o meglio cristallina, caratterizzata da un ordine traslazionale
nelle posizioni degli atomi. Lo stato fluido `e unico sopra il punto critico, mentre al di sotto si presenta degenere in due stati, liquido e gassoso,
coesistenti alla stessa temperatura e pressione, ma con densit`a diverse. La
transizione fra i due stati fluidi pu`o avvenire con continuit`
a, mentre la transizione fra fasi fluide e fase solida avviene sempre con un salto di densit`a.
Le differenze pi`
u evidenti fra il solido e il fluido, a livello microscopico, sono
riscontrabili se si guarda alle posizioni medie degli atomi e alla loro capacit`a di diffusione. Si potr`a notare la mancanza di ordine spaziale nel fluido,
mentre la diffusione degli atomi nel solido `e praticamente nulla confrontata
con quella degli atomi nei fluidi.
Lo studio della Fisica dei Liquidi `e rilevante per diversi motivi. Dal un
punto di vista applicativo linteresse `e originato dallimportanza che i fluidi
hanno in processi tecnologici, che riguardano soprattutto lindustria chimica. Fra i motivi di interesse ha acquistato sempre pi`
u rilevanza il fatto che
lo stato liquido, sebbene ristretto in una zona piccola dello spazio termodinamico, `e contiguo a stati, che sono considerati anomali, quali i cristalli
liquidi e i vetri. Questi ultimi sono materiali solidi amorfi, privi dellordine
presente nei cristalli, che si possono ottenere portando un sistema fluido in
uno stato metastabile sottoraffreddato in modo da impedirgli di andare nella
fase stabile cristallina. A livello microscopico la struttura spaziale `e simile
a quella dei liquidi, ma diffusione degli atomi e viscosit`a sono simili a quelle
dei cristalli.
Altro motivo di interesse nello studio della Fisica dei liquidi risiede nel
fatto che metodi sperimentali e teorici sviluppati per i liquidi vengono applicati oggi per studiare macromolecole di interesse per la biologia e sistemi
colloidali di grande interesse applicativo. Sono queste le nuove frontiere della ricerca nel campo della Fisica dei Liquidi che quindi ha iniziato ad avere
unimportante sovrapposizione con quella che viene chiamata soft-matter.
Dal punto di vista fondamentale, i sistemi fluidi costituiscono un campo
di prova notevole per modelli e metodi di Meccanica Statistica. Un fluido
alle densit`a tipiche dei liquidi si trova nello spazio termodinamico lontano
sia dal gas ideale, sia dal dal cristallo armonico, vale a dire da modelli facili
da studiare. Manca quindi un sistema imperturbato, al quale fare riferimento per sviluppare una teoria perturbativa. La mancanza poi di un ordine
traslazionale e la difficolt`a di prevedere la relazione di dispersione fra energia
dei modi propri e vettore donda rende pi`
u impegnativi gli esperimenti su
questi sistemi, rispetto agli analoghi effettuati sui solidi.

P.C.

L
S
P.T.

T
Figura 1.1:

P.C.

P.T.

Figura 1.2:

1.2

Sistemi e modelli microscopici

I sistemi che consideriamo si possono classificare in base al tipo di forze, che


agiscono fra gli atomi. Per forze microscopiche intendiamo forze efficaci, in
quanto lunico tipo di interazione fondamentale presente `e quella coulombiana fra nuclei ed elettroni che compongono il sistema. Dato che sarebbe
impossibile risolvere esattamente il problema quantistico, si procede a ridurlo a quello di particelle costituenti, atomi o molecole, che interagiscono con
un potenziale efficace. Tali costituenti vengono considerati in genere come
particelle classiche e solo in pochi casi la loro natura quantistica appare in
alcune propriet`a. Leccezione pi`
u importante `e lelio, che rimane liquido anche a temperature vicine allo zero assoluto, per gli altri fluidi le temperature
e densit`a, alle quali le fasi fluide sono stabili, rendono possibile lavorare in
approssimazione classica.
La lunghezza donda di de Broglie `e definita a partire dallimpulso p di
una particella come
h
=
(1.1)
p
Il sistema pu`o essere considerato classico se la associata alle particelle `e pi`
u
piccola delle lunghezze fisiche caratteristiche, che intervengono nel problema,
in particolare la distanza media fra le particelle stesse. Tale distanza, che
indichiamo con a, `e determinata dalla densit`a in modo che
4 3
a = 1
(1.2)
3
Daltra parte lenergia media associata alle particelle sar`a dellordine di
kB T , con kB costante di Boltzmann,
quindi la lunghezza donda risulter`a in
versamente proporzionale a 2mkB T , per essere pi`
u precisi si usa introdurre
la lunghezza donda termica di de Broglie come
s

h2
2mkB T

(1.3)

Lapprossimazione classica `e giustificata se risulta

1
a

(1.4)

Dato che (mT )1/2 e a 1/3 , la combinazione di massa, temperatura


e densit`a determina la validit`
a dellapprossimazione. La tabella riporta i
valori per alcuni liquidi monoatomici:
H2
Ne
Li
Ar
Na

3.3
0.78
0.31
0.30
0.19
4

/a
0.97
0.26
0.11
0.083
0.054

Come si vede sistemi come argon e sodio liquido possono essere trattati come classici, per gli altri ci aspettiamo correzioni quantistiche e per
lidrogeno lapprossimazione classica `e discutibile.
Una volta stabilito il modello di interazione fra gli atomi, si calcolano
le propriet`a del sistema con i metodi della Meccanica Statistica. I sistemi
semplici sono quelli per i quali `e possibile trovare un potenziale efficace a
coppie che consenta di raggiungere un buon accordo con la fenomenologia.
In genere questo `e possibile per gli atomi a shell chiuse, come i gas rari. Gli
elettroni riempiono completamente i livelli atomici e la distribuzione di carica risulta sferica. Linterazione `e costituita da una parte attrattiva alla Van
der Waals e da una repulsione a corte distanze, dovuta allimpossibilit`a di
sovrapporre le funzioni donda elettroniche. Per questi sistemi il potenziale
dipende da pochi parametri ed `e trasferibile dal solido al liquido.
Diverso `e il caso dei sistemi a legame covalente, come il silicio, dove la
direzionalit`a del legame gioca un ruolo fondamentale. In questi casi non si
possono trovare buoni potenziali a due corpi. Bisogna peraltro ricordare che
il silicio, come anche il germanio, diventa metallico in fase liquida, quindi,
nellandare dal solido al liquido, cambia la natura delle forze interatomiche.
I sistemi, che sono metallici in fase solida, rimangono tali anche in fase
liquida. Come nel solido, anche nel liquido gli elettroni di conduzione giocano un ruolo importante per determinare le propriet`a del sistema. Per tener
conto di questo `e spesso necessario introdurre opportuni potenziali efficaci,
che hanno forme pi`
u complesse rispetto alla semplice forma dellinterazione
alla Van der Waals.
Una categoria a parte `e costituita dai liquidi molecolari. In fase fluida
gli atomi conservano il legame e quindi le unit`a costitutive, a livello microscopico, sono le molecole. Esistono liquidi molecolari semplici, in genere
costituiti da molecole omonucleari, come lazoto, o quasi sferiche come il
CH4 . Il liquido pi`
u diffuso, lacqua, `e difficile da classificare, si pu`o dire che
presenta alcuni aspetti da liquido semplice ma offre anche una fenomenologia
peculiare che lo rende molto diverso dagli altri fluidi semplici.
Per i fluidi composti da macromolecole naturalmente il tipo di modello
microscopico dal quale partire `e molto pi`
u complesso anche se come detto
sopra per molti di questi sistemi si possono usare metodi simili a quelli
elaborati per la Fisica dei Liquidi.

1.3

Teorie approssimate e metodi esatti

Il calcolo delle quantit`a osservabili con metodi analitici richiede sempre opportune approssimazioni, la cui verifica `e spesso rimandata a posteriori. Le
ragioni principali delle difficolt`a, che si incontrano nello studio dei liquidi
o dei fluidi densi, derivano dal fatto che si tratta di sistemi dove, proprio
per lalta concentrazione degli atomi rispetto ai gas diluiti, ci sono frequen5

ti processi collisionali e forte correlazione fra le particelle. Daltra parte le


interazioni non sono cos` forti da stabilizzare il sistema in una fase con un
ordine configurazionale a lungo range, come accade per i cristalli.
Non esiste quindi un modello ideale, esattamente risolubile, al quale fare riferimento per sviluppare una teoria adeguata, come il gas ideale per
trattare i gas poco densi o il cristallo armonico per le propriet`a dei solidi.
Metodi esatti di calcolo sono stati sviluppati dal dopoguerra ad oggi e
sono i metodi di simulazione al calcolatore. Hanno avuto grande sviluppo a
partire dagli anni settanta. Il calcolo delle propriet`a di un modello, attraverso la simulazione numerica, equivale ad una sorta di esperimento su un
sistema, del quale si conoscono esattamente le interazioni microscopiche fra
le particelle. Si ha cos` la possibilit`a di eseguire verifiche dettagliate delle
teorie, ma anche di costruire una fenomenologia di modelli, da confrontare
con quella sperimentale.

1.4

Metodi sperimentali e funzioni di correlazione

Le funzioni di correlazione giocano un ruolo fondamentale nello studio dei sistemi fluidi, esse ci rappresentano come la fluttuazione di una certa quantit`
a,
in un determinato punto dello spazio, ad un dato tempo, sia collegata alla
fluttuazione di unaltra quantit`
a (o della stessa), in un altro punto dello spazio, ad un tempo diverso. A partire dalle funzioni di correlazione si possono
ricavare tutte le propriet`a dinamiche del sistema, mentre nel limite statico
esse contengono le informazioni sulle propriet`a statiche e la termodinamica
del fluido.
La diffrazione dei raggi X `e usata da lungo tempo per studiare la struttura dei liquidi. I raggi X hanno lunghezze donda dellordine delle distanze
interatomiche e le loro energie sono molto pi`
u alte di quelle proprie del
sistema, consentendo una diffrazione elastica. Da alcuni anni per`o ha acquistato sempre pi`
u rilevanza la tecnica di spettroscopia neutronica. I neutroni
interagiscono con i nuclei del fluido e vedono le fluttuazioni della densit`a
atomica. Opportunamente accelerati e poi moderati diffondono nel sistema con uno scattering anelastico, dalla sezione durto `e possibile ricavare
la funzione di correlazione spazio-temporale delle densit`a. Questa funzione
contiene molta informazione sul comportamento dinamico e sulla struttura
del fluido.

Capitolo 2

Richiami di Termodinamica
I fenomeni macroscopici, che osserviamo nei materiali, derivano da fluttuazioni del sistema a livello microscopico. I sistemi sono composti da un
numero enorme di particelle, circa 1023 in una mole, non possiamo quindi
tenere sotto controllo tutte le variabili in gioco, anche se in principio potremmo scrivere le equazioni del moto per ciascuna particella, cos` i metodi
che possiamo usare sono statistici. La Meccanica Statistica `e proprio la
teoria matematica, che ci consente di trattare le fluttuazioni in termini di
valori pi`
u probabili o valori medi. Spesso per`o i processi di misura sono cos`
lunghi, rispetto ai tempi atomici caratteristici ( 1015 s ), e si effettuano
su scale di lunghezza cos` grandi rispetto a quelle interatomiche ( 108 cm)
che il sistema ci appare in equilibrio statico, vale a dire le sue osservabili
non cambiano nel tempo. La Termodinamica si fonda su questo tipo di osservazioni. Essa studia gli stati di equilibrio e i passaggi da uno stato di
equilibrio ad un altro. Questi passaggi, o trasformazioni, hanno luogo per
linterazione del sistema con lesterno, che avviene attraverso trasferimenti
di energia. Lenergia trasferita pu`o essere di tipo meccanico ed `e allora associata al cambiamento di una variabile macroscopica, come per esempio il
volume, oppure essa viene trasferita alle variabili microscopiche, sotto forma
di calore.

2.1

Funzioni estensive ed intensive

Nella termodinamica `e importante distinguere le quantit`


a estensive da quelle
intensive. Le prime dipendono linearmente dal volume del sistema. Vediamo
le definizioni esatte.
Una funzione si dice omogenea di grado (od ordine) n se
f (x) = n f (x)

(2.1)

Una funzione di pi`


u variabili `e omogenea di ordine n se
f (x1 , x2 , . . .) = n f (x1 , x2 , . . .)
7

(2.2)

Una funzione estensiva `e una funzione omogenea del primo ordine.


Una funzione intensiva `e una funzione omogenea di ordine zero delle
variabili estensive, la funzione intensiva p sar`
a caratterizzata dalla propriet`a
p(x1 , x2 , . . .) = p(x1 , x2 , . . .)

2.2

(2.3)

Primo principio della termodinamica

Nella termodinamica un ruolo essenziale `e giocato dallenergia. Allequilibrio, lenergia interna, definita come la somma delle energie di tutte le
particelle, che compongono il sistema, rimane costante ed `e misurabile macroscopicamente.
Per quello che riguarda gli stati di equilibrio, essi si possono definire in
base al postulato che gli stati di equilibrio macroscopico di un sistema sono
quelli caratterizzati completamente dalle variabili energia interna E, volume
V e numero di particelle (o moli) delle diverse componenti N1 , N2 ,. . .
A priori non `e garantito che le variabili siano sufficienti per descrivere
lo stato del sistema, se esso si trovasse in un campo esterno, dovremmo
aggiungere altre variabili, per esempio il dipolo totale, se si trattasse di un
campo elettrico. Solo losservazione sperimentale ci garantir`
a che abbiamo
incluso tutte le variabili necessarie.
Il primo principio della termodinamica si pu`o formulare in termini di
postulati sullenergia interna E.
PE-1 Lenergia interna E `e una funzione estensiva del volume e del numero
di particelle delle diverse componenti.
PE-2 Un cambiamento infinitesimo dellenergia interna durante un trasformazione `e dato da
dE = Q + W
(2.4)
vale a dire il cambio infinitesimo di energia `e determinato dal calore infinitesimo Q trasferito al sistema, e dal lavoro W infinitesimo compiuto sul
sistema. Da notare che dE, differenziale esatto, non deve essere considerato
la somma di Q e di W , che in generale possono non essere differenziali
esatti.

2.3

Vincoli e trasformazioni

Un sistema termodinamico pu`o subire una trasformazione se riceve o cede


verso lesterno lavoro e/o calore e/o particelle. Se pensiamo che il contatto con lesterno avvenga attraverso delle pareti, che lo racchiudono esse
costituiscono dei vincoli.
Un vincolo pu`o essere:
8

a) adiabatico se impedisce lo scambio di calore


b) rigido se non permette la variazione di volume
c) impermeabile se non consente lo scambio di particelle
Un sistema pu`o essere anche suddiviso in sottosistemi da pareti interne
anche vincoli interni. La parete in figura divide il sistema in due parti con
volumi V1 e V2 . Se la parete pu`o muoversi, potremo avere una variazione
dei volumi interni, anche se il volume totale V = V1 + V2 rimane costante.

V
1

V
2

Uno stato `e di equilibrio compatibilmente con i vincoli applicati. Una


trasformazione da uno stato A ad uno stato B pu`o avvenire rimuovendo uno
o pi`
u vincoli applicati al sistema quando `e nello stato A. Lo stato B sar`a
quello di equilibrio, compatibilmente con i vincoli rimasti.
In termodinamica si definiscono delle trasformazioni quasi-statiche, ottenute attraverso un processo ideale, nel quale la trasformazione avviene con
cambiamenti cos` lenti, che il sistema va da uno stato A ad uno stato B attraverso una successione di stati di equilibrio. Il concetto di trasformazione
quasi statica `e strettamente legato alla possibilit`a che essa sia anche reversibile. Se infatti si va da uno stato A ad uno stato B, attraverso successivi
stati di equilibrio, `e possibile pensare di percorrere il processo inverso nello
stesso modo. Ad essere rigorosi che una trasformazione sia quasi statica `e
una condizione solo necessaria perch`e sia reversibile, ma per semplificare le
considereremo equivalenti.

2.4

Il secondo principio della termodinamica e lentropia

La (2.4) ci dice che durante una trasformazione lenergia si pu`o convertire


in diverse forme, ma non predice in che modo si evolver`
a il sistema. Se esso
si trova in uno stato A in presenza di vincoli, se rimuoviamo uno o pi`
u di
tali vincoli, possiamo domandarci in quale nuovo stato B di equilibrio andr`a
a finire. Per poter trattare questo problema occorre introdurre la funzione
entropia.
PS-1 Esiste una funzione entropia S, che ha le seguenti propriet`a:
`e una funzione estensiva di E, V, N1 , N2 , . . .

`e una funzione continua, differenziabile e monotona crescente


dellenergia interna E
PS-2 Se uno stato B di equilibrio `e raggiungibile da uno stato A di equilibrio, in modo adiabatico, rimuovendo vincoli interni, allora si avr`
a
SB SA , dove il segno di eguaglianza vale se B `e accessibile da A in
modo reversibile.
Per questo ultimo postulato, nei processi naturali, che avvengono in
sistemi isolati, avremo che S = SB SA sar`a sempre positiva, o pi`
u in
generale
(S)adiabatica 0
(2.5)
dove il segno di uguale vale se la trasformazione `e reversibile.
Dai postulati sullentropia (PS-1,2) si pu`o derivare che esiste un principio
di minimo per lenergia interna. Per vederlo, consideriamo un sistema isolato, composto da due sottosistemi Xa e Xb , separati da una parete isolante,
con energie Ea0 e Eb0 rispettivamente. Lenergia totale sar`a
E 0 = Ea0 + Eb0
e lentropia sar`a la somma delle entropie dei due sottosistemi

S E 0 , Va + Vb , N1a + N1b , . . . , {} =

S Ea0 , Va , N1a , . . . , {} + S Eb0 , Va , N1b , . . . , {}

Rimuoviamo ora il vincolo adiabatico interno, si avranno nuove energie


di equilibrio
Ea = Ea0 E
Eb = Eb0 + E
dove E `e lenergia scambiata. Per quanto stabilito sopra avremo che
lentropia finale sar`a maggiore di quella iniziale ad energia totale costante

S Ea0 + Eb0 , . . . , {} < S (Ea + Eb , . . . , { = 0})


Ma lentropia in base al PS-1 `e una funzione monotona crescente dellenergia interna, quindi esister`a unenergia
E < Ea + Eb
tale che

S Ea0 + Eb0 , . . . , {} = S (E, . . . , { = 0})


Ad entropia costante, rimuovendo i vincoli, avremo quindi
E(S, . . . , { = 0}) < E 0 (S, . . . , {})
10

(2.6)

Da (PS-1), tenendo per semplicit`a le Ni costanti, abbiamo

dS =

S
E

dE +
V

S
V

dV

(2.7)

Grazie a (PS-1) inoltre possiamo invertire la relazione fra S ed E


E = E (S, V, N1 , N2 , . . .)
e quindi

dE =
con

E
S

S
E

dS +
V

=
V

E
V

E
S

dV

(2.8)

(2.9)
V

Lentropia `e importante per stabilire le condizioni di equilibrio di un


sistema, ma anche perch`e attraverso essa possiamo collegare la termodinamica ai concetti statistici. Daltra parte, una volta che sia avvenuta la
trasformazione, che essa sia stata provocata dal nostro intervento o sia avvenuta spontaneamente, come avviene nei processi naturali, non fa differenza.
Sappiamo che in natura esistono dei processi che avvengono solo in una direzione e sono quindi irreversibili. Le trasformazioni spontanee provengono
dalle fluttuazioni microscopiche, che hanno luogo nel sistema, quindi la comprensione della direzione in cui avvengono, della loro irreversibilit`
a, `e legata
alla natura statistica di tali fluttuazioni. Levoluzione spontanea verso uno
stato termodinamico si pu`o interpretare come levoluzione verso uno stato,
che ha pi`
u probabilit`a di essere realizzato. Boltzmann elabor`o questi concetti e pose le basi della meccanica statistica legando la funzione entropia
alla probabilit`a dello stato macroscopico.

2.5

Definizione della temperatura

Lungo una trasformazione reversibile


dE = (Q)rev pdV
Dalla (2.8) abbiamo quindi

(Q)rev =

E
S

dS
V

Possiamo definire la temperatura T come

T =

E
S

11

(2.10)
V

dato che S `e monotona crescente di E, la temperatura (2.10) `e sempre


positiva. Essa `e il fattore integrante del calore infinitesimo scambiato lungo
una trasformazione reversibile
(Q)rev = T dS
Dalla (2.8) abbiamo anche che

p=

E
V

(2.11)
S

Dalla (2.7) inoltre


T dS = dE + pdV
da cui ricaviamo

p=T

2.6

S
V

(2.12)
E

Condizioni di equilibrio

Le condizioni di equilibrio possono essere stabilite a partire dal principio di


massimo dellentropia (o di minimo dellenergia). Per semplificare la notazione assumiamo che il sistema abbia una sola componente. Consideriamo lo
stato di equilibrio in assenza di vincoli interni e perturbiamo il sistema con
una piccola variazione virtuale di alcuni vincoli interni, il cambio di entropia
sar`a dato da
(S)E,V,N = S (E, V, N, {i }) S (E, V, N, {i = 0}) 0

(2.13)

dato che lentropia deve essere massima allequilibrio. Sviluppando in serie


di Taylor abbiamo
(S)E,V,N dS ({i }) + d2 S ({i }) 0
con
dS =

X S

d2 S =

X
ij

2S
i j

di

(2.14)

(2.15)

di dj

(2.16)

La condizione di massimo per lentropia nello stato di equilibrio comporta


che
dS = (i 0) = 0

(2.17)

d2 S = (i 0) 0

(2.18)

12

Per lenergia potremo fare un analogo ragionamento, essa dovr`


a essere
minima per lo stato di equilibrio
(E)S,V,N = E (S, V, N, {i }) E (S, V, N, {i = 0}) 0

(2.19)

le condizioni di minimo ora sono


dE = (i 0) = 0

(2.20)

d2 E = (i 0) 0

(2.21)

Per ora consideriamo le condizioni al primo ordine (2.17,2.20), sulle


condizioni al secondo ordine torneremo in seguito.
Equilibrio termico
Consideriamo un sistema isolato, composto di due sottosistemi X1 e X2 ,
separati da una parete rigida, adiabatica e impermeabile. Lenergia totale
E = E1 + E2
sar`a costante. Pensiamo di rilasciare il vincolo di adiabaticit`a della parete
interna, ci sar`a uno scambio di energia fra i due sottosistemi. Dato che
lenergia totale deve restare costante
dE1 = dE2

(2.22)

Allequilibrio dovr`a essere soddisfatta la condizione (2.17) e quindi

dS =

S1
E1

V1 ,N1

dE1 +

S2
E2

V2 ,N2

dE2 = 0

(2.23)

Dalla (2.22) e ricordando la (2.10), la (2.23) diventa

1
1

dE1 = 0
T1 T2

(2.24)

che si deve verificare per ogni valore di dE1 , quindi la condizione di equilibrio
sar`a data da
T1 = T2
(2.25)
Il sistema risulta in equilibrio, se i due sottosistemi, da cui `e composto,
hanno la stessa temperatura.
Equilibrio meccanico
Se nel sistema, che abbiamo considerato ora, rilasciamo non solo il vincolo di adiabaticit`a ma permettiamo alla parete di non essere rigida, il volume
dei due sottosistemi varier`a in modo da lasciare costante il volume totale
V = V1 + V2 . In aggiunta alla (2.22) avremo anche
dV1 = dV2
13

(2.26)

La condizione di equilibrio (2.17) diventa ora

1
1

dE1 +
T1 T2

p1
p2

dV1 = 0
T1 T2

(2.27)

Il sistema sar`a in equilibrio se oltre alla (2.25) abbiamo anche soddisfatta la


condizione di equilibrio meccanico
p1 = p2

2.7

(2.28)

Potenziale chimico ed equilibrio chimico

Abbiamo finora considerato costante il numero di particelle delle diverse


componenti. Se vogliamo variare la quantit`
a di particelle dobbiamo compiere
un lavoro; questo lavoro viene chiamato chimico. Se variamo il numero di
particelle in modo quasi statico, esso sar`a dato da
Wc =

n
X

i dNi

(2.29)

i=1

dove `e stato definito il potenziale chimico della specie i-esima i . Dal primo
principio (2.4) avremo che
dE = T dS pdV +

n
X

i dNi

(2.30)

i=1

Il potenziale chimico `e quindi dato anche dalla derivata

i =

E
Ni

(2.31)
S,V,Nk6=i

Si pu`o ora ricavare unaltra condizione di equilibrio. Consideriamo il


solito sistema isolato, separato in due sottosistemi X1 e X2 , ma questa
volta rilasciamo anche il vincolo di impermeabilit`a della parete interna. Si
verifica facilmente che la condizione di equilibrio, perch`e non ci sia flusso
(macroscopico) di particelle da una regione allaltra, `e data dalleguaglianza
dei potenziali chimici
(1)
(2)
i = i
(2.32)
`e quello che si chiama equilibrio chimico o materiale.

2.8

Equazioni di stato e condizioni di equilibrio

Ricordiamo che le condizioni di equilibrio (2.25),(2.28),(2.32), sono state


ricavate dividendo il sistema isolato in due sottosistemi. Dato che i due sottosistemi sono generici, `e chiaro che un sistema `e in equilibrio se le variabili
intensive T, p, soddisfano alle condizioni:
14

Equil. termico
T uguale in tutti i punti
Equil. meccanico p uguale in tutti i punti
Equil. materiale
uguale in tutti i punti
Le quantit`a intensive sono derivate dellenergia rispetto alle variabili
estensive, tali relazioni costituiscono le equazioni di stato del sistema:

E
T
=
S V,Ni

E
p =
V S,Ni

E
i =
N S,V,Nj6=i

2.9

(2.33)
(2.34)
(2.35)

Funzioni intensive e quantit`


a molari

Riprendiamo le propriet`a delle funzioni intensive descritte al paragrafo (2.1).


Per esempio consideriamo la pressione
p (S, V, N1 , . . . , Nn ) = p (S, V, N1 , . . . , Nn )

(2.36)

Se N = N1 + . . . + Nn , definiamo le concentrazioni o (frazioni molari) come


Ni
N

xi =

(2.37)

esse non sono indipendenti in quanto


n
X

xi = 1

(2.38)

i=1

Se nella (2.36) poniamo = 1/N , abbiamo

p=p

S V
, , x1 , . . . , xn1
N N

(2.39)

Le funzioni intensive dipendono da un parametro in meno.


Si possono definire per le variabili estensive delle corrispondenti quantit`
a
per particella o per mole del tipo
s=

S
N

se N `e il numero di particelle (o moli),s sar`a lentropia per particella (o per


mole). Per una sola componente le equazioni di stato si possono riscrivere
come
T = T (s, v)
p = p(s, v)
= (s, v)
(2.40)
15

2.10

Relazione di Gibbs-Duhem

Il differenziale di una funzione a molte variabili `e


df =

n
X
f
i=1

xi

xj6=i

dxi

(2.41)

` facile dimostrare il teorema di Eulero per le funzioni omogenee del


E
primo ordine

n
X
f
xi
(2.42)
f (x1 , . . . , xn ) =
xi xj6=i
i=1
Applichiamo la (2.42) allenergia interna E
E = E (S, V, N1 , . . . , Nn )
che possiamo scrivere come

E=

E
S

S+
V,Ni

E
V

V +

X E

S,Ni

Ni

quindi
E = T S pV +

S,V,Nj

Ni

i Ni

(2.43)

(2.44)

Il differenziale totale della (2.44) sar`a


dE = T dS + SdT pdV V dp +

(i dNi + Ni di )

ma il differenziale dellenergia dalla (2.8) e dalla (2.31) risulta essere


dE = T dS pdV +

i dNi

(2.45)

quindi deve essere soddisfatta la relazione, detta di Gibbs-Duhem


SdT V dp +

Ni di = 0

(2.46)

Questa relazione `e importante perche collega fra loro le tre variabili intensive,
che non sono quindi indipendenti. Nel caso ad una componente dalla (2.46)
ricaviamo
d = sdT + vdp
(2.47)

16

2.11

Trasformate di Legendre e potenziali termodinamici

Consideriamo una funzione di n variabili f = f (x1 , . . . , xn ), che abbia un


differenziale esatto
n
df =

ui dxi

(2.48)

i=1

dove le

ui =

f
xi

(2.49)
xj

sono dette varaiabili coniugate alle xi .


Vogliamo sostituire ad alcune delle variabili indipendenti xi le corrispondenti ui , per semplicit`a le ordiniamo, spostando alla fine quelle che vogliamo
sostituire
x1 , . . . , xm , xm+1 , . . . , xn x1 , . . . , xm , um+1 , . . . , un
Definiamo la trasformata di Legendre della funzione f come
g=f

n
X

ui xi

(2.50)

i=m+1

la quale `e una funzione g = g(x1 , . . . , xm , um+1 , . . . , un ). Il suo differenziale


sar`a dato da
m
n
dg =

ui dxi +

i=1

(xi )dui

(2.51)

i=m+1

Vediamo lapplicazione delle (2.50)-(2.51) alle funzioni termodinamiche.


Partiamo dallenergia interna E = E(S, V, N1 , . . . , Nn ), richiamando (2.45)
dE = T dS pdV + 1 dN1 + . . . + n dNn

(2.52)

Le variabili indipendenti sono quindi S, V, N1 , . . . , Nn . Lentropia non `e


sempre comoda da usare come variabile indipendente, supponiamo di volerla
sostituire con la sua coniugata, la temperatura

T =

E
S

(2.53)
V,Ni

dobbiamo considerare la trasformata di Legendre della E, che in accordo


alla (2.50) `e data dalla funzione
A(T, V, N1 , . . . , Nn ) = E T S

(2.54)

La nuova funzione viene chiamata energia libera di Helmholtz e il suo differenziale `e dato da
dA = SdT pdV +

n
X
i=1

17

i dNi

(2.55)

Con luso delle trasformate di Legendre si possono introdurre diversi


potenziali termodinamici, in base alle variabili indipendenti che vogliamo
usare. Se nellenergia interna vogliamo sostituire il volume con la pressione,
ricordando che

E
p=
V S,Ni
dobbiamo sostituire a V p e otteniamo lentalpia
H(S, p, N1 , . . . , Nn ) = E + pV

(2.56)

Un potenziale termodinamico molto importante `e lenergia libera di


Gibbs, ottenuta dalla E sostituendo (S, V ) (T, p)
G(T, p, N1 , . . . , Nn ) = E T S + pV
con

n
X

dG = SdT + V dp +

i dNi

(2.57)
(2.58)

i=1

La funzione G `e molto usata, perche le variabili T, p sono, in genere, le pi`


u
semplici da fissare sperimentalmente.
Negli sviluppi teorici si usa spesso il potenziale gran canonico, ottenuto
da E, sostituendo (S, Ni ) (T, i )
(T, V, 1 , . . . , n ) = E T S

i Ni

(2.59)

con
d = SdT pdV

Ni di

(2.60)

In base al teorema di Eulero tutti i potenziali termodinamici sono funzioni lineari delle variabili estensive. Vediamo una conseguenza per lenergia
libera di Gibbs, che si pu`o scrivere come
G=

n
X
G

Ni

i=1

Daltra parte dalla (2.44) abbiamo


G=

Nj

Ni

i Ni

(2.61)

da cui

i =

G
Ni

(2.62)
Nj

Notiamo che sostituendo la (2.61) nella (2.59), otteniamo


= pV

(2.63)

Per una sola componente abbiamo naturalmente


G = N

(2.64)

e il potenziale chimico risulta essere lenergia libera di Gibbs per particella.


18

2.12

Relazioni di Maxwell e alcune conseguenze

Se una funzione ha un differenziale esatto

df =
avremo che

f
x

f
x

dx +
y

=
y

f
y

dy
x

f
y

(2.65)
x y

Relazioni di questo tipo, riferite a derivate seconde di potenziali termodinamici, sono dette relazioni di Maxwell. Per esempio, se consideriamo il
differenziale della A (2.55), abbiamo

S
V

=
T,N

p
T

(2.66)
V,N

Dal differenziale della G (2.58)

2.13

S
p

=
T,N

V
T

(2.67)
p,N

Le funzioni risposta macroscopiche

Ci sono delle funzioni termodinamiche che ci mostrano come il sistema risponde, quando modifichiamo un parametro come la temperatura, la pressione etc. Una tipica funzione di questo tipo `e il coefficiente di espansione
termica

1 V
p =
(2.68)
V T p
Abbiamo poi la compressibilit`a isoterma
1
KT =
V
e quella adiabatica
KS =

1
V

V
p
V
p

(2.69)
T

(2.70)
S

Queste funzioni sono collegate alle capacit`a termiche. La capacit`a termica a volume costante `e data da

CV = T

S
T

(2.71)
V

mentre quella a pressione costante `e data da

Cp = T
19

S
T

(2.72)
p

Dalle relazioni di Maxwell `e possibile ricavare la relazione


p2
KT

(2.73)

T V p2
Cp

(2.74)

Cp CV = T V
e anche
KT KS =

2.14

Condizioni di stabilit`
a per un sistema

Le condizioni equivalenti di massimo dellentropia e di minimo dellenergia


ci assicurano che il sistema isolato `e in equilibrio. Se per`o il sistema `e
in contatto con lesterno, quali saranno le condizioni di equilibrio ? Esse
dipenderanno ovviamente dal tipo di scambio con lesterno che il sistema
pu`o compiere. Supponiamo che un sistema possa scambiare calore con un
bagno termico 0 , definito come un sistema che scambia calore mantenendo
una temperatura costante. Il sistema totale tot = + 0 `e isolato, quindi
lentropia totale
Stot = S + S0
`e costante e abbiamo
dS = dS0

(2.75)

dEtot = dE + T0 dS0 = dE T0 dS

(2.76)

Il cambio di energia totale `e

Se e 0 sono in equilibrio T = T0 e la condizione di minimo per lenergia


di tot diventa
d(E T S)T =T0 = 0
(2.77)
Quindi per il nostro sistema la condizione di equilibrio diventa una condizione di minimo per lenergia libera di Helmholtz, a fissata temperatura; per
dirlo meglio: gli stati di equilibrio di un sistema in contatto con un bagno
termico sono quelli che, avendo una temperatura uguale a quella del bagno
termico, minimizzano lenergia libera di Helmholtz.
Se sviluppiamo in serie di Taylor il cambio di energia totale, avremo
(E)Stot ,Vtot ,Ntot = (E + T0 S0 )Stot ,Vtot ,Ntot dE + T0 dS0 + d2 E 0
(2.78)
e la condizione al secondo ordine `e quindi
d2 E 0

(2.79)

Se il sistema pu`o variare il proprio volume in contatto con un bagno termico, che garantisce una temperatura e una pressione costante, la
condizione di equilibrio diventa
(dG)T =T0 ,p=p0 = d (E T S + pV )T =T0 ,p=p0 = 0
20

(2.80)

quindi gli stati di equilibrio di un sistema in contatto con un bagno termico,


che mantiene temperatura e pressione costanti, sono quelli che, avendo una
temperatura e una pressione uguali a quelle del bagno termico, minimizzano
lenergia libera di Gibbs.
In modo analogo si pu`o procedere per gli altri potenziali termodinamici e
ritrovare le condizioni di equilibrio, per esempio, se il sistema pu`o scambiare
anche particelle con lesterno
(d)T =T0 ,=0 = 0

(2.81)

La condizione al secondo ordine (2.79) ci assicura la stabilit`a del sistema. La (2.79) si traduce nelle condizioni sulle derivate seconde dellenergia
interna

2E
T
=
0
(2.82)
S 2 V,N
S V,N

2E
V 2

S,N

p
=
V

2E 2E

S 2 V 2

(2.83)

S,N

!2

2E
SV

(2.84)

Dalle (2.82)-(2.84) si ottengono alcune importanti diseguaglianze


compressibilit`a isoterma
KT 0

(2.85)

KS 0

(2.86)

compressibilit`a adiabatica
capacit`a termica a volume costante
CV 0

(2.87)

Dalla (2.73) ricaviamo anche


Cp > CV

(2.88)

Le condizioni sulle derivate seconde dellenergia interna ci dicono che


essa `e una funzione convessa di S e V . Lentropia `e invece una funzione
concava.
Anche gli altri potenziali termodinamici hanno propriet`a di convessit`
a
o concavit`a definita, rispetto ai parametri, dei quali sono funzioni. Per
lenergia libera di Helmholtz abbiamo

2A
V 2

=
T,N

21

p
V

0
T,N

(2.89)

che `e positiva per via della (2.85), mentre a causa della (2.87) abbiamo

2A
T 2

=
V,N

S
T

=
V,N

CV
0
T

(2.90)

quindi la funzione A `e concava in T e convessa in V .


Lenergia libera di Gibbs risulta essere una funzione concava di T e P .
La violazione di questo tipo di andamenti `e il segnale di una instabilit`a nel
sistema ed `e tipica di regioni, dove si verificano transizioni di fase.
Prima di concludere sulla stabilit`a dei sistemi, notiamo che il segno positivo delle funzioni risposta, come la compressibilit`a, esprimono il fatto che
le fluttuazioni spontanee del sistema, in risposta alla variazione di un parametro esterno (come la pressione), vanno nella direzione di ripristinare le
condizioni di equilibrio, annullando leffetto della perturbazione. Questo `e
chiamato in termodinamica principio di Le Chatelier, ma `e un effetto presente in tutta la Fisica, basta pensare alla legge di Lenz. I sistemi, per dirlo
in breve, tendono ad opporsi ai cambiamenti!

2.15

Equilibrio delle fasi

Se in un sistema sono presenti fasi diverse coesistenti, le condizioni di equilibrio sono le stesse ottenute in 2.8. Per semplificare pensiamo di avere due
fasi in equilibrio, indicate con a e b, avremo
T (a) = T (b)

p(a) = p(b)

(a)

(b)

= i

(2.91)

In genere, quando si studia un sistema, si fissano dallesterno T o p,


le condizioni di eguaglianza dei potenziali chimici determinano le curve di
coesistenza delle fasi. Per esempio, se il sistema ha una componente, T e p
devono esssere gli stessi nelle due fasi, abbiamo
(a) (T, p) = (b) (T, p)

(2.92)

che `e unequazione in due incognite, da essa quindi si pu`o ricavare una


funzione
pcoex = p (T )coex
(2.93)
che definisce una curva nel piano (p, T ), la curva di coesistenza fra le due
fasi.
Se abbiamo un sistema con una componente e tre fasi, che devono
coesistere, oltre alla (2.92), dovr`
a essere soddisfatta la
(b) (T, p) = (c) (T, p)
quindi con due equazioni e due incognite otterremo una sola soluzione, che
rappresenta il punto triplo, come quello che abbiamo nelle figure 1.1,1.2. La
generalizzazione a pi`
u componenti e fasi porta alla regola delle fasi di Gibbs.
22

a
a

T0

Figura 2.1:

a
a

T0

Figura 2.2:

2.16

Transizioni di fase e loro classificazione

Per semplicit`a consideriamo un sistema ad una componente con N particelle.


Lo stato stabile sar`a quello di minima energia libera di Gibbs, per dati T e
p. Cambiando una delle variabili libere o entrambe, possiamo cambiare la
fase di equilibrio del sistema. Consideriamo il potenziale chimico, fissiamo
p e guardiamo allandamento in funzione di T (figura 2.1)
Vediamo che
T < T0 la fase stabile `e la (a)
T > T0 la fase stabile `e la (b)
Al punto T = T0 abbiamo una transizione di fase. La curva di equilibrio `e
quindi quella continua nella figura 2.2.

23

fase a
fase b

T
Figura 2.3:

Al variare della pressione possiamo costruire una curva di coesistenza fra


le fasi a e b nel piano (T, p)
Si vede anche dalla figura 2.2 che mentre `e continuo in T0 , abbiamo
una discontinuit`a nella derivata. Questo accade anche nellandamento a
fissata T in funzione di p. Alla transizione di fase, quindi, abbiamo delle
discontinuit`a nelle derivate

s=

v=
p

(2.94)
T

Alla transizione ci sar`a una discontinuit`


a nellentropia
s = s(b) s(a)

(2.95)

v = v (b) v (a)

(2.96)

e un cambio di volume
Le transizioni di questo tipo, con discontinuit`
a nelle derivate prime del
potenziale termodinamico, sono dette del primo ordine.
Vi sono poi transizioni di fase dove le derivate prime sono continue e si
hanno non analiticit`a nelle derivate seconde. Si parla allora di transizioni
di fase del secondo ordine. Le transizioni di fase sono sempre caratterizzate da un comportamento non analitico del potenziale termodinamico, che
caratterizza il sistema.
In una transizione del primo ordine abbiamo visto che il volume `e discontinuo, lungo unisoterma, al punto di transizione dovranno essere soddisfatte
le condizioni

p(a) T, v (a)

= p(b) T, v (b)
24

(2.97)

(a) T, p(a)

= (b) T, p(b)

(2.98)

Da esse si ricavano i valori di v (a) e v (b) .


Lungo la curva di coesistenza si pu`o anche scrivere unequazione differenziale, dalla (2.92)

= d(b)
(2.99)
d(a)
coex

coex

Ricordando che
d = sdT + vdp
abbiamo

s(a) dT + v (a) dp = s(b) dT + v (b) dp

coex

da cui si ricava lequazione di Clausius-Clapeyron

dp
dT

=
coex

q
T v

(2.100)

dove `e stato introdotto il calore latente della transizione


q = T s

2.17

(2.101)

Equazione di Van der Waals

Van der Waals introdusse nel 1873 unequazione di stato con lidea di tener
conto, in modo approssimato, dellinterazione fra le molecole di un gas. La
sua equazione riesce a descrivere la transizione liquido-vapore ed `e alla base
di molte equazioni di stato empiriche, tuttora usate in impieghi pratici. Le
idee, dalle quali `e derivata lequazione, sono daltra parte ancora valide ed
anzi costituiscono le linee guida di molti sviluppi teorici successivi.
Si vuole scrivere unequazione di stato, che ricordi quella del gas ideale,
che richiamiamo
pV = N kB T
Si introducono due effetti: il primo `e detto di volume escluso, due particelle
del sistema avranno una repulsione a corta distanza, che impedisce la loro
sovrapposizione (fig. 2.4)
Si introduce il parametro empirico b, che rappresenta la porzione di volume escluso di ciascuna molecola. Il volume totale occupabile sar`a quindi
V nb e lequazione di stato diventa
p (V N b) = N kB T
Si vede che per N e T finiti, quando p diventa molto grande, il volume non va
a zero come accade per il gas ideale, ma V N b, si ha quindi un massimo
impacchettamento possibile delle molecole.
25

Oltre alleffetto repulsivo, si avr`


a anche una attrazione fra le particelle,
che produrr`a una diminuizione della pressione. Nel gas ideale la pressione
era dovuta agli urti con le pareti, ora questi urti saranno diminuiti per effetto
delle forze attrattive, che tenderanno a tenere una particella pi`
u lontana dalle
pareti. La diminuizione sar`a proporzionale al numero di coppie di particelle
presenti e quindi avremo un termine del tipo
a

N2
V2

dove a `e un altro parametro empirico.

Figura 2.4:
Lequazione diventa quindi

N2
p+a 2
V

(V N b) = N kB T

(2.102)

Riscriviamola in termini di v = V /N , ci sono varie forme equivalenti;


come polinomio di terzo grado in v diventa

kB T
v b+
p

a
ab
v2 + v
=0
p
p

(2.103)

Nel limite di grandi T e p la (2.103) diventa


v3

kB T 2
v =0
p

(2.104)

che non `e altro che lequazione del gas ideale.


Dalla (2.102) si possono ricavare le isoterme p = p(v) nella forma
p=

a
kB T

(v b) v 2

(2.105)

Le curve, che si ottengono, sono come quelle in figura 2.5 per diverse temperature.
Le temperature decrescono a partire dallalto e al disotto di una certa
temperatura cominciano ad apparire curve dove

p
v

>0
T

26

(2.106)

100

275

p (atm)

265

50

255

245

235

225

0.0001

0.0002 0.0003
3
v (m /mole)

0.0004

Figura 2.5:

e quindi la compressibilit`a isoterma risulta negativa, violando la condizione


di stabilit`a (2.85). Le porzioni di curva, dove ci`o si verifica, stanno ad
indicare una regione del piano termodinamico, dove il sistema subisce una
transizione di fase. Mentre la regione, dove il volume `e minore di quello a cui
compare l instabilit`a, si pu`o identificare come quella del liquido, la regione
a volume grande corrisponde al gas.
Allequilibrio le due fasi coesistono, se sono soddisfatte le condizioni
(2.91). Ora muovendoci lungo lisoterma avremo per il potenziale chimico
(d)isot = (vdp)isot

(2.107)

integrando lungo il percorso dellisoterma abbiamo


(2) (1) =

Z (2)
(1)

vdp = 0

imponendo leguaglianza dei potenziali chimici.


secondo membro della (2.108)
p2 v2 p1 v1

Z (2)
(1)

pdv = 0

(2.108)
Integriamo per parti il

(2.109)

Teniamo conto che le due pressioni devono essere uguali p1 = p2 e introduciamo il volume v3 , tale che v1 < v3 < v2 come nella figura 2.6
27

50

40
p1

30

20
v2

v3

v1

Figura 2.6:

Possiamo riscrivere la (2.109) come


p1 (v3 v1 )

Z (3)
(1)

Z (2)

pdv =

(3)

pdv p1 (v2 v3 )

(2.110)

Come si vede dalla figura 2.6, la (2.110 `e equivalente ad imporre la condizione


` quella
che le due aree in figura, segnate da un punto nero, siano uguali. E
che si chiama costruzione di Maxwell. Da essa si determinano la pressione e
i volumi delle due fasi alla coesistenza. Lisoterma vera a partire da v1 `e una
retta parallela allasse v fino al volume v2 . Notiamo che nella costruzione
di Maxwell viene esclusa la porzione di curva dove `e verificata la violazione
della stabilit`a (2.106) insieme ad una porzione dove invece la stabilit`a non
`e violata.
Nel piano (v, p) avremo cos` per ogni temperatura, due punti, che rappresentano la coesistenza delle due fasi. Potremo costruire una curva di
coesistenza, come nella figura seguente
Al crescere della temperatura i volumi delle fasi coesistenti v1 e v2 si
avvicinano fino ad una temperatura dove v1 = v2 . In questo punto lisoterma
presenta un punto di flesso e la transizione avviene senza cambio di volume,
`e quindi del secondo ordine. La temperatura che presenta unisoterma col
punto di flesso `e quella critica, definita dalle condizioni

p
v

2p
v 2

= 0

(2.111)

= 0

(2.112)

T =Tc

T =Tc

Al di sopra di Tc le isoterme hanno un andamento monotono decrescente, vi


`e quindi una sola fase presente, mentre sotto Tc avremo due fasi coesistenti.
28

60

0.0002 0.0004
Figura 2.7:

Dallequazione di Van der Waals, imponendo le condizioni (2.112-(2.112)


possiamo determinare i valori critici
vc = 3b

2.18

pc =

a
27b

Tc =

8 a
27 kB b

(2.113)

Principio degli stati corrispondenti

Se definiamo dalle (2.113) le variabili ridotte


T
T =
Tc

v =

v
vc

p =

p
pc

(2.114)

lequazione di Van der Waals (2.102) si pu`o riscrivere come

3
v 1) = 8T
p + 2 (3
v

(2.115)

Abbiamo quindi unequazione di stato valida per tutte le sostanze. Le isoterme sono le stesse e in particolare `e la stessa la curva di coesistenza.
Questa predizione dellequazione di Van der Waals si chiama legge degli stati corrispondenti ed `e verificata in effetti da molte sostanze, anche se non `e
29

riprodotta esattamente dallequazione (2.115). Se si rappresentano i punti


di coesistenza liquido-gas per diverse sostanze nel piano T /Tc vs. /c , i
punti collassano tutti sulla stessa curva. Questa curva `e diversa, soprattutto vicino al punto critico, da quella di Van der Waals, per`o la predizione di
universalit`a di comportamento `e verificata.

30

Capitolo 3

Richiami di Meccanica
Statistica
3.1

Teoria degli ensembles

Ad un macrostato con definiti N ,V ed energia interna E corrispondono un


enorme numero di microstati a livello microscopico. La meccanica statistica
si occupa di calcolare le propriet`a macroscopiche a partire dagli stati microscopici di un sistema, attraverso delle operazioni di media sulle fluttuazioni,
che hanno luogo a livello microscopico.
Nelle misure sperimentali quello che osserviamo sono medie su tempi
molto pi`
u lunghi dei tempi atomici. Se A(t) `e un generico operatore, definito
sulle variabili dinamiche microscopiche, associato ad un osservabile, esso
evolve nel tempo in accordo alle leggi di Newton. Una misura di A sar`
a una
media temporale del tipo
1
t t

A = lim

Z t
0

dt0 A t0

(3.1)

Per calcolare queste medie in meccanica statistica si realizzano delle


copie mentali del sistema, equivalenti perch`e corrispondono allo stesso stato
macroscopico. Si assume che tutti i microstati siano ugualmente probabili,
`e quello che si chiama: postulato della probabilit`
a uguale a priori. Questo
insieme di copie mentali viene chiamato ensemble e la media temporale (3.1)
viene rimpiazzata da una media sullensemble.
hAi = A

(3.2)

Un sistema classico in tre dimensioni `e caratterizzato da 3N coordinate


(q1 , . . . , q3N ) e 3N impulsi (p1 , . . . , p3N ). Nello spazio delle fasi a 6N dimensioni un punto rappresenta uno stato microscopico. Il punto evolve in
base alle equazioni di Hamilton. Un ensemble `e un insieme di questi punti,
caratterizzati dal fatto che corrispondono ad uno stesso stato macroscopico.
31

Si evolveranno in un volume limitato e con un valore fissato dellenergia (se


H `e lhamiltoniana)
H(q1 , . . . , q3N , p1 , . . . , p3N ) = E

(3.3)

Per descrivere
nello spazio delle fasi, si introduce la funzio levoluzione

N
N
ne densit`a q , p , t , dove qN = (q1 , . . . , q3N ) e pN = (p1 , . . . , p3N ),
normalizzata in modo che
Z

dqN dpN qN , pN , t = 1

(3.4)

essa descrive ad ogni istante la densit`a di punti nello spazio delle fasi e
quindi il modo in cui sono distribuiti i membri dellensemble. La densit`a di
probabilit`a soddisfa allequazione di evoluzione temporale di Liouville

= iL qN , pN , t
t

(3.5)

dove L `e loperatore di Liouville, che agisce su una funzione f come le


parentesi di Poisson
Lf = {f, H} =

qi

f
f
+ pi
qi
pi

(3.6)

Le distribuzioni che ci interessano sono quelle di equilibrio per le quali

=0
t
La densit`a di probabilit`a dovr`
a quindi essere un funzionale dellhamiltoniana
= [H]. Con queste distribuzioni potremo calcolare le medie di equilibrio
sullensemble. Se = (qN , pN ) `e un punto nello spazio delle fasi
hAi =

ens [H()] A ()

(3.7)

Scegliendo diverse distribuzioni, avremo differenti tipi di ensemble.

3.2

Ensemble microcanonico e legame con la termodinamica

Con N, V, E fissati dobbiamo lavorare nellensemble microcanonico. Il peso


statistico wmic (H) dellensemble `e definito da
wmic (N, V, E) = (E H)

(3.8)

La probabilit`a allequilibrio sar`a


mic (H) =
32

wmic
Zmic

(3.9)

qui `e stata introdotta la funzione di partizione che normalizza la mic


Zmic (N, V, E) =

(E H ())

(3.10)

Il legame con la termodinamica `e dato dallentropia che risulta


S(N, V, E)
= ln Zmic
kB

(3.11)

in accordo con lidea di Boltzmann.

3.3

Vari tipi di ensemble

Ogni ensemble `e caratterizzato da una densit`a di probabilit`a all equilibrio


ens (H)
wens (H)
ens (H) =
(3.12)
Zens
dove `e wens (H) `e il peso statistico mentre la funzione di partizione
Zens =

wens (H)

(3.13)

serve a soddisfare la condizione di normalizzazione (3.4). La media di un


osservabile sullensemble `e data dalla (3.7).
Il legame con la termodinamica si ottiene dalla funzione di partizione
(3.13), per ogni tipo di ensemble abbiamo associato un potenziale termodinamico. Ogni densit`a (3.12) `e determinata da fissate variabili esterne
x1 , x2 , . . ., dalle quali dipender`a il relativo potenziale termodinamico (3.14)
ens (x1 , x2 , . . .) = ln Zens (x1 , x2 , . . .)

(3.14)

Per compiere una trasformazione da un ensemble allaltro si possono


usare le trasformate di Legendre. Se, per esempio, vogliamo sostituire la
variabile x1 con la coniugata y1

y1 =

ens
x1

(3.15)
x2 ,...

il nuovo ensemble `e definito da un peso statistico


0
wens
= ex1 y1 wens

(3.16)

con una funzione di partizione


Z
0
Zens
=

dx1

33

ex1 y1

Zens

(3.17)

3.3.1

Canonico

Se vogliamo sostituire lenergia E dobbiamo considerare che il sistema sia in


contatto con un bagno termico, che garantisce una temperatura costante. In
base alla (3.14) e alla (3.15), abbiamo che la quantit`
a coniugata allenergia
`e

(S/kB )
1 S
1
=
=
=
(3.18)
E
kB E V
kB T
V
Otteniamo lensemble canonico con la funzione di partizione
Z

dEeE

Zcan =

d(E H) =

deH

(3.19)

Il potenziale termodinamico nel nuovo ensemble caratterizzato dalle variabili fissate N , V e T o sar`a lenergia libera di Helmholtz

S
+ E = T S + E = A
kB

(3.20)

dalla (3.14) abbiamo quindi


A(N, V, T ) = ln Zcan (N, V, T )

3.3.2

(3.21)

Gran-canonico

A partire dal canonico, vogliamo rilasciare il vincolo del numero costante


di particelle. Il sistema `e in contatto con un bagno termico che consente di
tenere fissa la temperatura e il potenziale chimico e si pu`o avere scambio di
particelle. Quindi dobbiamo passare da (N, V, T ) a (, V, T ). Abbiamo

A
N

(3.22)

T,V

e quindi la funzione di partizione diventa


ZGC =

eN Zcan (N, V, T )

(3.23)

N =0

Il potenziale termodinamico associato


(, V, T ) = ln ZGC (, V, T )

(3.24)

= A N = P V

(3.25)

`e dato da

34

3.3.3

Isobarico

Se vogliamo lavorare a temperatura e pressione costante, dobbiamo lasciare


fluttuare il volume, quindi si passa da (N, V, T ) a (N, p, T ); si vede facilmente
che la funzione di partizione sar`a
Z

dV epV Zcan (N, V, T )

Zisob =

(3.26)

e il potenziale termodinamico `e lenergia libera di Gibbs


G = A + P V

3.4

(3.27)

Sviluppi delle formule per i sistemi classici

Nel seguito ci interessiamo di sistemi di particelle classiche e quindi ci concentriamo sullapplicazione del metodo degli ensembles a un sistema classico
caratterizzato da una hamiltoniana
H=

N
X
p2i
+ U (r1 , . . . , rN )
i=1

3.4.1

(3.28)

2m

Ensemble Canonico

Possiamo scrivere la funzione di partizione canonica per un sistema classico


QN (V, T ) come
1
QN (V, T ) =
N ! h3N

Z Z

drN dpN exp H pN , rN

(3.29)

Possiamo eseguire esattamente lintegrale sugli impulsi e abbiamo


QN (V, T ) =

1
ZN (V, T )
N ! 3N

(3.30)

dove `e la lunghezza donda termica di De Broglie


s

h2
2mkB T

(3.31)

e abbiamo definito lintegrale configurazionale ZN (V, T )


Z

ZN (V, T ) =

drN eU (r1 ,...,rN )

(3.32)

Per il gas ideale la (3.32) diventa ZN (V, T )=V N e quindi dalla (3.30)
Qid
N (V, T ) =
35

VN
N ! 3N

(3.33)

La funzione di partizione (3.30) si pu`o riscrivere come


exc
QN (V, T ) = Qid
N (V, T )QN (V, T )

(3.34)

dove la funzione di partizione di eccesso `e


Qexc
N (V, T ) =

ZN (V, T )
VN

(3.35)

Lenergia libera si pu`o dividere quindi in due parti: ideale e di eccesso


A = Aid + Aexc

(3.36)

La parte ideale dellenergia libera `e data da


"

VN
A = ln
N ! 3N

id

N [ln + 3 ln 1]

(3.37)

dove `e la densit`a =N/V ; la parte di eccesso `e invece


Aexc = ln

ZN (V, T )
VN

(3.38)

essa contiene il contributo che viene dallinterazione fra le particelle.


La funzione densit`a di probabilit`a del canonico
h

exp H pN , rN
1
N
N
can
(r
,
p
)
=
N
N ! h3N
QN (V, T )

(3.39)

si pu`o a sua volta fattorizzare in una parte relativa agli impulsi


"

imp

X p2
3N
i
(p ) = 3N exp
h
2m
i

(3.40)

e una funzione di distribuzione configurazionale data da


N (rN ) =

3.4.2

exp [U (r1 , . . . , rN )]
ZN (V, T )

(3.41)

Ensemble gran-canonico

La funzione di partizione del gran-canonico si pu`o scrivere come


ZGC (, V, T ) =

X
N =0

con Q0 = 1
La densit`a di probabilit`a `e data da
36

eN QN (V, T )

(3.42)

exp [N ] exp H pN , rN
1
GC N
N
(r , p ) =
N ! h3N
ZGC (, V, T )

(3.43)

Per un sistema classico con hamiltoniana (3.28)

X
zN

ZGC (, V, T ) =

N =0

N!

ZN (V, T )

(3.44)

dove abbiamo definito lattivit`a


z=

e
3

(3.45)

Possiamo quindi definire una densit`a di probabilit`a configurazionale gran


canonica
h
i
1 zN
GC (rN ) =
exp U (rN )
(3.46)
ZGC N !
Il valor medio di un operatore A(rN ) che dipende solo dalle coordinate
sar`a dato da
hAi =

1
ZGC

X
zN
N =0

drN A(rN ) exp U (rN )

N!

(3.47)

Poich`e il numero di particelle fluttua `e importante calcolare il valore


medio < N >. Dato che N non dipende dalle (rN ) dalla 3.47 abbiamo
1

hN i =

ZGC

X
zN
N =0

N!

N ZN (V, T )

(3.48)

da cui
hN i =

X
z N 1

z
ZGC

N!

N =0

e quindi

N ZN (V, T )

ln ZGC
z

(3.49)

pV = ln ZGC

(3.50)

hN i = z
Ricordando che

si vede che combinando la (3.50) con la (3.49) per eliminare la z fra le due si
pu`o ottenere lequazione di stato che collega pressione, volume, temperatura
e numero di particelle. Per un gas ideale dalla (3.44) abbiamo
id
ZGC
(, V, T ) =

X
zN
N =0

37

N!

V N = exp (zV )

(3.51)

quindi
id
pV = ln ZGC
= zV

(3.52)

daltra parte dalla (3.49)

(zV ) = zV
(3.53)
z
eliminando la z fra la (3.52) e la (3.53) si ottiene lequazione dei gas perfetti.
hN i = z

3.4.3

Fluttuazioni del numero di particelle

Nellensemble gran-canonico si pu`o ricavare una relazione molto importante che collega la fluttuazione microscopica del numero di particelle con la
compressibilit`a isoterma.
Partiamo dal calcolo dello scarto quadratico medio
hN 2 i = hN 2 i hN i2

(3.54)

Dalla formula (3.48) si vede che


2

hN i =

X
zN

1
ZGC

N =0

N!

N ZN (V, T )

X
zN

ZGC

N =0

N!

!2

N ZN (V, T )

(3.55)

Da questa si ricava con pochi passaggi la relazione

hN 2 i = z

hN i
z

(3.56)
T,V

Ricordando la definizione di z (3.45) dato che


z
=z
()
la (3.56) diventa

hN i
hN i = z
z T,V

z
hN i
=
()
z T,V

hN i
= kB T
T,V
2

(3.57)

La derivata termodinamica che appare al secondo membro della (3.57) si


pu`o collegare alla compressibilit`a isoterma

hN i

p
= V
p T T

= V
p T
= V

T,V

38

(3.58)

dove abbiamo usato

=
T

La compressibilit`a isoterma (2.88) si pu`o scrivere anche come


KT =

1
V

V
p

=
T

(3.59)
T

introdotta la (3.59) nella (3.56), la (3.55) ci porta alla relazione


hN 2 i = kB T

hN i2
KT
V

(3.60)

La (3.58) `e molto importante perch`e ci fa vedere chiaramente il collegamento


fra le fluttuazioni a livello microscopico descritte dalla meccanica statistica e la termodinamica che appare in una quantit`
a come la compressibilit`a
isoterma misurabile macroscopicamente. Come abbiamo visto la KT deve
essere sempre positiva e ci fornisce lindicazione della stabilit`a del sistema,
che quindi viene collegata alle fluttuazioni microscopiche del numero di particelle. Questa quantit`a `e equivalente nel gran-canonico alle fluttuazioni
della densit`a.
kB T
hN 2 i
KT
=
hN i2
V
statistica
termodinamica

(3.61)

Quando la compressibilit`a diverge, come accade al punto critico, dalla


(3.58) vediamo che questo comporta che anche le fluttuazioni microscopiche
diventano enormi. La transizione di fase `e associata a forti fenomeni di
fluttuazione della densit`a nel sistema fluido.

39

Capitolo 4

Potenziali efficaci ed
espansione del viriale
4.1
4.1.1

Modelli microscopici per i fluidi


Approssimazione di Born-Oppenheimer

I sistemi che consideriamo sono composti da molti atomi. Se il sistema contiene N nuclei di carica Z con coordinate R = (R1 , R2 , ..., RN ) e M elettroni
di coordinate r = (r1 , r2 , ..., rM ) cos` che M = ZN la sua Hamiltoniana si
pu`o scrivere come
H = Kn (R) + Ke (r) + Ven (r, R) + Vnn (R) + Vee (r)

(4.1)

dove K{...} sono gli operatori delle energie cinetiche, mentre V{...} sono i
potenziali di interazione fra le differenti particelle. Assumendo valida lapprossimazione di Born-Oppenheimer la funzione donda totale si pu`o scrivere
come il prodotto
(r, R) ' (R) (r, {R})
(4.2)
dove ora le coordinate R appaiono come parametri fissati nel problema elettronico. Lapprossimazion `e basata sul disaccoppiamento adiabatico del moto lento dei nuclei rispetto alla dinamica veloce degli elettroni. Il problema
viene separato in due equazioni di Schr
odinger, per gli elettroni
[Ke (r) + Ven (r, {R}) + Vee (r)] (r, {R}) = Eel ({R}) (r, {R})

(4.3)

e per i nuclei
[Kn (R) + Vnn (R) + Eel (R)] (R) = E(R)

(4.4)

` usuale considerare la (4.3) solo per gli elettroni di valenza, mentre il ruolo
E
degli elettroni di core `e quello di schermare il nucleo. Nella hamiltoniana il
potenziale coulombiano Ven `e rimpiazzato da una interazione efficace fra gli
40

elettroni di valenza e lo ione rigido. In questo modo la dinamica degli ioni


`e determinata dallequazione di Schr
odinger dipendente dal tempo

K (R) +
I

X X Zl Zk e2
l

k>l

+ Eel (R) (R, t) = i


h

Rkl

(4.5)

Possiamo definire il potenziale in cui gli ioni si muovono come


U BO (R) =

X X Zl Zk e2
l

4.1.2

k>l

Rkl

+ Eel (R)

(4.6)

Potenziali efficaci.

Il potenziale da usare nello studio microscopico di liquidi `e in genere approssimato con uno di tipo empirico. Il modo usuale di procedere `e di assumere
che gli elettroni sono capaci di seguire il moto degli ioni e di rimanere sulla
superficie BO di equilibrio. Il potenziale (4.6) viene sviluppato in termini a
n-corpi
U BO (R) =

XX
i

u(2) (Ri , Rj ) +

XXX

j>i

u(3) (Ri , Rj , Rk ) + ...

(4.7)

A questo punto per rendere pi`


u semplici gli sviluppi delle formule in un sistema omogeneo isotropo come un fluido si assume un potenziale a due corpi contenente eventualmente parametri da fissare con propriet`a empiriche.
Vedremo dopo alcuni esempi.
Metodologie come quelle usate per costruire lequazione di Van der Waals
evitano di entrare nel dettaglio del problema microscopico. In particolare lequazione di Van der Waals `e fondata sulla approssimazione che il
comportamento del sistema sia determinato da due effetti:
1- il volume escluso a corte distanze
2- unattrazione fra le particelle a distanze medie
dove le distanze sono misurate in termini del diametro repulsivo fra le molecole che costituiscono il sistema. Gli effetti (1) e (2) vengono tenuti in
considerazione attraverso lintroduzione dei due parametri a e b.
Nel costruire un potenziale empirico si preferisce usare per il potenziale
atomico una forma approssimata che sia semplice, ma nello stesso tempo
contenga le principali caratteristiche fisiche dellinterazione microscopica fra
i componenti del sistema.
In pratica quindi si parte da un modello fondato su queste approssimazioni:
1- In base alle considerazioni fatte sopra gli atomi si possono considerare
classici
41

2- Il potenziale U viene assunto come somma di un potenziale a due corpi


centrale
3- Per il potenziale a due corpi u(r) si cerca una forma funzionale semplice
da parametrizzare in base alle conoscenze empiriche sul sistema.
La scelta del potenziale avviene quindi su base empirica. Esso in linea
di principio deve essere trasferibile in tutte le fasi del sistema e quindi non
deve dipendere dallo stato termodinamico. Di queste assunzioni la (2) `e
la pi`
u forte. I fluidi vengono detti semplici quando `e possibile descriverli
` questo il caso dei
bene con potenziali che soddisfano ai criteri (2) e (3). E
sistemi a shell chiuse come i gas nobili. Linterazione fra gli atomi `e dovuta
alle piccole distorsioni della configurazione elettronica che un atomo induce
sullaltro, essa pu`o essere rappresentata come una interazione fra dipoli.
Il calcolo quanto-meccanico porta ad un potenziale attrattivo che va come
A/r6 (interazione di Van der Waals). Per tener conto della repulsione a
piccole distanze si introduce un termine B/r12 , che rappresenta abbastanza
bene le repulsione a corte distanze dovuta alla sovrapposizione degli orbitali
elettronici. Si ottiene cos` il potenziale di Lennard-Jones (LJ) che viene
scritto in genere nella forma seguente
6 #

"
12

u(r) = 4

(4.8)

dove misura il diametro repulsivo, mentre `e la profondit`a della buca


attrattiva. Con scelte opportune di questi parametri si possono riprodurre molte delle propriet`a empiriche dei gas nobili in fasi fluide. La figura
rappresenta il potenziale e la tabella indica alcuni valori tipici.

Ne
Ar
Kr
Xe

4.2

(eV )

(
A)

0.0031
0.0104
0.0140
0.0200

2.74
3.40
3.65
3.98

Espansione del Viriale per il gas

A temperature alte e basse densit`a rispetto al punto critico, come si `e visto


nello studio dellequazione di Van der Waals, si recupera il limite del gas
ideale. Naturalmente anche nei gas diluiti `e sempre presente un interazione
fra le particelle, che diventa pi`
u rilevante al crescere della densit`a. In prima
approssimazione si pu`o pensare di sviluppare lequazione di stato in termini
della densit`a, `e quello che si chiama sviluppo del Viriale:
p = B1 + B2 2 + B3 3 + . . .
42

(4.9)

r/
Figura 4.1:

i coefficienti Bn = Bn (T ) sono detti coefficienti del Viriale. Naturalmente


B1 = 1 per ritrovare lequazione del gas ideale. Vediamo di calcolare gli altri
coefficienti. Richiamiamo le formule (3.33-36) o anche la (3.29).

p =

Aid
V

Aexc

N
+
V

ln ZN /V N
V

(4.10)
T

Per calcolare la pressione bisogna calcolare la ZN (V, T ). Assumiamo che


il potenziale si possa scrivere come somma di potenziali a due corpi, abbiamo

dr1 . . . drN exp

ZN (V, T ) =

u(rij )

(4.11)

i<j

che si pu`o riscrivere come


Z

ZN (V, T ) =

dr1 . . . drN

exp (u(rij ))

(4.12)

i<j

Definiamo ora la funzione di Mayer


f (r) = eu(r) 1
43

(4.13)

Per un potenziale a corto raggio, vale a dire che decade a zero pi`
u velocemente di r3 , la (4.13) va anche velocemente a zero dato che
f (r ) = u(r)

(4.14)

In termini delle funzioni di Mayer la (4.8) si riscrive come


Z

ZN (V, T ) =

dr1 . . . drN

[1 + f (rij )]

(4.15)

i<j

Se indichiamo con
fij = f (rij )

(4.16)

il prodotto nellintegrale (4.12) `e dato da


Y

[1 + f (rij )] = 1 + f12 + f13 + . . . + f12 f13 + . . .

(4.17)

i<j

che viene chiamato sviluppo in cluster.


A basse densit`a ed alte temperature possiamo aspettarci che ci sia poca
sovrapposizione fra le funzioni di Mayer che compaiono nellintegrale (4.15).
Possiamo quindi approssimare la funzione ZN e tenere solo i termini al primo
ordine nello sviluppo in cluster

ZN (V, T )

dr1 . . . drN 1 +

f (rij )

(4.18)

i<j

Con semplici passaggi si ottiene

1
N (N 1)
ZN (V, T ) 1 +
VN
2V

drf (r)

(4.19)

dove si `e tenuto conto che ci sono N (N 1)/2 termini uguali che vengono
dalla sommatoria in (4.18). Per ottenere la pressione si usa la formula (4.10)
da cui si ottiene, considerando che N (N 1) N 2 e ln(1 + y) y
Z

N2
N
+
drf (r)
V
V 2V
Z
N2
N

drf (r)
V
2V 2

(4.20)

nellultimo passaggio si `e trascurata la dipendenza dellintegrale dal volume,


assunzione valida solo per potenziali che decadono pi`
u velocemente di r3 .
La (4.20) si pu`o riscrivere in termini della densit`a come
21

p =

drf (r)

(4.21)

ricordando la (4.9) possiamo identificare il secondo coefficiente del viriale


come
Z
1
B2 (T ) =
drf (r)
(4.22)
2
44

u(r)
0

2
r/

Figura 4.2:

4.3

Sfere dure

Se si `e ad alte temperature leffetto pi`


u importante `e quello repulsivo, perch`e
gli atomi hanno una grande energia cinetica e quindi si trovano con una energia media dellordine di kB T che `e pi`
u alta della buca della parte attrattiva
del potenziale. Per il potenziale LJ la condizione diventa kB T >> . A temperature alte `e la densit`a a giocare il ruolo pi`
u importante nel determinare
le propriet`a termodinamiche.
Per rappresentare il caso limite di un sistema con uninterazione puramente repulsiva si `e introdotto il fluido di sfere dure. Il potenziale `e
puramente repulsivo (vedi fig. 4.2)
u(r) =

r<

r>

(4.23)
0

La termodinamica del sistema di sfere dure non dipende dalla temperatura, nel senso che tutte le propriet`a di eccesso dipendono solo dalla densit`a
e la temperatura entra solo nei termini del tipo gas ideale. Lo vedremo
meglio in seguito, vedi Cap. 7.
Per il potenziale (4.23), la funzione di Mayer diventa
f (r) =

r<

r>

(4.24)
0

che sostituita in (4.22) ci dar`a


B2 =

2 3
= 4V
3

dove V = 3 /6 `e il volume della sfera di diametro .


45

(4.25)

Aggiungiamo ora al potenziale di sfera dura una coda attrattiva:

u(r) =

r<
< r < r0
r > r0

(4.26)

La funzione di Mayer diventa

f (r) =

r<

e 1

< r < r0

r > r0

(4.27)

Dal coefficiente del viriale B2 (T ) che si ottiene dallintegrale (4.22) si ha


una pressione con due termini
kB T
p=
v

2 3
1+
3 v

2 3
3
r

3v 2 0

(4.28)

dove abbiamo introdotto il volume per particella v = V /N ; come si vede


il primo termine `e repulsivo, mentre il secondo `e attrattivo e la formula
ricorda lequazione di Van der Waals. In effetti il termine repulsivo si pu`o
considerare come ottenuto da uno sviluppo in serie e quindi tornando a
ritroso possiamo scrivere

kB T
v

2 3
1+
3 v

kB T
v

2 3
3

La (4.28) si pu`o riscrivere come

2 r03 3
p+
3v 2

2 3
v
3

= kB T

(4.29)

confrontandola con lequazione di Van der Waals (2.121) che richiamiamo


qui

p+

a
(v b) = kB T
v2

(4.30)

possiamo identificare i coefficienti a e b in termini di parametri microscopici:


il termine a che contribuisce alla parte attrattiva `e dato da

2 3
r0 3
3
mentre il coefficiente b della parte repulsiva o covolume `e

a=

(4.31)

2 3
= 4V
(4.32)
3
come si vede `e equivalente al volume escluso ed `e uguale al coefficiente del
viriale B2 (T ) delle sfere dure (4.25).
b=

46

Capitolo 5

La struttura dei liquidi


5.1

Struttura locale di un liquido

Un sistema in fase liquida `e omogeneo e isotropo ed ha una densit`a = N/V .


Se le particelle sono libere esse sono distribuite in modo casuale, quindi se
prendiamo un atomo nellorigine in una shell a distanza r, come in fig.5.1,
la quantit`a
4r2 dr
(5.1)
`e il numero di atomi nella shell sferica r-r + dr. Nel caso di particelle interagenti questa distribuzione uniforme viene cambiata e il numero di particelle
nella stessa shell sferica sar`a pi`
u in generale data da
4g(r)r2 dr

(5.2)

dove si `e introdotta la funzione di distribuzione radiale (FDR) g(r), che


descrive come la distribuzione di particelle devia localmente da quella uniforme. Naturalmente nel caso di un gas ideale g(r) = 1. La funzione g(r) `e
definita come la funzione di distribuzione a coppie.
Anche se non `e esattamente una probabilit`a, essa ci indica comunque
con quanta probabilit`a troveremo un atomo ad una distanza r da un altro

r
r+dr

Figura 5.1:

47

k2

k1
Figura 5.2:
posto nellorigine. Ci aspettiamo che per grandi r, dove linterazione fra le
particelle va a zero, g(r) 1.
La funzione g(r) gioca un ruolo molto importante nello studio dei liquidi
e pu`o essere ottenuta dagli esperimenti. Torneremo dopo sul problema in
modo pi`
u dettagliato, per ora possiamo dire che si pu`o ricavare per esempio
da esperimenti di diffrazione dei raggi X, simili a quelli che permettono
di conoscere la struttura cristallina. Nel caso di un liquido non avremo la
diffrazione alla Bragg, ma la formula per lo scattering di raggi X `e dello
stesso tipo.
Lo scattering si pu`o considerare elastico e lintensit`
a diffratta ad un
angolo dal sistema sul quale incide una radiazione di vettore donda k1 =
2/, vedi fig.5.2, sar`a data da
I () = N |f (k)|2 S(k)

(5.3)

dove

4 sin
(5.4)

`e il vettore donda scambiato nello processo di scattering elastico, mentre


f (k) `e il fattore di forma dellatomo, determinato dalla distribuzione elettronica. La funzione S(k) `e definita come il fattore di struttura e contiene
linformazione sulla distribuzione degli atomi nel nostro sistema.
In un fluido di particelle ideali la distribuzione sarebbe completamente
disordinata e avremmo S(k) = 1 perch`e tutti i processi di scattering sarebbero indipendenti. La deviazione di S(k) da 1 indica la presenza di processi
di interferenza. Gli effetti di coerenza nello scattering sono dovuti allordine
a corto raggio presente nel liquido. La struttura del liquido pu`o essere determinata anche con luso dello scattering di neutroni, su questo torneremo
in seguito nel capitolo 6. In figura vediamo la S(k) dellargon liquido
Dimostreremo in seguito che la funzione g(r) `e legata al fattore di struttura dalla relazione
k=

S(k) = 1 +

dr [g(r) 1] eikr

(5.5)

dato che la g(r) `e sfericamente simmetrica la formula diventa


S(k) = 1 + 4

Z
0

dr
48

r2 [g(r) 1]

sin(kr)
kr

(5.6)

Figura 5.3: Fattore di struttura dellargon liquido.

5.2

Funzioni di distribuzione nel canonico

Vediamo ora come si pu`o introdurre la FDR in modo pi`


u generale. Dobbiamo
partire dalla funzione di distribuzione statistica 3.41 che qui richiamiamo:
N (rN ) =

exp [U (r1 , . . . , rN )]
ZN (V, T )

(5.7)

Possiamo ora definire la funzione di distribuzione di n particelle fra le N


totali come
R

(n)

drn+1 . . . drN exp [U (r1 , . . . , rN )]


N!
(5.8)
(r1 , . . . , rn ) =
(N n)!
ZN (V, T )

essa ci fornisce la probabilit`a di trovare n particelle con coordinate r1 , . . . , rn


indipendentemente dalle posizioni delle altre N n. Il termine fattoriale
tiene conto che possiamo scegliere n qualsiasi particelle fra le N . Con questa
definizione si ha
Z

(n) (r1 , . . . , rn ) =

dr1 . . . drn

N!
(N n)!

(5.9)

In particolare per n = 1 abbiamo la funzione di distribuzione di particella


singola (1) (r) per essa la (5.9) diventa
N

dr(1) (r) = N
N

49

(5.10)

Se il sistema `e omogeneo la (1) (r) non dipende da r e quindi


N

N
=
V
e viene a coincidere con la densit`a del sistema.
Per n = 2 la (2) (r1 , r2 ) `e la densit`a di coppie. Si vede che
(1) =
N

(5.11)

lim

r1 r2

(2) (r1 , r2 ) = (1) (r1 )(1) (r2 ) + O (1/N )


N

(5.12)

Nel caso di un sistema omogeneo e isotropo


(2) (r1 , r2 ) = (2) (|r1 r2 |)
N

(5.13)

Si pu`o allora definire una funzione di distribuzione normalizzata come


g(r) =

(2) (r)

(5.14)

Naturalmente
lim g(r) = 1 + O(1/N )

(5.15)

La funzione g(r) introdotta sopra `e proprio la funzione di distribuzine radiale, FDR, (5.14). Pi`
u in generale possiamo definire le funzioni di
distribuzione normalizzate di n particelle g (n) come
(n) (r1 , ..., rn )

(n)

(5.16)

gN (r1 , ..., rn ) = QNn

(1)
k=1 N (rk )

5.3
5.3.1

Legame della FDR con la termodinamica


Lenergia

Nel canonico lenergia potenziale media sar`a data da


< U >=

1
1
ZN (V, T ) 2

eU

dr1 drN

XX
i

u (rij )

(5.17)

j6=i

Portando fuori dallintegrale le sommatorie ci ritroviamo con N (N 1)/2


termini uguali e quindi la (5.17) pu`o essere riscritta come
1
< U >= N (N 1)
2

dr1 dr2

u (r12 )

dr3 drN

eU /ZN

(5.18)

Introducendo la funzione di distribuzione definita in (5.8) per n = 2 la (5.18)


diventa
Z
1
< U >=
dr1 dr2 u (r12 ) (2) (r1 , r2 )
(5.19)
N
2
Per un sistema omogeneo e isotropo `e facile vedere che si pu`o riscrivere come
<U >
= 2
N

Z
0

50

dr

r2 u(r)g(r)

(5.20)

5.3.2

Calcolo della pressione dal viriale

Per il calcolo della pressione dobbiamo partire dal viriale delle forze. Esso `e
definito da

W rN =

N
X

ri Fi

(5.21)

i=1

La media temporale per lipotesi ergodica sar`a uguale a quella sullensemble


1
< W >= lim
t t
1
= lim
t t

Z t
0

Z t
0

N
X

(5.22)

ri ( ) mri ( ) =

i=1

1
= lim m
t t
1
== lim
t t

ri ( ) Fi ( ) =

i=1
N
X

Z t
0

Z t
0

N
X

|ri ( )|2

i=1

d 2K( ) = 2 < K >

dove K `e lenergia cinetica che `e legata alla temperatura dallequipartizione dellenergia


3
(5.23)
< K >= N kB T
2
quindi abbiamo
< W >= 3N kB T
(5.24)
A questo punto il viriale si pu`o dividere in due contributi, quello che viene
dalle forze esterne e quello delle forze interne
W = W int + W ext

(5.25)

Il viriale delle forze interne `e ovviamente


W int =

N
X

ri i U rN

(5.26)

i=1

In assenza di forze esterne W ext `e dovuto alla pressione esercitata dalle pareti
sulle particelle. Si pu`o facilmente calcolare
W ext = 3pV

(5.27)

Quindi, mettendo insieme (5.24) con (5.25) e (5.27) si pu`o scrivere


pV = N kB T +

51

1
<W>
3

(5.28)

Per il viriale interno, quando il potenziale `e dato da una somma di potenziali


di coppia, possiamo scrivere
W int =

ri i

u(rij ) =

j6=i

1 X X du(rij )
rij
2 i j6=i
drij

(5.29)

Il valor medio di < W int > pu`


o essere calcolato nellensemble canonico e
riscritto in termini di funzione di distribuzine a due particelle. Per il nostro
sistema omogeneo e isotropo si arriva alla formula per la pressione
p
2

=1
kB T
3 kB T

5.4

Z
0

r3 g(r)

dr

du(r)
dr

(5.30)

Funzioni di distribuzione nel gran-canonico

Nellensemble gran canonico le funzioni di distribuzione si possono definire


come
(n)

(r1 , . . . , rn ) =

zN

(N n)!
N n

1
ZGC

drn+1 . . . drN
Risulta

(5.31)

exp [U (r1 , . . . , rN )]

Z
(n)

dr1 . . . drn

(r1 , . . . , rn ) =

N!
(N n)!

(5.32)

Le funzioni di distribuzione (5.32) si possono ricavare anche in un altro


modo. Definiamo loperatore densit`a
(r) =

(r ri )

(5.33)

esso conta le particelle nel punto r. Si pu`o vedere che


(1) (r) =< (r) >
(2)

(r1 , r2 ) =

*
XX
i

(5.34)
+

(r1 ri ) (r2 rj )

(5.35)

j6=i

Le funzioni di distribuzioni normalizzate diventano ora


(n) (r1 , ..., rn )
g (n) (r1 , ..., rn ) = Qn
(1)
k=1 (rk )

(5.36)

in particolare per un sistema omogeneo e isotropo


(1) (r) =

(2) (r1 , r2 ) = (2) (|r1 r2 |)


52

(5.37)

La (5.14) si pu`o riscrivere in modo analogo


g(r) =

(2) (r)
2

(5.38)

Dalle (5.32) si pu`o ricavare unimportante regola di somma per la g(r).


Partiamo da
Z

dr1 dr2

(2) (r1 , r2 ) (1) (r1 )(1) (r2 ) =

(5.39)

< N (N 1) > < N >2


Si ottiene quindi
Z

V 2

dr [g(r) 1] =< N 2 > < N >

(5.40)

Ricordando la (3.60) ricaviamo limportante relazione fra lintegrale della


g(r) e la compressibilit`a isoterma KT
Z

1+

dr [g(r) 1] = kB T KT

(5.41)

Ricordiamo che il fattore kB T `e la compressibilit`a isoterma di un gas ideale.


Sulla (5.41) torneremo in seguito.

5.5

Andamento qualitativo della FDR

Nel limite di bassa densit`a ci aspettiamo di andare nel limite del gas ideale,
dove g(r) = 1. Si pu`o dimostrare a partire dalle formule che per 0
g(r) eu(r)

(5.42)

In un gas quindi ci possiamo aspettare un andamento come quello in fig.5.4.


La funzione `e riportata per confronto insieme al potenziale. Come si vede
g(r) = 0 fino ad una distanza di minimo approccio, che corrisponde alla
parte repulsiva dura del potenziale. Poi la funzione risale e si ha un picco
poco pronunciato in corrispondenza del minimo del potenziale. Gli atomi
intorno a quello posto nellorigine preferiscono stare nella zona di massima
attrazione. Poi la g(r) decade velocemente a 1.
Al crescere della densit`a e andando alle temperature tipiche di un liquido
la g(r) acquista una maggiore struttura. Si instaura infatti lordine a corto
raggio proprio dei liquidi. Come si vede in fig.5.5 ora il primo picco diventa
piuttosto alto, confrontato con quello di fig.5.4, e appaiono diversi picchi.
Nella figura abbiamo le g(r) di un liquido LJ alla densit`a di un liquido e due
temperature diverse, misurate in unit`a del parametro LJ , le T vanno lette
come kB T /.
53

1.5

g(r)

g(r) in a gas phase


0.5

2.0
0

u(r)

1.0
0.0
1.0

r /

Figura 5.4:

T=2.0
T=0.74

g(r)

r/

Figura 5.5:

54

Figura 5.6:
Il primo picco corrisponde ad una shell di primi vicini a cui fa seguito
un minimo e poi un secondo picco a rappresentare la shell di secondi vicini e cos` via. Andando a grandi distanze dallatomo nellorigine i picchi
diminuiscono e infine la g(r) converge a 1 con una serie di socillazioni. Le
condizioni termodinamiche e il tipo di potenziale determinano le posizioni,
le altezze dei picchi e di quanto si prolungano le oscillazioni a grandi r. Queste ultime possono persistere anche su lunghezze di 10 10
A. Anadando
a temperature basse laltezza dei picchi si incrementa, mentre le posizioni
rimangono tipicamente le stesse. Un effetto analogo ha anche, in genere,
laumento della densit`a.
Se ricordiamo la figura del fattore di struttura, fig. 5.3 essa `e la trasformata di Fourier di una g(r), vedi (5.6), che `e riportata in fig. 5.5.
Senza entrare in dettagli quantitativi possiamo dire che la quasi periodicita delle oscillazioni della g(r) del liquido determinano la posizione del
picco della S(k), mentre la persistenza delle oscillazioni in genere determina
laltezza del picco stesso. Torneremo con altri esempi in seguito.
Si pu`o definire il numero di coordinazione rispetto allatomo nellorigine
per la prima shell come
n1 = 4

Z r1
0

55

dr

r2 g(r)

(5.43)

dove r1 `e posto in genere al primo minimo dopo il primo picco. In modo


analogo si pu`o integrare sotto il secondo picco per avere il numero di cordinazione della seconda shell e cos` via. Per un sistema come largon risulta
n1 12, lo stesso numero che si ha nel cristallo. Molti sistemi infatti conservano nellordine a corto raggio il ricordo della struttura del cristallo da
cui provengono.

5.6

Liquidi a pi`
u componenti

Consideriamo una miscela liquida costituita da da m componenti di specie


diversa, tale che
N=

m
X

(5.44)

=1

con densit`a totale = N/V . Ciascuna componente sar`a presente con una
frazione x = N /N e quindi una densit`a parziale = x In analogia con
quanto visto per un liquido monoatomico possiamo introdurre la funzione
di distribuzione radiale g (r) tale che
4 g (r)r2 dr

(5.45)

ci dar`a il numero di particelle di specie che si trovano in una shell a


distanza r da un atomo di specie nellorigine.

56

Capitolo 6

Misura della struttura di un


liquido.
6.1

Raggi X e neutroni

Le tecniche sperimentali che sono in grado di darci informazioni sulla struttura dei liquidi sono le stesse che vengono usate per i cristalli, vale a dire i
raggi X e i neutroni. Per studiare la struttura statica occorre in linea di principio effettuare una diffrazione elastica di particelle che abbiano lunghezze
donda nel range delle distanze interatomiche e unenergia molto pi`
u grande
di quelle dei modi del sistema da studiare. Per i raggi X questa condizione
si verifica facilmente, in quanto 1
A, mentre le energie sono nel range
dei 10keV . La relazione di dispersione per i raggi X infatti si pu`o scrivere
come
12.4103
eV
(6.1)
=
(
A)
abbiamo 10keV mentre le energie di eccitazione dei modi
con = 1A
nei liquidi sono nel range 10 100meV .
I neutroni interagiscono con i nuclei degli atomi e consentono di misurare le fluttuazioni della densit`a. La relazione di dispersione `e quella delle
particelle libere
h2 k 2

n =
(6.2)
2mn
con mn = 1.6751024 g risulta
78.4
n h
i2
(
A)

meV

(6.3)

per avere 1
A deve essere n 80 meV
In questo caso quindi lo scattering non risulta mai veramente elastico.
Nonostante questo in anni recenti la tecnica di scattering di neutroni ha
57

acquistato sempre pi`


u importanza nello studio dei liquidi. Essa consente
infatti lo studio sia della struttura sia della dinamica del sistema. Inoltre `e
lunica tecnica che permette di studiare in dettaglio le sostanze che contengono idrogeno. La diffrazione dei raggi X dipende dal fattore di forma degli
elettroni ed `e inadatto quindi per vedere lidrogeno.
Per questo descriviamo ora pi`
u in dettaglio la diffrazione dei neutroni.
Mentre per il momento ci limiteremo a quanto serve per ricavare la struttura
di un liquido, in seguito riprenderemo la trattazione e la estenderemo allo
studio della dinamica.

6.2

La diffrazione dei neutroni: il limite elastico

Per la descrizione della diffusione dei neutroni consideriamo uno schema sperimentale semplificato. I neutroni vengono prodotti da un reattore e passano attraverso un materiale moderatore, che ne attenua lenergia. Vengono
quindi indirizzati su un monocromatore che seleziona neutroni di una data
lunghezza donda . Essi vengono spediti sul campione, dove vengono diffusi
dallurto con i nuclei del materiale che si sta studiando. Dopo la diffusione
vengono raccolti da un rivelatore. Non ci dilunghiamo sui particolari dellapparato sperimentale. Nellanalisi dei dati gli sperimentali devono tener
conto di vari processi, come per esempio il contributo alla diffusione da parte
del contenitore del campione. Per semplificare ci limitiamo a descrivere il
processo in una situazione ideale.
Nel processo di scattering ci sar`a uno scambio di energia e impulso. Il
neutrone giunge sul campione con un vettore donda k0 e viene diffuso dopo
lo scattering con un vettore donda k1 . ed energia 1 = h2 k12 /2mn . Nel
processo di diffusione sar`a stato scambiato un vettore donda
k = k0 k1

(6.4)

Supponiamo che il sistema abbia unenergia iniziale En e con lo scattering


compia una transizione ad unenergia Em , il neutrone scambier`
a unenergia
h tale che
h = Em En

(6.5)
Con queste definizioni usiamo la convenzione che h
> 0 (Em > En ) corrisponde alla perdita di energia (energy loss) dei neutroni, mentre per h
< 0
(Em < En ) i neutroni acquistano energia dal sistema.
Linterazione fra il neutrone e i nuclei degli atomi `e dovuta ai momenti
magnetici. Essa pu`o essere descritta attraverso lo pseudopotenziale introdotto da Fermi. Questo potenziale efficace tiene conto del fatto che linterazione
nucleare `e molto intensa ma anche molto localizzata con un range dellordine
A. Il potenziale di Fermi viene scritto come
di 105
VS (r) =

2
h2 X
bi (r ri )
mn i
58

(6.6)

dove ri sono le posizioni dei nuclei, mentre bi sono parametri fenomenologici


definiti come lunghezze di scattering. Essi dipendono dallisotopo e dallo
spin nucleare. Fermi comprese che linterazione fra neutroni e nucleo si pu`o
trattare con una teoria perturbativa al primo ordine, quella di Born, a causa
del range ristretto del potenziale nonostante la sua forte intensit`
a
Consideriamo un flusso di neutroni incidenti J0 , definito come il numero
di neutroni per unit`a di tempo e di area. Si assume che tale flusso sia
collimato, vale a dire i neutroni incidono tutti paralleli. Inoltre non c`e
interferenza e si trascura lo scattering multiplo. La quantit`
a che si misura `e
la sezione durto differenziale parziale, vale a dire la frazione di neutroni che
viene diffusa in un elemento di angolo solido d con energia fra 1 e 1 + d1
d2
dd1

(6.7)

con le dimensioni di area/energia.


Nello stato iniziale il neutrone e il campione sono due sistemi indipendenti, quindi la funzione donda dellinsieme neutrone+liquido si potr`a scrivere
come
|0 >= 0 (r)|n >
(6.8)
dove 0 `e la funzione donda del neutrone incidente sul campione, mentre n
`e quella del liquido. Dopo lo scattering, quando il neutrone si `e allontanato
dal campione lo stato finale si potr`a scrivere come
|1 >= 1 (r)|m >

(6.9)

Dalla teoria di Born la sezione durto totale `e data al primo ordine da


=

N0
WF
J0

(6.10)

dove N0 `e il numero di neutroni incidenti. WF `e la probabilit`a di transizione


data dalla regola doro di Fermi.
Z
2 X X
pn dk1 D(k1 ) |< k1 , m|VS |k0 , n >|2 (
hmn
h)
h n m
(6.11)
dove con |k0 , n > e |k1 , m > abbiamo indicato rispettivamente gli stati (6.8)
e (6.9) e h
mn = Em En Nella (6.11) la somma `e sugli stati iniziali del
sistema liquido pesati con pn e sugli stati finali del neutrone pesati con la
densit`a degli stati di particella libera D(k). La somma sugli stati finali
del liquido `e limitata a quelli raggiungibili con la conservazione dellenergia
determinata dalla funzione presente nella (6.11).
Consideriamo ora il flusso J0 . Con le assunzioni fatte possiamo scrivere,
se v = hk0 `e la velocit`a dei neutroni incidenti,

WF =

J0 = N0 v|0 |2 =
59

N0
hk0
V mn

(6.12)

Lintegrazione in (6.11) su dk1 si pu`o trasformare come


D(k1 )dk1 =

V
V mn
k1 d1 d
k 2 dk1 d =
(2)3 1
(2)3
h2

(6.13)

dove abbiamo usato la densit`a degli stati delle particelle libere. Sostituendo
(6.12) e (6.13) in (6.11) possiamo scrivere
WF =

Z
mn V X X
d1 d k1 |< k1 , m|VS |k0 , n >|2
p
n
(2)3 h2 n m
(hmn
h)

(6.14)

La (6.14) si pu`o sostituire ora in (6.10) dove usiamo anche la (6.12) e abbiamo

2 Z

k1 X
pn |< k1 , m|VS |k0 , n >|2 (
hmn
h)
k0 n,m
(6.15)
Da questa espressione per la sezione durto totale si ricava quindi la (6.7)
=

mn V
2h2

d1 d

d2
k1
=
dd1
k0

mn V
2
h2

I()

(6.16)

dove
I() =

X
n

pn

< k0 , n|VS |k1 , m >< k1 , m|VS |k0 , n > (


hmn
h)

(6.17)
Lavoriamo ora sulla (6.17). Nellelemento di matrice inseriamo le funzioni
donda piana per i neutroni e teniamo conto che la trasformata di Fourier `e
definita come
VS (k) =

dreikr

VS (r) =

2
h2 X ikri
bi e
mn i

(6.18)

abbiamo

1
< n|VS (k)|m >
V
1
< m|VS (k)|n >
< k1 , m|VS |k0 , n >=
V
dove si `e tenuto conto della definizione (6.4).
La funzione si pu`o rappresentare come
< k0 , n|VS |k1 , m >=

(
hmn
h) =

1
h

Z +

ei(mn )t dt

(6.19)
(6.20)

(6.21)

Inserendo la (6.21) nella I() possiamo scrivere


I() =

Z +
1 XX
p
dt eit < n|VS (k)|m >< m|eim t VS (k)ein t |n >
n
hV 2 n m

(6.22)

60

tenendo conto che


eiHt |n >= ein t |n >
dove H `e lhamiltoniana del campione abbiamo
I() =

1
hV 2

Z +

eit

dt

pn < n|VS (k, 0)VS (k, t)|n >

(6.23)

Ora la somma pesata sugli stati iniziali non `e altro che la media sullensemble
X

pn < n|VS (k, 0)VS (k, t)|n >= VS (k, 0)VS (k, t)

(6.24)

Esplicitando la forma del potenziale di Fermi (6.18) abbiamo che


D

VS (k, 0)VS (k, t) =

2
h2
mn

!2 *

bi bj e

ikri (t) ikrj (0)

(6.25)

ij

questa media sullensemble pu`o essere inserita nella (6.23), che a sua volta
va messa nella (6.16) per ottenere
k1
d2
=
dd
k0

Z +

*
it

dt

bi bj e

ik[ri (t)rj (0)]

(6.26)

ij

Dato che siamo interessati al limite statico dobbiamo integrare sulle frequenze, ci aspettiamo infatti che la struttura del liquido possa essere ottenuta
dalla d/d
d
d

d2 d
=
(6.27)
dd 2
*
+
Z
Z
X
k1 1 +
=
d
dt eit
bi bj eik[ri (t)rj (0)]
k0 2
ij
=

Andiamo ora nel limite statico. Si deve supporre che lo scattering sia elastico, quindi nel limite h
= 0. Il vettore donda scambiato k non dipende
da ed `e determinato dalla relazione geometrica (6.4), dove ora |k1 | = |k0 |.
In questo limite possiamo scambiare gli integrali e abbiamo
d
d

=
=

Z +

*
X

dt

bi bj e

ik[ri (t)rj (0)]

ij

bi bj e

(t) =

ik[ri (0)rj (0)]

(6.28)

ij

Questa condizione di scattering elastico non `e mai realizzabile esattamente


con i neutroni. I range possibili di energia e vettore donda sono 1eV <
h < 1eV e 0.01
A1 < k < 30
A1 . I neutroni quindi possono in genere
61

cedere od assorbire energia dal campione. Negli esperimenti la (6.28) pu`o


essere ricavata in modo approssimato ed occorre operare delle correzioni,
dette anelastiche. Comunque noi assumiamo che sia valida e vediamo quale
informazione contiene la (6.28). La media statistica nella (6.28) pu`o essere
separata come
D
E
X
d
=
hbi bj ispin eik[ri rj ]
ensemble
d
ij

(6.29)

Per quello che riguarda la media sulle lunghezze di scattering essa va fatta
sugli isotopi e sugli stati di spin nucleari. Ora possiamo assumere che ci sia
una distribuzione random degli stati di spin e degli isotopi quindi bi < b >
+bi con < bi >= 0. Avremo
< bi bj >< b >2 + < bi bj >

(6.30)

Non ci aspettiamo correlazione fra stati su diversi nuclei quindi


< bi bj >=

se

i 6= j

< b2 > < b >2

se

i=j

(6.31)

Sostituendo questo risultato nella 6.29 si ottiene

E
XXD
d
= N < b2 > < b >2 + < b >2
eik[ri rj ]
d
i
j

(6.32)

Si definiscono
b2inc =< b2 > < b >2
b2coh

(6.33)

=< b >

le lunghezze di scattering incoerente e coerente. Nella (6.32) la parte con


binc viene detta sezione durto incoerente, il termine importante `e la sezione
durto coerente, che scriviamo come

d
d

coh

= N b2coh S(k)

(6.34)

dove abbiamo definito il fattore di struttura statico


S(k) =

1 X X D ik[ri rj ] E
e
N i j

62

(6.35)

6.3

Fattore di struttura statico

La trasformata di Fourier della densit`a microscopica (5.33) `e data da


k =

eikri

(6.36)

1
hk k i
N

(6.37)

quindi la (6.35) `e anche


S(k) =
La (6.35) si scrive anche come
S(k) = 1 +

1 X X D ik[ri rj ] E
e
N i j6=i

(6.38)

Dobbiamo notare che questa formula non `e ben definita nel limite k 0. In
effetti nella derivazione il caso k = 0 `e stato escluso in quanto corrisponde
ai neutroni che non vengono diffusi (scattering in avanti). Nella formula
(6.38) conviene ridefinire la S(k) sottraendo un termine N (k), questo non
`e rigoroso ma lo giustificheremo nel seguito. Dalla (6.37) vediamo che il
limite k 0 corrisponde alla correlazione delle fluttuazioni della densit`a
nel limite macroscopico. Ci possiamo aspettare quindi che la S(k 0) sia
collegata alla compressibilit`a isoterma sulla base della formula (3.60).
La funzione S(k) `e proprio il fattore di struttura che avevamo definito
in precedenza nella (5.3). Consideriamo la media sullensemble nella (6.38),
`e facile vedere che
1 X X D ik[ri rj ] E
e
=
N i j6=i

1
N
V
N

(2)

dr1 dr2 eik(r1 r2 ) N (r1 , r2 ) =


Z

dreikr 2 g(r)

(6.39)

Sostituiamo questa espressione nella (6.38), e otteniamo


Z

S(k) = 1 +

dr [g(r) 1] eikr

(6.40)

dove lintegrando `e g(r) 1 perch`e abbiamo tenuto conto del termine N (k)
sottratto nella (6.38). Notiamo che in questo modo lintegrale nella (6.40)
`e ben definito visto che la g(r) va a 1 nel limite di r . Questo limite
corrisponde proprio a quello k 0 della S(k). Abbiamo detto che questo
`e anche il limite a grandi lunghezze donda delle fluttuazioni della densit`a.
Riprendendo la regola di somma sulle g(r) (5.41) si ottiene
Z

S (k 0) = 1 +

dr [g(r) 1] = kB T KT

Questo giustifca la procedura seguita.


63

(6.41)

Possiamo ora introdurre anche la funzione di correlazione totale


h(r) = g(r) 1

(6.42)

S(k) = 1 + h(k)

(6.43)

In trasformata di Fourier

Il limite a grandi lunghezze donda per il fattore di struttura (6.41), non


pu`o essere misurato in esperimenti di diffrazione ma la (6.41) ha particolare
importanza in vicinanza di un punto critico liquido-gas. Il fattore di struttura infatti cresce enormemente a piccoli vettori donda, rendendo infine
impossibile la determinazione della struttura.
Dal punto di vista fenomenologico vicino al punto critico il fattore di
struttura per piccoli k si pu`o approssimare come
S(k)

A
k 2 + k02

(6.44)

mentre A rimane costante, k0 dipende fortemente dalla temperatura e tende


a decrescere per T TC la temperatura critica. Per capire meglio conviene
guardare alla funzione h(r). Il limite k 0 della S(k) corrisponde al limite
asintotico r per la h(r). Dalla (6.44) abbiamo che
h(r)

A r/
e
r

(6.45)

dove = 1/k0 `e una lunghezza caratteristica del liquido. Essa misura su


quale distanza decade la correlazione fra le fluttuazioni della densit`a rappresentate dalla h(r). La viene chiamata lunghezza di correlazione. La (6.44)
si pu`o riscrivere come
A (k)2
S(k) 2
(6.46)
k (k)2 + 1
In vicinanza del punto critico la lunghezza di correlazione diverge con una
legge di potenza |T TC | con 0.63. Questo comporta che per
k 0 il fattore di struttura diverge come
S(k)

1
(k)2 = 2
k2

(6.47)

Questo andamento in realt`a va corretto in


S(k)

1
k 2

(k)2 = 2

(6.48)

dove `e stato introdotto lesponente critico , che in 3 dimensioni ha un valore


piccolo ( 0.05). Sappiamo poi che nel limite k 0 il fattore di struttura
`e proporzionale alla compressibilit`a isoterma, (6.41). A sua volta la KT
64

diverge al punto critico come KT |T TC | con 1.22. Abbiamo


quindi una relazione fra i diversi esponenti critici data da
= (2 )

(6.49)

Abbiamo scritto le formule valide in 3 dimensioni, pi`


u in generale occorre
tener conto della dimensionalit`a d dello spazio, per esempio la (6.48) va
riscritta come
S(k) d1

6.4
6.4.1

Fattore di struttura di liquidi a pi`


u componenti
Fattori di struttura parziali

A partire dalla (5.45) si possono definire delle matrici


Z

H (k) =

dr eikr [g (r) 1]

(6.50)

e da queste i fattori di struttura parziali


S (k) = x + x x H (k)

(6.51)

Queste funzioni possono essere ottenute da misure di diffusione di neutroni. Con una procedura analoga a quella usata nel paragrafo precedente si
trova che la quantit`a misurabile `e la sezione durto, chiamata distinct, data
da

XX
d
=N
x x < b >< b > H (k)
(6.52)
d dis

dove le b sono come prima le lunghezze di scattering.

6.4.2

Sostituzione isotopica

Dalla (6.52) si possono ottenere le H (k) parziali con una tecnica detta di sostituzione isotopica. La illustriamo nel caso di una miscela a due
componenti, che chiamiamo A e B. Se definiamo F (k) = (d/d)dis /N
abbiamo
F (k) = x2A < bA >2 HAA + x2B < bB >2 HBB +

(6.53)

xA xB < bA >< bB > HAB


Le lunghezze di scattering dipendono dallisotopo. Se possiamo effettuare
in questo caso 3 esperimenti sostituendo in ognuno gli isotopi, anche solo
di uno degli atomi, otteniamo altre distinte F (k). Alla (6.53) possiamo aggiungere con due sostituzioni altre due equazioni, dove. i coefficienti davanti
65

alle H (k) saranno diversi. Nellipotesi che le propriet`a strutturali non


dipendono dallisotopo, come ragionevole, otteniamo in questo caso 3 equazioni nelle 3 incognite HAA (k), HBB (k).e HAB (k). Risolvendo il sistema di
equazioni si possono ottenere quindi le funzioni parziali.

6.4.3

Il caso molecolare

Nel caso si abbia a che fare con un liquido costituito da molecole conviene
separare il contributo intramolecolare da quello intermolecolare. Per semplicit`a consideriamo un liquido costituito da un solo tipo di molecole. Nel
calcolo della sezione durto (6.28) dobbiamo sostituire alla r la coordinata
(i)
dellatomo nella i-esima molecola. Essa si pu`o scrivere come ri = Ri +d
dove Ri `e la coordinata del centro di massa della molecola rispetto al siste(i)
ma di riferimento del laboratorio e d `e la distanza dellatomo dal centro
di massa. In questo modo la sezione durto si divider`a in una parte intramolecolare e una intermolecolare. Essa sar`a data da unespressione come la
(6.51) dove per`o
(intra)
inter
H (k) = H
(k) + H
(k)
(6.54)
Il termine importante `e quello intermolecolare, dal quale si pu`o ricavare la
FDR relativa ad un atomi e relativi a differenti molecole
(inter)
H
(k)

(inter)

dr eikr g

Sui liquidi molecolari torneremo in seguito.

66

(r) 1

(6.55)

Capitolo 7

Teorie della struttura


Nello studio della Fisica dei Liquidi e pi`
u in generale nello studio di sistemi
composti da atomi in configurazioni disordinate il primo problema `e proprio
quello di capire la relazione fra la struttura e linterazione microscopica fra
gli atomi. Cos` le prime teorie microscopiche nella fisica dei liquidi sono
state elaborate proprio con lidea di determinare la FDR a partire da un
dato potenziale.
Vediamo come si pu`o impostare il problema.

7.1

Il potenziale di forza media

Consideriamo da ora che il potenziale si possa scrivere come somma di


potenziali di coppia
U (r1 , , r1 ) =

XX
i

u(rij )

(7.1)

j>i

Riprendiamo la definizione della funzione g(r) (5.38) che si pu`o riscrivere


come
Z

zN
1 X
2
g(r12 ) =
dr3 . . . drN exp [U (r1 , . . . , rN )] (7.2)
ZGC N =2 (N 2)!
Applichiamo loperatore 1 a entrambe i lati della (7.2), abbiamo
2 1 g(r12 ) =
"

1
ZGC

zN
(N 2)!
N =2

1 u(r12 ) +

N
X

dr3 . . . drN

eU

(7.3)

1 u(r1i )

i=3

In questa equazione il termine 1 u(r12 ) si pu`o portare fuori dallintegrale,


mentre per il secondo termine abbiamo
Z

dr3 . . . drN

eU

N
X
i=3

67

1 u(r1i ) =

(7.4)

N Z
X

dr3 . . . drN eU 1 u(r1i ) =

i=3

(N 2)

dr3 . . . drN eU 1 u(r13 )

Sostituendo questo risultato nella (7.3) abbiamo


2 1 g(r12 ) = 1 u(r12 )

1
ZGC

zN
(N 2)!
N =2

1
ZGC

zN
(N 2)
(N 2)!
N =2

dr3 . . . drN

eU (7.5)

dr3 1 u(r13 )

dr4 . . . drN eU

Ora ricordiamo la definizione (5.32)


1
ZGC

zN
(N 3)!
N =3

dr4 . . . drN eU = 3 g (3) (r1 , r2 , r3 )

(7.6)

quindi possiamo scrivere la seguente equazione


1
1 g(r12 ) = g(r12 )1 u(r12 ) +

dr3 g (3) (r1 , r2 , r3 ) 1 u(r13 )

(7.7)

Questa equazione viene detta gerarchica, perch`e la funzione a due particelle


g(r) viene a dipendere da quella a 3 particelle g (3) . Si potrebbe proseguire lungo la stessa linea e si troverebbero una serie di equazioni, dette
gerarchiche, che mettono in relazione una g (n) alla g (n+1) . Naturalmente
unequazione come la (7.7) non serve a molto, in quanto per calcolare la
g(r) bisognerebbe conoscere la g (3) . Comunque possiamo esplorare questa
equazione per ricavarne meglio il significato. Nel limite 0 la (7.7) si
semplifica come
1 ln (g(r12 )) = 1 u(r12 )
(7.8)
da cui il limite a bassa densit`a della g(r), gi`a visto sopra (5.42)
g(r) = eu(r)

(7.9)

Possiamo introdurre un nuovo potenziale U(r) con una generalizzazione della


(7.9)
g(r) = eU (r)
(7.10)
Si pu`o anche definire una forza come
1 U(r12 ) = kB T 1 ln (g(r12 ))

(7.11)

Ora sostituiamo la forza (7.11) nella (7.7), otteniamo


Z

1 U(r12 ) g(r12 ) = g(r12 )1 u(r12 ) +


68

dr3 g (3) (r1 , r2 , r3 ) 1 u(r13 )(7.12)

se la dividiamo per g(r12 ) e cambiamo segno abbiamo unequazione interessante


Z

1 U(r12 ) = 1 u(r12 )

dr3

g (3) (r1 , r2 , r3 )
1 u(r13 )
g(r12 )

(7.13)

Il termine sulla sinistra rappresenta una forza totale fra due particelle, che `e
determinata dalla forza diretta fra di esse e da un termine di forza indiretta.
Infatti nellintegrale abbiamo la forza fra la particella 1 e la 2 mediata sulla
generica terza particella e integrata su tutte le particelle che intervengono. Il
potenziale (7.10) `e quindi quello che contiene tutti i contributi a molti corpi,
esso viene anche chiamato potenziale di forza media. Questa divisione di un
contributo diretto e uno indiretto allinterazione totale fra le particelle la
incontreremo anche in seguito in un diverso contesto.

7.2

Equazione di Born-Green

La (7.13) si pu`o anche riscrivere come


kB T 1 ln (g(r12 )) = 1 u(r12 ) +
"

perch`e

dr3

g (3) (r

1 , r2 , r3 )

g(r12 )

(7.14)

g(r13 ) 1 u(r12 )

dr3

g(r13 )1 u(r13 ) = 0

Se introduciamo lapprosimazione di sovrapposizione di Kirkwood


g (3) (r1 , r2 , r3 ) g(r12 )g(r13 )g(r23 )

(7.15)

la (7.14) diventa
kB T 1 [lng(r12 ) + u(r12 )] =

(7.16)
dr3 1 u(r13 ) [g(r13 ) (g(r23 ) 1)]

Lequazione di Born e Green consente per un dato potenziale di coppia di


calcolare la FDR. Lapprossimazione (7.15) sulla quale `e basata tuttavia si
pu`o considerare valida solo per un fluido a bassa concentrazione. Le moderne
teorie dei liquidi hanno assunto un diverso approccio al problema che ora
illustreremo, sulla base del metodo di Percus.

7.3

Metodo di Percus

Supponiamo di applicare un campo esterno alle particelle del nostro sistema,


lo indichiamo con (i). Per semplificare la notazione qualche volta useremo
69

un indice i per indicare ri . Riprendiamo la funzione di partizione nel grancanonico, come definita in (3.44)
Z

X
zN

ZGC =

N =0

eU (r1 ...rN )

dr1 ...drN

N!

(7.17)

con z data dalla (3.45). Il potenziale U lo pensiamo scritto come somma di


potenziali di coppia u(rij ). Quando applichiamo il campo esterno il sistema
non `e pi`
u omogeneo e la ZGC diventa un funzionale del campo applicato
Z

X
zN

ZGC [] =

N =0

N!

dr1 ...drN

N
Y

e(i)

i=1

eu(ij)

(7.18)

j>i

Definiamo ora
(i) = ze(i)
(i, j) = eu(i,j)
e riscriviamo la (7.18) come
ZGC [] =

X
1
N =0

N!

dr1 ...drN

N
Y

(i)

i=1

(i, j)

(7.19)

j>i

Naturalmente
lim ZGC [] = ZGC

(7.20)

A partire dalla (7.19) si possono generare le funzioni di distribuzione.


Notiamo che con le definizioni che abbiamo dato esse si possono scrivere in
questo modo:
(n) (1, ..., n; ) =

1
ZGC

1
(N n)!
N =n

(7.21)
Z

drn+1 ...drN

N
Y

(i)

i=1

(i, j)

j>i

Se ora operiamo una variazione di ZGC rispetto a (1) abbiamo

X
N
ZGC []
=
(1)
N!
N =1

dr2 ...drN

(1, 2)

N Y
Y

(i)(i, j)

(7.22)

i=2 j>i

Moltiplicando entrambi i lati per (1)/ZGC abbiamo


(1) ZGC []
=
ZGC [] (1)
1
ZGC

1
(N 1)!
N =1

(7.23)

dr2 ...drN

N
Y
i=1

70

(i)

Y
j>i

(i, j)

quindi abbiamo generato la funzione di distribuzione di particella singola


(1) (1; ) =

(1) ZGC []
lnZGC []
=
ZGC [] (1)
ln(1)

(7.24)

In modo analogo si pu`o verificare che


(2) (1, 2; ) =

1
ZGC []

(1)(2)

2 ZGC []
(1)(2)

(7.25)

e si possono ottenere tutte le funzioni di distribuzione


(n) (1, ..., n; ) =

1
ZGC []

(1)...(n)

n ZGC []
(1)...(n)

(7.26)

Notiamo che
lim (1) (1; ) = (1) (1) =

(7.27)

lim (2) (1, 2; ) = (2) (1, 2) = 2 g(r)

(7.28)

0
0

7.4

Funzione risposta statica

Definiamo ora una funzione risposta della densit`a, supponendo di applicare


al sistema una perturbazione statica,
Z

H ext =

dr(r)ext (r)

che si accoppia con la densit`a. Se la perturbazione `e piccola `e sufficiente


considerare il termine di risposta lineare
Z
(1)

(r, ) =

dr0 r r0 ext r0

(7.29)

La funzione (r, r0 ) `e definita come la funzione risposta statica. Essa deve


essere una propriet`a intrinseca del sistema ed `e definita pi`
u esattamente
come
"
#
(1) (1; )
(1, 2) =
(7.30)
(2)
=0
Nel Cap. 9 tratteremo pi`
u in generale la teoria della risposta lineare. Per
ora consideriamo che essa equivale a scrivere la variazione della (1) come
uno sviluppo in serie di Taylor
"

Z
(1)

(r, ) =

dr2

(1) (1; )
(2)

71

(2)
=0

(7.31)

Ora calcoliamo la derivata funzionale


(1) (1; )
(1) (1; ) (2)
(1) (1; )
=
= (2)
(2)
(2) (2)
(2)

(7.32)

Sostituiamo in questa la (7.24) e sviluppiamo le formule (per semplificare la


notazione non scriviamo esplicitamente la dipendenza da )

(1) (1; )
(1) ZGC
= (2)
=
(2)
(2) ZGC (1)

(7.33)

"

1 ZGC (1)
(1) ZGC ZGC
(1) 2 ZGC
(2)
2
+
=
ZGC (1) (2) ZGC (1) (2)
ZGC (1)(2)
"

(1) (1)
1 (1)
1 (2)
(2)
(1 2)
(1)(1) (2) +
(1, 2)
(1)
(2)
(2)

considerando che nel limite 0 sono soddisfatte le (7.27) e (7.28) e inoltre


z abbiamo
"

(1) (1; )
(2)

= (r1 r2 ) 2 + 2 g(r12 )

(7.34)

=0

Col risultato ottenuto abbiamo ora unespressione per la (7.30). Riprendiamo la funzione di correlazione totale
h(r) = g(r) 1

(7.35)

Possiamo riscrivere la (7.29) come


Z

(1) (r1 ) =

dr2 [(r1 r2 ) + h(r12 )] ext (r2 )

(7.36)

che pu`o essere trasformata in spazio k come


(1) (k) = (k)(k)

(7.37)

Abbiamo quindi

(k)

= 1 + h(k)

Daltra parte abbiamo in spazio k

1 + h(k)
= S(k)

(7.38)

(7.39)

da cui risulta
(k)

= S(k)

(7.40)

Abbiamo ottenuto un altro significato della S(k). Essa `e anche legata alla
risposta del sistema alla perturbazione della densit`a. Abbiamo visto che nel
limite di grandi lunghezze donda vale la (6.41)
S(k = 0) = kB T KT
Con la S(k) o la (k)

introduciamo una generalizzazione della KT a valori


finiti di k. Al punto critico la funzione risposta a piccoli k diverge, dando
luogo a quello che si chiama il fenomeno dellopalescenza critica.
72

7.5

Lequazione di Ornstein-Zernike

Per trattare i fenomeni critici Ornstein


e Zernike introdussero una nuova
funzione che restava finita anche al punto critico. Essa `e chiamata funzione
di correlazione diretta ed `e definita come
1
c(k) =
1 (k)

(7.41)

da cui anche

1
(7.42)
1
c(k)
La funzione c(k) e lequazione (7.42) hanno rivestito un ruolo chiave nello
sviluppo della teoria dei liquidi. Vediamo di dire qualcosa di pi`
u sulla c(k).
Dato che essa `e legata allinversa della (k)

si pu`o dire che ci d`a una stima


della rigidit`a del sistema ai cambiamenti di densit`a indotti da un potenziale
esterno. Ricordiamo che nel limite
S(k) =

KTid
(7.43)
KT
una misura di quanto la compressibilit`a isoterma si discosti da quella ideale
KTid = (kB T )1 .
Introduciamo ora la antitrasformata di Fourier della c(k)

c(k 0) = 1

drc(r)eikr

c(k) =
Possiamo riscrivere la (7.42) come

(7.44)

1 + h(k)
(1
c(k)) = 1

che diventa in spazio r

(7.45)

h(r12 ) = c(r12 ) +

dr3

c(r13 )h(r32 )

(7.46)

Questa `e lequazione di Ornstein-Zernike (OZ) che si pu`o scivere anche come


Z

dr0

h(r) = c(r) +

c |r r0 | h(r0 )

(7.47)

La funzione di correlazione totale `e stata separata in due termini, diretto


e indiretto. Se la c(r) rappresenta la correlazione diretta, quella totale si
ottiene iterando quella diretta
Z

h(r12 ) = c(r12 ) +

dr3

c(r13 )c(r32 ) +

(7.48)

dr3 dr4

c(r13 )c(r34 )c(r42 ) + ...

Lequazione O.Z., come detto sopra, gioca un ruolo centrale nella moderna
teoria dei liquidi. Naturalmente il calcolo della h(r) `e possibile solo se esiste
unaltra relazione fra h(r) e c(r) che renda possibile chiudere il problema.
Una tale relazione `e detta relazione di chiusura.
73

7.6

Sviluppo in diagrammi

Per trovare le relazioni di chiusura e calcolare quindi la struttura di un liquido a partire dal potenziale si possono introdurre metodi che hanno analogie
con quelli usati nella fisica dei sistemi a molti corpi quantistica. Lidea
di partenza consiste nello sviluppo di formule approssimate per le diverse
grandezze in gioco a partire dalla funzione di partizione.
La funzione di partizione del gran canonico si pu`o scrivere con uno
sviluppo in cluster, simile a quanto fatto per lanaloga funzione nel canonico
ZGC [] =

X
1
N =0

dr1 ...drN

N!

N
Y
i=1

(i)

[1 + f (i, j)]

(7.49)

j>i

dove ricordiamo che la funzione di Mayer `e definita da f (1, 2) = (1, 2) 1.


Se sviluppiamo la somma i primi termini sono
Z

ZGC [] = 1 +

dr1 (1) +

dr1 dr2 (1)(2) + ...

dr1 dr2 (1)f (1, 2)(2) +


Z

dr1 dr2 (1)f (1, 2)(2)(3) + ...

(7.50)

Ogni integrale che appare nella (7.50) pu`o essere rappresentato con un diagramma (vedi figura 7.1). In ogni diagramma i cerchi rappresentano una

Figura 7.1:
funzione (i). In generale un cerchio pu`o rappresentare una funzione di variabile singola o anche una costante, come per esempio la densit`a (i). I
cerchi possono essere bianchi (root points) oppure neri (field points). Se un
cerchio `e nero vuol dire che sta dentro un integrale sulla variabile da cui
dipende la funzione. Nel caso esaminato ora i cerchi sono tutti neri. Le
linee rappresentano funzioni di due variabili che congiungono due cerchi.
Riprendendo la funzione ZGC , essa si pu`o esprimere con uno sviluppo in
diagrammi come in figura 7.2.
Come si vede vi compaiono sia diagrammi connessi che sconnessi. Per
eliminare quelli sconnessi si fa uso di un teorema che dimostra che pren74

Figura 7.2:
dendo il logaritmo naturale dello sviluppo in diagrammi si eliminano quelli
sconnessi. Si ottiene quindi lo sviluppo riportato in figura 7.3.

Figura 7.3:
A partire dallo sviluppo si possono poi calcolare varie quantit`
a termodinamiche per un dato potenziale di interazione. Non solo ma si possono
anche derivare sviluppi per le funzioni strutturali. Prima di andare avanti
definiamo quello che si chiama un cerchio di connessione. Anche quando
rimaniamo con diagrammi connessi ne abbiamo alcuni che possono essere
separati in una o pi`
u componenti rimuovendo un cerchio e tutti i bond che
lo intersecano, tali cerchi sono detti connecting circles. In figura 7.4. riportiamo due esempi. Il cerchio nel primo caso viene detto di articolazione
perche dei due componenti uno ha solo cerchi neri. Nel secondo caso il cerchio si chiama nodale. Il cerchio nodale `e di connessione e in pi`
u quando
viene rimosso le due differenti componenti contengono ognuna almeno un
cerchio bianco.
Se riprendiamo lequazione di OZ vediamo che la funzione h(r) si pu`o
rappresentare con uno sviluppo in chain diagrams del tipo in figura 7.5.
Si pu`o dimostrare poi che la funzione c(r) `e determinata da uno sviluppo

Figura 7.4:

75

Figura 7.5:
di diagrammi che consistono di due cerchi bianchi con labels 1 e 2, cerchi
neri del tipo e bond di tipo f e non hanno connecting circles.
Sostituendo questo sviluupo nei chain diagrams di sopra si pu`o ottenere
uno sviluppo in diagrammi per la h(r) e quindi per la g(r). Non ci addentriamo nei dettagli di questa operazione ma andiamo a commentare il
risultato.

7.7
7.7.1

Relazioni di chiusura
Unequazione esatta per la g(r)

Da quanto detto nella sezione precedente per la funzione g(r) `e possibile


derivare uno rappresentazione in diagrammi che risulta essere uno sviluppo
in termini della densit`a
"

g(r) = e

u(r)

1+

#
n

gn (r)

(7.51)

n=1

dove i coefficienti dello sviluppo sono costituiti da somme di diagrammi come


in figura 7.6.

Figura 7.6:

76

Si vede che per 0 si ottiene rigorosamente il risultato che g(r)


exp[u(r)]. Inoltre possiamo definire una funzione
y(r) = eu(r) g(r)

(7.52)

che `e continua in quanto costituita da uno sviluppo in serie di potenze di ,


mentre in generale la g(r) pu`o essere anche discontinua a causa della forma
del potenziale. Per questa sua caratteristica la y(r) pu`o essere pi`
u utile negli
sviluppi matematici.
Riprendiamo lequazione che definiva il potenziale di forza media (7.10)
g(r) = eU (r)

(7.53)

w(r) = [u(r) U(r)]

(7.54)

e definiamo la funzione

Essa rappresenta la differenza fra il potenziale di coppia e quello di forza media o effettivo. La conoscenza della funzione (7.54) consentirebbe
ovviamente di calcolare la g(r) esattamante.
w(r) = ln [y(r)]

(7.55)

Dallo sviluppo della (7.55) se ne pu`o ottenere uno per la funzione w(r).
Non ci addentreremo nella esposizione completa della teoria. La w(r) risulta
dalla somma di due classi di diagrammi
w(r) = b(r) + d(r)

(7.56)

dove la funzione b(r) `e la somma dei diagrammi detti serie. Sono diagrammi
che contengono almeno un cerchio nodale. La d(r) risulta dalla somma
di quelli detti bridge che sono diagrammi che sono privi di cerchi nodali
(figura 7.7).

Figura 7.7:

77

I diagrammi serie sono pi`


u semplici da trattare e si possono sommare
per ottenere
b(r) = h(r) c(r)
(7.57)
Sostituendo nella (7.55) la (7.56) si ha
y(r) = eh(r)c(r)+d(r)

(7.58)

da questa si ricava unespressione esatta per la g(r)


g(r) = eu(r)+h(r)c(r)+d(r)

(7.59)

Questa equazione, combinata con la OZ, fornirebbe una relazione di chiusura. Purtroppo i diagrammi bridge della d(r) non possono essere sommati
esattamente.

7.7.2

HNC e Percus-Yevick

Una possibile approssimazione `e quella di trascurare completamente il contributo dei bridge, ponendo d(r) = 0 nella (7.59), si ha cos` la teoria detta,
per motivi storici, hyper-netted-chain (HNC) dove
g(r) = eu(r)+h(r)c(r)

(7.60)

Unaltra chiusura si ottiene linearizzando la HNC


eh(r)c(r) 1 + h(r) c(r) = g(r) c(r)

(7.61)

g(r) eu(r) [g(r) c(r)]

(7.62)

c(r) = g(r) y(r)

(7.63)

da cui
che diventa
questa approssimazione si chiama Percus-Yevick (PY) e si pu`o scrivere anche
nelle forma equivalente
c(r) = f (r)y(r)
(7.64)
dove f (r) = eu(r) 1 `e la funzione di Mayer.

7.8

Il liquido di sfere dure

Come esempio di applicazione delle relazioni di chiusura consideriamo ora il


liquido di sfere dure, del quale abbiamo gi`a parlato nel Cap. 4. Ricordiamo
che il potenziale `e dato da

u(r) =

r<
(7.65)

0
78

r>

Abbiamo detto che la termodinamica di questo sistema non dipende dalla temperatura. Vediamo meglio perche. Ricordiamo che la funzione di
partizione `e data da
exc
QN (V, T ) = Qid
N (V, T )QN (V, T )

dove
Qexc
N (V, T )

1
= N
V

P P

dr1 ...rN e

j>i

(7.66)
u(rij )

(7.67)

col potenziale di sfera dura (7.65) risulta


eu(r) = (r )
e quindi
Qexc
N (V, T ) =

1
VN

dr1 ...rN

YY

(7.68)

(rij )

(7.69)

i j>i

exc
quindi Qexc
N (V, T ) = QN (V ). Come conseguenza lenergia interna delle
sfere dure contiene solo il contributo cinetico e lenergia libera di eccesso
`e determinata solo dallentropia. Il comportamento termodinamico quindi
dipende solo dalla densit`a che si pu`o riscalare come 3 . Spesso si usa come
parametro la frazione di impacchetamento (packing fraction)

(7.70)

essa misura quanta frazione del volume disponibile `e occupata. Non pu`o
mai raggiungere il valore 1, infatti la massima `e determinata dalla massima densit`a possibile per sfere ordinate in una struttura solida
di massima
occupazione, quella f.c.c. Tale massima densit`a vale 0 3 = 2 a cui corrisponde 0 0.75. La simulazione al calcolatore mostra lesistenza di una
transizione dalla fase liquida a quella solida per un valore di 3 = 0.939
con un cambio di volume del 10% circa.

7.8.1

PY per le sfere dure

Vediamo come si tratta questo sistema con le equazioni integrali, in particolare la PY. Prima di tutto vista la forma del potenziale deve essere
g(r) = 0

quandor <

(7.71)

ci aspettiamo quindi una discontinuit`


a di questa funzione. Richiamiamo qui
la formula per la pressione del viriale
P
2
= 1

Z
du

79

dr

g(r)r3 dr

(7.72)

la discontinuit`a della g(r) potrebbe creare problemi nel calcolo della (7.72)
vista anche la forma del potenziale. Conviene introdurre la (7.52)
P

du
2
= 1
eu(r) y(r)r3 dr
3
dr
0

Z
2
3 d u(r)
= 1 +
y(r)r
e
dr
3
dr
0

(7.73)

Ora dobbiamo derivare la funzione eu = (r ). La derivata della (r)


`e la funzione (r) quindi la (7.73) diventa
Z

2
= 1 +
y(r)r3 (r )dr
3
0
2
= 1 + lim r3 y(r)
3 r

(7.74)

qui il risultato `e ben definito visto che la y(r) `e una funzione continua,
possiamo quindi collegarla alla g(r). Dato che il potenziale va ad infinito
per r < sappiamo che g(r) = 0 per r < e ci aspettiamo una discontinuit`
a
perch`e g(r) > 0 per r > . Possiamo allora definire la g(), detto valore di
contatto, come
lim g(r) = g()
r +

Per la continuit`a della y(r), sar`a y() = g() quindi la pressione delle sfere
dure risulta
2
P
= 1 + 3 g()
(7.75)

3
ed `e determinata dal valore di contatto della g(r).
Consideriamo ora lapprossimazione PY (7.64), per le sfere dure abbiamo

f (r) =

y(r)

r<
c(r) =

r<

0
r>
0
r>
tenendo conto della condizione (7.71) possiamo scrivere la PY in termini
della funzione y(r) come

y(r) = c(r)

r<

y(r) =

r>

g(r)

(7.76)

Lequazione OZ si pu`o risolvere esattamente e la funzione di correlazione


diretta ha una forma semplice, con x = r/
c(r) =

a1 + a2 x + a3 x

x<1

x>1

0
80

dove

(1 + 2)2
a1 =
(1 )4

7.8.2

a2 = 6

1 + 12

(1

)4

1
a3 = a1
2

Inconsistenza termodinamica

Possiamo calcolare la pressione del viriale con la formula (7.75), tenendo


conto che nella PY
g() = lim c(r)
r

abbiamo

pv
1 + 2 + 3 2
=

(1 )2

(7.77)

La pressione si pu`o ottenere anche attraverso unaltra strada, possiamo partire dalla compressibilit`a isoterma KT che viene dalla c(k = 0), vedi (7.43).
Integrando la KT abbiamo per la pressione
pc
1 + + 2
=

(1 )3

(7.78)

Come si vede le pressioni pv e pc sono diverse. Questo `e il problema della


inconsistenza termodinamica, che si ritrova in tutte le chiusure della OZ e
` un problema non eliminabile, dovuto alle approssiper tutti i sistemi. E
mazioni che vengono effettuate e che producono quantit`
a che sono calcolate
con maggiore o minore precisione a seconda della strada seguita.
Nella figura oltre alla HNC e PY sono riportati anche i risultati della
equazione di Born-Green. Il confronto `e fatto con lequazione di stato di
Carnahan e Starling (CS) che si `e rivelata come quella in grado di riprodurre
esattamente i risultati della simulazione del liquido di sfere dure. Essa `e data
da
1 + + 2 3
pCS
=

(1 )3

7.9

(7.79)

Una strada per la consistenza: HNC modificata

Riprendiamo la formula esatta per la g(r)


g(r) = eu(r)+h(r)c(r)+d(r)

(7.80)

Nella HNC si pone d(r) = 0. Rosenfeld e Ashcroft proposero di non trascurare completamente la bridge function ma di assumere quella di un
sistema di riferimento, per esempio quella delle sfere dure. Tale sistema
81

Figura 7.8: Equazione di stato per le sfere dure con diverse teorie
infatti `e ben conosciuto tramite la simulazione al calcolatore e quindi confrontando la g(r) HNC con quella vera ottenuta dalla simulazione si pu`o
ricavare landamento della d(r)
dHS (r) = ln [yHS (r)] [hHS (r) cHS (r)]

(7.81)

al variare di . Si pone quindi


d(r) dHS (r; )

(7.82)

nella (7.80).
La packing fraction `e un parametro libero che pu`o essere usato per imporre la consistenza termodinamica. Rosenfeld e Ashcroft mostrarono che
con buona approssimazione la brigde function calcolata dalle sfere dure pu`o
essere usata per studiare sistemi con diversi tipi di potenziale. Questa teoria, chiamata HNC modificata, porta a buoni miglioramenti dellaccordo fra
teoria ed esperimento o simulazione. Il problema dellinconsistenza termodinamica non viene per`o superato del tutto, in quanto si ha a disposizioe un
solo parametro. Altre metodologie sono state introdotte in anni pi`
u recenti
e rimandiamo per questo alla letteratura.

82

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