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La peste a Firenze

(Decameron, I, Introduzione)
Nelle pagine introduttive alla prima Giornata del "Decameron" Boccaccio descrive
l'epidemia di peste che sconvolse Firenze nel 1348, un "orrido cominciamento" che
spiega il motivo per cui i dieci novellatori si incontrano nella chiesa di S. Maria
Novella e decidono di lasciare la citt, giustificando la ragion d'essere delle novelle.
Il pezzo di apertura dell'opera uno scenario grandioso della terribile pestilenza, in
cui per prevale un senso di sbigottimento attonito per il flagello e permane il
dubbio se ci sia dovuto alla punizione divina o a qualche maligno influsso astrale,
anticipando gi la mentalit laica e moderna che dominer in larga parte il libro.
Interpretazione complessiva
Il brano una delle prime e pi importanti descrizioni dell'epidemia di peste a
Firenze e testimonia l'atteggiamento laico e in fondo molto moderno di Boccaccio di
fronte allo spettacolo terribile della mora, poich lo scrittore non sa se attribuire il
flagello alla punizione divina per i peccati degli uomini o alla "operazion de corpi
superiori", cio a un maligno influsso astrale, dubbio che lo allontana dalla visione
apocalittica che gli scrittori del secolo precedente avrebbero senz'altro abbracciato
(per quanto la credenza nell'influenza delle stelle sia ancora di stampo decisamente
medievale). Ci che colpisce l'attenzione dell'autore non solo il rapido propagarsi
della malattia e la facilit con cui si diffonde a Firenze, ma soprattutto il fatto che la
peste ha disgregato il tessuto sociale della citt e ha sconvolto i normali rapporti
persino nelle famiglie, poich "li padri e le madri i figliuoli, quasi loro non fossero, di
visitare e di servire schifavano" e a dominare la ricerca sfrenata del guadagno,
specie da parte degli individui privi di scrupoli. Inaccettabile ai suoi occhi, poi, il
fatto che molte donne ammalate siano costrette a ricorrere all'assistenza di uomini
estranei, senza timore di mostrar loro parti intime del proprio corpo e col rischio, se
sopravvissute, di esporsi poi a una fama di "minore onest", contraria al concetto di
"cortesia" cui lo scrittore si mantiene sempre fedele.
In questo quadro di desolazione si comprende come la decisione dei dieci giovani
di lasciare la citt non sia dovuta alla volont di scampare il contagio, che anzi
infuria altrettanto virulento nelle campagne, ma al desiderio di ricostruire quella
comunit sociale fondata su valori "cortesi" che la peste aveva spazzato via, sia
pure solo per pochi giorni attraverso la fissazione di regole sociali di
comportamento, al contrario della citt dove le leggi ormai non valgono pi n
alcuno le fa rispettare. La risposta dei dieci novellatori al flagello mortale della peste
dunque di tipo "laico" e terreno, non religioso, e se il Decameron si apre con uno
sconvolgimento simile alla "selva oscura" della Commedia, chiaro che ci origina
non un percorso di redenzione morale come per Dante, ma una sorta di "fuga" dalla
realt con risvolti "carnevaleschi" espressi anche dall'elezione dei re e delle regine
(ci anticipa almeno in parte l'atteggiamento dell'Umanesimo di fronte alla vita,
specie l'abbandono sereno ai piaceri per contrastare la sofferenza e il dolore).
Ser Ciappelletto

(Decameron, I, 1)
Protagonista della novella di apertura della raccolta ser Cepparello da Prato, un
notaio che vive in Francia (dove chiamato "Ciappelletto" perch piccolo di statura)
ed dedito a una vita criminosa, definito dall'autore "il piggiore uomo forse che mai
nascesse": dovendosi recare in Borgogna a riscuotere dei crediti, si ammala e
architetta un elaborato inganno per ottenere in punto di morte l'assoluzione da un
frate confessore, morendo quasi in odore di santit e venendo poi venerato dagli
abitanti del luogo. Il messaggio del racconto non tanto la beffa sacrilega, quanto il
fatto che Boccaccio intende polemizzare con la Chiesa che alimenta il culto di falsi
santi per trarne vantaggio economico, mentre Dio guarda alla purezza del cuore dei
fedeli anche quando lo pregano in nome di un lestofante come Ciappelletto (che, tra
l'altro, potrebbe essersi pentito e salvato davvero).
Interpretazione complessiva
La novella narrata da Panfilo propone come vicenda "proemiale" una storia che
riguarda Dio e la devozione religiosa, in modo conforme alla tradizione letteraria,
tuttavia l'esempio non devoto ma riguarda la beffa sacrilega di un lestofante
matricolato (ser Cepparello da Prato, figura storica rielaborata dall'autore) che
inganna un santo frate e ottiene l'assoluzione per i suoi peccati, venendo addirittura
venerato come santo dagli abitanti del luogo che non conoscono la sua vita.
Boccaccio polemizza con la Chiesa che fin troppo sollecita ad alimentare il culto di
falsi santi per trarne un ritorno economico, sotto forma di offerte ed elemosine,
inoltre mette in cattiva luce l'ingenuit del confessore che si lascia ingannare dal
protagonista mentre dovrebbe avere la capacit di leggere nel suo cuore, aspetto
quest'ultimo (la dabbenaggine dei religiosi) che ritorna in altre novelle. Il testo si
collega anche al tema della beffa e dell'arte della parola, in quanto il discorso di
Cepparello/Ciappelletto al frate un piccolo capolavoro di retorica, costruito al fine
di procacciarsi l'assoluzione che servir non tanto a lui quanto ai due fratelli usurai
che lo ospitano.
Ciappelletto presentato con una certa simpatia dall'autore, nonostante la
malvagit della sua vita scellerata, e fin dall'inizio precisato che la novella tratta
del "giudicio... degli uomini", ovvero si limita a narrare quanto avviene sulla Terra
non escludendo che il protagonista possa essersi pentito e aver ottenuto la
salvezza, cosa che solo Dio pu sapere leggendo nel suo cuore. Nessuna polemica
quindi rivolta contro l'ingenuit popolare che adora falsi santi per rivolgere le sue
preghiere a Dio, viene anzi detto che Egli pu accoglierle guardando alla purezza
del cuore dei fedeli e non alla vita peccaminosa degli intermediari, i "mezzani". Il
culto dei falsi santi era molto diffuso nel Medioevo e cos pure il commercio delle
reliquie (false o meno) da cui la Chiesa traeva vantaggio, cosa di cui si ha un
accenno in questa novella col descrivere i fedeli che stracciano le vesti dal cadavere
di Ciappelletto (il tema ricorre in altre novelle, TESTO: Frate Cipolla).
Il discorso con cui Ciappelletto inganna il frate una beffa sacrilega, ma anche
l'esibizione di un attore consumato che ricorre a tutte le sue arti pur di raggiungere
il suo scopo, incluso il pianto finale con cui finge di non voler rivelare il suo terribile
peccato (che ovviamente veniale come tutti gli altri che ha confessato,

esagerando in modo incredibile il suo pentimento). interessante il fatto che il


frate, chiedendo a Ciappelletto se abbia compiuto questo o quel peccato, segua lo
schema morale dell'Inferno dantesco e parli quindi di lussuria, gola, avarizia, ira,
violenza e frode, tutte colpe che sappiamo essere state compiute abbondantemente
dal protagonista; inoltre, quando questi dichiara di non aver mai avuto rapporti
carnali con donne, dice in fondo il vero perch l'autore lo ha presentato come dedito
alla sodomia (altro peccato capitale secondo la teologia medievale).
La novella di Ciappelletto una delle dieci inserite da Pasolini nella sua versione
cinematografica del Decameron (1971), in cui essa si snoda come "cornice" nella
prima parte del film: il notaio interpretato da Franco Citti e la vicenda si svolge
non in Borgogna ma in Nord Europa, mentre i protagonisti sono napoletani come
quasi tutti i personaggi della pellicola. Nell'episodio, inoltre, il ruolo del confessore
affidato al pittore Giuseppe Zigaina, che recita come attore non professionista (
CINEMA: Decameron).
Andreuccio da Perugia
(Decameron, II, 5)
Protagonista di questa novella narrata da Fiammetta Andreuccio, un giovane
mercante perugino capitato a Napoli per una compravendita di cavalli che si fa
truffare da un'astuta prostituta siciliana che si finge sua sorella e lo deruba di tutto il
suo denaro. Dopo una serie inverosimile di peripezie e disavventure in cui rischia
seriamente la vita, il giovane viene assistito dalla fortuna e riesce non solo a
salvarsi, ma addirittura a entrare in possesso di un prezioso anello che gli consente
di recuperare i soldi perduti.
Interpretazione complessiva
La novella fa parte della seconda Giornata del Decameron, che narra vicende i cui
protagonisti si salvano da situazioni difficili oppure ottengono un guadagno
insperato grazie all'aiuto della fortuna: appunto il caso di Andreuccio, il quale
nell'arco di una sola nottata perde tutto il suo denaro e rischia pi volte di morire,
per poi entrare in possesso di un prezioso anello con cui torna a casa pi ricco di
prima (la fortuna vista da Boccaccio come qualcosa di capriccioso e fortuito, non
pi espressione della volont divina come in Dante e nelle opere del Duecento). Il
testo anche in parte una celebrazione della figura del mercante e si pu accostare
a quella di Landolfo Rufolo che la precede, con la differenza che in quella il
protagonista recuperava le perdite nell'arco di anni e dopo essersi dedicato alla
pirateria.
Andreuccio presentato come un giovane inesperto e ingenuo, che non ha mai
viaggiato in precedenza e cade nella trappola tesagli dalla prostituta Fiordaliso, che
si spaccia per una sua sorella illegittima: nel corso delle sue peripezie il giovane
rischia per tre volte seriamente la pelle (quando cade nella latrina, quando calato
nel pozzo e infine quando resta chiuso nel sepolcro dell'arcivescovo) e in ognuna di
queste disavventure assistiamo a una sua "discesa" seguita poi da una "risalita",
l'ultima volta addirittura da una tomba. Nel corso della vicenda il giovane mercante

matura e impara dai propri errori, per cui ad es. ha l'accortezza di tenere per s il
prezioso anello dell'arcivescovo sospettando della lealt dei suoi complici (che
infatti lo chiuderanno nell'arca), quindi alla fine esce migliorato dalla sua esperienza
e il racconto in un certo senso un "percorso di formazione", non a caso avente per
protagonista un uomo d'affari che deve appunto usare l'astuzia per fronteggiare i
pericoli del mondo.
La protagonista femminile della novella la prostituta siciliana Fiordaliso, donna
bellissima e intrigante che rientra nella tipologia della seduttrice che usa il suo
fascino ma anche la sua intelligenza per imbrogliare il prossimo, attraverso l'arte
sottile della parola (Boccaccio sottolinea come il suo discorso ad Andreuccio sia ben
congegnato e pronunciato senza che "in niuno atto moriva la parola tra denti n
balbettava la lingua", quindi risultando convincente). Il personaggio ricorda quello di
Jancofiore nella novella di Salabaetto (VIII, 10), anche lei prostituta palermitana che
truffa un ingenuo mercante fiorentino per poi essere beffata a sua volta con un
elaborato inganno.
La novella ambientata a Napoli, la citt dove Boccaccio aveva vissuto negli anni
giovanili, che per qui presentata come una "metropoli" dai vicoli sordidi e
malfamati (il quartiere dove vive Fiordaliso si chiama "Malpertugio" ed abitato da
ladri e ruffiani come il Buttafuoco citato che sfrutta la donna) e molto diversa dalla
sede della corte angioina frequentata dallo scrittore, che forse conosceva il
lato"oscuro" del luogo e potrebbe aver inserito dati autobiografici nel racconto; esso
oltretutto narrato da Fiammetta, il cui nome ricorda quello della donna amata
dall'autore proprio a Napoli. La citt descritta come uno spazio ricco di insidie in
cui Andreuccio rischia di perdersi, secondo uno schema che in seguito sar spesso
sfruttato dalla narrativa "di formazione" e torner anche nei Promessi sposi di A.
Manzoni, in cui Renzo a Milano si far beffare in modo altrettanto ingenuo e
rischier la vita.
Il vescovo napoletano Filippo Minutolo resse la diocesi della citt tra 1288 e 1301,
fino alla morte avvenuta il 24 ott. di quell'anno, quindi la vicenda si svolge in quel
lasso di tempo (ignoriamo se l'autore abbia rispettato tutti i dettagli, incluso il fatto
che la novella sembra avvenire in piena estate dato il caldo torrido e non in
ottobre). Il prelato venne in effetti tumulato in una cappella all'interno della
Cattedrale di S. Maria Assunta, dove quindi ambientata la fase finale del racconto,
e la scena conclusiva mostra tre ladri intenti a spogliare la salma del vescovo come
avevano fatto i due complici di Andreuccio; fra di essi vi anche un prete, fatto che
si collega alla polemica anti-ecclesiastica che percorre largamente il libro.
La vicenda una di quelle riproposte nel film Decameron di Pier Paolo Pasolini, in
cui il ruolo di Andreuccio ricoperto dall'attore romano Ninetto Davoli (e infatti nella
pellicola il giovane mercante proviene da Roma, mentre il resto della novella
lasciato inalterato dalla trasposizione; CINEMA: Decameron).
Masetto da Lamporecchio
(Decameron, III, 1)

Protagonista di questa novella narrata da Filostrato lo scaltro Masetto, il quale si


finge muto per entrare come lavorante in un monastero femminile dove le
monache, invaghitesi della sua prestanza fisica, fanno a gara a diventare le sue
amanti, inclusa la badessa che non disdegna i suoi favori sessuali e provoca il
malcontento delle consorelle "trattenendolo" per lungo tempo nella sua cella. Alla
fine il giovane, impossibilitato a soddisfare i desideri delle religiose tutte insieme,
finge di aver riacquistato la parola per un "miracolo" e giunger in tal modo a un
onorevole compromesso.
Interpretazione complessiva
La novella apre la terza Giornata, dedicata a personaggi che grazie al loro
ingegno e all'intraprendenza riescono a ottenere un qualche vantaggio o a centrare
un obiettivo che si erano prefissati: il protagonista della vicenda non un mercante
ma un astuto contadino, che fingendosi muto riesce ad essere accolto in un
convento femminile come lavorante e a diventare l'amante di tutte le monache
inclusa la badessa, sino a svelare il proprio inganno e ad essere nominato
addirittura amministratore del chiostro. La novella affronta il tema della sessualit
tra i religiosi, affermando fin dall'inizio che illusorio e ipocrita pensare che una
giovane donna non "senta de feminili appetiti se non come se di pietra lavesse
fatta divenire il farla monaca", dunque sbagliano coloro che ritengono che le
relazioni tra le mura di un chiostro siano qualcosa "contra natura", dal momento che
le leggi del desiderio valgono per tutti e non possono essere represse. La vicenda si
ricollega a molte altre novelle del Decameron, tra cui soprattutto quella della
badessa e le brache (IX, 2) in cui una giovane monaca viene sorpresa col suo
amante e denunciata alla superiora, che per a sua volta in compagnia di un prete
( TESTO: La badessa e le brache).
Il tono del racconto decisamente comico e la descrizione del protagonista
simile a quella di un eroe "picaresco", che parte dal suo paese "con una sua scure in
collo" e va al monastero con il preciso intento di approfittare della situazione,
ottenendo il suo scopo grazie appunto al suo ingegno e alla sua astuzia;
inizialmente tutto fila liscio, poi l'impossibilit fisica di soddisfare gli appetiti carnali
delle monache e della badessa lo induce a svelare l'inganno, sia pur fingendo che
un "miracolo" gli abbia fatto riacquistare la parola (la badessa finge di credere alla
cosa e, in seguito, si sparger nel contado la credenza che Masetto sia stato oggetto
di una speciale grazia, tema che si collega a quello del falso culto dei santi;
TESTO: Ser Ciappelletto). Il risultato paradossale che Masetto non solo rimane nel
monastero, concedendosi alle monache in modo pi "parco", ma addirittura ne
diventer il castaldo (amministratore) e torner a casa anziano e ricco, dopo aver
avuto molti figli dalle sue amanti (definiti in modo beffardo "monachin", piccoli
monaci). La conclusione della novella una battuta blasfema, con Filostrato che
afferma che Masetto aveva reso "cornuto" Cristo congiungendosi con le monache
sue spose e ne era stato addirittura ricompensato con benefici economici.
La novella di Masetto una delle dieci inserite da Pasolini nella sua versione
cinematografica del Decameron (1971), in cui il ruolo del giovane interpretato da
Vincenzo Amato: rispetto al testo, nel film il convento si trova in Campania e i

protagonisti parlano con spiccato accento napoletano, proprio come in quasi tutti gli
episodi della pellicola ( CINEMA: Decameron).
La novella delle papere
(Decameron, IV, Introduzione)
Nell'Introduzione alla quarta Giornata l'autore prende la parola in prima persona e si
difende dalle accuse che da pi parti erano giunte all'opera, le cui novelle
evidentemente avevano iniziato a circolare prima della pubblicazione definitiva,
accuse che riguardavano soprattutto il carattere eccessivamente licenzioso dei
racconti che mal si adattava (secondo i detrattori di Boccaccio) a un autore che
avrebbe dovuto usare il suo ingegno per produrre opere pi degne. Per argomentare
le sue tesi, e cio che non vi nulla di osceno o di immorale nella materia dell'eros
trattata nel testo, Boccaccio narra una breve novella (la centounesima della
raccolta) che dimostra proprio la naturalezza del sentimento amoroso e degli istinti
sessuali, avente per protagonista un eremita e suo figlio. La novella, che resta priva
di una conclusione, riprende i temi toccati in molti racconti del "Decameron" ed
caratterizzata da uno stile comico che si ritrova in altri episodi del libro.
Interpretazione complessiva
Il brano uno dei momenti del Decameron in cui l'autore prende direttamente la
parola e non parla attraverso la voce dei dieci novellatori (come nel Proemio,
nell'Introduzione alla prima Giornata e nella Conclusione) e qui il suo intento
ribattere alle accuse di chi lo criticava per l'oscenit di alcune novelle del libro, che
evidentemente circolavano gi in forma autonoma prima che l'opera venisse
completata dall'autore. Il tema della novelletta raccontata, la centounesima della
raccolta, lo stesso gi affrontato in altri testi e cio l'impossibilit di reprimere gli
istinti sessuali, in quanto l'eros un aspetto naturale della vita umana e riguarda
ogni persona, inclusi i religiosi per cui l'imposizione del celibato ecclesiastico del
tutto ipocrita; novelle significative a questo riguardo sono soprattutto quella di
Masetto, III, 1 ( TESTO: Masetto da Lamporecchio) e quella della badessa, IX, 2 (
TESTO: La badessa e le brache).
Protagonista della novella (che Boccaccio lascia volutamente senza conclusione,
per non mescolarla a quelle "compiute" del libro) un fiorentino che si ritira come
eremita e alleva l'unico figlio senza mostrargli nulla del mondo, finch lo porta in
citt e il giovane si invaghisce di alcune giovani e belle donne: alla sua richiesta di
sapere il nome di una tale bellezza, il padre risponde che si tratta di "papere" ed
evidente l'intento ironico del racconto, dal momento che il ragazzo non si cura del
richiamo del genitore ("elle son mala cosa") e vorrebbe dare loro da "beccare", con
esplicito riferimento sessuale. La novella si rif anche alla tradizione medievale che
interpretava la donna come tentatrice diabolica e "distrazione" dalla ricerca
spirituale, ovviamente per rovesciarla in modo beffardo e affermare che i desideri
carnali sono perfettamente normali e che illusorio cercare di reprimerli attraverso
norme di carattere morale. Giova ricordare che l'autore nell'ultima parte della sua
vita cambi posizione riguardo alla figura femminile ed espresse idee di stampo
decisamente misogino, specie nel Corbaccio.

Tancredi e Ghismunda
(Decameron, IV, 1)
Nella novella che apre la quarta giornata, dedicata agli amori infelici, Fiammetta
narra della triste vicenda di Ghismunda, figlia del principe di Salerno che, rimasta
vedova e non ottenendo un nuovo marito dal padre, intreccia una relazione con un
valletto di nome Guiscardo, escogitando un accorto sistema per i loro convegni
amorosi. Tancredi, il padre della donna, scopre fortuitamente la tresca e fa
imprigionare Guiscardo, ordinando poi di metterlo a morte, e la figlia, dopo aver
rivendicato con fierezza il suo diritto a soddisfare i propri desideri amorosi, si uccide
per il dolore della perdita del suo innamorato. Il racconto uno dei pi
retoricamente elevati del "Decameron" e mette bene in luce la novit della visione
da parte di Boccaccio della tematica amorosa, con l'affermare che la ricerca del
piacere non affatto un tab e reprimerla pu anzi causare gravi conseguenze,
come nel caso della protagonista. Pur rifacendosi ai motivi della letteratura cortese,
l'autore rielabora il "topos" dell'amore adultero e dimostra tutta la modernit della
sua concezione laica della vita, segnando una distanza incolmabile rispetto alla
tradizione precedente.
Interpretazione complessiva
Il tema al centro di questa novella, tra le pi stilisticamente elevate del
Decameron, l'amore sensuale, che non solo non viene condannato dall'autore ma
anzi celebrato come qualcosa di assolutamente naturale che impossibile cercare
di reprimere: Boccaccio riprende quanto gi dichiarato nella sua "autodifesa"
nell'Introduzione a questa stessa giornata e sceglie di aprirla con una novella che
narra di un amore adultero, per di pi tra una nobildonna (Ghismunda, figlia del
principe di Salerno) e un modesto valletto, destinato a finire tragicamente. La tresca
tra la donna e Guiscardo si ricollega in parte agli amori furtivi della letteratura
cortese, con l'importante differenza che qui l'uomo non un nobile cavaliere e la
soddisfazione dei desideri carnali non il punto di arrivo, bens la causa scatenante
della relazione tra i due. Altrettanto significativo che a rivendicare il diritto di
perseguire il proprio piacere e di essere felice in amore Ghismunda, che affronta il
padre con un discorso che un piccolo capolavoro di retorica ed esprime senza
dubbio il punto di vista dell'autore in materia di relazioni amorose.
Ghismunda la protagonista assoluta della novella e la donna si presenta come
una vera "eroina", che in parte riprende stereotipi gi presenti nella tradizione
precedente: una donna di bell'aspetto, nobile, colta (lo si deduce dalla
ricercatezza stilistica del suo discorso al padre), rivendica con fierezza il suo diritto
ad avere una propria vita sessuale che Tancredi le nega non consentendole di
risposarsi, inoltre afferma con orgoglio che la distinzione tra nobili e non nobili
riguarda esclusivamente la virt e non la nascita o le ricchezze, rifacendosi
all'analogo motivo dello Stilnovo. Da un lato Ghismunda pu ricordare alcune
protagoniste dei romanzi cortesi (Ginevra, Isotta la Bionda...), dall'altro la sua figura
sembra riproporre quella di Francesca incontrata da Dante tra i lussuriosi in Inf., V,
in quanto anche lei era nobile e appassionata lettrice di letteratura cortese e come
Ghismunda intrecciava una relazione adultera col cognato Paolo, destinata

anch'essa a una fine tragica ( TESTO: Paolo e Francesca). La differenza sta nel
fatto che Dante condannava tale relazione e la letteratura che l'aveva in certo modo
suscitata, mentre Boccaccio mostra una visione decisamente pi moderna e gi in
linea con quella dell'Umanesimo, assai pi serena rispetto al godimento delle gioie
dell'amore.
Tancredi un personaggio alquanto contraddittorio, in quanto con i suoi
comportamenti provoca di fatto il suicidio della figlia, inoltre c' chi ha visto in lui
una passione incestuosa per Ghismunda, il che spiegherebbe la gelosia provata per
Guiscardo e la sua reazione rabbiosa di fronte alla relazione adulterina con la
giovane. Il particolare macabro del cuore strappato dal petto del servo simile a
quello della novella del cuore mangiato (IV, 9), in cui il marito tradito imbandisce
alla moglie il cuore dell'amante di lei, che poi si uccide; anche in quella di Elisabetta
(IV, 5) c' il dettaglio della testa del giovane amato dalla protagonista che stato
ucciso dai fratelli, e posta dalla ragazza in un vaso di basilico. Il motivo arrivava a
Boccaccio da una ricca tradizione della letteratura franco-provenzale, specie dalla
poesia trobadorica in cui talvolta si invitava a cibarsi del cuore di qualcuno per
assumerne le virt, come in molti planh ( PERCORSO: Le Origini).
Federigo degli Alberighi
(Decameron, V, 9)
Protagonista di questa novella narrata da Fiammetta Federigo degli Alberighi,
membro della antica nobilt fiorentina che per amore di una donna sperpera tutto il
suo patrimonio e si riduce a vivere in un suo podere in campagna, dove campa
grazie soprattutto al suo falcone da caccia che gli procaccia del cibo ed l'ultimo
simbolo della sua perduta condizione signorile. Quando la donna amata, rimasta
vedova, glielo chiede in dono per far guarire il proprio figlio malato, l'uomo non pu
esaudire il suo desiderio per un bizzarro caso del destino.
Interpretazione complessiva
La novella, tra le pi famose del Decameron, ha per protagonista un aristocratico
appartenente a una famiglia di antica nobilt fiorentina, citata da Cacciaguida in
Par., XVI come gi in decadenza e ormai estinta a met del XIV secolo: l'autore
descrive Federigo come un magnifico signore dotato di cortesia e di tutte quelle
virt cavalleresche che ammirava, ma lo critica per aver dilapidato il suo patrimonio
in spese folli che, alla fine, gli impediscono di ricevere e onorare Giovanna come
meriterebbe. Boccaccio, figlio di un mercante e appartenente alla borghesia
affaristica, auspicava un'integrazione tra il proprio ceto e quello signorile di Firenze,
per cui in conclusione della novella elogia Federigo in quanto, dopo il matrimonio
con la ricca nobildonna, diventa "miglior massaio" e impara ad amministrare i propri
averi in modo pi oculato.
Tutta la vicenda si svolge in un ambiente signorile e raffinato, reso dall'autore
anche attraverso l'uso di termini propri del linguaggio cortese: Federigo un uomo
"in opera darme e in cortesia pregiato" (abile nell'uso delle armi e dal
comportamento nobile), per conquistare Giovanna "giostrava" e "armeggiava" (si

esibiva in tornei e giostre mostrando la propria abilit militare), una volta rimasto
senza soldi si ritira in campagna poich non pi in grado di sostenere il tenore di
vita cittadino confacente al suo lignaggio aristocratico; si mantiene grazie alla
selvaggina procurata dal suo falcone, che rappresenta anche l'ultimo simbolo della
sua nobilt (la falconeria era praticata soprattutto dagli aristocratici e a Federico II
di Svevia attribuito un trattato De arte venandi cum avibus proprio su questa
attivit). La cortesia del protagonista si vede anche quando riceve l'inattesa visita di
Giovanna, poich la accoglie in modo benevolo senza mostrare rancore per le sue
ripulse ("niun danno mi ricorda mai avere ricevuto per voi") e per onorarla come
merita non esita a sacrificare il suo prezioso falcone, compiendo un gesto di
magnificenza che viene elogiato dall'autore.
La protagonista femminile Giovanna una nobildonna che rifiuta la corte di
Federigo e ne provoca indirettamente la rovina economica, non per crudelt come la
donna amata da Nastagio degli Onesti (V, 8) ma per la fedelt dimostrata al marito;
quando il figlio si ammala molto incerta se chiedere o meno il falcone a Federigo,
dato che sa di essere la causa dei suoi problemi, poi alla fine si decide a farlo spinta
dall'amore materno. Il discorso che rivolge all'uomo dopo il pranzo a casa sua un
piccolo capolavoro di retorica, in quanto la donna inizia con una captatio
benevolentiae con cui si scusa per le sue ripulse amorose, poi loda la nobilt di
Federigo e gli chiede il falcone facendo appello all'amore per il figlio ammalato,
toccando quindi abilmente la corda del sentimento (anche attraverso la triplice
anafora "niuno altro diletto, niuno altro diporto, niuna consolazione" riferita
all'animale da caccia). Giovanna rappresenta una donna dal carattere forte e abile
nell'uso della parola, inoltre si mostra abile nel rapporto con l'altro sesso e decide di
sposare Federigo non tanto perch innamorata di lui, ma quasi per ricompensarlo
dei danni subiti a causa sua e per il magnifico gesto di aver sacrificato per lei il
falcone.
Guido Cavalcanti
(Decameron, VI, 9)
In questa breve novella narrata da Elissa, la regina della sesta giornata, il
protagonista il poeta fiorentino Guido Cavalcanti, noto per le sue idee epicuree
che, infastidito da alcuni nobili suoi concittadini, se la cava con una sagace battuta
di spirito che talmente sottile da richiedere una chiosa da parte di Betto
Brunelleschi, il capo della brigata. Il racconto vuol essere un omaggio postumo al
grande poeta stilnovista e contiene forse un riferimento all'episodio dell' "Inferno"
dantesco che vedeva come protagonista il padre di Guido, Cavalcante.
Interpretazione complessiva
Guido Cavalcanti (1259-1300) fu il grande poeta amico di Dante ed esponente
assieme a lui del Dolce Stil Novo a Firenze: aveva fama, come del resto il padre
Cavalcante, di essere seguace dell'epicureismo e di avere una visione materialista
dell'esistenza, che negava l'immortalit dell'anima e l'esistenza di Dio. Non a caso,
forse, la novella si svolge tra le tombe di un cimitero, anche perch nel canto X
dell'Inferno Dante descrive la pena degli epicurei (tra cui lo stesso padre di Guido)

che consiste nel giacere in tombe infuocate, simboleggiando la mortalit dell'anima


da loro teorizzata in vita ( TESTO: Dante e Farinata degli Uberti). Guido si cava
d'impaccio dicendo a Betto e ai suoi compari che sono a casa propria, quindi che
sono intellettualmente morti.
Betto Brunelleschi fu un guelfo nero, di famiglia agiata, ucciso da un Donati nel
1311 e capo di una di quelle brigate di giovani che caratterizzavano la vita
aristocratica della Firenze del XIII-XIV sec.: il rifiuto da parte di Guido di farne parte
da lui interpretato nella novella come un atto di scortesia, per cui decide con gli
amici di "dargli briga" e di irriderlo in quanto impegnato nelle sue meditazioni
filosofiche sulla non esistenza di Dio. La battuta di Guido la pi sottile tra quelle di
questa giornata ed propria di un raffinato intellettuale un po' sdegnoso degli altri
uomini, molto lontano quindi dalla sagacia popolare di altri personaggi quali, ad es.,
il cuoco Chichibo.
Le tombe di marmo dove si svolge il racconto un tempo erano intorno al
battistero di S. Giovanni e furono poi poste nella cattedrale di S.ta Reparata (oggi al
suo posto sorge S. Maria del Fiore). Si riteneva che fossero le sepolture degli antichi
abitanti della citt.
Frate Cipolla
(Decameron, VI, 10)
Protagonista di questa novella narrata da Dioneo a conclusione della sesta giornata
un frate antoniano, detto Cipolla per via dei capelli rossi, che gira di paese in
paese a mostrare agli sprovveduti contadini delle improbabili reliquie sacre, tra cui
una piuma di pappagallo che egli spaccia nientemeno che per la penna
dell'arcangelo Gabriele caduta in occasione dell'Annunciazione alla Vergine. Giunto
a Certaldo, subisce lo scherzo di due paesani suoi amici (Giovanni e Biagio) che
sostituiscono la penna con dei carboni arsi, senza tuttavia creare gran danno al
frate che sapr cavarsi d'impiccio di fronte al suo uditorio con un bizzarro discorso
pieno di intelligenti trovate. La novella interessante sia per la celebrazione
dell'arte della parola e della dialettica, sia per la polemica contro il commercio delle
reliquie che approfitta della devozione e della credulit popolare.
Interpretazione complessiva
La novella rivolge una critica allo sfruttamento delle false reliquie da parte degli
ecclesiastici che sfruttano la credulit popolare, pratica assai diffusa nel DueTrecento: il protagonista un membro dell'Ordine di sant'Antonio Abate, i cui frati
erano noti per svolgere questo tipo di attivit (ne parla in termini negativi anche
Dante, Par., XXIX, 124-126). Frate Cipolla presentato come un guitto di
professione, che gira di paese in paese mostrando false reliquie come la piuma
dell'arcangelo Gabriele che altro non che una piuma di pappagallo, approfittando
dell'ingenuit e dell'ignoranza dei fedeli e raccogliendo cos generose offerte da
parte loro. La polemica contro lo sfruttamento del culto dei santi presente anche
nella novella di Ciappelletto che apre il libro ( TESTO: Ser Ciappelletto) e ad essere

messa sotto accusa non solo la "stolta moltitudine", ma soprattutto l'avidit dei
religiosi che sfruttano il popolo per arricchirsi.
Il racconto di frate Cipolla ai fedeli un vero capolavoro di retorica, poich il
religioso confonde l'uditorio coi nomi di luoghi reali o immaginari dal suono esotico,
mentre si tratta perlopi di strade di Firenze (Vinegia, Borgo de' Greci, Garbo,
Baldacca...). Il Porcellana l'ospedale di S. Filippo (un Guccio Porcellana, custode
dell'ospedale, abitava realmente nel quartiere di Boccaccio), mentre l'Abruzzo era
popolarmente indicato come una terra lontana; i "pennati" che il frate afferma di
aver visto volare possono essere dei coltelli, ma anche dei semplici volatili, mentre
ovvio che le acque del paese dei Baschi corrono "alla 'ngi". Il nome del presunto
patriarca di Gerusalemme ricorda i nomi parlanti delle opere didattiche in lingua
francese e vuol dire Non mi biasimate per favore, mentre le reliquie elencate
sono tutti oggetti materiali riferiti a esseri spirituali, dunque di per s assurdi.
Questa novella, pur narrata da Dioneo, si attiene al tema della Giornata
ampliandolo: il racconto di uno scherzo tentato da Biagio e Giovanni ai danni di
frate Cipolla che riesce grazie al suo ingegno a farlo tornare a suo vantaggio, quindi
il racconto anticipa in parte il tema della settima Giornata (le beffe delle donne ai
mariti) e dell'ottava (le beffe di qualunque tipo). Il personaggio di Maso del Saggio,
citato dal frate nel suo discorso, ritorna nella novella di Calandrino e l'elitropia (VIII,
3), dove beffa l'ingenuo protagonista con un gioco di parole simile a quello usato qui
dal predicatore relativamente ai carboni: Maso diceva che chi aveva indosso
l'elitropia non poteva essere visto dove non si trovava, facendo credere che
rendesse invisibili, mentre qui il frate dice che chi segnato dai carboni per un anno
non potr essere bruciato dal fuoco senza evitare di sentirlo, che sembra alludere al
potere di rendere immuni da esso ( TESTO: Calandrino e l'elitropia).
Guccio Imbratta, il servo di frate Cipolla, rappresenta una specie di doppio del
religioso in tono minore: anch'egli un furfante e un ciarlatano, ma si limita a usare
la sua parlantina per sedurre delle sudicie cameriere in una cucina maleodorante;
ha la barba nera mentre il frate ha i capelli rossi e, a differenza del suo padrone,
non riesce quasi mai a ottenere quello che vuole ( una sorta di parodia involgarita
del frate e ha la funzione di mettere in risalto per contrasto l'indubbia abilit del
predicatore).
Peronella
(Decameron, VII, 2)
Protagonista di questa novella narrata da Filostrato Peronella, una giovane e bella
popolana che tradisce il marito ma viene sorpresa da lui in casa con l'amante, per
cui architetta un inganno per fargli credere che l'altro uomo l per acquistare un
grosso orcio. La donna talmente astuta da riuscire a terminare l'atto adultero
praticamente sotto il naso dello sciocco marito, inducendolo poi a portare l'orcio a
casa dell'amante.
Interpretazione complessiva

La novella inserita nella settima Giornata in cui il re, Dioneo, impone come
tema le beffe delle mogli ai danni dei mariti e la protagonista del racconto una
giovane popolana, Peronella, che tradisce l'ingenuo marito con Giannello, un
giovane galante di rango sociale superiore che le ha messo gli occhi addosso e si
incontra in casa di lei quando il coniuge va al lavoro. La donna si dimostra pronta a
reagire quando l'inatteso ritorno dello sposo la sorprende con l'amante, poich
prima nasconde l'altro uomo nel "doglio" che si trova in casa, poi quando scopre che
il marito lo vuole vendere a un altro popolano ne approfitta per fargli credere che
Giannello l per esaminarlo e acquistarlo (a un prezzo superiore, dettaglio che
induce lo sciocco marito a prendere per vero tutto il racconto). Peronella mostra
anche una certa eloquenza "popolare", quando all'inizio apostrofa il suo uomo e lo
accusa di non lavorare abbastanza per mantenerla, quindi dichiara che, se volesse,
potrebbe trovare anche lei un amante e ingannare il marito, che proprio quello
che sta facendo ora.
Il linguaggio e lo stile della narrazione sono adeguati al contesto popolare della
vicenda, anche con sfumature dialettali (mogliere voce meridionale e campana
per "moglie", mentre otta parola fiorentina per "ora"), mentre il discorso di
Peronella al marito si ispira alla poesia comica del Duecento in cui spesso le
popolane fanno le preziose e vantano un lignaggio sociale che in realt non hanno
("avrei potuto avere un giovane cos da bene e nol volli, per venire a costui che non
pensa cui egli sha recata a casa"), oppure ingannano i mariti dopo averli traditi
sotto il loro naso ( TESTI: Rosa fresca aulentissima; Oi dolce mio marito
Aldobrandino).
La vicenda una di quelle sceneggiate da Pier Paolo Pasolini nel film Decameron,
in cui il ruolo di Peronella interpretato dall'attrice napoletana Angela Luce (
CINEMA: Decameron).
Calandrino e l'elitropia
(Decameron, VIII, 3)
Protagonista di questa novella narrata da Elissa lo sciocco pittore Calandrino, un
personaggio fiorentino realmente esistito che compare anche in altre novelle del
"Decameron" e viene sempre beffato dai due amici Bruno e Buffalmacco, autori di
feroci scherzi ai suoi danni. Qui gli viene fatto credere da Maso del Saggio
nell'esistenza dell'elitropia, magica pietra che ha il potere di rendere invisibili, e
l'uomo propone agli amici di cercarla lungo il torrente Mugnone, progettando di
servirsene per arricchirsi a spese dei cambiavalute; inutile dire che la conclusione
sar una beffa architettata contro di lui dai suoi compari di cui per, alla fine, patir
le conseguenze Tessa, l'incolpevole moglie di Calandrino.
Interpretazione complessiva
La novella inserita nell'ottava Giornata, dedicata alle beffe di qualunque tipo, e
racconta l'ennesimo scherzo che Calandrino (un pittore pre-giottesco vissuto a
Firenze all'inizio del Trecento e cos detto dal nome di una squadra usata dagli artisti
per disegnare) subisce dapprima ad opera di Maso del Saggio, gi citato da frate

Cipolla nella sua novella (VI, 10), e poi da parte dei suoi due amici Bruno e
Buffalmacco, che si prendono gioco di lui e della sua illusione di rendersi invisibile
grazie all'elitropia; i tre compaiono anche in altre novelle del Decameron, ovvero
quella del porco rubato (VIII, 6), quella di Calandrino gravido (IX, 3) e quella di
Calandrino innamorato (IX, 5), mentre Bruno e Buffalmacco beffano Maestro Simone
nella novella omonima (VIII, 9). Il racconto ruota intorno all'ingenuit di Calandrino,
talmente sciocco da credere tutto quelle che gli viene narrato, ma anche al suo
progetto "criminoso" di servirsi dell'invisibilit per rubare il denaro dei cambiavalute
e fare "la bella vita", dunque la beffa subita la giusta punizione dei suoi insani
propositi (e come al solito la simpatia dell'autore fa agli autori dello scherzo, non
alla loro vittima).
Il discorso a Calandrino di Maso del Saggio (anche lui personaggio reale, che
svolgeva a Firenze la professione di sensale) in realt molto simile a quello con cui
frate Cipolla (VI, 10) riesce ad abbindolare i Certaldesi: pieno di nomi fantasiosi e
dal significato ambiguo, specie quando descrive il favoloso paese di Bengodi e dice
di esservi stato "una volta come mille", spiegando che le miglia di distanza da
Firenze sono "millanta, che tutta notte canta" (millanta un numerale inesistente,
che allude a una quantit del tutto imprecisata). Anche nel descrivere le propriet
delle pietre Maso si prende gioco di Calandrino: le macine di Settignano e Montisci
producono s la farina, ma in quanto diventano le mole dei mulini, mentre
dell'elitropia dice soltanto che chi la porta addosso non pu essere visto dove non ,
cosa del tutto ovvia (frate Cipolla usava un gioco verbale simile riguardo ai carboni
di S. Lorenzo; TESTO: Frate Cipolla). I "lapidari" citati sono gli esperti delle virt
delle pietre e cos venivano anche chiamati i trattati medievali che trattavano la
materia, su cui Boccaccio usa molta ironia.
Il finale della novella mostra il lato violento del protagonista, che picchia furioso
la moglie e forse la ucciderebbe se non fosse fermato dai due amici: emerge in
parte un aspetto misogino dell'autore, che risalter assai pi nelle opere successive
al Decameron (specialmente il Corbaccio) mentre anche nelle novelle la donna
spesso mostrata come sottomessa all'uomo, ad es. in quella di Griselda (X, 10). Qui
Calandrino giustifica la sua rabbia col dire che le donne fanno perdere le virt
magiche delle pietre, secondo un diffuso pregiudizio di origine popolare.
La badessa e le brache
(Decameron, IX, 2)
In un convento femminile della Lombardia una giovane monaca viene sorpresa con
il suo amante dalle consorelle, che corrono a chiamare la madre badessa per
denunciarla: la superiora per anche lei in compagnia di un prete nella sua cella,
per cui nella fretta indossa in testa le mutande dell'uomo al posto del velo e si reca
in capitolo a giudicare il "fallo" della suora colta in flagrante. Quest'ultima, accortasi
del bizzarro abbigliamento della badessa, ricorre a un'astuzia per volgere la
situazione a proprio vantaggio.
Interpretazione complessiva

Questa breve novella narrata da Elissa incentrata sul tema dell'eros e


dell'impossibilit di reprimere gli istinti sessuali in quanto naturali, cosa che
naturalmente vale anche per gli ecclesiastici: l'argomento affrontato in molti altri
racconti, tra cui quello di Masetto da Lamporecchio (III, 1) in cui un giovane che
lavora in un convento femminile si finge sordomuto e diventa l'amante di tutte le
monache, inclusa la badessa che gode dei suoi favori ( TESTO: Masetto da
Lamporecchio). Il discorso rientra nella pi ampia concezione dell'amore fisico che
Boccaccio esprime nel Decameron, decisamente moderna e anticipatrice di molti
aspetti che l'Umanesimo nel XV sec. far propri, e anche nella polemica antiecclesiastica che attraversa largamente il libro e accusa i religiosi di essere ipocriti e
obbligati a regole che in realt non possono rispettare.
Il tono della novella decisamente comico, cos come paradossale la scena in
cui la badessa, con le brache in testa di cui nessuno si accorge, accusa Isabetta di
colpe che evidentemente sono anche sue: la giovane la prima ad avvedersi della
cosa e ne approfitta per trarne vantaggio, inducendo la superiora a toccare i lacci
delle mutande che ha in testa e a comprendere l'imbarazzo cui sottoposta.
interessante la prontezza con cui Usimbalda, vistasi additata al pubblico ludibrio,
cambia improvvisamente tenore al proprio discorso e fa proprio il punto di vista
dell'autore, ammettendo che "impossibile... il potersi dagli stimoli della carne
difendere" e consentendo di fatto a Isabetta di tornare col proprio amante. Le altre
monache, che l'avevano denunciata pi per invidia che non per senso del dovere,
troveranno a loro volta il modo di soddisfare i loro desideri amorosi.
La vicenda compare nel nel film Decameron di Pier Paolo Pasolini, in cui narrata
da un cantastorie in un vicolo di Napoli durante la novella di Ciappelletto, intento a
borseggiare gli ignari passanti ( CINEMA: Decameron).
Griselda
(Decameron, X, 10)
Protagonista dell'ultima novella del "Decameron" narrata da Dioneo Griselda, una
giovane contadina che viene scelta dal marchese di Saluzzo come sua sposa e
sottoposta dal marito a una serie di crudelt immotivate, incluso farle credere di
aver ucciso i loro due figli che in realt vengono fatti allevare segretamente in
un'altra citt. Griselda conserva intatto il proprio amore per il marito, il quale, dopo
lunghi anni di sevizie, alla fine le svela di averla voluta mettere alla prova e di
amarla, ottenendo il perdono incondizionato della propria sposa. Dioneo afferma di
voler narrare non gi un gesto di cortesia secondo il tema della giornata, bens una
"matta bestialit", e l'interpretazione della novella assai problematica dato che
non chiaro quale messaggio voglia trasmettere l'autore attraverso di essa.
Interpretazione complessiva
La novella di chiusura del libro anche la pi indecifrabile, poich non chiaro
quale messaggio intenda affidare ad essa l'autore: la vicenda paradossale e
basata sull'incomprensibile crudelt di Gualtieri verso la propria moglie, la quale
sopporta in modo altrettanto incomprensibile tutte le "prove" e conserva intatto il

suo amore e la sua devozione per lui, fino ad essere riammessa a palazzo come sua
sposa e riconciliandosi col marito. Le interpretazioni critiche sono state assai varie,
poich ad alcuni parso che la novella presenti un esempio di santit e bont
(Griselda) contrapposto a quello di vizio e malignit con cui il libro si apriva
(Ciappelletto), quasi a chiudere idealmente un ciclo, mentre altri vi hanno visto una
critica dell'autore ai privilegi e alla prepotenza feudale rappresentata qui da
Gualtieri, che esercita nei confronti della moglie un sopruso sessuale che non era
raro tra i membri della nobilt terriera. Altrettanto ambiguo il valore della
protagonista femminile della novella, poich Griselda pu essere esaltata come
esempio di pazienza e sopportazione ( stata persino paragonata a Giobbe,
personaggio biblico sottoposto da Dio a prove incredibili) oppure vista come donna
sottomessa in tutto all'uomo, mentre non chiaro se Boccaccio faccia proprio il
punto di vista espresso da Dioneo alla fine della narrazione.
Il tono e lo stile della narrazione ricordano molto quello delle fiabe e dei racconti
popolari (che l'autore pu aver tratto dai fabliaux francesi), poich al centro vi il
matrimonio tra un nobile e una povera contadina, che ritiene tale onore quasi
insperato e si rivolge sempre al marito chiamandolo "signor mio"; tre sono le prove
cui Gualtieri sottopone Griselda (la sottrazione della prima figlia, poi del secondo,
infine il falso annullamento delle nozze), mentre la conclusione avviene grazie a un
riconoscimento (l'agnitio tipica dei romanzi tardo-antichi) attuato dallo stesso
Gualtieri, che svela alla moglie che i figli sono ancora vivi e che il loro matrimonio
non stato annullato, ammettendo che tutto stato fatto per mettere alla prova la
ragazza. La vicenda si svolge nell'arco di circa tredici anni e il "lieto fine" ricorda
quello di altre novelle del Decameron, bench qui esso appaia paradossale per la
crudelt di Gualtieri e l'atteggiamento passivo e rassegnato di Griselda.
Quale che sia il messaggio contenuto nella novella, chiaro che Boccaccio vuole
affermare che non sempre nobilt di sangue e di cuore coincidono, descrivendo
appunto Gualtieri come uomo crudele e "bestiale" e Griselda come fanciulla
signorile a dispetto delle sue umili origini (Dioneo dichiara che "anche nelle povere
case piovono dal cielo de divini spiriti, come nelle reali di quegli che sarien pi
degni di guardar porci che davere sopra uomini signoria"), tuttavia evidente che il
mondo dei nobili irrimediabilmente separato da quello dei contadini e che questi
sopportano passivamente tutte le angherie dei loro signori, senza osare ribellarsi.
Ci esprime la visione sociale di Boccaccio che al massimo poteva auspicare
l'integrazione tra ceto signorile e alta borghesia cittadina, aspetto che emerge
soprattutto nella novella di Federigo degli Alberighi, V, 9 ( VAI AL TESTO)

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