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RIBALTARE CLAUSEWITZ
La guerra in Michel Foucault e Deleuze-Guattari

di Massimiliano Guareschi

Sul piano geopolitico, la seconda met degli anni Settanta e linizio degli anni
Ottanta del secolo passato scorrono nel solco del declinante ordine bipolare,
fra insorgenze della Guerra fredda e segni, sempre pi evidenti, dellincapacit di uno dei due contendenti nel tenere il passo dellaltro. Per quanto riguarda lEuropa, la guerra sembra essere ormai consegnata, nelle sue forme
pi tipiche, alla dimensione della memoria, mentre il presente si colloca lungo lorizzonte di mutual destruction inscritto nella dinamica del conflitto nucleare, che priva la guerra dei suoi tratti di riconoscibilit pi tipici, inducendo a riflessioni che spesso abbandonano il terreno pi specificamente politico per configurarsi, assumendo una prospettiva quasi biologica, in termini di
sopravvivenza della specie. Certo, in quel periodo si parla molto di guerriglia, insurrezione, lotte di liberazione, ma in riferimento allaltrove degli spazi della decolonizzazione o di periferie nelle quali i vincoli dellordine bipolare appaiono meno stringenti. Questo, in sintesi, il contesto nel quale una
formula, ribaltare Clausewitz, con ovvio riferimento al noto adagio La
guerra la continuazione della politica con altri mezzi emerge dalla tematizzazione della guerra di autori che hanno fortemente rinnovato i quadri della
riflessione filosofica e politica del Novecento Michel Foucault da una parte, Gilles Deleuze e Flix Guattari dallaltra legati da evidenti affinit teoriche ma che in proposito, come si avr modo di vedere, manifesteranno significative divergenze di prospettiva.
La guerra delle razze
Nel 1976 in Francia sembra manifestarsi un particolare interesse nei confronti di Karl von Clausewitz. In quellanno, infatti, sono pubblicati i due vo52

lumi di Penser la guerre. Clausewitz, in cui Raymond Aron proietta sullo scenario dello scontro fra Stati uniti e Unione sovietica la concettualizzazione
della guerra proposta dal generale prussiano.1 Sempre nel 1976, Michel Foucault tiene al Collge de France un corso, dal titolo Bisogna difendere le societ, al cui centro si colloca lesplicita intenzione di ribaltare lassunto di
Karl von Clausewitz secondo cui La guerra la continuazione della politica
con altri mezzi.2 Punto di partenza del discorso foucaultiano lesigenza di
riproblematizzare, a partire da uninversione allo stesso tempo di scala e di
senso, del concetto di potere in rottura con i modelli sedimentati da secoli
di riflessione filosofico-giuridica.3 In tale prospettiva, la chiave di intelligibilit del potere deve essere cercata non sul piano della sovranit, della legge e
dellautorit ma al livello molecolare di una microfisica volta a sondare la
dinamica dei rapporti di forza che reggono tutte le relazioni caratterizzate da
qualche forma di asimmetria.
Nella sua ricerca, Foucault intende smarcarsi da una concezione economicistica delle relazioni di potere che, in termini del tutto diversi, caratterizzerebbe le prospettive sia liberali sia marxiste. In ambito liberale si procederebbe a unequiparazione delle dinamiche di potere alla circolazione dei beni
come mostra il frequente ricorso alla declinazione pubblicistica di concetti
giusprivatistici come il contratto, la delega, lalienazione. Diversamente, in
ambito marxista la sintassi del potere tenderebbe a ricalcarsi, per ratificarla e
stabilizzarla, sulla struttura dei rapporti di produzione. Nelle parole di Foucault: Nel primo caso abbiamo, se volete, un potere politico che troverebbe
nel processo dello scambio, nelleconomia della circolazione dei beni, il suo
modello formale. Nel secondo, un potere politico che avrebbe nelleconomia
la sua ragion dessere storica, il principio della sua forma concreta e del suo
funzionamento attuale.4 Per disegnare unalternativa ai paradigmi economicisti, che assuma quindi il potere come autonomo oggetto di indagine,
vengono quindi individuati due possibili strumenti analitici, la repressione e
la guerra:
A partire dal momento in cui si cerca di liberarsi dagli schemi economicisti per analizzare il potere, ci si trova immediatamente di fronte a due ipotesi forti: da una parte, il meccanismo del potere sarebbe la repressione [...] dallaltra, la base del rapporto di potere sarebbe lo scontro bellicoso delle forze [...]. Queste due ipotesi non sono inconciliabili, al contrario; sembrano anzi concatenarsi in modo abbastanza verosimile. Dopo tutto, la repressione non sarebbe ancora la conseguenza politica della
guerra, un po come loppressione, nella teoria classica del diritto politico, era labuso della sovranit nellordine giuridico?5

In Bisogna difendere la societ il ricorso alla coppia repressione-guerra come


1

R. Aron, Penser la guerre. Clausewitz, Gallimard, Paris 1976.


M. Foucault, Bisogna difendere la societ, Feltrinelli, Milano 1998.
3
M. Foucault, Sorvegliare e punire. La nascita della prigione, Einaudi, Torino 1976; Id., Microfisica del potere, Einaudi, Torino 1977.
4
M. Foucault, Bisogna difendere la societ, cit., p. 21.
5
Ivi, p. 23.
2

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criterio guida per un rinnovato approccio al potere procede non privo di perplessit. In particolare, si pu notare come Foucault in quegli stessi anni si fosse impegnato in una serrata critica al concetto di repressione, al suo carattere
eminentemente negativo, che avrebbe trovato una compiuta formulazione in
La volont di sapere, uscito proprio nel 1976.6 Per quanto riguarda la guerra si
potrebbe forse fare un discorso per alcuni versi analogo, in quanto il proposito
di Foucault di dedicarsi negli anni seguenti a studi di argomento bellico e militare, sembra essere stato in seguito lasciato cadere, per il prevalere di altri interessi o forse, pi probabilmente, per lentrata in crisi della prospettiva di ricerca da cui essi procedevano.7
Tornando a von Clausewitz, Foucault afferma che il potere la guerra,
la guerra continuata con altri mezzi.8 Il ribaltamento della formula del generale prussiano si presenta come un artificio retorico utile per sottolineare come ogni relazione di potere si fondi su un rapporto di forza storicamente stabilito attraverso la guerra. La politica, quindi, sarebbe chiamata non a riassorbire le fratture della guerra ma a perpetuare una condizione di squilibrio
e asimmetria ricodificando continuamente gli esiti delle armi nel linguaggio
delle consuetudini, delle leggi e delle istituzioni. in tale sequenza che si manifesta la correlazione fra guerra e repressione. Ci significa che allinterno
della pace civile ovvero in un sistema politico, le lotte politiche, gli scontri a
proposito del potere con il potere, per il potere, le modificazioni dei rapporti
di forza [...], non dovrebbero che essere interpretate come la prosecuzione
della guerra.9
Lutilizzo della guerra come operatore per analizzare la pace sociale evoca immediatamente il nome di Thomas Hobbes, che dalla guerra partiva per
dedurre la possibilit dellordine artificiale garantito dal Leviatano. Foucault
rigetta immediatamente una simile associazione in quanto a suo parere nella
costruzione hobbesiana la guerra, malgrado quanto comunemente si pensi,
non svolgerebbe alcun ruolo. Tale rilievo non rimanda semplicemente al carattere ipotetico del bellum omnium contra omnes, ma soprattutto al fatto
che nello stato di natura di cui parla Hobbes in realt non si giunge mai alle
vie di fatto, al dispiegamento materiale del conflitto. E in effetti nel Leviatano
non si parla di guerra quanto di stato di guerra per indicare il gioco di rappresentazioni incrociate, la diplomazia infinita, in forza delle quali ciascun
individuo, anche il pi forte, giunge alla conclusione di non essere in grado
di garantirsi la sicurezza dagli attacchi altrui:
Nella guerra primitiva di Hobbes non ci sono battaglie, non c sangue, non ci sono
cadaveri. Ci sono solo rappresentazioni, manifestazioni, segni, espressioni enfatiche,
astute, menzognere; ci sono inganni, volont travisate nel loro contrario, inquietudini mascherate da certezze [...]. Ma non siamo realmente in guerra. In ultima analisi,

M. Foucault, La volont di sapere, Feltrinelli, Milano 1988, pp. 19-48.


M. Foucault, Bisogna difendere la societ, cit., p. 25. Cfr. Id., Scurit, territoire, population, Gallimard- Seuil, Paris 2004; Id., Naissance de la biopolitique, Gallimard-Seuil, Paris 2004.
8
Ivi, p. 22.
9
Ivi, p. 23.
7

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ci significa che lo stato di guerra secondo Hobbes non pu essere caratterizzato come una stato di ferinit bestiale in cui gli individui si divorerebbero fra loro.10

Per Foucault, quindi, Hobbes, lungi dal presentarsi come il teorico dei rapporti fra guerra e costituzione del potere politico, appare come un autore
determinato a eliminare la guerra in quanto realt storica [...] dalla genesi
della sovranit.11 Ma quale senso attribuire a un simile tentativo volto a
neutralizzare la guerra allinterno del discorso inerente lobbligazione politica? Per rispondere alla domanda a parere di Foucault indispensabile stabilire contro chi abbia pensato Hobbes. Il discorso, a questo punto, non
pu che spostarsi sulle guerre di religione, su Beemoth, la bestia marina
contro la quale viene invocato il mostro terrestre Leviatano. In tale contesto, Foucault individua la circolazione di un discorso storico centrato sulla
guerra e linvasione disponibile a una pluralit di usi e appropriazioni, funzionale a una duplice contestazione, aristocratica e popolare, del potere regio. Si parla di anglo-sassoni e dellinvasione normanna che avrebbe insediato sullisola un nuovo sovrano, Guglielmo il conquistatore, e una nuova
aristocrazia proveniente da oltremanica. La stessa narrazione, declinata in
termini differenti, pu funzionare come discorso sia di legittimazione dellassolutismo regio in base al diritto di conquista, sia di svelamento dellorigine usurpatoria dellordine monarchico e aristocratico, con conseguente
richiamo al diritto di resistenza dei discendenti degli oppressi sassoni.
contro un simile uso politico della storia che per Foucault opererebbe il
tentativo hobbesiano di neutralizzare le guerre reali, ricorrendo allantidoto
concettuale dello stato di guerra, per delineare una condizione caratterizzata dallassenza di vincitori e vinti, dominanti e dominati, in quanto la subordinazione alla terziet del sovrano, fondata sulla paura, svuota e scongiura ogni opposizione binaria allinterno del corpo politico. Nello stato di
natura, qualsiasi rapporto di forza ha un carattere contingente, instabile e
reversibile. Di conseguenza nessun uomo pu essere certo della propria sicurezza, nemmeno il pi forte dal punto di vista fisico, in quanto un rivale
potrebbe sempre prevalere, magari cogliendolo di sorpresa o servendosi
dellinganno. Nel modello elaborato da Hobbes, limpossibilit di concludere la guerra di tutti contro tutti, di cristallizzare rapporti di forza che garantiscano una condizione di sicurezza, spingerebbe i singoli a rinunciare al
loro diritto assoluto su tutto. In tal senso, le diverse modalit di formazione
della sovranit presentate nel Leviatano, istituzione e acquisizione, vengono
riportate a una comune matrice, quella della volont di sottomettersi a un
potere superiore per avere salva la vita, che trova uneloquente esemplificazione nella soggezione dellinfante ai genitori. Lobbligazione politica, quindi, per Hobbes deve essere svuotata di qualsiasi contenuto storico ritenuto terreno ambiguo e ambivalente, in grado di supportare sia la legittimazione delle istanze di potere sia le rivendicazioni antagoniste di gruppi e fazioni
10
11

Ivi, p. 82.
Ivi, p. 86.

55

per essere fondata sulla funzionalit dei meccanismi artificiali preposti a


garantire lo scambio obbedienza-protezione.
Per Foucault lindividuazione dellobiettivo polemico di Hobbes coincide con la sottolineatura di una linea, denominata storico-politica, che inizia
ad affermarsi a partire dal XVII secolo come alternativa ai modelli filosoficogiuridici della sovranit. In essa il tema del conflitto fra le razze svolge un
ruolo centrale e contribuisce a stabilire una visione tensiva, dicotomica e
conflittuale della societ, vista come attraversata in permanenza da un irriducibile conflitto fra segmenti della popolazione che trova origine dalla frattura
indotta dalla conquista, dallasimmetria introdotta dallesito di una battaglia
storicamente situata. In tale ottica, si potrebbe dire, la guerra non mai finita, ma continua sotto il sembiante della pace, come relazione sociale permanente: la pace come continuazione della guerra con altri mezzi.
In Bisogna difendere la societ Foucault segue i passaggi e le metamorfosi del discorso storico-politico nello spazio e nel tempo. Lanalisi si sposta cos
dallInghilterra alla Francia, dove al centro della storia nazionale si collocano i
conflitti e le convergenze fra galli, romani e germani. Un livello compiuto di elaborazione del discorso della guerra delle razze sar proposto nel XVIII secolo
da un autore su cui Foucault si sofferma a lungo, Henry de Boulainvilliers, capofila dellopposizione nobiliare allassolutismo borbonico, la cui problematica si configura nei seguenti termini: come ha potuto laristocrazia franca vittoriosa perdere il potere e i privilegi derivanti dalla conquista stretta nella
morsa dellalleanza fra assolutismo regio e borghesia gallo-romana? Con
Sieys emerge unulteriore articolazione del discorso storico-sociale, in una
prospettiva tuttavia che vede il terzo stato ormai coincidere con la nazione e la
dualit in procinto di risolversi attraverso la rimozione dei residui aristocratici: Perch non rimandare nelle foreste della Franconia tutte quelle famiglie
che conservano la folle pretesa di discendere dalla razza dei conquistatori e di
essersi insediati in forza di diritti di conquista.12 Una simile prospettiva trover quindi un pi esteso sviluppo in autori ottocenteschi quali Guizot e i fratelli Thierry, che a partire dallunificazione postrivoluzionaria della nazione
si proporranno di ricostruire, alla luce delle rinnovate esigenze del metodo
storico, la guerra delle razze intorno alla quale si era articolata per secoli la
storia della Francia. La reazione sgomenta di Augustin Thierry ai moti del
1848, che segnavano lemergere di quella che ai suoi occhi era uninconcepibile frattura nel corpo sociale, mostra come per lo storico la chiusura del ciclo
rivoluzionario si dovesse tradurre in una completa espulsione della guerra
dalla trama di relazioni della nazione. Con i fratelli Thierry, inoltre, il discorso
storico-sociale passa per una profonda rielaborazione che condurr a una vera e propria biforcazione. Con Augustin Thierry la guerra delle razze tende a
perdere i contenuti pi propriamente etnici per configurarsi in termini di
conflitto di classe, mentre il contrario avviene con il fratello Amde, il cui discorso si incammina verso una prospettiva modernamente razzista.
Sintetizzando, per Foucault le analisi centrate sulla guerra della razze si
12

56

E.-J. Siyes, Che cosa il terzo stato?, Editori riuniti, Roma 1989, pp. 10-11.

presentano come opzione teorica alternativa rispetto alla tradizione filosofico-giuridica centrata sulla sovranit, la rappresentanza e il contratto. Le specificit introdotte dal discorso storico-sociale possono essere riassunte come
segue. In primo luogo, la guerra di cui si parla non ipotetica ma storica, un
evento collocato precisamente allinterno delle vicende di un determinato
paese, i cui effetti si protraggono nel tempo definendo il terreno di disputa
fra contrapposti schieramenti. Nella filigrana della pace apparente, la guerra
costituisce quindi il principio di intelligibilit delle relazioni sociali e delle dinamiche istituzionali. Un ulteriore elemento chiave del discorso storico-sociale rappresentato dalla esplicita parzialit del soggetto che lo pronuncia:
Chi racconta la storia, chi ritrova la memoria e scongiura loblio [...] necessariamente situato da una parte o dallaltra; nella battaglia, ha degli avversari, si batte per ottenere una specifica vittoria.13
Ai modelli filosofico-giuridici che ambiscono alla neutralit e alluniversalit Foucault contrappone i saperi situati e belligeranti del discorso storicosociale. Nel progetto genealogico foucaultiano, incentrato sulla sottolineatura del nesso saperi-poteri, la guerra viene presentata come il luogo di gestazione di quei discorsi che assumono la loro internit ai rapporti di forza come
criterio di verit. Ne consegue unapologia dello storicismo, individuato come stile di pensiero che anzich esorcizzare il conflitto assume la guerra come elemento fondamentale dei processi storici e delle dinamiche sociali. Per
Foucault si potrebbe facilmente mostrare come, dal XIX secolo in avanti,
tutte le grandi filosofie siano state, in un modo o nellaltro, antistoriciste. Si
potrebbe anche mostrare come tutte le scienze umane si fondino [...] sul fatto di essere antistoriciste.14 La stessa storiografia, da questo punto di vista,
nei ricorrenti richiami a superare la superficie dellhistoire bataille per attingere il livello delle strutture economiche e sociali testimonierebbe della tendenza alla rimozione della guerra che caratterizza le scienze sociali. Diversamente lo storicismo, cos come definito da Foucault, afferma lineludibile legame tra sapere storico e pratica della guerra, muovendosi al di fuori di unidea che permeerebbe da millenni il sapere occidentale e secondo la quale il
sapere e la verit non possono non appartenere al registro dellordine e della
pace, e che non si possono mai ritrovare dalla parte della violenza, del disordine e della guerra.15
Nel discorso sulla guerra delle razze sviluppato in Bisogna difendere la
societ possono essere colti punti di contatto e incroci con gli itinerari di ricerca di altri autori, per esempio con il Frederick Meinecke di Le origini dello storicismo, ma soprattutto con Marx, che a pi riprese ha indicato in Augustin Thierry e nella storiografia francese incentrata sulla guerra delle razze
il modello agonale sul quale avrebbe elaborato il concetto di lotta di classe.16 A tal proposito, si pu rilevare come il confronto con il marxismo rap13

M. Foucault, Bisogna difendere la societ, cit., p. 50.


Ivi, p. 151. Cfr. M. Foucault, Le parole e le cose, Rizzoli, Milano 1998, pp. 393-399.
15
M. Foucault, Bisogna difendere la societ, cit., p. 152.
16
K. Marx, F. Engels, Opere, 39, Lettere 1852-1855, Editori riuniti, Roma 1972, pp. 399-400;
532-537.
14

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presenti forse il principale sottotesto del corso. Del resto a pi riprese, in testi minori collocabili proprio intorno al 1976, Foucault afferma come la tradizione marxista abbia approcciato il concetto di lotta di classe privilegiando la classe e lasciando cadere le questioni legate alla lotta:
A colpirmi, nella maggior parte dei testi se non di Marx quantomeno dei marxisti il
fatto che, con leccezione forse di Trotskij, viene quasi sempre passato sotto silenzio
ci che si intende per lotta quando si parla di lotta di classe. Che significa lotta? Conflitto dialettico? Scontro politico per il potere? Battaglia economica? Guerra? La societ civile attraversata dalla lotta di classe non forse la guerra continuata con altri
mezzi?17

A interessare Foucault sono i punti di vista prospettici, collocati nelle mischie e non sulle alture da cui si suppone di avere una visione superiore, neutra e imparziale, della battaglia. La dialettica, da questo punto di vista, viene
esplicitamente individuata non come una concettualizzazione filosofica del
discorso storico-sociale ma nei termini di una sua colonizzazione e neutralizzazione allinterno della logica della contraddizione e della ricomposizione:
La dialettica hegeliana, e con essa penso tutte quelle che lhanno seguita,
deve essere compresa [...] come la colonizzazione e la pacificazione autoritaria da parte della filosofia e del diritto, di un discorso filosofico e politico che
stato un tempo una constatazione, una proclamazione e una pratica della
guerra sociale.18 Una ricerca che a prima vista pu apparire come unesercitazione erudita su negletti autori del passato a una pi attenta considerazione
rivela quindi unintentio politica direttamente calata nellattualit. La stessa
polemica non tanto con Marx quanto con il marxismo, nelle sue versioni pi
dogmaticamente dialettiche, rimanda al contesto politico-ideologico degli
anni Settanta, e alle vicende e ai dibattiti che in quel periodo coinvolgono il
Foucault militante, dalla fondazione dellUniversit di Vincennes al Groupe
dinformation sur le prisons. Ricapitolando, quindi, si pu osservare come la
guerra in Foucault sia chiamata in causa per due ordini di problemi strettamente correlati. Da una parte come operatore analitico, come ipotesi concettuale, in grado di supportare unanalisi del potere alternativa alle concezioni
filosofico-giuridiche centrate sulla sovranit e il contratto; dallaltra come
tratto distintivo di una tipologia di discorso calato nelle lotte, da recuperare
in chiave attualizzante, che rifiuta ogni postura universale per affermare la
propria disposizione partigiana.
La presa di distanza da Hobbes, tuttavia, sembra avvenire sulla base della condivisione di un terreno comune, in base al quale la guerra viene utilizzata in forme differenti per sondare lordine interno, la pace civile perimetrata dalle frontiere del regno. La riflessione hobbesiana sulla guerra, come noto, si concentra soprattutto sulla questione della costruzione dellobbligazione politica dei sudditi nei confronti del sovrano. Lo schema proposto per
quanto concerne il commonwealth daltra parte non estendibile, nonostan17
18

58

M. Foucault, Dits et crits, 3, Paris, Gallimard 1994, pp. 310-311. Cfr. Ivi, p. 268.
M. Foucault, Bisogna difendere la societ, cit., p. 56.

te le apparenti analogie, allarena internazionale. Assolutamente diverso


infatti lo stato di natura che vige nei rapporti fra i regni, dove le diversit
ponderali che intercorrono fra i vari soggetti si caratterizzano per la possibilit di stabilire rapporti reciproci improntati alla prevedibilit: il piccolo stato non ha alcuna possibilit, anche servendosi dellinganno o di qualche bizzarro escamotage, di prevalere su una formazione statuale di dimensioni e potenza maggiori. Ci, peraltro, spiega come lo stato di natura, nellarena internazionale, possa condurre a una forma di ordine, attraverso la stabilizzazione
di un equilibrio non contingente, prescindendo dal ricorso allartificio del
Leviatano per affidarsi alla cristallizzazione naturale di un bilanciamento
di forze. Foucault, da parte sua, valorizza la guerra come forma limite del
conflitto, come criterio ermeneutico che consente di problematizzare la pacificazione dello spazio allinterno delle proprie frontiere rivendicata dallo stato. Da qui la valorizzazione di quelle modalit di discorso che, di contro alle
rappresentazioni unitarie del regno, colgono nella filigrana della pace sociale
il perdurare di una guerra mai conclusa. Del resto, a parere di Foucault il rovesciamento della massima secondo cui La guerra la continuazione della
politica con altri mezzi altro non farebbe che ripristinare un assunto che lo
stesso generale prussiano intendeva ribaltare affermando la piena statalizzazione della guerra. In tale contesto, la politica di cui la guerra pu essere prosecuzione solo quella estera. Il processo a cui si fa riferimento quello che
aveva provveduto a escludere la guerra dal territorio statuale per proiettarla
al di fuori delle frontiere. In sintesi, il monopolio delluso legittimo della forza allinterno del territorio di cui parla Weber, che necessariamente passa per
la cancellazione dal corpo sociale, dal rapporto fra uomo e uomo, tra gruppo e gruppo, di ci che si potrebbe chiamare guerra quotidiana e che veniva
giustappunto chiamata guerra privata.19 nei confronti della neutralizzazione della dimensione politica interna, quindi, che reagisce il discorso foucaultiano. Diversamente, alla guerra interstatale, come contrapposizione degli stati nellagone internazionale, o alla sua riformulazione a partire dallemergere di differenti forme di organizzazione del potere, non viene riservata
particolare attenzione.
Al di l delle differenze, Hobbes e Foucault paiono condividere il medesimo posizionamento allinterno della spazialit politica dello stato moderno, in fase aurorale luno, crepuscolare laltro. Del resto, anche lanalisi della
societ disciplinare, cos come su un altro registro dei regimi biopolitici, si
colloca, proprio per la dimensione storica che assume, allinterno delle logiche di quei contenitori di potere confinato, per usare lespressione di
Anthony Giddens, che stabiliscono una chiara demarcazione fra il dentro
e il fuori, linterno della polizia e lesterno della guerra. La riflessione sulla
guerra di Deleuze e Guattari, diversamente, come si avr modo di vedere,
procede lungo altre linee.

19

Ivi, p. 47.

59

Macchina da guerra e apparato di cattura


Delirare la storia, addirittura la storia universale, questo il progetto che da
Antiedipo arriva a Mille piani.20 Il discorso di Deleuze e Guattari si sviluppa
lungo scansioni temporali assai ampie, allinterno delle quali lordine nazionale-internazionale in cui resta confinata lanalisi foucaultiana costituisce un
segmento fra gli altri. I luoghi e i tempi in cui viene ambientato il rovesciamento della formula di Clausewitz, di conseguenza, sono assai diversi. In scena un canovaccio storico-universale che ha due protagonisti principali,
lapparato di cattura (o stato) e la macchina da guerra nomade, due differenti
concatenamenti colti nellintrinseca instabilit delle loro relazioni.
In Mille piani Deleuze e Guattari approcciano la guerra a partire da una
prospettiva non tanto storica quanto mitica o mitologica. La loro guida
Georges Dumzil, per il quale la sovranit politica indoeuropea avrebbe due
poli, magico e giuridico: rex e flamen, raj e brahman, Romolo e Numa, Odino
Tyr, Varuna e Mitra. Da tale schema sarebbe esclusa la guerra, che si aggiunge come terzo polo, venendo da altrove: Tullo Ostilio, Thor e Indra. Per Deleuze e Guattari la macchina da guerra, composizione di uomini, armi e animali, invenzione dei nomadi. Lo stato in quanto tale, non possiede fra le
proprie funzioni la guerra, che deve sottrarre ai nomadi, catturando la loro
macchina e trasformandola in qualcosa di diverso: lesercito, la funzione militare. I grandi regni che sembrano emergere quasi dal nulla agli albori della
storia, in Egitto, Mesopotamia, Creta o India, a un certo punto sono travolti
da orde armate di carro da combattimento e arco composto che sembrano
provenire dal nulla hyksos, hurriti, cassiti, ittiti, ariani, micenei, sciti rispetto alle quali si rivelano impotenti. Salvo poi imparare la lezione, assimilando le innovazioni dei nomadi per dotarsi di un potenziale militare che
permetter in molti casi agli stati di prendersi notevoli rivincite. Tuttavia, nel
corso dei secoli, dalle steppe e dai deserti si assister a periodiche irruzioni
oltre il limes degli stanziali di successive incarnazioni della macchina da
guerra nomade: gli unni, gli arabi, i turchi, i manch e soprattutto i mongoli,
lorda per eccellenza.
Notevoli sono le coincidenze fra il quadro tracciato dai due filosofi francesi e le posizioni espresse da un accreditato storico militare come John
Keegan: Intorno alla met del II millennio a.C. i popoli che avevano imparato le tecniche di costruzione e uso del carro e dellarco composto scoprirono [...] che contro le tecniche da loro ideate [...] i difensori delle terre colonizzate non erano in grado di opporre resistenza. [...] I popoli giunti sui
carri insegnarono agli assiri e agli egizi sia le tecniche sia lethos della guerra
imperialista ed entrambe le potenze [...] ne adottarono lidea.21 Per Deleuze e Guattari la cattura della macchina da guerra e la sua istituzionalizzazione militare, tuttavia, non procede in modo lineare assumendo una configu20
G. Deleuze, F. Guattari, LAntiedipo. Capitalismo e schizofrenia, Einaudi, Torino 1975; Id., Mille
piani. Capitalismo e schizofrenia, CooperCastelvecchi, Roma 2003.
21
J. Keegan, La grande storia della guerra. Dalla preistoria ai nostri giorni, Mondadori, Milano 1994.

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razione compiuta e definitiva ma si presenta come un processo sempre aperto, reversibile, attraversato da una continua tensione. Ci dipenderebbe dal
fatto che la macchina da guerra e lapparato di cattura dipendono da logiche diverse, tanto che la loro composizione appare intrinsecamente problematica e instabile.
La macchina da guerra invenzione dei nomadi, il loro modo di occupare lo spazio desertico e non ha necessariamente a che fare con la guerra. O meglio, si correla in termini esclusivi alla guerra solo quando viene appropriata
da un apparato di stato. La macchina da guerra non quindi definita dalla
guerra, che incontra nel momento in cui il suo moto entra in collisione con le
striature che i sedentari hanno posto sul suo cammino, ma dalla modalit di
distribuzione e composizione dei nomadi nello spazio liscio del deserto:
La guerra ne deriva necessariamente perch la macchina da guerra si scontra con gli
stati e le citt, ossia con le forze (di striatura) che si oppongono alloggetto positivo:
da quel momento la macchina da guerra ha per nemico lo stato, la citt, il fenomeno
statale urbano [...]. allora che diventa guerra [...]. Lavventura di Attila o Gengis
Khan mostra bene questa successione delloggetto positivo e negativo.22

Per cogliere il senso del discorso sviluppato in proposito da Deleuze e Guattari pu risultare utile richiamare lattenzione su un noto passaggio del Vom
Kriege in cui Clausewitz sottolinea, con rigida consequenzialit, come la decisione della guerra spetti al difensore e non allattaccante, in quanto questultimo sarebbe ben lieto di non incontrare alcuna resistenza nellincedere
verso la realizzazione dei suoi scopi. Con le sue parole: Se cerchiamo filosoficamente lorigine della guerra, non nellattacco che vediamo sbocciarne il
concetto, poich esso non ha per scopo la lotta [...]; ma ha invece origine nella difesa, poich questa ha per scopo assoluto la lotta, essendo il respingere
lattacco e il combattere una cosa unica.23
La macchina da guerra per Deleuze e Guattari nasce come aggregazione
numerica, in rottura con lorganizzazione a stirpi e lignaggi, nella steppa o
nel deserto. il suo aspetto aritmetico:
Ovunque la macchina da guerra presenta un curioso processo di replica o sdoppiamento aritmetico, come se operasse su due serie asimmetriche e diseguali. Da una
parte infatti i lignaggi o le trib sono organizzati e ricomposti numericamente; la
composizione numerica si sovrappone ai lignaggi per fare prevalere il nuovo principio. Dallaltra, nello stesso tempo, si estraggono uomini da ogni lignaggio per formare un corpo numerico speciale. Come se la nuova composizione numerica del corpo
lignaggio non potesse avere successo senza la costruzione di un corpo proprio, a sua
volta numerico. [...] Il corpo sociale non pu essere numerato senza che il numero
formi un corpo speciale.24

Gengis Khan, nel predisporre la sua formidabile orda procede a organizzare


numericamente lignaggi e guerrieri sottomettendoli a cifre e capi (decine e
22

G. Deleuze, F. Guattari, Mille piani. Capitalismo e schizofrenia, cit., p. 572.


K. von Clausewitz, Della guerra, Mondadori, Milano 1970, p. 473.
24
Ivi, p. 542-543.
23

61

decurioni, centinaia e centurioni, migliaia e chiliarchi) estraendo per da ogni lignaggio aritmetizzato un piccolo numero di uomini che costituiranno la
sua guardia personale.25 Lo stesso aveva fatto Mos che, dopo avere censito
e organizzato numericamente le trib, promulga una legge secondo la quale
i primogeniti da quel momento appartenevano di diritto a Yahv; e poich
naturalmente erano troppo piccoli, il loro ruolo nel Numero sar trasferito a
una trib speciale, quella dei leviti, che fornir il corpo del Numero o la guardia speciale allarca.26 Deleuze e Guattari individuano in tale sistema di ripartizione unopzione strategica volta non solo a disattivare laristocrazia dei
lignaggi ma anche e soprattutto a impedire la cristallizzazione di un apparato
di stato. Esplicito in proposito il riferimento alle tesi dellantropologo Pierre Clastres, secondo il quale le cosiddette societ primitive lungi dallignorare lo stato, sarebbero caratterizzate dalla concreta operativit di dispositivi, primo fra tutti la guerra, volti a scongiurarne la formazione.27 Cos come
per Marcel Mauss il potlach rappresentava un meccanismo volto a impedire
la concentrazione della ricchezza, allo stesso modo la guerra contribuirebbe
in maniera decisiva, nei contesti primitivi, a mantenere la dispersione e la
segmentariet dei gruppi coinvolgendo il guerriero in un processo di accumulazione di gesta e imprese che lo conduce alla solitudine e a una morte
prestigiosa ma non allacquisizione di potere.28 Secondo Deleuze e Guattari
un analogo discorso vale per i nomadi che devono essere considerati non un
semplice passaggio, arretrato, nella linea evolutiva delle societ umane ma
una specifica modalit di distribuzione degli uomini, delle forze, delle risorse
e dei movimenti che attraversa, con declinazioni diverse, la storia universale.
E cos la macchina da guerra appare rivolta sia contro gli stati reali che incontra sul suo cammino sia contro gli stati potenziali al suo interno, di cui scongiura il consolidamento.
I meccanismi dellorganizzazione numerica e dellestrazione di un corpo
speciale caratterizzano anche, con finalit e obiettivi ovviamente diversi, listituzione militare che per Deleuze e Guattari rappresenterebbe il tentativo
sempre instabile operato dallo stato di captare la macchina da guerra. Il ricorso degli eserciti allorganizzazione decimale cosa nota. Diversamente,
opportuno notare come in effetti il ricorso a corpi speciali incentrati su un elemento estraneo schiavi, stranieri, infedeli rappresenti una costante
dellistituzione militare, come mostrano i casi della guardia islamica di Federico II, dei giannizzeri, dei mamelucchi oppure, per venire a tempi pi recenti, della Legione straniera o dei gurka dellesercito britannico:
Il corpo speciale e, soprattutto, lo schiavo-infedele-straniero colui che diviene soldato e credente, pur restando deterritorializzato rispetto ai lignaggi e allo stato [...].
Si tratta di uninvenzione della macchina da guerra, che gli stati continueranno a uti25

Ivi, p. 543.
Ibid.
27
P. Clastres, La societ contro lo stato. Ricerche di antropologia politica, ombre corte, Verona 2003.
28
M. Mauss, Saggio sul dono. Forme e motivo dello scambio nelle societ arcaiche, Einaudi, Torino,
2002; P. Clastres, Archologie de la violence, in Libre, 1, 1977; Id., Malheur du guerrier sauvage, in Libre, 2, 1977.
26

62

lizzare, di adeguare ai loro fini, al punto da renderla irriconoscibile o di ripresentarla


sotto forma burocratica di stato maggiore o in forma tecnocratica di corpi molto particolari o nello spirito di corpo che servono lo stato almeno quanto gli resistono.29

Si spesso parlato dei limiti politici dei nomadi, abili e scaltri come guerrieri
ma incapaci di mettere in forma gli esiti delle loro imprese belliche. Per
Deleuze e Guattari la questione pi complessa. La macchina da guerra, infatti, facendosi stato negherebbe se stessa, mutando di natura. Di conseguenza lalternativa che si impone sar la seguente: restare macchina da guerra,
percorrendo lo spazio imperiale come fosse un deserto (Gengis Khan) o trasformarsi in esercito o apparato di stato volgendosi a quel punto contro il pericolo nomade che preme alle frontiere (Tamerlano). Tra queste due polarit
estreme di colloca una variet di stati misti, in cui a diversi gradi i nomadi si
sedentarizzano e i sedentari si nomadizzano, le macchine da guerra si disciplinano come funzione militare e gli eserciti sfuggono al controllo degli apparati
di stato per disegnare traiettorie che rimandano alla macchina da guerra.
Trasformandosi in funzione militare, la macchina da guerra viene sottoposta a un processo di disciplinamento, sul quale si sofferma anche Foucault
ovviamente assumendo una determinazione temporale pi definita, la transizione allet moderna quando individua proprio nellesercito uno dei luoghi privilegiati di formazione del potere disciplinare.30 Ritornando al delirio
storico-universale di Deleuze e Guattari:
Non si pu certo dire che la disciplina sia la caratteristica della macchina da guerra:
la disciplina diviene il carattere indispensabile degli eserciti quando lo stato se ne appropria; ma la macchina da guerra risponde ad altre regole [...] che animano unindisciplina fondamentale del guerriero, una continua messa in discussione delle gerarchie, un ricatto perpetuo allabbandono e al tradimento, un senso dellonore spiccatamente suscettibile che contrasta con la formazione di stato.31

Heinrich von Kleist appare cos come il cantore per eccellenza di unindisciplina sempre emergente della macchina da guerra e della sua irriducibilit alla cattura da parte dellapparato di stato. Arminio, riluttante a qualsiasi alleanza, che scaglia la sua orda barbarica contro limpero romano; il principe
di Homburg condannato per avere disobbedito agli ordini dei superiori, pur
avendo in tal modo conseguito una vittoria decisiva; Michel Kolhaas determinato a seguire fino alle pi estreme conseguenze, scontrandosi con le pi
alte autorit terrene, la linea germanica della faida; Pentesilea, regina della
muta guerriera delle amazzoni che scegliendo Achille viola la legge del suo
popolo che prescrive di attaccare il primo nemico che appare alla vista. Fra il
guerriero e il polo della sovranit la tensione appare costante: I discendenti
di Eracle, Achille e poi Aiace, hanno ancora forze sufficienti per affermare la
loro indipendenza di fronte ad Agamennone, luomo del vecchio stato, ma
non possono nulla contro Ulisse, luomo dello stato moderno nascente, il pri29

Ivi, p. 545.
M. Foucault, Sorvegliare e punire. Nascita della prigione, cit.
31
G. Deleuze, F. Guattari, Mille piani. Capitalismo e schizofrenia, cit., pp. 505-506.
30

63

mo uomo di stato moderno.32 E sar proprio a Ulisse che spetteranno in eredit le armi di Achille, e non al guerriero Aiace, che sconter con la follia il
torto fatto alla dea.
Senso dellonore, spirito di corpo, codici particolari, una crudelt irriducibile nelle sue modalit alla violenza di stato: queste per Deleuze e Guattari
sono alcune delle manifestazioni dello scarto che rende intrinsecamente problematica listituzionalizzazione del guerriero nella funzione militare. Da ci
deriva la diffidenza che gli stati hanno da sempre manifestato nei confronti
dei propri eserciti, supporto necessario delle politiche di difesa ed espansione ma anche presenza inquietante il cui disciplinamento appare sempre precario e aperto a possibili contraccolpi. Lincorporazione della funzione bellica, che pu assumere forme diverse (ricorso ai mercenari o milizia territoriale, coscrizione o esercito professionale) procede, infatti, da una specifica operazione che snatura la macchina da guerra volta originariamente a occupare lo spazio desertico e a incontrare il combattimento solo accidentalmente a contatto con le striature che arrestano il suo corso affidandole la guerra
come obiettivo esclusivo. Sintetizzando: Quando lo stato si appropria della
macchina da guerra, questa tende a prendere la guerra come obiettivo diretto e primario, come oggetto analitico (e la guerra tende ad assumere come
obiettivo la battaglia). Simultaneamente lapparato di stato si appropria della
macchina da guerra e la macchina da guerra prende la guerra per obiettivo e
la guerra si subordina agli scopi dello stato.33 Nel lessico di von Clausewitz
si tratta della subordinazione della guerra alla politica, che stabilisce gli scopi
affidandone il conseguimento allazione militare. A questo punto viene chiamato in causa uno dei pi controversi temi del pensiero del generale prussiano, quello relativo allo statuto della guerra assoluta, latto di forza condotto
sino al raggiungimento dellobiettivo senza soluzione di continuit che secondo il rigore filosofico dovrebbe caratterizzare lattivit bellica.34 Sulla
questione la letteratura critica si ampiamente esercitata a partire dal carattere non sempre coerente delle osservazioni avanzate dallo stesso von Clausewitz che oscilla fra il configurare la guerra assoluta come ipotesi logico-teorica, la cui realizzazione pratica sarebbe impedita dal peso delle contingenze
materiali e politiche, o come un caso limite passibile di una concreta incarnazione, come mostrerebbero i riferimenti allavventura napoleonica.35 Deleuze e Guattari, da parte loro, considerano il problema alla luce della differenza strutturale fra la macchina da guerra, con il suo modo di percorrere lo spazio liscio, e il disciplinamento dellattivit bellica agli scopi politici operato
dallo stato:
La distinzione fra guerra assoluta come idea e le guerre reali si rivela fondamentale,
specie se considerata alla luce di un criterio diverso da quello proposto da Clau32

Ivi, p. 501.
Ivi, p. 573.
34
K. von Clausewitz, Della guerra, cit., pp. 774-775.
35
R. Rusconi, Clausewitz il prussiano. La politica della guerra nellequilibrio europeo, Einaudi, Torino 1999,
pp. 278-300.
33

64

sewitz. Lidea pura sarebbe quella non di uneliminazione astratta dellavversario,


ma di una macchina da guerra che appunto non ha la guerra come obiettivo e con essa mantiene soltanto un rapporto sintetico, potenziale o supplementare. Di conseguenza la macchina da guerra nomade non ci sembra, come in Clausewitz, un caso di
guerra reale fra gli altri, ma al contrario il contenuto adeguato allidea.36

A partire da ci, la massima clausewitziana per eccellenza, secondo cui la


guerra la continuazione della politica con altri mezzi, sarebbe da leggersi
non tanto come una constatazione quanto come assunto normativo, in regime di guerra reale, circa la modalit di incorporazione della macchina da
guerra nellapparato di stato, con la politica che predispone il quadro allinterno del quale si svolge lattivit militare. Da un simile punto di vista, si potrebbe aggiungere, significativo come lo stesso Clausewitz individuasse nella guerra di popolo promossa da Napoleone, con lesercito che assumeva i
tratti di una macchina in grado di autoalimentarsi sulla base del carburante
del nazionalismo,37 lelemento di rottura che sembra portare a concreta realizzazione lo schema logico-deduttivo della guerra assoluta.38 La guerra,
quindi, rappresenterebbe un flusso di cui gli stati si appropriano solo parzialmente, subordinandone lo scopo, labbattimento totale dellavversario, agli scopi della loro progettualit politica.
A parere di Deleuze e Guattari, tuttavia quando loggetto della macchina
da guerra appropriata diviene la guerra totale, [...] scopo e obiettivo entrano
in nuovi rapporti che possono arrivare alla contraddizione.39 Da ci deriverebbe lambivalenza dellautore di Vom Krieg a proposito dello statuto della
guerra assoluta e della sua possibile realizzazione nelle guerre napoleoniche:
Di qui lesitazione di Clausewitz che in alcuni passaggi afferma che la guerra totale
resta condizionata dallo scopo politico degli stati, mentre in altri sottolinea come essa tenda a realizzare lidea della guerra incondizionata. Infatti lobiettivo rimane essenzialmente politico e determinato come tale dallo stato ma lo scopo stesso divenuto illimitato. Si direbbe che lappropriazione si sia rovesciata e che gli stati tendano a ricostruire unimmensa macchina da guerra di cui sono ormai soltanto le parti,
opponibili e giustapposte.40

E cos lo stato, dopo essersi impadronito della macchina da guerra, si troverebbe a subire una sorta di effetto di ritorno che lo vedrebbe sottomettersi alloggetto di cui si appropriato che eccedendo la funzione che gli stata assegnata assume la figura della guerra totale, vista non semplicemente come
guerra di annientamento ma come conflitto che trascende le determinazioni,
e le regole del gioco, militari per coinvolgere lintera societ. Per individuare
i passaggi decisivi che scandiscono lappropriazione dello stato da parte della
macchina da guerra lattenzione di Deleuze e Guattari si rivolge ai fascismi
storici e alla Guerra fredda. Nel caso dei fascismi, si sottolinea come la guer36

G. Deleuze, F. Guattari, Mille piani. Capitalismo e schizofrenia, cit., p. 576.


M. DeLanda, La guerra nellera delle macchine intelligenti, Feltrinelli, Milano 1996.
38
K. von Clausewitz, Della guerra, cit., pp. 775-776.
39
G. Deleuze, F. Guattari, Mille piani. Capitalismo e schizofrenia, cit., p. 577.
40
Ibid.
37

65

ra, pur se nominalmente sottomessa a scopi politici di tipo imperialistico, assuma un movimento illimitato che non ha altro obiettivo che se stesso.41
Altro passaggio chiave rappresentato dallordine bipolare della Guerra
fredda, in cui una macchina da guerra planetaria assume come obiettivo la
pace della sopravvivenza e del terrore. Deleuze e Guattari, nel considerare lequilibrio della mutual destruction, tendono a non drammatizzare gli elementi di contrapposizione fra i due blocchi per sottolineare la convergenza
funzionale che conduce alla presa sullintero globo di ununica macchina da
guerra. Unintegrazione su cui si soffermano anche le parti di Mille piani dedicate a tematiche di ordine economico, secondo le quali lesistenza del campo socialista non smentiva affatto lipotesi dellunificazione del mercato capitalistico, rispetto al quale leconomia di piano avrebbe rappresentato una
variante, parassitaria e inefficiente, e non unalternativa.
Riassumendo, lo stato si appropria della macchina da guerra, a cui attribuisce lobiettivo esclusivo della guerra, subordinandola ai propri scopi politici. Ed ecco la formula di von Clausewitz: La guerra la continuazione della politica con altri mezzi. Con Napoleone e la guerra di popolo, attraverso
la mobilitazione patriottico nazionalistica, si rimane allinterno di tale paradigma anche se la coerenza con cui viene perseguito lobiettivo (Ziel) cortocircuita la funzione prescrittiva e di comando dello scopo politico (Zwek).
Con qualche oscillazione, von Clausewitz parla di guerra assoluta. La crescente integrazione fra guerra ed economia che nel secolo seguente conduce
alla guerra di materiali imprime alla dimensione bellica una svolta profonda. Siamo nellambito della guerra e della mobilitazione totale che promuove
una ristrutturazione complessiva, a partire dalle esigenze militari, delle relazioni sociali, politiche ed economiche:
I diversi fattori che tesero a fare della guerra una guerra totale, e specialmente il fattore fascista segnarono linizio di un inversione del movimento: come se gli stati, dopo il lungo periodo di appropriazione, ricostituissero una macchina da guerra autonoma, attraverso la guerra che facevano gli uni contro gli altri.42

Fino a quel punto, tuttavia, la massima clausewiziana sembra conservare un


minimo di capacit descrittiva, in quanto la guerra fascista restava continuazione della politica con altri mezzi sebbene questi altri mezzi divenissero esclusivi o lo scopo politico entrasse in contraddizione con lobiettivo.
Da qui la definizione di stato suicida coniata da Paul Virilio in riferimento
allesperienza nazista.43 Diversamente, di vero e proprio ribaltamento della
formula di von Clausewitz si pu parlare a proposito della situazione che si
afferma a partire dalla conclusione della Seconda guerra mondiale, con lequilibrio del terrore e della dissuasione. La macchina da guerra a questo
punto non ha pi per obiettivo la guerra ma la pace, nel quale riassorbe, sempre per utilizzare la terminologia del generale prussiano, lo scopo (Zwek), os41

Ibid.
G. Deleuze, F. Guattari, Mille piani. Capitalismo e schizofrenia, cit., pp. 644-645.
43
P. Virilio, Velocit e politica. Saggio di dromologia, Multhipla, Milano 1981.
42

66

sia la componente di comando politico: Appare qui linversione della formula di Clausewitz: la politica che diventa continuazione della guerra, la
pace che libera il processo materiale illimitato della guerra totale. La guerra
smette di essere la materializzazione della macchina da guerra, la macchina
da guerra stessa che diviene guerra materializzata.44
Secondo Deleuze e Guattari, nello scenario dellordine bipolare si ricostruirebbe la macchina da guerra che assume, al di l delle opposizioni fra le
sue parti, lintero globo come spazio liscio. Quel flusso di guerra assoluta di
cui gli stati si erano appropriati per subordinarlo agli scopi politici fuoriesce
dai limiti che le erano stati assegnati in quanto funzione militare, la subordinazione dellobiettivo allo scopo, e si ricostruisce in macchina da guerra:
La macchina da guerra riforma uno spazio liscio che aspira adesso a controllare, circondando tutta la terra. La guerra totale stessa superata, verso una forma di pace
ancora pi terrificante. La macchina da guerra ha preso su di s lo scopo, lordine del
mondo, e gli stati non sono pi che oggetti o strumenti asserviti a questa nuova macchina. qui che la formula di Clausewitz si rovescia effettivamente, perch per poter
dire che la politica la prosecuzione della guerra con altri mezzi non basta invertire
le parole come se si potesse pronunciarle in un senso o in un altro ma necessario seguire il movimento reale alla conclusione del quale gli stati, dopo essersi appropriati
di una macchina da guerra ed averla asservita ai loro scopi, producono nuovamente
una macchina da guerra che prende su di s lo scopo, si appropria degli stati e assume sempre pi delle funzioni politiche.45

Con ogni evidenza, molte di queste riflessioni non sembrano solo riferirsi al
passato prossimo ma risultano per molti versi applicabili anche al contesto unipolare, nelle sue fasi soft e hard, che caratterizza il mutamento di scenario
intervenuto con la fine della Guerra fredda. Ancora pi attuali appaiono in
proposito le osservazioni circa la materializzazione di un sistema di insicurezza organizzata o una figura, il nemico qualunque, che emersa nella precedente configurazione geopolitica sembra oggi definire con pi chiarezza la
propria funzionalit:
Abbiamo visto la macchina da guerra mondiale prendere proporzioni sempre pi
grandi [..]; labbiamo vista attribuirsi come obiettivo una pace ancora pi terribile
della morte fascista; labbiamo vista mantenere o suscitare le pi terribili guerre locali [...] labbiamo vista fissare un nuovo tipo di nemico che non era pi un altro stato,
e nemmeno un altro regime, ma il nemico qualunque [...] multiforme, manovriero e
onnipresente[...], dordine economico, sovversivo politico, morale.46

Perch rovesciare Clausewitz?


Per chi parla di guerra, a qualsiasi livello, citare von Clausewitz quasi un
obbligo, unabitudine o un riflesso condizionato. E cos, prima o poi, in tutti
44

G. Deleuze, F. Guattari, Mille piani. Capitalismo e schizofrenia, cit., p. 645.


Ivi, pp. 577-578.
46
Ivi, p. 578.
45

67

i discorsi che toccano questioni belliche la famosa massima salta fuori, e magari si finisce con il ribaltarla, soprattutto per segnalare i cambiamenti intervenuti dal tempo delle guerre napoleoniche.47 Non stupisce quindi che sia
Michel Foucault sia Gilles Deleuze e Flix Guattari, nellincontrare la questione della guerra, non si siano sottratti alla tentazione di comporre diversamente i fattori della sentenza secondo cui la guerra la continuazione della
politica con altri mezzi. Al di l delle convergenze di fondo di carattere filosofico, tuttavia, i due percorsi su cui ci siamo soffermati si incamminano lungo territori, temporalit e nuclei problematici assai diversi.
Michel Foucault, come si diceva, si confronta con la formula clausewitziana allinterno di un progetto di ricerca volto a individuare, allinterno della tradizione della modernit, una linea di riflessione sullordine politico alternativa a quella centrata sulla neutralizzazione del conflitto, tipica delle soluzioni filosofico-giuridiche. Ribaltare Clausewitz, in tale contesto, significa
insistere sul carattere guerreggiato delle relazioni di potere, vedere nella filigrana della pace i segni di una guerra che non mai finita, e che la politica
conduce con altri mezzi, fissando nellapparente neutralit delle istituzioni e
delle procedure le reali dinamiche di sottomissione e assoggettamento. In tal
senso, linterlocutore privilegiato, in termini di referente polemico da rovesciare, non appare il generale prussiano, che sembra in qualche modo limitarsi a fornire uno slogan, quanto Thomas Hobbes, autore fondamentale di
quella tradizione del contratto e della sovranit in contrapposizione alla
quale Foucault recupera e valorizza i discorsi sulla conquista, lusurpazione
e la guerra delle razze. La critica a Hobbes, tuttavia, si sviluppa a partire dalla condivisione di un medesimo terreno problematico: quello relativo al rapporto fra guerra e ordine sociale, che acquisisce significato allinterno della
spazialit confinata dello stato. Rovesciare Clausewitz, in tale prospettiva, significa in primo luogo orientare la massima del generale prussiano dal contesto interstatale in cui originariamente si colloca, a quello interno, per cogliere nel conflitto, e non nella sua neutralizzazione, la base delle relazioni di
potere.
Diversamente per Deleuze e Guattari von Clausewitz non un pretesto,
ma un interlocutore privilegiato. Da questo punto di vista, il riferimento al
Vom Kriege, in termini espliciti e impliciti, contrappunta le sezioni di Mille
piani dedicate alla macchina da guerra e allapparato di cattura. Ribaltare
Clausewitz significa allora proiettare gli schemi del generale prussiano, ovviamente reinterpretati senza soverchie preoccupazioni filologiche e alla luce
di alcune ipotesi teoriche forti, sulla storia universale fino a raggiungere gli
scenari geopolitici, sociali e tecnologici del Novecento. In tale prospettiva la
macchina da guerra appare configurarsi come un concatenamento che attraversa i secoli e i millenni coniugandosi in forme sempre diverse e instabili
con gli apparati di stato. Tale impostazione, come ovvio, risulta decisamente
meno condizionata, rispetto a quella adottata da Foucault, dal riferimento,
47
C. Schmitt, Il concetto di politico, in Id., Le categorie del politico, il Mulino, Bologna 1972; A. Gnoli,
F. Volpi, I prossimi titani. Conversazioni con Ernst Jnger, Adelphi, Milano 1997, p. 83.

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alle forme, alla spazialit e alle opposizioni (interno-esterno, militare-civile


ecc.) della modernit politica. Proprio da ci discende il carattere profetico, rispetto al presente, di analisi calibrate su unepoca precedente, la Guerra fredda, allinterno della quale tuttavia Deleuze e Guattari colgono, al di
sotto della continuit delle vecchie forme, loperativit di potenti processi di
integrazione, di ridisegno degli assetti planetari, di inedite combinazioni fra
spazi lisci e striati. Si tratta grosso modo di quella che con termine abusato si
oggi soliti definire globalizzazione. Ed proprio a tale livello geopolitico
che con un paio di decenni di anticipo sembra collocarsi il discorso sulla
guerra sviluppato in Mille piani.

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