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Discorsi dei liberti e parodia del Simposio platonico nella Cena Trimalchionis
Author(s): Federica Bessone
Source: Materiali e discussioni per l'analisi dei testi classici, No. 30 (1993), pp. 63-86
Published by: Fabrizio Serra Editore
Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23209073
Accessed: 22-06-2016 04:03 UTC
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sta di matrimonio per Trimalcione (PetrSatyr. 74, 15), in: Studia Fiorentina Ale
xandre Ronconi sexagenario oblata, Roma 1970, p. 452.
3. E' questa la tesi sostenuta con un'analisi dettagliata dei capp. 41-46 da A. Peru
telli, Le chiacchiere dei liberti. Dialogo e commedia in Petronio 41-46, Maia 37,
1985, pp. 103-19. In precedenza solo un brevissimo accenno era stato fatto da Ca
meron, art. cit. p. 370: ...the real counterpart of the philosophical conversation
proper to a dialogue is of course the homely philosophy of the freedmen. Perutelli
fa riferimento anche al Simposio, sia in generale sia, specialmente, a proposito del
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banchetto dispotico. In questa prospettiva (descrizione del dialogo dei liberti come
tentativo - fallimentare - di conformarsi al modello del simposio democratico ate
niese; lettura in chiave simbolica di questo scacco - che rappresenterebbe fra l'altro
la perdita della libert di parola, sul piano politico, nella Roma imperiale -) la Du
pont respinge la definizione del rapporto tra la Cena e il Simposio in termini di
parodia (l'interpretazione della Cena come anti-Simposio, proposta dalla studiosa
francese, accolta e ribadita da R. Martin, La Cena Trimalcbionis: les trois ni
veaux d'un festin, Bull. Ass. G. Bud 1988, 3, p. 243 s.).
5. Cfr. ad es. P. Von der Mhll, Il simposio greco, in: Poesia e simposio nella
Grecia antica. Guida storica e critica, a c. di M. Vetta, Roma/Bari 1983, p. 10 (ed.
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rig.: 1957); . Bielohlawek, Precettistica conviviale e simposiale nei poeti greci (da
Omero fino alla silloge teognidea e a Crizia), ibid. (il saggio del 1940), p. 99, 105 e
n. 16, ecc. Del resto non mancano esempi neppure in ambito latino: si veda, oltre ai
passi di Cicerone e di Orazio citati pi avanti, Macr. Sat. 2, 1, 1 ; 7,1, 1, dove agisce
ugualmente il modello della letteratura simposiale greca; cfr. inoltre Mart. 10, 48,18
ss.; 12, 155 ss.; 13, 639 ss.; Apul. Met. 2, 19).
6. Si veda anche la definizione data da Plutarco, nel proemio generale alle sue
Quaestiones convivales (I, 612 d-e), dei simposi scritti da illustri filosofi (Aristotele,
Speusippo, Epicuro, Pritani, Ieronimo, Dione) sull'esempio di Platone e Senofonte:
... (iciv
.
loc. (e, da ultimo, M. G. Cavalca Schiroli, Dama: Petron. Satyr. 41, 10-12, in:
Mnemosynum. Studi in onore di A. Gbiselli, Bologna 1989, p. 89) e si confronti la
richiesta di Abinna ubriaco, subito imitato da Trimalcione, a 65, 8.
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8. Qui sembrerebbe agire anche il modello della cena Nasidieni (cfr. ad es. Sulli
van, op. cit. p. 127), in cui lo spazio lasciato libero dall'uscita dell'ospite colmato
dai sussurri a bassa voce scambiati nell'orecchio tra i convitati (Hor. S. 2, 8, 77-8) e,
tra l'altro, da una richiesta inascoltata di vino da parte di Vibidio (v. 82): in realt,
come si dir anche in seguito (cfr. l'Appendice) l'analogia rimane in questo caso
superficiale ed esterna, pi apparente che reale.
9. Una di quelle considerazioni di ordine generale cos spesso associate all'invito a
bere e al carpe diem, cui anche Trimalcione aveva fatto omaggio al cap. 34 (7; 10), e
che un passo di Lucrezio (per non citare la ricchissima tradizione di poesia simpo
siale in proposito) definisce come tipiche dei contesti conviviali: Lucr. 3, 912 ss. hoc
etiam faciunt ubi discubuere tenentque/ pocula saepe homines et inumbrant ora
coronis,/ ex animo ut dicant 'brevis hic est fructus homullis;/ iam fuerit neque post
umquam revocare licebit'.
10. Per la quale la formulazione pi vicina, in un contesto simposiale e in stretta
connessione con l'invito a bere, forse quella di Alceo, fr. 346 LP: Beviamo.
Perch aspettare le lucerne? Il giorno un dito... ( questa una delle due interpre
/ , <> ' / .
11. Di cui il carme di Alceo non privo, e che saranno valorizzate dal rifacimento
12. E' appena il caso di ricordare Cat. 5, 4-6: soles ocdere et redire possunt: /
nobis cum semel occidit brevis lux, / nox est perpetua una dormienda o Hor. C. 1,
28, 15 s.: sed omnis una manet nox / et calcanda semel via leti. Per l'invito a bere
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legato alla coscienza del trascorrere del giorno si pu richiamare Hor. C. 3, 28, 5
ss.: inclinare meridiem / sentis ac, veluti stet volucris dies, /paras deripere horreo /
cessantem Bibuli consults amphoram. Anche la forma dell'espressione (dum versas
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17. Mentre spesso il vino lodato come liberatore dagli affanni, capace di riaccen
dere la speranza, di ricondurre alla giovinezza, di recare l'oblio... (cfr. A. La Penna,
Il vino di Orazio: nel modus e contro il modus, in: Saggi e studi su Orazio,
Firenze 1993, p. 275-97, a p. 290 ss.). L'esaltazione di Dama sar ripresa in forma
decisamente volgare nel successivo discorso di Seleuco (42, 2).
20. Cio senza l'imposizione delle leggi simposiali, che stabilivano la quantit di
vino che i convitati dovevano bere (cfr. il passo oraziano citato pi avanti).
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.., '
, ' , ); sar di
nuovo lui, nella parte finale, al momento dell'arrivo di Alcibia
de ebbro e di fronte alla sua richiesta di vino e al suo autopro
clamarsi arbitro delle bevute, ad obiettare che, in tal modo, essi
non saranno in grado di parlare davanti al bicchiere n di canta
re, ma berranno solo come degli assetati (214 a-b): ...
; , '
;
L'incompatibilit tra lo stato di ubriachezza e la conversazio
ziativa di bere poco alla volta (23 ss.): perch il vino addormen
ta le pene e risveglia le gioie, ma ai corpi umani avviene come
alle piante, che, abbeverate troppo copiosamente, non riescono
a sollevarsi e a lasciarsi penetrare dalle brezze, mentre, se bevo
no secondo il bisogno, crescono ben dritte, fioriscono e produ
cono frutti; cos anche noi, qualora ci facciamo versare da bere
tutto in una volta, subito vedremo vacillare il nostro corpo e la
nostra mente, e non saremo in grado neppure di respirare, tanto
meno di dire qualcosa; se invece i servi faranno stillare per noi
una pioggia fine e frequente in piccole coppe... cos, non essen
do costretti dal vino ad ubriacarci, ma lasciandoci persuadere,
giungeremo a una maggiore gaiezza (anche qui la proposta vie
ne accolta da tutti).
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quae quidem etiam in Sabinis persequi soleo conviviumque vicinorum cotidie com
pleo, quod ad multam noctem, quam maxime possumus, vario sermone producimus.
24. S. 2, 6, 65 ss.: o nodes cenaeque deum! quibus ipse meique / ante Larem
proprium vescor vernasque procaces / pasco libatis dapibus. prout cuique libido est /
siccat inaequalis calices conviva, solutus / legibus insanis, seu quis capit acria fortis /
pocula seu rnodias uvescit laetius. ergo / sermo oritur, non de villis domibusve alie
nis, / nec male necne Lepos saltet; sed quod magis ad nos / pertinet et nescire malum
est agitamus: utrumne / divitiis homines an sint virtute beati; / quidve ad amicitias,
usus rectumne, trahat nos; / et quae sit natura boni summumque quid eius. / Cer
vius haec inter vicinus garrit anilis / ex re fabellas... Sul passo si sofferma M. Puelma
; cfr. inoltre i w. 69-70 con la distinzione tra forti e deboli nel bere in 176 b-c.
Si veda anche il brano dei Saturnalia di Macrobio (2, 8, 4-9) in cui Eustazio si
oppone alla proposta di Evangelo di bere copiosamente, illustrandogli i vantaggi del
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il pezzo.
La proposta di leggere in filigrana, sotto la costruzione del
sequenza dei discorsi; essa imprime una svolta alla tirata del
Alessandria (cfr. Plut. Quaest. conv. I, 612 d-e). L'argomento del vino topico
nella letteratura simposiale in genere; esso molto ben rappresentato, ad es., nelle
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108).
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pleta.
Merita soffermarsi un attimo, a questo punto, sulla figura di
Agamennone. Il gioco intertestuale, come si visto, proietta per
29. Il segnale , come mi fa notare Mario Labate, metalinguistico oltre che meta
letterario : quia tu, qui potes loquere, non loquis, con il clamoroso volgarismo del
l'uso attivo del verbo per il deponente (se si accetta, come mi sembra opportuno, la
lieve correzione del Burman per loquere, non loqui di H), affermazione e insieme
dimostrazione in atto, dichiara esplicitamente ed esprime con forza raddoppiata
l'estraneit di chi sa parlare a questo dialogo di illetterati.
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31. E' curioso che la presentazione del possibile discepolo al maestro abbia qual
che somiglianza con la presentazione del proprio figlio fatta da Strepsiade a Socrate
nelle Nuvole di Aristofane, w. 877 ss.: l'analogia forse troppo circoscritta e vaga,
ma non si pu escludere un effetto programmato dal testo, uno slittamento dal
Socrate platonico al Socrate della commedia aristofanea per il sovrapporsi momen
taneo della figura di Echione a quella di Strepsiade, modello di mentalit concreta e
diffidente verso le astrattezze della cultura.
32. Si pensi, in particolare, alla meschina prestazione di 48, 4 ss., dove, alla do
manda di Trimalcione sed narra tu mihi, Agamemnon, quam controversiam hodie
declamasti?, il retore inizia con *pauper et dives inimici erant, offrendo lo spunto
per la battuta di pessimo gusto dell'ospite quid est paupert La volgarit della battu
ta, e quindi di Agamennone che si presta al gioco, amplificata dalla contiguit con
l'intermezzo dei liberti, in particolare con gli ultimi due discorsi: quello di Ganime
de, con l'urgenza del problema della carestia e della miseria personale incombente
(44, 2; 44, 15); quello di Echione, con l'esplicita dichiarazione di appartenenza alla
classe dei pauperes, esibita proprio in faccia al retore, e con il tentativo - vano in
partenza - di stabilire un contatto con lui, oltre le distanze sociali. In questo modo,
con grande economia di mezzi e in maniera indiretta, Agamennone viene caratteriz
zato come una bassa figura di adulatore e di parassita, che sopporta e sostiene le
volgarit di Trimalcione - non molto diverse da quelle dei suoi colleghi - solo per
captarne le ricche cene. Ci sar detto poi, quasi esplicitamente, a 52, 7-8: excipimus
urbanitatem iocantis, et ante omnes Agamemnon qui sciebat quibus mentis revoca
retur ad cenam; l'espressione molto simile, curiosamente, a quella che qualifica la
figura di un buffone parassita nel Simposio di Senofonte, 1,14:
,
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34. Altri, secondari, elementi del rovesciamento si potrebbero vedere nel disprez
zo per i pauperes rinfacciato ad Agamennone (confermato dalla sua caratterizzazio
ne come adulatore e parassita): proprio l'opposto della figura di Socrate, sempre
ammirato per la sua indifferenza alle ricchezze, per il suo intrattenersi con persone
di umile condizione e per il suo parlare un linguaggio simile al loro, pur dicendo
cose altissime; inoltre nella derisione dei discorsi dei liberti attribuita ad Agamen
none, che si contrappone all'imbarazzo, alla paura di mostrarsi ridicolo e di attirarsi
derisione espressa da Socrate nel Simposio al momento di prendere la parola, dopo il
bellissimo discorso di Agatone (198 c-d: ,
'
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un'ombra.
con quello che sappiamo sulla parodia del Simposio nella secon
da parte della Cena, dal discorso di Nicerote38 all'entrata di
, ).
35. 48, 4-7: .sed narra tu mihi, Agamemnon, quam controversiam hodie declama
sti?...die ergo, si me amas, peristasim declamationis tuae. cum dixisset Agame
mnon: pauper et dives inimici erant, ait Trimalchio quid est pauper}, turbane
inquit Agamemnon et nescio quam controversiam exposuit. statim Trimalchio hoc
inquit si factum est, controversia non est; si factum non est, nihil est, haec aliaque
cum effusissimis prosequeremur laudationibus, rogo inquit Agamemnon mihi ca
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trata nel testo, nata come titolo della sezione42. Fuchs pensava
che si fosse corrotto qualcosa come nos...coepimus <nos ipsi ad
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est...*5.
in particolare Apui. Met. 2, 19 ss.: iam inlatis luminibus epularis sermo percre
buit...
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nacti)46.
46. Del resto, l'uso della prima persona plurale nella Cena costituisce a sua volta
un problema aperto, che richiederebbe di per s uno studio; vi infatti chi ha
sostenuto, contro Smith, che anche le forme verbali di 41, 8 (laudavimus, perbasia
mus) vanno riferite ad Encolpio, Ascilto e Gitone, non essendo necessario attribuire
a tutti i convitati le tendenze omosessuali - sottolineate dal marcato perbasiamus caratteristiche dei protagonisti: cos B. Baldwin (Editing Petronius: Methods and
Examples, Acta Classica 31, 1988, p. 42 s.), che difende in base a ci il testo
tradito. Riservato sicuramente ad Encolpio e compagni all'inizio (quando il grup
petto ancora isolato, ai capp. 27-30 e oltre) ed ancora nell'episodio del bagno (ai
capp. 72-3, dove il gruppo di nuovo ben distinto e contrapposto agli altri, cfr. 73,
4-5), l'uso del nos e della prima persona plurale tende, nel resto del banchetto, ad
una certa indistinzione e risulta stingere talvolta in un riferimento piuttosto vago
all'insieme dei commensali (cfr. R. Beck, Encolpius at the Cena, Phoenix 29,
1975, p. 277): nella coralit della situazione di spettatori il punto di vista dei prota
gonisti, estensione di quello di Encolpio narratore, quasi si confonde sullo sfondo
omogeneo del pubblico. A dire il vero, questo sembra essere piuttosto un effetto
collaterale (indotto anche dalla genericit del vos con cui Trimalcione si rivolge ai
suoi ospiti, parlando forse alla massa anzich ai soli scholastici) e, ove manchino
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protagonisti (soprattutto nel caso dei vari notavimus - paralleli al notavi spesso
usato da Encolpio -, nelle espressioni di incertezza di fronte alle trovate sceniche di
Trimalcione e nella maggior parte delle espressioni di stupore ed ammirazione parallele a quelle usate da Encolpio in prima persona -, nei moti di disgusto, ecc.);
per la maggior parte si avranno dei casi ambigui, che attraverso azioni attribuibili in
prima istanza ai personaggi principali lasciano intravedere comportamenti generali
dei convitati; un caso simile forse nonostante Baldwin - quello di 41, 8, che
potrebbe essere di questo tipo generale/indistinto ('a doppia focalizzazione' ?) : ma
non si possono ricavare di qui prove decisive, in un senso o nell'altro, riguardo al
testo di 41, 9, poich (come si visto) indifferente che vi sia coerenza o discrepan
za tra il nos di 41, 9 e le prime persone plurali di 41, Isolata la posizione di C.
Pellegrino, I convivarum sermones e il liberto Dama: Satyr., 41, 9-12, Lato mus
47, 1988, p. 660 ss., che accetta il testo tradito ma intende il nos di 41, 9 come
riferito a tutti i commensali. Per la contrapposizione tra il gruppo dei protagonisti e
il resto dei convitati, infine, cfr. 60, 7 e 60, 9 (inoltre, nell'episodio del bagno, 73,
4-5; contrapposizione tra ego e reliqui convivae si ha a 60, 2).
47. Perplessit sono espresse (sulle orme di V. Tandoi, che in un corso universita
rio proponeva di correggere in incitare) da M. Salanitro, Convivarum sermones,
Invigilata lucernis 10, 1988, pp. 286-88.
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48. O, ancora, come voce mea voces elidente dei (. Fast. 1, 256; cfr. anche Ex
Pont. 2, 5, 46) sta a quem ego totiens omni ratione temptans ad disputandum elice
re... (Cic. De or. 2, 13). A invitare sermones si pu forse accostare, infine, una
iunctura senecana con arcesso: Sen. Cons. ad Marc. 5, 3 quarepatere, immo arces
se sermones quibus ille narretur, et apertas aurespraebe adnomen memoriamque
filii tui.
49. Sulla stretta connessione di convivarum sermones con le parole di Dama cfr.
anche M. Salanitro, art. cit. p. 286 s. Tutto il nesso itaqueprimus (...inquit) si adatta
in modo singolarmente calzante ad un precedente coepimus invitare convivarum
sermones, non si potrebbe dire altrettanto se si avesse il solo itaque. almeno una
volta, a 26, 7 s. (...sed tot vulneribus confossis fuga magis placebat quam quies.
itaque cum maesti deliberaremus quonam genere praesentem evitaremus procellam,
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50. In questo senso va fatta una chiara distinzione rispetto alla cena Nasidieni
(Hor. S. 2, 8), in cui il padrone di casa impallidisce alla richiesta di pi vino da parte
dei commensali perch, raffinato gourmand, teme l'ottundimento del gusto, nemico
dell'arte culinaria, e insieme paventa lo sfrenarsi della maldicenza (w. 33 ss.): Tri
malcione non ha preoccupazioni cos sottili e non sembra esercitare un'azione re
pressiva di questo tipo sui suoi ospiti. N si pu dire che la satira oraziana, punto di
riferimento importante per la cena Trimalchionis, eserciti in questo caso un ruolo
rilevante di modello, se non per la sceneggiatura del momentaneo assentarsi dell'o
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versetur, sequatur etiam conviva; ...sit ergo hic sermo, in quo Socratici maxime
excellunt, lenis minimeque pertinax, insit in eo lepos. nec vero, tamquam in posses
sionem suam venerit, excludat alios, sed cum reliquis in rebus tum in sermone com
muni vicissitudinem non iniquam putet; ...habentur autemplerumque sermones aut
de domesticis negotiis aut de re publica aut de artium studiis atque doctrina, danda
igitur opera est, ut etiamsi aberrare ad alia coeperit, ad haec revocetur oratio, sed
utcumque aderunt...; animadvertendum est etiam, quatenus sermo delectationem
habeat, et ut incipiendi ratio fuerit, ita sit desinendi modus. Una simile arte del
sermo conviviale intravediamo disegnata (grazie ad una testimonianza di Gellio)
anche nella satira menippea di Varrone Nescis quid vesper serus vehat, in cui si
definisce nei suoi vari aspetti un ideale di banchetto: Geli. 13,11, 3-5 = Varr. Nescis
quid... 336-40 Astbury, ...nec loquaces autem, inquit, convivas nec mutos legere
oportet, quia eloquentia in foro et apud subsellia, silentium vero non in convivio set
in cubiculo esse debet, sermones igitur id temporis habendos censet non super rebus
anxiis aut tortuosis, sed iucundos atque invitabiles et cum quadam inlecebra et vo
luptate utiles, ex quibus ingenium nostrum venustius fiat et amoenius. quod prefec
to, inquit, eveniet, si de id genus rebus ad communem vitae usum pertinentibus
confabulemur, de quibus in foro atque in negotiis agendis loqui non est otium. domi
num autem, inquit, convivii esse oportet non tarn lautum, quam sine sordibus, et in
convivio legi non omnia debent, sed ea potissimum, quae simul sint et delec
tent (cfr. J-P. Cbe, Varron, Satires mnippes [d., trad, et comm.], 9, Roma 1990,
p. 1436; si noti, fra l'altro, che i consigli sugli argomenti da toccare nella conversa
zione sono puntualmente disattesi dagli oratori di Petronio - v. anche Cbe, op. cit.
primisque provideat, ne sermo vitium aliquod indicet inesse in moribus; quod maxi
me tum solet evenire, cum studiose de absentibus detrahendi causa aut per ridiculum
aut severe, maledice contumelioseque diatur soprattutto con il maligno discorso di
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spiegazione, con quel che segue, funziona come elemento ritardante rispetto al
preannunciato dialogo conviviale, che pu avere luogo solo una volta uscito di
scena il padrone di casa.
54. Offrirebbe, inoltre, quasi un parallelo scenico all'introduzione dei discorsi nel
Simposio stesso, dove proprio la proposta di un commensale, Erissimaco, a dare il
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