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Luciano A.

Lomonaco

Unintroduzione
allalgebra lineare
Terza edizione

ARACNE

Copyright MMVI
ARACNE editrice S.r.l.
www.aracneeditrice.it
info@aracneeditrice.it
via Raffaele Garofalo, 133 A/B
00173 Roma
(06) 93781065
isbn 8854801445
I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,
di riproduzione e di adattamento anche parziale,
con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.
Non sono assolutamente consentite le fotocopie
senza il permesso scritto dellEditore.
I edizione: ottobre 1997
II edizione: giugno 2005
III edizione: luglio 2006

INDICE

Capitolo 1
STRUTTURE ALGEBRICHE
1
2
3
4
5
6
6

Generalit`a sulle strutture algebriche


Gruppi
Azioni di un gruppo su un insieme
Anelli
Polinomi su un dominio di integrit`a
Polinomi su un campo
Fattorizzazione di un polinomio
Esercizi

Capitolo 2
SPAZI VETTORIALI
1
2
3
4
5
6
7

1
5
9
12
16
21
25
33

37

Spazi vettoriali su un campo


Dipendenza e indipendenza lineare
Basi e dimensione
Sottospazi
Sottospazi congiungenti e somme dirette
Generalit`a sulle applicazioni lineari
Monomorfismi, epimorfismi ed isomorfismi
Esercizi

37
40
45
53
58
64
69
77

Capitolo 3
MATRICI, DETERMINANTI, SISTEMI LINEARI
1
2
3
4

Generalit`a sulle matrici


Matrici a scala
Definizione e prime propriet`a dei determinanti
Dimostrazione del Teorema di Esistenza ed Unicit`a
i

83
83
90
96
100

5
6
7
8
9

Ulteriori propriet`a dei determinanti


Calcolo dellinversa di una matrice
Generalit`a sui sistemi lineari
Il metodo dei determinanti
Il metodo di GaussJordan
Esercizi

Capitolo 4
MATRICI E APPLICAZIONI LINEARI
1
2
3
4
5

Matrici e applicazioni lineari


Cambiamenti di riferimento
Alcune applicazioni dei determinanti
Autovettori, autovalori e polinomio caratteristico
Diagonalizzazione
Esercizi

Capitolo 5
SPAZI VETTORIALI EUCLIDEI
1
2
3
4
5

Forme bilineari e prodotti scalari


Spazi vettoriali euclidei
Il Procedimento di GramSchmidt
Diagonalizzazione ortogonale
Forme quadratiche
Esercizi

104
118
124
128
137
148

153
153
161
163
167
173
181

185
185
193
198
204
209
213

TAVOLA DELLE NOTAZIONI

215

INDICE ANALITICO

217

ii

Nota dellautore
Il presente volume `e destinato a studenti del primo anno dei corsi di laurea
triennali delle Facolt`
a si Scienze ed Ingegneria. In esso sono trattati alcuni dei
pi`
u classici argomenti elementari di Algebra Lineare.
Si assume che lo studioso lettore abbia gi`a una certa familiarit`a con alcuni argomenti di base quali linsiemistica (insiemi, coppie ordinate, prodotto
cartesiano, relazioni dequivalenza, relazioni dordine, applicazioni, iniettivit`a,
suriettivit`a) e la costruzione degli insiemi numerici (numeri naturali, interi,
razionali, reali e complessi).
Desidero ringraziare gli amici Maurizio Brunetti e Giovanni Cutolo per il
contributo che hanno dato alla stesura di questo libro.

Luciano A. Lomonaco

iii

Capitolo 1

Strutture algebriche: gruppi, anelli e polinomi

1. Generalit`
a sulle strutture algebriche
Siano S e K due insiemi non vuoti.
Definizione 1.1.

Una operazione interna di S `e una applicazione


: S S S

Limmagine (a, b) dellelemento (a, b) S S si indica di solito con il simbolo


a b.
Definizione 1.2.
se

Una operazione (binaria) interna di S si dice associativa


a (b c) = (a b) c

a, b, c S .

In tal caso scriveremo semplicemente a b c.


Definizione 1.3.
applicazione

Una operazione esterna di S con operatori in K `e una


: K S S .

Limmagine (, b) dellelemento (, b) K S si indica di solito con il


simbolo b.
Esempio 1. Laddizione + e il prodotto negli insiemi numerici N, N0 ,
Z, Q, R, C sono operazioni interne associative. La divisione : non `e una
operazione (non si pu`
o dividere per 0 in N0 , Z, Q, R, C e si pu`
o effettuare la
divisione tra i numeri naturali o interi relativi m, n se e solo se m `e multiplo
di n). In Q {0} `e sempre possibile effettuare la divisione, e pertanto in

Unintroduzione allalgebra lineare


tale insieme : `e una operazione interna, ma `e facile verificare che essa non
`e associativa. Infatti, ad esempio,
(16 : 4) : 2 6= 16 : (4 : 2) .

Definizione 1.4. Una struttura algebrica ad n operazioni sullinsieme S


`e una (n + 1)-pla (S; 1 , . . . , n ) dove 1 , . . . , n sono operazioni, interne o
esterne, di S. S si dice sostegno della struttura algebrica (S; 1 , . . . , n ).
Spesso, con abuso di notazione, si indicher`a con S anche la struttura algebrica (S; 1 , . . . , n ).
Sia ora una operazione interna di S e sia T S. Si dice che T `e stabile
rispetto alloperazione se a, b T si ha che a b T . Se invece `e una
operazione esterna di S con operatori in K, diremo che T `e stabile rispetto a
se b T, K si ha che b T . Osserviamo che se T `e una parte
stabile di S rispetto ad una operazione , in T si definisce una operazione,
ancora denotata con , che si dice indotta, che `e la restrizione delloperazione
di S a T .
Definizione 1.5. Sia (S; 1 , . . . , n ) una struttura algebrica e sia T S.
Diremo che T `e una parte stabile della struttura S se T `e stabile rispetto ad
ogni operazione di S.

Esercizio. Verificare che lintersezione di una famiglia di parti stabili di una


struttura algebrica `e ancora una parte stabile per tale struttura.
Definizione 1.6. Un semigruppo `e una struttura algebrica (S; ) dotata di
una operazione interna associativa.
Ad esempio (N; +) e (N; ) sono semigruppi. Sia ora (S; ) una struttura
algebrica con una operazione interna.
Definizione 1.7.

Un elemento u S si dice neutro a destra se risulta


xu=x

xS .

Si dice invece che u `e neutro a sinistra se


uy =y

yS .

Cap. 1 Strutture algebriche

Infine u si dice neutro se `e neutro a destra e a sinistra.


Proposizione 1.8. Se u, u S e si ha che u `e neutro a destra e u `e neutro
a sinistra, allora u = u . In particolare quindi, esiste al pi`
u un elemento neutro
in (S; ).
Dimostrazione. Basta osservare che u = u u = u.
Definizione 1.9.
monoide.

Un semigruppo (S; ) dotato di elemento neutro si dice

Osserviamo che il semigruppo (N; ) `e anche un monoide, con elemento neutro 1, mentre (N; +) non lo `e. E invece un monoide la struttura additiva
(N0 ; +), con elemento neutro 0.
Supponiamo ora che la struttura (S; ) sia dotata di elemento neutro u e sia
x S.
Definizione 1.10. Lelemento x si dice simmetrizzabile in S rispetto a se
esiste un elemento y S tale che
xy =u=yx .
In tal caso y si dice simmetrico di x.
Proposizione 1.11. Sia (S; ) un monoide e sia u il suo elemento neutro.
Ogni elemento simmetrizzabile di S `e dotato di un unico simmetrico.
Dimostrazione. Sia x S simmetrizzabile e siano y, y S simmetrici di x.
Risulta che
y = y u = y (x y) = (y x) y = u y = y
ovvero y = y .

Quando una operazione `e denotata con il simbolo +, viene detta addizione


(o talvolta anche somma) e si dice che loperazione `e espressa in notazione
additiva; se esiste lelemento neutro rispetto alladdizione, esso viene indicato
con il simbolo 0 (zero); il simmetrico y di un elemento x rispetto alladdizione
viene indicato con il simbolo x e si dice opposto di x. Analogamente, se loperazione `e denotata con il simbolo , viene detta moltiplicazione (o talvolta

Unintroduzione allalgebra lineare

anche prodotto) e si dice che loperazione `e espressa in notazione moltiplicativa; se esiste lelemento neutro rispetto al prodotto, esso viene denotato con il
simbolo 1 (uno); il simmetrico y di un elemento x viene indicato con il simbolo
x1 ovvero anche x1 e si dice inverso di x. Il simbolo viene talvolta omesso
e si scrive, ad esempio, indifferentemente x y oppure xy. Useremo spesso la
notazione x1 per indicare il simmetrico di un elemento x ogni volta che la
notazione usata non sia quella additiva.
Sia (S; ) un monoide, con elemento neutro u, e sia x S. Poniamo x0 = u
e definiamo, per ogni n N, un elemento xn S induttivamente ponendo
xn := xn1 x .

Lelemento xn cos` definito si dice potenza n-ma di x. Si verifica agevolmente


che
(1)

xn+m = xn xm

(xn )m = xnm

n, m N0 .

Se x `e simmetrizzabile, poniamo, per ogni n N, xn := (x1 )n . Si prova


che, con tali posizioni, le (1) sono verificate per ogni n, m Z ed inoltre
xn = (xn )1 . Un discorso analogo pu`o essere fatto quando si usa la notazione
additiva. Ad esempio, se consideriamo il monoide (H; +), con elemento neutro
0, per ogni x H poniamo 0x = 0 e definiamo, per ogni n N, un elemento
nx H, induttivamente, ponendo
nx := (n 1)x + x .

Lelemento nx si dice multiplo n-mo di x. Si verifica agevolmente che


(1 )

(n + m)x = nx + mx

(nm)x = n(mx)

n, m N0 .

Nel caso in cui x sia dotato di opposto x, per ogni n N poniamo (n)x =
n(x). Si prova che, con tale posizione, le (1 ) sono verificate per ogni n, m Z
ed inoltre (n)x = (nx).
Definizione 1.12.
(2)

Un elemento x S si dice regolare se

xy =xz y =z

Proposizione 1.13.

yx=zx y =z .

Ogni elemento simmetrizzabile `e anche regolare.

Dimostrazione. Sia x simmetrizzabile e sia x y = x z. Allora


y = u y = x1 x y = x1 x z = u z = z .

Analogamente si prova laltra implicazione.

Definizione 1.14. Una operazione interna in S si dice commutativa se


accade che x y = y x per ogni x, y S.

Cap. 1 Strutture algebriche

2. Gruppi
Definizione 1.15. Un monoide (G; ) `e un gruppo se ogni suo elemento `e
simmetrizzabile. Se poi loperazione `e commutativa, il gruppo (G; ) si dice
abeliano.
In altre parole un gruppo G `e una struttura algebrica (G; ) dotata di una
operazione interna tale che
(i)
(ii)
(iii)

`e associativa;
esiste un elemento neutro u;
ogni elemento `e simmetrizzabile.

In particolare quindi, ogni elemento di un gruppo `e regolare, cio`e vale la (2)


per ogni x G, ovvero, come si suol dire, vale la regola di cancellazione.
Osserviamo che in un gruppo (G; ) vale la seguente propriet`a. Per ogni
x, y G esiste un unico elemento w G tale che x w = y. Infatti se un tale
elemento w esiste si ha che w = x1 x w = x1 y e ci`o prova lunicit`a di
w. Daltra parte, posto w = x1 y `e chiaro che x w = x x1 y = y.
Definizione 1.16. Sia (G; ) un gruppo e sia H G, H 6= . Si dice che H
`e un sottogruppo di G se H `e una parte stabile di G rispetto alloperazione
e se inoltre per ogni x H si ha che x1 H.
Se H `e un sottogruppo di G si scrive H G. Osserviamo che se H G,
allora H `e esso stesso un gruppo rispetto alloperazione che G induce su H.
Ogni gruppo G possiede i seguenti sottogruppi, detti impropri: G stesso e il
sottogruppo banale 1 = {u}.
La seguente proposizione consente di caratterizzare i sottogruppi di un gruppo.
Proposizione 1.17.
solo se

Sia H una parte non vuota di G. Allora H G se e


x1 y H

x, y H .

Dimostrazione. Se vale tale condizione e x H, allora anche u = x1 x


H. Inoltre x1 = x1 u H. Infine, se anche y H, allora x y =
(x1 )1 y H. Viceversa, se H `e un sottogruppo di G e x, y H, allora
anche x1 H e quindi x1 y H.
2

Unintroduzione allalgebra lineare


Esempio 2. Il gruppo banale ({0}; +), usando la notazione additiva, ovvero anche ({1}; ), in notazione moltiplicativa.
Esempio 3. (Z; +), (Q; +), (R; +), (C; +). In tali gruppi lelemento neutro
`e 0 e per ogni x il simmetrico di x coincide con il suo opposto x. Osserviamo che ogni gruppo di questo esempio `e un sottogruppo del successivo.

Esempio 4. (Q {0}; ), (R {0}; ), (C {0}; ). In tali gruppi lelemento


neutro `e 1 per ogni x il simmetrico di x coincide con il suo inverso x1 .
Anche in questo esempio, ogni gruppo risulta un sottogruppo del gruppo
successivo.

Esempio 5. ({1, 1}; ). In tale gruppo lelemento neutro `e 1 ed inoltre


linverso di 1 `e 1 stesso. ({1, 1}; ) `e un sottogruppo di (Q {0}; ).
Esempio 6. Per ogni m Z, definiamo un sottoinsieme mZ di Z ponendo
mZ :=

km | k Z

mZ `e linsieme dei multipli di m. Si verifica facilmente che mZ Z per


ogni m Z. Inoltre mZ = {0} se e solo se m = 0. Negli altri casi mZ ha
infiniti elementi.

Esempio 7. Sia B Q il sottoinsieme di Q costituito dai numeri razionali


del tipo a/b dove a, b sono interi non nulli coprimi e b `e pari. Allora (B; )
`e una parte stabile di (Q {0}; ), ma non `e un sottogruppo.

Sia X un insieme non vuoto e consideriamo linsieme SX delle permutazioni


di X, ovvero delle applicazioni biettive di X in se. Lidentit`a di X, idX , `e una
particolare permutazione. Inoltre, se f, g SX , anche la composta g f SX .
Per ogni f, g SX poniamo
f g =gf .
La struttura algebrica (SX ; ) `e un gruppo. Infatti vale la propriet`a associativa,
idX `e lelemento neutro e ogni permutazione f SX ammette una inversa
f 1 SX che `e lelemento simmetrico di f in SX rispetto alloperazione . Il
gruppo (SX ; ) prende il nome di gruppo delle permutazioni su X. Osserviamo

Cap. 1 Strutture algebriche

che se X possiede almeno tre elementi SX non `e abeliano. Siano infatti a, b, c


X tre elementi distinti. Definiamo due permutazioni
f, g : X X
ponendo
f (x) = g(x) = x

x X {a, b, c}

ed inoltre
f (a) = b, f (b) = a, f (c) = c
g(a) = a, g(b) = c, g(c) = b .
Il lettore potr`a verificare che gf 6= f g. Se X = Jn = {1, 2, . . . , n} scriveremo
talvolta Sn invece di SX . Sn prende il nome di gruppo delle permutazioni, o
anche gruppo simmetrico, su n oggetti. Per ogni n consideriamo il gruppo Sn .
Se f Sn , i Jn e si ha che f (i) = i, si dice che i `e fissato da f .
Definizione 1.18. Una trasposizione `e una permutazione che lascia fissati
tutti gli elementi tranne (al pi`
u) due.
In base a tale definizione, lidentit`a `e una trasposizione, poiche lascia fissati
tutti gli elementi.
Proposizione 1.19. Ogni permutazione f pu`o essere espressa come il prodotto di trasposizioni. Tale decomposizione non `e unica, per`o se
f = 1 . . . n = 1 . . . m
(dove 1 , . . . , n , 1 , . . . , m sono trasposizioni), allora m ed n hanno la stessa
parit`a.
Definizione 1.20. Diremo che f `e una permutazione pari se essa `e prodotto
di un numero pari di trasposizioni, dispari in caso contrario.
Ad esempio ogni trasposizione `e una permutazione dispari, mentre lidentit`a
`e una permutazione pari. Per ogni n 2 poniamo
An =

f Sn | f `e pari

Sn .

Esercizio. Provare che An Sn per ogni n 2.

Unintroduzione allalgebra lineare

Il sottogruppo An di Sn si dice gruppo alterno su n-oggetti. Definiamo ora


una applicazione
: Sn {1}

(3)
ponendo

(f ) =

1
se f `e pari
1 se f `e dispari.

Si verifica agevolmente che se f, g Sn si ha che


(f g) = (f ) (g) ;

(idJn ) = 1

ovvero, come si suol dire, `e un omomorfismo del gruppo Sn nel gruppo moltiplicativo {1}. Tale omomorfismo prende il nome di segnatura. Poiche per
ogni f Sn si ha che f f 1 = idJn , dallosservazione precedente deduciamo
che
1 = (idJn ) = (f f 1 ) = (f ) (f 1 )
e quindi (f ) = (f 1 ).

Esempio 8. Sia f S5 definita ponendo


f (1) = 2, f (2) = 4, f (3) = 3, f (4) = 1, f (5) = 5 .
La permutazione f si descrive anche con il simbolo


1 2 3 4 5
f=
.
2 4 3 1 5
Gli elementi 3, 5 sono fissati. Se g `e la trasposizione che scambia 1 e 2 e h
`e la trasposizione che scambia 2 e 4, ovvero




1 2 3 4 5
1 2 3 4 5
g=
;h =
2 1 3 4 5
1 4 3 2 5
allora f = h g. Quindi f `e pari e (f ) = 1. Osserviamo che


1 2 3 4 5
f 6= g h =
.
4 1 3 2 5

Esempio 9. Consideriamo il gruppo S3 delle permutazioni sullinsieme


J3 = {1, 2, 3}. E facile verificare che
o
n
S3 = I, 1 , 2 , 1 , 2 , 3

Cap. 1 Strutture algebriche


dove I = idJ3 e inoltre
1 =

1
2

2 3
3 1

2 =

1
3

2 3
1 2

3 =

sono le permutazioni senza punti fissi e


1 =

1
1

2 3
3 2

2 =

1 2
3 2

3
1

1
2

2 3
1 3

sono le trasposizioni che fissano 1,2,3 rispettivamente. La seguente tabella


descrive la moltiplicazione in S3

I
1
2
1
2
3

I 1

2 1 2 3

I
1
2
1
2
3

2
I
1
2
3
1

1
2
I
3
1
2

1
2
3
I
1
2

2
3
1
2
I
1

3
1
2
1
2
I

dove il prodotto tra due elementi x e y si ottiene selezionando x sulla prima colonna e y sulla prima riga e determinando lelemento della tabella
sullintersezione della riga di x e della colonna di y.

3. Azione di un gruppo su un insieme


Consideriamo ora un gruppo (G; ) con elemento neutro u. Sia inoltre X un
insieme non vuoto e una operazione esterna di X con operatori in G.
Definizione 1.21. Loperazione viene detta azione (sinistra) se
(i)
( ) b = ( b)
, G; b X;
(ii)
ub=b
bX .
In tale situazione diremo che G agisce (a sinistra) su X mediante loperazione . Osserviamo che G `e possibile definire una applicazione
f : X X

10

Unintroduzione allalgebra lineare

ponendo f (a) = a, per ogni a X. Lapplicazione f `e una permutazione


e la sua inversa `e f1 . Infatti, per ogni a X si ha che
f1 (f (a)) = f1 ( a) = 1 ( a)
= (1 ) a = u a = a

e analogamente
f (f1 (a)) = a .
Quindi una azione di G su X induce una applicazione
: G SX
7 f
che talvolta prende il nome di rappresentazione.
Definizione 1.22.

Sia una azione di G su X. Per ogni a X, linsieme


[a] = { a | G }

si dice orbita di a rispetto allazione .


Definizione 1.23.

Definiamo una relazione in X ponendo


ab

G|b=a

(ovvero a b a, b appartengono ad una stessa orbita).


Tale relazione `e dequivalenza in X. Infatti `e chiaro che a a (propriet`a
riflessiva) in quanto a = u a. Inoltre
a b = b a
(simmetria) in quanto se esiste G tale che b = a si ha anche che
1 b = 1 ( a) = (1 ) a = u a = a .
Infine, si ha che
a b, b c = a c

11

Cap. 1 Strutture algebriche

(transitivit`a) in quanto se esistono , G tali che


b = a, c = b
allora
c = b = ( a) = ( ) a .
Le classi di equivalenza di tale relazione sono le orbite che, pertanto, costituiscono una ripartizione dellinsieme X.
Consideriamo ora un esempio importante di azione di un gruppo su un insieme. Sia X un insieme non vuoto e consideriamo la n-ma potenza cartesiana
Xn = X . . . X
|
{z
}
n

di X. Sia inoltre G = Sn . Definiamo una azione


: Sn X n X n
come segue. Se f Sn , ovvero
f : Jn Jn
`e una biezione, e x = (x1 , . . . , xn ) X n , poniamo
f x=y
dove y `e la n-pla (xf (1) , . . . , xf (n) ). In altre parole la n-pla y si ottiene dalla
n-pla x scambiando di posto le coordinate x1 , . . . , xn nel modo indicato. E
agevole verificare che `e una azione di Sn su X n . Una orbita di tale azione
si dice sistema di ordine n di elementi di X. Un sistema [x1 , . . . , xn ] sar`a
pertanto la classe della n-pla (x1 , . . . , xn ) ma anche, equivalentemente, di una
qualunque altra n-pla ottenuta da (x1 , . . . , xn ) permutando arbitrariamente
le coordinate. Osserviamo esplicitamente che gli elementi x1 , . . . , xn non sono
necessariamente distinti a due a due. La nozione di sistema di elementi di
un insieme ci consente di considerare n elementi di un insieme, non necessariamente a due a due distinti, senza badare allordine in cui essi compaiono.
Se S = [x1 , . . . , xn ] `e un sistema, per ogni i = 1, . . . , n scriveremo xi S e
diremo che xi appartiene ad S. Se inoltre S = [y1 , . . . , yk ] `e un altro sistema
e (y1 , . . . , yk ) `e un rappresentante di S scriveremo S S e diremo che S `e
incluso in S se n k ed inoltre esiste un rappresentante (xi1 , . . . , xin ) di S
tale che y1 = xi1 , . . . , yk = xik .

12

Unintroduzione allalgebra lineare

4. Anelli
Definizione 1.24. Una struttura algebrica (A; +, ) si dice anello se +,
sono operazioni interne di A tali che
(i) (A; +) `e un gruppo abeliano;
(ii) (A; ) `e un semigruppo;
(iii) x (b + c) = (x b) + (x c) x, b, c A;
(b + c) x = (b x) + (c x) x, b, c A.
La (iii) `e nota come propriet`a distributiva del prodotto rispetto alla somma.
Proposizione 1.25. Sia A un anello. Si ha che
(i) a 0 = 0 e 0 a = 0 per ogni a A;
(ii) a (b) = (a b) = (a) b per ogni a, b A;
(iii) (na) b = n(a b) = a (nb) per ogni a, b A, n Z;
(iv) x (b c) = x b x c per ogni x, b, c A;
(b c) x = b x c x per ogni x, b, c A.
Se loperazione `e commutativa, lanello A si dice commutativo. Se esiste
lelemento neutro rispetto al prodotto, A si dice unitario. Osserviamo che se
lanello unitario A non si riduce ad un solo elemento si ha che 1 6= 0. Infatti
se fosse 1 = 0 si avrebbe, per ogni a A che
a=a1=a0=0 .
Definizione 1.26. Sia (A; +, ) un anello e sia B A. Diremo che B `e un
sottoanello di A se B `e una parte stabile di A rispetto alle operazioni +, ed
`e esso stesso un anello rispetto a tali operazioni.
Definizione 1.27. Sia A un anello commutativo. Diremo che A `e un dominio
di integrit`a se accade che
ab=0

a = 0 oppure b = 0

ovvero, equivalentemente,
a b = 0, a 6= 0

b=0

o ancora
a 6= 0, b 6= 0

a b 6= 0 .

Il lettore potr`a verificare che se F `e un dominio di integrit`a, il suo sottoinsieme F {0} `e stabile rispetto alla moltiplicazione.

Cap. 1 Strutture algebriche

13

Teorema 1.28. Sia F un dominio di integrit`a. Allora in F vale la regola di


cancellazione, nel senso che se a F {0} e b, c F sono tali che ab = ac
allora b = c.
Dimostrazione. Si ha che
0 = ab ac = a(b c)
e quindi, poiche F `e un dominio di integrit`a e a 6= 0, si ha che b c = 0 e
quindi b = c.
2
Definizione 1.29. Un anello unitario (F; +, ) si dice corpo se (F {0}; )
`e un gruppo, ovvero se ogni elemento non nullo di F `e invertibile. Se poi il
prodotto `e anche commutativo, diremo che F `e un campo.
Osserviamo che un campo F `e anche un dominio di integrit`a. Infatti se
a, b F e se a b = 0 e a 6= 0, allora a `e invertibile e si ha che
b = a1 (a b) = a1 0 = 0 .
Definizione 1.30. Sia (A; +; ) un anello e sia K A un suo sottoanello.
Diremo che K `e un sottocorpo (sottocampo rispettivamente) di A se (K; +, )
`e un corpo (campo rispettivamente).

Esempio 10. Sia K = {0, 1} e poniamo


0 + 0 = 0 = 1 + 1; 1 + 0 = 1 = 0 + 1
0 0 = 0 1 = 1 0 = 0; 1 1 = 1 .
Con tali posizioni (K; +, ) `e un campo.
Esempio 11. (Q; +, ), (R; +, ), (C; +, ) sono campi, come `e agevole verificare. Inoltre Q `e un sottocampo di R e di C ed R `e un sottocampo di
C.

Esempio 12. (Z; +, ) `e un anello commutativo unitario ma non `e un campo, in quanto (Z {0}; ) non `e un gruppo.

14

Unintroduzione allalgebra lineare

Esempio 13. Sia Q[ 2] = { a + b 2 | a, b Q } R. Si verifica che Q[ 2]


`e un campo rispetto alle operazioni usuali di somma e prodotto, ed `e un
sottocampo di R.

Esempio 14. Sia H = { a + ib + jc + kd | a, b, c, d R } e definiamo le


operazioni di somma e prodotto come segue. Poniamo
(a + ib + jc + kd) + (a + ib + jc + kd )
= a + a + i(b + b ) + j(c + c ) + k(d + d ) .
Poniamo inoltre

i2 = j 2 = k 2 = 1
i j = k = j i
j k = i = k j
k i = j = i k

e definiamo
(a + ib + jc + kd) (a + ib + jc + kd ) = aa bb cc dd

+ i(ab + ba + cd dc )

+ j(ac + ca + db bd )

+ k(ad + da + bc cb ) .
Si verifica che 0 + i0 + j0 + k0 `e lelemento neutro rispetto alla somma,
1 + i0 + j0 + k0 `e lelemento neutro rispetto al prodotto e che con tali
operazioni H `e un corpo, ma non un campo. H prende il nome di corpo dei
quaternioni ed i suoi elementi si dicono quaternioni, ovvero anche numeri
hamiltoniani.

Introduciamo ora la nozione di ideale di un anello. Sia H un sottoinsieme


non vuoto del sostegno di un anello A.
Definizione 1.31. H si dice ideale (bilatero) di A se
(i) (H; +) `e un sottogruppo di (A; +);
(ii) h H, x A si ha che x h H, h x H.
In particolare, un ideale di A `e anche un sottoanello di A. I sottoinsiemi {0}
e A sono certamente ideali di A e sono detti ideali banali. Un ideale H 6= A
si dice ideale proprio.

15

Cap. 1 Strutture algebriche

Proposizione 1.32. Sia H un ideale di un anello unitario A. Se in H c`e


un elemento invertibile h, allora H = A.
Dimostrazione. Sia a A. Si ha che
a = (a h1 ) h H
e quindi H = A.

In particolare, se 1 H allora H = A.
Si verifica agevolmente che il sottogruppo mZ del gruppo additivo degli
interi `e anche un ideale dellanello degli interi. Si verifica anche che se F
`e un campo gli unici suoi ideali sono quelli banali. Infatti tale condizione
caratterizza i campi.
Proposizione 1.33. Un anello commutativo unitario A `e un campo se e
solo se i suoi unici ideali sono quelli banali.
Dimostrazione. Sia A un campo e sia H 6= {0} un suo ideale. Sia inoltre
h H {0}. Lelemento h sar`a invertibile, e quindi, come gi`a osservato,
H = A. Viceversa, supponiamo che A sia un anello commutativo unitario e
che i suoi ideali siano solo quelli banali. Sia h A {0} e proviamo che h `e
invertibile. Definiamo un sottoinsieme (h) di A ponendo
(h) = { a h | a A } .
Si verifica facilmente che (h) `e un ideale di A. Tale ideale `e distinto da {0} in
quanto h (h). Pertanto (h) = A e cio`e 1 (h). Esiste allora un elemento
a A tale che a h = 1 e quindi h `e invertibile.
2
Esempio 15. In Z Z definiamo le operazioni di somma e di prodotto
ponendo
(a, b) + (a , b ) = (a + a , b + b ) ;

(a, b) (a , b ) = (a a , b b ) .

In tal modo otteniamo una struttura di anello commutativo unitario (Z


Z; +, ), con unit`
a (1, 1). Osserviamo che i sottoinsiemi Z {0} e {0} Z di
Z Z sono entrambi sottoanelli unitari, ma i loro elementi neutri rispetto
alla mo`ltiplicazione non coincidono con quello di Z Z.

16

Unintroduzione allalgebra lineare

5. Polinomi su un dominio di integrit`


a
Mostreremo ora come, a partire da un dominio di integrit`a unitario F si pu`o
costruire un nuovo dominio di integrit`a unitario F[x], linsieme dei polinomi su F. Ricordiamo che una successione in un insieme non vuoto S `e una
applicazione
a : N0 S .
Limmagine a(n) di n N0 in S si denota di solito con an e la successione a
si indica con uno dei seguenti simboli: (an )nN0 ; (a0 , a1 , . . . ) , o anche, pi`
u

semplicemente, (an ). Sia ora F un dominio di integrit`a unitario e sia F linsieme


delle successioni (an )nN0 in F definitivamente nulle, ovvero tali che esiste
una struttura di anello
m N0 tale che ak = 0 per ogni k > m. Daremo a F
Poniamo
definendo le seguenti operazioni. Siano (an )nN0 , (bn )nN0 F.
(an )nN0 + (bn )nN0 = (cn )nN0
(an )nN0 (bn )nN0 = (dn )nN0
dove
ck = ak + bk ; dk =

i+j=k

ai bj

k N0 .

Osserviamo che se ah = 0 h > m e bh = 0 h > m si ha che dh = 0 h >


m + m . Infatti, se h > m + m , affinche sia i + j = h deve accadere che
i > m oppure j > m . Pertanto ogni addendo della somma che definisce dh si
annulla. E chiaro anche che per ogni k N0 la somma
X
ai bj
i+j=k

`e finita. Si verifica agevolmente che


(i) + `e una operazione interna associativa e commutativa;
(ii) 0=(0, 0, . . . ) `e lelemento neutro rispetto a +;
la successione (an ) `e lelemento opposto di (an );
(iii) (an ) F
(iv) `e una operazione interna associativa e commutativa;
(v) 1=(1, 0, 0, . . . ) `e lelemento neutro rispetto a ;
si ha che
(vi) Per ogni (an ), (bn ), (cn ) F



(an ) (bn ) + (cn ) = (an ) (bn ) + (an ) (cn ) .

`e un anello commutativo con unit`a. I suoi elementi sono detti


Pertanto F
polinomi (su F).

17

Cap. 1 Strutture algebriche

{0} e sia m = max{k N0 | ak 6= 0}.


Definizione 1.34. Sia (an )nN0 F
Lo scalare am si dice parametro direttore di (an )nN0 , mentre lintero non
negativo m prende
il nome di grado di (an )nN0 e si denota con il simbolo

deg (an )nN0 . Un polinomio di grado 0 si dice costante. Lo scalare a0
prende il nome di termine costante del polinomio.
Lemma 1.35.

Siano (an )nN0 , (bn )nN0 due polinomi non nulli e sia
(an )nN0 + (bn )nN0 6= 0 .

Si ha che

deg (an )nN0 + (bn )nN0 max{deg(an )nN0 , deg(bn )nN0 }
deg(an )nN0 = deg(an )nN0 .

`e un dominio di integrit`a unitario. Inoltre


Proposizione 1.36. Lanello F
vale la legge di somma dei gradi, ovvero si ha che
deg (an )nN0 (bn )nN0

= deg(an )nN0 + deg(bn )nN0

{0}.
per ogni (an )nN0 , (bn )nN0 F
Dimostrazione. Siano (an )nN0 , (bn )nN0 due polinomi non nulli su F di
grado m, m rispettivamente e sia (dn )nN0 = (an )nN0 (bn )nN0 . Si ha che
dm+m = am bm 6= 0 .
Pertanto (dn )nN0 6= 0 e deg(dn )nN0 = m + m .

Consideriamo lapplicazione iniettiva


.
: F 7 (, 0, 0, . . . ) F
mediante tale applicazione, e
Dora in avanti identificheremo F con (F) F
quindi ogni scalare con il polinomio costante ad esso associato (, 0, 0, . . . ).
Poniamo ora
x = (0, 1, 0, 0, . . . ) .

18

Unintroduzione allalgebra lineare

Proposizione 1.37.

Per ogni n N si ha che


xn = (0, . . . , 0, 1, 0, 0, . . . ) .
| {z }
n

Dimostrazione. Se n = 1 lasserto `e banale. Sia dunque n > 1 e supponiamo


induttivamente che
xk = (0, . . . , 0, 1, 0, 0, . . . ) k < n .
| {z }
k

Si ha che

xn = xn1 x = (0, . . . , 0, 1, 0, 0, . . . )(0, 1, 0, 0, . . . )


| {z }
n1

= (0, . . . , 0, 1, 0, 0, . . . )
| {z }
n

come si verifica agevolmente.

Definizione 1.38. Un polinomio (an )nN0 tale che esiste un unico k N0


tale che ak 6= 0 si dice monomio (di grado k).
Un monomio di grado k `e pertanto un polinomio del tipo
(0, . . . , 0, ak , 0, . . . ) .
| {z }
k

Abbiamo che

(0, . . . , 0, ak , 0, . . . ) = (ak , 0, 0, . . . )(0, . . . , 0, 1, 0, . . . ) = ak xk


| {z }
| {z }
k

e quindi un qualunque polinomio (an )nN0 pu`o scomporsi in modo univoco in


somma di monomi come segue:
(a0 , a1 , . . . , am , 0, . . . ) = (a0 , 0, . . . ) + (0, a1 , 0, . . . )
+ (0, 0, a2 , 0, . . . )
+ + (0, . . . , 0, am , 0, . . . )

= a0 + a1 x + a2 x2 + + am xm .

19

Cap. 1 Strutture algebriche

Ad esempio 0 = (0, 0, 0, . . .) = 0 e 1 = (1, 0, 0, . . .) = 1. Consideriamo ora due


polinomi
f = a0 + a1 x + + am xm ; g = b0 + b1 x + + bm xm

e supponiamo che sia m m . Le formule che definiscono le operazioni di


somma e prodotto tra polinomi consentono di verificare che, con questa nuova
notazione, si ha
f + g = a0 + b0 + (a1 + b1 )x + + (am + bm )xm + bm+1 xm+1 + + bm xm

f g = a0 b0 + (a0 b1 + a1 b0 )x + (a0 b2 + a1 b1 + a2 b0 )x2 + + am bm xm+m .


Quando si usa la notazione a0 + a1 x + + am xm invece della notazione
si indica con il simbolo F[x] e il
(an )nN0 il dominio di integrit`a unitario F
polinomio x prende il nome di indeterminata.
Proposizione 1.39.
costanti non nulli.

Gli elementi invertibili dellanello F[x] sono polinomi

Dimostrazione. Sia f un polinomio invertibile. Sar`a necessariamente f 6= 0;


inoltre, detto g linverso di f , anche g sar`a non nullo e avremo che f g = 1.
Pertanto
0 = deg(1) = deg(f g) = deg(f ) + deg(g)
e quindi deg(f ) = 0 ed f `e costante.

In generale non vale il viceversa. Si ha per`o che se f `e un polinomio costante,


ad esempio f = c F, e c `e invertibile, allora chiaramente f `e invertibile come
polinomio ed il suo inverso `e il polinomio costante f 1 = c1 .
Corollario 1.40. Se F `e un campo, gli elementi invertibili di F[x] sono tutti
e soli i polinomi costanti non nulli.
Torniamo ora al caso pi`
u generale in cui F `e un dominio di integrit`a. Il
seguente enunciato `e conosciuto come lalgoritmo euclideo della divisione tra
polinomi.

20

Unintroduzione allalgebra lineare

Teorema 1.41. Siano f, g F[x] due polinomi e sia g 6= 0 e supponiamo


che il coefficiente direttore bm di g sia un elemento invertibile di F. Esistono
allora, e sono univocamente determinati, due polinomi q, r F[x] tali che
(i) f = g q + r ;
(ii) r = 0 oppure deg(r) < deg(g) .
Dimostrazione. Proviamo lesistenza di q, r. Se f = 0 basta porre q = r = 0.
Sia dunque f 6= 0. Se deg(f ) < deg(g) basta porre q = 0 , r = f . Supponiamo
pertanto che deg(f ) deg(g). Poniamo n = deg(f ), m = deg(g). Sia ad
esempio
f = a0 + a1 x + + an xn ; g = b0 + b1 x + + bm xm
con n m 0 , an , bm 6= 0. Se n = 0 anche m = 0 e quindi f = a0 , g = b0
e basta porre q = a0 b1
0 , r = 0. Esaminiamo quindi il caso in cui n > 0 e
procediamo per induzione. Supponiamo induttivamente che se f1 F[x] {0}
e deg(f1 ) < n esistono q1 , r1 F[x] tali che f1 = gq1 + r1 e r1 = 0 oppure
deg(r1 ) < deg(g). Consideriamo il polinomio
nm
h = an b1
g .
m x

Si ha che h 6= 0, deg(h) = n e il parametro direttore di h `e proprio an . Poniamo


allora
f1 = f h .
nm
Se f1 = 0 si ha che f = h e si pone q = an b1
, r = 0. Se f1 6= 0 si ha
m x
che deg(f1 ) < n e quindi per lipotesi induttiva esistono q1 , r1 F[x] tali che
f1 = gq1 + r1 e r1 = 0 oppure deg(r1 ) < deg(g). Ma allora
nm
nm
f = f1 + h = gq1 + r1 + an b1
g = g(q1 + an b1
) + r1 .
m x
m x
nm
e r = r1 . Ci`o completa la dimostraBasta quindi porre q = q1 + an b1
m x
zione induttiva dellesistenza della coppia q, r. Proviamo ora lunicit`a di tale
coppia. Supponiamo che

f = gq + r = gq + r
dove q, q , r, r F[x] e si ha che r = 0 oppure deg(r) < deg(g) e r = 0 oppure
deg(r ) < deg(g). Abbiamo che
g(q q ) = r r .

Cap. 1 Strutture algebriche

21

Se r 6= r e r, r 6= 0 si ha che g(q q ) 6= 0 e

max{deg(r), deg(r )} = deg(r r) = deg(g) + deg(q q ) deg(g) .

Pertanto deg(r) deg(g) oppure deg(r ) deg(g), e questa `e una contraddizione. Se r 6= r ma r = 0 oppure r = 0, si ragiona in modo analogo.
Esaminiamo infine il caso in cui r = r . Abbiamo che
g(q q ) = 0

e poiche g 6= 0, deve accadere che q q = 0 ovvero q = q .

Abbiamo gi`
a osservato che per ogni dominio di integrit`a unitario F anche
F[x] `e un dominio di integrit`a unitario. Ha senso quindi considerare lanello
dei polinomi su F[x] che si indica ad esempio con F[x][y], o anche con F[x, y],
ed `e a sua volta un dominio di integrit`a unitario. Gli elementi di tale anello si
dicono polinomi su F nelle indeterminate x, y. Pi`
u in generale si pu`o definire,
induttivamente, per ogni n N, il dominio di integrit`a unitario F[x1 , . . . , xn ]
che prende il nome di anello dei polinomi su F nelle indeterminate x1 , . . . , xn .
Un polinomio f F[x1 , . . . , xn ] avr`a quindi una espressione del tipo
X
ar1 ,...,rn x1r1 . . . xrnn
f=
r1 ,...,rn

dove ar1 ,...,rn F e la sommatoria `e finita (ovvero solo al pi`


u un numero finito
dei coefficienti ar1 ,...,rn `e non nullo). Il generico addendo ar1 ,...,rn x1r1 . . . xrnn si
dice monomio di grado r = r1 + + rn . Se f 6= 0 il grado di f sar`a poi il
massimo dei gradi dei suoi monomi.
6. Polinomi su un campo
Dora in avanti sia F un campo. Osserviamo che, in tale situazione, dati
due polinomi f, g, per poter applicare lalgoritmo euclideo della divisione a
tali polinomi basta supporre che sia g 6= 0. In tal caso, infatti, il parametro
direttore bm di g `e un elemento non nullo del campo F e quindi `e invertibile.
Per ogni polinomio f = a0 + a1 x + + an xn definiamo una applicazione
ponendo

f : F F

f (c) = a0 + a1 c + + an cn .

E duso comune anche scrivere f (c) in luogo di f (c). f si dice applicazione


polinomiale associata ad f . E chiaro che se f = 0 allora f `e lapplicazione
polinomiale identicamente nulla, ovvero f (c) = 0 per ogni c F. Se invece f
`e una costante a0 , si ha che f (c) = a0 per ogni c F e cio`e f `e lapplicazione
costante in a0 .

22

Unintroduzione allalgebra lineare

Lemma 1.42. Per ogni polinomio f e per ogni scalare c esiste un unico
polinomio q tale che
f = (x c)q + f (c) .
Dimostrazione. Usando lalgoritmo euclideo della divisione, troviamo ununica coppia (q, r) di polinomi tale che f = (x c)q + r dove r = 0 oppure
deg(r) < deg(x c) = 1, ovvero r = 0 oppure deg(r) = 0. In altre parole r `e
una costante. Si ha che
f (c) = (c c)q(c) + r(c) .
Pertanto r `e il polinomio costante f (c), come richiesto.

Definizione 1.43. Sia f un polinomio non nullo e sia c F. Si dice che c `e


una radice (o anche uno zero) di f se f (c) = 0.
Da tale definizione si deduce banalmente che un polinomio di grado 0 non
possiede radici.
Definizione 1.44. Siano f, h due polinomi non nulli. Diremo che f `e divisibile per h, ovvero anche che h `e un divisore di f , e scriveremo h|f , se esiste
un altro polinomio g tale che f = hg.
Teorema di Ruffini 1.45. Sia f un polinomio non nullo. Uno scalare c F
`e una radice di f se e solo se f `e divisibile per (x c).
Dimostrazione. In base al lemma precedente, esiste un unico polinomio q
tale che
(4)

f = (x c)q + f (c) .

Pertanto, se c `e una radice di f si ha che f (c) = 0 e quindi f = (x c)q ovvero


f `e divisibile per (x c). Viceversa, se esiste un polinomio h tale che
(5)

f = (x c)h

dallunicit`a del quoziente e del resto di una divisione tra polinomi e dal confronto tra la (4) e la (5) si deduce che h = q e f (c) = 0, ovvero c `e una radice
di f .
2

Cap. 1 Strutture algebriche

23

Teorema 1.46. Se c1 , . . . , ct sono radici distinte di un polinomio f , allora f


`e divisibile per (x c1 ) . . . (x ct ).
Dimostrazione. Se t = 1 lasserto `e vero per il Teorema di Ruffini. Procediamo per induzione. Sia t > 1 e supponiamo che se c2 , . . . , ct sono radici distinte
di un polinomio q allora q `e divisibile per (x c2 ), . . . , (x ct ). Poiche c1 `e
una radice di f , esiste un polinomio q tale che f = (x c1 )q. Poiche c2 , . . . , ct
sono radici di f distinte da c1 , si ha che f (ci ) = (ci c1 )q(ci ) = 0 per ogni
i = 2, . . . , t, e quindi q(ci ) = 0 per ogni i = 2, . . . , t e c2 , . . . , ct sono radici di
q. Pertanto, per lipotesi induttiva, esiste un polinomio h tale che
q = (x c2 ) . . . (x ct )h
e quindi
f = (x c1 )(x c2 ) . . . (x ct )h .
2
Corollario 1.47. Sia f un polinomio non nullo e sia deg(f ) = n. Allora f
ha al pi`
u n radici.
Dimostrazione. Siano c1 , . . . , ct le radici di f . Per il Teorema 1.46 esiste un
polinomio h tale che
f = (x c1 ) . . . (x ct )h
e quindi
deg(f ) = deg(x c1 ) + + deg(x ct ) + deg(h) = t + deg(h)
cio`e deg(f ) t.

Teorema (Principio di identit`


a dei polinomi) 1.48. Sia F un campo
infinito e siano f, g due polinomi su F. Se f 6= g allora f 6= g.
Dimostrazione. Dimostreremo equivalentemente che se f = g allora f = g.
Sia quindi f = g. Ci`o vuol dire che f (c) g(c) = 0, ovvero (f g)(c) = 0, per
ogni c F. Quindi ogni elemento del campo `e radice del polinomio f g. Se
fosse f g 6= 0, detto s il grado di tale polinomio, f g avrebbe al pi`
u s radici.
Poiche invece ne possiede infinite, deve essere f g = 0 ovvero f = g.
2

24

Unintroduzione allalgebra lineare

Definizione 1.49. Sia f un polinomio e sia c una radice di f . La molteplicit`a (c) di c `e il massimo intero non negativo k tale che f `e divisibile per
(x c)k . Diremo che c `e una radice semplice se (c) = 1, multipla se (c) 2.
Definizione 1.50.

Sia f = a0 + a1 x + + an xn un polinomio. Il polinomio


Df = a1 + 2a2 x + + nan xn1

prende il nome di derivata di f o anche polinomio derivato di f .


Si verifica agevolmente che
D(f + g) = Df + Dg ; D(f g) = (Df )g + f (Dg) ;

D (x + c)n = n(x + c)n1 .

Teorema 1.51. Sia f un polinomio e sia c una sua radice. c `e una radice
multipla se e solo se `e radice anche del polinomio Df .
Dimostrazione. Sia c una radice multipla di f . Esiste allora un polinomio
h tale che f = (x c)2 h. Quindi
Df = 2(x c)h + (x c2 )Dh .
Pertanto (Df )(c) = 0 e c `e una radice di Df . Viceversa, supponiamo che c
sia radice di f e di Df . Esiste un polinomio h tale che f = (x c)h e quindi
Df = (x c)Dh + h .
Pertanto
0 = (Df )(c) = (c c)(Dh)(c) + h(c)
ovvero h(c) = 0. c `e quindi una radice di h ed esiste un polinomio q tale che
h = (x c)q. Sicche
f = (x c)h = (x c)2 q
e c `e una radice multipla di f .

Teorema 1.52. Sia f un polinomio non


P nullo e sia deg(f ) = n. Se c1 , . . . , ct
sono le radici (distinte) di f si ha che i (ci ) n.
Dimostrazione. Omessa.

Cap. 1 Strutture algebriche

25

7. Fattorizzazione di un polinomio
Affrontiamo ora il problema della fattorizzazione in F[x].
Definizione 1.53. Siano f, g due polinomi non nulli. Diremo che f e g sono
associati, e scriveremo f g, se esiste un polinomio invertibile (ovvero una
costante non nulla) k tale che f = kg.
Si verifica facilmente che `e una relazione di equivalenza. In particolare se
f g allora f |g e g|f . Viceversa, se f |g e g|f , esisteranno dei polinomi h, h tali
che g = hf e f = h g. Pertanto g = hh g e quindi, per cancellazione, 1 = hh
e h `e invertibile, cio`e f g. Osserviamo esplicitamente che tutti i polinomi
di grado 0, ovvero le costanti non nulle, sono tra loro associati e formano una
classe completa di equivalenza rispetto a . Si pu`o dire qualcosa di pi`
u: se
f g allora deg(f ) = deg(g). Infatti se f g allora esiste una costante
non nulla k tale che g = kf . Ma allora deg(g) = deg(k) + deg(f ) = deg(f ),
essendo deg(k) = 0. Sia ora f un polinomio non nullo e di grado positivo. Se
k `e un polinomio invertibile, `e chiaro che k|f . Infatti f = k(k1 f ). I polinomi
invertibili e i polinomi associati ad f si dicono divisori impropri di f . Se h|f
ed h non `e un divisore improprio, diremo che h `e un divisore proprio di f . In
tal caso, poiche h non `e invertibile, sar`a deg(h) > 0. Inoltre esister`a un altro
polinomio h tale che f = hh , ed anche h non sar`a invertibile, altrimenti f
ed h sarebbero associati. Pertanto anche h sar`a un divisore proprio di f e si
avr`a deg(h ) > 0. Poiche infine
deg(f ) = deg(h) + deg(h )
avremo che deg(h) < deg(f ).
Definizione 1.54. Sia f = a0 + a1 x + + an xn un polinomio non nullo di
parametro direttore an . Se an = 1 diremo che f `e monico.
Lemma 1.55. Sia g = b0 + b1 x + + bm xm un polinomio non nullo di
parametro direttore bm . Esiste allora un unico polinomio monico, di uguale
grado, h = c0 + c1 x + + cm1 xm1 + xm associato a g.
o prova lesistenza di h. Lunicit`a
Dimostrazione. Basta porre h = b1
m f . Ci`
si verifica poi in modo agevole.
2

26

Unintroduzione allalgebra lineare

Definizione 1.56. Siano f, g due polinomi non nulli. Un polinomio non


nullo p si dice massimo comun divisore di f e g se p|f , p|g ed inoltre per ogni
divisore comune h di f e g si ha che h|p.
Proveremo ora lesistenza di un massimo comun divisore di due qualunque
polinomi non nulli f e g usando un metodo noto come lalgoritmo delle divisioni successive. Poniamo g0 = f , g1 = g e usiamo ripetutamente lalgoritmo
euclideo della divisione. Abbiamo che esiste ununica coppia (f1 , g2 ) tale che
g0 = g1 f1 + g2 con g2 = 0 oppure deg(g2 ) < deg(g1 ). Se g2 6= 0, abbiamo che esiste ununica coppia (f2 , g3 ) tale che g1 = g2 f2 + g3 con g3 = 0
oppure deg(g3 ) < deg(g2 ). Possiamo procedere in questo modo finche, dopo un numero finito di passi, il resto non sar`a nullo. In altri termini, esiste
n N ed esistono (e sono univocamente determinati) dei polinomi non nulli
f1 , f2 , . . . , fn , g2 , . . . , gn tali che
deg(gn ) < deg(gn1 ) < . . . < deg(g2 ) < deg(g1 )
e tali che
g0 = g1 f1 + g2

(6)

g1 = g2 f2 + g3
g2 = g3 f3 + g4
..
.
gn3 = gn2 fn2 + gn1
gn2 = gn1 fn1 + gn
gn1 = gn fn

Il polinomio gn `e un massimo comun divisore di f e g. Infatti dallultima delle


(6) si deduce che gn |gn1 . Pertanto dalla penultima delle (6) si deduce che
gn |gn2 . Infatti, poiche gn |gn1 , esiste un polinomio h tale che gn1 = hgn e
quindi
gn2 = gn hfn1 + gn = gn (hfn1 + 1) .
Iterando questo procedimento, dalla terzultima delle (6) si deduce che gn |gn3
e cos` via, fino a trovare che gn |g1 e gn |g0 , ovvero gn |f , gn |g. Pertanto gn `e un
divisore comune di f e g. Se poi p `e un altro divisore comune a f e g, si ha che
p|g0 e p|g1 . Dalla prima delle (6) si deduce allora che p|g2 , e poi dalla seconda
delle (6) si deduce che p|g3 e cos` via, fino a trovare che p|gn . Pertanto gn `e
un massimo comun divisore di f e g.

Cap. 1 Strutture algebriche

27

Proposizione 1.57. Siano f, g due polinomi non nulli. Esiste allora un


unico polinomio monico h che sia massimo comun divisore di f e g, e si scrive
h = mcd(f, g).
Dimostrazione. Lesistenza di un massimo comun divisore di f e g `e gi`a stata provata. Osserviamo ora che se p, p sono entrambi massimi comun divisori
di f e g, allora deve accadere che p|p e p |p. Pertanto p p . Viceversa, se p
`e un massimo comun divisore di f e g e p p allora si verifica agevolmente
che anche p `e un massimo comun divisore di f e g. In altre parole, i massimi
comun divisori di f e g formano una classe completa di equivalenza di polinomi associati. Pertanto, in base ad un lemma precedente, esister`a un unico
rappresentante monico di tale classe.
2
Definizione 1.58. Siano f, g due polinomi non nulli. Diremo che f e g sono
coprimi se mcd(f, g) = 1.
Corollario 1.59. Siano f e g due polinomi non nulli e sia p un massimo
comun divisore di f e g. Esistono allora due polinomi a, b tali che
p = af + bg .
Dimostrazione. Consideriamo il polinomio gn ottenuto con lalgoritmo delle
divisioni successive. Abbiamo gi`a osservato che gn `e un massimo comun divisore di f e g. Inoltre, dalla prima delle (6), abbiamo che g2 `e della forma
a1 f + b1 g. Sostituendo nella seconda delle (6) deduciamo che anche g3 `e della
forma a2 f + b2 g, e cos` via, fino a trovare che esistono dei polinomi a , b tali
che
(7)

gn = a f + b g .

Poiche p gn , esiste un polinomio invertibile k tale che p = kgn . Moltiplicando entrambi i membri della (7) per k otteniamo quindi
p = kgn = ka f + kb g
e quindi lasserto, con a = ka , b = kb .

Dal corollario precedente si deduce che se f e g sono coprimi esistono dei


polinomi a, b tali che
(8)

1 = af + bg .

28

Unintroduzione allalgebra lineare

Daltra parte, se vale la (8) allora 1 = mcd(f, g). Infatti `e chiaro che 1|f , 1|g.
Inoltre, se anche h|f , h|g, esistono dei polinomi h1 , h2 tali che
f = hh1 ;

g = hh2

e quindi, sostituendo nella (8) si ha che


1 = ahh1 + bhh2 = h(ah1 + bh2 )
e quindi h|1. Quindi f e g sono coprimi se e solo se esiste una espressione del
tipo (8).
Definizione 1.60. Sia p un polinomio di grado positivo. Diremo che p `e
irriducibile se non possiede divisori propri.
Osserviamo che se deg(f ) = 1 allora f `e irriducibile. Infatti si `e gi`a osservato
che un divisore proprio di f dovrebbe avere grado positivo e minore del grado
di f , e ci`
o `e impossibile.
Proposizione 1.61. Sia p un polinomio irriducibile e siano f, g due polinomi
non nulli tali che p|f g. Allora p|f oppure p|g, ovvero, come si suol dire, p `e
un elemento primo di F[x].
Dimostrazione. Supponiamo che p non divida f e proviamo che p|g. Poiche
p|f g, esiste un polinomio h tale che f g = ph. Inoltre, essendo p irriducibile,
esso ammette come divisori solo gli invertibili e gli associati. Poiche p non
divide f , gli unici divisori comuni ad f e p sono gli invertibili, cio`e mcd(f, p) =
1. Esisteranno quindi dei polinomi a, b tali che
1 = ap + bf
e dunque
g = apg + bf g = apg + bph = p(ag + bh) .
2
Possiamo ora enunciare e dimostrare il teorema fondamentale della fattorizzazione in F[x].

29

Cap. 1 Strutture algebriche

Teorema 1.62. Sia f un polinomio di grado positivo. Esistono allora, e


sono univocamente determinati, una costante non nulla k, un intero positivo
r e dei polinomi monici irriducibili f1 , . . . , fr tali che
f = k f1 . . . fr .
Dimostrazione. Proviamo lesistenza di una fattorizzazione del polinomio f
come prodotto di una costante non nulla e dei polinomi monici irriducibili. Se
deg(f ) = 1 allora il polinomio f `e del tipo
f = + x

(, F, 6= 0) .

Allora possiamo scrivere


f = ( 1 f ) = ( 1 + x)
e questa `e una fattorizzazione del tipo richiesto. Supponiamo ora che deg(f ) =
n > 1 e procediamo per induzione, ovvero supponiamo che i polinomi di grado
positivo e minore di n ammettano una fattorizzazione del tipo richiesto. Se f
`e irriducibile e an `e il suo parametro direttore, allora
f = an (a1
n f)
`e una fattorizzazione del tipo richiesto. Se invece f non `e irriducibile, allora
esistono due polinomi h , h di grado positivo e minore di n tali che f = h h .
Ma allora, per lipotesi induttiva, esistono delle costanti non nulle k , k e dei
polinomi monici irriducibili
h1 , . . . , hs , h1 , . . . , ht
tali che
h = k h1 . . . hs ;

h = k h1 . . . ht

e quindi
f = (k k ) h1 . . . hs h1 . . . ht .
Proviamo ora lunicit`a di una fattorizzazione del tipo richiesto. Siano k, k due
costanti non nulle e f1 , . . . , fr , g1 , . . . , gs dei polinomi monici irriducibili tali
che
(9)

f = k f1 . . . fr = k g1 . . . gs .

30

Unintroduzione allalgebra lineare

Allora g1 |f1 . . . fr ; pertanto, essendo g1 irriducibile e quindi anche primo, g1


dovr`a dividere qualcuno dei polinomi f1 , . . . , fr . Ad esempio sia g1 |f1 . Dovr`a
esistere un polinomio h tale che f1 = hg1 e poiche f1 `e irruducibile, h sar`a
un invertibile. Ma allora f1 g1 e poiche f1 , g1 sono entrambi monici si avr`a
f1 = g1 . Dalla (9) si ottiene allora, per cancellazione, che
k f2 . . . fr = k g2 . . . gs .
Questo procedimento si pu`o iterare. Se fosse r 6= s, ad esempio r < s, dopo r
passi si otterrebbe
(10)

k = k gr+1 . . . gs

e ci`
o `e assurdo, in quanto il primo membro della (10) ha grado 0 mentre il
secondo membro della (10) ha grado positivo. Dobbiamo quindi dedurre che
r = s e che fi = gi per ogni i = 1, . . . , r. Inoltre, dopo r cancellazioni, si
ottiene che k = k e ci`
o conclude la dimostrazione.
2
Concludiamo questo capitolo con alcune osservazioni sui polinomi a coefficienti reali e complessi. Le dimostrazioni degli enunciati che saranno di seguito
esposti sono omesse, essendo per lo pi`
u di natura non elementare.
Teorema fondamentale dellalgebra 1.63.
Ogni polinomio non costante f C[x] ammette una radice.
Corollario 1.64. Sia f C[x] un polinomio non nullo, e sia deg f = n. Se
z1 , . . . , zt C sono le radici (a due a due distinte) di f e b1 , . . . , bt sono le
molteplicit`a di tali radici, si ha che
f = an (x z1 )b1 . . . (x zt )bt
ovvero, come si suol dire, ogni polinomio `e completamente riducibile in C[x].
Poiche R pu`o identificarsi con un sottocampo di C mediante linclusione
a R 7 a + i0 C
possiamo anche considerare R[x] identificato con un sottoanello di C[x], ovvero
considerare un polinomio a coefficienti reali anche come polinomio a coefficienti
complessi. Se z = a + ib C (con a, b R), indichiamo con z = a ib il suo
complesso coniugato. Osserviamo esplicitamente che z + z e z z sono numeri
reali, per ogni z C.

Cap. 1 Strutture algebriche

Lemma 1.65.

31

Sia f C[x] un polinomio a coefficienti reali, ovvero sia


f = a0 + a1 x + + an xn

con a0 , . . . , an R. Se z = a + ib C `e una radice di f anche z `e una radice


di f .
Dimostrazione. Ricordiamo che i coefficienti ai sono reali, quindi ai = ai
per ogni i. Pertanto
f (z) = a0 + a1 z + + an z n = f (z) = 0 = 0
e quindi z `e una radice di f .

E possibile dare una caratterizzazione dei polinomi irriducibili in R[x] e


C[x].
Teorema 1.66. Un polinomio complesso non costante f `e irriducibile se e
solo se deg f = 1.
Teorema 1.67. Un polinomio reale non costante f `e irriducibile se e solo se
deg f = 1 oppure deg f = 2 e posto f = a0 +a1 x+a2 x2 si ha che a21 4a0 a2 < 0.
Lo scalare a21 4a0 a2 si dice discriminante di f .
Teorema 1.68. Sia f R[x] un polinomio non nullo e sia deg f = n 1.
Allora f pu`o esprimersi, in unico modo a meno dellordine dei fattori, come
prodotto
f = an g1b1 . . . gsbs h1c1 . . . hct t

dove g1 , . . . , gs sono polinomi monici di primo grado, h1 , . . . , ht sono polinomi monici di secondo grado irriducibili e b1 , . . . , bs , c1 , . . . , ct sono interi non
negativi.
Osserviamo che n = b1 + + bs + 2c1 + + 2ct . Inoltre, poiche i polinomi
g1 , . . . , gs sono monici e di grado 1, per ogni i esister`a uno scalare i R
tale che gi = x i . Pertanto i sar`a una radice di f di molteplicit`a bi .
Analogamente, poiche h1 , . . . , ht R[x] sono monici di secondo grado, per
ogni j esisteranno degli scalari j , j R tali che hj = j + j x + x2 . Daltra
parte gli hj sono irriducibili in R[x] ma non in C[x], e poiche un polinomio
reale che ammette un numero complesso z come radice ammette anche z come
radice, per ogni j esister`a un numero complesso zj tale che
hj = (x zj ) (x zj ) = x2 (zj + zj )x + zj zj
e quindi j = zj zj e j = zj + zj .

32
Corollario 1.69.
radice (reale).

Unintroduzione allalgebra lineare

Ogni polinomio f R[x] di grado dispari ammette una

33

Cap. 1 Strutture algebriche

Esercizi.
1. Sia X un insieme non vuoto e sia End(X) linsieme delle applicazioni di X in se.
Definiamo una operazione interna in End(X)
ponendo
f g := g f .


(i) Provare che la struttura algebrica

(ii) sia Y X e sia


B=

End(X); `e un monoide;

f End(X) | f (y) = y y Y

provare che B `e una parte stabile di End(X).

End(X) ;

2. Sia X un insiemenon vuoto


 e indichiamo
 con P (X) il suo insieme delle parti.
(i) Provare che P (X); e P (X); sono monoidi commutativi, specificando qual `e lelemento neutro;
(ii) provare che in tali strutture algebriche non vi sono elementi simmetrizzabili
distinti dallelemento neutro.
3. Sia X un insieme non vuoto e sia Y una sua parte non vuota. Indichiamo con
PY (X) linsieme delle
parti di

 X contenenti Y (inclusione stretta).


(i) Provare che PY (X); `e una parte stabile del monoide P (X); ed `e a
sua volta unmonoide; 


(i) Provare che PY (X); `e una parte stabile del monoide P (X); ed `e a
sua volta un semigruppo (ma non un monoide).

4. Sia X un insieme non vuoto. Provare che la differenza tra sottoinsiemi `e una
operazione interna non associativa in P (X).
5. Sia S 1 la circonferenza unitaria del piano euclideo, ovvero linsieme dei punti P
del piano le cui coordinate x, y in un fissato riferimento monometrico ortogonale
soddisfino la relazione x2 + y 2 = 1. Per ogni R indichiamo con P il punto di
coordinate cos , sen . Poiche per ogni si ha che cos2 + sen2 = 1, si ha che
P S 1 . Daltra parte ogni punto P (x, y) di S 1 `e di questo tipo. Definiamo
una operazione in S 1 ponendo
P P = P+ .
(i) Provare che la struttura (S 1 ; ) `e un gruppo abeliano e il suo elemento neutro
`e il punto P0 (1, 0);
(ii) provare che il sottoinsieme H costituito dai punti P2 con Q `e un
sottogruppo di S 1 .
6. Sia X un insieme non vuoto e sia C(X) linsieme delle applicazioni di X in R.
Definiamo due operazioni e in C(X) ponendo
(f g)(x) = f (x) + g(x) ;

(f g)(x) = f (x) g(x)

34

Unintroduzione allalgebra lineare


per ogni f, g C(X)
 e per ogni
 x X.
(i) Provare che C(X); , `e un anello commutativo unitario;

(ii) provare che se X contiene pi`


u di un elemento allora C(X) non `e un dominio
di integrit`a;
(iii) descrivere gli elementi invertibili di C(X);
(iv) sia Y un sottoinsieme proprio non vuoto di X. Posto
IY =

f C(X) | f (x) = 0 x Y

provare che IY `e un ideale (non banale) di C(X) e che tale ideale `e massimale nellinsieme I degli ideali propri di C(X) parzialmente ordinato per
inclusione se e solo se Y `e un singleton.
7. Trovare il massimo comun divisore monico tra i polinomi reali
f = x3 x2 + x 1 ;

g = x4 x3 x2 x 2 .

8. Trovare il massimo comun divisore monico tra i polinomi reali


f = x4 1 ;

g = x3 6x2 + 11x 6 .

9. Trovare il massimo comun divisore monico tra i polinomi reali


f = x3 x2 + x 1 ;

g = x3 6x2 + 11x 6 .

10. Sia f Q[x]. Provare che f `e associato ad un polinomio a coefficienti interi.


11. Determinare due polinomi in Z[x] che ammettono le stesse radici ma non sono
associati.
12. Sia f Q[x] un polinomio a coefficienti interi. Ad esempio sia f = a0 + a1 x +
+ an xn , con a0 , . . . , an Z. Provare che se u/v Q `e una radice di f , dove
u, v sono interi coprimi, ovvero privi di fattori comuni non invertibili, allora u|a0
e v|an sono numeri interi.
13. Sia f Q[x] un polinomio monico a coefficienti interi. Provare che ogni sua
radice (razionale) `e intera.
14. Sia f = a0 + a1 x + + an xn Z[x]. Provare che ogni sua radice (intera) divide
a0 .

Cap. 1 Strutture algebriche

35

15. Sia F un campo e sia I il sottoinsieme di F[x] costituito dai polinomi aventi il
termine costante nullo, ovvero del tipo
f = a1 x + + an xn .
Sia inoltre I linsieme degli ideali propri di F[x] parzialmente ordinato per inclusione.
(i) Provare che I `e un ideale di F[x];
(ii) provare che I `e massimale in I;
16. Provare che gli ideali non banali dellanello degli interi Z sono tutti e soli quelli
del tipo I = mZ, dove m `e un intero positivo.

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