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Lenzi
G. Segalla
R.J. Boettcher
N. Casalini
F. Manns
R. Pierri
L. Cignelli
A. Kofsky
M. Pazzini
A. Veronese
M. Piccirillo
C. Pappalardo
B. Hamarneh
LVI
2006
347
375
389
399
Y. Zelinger
L. Di Segni A Fourth-Century Church near Lod (Diospolis)
459
A. Egea Vivancos Monasterios cristianos primitivos en el Alto ufrates
Sirio: el complejo rupestre de Maga- ra Sarasat
469
M. Decker Towers, Refuges, and Fortified Farms in the Late
Roman East
499
G. Cravinho
S. Amorai-Stark A Jewish Intaglio from Roman Ammaia, Lusitania
521
M. Piccirillo
G.C. Bottini Se stai per presentare la tua offerta allaltare (Mt 5,
23-24). La testimonianza di uniscrizione palestinese
547
Sintesi degli articoli (Abstracts)
553
Ricerca storico-archeologica in Giordania XXVI 2006 563
Recensioni e Libri ricevuti
627
SBF: Anno accademico 2005-2006
705
Tavole
1-70
LIBER ANNUUS
A. Mello
A. Niccacci
G. Rizzi
M. Pazzini
Articoli
I tentativi di una teologia (cristiana) dellAntico Testamento 9
La redazione finale di Ezechiele in rapporto allo schema
tripartito
29
Lordine dei Salmi
47
Osea 1-3. Composizione e senso
71
Bibbia dei Settanta oggi. Edizioni, traduzioni e studi
105
I volti di tutti sono diventati neri. Nota filologica
a Naum 2,11 (2,10) siriaco
129
Differenze teologiche tra la Vetus Syra e il Diatessaron 133
Canone biblico e teologia biblica. Un rapporto
necessario difficile
179
Relational Diagrams in Text Analysis
213
Tradizione e innovazione nelle Lettere Pastorali
225
Zacharie 12,10 relu en Jean 19,37
301
Due note filologiche di greco biblico
311
Articolo individuante o generico?
317
Renunciation of Will in the Monastic School of Gaza
321
FRANCISCANUM
E. Cortese
M. Nobile
STUDIUM BIBLICUM
INDICE GENERALE
LIBER ANNUUS
LVI
2006
JERUSALEM
LIBER ANNUUS
Annual of the
Studium Biblicum Franciscanum
Jerusalem
LIBER ANNUUS
LVI
Editor
Co-editors
Editorial Board
Eugenio Alliata
Frderic Manns, L. Daniel Chrupcaa
Giovanni Bissoli, G. Claudio Bottini, A. Marcello
Buscemi, Gregor Geiger, Pietro Kaswalder, Giovanni
Loche, Alviero Niccacci, Carmelo Pappalardo, Massimo
Pazzini, Michele Piccirillo, Rosario Pierri, Tomislav Vuk
1951-2006
46 volumes
43
68
14
ISSN 0081-8933
INDICE GENERALE
Articoli
E. Cortese
M. Nobile
29
47
71
A. Mello
A. Niccacci
G. Rizzi
105
129
133
179
213
225
F. Manns
301
R. Pierri
311
L. Cignelli
317
A. Kofsky
M. Pazzini
G. Lenzi
G. Segalla
R.J. Boettcher
N. Casalini
M. Pazzini
A. Veronese
M. Piccirillo
375
C. Pappalardo
389
399
B. Hamarneh
Y. Zelinger
L. Di Segni
A. Egea Vivancos
M. Decker
G. Cravinho
S. Amorai-Stark
M. Piccirillo
G.C. Bottini
469
499
521
547
553
Ricerca storico-archeologica in
Giordania XXVI 2006
563
627
705
Tavole
1-70
ARTICOLI
E. Cortese
Prima di dare inizio alla introduttiva discussione dei tentativi moderni duna
TAT (Teologia dellAT), che presentiamo sommarimente partendo ancora
da von Rad, data limportanza della sua opera1, conviene domandarsi cos
una TAT o meglio ancora: che cosa non una TAT. Ci sono tanti tipi di studio teologico e biblico, che non sono una TAT. Tutti sanno che la Teologia
dogmatica non una TAT; non solo perch la prima studia i dogmi e non
la Bibbia, ma anche perch, pur rifacendosi anche alla Bibbia, si basava e
un po continua a basarsi su una sua antica sintesi e su un relativo schema
(teologia, antropologia, soteriologia), che oggi non pu pi ritenersi sufcientemente scientico, come base duna TAT.
Ma neppure i lavori di Teologia biblica2 sono automaticamente una
TAT. Non lo sono i dizionari biblici, n le monograe su singoli temi e i
tentativi di ricavare messaggi biblici particolari dalla Bibbia. Una TAT ha
il compito di dare una sintesi organica di tutto il messaggio biblico.
Non ogni studio della Bibbia, del resto, TAT. Una Storia dellAT non
per ci stesso una TAT, anche se i singoli temi teologici vi vengono indicati e anche se, a volte, i conni tra luna e laltra possono confondersi.
Il caso pi discusso, oggi, lopera di R. Albertz: nonostante il titolo3 e la
metodologia scelta, considerata da tutti pi una TAT che una Storia. Certe
istanze storiche oggi sono alla base di ogni studio, dogmatico o biblico.
Oggi difcile che chi studia un tema biblico o anche dogmatico non cerchi di tentarne la storia: le origini, gli sviluppi e le formulazioni nali.
Neanche le numerose Introduzioni allAT si possono considerare una
TAT, se non altro perch dividono lo studio biblico per libri e categorie
(per noi cattolici solitamente: storici, sapienziali e profetici) e presentano
tante altre questioni che una TAT deve quasi sempre presupporre, ma non
10
E. CORTESE
trattare, per non ingrossare troppo la sua materia. Lo stesso va detto dei
commentari e dei lavori esegetici.
Rassegna, problematiche, bilanci
In fondo la rassegna su cui ci basiamo dice tutto questo citando il grosso
lavoro (pi di 700 pagine) di J. Barr, The Concept of Biblical Theology. An
Old Testament Perspective (London 1999), che, pur rivendicando la necessit del metodo storico-critico anche per la TAT, la vuole ben distinta dalla
Storia dIsraele. Ci, anche se Jeremias preferisce indugiare su una sua
suddivisione in cinque modelli: dogmatico (Koehler), sintetico (Eichrodt),
concentrato sulla rivelazione cristiana (Vriezen), basato sulla storia della
tradizione (von Rad) ed inne quello basato sul canone cristiano (Childs),
rinviando alla ne il dilemma: teologia o storia.
In realt le diversicazioni indicate da Jeremias e la crisi in cui caduta
o stata fatta cadere la TAT di von Rad credo siano costituite soprattutto
dalla decretata ne della teoria documentaria del Pent, su cui egli si era in
gran parte basato. Se quei documenti ci sono e vanno datati come si faceva
prima, ai secoli X-J, IX-E, VII-D e VI-P, giusto basare una TAT specialmente sulle tappe teologiche costituite da quei documenti, i quali erano
stati prima studiati debitamente da lui e da M. Noth nei loro commentari al
Pent, proprio in quella collana dove Albertz ha pubblicato poi la sua TAT,
che ora li riuta. Certo la TAT di von Rad ha delle lacune che oggi vanno
colmate, nei punti indicati da Jeremias, che riguardano le ipotesi sulla storia
e teologia dIsraele a monte dei documenti (il credo storico di Deut 26 e
lamzionia delle 12 trib) e specialmente il modo di considerare la teologia sapienziale, punto successivamente modicato ed ampliato dallo stesso
autore in una specica monograa. Ritengo inoltre che sia da rivedere in
particolare la divisione generale tra libri della Rivelazione di Dio e libri di
risposta delluomo (l, nella risposta delluomo, egli mise indebitamente i
sapienziali e i salmi) e quella di natura e storia (lode a Dio per la natura e
lode per la storia), due ambiti da lui troppo separati.
Ma soprattutto urgente ormai una revisione della teoria documentaria4.
Oggi, comunque, si dovr essere pi modesti nel descrivere i lineamenti
4. Da me tentata meglio, ora, ne Le tradizioni storiche dIsraele. Da Mos a Esdra, Bolo-
gna 2001. La tenuta della teoria documentaria, nonostante le nuove mode, testimoniata
autorevolmente dalla nuova edizione francese della Bibbia di Gerusalemme, pubblicata nel
1998, che sostanzialmente mantiene la vecchia posizione sui documenti del Pent, chiamati,
ma come prima, tradizioni.
11
12
E. CORTESE
13
Dietrich - M.A. Klopfenstein (ed.), Ein Gott allein? JHWH-Verehrung und biblischer Monotheismus im Kontext der israelitischen und altorientalischen Religionsgeschichte (OBO
139), Freiburg (Schweiz) - Gttingen 1994, 77-96.
16. Nel suo JHWH allein! Israels Weg zum Monotheismus und dessen theolgische Bedeutung, in Id., Geschichte und Theologie. Studien zur Exegese des Alten Testaments und zur
Religionsgeschichte Israels (BZAW 326), (ed. I. Kottsieper et alii), Berlin 2003, 359-382.
17. Dalla p. 555 in poi della sua Religionsgeschichte Israels. Tra laltro, nel contenitore
della piet famigliare andrebbero messi molti altri gruppi sociali, non tutti sovversivi ed
eterodossi, come si suppone erroneamente che fossero le famiglie, citando Ger 44.
18. Si veda Albertz, Religionsgeschichte Israels, 51.
14
E. CORTESE
pare, la ragione nascosta per cui la sua TAT si affermata assai pi che gli
altri tentativi. Ci signica, come bilancio nale, che, con gli aggiornamenti di un Albertz corretto come sopra, la TAT di von Rad costituisce ancora
la base indispensabile per ogni tentativo attuale di una TAT.
Forse per, bisogna anche dire che il dilemma oggi imbarazzante: storia
o teologia dIsraele, sulle cui innumerevoli dispute Jeremias parla a conclusione del suo discorso, in realt quello tra ammissione o riuto della
possibilit di fare una TAT storica. E alla base di questo dilemma ci sono
le questioni che ora affrontiamo: quelle metodologiche.
Fede e scienza
Un secondo punto da chiarire infatti quello del metodo scientico che oggi
si deve usare in una TAT. Lindicazione fondamentale data dal Documento
della Ponticia Commissione Biblica Linterpretazione della Bibbia nella
Chiesa, del 1993, dove ribadita la priorit e la necessit del metodo storico-critico nellanalisi letteraria della Bibbia, rispetto ad altri metodi (retorico, narrativo, semiotico) e ad approcci di vario tipo, basati sulla Tradizione
(quello canonico, quello del giudaismo e quello della cosiddetta Wirkungsgeschichte) o su alcune scienze umane (sociologia, antropologia culturale,
psicologia e psicanalisi) o tendenze attuali (liberazionista, femminista).
Ciononostante, in molti centri di studi biblici anche cattolici il metodo
storico critico non affatto preso in considerazione. Una delle ragioni credo
sia il perdurare dellinusso esegetico di Barth e di Bultmann. La famosa
teologia dialettica del primo era un prezioso tentativo protestante di difendere lesegesi dallo scetticismo totale raggiunto dalla stessa teologia protestante liberale nellesegesi scientica della Bibbia. Un tentativo, quello di Barth,
pi apprezzabile di quello del deismo dei tempi del Concilio Vaticano I, ma
sempre piuttosto rinunciatario. Quanto alla cosiddetta demitologizzazione
proposta da Bultmann, nota a tutti la reazione sorta nello stesso ambito
dellesegesi protestante (Ksemann). Oggi tra i due estremi, costituiti, da
una parte, dal deismo e dal fondamentalismo e, dallaltra, dallo scetticismo totale sulla storicit della Bibbia e sul metodo storico-critico, non si
ancora trovato un equilibrio sicuro. E possiamo dire che la crisi della Teoria
Documentaria vista sopra non ne favorisce il raggiungimento.
Le indicazioni del Magistero e della stessa Teologia, specialmente quella
cattolica, dovrebbero aiutare ad affrontare il problema con pi ottimismo. La
ducia nella ragione ci vuole anche nel fare una TAT che eviti i due estremi
indicati. signicativo che la Chiesa, a met del secolo XIX abbia difeso le
15
capacit, pur limitate, della ragione contro il deismo, nel Concilio Vaticano I, e che ora, alla ne del XX, dopo i fallimenti della ragione illuminata,
nellepoca postmoderna combatta lo scetticismo della stessa mentalit scientica e della ragione debole nella Fides et Ratio, del 1998.
Non il caso di ricordare i principi esposti gi nella Divino Afante
Spiritu di Pio XII, sviluppati ed applicati nel Concilio Vaticano II e ribaditi
nel documento del 1993 sopra citato, sul come si debba e si possa affrontare
in maniera scientica lanalisi della Bibbia. Come in ogni altra scienza c
la possibilit dun accordo con la fede. Ed un luogo comune che questa
venga distrutta dalla scienza. Tra gli scienziati ce ne sono tanti che credono
in Dio e tanti che sono cristiani. vero che tuono e fulmine oggi non sono
pi fenomeni basilari nelle religioni, ma contemplare le stelle alla luce dellastronomia moderna non credo che porti allateismo! Ci sono dei medici
che esaminano scienticamente i miracoli di Lourdes o delle cause dei santi
arrivando a dei risultati positivi, anche se continuano ad esserci medici
atei.
E non ci si pu trincerare dietro laffermazione che ci che conta esaminare un testo letterario. Il testo biblico, come ogni testo letterario, rinvia
ad una realt e ad una storia e, inteso nel modo giusto, lattesta. Sappiamo
e crediamo che Dio si rivela con fatti e con parole (Concilio Vaticano II).
La Bibbia ci rinvia a questa rivelazione. Evitando i due estremi del deismo
e dello scetticismo, linterpretazione scientica e il metodo storico-critico
devono portare lesegesi biblica alla realt storica della rivelazione e non
solo al testo letterario o alle teologie che esso contiene. Devono spingerci a
intravedere la storia della salvezza. Ed signicativo che, per lo scetticismo oggi serpeggiante, tanti diventino reticenti su questa espressione e, di
conseguenza, sulla prospettiva storica della TAT di von Rad. Bisogna notare
che non tutte le riserve contro tale prospettiva vengono dal confronto con la
eventuale TAT dei nostri fratelli Ebrei, della quale dovremo pure occuparci.
Ma ora dobbiamo ribadire che una TAT cristiana o ebraica deve analizzare
scienticamente la Bibbia, descrivere i messaggi teologici che vi si sono
depositati nelle varie tappe storiche e risalire per quel che possibile alla
rivelazione divina con fatti e parole che il testo nella sua storia riette.
Monoteismo o politeismo iniziale
Solitamente ci si accontenta di parlare dei metodi scientici dellesegesi,
anche pi ampiamente di quel che abbiamo fatto noi, per mettere valide
basi ad una TAT. Ma per lo meno altrettanto importante parlare del pro-
16
E. CORTESE
1997.
20. Cos Lang, nella voce Monotheismus del suo dizionario biblico (NBL, II, Zrich
1995, 834-843). Non conosco il suo recente lavoro (B. Lang, Jahweh der bibliche Gott.
Ein Portrt, Mnchen 2002) presentato e criticato da F. Hartenstein, Religionsgeshichte
Israels. Ein berblick ber die Forschung seit 1990, VF 48 (2003) 2-28, ma egli appare ben
pi radicale nei suoi studi: Der monarchische Monotheismus und die Konstellation zweier
Gtter im Frhjudentum. Ein neuer Versuch ber Menschensohn, Sophia und Christologie,
del 1994, nella citata raccolta Ein Gott allein?, e ora Die Jahwe-allein-Bewegung. Neue Erwgungen ber die Anfnge des biblischen Monoteismus, del 2003, in una raccolta curata
da M. Oeming - K. Schmid, Der eine Gott und die Gtter (AThANT 82), che presenteremo.
Anche M. Weippert stato determinante nella creazione di questo gruppo di autori: si veda
la raccolta dei suoi studi: JHWH und die anderen Gttern. Studien zur Religionsgeschichte
des antiken Israel in ihrem syrisch-palstinischen Kontext (FAT 18), Tbingen 1997.
21. Lang, nella citata voce del NBL, 838.
17
22. Elenco dei testi e ampia discussione del problema in P. Merlo, La dea Ashratum, Atiratu,
Ashera. Un contributo alla religione semitica del Nord, Roma 1998, dove manca linquadratura letteraria concernente lOdtr. Un trattamento conciso e molto autorevole ora il cap.
7 (Monoltrie ou polythisme: Yahwh et son ashra) del libro di A. Lemaire, Naissance
du Monothisme. Point de vue dun historien, Paris 2003. Un esempio di confusione tra
ashera (con spirito dolce) e ishtar (con spirito aspro) o Astarte in Albertz, Religionsgeschichte Israels, 329.
23. Accanto al suo The Early History of God. Yahweh and the other Deities in Ancient Israel,
del 1990, gi alla 2a ed.: Oxford 2002, c The Origin of Biblical Monotheism, Oxford 2001,
scritto tenendo conto delle critiche subite dopo la prima opera. Per le ragioni che vedremo,
non sono molto daccordo con la sua voglia di mettersi in ascolto di Marx, Freud e Nietzsche nellinterpretare la religione dIsraele e neanche quella di Ugarit (p. 20)!
24. The Early History of God, 6-7.
18
E. CORTESE
Cos Albertz, nella sua Religionsgeschichte Israels, 148: Klar distingirte Gtterpershnlichkeiten, wie sie vom Synkretismus vorauszusetzen wren, fehlen auf der Familienebene
offenbar gerade.
26. Ricordiamo anzitutto Ch. Frevel, Aschera und der Ausschliesslichkeitsanspruch YHWHs.
Beitrge zu literarischen, religionsgeschichtlichen und ikonographischen Aspekten der
Ascheradiskussion (BBB 94/1-2), Winheim 1995, e naturalmente il recente libro di Lemaire,
citato poco sopra. Ma anche il citato lavoro di Merlo, fatto sotto la guida dello scomparso
Gelio e con la consulenza di professori dellUniversit di Roma (P. Xella), molto cauto
nellapplicare allashera biblica le categorie di Ugarit. Valutazioni differenti ed opposte, sia
sul problema specico e sia sulle origini del jahwismo in generale, sono state opportunamente fornite nellapposito Colloquio svizzero del 1993, di cui abbiamo gi citato lormai
famosa raccolta a cura di Dietrich - Klopfenstein, Ein Gott allein?, dove si d spazio anche
a Lemaire e Mettinger.
27. Lemaire, nel suo Naissence du Monothisme, p. 75, ci fa osservare che nel 1 millennio
scompare il nome proprio di Ashera dal mondo semitico occidentale, da solo o come nome
teoforico, e resta come nome comune indicante i santuari. A tale testimonianza corrisponde,
stando ad Hartenstein (v. nota 21), p. 17, quella di O. Keel - Ch. Uehlinger, Gttinnen und
Gtter und Gottessymbole. Neue Erkenntnisse zur Religionsgeschichte Kanaans und Israels
aufgrund bislang unerschlossenen ikonographischen Quellen (QD 191), Freiburg 2001, ora
alla 5a ed. (dopo quella del 1992), e quella di K. Koch, voce Baal/Baalat nel nuovo RGG4,
I, Tbingen 1998, 1038-1039: e questo non solo nella Bibbia ma nei reperti archeologici.
25.
19
p. 7-8, dove, citando pure, com dobbligo anche qui, Keel - Uehlinger, Gttinnen und
Gtter und Gottessymbole, si rif al nostro Albertz e alle innegabili connessioni della sua
Religionsgeschichte Israels con la TAT.
20
E. CORTESE
Oggi, almeno fuori dItalia, sembra che si torni a posizioni pi moderate . E si potrebbe dire che dove ci si ostina nella linea lo-politeista la
insostenibilit della tesi emerge per una specie di reductio ad absurdum
cui portano la propria posizione, contro le loro intenzioni, i suoi stessi
difensori. Ci vale, a quanto sembra, di un incontro tenuto recentemente
alluniversit di Heidelberg, dove la scelta dei relatori tradisce gi le intenzioni30.
L lo studio di Lang, che abbiamo gi citato, vuole dimostrare che il
decalogo era in realt un pentalogo e che nella sua forma originale era esilico. Il comandamento di non avere altri dei si spiegherebbe con una scelta
sporadica di Jahweh, fatta gi da Giosia tra tante divinit, ma per scopi
militari, come quella tra giocatori di football in panchina, a seconda della
partita e dei suoi vari momenti. Visto da unaltra afne angolatura, e cio
in Deut, tale comandamento dichiarato assolutamente tardivo in un altro
studio31, alla faccia dei paralleli assiri ivi citati. Partendo da tale data, i vari
passi, uno successivo allaltro a cascata, sono evidentemente postesilici,
compresi i testi di Es e dello stesso Os, che ne dipenderebbero.
Ma n dallinizio della raccolta32 si vuol enfatizzare il riuto delle categorie monoteismo-politeismo, non nel senso moderato che vedremo, ma,
a quanto pare, per dire che ogni politeismo monoteismo e viceversa, togliendo le basi per qualunque discussione sensata sullargomento. Il tutto
rifacendosi alla dottrina sulle religioni delle scuole universitarie laiche italiane (Pettazzoni e Brelich). Largomentazione biblica ricavata dalla lettura
sospettosa dei testi, della quale abbiamo parlato, svolta proprio partendo
29
29. Oltre alle critiche fatte da Hartenstein, alle stesse efmere sfumature di Lang, nella voce
del dizionario sopra citata, e ai ripensamenti di Albertz visti allinizio, si pu vedere ora la
medesima voce Monotheismus di H.P. Mller nel nuovo RGG4, V, Tbingen 2002: egli
afferma che c monolatria (o monoteismo pratico) in Israele n dalle guerre sante e che
anche lantica religione di El, il Dio dei Padri, monolatrica.
30. Gli studi sono pubblicati in M. Oeming - K. Schmid (ed.), Der eine Gott und die Gtter. Polytheismus und Monotheismus im antiken Israel (AThANT 82), Zrich 2003. Nella
dozzina di autori, i seguaci della linea contraria sembrano solo Frevel e Levine, dei quali il
primo appare pi sul banco degli imputati che sul podio del conferenziere.
31. E. Aurelius, Die fremden Gtter im Deuteronomium, ivi, 145-169. Lo studio di Lang,
Die Jahwe-allein-Bewegung, alle pp. 97-110.
32. G. Ahn, Monotheismus und Polytheismus als religionswissenschaftliche Kategorien?,
in Oeming - Schmid (ed.), Der eine Gott und die Gtter, 1-10, e K. Schmid, Differenzierungen und Konzeptualisierungen der Einheit Gottes in der Religions- und Literturgeschichte Israels, ivi, 11-38: si vedano le pp. 16ss. Qui si riconosce pure che la pretesa vittoria
dellipotesi del politeismo originale stata determinata anche dallaffossamento della Teoria
Documentaria.
21
dal presupposto che tutti i testi sono tardivi ed arriva alla frana che abbiamo appena segnalato, al punto da parlare di post-politeismo (Knauf) o
di monoteismo pratico passeggero (Lang) postesilico, perch in effetti ci
sono abbondanti prove archeologiche di politeismo anche ad Elefantina e,
nel tardo postesilio, in monete samaritane33.
Quanto allantica lotta (monoteistica) di Elia, se ne occupa M.
Kckert34, che, dopo aver smontato il racconto del sacricio del Carmelo
in molti pezzi, riduce il nucleo storico della gura del profeta a ben poco
e, naturalmente, dichiara totalmente postesilico il nostro racconto. Qui, se
non prima, si raggiunge limpressione che incontri del genere siano come
delle partite a Bowling, dove lo scopo dei giocatori quello di buttar gi
ciascuno pi birilli che pu. Ed interessante che sinizi col proposito
di incensare35 i gloriosi professori precedentemente insediati ad Heidelberg, primo fra tutti von Rad, la cui incensata in realt una vera e propria esecuzione capitale, che, per usare limmagine del bowling, fa cadere
poi tanti altri birilli36.
Teologia e ateismo
A questo punto necessario fare ulteriori e pi importanti chiaricazioni
metodologiche, oltre a quelle precedenti sul metodo storico-critico e sul
politeismo. Tra le altre, quella sul valore del nostro schema politeismomonoteismo, schema che frutto della nostra mentalit losoca, antica o
moderna37. Unaltra chiaricazione andrebbe fatta sul valore della nostra
percezione della realt, dopo lavvento del soggettivismo e dellidealismo,
a partire dal cogito ergo sum di Cartesio. Ma alla ne la pi importante
chiaricazione per una valida TAT diventa quella riguardo allesistenza di
Dio, trattata diversamente dagli atei e dai credenti. Come dicevamo, la cosa
33. E.A. Knauf, Ist die Erste Bibel monotheistisch?, in Oeming - Schmid (ed.), Der eine Gott
und die Gtter, 39-48; si veda p. 46; per Lang, nel gi citato Die Jahwe-allein-Bewegung, si
vedano le pp. 100-101. Le supposte prove archeologiche del politeismo giudaico sono trattate
da H. Niehr, Gtterbilder und Bilderverbot, ivi, 227-247, alle pp. 242-243.
34. Elia. Literarische und religionsgeschichtliche Probleme in 1Kn 17-18, ivi, 111-144.
35. Ivi, 112 (Weihrauch streuen).
36. Ivi, 112-113, per von Rad. Ma confessiamo il piacere un po maligno, di veder condannati dopo von Rad, anche il nostro Albertz, Weippert, il patrocinatore dellipotesi politeista
difesa nel Colloquio, e lo stesso Rendtorff, che stato uno dei pi celebrati demolitori della
nostra Teoria Documentaria.
37. Si veda F. Stolz, Einfhrung in den biblischen Monotheismus, Darmstadt 1996.
22
E. CORTESE
importante, visto che la TAT una teologia. Nessuno nega il diritto degli
atei a pensarla a modo loro. Non so se un ateo pu arrogarsi il diritto di
essere teologo. Pu anche essere utile per un credente discutere su Dio e
sul Dio della Bibbia con un ateo. Ma se il credente si sceglie lateo come
suo professore nelle questioni della TAT e della religione israelitica non
arriver mai alla conclusione che Dio esiste, che si rivelato a Israele e che
Israele se ne accorto. Concluder sempre che Dio e la rivelazione divina
se li inventati Israele.
Anche nel giudicare il politeismo cananeo lateo non il professore pi
adatto. Perch gli stessi Cananei percepivano lesistenza di Dio e non erano
atei. Facevano confusioni sulla sua natura. La Bibbia parla raramente degli
atei, condannandoli; perch allora ce nerano pochi. Moltiplica invece le
invettive contro i politeisti, perch ce nerano tanti. Ma non si confonda
quantit e qualit delle condanne. Quanto allateismo, se per noi credenti
giusto dire che Dio esiste ed sbagliato dire che Egli una invenzione
delluomo, debbo concludere che i Cananei erano pi vicini alla verit
che gli atei, anche se quelli moderni occupano cattedre prestigiose sullo
studio delle religioni. Eppure ormai un vezzo, almeno in Italia, insediare in congressi di studi sulla religione israelitica e la teologia biblica dei
professori atei. Qui non si vuole togliere la debita stima a nessuno. Si vuol
solo affermare lurgenza metodologica di mettere bene le carte in tavola,
atei e credenti, prima della discussione su Dio e sullorigine della religione
ebraica.
Nei tempi passati, alla posizione della scuola evoluzionistica di E.B.
Tylor sulla formazione e lo sviluppo del monoteismo si contrapponeva quella dellenciclopedia delle religioni di W. Schmidt, dei Verbiti di Mdling
(Vienna), che avevano scoperto come, in generale, le religioni primitive
nascevano monoteiste. Ma ora si preferisce evitare queste contrapposizioni
e rifarsi agli insegnamenti di R. Pettazzoni, decisamente contrario a Schmidt38. Se teniamo conto di quanto detto sopra, sia sui principi scientici
positivisti, che tante volte ispirano anche lesegesi biblica, e sia sullateismo di tanti maestri ora in auge, credo che oggi, pur evitando scontri, siano
quanto mai necessari dei chiarimenti. Anche perch poi, dopo tutto, risulta
che una suddivisione pi completa ed aggiornata delle varie forme di religioni, secondo gli stessi insegnamenti di tali scuole universitarie laiche,
contemplerebbe tre gruppi: quelle primitive dellEssere supremo; quelle
38. Si veda P. Coda, nella voce Dio, in Barbaglio et alii (ed.), Nuovo Dizionario di Teo-
23
1262-1265), ma contro questa posizione, che ora comprendiamo perch sia tanto comune,
sta tutta la discussione fatta sin qui.
24
E. CORTESE
dellorecchio di Dio. Invece di partire dalle supposte tracce del testo biblico, p. es. dal libro di Dan, o da madonna sapienza e il Creatore nella letteratura sapienziale, come fanno questi maestri del sospetto40, per dedurne il
primitivo politeismo, i primi cristiani mettevano davanti agli interlocutori
ebrei i due troni di Dan 7, i testi sapienziali e quelli, p. es., di Gen 18, sui
tre personaggi in visita ad Abramo, per mostrare che anche lantico Israele
aveva capito che Dio in se stesso non era cos radicalmente uno come
essi pensavano41.
TAT ebraica o cristiana?
Impostata come abbiamo fatto noi, la TAT si prospetta come una descrizione della meravigliosa e miracolosa avventura dIsraele alla scoperta del
Dio che gli parla; una scoperta sempre pi profonda, alla luce della quale
non solo Dio ma tutta la realt acquista un senso pi completo. Non c pi
bisogno, allora, di cercare un altro centro, un punto di sintesi della TAT,
sulla scorta di quella di Eichrodt. E tale avventura non si arresta alla ne
dellAT, ma apre la strada alla meravigliosa conclusione di Ges rivelatore
della vita pi intima di Dio, del Dio trinitario, e del suo progetto di salvezza
per lumanit.
Nasce per qui un ultimo problema: una TAT che cerchi lo sbocco nel
NT rischia di divenire o ostile alla visione ebraica o, viceversa, rinunciataria nella propria esegesi dello stesso AT e nei tentativi di metterne in risalto
la storia della salvezza42.
Come abbiamo visto, ci sono anche altri motivi che distolgono i cristiani
da questi tentativi, come latteggiamento anti-storico di matrice protestante
(p. es. di Bultmann). Ora per prendiamo in considerazione quello che viene
dalla opposizione ebraica di oggi, proprio contro la TAT di von Rad43. Se a
40. P. es. Knauf, Ist die Erste Bibel monotheistisch?, 45-46.
41. Do un elenco pi completo e non esaustivo di questi passi rinfacciati dai primi cristia-
ni, elenco che debbo ad una monaca, rimastami purtroppo anonima, alunna di I. Knohl
allUniversit ebraica di Gerusalemme: Gen 1,26; 3,22; 11,17; 35,7, testi che per Dio usano
il verbo al plurale e che ella studia nelle discussioni attestate dallantica letteratura giudaicorabbinica in polemica coi cristiani.
42. Partiamo dalle opere citate sopra di M. Nobile: la TAT e lo studio sulla teologia biblica.
Egli avverte pienamente il problema, ma sembra adottare una posizione reticente e poco
favorevole a von Rad e ad una storia della salvezza da mettere in risalto nella TAT.
43. Afora sovente nella raccolta di studi di J.D. Levenson, The Hebrew Bible, the Old Testament and Historical Criticismus. Jews and Christian in Biblical Studies, Louisville 1993.
25
Wellhausen si imputa levoluzionismo, che porta, nella sintesi biblica nale, ad eliminare il giudaismo, Eichrodt e von Rad sono addirittura accusati
di antisemitismo44. Cos si sente frequentemente dire che linterpretazione
luterana di Paolo e del suo discorso sul binomio legge-grazia la radice dellantisemitismo45. In queste accuse esagerate giusto leggere un rimprovero
per tutti i cristiani, cattolici compresi, per una lettura dellAT che a volte ha
portato allanti-semitismo. Ma le esagerazioni vanno respinte. Che si debba
essere attenti allanti-semitismo esegetico, anche dopo la Nostra aetate
del Concilio Vaticano II, lo dimostra il recente documento della Ponticia
Commissione Biblica Il popolo ebraico e le sue Sacre Scritture nella Bibbia
cristiana, del 2001, che per ribadisce la legittimit dellesegesi cristiana,
storico-critica, dellAT46.
una esagerata remissivit ed un falso irenismo dire, p. es., che nellAT
non c messianismo47. Semmai ci sono due diverse maniere di interpretarlo
nellAT. Gli stessi Ebrei si opporrebbero a chi negasse il messianismo nella
tradizione giudaica e le sue giusticazioni bibliche. Alla ne, a voler essere
troppo remissivi ed irenici, non si fa un buon servizio agli stessi fratelli
Ebrei. Bisogna solo essere pi cauti di una volta nellesegesi dellAT, evitando la espropriazione spesso giustamente lamentata, quando, p. es., si
dice che lAT annullato dal NT e perci il Giudaismo e lEbraismo non
hanno pi ragione di essere.
Senza la pretesa di essere completi ed esaurienti, possiamo mostrare
che sui punti caldi (la legge e lalleanza, vecchia e nuova, il messia, e
anche il messia sofferente), i tentativi attuali di dialogo sono teologicamente affascinanti e mostrano, anzi, quanto lEbraismo oggi sia necessario al
Cristianesimo e viceversa.
Quanto allalleanza sono note le polemiche anche tra gli stessi esegeti
cristiani sul senso da dare alla novit, del resto gi presentata da Ger 31,3134. Qui facciamo solo osservare che i rischi di espropriazione ci sono
per da entrambe le parti. Se i Cristiani sono arrivati a dire erroneamente
che lesistenza degli Ebrei, con la nuova alleanza, non ha pi senso, gli
Ebrei, dopo lapertura di R. Meir nel medioevo, si limitano ad ammettere
per noi la possibilit di salvezza solo in base allalleanza di No, esclu44. Ivi, 15-27.
45. P. es. D. Boyarin, A Radical Jew. Paul and the Politics of Identity, Berkeley 1994, 11
e spesso in seguito.
46. Sono importanti per noi i 21-22.
47. Si veda p. es. R. Penna, I fondamenti della cristologia neotestamentaria. Alcuni aspetti
della questione e gli autori ivi citati, a p. 308.
26
E. CORTESE
27
meno tra i riformati, che fanno la loro teologia su Auschwitz. Si veda I. Maybaum, Der
dritte churban, in M. Brocke - H. Jochum (ed.), Wolkensule und Feuerschein. Jdische
Theologie des Holocaust, Mnchen 1982, 9.
53. A. Neher, Lesilio della parola. Dal silenzio biblico al silenzio di Auschwitz, Genova
1997, 207-208. Debbo alla Prof. ebrea Irene Kajon di aver richiamato lattenzione su queste
pagine. Forse uno spiraglio laveva gi intravisto Rabbi Akiba per il disastro del 135 d.C.
ad opera dellimperatore Adriano, stando a E. Fackenheim, La presenza di Dio nella storia,
Brescia 1970, 49-50: era un dolore che faceva piangere Dio stesso. Chiss se Akiba ha mai
pensato al pianto vero e concreto di Ges su Gerusalemme di Lc 19,41-44?
28
E. CORTESE
Conclusioni
Le possibilit duna TAT cristiana e storica che abbiamo intravisto dovrebbero aiutare a superare le crisi e i blocchi che abbiamo indicati e ad
incoraggiare, sulla base di un von Rad opportunamente corretto, ma non
eliminato, lentusiasmante prospettiva di far rivivere la meravigliosa avventura dIsraele e poi dei Cristiani alla scoperta del Dio che si rivela. come
lavventura di noi bambini nella scoperta di nostra madre: se ne avverte
la presenza, se ne percepisce la gura, se ne gode lamore e, nel bene e
nel male, anche attraverso le crisi delladolescenza e della giovent, la si
apprezza e capisce sempre di pi. Il suo ricordo, alla ne, non una trasgurazione anti-storica. Se pensiamo ai limiti del paragone e li correggiamo,
la TAT cristiana diventa unimpresa ed una missione meravigliosa.
Enzo Cortese
Professore invitato
Studium Biblicum Franciscanum, Jerusalem
M. Nobile
chiele (Diss., Roma 1982); Ez 37,1-14 come costitutivo di uno schema cultuale, Bib 65
(1984) 476-489; Nellanno trentesimo (Ez 1,1), Anton 59 (1984) 393-402; Beziehung
zwischen Ez 32,17-32 und der Gog-Perikope (Ez 38-39) im Lichte der Endredaktion, in J.
Lust (ed.), Ezekiel and his Book. Textual and literary criticism and their interrelation (BETL
74), Leuven 1986, 255-259; Ez 38-39 ed Ez 40-48: i due aspetti complementari del culmine
di uno schema cultuale di fondazione, Anton 62 (1987) 141-171; Inussi iranici nel libro
di Ezechiele?, Anton 63 (1988) 449-457; Ritual and Ethics in the liturgical structuring of
the Book of Ezekiel, in A. Destro - M. Pesce (ed.). Ritual and Ethics. Patterns or Repentance Judaism, Christianity, Islam, Paris - Louvain 2004, 13-18.
LA 56 (2006) 29-46
30
M. NOBILE
31; K.-F. Pohlmann, Forschung zum Ezechielbuch 1969-2004 (I), ThR 71 (2006) 60-90;
gli studi sono molti, perci ne citiamo solo alcuni dei pi recenti e che abbiano una certa
relazione con le nostre ricerche: K.-F. Pohlmann, Ezechielstudien. Zur Redaktionsgeschichte
des Buches und zur Frage nach den ltesten Texten (BZAW 202), Berlin - New York 1992;
Idem, Der Prophet Hesekiel (ATD 22/1-2), 2 voll., Gttingen 1996/2001; R. Levitt Kohn,
Ezekiel, the Exile and the Torah, SBL.SPS 38 (1999) 501-526; M.A. Sweeney, Ezekiel:
zadokite priest and visionary prophet of the exile, SBL.SPS 39 (2000) 728-751; G. Braulik,
Ezechiel und Deuteronomium, BZ 44 (2000) 206-232; Th.A. Rudnig, Heilig und profan.
Redaktionskritische Studien zu Ez 40-48 (BZAW 287), Berlin - New York 2000, commentato criticamente da M. Konkel, Die Gola von 597 und die Priester. Zu einem Buch von
Thilo Alexander Rudnig, ZABR 8 (2002) 357-383 (lautore critica in Rudnig leccessiva
divaricazione polemica tra i gruppi dei rispettivi strati redazionali, che appaiono troppi, e la
troppo bassa datazione degli ultimi strati); M. Konkel, Architektonik des Heiligen. Studien
31
32
M. NOBILE
il libro di Ezechiele, a motivo della sua storia redazionale, fosse ben riessa
nella serie di oracoli delle nazioni, dove evidente uno slittamento dal piano
dei riferimenti storici a quello delle affabulazioni mitiche. Il nostro schema
cultuale si applica bene a questultima fase dello scivolamento semantico. I
popoli stranieri, pur storicamente reali, via via sono diventati nellimmaginario mitopoietico dIsraele una variante delle grandi acque caotiche che si
sprigionano dal limite loro dato dal creatore (cf. Gb 38,8-11 e Es 15) e che
vengono imprigionate solo con la fondazione del tempio. Gli oracoli contro
di essi hanno quindi la funzione di rappresentare la lotta di Dio contro il
suo nemico, simile a quella tra Dio e il faraone al tempo dellEsodo. Nellanalizzare questa sezione del libro, si dovuto per rendere conto, anche
se rapidamente, di alcuni elementi che se non rendono ancora inapplicabile
lo schema di fondazione, pongono perlomeno gravemente in questione il
rapporto tra di essi e il nostro schema6. Difatti, mentre questultimo prevede
che la pars destruens (4-24+25-32) sia ben distinta da quella construens
(33-39+40-48) e gli elementi allinterno di ciascuna delle due parti si susseguano ordinatamente (dopo la teofania, oracoli contro Giuda-Gerusalemme
e oracoli contro le nazioni), nel libro troviamo dei dati che non si conciliano
con tale sequenza. Essi sono formalmente degli oracoli contro le nazioni
che, secondo il nostro schema, sono fuori contesto: 21,33-37 e c. 35, cio
un paio di oracoli contro Ammon e il re di Babilonia il primo e un oracolo
contro Edom il secondo. Se il primo testo lo si potrebbe liquidare a tutta prima come masso erratico, frutto di Fortschreibung, nella sezione negativa
dello schema, il secondo testo invece, non si concilia bene allinterno di una
serie di oracoli ormai salvici. Nello studio in questione, mentre il primo
testo stato appunto trattato come irrilevante, per il secondo si data una
spiegazione di ordine redazionale che ha bisogno di una pi ampia e articolata
trattazione. Il nostro contributo sinserisce a questo punto della ricerca, con
una riconsiderazione anche del primo testo, 21,33-37, ma con lattenzione
maggiore rivolta al secondo, il c. 35, per stabilire: a) quale rapporto vi sia tra
il nostro schema e lo stato attuale del libro di Ezechiele; b) come dobbiamo
ipotizzare lo svolgimento diacronico della fase nale della redazione del libro,
qualora questultimo mostrasse una redazione nale complessa.
6. quanto ha rilevato P.E. Fitzpatrick, The disarmament of God. Ezekiel 38-39 in its
mythic context (CBQ.MS 37), Washington 2004, 37-39, il quale ha cortesemente commentato la mia ipotesi dello schema cultuale con alcuni rilievi critici; lautore non aveva letto
per il mio studio sulle date di Ezechiele, appena citato, n, credo (un elemento ancora pi
importante) egli ha colto appieno listanza antropologica di fondo del mio assunto; la sua
concezione di mitologia tecnico-letteraria non antropologica (cf. il mio Una lettura
simbolico-strutturalista di Ezechiele).
Ez 21,33-37
33
Questa unit testuale, di non facile interpretazione, si pu denire un duplice oracolo contro le nazioni, pi precisamente un oracolo contro Ammon
(v. 33-34) che si trasforma in un oracolo contro il re di Babilonia (vv.
35-37)9. A sua volta, lunit ben inserita nel c. 21, che ha come motivo
dominante la gura della spada, strumento di giudizio, sottoposto per ad
una variazione di funzioni, no a diventare esso stesso oggetto di punizione
divina, come dimostrano i vv. 35-37, tanto da far pensare al capitolo come
ad una serie di successive aggiunte testuali (si considerino i vv. 8-10, dove
la spada, cio il re di Babilonia, compie il giudizio senza poter essere rinfo7. La versione greca ha: egeirou opw stilbh: Lvati, al ne di lampeggiare!. Linser-
zione dellimperativo rende conto della diversit morfologica della terza congiunzione nale
(lemacan) rispetto alle prime due espresse col semplice lamed.
8. Vi un gioco di parole, grazie al doppio signicato della radice bcr = bruciare ed
essere barbaro (cf. anche la versione greca), il primo essendo in connessione con =
fuoco.
9. W. Zimmerli, Ezechiel (BKAT XIII/1), Neukirchen - Vluyn 1969, 483-484.497-499; K.F. Pohlmann, Der Prophet Hesekiel / Ezechiel. Kapitel 20-48 (ATD 22,2), Gttingen 2001,
316-326.
34
M. NOBILE
35
pratica si verica anche nel precedente c. 34, nel quale un oracolo di giudizio contro i pastori dIsraele (vv. 1-10) trapassa in un oracolo salvico
con ampliamenti, che vede prima lo stesso Dio come pastore del suo popolo (vv. 11-22), poi David, posto da Dio a pascolare il suo gregge, sulla
base di una bert lm (vv. 23-25). Sia la rivisitazione redazionale di questoracolo sia quella del c. 35, possono appartenere alla fase nale che ha
impostato la escatologizzazione progressiva del libro. In breve, potremmo
a tutta prima risolvere la questione dellanomalia del c. 35, considerando
questultimo, insieme a 36,1-15, come la forma di un oracolo salvico
la cui positivit prodotta da un oracolo negativo: entrambi gli oracoli
apparterrebbero alla fase escatologica; tuttavia, a motivo del disagio nel
confronto col nostro schema, che considera come un blocco gi concluso
quello degli oracoli contro le nazioni (25-32), mentre in 35 abbiamo ancora
unampia pericope contro un popolo straniero, Edom, vogliamo continuare
a prendere in considerazione tale capitolo. Il fatto meraviglia tanto pi in
quanto nel blocco dei cc. 25-32 vi gi, come abbiamo visto, un oracolo
contro Edom (25,12-14). La motivazione del giudizio contro tale popolo
in pratica la stessa che nel c. 35, dove essa appare molto pi rielaborata,
quasi in modo ripetitivo: la rivalsa di Edom su Giuda, quando questultimo ha subito la catastrofe. In questa visuale il c. 35 appare allora come
una voluta ripresa redazionale di un motivo il cui protagonista reso ora
campione dellinimicizia con Dio. Sarebbe unoperazione che sgancerebbe
Seir-Edom dalla realt storica, per immergerlo in una dimensione mitica.
Unoperazione simile stata compiuta anche tra 29,1-4 e 38,1-4. In un mio
lavoro precedente mettevo in parallelo questi due testi e mostravo come
essi si corrispondessero talora anche verbalmente11:
36
M. NOBILE
Cos dice Dio, il Signore JHWH: Eccomi contro di te, o faraone, re dEgitto,
grande coccodrillo (MynA;tAh) che sta tra i suoi canali e che dice: Miei sono
i canali, io li ho fatti per me. 4 Ecco, metter ganci alle tue mascelle e far
che i pesci dei tuoi canali si attacchino alle tue squame; ti tirer fuori dai tuoi
canali con tutti i pesci dei tuoi canali attaccati alle tue squame.
37
il rapporto con lapocalittica, anche Ph. Abadie, zchiel et lapocalyptique, LV (L) 256
(2002) 63-83.
13. Pohlmann, Der Prophet, 526; cf. anche il suo Ezechielstudien per lesposizione della
sua teoria.
14. Per il suo discepolo, Th.A. Rudnig, invece, la prima redazione coincide con quella
golaorientierte.
15. Pohlmann, Der Prophet, 367.
38
M. NOBILE
22,15-16; 28,25-26; 29,12b.13; 30,23.26; 33,1-20.30-33; 34,1-15.(16.1722) 25-27a.29.30; 36,16-23ba; 39,25-29*. Rileviamo ancora una volta che
minimi sono i ritocchi agli oracoli contro le nazioni.
4) La quarta ed ultima redazione chiamerebbe inne in causa i testi
delle grandi visioni: 1ss; 8-11; 37; 40ss. Questi testi rietterebbero ormai
una concezione apocalittica.
Lanalisi di Pohlmann, magistralmente condotta, di certo funzionale alla sua teoria della duplice redazione intermedia: quella orientata alla
Gol e quella orientata a favore delle concezioni della Diaspora. Noi non
desideriamo occuparci di questo, tuttavia, bisogna almeno rilevare che i cc.
25-32, gli oracoli contro le nazioni, non possono eliminare lidea di essere
un blocco ben distinto nella struttura del libro, come del resto Pohlmann
stesso deve ammettere (p. 365). Essi non possono essere considerati come
dei testi quasi accidentali allinizio di un processo redazionale, bens una
sezione, anche se redazionalmente talora qua e l ritoccata, che invoca una
differente interpretazione del processo. Lo studioso afferma che nora non
ve ne sono state di soddisfacenti, anzi, dice, di schlssige (denitive),
citando F. Fechter (in loco). Credo per che uno studioso non possa pretendere di offrire sempre una risposta denitiva ai problemi che qualsiasi campo
dinvestigazione presenti. Egli deve porre ipotesi, come del resto fa lo stesso
Pohlmann con la sua duplice redazione intermedia. A nostro parere, il blocco
dei cc. 25-32, nella sua attuale costituzione, va connesso con la sezione degli
oracoli di giudizio, con i quali forma nellarco della fase redazionale nale
ununit (seconda parte dello schema tripartito), anche se distinta a mo
di dittico rispetto a quella degli oracoli contro Israele / Giuda. Lo schema
cultuale tripartito da noi proposto, legge nel libro di Ezechiele una struttura
redazionale dinamica di tipo escatologizzante, che si assesta solo alla ne del
percorso, quando cio riceve una impostazione decisamente apocalittica.
In base a questultima affermazione possiamo ora tentare di ricostruire
il processo della formazione nale del libro di Ezechiele.
Tentativo di ricostruzione della redazione nale
Passeremo ora in rassegna in modo sistematico tutti quegli elementi che ci permettano, commentandoli, di rintracciare glinterventi del redattore nale.
Ez 1,1a:
Avvenne nel trentesimo anno, nel quarto mese, il cinque del mese.
39
sizione, Allen afferma di non trovare un fondamento alla relazione tra il libro di Ezechiele
e il probabile terminus a quo del ritrovamento della Legge al tempo di Giosia, e quindi alla
relazione tra il libro di Ezechiele e il suo inquadramento in una cornice calendariale. In realt,
lepisodio di Giosia non cogente per il testo di Ez 1,1, nonostante il Targum, ma plausibile
linterpretazione dei trentanni a partire da un qualche evento, come quello del ritrovamento
della Legge (purtroppo linformazione di Ez mutila!), in forza del quale si pu ipotizzare un
inquadramento redazionale in rapporto a delle scadenze liturgiche (Zimmerli stesso attento
a questo elemento nel suo commentario) che culminano con il capodanno del settimo mese
di un anno giubilare, anno del derr (cf. Lv 25,10). Molti elementi importanti convergono nel
supportare questa interpretazione. Fin dallinizio del libro, nella vocazione del profeta, viene
enunciato questo rapporto tra il messaggio di Ezechiele e la Tor, come insieme di dettami sia
cultuali che istituzionali: la megillat sefer (Ez 2,9) il rotolo che egli ingoia la Tor, perch
dolce come il miele (Ez 3,3; cf. W. Zimmerli, Ezekiel [BKAT 13/1], Neukirchen - Vluyn 1969,
77). La traiettoria del libro di Ezechiele orientata decisamente verso la Tor del tempio, che sar
la ricostituzione in positivo di quanto in negativo andato distrutto a causa della disobbedienza
a quella Tor, che ha provocato lamenti e pianti (2,9). Naturalmente, per aver accesso a questo
tipo dinterpretazione, bisogna abbandonare la pregiudiziale storicista, in base alla quale si
lavora tradizionalmente: la considerazione del personaggio Ezechiele come profeta inviato
da Dio nel tempo dellesilio a esercitare un ministero reale di predicazione moralistica tra gli
esiliati. Se si tralascia questa visuale, si guarder pi facilmente al libro di Ezechiele come ad
unopera sistematica cos come cerchiamo di farla emergere in questo nostro contributo.
40
M. NOBILE
ecc. La presenza di una coloritura redazionale apocalittica spesso rilevata da questo acuto
studioso.
18. J. Lust et al., Notes to the Septuagint Ezekiel 7, EThL 77 (2001) 384-394.
19. M. Konkel, Die zweite Tempelvision Ezechiels (Ez 40-48). Dimensionen eines
Entwurfs, in O. Keel et al. (ed.), Gottesstadt und Gottesgarten, Freiburg i.Br. 2002, 154179; lautore vede un parallelismo tra il dittico Ez 7 (annuncio del disastro) 8-11 (distruzione del tempio) e il dittico 38-39 (vittoria sui popoli) 40-48 (nuovo tempio).
41
42
M. NOBILE
43
razione redazionale nale. La spiegazione che si pu dare che 38-39 siano stati inseriti in
una sequenza della quale facevano gi parte in qualche modo i vv. 21-29.
44
M. NOBILE
Stipuler con essi un patto di pace, un patto eterno vi sar con essi,
li collocher e li moltiplicher27 e porr il mio santuario in mezzo ad essi
in eterno. La mia dimora sar su di essi; sar il loro Dio ed essi saranno
il mio popolo. I popoli sapranno che io sono JHWH, che santica Israele
con lessere il mio santuario in mezzo ad essi per sempre.
Mos: J.D. Levenson, Theology of the program of restoration of Ezekiel 40-48, Missoula
MT 1976; R. Levitt Kohn, Ezekiel, the Exile and the Torah, SBL.SPS 38 (1999) 501-526;
Idem, A prophet like Moses. Rethinking Ezekiels relationship to the Torah, ZAW 114
(2002) 236-254.
45
la chiusura del cerchio operata dal nuovo Eden, secondo una composizione di stampo apocalittico.
I tre brevi brani narrativi hanno la funzione composizionale, simile a
quella che si ritrova nel pentateuco-esateuco, dimbrigliare e sistemare la
Tor del tempio (43,12), accompagnata anche dalla delimitazione dei
conni e dalla distribuzione della Terra (Ez 47-48>Gs). A questo proposito,
lapporto di vari gruppi sacerdotali nelleditare il codice di leggi denitivo
di 40-48 si pu anche discutere, ma eviterei la frammentariet eccessiva
del Rudnig. Il Konkel ha gi rimpicciolite le differenze, ma io aggiungerei
ancora che esse possono essere viste tutte insieme come unopera unitaria
di assemblamento, tipico del periodo di sistemazione delle Scritture, cio
gli ultimi secoli prima di Cristo.
Lordine didee di questultima parte del libro di Ezechiele rende conto
della vicinanza oltre che ideologica anche temporale di quella tradizione da
esso creata e attestata nella letteratura tardogiudaica e di Qumran, in opere
come Il rotolo del tempio (11QTemple) e la Nuova Gerusalemme (1Q32,
2Q24, 4QNJ, 5Q15, 11QNJ, tutti frammenti aramaici)30.
Conclusione
A questo punto del nostro contributo ci si pu chiedere in modo ancor pi
diretto: che ne dello schema cultuale di fondazione? Lo schema, dopo
questa disamina, non viene intaccato per nulla nella sua idea di fondo antropologica circa il bisogno di (auto)fondazione che luomo di sempre si
porta con s n dalla nascita. La trasposizione del modello tripartito nel
libro di Ezechiele, viene confermata proprio dalla originalit delluso che
ne fa (consapevolmente o no) il redattore nale.
La novit comportata da questo nostro lavoro consiste nel considerare la redazione nale come unoperazione unitaria dilatata nel tempo e
che pu essere descritta come un processo rapido e progressivo di escatologizzazione sfociato in una composizione di chiara marca apocalittica.
30. F. Garca Martnez, The New Jerusalem and the future temple of the manuscripts
from Qumran, in Idem (ed.), Qumran and Apocalyptic. Studies on the aramaic texts from
Qumran, Leiden 1992, 180-213; M. Nobile, La Nuova Gerusalemme in un documento
di Qumran e in Apocalisse 21. Genesi di una teologia, in L. Padovese (ed.), Atti del VI
Simposio di Efeso su S. Giovanni apostolo (Ist. Spirit. Franc. PUA), Roma 1996, 163-171;
Idem, Sar per essi un tempio per poco tempo. Da Ezechiele allApocalisse: il tragitto
di unidea, in E. Bosetti - A. Colacrai (ed.), Apokalypsis. Percorsi nellApocalisse di Giovanni, in onore di Ugo Vanni, Assisi 2005, 127-146.
46
M. NOBILE
difcile rendere conto nei dettagli dellapporto nel tempo di coloro che
hanno lavorato alla stesura nale. Possiamo farlo solo con gli elementi pi
evidenti.
1) La visionariet che n dal c. 1 pervade il libro conferendogli laspetto
di una di quelle opere tardo-giudaiche succitate.
2) La data di Ez 1,1, il trentesimo anno, che pur svolazzando come
frammento mutilo, rende conto del grande progetto nale dellopera, a
fronte di operazioni editoriali similari.
3) I ritocchi che qua e l hanno permesso lorientamento generale del
libro: 21,35-37; i ritocchi allinterno dei cc. 25-32, con il rilievo dato
a Tiro e allEgitto; il c. 35, che ha trasgurato limmagine di Edom (si
pu discutere sul personaggio o popolo che pu esservi dietro, tenendo
conto del periodo storico: III-II sec. a.C.). Alla stessa fase nale, ma
immediatamente prima, appartiene la delimitazione della seconda fase
dello schema: 3,26-27; 29,21; 33,22.
4) Linserzione e lo sviluppo pieno dei cc. 38-39, che hanno operato la
dilatazione dei tempi dello schema e la dilazione conseguente della
parte nale della terza fase, quella della ri-fondazione del tempio e di
tutte le istituzioni.
5) Linserzione di 37,1-10, la sua collocazione dopo 38-39 e laggiustamento redazionale con quegli oracoli della rinascita del popolo dIsraele
che dovevano essere degli oracoli salvici gi esistenti. Ora, la resurrezione riguarda un evento escatologico che inaugura e si fonde con
il nuovo eone, fatto cadere nel Capodanno di un anno giubilare: una
formulazione liturgico-cultuale per dare il senso profondo della nuova
realt, rifondata e ri-creata.
Marco Nobile
Ponticia Universit Antonianum, Roma
A. Mello
segnala un certo ordine cronologico nei titoli dei Salmi, ma a prezzo di qualche forzatura.
Una ossservazione analoga vale anche per M.D. Goulder, The Prayers of David (Psalms
5172) (JSOT SS 102), Shefeld 1990, che si limita alla seconda raccolta davidica, interpretata come se fosse una liturgia a carattere storico.
2. S. Buber (ed.), Midrash Tehillim, Vilna 1891 (Gerusalemme 1977), p. 33, sul Sal 3,1.
LA 56 (2006) 47-70
48
A. MELLO
che tiene doverosamente conto anche degli autori antichi, ebrei e cristiani, offerta ora da
49
1. Consequentia
Tutta lesegesi dei Salmi del Novecento, a partire dai due grandi nomi di
Hermann Gunkel e di Sigmund Mowinckel, si fondata sullipotesi che il
Salterio fosse un testo liturgico, linnario del secondo tempio, evidentemente adatto alluso nel culto, ma sprovvisto di un ordine letterario proprio.
Quindi non si cercava di considerare il Salterio come un insieme ordinato,
coerente, ma si analizzavano i salmi uno per uno, come rappresentanti di
un certo genere o di un certo uso cultuale. Linteresse esegetico, oggi,
molto cambiato: pi che storico-archeologico, diventato letterario. Non
si cerca pi il posto dei salmi nella vita o nel culto dIsraele, si dubita
anzi che questo obiettivo sia raggiungibile, ma ci si limita ad osservare
qual il loro posto nel libro, la loro funzione letteraria, che se non altro
un dato oggettivo, non ipotetico. Questo vero per tutta lesegesi biblica:
a partire allincirca dagli anni ottanta del Novecento sono invalsi, dopo i
metodi diacronici, altri metodi pi sincronici. Ma per il Salterio il cambio
di prospettiva ancora pi radicale: i singoli salmi non sono pi delle unit
a s stanti, ma diventano parte di un tutto e, per esprimerci con le parole di
uno dei protagonisti di questo cambiamento, la forma nale, contestuale,
del Salterio, conferisce alle singole parti di cui composto un signicato
maggiore che non la loro somma6. Quindi la forma canonica del Salterio
non la semplice addizione di un salmo allaltro: una unit, che poi il
criterio della sua stessa ispirazione.
Tuttavia, questo nuovo orientamento nellesegesi dei Salmi non un
fatto completamente inedito: , anzi, un ritorno a metodi antichi, del passato, dellesegesi premoderna. Prima di considerare i cambiamenti esegetici, utile riesaminare luso liturgico, ebraico e cristiano, in Oriente e in
Occidente7. Luso monastico antico, dei nostri santi Padri (RB 18,15) era
di recitare tutto il Salterio di la in un giorno (richiede dalle quattro alle
cinque ore). Questo per gli anacoreti era il canone, la norma da seguire, e
tra laltro lo recitavano a memoria, dallinizio alla ne. I cenobiti seguivano
un uso diverso. Con un numero variabile di sinassi o preghiere comuni, il
canone diventa quello di recitare lintero Salterio in una settimana. La
Regula Benedicti prevede ancora questo canone, ma la recita non pi conD. Scaiola, Una cosa ha detto Dio, due ne ho udite. Fenomeni di composizione appaiata
nel Salterio Masoretico, Roma 2002, 95-166.
6. J.C. McCann, The Shape and Shaping of the Psalter (JSOT SS 159), Shefeld 1993, 7.
7. Come fa B. Standaert, Alla scuola dei Salmi, con parole e oltre ogni parola, Milano 2002,
57-65. Ma uno studio pi esauriente penso che resti da fare.
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Beato: 1,1 e 2,12 (ne); perdere la via: 1,6 e 2,12; mormorare: 1,2 e 2,1
Monte del mio (suo) santuario: 2,6 e 3,5
Coricarsi e addormentarsi: 3,6 e 4,9 (ne)
Perch tu Jhwh: 4,9 e 5,13 (in ne)
Tutti gli operatori di iniquit: 5,6 e 6,9
Nella tua ira: 6,2 e 7,7; i miei avversari: 6,8 e 7,7
Cantare il Nome di Jhwh Altissimo: 7,18 (ne) e 9,3 (8,2)
9. Il metodo della concatenatio fra salmi contigui stato poi afnato anche da altri autori,
per esempio da G. Barbiero, Das erste Psalmenbuch als Einheit (BS 16), Frankfurt a.M.
1999. Ma la moltiplicazione degli indizi che si possono rinvenire rischia di rendere meno
perspicue le connessioni essenziali messe in luce da Delitzsch, che certamente sono perfettibili, ma non pi di tanto.
10. Ringrazio Giovanni Boer per avermi reso disponibile lopera di Delitzsch, altrimenti
non reperibile nelle biblioteche di Gerusalemme. La Tabula connexionis singulorum psalmorum di questo autore (pp. 46-69 dellopera citata) viene qui tradotta e riportata con poche
modiche di dettaglio.
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43-44 Stessa radice in 43,5 e in 44,26 (aderire alla polvere); respingere: 43,2
e 44,10
46,5 e 47,3
46-48 Citt di Dio: 46,5 e 48,2.9; rifugio: 46,12 e 48,4; Jhwh zevaot: 46,8 e
47-48
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48,9
Molto esaltato / lodabile: 47,10 (ne) e 48,2 (inizio)
Tutti i popoli: 47,2 (inizio) e 49,2 (inizio)
Ascolta(te): 49,1 e 50,7
Sacrici di grazie: 50,14.23 e 51,19
Quando venne: 51,2 e 52,2 (titolo; vedi anche 54,2)
Non porre Dio come rifugio: 52,9 e 54,5; il tuo Nome che buono:
52,11 e 54,8
Ascolta la mia preghiera: 54,4 e 55,2
Colomba, lontano: 55,7.8 e 56,1 (titolo)
Piet di me (piet di me): 56,2 e 57,2 (sempre allinizio)
Leoni, denti, spade: 57,5; 58,7 e 59,8; svegliati: 57,9 e 59,5; canter:
57,10 e 59,18
Rifugio (aiuto) nellangoscia: 59,17; 60,13 e 61,4
Sei stato un rifugio (aiuto) per me (noi): 61,4; 62,9 e 63,8
Si rallegra il giusto (il re), si autoloda: 63,12 e 64,11 (in ne)
Si autolodano / esultano: 64,11 e 65,14 (ne)
Pagare i voti: 65,2 e 66,13
Benedetto Dio: 66,20; 67,8 e 68,36 (in ne). Terribile Dio: 66,5 e 68,36
Abitare sulla terra: 68,11 e 69,36-37 (ne)
Io sono povero e afitto: 69,30 e 70,6 (ne)
Affrettati a soccorrermi: 70,2.6 e 71,12; si vergognino e arrossiscano
quanti cercano la mia vita: 70,3 e 71,13.24 (ne). il ritornello di un
unico salmo?
La tua giustizia: 71,2.15.16.19. 24 (ne) e 72,1
Con il Sal 72 niscono le preghiere di David: non c coesione con il
Sal 73
Voce rara: sciagure (73,18 e 74,3); santuario: 73,17 e 74,7
Vicino: 73,28 (ne) e 75,2 (inizio); dallalto: 73,8 e 75,6; raccontare:
73,28 e 75,2
Il tuo Nome: 74,21 e 75,2
Dio di Giacobbe: 75,10 e 76,7; tutti gli empi / umili della terra: 75,9 e
76,10
Dio grande: 76,2 e 77,14; terremoto: 76,9 e 77,19
Porgere lorecchio: 77,2 e 78,1 (inizio); pascere: 77,21 e 78,72 (ne)
Eredit: 78,71 e 79,1 (ne e inizio)
Gregge: 79,13 e 80,2 (ne e inizio); dileggio: 79,4 e 80,7
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3. Il dis-ordine di Qumran
Tuttavia il punto di svolta, nella ricerca moderna sui Salmi, venuto da
Qumran, per il semplice fatto che a Qumran si sono trovati dei manoscritti
del Salterio di mille anni pi antichi di quelli masoretici, i quali presentano delle varianti signicative rispetto al Salterio canonico. Soprattutto,
presentano un ordine diverso, e allora si pone il problema di sapere quale
sia lordine originario del Salterio, e quale tradizione lo rispetti meglio:
se il Salterio masoretico o il Salterio di Qumran11. A Qumran, per essere
11. Riguardo al Salterio di Qumran, lo studio pi aggiornato di P.W. Flint, The Dead Sea
Psalms Scrolls and the Book of Psalms (StTDJ 17), Leiden 1997, i cui risultati sono riassunti
in The Book of Psalms in the Light of the Dead Sea Scrolls, VT 48 (1998) 453-472.
56
A. MELLO
(3 mss), la quarta (23 mss) e lundicesima (6 mss), pi altre grotte minori, a cui bisogna
aggiungere i due rotoli ritrovati a Massada e quello di Nachal Chever.
57
58
A. MELLO
59
Sal
Sal
Sal
Sal
Inoltre facile notare che con una beatitudine inizia lintero Salterio:
Beato luomo (Sal 1,1); e che la stessa beatitudine ripetuta, amplicata,
alla ne del salmo seguente: Beati quelli che si rifugiano in lui (Sal 2,12).
15. Ci sono anche altre dossologie nel Salterio, ma non hanno questa forma caratteristica:
60
A. MELLO
gli studi pi recenti: Scaiola, Una cosa ha detto Dio, due ne ho udite, 352-373; J.-M.
Auwers, Les voies de lexgse canonique du Psautier, in J.-M. Auwers - H.J. Delonge
(ed.), The Biblical Canons (BETL 163), Leuven 2003, 5-26; A. Wnin, Le psaume 1 et
lencadrement du livre des louanges, in P. Bovati - R. Meynet (ed.), Ouvrir les critures.
Fs Paul Beauchamp, Paris 1995, 151-176.
19. Ho cercato di sviluppare lintuizione seminale di J. Goldingay, The Dynamic Cycle of
Praise and Prayer in the Psalms, JSOT 20 (1981) 85-90, nella mia introduzione al Salterio:
61
Larpa a dieci corde, Bose 1998. Parlare di un ciclo o di un cerchio pu dar luogo
a unimpressione di ripetitivit. Infatti W. Brueggemann, Response to John Goldingays
Dynamic Cycle of Praise and Prayer, JSOT 22 (1982) 141-142 suggerisce il termine spirale, proprio per indicare che non si ritorna mai semplicemente al punto di partenza.
20. N.H. Snaith, The Triennial Cycle and the Psalter, ZAW 33 (1913) 302-307, ha cercato
di stabilire un parallelo tra i centocinquanta Salmi e le pericopi liturgiche del ciclo triennale
di lettura della Tor, ma i risultati cui approdano sia lui che altri autori non sono veramente
convincenti.
21. R. Beckwith, The Early History of the Psalter, Tyndale Bulletin 46 (1995) 1-27.
22. Vedi gi le osservazioni stilistiche sul parallelismo Jhwh / Elohim o viceversa in R.G.
Boling, Synonimous Parallelism in the Psalms, JSS 5 (1960), in particolare alle pp.
244-248.
62
A. MELLO
A questo punto, egli osserva ancora che, nei primi due libri (Sal 189),
i Salmi hanno quasi sempre un autore (David o i Leviti): solo 8 sono anonimi. Invece nel terzo libro (Sal 90150) la maggioranza dei salmi sono
anonimi (42 su 61), salvo alcuni che sono di nuovo davidici. Gracamente,
possiamo rappresentarlo in questo modo:
I. Sal 141: Salmi davidici;
II. Sal 4289: Salmi levitici - davidici - levitici;
III. Sal 90150: Salmi anonimi - davidici - anonimi.
chiaro che il terzo libro , editorialmente, quello pi recente, e che
i primi due libri hanno avuto una redazione antica ma indipendente, come
risulta dal diverso uso dei nomi divini. Il punto, per, non ancora questo.
Quale che sia lorigine o la preistoria di ogni libro del Salterio, la divisione
in tre parti, anzich cinque, permette una migliore individuazione di tutta
la sua struttura interna. Infatti, il libro mediano, elohista, si trova diviso,
come gi indicato, in tre parti perfettamente concentriche (del tipo: A-BC-B-A):
a) Sal 4250: di Core, di Asaf;
b) Sal 5172: di David;
c) Sal 7389: di Asaf, di Core.
In questa prospettiva, ciascuna delle tre articolazioni principali del Salterio presenta una raccolta davidica, e la seconda raccolta davidica (Sal
5172) viene ad accupare il posto centrale di tutto il libro dei Salmi. Perci, per individuare lorganizzazione del Salterio, non abbiamo soltanto un
inizio e una ne, un impianto canonico, ma una struttura interna che pone
in assoluto rilievo la raccolta davidica centrale.
23. Queste statistiche, dedotte dalla tavola di Delitzsch, Symbolae, 2-3, sono approssimative,
63
7. Autorit davidica
La maggior parte dei Salmi una preghiera (di supplica, di lode, ecc.) alla
prima persona singolare. pi raro che la voce dei Salmi sia alla prima
persona plurale. Tanto per fare un esempio molto elementare, nel Salterio
si parla molto spesso di miei nemici (trenta volte) e quasi mai di nostri
nemici (una sola volta). Ma non dobbiamo credere, per questo, che dire
Io sia pi individualistico che dire Noi. Al contrario: la prima persona
singolare ha un aspetto sintetico, corporativo; mentre la prima persona plurale esprime s una totalit, ma come somma di unit indipendenti. Quindi,
delle due prospettive, la pi originaria lIo, non il Noi, e di fatto tutte
le preghiere antiche, per esempio quelle mesopotamiche, sono alla prima
persona singolare.
La met circa dei Salmi, 73 su 150, nel TM attribuita a David24. Per
lantichit, questa attribuzione del Salterio a David non faceva la minima
difcolt. Era perfettamente congruente con quello che si sapeva di questo
re musicista dagli altri libri biblici: suona la cetra (1Sam 16,16); il
soave cantore dIsraele (lett. soave nei salmi dIsraele: 2Sam 23,1):
signica che un compositore di salmi e secondo 1Cr 16,7 David istituisce
i cantori del tempio. Il colofon del Sal 72,20 recita: Sono nite le preghiere di David glio di Isai: quali che siano queste preghiere (probabilmente
la raccolta centrale: Sal 5172), vuol dire che esistevano delle preghiere
davidiche.
I titoli biograci sono midrashici, come sostiene Childs25, e risalgono
al tempo del Cronista. Riettono, come si dice, una tendenza davidizzante. Tuttavia, lattribuzione davidica non lhanno inventata loro, e questi
titoli biograci non sono neanche moltissimi (sono appena tredici: Sal 3, 7,
18, 34, 51, 52, 54, 56, 57, 59, 60, 63, 142). Notiamo che, ad eccezione del
Sal 18, questi titoli non sono celebrativi: si riferiscono quasi interamente
a quando David era fuggiasco nel deserto o inseguito da Saul. Tutti questi
dati, presi insieme, indicano che il carattere davidico del Salterio non
privo di fondamento, anzi molto forte.
24. Nei Lxx, i salmi attribuiti a David diventano addirittura 84, e in pi si aggiunge un altro
salmo, autografo di David ma fuori dal numero, che racconta la sua vittoria su Golia ed
un po come la rma dellintera raccolta.
25. B.S. Childs, Psalm Titles and Midrashic Exegesis, JSS 16 (1971) 137-150. Vedi anche
E. Slomovic, Formation of historical Titles in the Book of Psalms, ZAW 91 (1979) 350380. I Lxx aggiungono altri quattro titoli biograci: si vede che, nel II sec., la tendenza
midrashica era ancora attiva.
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- J. Vermeylen (ed.), Figures de David travers la Bible (LD 177), Paris 1999, 187-224.
27. Per lesegesi patristica del Salterio rimane tuttora indispensabile la ricerca di M.-J.
Rondeau, Les Commentaires patristiques du Psautier (IIIe-Ve sicles). I: Les travaux des
Pres Grecs et Latins sur le Psautier; II: Exgse prosopologique et thologie (OrChrAn
219-220), Roma 1982-1985.
28. recentissima la traduzione italiana del commento ai Salmi di Ilario, a cura di A. Orazzo: Ilario di Poitiers, Commento ai Salmi. I (191); II (118); III (119150) (Testi Patristici
185-186-187), Roma 2005-2006. Bench incompleto, questo commento fondamentale,
perch si ispira allesegesi di Origene, il cui commento al Salterio si conserva solo in traduzioni latine frammentarie; e presenta unermeneutica diversa da quella di Agostino, ma
non meno interessante.
65
66
A. MELLO
Testament (WMANT 51), Neukirchen - Vluyn 1980; e, dello stesso autore, la Introduction
to Cultic Poetry, in Psalms I (FOTL 14), Grand Rapids MI 1988.
32. S. Mowinckel, I and We in the Psalms: the Royal Psalms, in The Psalms in Israels
Worship, Oxford 1962 (Shefeld 1992), I, pp. 42-80. Mowinckel, per questa sua intuizione,
debitore al suo allievo Harold Birkeland, il quale aveva suggerito che i nemici del Salmista possono essere degli avversari politici e militari (Die Feinde des Individuums in der
Israelitischen Psalmenliteratur, Oslo 1933).
33. J.H. Eaton, Kingship and the Psalms, London 1976 (Shefeld 1986). Nello stesso senso,
pur con qualche riserva, S.J. Croft, The Identity of the Individual in the Psalms, Shefeld
1987 e adesso, ancor pi risolutamente, E. Cortese, La preghiera del Re. Formazione, redazione e teologia dei Salmi di David (Suppl. RivBibl 43), Bologna 2004.
67
salmi con contenuto chiaramente regale sono poco meno di una cinquantina, ossia trentotto in pi rispetto ai soliti undici di Gunkel che si citano
ancora oggi nei manuali. In altre parole, il soggetto normale del Salterio
il Re: naturalmente, esistono anche altri salmi, cultuali, sapienziali, ma
il protagonista principale del Salterio (circa 1/3) lIo regale. Questo signica che quelle che, al seguito di Gunkel, ancora adesso si continuano a
chiamare suppliche individuali, in realt sono dei salmi regali: inversione
di tendenza che non stata ancora completamente recepita in ambito esegetico, e tanto meno teologico.
9. Un rovesciamento di prospettiva
Invece, nella misura in cui si recepisce questa proposta esegetica, importanti conseguenze sembrano derivare anche sul piano propriamente teologico.
Non solo perch la connotazione regale del Salterio viene ad avvalorare
le letture tradizionali, sia quella ebraica o davidica, sia quella cristiana o
messianica, e a porsi in continuit ermeneutica con esse. Ma, di pi, perch
lIo regale diventa un soggetto capace di conferire unit teologica allintero
libro dei Salmi. Essa ha dunque qualcosa da insegnare circa lordine stesso
del Salterio.
In un contributo precedente, ho inventariato il lessico proprio del Salterio34. Questo mi dava, come primo risultato, di poterlo riassumere in quattro
ambiti concettuali o campi semantici che coincidono quasi perfettamente
con i quattro stili salmici stabiliti da Goldingay: a) afizione (lamento); b)
supplica; c) soccorso (ringraziamento); d) lode. Ora, la maggior parte dei
lemmi inventariati sulla base della loro frequenza statistica nel Salterio, non
appartiene ad un linguaggio sapienziale, e tanto meno sacerdotale, ma piuttosto storico-profetico. Per non fare che un solo esempio, il vocabolario della
supplica ha il suo background nella prassi giudiziaria regale. Senza riprendere in mano lintero dossier, mi limito a segnalare due endiadi salmiche che
sono, al tempo stesso, profondamente rivelatrici di unideologia regale.
Gi Henry Cazelles aveva messo a fuoco il radicamento regale del
binomio mishpat u-zedaq (giudizio e giustizia) in tutto lantico oriente,
dove queste due realt, garanti dellordine e del benessere sociali, vengono perno divinizzate35. Nei Salmi, si nota la preferenza per il maschile
34. A. Mello, Lessico del Salterio, LA 54 (2004) 25-52.
35. H. Cazelles, De lidologie royale (mishpat et zedaq), JANES 5 (1973) 59-73.
68
A. MELLO
astratto zedeq, e linversione dei termini: zedeq u-mishpat. Ma, per segnalare lincidenza di queste due prerogative regali nel Salterio, baster leggere la descrizione ideale del futuro Re o del glio di David, allinizio
del Sal 72.
Laltra endiadi, ancora pi frequente, chesed we-emet (amore e
fedelt), che un tempo si riconnetteva alla teologia del patto, ma oggi
sempre pi si restituisce a quelle che si chiamano le benevolenze fedeli
fatte a David (Is 55,3). Chesed, amore, grazia, benevolenza, proprio
nel senso privilegiato che Dio ha manifestato a David e ai suoi discendenti36, con o senza la sua specicazione di permanenza, di stabilit,
veramente il centro teologico del Salterio, il suo lo conduttore37. Direi
che a partire da questesperienza di un amore gratuito eppure fedele,
che si costituisce lordine interiore del Salterio, il suo tessuto ideale, dalla
supplica alla lode.
Una cosa dire che lamore e la giustizia testimoniati dal Salterio sono
esperienze private; altra cosa riconoscerle come prerogative dellUnto
dIsraele che poi, in qualche modo, sono accessibili a tutti. Una cosa
dire, per esempio, che il Sal 8 parla di ogni uomo in quanto signore della
creazione, in una prospettiva anacronisticamente democratica; altra cosa
pensare che si tratta proprio del Re, che solo estensivamente diventa anche
il modello di ogni esistenza umana. Non di democratizzazione dellideale
messianico si dovrebbe parlare, bens di regalizzazione del singolo individuo, come scrive Cortese: Lipotizzata democratizzazione di questa
teologia accettabile solo nel senso che i fedeli diventano partecipi della
regalit; non nel senso che al re e alla teologia regale e messianica si sostituisce lidea democratica e il comune fedele38. Certo, anche il Re un
uomo come gli altri, soggetto alla morte come tutti (vedi la riscrittura del
Sal 8 nel Sal 144), ma il suo essere poco meno di Elohim segnala una
vocazione messianica, non un destino comune. SantAgostino ha risolto il
problema con la sua dottrina del Christus totus o integer, del Cristo totale
nel capo e nelle membra, che in fondo anchessa unipotesi corporativa
come quella regale. Ma forse questa unit divino-umana un segreto del
Salterio che noi stessi non abbiamo ancora nito di scoprire.
69
Che il Salterio sia uno specchio dellanima, in base al quale riconoscere se stessi e correggere le proprie mancanze, penso che sia un dato
avvertito da ogni suo lettore, antico e moderno. Ma Atanasio sembra ag39. Atanasio di Alessandria, Linterpretazione dei Salmi. Ad Marcellinum in interpretatio-
70
A. MELLO
giungere che questa presa di coscienza, questa immedesimazione psicologica, conosce una progressione, segue un certo ordine. Subito dopo, infatti,
egli procede a una esposizione del Salterio salmo dopo salmo, secondo il
suo ordine canonico. Senza esplicitarlo neppure pi di tanto, egli vede in
questo ordine proprio del Salterio il modo in cui esso ci educa a ritrovare
noi stessi, come se questa akolouqia, questa consequentia testuale producesse realmente una sequela Christi: Poich dunque i Salmi sono disposti
in questordine, in ciascuno possibile trovare, come gi dicevo, i sentimenti e gli stati interiori della propria anima42 e di conseguenza plasmare
il nostro Io personale su quello che ispira il libro dei Salmi.
Alberto Mello
Comunit di Bose, Jerusalem
OSEA 1-3
COMPOSIZIONE E SENSO
A. Niccacci
e un po moderni: C.F. Keil, Minor Prophets. Two Volumes in One, vol. I, Grand Rapids
1980; F.I. Andersen - D.N. Freedman, Hosea. A New Translation with Introduction, and
Commentary, New York 1980; D. Stuart, Hosea Jonah, Waco TX 1987; A.J. Rosenberg,
Mikraoth Gedoloth: The Twelve Prophets. Vol. 1: A New English Translation. Translation of
Text, Rashi and Commentary, New York 1991; A.A. Macintosh, A Critical and Exegetical
Commentary on Hosea, Edinburgh 1997.
2. Gli interpreti in genere suppongono delle aggiunte giudaiche, introdotte quando lopera
di Osea raggiunse la Giudea, e anche glosse esiliche e post-esiliche. Si vedano ad esempio
Andersen - Freedman, 68-76, Macintosh, lxx-lxxiv, e W. Gisin, Hosea. Ein literarisches
Netzwerk beweist seine Authentizitt, Berlin - Wien 2002, 11-18. Questultimo autore
tra i pochi che ritengono che il testo di Osea, nonostante le difcolt riconosciute da
tutti, sia trasmesso in modo sostanzialmente corretto (ibid., 19-35) e che le due parti
principali del libro (cc. 1-3 e 4-14), sulla base del vocabolario e dello stile caratteristico,
siano da attribuire ad un unico autore, compresa lintestazione (ibid., 289-294). Quanto
alla redazione del libro, Gisin la pone tra il 728 (pi o meno allinizio del regno di
Ezechia) e il 725 (prima della caduta di Samaria, che il profeta annuncia come futura;
ibid., 294-296). Per parte mia, pur concordando in vari punti con Gisin, penso che la
data della redazione vada estesa per tener conto dellallusione allesilio giudaico dellVIII
sec. (cf. infra, 6).
3. Mi baser nella mia Sintassi del verbo nella prosa biblica classica, Jerusalem 1986
(meglio nelledizione inglese aumentata e corretta, Shefeld 1990, o spagnola, 2 ed., Estella
[Navarra] 2002, ambedue con la medesima numerazione dei paragra).
LA 56 (2006) 71-104
72
A. NICCACCI
1. Os 1-3 in sinossi
Si notano due comandi di Dio a Osea espressamente legati tra loro dal
punto di vista letterario: Mynwnz tRvEa KVl_jq JKEl (1,2) // tAbUhSa hDvIa_bAhTa JKEl dwo
tRpDanVmw Aor (3,1)4. Questo fatto stabilisce un parallelismo tra i cc. 1 e 3. Il
c. 1 comprende tre unit (1,2-5; 1,6-7; 1,8-9), che hanno uno svolgimento
analogo: comando di Dio al profeta di sposare una donna biasimevole,
esecuzione del comando, concepimento e parto di un glio o glia, comando di Dio di dare un nome simbolico al glio o glia accompagnato
da una motivazione che lo spiega. La prima unit presenta, rispetto alle due
seguenti, un elemento in pi, e cio 1,5, che contiene uno sviluppo della
motivazione del nome (cf. 1,4) introdotto con awhAh MwyA;b hyDhw.
Il c. 3 segue inizialmente lo svolgimento delle tre unit del c. 1: comando, esecuzione (3,1-2). Ma il resto diverso; contiene una richiesta del
profeta alla moglie di astenersi da ogni rapporto e la sua promessa a fare
lo stesso verso di lei (3,3), per cui ci che segue non il concepimento,
parto e assegnazione del nome, come nel c. 1, ma una motivazione legata
allordine di astenersi (3,4-5).
Inserito in mezzo ai cc. 1 e 3, il c. 2 non presenta alcun elemento di
quelli che i due capitoli hanno in comune ma si notano legami signicativi
con ambedue: da un lato, il c. 2 riprende lo sviluppo di 1,5 utilizzando una
formula simile con hyDhw (2,1); dallaltro, richiama il c. 3 nella parte in cui
esso differisce dal c. 1, nel senso che le privazioni che Dio impone a Israele
sua Sposa (2,8-17) ricordano la richiesta del profeta alla moglie di astenersi
(3,3-4) e anche il risultato analogo (2,18-25 // 3,5).
In questo modo il c. 2 continua la terza parte del c. 1 (1,8-9), in quanto
hyDhw indica appunto continuazione, nonostante il passaggio brusco da condanna a promessa di restaurazione (cf. infra, 3 e nota 28). Nello stesso
tempo il c. 2 serve da modello allo svolgimento della seconda parte del
c. 3 (3,3-5), che nella sua parte iniziale (3,1-2) simile a c. 1 (comando di
sposare una certa donna, esecuzione).
Questo intreccio letterario e tematico si chiarir, spero, nei paragra
successivi con il confronto dei testi e sar quindi valutato dal punto di vista
dellinterpretazione.
Su questa base, il testo di Os 1-3, dopo lintestazione (1,1), pu essere
disposto in sinossi, come qui di seguito. Siccome il c. 2 ha uno svolgimento
verbo iniziale
rRmayw invece che con limperativo che segue (cf. nota 8).
dwo con il
73
pi ampio e in parte diverso rispetto a quello dei cc. 1 e 3, riporto qui solo
i passi in cui esso presenta paralleli con gli altri due. Il testo completo del
c. 2 sar esaminato a parte pi avanti, allo scopo di chiarire la sua composizione e la sua funzione ( 4)5.
hdwhy yEkVlAm hDyIqzIjy zDjDa MDtwy hDyzUo yEmyI;b y$rEaV;b_NR;b AoEvwh_lRa hGyDh rRvSa hDwhy_rAb;d 1,1
:l`EarVcy JKRlRm vDawy_NR;b MDoVbry yEmyIbw
1,1
Parola del Signore che venne a Osea glio di Beeri al tempo di Iotam, Ahaz, Ezechia,
re di Giuda,
e al tempo di Geroboamo glio di Ioash, re di Israele6.
(Ib)
(Ic)
due parti, agganciando i primi versetti al c. 1 (a parte il titolo 1,1): 1,2-2,3; 2,4-25. Tale
divisione per non mi sembra giusticata. Da un lato limperativo wbyr del v. 4 parallelo
a wrVmIa del v. 3, il che signica che, una volta rassicurato il resto dei loro fratelli, il gruppo
dei Figli deve farsi portavoce del Signore e richiamare la Madre Israele a conversione;
non vedo perci nessun abrupt change of mood between v 3 and v 4, pace Andersen
- Freedman, 217. Daltro lato, il nome Izreel ricorre come simbolo di salvezza sia nel
v. 2 che nei vv. 24-25. Inoltre il c. 2 collegato al c. 1 mediante hyDhw, un weqatal che
indica collegamento anche se il contenuto di segno opposto (passaggio da condanna a
promesse di salvezza; cf. nota 28), e la sua composizione appare non solo unitaria ma
anche legata a quella dei cc. 1 e 3 (cf. 4). Da parte sua E. Ben Zvi, Hosea, Grand Rapids
- Cambridge 2005, pur riconoscendo che 2,4 legato a 2,3, adotta anche lui la divisione
comune, 1,2-2,3 e 2,4-25, ritenendo che il passaggio dagli appelli di segno positivo verso
i Fratelli e le Sorelle a quello negativo verso la Madre dees the familiar expectations of
the readers (p. 63). Inoltre, nellimpostazione generale della sua ricerca, Ben Zvi afferma
ripetutamente che ogni libro profetico presenta segnali letterari che invitano i lettori a
leggere e rileggere il testo; contiene cio literary units that show textually inscribed,
discursive markers that were likely to suggest to its intended and primary readership that
they were supposed or at least invited to read and reread these sections as cohesive
subunits within the frame of a prophetic book as a whole (p. 7). Nel caso specico di
Os 1-3, Ben Zvi propone: 1. First Reading 1:2-2:3; 2. Second Reading 2:3-25; 3. Third
Reading 3:1-5 (p. 4), il che pu essere visto come un modo di aggirare, piuttosto che
tentare di risolvere, i problemi di una lettura complessiva dei cc. 1-3. Questa impressione
diventa pi chiara leggendo M.W. Mitchell, Hosea 1-2 and the Search for Unity, JSOT
29 (2004) 115-127. Lautore vede nei nomi composti con la negazione al (cf. infra, nota
14) un elemento che unica i cc. 1-2, ma poi conclude: Chapters 1-2 are certainly a
preface to the book as a whole, but a disordered and jumbled preface to a work of disorder and ambiguity (p. 127).
6. Sul fatto che qui si nominano tre re di Giuda mentre per Israele si nomina solo Geroboamo II, si veda la nota 86.
74
A. NICCACCI
amata da un altro e
adultera,
29
28 E avvenne che nel giorno in cui il Signore parl a Mos nella terra dEgitto, 29 il
Signor parl a Mos dicendo. Questo testo diverso da Os 1,2 per il fatto che comincia
con un wayyiqtol e quindi unito a ci che precede, mentre Os 1,2 comincia con un nome
e costituisce linizio assoluto del libro. Da questo punto di vista, Os 1,2 simile a Gen
1,1: MyIhlTa arD;b tyIvarV;b, lett. allinizio di Dio-cre; cf. A. Niccacci, Lettura sintattica
della prosa ebraico-biblica. Principi e applicazioni, Jerusalem 1991, 30-31. Es 6,28-29
simile a Os 1,2 per tre aspetti: primo, ambedue presentano uno stato costrutto con un
sostantivo che regge un verbo nito con il suo soggetto, che funge da nomen rectum, rispettivamente hwhy rR;b;d MwyV;b, lett. nel giorno di Dio-parl, e hwhy_rR;b;d tA;lIjV;t, lett. inizio
di il-Signore-parl; secondo, in ambedue lo stato costrutto, bench comprenda una forma
nita del verbo, non costituisce una proposizione indipendente ma si appoggia alla proposizione che segue ed legato ad essa con un rapporto di proposizione circostanziale, o
protasi, e proposizione principale, o apodosi; terzo, nonostante questo stretto collegamento,
in ambedue i casi i Masoreti hanno posto un segno di divisione, p, che indica una sezione
aperta, o inizio di sezione (cf. E. Tov, Textual Criticism of the Hebrew Bible, Minneapolis
- Assen/Maastricht 1992, 50-51), probabilmente per delimitare la lettura sinagogale. In Es
6,28-29 il valore circostanziale dello stato costrutto chiaro perch il nomen regens retto
da preposizione: nel giorno in cui il Signore parl a Mos (protasi), il Signore parl
a Mos dicendo (apodosi); invece in Os 1,2 il nomen regens tA;lIjV;t non ha preposizione
ma casus pendens con valore circostanziale: lett. quanto allinizio di il-Signore-parl a
Mos, oppure come inizio di, e quindi quando allinizio il Signore parl. In Os 1,2
il verbo rbd regge il bet della persona, come gi not Redak, il quale rimanda a Nm 12,2.8
(cf. Rosenberg, 4, ebraico). Riguardo allinizio di Os 1,2 Redak commenta: possibile che
la parola h rbd sia un verbo di passato. Intendo dire: Inizio di ci che il Signore disse a
Osea. Questo fu ci che gli disse (ibid.). Si confronti la discussione di Macintosh, 7.
8. Di per s non chiaro se lavverbio dwo sia da unire al verbo che segue, come ho
inteso sopra, o a quello che precede: Poi il Signore mi disse di nuovo; cos gi Redak
(cf. Rosenberg, 18, ebraico) e anche Andersen - Freedman, 291, i quali per non escludono
laltra possibilit (pp. 294-295). Invece Keil, 66-67, e Macintosh, 93, preferiscono collegare
lavverbio al verbo successivo.
75
svezz Lo-ruham,
e sono amanti di
dolci di uva passa.
9. La terra quella in cui Israele vive (cf. infra, nota 38) e che diventa impura a causa
del comportamento infedele degli abitanti (cf. Lv 19,29, citato da Andersen - Freedman,
169). Secondo Rashi, lo yiqtol hnzI;t ha valore di presente (cf. Rosenberg, 5), mentre
Andersen - Freedman traducono al passato, intendendo che lo yiqtol hnzI;t sia not prophecy, but narrative (ibid.), che riguardi cio non il futuro ma il passato, e traducono the
land has been promiscuous (p. 142). In modo simile traduce anche Macintosh: the nation
has turned in gross promiscuity (p. 7). In realt lo yiqtol ebraico usato anche per
indicare una cosa che sempre sar o avverr (cf. A. Niccacci, Biblical Hebrew Verbal
System in Poetry, in: S.E. Fassberg - A. Hurwitz [edd.], Biblical Hebrew in Its Northwest
Semitic Setting. Typological and Historical Perspectives, Jerusalem - Winona Lake 2006,
247-268, 3.3), senza che per questo perda il suo valore proprio ed equivalga ad un
presente, come spesso si afferma. Il fatto che lautore usi il futuro e non la costruzione
propria del presente, cio col participio, indica che intende dire: Israele (la terra) si
prostituisce e sempre si prostituir.
10. Invece di e un letec di orzo la LXX ha un nevel di vino (cf. 1Sam 1,24 e 2Sam
16,1), lezione adottata da P.G. Borbone, Il libro del profeta Osea. Edizione critica del testo
ebraico, Torino 1987, 126-127, e da Stuart, 62-63. In linea con Macintosh, 99.102-103, non
credo per che questa lezione sia da preferire. Non mi sembra neppure consigliabile eliminare il secondo MyrOoVc come propone D. Barthlemy, Critique textuelle de lAncien Testament.
vol. 3: zchiel, Daniel et les 12 Prophtes, Fribourg (Suisse) - Gttingen 1992, 505. Sulle
interpretazioni giudaiche dellespressione si veda Rosenberg, 19.207.
11. Il nome un participio passivo del verbo Mjr avere misericordia, e perci Nonoggetto-di-misericordia (cf. nota 42).
12. Cio: Non-popolo-mio (cf. nota 42).
76
A. NICCACCI
Non-popolo-mio
(Lo-amm)
e io non sar
vostro14.
yI;k di MRhDl aDcRa acn_yI;k potrebbe contrapporsi a al, per cui si avrebbe non ma. chiaro per che il senso ma certamente
li perdoner, che usuale con il verbo acn + lamed, non si accorda con il contesto, per
quanto cos intenda Borbone, Il libro del profeta Osea: poich certo li perdoner (p. 132),
anche se poi lo considera del tutto fuori posto e una glossa (p. 136). Keil perci intende:
that I should forgive them (p. 43; cos anche in Is 43,22). Il senso di yI;k cos da allora
equivalente a yI;k dAo cosicch, no al punto di (cf. 2Sam 23,10). Altre soluzioni, antiche
e moderne, sono elencate da Macintosh, 21-22, il quale traduce: Indeed I will annihilate
them completely. La LXX ha: all h antitasso/meno antitaxomai aujtoi ma piuttosto
decisamente mi opporr ad essi. Aquila (epilh/somai aujtwn) e Vulgata (sed oblivione
obliviscar eorum) leggono un verbo dimenticare: ma del tutto li dimenticher. Da parte
loro, Andersen - Freedman estendono a questa frase la negazione che precede e traducono:
(never again shall I show pity for the state of Israel) or forgive them at all (pp. 143.192194). Invece M.-T. Wacker, Figurationen des Weiblichen im Hosea-Buch, Freiburg 1996,
45-46, ignorando la divisione masoretica, collega questa frase a ci che segue: Wenn ich
ihnen vllig vergebe, werde ich mich auch des Hauses Juda erbarmen; applica quindi lo
schema protasi-apodosi, analisi possibile dal punto di vista grammaticale-sintattico (cf. nota
7), ma diversa dalle interpretazioni tradizionali e difcilmente giusticabile nel contesto.
14. Alcuni autori vedono in hyVhRa_al un riferimento a Es 3,14 e intendono il verbo come
nome divino; cf. Andersen - Freedman: and I am not Ehyeh to you (pp. 143.198-199);
Stuart, 23: and I am Not your Ahyeh; Macintosh, 26: and I will not be [Yahweh] for
you (pp. 26-28). Cos anche Mitchell, Hosea 1-2 and the Search for Unity,120-124,
che intende Lo-ehyeh come un nome a somiglianza di Lo-ruham e Lo-amm in
1,6.11, e come tale persino Lo-ish in 2,4 e 11,9. A mio parere, bench certo uneco di Es
3,14 non sia esclusa, tuttavia la traduzione immediata e che meglio corrisponde al contesto
(voi siete Non-popolo-mio / e io non sar vostro, probabilmente nel senso di vostro Dio
secondo la formula consueta) quella della LXX: kai egw ouk eimi uJmwn, di Simmaco:
oujde egw esomai uJmin (stessa frase nella LXX di Ger 11,4: kai egw esomai uJmin ei qeo/n,
TM MyIhlaEl MRkDl hyVhRa yIkOnDaw), e della Vulgata: et ego non ero vester (cf. Macintosh, 29).
77
E avverr che in
quel giorno
tRvq_tRa yI;trAb`Dvw
l$EarVcy spezzer larco
potr misurare n si
potr contare.
:la`Rorzy qRmEoV;b
MwqVmI;b hyDh`Vw
MRhDl rEmDay_rRvSa
Allora i Figli di
Giuda si raduneranno
hDwhyA;b MyI;tVoAvwhw
w$;dVjy lEarVcy_y`EnVbw
MRhyEhlTa e li salver insieme ai Figli di
nel Signore loro Dio
MyIswsV;b h$DmDjVlImVbw :
My`IvrDpVbw
15. Il weqatal
Israele,
hyDhw regge una costruzione a due membri, composta di awhAh MwyA;b (primo
membro, circostanza) e yI;trAbDvw (secondo membro, proposizione principale). Si noti che hyDhw
non seguito da un nome che funga da soggetto grammaticale (com lEarVcy_ynV;b rApVsIm il
numero dei Figli di Israele in 2,1) ma da un complemento preposizionale, awhAh MwyA;b, a
cui segue un weqatal. In frasi del genere (cf. 2,18 e 2,23) lintera costruzione a due membri il soggetto sintattico di hyDhw; lett. e avverr (predicato) + il fatto che in quel giorno
spezzer (soggetto). Su questa costruzione tipica del discorso diretto, e su quella parallela con yIhyw, tipica della narrazione storica, si pu consultare la mia Sintassi del verbo, cap.
VIII (meglio nelledizione inglese o spagnola).
78
A. NICCACCI
n con la guerra,
con i cavalli e con i
cavalieri16.
:a`DxVmIt al DhyRtwbyItnw
li cercher ma non li
trover.
16. Si noti la contrapposizione tRvqV;b MEoyIvwa alw
79
()
i Figli di Israele
resteranno
Israele di nuovo
dwo yIl_yIarVqIt_alw
:y`IlVoA;b e non mi
chiamerai pi Mio
Baal.
()
hDwhy_tRa wvVqIbw
M$RhyEhlTa cercheranno18 il Signore loro Dio
MD;kVlAm dIw;d tEaw e
David loro re
hDwhy_lRa wdSjDpw e
andranno tremanti verso
il Signore19
tyrSjAaV;b wbwf_lRaw
E avverr che in
My`ImyAh e verso la sua
quel giorno
bont alla ne dei
hYwhy_MUan hnTo`Ra io giorni.
risponder oracolo
del Signore.
MyDmDvAh_tRa hRnToRa Io
risponder al cielo,
sioni simili, con la radice djp e la preposizione lRa, a indicare il timore di chi si dirige
verso colui che lo ispira o che ricade su chi lo subisce, compaiono in Mic 7,17; Ger
2,19; 36,16; Gb 31,23.
80
A. NICCACCI
_tRaw vwryI;tAh_tRaw
rDhVxyAh al mosto e
allolio
:la`Rorzy_t`Ra
wnSoy MEhw ed essi
risponderanno a Izreel.
()
(cf. Lv 21,7), ma non per il profeta che non lo era (cf. Rosenberg, 5).
22. La trattazione di Barthlemy, Critique textuelle, 503-504, non pone questo problema, mentre Keil fa una lunga discussione al riguardo (pp. 27-36). Per lui i participi
tRpDanVmw Aor tAbUhSa amata da un altro e adultera indicano una situazione attuale ed escludono
quindi che la donna fosse divorziata; per questo motivo i due matrimoni non furono unesperienza esterna ma interiore del profeta, anche perch Dio non pu ordinare comportamenti
81
Credo quindi che i due comandi va, prendi (1,2) e va ancora e ama
(3,1) siano equivalenti e signichino entrambi prendere in moglie. Ambedue
le donne sono prostitute, con la differenza che la prima, detta Mynwnz tRvEa,
forse non era sposata, mentre la seconda, detta tRpDanVm, era sposata: questo
dovrebbe signicare Aor tAbUhSa amata da un (tuo) prossimo (cf. KRor tRvEa
la moglie del tuo prossimo in Es 20,17, ecc.). Credo quindi che le due
donne siano distinte, contrariamente a quanto pensano alcuni esegeti23.
Penso inoltre che i due comandi siano da interpretare come fatti reali.
Del resto se lo scopo che il profeta sia un segno per il popolo, come
dimostra il fatto che deve attribuire nomi simbolici ai gli, bisogna che
il matrimonio sia esterno e visibile. Cos la situazione del profeta riette
quella di Dio verso Israele, che qui considerato sia come Sposa di Dio
che come suoi Figli (cf. infra, 3).
Che signica allora va, prendi per te una donna di prostituzione e gli
di prostituzione? Forse non che il profeta deve prendere la donna insieme
ai gli che lei ha gi avuto in precedenza, ma i gli di prostituzione sono
quelli che lei gli generer. Ma come genera la donna? Si dovr intendere che
i tre gli non sono gli sici del profeta ma appunto gli di prostituzione,
cio che la donna continuer a fare la prostituta anche dopo che il profeta
lha sposata e in questo modo nasceranno i gli. Altrimenti perch sarebbero
gli di prostituzione? Solo perch nascono da una prostituta?
Da un lato infatti il profeta deve riettere esattamente la situazione
del Signore, il quale ha scelto Israele come sua Sposa, ma lei serve altri
di e gli Israeliti sono Figli infedeli (cf. 1,2: poich certo si prostituir
la terra / da dietro al Signore). Daltro lato, il confronto con il secondo
comando fa capire che solo in questo caso, non nel primo, il profeta ordina
alla moglie di astenersi dal prostituirsi per molti giorni e assicura che ansregolati. Al riguardo bisogna dire che il participio in ebraico indica il presente quando
riferito allasse del presente; si trova per anche riferito allasse del passato e a quello del
futuro e allora indica, rispettivamente, una situazione passata o futura. Ad es. in Sal 104,2-4
i participi sono legati a qatal di passato nei versetti successivi e tutti riguardano chiaramente
lopera della creazione vista come passata, mentre nellannuncio delle piaghe (Es 7,1718.27-29; 8,17-19, ecc.) il participio continuato da weqatal e x-yiqtol che comunicano
informazioni future (cf. note 53 e 54). Daltra parte, linterpretazione degli ordini di Dio al
profeta come interiori attestata nella tradizione giudaica a partire dal Targum Jonathan,
ma a ragione Malbim la riuta (cf. Rosenberg, 4-5).
23. Ad esempio Andersen - Freedman, 115-118, e Macintosh, 113-119. Gisin, Hosea, 49,
propone addirittura che la sequenza dei fatti nei cc. 1-3 sia la seguente: Heirat, Kap. 1,
Trennung oder Scheidung, 2,4-15, und Wiederverheiratung: Kap. 3 (p. 49). Per parte mia
ritengo che la vicenda familiare del profeta sia simbolo del rapporto di Dio con Israele, del
cui processo il testo direttamente si interessa (cf. infra, nota 88).
82
A. NICCACCI
che lui si asterr da lei (3,3). Si capisce, cio, che nel primo caso il profeta
non ha detto questo e che la moglie ha continuato a prostituirsi e quindi i
gli sono nati da rapporti extra coniugali24.
3. I titoli
Bisogna poi esaminare i titoli utilizzati per indicare Israele. Nel caso del
primo glio Dio dice che tra un po porr ne al regno della Casa di Israele (1,4); nel caso della glia annuncia che non avr pi compassione della
Casa di Israele mentre avr compassione della Casa di Giuda (1,6.7);
e nel caso del terzo glio dichiara: voi siete Non-popolo-mio (1,9). Per
un verso la designazione Casa di sembra indicare in prima istanza i capi
di Israele e di Giuda, sia religiosi che politici, mentre i Figli di Israele
sono il popolo soggetto detto mio popolo dai profeti e/o da Dio con
senso di affettuosa partecipazione25 , popolo che a causa dei peccati dei
capi diventa Non-popolo-mio (1,9; 2,25).
Risulta per che il titolo Casa di si alterna con Madre e Sposa,
titoli che dovrebbero anchessi designare i capi di Israele e di Giuda, che
sono insieme Sposa nei confronti di Dio e Madre nei confronti del
popolo. Peraltro il titolo Casa di compare anche quando si parla dei gli.
Per cui, al di l della differenza, c una stretta correlazione, in quanto il
24. Le opinioni al riguardo divergono. Keil, 37-38, ritiene che la fraseologia usata non
consenta di intendere che i gli non erano del profeta e perci interpreta, anche per questo,
il comando in senso simbolico e non reale (cf. supra, nota 22): simply as a symbolical
representation of the relation in which the idolatrous Israelites were then standing to the
Lord their God (p. 38). Dalla lunga discussione di Andersen - Freedman, 156-169, risulta
invece che per i due autori il matrimonio reale e non solo simbolico; i gli sono del profeta ma vengono detti gli di prostituzione a motivo della madre; questa poi non sarebbe
stata prostituta gi prima del matrimonio ma lo sarebbe diventata dopo e lordine di 1,2,
che essi traducono take for yourself a promiscuous wife, sarebbe formulato in base alla
comprensione posteriore del profeta. Una posizione in parte simile sostiene Macintosh: i
gli sono del profeta ma essi were inescapably to inherit their mothers designation (p.
13). Per parte mia credo che lespressione NE;b wl dRlE;tw e gli partor un glio (1,3) non
indichi necessariamente che il padre naturale fosse il profeta, ma pu indicare un riconoscimento dipaternit, o una paternit adottiva, come nel caso di Giacobbe nei confronti dei
due gli di Giuseppe: Or dunque, i due tuoi gli che sono nati a te (KVl MydDlwnAh) nella terra
di Egitto no al mio arrivo presso di te in Egitto, miei sono essi (MEh yIl); Efraim e Manasse
saranno miei (yIl_wyVhy) esattamente come Ruben e Manasse (Gen 48,5), dove lavverbio
esattamente rende esplicita lenfasi che cade sul complemento come Ruben e Manasse
per il fatto che posto prima del verbo invece di seguirlo.
25. Titolo attestato anche in Michea, come ho mostrato in Un profeta tra oppressori e
oppressi, 102-104.
83
comportamento dei capi inuisce sulla sorte dei gli e le due categorie in
fondo condividono la medesima sorte. Infatti nel c. 2 si parla ancora di Figli di Israele e di Figli di Giuda (2,1.2), ma invece di Casa di Israele
si nomina come controparte la vostra/loro Madre (2,4.7)26.
Un passo ulteriore verso lidenticazione tra Madre e Figli si compie
nel c. 3, dove Dio ordina al profeta: Va ancora e ama una donna / amata
da un altro e adultera, / come il Signore ama i Figli di Israele, / mentre essi
si volgono verso altri di / e sono amanti di dolci di uva passa (3,1). Qui si
parla prima della donna, poi dei Figli che sono idolatri, cosa che altrove si
dice della Madre (cf. 2,6). Del resto il passaggio dal singolare riferito alla
donna al plurale riferito ai gli si nota altrove nel c. 227, a conferma della
stretta correlazione che unisce la sorte di entrambi.
Nel c. 2 si verica, rispetto al c. 1, un cambio notevole che deve essere
valutato nel contesto. Infatti, dopo aver detto a proposito del terzo glio:
Chiama il suo nome Lo-amm, / poich voi siete Non-popolo-mio / e io
non sar vostro (1,9), Dio continua: E sar il numero dei Figli di Israele
come la sabbia del mare / che mai si potr misurare n si potr contare. / E
avverr che nel luogo in cui si diceva ad essi: Non-popolo-mio siete voi,
/ si dir loro Figli del Dio vivo (2,1). Questo rovesciamento improvviso da Non-popolo-mio a Figli del Dio vivo non motivato in alcun
modo; semplicemente annunciato in diretta contrapposizione con ci che
precede. Bisogna dire per che, da un lato, questo modo di procedere per
diretta contrapposizione non senza paralleli nella letteratura profetica28;
dallaltro, il resto del c. 2 spiega come questo avverr (cf. infra, 4).
26. Per Wacker, Figurationen des Weiblichen im Hosea-Buch, la Sposa la citt di Samaria
in Os 2,4ss, mentre la comunit che compie lesodo in 2,16ss. Lautrice insiste comunque
che la Sposa non la dea Asherah, contro la proposta di Whitt (p. 323-324; cf. infra, nota
73). Su una linea simile si colloca G. Baumann, Liebe und Gewalt. Die Ehe als Metapher fr das Verhltnis JHWH - Israel in den Prophetenbchern, Stuttgart 2000, 91-110, la
quale promuove, come la Wacker, una lettura di Osea con occhio femminile. Curiosamente,
E. Ben Zvi, Observations on the Marital Metaphor of YHWH and Israel in its Ancient Israelite Context: General Considerations and Particular Images in Hosea 1.2, JSOT 28 (2004)
363-384, esamina invece la metafora matrimoniale dal punto di vista maschile, convinto
che the book of Hosea was most likely written by male literati, with a male readership in
mind (p. 365).
27. Cf. note 36 e 67. Nel c. 2 si nota anche una serie di passaggi dalla terza persona (2,4-7)
alla seconda (2,8a) e di nuovo bruscamente alla terza (2,8b sino alla ne), riferiti a Israele
Sposa e Madre. Lo stesso accade in riferimento ai Figli: dalla terza persona (2,1-2), alla
seconda (2,3-4) e di nuovo alla terza (2,6 sino alla ne).
28. Cf. ad es. linterpretazione di Rashi in Rosenberg, 7. Ho esaminato unanaloga brusca
successione di detti di condanna e di promesse di salvezza in Michea in Un profeta tra
oppressori e oppressi, 2.5, spec. pp. 59-61. Si veda anche Gisin, Hosea, 34-35.
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A. NICCACCI
29. La LXX traduce il primo weqatal con limperfetto: kai hn ed era, riferendolo allasse
del passato, forse per collegarlo meglio al versetto precedente (cf. Macintosh, 38), mentre
traduce al futuro i weqatal successivi.
30. Non credo giusticato ipotizzare, come fa Macintosh, che lespressione awhAh MwyA;b hyDhw,
che compare in 1,5, in 2,2 e mai pi in Osea, sia segno that the three pericopes (beginning with vv. 18, 20, 23) are additions to the kerygmatic piece which precedes (p. 77).
Dallesame che presento nel corso di questo paragrafo risulta il contrario.
31. La frase, che esprime la decisione di tornare a Dio, unanticipazione letteraria: enuncia gi ora la conclusione del processo di privazione e di isolamento a cui Dio sottopone
Israele per farla giungere a quella decisione (cf. infra). Sulla costruzione della frase hyDhw
predicato di una proposizione a due membri, composta di awhAh_MwyAb circostanza e di yIarVqI;t
verbo principale, la quale funge da soggetto sintattico si veda la nota 48.
32. Bench il termine lAo;Ab sia usato anche nel senso di marito (cf. ad es. Gen 20,3; Es
21,3; Dt 22,22), in Osea indica sempre la divinit cananea e perci viene riutato. Si veda
lesposizione di Macintosh, 77-80. Direi che il cambio da Mio Baal a Mio Marito esprime il riuto di un linguaggio legato alle divinit cananee in favore di quello basato sul rapporto uomo-donna secondo la tradizione biblica (cf. nota 42). In realt il rapporto vyIa - hDvIa
rende limmagine di Dio in forma umana, poich di MdDaDh, cio dellessere umano in quanto
tale, si dice: a immagine di Dio lo cre, / maschio e femmina li cre (Gen 1,27); cf. il mio
articolo Lo Spirito, forza divina del creato, LA 50 (2000) 9-23, spec. pp. 12-16.
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Popolo-mio (Amm)
33. Lespressione
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A. NICCACCI
Oggetto-di-misericordia (Ruham)!
wby$r MRkV;mIaVb wbyr 2,4 Fate causa a vostra
Madre, fate causa,
;hDvyIa al yIkOnDaw y$I;tVvIa al ayIh_y`I;k
poich lei non mia Moglie / e io non sono suo
Marito42,
per sempre;
41. La LXX ha due volte il singolare: a vostro fratello a vostra sorella, mentre la
Vulgata ha il plurale nel primo caso, il singolare nel secondo; cf. discussione completa del
testo in Barthlemy, Critique textuelle, 498-499. Linsolita menzione delle sorelle accanto
ai fratelli come due categorie del popolo riette evidentemente la situazione dei gli del
profeta, due maschi e una femmina, nel c. 1. Da parte sua Borbone, Il libro del profeta
Osea, traduce al singolare (a vostro fratello a vostra sorella) per quanto lasci invariato
il testo consonantico (pp. 130-131).
42. Lett. poich lei Non-mia-Moglie e io Non-suo-Marito, secondo le formule usate per i gli del profeta e per il popolo: Non-oggetto-di-misericordia (1,6), Non-popolo-mio (1,9; 2,1). I nomi simboleggiano rapporti interrotti che poi vengono ristabiliti
(cf. 2,1.15.18.25). signicativa ladozione del linguaggio vyIa - hDvIa, tipico della coppia
umana (cf. Gen 2,24), per indicare il rapporto Dio-Israele, rapporto qui riutato ma ristabilito in 2,18 (cf. nota 32).
43. Luso del verbo cra, con una donna per oggetto, indica il danzamento, cio la fase che
precede il prendere per s la (donna) X come moglie (cf. 2), e richiama 2,17: come
nei giorni della sua giovent, / come nel giorno in cui sal dalla terra dEgitto. Suggerisce
quindi un nuovo inizio del rapporto. Secondo Andersen - Freedman, la sequenza dei tre
JKyI;tVcrEaw has an almost incantational effect; the design is poetic (p. 282), bench gli stessi
autori mostrino altrove riserve riguardo alle forme verbali usate (cf. nota 72). I tre verbi
sono specicati da sei complementi, il primo introdotto da lamed (in eterno), gli altri da
bet, che il modo con cui si designa la dote che il danzato deve pagare alla famiglia della
danzata (cf. 2Sam 3,14). Credo per che trattandosi di Dio e considerando i termini
utilizzati e il parallelismo con in eterno i complementi con bet presentino la base del
rapporto, piuttosto che la dote che Dio paga. Cos intende invece Macintosh, che traduce:
with [gifts of] equity with [the gift of] steadfastness (p. 83).
44. Il termine Dhynwnz richiama la prima donna, detta Mynwnz tRvEa donna di prostituzione (1,2),
mentre laltro termine DhyRpwpSan richiama la seconda donna, detta tRpDanVm adultera (3,1). I due
termini dovrebbero indicare determinati segni della infedelt di Israele, come immagini, simboli o altro, legati a divinit cananee, piuttosto che atteggiamenti legati alle parti del corpo
nominate; cf. varie opinioni in Keil, 52; Andersen - Freedman, 224-225; Macintosh, 39-40.
45. Prima invece Israele non sapeva che era il Signore a darle tutto (2,10).
46. La LXX traduce opw an afnch, al positivo. Similmente Aquila, Simmaco,
Teodozione: ei pw, che il modo con cui la LXX traduce in genere yAlwa forse
(cf. Macintosh, 45).
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47. Bench gli esegeti non ne tengano conto, il weqatal DhyI;tgAxIhw non continua la forza voliti-
va del positivo weyiqtol rEsDtw (2,4b) e del negativo hnRfyIvVpAa_NRp. Indica invece la conseguenza, la reazione di Dio alleventuale mancata conversione di Israele. Lo stesso valore hanno
i due weqatal coordinati che seguono e anche il costrutto waw-x-yiqtol (MEjrSa al DhynD;b_tRaw,
v. 6), che per di livello secondario, non coordinato.
48. Questo hnToRa uno yiqtol parallelo a quello che precede e lo specica. Ambedue
sono retti da awhAh MwyA;b hyDhw, che parte di una costruzione a due membri composta da
awhAh MwyA;b (primo membro, circostanza, o protasi) e da hnToRa (secondo membro, proposizione principale, o apodosi); e questa costruzione a due membri funge da soggetto
sintattico di hyDhw, lett. e avverr (predicato) + il fatto che in quel giorno risponder /
risponder (soggetto). Tale costruzione a due membri equivale a quella di 1,5 che ha
un weqatal invece di uno yiqtol come secondo membro (cf. nota 15). In questa funzione,
cio come proposizione principale di una costruzione a due membri, weqatal e yiqtol (e
anche x-yiqtol) si alternano senza alcuna differenza (cf. la mia Sintassi del verbo, 126,
meglio nelledizione inglese o spagnola), nonostante lopinione di alcuni autori (cf. Macintosh, 77, nota a 2,18). Si veda anche la nota 49.
49. Dio risponder (2,23) positivamente al fatto che Israele conoscer il Signore (2,22).
Il primo io risponder, che compare senza altra indicazione, specicato da ci che segue: Io risponder al cielo. A questa informazione di livello principale sono collegate
tre informazioni di livello secondario, di tipo waw-x-yiqtol, con funzione circostanziale,
indicanti corrispondenza con ci che precede, lett. Io risponder al cielo / ed esso, da
parte sua, risponder alla terra / e la terra, da parte sua, risponder al grano / ed essi,
da parte loro, risponderanno a Izreel (2,23b-24). Come nota Keil, 65, By a prosopopeia,
the prophet represents the heaven as praying God. Si nota infatti una serie di personicazioni, del cielo, della terra, dei prodotti della terra (grano, mosto, olio) e inne di Izreel:
una suggestiva preghiera cosmica al Signore perch conceda la fertilit. Invece Macintosh,
86-87, intende hno nel senso di attend to come in 2,17 (cf. nota 59). Da parte loro Andersen - Freedman, 285-286, complicano le cose affermando che si tratta di risposte date nel
contesto di un patto, e quindi in presenza di testimoni, piuttosto che di semplici risposte a
una preghiera cosmica, che essi ritengono fanciful, e ipotizzano che il pronome essi
si riferisca ai gli, piuttosto che al cielo e ai prodotti della terra di cui si parla nel v. 20.
Rimane il problema del senso da dare alla menzione di Izreel (cf. Macintosh, 18). Come nel
caso dei nomi simbolici dei gli del profeta (cf. infra), si produce anche qui un rovesciamento netto di situazione da negativa a positiva. E qui il rovesciamento gioca sulla possibile doppia etimologia del nome Izreel, da orz disperdere o da orz seminare (cf. 5).
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A. NICCACCI
y$AmyEmw yImVjAl yEnVtOn yAbShAaVm yrSjAa hDkVlEa h#rVmDa yI;k hDmDjr al_tRa yI;tVmAjrw Xr$DaD;b yI;l DhyI;tVorzw 2,25
poich ha detto: Voglio andare dietro
ai miei amanti
/ che mi danno il mio pane e la mia acqua,
:y`Dyw;qIvw yInVmAv y$I;tVvIpw yrVmAx la mia lana, il mio
lino, il mio olio e le mie bibite.
Infatti nel contesto Izreel nome simbolico della nazione sia nel male (cf. 1,4.5) che nel
bene (cf. 2,2). Cos gi Rashi (Rosenberg, 18) e soprattutto Redak: Nella punizione chiam
il nome di Israele Izreel, poich furono dispersi (Myowrz) tra le nazioni, e nel tempo della
salvezza li chiama ancora Izreel, poich furono seminati (Myorzn) nella loro terra. E per
questo ha detto dopo: E la seminer (DhyI;tVorzw) per me nella terra (ibid., 18, ebraico; la
traduzione inglese nelle pp. 205-206 piuttosto libera); cf. anche Keil, 65-66. Lespressione la seminer per me nella terra non presenta alcuna base per ritenere che il verbo orz
seminare abbia qui valenza sessuale, come riconosce anche Macintosh, 89-90, contro
Andersen - Freedman, 288 (cf. anche infra, nota 81).
50. Dal femminile singolare per indicare Israele Sposa e Madre (la seminer) il testo
passa al maschile singolare (e lui mi dir), per sottolineare lunit del popolo di nuovo
seminato nella sua terra e unito insieme nel patto con il suo Dio (altrove invece si passa al
maschile plurale per indicare i Figli; cf. 2,10.20; note 36 e 67). Il testo non presenta quindi
alcuna irregolarit, n c bisogno di alcuna modica, nonostante proposte diverse, come
riconosce anche Macintosh, 89-90.
51. Lett. torner e prender (cf. nota 18).
52. Si nota, qui come altrove nel c. 2, un passaggio brusco dalla seconda alla terza persona:
la tua strada / il suo muro (cf. nota 27).
53. La sequenza temporale inizia con hnIh + pronome soggetto + participio e prosegue con
una serie di x-yiqtol e di weqatal coordinati, come in 2,8-9. In questa sequenza il participio
legato allasse dominante del futuro e indica un futurum instans, come negli annunci
delle piaghe di Egitto (cf. nota 22): Perci ecco io sto per lusingarla e la far andare
nel deserto. Quanto al senso, la frase ben diversa da quella di 2,5: e la porr come il
deserto (cf. nota 62)!
54. Come in 2,16 (cf. nota 53), la sequenza inizia con hnIh + pronome soggetto + participio;
prosegue con un weqatal coordinato (yI;trdgw), seguito da waw-x-yiqtol negato (al DhyRtwbyItnw
aDxVmIt), che una costruzione di livello secondario, in quanto il verbo occupa il secondo
posto della frase, e indica non successione ma contemporaneit o, forse meglio qui, pone in
89
rilievo il sostantivo che posto prima del verbo (e i suoi stessi sentieri lei non trover).
Il senso che la donna non trover pi neppure i sentieri che era solita frequentare. La sequenza continua in 2,9-10 con tre weqatal (hrVmDaw MAtDvVqIbw hDp;drw) e due costruzioni negative
corrispondenti (aDxVmIt alw gyIcAt_alw), tutte forme coordinate di livello principale.
55. Il termine twlVbn o twlVbn unico; cf. Keil, 57; Macintosh, 59-61.
56. Come in 2,7, questo disse introduce un contenuto negativo che riette il pensiero
del periodo di infedelt, a differenza del dir di 2,9.25, che si riferisce alla conversione
futura.
57. Forma variante di Nnt
V aR , che indica la paga per la prostituzione: cf. 9,1; Keil, 58; Andersen
- Freedman, 254; Macintosh, 63-64.
58. Come altrove in Os 1-3, si verica qui un cambio di nome per indicare un cambio di
situazione: da Valle di Acor, cio della tribolazione, a Porta della Speranza, anche se il
riferimento preciso dei nomi discusso tra gli esegeti sia antichi che moderni; cf. Macintosh, 74-75. Si veda anche la nota 62.
59. Una panoramica sui vari modi di intendere il senso di hno in questo passo si legge in
Macintosh, 72-73, il quale alla ne opta per she will be wholly attentive (p. 71), seguendo
il grammatico ebreo medievale Ibn Janah. Tuttavia il senso di rispondere non solo il
pi naturale ma si adatta bene al contesto, in relazione alla promessa di Dio in 2,16 (io
parler al suo cuore; cf. nota 62) e anche alla serie di risposte che si legge in 2,23-24
(cf. note 48 e 49).
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A. NICCACCI
Su,
foresta
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:hD;t`DoEm zDa yIl bwf yI;k poich Dhy#RlDo yI;tdqDpw 2,15 Far
era meglio per me allora di
ora!.
h$Dod`Dy al ayIhw 2,10 Ora lei
non sapeva63
;h$Dl yI;tAtn yIkOn`Da yI;k che ero io
che le detti
rDhVxyAhw vwryI;tAhw NDg;dAh il
grano e il mosto e lolio;
giustizia su di lei
perch altrove indica il rapporto di amore di Dio per Israele (Is 5,1-7) e anche quello di due
giovani (Ct 1,6; 8,12). Nel contesto di Israele Sposa infedele signicativo anche il legame
con Rahab, la prostituta che diventa capace di una delle pi belle professioni di fede nel
Signore (Gs 2,9-11).
63. Il costrutto waw-x-qatal hDody al ayIhw si collega al qatal di 2,7b e ne d la motivazione.
La Sposa Israele ha detto di voler andare dietro ai falsi di perch non sapeva che era il suo
Dio, e non loro, che le dava ogni bene. In questo modo 2,10 si aggancia alla ne della prima
parte del brano e prepara la parte successiva. Non solo, ma come la situazione negativa di
2,7 provoca la prima reazione di Dio (NEkDl, 2,8-9), cos la situazione negativa di 2,10 prepara
la seconda reazione di Dio (ancora con NEkDl, 2,11-15aa) e la situazione negativa di 2,15ab-b
(DhyRbShAaVm yrSjAa JKRlE;tw, ecc.) prepara la terza reazione di Dio (ancora con NEkDl, 2,16-17), quella
che porter Israele alla conversione e alla piena comunione con lo Sposo divino (2,18-25).
Al riguardo si veda infra. Proposte diverse sono elencate in Macintosh, 55.
64. Secondo Keil, 59, i giorni dei Baal sono le feste nominate in 2,13. Cos anche Macintosh, 66-67.
65. Chiaramente lo yiqtol ryIfVqA;t non legato allasse del futuro come i precedenti x-yiqtol
e weqatal (vv. 12-15a) ma a quello del passato come i seguenti due wayyiqtol e x-qatal. La
differenza riguarda laspetto: yiqtol nel passato indica unazione ripetuta, abitudine o descrizione, mentre wayyiqtol e qatal indicano unazione unica (cf. Niccacci, Lettura sintattica,
108). La traduzione data qui sopra cerca di rendere tale differenza.
66. hyVlRj un altro termine unico (cf. nota 55); cf. Andersen - Freedman, 260-261; Macintosh, 66.
67. Cio per farne statue di Baal. Il passaggio dal soggetto femminile lei non sapeva al
soggetto plurale essi hanno lavorato (cf. note 36 e 50) associa Israele Figli allinfedelt
di Israele Sposa. Sulla distinzione, a volte tenue, tra Casa di Israele e Figli di Israele si
veda il 3.
68. Questa frase qualica le parole di Dio come un oracolo e conclude la suddivisione,
ma non interrompe lesposizione, come chiaramente non la interrompe in 2,23. Infatti la
prossima suddivisione collegata alle due precedenti ed anchessa introdotta da NEkDl (2,16;
cf. 2,8.11).
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A. NICCACCI
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popolo69. Nel seguito del brano Dio specica il procedimento che adotter
nei suoi confronti. Si delinea cos, lungo tutto il c. 2, una sequenza che
enumera in ordine alterno una serie di azioni di Dio verso Israele Madre e
Figli (a) e di reazioni di Israele stesso (b)70:
(a) (per iniziativa di Dio) gli Israeliti si moltiplicheranno, saranno detti
Figli del Dio vivo (2,1),
(b) i Figli di Giuda e di Israele si raduneranno e sotto un unico capo saliranno dalla terra (2,2),
(a) e riceveranno (da Dio) lordine di annunciare la riconciliazione con Dio
ai loro fratelli e sorelle e di fare causa alla loro Madre (2,3-4a)
(b) afnch allontani da s lidolatria (2,4b),
(a) per evitare che Dio la spogli nuda, cos da renderla un deserto e non
avere misericordia neppure dei suoi Figli (2,5-6),
69. Linterpretazione recente di questo e di altri testi che parlano di una Sposa di Dio stata
fortemente inuenzata dalle scoperte archeologiche e dagli studi che ne sono derivati sulla dea
Asherah. opinione abbastanza diffusa che no al periodo post-esilico in Israele si credesse
che Dio aveva lei come sua sposa. Tra i numerosi studi al riguardo ne cito alcuni recenti: J.M.
Hadley, The Cult of Asherah in Ancient Israel and Judah. Evidence for a Hebrew Goddess,
Cambridge 2000, spec. pp. 54-83; C. Frevel, YHWH und die Gttin bei den Propheten.
Eine Zwischenbilanz, in: M. Oeming - K. Schmid (edd.), Der eine Gott und die Gtter.
Polytheismus und Monotheismus im antiken Israel, Zrich 2003, 49-75; B.E. Kelle, Hosea
2. Metaphor and Rhetoric in Historical Perspective, Atlanta 2005, spec. pp. 47-79. Confesso
che sono profondamente scettico riguardo a posizioni recenti del genere (cf. nota 73). Non
credo che il monoteismo si sia imposto a prezzo dellesclusione dellelemento femminile dalla
concezione di Dio, come sostiene Th. Rmer, Lviction du fminin dans la construction du
monothisme, EThR 78 (2003) 167-180. E di sicuro non direi, come fa Frevel, che durante
lesilio Dio perde la sua partner e diviene un Witwer, anche se ein auerordentlich erfolgreicher Solitr (ibid., 75). Come ho osservato in La paternit di Dio. Linee di sviluppo
dallAntico al Nuovo Testamento, in: E. Franco (ed.), Mysterium Regni Ministerium Verbi,
Bologna 2000, 247-271, Per indicare la paternit divina vengono utilizzati [nellAT] termini
legati alla sessualit umana, specicamente della donna, molto probabilmente allo scopo
di far comprendere che Dio non ha bisogno di una divinit femminile. Egli genera da solo,
crea. Possiede la pienezza della vita; detto in termini umani, possiede sia la paternit che la
maternit. Lessere umano partecipa al potere divino in forma limitata e nella complementariet uomo-donna mediante la generazione sessuale (p. 268). altamente signicativo lo
scambio che si verica: Dio che ha creato lessere umano a sua immagine facendolo maschio
e femmina, attribuisce a se stesso il linguaggio del rapporto di coppia e della generazione
umana per indicare il suo legame profondo con Israele (cf. nota 32).
70. Questa sequenza di azioni e reazioni aiuta a capire la logica che guida la composizione
del c. 2, per cui non mi pare giusticata lopinione di Gisin, Hosea, che i cc. 1-3, nonostante i molteplici richiami di vocabolario e stilistici che lautore vi scopre, contenga eine
Reihung von in sich geschlossenen Sprche, oppure eine Reihung von Einzelsprchen
(p. 88). Unesposizione delle diverse opinioni circa la composizione del c. 2 si trova in
Kelle, Hosea 2, 169-179.
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(b) poich lei si prostituita dietro ai suoi amanti che ritiene i suoi benefattori (2,7);
(a) perci Dio far in modo che Israele non trovi pi i suoi amanti
(2,8-9a),
(b) e lei alla ne decider di tornare al suo primo Marito, lei che prima
non sapeva che era Dio a darle ogni dono (2,9b-10);
(a) perci Dio le toglier i suoi doni, la spoglier, far cessare le sue feste
e seccare i frutti che lei attribuiva ai suoi amanti (2,11-15aa)
(b) dietro ai quali and e dimentic il Signore (2,15ab-b);
(a) perci Dio la condurr nel deserto e parler al suo cuore, poi le render
ogni bene (2,16-17a),
(b) allora lei risponder e chiamer Dio Mio Marito (2,17b-18),
(a) Dio toglier da lei gli idoli, far patto con i suoi Figli e la far sua
Moglie per sempre (2,19-22a),
(b) cos lei conoscer il Signore (2,22b);
(a) in quel giorno Dio le dar ogni bene, la seminer per s nella Terra,
avr misericordia di Non-oggetto-di-misericordia, far suo popolo
quello che era Non-popolo-mio e sar il suo Dio (2,23-25).
Risulta perci che il rovesciamento della situazione, che enunciato in
forma improvvisa in 2,1-2 rispetto al c. 1, anticipa il risultato di un processo che Dio adotter verso Israele e che porter alla conversione della
Sposa/Madre e dei Figli, processo che viene poi delineato (2,3-25).
La parte centrale del brano presenta tre iniziative di Dio, ciascuna introdotta da NEkDl perci (2,8-10; 2,11-15; 2,16-17), volte a porre rimedio a tre
atteggiamenti negativi della Sposa Israele e/o dei suoi Figli71. Essi sono:
71. Questa divisione e analisi del testo non usuale tra gli studiosi, che per lo pi dividono
e intendono diversamente il c. 2 (cf. note 62 e 72). Gisin, Hosea, che pure procede con
criteri simili ai miei e insiste sullunit di autore e di composizione di Osea, divide il c. 2 in
tre pericopi e delinea una composizione chiastica dei cc. 1-3 nel modo seguente: a) 1,2b-9
racconto profetico (Prophetenbericht), b) 2,1-3 promessa, c) 2,4-15 giudizio, b) 2,16-25
promessa, a) 3,1-5 racconto profetico (Prophetenbericht; p. 49). Ora per, da un lato
anche lespressione la condurr nel deserto (2,16) comporta un elemento di giudizio,
come ci che precede, in quanto evoca, riassumendole, le varie privazioni a cui Dio sottopone Israele (cf. 2,5-15); dallaltro, le privazioni stesse perseguono uno scopo positivo
di conversione (cf. 2,4), scopo che, come detto qui sopra, evocato in forma di anticipazione in 2,9 ma si realizza alla ne (2,18-25). Per questo motivo una distinzione netta tra
giudizio o rimprovero (Scheltrede) e promessa di salvezza (Heilsworte) nel c. 2 non
giusticata (ibid.). Neppure mi sembra giusticato descrivere come sexuelle Gewaltmetaphorik o Strafmaname[n] (Baumann, Liebe und Gewalt, 101-104) le privazioni a cui
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Finalmente, la terza iniziativa (portarla nel deserto e parlare al suo cuore, 2,16) avr un risultato positivo: Dio ridoner a Israele la fertilit (2,17),
anche se la reazione positiva di lei, anticipata in 2,9, si realizza solo dopo
(2,18)72.
Dio sottopone la sposa Israele a scopo di conversione. La stessa autrice ha studiato il tema
della metaforica sponsale, intrecciato con quello della valutazione della profezia, nel quadro
dei Profeti Minori: G. Baumann, Die prophetische Ehemetaphorik und die Bewertung der
Prophetie im Zwlfprophetenbuch. Eine synchrone und diachrone Rekonstruktion zweier
thematischer Fden, in: P.L. Redditt - A. Schart (edd.), Thematic Threads in the Book of
the Twelve, Berlin - New York 2003, 214-231.
72. Secondo Macintosh, in 2,16 The soliloquy continues but the mood changes abruptly
from punishment and coercion to coercion through love (p. 69). Alla luce di ci che ho
detto sopra, il passaggio non mi pare cos brusco n esattamente del tipo indicato da Macintosh, per quanto egli giustamente riconosca, contro W. Rudolph, che la linea del pensiero
continua (ibid.). Al riguardo direi che la pedagogia divina procede secondo il criterio della
punizione congiunta alla misericordia: punizione per le infedelt ma sempre a scopo di conversione. Da parte loro, Andersen - Freedman, 262-266, vedono bene il rapporto tra 2,4-15
e 2,16-25 (credo per che non si possano separare 2,1-3 e che i tre NEkDl invitino a dividere il
testo in tre unit centrali: 2,8-10; 2,11-15 e 2,16-17, e due unit di cornice: 2,1-7 e 2,18-25,
come ho indicato sopra). Inoltre i due autori accordano unattenzione speciale alle forme
verbali che compongono 2,16-25 (pp. 266-269). Identicano la funzione delle forme che
essi chiamano, con linguaggio tradizionale, consecutive perfect e clause-initial imperfect. Per loro, la prima forma continuativa, la seconda invece apre un nuovo paragrafo.
Identicano anche una forma che essi chiamano coordinated imperfect, not initial, cio
il costrutto x-yiqtol che compare non allinizio ma allinterno di un paragrafo, e ritengono
giustamente che esso abbia funzione circostanziale. Essi pensano per che alcuni weqatal
siano usati in modo irregolare nel nostro testo, particolarmente in 2,21-22, e irregolare
sarebbe anche la serie di x-yiqtol in 2,23-24. Il motivo che per Andersen - Freedman i tre
JKyI;tVcrEaw di 2,21-22 indicherebbero, in base alla funzione normale, tre diversi danzamenti,
mentre evidentemente si tratta di uno solo; inoltre per loro i tre costrutti di 2,23-24, wnSoy MEhw,
hnSoA;t XrDaDhw e wnSoy MEhw, in base alla funzione normale, dovrebbero indicare contemporaneit
mentre invece presentano informazioni successive. Ora, se lattenzione alle forme verbali,
rara tra gli esegeti, apprezzabile, credo che le funzioni segnalate siano corrette ma non
complete. Infatti una sequenza di weqatal indica s una serie di informazioni successive
luna allaltra, ma ci sono casi in cui le informazioni non indicano successione temporale
vera e propria ma, ad esempio, successione logica, per cui una forma verbale spiega laltra.
96
A. NICCACCI
Questo appunto il caso di 2,21-22, in cui lo stesso verbo JKyI;tVcrEaw modicato da tre
espressioni preposizionali che si specicano a vicenda: per sempre, / nella giustizia e
nel diritto, nella grazia e nella misericordia, / nella fedelt (cf. sopra). Daltra parte i tre
x-yiqtol di 2,23-24 sono di livello secondario rispetto allo yiqtol iniziale (hnToRa) e presentano, secondo la norma, tre informazioni parallele tra loro e circostanziali rispetto a quella
iniziale (cf. nota 49). Mi sembra quindi che non si verichino affatto i departs from the
classical norms segnalati da Andersen - Freedman, 268-269, e che il sistema verbale di
Osea corrisponda a quello normale dellebraico.
73. Sono contrari allinterpretazione di 2,4-15 come processo di divorzio Andersen - Freedman, 219-220; Stuart, 43; Macintosh, 41. Gli argomenti di W.D. Whitt, The Divorce of
Yahweh and Asherah in Hos 2,4-7.12 ff, SJOT 6 (1992) 31-67, secondo cui il passo proclama il divorzio di Dio non da Israele ma da Asherah sua moglie e la diseredazione
del suo popolo, sono criticati, a ragione credo, da Wacker, Figurationen des Weiblichen im
Hosea-Buch, 201-203.323-324. In effetti lespressione chiave non mia Moglie / non suo
Marito (2,4), nonostante le somiglianze con la formula di divorzio attestata nel Vicino
Oriente Antico, articolata secondo il modello degli altri nomi simbolici dei gli di Osea
e del popolo di Israele (cf. nota 42). Inoltre, come afferma Stuart, this is more trial for
adultery than divorce The purpose of the legal action is both corrective and restorative
(p. 47). Daltra parte, per promuovere la sua tesi Whitt esclude dal c. 2 come aggiunte di
epoca diversa i vv. 16-17.18-19.21-22; e in 2,4-15 ritiene posteriori i vv. 8-9.10-11 e, con
meno sicurezza, il v. 15, per quanto confessi n dallinizio di non avere analizzato a fondo
il c. 2 (p. 32). Questo tipo di analisi, che isola il testo originale dalle aggiunte posteriori
senza aver prima cercato di comprendere la composizione e le dinamiche dellinsieme, mi
sembra sospetto e ingiusto: come giudicare uno prima di averlo ascoltato (cf. Gv 7,51).
Inoltre lanalisi di Whitt guidata da due convinzioni di base: il rapporto tra Dio e Israele
indicato come matrimonio non pu essere del tempo di Osea perch non compare prima di
Geremia ed Ezechiele; inoltre lenoteismo, come lui chiama la fede nellunico Dio, non si
afferma prima della riforma deuteronomica verso la ne del sec. VII (p. 34). Per parte mia,
queste sono due convinzioni almeno discutibili e tali che comunque non possono sostituire
unanalisi seria del testo n costituirne il criterio di base. Riguardo poi alla convinzione
che nellVIII sec. Asherah, la dea cananea della fertilit, fosse creduta ufcialmente la
moglie del Dio di Israele e che su questa linea (Asherah, non Israele) si debba intendere Os
2, direi, primo, che bisognerebbe almeno distinguere tra religione tradizionale autentica e
religione popolare contaminata al contatto con lambiente cananeo, invece che identicare
velocemente le due, o valutare la prima sulla base della seconda, come di moda oggi
sulla base di recenti scoperte archeologiche (le quali poi sono anchesse da interpretare correttamente; cf. nota 69). Secondo, il senso originale che Whitt ne trae Yahweh
97
is divorcing the mother goddess Asherah because the Israelites act out fertility rites in
which she and Baal have sexual intercourse to give the land fertility Hosea is angry
because the Israelites believe that it is she and Baal who are responsible for the fertility of the land (p. 57) non corrisponde al testo, secondo il quale invece la moglie
stessa che dice questo (cf. 2,7.14, che Whitt ritiene originali), lei che non sapeva che
in realt era Dio che le dava i frutti della terra e ogni bene (cf. 2,10, che Whitt ritiene
invece secondario). Il punto fondamentale mi pare essere il fatto che Whitt non valuta
correttamente il rapporto che Osea e altri profeti stabiliscono tra Israele Madre e Israele
Figli (cf. qui sopra).
74. Viene in mente il gruppo noi, seguaci del profeta che in Is 53,1-3 // 7-9 riettono sulla
vicenda del Servo del Signore; si veda la mia analisi in Quarto carme del Servo del Signore
(Is 52,1353,12). Composizione, dinamiche e prospettive, LA 55 (2005) 9-26.
75. Cf. Rosenberg, 8.
98
A. NICCACCI
76. S. Stohlmann, The Judaean Exile after 701 B.C.E., in: W.W. Hallo - J.C. Moyer
- L.G. Perdue (edd.), Scripture in Context. II: More Essays on the Comparative Method,
Winona Lake 1983, 147-175. Ho tenuto conto di questa proposta per la mia interpretazione di Michea; cf. Un profeta tra oppressori e oppressi, 136-141. Stohlmann ritiene che
accenni allesilio dellVIII sec. compaiano in Is 11,12-16, che contiene una promessa di
ritorno insieme per Israele e per Giuda; ma la stessa situazione compare in Os 2,2, testo
che Stohlmann non nomina. Lautore accenna anche a testi di Michea, soprattutto a 1,16,
che egli ritiene il riferimento pi esplicito a quellesilio, ma non considera 2,12-13, come
invece ho suggerito io (ibid.). Stohlmann ritiene inoltre che si possano datare allVIII sec.
anche le promesse di ritorno di Is 40,3-4; 42,16 e 57,14, di solito datate al tempo del ritorno
dallesilio babilonese nel VI sec. Sarebbe databile a questo periodo anche la promessa di
ritorno di Is 27,8-13 dai conni di Siria-Palestina, dallAssiria e dallEgitto. Riguarderebbe i
deportati dellesilio giudaico dellVIII sec. e di quello precedente nella guerra siro-efraimita.
Per Stohlmann manca la prova per un esilio di Israele in Egitto nellVIII sec., ma afferma
le difcolt sarebbero maggiori per un esilio nel VI sec., dato che Geremia predisse la
distruzione del resto di Giuda che and in Egitto dopo il 587 (ibid., 172-173). In realt
ritengo di aver fornito elementi per affermare che si possono datare allVIII sec. vari testi
in cui Assiria e Egitto compaiono come nazioni di esilio per Israele (Is 11,11; 27,13; Os
9,3; 11,5; 12,1; Mic 7,12); cf. Isaiah XVIII-XX from an Egyptological Perspective, VT
48 (1998) 214-238, spec. pp. 226-227.
77. Questa polemica non compare nella traduzione inglese di Rosenberg, 8-9, ma si legge
nel testo ebraico a fronte.
99
78. Diversamente Andersen - Freedman, 294; cf. per le mie note 62 e 88.
79. Mentre qui lo sterminio evocato come un evento che sar punito, in 2Re 9,1-10,27 si
legge che avvenne per ordine di Dio, differenza che Keil, 39-42, cerca di risolvere, e forse
giustamente. Infatti il sangue di Izreel richiama luccisione di Nabot, che port con s lo
sterminio della discendenza di Ahab (1Re 21,19ss). Per punire luccisione dei suoi profeti a
opera di Ahab e di Gezabele Dio fece ungere re Iehu con lordine di distruggere la casa di
Ahab (2Re 9,1ss). Iehu esegu questo ordine ma, dice Keil, lo fece per i suoi propri interessi,
non secondo il volere di Dio, in quanto si legge che Iehu stermin s i Baal da Israele e
per questo la sua discendenza conserver il potere sino alla quarta generazione ma non si
allontan dai peccati di Geroboamo, cio dai vitelli doro di Betel e di Dan (2Re 10,28-31).
Si vedano anche Andersen - Freedman, 177-182, e Macintosh, 15, e infra, 6.
80. Questa duplice simbologia di Izreel si basa sul doppio senso della radice orz
(cf. nota 49).
100
A. NICCACCI
lidea che la terminologia di Israele Sposa evochi anche il legame simbolico tra la donna e
la terra che era diffuso nel Vicino Oriente Antico, anche se uninterpretazione direttamente
sessuale del tipo Ich besame sie mir im Land (ritenuta possibile da Wacker, Figurationen
des Weiblichen im Hosea-Buch, 84) non mi sembra sostenibile (cf. supra, nota 49). Da ci
che veniamo dicendo risulta infatti che il profeta intende annunciare la fertilit della terra
nel quadro di un rinnovato insediamento del popolo, patto e armonia ecologica. Questultimo aspetto viene giustamente segnalato dalla stessa Wacker, ibid., 83-84. Daltra parte,
il tema della terra visto come uno dei tratti unicanti dei Profeti Minori da L.J. Braaten,
God Sows: Hoseas Land Theme in the Book of the Twelve, in: Redditt - Schart (edd.),
Thematic Threads, 104-132.
82. Sulla situazione storica che si riette in Os 1,4-5, cio gli ultimi anni della discendenza di Iehu prima che venisse anchessa sterminata da Sallum, si veda J.M. Miller - J.H.
Hayes, A History of Ancient Israel and Judah, London 1986, 309.327, lopera di cui seguo
la datazione.
101
1,4-5)83. Inoltre lannuncio che Dio non avr pi misericordia della Casa di
Israele, mentre avr misericordia della casa di Giuda (1,6-7), pu riettere
la situazione del tempo di Ezechia (727-698), il cui regno continu ad esistere a differenza di quello di Israele84.
Secondo, la crescita di Israele e la riconciliazione con Dio, a cui si
aggiunge il raduno insieme con Giuda in esilio in vista del ritorno in patria
(2,1-2), dovrebbero annunciare la ne dellesilio dellVIII sec. dopo il 701,
come proposto sopra (cf. 5).
Terzo, lesilio dellVIII sec. sembra accennato anche in 3,4, in cui si
dice che per molti giorni / i Figli di Israele resteranno / senza re, senza
capo, / senza sacricio e senza stele, / senza efod e teram85, dopo di che
i Figli si Israele di nuovo / cercheranno il Signore loro Dio / e David loro
re / e andranno tremanti verso il Signore / e verso la sua bont alla ne dei
giorni (3,5).
In rapporto alla situazione storica credo che si possa dire che il c. 1
rispecchia un periodo anteriore al 745 (sterminio della linea di Iehu) e al 722
(ne del Regno del Nord), mentre i cc. 2-3 rispecchiano un periodo posteriore al 701. Ora mentre la data del 745 precisa, dato che quello lanno
in cui cominci a regnare Zaccaria, discendente di Iehu, e in cui Sallum lo
uccise, la data dopo il 701 non si pu stabilire con precisione (in 3,3-4 si
parla di molti giorni)86. Direi che i vari elementi del testo lannuncio del
83. Cos pensa anche Keil, 42. Invece secondo Gisin, Hosea, 294-296, Osea non descrive
la distruzione di Samaria ma la annuncia come futura, e perci lautore data lattivit del
profeta tra circa il 750 e il 725 al pi tardi e la redazione del libro, che egli giudica unitario, tra il 728 e il 725. Penso per che il fatto che il profeta non descrive la distruzione
di Samaria non comporti necessariamente che la redazione di tutto il libro sia anteriore al
722, soprattutto se si accetta che 2,2 allude allesilio giudaico posteriore al 701 (cf. sopra
5 e nota 76).
84. Si pu vedere la ricostruzione storica del periodo che ho presentato in Un profeta tra
oppressori e oppressi, 4.1.
85. Diversamente, secondo Borbone, Il libro del profeta Osea, 124, nota 2, la frase riguardante il periodo senza re, senza sacricio e strumenti di divinazione, che in origine
designava al passato il periodo della peregrinazione nel deserto, sarebbe stata inserita qui,
in contesto di esilio, e interpretata al futuro (gi dai LXX); ma questa interpretazione per
lautore, sullautorit di P. Sacchi, sarebbe forzata, o ideologicamente connotata (ibid.).
86. In questa prospettiva storica si pu spiegare il fatto che Os 1,1 nomini tre re di Giuda
che regnarono da prima del 742 al 698, mentre per Israele nomini solo Geroboamo II che
regn dal 785 al 745. Siccome nel 745 la dinastia di Iehu n con luccisione di Zaccaria da
parte di Sallum, si comprende che lintestazione del libro nomini del regno del Nord solo
Geroboamo, con cui praticamente nisce la linea di Iehu, mentre del regno di Giuda nomini
i re no a Ezechia, sotto cui si colloca la deportazione di Giuda a opera di Sennacherib nel
701 (cf. nota 76).
102
A. NICCACCI
raduno di Giuda e Israele, il loro ritorno sotto un unico capo (2,1-2), leliminazione del culto Baal nel rapporto con Dio (2,18-19), la restaurazione
dellarmonia e della pace con esclusione delle armi (2,20), la prosperit
del paese e la piena comunione con Dio (2,23-25) si possono inquadrare
nellatmosfera del regno di Ezechia, con quello che esso comport: riforma
religiosa, afusso a Gerusalemme dei rifugiati dal Regno del Nord, Ezechia
come novello Salomone che di nuovo inaugura il tempio e celebra la Pasqua
per tutto Israele, ecc.87.
Per comprendere meglio la dinamica dei tre capitoli utile esaminare
come vengono indicati i due regni di Israele e di Giuda. Raccogliamo insieme i dati che li riguardano:
87. Cf. nota 84. Diversamente, Kelle, Hosea 2, ritiene che Os 2 sia da collocare in una
data precisa, 731-730 a.C., al tempo della guerra civile, che segu la ne della guerra siroefraimita, tra Osea del partito pro-assiro e Pekach del partito anti-assiro. Che per quella
data sia troppo ristretta mi sembra confermato dalle difcolt a cui lautore deve far fronte
per interpretare anche lannuncio che giudei e israeliti si daranno un capo unico e saliranno
dalla terra (2,2) non in rapporto ad un nuovo esodo, come suggerisce la terminologia (cf.
supra, nota 38), ma nel contesto di quella guerra civile (cf. ibid., pp. 215-226).
88. Chiaramente la famiglia del profeta simbolo del rapporto Dio - Israele, che ci su
103
Mentre dunque nel c. 1 Israele Regno del Nord compare sotto luce
negativa a differenza di Giuda Regno del Sud, che compare sotto luce positiva, nel c. 2 i popoli di Israele e di Giuda compaiono ambedue sotto luce
positiva. Si notano delle somiglianze signicative. Non solo i due popoli si
organizzeranno insieme per tornare in patria, ma si dice anche per Israele,
come per Giuda, che Dio romper le armi (nel senso che le render inutili
per la salvezza che sar solo nel Signore: 1,7). Inoltre il linguaggio del
ritorno dallesilio echeggia quello dellesodo dallEgitto alle origini del popolo unito. Infatti lespressione si daranno un capo unico (2,2) richiama
Nm 14,4: var hnV;tn diamoci un capo, e saliranno dalla terra richiama
Es 1,10: XrDaDh_NIm hDlDow e (il popolo) salir dalla terra89. Nel c. 3 poi non
si parla pi di Giuda ma lespressione Figli di Israele dovrebbe indicare
ambedue i popoli, i quali alla ne dei giorni ritroveranno lunit originaria sotto il Signore loro Dio e David loro re (3,5).
Si delinea quindi un cambio notevole di concezione: da Israele riutato
al contrario di Giuda, a Israele e Giuda insieme in esilio protesi verso la
liberazione, a Israele popolo unico che alla ne ritrover la purezza della
fede e lunit del regno originario. Probabilmente questi passaggi riettono
tempi diversi. Riprendendo quello che ho proposto sopra, direi che Israele
riutato a differenza di Giuda, forse durante il buon governo di Iotam (che,
secondo 2Re 15,32-35, dur 16 anni)90, riette un periodo tra il 745 e il
722, mentre la situazione di Israele e Giuda insieme in esilio riette un
periodo di poco posteriore al 70191.
Se questo accettabile, si dir che il profeta, per comunicare il suo
messaggio, combina insieme situazioni cronologicamente diverse. Compo-
cui realmente il testo intende informare. Mi sembra quindi fuori luogo, pace Andersen Freedman, 291-294, porsi domande circa la vicenda privata del profeta su cui il testo non
informa; ad esempio, come sua moglie abbia reagito alliniziativa di 3,2-3; tanto meno se
sia o no tornata al marito secondo la decisione di 2,9, anche perch la famiglia del profeta
del tutto fuori dellorizzonte del c. 2 e non credo che la donna del c. 3 sia la stessa Gomer
del c. 1 (cf. 2, nota 23). Si veda anche Stuart, 11-12.
89. Cf., tra gli altri, Keil, 47. Di opinione diversa Macintosh (cf. nota 38).
90. Per i problemi di cronologia di questo periodo si veda Miller - Hayes, A History of
Ancient Israel and Judah, 295-296.
91. Non mi sembra quindi giusticato ammettere aggiunte posteriori riguardanti Giuda
(cf. nota 2), almeno nei cc. 1-3. Nella lettura data qui sopra mi sembra che si comprenda
anche perch nella datazione del libro di un profeta del nord i re di Giuda siano nominati
prima dei re di Israele, senza per questo dover ammettere che lintestazione sia stata aggiunta in epoca post-esilica (come fa, ad esempio, Macintosh, 1-3). Quanto al problema che dei
re di Israele si nomina solo Geroboamo (ibid., 3-4), si veda nota 86.
104
A. NICCACCI
nendo in modo parallelo i primi tre capitoli del suo libro (cf. 1), il profeta
intende annunciare un processo di puricazione che porter il popolo di
Israele a recuperare la fede autentica e lunit delle origini sotto un solo
Dio e un solo re, nuovo David92.
Alviero Niccacci, ofm
Studium Biblicum Franciscanum, Jerusalem
92. Un David redivivo, che sar un re pastore secondo il cuore di Dio, annunciato anche
da Michea (4,8; 5,1-5), come ho mostrato in Un profeta tra oppressori e oppressi, 54-58.
La visione escatologica di Osea presenta paralleli signicativi con quella di Michea. Anche
Mic 2,12-13 passa improvvisamente da un detto di condanna ad una promessa di salvezza,
in modo analogo a Os 2,1 rispetto al c. 1 (cf. supra, nota 28). Inoltre Mic 4,1-8 anticipa il
futuro di salvezza e poi 4,9-5,14 mostra che questo futuro preparato da un processo (indicato da quattro hD;tAo in 4,9-14) e dallavvento di un re-pastore (5,1-5; cf. ibid., 61), come
Os 2,1-2 anticipa la salvezza, ribadita alla ne del capitolo, mentre nella sezione centrale
delinea il processo per arrivarci (cf. 4).
G. Rizzi
Un po di storia
Circa 30 anni fa ero studente alla Flagellazione e, grazie alla cordiale convivialit francescana, sedevo a tavola vicino a P. Lino Cignelli, che osservava con occhio lungimirante e comprensivo la mia buona e ingenua
volont di nuotare negli oceani biblici. Fu cos che mi propose di leggere
un articolo celebre quanto controverso di Orlinsky sulla LXX2, suggerendomi di buttarmi a capotto nello studio di quel mondo, vista una certa mia
propensione per le lingue bibliche. Nello stesso tempo, sempre in quegli
indimenticabili anni gerosolimitani, stavo facendo anche lesperienza di
quanto fosse importante radicare la complessa metodologia dello studio
comparato del testo ebraico della Bibbia con le sue versioni greche, aramaiche, siriache, latine, ecc., in un vivo contesto di lettura ecclesiale della Bibbia, grazie anche allesperienza delle impegnative omelie dialogate presso
la comunit monastica della Piccola Famiglia dellAnnunziata, fondata da
Giuseppe Dossetti. In quel contesto, le geniali intuizioni di D. Umberto
Neri, come i suoi lavori piuttosto pionieristici nel mondo degli studi italiani
del tempo3, mi fecero unimpressione notevole.
Non tutto ci che si sviluppato in seguito a quegli impulsi trov subito allora la strada per divenire uno studio scientico. Ricordo che partii
da Gerusalemme convinto di aver gi vissuto il mio futuro, con una vivissima nostalgia di quella lettura comparata della Bibbia in ambito ecclesiale,
mentre il suggerimento di P. Cignelli stava scavando in profondit, a mia
insaputa, dal momento che le esigenze del mio Ordine Religioso mi chiamavano a occuparmi del ministero pastorale ordinario.
1. Testo della Prolusione per linizio dellanno accademico 2006-07 della Facolt di Scienze
106
G. RIZZI
Tuttavia, tra il 1992 e il 1996, insieme a D. Sandro Carbone, ex-alunno dello SBF, mi trovai a condividere quegli stessi impulsi iniziali gerosolimitani no a pubblicare i primi tre volumi di testi dei Profeti Minori
nella loro traduzione comparata dal testo ebraico masoretico, dalla LXX
e dalla parafrasi aramaica targumica4, con un volume introduttivo, attento
soprattutto alla LXX e al Targum, quali espressioni di ermeneutiche del
testo biblico, o esegesi in atto della Scrittura5, come ci aveva spiegato
R. Le Daut, consegnandoci la sua prefazione a quello stesso volume. Poco
dopo, M. Harl ci aveva invitati a Parigi a presentare il nostro progetto di
lavoro in una delle periodiche riunioni del suo gruppo di ricerca, che stava
lavorando a La Bible dAlexandrie6. Inoltre, il prof. Ribera Florit7, direttore del Dipartimento di Scienze Aramaiche dellUniversit di Barcellona,
in un lungo colloquio a Barcellona mi aveva precisato la posizione della
scuola spagnola a proposito dei Targumim8 e mi aveva aggiornato sulla
bibliograa specica.
A quel punto, mentre stavamo preparando il quarto volume di testi della
collana9, i miei superiori ritennero che avessi gi pagato le tasse di Congregazione e mi spinsero ad accettare lofferta della Ponticia Universit
Urbaniana di andare a Roma a insegnare. La condizione completamente
nuova e diversa per me, di professore a tempo pieno, giungeva propizia
per la pubblicazione, oltre che del quarto, anche del quinto volume della
4. S.P. Carbone - G. Rizzi, Osea, Lettura ebraica, greca e aramaica, Bologna 1992; Idd.,
Amos, Lettura ebraica, greca e aramaica, Bologna 1993; Idd., Michea, Lettura ebraica,
greca e aramaica, Bologna 1996. Importanti integrazioni comunque gi si possono trovare
circa la versione greca di Amos, in R. Pierri, Parole del profeta Amos. Il libro di Amos
secondo i LXX, Jerusalem 2002.
5. S.P. Carbone - G. Rizzi, Le Scritture ai tempi di Ges, Bologna 1992.
6. Frutto di quellincontro a Parigi fu la successiva pubblicazione di S.P. Carbone - G.
Rizzi, Memra e Paradosis. Progetto di lavoro per la traduzione sinottica di TM-LXXTg Profeti Minori nella collana EDB La Parola e la sua tradizione, RivBiblIt 43
(1985) 369-379.
7. Cf. J. Ribera Florit, El Targum de Isaas (BM 6), Valencia 1988; Id., Traduccin del
Targum de Jeremas (BM 12), Valencia 1992; Id., Targum de Ezequiel (BM 27), Estella
(Navarra) 2004.
8. Il genere letterario dei Targumim apparterrebbe solo parzialmente a quello della traduzione del testo ebraico, e in modo pi marcato a quello dellesegesi interpretativa del testo
ebraico biblico (cf. M. Prez Fernndez, Letterattura rabbinica, in G. Aranda Prez - F.
Garca Martnez - M. Prez Fernndez, Letteratura giudaica intertestamentaria [Introduzione allo studio della Bibbia 9], Brescia 1998, 468).
9. S.P. Carbone - G. Rizzi, Abaquq, Abdia, Nahum, Sofonia, Lettura ebraica, greca e aramaica, Bologna 1997.
107
108
G. RIZZI
zione della critica e della ricostruzione testuale del testo ebraico16, alla luce
del TM e del materiale testuale qumranico, no a indurre E. Tov a proporre
il suo metodo di critica letteraria del testo ebraico, partendo rigorosamente dalla ricchissima messe di dati testuali oggi disponibili17. Anche la pi
recente posizione di A. Schenker sulla priorit cronologica del testo della
LXX rispetto al TM in quanto riettente un testo ebraico pi antico e diverso ormai perduto18, si colloca sempre nellambito testuale, per quanto non
manchino ormai lavori attenti a evidenziare salienti diversit di contenuti
tra TM e LXX, senza rinunciare alla storia delle priorit testuali del greco
o dellebraico19.
Tuttavia, non pu essere questa lunica sorte scientica della LXX,
sia in quanto traduzione maturata in ambiente giudaico, come nella sua
vicenda di testo ripreso in contesto cristiano gi neotestamentario e poi
patristico. Di fatto, R. Le Daut nel suo ormai storico saggio di raffronto
tra LXX e Targum20, aveva percorso con attenzione e con grande sensibilit la fenomenologia della LXX, non solo nei suoi libri a noi noti
soltanto o quasi soltanto in greco, ma anche e soprattutto in quelli che
traducevano il testo ebraico, avendo anche costantemente a fronte la letteratura targumica, per tratteggiare quella che lui stesso aveva indicato
come unesegesi biblica in atto, cos che LXX e Targum si rivelano come
testi del giudaismo in cui la tradizione fa irruzione nella traduzione 21,
seppure in misura diversa e con nalit diverse. LXX e Targum, scuole
di esegesi intrabiblica, parallele e almeno in parte coeve della tradizione
16. Si pensi al minuzioso lavoro di P.G. Borbone, Il Libro del profeta Osea. Edizione critica
del testo ebraico (Quaderni di Henoch 2, Supplementi a Henoch Anno XII/1), Torino
1987, dettagliatamente discusso in D. Barthlemy, Critique textuelle de lAncien Testament
(OBO 50/3), vol. III, Fribourg (Suisse) - Gttingen 1992, pp. xxi-xxii.xxvi-xxvii, ecc.; cf.
uno status quaestionis in Fernndez Marcos, La Bibbia dei Settanta, 87-90.
17. Cf. E. Tov, Textual Criticism of the Hebrew Bible, Minneapolis - Assen, 2001, 1-20.
18. Cf. A. Schenker (ed.), The Earliest Text of the Hebrew Bible. The Relationship between
the Masoretic Text and the Hebrew Base of the Septuagint Reconsidered, Congress of the
International Organization for Septuagint and Cognate Studies (Basel 2001), Leiden 2003.
19. Cf. Ph. Hugo, Les deux visages dlie. Texte massortique et Septante dans lhistorie
la plus ancienne du texte 1Rois 17-18 (OBO 217), Fribourg (Suisse) - Gttingen 2006,
323-330.
20. Cf. R. Le Daut, La Septante, un Targum?, in R. Kuntzmann - J. Schlosser (ed.),
tudes sur le judasme hellnistique, Congrs de Strasbourg (1983) (Lectio Divina 119),
Paris 1984, 147-195.
21. Cf. G. Rizzi - A. Caglioni - R. Redaelli, Il patto con No. Tradizioni bibliche, giudaiche,
cristiane e coraniche a confronto, San Cataldo - Caltanissetta 2001, 131.
109
giudaica22, sono certamente anche due diversi esempi di traduzione interpretativa del testo ebraico biblico, ma proprio per le loro caratteristiche di
traduzioni interpretative, dove la tradizione fa irruzione nella traduzione,
pongono emblematicamente la questione della natura delle antiche traduzioni delle Sacre Scritture nel giudaismo del periodo ellenistico-romano
e nel cristianesimo antico.
Una fenomenologia ermeneutica comune e specica per antiche versioni delle Miqraot nel giudaismo del periodo ellenistico-romano e dellAntico Testamento nel cristianesimo antico
Infatti, pur soltanto partendo da brevi sondaggi, le tecniche, e i metodi23
e i contenuti nei procedimenti di traduzione e di interpretazione, rilevabili
in comune nella LXX e nel Tg24, si ritrovano anche nelle altre versioni
greche delle Miqraot come in quelle del rotolo di Nahal Hever dei Dodici
Profeti Minori25, del Proto-Teodozione26, di Aquila27, di Simmaco28 e di
22. Cf. lopera pionieristica quanto emblematica di Z. Frankel, Vorstudien zu der Septua-
ginta. Nebst Beitrgen zu den Targumim, Leipzig 1841. Per la LXX in ambito giudaico il
ruolo ermeneutico si circoscrive drasticamente con gli orientamenti rabbinici del II sec. d.C.
verso un solo testo ebraico consonantico standardizzato, pur continuando la LXX a essere
citata nelle tradizioni rabbiniche; per il Tg lepoca fondamentale del suo lungo processo
redazionale comincia proprio col II sec. d.C., pur essendo gi documentato come fenomeno
letterario analogo in lingua aramaica gi tra i testi di Qumran.
23. Potrebbe essere utile introdurre una distinzione tra tecnica e metodo nel procedimento di traduzione e di interpretazione del testo ebraico da parte della LXX e del Tg: si
potrebbe denire tecnica uno specico procedimento utilizzato non sistematicamente, ma
solo sporadicamente, secondo la necessit occasionale; metodo potrebbe invece denire
un procedimento applicato diffusamente e pi sistematicamente, cos che il metodo presuppone unapplicazione sistematica di una tecnica o anche di pi tecniche (cf. Carbone
- Rizzi, Osea, 274).
24. Cf. Carbone - Rizzi, Osea, 273-281; Idd., Amos, 161-166; Idd., Michea, 219-229; Idd.,
Abaquq, Abdia, Nahum, Sofonia, 179-186.231-233; Idd., Aggeo, Gioele, Giona, Malachia,
209-212.315-316.507-508. Per un bilancio sul fenomeno del targumismo nella LXX nei
testi doppi, cf. Fernndez Marcos, La Bibbia dei Settanta, 95-113 (con bibliograa specica); per un quadro pi complessivo della LXX come opera dinterpretazione di esegesi
cf. J. Trebolle Barrera, La Biblia juda y la Biblia cristiana. Introduccin a la historia de
la Biblia, Madis 1993, 338-339.
25. Cf. gi Barthlemy, tudes dhistoire du texte de lAncien Testament, 38-53.86-91.
26. Cf. gi D. Barthlemy, tudes dhistoire du texte de lAncien Testament, 72-85.
27. Cf. specicamente Fernndez Marcos, La Bibbia dei Settanta, 123-129.
28. Cf. specicamente Fernndez Marcos, La Bibbia dei Settanta, 135-146.
110
G. RIZZI
(SB 103), Brescia 1993, 103-106, mentre una dettagliata trattazione dei fenomeni interpretativi, che tiene conto degli studi della serie delle Monographs Peshitta Insitute Leiden
(MPIL), si pu trovare nellopera postuma di M.P. Weitzmann, The Syriac Version of the
Old Testament. An Introduction, Cambridge 1999, 203-205 (sintesi della posizione di fondo
maturata nellautore).
31. Per un confronto tra fenomeni interpretativi in uno stesso testo tra Peshitta e Siroesaplare, cf. G. Rizzi, Hermeneutic Phenomena in the Translation of the Peshitta Wisdom, in A.
Passaro - G. Bellia (ed.), The Book of Wisdom in Modern Research. Studies on Tradition,
Redaction, and Theology (Deuterocanonical and Cognate Literature Yearbook 2005), Berlin
- New York 2005, 234-250.
32. Largamente lacunoso il testo della VL in funzione dei vari libri che la compongono
nelledizione di P. Sabatier, Bibliorum Sacrorum Latinae Versiones Antiquate, 1745-1749; non
meno problematica la situazione testuale nelledizione critica in corso curata dai Benedettini
di Beuron, (cf. il prospetto delledizione al 2001 in BIOSCS 35 [2002] 17-20); tuttavia si pu
sicuramente notare nel rapporto tra le famiglie testuali della LXX relazionabili con quelle
della VL nei singoli libri o anche nelle speciche sezioni, come sia facile imbattersi in fenomeni interpretativi della VL rispetto alloriginale greco, o rispetto alluso latino attestato: le
parole infatti non si pronunciano n si scrivono sempre secondo la lingua classica, ma secondo
luso dialettale, che ancora si riette in VL; il vocabolario sovraccarico di termini composti,
o anche di parole con pressi o sufssi no allora insoliti; compaiono espressioni popolari;
numerosi sono i vocaboli di derivazione straniera, come il grecismo zelus in VLSap 5,18;
alcuni vocaboli come apostolus, baptisma ecc., dato il loro valore religioso tecnico nel
gergo cristiano, sono stati semplicemente trapiantati dal greco in latino; oppure si imita il
greco col termine paranimphus in VLGen 26,26; si pu anche semplicemente riprodurre
laramaico come nel caso di VLMt 6,24 mamona; si tende a dare un senso diverso alle
espressioni classiche: VgAg 1,13 nuntius riferito al profeta Aggeo, secondo la classica
concezione latina del messaggero umano (cf. TMAg 1,13 malak), mentre VLAg 1,13 angelus corrisponde a LXXAg 1,13 aggelos, ma il senso diventa quello di messaggero del cielo; vi grande libert nel sorvolare sulle regole grammaticali circa generi, casi, coniugazioni,
concordanze, sintassi, in sintonia con il latino della decadenza; la pedissequa fedelt di VL
al modello greco era in stridente contrasto con i canoni ciceroniani classici, sulla traduzione e
sul suo livello letterario, che esigevano libert di movimento nella forma della versione rispetto al testo originale, ma linteresse teologico per la lologia n col portare anche Agostino a
preferire il barbarismo alla correzione; sotto una simile pressione biblica, alcuni termini
latini assunsero un nuovo signicato: des, col senso originario di ducia, condenza,
assunse il signicato di fede religiosa (VL-VgAb 2,4); gentes, nel senso di nazioni,
pass a signicare pagani (VLSal 79,10); peccatum, che indicava lerrore involontario,
n collinglobare il senso di peccato o colpa (VLGen 18,20); testamentum, indicante
il concetto di volont, di testamento, prese a signicare alleanza (VLGen 17,2); saeculum, dal senso di generazione, pass a indicare quello di eternit (VLSal 37,27; cf.
Trebolle Barrera, La Biblia juda y la Biblia cristiana, 370).
33. Accanto alle esigenze della stilistica latina, che Girolamo ancora vuole salvaguardare, c un ricorso agli equivalenti culturali e alle traduzioni etimologiche in relazione alla
111
toponomastica; la lologia nella Vg, si colloca tra fenomeno stilistico e fenomeno ermeneutico; vi sono glosse di natura esplicativa, e di natura midrashica; c della vera
e propria esegesi cristiana nella traduzione geronimiana dallebraico in latino (cf. VgIs
11,10, VgIs 16,1; VgIs 12,3; VgIs 26,1; VgIs 41,2.10; VgIs 45,8; VgIs 51,5; VgIs 62,1ss
sono traduzioni messianiche che vanno al di l della portata del testo ebraico); ma
nella traduzione gronimiana si pu riettere anche dellesegesi giudaica vera e propria
(cf. Trebolle Barrera, La Biblia juda y la Biblia cristiana, 374-375, con bibliograa:
377-378).
34. G. Rizzi, Il midrash haggadah nella versione greca di Abaquq, Abdia, Nahum e
Sofonia come esegesi trasformante nel giudaismo del periodo ellenistico, in S. Graziani
(ed.), Studi sul Vicino Oriente Antico dedicati alla memoria di Luigi Cagni (I.U.O. Dipartimento di Studi Asiatici Series Minor LXI, vol. IV), Napoli 2000, 2044-2047.
35. Per il giudaismo senza dubbio fondamentale in tal senso la Bibbia Rabbinica
Ordinaria; cf. G. Rizzi, Bibbia e giudaismo nella fede ebraica, in M. Crociata (ed.),
Teologia delle religioni. La questione del metodo, Roma 2006, 143-166; per un primo
approccio alle antiche versioni nelle antiche Chiese cristiane, si pu vedere U. Neri,
Genesi Biblia, i libri della Bibbia interpretati dalla Grande Tradizione, Torino 1986,
xxi-cxxxviii.
112
G. RIZZI
unaltra tradizione interpretativa, pi o meno, per cos dire, mimetizzata36 nella traduzione. Gli antichi traduttori presentano delle traduzioni
a calco delloriginale37, rispettandone anche lordine e il numero delle
parole38, quando lo ritengono opportuno o sono in grado di farlo, oppure
non ritengono di dover fare violenza alla lingua in cui traducono cos da
ricorrere a idiomatismi propri39, a una gamma di fenomeni caratteristici
che oggi facilmente si chiamano translazionali40, che non suppongono un
36. Nonostante la Neo-Volgata sia presentata nella costituzione apostolica Scripturarum
Thesaurus di Giovanni Paolo II come la versione che dovrebbe fungere da metro di valutazione per tute le altre versioni delle Sacre Scritture nelle lingue moderne e parlate, di fatto
nella tradizione cristiana anche cattolica invalso il principio, secondo cui, una versione
di un libro, o di pi libri, o anche di tutte le Sacre Scritture dai testi originali in una lingua
vernacolare debba rappresentare un momento importante del processo di inculturazione
delle stesse Sacre Scritture in quella particolare cultura (cf. G. Rizzi, Edizioni della Bibbia nel contesto di Propaganda Fide. Uno studio delle edizioni della Bibbia presso la
Biblioteca della Ponticia Universit Urbaniana, vol. II, Roma 2006, 411-413.427-428).
Nella tradizione delle Chiese appartenenti allOrtodossia certamente preminente il ruolo
centrale del testo greco dellAT e del NT nella liturgia, con alcune concessioni pi recenti
alle versioni in neo-ellenico per luso privato (cf. Rizzi, Edizioni della Bibbia nel contesto
di Propaganda Fide, vol. I, 113-116); tuttavia in ambito missionario la Chiesa Ortodossa in
Etiopia conferisce al testo della versione etiopica in antico geez un ruolo primario anche
nella liturgia (cf. Rizzi, Edizioni della Bibbia nel contesto di Propaganda Fide, vol. III,
1328-1331). Nelle Chiese Riformate n dai loro inizi e nella Chiesa Cattolica a partire un
po prima della met del secolo scorso le traduzioni nelle lingue vernacolari sono assurte
a dignit di testo anche liturgico, bench la prassi missionaria anche nella Chiesa cattolica
abbia anticipato talvolta nel tempo simile fenomeno. Nella tradizione del giudaismo invece
il testo ebraico masoretico delle Miqraot, nella sua forma di textus receptus della tradizione rabbinica, costituisce lunico punto di riferimento ufciale per la liturgia, mentre le
versioni, a partire dalle antiche parafrasi aramaiche targumiche sono soltanto considerate
dei sussidi. Tuttavia, il giudaismo riformato presenta una certa fenomenologia di edizioni
del testo biblico non pi conformi al textus receptus, per ni scolastici ad esempio, avendo
affermato la necessit di tradurre le Miqraot nelle lingue parlate moderne; ci nonostante
sembra che lo stesso M. Mendelsohn abbia afdato soprattutto al suo commento-Biur pi
che alla traduzione del testo biblico i compiti di uneffettiva inculturazione moderna delle
Miqraot (cf. Rizzi, Edizioni della Bibbia nel contesto di Propaganda Fide, vol. I, 140.155157.166-169.207-208).
37. Il fenomeno facilmente riscontrabile nella Peshitta dellAT, ad esempio (cf. Rizzi,
Hermeneutic Phenomena, 227), trattandosi com ovvio di una lingua semitica che traduce unaltra lingua semitica; ma anche le traduzioni a calco in greco dallebraico non sono
rare (cf. Carbone - Rizzi, Aggeo, Gioele, Giona, Malachia, 43, ecc.; Idd., Abaquq, Abdia,
Nahum, Sofonia, 355, ecc.
38. Cf., a titolo puramente esemplicativo, Carbone - Rizzi, Aggeo, Gioele, Giona, Malachia, 232, ecc.
39. Cf. Carbone - Rizzi, Aggeo, Gioele, Giona, Malachia, 44, ecc.
40. Cf. per il greco, a titolo puramente esemplicativo, Carbone - Rizzi, Aggeo, Gioele,
Giona, Malachia, 232-234.
113
41. Cf. la discussione in M. Harl, Y a-t-il dans la Septante des fautes de lecture du mo-
114
G. RIZZI
ebraico, o alla versione da cui si traduce, no a mimetizzare o a inglobare linterpretazione nel testo tradotto, quale espressione dellinesauribile ampiezza del mistero della
Parola del testo sacro (cf. U. Neri, Il Cantico dei cantici. Antica interpretazione ebraica,
Roma 1976, 20-21). In questo senso, lattivit derashica, nei confronti della Parola di Dio
in queste antiche versioni nel giudaismo, non ha nemmeno bisogno di essere suffragata
dalla menzione dei maestri, o della catena di maestri, come ordinariamente avviene nella
letteratura rabbinica, a meno che non si tratti di interpretazioni talmente autorevoli, da
restare anonime. Nel giudaismo, lattribuzione dellintera versione greca a un gruppo di
autori come i 72 traduttori di cui parla la lettera di Aristea, donde la traduzione dei LXX
del Pentateuco, o della LXX per lintera traduzione delle Scritture, vuole indubbiamente
esprimere lappartenenza di questa versione a tutto lIsraele raccolto nelle dodici trib. Il
valore, invece, sussidiario in ordine al testo ebraico, della altre versioni greche originate nel
giudaismo e attribuite a un solo personaggio come Aquila, Simmaco e Teodozione, pu essere accostato allanalogo fenomeno dei Targumim aramaici, la cui autorevolezza indiscussa
nella tradizione rabbinica. Daltra, luscita di scena ufciale di tutte le versioni di lingua
greca e anche di quelle di lingua siriaca nel giudaismo rabbinico, sposta inevitabilmente la
questione del loro valore nella tradizione cristiana antica.
53. Cf. Carbone - Rizzi, Le Scritture ai tempi di Ges, 51-58.
54. Cf. il riferimento alle Middot rabbiniche in Ribera Florit, El Targum de Isaas, 27-28;
Id., Targum de Ezequiel, 26ss, ecc.
55. Per i targumim vale senza dubbio quanto acutamente registrato da Neri, Il targum del
Cantico dei cantici, 27-30; per la LXX, in relazione anche al Tg, cf. Carbone - Rizzi,
Memra e Paradosis. Progetto di lavoro, 377-379.
56. A titolo puramente esemplicativo cf. la trattazione di Ribera Florit, El Targum de
Isaas, 33-34.
115
116
G. RIZZI
117
118
G. RIZZI
una versione tedesca della LXX in due volumi, secondo un impianto che
non dovrebbe distare molto da quello del NETS, mentre un terzo volume,
con unintroduzione generale, introduzioni ai singoli libri e commento ai
passi testualmente pi difcili, dovrebbe corredare progetto ed edizione79.
Ma si parla anche di progetti di una versione della LXX in giapponese, in
ebraico moderno80 e in greco moderno81.
La progressiva produzione di nuovi lessici, dizionari e altri strumenti
di lavoro per la LXX nel frattempo82 tra i quali oggi annoveriamo senza
dubbio la miscellanea Grammatica intellectio Scripturae. Studi lologici
di greco biblico in onore di padre L. Cignelli83, professore emerito dello
SBF , conferma anche lafnamento della conoscenza delle tecniche di
traduzione dal punto di vista lologico, lessicale e stilistico, grammaticale
e sintattico, che la LXX nelle sue singole parti come nella sua globalit
documenta. Il volume sulla sintassi greca della LXX, che oggi viene presentato in questa sede di ricerca, una riprova della necessit di questo
genere di strumenti. Tuttavia, non si tratta soltanto di comprendere se e
come sia stato di volta in volta inteso dagli antichi traduttori il testo ebraico
soggiacente84, ma di intravedere criteri e costanti nellimpresa lologica ed
ermeneutica della LXX.
119
85. Cf. Harl, Y a-t-il dans la Septante des fautes de lectures du modle hbreu?, 254-
258.
86. Cf. R. Le Daut, La Septante, un Targum?, in tudes sur le judasme hellnistique,
183-184.
87. Cf. Le Daut, La Septante, un Targum?, 183; la questione dei targumismi nella LXX
variamente discussa (cf. M. Harl, Les targumismes dans la Septante, in La Bible grecque
des Septante, 212-214).
88. Cf. Carbone - Rizzi, Memra e Paradosis. Progetto di lavoro, 371-377.
89. Cf. la discussione nella Nota Editoriale in Carbone - Rizzi, Abaquq, Abdia, Nahum,
Sofonia, 9.
90. Cf. la discussione nella Nota Editoriale in Carbone - Rizzi, Aggeo, Gioele, Giona,
Malachia, 7.
91. Per un primo quadro generale cf. Trebolle Barrera, La Biblia juda y la Biblia cristiana,
243-245; per una trattazione monograca pi dettagliata cf. E.E. Ellis, LAntico Testamento
nel primo cristianesimo. Canone e interpretazione alla luce della ricerca moderna (SB
122), Brescia 1999, 53-57.
120
G. RIZZI
37 d.C. nella ricostruzione di R. Pesch, Il Vangelo di Marco (CTNT II/2), vol. II, Brescia
1982, 18-54.
94. Cf. G. Rizzi, Riletture delle Scritture come un Vangelo: interpretazioni mariologiche quali elementi costitutivi, in E. Toniolo (ed.), Lermeneutica contemporanea e i
testi biblico-mariologici, Roma 2003, 94-106; sulla LXX nel NT cf. la messa a punto di
Fernndez Marcos, La Bibbia dei Settanta, 312-327.
95. Sembra si debbano ammettere contatti nel discorso di Stefano negli Atti con almeno 4
citazioni del Pentateuco consone al Pentateuco Samaritano, sempre contro il TM, come anche altri contatti con concezioni samaritane; cf. G. Schneider, Gli Atti degli Apostoli (CTNT
V/1), vol. I, Brescia 1985, 624-630.
96. Cf. Carbone - Rizzi, Le Scritture ai tempi di Ges, 77.
97. Cf. G. Dorival, La Septante mre de traduction multiples, in La Bible grecque des
Septante, 330-334.
Cf. Trebolle Barrera, La Biblia juda y la Biblia cristiana, 368; cos gi anche lascia intravedere O. Eissfeldt, Introduzione allAntico Testamento (Biblioteca
teologica 4), vol. IV, Brescia 1984, 257-258, che sottolinea limportanza della VL
come traduzione dalla LXX ancor prima delle recensioni cristiane della LXX nel
III-IV sec. Per unipotesi ampia di lavoro su traduzioni latine giudaiche, cf. B.
Botte, Latines (versions) antrieures S. Jrme, in DBS, vol. V, Paris 1957,
col. 347.
98.
121
1299.
101. Cf. Rizzi, Edizioni della Bibbia nel contesto di Propaganda Fide, vol. III, 13151317.
102. Cf. Rizzi, Edizioni della Bibbia nel contesto di Propaganda Fide, vol. III, 10151016.
103. Per i testi della Peshitta dellAT tradotti dal greco, cf. Rizzi, Hermeneutic Phenomena, 229ss.; sulla Siroesaplare cf. Trebolle Barrera, La Biblia juda y la Biblia cristiana,
381.
104. Cf. Rizzi, Hermeneutic Phenomena, 224-228.
105. Cf. Weitzmann, The Syriac Version of the Old Testament, 3-14.
106. Cf. Weitzmann, The Syriac Version of the Old Testament, 68-86.
107. Cf. Dirksen, La Peshitta dellAntico Testamento, 59-64.
108. Cf. Dirksen, La Peshitta dellAntico Testamento, 26-28; per quanto riguarda la discussione sulle riletture cristiane di Pesh Sapienza cf. Rizzi, Hermeneutic Phenomena,
249-250.
122
G. RIZZI
1048.
115. Cf. Rizzi, Edizioni della Bibbia nel contesto di Propaganda Fide, vol. III, 10611062.
116. Cf. Rizzi, Edizioni della Bibbia nel contesto di Propaganda Fide, vol. III, 1315.
117. A titolo soltanto esemplicativo, cf. C.M. Martini - P. Bonatti, Il messaggio della salvezza. 1. Introduzione generale. Corso completo di studi biblici, Leumann (Torino) 1990,
206.
123
citato e interpretato il testo dellAT, testo e interpretazione fanno regolarmente irruzione nella tradizione testuale dellAT in ambito cristiano118.
Daltra parte, le traduzioni cristiane dellAT non si limitano ai passi gi
noti nel NT, ma evidenziano come lermeneutica neotestamentaria dellAT
sia applicata anche nella traduzione di tutto lAT119; con una differenza tra
la LXX e le altre versioni cristiane antiche, eccettuata la Peshitta: nella
tradizione testuale diretta e indiretta della LXX le traduzioni cristiane si
riconoscono ormai facilmente come glosse rispetto alla tradizione testuale
diretta120.
In questo senso, lermeneutica neotestamentaria dellAT, sia essa esplicita e circostanziata nelle sue citazioni, come nelle sue linee pi generali121, non solo si trova applicata nelle traduzioni cristiane, ma diventa
un principio coscientemente programmato ed espresso in modo formale
ed esplicito nellesegesi patristica del testo biblico dellAT, a partire dai
testi dei padri e degli scrittori subapostolici, lungo tutta la tradizione dei
padri e degli scrittori greci122, le cui opere e la cui dottrina passarono sistematicamente nelle altre Chiese antiche, per formare le varie tradizioni
cristiane, di lingua latina, siriaca, armena, copta, etiopica e georgiana, sia
118. Si possono consultare a questo proposito le varianti negli apparati critici delle rispettive
edizioni delle versioni, in quei passi dellAT che sono citati e richiamati anche nel NT.
119. Cf., ad esempio, A. Penna, Isaia (La Sacra Bibbia V.T.), Torino 1964, 141 a proposito
della traduzione di VgIs 11,10 vexillum dal TMIs 11,10, ecc.
120. Cf. M. Harl, Linterprtation de la Septante dans le Nouveau Testament: des lectures
messianiques, in La Bible grecque des Septante, 282-288.
121. Cf. M. Harl, La Septante chez les Pres grecs et dans la vie des chrtiens, in La Bible
grecque des Septante, 289-320.
122. Il materiale degli studi che stato capitalizzato in questo ambito sterminato; cercando
di circoscriverlo ai lavori diretti di esegesi patristica sulla LXX, si pu senza dubbio richiamare la scuola francese, ben rappresentata dalla Biblia Patristica. Index des citations et
allusions bibliques dans la littrature patristique, d. du CNRS, voll. 1-5, Paris 1986-1991,
dal lavoro di Harl, La Septante chez les Pres grecs et dans la vie des chrtiens, 289-320,
come dal materiale patristico utilizzato effettivamente nelle note di commento dei volumi di
La Bible dAlexandrie; di diversa scuola francese, ma sistematicamente orientata sullinterpretazione patristica del Salterio greco, lopera tradotta anche in italiano: J.-C. Nesmy
(ed.), I Padri commentano il Salterio della Tradizione, Torino 1983. In ambito italiano si
pu certamente richiamare come programmatica la gi menzionata introduzione di U. Neri
in Genesi (1986), alla quale va aggiunto il materiale patristico effettivamente valorizzato
in quella moderna catena, e nelle altre opere, relative allAT della medesima collana: G.
Sgargi, Gioele, Amos, Abdia (Biblia), Bologna 1998, Id., Giona (Biblia), Bologna 2004;
mentre la realizzazione pi sistematica di questa prospettiva di lavoro tipicamente italiana
si trova in Il Pentateuco, La Bibbia dei LXX 1, a cura di L. Mortari, Roma 1999, frutto
anche di apporti di molti collaboratori, la cui opera ha potuto per ora esplicarsi, ad esempio,
ancora in una diecina di articoli pubblicati in Adamantius 10 (2004) 11-71.
124
G. RIZZI
123. Per le Chiese di lingua latina, cf. M. Marin, Orientamenti di esegesi biblica dei Padri,
125
trattamento di particolarissimo riguardo, collocandola a un rango superiore di tutte le altre versioni, Vulgata compresa129, mentre il documento
della Ponticia Commissione Biblica sullinterpretazione della Bibbia
nella Chiesa riconosce che lesaltazione geronimiana per lhebraica veritas fu una posizione marginale allinterno dellesegesi patristica in
materia di AT130. La teologia magisteriale evidenzia il valore imprescindibile e irrinunciabile dellesegesi e dellermeneutica patristica delle Sacre
Scritture131.
In simile prospettiva si pu meglio comprendere il senso del grido di
battaglia lanciato dallinsigne patrologo Manlio Simonetti, nella prefazione
alla traduzione italiana del Pentateuco, frutto della collaborazione di vari
studiosi italiani sotto la direzione di L. Mortari: occorre uscire dal monopolio del testo ebraico della Bibbia e valorizzare la LXX come testo biblico
eminentemente cristiano132.
Se il grido di battaglia ha suscitato vivacissime reazioni nelluditorio
reggiano in cui fu lanciato oralmente per la prima volta, il senso pi profondo della rivendicazione pi che legittimo. A fronte di una sola traduzione
italiana della LXX completa, ma non pi in circolazione da tempo 133; a
fronte della traduzione di quasi tutto il corpus dei Profeti Minori nella LXX
in quanto opera del giudaismo134; a fronte di una sola pi recente traduzione isolata del Salterio della LXX in quanto testo utilizzato dai cristiani135,
quella del Pentateuco lunica traduzione italiana moderna di un corpo
129. Neri, Genesi, xlv; ma molto interessante lintero brevissimo schizzo storico della
126
G. RIZZI
co, La Bibbia dei LXX -1, xxxv-xxxvii; tuttavia verosimile che il fondamento teologico
delloperazione necessiti di ulteriori approfondimenti, come si vedr nellultima parte di
questa relazione.
138. Pi tradizionalmente indicato come recensione di Luciano (cf. O. Munnich, La recension lucianique, in La Bible grecque des Septante, 168-171; Trebolle Barrera, La Biblia
juda y la Biblia cristiana, 325-326; pi completa la trattazione di Fernndez Marcos, La
Bibbia dei Settanta, 222-235).
139. Cf. Esichio (cf. O. Munnich, La recension dHsychius, in La Bible grecque des
Septante, 172; Trebolle Barrera, La Biblia juda y la Biblia cristiana, 325; pi completa
la trattazione di Fernndez Marcos, La Bibbia dei Settanta, 236-243) e la recensione origeniana (cf. O. Munnich, Les Hexaples et la recension dOrigne, in La Bible grecque
des Septante, 162-171; Trebolle Barrera, La Biblia juda y la Biblia cristiana, 326-328; pi
completa la trattazione di Fernndez Marcos, La Bibbia dei Settanta, 205-221).
127
140. Cf. ad esempio il catalogo delle citazioni dellAT nelledizione del Novum Testamentum
Graece, post E. Nestle ediderunt K. Aland - M. Black - C.M. Martini - B.M. Metzger
- A. Wikgren, apparatum criticum recensuerunt et editionem elaboraverunt K. Aland et
Barbara Aland, 26. ed., Stuttgart 1979-1980, 739-335; oppure il catalogo nelledizione di
The Greek New Testament, ed. by K. Aland - M. Black - C.M. Martini - B.M. Metzger - A.
Wikgren , 3. ed., New York etc. 1975, 897-920.
141. Loperazione gi stata ben documentata nei volumi di La Bible dAlexandrie.
142. Cf. Neri, Genesi, xxii-xxiii.lxxxvi-lxxxix in modo applicativo ed esemplare; pi ampia
e sistematica la trattazione in Fernndez Marcos, La Bibbia dei Settanta, 281-293.
143. Cf. Biblia Patristica. Index des citations et allusions bibliques dans la littrature patristique, d. du CNRS, voll. 1-5.
128
G. RIZZI
144. Nelle brevi osservazioni di Toloni, An Almost Unknown Translation of the Greek
Bible into Italian, 100-101 sono segnalati i temi teologici principali del progetto editoriale
di L. Mortari, soprattutto sotto il prolo di uno specico approccio culturale e storico,
mentre M. Simonetti simpegna pi decisamente sui medesimi temi teologici anche sotto
un prolo pi teoretico e speculativo, nella gi citata prefazione al volume della medesima
opera. Occorrerebbe ora affrontare con decisione anche la dimensione teologica della traduzione della Septuaginta, corredata dal suo patrimonio ermeneutico cristiano pi contiguo
nel tempo e nella lingua.
M. Pazzini
Il testo di Naum 2,11, nellultima parte del versetto, problematico sia
nella versione siriaca (Peshitto) che nel testo ebraico (TM). Al momento di
vocalizzare questo versetto di Naum siriaco1 mi sono imbattuto nel gruppo
di lettere oc, una forma di non facile interpretazione.
1. Il testo vocalizzato del profeta Naum fa parte del progetto, curato da M. Pazzini in
collaborazione con R. Pierri, che prevede la vocalizzazione completa dei Profeti minori in
siriaco. Tale progetto stato presentato, insieme al primo contributo, in Liber Annuus 53
(2003) 185-208 e, in forma pi popolare, in Il Mondo della Bibbia 77 (marzo-aprile 2005)
59-60. In Liber Annuus sono stati pubblicati, no ad oggi, i testi di Amos, Giona, Osea,
Michea.
2. Il testo siriaco delle due poliglotte uguale e identica anche la traduzione: et omnium
tutti alla stessa maniera: oC con C quy). Le prime due radici non sono attestate in
siriaco, mentre oc compare col senso di nascondere, celare (Thesaurus, 1699).
LA 56 (2006) 129-132
130
M. PAZZINI
and Oc they (f.) grew black, Nahum 2,10 ( 160B). Che la parola in
questione sia da intendersi come un f. plurale viene sottolineato anche da BarHebraeus nella sua grammatica6. Da quanto detto n qui, la forma potrebbe
essere vocalizzata, nel sistema occidentale, o oppure oC.
fare risaltare il senso causativo rendere nero, annerire del verbo che, al Pal, signica
piuttosto essere nero, essere scuro. Secondo il Thesaurus, invece, da questa forma regolare potrebbe essere derivata, per qualche scambio di lettere avvenuto in epoca antica,
la forma oc.
6. Cfr. Moberg, Le livre des splendeurs, p. 45. Qui la parola viene spiegata da Bar-Hebraeus
131
7. In conformit alle regole della fonologia siriaca ci aspetteremmo che, nella forma oc
,
132
M. PAZZINI
Bibliograa citata
Bibbia di Mosul: Biblia Sacra juxta versionem simplicem quae dicitur Pschitta, Mosul
1887-1891 (edizione curata dai PP. domenicani; ristampa Beirut 1951).
Bibbia di Urmia: Vetus Testamentum Syriace et Neosyriace, Urmia 1852 (ed. J. Perkins;
ristampa Trinitarian Bible Society, London 1913; 1954).
Bibbia Poliglotta: (ed. B. Walton 1655-1657), volume III, London 1656, pp. 82-87 (ultima
parte del volume).
Brockelmann C., Lexicon Syriacum, Halle 19282 (rist. Hildesheim 1966).
Duval R. (ed.), Lexicon syriacum, auctore Hassano Bar-Bahlule, Parisiis 1901.
Moberg A. (ed.), Le livre des splendeurs. La grande grammaire de Grgoire Barhebraeus.
Texte syriaque dit daprs les manuscrits, avec une introduction et des notes, Lund
1922.
Nldeke Th., Kurzgefate Syrische Grammatik, Leipzig 18982 [= Nldeke Th., Compendious Syriac Grammar (trad. J.A. Crichton), London 1904]. Ristampa in tedesco con
appendice (ed. A. Schall, Darmstadt 1966; traduzione inglese di P.T. Daniels, Winona
Lake 2001).
Payne Smith R., Thesaurus Syriacus, 2 voll., Oxford 1879, 1901. A Supplement to the Thesaurus Syriacus of R. Payne Smith, Oxford 1927 (a cura di J. Payne Smith).
DIFFERENZE TEOLOGICHE
TRA LA VETUS SYRA E IL DIATESSARON
G. Lenzi
Premesse1
La chiesa sira conserva diverse traduzioni dei vangeli greci, le pi antiche
delle quali sono la Vetus Syra e il Diatessaron, ovvero larmonia composta
da Taziano attorno al 175 d.C. Lopinione prevalente tra gli studiosi che
le due versioni siano strettamente connesse e, in particolare, che la traduzione dei vangeli separati sia ampiamente basata su quella dellarmonia2.
Non mancano, comunque, rare voci che sostengono la priorit della Vetus
Syra3.
Tenteremo di confutare la teoria prevalente non sulla base di un cumulo
di piccole differenze testuali, ma su quella delle differenze teologiche. La
nostra conclusione sar che ci troviamo di fronte a due versioni del tutto
4
indipendenti una dallaltra .
Dovendo confrontare il Diatessaron con una versione siriaca dei vangeli
terremo maggior conto dei testimoni orientali dellarmonia. Teoricamente
parlando possibile che alcune delle varianti da noi presentate non risalgano a Taziano stesso, ma a una successiva revisione diffusa solo in
Oriente.
Esaminando la Vetus Syra non terremo conto delleventualit che le varianti proprie a questa versione non dipendano dallopera di traduzione, ma
risalgano a un testo greco pi antico di quello giunto a noi. Questa possibilit - sostenuta in passato da autori come William Cureton, Adalbert Merx e
Agnes Smith Lewis - resta secondo noi aperta, ma inverificabile. Per lo
________
1. I risultati principali di questo studio sono stati presentati al XIII Incontro di studio dei
siriacisti italiani, tenutosi presso la Comunit ecumenica di Bose nei giorni 30/9-1/10 2006.
Ringrazio i colleghi di Syriaca per i consigli e le osservazioni offertimi in quella occasione.
2. Vedi tra gli altri: Vbus, Studies in the History of the Gospel Text, 34-35.168; Black,
The Syriac Versional Tradition, 127; Petersen, Tatians Diatessaron, 140.262.420;
Joosten, The Syriac Language, 10-17; Shedinger, Tatian and the Jewish Scriptures, 22;
Perrin, Thomas and Tatian , 19-22, e specialmente Malzoni, Jesus: Messias e vivificador,
420.465-467 e passim.
3. Lyon, Syriac Gospel Translations, 203-206. Si noti, inoltre, il prudente parere di
Williams, Early Syriac Translation Technique, 12-13.
4. Ipotesi gi avanzata da diversi autori nel passato, in particolare Burkitt, Evangelion damepharreshe, II 201.207-212. Lo studioso inglese, per, riteneva che la Vetus Syra fosse in
ogni caso stata influenzata dal Diatessaron sin dalla sua origine, tesi che non condividiamo.
LA 56 (2006) 133-178
134
G. LENZI
5. Per unintroduzione a questa versione, v. Lenzi, Lantica versione siriaca dei Vangeli.
6. Cureton, Quatuor Evangeliorum Syriace. Alcuni fogli del manoscritto furono ritrovati
considera la Peshitta e la Vetus Syra come due versioni indipendenti una dallaltra, ma
basate entrambe sul Diatessaron, v. The Syriac Language, 17-21.
10. Si veda Vbus, The Oldest Extant Traces of the Syriac Peshitta.
135
Diatessaron. Segnaleremo nelle prossime note gli studi apparsi dopo questa monografia.
13. In particolare: Petersen, New Evidence.
14. Ledizione corrente, con traduzione latina, : Aphraatis demonstrationes, a c. di
Parisot.
15. Si veda lelenco di testi citati in Dem II,19-20 [88-96], che segue la disposizione del
136
G. LENZI
Liber graduum, anonimo della fine del IV sec., conservato in manoscritti del VI sec.20.
Il Diatessaron siriaco venne tradotto da !Abul Fara !Abd-Allah ibn atTayyib ( 1043) in arabo 21. Esistono due recensioni differenti e il
manoscritto pi antico del XII sec.22. E, per, universalmente accettato che la versione araba non conservi integralmente il testo di Taziano, ma sia stata adattata quasi completamente alla Peshitta.
Unaltra armonia, con un ordinamento assai differente da quello della
precedente, sembra conservare lezioni tazianee23. Si tratta di una versione persiana del XIII sec. pubblicata e tradotta da Giuseppe Messina24. Il manoscritto del 1547.
Un frammento del Diatessaron in greco stato ritrovato a Dura-Europos e contiene alcuni versetti della Passione25. Limportanza di questo testimone dovuto alla sua antichit, infatti risale alla prima met del III sec..
Alcuni probabili siriacismi tradiscono la sua origine: non si tratta
delloriginale greco del Diatessaron, ma di una sua traduzione.
Secondo la teoria corrente, il Diatessaron sarebbe stato tradotto dal siriaco in epoca molto antica anche in latino26. Ma purtroppo anche questa
versione andata perduta e si deve ricostruire mediante testimoni secondari. Ricorderemo solo i principali.
Esiste una armonia latina quasi completamente vulgatizzata 27. Il testimone pi antico il Codex Fuldensis (ca. 541)28, seguito dal Codex
Sangallensis 29, datato ca. 830.
________
Diatessaron.
24. Diatessaron Persiano, a c. di Messina.
25. La prima edizione : A Greek Fragment of Tatians Diatessaron, a c. di Kraeling, ma
successivamente stato riedito da Welles in The Parchments and Papyri, 73-74. Lorigine
tazianea stata riconfermata da Joosten, The Dura Parchment and the Diatessaron.
26. Tesi contestata da vari autori, vedi in particolare: Schmid, In Search of Tatians
Diatessaron.
27. Cio resa conforme alla Vulgata. Pi genericamente, il termine utilizzato per indicare
il processo di assimilazione alla versione ufficiale (ad es. in Oriente alla Peshitta).
28. Codex Fuldensis, a c. di Ranke.
29. Die lateinisch-althochdeutsche Tatanbilingue, a c. di Masser.
137
Useremo in questo studio (per pure ragioni tecniche) ledizione: Diatessaron Leodiense, a c.
di de Bruin.
32. Diatessaron Cantabrigense, a c. di De Bruin.
33. Diatessaron Haarense, a c. di De Bruin.
34. Entrambe edite in: Il Diatessaron in volgare italiano, a c. di Todesco - Vaccari -
Vatasso.
35. Edita da Goates: The Pepysian.
36. I testi dellinfanzia nel Diatessaron e nella Vetus Syra sono stati oggetti di diversi studi,
vedi in particolare: Baethgen, Evangelienfragmente, e Burkitt, Evangelion da-mepharreshe,
II 198-201, che rovescia le conclusioni dellautore precedente.
37. Tra i primi a sottolinearne limportanza: Harnack, Tatians Diatessaron, 478-479. Cf.
inoltre Vbus, Early Versions, 15.
38. Efrem, per, dimostra di conoscerle: CD I,25; cf. Leloir, Commentaire, 19-20.
138
G. LENZI
to.
dia.
tessa,rwn
kalou,menon
sunte,qeiken Euvagge,lion ta,j te
genealogi,aj periko,yaj kai. ta. a;lla
o[sa evk spe,rmatoj Dabi.d kata. sa,rka
gegennhme,non to.n Ku,rion dei,knusin.
Una notizia simile riportata da Io! bar Ali(!Isa ibn !Ali al-Mutatabbib, X sec.) 41, che trattando del Diatessaron afferma 42:
E [Taziano] non vi ha ricordato n la
genealogia/parentela
naturale
n
quella sublime del Signore nostro, il
Messia.
Secondo Peter Joosse, si tratterebbe dello stesso Io! bar Ali che secondo il colofone del ms. B del Diatessaron arabo avrebbe realizzato la copia dellarmonia siriaca da cui stata tratta la versione araba. In tal caso
egli sarebbe un testimone oculare del Diatessaron siriaco del X sec.. Dal
momento che bar Ali nota questa carenza, ci si pu addirittura chiedere se
non sia stato egli stesso a reintegrare le genealogie nellarmonia da lui copiata.
Taziano ha anche riscritto i racconti dellinfanzia, ritoccando diversi
particolari. Si confronti ad es. il testo di Mt 1,25a con CD II,543:
E non la conobbe.
Castamente dimor con lei.
.
139
Giuseppe, suo marito, essendo giusto. VIwsh.f de. o` avnh.r auvth/j( di,kaioj w;n .
Giuseppe, poich era un uomo giusto.
.
44. Cf. Leloir, Le Diatessaron de Tatien, 315; Vbus, History of Ascetism, I 42;
Metzger, Chapters, 113-114. Per la lezione simile del Curetoniano, vedi oltre Punti di
contatto.
La stessa variante la si ritrova nellarmonia medio-fiamminga, Lige 9:
Giuseppe venne a sapere che ella aveva So wart Ioseph geware dat si ene vrocht
concepito un frutto. E poich era un uomo hadde ontfaen. Ende want hi en gherecht
giusto...
mensche was...
in quella veneta V [27]:
Giuseppe vedendo ci, poich era giusto e Iosep veando o, cum ello fosse iusto et
buono....
bono.
e in quella persiana I,4:
E Giuseppe era uomo timorato e puro...
...
45. Interpretazione per altro corretta, come si evince dalluso della parola nella LXX.
46. V. per es. Burkitt, Evangelion da-mepharreshe, II 262-266; Metzger, Early Versions,
40-41; Brown, La nascita del Messia, 67-69; Williams, Early Syriac Translation Technique,
240-244.
140
G. LENZI
per lui un figlio). S omette persino le parole e non la conobbe prima che
dello stesso versetto.
I due particolari per te e per lui non sono secondari e ci consentiranno pi avanti in questo articolo di datare questo racconto a prima della
fine del II sec. 47.
Nonostante che queste varianti abbiano fatto pensare che il Sirosinaitico
affermi leffettiva paternit naturale di Giuseppe, conviene seguire una linea prudenziale, che tenga conto anche di Mt 1,18, ed aderire allopinione
di diversi autori che ritengono che il traduttore abbia comunque inteso il
rapporto tra Giuseppe e Ges in termini di paternit legale48.
In ogni caso, se si propende per la prima interpretazione si deve affermare che la cristologia del Sirosinaitico corrisponde su questo punto a
quella degli Ebioniti49; se si sceglie la seconda interpretazione si deve affermare che il testo della Vetus Syra rappresenta una via intermedia tra la cristologia ortodossa e quella ebionita. Ovviamente, per lo scopo del nostro
articolo entrambe le possibilit sono valide: siamo agli antipodi della preoccupazione di Taziano.
Lencratismo di Taziano
Taziano era certamente encratita50: Ireneo presenta Taziano addirittura
come fondatore di una dottrina particolare51. Dopo aver descritto gli errori
degli Encratiti dice, infatti, che la negazione della salvezza di Adamo
stata inventata Tatiano quodam primo hanc introducente blasphemiam
(quando un certo Taziano ha introdotto per primo questa bestemmia); ag________
Danielou, Teologia del giudeocristianesimo, 81-82.88-89; Orbe, Cristologa gnostica, I 354360; cf. Mimouni, Le judo-chrisianisme ancien, 87-88.
50. Largomento stato discusso da Vbus, Ascetism, I, 39-45; vedi inoltre: Barnard,
The Heresy of Tatian, 181-193. La Sfameni Gasparro offre unanalisi approfondita dei
fondamenti protologici del pensiero encratita di Taziano in: Enkrateia e Antropologia, 2379. Un ulteriore tentativo di analisi, un po estremo, presentato da Gaca, Driving Aphrodite
from the World. La Hunt, per contro, tenta di ridimensionare la problematica e parla di
semplice ascetismo presente in molte correnti della chiesa sira. E vero, in effetti, che in
Oriente Taziano non stato tacciato di eresia come in Occidente, ma la Hunt dimostra di
ignorare praticamente tutte le analisi degli gli studi precedenti, v. Christianity in the Second
Century, 145-155.
51. Ireneo, Contra haereses, 1,28,1.
141
...
Ippolito, Refutatio 8,16,1; cf. 10,18,1; Epifanio, Panarion 46,1,8; Girolamo ripetutamente,
v. in particolare: in Amos 2,12, Ad Titum, prol.; Aduersus Iovinianum I,3. Per una
discussione sulle testimonianze patristiche relative a Taziano, v. Elze, Tatian und sein
Theologie, 106-124.
54. Oltre al gi ricordato Vbus, Ascetism, I, 39-45, si veda pi di recente: Brock,
Baptists diet, 115.
55. Per la variante in Pers, si veda Messina, Notizia, 59; 86 n. 2. Una prima discussione su
questo versetto stata presentata da Vogels, Lc 2,36 im Diatessaron, che citava il Codex
Rehdigeranus, da lui edito, 169: Anna... vixerat annos cum viro suo septem et haec vidua a
virginitate sua. Si veda inoltre Vbus, Ascetism, I, 43, che citava una variante analoga dal
codice di Stoccarda dellarmonia medio-fiamminga; Metzger, Early Versions, 34, che allude
anche allarmonia in alto tedesco medio.
142
G. LENZI
Anna... aveva vissuto con suo marito Anna... hat gelebet irme manne siben
iar in irme magtme.
sette anni nella sua verginit.
Abbiamo, per, appena visto quale era la lezione del Diatessaron e possiamo, quindi, escludere con certezza che questa variante dipenda
dallarmonia di Taziano. Se infatti il traduttore della Vetus Syra fosse stato
influenzato realmente dal Diatessaron avrebbe ripetuto che Anna si era
conservata vergine nel suo matrimonio. Se, nonostante ci, ci si chiede se
anche la variante della Vetus Syra sia di carattere encratita, la risposta negativa, perch essa non intende affatto esortare alla verginit, ma piuttosto
suscitare la compassione verso questa donna rimasta vedova dopo soli sette
giorni di matrimonio.
Un esame pi attento della Vetus Syra ci conduce ad affermare addirittura che essa anti-encratita come si evince dalla seguente variante in Gv
6,63. Secondo il testo greco, Ges redarguendo i suoi discepoli avrebbe affermato:
E lo spirito che d la vita; la carne to. pneu/ma, evstin to. zw|opoiou/n( h` sa.rx
ouvk wvfelei/ ouvde,n \
non giova a nulla
56. Cf. Vogels, Lc 2,36 im Diatessaron, 170; Leloir, Le Diatessaron de Tatien, 315;
143
Origene, de oratione 24, 237-238. Entrambi i testi sono riportati e tradotti anche da
Whittaker in Tatian. Oratio, 78-80.
60. Bolgiani, La tradizione eresiologica sullencratismo.
61. Grant, The Heresy of Tatian; Id., Tatian (Or. 30) and the Gnostics. Pi
144
G. LENZI
Elze sosteneva che la somiglianza con la gnosi esistesse ma fosse solo apparente62; Leslie Barnard rilevava alcune idee gnostiche allo stato embrionale63; Molly Whittaker tende ad escludere che si possa classificare Taziano
gnostico in base allAd Graecos64, ma solo in base ai frammenti 65; William
Petersen ritiene che anche in questopera Taziano tradisca luso di una
cosmologia gnostica, anche se non possibile definire con esattezza i
confini tra concezioni gnostiche e ortodosse nel II secolo66. Recentemente
Emily Hunt ha esaminato estesamente la questione rifiutando tutte le argomentazioni di Grant e concludendo che non vi sono tracce gnostiche n
nellAd Graecos n nei frammenti e che le affermazioni di Ireneo e di Clemente sono semplicemente erronee67.
In verit tutti questi autori sembrano ignorare totalmente il dibattito
svolto nel mondo scientifico neolatino e in particolare gli studi di Franco
Bolgiani68 e di Antonio Orbe69. Il patrologo spagnolo, in particolare, confront a suo tempo la teologia di Taziano con le accuse rivolte da Plotino
agli gnostici trovando delle impressionanti corrispondenze. La chiave della
sua analisi era linterpretazione del termine yuch, come Anima universale e
non come singola anima umana. In tal modo Orbe identificava diverse concezioni gnostiche nellapologia di Taziano: gli eoni superiori (aivwn/ ej oi`
krei,ttonej)70, la delimitazione del mondo intelligibile, la collocazione dello
Spirito in alto e la creazione dellAnima in basso, la solitudine dellAnima,
laccoppiamento (suzugi,a)71 dellAnima con lo Spirito, la perdita delle ali
________
149.
67. Hunt, Christianity in the Second Century, 20-51. Lautrice trascura le opinioni di tutti
of Tatian, 64, ma stata contestata da Hunt, Christianity in the Second Century, 23, che
145
per non distingue tra luso del termine tra il par. 13 dellAd Graecos (unione primordiale
tra Spirito e Anima universale) e il par. 15 (ricongiungimento tra la singola anima e lo
Spirito).
72. Cf. Orbe, Teologia, I 440.
73. Orbe, A propsito de Gen. 1, 3.
74. Danilou, Message vanglique, 355-365.
75. Sfameni Gasparro, Enkrateia, 39 e passim. Lautrice ritornata in diverse occasioni sul
146
G. LENZI
esistono delle differenze tra lantropologia tazianea e quella biblica: esistono delle analogie terminologiche e tematiche tra lopera di Taziano e
lambiente gnostico contemporaneo80; la psych individuale non sarebbe
altro che un derivato dello spirito materiale immesso da Dio nel cosmo81;
il rapporto in cui psych e pneuma si trovano nelluomo attuale condizionato da quanto accaduto agli inizi, quando lo spirito era compagno
(syndiaiton) dellanima: questa per non volle seguirlo e lo pneuma
labbandon82; il decadimento dellanima rappresentato alla maniera
platonica come una perdita delle ali83; nessuna menzione fatta... della
plasmazione del corpo84; si compone senza difficolt lantropologia del
Discorso ai Greci, con la sua nozione del protoplasto come costituito
dallarmonica unione di una psych hylich e di uno pneuma divino, alla
quale succede una separazione dei due, che insieme espulsione da un livello celeste e, verisimilmente, assunzione del corpo solido e sessualmente
differenziato delluomo attuale.
Per lo scopo del nostro studio questi risultati sarebbero del tutto sufficienti: appare certo il fatto che Taziano nellAd Graecos compose il dato
biblico con temi derivati dalla filosofia greca, in particolare platonica, e
fece affermazioni simili a quelle degli gnostici, senza per questo doverlo
classificare con il termine gnostico. In particolare appare chiaro che al
centro dellantropologia tazianea si trova la separazione tra lo Spirito e
lanima originariamente congiunti. Avendo ben presente questultimo
punto si potr comprendere la soteriologia tazianea, che non altro che come vedremo - limmagine speculare del dramma iniziale.
Per dovere di completezza, per, dobbiamo esprimere il nostro parere
sulla ricostruzione della Sfameni Gasparro. Pur riconoscendo la nostra inadeguatezza e la seriet dello studio e in particolare limportanza che esso
riveste per la comprensione del collegamento tra lencratismo di Taziano e
la sua antropologia, a noi pare che le critiche rivolte a Orbe siano eccessive.
Dai paragrafi 13 e 20 dellAd Graecos si deduce che:
1. Lanima originariamente congiunta allo Spirito non si trova in un
luogo, in un paradiso (terreste o celeste che si voglia), ma colta da
Taziano in una dinamica ben precisa: lascesa sopra i cieli grazie alle
ali dello Spirito.
________
147
85. Orbe in un successivo articolo tenta di individuare le analogie tra la prima colpa
148
G. LENZI
La nostra proposta interpretativa parte dallosservazione che lintero discorso teologico-antropologico si fonda sulla seguente contestazione di Taziano rivolta ai Greci88:
Lo spirito, infatti, che attraversa la
materia, che inferiore allo Spirito
pi divino quanto invece simile
allanima, non deve essere onorato
allo stesso modo del Dio perfetto.
149
Ci che in lei dallo Spirito santo.
La somiglianza di questa variante con le concezioni gnostiche evidente: per il suo autore il Logos non divenuto uomo mediante un preciso
atto, ovvero una generazione teandrica95. E difficile evitare di pensare alla
cristologia valentiniana italica, secondo la quale il Salvatore assume prima
dellingresso nel seno della Vergine le sostanze spirituali e psichiche necessarie alla fase terrena delleconomia salvifica96. Dio non genera luomo
Ges nel grembo della Vergine e Maria non altro che un tubo attraverso
97
cui passa lacqua, secondo la nota affermazione di Tolomeo .
________
93. Tatiani Oratio ad Graecos, 1-3. Per altre opinioni, v. Sfameni Gasparro, Enkrateia, 29
n. 18.
94. Vedi sopra La nascita verginale.
95. Si noti per altro che questa variante si adatta perfettamente alle parole di Teodoreto sul
Diatessaron (riportate sopra) se con seme di Davide si intende la generazione dalla
Vergine, cf. nota frase di Ignazio, Efesini, XVIII,2: Fu portato in seno da Maria, dal seme
di Davide, ma da Spirito Santo. Per Maria figlia di Davide, vedi oltre Punti di contatto.
96. Cf. Orbe, Cristologa gnostica, I 337.425-432.448; Filoramo, Lattesa della fine, 187-
189.
97. Vedi Tardieu, Comme travers un tuyau, dove sono riportati tutti i testimoni. Cf.
Orbe, Cristologa gnostica, I 429-432. E possibile che Bardesane di Edessa (ca. 154-222)
150
G. LENZI
abbia fatto uso di questa metafora, cf. Adamatius, De recta in Deum fide, V,9. Dal momento
che Bardesane rappresentante della corrente orientale del valentinianismo, per la quale il
Salvatore ha assunto la carne ex Maria, luso da parte sua di questa espressione sarebbe
sorprendente e dovrebbe dipendere da Taziano. Drijvers, per, escludeva che il Dialogo di
Adamanzio riportasse correttamente il pensiero di Bardesane, v. Drijvers, Bardaisan of
Edessa, 172.
98. 30,3 (XIV,2); cf. 28,13 (XIII,3); 29,1 (XIII,3); 29,9 (XIV,1); 36,5 (XVII,2); 37,3
(XVII,2).
99. Apocrifi, 68-75.
100. Come parrebbe in CD II,4.
101. 25,11 (XII,2).
151
Il redattore del Protovangelo, inoltre, stato tradito da un piccolo indizio. Dopo pagine e pagine in cui tenta di convincere il lettore della purezza
della Vergine, che mangiava il cibo degli angeli, e della assoluta innocenza
di Giuseppe, prima ancora di tentare di persuaderci che in alcun modo dobbiamo pensare che egli sia il padre di Ges, e prima di trattare diffusamente
della verginit della madre anche in partu, cita del tutto acriticamente la sua
fonte102 :
Partorir per te un figlio.
effettivamente che il per te fosse presente nelloriginale greco di Matteo e che sia stato
corretto poi nel textus receptus per motivi teologici, Protvangile, 430. Non sa per che S
presenta anche la variante per lui al vs. 25.
152
G. LENZI
un Diatessaron tradotto dal siriaco in greco - come il frammento di Dura ma vulgatizzato - come il frammento di Dura104 .
Se tutto ci vero bisogna spingere la data di composizione del Protovangelo qualche anno oltre il 180 proposto da de Srycker105. Lapocrifo sarebbe, comunque, il testimone pi antico sia dei racconti dellinfanzia nel
Diatessaron106 sia, indirettamente, dellesistenza della Vetus Syra.
Stabilito che la variante stata generata nel Diatessaron e non nel Protovangelo, non pi necessario ritenere che allorigine sia esistito un testo
greco con to. o;n, infatti intenzionale ma non anomalo tradurre in siriaco
genna,w con il verbo essere 107. La variante ha quindi avuto origine in siriaco.
A questo punto bisogna porsi la domanda pi difficile: questa variante
pu essere opera di Taziano stesso?
Se si esamina la cristologia dellAd Graecos, si pu notare che
lapologeta fa riferimento alla incarnazione solo una volta 108:
Annunciando che un dio diventato
in forma di uomo.
109
104. Joosten, The Dura Parchment and the Diatessaron, 174. Non concordiamo, per,
pienamente con lautore su quali elementi del testo di Dura siano tazianei e quali no.
105. de Srycker, Le Protvangile.
106. Questa ipotesi di lavoro dovrebbe essere esaminata a fondo, abbiamo il coraggio di
proporla in base alle seguenti motivazioni: 1. Lipotesi di una fonte tradotta dal siriaco
spiegherebbe le varianti lessicali presenti nelle citazioni dei vangeli canonici nel
Protovangelo. 2. Il legame tra Giustino e lapocrifo, notato da molti, si chiarirebbe grazie
alla mediazione di Taziano. 3. Le varianti comuni al Protovangelo, a Pers e alle armonie
occidentali segnalate a suo tempo da Messina sarebbero dovute allinfluenza del Diatessaron
sullapocrifo (e non allinfluenza opposta). 4. Le poche varianti comuni alle due opere,
segnalate da de Srycker, sarebbero unulteriore conferma. 5. La difesa della verginit di
Maria esasperata oltre ogni limite nel Protovangelo non sarebbe altro che il culmine di un
processo gi innescato da Taziano.
107. Si veda ad esempio: Gv 8,41 S, P; At 7,29; 1 Gv 2,29.
108. Ad Graecos 21,1.
109. Hunt, The Heresy of Tatian, 47, contestando Grant presenta questo passo per
153
110. Concordo con Nicholas Perrin nel ritenere che Taziano considerasse gi i quattro
154
G. LENZI
riferimento alla sa,rx del Salvatore e non alla sua persona e neppure alla sua
anima, che si suppone sia stata immessa successivamente112.
In conclusione, molto probabile che CD II,3 ci conservi il testo originale del Diatessaron e ci testimoni involontariamente un aspetto particolare
della cristologia tazianea che avvicina Taziano alla corrente valentiniana
italica113.
Linterpretazione tazianea di Gv 1,14
I testimoni del Diatessaron non presentano alcuna variante particolare nella
resa di Gv 1,14114 e lAd Graecos non ci fornisce alcuna informazione su
come Taziano interpretasse questo versetto e in particolare il verbo evge,neto.
Nonostante ci esiste unaltra prova che Taziano non seguiva
linterpretazione divenuta poi ortodossa.
Nel comporre la sua armonia lapologeta aveva tre possibilit:
1. Tenere unito questo versetto ai primi, che egli ha preposto a tutto il
vangelo, separandolo dal racconto del battesimo. In tal caso non ci
avrebbe fornito alcun indizio sulla sua interpretazione.
2. Staccare il versetto sia dallinizio del Prologo che dal racconto del
battesimo, ponendolo subito prima o allinterno o subito dopo il racconto dellannuncio dellangelo a Maria. In tal modo avrebbe dimostrato di intendere il versetto in riferimento al momento del concepimento.
3. Porre una cesura prima del versetto staccandolo dalla parte iniziale e
tenendolo unito al racconto del battesimo.
Taziano ha scelto questa ultima possibilit inserendo Gv 1,11-14 dopo
tutti i racconti dellinfanzia, subito prima del battesimo115. Lapologeta ha
________
155
156
G. LENZI
Lattesa della fine, 191. Un altro particolare del Diatessaron che potrebbe essere di origine
gnostica il profumo al momento del battesimo di Ges. Non c, per, sufficiente
materiale per dimostrare questa ipotesi.
121. Se la testimonianza di Efrem in Fid VII,3 corretta il verbo impiegato nel Diatessaron
era (rifulgere). In Ep X,5; XXIII,12 egli (o un suo discepolo) usa (brillare);
Io!dad e Bar S]alibi riportano, invece, (risplendere). Propendiamo in favore della
prima radice, perch lunica che allafel pu tradurre il verbo greco avna,ptw, impiegato da
Giustino. In tal modo Taziano avrebbe semplicemente mutato la forma del verbo da passivo
ad attivo. Se ci esatto Fid conserverebbe la radice originaria, mentre gli altri testimoni la
forma verbale esatta. A favore di c un altro particolare: Bar S]alibi nella sua citazione
riporta anche il termine (fiume, cf. Mt 3,6). Se ci esatto, ci sembra che la tentazione
di creare una paronomasia tra , , , fosse troppo forte perch Taziano abbia
potuto resisterle. In tal caso la corrispondenza con Gv 1,5 riportato in CD I,6-7 ()
sarebbe perfetta. E comunque unipotesi ed possibile che nellinterpolazione Taziano
utilizzasse .
122. Baarda fa giustamente notare che per Taziano il vocabolo giovanneo include sia il
157
giovannea che la tenebra non ha afferrato significa che la luce che risplendendo ha afferrato la tenebra, ovvero che il Logos ha afferrato
lAnima.
Sembrerebbe, quindi, che per Taziano al momento del battesimo di
Ges si compia nella storia ci che era gi accaduto in principio: la luce risplende, il Logos afferra lanima di Ges. Questo corrisponderebbe alla
concezione gnostica secondo la quale, per quanto diversa da tutte le altre
anime, anche lanima di Ges aveva bisogno di essere illuminata124. Sarebbe, quindi, solo a questo punto che il processo di incarnazione del Logos
giunge al suo compimento.
Proprio perch la luce un concetto centrale nella teologia di Taziano,
il punto in cui lautore ha inserito questa variante svela qual levento della
vita del Cristo che ritiene pi importante. Egli non lha inserita al momento
dellannunciazione, n alla nascita, n alla crocifissione e nemmeno durante
le apparizioni del Risorto, ma al battesimo.
Ci corrisponde perfettamente alla soteriologia espressa nellAd
Graecos, dove non si dice che la salvezza stata realizzata dalla crocifissione del corpo di Cristo, ma si afferma che stata realizzata dalla illuminazione dellanima compiuta dallo Spirito125; parimenti non si proclama
che limmortalit stata ottenuta dalla risurrezione del corpo di Cristo, ma
si insegna che stata ottenuta dallunione tra Spirito celeste e anima126.
Se si esaminano, dunque, insieme tutte queste varianti si pu arrivare a
concludere che secondo il Diatessaron con la discesa dello Spirito su
Ges presso il Giordano che egli illuminato, assume nella sua pienezza la
natura di redentore e ha inizio leconomia pneumatica.
La Vetus Syra e la gnosi
Incominciando dallultima variante esaminata nel capitolo precedente, possiamo osservare semplicemente che la Vetus Syra non la riporta. Se fosse
vero che il Diatessaron stato il primo vangelo in siriaco e che i traduttori
della Vetus Syra non solo sono cresciuti alla sua ombra, ma lo hanno persino usato come base per la propria versione dei vangeli separati, ci si dovrebbe chiedere perch hanno omesso un particolare di questo genere. Si
dice, in casi analoghi, che la Vetus Syra stata assimilata al testo originale
greco, ma allora perch non stata assimilata nel racconto della nascita di
________
158
G. LENZI
E comprensibile che fino alla scoperta da parte di Pedro Ortiz Valdivieso del testo siriaco di CD II,3, discusso nel capitolo precedente, alcuni
abbiano ritenuto che fossero proprio S e C a conservare il testo originale del
Diatessaron. La medesima variante, infatti, la si ritrova in Arab II,3 (B E
O)128 .
Lunico studioso a noi noto che ha potuto confrontare S e C con il
frammento di CD Joosse129 , il quale giustamente asserisce che il nuovo
frammento dimostra che S e C non corrispondono al Diatessaron, ma poi seguendo la teoria classica - risolve il problema concludendo che S e C non
rappresentano il testo originale della Vetus Syra, conservato invece da P,
pi vicina a CD.
Stabiliamo innanzitutto il testo originale della Vetus Syra. Il testo di S
incerto, ma il participio , conservato da C, certamente originale. Se
infatti il traduttore della Vetus Syra avesse impiegato un passato, come si
trova in P, il revisore di C non si sarebbe trovato di fronte ad alcuna difficolt: il significato esatto di si deduce chiaramente dal contesto del
racconto - come daltronde nelloriginale greco quello di gennhqe,n - e significa: che stato generato. Non sussiste alcuna delle ambiguit che se________
127. Unosservazione analoga sul rapporto tra le due versioni gi stata avanzata da pi
parti, per esempio da Alphonse Mingana citato in Metzger, Early Versions, 46.
128. Cf. anche Pers I,80.
129. Joosse, An Introduction to the Arabic Diatessaron, 121-125.
159
160
G. LENZI
continuit.
135. Cf. Zahn, Tatians Diatessaron, 159; Malzoni, Jesus: Messias e vivificador, 422.439-
440. Ortiz de Urbina riteneva possibile che il Diatessaron omettesse solo lultima
proposizione del versetto, cf. Diatessaron Tatiani, 95.247. Sia Ortiz de Urbina che Malzoni
citano a riguardo anche la versione siriaca della Teofania di Eusebio, IV,23. Non , per,
sicuro che questa versione facesse uso del Diatessaron; inoltre, non essendo giunto a noi
loriginale greco di questo passo, la citazione non verificabile; infine, il testo siriaco pur
omettendo il vs. 22 allude allo iato tra i vss. 21 e 23.
136. In particolare: Giuseppe figlio di Davide (Mt 1,20) in CD II,3.5; Signore, figlio di
Davide (Mt 15,22-23) in CD XII,13; dalla citt di Davide (Lc 2,11) in CD II,13.
137. Cf. Harnack, Tatians Diatessaron, 478-480. Pi equilibrato il parere di Leloir,
161
ramente in questo passo del Liber graduum VIII,4 [197], dove si cita Mt
19,28 sostituendo le dodici trib di Israele con le trib degli uomini:
Siederete sui troni e giudicherete le
trib degli uomini.
162
G. LENZI
.
E chiaro che questo elemento apocrifo150 sottolinea la colpa dei Giudei nei confronti del Crocifisso.
Ovviamente non siamo in grado di dimostrare con certezza che tutti
questi elementi siano sgorgati dalla penna di Taziano e non siano piuttosto
dovuti allantigiudaismo imperversante nella chiesa sira del IV secolo. Si
pu, per, ribaltare anche questo argomento ipotizzando che proprio perch
il Diatessaron era cos fortemente antigiudaico per questo ha avuto un tale
successo nella chiesa sira.
Latteggiamento della Vetus Syra verso il popolo dIsraele
Molto pi arduo stabilire la posizione della Vetus Syra nei confronti del
popolo ebraico.
Innanzitutto segnaliamo unomissione di segno opposto a quelle tazia151
nee : il testo greco riferisce in Gv 7,49 che i Farisei avrebbero dichiarato:
Questa folla che non conosce la legge maledetta.
Il Sirosinaitico legge152:
________
148. Dem XXI,18 [975]; Cruc IV,7; VIII,7. In SHS, dove la difesa di Pilato portata al
parossismo, Efrem si confronta per anche con il testo canonico dei vangeli. Cf. Pt 1,1;
11,46.
149. Cf. Nat X,9; XII,4.
150. Unaccusa analoga riportata da Celso, cf. Origene, Contra Celsum I,28.32. Si veda a
riguardo: Brown, La nascita del Messia, 727-739 (Appendice V); Meier, Un ebreo
marginale, I 223-238. Per una discussione sulle fonti impiegate da Celso, v. Norelli, La
tradizione sulla nascita di Ges. (Gli autori per non conoscono il passo di LG).
151. Non prendo in considerazione lomissione in S delle parole: Ges diceva: Padre,
perdonali, perch non sanno quello che fanno in Lc 23,34, che stata considerata in passato
anti-giudaica, perch essa dipende dal testo originale greco, cf. Metzger, Textual
Commentary, 180.
152. Lomissione stata notata per prima dalla Lewis nellintroduzione a Old Syriac
Gospels, XXX.
163
153
.
________
credere.
155. C legge (Eliyur).
156. Per il primo, si confronti il nome ebraico (Yud).
157. Evidentemente qui il traduttore ha intesto il nome ebraico (Eli!ezer) e non
(El!Dzar).
158. Si noti che la radice (! ZR) non esiste in siriaco.
159. Per uno studio sullargomento: Schwen, Die syrische Wiedergabe.
164
G. LENZI
stessa traduzione si ritrova in altri passi come ad es. Mt 21,46 S,C; Gv 7,12a C; 7,12b S, C,
P. Cf. Payne Smith, Thesaurus, II 2904: , multitudo, turba. In At 23,7 traduce to.
plh/qoj. Il significato di fo lla comune anche in giudeoaramaico, v. Jastrow, Dictionary of
the Targumim, 1086: gathering, crowd, people.
169. Nicklas, Die altsyrische Sinaiticus-Handschrift, 42-43, 46; lautore avrebbe potuto
165
166
G. LENZI
intenzionale per dire che Ges sar consegnato al popolo e non alle
genti173.
3. In Mt 27,26, S inserisce il pronome nella penultima proposizione:
consegn a loro Ges perch fosse crocifisso 174.
4. Analoga la lezione di Mc 15,15, che ottiene di conseguenza che Ges
risulti flagellato dai Giudei175 .
Tutte queste varianti non solo sono antigiudaiche, ma corrispondono effettivamente a quello che sappiamo del Diatessaron: alluniversalismo di
Taziano e alla riscrittura del racconto della Passione.
E certo dunque che in S vi siano due strati ben distinti: uno giudaico e
uno anti-giudaico. Ma sin troppo ovvio che impossibile che un manoscritto siriaco dei vangeli della fine del IV secolo sia stato giudaizzato.
Si deve quindi ritenere valida lopinione di Lyon e dei suoi predecessori, moderandola per con le osservazioni di Nicklas: la Vetus Syra stata
realizzata realmente da traduttori ebrei di lingua siriaca, ma stata successivamente contaminata dal Diatessaron.
Esiste, per, unultima possibilit: che i traduttori originali della Vetus
Syra pur essendo ebrei avessero una teologia antigiudaica.
Si pu scartare questa ipotesi ritrovando, al di l dellinfluenza del
Diatessaron e del processo di corruzione, le tracce della teologia originale
dei traduttori della Vetus Syra.
Come noto uno dei luoghi classici che testimoniano lantigiudaismo
del vangelo greco di Giovanni lallusione a Is 6,9-10 riportata in Gv
12,40:
Ha accecato i loro occhi e indurito il
loro cuore affinch non vedano con
gli occhi e [non] comprendano con il
cuore e [non] si convertano e io li
176
guarisca .
La Vetus Syra, seguita e confermata dalla Peshitta, rigetta il determinismo del testo greco e traduce:
________
greci e latini.
175. Ibid., 47-48.
176. Dal momento che il testo greco ha un futuro, diversi autori oggi preferiscono tradurre:
e io li guarir e intenderlo come promessa, cf. per es. Brown, Giovanni, 631; Wengst,
Giovanni, 508-509.
167
177. In siriaco sussiste lo stesso problema di interpretazione che abbiamo segnalato per il
testo greco, anzi pi acuto. Almeno da un punto di vista teorico il versetto si potrebbe
tradurre: Hanno accecato i loro occhi e ottenebrato il loro cuore affinch non vedano con i
loro occhi. Ma udranno e si convertiranno e io perdoner loro.
178. Per quanto la variante riporti il testo giovanneo pi vicino a quello matteano, non
una ripetizione di Mt 13,15 n della LXX e nemmeno della Peshitta di Is 6,10.
179. Questa variante corrisponde allomissione che abbiamo segnalato sopra alla n. 154.
180. Altre versioni di Isaia hanno tentato di mitigare loriginale, ma a quanto ci risulta la
lezione della Vetus Syra non ha paralleli n nelle tradizioni cristiane n in quelle ebraiche.
Si confronti su questo argomento: Evans, To see and not to perceive, che per purtroppo non
conosce il nostro testimone.
181. Allapice di questo processo si trova il Diatessaron arabo, che come si accennato,
168
G. LENZI
In questo caso facile stabilire che C stato corretto in base al Diatessaron. La tendenza teologica opposta a quella originale della Vetus Syra e
concorda con quella di Taziano. Il testo autentico , perci, quello conservato da S:
Giuseppe, suo marito, poich era
giusto...
...
La constatazione che C stato assimilato al Diatessaron, ci fa propendere a pensare che anche S, di poco anteriore, possa essere stato contaminato dallarmonia di Taziano, come abbiamo indicato trattando il tema
dellantigiudaismo.
Ma necessario segnalare un altro fenomeno, sinora del tutto trascurato
dagli studiosi: la Vetus Syra e il Diatessaron sono eredi di tradizioni comuni pi antiche di entrambe le versioni.
Si noti, ad es., la traduzione di Lc 2,4-5 in S:
4
182. Lo spostamento dellinciso dal versetto 4 al 5 tipica dello stile del traduttore della
Vetus Syra.
183. Ci, per, contraddice lipotesi di Harnack relativa alleliminazione di ogni
169
.
Se, per, esaminiamo con attenzione il testo di S, vediamo che non segue il Diatessaron, perch al versetto 5 impiega lespressione (sua
moglie), che non poteva certo essere di Taziano. Si confronti a riguardo
Dem XXIII,20 [II, 64]185 :
Giuseppe e Maria, sua fidanzata,
erano entrambi della casa di Davide.
.
170
G. LENZI
Il secondo che pur trattandosi di differenze su piani eterogenei - cristologico, etico ed etnoreligioso - esse si corrispondono perfettamente. La
variante di sapore gnostico sulla incarnazione corrisponde alla preoccupazione di difendere la nascita verginale di Ges. A sua volta la verginit di
Maria rinvia a quella di Anna, mentre i Giudei - secondo il Liber graduum - la contestano. Ma, per chiudere il cerchio, lantigiudaismo del Diatessaron appare connesso con il pensiero gnostichezzante di Taziano.
Parimenti nella Vetus Syra lenfatizzazione del ruolo della Vergine nel
momento dellincarnazione corrisponde ed equilibra la sottolineatura della
paternit di Giuseppe, la quale a sua volta rafforza notevolmente il legame
tra Ges e i suoi antenati e quindi lappartenenza di Ges al popolo ebraico.
Infine, lassenza della preoccupazione di difendere la verginit di Maria si
comprende bene alla luce delle tendenze anti-encratite della Vetus Syra.
E del tutto evidente, quindi, che allorigine le due versioni erano distinte e che i traduttori della Vetus Syra non sono stati affatto influenzati
dalla teologia di Taziano. Le differenze, anzi, sono tali che si pu supporre
che le due opere siano state generate allinterno di due ambienti affatto differenti: il Diatessaron stato scritto da un etnicocristiano per una comunit
etnicocristiana, mentre la Vetus Syra stata realizzata da giudeocristiani
per una comunit giudeocristiana.
La distinzione tra le due versioni si pu discernere anche nelle scelte
lessicali operate dai diversi traduttori, come dimostreremo in un prossimo
studio188.
Giovanni Lenzi
Piccola Famiglia dellAnnunziata
________
188. Lenzi, Note sul lessico della Vetus Syra. Abbiamo gi offerto un primo esempio in
171
Abbreviazioni
Arab
Az
C
Cambr
CD
Cruc
Dem
Ep
Fid
Haar
LG
Lige
Nat
P
Pep
Pers
Pt
S
Sog
SangLat
SangTed
SHS
Tosc
Ven
Zur
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G. LENZI
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178
G. LENZI
G. Segalla
1. Il problema posto dal canone
Una Bibbia, due Testamenti:2 lespressione, che indica sinteticamente il
canone cristiano, rivela nella maniera pi semplice il problema che suscita.
Bench il nome originario Biblia/libri sia plurale, nella semantica usuale
passato a signicare il Libro per eccellenza, chiamato anche qualitativamente Sacra Scrittura. Un Libro composto di due parti in tensione fra
loro, che ha per un unico autore creduto, Dio (Dei Verbum 9), specchio
di una esperienza unitaria transcanonica e testimonia una tradizione altrettanto transcanonica, perch inizia, questa tradizione e questa esperienza
prima del canone e, chiuso il canone, continua a vivere nella comunit
cristiana attraverso il tempo.
Questa unit della Bibbia, creduta, messa in questione dalla duplicit
dei due Testamenti, provenienti da tempi diversi, espressione uno del po1. Bibliograa oltre a quella gi registrata in G. Segalla, Teologia Biblica del Nuovo Te-
stamento (Logos 8/2), Torino 2006, 536: G. Aragona - E. Junod - E. Norelli (ed.), Le
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2. C. Dohmen - T. Sding (ed.), Eine Bibel-Zwei Testamente (Uni-Taschenbcher 1893),
Paderborn etc. 1995: undici proposte di Teologia Biblica dellAT e dieci del Nuovo con
introduzione rispettivamente dei due curatori.
LA 56 (2006) 179-212
180
G. SEGALLA
polo di Israele come popolo di Dio, laltro della comunit cristiana, nata
peraltro allinterno del popolo ebraico, che possedeva gi le sue Scritture
sante3. Come si pu parlare di un unico libro quando contiene due Testamenti in tensione fra loro? Gi n dagli inizi della Chiesa si tentato di
ricostruire una unit canonica o eliminando la tensione, togliendo lAntico
Testamento (AT) dal canone cristiano e riducendolo a Vangelo (di Luca) e
Apostolo (Paolo), come fece Marcione nel II secolo, oppure leggendo lAT
allegoricamente come parlasse solo di Cristo e bollando come falsa la lettura ebraica dellAT, come fa la lettera di Barnaba. Senza dire delle difcolt
che pone lo stesso Nuovo Testamento (NT), quando si voglia dimostrare
lunit teologica dei 27 libri, di cui si compone4.
Ecco il problema cui chiamata a rispondere una vera Teologia Biblica
(TB) che si prenda a carico di argomentare quanto creduto dalla fede:
lunit fondamentale dei due Testamenti cos da formare ununica Bibbia.
La Teologia Biblica infatti nata alla conuenza di diversi impulsi della
modernit, tra cui la crisi del principio scritturistico protestante (Biblia interpres sui), causato dalla ricerca liberale della storia del canone pubblicata
da Johann Salomo Semler (1706-1757) nel clima illuminista del 17715.
Poco dopo nel 1787 Philip Gabler (1753-1826) proponeva lo statuto della
TB nel discorso di inaugurazione del suo insegnamento alluniversit di
Nrnberg in Altdorf: De justo discrimine theologiae biblicae et dogmaticae regundisque recte utriusque nibus6: rispetto alla teologia dogmatica la
TB ha per oggetto proprio la Bibbia e come metodo proprio, quello storico.
Guidato dal principio illuministico delle verit razionali, egli cercava nella
Bibbia ununit teologica concettuale che potesse dare unit alla variet che
presentava la teologia dogmatica. Il canone, in questa prospettiva, veniva
accettato quale dato teologico pacico come pure lunit di Antico e Nuovo
Testamento. Ma a cominciare dal primo studioso che, dopo di lui, inizi
a scrivere una TB, Georg Lorenz Bauer (1755-1806), si separarono subito
3. A Scritture Sacre e Sacra Scrittura, che risentono della fenomenologia religiosa pre-
181
- T. Sding (ed.), Eine Bibel - zwei Testamente, Paderborn 1995, 267-273 (pp. 267-268).
9. Si vedano alcuni titoli della nota bibliograca iniziale.
10. Classiche sono: B.F. Westcott, The General Survey of the History of the Canon of
the New Testament, London 18703 (18551); T. Zahn, Geschichte des neutestamentlichen
Kanons, 2 voll., Erlangen - Leipzig 1888-1892, rist. Heidelberg 1975; Id., Grundriss der
182
G. SEGALLA
2. La reazione degli anni settanta tra ermeneutica evangelica del canone neotestamentario ed ermeneutica canonica
La crisi del canone, generata dalla lunga stagione del metodo storico-critico, aveva prodotto solo Teologie dellAT e Teologie del NT o addirittura si era abbandonato il termine impegnativo di Teologia per scegliere
quello scienticamente pi trattabile di Religione11. Il canone biblico era
praticamente dimenticato come lista dei libri ispirati, che contengono la
testimonianza della rivelazione divina e quindi la norma della fede. E tanto
meno perci si affrontava il problema della sua unit.
Fu a partire dagli anni settanta che inizi una reazione esplicita, luna in
Germania di carattere teologico ermeneutico, laltra in America di carattere
pi propriamente canonico. Le esaminiamo separatamente.
2.1. Lermeneutica evangelica e la ricerca di un centro del canone neotestamentario
Un volume miscellaneo, curato da E. Ksemann, fotografa la situazione
del Nuovo Testamento come canone intorno agli anni settanta12. Vi sono
raccolti quindici contributi di quindici autori diversi, tedeschi, in un arco
di tempo di 30 anni, con una introduzione e una conclusione critica dello
stesso Ksemann.
Un primo cenno alla crisi del canone lo si trova gi in un articolo di
Ernst Strathmann del 1941 intitolato proprio Die Krisis des Kanons der
Kirche (pp. 41-61), in cui egli si richiama allopera gi ricordata di Semler
sul canone del lontano 1771, che metteva in crisi la concezione teologica
protestante del canone mediante la critica liberale. Rifacendosi alla concezione dialettica della Scrittura di M. Lutero - cio che la Scrittura va
interpretata secondo il criterio dellarticolo fondamentale della tradizione
Geschichte des neutestamentlichen Kanons, Leipzig 19042, rist. Heidelberg 1985; A. Harnack, Die Entstehung des Neuen Testaments und die Folgen der neuen Schpfung, Leipzig
1914; H.F. Von Campenhausen, Die Entstehung der Christlichen Bibel, Tbingen 1968;
B.M. Metzger, Il canone del Nuovo Testamento. Origine sviluppo e signicato, Brescia
1997 (ed. ingl. 1989, rist. 1997); L.M. McDonald, The Formation of the Christian Biblical
Canon, Peabody MA 1995.
11. Per una breve storia della questione a partire da W. Wrede no alla situazione attuale
postmoderna, si veda H. Risnen, Beyond New Testament Theology. A Story and a Programme, London 20002 (19901).
12. E. Ksemann (ed.), Das Neue Testament als Kanon, Gttingen 1970.
183
184
G. SEGALLA
185
della concezione rigidamente letteralista, giuridico intellettuale della Scrittura, dipendente dalla tesi della ispirazione verbale, conseguenza logica
del principio della Sola Scriptura e Scriptura interpres sui. La difesa
apologetica e carismatica non reggeva pi di fronte alla critica storica del
canone e alluso del metodo storico-critico nellinterpretare la Scrittura.
2) La risposta alla sda si richiamava alle origini della Riforma, alla
concezione dialettica della Scrittura di Lutero. Solo il criterio dialettico del
Was Christum treibt permetteva di rilevare il centro unitario allinterno
del canone neotestamentario cos vario.
3) La soluzione ermeneutica si avvale liberamente della critica storica e
della critica teologica per scoprire la verit del Vangelo, aperta al confronto
critico col mondo e con le condizioni storiche in cui viene annunciato, creduto e vissuto. Il canone va mantenuto come vangelo, in cui annunciato il
Cristo crocisso per noi, in contrasto col mondo. Il canone come Vangelo
annunciato, creduto e vissuto quella raccolta di libri, chiamati Sacra
Scrittura in cui tale Vangelo rimane per sempre consegnato. Lesegesi,
avvalendosi della critica storica e teologica, avr il compito di scoprire
sempre di nuovo questo Vangelo, annunciarlo, crederlo e viverlo. palese
qui la teologia kerygmatica.
4) Il canone in quanto tale viene perci, in n dei conti, relativizzato
in rapporto al Vangelo, in esso racchiuso ma non ad esso identico, perch semmai il canone lo specchio del Vangelo nellorizzonte della storia
umana e ne contiene quindi i limiti. In questa prospettiva, in cui lAT
assolutamente ignorato, non possibile se non una Teologia del NT in
senso evangelico.
Il canone nel canone o il centro del canone come criteri di verit rivelata, se per un verso salvaguardano lunit teologica del canone neotestamentario, sacricano per altro verso il canone stesso e lo abbandonano
alla critica storica. Ed proprio a questo abbandono totale del canone alla
critica storica che si oppone la critica ed ermeneutica canonica che negli
stessi anni orisce negli Stati Uniti.
2.2. Critica ed ermeneutica canonica per una teologia biblica
Va notato subito il modo diverso di affrontare la crisi del canone intorno a
questi anni settanta in due ambienti diversi: da un parte lambiente europeo, dallaltro quello americano, luno alimentato da neotestamentisti, laltro aperto da anticotestamentisti, il primo in funzione di una ermeneutica
evangelica nel confronto col mondo inteso in senso negativo, il secondo
186
G. SEGALLA
titolo Identit de la Bible (LD 87), Paris 1975. Il libro senza note e senza bibliograa;
nelled. francese stata aggiunta alla ne una bibliograa ragionata, curata da Mary C.
Callaway (pp. 163-167), e una rassegna delle recensioni, scritta dallo stesso autore. Il libro
perci passato un po inosservato per questa sua modesta presentazione. Il volume che
raccoglie i suoi interventi pi signicativi su questo argomento invece: From Sacred Story
to sacred Text, Canon as Paradigm, Eugene OR 20002 (19871).
187
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G. SEGALLA
E. Gatti, Teologia Biblica: Antico e Nuovo Testamento, Casale Monferrato 1998; trad. ted. di
C. Oeming, Die Theologie der einen Bibel. Band I: Grundstrukturen, Band II: Hauptthemen,
Freiburg etc. 1992 e 1996.
189
storico critico che non permette una teologia biblica in quanto si ferma
allaspetto storico o letterario, e non perviene alla res, alla realt divina,
alla teologia. La seconda parte Cercando un futuro espone la necessit
e la congurazione di una teologia biblica e del suo valore per la prassi;
inne, nella terza parte Provando un metodo propone il suo metodo
canonico di lettura di un testo (Salmo 8 ed altri) allinterno del canone.
Delle tre parti la pi importante la seconda, in cui compare una nuova
teologia biblica. Oltre alle discipline tecniche, lologiche storiche letterarie necessaria una disciplina che tenti di mantenere e sviluppare una
congurazione del tutto e che abbia la responsabilit di sintetizzare oltre
che di analizzare La TB non si deve limitare al solo compito descrittivo, cio analitico (p. 92).
Ma qual il fondamento di questo nuovo metodo di studio della Bibbia? Anzitutto il contesto canonico. Sono molti i contesti in cui si pu porre
la Bibbia, ma il contesto proprio per una teologia biblica il canone. Ci
vuol dire che queste Scritture vanno interpretate in relazione alla loro
funzione allinterno della comunit di fede che le tesorizza sono un canale di vita per la continuazione della Chiesa, attraverso cui Dio istruisce
e ammonisce il suo popolo (p. 99).
Se il contesto di una teologia biblica il canone, ci si pu chiedere
quale ruolo vi ha il metodo storico critico (p. 107). Per quanto concerne
il canone dellAT Childs prende posizione contro Agostino; egli assume
come canone quello breve, ebraico escludendo quello della Lxx, la Bibbia
greca cui ricorre per lo pi il NT. Il lavoro esegetico poi che si avvale del
metodo storico critico soltanto un lavoro previo a quello propriamente
teologico. Il lavoro esegetico di tracciare il movimento dialettico fra i due
Testamenti non mira n ad armonizzare le diverse concezioni di Dio n a
costruire una retta dottrina, ma a testimoniare Dio nella sua azione redentrice. Il riconoscimento di un canone la confessione che i due Testamenti
sono testimonianza allo stesso Dio e alla sua opera (p. 112). Luso del
contesto storico originario per stabilire il senso, implica una critica al
vecchio sistema di fare teologia biblica mediante testi probanti fuori del
loro contesto come pure attraverso temi e motivi teologici16. Deve trattarsi
di un processo dialettico fra i due Testamenti. Un modo di realizzarlo sarebbero le citazioni dellAT nel Nuovo (pp. 115-116), e qui cita le opere di
Dittman e Dodd: non solo le citazioni ma anche lampio contesto anticotestamentario in cui ricorrono. un modo per prendere sul serio il contesto
16. Questo il metodo scelto dal recente documento della Ponticia Commissione Biblica Il
popolo ebraico e le sue Scritture nella Bibbia cristiana, Citt del Vaticano 2001, 56-152.
190
G. SEGALLA
17. Il metodo qui ipotizzato da Childs viene assunto e applicato egregiamente alla costru-
zione di una Teologia Biblica del NT da H. Hbner, mentre lui lo abbandona nella sua
grande opera di Teologia Biblica.
191
18. Si veda a questo proposito la signicativa monograa recente di T. Sding, Einheit der
Heiligen Schrift? Zur Theologie des biblischen Kanons (QD 211), Freiburg 2005, un trattato
di alto livello (rec. dello scrivente in Teologia 31 (2006) 276-284).
192
G. SEGALLA
19. H. Hbner, Biblische Theologie des Neuen Testaments. Band I: Prolegomena, Band II:
Mesolegomena, Band III: Epilegomena, Gttingen 1990, 1993, 1995; trad. italiana di F.
Tomasoni, Teologia Biblica del NT, 3 voll., Brescia 1997-2000. La questione del canone
viene trattata nel vol. I (ed. it.), pp. 45-88.
20. La. usa sempre questa espressione latina.
21. Per questo sta approntando uno strumento pratico: le citazioni dellAT nel Nuovo: Vetus
Testamentum in Novo. 1.2: Evangelium Johannis, 2: Corpus Paulinum, Gttingen, rispettivamente 2003 e 1997; dovrebbero uscire altri due volumi.
193
gli autori del NT non si sentono ancora autori di un NT (che viene difatti
dopo), tuttavia rivendicavano per s lautorit del verbum divinum, anche
Paolo con la sua autorit apostolica (1Cor 5,3) (p. 53).
Il problema dellAT nel canone cristiano inizia perci da quando si ha
il NT compiuto, che si aggiunge allAT per formare il canone cristiano
completo. Qui interviene il problema del canone ebraico e del suo rapporto
col NT in funzione di una TB.
Per quanto concerne il canone ebraico in s, va notato che non si ebbe un
canone ebraico sino alla ne del I secolo, e questo canone ebraico rabbinico
fu stabilito a Jamnia in un tempo in cui la comunit cristiana era ormai separata dalla sinagoga rabbinica. Data infatti alla ne del I secolo la discussione
rabbinica sul carattere sacro del Cantico dei Cantici e di Qohelet che presuppone gli altri libri siano considerati sacri, e contemporanea o poco dopo la
testimonianza di Giuseppe Flavio (Contra Ap. 1,8). Perci la Bibbia ebraica
denita dal giudaismo rabbinico incipiente non la Bibbia cristiana. Quanto
alla Lxx, la Bibbia alesssandrina, il giudizio per il suo rapporto col NT
pi positivo per due motivi: primo perch era la Bibbia della maggior parte
degli ebrei del I secolo, pi aperta alluniversalismo e quindi al proselitismo
di quella ebraica; secondo perch era ampiamente usata dagli autori del NT.
Ma come per la Bibbia ebraica, sembra che anche per questa non si avesse
un canone denito. La terza parte, quella degli Scritti, era aperta; a questo
proposito Hbner nota limportanza dei cosiddetti deuterocanonici (apocri
per i Protestanti) e in particolare del libro della Sapienza (p. 72). Questa della
Lxx sarebbe la vera Bibbia cristiana e avrebbe quindi una grande rilevanza
teologica proprio come Bibbia tradotta nella lingua comune e resa quindi
accessibile al mondo culturale greco, che cos la conobbe e la apprezz, dando origine ai timorati di Dio e proseliti, che probabilmente furono coloro
che aderirono n dallinizio alla fede cristiana. E conclude: Dal punto di
vista ermeneutico ci signica che noi, essendo in quanto occidentali ancor
oggi fortemente impregnati dello spirito greco-ellenistico, dovremmo in
verit essere pi aperti allAT nella sua veritas graeca che nella sua veritas
haebraica. Che questo invece per lo pi non accada dipende dal fatto che
la Bibbia dei Lxx purtroppo ancor oggi - anche per la maggior parte dei
teologi - un libro con sette sigilli (pp. 72-73)22.
Il canone anticotestamentario cristiano dunque non coincide con la
Bibbia ebraica, mentre sarebbe pi afne con quella dei Lxx, che poi
praticamente il canone degli Ortodossi.
22. Per la verit in questi ultimi anni si hanno iniziative editoriali di traduzioni e commenti
194
G. SEGALLA
Ma il punto pi cruciale la valutazione teologica dellAT in un orizzonte biblico cristiano. Qui si rivela la posizione specica del professore di
Gottinga in relazione alla teologia biblica. Qui infatti si sostiene una diastasi netta fra Bibbia ebraica e teologia canonica cristiana. In due modi egli
relativizza il valore teologico dellAT: anzitutto con una Sachkritik interna
allo stesso AT e poi con una critica a partire dalla rivelazione denitiva di
Dio in Cristo nel NT. Certo, il Dio dellAT il Dio Padre del Signore nostro
Ges. Per gli eventi storici raccontati e giudicati risentono di una prospettiva del regno del sud, inaccettabile sia storicamente che teologicamente in
quanto la prospettiva redazionale deuteronomista squalica storicamente
e teologicamente il regno del nord, che invece cercava di liberarsi dalla
dittatura del regno del sud con centro a Gerusalemme. Si deve praticare
perci una critica storica e teologica interna allAT e non accettarlo cos
com. Inoltre le aspettative dellAT, viste dal punto di vista della monarchia davidica del sud non si sono realizzate in Ges se non quella di Zc 9,9
(Mt 21,1-11//Mc 11,1-11//Lc 19,28-40//Gv 12,12-18)23. Relativit storica e
teologica dellAT ne diminuiscono il valore teologico; e tale valore viene
ridotto ancor pi in relazione allevento cristologico. Hbner perci, sulla
scia di R. Bultmann, evidenzia pi la discontinuit e la diastasi fra AT e NT
che non la continuit. Lunica continuit teologica con lAT sarebbe data da
quanto viene recepito dellAT nel Nuovo mediante le citazioni. Di qui la
distinzione hbnerana fra Vetus Testamentum in se (da lasciare agli ebrei)
e il Vetus Testamentum in Novo receptum che rappresenta la continuit
del NT con lAntico come Scrittura (pp. 80-81). Nel terzo volume, nei
Postlegomini, ricupera lunit del NT con lAntico anche nella concezione
pi generale della rivelazione come autocomunicazione di Dio nello spaziotempo della grazia, formulata nel modo pi chiaro da Paolo.
In conclusione, secondo Hbner la Santa Scrittura dovrebbe abbandonare il Vetus Testamentum in se agli ebrei e al loro orizzonte interpretativo
sia perch il canone non fu denito sia perch storicamente e teologicamente relativizzato; la Bibbia greca pi vicina al NT, ma anche per essa
vale comunque la distinzione Vetus Testamentum in se e Vetus Testamentum
in Novo receptum; lunit teologica della Bibbia si pu realizzzare solo con
una diastasi dallAT in s sia con la recezione che fa di esso il NT.
Il processo canonico pi radicale sarebbe dunque avvenuto dopo che
il NT era concluso. Solo dal NT concluso, che contiene anche il Vangelo
prima predicato, sarebbe possibile discernere nellAT quanto appartiene
195
alla rivelazione di Dio cio alla sua autocomunicazione nello spazio tempo
della grazia e quanto invece appartiene ad una storia passata, dimostrata
tale sia dalla critica storica che da quella teologica.
Lopposizione pi radicale di questa proposta di TB con quella avanzata da B.S. Childs. Perci egli si sente obbligato a dedicarvi un intero
excursus (pp. 81-88). Per Childs infatti, come vedremo, da ritenere canonica proprio la Bibbia ebraica, mentre nessuna valutazione viene data
della Lxx, e per di pi secondo lui in una teologia biblica si deve anzitutto
esaminare lAT separatamente nel suo valore autonomo e integrale, e solo
dopo passare alla relazione teologica col NT.
Questo progetto di H. Hbner fondato su una metodologia rigorosa secondo la sua particolare prospettiva storico-teologica. Ma gli si pu
obiettare: 1) che la sua svalutazione dellAT poco si discosta da quella di
Bultmann ed in linea con la tradizione luterana, apertamente confessata;
2) che nel processo canonico verso il NT non si trova traccia della distinzione praticata da Hbner; il NT non cita solo testi particolari, ma si riferisce allAT pure nel suo insieme e addirittura nella sua forma precanonica
con la divisione in tre parti (Lc 22,44).
Per quanto affascinante, la concezione di TB di H. Hbner non salva il
canone cristiano nella sua globalit. Lunit teologica cristiana (luterana) del
NT viene argomentata a svantaggio dellintegralit del canone cristiano24.
3.2. La TB del contesto canonico (B.S. Childs)25
La TB per denizione riessione teologica sullAntico e il NT (p. 55)
- afferma Childs. Ma che cosa il canone per Childs e in particolare quello
dellAT e che rapporto ha con la TB? Lo dice nella seconda parte della sua
introduzione, intitolata A Search for a new approach (pp. 53-94), dopo
aver descritto nella prima una breve storia della disciplina (pp. 1-51). Il
nuovo approccio di cui va alla ricerca quello del contesto canonico.
24. proprio questa laccusa che gli muove Childs: Recently H. Hbner (Biblische Theo-
logie, 18f.) has defended the thesis that it is only the Old Testament as received by the New
Testament (Vetus Testamentum in Novo receptum) which is authoritative for the Christian
Church and appropriate for biblical reection. In a separate article (TZ 1992, forthcoming) I
have attempted to show in some detail why such an approach destroys the theological integrity
of the Old Testament and silences its true canonical witness (Biblical Theology, 77).
25. B.S. Childs, Biblical Theology of the Old and New Testament, London 1992; trad. it. di
E. Gatti, Teologia Biblica. Antico e Nuovo Testamento, Casale Monferrato 1998. In particolare pp. 53-94 delledizione originale, da cui in seguito citiamo.
196
G. SEGALLA
Biblica 27), Brescia 2002 (orig. amer. 1998); di cui si veda anche The Creative Word. Canon
as a Model for Biblical Education, Philadelphia 1982.
197
molto diverso da quello riesso in ciascuno dei due Testamenti? (p. 73).
Ecco il problema. La risposta che si pu dimostrare non solo continuit
storica ma anche continuit teologica fra Israele e la Chiesa: La Chiesa
non solo un i due Testamenti, ma consider lAT testimonianza resa a
Ges Cristo (p. 74), e super in tal modo sia la posizione di Marcione che
voleva abbandonare lAT sia quella degli ebioniti che subordinavano il NT
allAntico, inserendolo nellorizzonte giudaico. La strutturazione canonica
per intervenuta a dare alle tre parti dellAT una struttura diversa da
quella ebraica, portando al terzo posto i Profeti invece che gli Scritti. Va
inoltre notato che lattivit di redazione canonica cristiana non alter per
nulla lAT per adattarlo allevento cristologico. Anche il NT ha ricevuto
poi una strutturazione canonica, mettendo insieme i Vangeli e staccando
perci Luca da Atti. Tuttavia il NT non si pu considerare in continuit
con la tradizione anticotestamentaria e neppure un midrash delle Scritture
ebraiche. Per altro verso per si deve evitare anche la frattura conclamata
da R. Bultmann. Il rapporto fra i due Testamenti pi complesso. LAT
compreso per la sua relazione con il Nuovo, mentre il Nuovo incomprensibile senza lAT (p. 77).
Contro la tesi riduzionista dellAT propugnata da H. Hbner e da P.
Stuhlmacher, Childs difende lintegrit dellAT in una TB, naturalmente
lAT nella forma del canone breve, da lui scelta.
Quali sono le implicazioni ermeneutiche della forma canonica data
alla Bibbia cristiana? Lenfasi caduta sullunit di una composizione,
che contiene due Testamenti. I due TT sono stati collegati come Antico e
Nuovo, ma questa qualica non signica che sia stata distrutta lintegrit
di ciascuno dei due. LAT offre la sua testimonianza come AT, distinto dal
Nuovo. promessa, non compimento. La sua voce continua ancora a risuonare e non stata messa a tacere dal compimento della promessa (p. 77).
Perci va criticato sia il riduzionismo di H. Hbner27 sia la perdita della
dimensione verticale rispetto a quella orizzontale della tradizione teologica
di P. Stuhlmacher. LAT ha cos perduto (in P. Stuhlmacher) la linea verticale, la dimensione esistenziale, che come Scrittura della Chiesa continua
a portare la sua testimonianza allinterno della Bibbia cristiana (p. 77).
Egli insiste quindi sullintegrit dellAT in s: La TB deve rendere piena
giustizia al sottile rapporto canonico dei due TT allinterno di una Bibbia
cristiana. Da una parte il canone cristiano (che ha assunto lAT come era)
27. Il metodo delle citazioni dellAT nel Nuovo era stato proposto anche da Childs nella sua
198
G. SEGALLA
asserisce la permanente integrit della testimonianza dellAT, il quale devessere ascoltato nei suoi termini (p. 78) e non allegorizzato per renderlo
conforme al NT. Daltra parte va resa giustizia piena alla testimonianza dei
due TT alla luce del suo oggetto-soggetto Ges Cristo.
In conclusione, il metodo canonico di fare una TB si propone di rispettare la Bibbia cristiana nella sua integrit, pur tenendo conto della strutturazione canonica che hanno assunto Antico e NT. LAT va conservato nel
suo valore e nella sua tradizione, sempre orientato a Cristo.
Si percepisce in Childs lo sforzo di non diminuire in nessun modo
limportanza dellAT nella sua integralit, mentre afferma con altrettanta
forza che una testimonianza allunico Cristo. Questa forte asserzione
per in contrasto con una evidente tensione fra i due TT di cui il Nuovo devessere lultimo orizzonte interpretativo. Il problema che a mio
avviso rimane aperto per Childs levidente scarto escatologico del NT,
che non pu non inuire sulla interpretazione dellAT in un orizzonte
cristiano. Va comunque accolta listanza salutare di Childs di salvaguardare il perenne valore teologico e antropologico dellAT in tutta la sua
ricchezza.
Passiamo cos allultimo problema, quello ermeneutico, il passaggio
dalla testimonianza canonica alla realt che intende testimoniare, Ges
Cristo, la rivelazione piena di Dio in Lui. Proprio per questo lermeneutica devessere orientata cristologicamente, perch Ges Cristo la realt
ultima da testimoniare.
Poich la TB ha a che fare con la realt delle testimonianze bibliche,
e muove quindi al di l degli ormeggi storici originali del testo, ci viene
mossa spesso laccusa che questo modello antistorico, losocamente
idealistico ed astratto Non vengo compreso La riessione di TB non
speculazione astratta sulla natura del bene, ma vita e morte lottano con le
comunit storiche della Chiesa cristiana che, nel loro contesto storico particolare, cercano di essere fedeli agli imperativi del Vangelo nella missione
per il mondo. Ma il cuore dellimpresa cristologico, il suo contenuto
Ges Cristo e non la propria autocomprensione e identit (p. 86).
Giustamente nellermeneutica soggetto attivo il lettore, il lettore-interprete nella Chiesa per il mondo. La realt storica per Childs dunque
quella della comunit cristiana, non propriamente la realt storica originaria. Ad essa il teologo di Yale si riferisce indirettamente dicendo che
la realt ultima Ges Cristo, lui, non luomo o la comunit. E tuttavia
si perde il contatto con la storia passata, abbandonando i suoi ormeggi e
fermandosi al testo canonico, quasi congelato. Il testo sgelato s per il
presente, ma non in relazione al passato. Childs relativizza infatti sia la
199
200
G. SEGALLA
Childs stesso nel suo confronto critico con R. Bultmann a p. 221 e lo cita nella bibliograa di p. 232, Judaism and Hellenism, ed. ingl. in 2 volumi, London - Philadelphia
1974.
201
202
G. SEGALLA
203
3.3. Il modello di TB come storia della tradizione con un centro teologico (P. Stuhlmacher)29
Lunit teologica di Antico e NT nellunica Bibbia cristiana costituita da
una tradizione teologica continua dallAntico al NT e da un centro teologico che la riconciliazione di Dio in Cristo Ges con gli uomini peccatori, ebrei e pagani. Questa in sintesi succinta la tesi di TB sostenuta da
P. Stuhlmacher. anzitutto signicativo che il problema del canone e del
suo centro sia trattato non allinizio nella introduzione dellopera, come in
H. Hbner e B.S. Childs, ma alla ne quasi a coronamento del percorso
di TB. Tre sono i problemi fondamentali: il problema del canone stesso,
quello del suo centro, e inne quello dellermeneutica canonica; dei tre il
pi impegnativo mi sembra il terzo.
Anzitutto il problema del canone e della sua formazione. Il processo
canonico che port a un canone con due Testamenti il risultato della tradizione ecclesiale. La formazione del canone non dovuta ad una dichiarazione giuridica della Chiesa ma ad un processo interno ai libri canonici che
compongono la Bibbia. La Chiesa del II secolo contro Marcione ha mantenuto le Sacre Scritture (AT), trasmesse da lungo tempo attraverso Israele
e il protocristianesimo, che ad esse ricorreva, iniziando da Ges. Anche gli
scritti del NT hanno ricevuto la loro qualica, non dalla decisione della
Chiesa antica, ma per la missione e la fede della Chiesa; sono pervenuti nel
canone per la loro stessa forza intrinseca e tale propria forza ha contribuito
alla decisione canonica. Nella parola della Scrittura viene riconosciuta la
parola di Dio, per cui si ebbe coscienza di una diversit qualitativa fra parola di Dio biblica e tradizione ecclesiale su di essa fondata.
In secondo luogo il canone cristiano composto non solo di NT, ma
anche dellAntico e si articolato il loro rapporto unitario in vari modi:
promessa-compimento, Antico e Nuovo Patto, Legge e Vangelo ecc. LAT
corrisponde nella struttura e nel contenuto alla Lxx, che a sua volta traduzione del testo ebraico originale. Il NT si rapporta allAntico non solo
con le citazioni esplicite, implicite e le allusioni (H. Hbner), ma anche
mediante una storia della tradizione e della rivelazione storica.
Fin dallinizio levento cristologico fu considerato un evento che viene
dal Dio dellAT e che si compie in Ges (p. 303). La Chiesa ha seguito una
via diversa da quella degli ebrei nel canonizzare lAT. Essa ha praticamente
29. P. Stuhlmacher, Biblische Theologie des Neuen Testaments. Band I: Grundlegung. Von
Jesus zu Paulus, Band II: Von Paulusschule bis zur Johannesoffenbarung, Gttingen 1992
e 1999. In particolare: II, 287-349 (Das Problem des Kanons und die Mitte der Schrift).
204
G. SEGALLA
annuncio dellevento originario, in Linterpretazione della Bibbia nella Chiesa. Atti del
Simposio promosso dalla Congregazione per la Dottrina della Fede, Roma, settembre 1999,
Citt del Vaticano 2001, 304-319.
31. Stuhlmacher, Biblische Theologie, 322-336.
205
206
G. SEGALLA
tutte le chiese, convinte che la parola di Dio che si legge nella Bibbia non
sia solo per le generazioni passate, ma anche per le presenti e le future. Per
cui la regola dellinterpretazione teologica della Scrittura la tradizione
di fede apostolica, fondata nella stessa Santa scrittura.
Il processo canonico cristiano ha portato allattuale strutturazione della
Bibbia dalla Genesi allApocalisse, la gura di una via di storia della
salvezza che lunico Dio ha percorso con Israele e il mondo e sempre
percorrer (p. 331). Questa via tanto pi chiara se si aggiungono gli
apocri (i nostri deuterocanonici) della Lxx come nella Bibbia cattolica
ed ortodossa. Non si deve perci contrapporre rivelazione e storia come
nellesegesi tedesca; vanno coniugate insieme nellorizzonte dellanamnesi: il zikkaron dellAT che rendeva presente la storia nella liturgia e nella
preghiera, e tanto pi lanamnesi di Ges nel NT, fondata sulle parole di
Ges nellultima cena. Lanamnesi aiuta la comunit degli uditori/lettori a
determinare davanti a Dio il luogo della storia della salvezza e della rivelazione, di cui ha bisogno per lorientamento spirituale (p. 333), una memoria che abbraccia quindi Antico e NT. Le conseguenze che ne derivano per
lermeneutica sono: a) non si pu interpretare lAT indipendentemente dal
Nuovo n il Nuovo indipendentemente dallAntico; b) linsieme canonico
secondo lanalogia della fede offre lorizzonte interpretativo dellanalisi dei
singoli testi e dei singoli libri. Non mette a tacere i risultati della critica, ma
li colloca in un orizzonte pi vasto e articolato, in cui si comprende quali
siano i testi centrali e quali quelli marginali in relazione al centro teologico.
E in tal modo si costruisce il ponte fra storia e teologia.
Perch la Scrittura con un canone in due parti sia compresa comessa
richiede (H. Gese) devessere collocata nel suo luogo naturale, linterpretazione della Chiesa, che deve la sua esistenza alla parola di Dio. E inne
linterpretazione deve rimanere aperta al miracolo dellautocomunicazione
di Dio attraverso i testi biblici. Latteggiamento fondamentale devessere
quello dellumilt (tapeinophrosyn), anche tenendo conto del complesso
di metodi storici, linguistici, ermeneutici oggi praticati, che rendono pi
difcile il lavoro esegetico. E chiude con una citazione di G. Von Rad dal
suo libro sulla Sapienza: In corrispondenza alla nostra odierna mentalit
popolare, la fede non impedisce la conoscenza, al contrario essa piuttosto
che libera il conoscere, che fa giungere giustamente alla cosa e le assegna il
suo giusto posto nellambito della molteplice attivit delluomo (p. 336).
In conclusione per Stuhlmacher: il canone biblico cristiano in due parti
lAT in ebraico e nella Lxx (inclusi i deuterocanonici) e il NT, il centro
di questo canone la riconciliazione con Dio di ebrei e pagani in Cristo;
lermeneutica canonica piuttosto complessa, ma pur includendovi tutta
207
208
G. SEGALLA
209
servivano i cristiani. LAT nella sua tradizione ebraica pi lunga rappresentata dalla Lxx dunque lAT cristiano che aggiungendosi al NT, forma la Bibbia cristiana. Ora, la TB cerca di argomentare lunit e coerenza teologica del
canone biblico in due parti. Tale dimostrazione critica intende per un verso
evitare la soluzione fondamentalista che prende il testo alla lettera, riutando
la critica; e per altro verso vuole evitare anche la deriva di una critica che
non simpatizza col testo, ma si lascia trascinare dalle teorie ideologiche che
fondano i vari metodi e che non pervengono a quanto il testo intende affermare, e cio alla testimonianza della rivelazione di Dio, della sua autocomunicazione alluomo. Alle varie critiche gi praticate nello studio della S.
Scrittura, che hanno ormai una stabile classicazione, va aggiunta quella che
Stuhlmacher chiama empatia critica e spirituale col testo, tenendo conto
della natura particolare del testo biblico e della necessit di rispettarla.
Lermeneutica canonica invece proprio un nuovo metodo che si aggiunge a quelli classici, una interpretazione dei singoli libri o singoli testi
nellorizzonte del canone. La considerazione della Bibbia in due Testamenti
come canone della fede comporta un passo ulteriore rispetto ad uno studio
scientico, pur accogliendolo con tutta la molteplice e complessa metodologia moderna. Il passo ulteriore appunto quello della critica canonica.
Lunit o identit teologica della Sacra Scrittura in due Testamenti come
abbiamo visto argomentata in modo diverso nelle tre Teologie Bibliche
esaminate. La soluzione del canone nel canone proposta da Hbner, cio il
NT come canone critico dellAT in quanto il NT la rivelazione escatologica, cristologica di Dio in Cristo. Secondo lui una TB sarebbe possibile solo
passando per la via della ricezione dellAT nel Nuovo mediante le citazioni
esplicite e implicite; in questa prospettiva viene accentuata la singolarit
della rivelazione cristiana, che funge perci da criterio della rivelazione biblica, contenuta nel canone. B.S. Childs che intende salvaguardare lintegrit
dellAT nella sua forma canonica ebraica, cerca la soluzione del dialogo fra
i due Testamenti, dopo unaccurata descrizione dei due separatamente presi.
Tale unit sarebbe rilevabile sia a livello esegetico mediante il metodo della
intertestualit canonica di un motivo, di un tema, sia a livello di ermeneutica
teologica, esponendo in modo coerente e successivo le due testimonianze
della rivelazione di Dio, aperte alla dogmatica attraverso le tematiche teologiche principali. La soluzione di Stuhlmacher invece quella classica
in ambiente luterano: il centro teologico del canone diviene il criterio per
dimostrare la continuit della tradizione teologica dallAntico al Nuovo Testamento, un AT perci aperto al Nuovo. Il centro, come abbiamo visto, il
tema paolino della riconciliazione di Dio con luomo peccatore mediante il
Figlio suo Ges Cristo e la conseguente riconciliazione fra gli uomini. Tale
210
G. SEGALLA
centro diviene inoltre principio critico per dimostrare quanto nel canone
centrale e quanto marginale nella testimonianza canonica della fede.
Lermeneutica canonica di conseguenza diversa nelle tre proposte di TB:
la via del Vetus Testamentum in Novo receptum diverso dal Vetus Testamentum
in se, applicata in modo rigoroso da Hbner. Lermeneutica del dialogo fra i
due Testamenti nel contesto canonico proposta da Childs e lermeneutica canonica di P. Stuhlmacher molto pi complessa in cui cerca di applicare allinterpretazione della Scrittura tutti i metodi moderni, aggiungendo per il metodo
della empatia critica e quello canonico per rispettare la natura particolare del
testo biblico e la sua rivendicazione di una verit che va al di l di quella storica. Questultima ermeneutica, anche se meno specica, mi sembra la pi comprensiva e quindi la pi rispettosa del testo canonico nella sua complessit.
Conclusione
Come riessione conclusiva vorrei esaminare brevemente le vie di soluzione aperte dalla TB canonica al problema dellunico canone biblico in due
parti, concentrandoci su tre punti fondamentali per focalizzarli allinterno
di una via di uscita: la memoria collettiva dellunico Dio che salva nei due
Testamenti, nelle due testimonianze, che qualicano la sua ultima identit
in Cristo, che ha rivelato in modo denitivo la verit di Dio e la sua salvezza nellorizzonte ermeneutico dellAT.
Il canone biblico cristiano si compone di due parti in tensione (discontinuit) e unione (continuit) fra loro. Il NT stato aggiunto ad un AT gi
compiuto e a cui gli autori del NT si riferiscono come a Scritture Sante.
Vanno notate due cose: che il canone cristiano dellAT pi ampio di quello
ebraico; che strutturato in modo diverso nei tre o quattro complessi in cui
i libri vengono divisi; che il canone ebraico della diaspora passa attraverso
la Lxx, pi aperto alluniversalismo cristiano. Perci lAT cristiano nel suo
complesso diverso dalla Tanak ebraica; per di pi lorizzonte ermeneutico
della Tanak ebraica la Mishna e il Talmud, mentre per i cristiani il NT.
I due canoni divengono cos espressione di due identit diverse: quella
ebraica che si identica con la storia di Israele nella sua relazione unica di
alleanza con JHWH, e quella cristiana la cui identit Ges Cristo, Figlio
di Dio incarnato, che rivela Dio e la sua salvezza in modo denitivo per
tutti i popoli, incluso Israele. Di qui deriva la possibilit e necessit di una
TB per la fede cristiana, mentre non vi interessato affatto lebreo33.
33. J. Levenson, Why Jews Are Not interested in Biblical Theology, in J. Neusner - B.A.
211
Il canone biblico, nella sua ampiezza, nella sua struttura e nella sua funzione, dato che si compone di due parti, richiede una TB, che renda ragione
della loro unit in tensione, della loro identit teologica e della necessit di
valutare come parte integrale del canone lAT.
Lermeneutica canonica ormai un dato acquisito. La stessa continuit teologica dei due TT nella discontinuit pu essere pi facilmente
dimostrata a livello canonico che non a quello di storia della tradizione.
Lo strumento principale o metodo cui oggi si ricorre la intertestualit34.
Lintertestualit canonica nella sua molteplice applicazione pu includere
diversi livelli: quello delle citazioni dellAT nel Nuovo, quello dei motivi
e temi comuni; ma deve procedere al di l e avere il coraggio dellultimo
passo: dimostrare lunit e lidentit della Bibbia cristiana come specchio
dellidentit cristiana. E si perviene cos alla soluzione qui proposta al problema pi difcile: lunit e lidentit profonda dei due Testamenti35. Cos
si esprime B. Janowski allinizio e alla ne dellarticolo citato in nota: Chi
vuole articolare una posizione in relazione alle questioni fondamentali di
una TB, intende contribuire alla ricerca della identit della fede cristiana
(corsivo mio). E chiude larticolo ribadendo la stessa tesi iniziale: Chi
articola una posizione Nel lavoro di esegesi contemporanea la TB deve
tener conto che la Scrittura divisa in due parti (pp. 297 e 321) e qui
inizia il discorso sul rapporto con la Bibbia di Israele, che va rispettata e
riconosciuta, ma al contempo si deve affermare lunit della Scrittura (p.
321), cio di Antico e NT. Ma quale unit della Scrittura e in corrispondenza quale identit biblica cristiana? Anzitutto va detto che lunit non
va concepita come unit dottrinale, astorica e statica. I tentativi in questo
senso sono falliti. Lunit cercata devessere dinamica e non statica, storica e non dottrinale, non concettuale ma ermeneutica e aperta al dialogo36.
Ma dove trovare questo tipo di unit che diviene identit di fede cristiana?
Sding propone la fede in un Dio unico, JHWH e in un unico popolo, Israele, che in Cristo Ges si apre a tutti i popoli. Per onorare anche laspetto
34. Per una introduzione elementare si veda lottimo articolo di P. Rota Scalabrini, Bibbia
212
G. SEGALLA
37. Un saggio in questo senso per il Nuovo Testamento in relazione con lAntico nellunica
memoria di Ges quello che ho scritto io stesso ed stato pubblicato recentemente: Teologia Biblica del Nuovo Testamento (8/2), Torino 2006.
R.J. Boettcher
One of the intriguing and at the same time frustrating things about in-depth
study of any text is that it reveals the intricate complexity of human language, and at the same time, our challenge in understanding what and how
it is communicating. We understand by division and comparison, drawing
distinctions and establishing relationships in a sequential process. When applied to text analysis, our sequential process can be overtaxed by the sheer
number of possibilities, since every word and grammatical construction adds
a plethora of possible senses. For a simple example, we will take the phrase,
The one with the table saw the pen. A typical analysis would go through
the sentence, labeling main verb, subject, direct and indirect object, and so
forth, to lay out the structure. Then, to interpret its meaning, the usual thing
to do is list out the possibilities at each point, discuss the ramications, and
choose the most probable. Then the focus is shifted to the next item. At the
end, the data is summarized by grouping into various scenarios. For the
example, we would say:
subject: [the one with the table]
composed of [one] with denite article [the]
and adjectival clause [with the table],
itself composed of
preposition [with], object [table] with denite article [the]
verb
[saw]
direct object[the pen]
We have three material things: one, table, and pen. The rst is extremely ambiguous, only limited by the content of the rest of the sentence.
The second, table, could be the kind one dines upon, or a gure on a piece of
paper, or in an older terminology, a tablet. Relating these rst two is the word
with, which itself carries more than one connotation. The last, pen, could
be a writing instrument or an enclosed area for livestock. While we could go
on and write out a lengthy reection on the semantic possibilities and probabilities, we would be multiplying words. For a rough idea of how many possibilities there are for a text, multiply the number of words times the average
number of meanings for each one. So far we have 12. Then for the amount
of textual space required to discuss it, gure on not only multiplying this by
the space devoted to each word, but since we will have to discuss also their
LA 56 (2006) 213-224
214
R.J. BOETTCHER
links
would
be object
a help (e.g.
to navigation.
This grammatical
is important category,
for both heuristics
character
of an
physical object,
process),
and
contextual
interpretation.
Third,
the
symbols
could
display
and the connecting lines could indicate types of relationships (e.g.
verbthe
to
character
of
an
object
(e.g.
physical
object,
grammatical
category,
process),
object, steps in a process). Thus a wealth of information would be visible.
and
the the
connecting
linesnature
couldofindicate
types ofallow
relationships
to
Lastly,
open-ended
such diagrams
for them (e.g.
to beverb
linked
215
RELATIONAL
DIAGRAMS
IN of
TEXT
ANALYSIS would be visible.
object,
steps
in
a
process).
Thus
a
wealth
information
together so that, for example, what one produces the other takes in as input.
Lastly,
the open-ended
naturecan
of represent
such diagrams
for them
be linked
Integrating
groups of these
globalallow
systems,
and to
conversely,
together
so
that,
for
example,
what
one
produces
the
other
takes
in
as input.
each
unit
can beso
expanded
its own what
diagram.
allowfunctional
for them to
be (symbol)
linked together
that, for in
example,
one produces
Integrating
groups
these
can
represent
global
systems,
conversely,
Wetakes
begin
a fewIntegrating
basic
symbols
and
example.
The
present
the other
inwith
asofinput.
groups
of an
these
can and
represent
global
each
functional
unit
(symbol)
can
be
expanded
in
its
own
diagram.
concern
to show: each
1) lexical
possibilities
for the sense
a word; 2)
systems,will
and be
conversely,
functional
unit (symbol)
can beofexpanded
in
begin
with terms;
a few basic
symbols
and an example. The present
relationships
between
3) semantic
referent.
its ownWe
diagram.
concern
will be
to show:
1) lexical
possibilities
for the The
sensepresent
of a word;
2)
thebasic
symbols:
WeExplanation
begin
with
aoffew
symbols
and an example.
concern
relationships
between
terms;
3) semantic
referent.
will be to show:
1) lexical
possibilities
for the
sense of a word; 2) relationships
Explanation
of
the
symbols:
between terms; 3) semantic referent.
Explanation of the symbols:
reference
in the text
reference
in
the text
meaning
main flow
Modifier
enclosure
with
meaning
relation
Modifier
possibility
with
relation
possibility
the one
the one
enclosure
main flow
with
the table
with
for dining
on paper
person
dog person
the one
dog
the one
tablet
for dining
on paper
tablet
enclosure
for writing
enclosure
for writing
the pen
saw
saw
the pen
With this kind of representation, one can see the main elements and the
elds of possibilities. There is no a priori
3 need to reduce these down to single
values (although admittedly it is necessary to lter them to a manageable number). One important aspect is the possibility of indicating how certain some
relations are, others as tentative or conditional. Further, seeing the options
together allows the analyst to relate the individuals in one group to another,
Joh 1:1
o` lo,goj
h=n
evn
avrch/|
kai,
o` lo,goj
kai,
o` lo,goj
h=n
pro,j
h=n
to.n qeo,n
qeo,j
217
It is reasonably clear that the rst term of each phrase refers to the same
It is reasonably clear that the first term of each phrase refers to the
thing. However, moving on to the next 2 verses, the semantic relation between
same thing. However, moving on to the next 2 verses, the semantic relation
the grammatical units is not immediately apparent:
between the grammatical units is not immediately apparent:
Joh 1:2
ou-toj
h=n
evn
Joh 1:3a
pa,nta
avrch/|
e[n
ouvde,
to.n qeo,n
evge,neto
diV
kai,
pro,j
auvtou/
evge,neto
cwri,j
auvtou/
Further, the rhetorical centrality of the Logos as the source of all that exists
Further,
thereferences
rhetorical centrality
of the
Logos
thelower
sourcelevels
of all of
thatadverbial
exists is
is lost as
to Him are
buried
in asthe
lost
as references
to Him is
areanother
buried representation
in the lower levels
ofbuilds
adverbial
clauses.
clauses.
What is needed
which
on this
data,
What
is needed
is another
representation
which
thisof
data,
summasummarizes
it, and
re-orders
it according
to a builds
higheron
level
abstraction,
rizes
it, and
re-orders
it according to a higher level of abstraction, structure,
structure,
and
meaning.
and meaning.
Standing in the gap between grammar and rhetoric is the semantic
Standingofinterms
the gapreferents.
between grammar
and rhetoric
is the
dimendimension
While generally
clear
andsemantic
often univocal,
sion
of termsof
referents.
generally
clear and
oftenobject
univocal,
thethe
referent
the referent
a term,While
whether
to another
textual
or in
real
of
a term,can
whether
another
textualdetermined
object or inby
the
world,
nevera
world,
nevertobe
absolutely
thereal
text
itself.canAfter
be
absolutely analysis
determined
by theeach
text verse
itself.and
After
a grammatical
analysis in
grammatical
in which
phrase
has been categorized
which
each verse
phrase
has been
categorized
ordered,
still
and ordered,
thereand
still
remains
the question,
Toand
what
does there
this term
remains
this term
Forimmediate
example, the
refer? the
Forquestion,
example,To
thewhat
use does
of this
can refer?
mean the
or use
the
of
thisprecedent,
can meanand
the no
immediate
or the grammatical
general precedent,
and nocan
further
general
further merely
examination
ever
merely
resolvegrammatical
the question.examination can ever resolve the question.
This
aspect
(attention
reader!
to what
doesdoes
thisthis
point?)
can becan
lostbeamid
This
aspect
(attention
reader!
to what
point?)
lost
the
apparent
precision
of detailed
when expressed
amid
the apparent
precision
of textual
detailedstudies,
textualespecially
studies, especially
when
with
prose with
for even
most
minds
taxed in minds
maintaining
dozens
expressed
prosethe
forbrilliant
even the
mostarebrilliant
are taxed
in
of
inter-relating
data points
spread overdata
the space
severalover
pages.
of the
maintaining
dozens
of inter-relating
pointsofspread
thePart
space
of
problem
is explaining
words
moreiswords,
for wherever
the problem
is not
several pages.
Part of
the with
problem
explaining
words with
more words,
just
translation
an ancient
intojust
a current
language, of
butan
theancient
expression
for the
wherever
the of
problem
is not
the translation
intoofa
thoughts
which challenge
human language,
we will
not only
always fall
current language,
but theanyexpression
of thoughts
which
challenge
any
short
of language,
perfect clarity,
but run
of obfuscation,
andperfect
perhaps
a vicious
human
we will
not the
onlyrisk
always
fall short of
clarity,
but
cycle
of word
run the
risk multiplication.
of obfuscation, and perhaps a vicious cycle of word
multiplication.
218
R.J. BOETTCHER
While
grammatical
diagrams
areare
a great
While
grammatical
diagrams
a greataidaidtotothat
thatlevel
levelofoftextual
textual
dynamic,
dynamic, the
the semantic
semantic dimension
dimension can
can be
be obscured
obscured or confused. Take
Takefor
for
example
there are
areaanumber
numberofofexpressions
expressions
pointing
to
example aa section
section where there
pointing
to the
the
same
object
person,but
butallallusing
usingdifferent
different modes.
modes. The
same
object
or or
person,
The grammatical
grammatical
diagram
must
necessarily
follow
these
variations,
but
without
being
diagram must necessarily follow these variations, but without beingable
abletoto
indicate
indicatethat
thatthey
theyrefer
refer to
to one
one and
and the
the same
same thing.
thing. To
Tothe
theeye
eyeititwill
willseem
seem
that
thatthere
thereare
aremultiple
multipleobjects,
objects,without
without aa means
means of
of unifying
unifying them.
them. So,
So,ititisis
necessary
necessarynot
nottotoreplace
replacesuch
suchrepresentations
representationsbut
buttotosupplement
supplementthem
themwith
with
the
semantic
converse,
which
sets
the
semantic
objects
as
primary
while
the semantic converse, which sets the semantic objects as primary while
distinguishing
farfar
as as
possible.
Taking
in hand
the
distinguishingthe
thegrammatical
grammaticaldetails
detailsasas
possible.
Taking
in hand
example
from the
Prologue,
we presentwehere
anotherhere
way another
of diagramming
the example
from
the Prologue,
present
way of
it,diagramming
which contains
some contains
of the grammatical
also reduces
it, which
some of theinformation,
grammaticalbut
information,
but
ii
2
terms
to
single
referent:
also reduces terms to single referent:
1.1
1.2
1.3
thisway
wayititisisclear
clearthat
thatthe
theLogos
Logosisisthe
the primary
primary focus
focus and
and referent.
referent. Here
Here
InInthis
some
of
the
grammatical
dimensions
are
also
represented
by
the
different
some of the grammatical dimensions are also represented by the different
shapesand
andthethe
directions
of arrows.
the arrows.
The numbers
starryindicate
circles
shapes
directions
of the
The numbers
in starryin
circles
indicate
the
Scripture
verse.
Further,
following
the
various
paths,
one
can
the Scripture verse. Further, following the various paths, one can perceive the
perceive the logical/rhetorical
groupings
loops.gures
In the
following
logical/rhetorical
groupings and loops.
In theand
following
showing
the
figures
showing
the
whole
of
the
Prologue,
the
additional
dimension
whole of the Prologue, the additional dimension of ambiguity is indicated byof
is indicated
a bracket,
while with
negation
is cross.
shownInby
circle
aambiguity
bracket, while
negation by
is shown
by a circle
interior
v. 9a there
with interior cross. In v.9 there is ambiguity as to what is coming into the
world, whether the light or the human being. Further, there is a shift in the
subject between v.9 and the end of v.10, from the light to the Logos, and in
2.the
Theinterim
Greek diacriticals,
for the most
are the
omitted
for theofsake
of simplicity.
it is ambiguous.
Atpart,
v.14,
referent
full
might beCertain
either
other aspects have also been adapted, for example the case of a noun referred to by different
the
Only-begotten
or
glory.
verbs or prepositions demanding conicting cases.
7
219
is ambiguity as to what is coming into the world, whether the light or the human being. Further, there is a shift in the subject between v. 9 and the end of
v. 10, from the light to the Logos, and in the interim it is ambiguous. At v. 14,
the referent of full might be either the Only-begotten or glory.
1.1
2
1.2
6-8
1.3
...
10
11
12
13
220
R.J. BOETTCHER
14
16
17
18
15
a field ripe for research. It would seem that up until now, the usual mode
of translating classical texts has been to take each sentence in relative
isolation, using terms in the target language that seem at each point most
proper to the local context. Two main problems have attended this. With
technical texts RELATIONAL
such as philosophical
works, certain technical terms with a 221
DIAGRAMS IN TEXT ANALYSIS
single, consistent meaning are fragmented into a plethora of terms which
disturb or destroy the logical network. Secondly, the inter-relationships
between
is often
ignored,
that implicit
linksmeaning
betweenare
terms
are
works,
certainterms
technical
terms
with asosingle,
consistent
fragmented
lost.
Worse
still,
sometimes
misleading
groupings
may
be
formed
by
the
into a plethora of terms which disturb or destroy the logical network. Secondly,
backwash of translating several terms into the same word.
the inter-relationships
between terms is often ignored, so that implicit links
For example, in comparing Genesis 1 and John 1, commentaries
between
terms
are
lost.
Worse still,
misleading
groupings
may be
typically trace a line through
wordsometimes
speech spoken
speaker,
and look
formed
by
the
backwash
of
translating
several
terms
into
the
same
word.
for commonalities. Many produce a demonstration that the Word of John
For
in comparing
Genesis
and John
commentaries
typically
1 isexample,
the product
of what God
said in1Genesis
1. 1,Aside
from the heavy
iii
there
and word
philosophical
such and
a reading,
trace theological
a line through
speecharguments
spokenagainst
speaker,
look for commonstand
simple
linguistic
mappings that point
otherwise.
word1mapping
alities.
Many
produce
a demonstration
that the
WordThe
of John
is the proddata is highly relevant and informative.iv The verb for speaking, rma
uct of what God said in Genesis 1. Aside from the heavy theological and
(amar) is not the one claimed to be equivalent 3to Word rbd (dabar) and
philosophical
arguments against such a reading, there stand simple linguistic
further, the substantive form for neither appears in the passage. An
mappings
that
point otherwise.
word
mapping
data is highly
accurate portrayal
seeks not The
simply
to fish
for a connection
and relevant
take the and
4
informative.
The
verb
for
speaking,
rma
(amar)
is
not
the
one
claimed
first thing on the hook, or to gerrymander the data to fit the desiredto be
conclusion,
but to
find(dabar)
and present
the complete
repertoire ofform
the writers
equivalent
to Word
rbd
and further,
the substantive
for neither
usage.
In
this
case
we
find
that
in
the
book
of
Genesis
is
translated
appears in the passage. An accurate portrayal seeks not simply to sh for a
580 times
marst
and
d;to whereas
but thing
only 10
by rbor
connection
andfrom
takerthe
ontimes
the hook,
gerrymander
the data
are much more commonly linked with rbd. These statistics can
to t the desired conclusion, but to nd and present the complete repertoire
be better appreciated with a diagram:
of the writers usage. In this case we nd that in the book of Genesis legw is
translated 580 times from rma but only 10 times by rbd; whereas rhma and
lalew are much more commonly linked with rbd. These statistics can be better
appreciated
with a diagram:
Relationships between terms
in
~an arq
rma
582
10
7 Greek
words
rbd
43
60
3. These go back at least as far as the second century with St. Irenaeus, who described
the Father speaking to the Logos, the Logos Himself calling man, commanding him in the
garden speaking, not simply spoken (AH. 5.17.01-04).
4. Data from the CATSS/Tov Hebrew-Greek Parallel Alignment Module. 1987, 2005 by
Emanuel Tov and CATSS, the Computer-Assisted Tools for Septuagint Studies Project,
Department of Religious Studies, University of Pennsylvania, 227 Logan Hall, Philadelphia
PA 19104-6304. In BibleWorks, ver. 7.
222
R.J. BOETTCHER
11
223
to what or whom does touton (this one) refer? To being or person? (In this
diagram,
refer tothe
thenumbers
associated
text to
in St.
person? the
(Innumbers
this diagram,
refer
theAthanasius
associated Orationes
text in St.
tres
contra Arianos:
PGTres
26). Contra Arianos, PG 26).
Athanasius
Orationes
176.35
Phil 2
Son
form of equality
servant with God
173.04
181.34
Logos
Human Divine
Made Begotten
body
Persona
173.31
172.18
made and
become refer
to a change in the
subjects, not the
Lord
Relative:
Lord towards us
manifested
172.28
Absolute Lord
by essence
context is
bodily existence
make [for]
Context:
Literary
Theological
172.07
169.17
JnP
Persona
169.42
Logos was created
into existence
224
R.J. BOETTCHER
with the use of a linked database; 5). Apply a dynamic network model to the
diagrams and analyze the characteristics of the system, such as main nexus
points, feedback loops, dependencies, redundancies and critical paths. Such
tools could greatly reduce the gap between a static text analytical model and
the dynamic, real world human communications scenario. In fact, this suggests how to relate human thought, linguistics, and interpretation, since the
human brain is made up of a neural network, and we think not rst in fragments of grammatical constructions but in whole thoughts which gradually
condense into expressions of words. It only makes sense that to search out the
inner word of the speaker/writer (a typical patristic description of a distinct
thought), we should seek a conceptual and expressive bridge between thought
and text, which a visual form presents.
R. John Boettcher
Visiting Professor
Studium Biblicum Franciscanum, Jerusalem
TRADIZIONE E INNOVAZIONE
NELLE LETTERE PASTORALI
N. Casalini
Early Jewish and Christian Exegesis. Studies in Memory of W.H. Brownlee, Atlanta 1987,
237-253; prima di lui, H. Windisch, Zur Christologie der Pastoralbriefe, ZNW 34 (1935)
213-238; dopo, A.Y. Lau, Manifest in Flesh (WUNT II.86), Tbingen 1996, 64-178 (The
Use of Christological Traditions in the Pastoral Epistles), in cui elenca 1Tm 1,15; 2,5-6;
3,16b; 2Tm 1,9-10; 2,8.[11-13]; Tt 2,14; 3,4-7.
2. P. Trummer, Die Paulustradition der Pastoralbriefe (BET 8), Mnchen 1978; G. Lohnk,
Paulinische Theologie in der Rezeption der Pastoralbriefe, in K. Kertelge (ed.), Paulus
in neutestamentlichen Sptschriften (QD 89), Freiburg i.Br. 1981, 70-121; Idem, Die Vermittlung des Paulinismus zu den Pastoralbriefen, BZ 38 (1988) 169-188; M. Wolter, Die
Pastoralbriefe als Paulustradition (FRLANT 146), Gttingen 1988.
3. Cf. A Weiser, Der zweite Brief an Timotheus (EKK XVI/1), Dsseldorf - Zrich 2003,
64-66.
4. J. Roloff, Pastoralbriefe, TRE 26 (1996) 50-68: 61.
5. Ci si pu rilevare nella sintesi di P. Stuhlmacher, Biblische Theologie des Neuen Testaments, Bd. 2, Gttingen 1999, 153 (Die Verkndigung in der Zeit nach Paulus).
LA 56 (2006) 225-300
226
N. CASALINI
Non ignorata la tradizione evangelica, a cui le lettere si richiamano in modo diretto o indiretto, anche se alcuni sembrano accordare la
prevalenza alla tradizione lucana (Vangelo di Luca e Atti)6. Anzi, questa
dipendenza letteraria ritenuta cos determinante, da avere convinto alcuni a sostenere che medesimo sarebbe lautore delle tre lettere e delle
opere lucane7. Lipotesi non dimostrabile e, forse, non convalidata da
prove sicure. Ma il dato di fatto in se stesso innegabile, anche se bisogna determinare con pi precisione e rigore in che cosa consiste questo
privilegiato rapporto intertestuale, distinguendo la dipendenza teologica
da quella retorica e narrativa, cosa che noi stessi potremmo fare in una
successiva ricerca.
Ci che restato indeterminato in questa discussione la novit effettiva dei testi in rapporto alla stessa tradizione, novit che percepita da
ogni lettore, ma che pochi esegeti hanno esposto in modo sistematico ed
esauriente. Anche se percepiscono con correttezza le differenze, non sempre spiegano in che cosa consiste la differenziazione e quale sia il valore
teologico che bisogna ad essa attribuire. Quindi in ci che segue proceder
a queste veriche, indicando con cura ci che stato desunto dalla tradizione e la novit con cui stata proposta ed elaborata una nuova sintesi,
lasciando impregiudicato il problema dellautore reale, su cui non c consenso al momento attuale8.
Anche se lipotesi di allograa pseudonimica predominante, permane una tenace tendenza tra coloro che considerano le tre lettere autentiche9. Chi cerca di differenziare, non fa che confermare lo stato dibattuto
della questione10. Noi siamo convinti che i tre testi siano eterogra, come
attestano gravi indizi letterari, stilistici, storici e teologici11. Ma non siamo
6. C.F.D. Moule, The Problem of the Pastoral Epistles, BJRL 47 (1964/65) 430-452.
7. A. Strobel, Schreiben des Lukas?, NTS 15 (1969) 191-210; S.G. Wilson, Luke and the
Pastoral Epistles, London 1979, 136-143; J.D. Quinn, The last volume of Luke: the Relation of Luke-Acts to the Pastoral Epistles, in C.H. Talbert (ed.), Perspectives on Luke-Acts
(PRSt SS 5), Edinburgh 1978, 62-75.
8. Uno status quaestionis recente in Weiser, Der zweite Brief an Timotheus, 51-59.
9. Cos G.W. Knight, The Pastoral Epistles (NIGTC), Grand Rapids MI 1992, repr.
2000, 21-54 (in part. 53-54); W.D. Mounce, Pastoral Epistles (WBC 46), Nashville 2000,
LXXXIII-CXVIII.
10. I.H. Marshall, The Pastoral Epistles (ICC), Edinburgh 1999, 83-92, che ritiene impossibile lattribuzione diretta, ma inadeguata anche la pseudonimia.
11. Tutti esaminati con cura in Marshall, The Pastoral Epistles, 59-79, e in Mounce, Pastoral Epistles, LXXXIII-CXVIII.
227
12. communis opinio: cf. W.G. Kmmel, Einleitung in das Neue Testament, Heildeberg
198321, 340 (vermutlich von demselben Verfasser stammenden drei Past); U. Schnelle, Einleitung in das Neue Testament, Gttingen 19993, 346 che ripropone lipotesi di P. Trummer,
Corpus Paulinum-Corpus Pastorale, in K. Kertelge (ed.), Paulus in den neutestamentlichen Sptschriften. Zur Paulusrezeption im Neuen Testament, Freiburg 1981, 122-145:
133; I. Broer, Einleitung in das Neue Testament (NEB Ergnzugsband 2/II zum NT), II,
Wrzburg 2001, 538-541.
13. Per lattribuzione di 1Tm e Tt ad autore diverso da 2Tm cf. J. Murphy-OConnor, 2
Timothy contrasted with 1 Timothy and Titus, RB 98 (1991) 403-418.
14. Sul lavoro redazionale con cui sarebbero state composte le Pastorali, il saggio di J.D.
Miller, The Pastoral Letters as Composite Documents (SNTS MS 93), Cambridge 1997,
1-18, di cui non condividiamo il giudizio negativo, che siano solo opera di un compiler.
15. I testi attribuiti alla tradizione sono indicati da tutti i commenti. In particolare sono
stati esaminati da Ellis, Traditions in the Pastoral Epistles, 237-253 e da Lau, Manifest in
Flesh, 64-178, come ho gi indicato nella nota 1.
228
N. CASALINI
stles, 326-330, che recupera criticamente R.A. Campbell, Identifying the Faithful Sayings
in the Pastoral Epistles, JSNT 54 (1994) 73-86 e F. Young, The Theology of the Pastoral
Letters, Cambridge 1994, 56-59.
17. Cf. Windisch, Zur Christologie der Pastoralbriefe, 221-222; G.W. Knight, 1 Timothy
1,15 and Its Saying, in Idem, The Faithful Sayings in the Pastoral Letters, Kampen 1968,
rist. Grand Rapids MI 1979, 4-49; e il pi recente D. Gerber, 1 Tim 1,15b: Lindice dune
christologie pense prioritairement en lien avec la venu de Jsus, RHPhR 80 (2000) 463477: 474-475.
18. Cf. Knight, The Pastoral Epistles, 48-49.
229
zhth'sai kai; sw'sai to; ajpolwlov", Il Figlio dellUomo, infatti, venne per
cercare e salvare ci che era perduto19.
Quindi dalla teologia della tradizione evangelica (Mc, Gv e Lc) che
deriva lidea teologica qui affermata ed elementi della forma espressiva
(dalla tradizione sinottica, giovannea e, in particolare, lucana). Ma la sua
formulazione nuova. Non si trova espressa altrove n in questa forma n
con tale chiarezza.
Nella tradizione sinottica in Mc 2,17b Ges afferma che venuto a chiamare i peccatori (kalevsai... tou;" aJmartwlouvv") e Lc 5,32 precisava che
era una chiamata eij" metavnv oian a conversione. Ma solo Lc 19,10 rendeva
evidente che la missione stessa di Ges era di salvare (sw'sai) ci che era
perduto (to; ajpolwlov") che una metafora per indicare oJ aJmartwlov", il
peccatore. Tale infatti denito Zaccheo in Lc 19,7b e tali erano coloro che
Ges accoglieva per mangiare con loro, alla stessa mensa (cf. Lc 15,2).
Queste referenze intertestuali attestano unassimilazione della teologia del
Vangelo di Luca, ma anche unevidente novit, che consiste nella denizione
precisa dello scopo della venuta di Cristo Ges nel mondo: per salvare i peccatori (sw'sai tou;" aJmartwlouv"), che non si trova nel Nuovo Testamento,
dove idea generale dominante lespiazione per il perdono dei peccati con la
sua morte sulla croce, come attestavano le parole della Cena in Mc 14,24 e
Mt 26,28, ma anche Rm 3,25 e 2Cor 5,21. Quindi la novit consiste in questo:
ci che nella tradizione evangelica detto della vicenda di Ges Cristo, qui
in 1Tm 1,15b rievocato come vicenda dei peccatori, che lui ha salvato, dei
quali lo stesso Paolo dice: dei quali il primo sono io.
1Tm 2,5-6: un solo Dio, uno solo anche il mediatore
In 1Tm 2,5-6 si legge questa affermazione: Uno, infatti, [] Dio, uno anche il mediatore di Dio e degli uomini, luomo Cristo Ges, che diede se
stesso [in] riscatto per tutti, testimonianza ai tempi propri. La forma del
testo e il suo contenuto sono ritenuti tradizionali. Anzi, la stessa composizione stata catalogata come formula di fede (Glaubensformel) da P.
Trummer.20 Probabilmente, ha ragione, perch ci che si legge pu essere
19. O. Michel, Grundfragen der Pastoralbriefe, in M. Loeser (ed.), Auf dem Grund der
230
N. CASALINI
The First and Second Letters to Timothy (AB 35A), New York 2001, 191 che naturalmente
lo ritiene conforme allo stile paolino.
22. R.F. Collins, First Corinthians (Sacra Pagina 7), Collegeville MN 1999, 313.
23. Collins, First Corinthians, 313-318.
231
sale volont salvica di Dio: egli vuole che tutti gli uomini siano salvi,
e conseguano la salvezza con la conoscenza della verit, di cui propone
una sintesi in 1Tm 2,5-6 come attesta il fatto che introdotta con un gavr
giusticativo, in conformit alla logica del discorso.
Dovendo dare ragione di ci che ha affermato in 1Tm 2,4 dice: il
quale (i.e. Dio) vuole che tutti gli uomini si salvino e giungano alla conoscenza della verit, perch uno solo il Dio (salvatore) e uno solo anche
il mediatore (salvico) di Dio e degli uomini, luomo Cristo Ges, che ha
gi operato la sua azione salvica, come precisa laggiunta in 1Tm 2,6:
il quale ha dato se stesso in riscatto per tutti (oJ dou;" eJauto;n ajntivlutron
uJpe;r pavntwn). In ci emerge la novit del discorso di questo teologo.
Il principio tradizionale del Dio unico riproposto come fondamento per
affermare luniversalit del suo volere salvico: egli vuole che tutti gli
uomini si salvino.
Non solo. Ma questa salvezza gi garantita per tutti dal riscatto
(ajntivlutron) pagato per tutti (uJpe;r pavntwn) da Cristo Ges, che ha dato
se stesso in sacricio per loro. In questo modo, la sua funzione di mediatore (mesivth") di Dio e degli uomini e lefcacia della sua opera di
mediazione fondata e garantita dallofferta della sua stessa vita, data in
riscatto per tutti, per lumanit intera. Si potrebbe supporre che il vero
intento della sua affermazione sia polemico: escludere tutti gli altri di e
coloro che presumevano per s la funzione di salvatori24. Ma ci non
evidente e il suo problema pare diverso: mostrare che la salvezza di Dio
per tutti e non per gruppi esclusivi, che si presumevano i soli salvati.
Nel suo discorso, infatti, non si legge polemica diretta, n contro altri
di n contro altri salvatori, ma solo la certezza di fede che il Dio uno
solo, che vuole salvare tutti e che uno solo anche il mediatore di Dio e
degli uomini, che ha pagato il riscatto per tutti, dando se stesso, afnch
siano salvati.
Questo il vero principio e il punto capitale della sua affermazione,
come risulta evidente dallo stesso ordine sintattico, che serve ad esprimere
in modo chiaro quello logico. Dice: Uno, infatti, [] Dio, uno anche (ei|"
kai;) il mediatore di Dio e degli uomini, luomo Cristo Ges. Quindi la
sua argomentazione non ha come scopo diretto la subordinazione di Cristo Ges a Dio, o della cristologia alla teologia, come suggerisce in modo
anacronistico L. Oberlinner25, ma solo di riaffermare lunicit della sua
232
N. CASALINI
233
nella tradizione evangelica, era espressa con la formula dou'nai th;n yuch;n
aujtou' luvtron ajnti; pollw'n, che certamente alludeva alla morte espiatoria
del Servo di cui in LXX Is 53,11-12, qui riproposta nella forma pi
semplice e universalizzante oJ dou;" eJauto;n ajntivlutron uJpe;r pavntwn. Ma
restata lidea che tale offerta di s fosse un riscatto (luvtron), indicato
con il vocabolo pi corrente ajntivlutron, corrispondente al signicato di
ajntivyucon, scambio vitale, quale si legge in LXX 4Mac 6,2928.
Certamente da Paolo deriva la formula dellautoimmolazione (o Selbsthingabe), oJ dou;" eJauto;n, che pare riprendere Gal 1,4 dove si legge di
Ges Cristo tou' dovnto" eJauto;n uJpe;r tw'n aJmartiw'n hJmw'n; e in modo
indiretto anche Gal 2,20 dove scrive dello stesso tou' paradovnto" eJauto;n
uJpe;r ejmou'. Ma ugualmente da lui deriva, probabilmente, anche il principio
teologico che sostiene la logica della sua affermazione: lunicit del suo
ruolo di mediatore dipende dal valore universale della sua morte. Paolo,
infatti, che in 2Cor 5,14 afferma con semplicit rigorosa: Lamore, infatti,
di Cristo ci possiede, pensando che uno per tutti morto (ei|" uJpe;r pavntwn
ajpevqanen) ripetuto con stesse parole (uJpe;r pavntwn)29. Ma da questo evento unico, Paolo non aveva tratto la conclusione che ne ha tratto il teologo
di 1Tm 2,6: poich ha dato se stesso in riscatto per tutti, egli il mediatore
unico di Dio e degli uomini (ei|" kai; mesivth" qeou' kai; ajnqrwvpwn).
Tuttavia questa conseguenza teologica era in qualche modo gi nota
alla tradizione paolina, in particolare alla lettera agli Ebrei, unica in tutto
il Nuovo Testamento, dove attribuito al Cristo il titolo di mediatore
(mesivth": Eb 8,6; 9,15; 12,24)30. probabile, quindi, che questo testo sia
la fonte, da cui lautore di 1Tm 2,5-6 ha attinto non solo il titolo mesivth"
per Cristo Ges, ma anche il principio che esso gli dovuto per lefcacia
salvica del sacricio di se stesso. per questo, infatti, che egli detto
in Eb 9,15 mediatore di una alleanza nuova (Kai; dia; tou'to diaqhvkh"
kainh'" mesivth" ejstivn). Ma lidea teologica giudaica di alleanza nuova (kainh' diaqhv k h) non ripresa. Egli denito semplicemente e in
28. Alcune di queste differenze sono segnalate anche da P. Stuhlmacher, Biblische Theologie
des Neuen Testaments, II, 21 e Windisch, Zur Christologie der Pastoralbriefe, 217-218.
La ripresa di Mc 10,45 in 1Tm 2,6 supposta anche da Oberlinner, Die Epiphaneia des
Heilswillen Gottes in Christus Jesus, 205, nota 58; e, in modo pi esplicito, in Idem, Erster
Timotheusbrief, 75-76.
29. Il riferimento a Gal 1,4 e 2,20 registrato da Mounce, Pastoral Epistles, 89; quello
a 2Cor 5,14-15 e al benecio universale della morte di Cristo indicato da Stuhlmacher,
Biblische Theologie des Neuen Testaments, II, 21.
30. Il fatto rilevato anche da Mounce, Pastoral Epistles, 88 e Oberlinner, Erster Timotheusbrief, 74, insieme a Johnson, The First Letter to Timothy, 191. Ma non spiegato.
234
N. CASALINI
The Pastoral Epistles, 430, per i quali lidea di diaqhvkh sarebbe necessariamente implicita
in quella di mesivth", cosa che invece negata, non senza ragione, da J. Roloff, Der erste
Brief an Timotheus (EKK 15), Zrich / Neukirchen-Vluyn 1988, 122.
235
tura greca: cf. A. Oepke mesivth", ktl., ThWNT IV, 602-629: 603-605. A questa sembra
riferirsi lautore in 1Tm 2,6 eliminando deliberatamente ogni riferimento alla funzione sacerdotale del mediatore e non qualicando come diaqhvkh latto della mediazione, bench
ci fosse nella pi antica tradizione della fede, che interpretava la sua morte come sacricio
inaugurale di unalleanza nuova (cf. 1Cor 11,25b: tou'to to; pothvrion hJ kainh; diaqhvkh
ejsti;n ejn tw/' ejmw/' ai{mati) e Mc 14,24b: tou'tov ejstin to; ai|mav mou th'" diaqhvkh", con LXX
Es 24,8 dove si leggono le parole ijdou; to; ai|ma th'" diaqhvkh" h|" ejvneteivlato pro;" uJma'"
oJ Qeov", citate anche in Eb 9,20 in contesto analogo.
33. Cos anche Johnson, The First Letter to Timothy, 191-192 e questo pare essere il senso
generico di Gal 3,20, ritenuto uno dei passi pi enigmatici di Paolo: R.N. Longenecker,
236
N. CASALINI
237
la spiega in funzione dellidea di rivelazione: Die Bestimmung des Christus Jesus als
a[nqrwpo" hat zuerst einmal einen offenbarungs-geschichtlich-theologischen Sinn, ci che
per noi non evidente, perch la logica del discorso soteriologisch aufgerichtet.
37. Cos Windisch, Zur Christologie der Pastoralbriefe, 218.
38. Windisch, Zur Christologie der Pastoralbriefe, 216-217.
238
N. CASALINI
i secoli dei secoli; ripetuta in forma pi solenne in 1Tm 6,15 in cui della
manifestazione (ejpifavneia) di Ges Cristo nostro Signore, afferma che
manifester (deivxei) ai tempi propri il beato e solo dominatore (oJ makavrio"
kai; movno" dunavsth"), il re dei regnanti e signore dei dominanti, il solo
che ha immortalit (oJ movno" e[cwn ajqanasivan), abitante una luce non accessibile, che nessun uomo vide n pu vedere. A lui onore e forza eterna.
Amen39. Se si segue la logica teologica, implicita in queste affermazioni
rigorose sulla unicit di Dio, evidente che in un monoteismo cos assoluto
non sembra possibile una affermazione sulla divinit di Cristo Ges, il cui
essere e la cui attivit egli sembra subordinare in modo chiaro e perfetto
alla volont salvica di Dio, quale appare non solo da 1Tm 2,4.5-6, ma
anche da 1Tm 3,16b dove tutti gli eventi del suo mistero sono rievocati
con aoristo passivo, e sembrano rinviare indirettamente allazione di Dio
(ejfanerwvqh, ejdikaiwvqh, w[fqh, ejkhruvcqh, ejpisteuvqh/, ajnelhvmfqh). A lui,
infatti, attribuita la stessa ejpifavneia di Ges Cristo alla ne, come afferma in 1Tm 6,1540.
Ma difcile dare uninterpretazione univoca di questo dato di fatto,
che tuttavia incontestabile: lassolutezza, unicit e signoria di Dio affermata in modo rigoroso. Ed lui solo che in 1Tm 4,10c detto con formula
teologica nuovissima salvatore di tutti gli uomini, soprattutto dei credenti
(o{" ejstin swth;r pavntwn ajnqrwvpwn mavlista pistw'n). Lui chiamato
il Dio vivente, in cui hanno sperato (1Tm 4,10b) e sua detta la Chiesa,
denita sua casa in 1Tm 3,1541. Quanto al Cristo, Ges, dato il titolo
tradizionale di Signore nostro (tou' kurivou hJmw'n) (1Tm 1,2.12; 6,3.4), di
unico mediatore (ei|"... mesivth") (1Tm 2,5b), uomo (a[nqrwpo"). Altri,
non ne riceve, neppure quello di swthvr, riservato solo a Dio in 1Tm 2,3
e 1Tm 4,10.
Si potrebbe, quindi, concludere con Hans Windisch che la cristologia di
1Tm molto arcaica, e per nulla innovativa42. E tuttavia la grande novit
proprio nella formula di 1Tm 2,5b qui esaminata: ei|" ga;r qeov", ei|" kai;
39. Su queste dossologie che esaltano lunicit di Dio in 1Tm 1,17 e 1Tm 6,15-16, poste
strategicamente allinizio e alla ne del discorso, quasi per affermare il suo governo su tutto
il piano salvico, cf. G.A. Couser, God and Christian Existence in the Pastoral Epistles:
Toward Theological Method and Meaning, NT 42 (2000) 262-286: 275-283.
40. Cos anche Oberlinner, Erster Timotheusbrief, 163-164, che riprende W. Metzger, Der
Christushymnus I. Timotheus 3,16. Fragment einer Homologie der paulinischen Gemeinden
(AzTh 62), Stuttgart 1979, 73.
41. Cf. J.L. Sumney, God Our Saviour: the Fundamental Operational Theological Assertion of 1 Timothy, HBT 21 (1999) 105-123.
42. Zur Christologie der Pastoralbriefe, 227-230.
239
stologie der Pastoralbriefe (Hamburger Theologische Studien 12), Mnster 1996, 38-43,
suggerisce correttamente lipotesi che le affermazioni conuite in quello schema binario
paolino sono state tratte da idee gi note e comuni, come anche la nostra analisi ha potuto
mostrare.
240
N. CASALINI
di N. Brox, Die Pastoralbriefe (ENT), Regensburg 19694, 19895, 126; e H. Merkel, Die
Pastoralbriefe (NTD 9,1), Gttingen 1991, 25 (eine vllig ungnostische, wahrscheinlich
antignostische Denkweise); ma era gi stata segnalata da Michel, Grundfragen der Pastoralbriefe, 86. Quella antigiudaica, non attestata. Ma unevidenza che si impone dalla
polemica contro i nomodidavskaloi in 1Tm 1,7.
46. Sulla teologia dei due Dio, quello creatore maleco e quello buono che si era automanifestato in Cristo Ges, informazioni precise sono date da B. Aland, Marcion (ca.
241
Tenendo conto di questo, mi sembra che non sia possibile trovare presso
questo autore sintesi cristologiche nuove, perch il suo intento era di riaffermare, attualizzando, ci che era gi creduto di Dio e di Ges Cristo nel
deposito a lui afdato, evitando di dire di costui tutto ci che in qualche
modo potesse mettere in pericolo lunicit di Dio negata dalluomo eretico. Forse, per questo, non solo evita la designazione qevo", che gli aveva
attribuito Paolo in Rm 9,5 (oJ w]n ejpi; pavntwn qeo;" eujloghto;" eij" tou;"
aijw'na", ajmhvn); ma non lo designa mai cone Figlio di Dio (uiJo;" qeouv),
cosa che abituale in Paolo (cf. Rm 1,3.4.9; 5,10; 8,3.32; 1Cor 1,9; 15,28;
2Cor 1,19; Gal 1,16; 2,20; 4,4.6; 1Ts 1,10) e nella tradizione evangelica
(cf. Mc 1,11; 9,7; 15,39 e parall.; ma anche Gv 1,18.34.49; 3,18; 10,36;
11,4.27; 19,7; 20,31) e, soprattutto, non lo chiama mai swthvr, riservando
solo a Dio questo titolo (cf. 1Tm 2,3), chiamato in modo univoco swth;r
pavntwn ajnqrwvpwn mavlista pistw'n (1Tm 4,10).
Quindi, larduo problema della divinit di Cristo Ges da lui accuratamente evitato con laffermazione a[nqrwpo" Cristo;" Ihsou'", che
a qualcuno parsa una contro-affermazione, che poi il teologo che ha
scritto Tt 2,13 ha retticato, o integrato, affermando che noi aspettiamo la
manifestazione della gloria del nostro grande Dio e salvatore Ges Cristo
(prosdecovmenoi th;n makarivan ejlpivda kai; ejpifavneian th'" dovxh" tou'
megavlou qeou' kai; swth'ro" hJmw'n Ihsou' Cristou')47. Ma non sembra
che fosse da lui ignorato. Se cosa certa che abbia desunto da 1Cor 8,6 lo
schema della professione di fede bipolare che si legge in 1Tm 2,5-6 molto
probabile che conoscesse anche Rm 9,5 dove, come ho gi detto, il Cristo
denito oJ w]n ejpi; pavntwn qeo;"; e soprattutto Gv 20,28 dove Tommaso
lo chiama oJ kuvriov" mou kai; oJ qeov" mou, se evidente che in 1Tm 6,13 si
riferisce alla testimonianza di Cristo Ges davanti a Ponzio Pilato, nota
solo da Gv 18,36-37. Di questa, desidero ora trattare brevemente, perch
questo un altro degli elementi che lui ha desunto dalla tradizione, ma che
ha trasformato per dare un senso nuovo alla stessa morte di Cristo Ges,
secondo il sentire del suo tempo, molto simile a ci che si legge nelle lettere dette di Ignazio, ma che ha ampio sviluppo in 2Tm.
242
N. CASALINI
243
qui implicito, cf. H. von Lips, Glaube-Gemeinde-Amt (FRLANT 122), Gttingen 1979,
41-44.
51. Lipotesi prima di E. Ksemann, Das Formular einer neutestamentlichen Ordinationsparnese, in W. Eltester (ed.), Neutestamentliche Studien fr Rudolf Bultmann (BZNW
21), Berlin 1954, 261-268, rist. in Idem, Exegetische Versuche und Besinnungen, I, Gttingen 1969, 101-108; la seconda di Brox, Die Pastoralbriefe, 212.
244
N. CASALINI
lessico della consegna iniziale (cf. 1Tm 1,18: tauvthn th;n paraggelivan
parativqemaiv soi e 1Tm 6,13a: paraggevllw soi) e quindi potrebbe essere considerato una perorazione nale, che chiude il corpus normativo
della lettera (1Tm 1,186,16)52.
Quindi lipotesi che 1Tm 6,11-16 sia uninserzione estranea al contesto,
derivata da un ordo per linsediamento alla presidenza della chiesa, non
sostenibile. Su questa conclusione concordano anche altri esegeti, ma
per motivi diversi: per lo stile argomentativo, per il lessico e per la logica
del discorso. Quanto allo stile argomentativo, L. Oberlinner ha cercato di
mostrare che lo stilema su; dev, con cui egli connota il comportamento di
Timoteo come diverso da quello degli avversari, troverebbe corrispondenza
in 1Tm 1,3-7.9-11 con 1Tm 1,18-19a e in 1Tm 4,1-5 con 1Tm 4,6-16 dove
alla denuncia degli oppositori segue unesortazione rivolta a lui, afnch
si ponga a modello dei credenti53. A noi, ci non parso evidente. Ma ci
sembra convincente il fatto che il su; dev sia da ritenere una effettiva antitesi
logica a ci che precede in 1Tm 6,9-10 in cui denuncia coloro che, servendosi della religione per arricchire, sono stati trascinati alla rovina dalla
stoltezza e dalla rovinosit delle loro passioni, come conferma linserzione
di tau'ta feu'ge in 1Tm 6,11a in cui fuori dubbio che il tau'ta si riferisca
a ci che precede, cosa che indirettamente riconosce anche E. Ksemann
(Das Formular, 108), attribuendo solo tale frase allautore per la sua innegabile forza di connessione con la pericope antecedente.
Quanto al lessico di 1Tm 6,11-12 non ci sono dubbi che sia quello usato
altrove dallo stesso autore: eujsevbeia/ ricorre anche 1Tm 2,2; 3,16; 4,7.8;
6,3.5.6 (ma anche in 2Tm 3,5 e Tt 1,1); pivsti" con ajgavph in 1Tm 1,5.14;
2.15; 4.12 (ma anche in 2Tm 1,13; 2,22; 3,10 con uJpomonhv, come in Tt
2,2); zwh; aijwvnio" in 1Tm 1,16; 4,8 (ma anche in 2Tm 1.10 e Tt 1,2; 3,7);
ajgwnivzou riprende il kopiw'men kai; ajgwnizovmeqa di 1Tm 4,10 ed forse
uneco di to;n kalo;n ajgw'na hjgwvnismai in 2Tm 4,7; la frase imperativa
ejpilabou' th'" aijwnivou zwh'" di 1Tm 6,12b trova un corrispondente nella
nale i{na ejpilavbwntai th'" o[ntw" zwh'" di 1Tm 6,19b. Ma anche i due
imperativi feu'ge e divwke di 1Tm 6,11ab si trovano in 2Tm 2,22 nella stessa sequenza e in immediata successione con dikaiosuvnhn, pivstin, ajgavphn,
come nel nostro testo54.
52. Elementi lessicali paralleli tra linizio e la ne sono stati rilevati da K. Lger, Die Chri-
245
Questo dato di fatto attesta con evidenza che il lessico adoperato in 1Tm
6,11-12 proprio dellautore del testo e che la fraseologia da lui adoperata
trova corrispondenza non solo nel suo discorso, ma anche nelle altre due
lettere, afni ad esso. Ci, evidentemente, non ci permette neppure di fare
la concessione minima fatta da L. Oberlinner allesegesi precedente: Dass
unser Autor formelhafte Wendungen aufgegriffen und verarbeitet hat, ist
nicht zu bezweifeln; Umfang und Charakter der vorgegebenen Traditionen
sind jedoch unsicher55. In realt neppure questo evidente, perch altra
la conclusione che a noi si impone dal rilievo lessicale. Chi ha scritto non
ha desunto da precedente tradizione, perch ci che scrive trova corrispondenza effettiva solo nella tradizione teologica a cui egli stesso appartiene,
che la scuola delle Pastorali, da classicare come uno sviluppo della
cosiddetta Paulusschule, qualora si accetti la designazione per loro di Tritopaoline proposta da Peter Trummer56. In ogni caso, fuori dubbio, perch
evidente, che la frase che si legge in 1Tm 6,12 usa linguaggio gi noto e
quasi tecnico della tradizione, perch dice: Combatti la buona battaglia
della fede. Consegui la vita eterna, a cui fosti chiamato, e hai professato la
bella professione davanti a molti testimoni.
Quanto a ajgwnivzou to;n kalo;n ajgw'na th'" pivstew" ha un parallello in
2Tm 4,7 dove dice to;n kalo;n ajgw'na ajgwvnismai e si pu ritenere formula
di questa scuola teologica, perch lautore dice la stessa cosa con metafora
militare in 1Tm 1,18 dove gli ricorda le profezie che lo hanno indicato per
la funzione che assolve: i{na strateuvh/ ejn aujtai'" th;n kalh;n strateivan.
Quanto alla frase ejpilabou' th'" aijwnivou zwh'" ha un parallello nello
stesso testo, dove esorta ad invitare i ricchi ad arricchire di buone opere,
i{na ejpilavbwntai th'" o[ntw" zwh'" (1Tm 6,19b). Dunque, formula teologica propria di questo autore, come lidea che esprime: egli pone la vita
eterna come ne della fede. Ci si desume da 1Tm 1,16 in cui lascia che
Paolo dica di lui, primo dei peccatori salvati da Cristo Ges, che il tipo
tw'n mellovntwn pisteuvein ejp aujtw/' eij" zwh;n aijwvnion.
Ugualmente sua la formula eij" h}n ejklhvqh", ma non lidea della chiamata che ad essa lo destina per la salvezza, che tipica di questa scuola
teologica, come attesta 2Tm 1,9 dove di Dio si legge tou' swvsanto" hJma'"
55. Erster Timotheusbrief, 286.
56. Sulla Paulusschule cf. S. Vollenweider, Paulus, RGG4 6 (2003) 1035-1065: 1054-
1058 (bibl.); e per la designazione Trito-paoline: Trummer, Die Paulustradition der Pastoralbriefe, 105.228, accettata da W. Schenk, Die Briefe an Timotheus I und II und Titus
(Pastoralbriefe) in der neuen Forschung (1945-1985), ANRW II 25.4 (1987) 3404-3438:
3405, seguito da Oberlinner, Erster Timotheusbrief, XLV.
246
N. CASALINI
kai; kalevsanto" klhvsei aJgiva/; e soprattutto in 1Ts 2,12 dove lo stesso Paolo dice di lui tou' kalou'nto" uJma'" eij" th;n eJautou' basileivan kai; dovxan.
Tuttavia, era idea comune, come risulta da At 13,46 dove appare evidente
che lannuncio ha questo scopo: invitare alla vita eterna. Rimproverando,
Paolo dice ai Giudei di Antiochia di Pisidia: Poich lo riutate e ritenete
voi stessi non degni della vita eterna (kai; oujk ajxivou" krivnete eJautou;" th'"
aijwnivou zwh'"), ci rivolgiamo ai popoli.
Quanto alla frase in cui afferma kai; wJmolovghsa" th;n kalh;n oJmologivan
ejnwvpion pollw'n martuvrwn, ugualmente senza paragone. Ma il lessico
quello comune della professione di fede, come attesta Eb 3,1: ajpovstolon
kai; ajrciereva th'" oJmologiva" hJmw'n Ihsou'n ; Eb 4,14: kratw'men th'"
oJmologiva"; Eb 10,23: katevcwmen th;n oJmologivan th'" ejlpivdo" ajklinh'57.
Se poi questa professione (oJmologiva) sia quella del battesimo, o dellordinazione, difcile da stabilire58. Ma poich la lotta della fede che deve
condurre, secondo 1Tm 6,12 quella stessa per cui deve combattere con le
profezie che lo hanno designato alla funzione di guida della chiesa che ora
assolve (1Tm 1,18), ragionevole supporre che si possa riferire a quella
della sua investitura, fatta con imposizione delle mani del presbiterio (1Tm
4,14). Davanti a tutti costoro, come testimoni, egli ha professato la sua
fede, come atto di impegno per la funzione di guida ecclesiale59. Se poi
tale professione sia contenuta indirettamente in 1Tm 6,13 dubbio, come
mostrer di seguito.
Ma, detto questo ed esclusa la possibilit oggettiva che 1Tm 6,11-12
derivi da tradizione diversa da quella a cui appartiene lo stesso testo, devo
rendere giustizia allipotesi di E. Ksemann (e, di conseguenza, anche a N.
Brox che da lui dipende): 1Tm 6,13-16 uneffettiva parenesi di ordinazione (o investitura) per lesercizio della funzione di guida della chiesa,
conferita a Timoteo con la stessa lettera, di cui tale pericope (1Tm 6,11-16)
rappresenta lesortazione conclusiva60. Infatti, ci che dice in 1Tm 6,13
riprende deliberatamente lesortazione iniziale che si legge in 1Tm 1,18 e
Marshall, The Pastoral Epistles, 661: rileva, con ragione, che di ci non ci sono testimonianze scritte e che the context of the wording here, taken on its own, favours baptism.
Ci ragionevole, perch la terminologia che indicava la professione di fede era identica
per ogni situazione, dove era necessario confermare o testimoniare la fede. Quindi non pu
essere addotto come motivo contrario alla nostra proposta di interpretazione.
60. Simile la proposta di lettura di Oberlinner, Erster Timotheusbrief, 293.
247
ralbriefe, 59, nonostante le riserve critiche di M.M. Mitchell, PTEB 703 and the Genre
of 1 Timothy: The Curious Career of a Ptolemaic Papyrus in Pauline Scholarship, NT 44
(2002) 344-370, che tuttavia conferma la classicazione.
63. Cf. Oberlinner, Erster Timotheusbrief, XXXII-XXXIII. Dato questo contesto, potrebbe
essere utile il confronto proposto da M.M. Mitchell, New Testament Envoys in the Context
of Greco-Roman Diplomatic and Epistolary Conventions: The Exemples of Timothy and
Titus, JBL 111 (1992) 641-662.
248
N. CASALINI
sloh 19732, 124-125, seguito da Roloff, Der erste Brief an Timotheus, 344. Ma criticato,
giustamente, da Oberlinner, Erster Timotheusbrief, 287, nota 10.
65. Cf. G. Holtz, Die Pastoralbriefe (ThHK 13), Berlin 19722, 62. Ma vedi H. Strathmann,
mavrtu", marturevw, marturiva, martuvrion, ThWNT IV, 477-520: 511-514, il quale, evidentemente, non ha compreso la novit rappresentata da 1Tm 2,6 (e 2Tm 1,8), che classica nella forma generica Zeugnis von etwas (p. 510). Lo stesso signicato supposto
da Spicq, Les ptres pastorales, 368, che interpreta 1Tm 2,6b come le tmoignage que
Dieu rend aux hommes de sa volont de les sauver, evidentemente con la morte di Cristo,
mediatore.
66. Il signicato oggettivo, quello preferito tra gli esegeti pi recenti: cf. per es. L. Oberlinner,
Die Pastoralbriefe. Zweite Folge. Kommentar zum zweiten Timotheusbrief (HThK XI/2),
Freiburg etc. 1995, 35; Mounce, Pastoral Epistles, 480; Marshall, The Pastoral Epistles, 703;
249
250
N. CASALINI
opinione quasi comune che questo testo derivi dalla tradizione. Controverso, invece, il problema se sia da ritenere tradizionale ci che afferma,
o tutto il complesso, la cui forma ritenuta poetica o innica, e come tale
stampato nelle edizioni critiche del Nuovo Testamento attualmente pi diffuse: Nestle-Aland, 27a ed. e The Greek New Testament, 4a ed.68. Il problema
letterario sorto dal fatto che il testo, in se stesso, costituisca uneffettiva unit
che si distingue dal contesto in cui inserita per la sua evidente simmetria sintattica, che conferisce ad esso unit stilistica, ma che gli esegeti, equivocando,
hanno creduto di ritenere poetica. In realt solo un effetto discorsivo della
ripetizione della stessa forma. Esso, infatti, costituito da cinque frasi, di cui
le quattro prime sono composte da quattro periodi ipotetici della possibilit.
Quindi ogni linea formata da una proposizione condizionale (o protasi),
introdotta dalla congiunzione eij, seguita dalla conseguenza (o apodosi). Ma
i verbi delluna e dellaltra sono variabili, perch dipendono dalla logica del
discorso, da cui le diverse proposizioni acquistano il loro signicato.
evidente che la costruzione sintattica uniforme delle prime quattro
frasi non sarebbe sufciente per trasformare un periodo sintattico, da loro
composto, in un inno o parte di un inno, perch, come tutti sanno, ci
dipende solo dalla conformazione del metro assunto e dal ritmo che ne
leffetto, secondo le leggi proprie dellarte poetica del greco. Ma di questo
non possibile dare dimostrazione, perch le quattro frasi non corrispondono ad alcuna delle forme metriche del greco a noi conosciute.
Cito il testo in greco, come disposto nelle edizioni critiche che ho
indicato, le quali disponendolo in tale modo, vorrebbero far credere che
sia un inno, ma che in realt, solo un periodo sintattico di quattro frasi
condizionali, costruite allo stesso modo.
pisto;" oJ lovgo":
eij ga;r sunapeqavnomen, kai; suzhvsomen:
eij uJpomevnomen, kai; sumbasileuvsomen:
eij ajrnhsovmeqa, kajkei'no" ajrnhvsetai hJma'"
eij ajpistou'men, ejkei'no" pisto;" mevnei
ajrnhvsasqai ga;r eJauto;n ouj duvnatai69.
68. Lo status quaestionis pi aggiornato, in Weiser, Der zweite Brief an Timotheus, 149-
150.153-156; antecedente, in G. Lohnk, Die Vermittlung des Paulinismus zu den Pastoralbriefen, BZ 32 (1988) 169-188: 177-180.
69. Chi interessato, pu trovare la stessa struttura in italiano con una discussione critica,
naturalmente favorevole ed entusiasta, in Marcheselli-Casale, Le Lettere Pastorali, 709-712,
il quale recepisce con favore lo studio di I-Jin Loh, A Study of an Early Christian Hymn
(2Tm 2,11-13), New Jersey 1968 e quello di Knight, The Faithful Sayings, 112-137.
251
109-129 (Metrik).
71. Der Neue Pauly 8, 115: a) per i metri: + < giambo; < + trocheo; < + + dattilo; < < spondeo; ++ < anapesto; + < < baccheo; < + < cretico; ++ < < ionico; < ++ < coriambo; b) per i versi:
< + + < + + < + + < + + < + + < < esametro dattilico; < + + < + + < / < + + < + + < pentametro; x < + < x < + < x < + <
252
N. CASALINI
verica per concludere che 2Tm 2,11-13 non una composizione innica
o poetica, perch la sua tonalit ritmica non corrisponde ad alcun metro
della poesia greca, ma dipende solo dalla logica sintattica e discorsiva,
la stessa che ha spinto lautore a completare aggiungendo in 2Tm 2,13b
una quinta frase indipendente per spiegare (gavr) il senso misterioso della sua ardua affermazione in 2Tm 2,13a: Se siamo infedeli, quello resta
fedele. Infatti, non pu rinnegare se stesso (ajrnhvsasqai ga;r eJauto;n ouj
duvnatai). Nonostante questa evidenza, di cui non risulta che fosse mai
stata fatta una verica, la maggioranza degli esegeti si compiace di ripetere
con convinzione che 2Tm 2,11b-13a ha una forma innica, o poetica e
che tutta lunit, o una sua parte, derivi dalla tradizione liturgica, o battesimale, antecedente allautore72.
Tuttavia il dato di fatto da noi rilevato attesta che lunit costituita a
2Tm 2,11b-13a un normale periodo sintattico, composto in modo uniforme da quattro frasi ipotetiche, con protasi e apodosi, con condizione e
conseguenza possibile. Ma sono diverse tra loro per contenuto e per i tempi
del verbo, che rimandano alludendo a un evento diverso. Quindi diverso
anche lo schema logico e argomentativo.
Solo nellapodosi delle prime tre frasi, il verbo al futuro (suzhvsomen,
sumbasileuvsomen, ajrnhvsetai). Nella quarta al presente (pisto;" mevnei).
Nella protasi delle quattro frasi, che indicano la condizione, il verbo
variabile. Nella prima si trova in aoristo (eij ga;r sunapeqavnomen), che
potrebbe equivalere a un reale passato per il supposto riferimento a Rm 6,8
(eij de; ajpeqavnomen su;n Cristw/') e alla morte gi avvenuta nel battesimo.
Ma potrebbe essere unaffermazione di principio sempre valida (aoristo
gnomologico: F. Blass - A. Debrunner - F. Rehkopf 272, n. 333)73.
Nella seconda, un presente (eij uJpomevnomen), potrebbe confermare la
correttezza dellinterpretazione gnomica dellaoristo della frase precedente,
trimetro giambico; c) per le strofe pi note (di quattro versi): safca < + < < < + + < + < < (safco endecasillabo, ripetuto per tre versi), < + / + < < (adoneo, nale); alcaica x < + < < < + + < +
(endecasillabo alcaico, ripetuto per due versi), x< + < < < + < < (enneasillabo alcaico),
< + + < + + < + < < (decasillabo alcaico).
72. Lorigine battesimale, o liturgica, preferita da G. Holtz, Die Pastoralbriefe, 167:
Wahrscheinlich werden wir auf die Theologie der Sakramente Taufe una Abendmahl zurckverweisen.
73. I commentatori sono per lo pi favorevoli al primo signicato, quello sacramentale:
Knight, The Pastoral Epistles, 403; Mounce, Pastoral Epistles, 515-516; Marshall, The
Pastoral Epistles, 739; Weiser, Der Zweite Brief an Timotheus, 172, che tuttavia si distingue
perch vede in esso implicito anche un riferimento alla morte attuale per martirio, che
di fatto implicito in tutto il contesto.
253
storal Epistles, 501-502; Marshall, The Pastoral Epistles, 733 e Weiser, Der Zweite Brief
an Timotheus, 149.
75. M. Dibelius - H. Conzelmann, Die Pastoralbriefe (HNT 13), Tbingen 19664, 81; Brox,
Die Pastoralbriefe, 244; Holtz, Die Pastoralbriefe, 167.
76. Lohnk, Die Vermittlung, 178.
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N. CASALINI
del suo contenuto, ma inadeguato per la denizione della sua forma come
inno (Bekennerlied). Se ci che dice ha lo scopo di esortare, molto pi
semplice dire che unesortazione, o parenesi, composta dallo stesso autore, che ha dato ad essa una rigorosa forma sintattica, parallela e iterativa,
per esprimere ed imprimere meglio la sua idea77.
Il testo, infatti, integrato perfettamente nella pericope che inizia in 2Tm
2,8 e ne costituisce la naturale conclusione logica e che, secondo lesegesi corrente, unesortazione a perseverare, testimoniando no alla morte,
cosa che anche G. Lohnk riconosce, dicendo: Das Mitsterben meint den
gewaltsamen Tod der Mrtyrer, das Mitherrschen das besondere Vorrecht
der Mrtyrer zwischen ihrem Tod und der allgemeinen Totenerweckung78.
Il legame sintattico assicurato con il gavr in 2Tm 2,11b: eij gavr e con
ci, secondo il senso pi corrente di questa particella congiuntiva, lautore
indica il motivo che giustica laffermazione che precede in 2Tm 2,10
dove afferma: Per questo sopporto tutto (pavnta uJpomevnw) per gli eletti,
afnch anche loro (kai; aujtoiv) ottengano la salvezza, che [] in Cristo
Ges, con la gloria eterna79. Quindi, secondo, la logica del discorso, il
pavnta uJpomevnw dellapostolo, il suo sopportare tutto soffrendo nel vangelo (ejn w/| kakopaqw'), no alle catene come un delinquente (mevcri desmw'n
wJ" kakou'rgo"), ha come ne di inculcare la perseveranza negli eletti, afnch anche loro (kai; aujtoiv) si salvino in Cristo, insieme con lui.
Questo, infatti, signica la proposizione nale di 2Tm 2,10b dove afferma afnch anche loro (i{na kai; aujtoi;) conseguano la salvezza, in Cristo
Ges, con la vita eterna. Per questo aggiunge: Fidata [] la parola. Se,
infatti, siamo morti insieme, anche insieme vivremo. Se sopportiamo (eij
uJpomevnomen), anche insieme regneremo.
Se si segue con attenzione la logica di questo discorso, appare evidente
la novit del testo. I verbi composti con sun< sembrano riferirsi con rigore
77. opinione che prevale negli studiosi pi recenti: Lger, Die Christologie der Pastoral-
briefe, 76: Die Mglichkeit, dass diese Verse auf eine Komposition des Verfassers zurckgehen darf nicht von vornherein ausgeschlossen werden; H. Stettler, Die Christologie der
Pastoralbriefe (WUNT II.105), Tbingen 1998, 182-183: Es darf als sehr wahrscheinlich
gelten, che lautore abbia composto un tale testo, che designa ancora come Lehrgedicht,
prendendo da Paolo, Matteo e Luca. Ma gi U. Borse, 1. und 2. Timotheusbrief, Titusbrief
(SKK.NT 13), Stuttgart 1985, 87 scriveva: Vielleicht stammen die Verse aber doch vom
[Verfasser der Past] selbst.
78. Die Vermittlung, 178.
79. Inaccettabile, quindi, ci pare lipotesi che il gavr indichi nicht das Nachfolgende, sondern das Vorausgehende als Grund, proposta da K.-H. Pridik, EWNT I (1980) 573, seguito
da Weiser, Der zweite Brief an Timotheus, 149, nota 134.
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N. CASALINI
ha promesso a noi di risuscitare noi dai morti, e che se ci comporteremo in modo degno di lui, anche regneremo insieme con lui, se almeno
crediamo.
Lunico elemento comune evidente la frase kai; sumbasileuvsomen
aujtw/', anche con lui regneremo, corrispondente a kai; sumbasileuvsomen
di 2Tm 2,12a. Ci, evidentemente, troppo poco per trarre una conclusione lologica di grave conseguenza storica: Poich Ai Filippesi 5,2 di
Polycarpo simile a 2Tm 2,11b-13a ne consegue che luno e laltro dipenderebbero da tradizione autonoma, che luno e laltro citano in forma
diversa nel loro discorso.
In realt ci non corretto. Anzi, luso della formula ejn tw/' nu'n aijw'ni
per indicare il mondo presente permetterebbe unipotesi differente. Poich
tale formula tipica dello stile delle Pastorali (cf. 2Tm 4,10: Dhma'" gavr
me ejgkatevlipen ajgaphvsa" to;n nu'n aijw'na; 1Tm 6,17a: Toi'" plousivoi"
ejn tw/' nu'n aijw'ni; Tt 2,12: kai; eujsebw'" zhvswmen ejn tw/' nu'n aijw'ni), si
potrebbe supporre con ragionevolezza che lautore del testo di Policarpo
ai Filippesi dipenda da queste lettere paoline, come attesta la citazione
effettiva, anche se indiretta, di 1Tm 6,7.10 in Polycarpo, Ai Filippesi 4,1
(unica in tutti i Padri Apostolici!) e il fatto che 2Tm 4,10 trova una eco precisa in Polycarpo, Ai Filippesi 9,2 dove si legge ouj ga;r to;n nu'n ajgavphsan
aijw'na.
Se a ci si aggiunge che 1Tm 6,7.10 (oujde;n ga;r eijshnevgkamen eij"
to;n kovsmon, o{ti oujde; ejxenegkei'n ti dunavmeqa... rJivza ga;r pavntwn tw'n
kakw'n ejstin hJ filarguriva) citato quasi alla lettera, ma in ordine inverso e fuori contesto in Polycarpo, Ai Filippesi 4,1 (ajrch; de; pavntwn
calepw' n filarguriv a eij d ov t e" ou\ n , o{ t i ouj d e; eij s hnev g kamen eij " to; n
kovsmon, ajlloujde; ejxenegkei'n ti e[comen) lipotesi di una dipendenza di
Polycarpo, Ai Filippesi 5,2 da 2Tm 2,11b-13a diventa pi probabile, che
non quella della loro supposta dipendenza da tradizione comune, per nulla
dimostrabile83.
Se si segue la connessione logica e sintattica di dia; tou'to in 2Tm 2,10a
con ci che precede in 2Tm 2,8-9, bisogna concludere che 2Tm 2,8-13 formano una sola sequenza discorsiva, strettamente unitaria. Dice: Ricorda
Ges Cristo risorto dai morti, dalla stirpe di Davide, secondo il vangelo. In
questo (ejn w/|/) soffro il male no alle catene (mevcri desmw'n). Ma la parola
83. Per il testo di Polycarpo, Ai Filippesi, cf. F.X. Funk (ed.), Patres Apostolici, Tbingen
1901, 296-313; con trad. fr. in Ignace dAntioche, Polycarpe de Smyrne, Lettres (SC 10 bis),
ed. Th. Camelot, Paris 1951, 202-223; con trad. ted. in A. Lindemann - H. Paulsen (ed.),
Die Apostolische Vter, Tbingen 1992, 242-253; per i testi paralleli con le lettere pastorali,
Spicq, Les ptres pastorales, 163-164.
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di Dio non legata (ouj devdetai). Per questo (dia; tou'to) tutto sopporto
(pavnta uJpomevnw) per gli eletti, afnch ottengano la salvezza in Cristo
Ges, con la gloria eterna. Fidata [] la parola. Se infatti (eij ga;r) siamo
morti insieme, anche insieme vivremo. Se sopportiamo (eij uJpomevnomen),
anche insieme regneremo. Se rinnegheremo, anche quello ci rinnegher. Se
saremo infedeli, quello resta fedele. Se stesso, infatti, non pu rinnegare.
Data levidente connessione sintattica, non possibile ritenere 2Tm
2,11b-13 una aggiunta, perch la sua naturale conclusione discorsiva, che
riafferma il principio della doppia retribuzione in forma di proposizioni
condizionali, per fare comprendere che solo condividendo la morte insieme
e sopportando, sar possibile vivere e regnare insieme in futuro, conseguendo la salvezza in Cristo Ges, con la gloria eterna, a cui sono stati destinati
in quanto eletti, che hanno accolto la sua parola84.
Ci confermato dalla logica discorsiva, che inizia in 2Tm 2,8 con un
ricordo esplicito del Vangelo, dicendo: Ricorda Ges Cristo risorto dai
morti (ejghgermevnon ejk nekrw'n), dalla stirpe di Davide, secondo il mio
vangelo (kata; to; eujaggevliovn mou) che riprende in sintesi 1Cor 15,4 (o{ti
Cristo;"... ejghvgertai) e 1Cor 15,20 (Cristo;" ejghvgertai ejk nekrw'n), in
cui la prima frase costituisce il vangelo (1Cor 15,1), unita insieme a Rm
1,3 (ejk spevrmato" Daui;d), ma non per discutere della resurrezione, ma
per descrivere la propria condizione, come quella di colui che soffre per
questo no alle catene come un delinquente (ejn w/| kakopaqw' mevcri desmw'n
wJ" kakou'rgo") (2Tm 2,9), per fare comprendere e spiegare che questa sua
sopportazione quella di un testimone (o martire, diremmo noi) della
fede, per confermare gli stessi eletti nella loro sopportazione della prova
per la stessa fede.
Ci detto con chiarezza in 2Tm 2,10: Per questo sopporto tutto (dia;
tou'to pavnta uJpomevnw) per gli eletti, afnch anche loro (i{na kai; aujtoi;)
conseguano la salvezza in Cristo Ges, con la gloria eterna.
Quindi hanno ragione quegli esegeti che considerano il testo che segue
in 2Tm 2,11-13 una professione di fede che giustica la dolorosa sopportazione della persecuzione per il vangelo e la verit della religione in cui
crede, e quindi unimplicita esortazione alla testimonianza no alla morte,
che noi diciamo martirio85.
84. Per lunit sintattica, e quindi logica, di 2Tm 2,8-13 cf. Weiser, Der zweite Brief an
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E in questo si annuncia la novit del testo. Egli non propone una nuova
catechesi battesimale, ma ricorda ci che di esso fu creduto, come associazione alla morte di Cristo, per esortare a restare fedele a lui no alla morte
reale, se ci fosse richiesto dalla testimonianza alla verit della fede88.
Ma qualche esegeta, per esempio lo stesso G. Lohnk, non esita a esprimere il suo disagio critico: luso di un aoristo (sunapeqavnomen), con valore
di passato, per esortare alla morte reale con Cristo per la testimonianza al
vangelo, non adeguato. Un futuro, come eij ajrnhsovmeqa di 2Tm 2,12b,
sarebbe stato pi adatto89.
E L.T. Johnson fa notare con franchezza che il riferimento implicito al
Cristo dei verbi sunapeqavnomen e suzhvsomen, non esclude la possibilit
che, in realt, esso implichi anche un riferimento diretto agli stessi eletti,
tra loro, secondo ci che dice Paolo in 2Cor 7,3: Voi siete nel nostro cuore
per morire insieme e vivere insieme (proeivrhka ga;r o{ti ejn tai'" kardivai"
hJmw'n ejste eij" to; sunapoqanei'n kai; suzh'n)90.
Queste voci esegetiche divergenti attestano che linterpretazione corrente del testo, secondo la catechesi battesimale a cui si riferisce indubbiamente lallusione a Rm 6,8 in 2Tm 2,11b non del tutto soddisfacente,
perch il discorso non riguarda il battesimo, ma la salvezza da conseguire
perseverando no alla morte per la verit che annuncia il vangelo, che
la vera novit della ripresa di tale tradizione. Il richiamo a quella associazione alla morte di Cristo, gi avvenuta in quel rito, effettuato in modo
indiretto per esortare a morire con lui, realmente, testimoniando no alla
morte per il vangelo91.
Ci confermato dalle frasi seguenti, la cui evidente funzione di confermare, argomentando, nella fortezza della fede, per perseverare sopportando la prova, senza cedere, e senza venire meno alla propria convinzione.
In 2Tm 2,12a dice eij uJpomevnomen, kai; sumbasileuvsomen, di cui non
stato possibile trovare un esatto parallelo nella tradizione. Ma nessuno
dubita che sia una sintesi della parenesi della fede.
In particolare, per eij uJpomevnomen, possibile un richiamo alla tradizione evangelica, quale si legge nel discorso sulla ne, in Mc 13,13b:
88. Questo il discorso di Spicq, Les ptres pastorales, 748 e, con diverso accento (posto
sul capo della comunit, Timoteo) anche di Oberlinner, Zweiter Timotheusbrief, 84.
89. Die Vermittlung, 179.
90. The Second Letter to Timothy, 376.
91. Questo era il senso dellinterpretazione di J.H. Bernard, The Pastoral Epistles, 1899,
rist. Grand Rapids MI 1980 (Thorneapple Commentaries), 121; Brox, Die Pastoralbriefe,
244; Schierse, Die Pastoralbriefe, 11; Hasler, Die Briefe an Timotheus und Titus, 65-66.
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retta nella tradizione, n verbale, n tipica. E ci potrebbe costituire unulteriore novit di questa sintesi. Egli prevede labbandono della stessa fede
in Cristo, cosa che non era affatto prevedibile nella tradizione evangelica,
anche se non ritenuta improbabile: il caso di Giuda era il pi evidente!
Ma a questo non c allusione e le parole da lui adoperate nelle due
frasi, sono ritenute una eco molto debole, ma reale, di ci che dice Paolo
in Rm 3,3: che, infatti, dunque? Se alcuni non credettero (eij hjpivsthsavn
tine"), forse che la loro incredulit abroga la fedelt di Dio (mh; hJ ajpistiva
aujtw'n th;n pivstin tou' qeou' katarghvsei)? Non sia.
Da questo dipenderebbe la frase dellautore, quando dice: ej k ei' n o"
pisto;" mevnei. Ma ci che segue in 2Tm 2,13b per giusticare tale osservazione suo, perch non troverebbe un parallelo in Paolo: Infatti dice
non pu rinnegare se stesso (ajrnhvsasqai ga;r eJauto;n ouj duvnatai)94.
Ma L. Oberlinner ha gi fatto rilevare che il contesto diverso e lapparente somiglianza argomentativa e lessicale copre un altro discorso. In
Paolo, il problema era linfedelt dei Giudei, che non avevano creduto.
Qui, il caso riferito a tutti coloro che credono, agli eletti (oiJ ejklektoiv) e
anche a se stesso, nellintenzione di colui che ha scritto in nome di Paolo,
che usa il noi per tutti i credenti95.
Quindi il discorso nuovo, perch universale e tratta della possibilit
reale che coloro che credono possano rinnegare Cristo (eij ajrnhsovmeqa),
a causa dellostilit legale dello Stato verso la loro religione, cosa effettivamente attestata per le persecuzioni del II sec. d.C., di cui restata
documentazione nella lettera di Plinio a Traiano (X,96,6: alii ab indice
nominati esse se christianos dixerunt, et mox negaverant; fuisse quidem,
sed desisse)96. Cosa che non era ancora denita al tempo di Paolo. Le sue
sofferenze vennero dai Giudei, non dai giudici romani, che furono benevoli,
come attesta il racconto di Atti.
Nuova, tuttavia, soprattutto la giusticazione della fedelt del Cristo, in quanto dice: Infatti, non pu rinnegare se stesso (ajrnhvsasqai ga;r
eJauto;n ouj duvnatai). Che sia lui il soggetto inteso, fuori dubbio per la
logica del discorso. A lui, infatti, fa riferimento il kajkei'no" di 2Tm 2,12b
e ejkei'no" di 2Tm 2,13a97.
94. Il riferimento a Rm 3,3 indicato da Lohnk, Die Vermittlung, 179 e Oberlinner,
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N. CASALINI
Quindi non opportuno dire che non chiaro se il testo parli della fedelt di Cristo o della fedelt di Dio, se evidente che lautore sta
trattando della salvezza th'" ejn Cristw/' Ihsou' (2Tm 2,10) e se esegeticamente accertato che i verbi composti (sunapeqavnomen, suzhvsomen,
sumbasileuvsomen) sono un riferimento implicito a lui, al cui destino gli
eletti sono stati associati per adesione di fede alla verit che annuncia il
vangelo98.
Pi difcile il senso di tale asserzione, che in ogni caso riguarda il
suo essere e non il suo agire. Con ci voglio dire che non possibile trasformare questa affermazione sulla sua fedelt nellessere in unasserzione
sulla permanenza della sua volont salvica, e trarre da questo la conclusione che, anche se noi abbandoneremo la fede, saremo salvati, perch lui
resta fedele.
Il testo non lo permette. Anzi lo smentisce in ci che precede, in cui ha
gi detto: Se rinnegheremo, anche quello rinnegher noi (eij ajrnhsovmeqa,
kajkei'no" ajrnhvsetai hJma'") (2Tm 2,12b). Per questo non accettabile
linterpretazione di L. Oberlinner, che scrive: Dem Versagen des Menschen
in seiner Glaubenstreue antwortet Gott bzw Christus nicht in derselben
Weise. Gott steht zu seiner Bundestreue auch dann, wenn der menschlische
Partner sich aus der Verpichtung lst 99.
In realt, altro il pensiero dellautore. La frase precedente attesta con
chiarezza che per chi lo rinnegher (e perseverer nel rinnegamento) non
ci sar speranza di salvezza. Sar da lui rinnegato! Tanto pi se abbandona
la fede, riutando la sua stessa religione.
Quindi laffermazione che egli resta fedele, perch non pu rinnegare
se stesso, non si pu interpretare come una possibilit di salvezza ancora
offerta alluomo che cessa di credere in lui, ma solo come unaffermazione
sulla perseveranza del Cristo nella sua volont di salvare, e nella sua opera
di salvatore, insita nel suo stesso essere100.
98. Lipotesi citata per debito esegetico da Oberlinner, Zweiter Timotheusbrief, 87, che cita
Merkel, Die Pastoralbriefe, 65, bench dal suo stesso commento cristologico a ci che precede, una tale ipotesi direttamente impossibile, anche se teologicamente non evitabile.
99. Zweiter Timotheusbrief, 87; con riferimento a M. Dibelius - H. Conzelmann, Die Pastoralbriefe (HNT 13), Tbingen 19553, 82 e Schierse, Die Pastoralbriefe, 115.
100. Cos si legge anche in Johnson, The Second Letter to Timothy, 177 e Mounce, Pastoral
Epistles, 518. Ma linsistenza di costui nel voler determinare che il Cristo resta pistov"
anche per colui che segue ajpistiva un non senso per la logica dellautore: se rinnega,
evidentemente, non salva, chi lo ha rinnegato e ha abbandonato la stessa religione per la
ajpistiva.
263
Ci sufciente ed ha ragione chi vede in questa affermazione teologica dellautore unesortazione implicita, ma potente, a chi tentato di
abbandonare la fede nel vangelo a causa dellostilit di coloro che lo avversano. La fedelt di Cristo a se stesso, serve da modello afnch il credente
si comporti allo stesso modo.
Quindi, qui linnovazione nale del suo messaggio. La fedelt dellapostolo, che persevera sopportando tutto il male che soffre per il vangelo, fondata sullafdabilit di Ges Cristo, che permane fedele a se
stesso, e al suo compito di salvatore, afnch chi tentato di rinnegarlo
e di abbandonare la fede nella parola di Dio, possa perseverare vedendo
in lui un modello di fedelt da seguire. Egli ha tracciato un sentiero da
percorrere101.
Se si segue questa interpretazione, diventa chiaro che la parola data (pisto;"... lovgo"), enunciata in modo argomentativo in 2Tm 2,11b-13
indica le tre fasi fondamentali della vita degli eletti: la morte gi avvenuta
nel battesimo (sunapeqavnomen) come condizione per la testimonianza no
alla morte reale per il vangelo, per vivere con lui in futuro (suzhvsomen),
possibilit questa dipendente dalla sopportazione attuale della persecuzione
a causa della propria religione (eij uJpomevnomen). Se questa sopportazione
no alla ne, dar accesso al suo regno in futuro (sumbasileuvsomen).
E tuttavia, descritta anche la possibilit di rinnegare (eij ajrnhsovmeqa)
e di abbandonare la fede (eij ajpistou'men). Ma, in questo caso, non c
speranza di salvezza, perch anche lui ci rinnegher (kajkei'no" ajrnhvsetai
hJma'"), e rimarr fedele a se stesso, nonostante la nostra infedelt102.
2Tm 1,9-10: ci ha salvato, secondo la sua grazia per la manifestazione
di Cristo Ges
Levento dellelezione, o chiamata, a cui lautore allude in 2Tm 2,10 denendo i credenti eletti (tou;" ejklektouv") e affermando che per essi lapostolo dice di sopportare tutto afnch conseguano la salvezza in Cristo
Ges, rievocato in modo solenne, come opera di Dio stesso, gi com101. Questa la tesi fondamentale espressa da Roloff nella sua sintesi cristologica Der
Weg Jesu als Lebensform, 155-167, indicata nella vita dello stesso apostolo: Wer fr
das Evangelium eintritt, muss bereit sein, wie Paulus, Widerstand und Leiden zu ertragen
(Roloff, Pastoralbriefe, 61).
102. Altri testi, con idee simili, nella tradizione, sono indicati da Weiser, Der zweite Brief
an Timotheus, 153.154.155.
264
N. CASALINI
piuta, in 2Tm 1,9-10 che per molti esegeti deriva dalla tradizione, ma di
cui ancora discussa leffettiva origine: se dalla prassi sacramentale, o se
opera dello stesso autore che riassume la dottrina tradizionale con parole
proprie103.
Ecco il testo in una traduzione letterale, iniziando da 2Tm 1,8 che di
fatto indica lincipit del periodo a cui i due versi appartengono e concludendo con 2Tm 1,11 che di fatto la proposizione conclusiva dello stesso.
Dice: Non vergognarti, dunque, della testimonianza del Signore nostro, n
di me suo prigioniero. Ma soffri insieme il male per il vangelo, secondo
la potenza di Dio (kata; duvnamin qeou'), che ci ha salvato (tou' swvsanto"
hJma'") e ci ha chiamato (kai; kalevsanto") con una chiamata santa (klhvsei
aJgiva/ ), non secondo le opere nostre, ma secondo il proprio proposito e
grazia (kata; ijdivan... cavrin), che fu data a noi (th;n doqei'san hJmi'n) in
Cristo Ges prima dei tempi eterni (pro; crovnwn aijwnivwn), ma resa manifesta (fanerwqei'san de;), ora (nu'n) per mezzo dellapparizione del nostro
salvatore Ges Cristo, che ha annullato la morte (katarghvsanto" me;n to;n
qavnaton) e ha fatto risplendere vita e immortalit (fwtivsanto" de; zwh;n
kai; ajfqarsivan) per mezzo del vangelo (dia; tou' eujaggelivou), per cui io
sono stato costituito annunciatore e inviato e maestro.
Questo il testo mirabile e il suo tono solenne, tendente al sublime, ha
tratto in inganno pi di un autore, che ha supposto come Vorlage un testo
innico. Ci, a sua volta, ha abbagliato lo stesso editore delledizione critica
Nestle-Aland che di fatto lo ha disposto in forma stroca per suggerire al
lettore che la sua struttura originaria era poetica. Ecco la disposizione del
testo greco, secondo la congurazione innica indicata nelledizione suddetta:
tou' swvsanto" hJma'"
kai; kalevsanto" klhvsei aJgiva/,
ouj kata; ta; e[rga hJmw'n
ajlla; kata; ijdivan provqesin kai; cavrin,
th;n doqei'san hJmi'n ejn Cristw/' Ihsou'
pro; crovnwn aijwnivwn,
fanerwqei'san de; nu'n
dia; th'" ejpifaneiva" tou' swth'ro" hJmw'n Cristou' Ihsou',
katarghvsanto" me;n to;n qavnaton
103. Una sintesi della discussione in Weiser, Der zweite Brief an Timotheus, 102-103; e
Oberlinner, Zweiter Timotheusbrief, 37. Sulla pericope, G. Sthlin, Der Heilige Ruf: 2
Timotheus 1,6-10, TBei 3 (1977) 97-106.
265
266
N. CASALINI
te, perch esclude esplicitamente che derivi aus einer literarischen Quelle, senza negare
levidente derivazione dalla tradizione: Sie geben zwar deutlich einer Traditionsbezug zu
erkennen, erweisen sich aber nicht als Zitat aus einer Vorlage (p. 105).
106. Levidente somiglianza espressiva e teologica con Rm 8,28 segnalata da Holtz, Die
Pastoralbriefe, 158; Mounce, Pastoral Epistles, 483; Marshall, The Pastoral Epistles, 706
e Weiser, Der zweite Brief an Timotheus, 119.
107. Anche questa possibile allusione a Paolo gi registrata da Holtz, Die Pastoralbriefe,
158 e da Mounce, Pastoral Epistles, 481; Marshall, The Pastoral Epistles, 706 e Weiser,
Der zweite Brief an Timotheus, 119.
267
uJmw'n; e in Fil 3,14 dice di s: Verso la mta corro per il premio, della
chiamata di Dio dallalto (th'" a[nw klhvsew" tou' qeou').
Ma la formula non ignorata dalla tradizione paolina raccolta in Ef 4,1
in cui dice: Esorto, dunque, voi a camminare (i.e. comportarvi) in modo
degno della chiamata con cui siete stati chiamati (ajxivw" peripath'sai th'"
klhvsew" h|" ejklhvqhte).
Da questa stessa lettera potrebbe derivare lantitesi tipicamente paolina
ouj kata; ta; e[rga hJmw'n ajlla; kata... cavrin che si legge con altra forma in
Ef 2,8a.9a: th/' ga;r cavritiv ejste sesw/smevnoi dia; pivstew"... oujk ejx e[rgwn,
per grazia siete stati salvati per fede non da opere, che riproporrebbe
come principio etico generale e in rapporto alla salvezza ci che Paolo diceva in Rm 3,28 sul rapporto tra fede e opere di legge per la giusticazione
della colpa: Riteniamo, infatti, che luomo giusticato per fede senza
opere di legge (dikaiou'sqai pivstei a[nqrwpon cwri;" e[rgwn novmou)108.
probabile, quindi, che il nostro autore dipenda da questa tradizione,
come attesta il fatto che le opere a cui si riferisce, non sono pi le e[rga
novmou, secondo la terminologia giudaica di Paolo, ma ta; e[rga hJmw'n, le
nostre opere, secondo la tradizione paolina, in cui evidentemente si riferiscono gi alla comune condotta umana109.
Quindi la vera novit teologica di questo autore non il riferimento di ta;
e[rga alle azioni della condotta umana in generale e non pi allosservanza
specica delle norme della legge giudaica, perch tale superamento era gi
avvenuto in Ef 2,8-9. Ma consiste nel fatto evidente che scomparso ogni
riferimento alla pivsti", che per Paolo era essenziale alla giusticazione
(Rm 3,25: dia; [th'"] pivstew"; Rm 3,28: pivstei), e per la tradizione paolina
al conseguimento della salvezza (Ef 2,8: dia; pivstew"). Ora questa appare
incondizionata, perch gi stata operata da Dio (tou' swvsanto" hJma'"),
secondo il suo progetto e grazia (kata; ijdivan provqesin kai; cavrin)110.
108. Il riferimento a Ef 2,9 rilevato da Holtz, Die Pastoralbriefe, 158, che in tou' swvsan-
to" hJma'"... kata;... cavrin, vede anche una ripresa di Ef 2,5: cavritiv ejste seswsmevnoi. Cf.
anche Trummer, Die Paulustradition der Pastoralbriefe, 181-185.
109. Cos, correttamente, Weiser, Der zweite Brief an Timotheus, 119 e Oberlinner, Zweiter
Timotheusbrief, 38, il quale rinvia a Ef 2,8-9 e, secondariamente a Rm 3,20.28 (Gal 2,16;
3,2.5.10), per notare il superamento di questo in quello. Ma cf. anche Marshall, The Pastoral Epistles, 705 che non lo ritiene una nuova concezione soteriologica. piuttosto una
generalizzaione (a widening) di ci che era implicito nella tradizione, tesi che aveva gi
proposto in I.H. Marshall, Salvation, Grace and Works in the Later Writings in the Pauline
Corpus, NTS 42 (1996) 339-358.
110. Questa la vera novit, negata da Marshall, The Pastoral Epistles, 39, ma percepita
da Oberlinner, Zweiter Timotheusbrief, 39, il quale nota con attenzione laltra, che era gi
nella tradizione.
268
N. CASALINI
Non avendo percepito le differenze, 2Tm 1,9-11 classicato nel repertorio dottrina della
giusticazione da U. Luz, Rechtfertigung bei den Pastoralbriefen, in J. Friedrich et al.
(ed.), Rechtfertigung. FS. E. Ksemann, Tbingen - Gttingen 1976, 365-383: 378-380.
Sulle supposte somiglianze e differenze da tale tesi della teologia di Paolo cf. G. Kretchmar,
Der paulinische Glaube in den Pastoralbriefen, in F. Hahn - H. Klein (ed.), Glaube im
Neuen Testament. Studien zu Ehren von Hermann Binder anllich seines 70. Geburtstages
(BThSt 7), Neukirchen - Vluyn 1982, 115-140: 124-133 e Trummer, Die Paulustradition
der Pastoralbriefe, 174-185.
112. Il riferimento a questo schema di pensiero supposto da Weiser, Der zweite Brief an
Timotheus, 105, che rinvia a N.A. Dahl, Formgeschichtliche Beobachtungen zur Christusverkndigung in der Gemeindepredigt, in W. Eltester (ed.), Neutestamentliche Studien, 3-9, che per primo cos lo ha denominato, distinguendo una forma fondamentale in
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N. CASALINI
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stesso con altre categorie, tipiche del mondo religioso greco. Credo, dopo
ci che ho detto analizzando, che la seconda sia ipotesi pi valida per interpretare il testo. Lautore, infatti, non ignora la tradizione del vangelo e
la ripropone, in parte, quasi alla lettera, in 2Tm 2,8a in cui scrive: Ricorda
Ges Cristo risorto dai morti (mnhmovneue Ihsou'n Cristo;n ejghgermevnon
ejk nekrw'n), dalla stirpe di Davide, che ripete unicando 1Cor 15,4(.20)
con Rm 1,3. Ma in 2Tm 1,9-10 non questo che egli sintetizza. Descrive
solo leffetto salvico e liberante in chi accoglie tale parola sulla manifestazione di Cristo Ges, che ha annientato la morte e fatto risplendere vita
e immortalit per mezzo dellannuncio117.
Tt 2,11-14: educati dalla grazia salvica di Dio
Ununit dipendente da tradizione stata supposta anche per Tt 2,11-14
che potrebbe essere la ripresa di un inno, o di qualche cosa di analogo
a catechesi e kerygma118. Ma lipotesi non evidente in se stessa, perch
stato gi mostrato che la pericope logicamente inserita nel contesto,
per mezzo del suo inizio (ejpefavnh ga;r), con cui chi scrive ricorda la
fede comune per giusticare le norme etiche date in ci che precede in Tt
2,1-10119. Quindi veramente difcile indicare nel testo la sua derivazione
da Vorlage precedente, soprattutto se evidente che il suo procedimento
argomentativo e, in parte, anche il lessico, lo stesso che lautore usa in
Tt 3,4-7: in particolare, luso della formula o{te de;... ejpefavnh, che sembra
collegarsi deliberatamente a ejpefavnh ga;r di Tt 2,11a120.
117. La prima ipotesi era gi in Spicq, Les ptres pastorales, 713, che deniva 2Tm 1,9-
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N. CASALINI
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lutrwvshtai hJma'" era un riferimento alla sua morte espiatoria, come attesta
1Pt 1,18 dove si legge: sapendo che siete stati riscattati (ejlutrwvqhte)
con il sangue prezioso di Cristo, come agnello senza macchia e difetto
(timivw/ ai{mati wJ" ajmnou' ajmwvmou kai; ajspivlou Cristou')124.
Rigorosamente tradizionale anche la frase seguente, in Tt 2,14c in cui
dice: e puricare a se stesso un popolo proprio, zelante di opere buone,
in cui la formula kaqarivsh/ eJautw/' lao;n periouvsion, unita alla precedente
(i{na lutrwvshtai hJma'" ajpo; pavsh" ajnomiva"), troverebbe un testo parallello in LXX Ez 37,23 in cui Dio dice: Afnch (i{na) non si contaminino
pi con i loro idoli. E li salver da tutte le loro iniquit (rJuvsomai aujtou;"
ajpo; pasw'n tw'n ajnomiw'n aujtw'n), di cui hanno peccato in esse e li puricher (kai; kaqariw' aujtouv") e saranno per me popolo (kai; e[sontaiv moi
eij" laovn)125.
Da LXX Es 19,5: e[sesqev moi lao;" periouvsio" deriva la formula eJautw'/
lao;n periouvsion, la stessa che ricorre in LXX Dt 4,20 ma con forma diversa, perch dice che Dio li ha tratti fuori dallEgitto ei\nai aujtw'/ lao;n
e[gklhron, che in LXX Dt 7,6 diventa ei\naiv se aujtw'/ lao;n periouvsion,
come in LXX Dt 14,2 dove si legge: Il Signore, tuo Dio, ha scelto te per
essere per lui un popolo proprio (genevsqai se aujtw'/ lao;n periouvsion), da
tutti i popoli che sono sulla faccia della terra, due forme pi vicine a Tt
2,14c in esame126.
Questa molteplicit di echi letterari e letterali, con deliberate relazioni
intertestuali, attesta con evidenza inequivoca la novit della sua procedura
teologica. Lautore riprende formule della tradizione della fede e le unisce
con le antiche parole profetiche per mostrare in essa leffettivo compimento delle scritture. Ci che fu detto al popolo e annunciato a Israele, ora
attuato per noi, riscattati da lui.
Ma lo scopo di questo riscatto, indicato con la qualica zhlwth;n kalw'n
e[rgwn non trova alcun riferimento presso i testi del popolo antico e lunico
indicato per idea simile Ef 2,10 dove dice: Di lui, infatti, siamo opera, creati
in Cristo Ges per opere buone (ktisqevnte" ejn Cristw/' Ihsou' ejpi; e[rgoi"
ajgaqoi'"), che Dio ha predisposto, afnch noi camminassimo in esse127.
Ci troppo diverso, anche nel lessico, per supporre che possa essere stato ri124. A 1Pt 3,18 rimanda Spicq, Les ptres pastorales, 642.
125. LXX Ez 37,23 indicato da Holtz, Die Pastoralbriefe, 228, Mounce, Pastoral Epistles,
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preso dal nostro. Pi vicino, per idea e per forma, potrebbe essere la domanda
che si legge in 1Pt 3,13: E chi fa del male, se siete stati zelanti di bene (eja;n
tou' ajgaqou' zhlwtai; gevnhsqe)?. La differenza, tuttavia, sconsiglia. Anche
se non si pu escludere una ripresa della formula tou' ajgaqou' zhlwtaiv, la
diversit non pu essere ignorata, perch questa costituisce la novit etica di
questa lettera. Lautore non parla mai di bene in generale (to;n ajgaqovn), ma
di opere buone, in particolare, perch sono utili agli uomini128.
In Tt 3,1 lo invita a ricordare loro di essere pronti per ogni opera buona (pro;" pa'n e[rgon ajgaqo;n eJtoivmou"), per obbedire alle leggi
(peiqarcei'n) ordinate dallautorit competente. Ma in Tt 3,8 afferma: Fidata [] la parola e su questo voglio che tu insista, afnch i credenti in
Dio si esercitino nelleccellere in buone opere (i{na frontivzwsin kalw'n
e[rgwn proi?stasqai oiJ pepisteukovte" qew/'). Queste sono buone e utili
agli uomini (kai; wjfevlima toi'" ajnqrwvpoi"). In questo modo il bene e
lopera sociale diventa il segno distintivo dei credenti in Dio e la religione
che lo venera si presenta non pi come una setta salvica privata, ma come
religione civile, pubblica e universale. E questa laltra novit di questo
breve testo della rivelazione, che rappresenta unautentica rivoluzione129.
Per questo, nella conclusione, ripete in Tt 3,14: Imparino anche
i nostri ad eccellere nelle opere buone (manqanevtwsan... kalw'n e[rgwn
proi?stasqai), per le necessit del bisogno, afnch non siano senza frutto
(i{na mh; w\sin a[karpoi).
Senza parallelo, e come novit assoluta si presenta la dottrina della
grazia in Tt 2,11-12 che certamente dipende dallopera di Ges Cristo,
descritta in Tt 2,14. Ma lautore la presenta in se stessa, quasi come manifestazione personale di Dio, o della sua essenza, e alla quale attribuisce in
modo teologicamente rivoluzionario la stessa opera salvica, che essa opera educando noi a vivere in modo moderato, giusto e pio in questo mondo130. Dice: apparsa, infatti, la grazia di Dio salvica per ogni uomo,
128. 1Pt 3,13 indicato da Mounce, Pastoral Epistles, 432, e Marshall, The Pastoral Epi-
stles, 286.
129. Sulla dimensione sociale dellistruzione etica di Tt 2,14; 3,1.8 cf. Malherbe, Soteriology in the Pastoral Epistles, 339-340.
130. A questa opera salvica per educazione della grazia dedica attenzione anche Malherbe,
Soteriology in the Pastoral Epistles, 340-348, che la pone in parallelo a ci che la losoa
greca credeva della paideiva. Tuttavia egli puntualizza con chiarezza la differenza: qui la
stessa paideiva da Dio, che opera in ogni uomo con la sua cavri" swth'rio" per mezzo
di Ges Cristo (pp. 347-348). Sul concetto cf. G. Giese, CARIS PAIDEUOUSA. Zur
biblischen Begrndung des evangelischen Erziehungsgedankens, Theologia Viatorum 5
(1953-54) 154-173.
275
che educa noi, afnch rinnegati empiet e desideri mondani, viviamo con
moderazione, giustizia e piet in questo mondo.
La ripresa di cavri" tou' qeou' dalla tradizione paolina cosa non dubbia
e deriva dalla dottrina della giusticazione di Paolo, in Rm 3,24 dove dice:
dikaiouvmenoi dwrea;n th/' aujtou' cavriti dia; th'" ajpolutrwvsew" th'" ejn
Cristw/' Ihsou'; e da Rm 5,15 dove oppone alla caduta, to; paravptwma, di
un solo uomo per cui tutti sono morti, la cavri" tou' qeou' che ha sovrabbondato per tutti. Ma questa grazia che giustica dal peccato con un atto
gratuito di condono. Quindi grazia giudiziaria giusticante. L, in Tt
2,11a grazia di Dio salvica per ogni uomo, hJ cavri" tou' qeou' swthvrio"
pa'sin ajnqrwvpoi", che salva non con un atto gratuito che condona la colpa, ma con unazione pedagogica che educa a rinnegarla e ad evitarla per
tutta la vita. Per questo dice: che educa noi (paideuvousa hJma'"), afnch
rinnegati iniquit e piaceri mondani, viviamo con moderazione, giustizia e
piet (religiosa) in questo mondo.
Ci basta per comprendere la grande novit che questo teologo introduce nella tradizione paolina: alla giusticazione che condona la colpa
con un atto di grazia, subentra leducazione diretta e intima della stessa
grazia divina, che distoglie, educando, dai desideri mondani che generano
il peccato (e liniquit) e insegna a vivere in modo conforme a Dio: con
misura, giustizia e piet in questo mondo (i{na... swfrovnw" kai; dikaivw"
kai; eujsebw'" zhvswmen ejn tw/' nu'n aijw'ni).
Che lideale perseguito dalla pedagogia della grazia sia conforme a
quello umano perseguito dalla losoa (morale) e dalla paideiva greca,
fuori dubbio. Lo indicano i tre avverbi swfrovnw", dikaivw", eujsebw'" che
sembrano corrispondere in qualche modo a una triade compresa nella lista
delle virt cardinali, che in Dione Crisostomo, Or. 13,32 sono indicate
come swfrosuvnh, ajndreiva, dikaiosuvnh131. Ma in Diogene Laerzio 3,80
sono enumerate in forma scolastica come hJ dikaiosuvnh kai; hJ frovnhsi" kai;
hJ ajndreiva kai; hJ swfrosuvnh. In Filone, eujsevbeia prende il primo posto e
ajndreiva recede e viene meno132. Ci era gi in Platone, in cui sostituito da
oJsiovth" (cf. Meno 78d: dikaiosuvnhn, h] swfrosuvnhn h] oJsiovthta h] a]llo
ti movrion ajreth'"). Ma evidente che il nostro autore d la precedenza
alla pi eccellente delle virt della tradizione losoca greca, swfrosuvnh,
131. Cf. Malherbe, Soteriology in the Pastoral Epistles, 341-342, e soprattutto S.C. Mott,
Greek Ethics and Christian Conversion: The Philonic Background of Titus II 10-14 and
III 3-7, NT 20 (1978) 22-48: 23.
132. Mott, Greek Ethics, 25-26 (cf. Philo, Op. 154; Abr. 60; Sob. 40; Det. 73, 143; Cher.
96).
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N. CASALINI
swth'rio" alla stessa paideiva e non alla cavri" tou' qeou', come in Tt 2,12 (cit. p. 35).
277
Die Vermittlung, 174-177; Lger, Die Christologie der Pastoralbriefe, 98-102, e la sintesi
in Oberlinner, Die Pastoralbriefe. Dritte Folge. Kommentar zum Titusbrief (HThK XI/2),
Freiburg etc. 1996, 161.
137. Sul problema, Knight, The Pastoral Epistles, 347-350; Mounce, Pastoral Epistles,
440-441.
138. Dibelius - Conzelmann, Die Pastoralbriefe, 110-111.
139. J.D. Quinn, The Letter to Titus (AB 35), New York 1990, 200-201.
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N. CASALINI
279
potrebbe riferirsi al battesimo individuale e quindi, per coerenza logica, sarebbe da ritenere unimmagine della puricazione collettiva, operata dalla
parola (ejn rJhvmati)144. Quindi il problema ancora irrisolto, e unipotesi
alternativa a questa proposta da coloro che ritengono Tt 3,4-7 derivato
da una professione di fede. Lo stesso W.D. Mounce, che il pi convinto
assertore di questipotesi, parla di credal nature of Titus 3,4-7 e spiega,
contestando la precedente: Most call it a hymn because of its structure, but
its highly condensed theological content reads more like a creed145.
Ma ci, per noi, non conforme alla natura narrativa del testo, in cui
lautore riporta certamente la fede comune, ma non nella forma di un credo, bens in quella di una rievocazione storica, a conferma dellistruzione
impartita in Tt 3,1-2. Dice in questi versi: Ricorda loro (uJpomivmnh/ske
aujtouv") di sottostare ai governanti, a poteri, di obbedire alle leggi, pronti
per ogni opera buona; di non oltraggiare nessuno, di essere non battaglieri,
ragionevoli, mostrando mitezza verso tutti gli uomini. E aggiunge in Tt
3,3 per giusticare questo consiglio rievocando ci che essi stessi furono
in passato, ma includendo se stesso nel gruppo per rendere pi effettivo il
monito: Eravamo, infatti, allora anche noi irragionevoli (h\men gavr pote
kai; hJmei'" ajnovhtoi), disobbedienti, errabondi.
Ma poi prosegue in Tt 3,4 affermando come continuazione della stessa
narrazione: Quando per si manifest la benevolenza e la lantropia di
Dio nostro salvatore ci salv con un bagno di rigenerazione e rinnovamento di Spirito Santo, da cui rivers su di noi in abbondanza per mezzo
di Ges Cristo, nostro salvatore. Data la rigorosa logica argomentativa
che unisce Tt 3,1-2 con Tt 3,3 e questo con Tt 3,4-7 (pote o{te dev) e
poi con Tt 3,8 che ad esso si richiama con un peri; touvtwn, ritengo che
sia pi ragionevole ritenere tutto il testo una composizione dellautore, che
ha sintetizzato con proprie parole lesperienza comune della fede, usando
formule e schemi espositivi gi diffusi nella tradizione, ma innovando la
stessa dottrina con la sua riproposizione146.
144. Pastoral Epistles, 438-440; il quale, tuttavia, non ignora che la stessa pericope Ef 5,25-
27 potrebbe essere interpretata con riferimento al battesimo, come indica la sua referenza
a F.F. Bruce, The Epistles to the Colossians, to Philemon, and to the Ephesians (NICNT),
Grand Rapids MI 1984, 387-389.
145. Pastoral Epistles, 440-441, cit. 440.
146. Penso che questa sia anche la posizione esegetica di Marshall, The Pastoral Epistles,
307, che conclude il suo esame delle ipotesi indicate dicendo: It is clear that material from
the traditional schemata is being used, but we may ask whether has so adapted it to his own
purposes here that the task of identifying a traditional basis will be fruitless.
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Die Vermittlung, 174-177 (per la dipendenza da Paolo) e Lger, Christologie der Pastoralbriefe, 98-102.
148. Evidentemente Oberlinner, Titusbrief, 176, non ha percepito la differenza, perch interpreta Tt 3,3-7 come applicazione dello schema allora / ora alla correlazione pote / o{te
dev, riferita alla situazione passata e presente dei credenti, senza badare che Tt 3,4-7 descrive
con rigore lazione salvica divina (e[swsen hJma'": Tt 3,5b), e solo in modo implicito lascia
intuire una nuova condizione presente e attuale di quelli che lui ha salvato.
149. Ef 2,1-10 citato tra i possibili paralleli intertestuali da Oberlinner, Titusbrief, 166;
Mounce, Pastoral Epistles, 446. Marshall, The Pastoral Epistles, 309, lo estende in modo
eccessivo e indebito a Ef 2,1-22. Ma nessuno di loro ha compreso che, probabilmente, era
la vera fonte della tradizione paolina rielaborata dallautore.
281
Cito in traduzione questo testo della tradizione paolina, ponendo in parentesi le parole greche che potrebbero avere ispirato il nostro autore. Dice:
Anche voi, morti per le trasgressioni e i vostri peccati, in cui allora (pote)
camminavate secondo il modo di questo mondo, secondo il capo della potenza dellaria, lo spirito che ora opera nei gli della disobbedienza (ejn
toi'" uiJoi'" th'" ajpeiqeiva"), in cui anche tutti noi ci comportammo allora
(ejn oi|" kai; hJmei'" pavnte" ajnestravfhmevn pote), nei desideri della nostra
carne (ejn tai'" ejpiqumivai" th'" sarko;" hJmw'n), facendo le voglie della carne (poiou'nte" ta; qelhvmata th'" sarkov") e dei pensieri, ed eravamo per
natura gli dellira come anche gli altri (kai; h[meqa wJ" kai; oiJ loipoiv).
Ma Dio (oJ de; qeo;"), ricco essendo di misericordia (plouvsio" w]n ejn ejlevei),
per il molto amore suo con cui ci ha amato (dia; th;n pollh;n ajgavphn aujtou'
h}n hjgavphsen hJma'"), e essendo noi morti per le trasgressioni, ha fatto
rivivere a Cristo. Per grazia siete stati salvati (cavritiv ejste sesw/smevnoi)
e ha fatto risorgere e fatto sedere nei cieli in Cristo Ges, per mostrare ai
secoli venienti leccessiva ricchezza della sua grazia nella bont verso di
noi in Cristo Ges (i{na ejndeivxhtai ejn toi'" aijw'sin toi'" ejpercomevnoi"
to; uJperbavllon plou'to" th'" cavrito" aujtou' ejn crhstovthti ejf hJma'" ejn
Cristw/' Ihsou').
Di fronte a tanta esuberanza verbale e retorica, la sintesi che si legge
in Tt 3,3-7 appare molto pi sobria e soprattutto pi chiara, e tuttavia fedele alla tradizione che vi espressa e da lui riproposta con espressione
propria. Infatti, lo scopo per cui Dio aveva operato secondo Ef 2,7 era per
manifestare (i{na ejndeivxhtai) nei tempi successivi la sua abbondanza di
grazia nella bont verso di noi in Cristo Ges (to; uJperbavllon plou'to"
th'" cavrito" aujtou' ejn crhstovthti ejf hJma'" ejn Cristw/' Ihsou'). Ma in
Tt 3,4 questa stessa manifestazione della benevolenza di Dio diventato
levento con cui ci ha salvato. Tuttavia, poich la causa determinante che
lo spinse a manifestare la sua bont per noi era denito in quel testo con
la formula: per il suo grande amore con cui ci ha amato (dia; th;n pollh;n
ajgavphn aujtou' h}n hjgavphsen hJma'"), egli lo rende esplicito unicando
alla manifestazione della sua crhstov t h", la manifestazione di questo
amore (ajgavph aujtou'), ma denominato filanqrwpiva, una parola greca
pi comprensibile, perch pi comune e corrente per indicare lopera di
Dio, come quella di un benefattore150. Per questo dice, come se fosse un
150. Cf. C. Spicq, La philantropie hellnestique, vertue divine et royale ( propos de Tt
3,4), ST 12 (1958) 169-191; ma anche K. Sullivan, The Goodness and Kindness of God
Our Saviour, TBT 3 (1962) 164-171; R. Le Daut, Filanqrwpiva dans la littrature grecque jusqau NT, in Mlanges E. Tisserant, Civitas Vaticana 1964, I, 255-294; e le sintesi
di U. Luck, ThWNT IX, 108-110 e E. Plmacher, EWNT III, 1015-1016.
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284.
152. Cos, correttamente, H. Merkel, Die Pastoralbriefe, Gttingen 1991, 103 e Marshall,
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dato per mezzo di Ges Cristo (e[swsen hJma'" dia; loutrou'... pneuvmato"
aJgivou, ou| ejxevceen ejf hJma'" plousivw" dia; Ihsou' Cristou'). Da questo, infatti, dipende la grazia giusticante, che toglie il peccato ed
condizione per la rigenerazione e il rinnovamento, operato dallo stesso
Spirito Santo per Ges Cristo155. Ma evidente che il bagno (rituale)
nel battesimo, che purica, solo un segno dellazione interiore dello
Spirito Santo che rigenera e rinnova per mezzo di Ges Cristo, per il
quale Dio concede la sua cavri" che giustica, producendo la rigenerazione e il rinnovamento (paliggenesiva" kai; ajnakainwvsew") della
vita e della condotta156.
A Paolo certamente ispirata la formula oujk ejx e[rgwn, che Tt 3,5a riprende da Ef 2,9a che aveva trasformato in quel modo ci che Paolo diceva
con la formula tecnica cwri;" e[rgwn, senza opere, opposta a pivstei in Rm
3,28. Ma in Gal 2,16 era gi la frase completa: ouj dikaiou'tai a[nqrwpo" ejx
e[rgwn novmou eja;n mh; dia; pivstew". In Tt 3,5-7 scomparso ogni riferimento alla fede, come ho gi detto e le opere, a cui si riferisce, non sono pi
quelle del rispetto della legge giudaica, ma quelle che luomo compie in
giustizia (ejn dikaiosuvnh/), che era il principio etico pi generale dellagire
umano, secondo la losoa greca comune, riassunta da quella platonica
in particolare157. Ma lidea espressa la stessa della tradizione. Dio ci ha
salvato non perch abbiamo meritato la salvezza agendo in modo giusto,
ma perch ha avuto piet del nostro stato, certamente misero (cf. Tt 3,3).
Per questo la sua opera salvica considerata un effetto operato sulluomo
dalla manifestazione della sua benevolenza (crhstovth") e dalla sua amicizia per luomo (filanqrwpiva).
155. Oberlinner, Titusbrief, 172-173. Ma gi Bernard, The Pastoral Epistles, 178 afferma-
va: It [i.e. baptism] is the instrument (diav) of salvation, the means, that is, through which
we are placed in a state of salvation . E.F. Scott, The Pastoral Epistles (MNTC), New
York 1936, 176, in eccesso quando scrive: the writer of the Pastorals seems to think of
baptism as efcacious by itself, perch dimentica il discorso teologico sulla mediazione
(diav) dello Spirito Santo e di Ges Cristo, a cui subordinato. Tuttavia sostenere che any
use of baptismal imagery is secondary or foreign to the true thrust of the creed, come fa
Mounce, Pastoral Epistles, 439, ci pare inaccettabile, dato levidente valore simbolico di
loutrovn che ad esso allude.
156. Cos, correttamente, Marshall, The Pastoral Epistles, 318. Ci permetterebbe di accettare linterpretazione spirituale di loutrovn tenacemente sostenuta da Mounce, Pastoral
Epistles, 438-440, senza riutare uneventuale allusione allazione rituale, che nella chiesa
era prassi corrente.
157. Cf. E. Ksemann, Titus 3,4-7, in Idem, Exegetische Versuche und Besinnungen, I,
Gttingen 19706, 298-302: 299. Quindi avrebbe ragione Trummer, Die Paulustradition der
Pastoralbriefe, 187, che considerava tale formulazione una radicalizzazione (Radikalizierung) (cf. anche le pp. 185-193).
285
Tuttavia il principio teologico che la giusticazione si consegue per mezzo del battesimo era gi in Paolo, Rm 6,7 il quale, dopo aver paragonato quel
rito a una morte con Cristo (Rm 6,3-4a.5a), interpretata come morte al peccato (Rm 6,2b.6b), dice: Colui, infatti, che morto, giusticato dal peccato (oJ ga;r ajpoqanw;n dedikaivwtai ajpo; th'" aJmartiva"). Ma la differenza
attesta la novit assoluta: qui il rito giustica dalla colpa; in Tt 3,5b-7 con il
battesimo Dio ci ha salvato giusticando per sua grazia, cosa che era gi nella
tradizione evangelica, come attestano le parole di Ges in Mc 16,16 (nale
lunga: Mc 16,9-20): Chi crede ed battezzato, sar salvo (oJ pisteuvsa" kai;
baptisqei;" swqhvsetai). Questa era anche la convinzione ecclesiastica, documentata nel rapporto sulla conversione del carceriere di Filippi, narrata in
At 16,30.31a.33b: Signori chiede loro che devo fare per essere salvato
(tiv me dei' poiei'n i{na swqw'). Essi gli dissero: Credi nel Signore Ges (pivsteuson ejpi; to;n kuvrion Ihsou'n) e fu battezzato lui e tutti i suoi con lui,
subito (kai; ejbaptivsqh aujto;" kai; oiJ aujtou' pavnte" paracrh'ma)158.
La convinzione teologica che per mezzo del battesimo era dato lo Spirito nel nome di Ges, attestata ugualmente in At 2,38 dove Pietro dice
al popolo: Convertitevi e sia battezzato ciascuno di voi nel nome di Ges
Cristo per il perdono dei peccati (metanohvsate kai; baptisqhvtw... ejpi;
tw/' ojnovmati Ihsou' Cristou') e riceverete il dono dello Spirito Santo (kai;
lhvmyesqe th;n dwrea;n tou' aJgivou pneuvmato") (cf. anche At 8,16-17 e At
19,1-7)159. Ma nuova la formula con cui esso presentato, quale bagno
di rigenerazione e rinnovamento di Spirito Santo (dia; loutrou' paliggenesiva" kai; ajnakainwvsew" pneuvmato" aJgivou)160. Lidea cos espressa,
tuttavia, era corrente, sia nella cultura religiosa greca comune, sia in quella
di credenza cristiana161. In particolare, nella tradizione giovannea si parlava
158. Cf. L. Hartman, Auf den Namen des Herrn Jesus. Die Taufe in den neutestamentlichen
Schriften (SBS 148), Stuttgart 1992, 106-111; J.A.T. Hanson, The One Baptism as a Category of NT Soteriology, SJT 6 (1953) 257-274.
159. Cf. G.R. Beasley-Murray, Baptism in the New Testament, London 1962, 209-216;
Trummer, Die Paulustradition der Pastoralbriefe, 186; Lips, Glaube-Gemeinde-Amt, 260262; Schlarb, Die gesunde Lehre, 189. Sul tema, in generale: M. Quesnel, Baptiss dans
lEsprit, Paris 1985; J.D.G. Dunn, Baptism in the Holy Spirit, London 1970, 165-169 (cit.
168-169); G.D. Fee, Gods Empowering Presence. The Holy Spirit in the Letters of Paul,
Peabody 1994, 777-784 (cit. 780-781), che negano ogni riferimento allacqua battesimale,
e danno a loutrovn un senso solo metaforico.
160. Vedi D.L. Norbie, The Meaning of Regeneration, EvQ 34 (1962) 36-38.
161. J. Dey, PALIGGENESIA. Ein Beitrag zur Klrung der religionsgeschichtlichen Bedeutung von Tit 3,5 (NTAbh 17.5), Mnster 1937, 6-30 (uso losoco e profano); 40-128
(nel cristianesimo primitivo). Ma anche V. Jacono, La paliggenesiva in s. Paolo e nellambiente pagano, Miscellanea Biblica 1 (1934) 249-278; E. Sjberg, Wiedergeburt und
Neuschpfung im Palstinischen Judentum, ST 4 (1950) 44-85.
286
N. CASALINI
di nuova nascita ed era descritta come generazione dallalto (eja;n mhv ti"
gennhqh/' a[nwqen: Gv 3,3c) e di generazione da acqua e da Spirito (eja;n
mhv ti" gennhqh/' ejx u{dato" kai; pneuvmato": Gv 3,5).
Di rinascita attestava la tradizione raccolta in 1Pt 1,3: ajnagennhvsa"
hJma'"; 1Pt 1,23: ajnagegennhmevnoi... dia; lovgou zw'nto" qeou' kai; mevnonto";
1Pt 2,2: wJ" ajrtigevnnhta brevfh. Ma rinnovare (ajnakainivzein) era il
termine tecnico usato per designare leffetto del battesimo in Eb 6,4.6a:
[] impossibile, infatti, coloro che una volta sono stati illuminati (a{pax
fwtisqev n ta") e che sono caduti, rinnovare di nuovo a conversione
(pavlin ajnakainivzein eij" metavnoian): e il sostantivo ajnakaivnwsi" era
gi in Paolo (Rm 12,2), senza riferimento ad esso.
Questa molteplicit di relazioni inetertestuali attesta per se stessa il
fatto evidente che Tt 3,4-7 ha raccolto una molteplicit di tradizioni. Ma le
ha unicate in modo nuovo, in una teologia insuperata del rito puricante
e rigenerante del battesimo, con cui si accedeva alla religione di Cristo. In
poche parole, quel gesto simbolico, diventato un procedimeno salvico,
con cui Dio salva per mezzo dello Spirito Santo e in Ges Cristo, concedendo la cavri" che giustica, rigenera e rinnova. Per questo in Tt 2,11a
chiamata swth'rio", perch la sua azione salvica per ogni uomo e dura
per tutta la vita. Dice, infatti, che essa ci educa a vivere in modo saggio,
giusto e pio, attendendo la beata speranza e la manifestazione della gloria
del nostro grande Dio e salvatore Ges Cristo (Tt 2,13)162.
1Tm 3,16: il mistero della piet religiosa
1Tm 3,16 il pi noto dei testi cristologici delle Pastorali, di cui si suppone che tutta la composizione sia da tradizione innica, di cui avrebbe
preservato anche la forma stroca, costituita da sei elementi (o versi), abbinati tra loro per logica antitetica, e uniti in tre distici: 1) ejfanerwvqh ejn
sarkiv, ejdikaiwvqh ejn pneuvmati; 2) w[fqh ajggevloi", ejkhruvcqh ejn e[qnesin;
3) ejpisteuvqh ejn kovsmw/, ajnelhvmfqh ejn dovxh/163.
Lipotesi affascinante e ha no ad oggi affascinato, perch possibile
trovare analogie che potrebbero suggerire anche uneffettiva origine giu162. J.M. Irurvetagoyena, La gracia santicante en Tit. 3,4-7, Scriptorium Victoriense
(1956) 7-22.
163. Per la sua catalogazione nella tradizione innica cf. R. Deichgrber, Gotteshymnus und
Christushymnus in der frhen Christenheit (StUNT 5), Gttingen 1967, 133; K. Wengst,
Christologische Formeln und Lieder des Christentums (StNT 7), Gtersloh 19732, 157; W.
Stenger, Der Christushymnus 1Tm 3,16 (RStT 6), Regensburg 1977, 81.
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288
N. CASALINI
Epistles, 215-218 e Marshall, The Pastoral Epistles, 500-505. Costui fa giustamente rilevare
che, secondo lordine cronologico, lultima frase con ejn dovxh/ avrebbe dovuto precedere,
perch il verbo ajnelhvmfqh si riferisce indubbiamente allascensione negli altri testi della
tradizione (cf. At 1,2.11.22 e Lc 9,51). Per questo lo riferisce allintronizzazione, con riferimento a 1Cor 15,25 e Fil 2,9-11.
167. Biblische Theologie des Neuen Testaments, II, 22.
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N. CASALINI
sbrief, 165-166.
171. Afne alla nostra Marcheselli-Casale, Le Lettere Pastorali, 271. Di opinione diversa
Oberlinner, Erster Timotheusbrief, 164-165 che preferisce accentuare levento rivelativo,
che risulterebbe evidente dallunione del verbo ejfanerwvqh con ejn sarkiv. Ma ci rende pi
ardua la sua spiegazione di ejdikaiwvqh, che perderebbe tutto il suo valore senza un riferimento implicito allevento della morte infamante, come in Fil 2,6-11.
172. Stuhlmacher, Biblische Theologie des Neuen Testaments, II, 22.
173. Cos Oberlinner, Erster Timotheusbrief, 167; ma anche Mounce, Pastoral Epistels,
229. Il problema eliminato, se si elimina w[fqh ajggevloi", ritenendolo aggiunta redazionale, secondo lipotesi di J. Murphy-OConnor, Redactional Angels in 1Tm 3,16, RB 91
(1984) 178-187.
291
sto analogo solo in Eb 1,5-14 dove il Figlio (di Dio), esaltato dopo avere
compiuto lespiazione, presentato come superiore a loro per una dignit
pi distinta che ha conseguito (diaforwvteron... o[noma: Eb 1,4). Tuttavia,
la differenza notevole. In questo caso, Dio stesso che lo introduce nel
mondo (o{tan de; pavlin eijsagavgh/ to;n prwtovtokon eij" th;n oijkoumevnhn:
Eb 1,6). Quindi non sarebbe possibile un parallelo diretto, perch la formula w[fqh ajggevloi" ha un altro signicato.
Laoristo w[fqh, come noto, termine tecnico per indicare le apparizioni del risorto nel vangelo annunciato da Paolo in 1Cor 15,5-8; e ricorre
come verbo narrativo corrente nei racconti di apparizioni della tradizione
lucana (cf. Lc 24,34: w[fqh; At 9,17: ojfqeiv"; At 13,31: w[fqh; At 26,16a:
w[fqhn)174. Ugualmente impossibile un confronto analogico con la scena
del trono che si legge in Ap 5,11-14, perch questa scena di presentazione e insediamento (Ap 5,6-10) e non di apparizione175. Date queste
difcolt, non sarebbe fuori luogo pensare a un evento diverso, quale la
discesa agli inferi, come descritto in 1Pt 3,18-19 insieme agli altri due
eventi a cui alludevano le formule precedenti, che abbiamo rilevato simili:
qanatwqei;" me;n sarki;, zw/opoihqei;" de; pneuvmati. E continua: In questo
(ejn w/|) anche agli spiriti in prigione diede lannuncio andando (kai; toi'" ejn
fulakh/' pneuvmasin... ejkhvruxen)176.
Le formule seguenti (ejkhruvcqh ejn e[qnesin e ejpisteuvqh ejn kovsmw/)
sono senza analogie. Ma la prima potrebbe essere una riproposizione della
tradizione evangelica, e in particolare del mandato apostolico quale si
legge in Mt 28,19a: poreuqevnte" ou\n maqhteuvsate pavnta ta; e[qnh e Mc
16,15b: poreuqevnte" eij" to;n kovsmon a{panta khruvxate to; eujaggevlion
pavsh/ th/' ktivsei; ma la formula potrebbe derivare da Mc 13,10 dove si
legge: Bisogna che prima sia annunciato il vangelo a tutti i popoli (kai; eij"
pavnta ta; e[qnh prw'ton dei' khrucqh'nai to; eujaggevlion) (cf. Col 1,23b)177.
Tuttavia non dovrebbe sfuggire una differenza. In 1Tm 3,16b loggetto di
174. Marshall, The Pastoral Epistles, 526.
175. Ma questa analogia preferita da Oberlinner, Erster Timotheusbrief, 167, che eviden-
292
N. CASALINI
ejkhruvcqh dovrebbe essere il Cristo stesso e non to; eujaggevlion, se si accetta il pronome iniziale o{".
Quindi altro potrebbe essere il riferimento implicito nel testo. Ma se il
soggetto non fosse lui direttamente, ma il suo mistero (to; musth'rion), a
cui si riferisce la variante neutra o{, allora non sarebbe difcile individuare
nella frase ejkhruvcqh ejn e[qnesin una eco di Rm 16,26; o, meglio, di Col
1,27 in cui si legge: ai quali Dio volle fare conoscere quale la ricchezza
della gloria di questo mistero tra i popoli (tiv to; plou'to" th'" dovxh" tou'
musthrivou touvtou ejn toi'" e[qnesin), che Cristo in voi (o{ ejstin Cristo;" ejn uJmi'n). La seconda (ejpisteuvqh ejn kovsmw/) potrebbe alludere ad
eventi noti dal racconto degli Atti (At 13,46-48 e 28,28), da cui sembra
derivare anche la frase nale ajnelhvmfqh ejn dovxh/, che pare una eco di At
1,11c: Codesto Ges, elevato da voi al cielo (oJ ajnalhmfqei;" ajf uJmw'n
eij" to;n oujranovn) cos ritorner, allo stesso modo, in cui lo avete visto andare in cielo. Ma trova un analogo perfetto in Mc 16,19: ajnelhvmfqh eij"
to;n oujrano;n kai; ejkavqisen ejk dexiw'n tou' qeou'178'. Tuttavia luno e laltro
modello della tradizione manca del riferimento diretto a ejn dovxh/, che certamente implicito, anche se non espresso. Linsediamento di Ges alla
destra del trono di Dio, a cui stato elevato, comportava un insediamento
nella gloria (ejn dovxh/) sua (Mc 10,37) o del Padre suo (Mc 8,38). Quindi la
frase alluderebbe con formule tradizionali a un innalzamento o alla esaltazione del Cristo, quale descritta in Fil 2,9-11; At 2,33; 7,55-56179.
Questa indagine attesta senza possibilit di dubbio che tutto ci che
di Cristo lautore sintetizza nelle frasi di 1Tm 3,16b costituito da eventi
gi noti nella tradizione della fede, da cui riprende spesso il lessico tecnico della descrizione (cf. ejfanerwvqh, ejdikaiwvqh, w[fqh, ajnelhvmfqh, ejn
sarkiv, ejn pneuvmati). Tuttavia apparso anche evidente che la sintesi da
lui composta una novit assoluta, in se stessa e nei singoli elementi di
cui composta, che non trovano riscontro in alcuna delle formule della
tradizione da lui ricevuta, e anche a noi nota.
Nuovo, in assoluto, la loro presentazione nella forma di credo, o
oJmologiva (oJmologoumevnw mevga), in cui gli eventi sono numerati in quanto
creduti. Nuovo il fatto che questi stessi eventi del Cristo, che in 1Tm 3,9
sono allusi in forma tradizionale come to; musth'rion th'" pivstew", ora
sono proposti con formula nuova, come to; th'" eujsebeiva" musth'rion,
che potremmo tradurre alla lettera come il mistero della piet. evidente
178. Il riferimento ad At 1,2.11.22 e Mc 16,19 comune: cf. Mounce, Pastoral Epistles,
293
che il to; musth'rion del Cristo, cos indicato, era gi noto come tale nella
tradizione (cf. Col 1,26.27 gi citato). Ma ora, descritto nei suoi singoli
elementi, indicato come quello della piet, to; th'" eujsebeiva", che nel
greco indicherebbe la religione in quanto tale, come se volesse rivendicare
solo per questo quel titolo usurpato dai molti musth'ria degli di venerati
nei singoli santuari.
Questa nostra interpretazione culturale si fonda sul fatto che nel mondo
della religione greca la parola eujsevbeia aveva un senso tecnico e indicava
il sentimento religioso e, in modo pi preciso, la venerazione verso tutto
ci che divino. Lo confermano due testi molto noti di Cicerone, in cui
la parola corrispondente latina, pietas, spiegata come religio. Dice in De
natura deorum 1,116: Est enim pietas iustitia adversum deos. E in Partit.
orat. 2,66 spiega: Religionem eam quae in metu et caerimonia deorum
sit appellant, pietatem quae erga patriam aut parentes aut alios sanguine
coniunctos ofcium conservare moneat180.
Teologicamente nuova, inne, la presentazione stessa degli eventi. In
particolare, la venuta del Cristo nel mondo, che la tradizione evangelica
indicava con h\lqon o h\lqen (cf. Mc 2,17 e Mc 10,45), quella paolina come
invio (o missio) (ejxapevsteilen: Gal 4,4b; pevmya": Rm 8,3c), e quella
giovannea come diventare carne (savrx ejgevneto: Gv 1,14) o venire nella
carne (ejrcovmenon ejn sarkiv: 2Gv 7), da lui presentata come apparizione
(o manifestazione) nella carne (ejfanerwvqh... ejn sarkiv), che esprime con
una nuova categoria la fede inconcussa nella preesistenza divina di colui
che si manifest in carne umana. Ci era gi implicito nella tradizione
sul Cristo come il to; musth'rion tou' qeou', nascosto da secoli, nei tempi
eterni e poi manifestato, o disvelato al momento dei tempi attuali (cf. Rm
16,25.26 e 1Cor 2,1 con Col 1,26.27).
La sua gloricazione descritta con la formula ajnelhvmfqh ejn dovxh/,
che una novit assoluta, perch unisce in una sintesi prodigiosa due elementi diversi: quello della ascensione, tipico della tradizione lucana (cf.
At 1,2: ajnelhvmfqh e At 1,11: ajnalhmfqei;" con Lc 9,51: ta;" hJmevra" th'"
ajnalhvmyew" aujtou') e quello della gloricazione di tradizione giovannea
(cf. Gv 17,1.5), ma gi di tradizione lucana, in cui tale elevazione presentata come un ingresso nella sua gloria, come si desume da Lc 24,26: Non
180. Su eujsevbeia cf. W. Foerster, ThWNT VII, s.v. sevbomai, 168-195: 175-184 (eujsebhv",
294
N. CASALINI
doveva, forse, soffrire queste cose il Cristo kai; eijselqei'n eij" th;n dovxan
aujtou'?, senza ignorare la tradizione evangelica, dove ricorre la formula
ejn th/' dovxh/ [sou] (cf. Mc 10,37 e Mc 8,38).
Conclusione
Con ci ho terminato il mio esame critico dei testi fondamentali delle Pastorali che, per un comune consenso esegetico, da tempo affermato, sono
concordemente attribuiti a tradizioni antecedenti, risalenti direttamente a
Paolo, o alla tradizione paolina, ma anche alla tradizione evangelica, senza
escludere altre, che hanno avuto una rilevanza notevole per chi ha scritto
le tre lettere: in particolare, la tradizione giovannea nelle sue molteplici
attestazioni (Gv, Ap, 1-2Gv) e altre tradizioni non secondarie del Nuovo
Testamento, ugualmente autorevoli per lunicit della loro teologia, come
la Lettera agli Ebrei.
I testi da noi esaminati erano quelli deniti cristologici o soteriologici, comunemente indicati: 1Tm 1,15; 1Tm 2,4-6; 1Tm 3,16; 1Tm 6,13;
2Tm 1,8-10; 2Tm 2,8.11-13; Tt 2,11-14; Tt 3,3-7. Ma evidente che, se
avessi voluto essere esaustivo, avrei dovuto completare esaminando le tradizioni ecclesiologiche e le tradizioni parenetiche (o etiche), che non erano di rilievo minore. Anzi, limportanza delle affermazioni esplicite sulla
chiesa che si leggono tale che avrebbero richiesto per s unampia trattazione. In 1Tm 3,15 presentata come casa di Dio (oi\ko" qeou'), come in
Eb 3,6; denita solennemente assemblea del Dio vivente (ejkklhsiva qeou'
zw'nto"), e qualicata come colonna e basamento della verit (stu'lo"
kai; eJdraivwma th'" ajlhqeiva"). In 2Tm 2,19-21 implicitamente denominata grande casa (megavlh... oijkiva), dove operano i servi del padrone con
diverse funzioni; ma anche qualicata (se lesegesi corrente corretta)
come fondamento stabile di Dio (oJ stereo;" qemevlio" tou' qeou') e in Tt
2,14 in cui nominato il popolo proprio (lao;"... periouvsio") che Ges
Cristo ha puricato per s, con termine analogo a quello 1Pt 2,9181.
A questi, avrei dovuto aggiungere altri testi primari sulla sua organizzazione o costituzione gerarchica (1Tm 3,1-7.8-13: episkope, diakonoi;
Tt 1,5-9: presbyteroi, episkopos) sulla sua effettiva amministrazione o
governo di Dio nella fede (hJ oijkonomiva qeou' ejn pivstei: 1Tm 1,4 con
181. Una sintesi di queste diverse ecclesiologie in L. Marucci, Lecclesiologia delle lettere
pastorali, in G. De Virgilio (ed.), Il deposito della fede (RivBibSupp 34), Bologna 1998,
177-193.
295
1Tm 5,3-16 sulle vedove consacrate, e 1Tm 5,17-21 sul trattamento salariale per i presbiteri che presiedono e per quelli che si dedicano alla parola e allinsegnamento), e sulla prassi effettiva del loro insediamento nella
funzione per il conferimento del to; cavrisma con imposizione delle mani
dellapostolo (2Tm 1,6a) o del presbiterio (1Tm 4,14), senza ignorare il
passaggio di questo stesso dono per mezzo della pratica della successione
(apostolica) (2Tm 2,1-2) per garantire la preservazione integra del deposito (paraqhvkh) o tradizione apostolica (2Tm 1,13-14)182.
Ugualmente importante sarebbe stato lesame dei testi che riportano
sintetizzando tradizioni sullo stile di vita apostolico e le sue regole, quale
si addice a uno che presiede per mandato alla chiesa, descritte in modo
particolare in 1Tm 4,6-10.11-16 e 2Tm 2,4-7, compreso il problema nanziario connesso con lesercizio di tale attivit di religione, che per se
stessa fonte non trascurabile di guadagno e ricchezza, che pu mandare
in rovina chi la persegue per soddisfare le passioni della sua anima (1Tm
6,6-10).
Non per ultimo, avrebbero meritato attenzione tutte le norme della
disciplina ecclesiastica per il trattamento di coloro che insegnano cose
diverse (eJterodidaskalei'n 1Tm 1,3-11 e 1Tm 6,3-5); della condotta da
adottare con gli oppositori o i contradditori che sostengono opinioni non
conformi alla tradizione del vangelo (2Tm 2,14-18.21 e Tt 1,10-16 con Tt
3,9); o cosa fare con chi agisce da uomo settario (o eretico) (Tt 3,10):
tutte disposizioni che, in modi diversi, ripropongono modelli gi noti da
testi paolini, e apostolici.
Tutto questo noi lo abbiamo tralasciato, perch il suo esame critico e
la ricerca delle tradizioni da cui dipendevano avrebbe richiesto da noi una
trattazione estesa, pari alla precedente e che, se pubblicata insieme, avrebbe
avuto la dimensione di una vera monograa, cosa che non consuetudine per una rivista annuale, come la nostra. Ma evidente che, se volessi
completare lopera iniziata come esige limportanza della materia, sar necessario un saggio ulteriore della stessa ampiezza, dedicato alle tradizioni
ecclesiologiche raccolte da chi ha scritto le Lettere Pastorali assumendo
il nome di Paolo per garantire in questo modo la veracit del suo discorso,
182. Per la oijkonomiva qeou' ejn pivstei vedi il saggio di A. Miranda, La retta ammini-
strazione (1Tm 1,4) nella comunit cristiana dellet sub-apostolica, RivBib 48 (2000)
167-197, da integrare con L.T. Johnson, OIKONOMIA THEOU: The Theological Voice
of 1 Timothy from the Perspective of Pauline Autorship, HTB 21 (1999) 87-104 e E. della
Corte, Carisma e ministeri nelle Lettere Pastorali, in G. De Virgilio (ed.), Il deposito della
fede (RivBibSupp 34), Bologna 1998, 177-193; P. Iovino, Il deposito della fede e la sana
dottrina, in ibid., 167-175.
296
N. CASALINI
183. Il problema ancora aperto: cf. Schnelle, Einleitung in das Neue Testament, 353-
354.
297
(ajnelhvmfqh eij" to;n oujrano;n kai; ejkavqisen ejk dexiw'n tou' qeou'). Ma ejn
dovxh/ certamente da Lc 24,26 (eijselqei'n eij" th;n dovxan aujtou'). Il riferimento di 1Tm 6,13 alla testimonianza di Ges per la morte potrebbe risalire
a Gv 18,37 (i{na marturhvsw th/' ajlhqeiva/), come ipotesi pi evidente.
Per 2Tm 1,9-10 ho riaffermato con ordine le relazioni intertestuali pi
note. Per la chiamata divina alla salvezza secondo il suo progetto (o
proposito), Rm 8,28.30 al primo posto (toi'" kata; provqesin klhtoi'"
ou\sin... ou}" de; prowvrisen, touvtou" kai; ejkavlesen). Ma per la grazia
concessa in Cristo Ges ante omnia saecula con tale intenzione, dovremmo ricorrere a Ef 1,6 dove si legge che tale scelta pretemporale fu operata eij" e[painon dovxh" th'" cavrito" aujtou' h|" ejcarivtwsen hJma'" ejn tw/'
hjgaphmevnw/, rassicurati dal fatto che in Ef 1,11 si ha le stessa idea espressa
con formula analoga dicendo ejn w/| kai; ejklhrwvqhmen proorisqevnte" kata;
provqesin tou' ta; pavnta ejnergou'nto" kata; th;n boulh;n tou' qelhvmato"
aujtou'. Ma per lo schema rivelativo che ad essa si riferisce (data prima
dei secoli / manifestata ora), abbiamo dovuto ipotizzare una ripresa generica da Rm 16,26a (fanerwqevnto" de; nu'n) e una pi precisa da Col 1,26
(nu'n de; ejfanerwvqh). Ma sia in un caso che nellaltro il riferimento al
to; musth'rion (Rm 16,25 e Col 1,26.27), che il Cristo. Qui invece alla
cavri" a noi data in Cristo e per mezzo di lui rivelata alla sua manifestazione (dia; th'" ejpifaneiva" tou' swth'ro" hJmw'n Cristou' Ihsou': 2Tm 1,10).
Per 2Tm 2,11b-13 abbiamo confermato la derivazione dellidea del
morire insieme e del vivere insieme, dalla catechesi battesimale di
Rm 6,8 (eij de; ajpeqavnomen su;n Cristw/', pisteuvomen o{ti kai; suzhvsomen
aujtw/'). Ma per il regnare insieme, abbiamo trovato un parallelo letterario effettivo solo in Ap 20,4 dove dei morti uccisi per la testimonianza di Ges Cristo (dia; th;n marturivan Ihsou') scritto che risorsero kai;
e[zhsan kai; ejbasivleusan. Ma in Ap 20,6 precisa che regneranno con lui
(basileuvsousin met aujtou'). Tuttavia sulla possibilit del nostro e del
suo rinnegamento, ha trovato conferma la ripresa della tradizione evangelica da Mt 10,33 (o{sti" d a]n ajrnhvshtaiv me e[mprosqen tw'n ajnqrwvpwn,
ajrnhvsomai kajgw; aujto;n).
Per Tt 2,14 ho confermato che la presentazione della morte di Cristo
come offerta (o dono) di se stesso da Gal 1,4 come in 1Tm 2,6. Ma
il primo scopo, presentato come riscatto da ogni iniquit, indicato con
tradizione ispirata da LXX Sal 129,8 (kai; aujto;" lutrwvsetai to;n Israhl
ej k pasw' n tw' n aj n omiw' n auj t ou' ); il secondo, presentato come puricazione del popolo proprio, potrebbe essere ripresa da LXX Ez 37,23 (kai;
kaqariw' aujtouv" kai; e[sontaiv moi eij" laovn). Ma lespressione popolo
proprio certamente da LXX Es 19,5 (e[sesqev moi lao;" periouvsio")
298
N. CASALINI
(cf. LXX Dt 7,6; 14,2). In questo caso, evidente che la ripresa forma
un compimento.
In Tt 3,3-7 lo schema espositivo antitetico generale, nella forma di
rievocazione storica (allora / ma quando), ci parve una ripresa e un
riadattamento in senso storico-salvico dello schema esistenziale (allora /
ora), che Paolo usa in Rm 6,20-22 per indicare la condizione di vita prima
e dopo la conversione (o{te ga;r... nuni; dev) (cf. anche Rm 7,9: ejgw... pote
e Gal 1,13a: th;n ejmh;n ajnastrofhvn pote... o{te de; eujdovkhsen oJ qeo;"; e
Gal 1,23: povte / nu'n), Col 1,21 (uJma'" pote... nuni; dev) e Col 3,7 (pote,
o{te... nuni; dev ajpovqesqe); che in Ef 2,1-7 gi usato in questo modo: al
povte che si riferisce alla condizione passata nel peccato (Ef 2,2: ejn ai|"
pote periepathvsate; Ef 2,3: ejn oi|" kai; hJmei'" pavnte" ajnestravfhmevn
pote) corrisponde lazione salvica di Dio, introdotta senza o{te, ma con
dev avversativo (Ef 2,4: oJ de; qeo;").
Da Ef 2,9 dipende probabilmente anche la formula escludente della giusticazione oujk ejx e[rgwn di Tt 3,5a. Mentre quella sulla giusticazione per
sua grazia potrebbe derivare dallo stesso Paolo, Rm 3,24 (dikaiouvmenoi...
th/' aujtou' cavriti), mutato con Rm 5,1 in dikaiwqevnte" ou\n. Ma lidea
della giusticazione per mezzo del battesimo, considerato come una morte e rinascita a vita nuova, potrebbe essere da Rm 6,7 (oJ ga;r ajpoqanw;n
dedikaivwtai ajpo; th'" aJmartiva").
Queste, in sintesi, alcune della tradizioni fondamentali riprese nei testi
cristologici e soteriologici delle Pastorali che ho esaminato. Ma in ognuno
di questi, apparsa anche evidente che erano riproposti in modo nuovo,
non solo per le formule di presentazione, che sono originali, senza parallelo
altrove; ma anche per le idee teologiche, che sono riprese e sviluppate in
sintesi diverse, con altre categorie, pi universali, o pi precise e rigorose;
e, cosa pi sorprendente, con un abbandono evidente delle categorie della
teologia giudaica, ed una assunzione di quelle pi generali della cultura e
della religione greca, che conferiscono alla loro teologia la forma non specica e universalizzante, da tutti riconosciuta, anche se poco apprezzata da
coloro che avrebbero desiderato una ripetizione della teologia paolina.
In particolare, e limitandomi ai pi importanti, faccio notare che in
1Tm 2,5-6 lo schema confessante duplice, sul Dio unico, Padre creatore e
sullunico Signore mediatore della creazione, desunto da Paolo 1Cor 8,6,
radicalmente trasformato in uno schema salvico, per garantire luniversalit della salvezza voluta da Dio (1Tm 2,4), del quale afferma: il quale
vuole che tutti gli uomini si salvino e giungano alla conoscenza della verit. Per questo, dal principio che il Dio uno solo (ei|" qeov"), spiegata per
logica argomentativa la verit che anche uno solo il mediatore di Dio e
299
degli uomini (ei|" kai; mesivth" qeou' kai; ajnqrwvpwn). Ma la sua mediazione
non pi garantita dalla sua signoria, come nel testo paolino (kai; ei|" oJ
kuvrio": 1Cor 8,6c), bens dal sacricio di s in riscatto per tutti (1Tm 2,6a),
secondo una categoria gi nota alla religiosit greca, in cui limmolazione
della vittima umana serviva a garantire lattuazione della volont salvica
divina (cf. il sacricio della glia di Agamennone in Iliade).
Quindi anche se il titolo mesivth", dato a Cristo Ges, quale mediatore
unico, tratto senza dubbio dalla Lettera agli Ebrei, unico testo del Nuovo
Testamento in cui gli attribuito per diritto sacerdotale acquisito con il
suo sacricio per volere di Dio (cf. Eb 8,6; 9,15 e 7,22), bisogna constatare
che di tale grandiosa teologia sacricale e sacerdotale non ripreso pi nulla, ed lasciato cadere anche il concetto di alleanza a cui era subordinata
in quel testo (cf. Eb 8,1-10,18).
In questo modo appare evidente che chi scrive ha operato una semplicazione per mostrare che la stessa idea poteva essere espressa con la semplice categoria di una morte subita a vantaggio di tutti, come in 2Cor 5,14c
(ei|" uJpe;r pavntwn ajpevqanen), ma qualicata come riscatto (ajntivlutron),
secondo le categorie della tradizione evangelica (Mc 10,45), per signicare che con essa stata data la liberazione da uno stato di schiavit, quale
soggezione al peccato. Tale, infatti, lo scopo per cui in 1Tm 1,15 scrive:
Cristo Ges venuto nel mondo per salvare i peccatori, di cui io sono il
primo.
In 2Tm 1,9-10 rievoca in sintesi il modo in cui Dio ci ha salvato (tou'
swvsanto" hJma'"), usando uno schema di categorie antitetiche, tratto dalla teoria della giusticazione: ouj kata; ta; e[rga hJmw'n ajlla; kata; ijdivan
provqesin kai; cavrin, derivate da Paolo (Rm 3,24: th/' aujtou' cavriti e Gal
2,16: oujk ejx e[rgwn novmou) ma gi trasformate in senso universale dalla
tradizione paolina e in funzione della salvezza gi compiuta, come appare evidente da Ef 2,8a.9a (cavritiv ejste sesw/smevnoi dia; pivstew"... oujk
ejx e[rgwn). Ma la vera novit nella stessa dottrina della grazia, che da
atto di grazia che condona gratuitamente la colpa (Rm 3,24: dikaiouvmenoi
dwrea;n th/' aujtou' cavriti), diventa grazia salvica eterna, in cui Dio dalleternit aveva fatto un progetto di salvezza in Cristo Ges, come risulta
dalla sua affermazione: data a noi in Cristo Ges prima dei tempi eterni,
ma manifestata ora per mezzo della manifestazione del nostro salvatore
Cristo Ges (dia; th'" ejpifaneiva" tou' swth'ro" hJmw'n Cristou' Ihsou')
che ha annientato la morte e fatto splendere vita e immortalit per mezzo
del vangelo (2Tm 1,9b-10).
Ma in questa presentazione della salvezza, la novit pi efcace nellintroduzione della categoria ejpifavneia, desunta dalla teologia della reli-
300
N. CASALINI
gione greca, per mezzo della quale e in modo implicito, ma diretto, la stessa
manifestazione di Cristo Ges, in cui Dio ha manifestato la sua grazia che
salva, presentata come apparizione salvica divina. Tale infatti era il
signicato corrente della parola nei testi religiosi, in cui documentata184.
Ma linnovazione pi consistente, per la sua evidente incidenza ecclesiale, in Tt 3,4-7 in cui questa stessa salvezza e questa stessa grazia
subordinata al battesimo per lo Spirito Santo, dato per mezzo di Ges
Cristo. Dice di Dio in Tt 3,5b-7: ci ha salvato per mezzo di un bagno (dia;
loutrou') di rigenerazione e rinnovamento di Spirito Santo (pneuvmato"
aJgivou) da cui ha riversato (ou| ejxevceen) su di noi in abbondanza per mezzo
di Ges Cristo nostro salvatore (dia; Ihsou' Cristou' tou' swth'ro" hJmw'n),
afnch giusticati per sua grazia (dikaiwqevnte" th/' ejkeivnou cavriti) diventassimo eredi della vita eterna secondo speranza.
Con ci ha inizio, secondo noi, quella forma di teologia che gli esegeti
di lingua tedesca denivano Frhkatholizismus di cui le tre novit indicate costituiscono alcuni degli elementi fondamentali, insieme alla dottrina
della chiesa, amministrativamente organizzata per garantire la verit della
tradizione con la prassi della successione apostolica, e che diventeranno
determinanti per la teologia dei secoli futuri, almeno presso sintesi teologiche di Padri greci185.
Presso i latini, e in particolare con Agostino, riprenderanno il sopravvento motivi teologici tipici della teologia paolina, con una riproposizione
conseguente delle categorie teologiche giudaiche in cui erano espresse, che
nelle Lettere Pastorali erano state superate da categorie pi universali, derivate dalla teologia greca naturale, elaborata secondo ragione e dipendenti
dal sentimento religioso naturale (eujsevbeia o pietas in latino), e non dalla
rivelazione della fede.
Nello Casalini, ofm
Studium Biblicum Franciscanum, Jerusalem
F. Manns
Lhermneutique judo-chrtienne permet de saisir sur le vif non seulement la
centralit des Ecritures, mais aussi comment les premires communauts ont
interprt la Parole de Dieu. Dans le rcit de la Passion lEvangile de Jean fait
appel plusieurs citations de lEcriture pour montrer leur accomplissement.
Cest dire que son enracinement est dans la plus authentique tradition juive. La
foi en Jsus sest approfondie dans la confrontation avec le premier Testament.
G. Reim a consacr de nombreuses tudes aux citations scripturaires du quatrime Evangile1. Nous voudrions revenir sur la citation de Za 12,10 qui, avec
celle du Ps 34,21, est invoque aprs lpisode du coup de lance en Jn 19,37.
Les deux citations de lEcriture en Jn 19,36-37 expliquent le sens de la
scne relate, en particulier du sang et de leau qui jaillissent du ct de Jsus
en croix : la premire explique la signication du sang de lagneau pascal et
du juste, tandis que la seconde renvoie au don de leau pour la purication
du pch et de limpuret voqu en Za 13,1. En effet Za 12,10 souvre sur le
thme de leffusion de lEsprit et se clt par lannonce dune source ouverte
pour le pch et limpuret.
La citation de Jn 19,36 voque la fois lagneau pascal (Ex 12,46 et Nb
9,12), uni au serviteur2, et le juste perscut. Jsus est la fois lagneau et le
serviteur. De fait en Jn 1,29 le Baptiste avait fait le mme rapprochement :
lagneau de Dieu et celui qui enlve le pch du monde. Rapprocher Is 53,7 et
Ex 12 ctait afrmer que la mort de Jsus avait une valeur expiatrice comme
lexprime 1Jn 1,7.
1. G. Reim, Studien zum altestamentlichen Hintergrund des Johannesevangeliums, Cambridge
1974. X. Lon-Dufour, Lecture de lEvangile selon Jean, t. 4, Paris 1996, 29 rejette notre interprtation du kpos de Jn 18,1, car Kpos nest pas employ en Gen 2,8. Ce point de vue suppose
que lEvangile de Jean a toujours recours la version grecque de la LXX. Or ce nest pas le cas
en 19,37 et probablement pas en Jn 18,1 o la version dAquila porte kpos. Pour le texte de Jn
19,37 Lon-Dufour crit la page 174, note 130 : Celle-ci (la citation) scarte de la version
de la LXX (ainsi Burney, Lagrange). Selon toute probabilit, Jn a utilis une autre traduction
grecque, celle dont nous proviennent les citations tires de Za 9-14 en Mt 24,30 et Ap 1,7 (cf.
M.J.J. Menken, CBQ 55 [1993] 494-511 ; et R.E. Brown, Death, p. 1187). Voir aussi les tudes
de F.M. Braun, Jean le thologien. II : Les grandes traditions dIsral. Laccord des Ecritures
daprs le quatrime Evangile, Paris 1964 ; E.D. Freed, Old Testament Quotations in the Gospel
of John, Leiden 1965 ; C.A. Evans, On the Quotations Formulas in the fourth Gospel, BZ 26
(1982) 79-83 ; B.G. Schuchard, Scripture within Scripture. The interrelationship of form and
function in the explicit Old Testament citations in the Gospel of John, Atlanta 1992.
2. D.J.J. Menken, OT Quotations in the fourth Gospel. Studies in textual form, Leiden 1965,
152.
LA 56 (2006) 301-310
302
F. MANNS
303
304
F. MANNS
HTR 68 (1975) 6-7 ; S.H. Levey, The Messiah : an aramaic interpretation. The messianic
interpretation of the targum, Jerusalem 1974 ; R. Patai, The Messiah Texts. Jewish Legends
of three thousand years, Detroit 1979 ; G. Vermes, Jesus the Jew, London 1973, 139.253.
20. G.S. Oegema, The anointed and his people. Messianic expectations from the Maccabees
to Bar Kochba, Shefeld 1998, 268-269.
305
lautel sera trs saint, cause de la couronne de la royaut du sacerdoce dAaron et de ses ls et dElie qui est destin tre envoy au terme des exils. Tu
oindras le bassin et sa base et tu le consacreras cause de Josu ton serviteur,
le chef du Sanhdrin de son peuple, par les mains de qui la terre dIsral est
destine tre partage, et du Messie, ls dEphraim, qui sortira de lui, par
les mains de qui la maison dIsral est destine remporter la victoire sur
Gog et ses bandes, la n des jours.
Le Messie dEphraim, descendant de Josu, est prsent comme victorieux
sur Gog, lennemi symbolique dIsral. Le Targum Ct 4,5 qui est plus tardif
prsente ainsi les deux Messies : Tes deux seins sont comme deux faons,
jumeaux dune gazelle, qui paissent parmi les roses. Tes deux librateurs qui
te rachteront dans le futur sont le Messie, ls de David et le Messie, ls
dEphram21. Ils ressemblent Mose et Aaron, les ls de Jokebed compars
deux faons jumeaux22. Grce leurs mrites le peuple de la maison dIsral
fut nourri pendant quarante ans dans le dsert avec de la manne, des oiseaux
gras et avec leau du puits de Miryam23.
En Ct 7,4 lauteur retourne sur le thme : Tes deux seins sont comme deux
faons, jumeaux dune gazelle. Tes deux librateurs qui viendront te dlivrer
sont le Messie, ls de David et le Messie, ls dEphram. Ils ressemblent
Mose et Aaron, ls de Jokebed, comparables deux faons de biche.
Le texte principal reste le midrash Pesiqta Rabbati, Pisqa 36, dont la date
demeure discute. La souffrance du Messie, ls dEphraim, y est longuement
mise en vidence.
La baraita du Talmud de Babylone Suc 52ab commente Za 12,12 la
lumire de la tradition du Messie, ls de Joseph, qui fut tu. Klausner pense
que le texte de Za 12,10 et celui dIs 53 sont lorigine de la tradition du
Messie souffrant24.
Le Talmud de Jrusalem Suc 8,2 applique galement la lamentation de Za
12,10 au Messie selon lopinion de deux amoraim. La priode messianique
sera caractrise par de grandes souffrances.
21. Pesiqta Rabbati 36-37; Suk 52a. Cf. A. Wnsche, Die Leiden des Messias, Leipzig 1870 ;
G. Dalman, Der leidende und sterbende Messias der Synagoge, Berlin 1888 ; G.D. Dix, The
Messiah ben Joseph, JTS 27 (1926) 130-143 ; C. Torrey, The Messiah Son of Ephraim, JBL
66 (1947) 256 ; S. Hurwitz, Die Gestalt des sterbenden Messias, Stuttgart 1948 ; E. Toaff, Il
Messia glio di Giuseppe, ASE 1964-65, Roma 1966 ; A. Goldberg, Erlsung durch Leiden
(PeR 34.36.37), Frankfurt 1978.
22. Ex R 6,20 ; Ct R 4,12-13.
23. Ex 15,2216,36 ; Taanit 9a ; BM 86b.
24. J. Klausner, The Messianic Idea in Israel. From its beginnings to the completion of the
Mishnah, New York 1955, 204.
306
F. MANNS
Il est possible que la tradition des deux Messies soit une rfrence aux deux
rgnes dIsral, Ephraim reprsentant le rgne du nord, David celui du sud.
Lopinion majeure des exgtes attribue cependant la priode dHadrien le dveloppement de la thologie du Messie souffrant : cest pour expliquer lchec
de Bar Kochba proclam Messie par R. Aqiba que le judasme aurait soulign
la souffrance du ls dEphraim25. A noter que la tradition chrtienne mettra rapidement Jsus en rapport avec Joseph : les deux furent vendus par leurs frres
et sauvrent leur peuple26. Le discours de Barsabe de Jrusalem, qui prsente
de nombreux parallles avec les Kerygmata Petrou, en tmoigne27.
Nous avons deux sries de textes propos du Messie, ls dEphraim. Ce
dernier apparat tantt comme guerrier victorieux (Tj I Ex 40,11 ; Tg Cant
4,5 ; TN Nb 11,26 ; PRK 5 ; PR 15 ; CtR 2,13 ; NbR 14,1 ; Midrash Tehilim
87,6), tantt comme vaincu par Gog (Tg Za 12,10 ; Suc 52a ; PR 36). Comment expliquer ce changement? Quelle tradition est originale? Luc 24,25-27
suppose galement une tradition du Messie souffrant qui est ancienne. Point
nest besoin de recourir la tradition de la mort des Ephraimites qui quittrent lEgypte cause dune erreur de calcul (Tj I Ex 13,17 et Tg Ez 37) pour
expliquer la mort du Messie, ls dEphraim28.
Pour dater cette tradition nous disposons de deux textes. 3 Hnoch 45,5,
qui contient des matriaux qui pourraient remonter lpoque des Maccabes29, mentionne la gure du Messie, ls dEphraim, oppos au Messie, ls
de David, sans quil soit question de sa mort. 4 Esdras 7,28-30 dcrit ainsi la
n du monde : Mon ls le Messie sera rvl en mme temps que ceux qui
sont avec lui et ceux qui auront survcu se rjouiront durant quatre cents ans.
Puis mon ls, le Messie, mourra avec tous les humains. Le monde reviendra
son ancien silence, pendant sept jours comme au premier commencement
an que personne ne subsiste. Dans ce texte il est question de la mort du
25. Levey, The Messiah, 16 ; Klausner, The Messianic Idea, 492. Cest galement le point de
vue de G. Verms et de G.F. Moore. Par contre J. Jeremias, H. Riesenfeld, W.D. Davies pensent
que la tradition est pr-chrtienne.
26. Des lments de ce paralllisme sont dj prsents dans le Nouveau Testament o Jsus
est appel ls de Joseph. Dans le rcit du signe de Cana Marie dit aux serviteurs : Tout ce
quil vous dira faites-le. Cette parole renvoie Gen 41,55. La scne du lavement des pieds a
un antcdent en Gen 43,24.
27. F. Manns, Une nouvelle source littraire pour ltude du judo-christianisme, in Id.,
Les enfants de Rbecca, Paris 2002, 48-61.
28. J. Heinemann, The Messiah of Ephraim and the premature Exodus of the tribes of
Efraim, HTR 68 (1975) 1-15.
29. J.H. Charlesworth, Messianology in the Biblical Pseudepigrapha, in J.H. Charlesworth
- H. Lichtenberger - G.S. Oegema (ed.), Qumran messianism. Studies on the Messianic expectations in the Dead Sea Scrolls, Tbingen 1998, 41.
307
Messie. Le thme du Messie guerrier est ancien. On le trouve dans les oracles
de Balaam (Nb 23,15-24). Il semble bien quil faille distinguer la typologie
du Messie, ls de Joseph et celle du Messie, ls dEphraim.
Revenons au texte de Jn 19,37 qui, au lieu du verbe epiblep de la LXX,
a recours au verbe hora. Le verbe hora employ 66 fois dans lEvangile est
avec theore, theaomai et blep un des verbes de la vision30. Lorsquil a pour
objet Jsus hora aborde le problme de la foi. Voir les signes oblige se prononcer pour ou contre le Christ31. Voir et croire sont souvent associs32. En Jn
6,29.40.65 loeuvre de Dieu consiste croire en celui que Dieu a envoy. Celui
qui voit (theore) et croit en lui a la vie ternelle. Jn 12,44-45 met galement
en rapport les verbes voir et croire, comme dailleurs Jn 14,9-11.
Le thme du voir et croire prend un supplment de sens lorsquil est mis
en lien avec le signe du Fils de lhomme. Quatre textes mritent dtre pris en
considration : Jn 1,50-51 qui relate le dialogue avec Nathanal ; Jn 3,12-18
qui suit le dialogue avec Nicodme ; Jn 8,28-30 qui est situ durant la fte
des Tentes et Jn 12,23-36 qui prsente le krygme aux Grecs qui veulent voir
Jsus33. Il convient de noter que ces textes parlent de lexaltation du Fils de
lhomme (Hypsothnai en 3,14 et 8,2834 ; doxasthnai en 12,23). Lexaltation
du Fils de lhomme signie la fois sa mort et sa glorication. En Jn 1,51 le
Christ est proclam nouveau Temple35. De ce Temple devait jaillir leau vive
selon Jn 7,38. En Jn 3,14-15 le serpent dairain lev est une gure de llvation de Jsus sur la croix36 ; selon le texte biblique37 ceux qui regardaient
le signe dress dans le dsert taient guris par Dieu. En Jn 12,24 Jsus
afrme que le grain de bl qui meurt porte beaucoup de fruit, et en 12,32 il
promet quune fois lev de terre il attirerait lui tous les hommes.
Freed pense que le sujet du verbe opsontai est identique celui de ceux qui
se lamenteront sur le Fils lors du jugement eschatologique38. En effet Za 12,10,
oracle de salut, est cit galement en Mt 24,30 et en Ap 1,7, textes qui se r30. W. Michaelis, hora, TWNT 5, 343-344.
31. Jn 2,18.22.23 ; 6,30 ; 7,31.
32. Jn 1,7 ; 3,26.28.32-36.
33. Voir Is 52,15 (LXX).
34. Le verbe est employ en Is 52,13 (LXX).
35. Le thme est repris en Jn 2,19-22 et en Jn 4,19-28.
36. La tradition juive met le Messie en rapporte avec le serpent car la gmatrie des mots
308
F. MANNS
nest cependant pas question du transperc. Seul le verbe opsontai est repris ainsi que le thme
de la lamentation. Il sagit dune vision cleste et eschatologique du Fils de lhomme.
41. Reim, Studien, 88-96.
309
1996, 332-333.
43. Freed, Old Testament Quotations, 126.
44. Non pas dans la version des LXX, mais du Targum qui remplace le terme cananen
par marchand.
310
F. MANNS
45. Voir louvrage de C. Panackel, Idou ho anthrpos, Roma 1988. Lauteur expose toutes
les thories proposes par les Pres et les exgtes modernes la lumire des autres textes
johanniques qui font intervenir anthrpos. Il rduit le sens de anthrpos celui de ls de
lhomme, ls de Dieu, serviteur souffrant et homme par excellence. Il oublie de mentionner
que la LXX de Nb 24,7 et Nb 24,17 donne au terme anthrpos une dimension messianique
conrme par le Targum.
46. Eusbe, Praep XI,15
47. Cit du Vatican 1993, II A2.
R. Pierri
I. Concordanza a senso dellarticolo nel greco biblico (NT - LXX)
In questa nota si rileva il fenomeno della concordanza a senso dellarticolo
nel greco biblico (NT - LXX)1. Come si vedr, si tratta di una forma di
ellissi piuttosto rara. I casi elencati di seguito riguardano la concordanza a
senso nel numero: singolare - plurale2.
NT
At 2,53 Hsan de; eij " Ierousalh; m katoikou' n te" Ioudai' o i, a[ n dre"
eujlabei'" ajpo; panto;" e[qnou" tw'n4 uJpo; to;n oujranovn Soggiornavano allora a Gerusalemme dei Giudei, uomini pii (provenienti) da ogni nazione
che sono sotto il cielo5.
LXX6
Nm 16,34 kai; pa'" Israhl oiJ (vs rv,a}) kuvklw/ aujtw'n e[fugon7.
1. Salvo altra indicazione, i testi di riferimento sono per i Lxx: A. Rahlfs - R. Hanhart (ed.),
Septuaginta. Editio altera, Stuttgart 2006; per il Nuovo Testamento: B. et K. Aland et alii,
Novum Testamentum Graece, Stuttgart 199327.
2. La registrazione del corrispondente ebraico (per i LXX) permette di comprendere meglio
le possibili e concorrenti rese in greco.
3. Unico esempio nel NT.
4. Il singolare tou' appare nel codice Y. Cf. R. Swanson (ed.), New Testament Greek Manuscripts. Variant Readings Arranged in Horizontal Lines Against Codex Vaticanus. The Acts
of the Apostles, Shefeld - Pasadena 1998, 16.
5. La Vulgata ha: ex omni natione, quae sub caelo sunt. Appare il singolare est nei codici
F A S e nelle edizioni Clementina e di I. Wordsworth - H. I. Withe - H. F. D. Sparks. Cf.
Biblia Sacra iuxta Vulgatam editionem, Stuttgart 1969, ad locum. La lingua latina non ha
n larticolo n il participio presente del verbo sum. Dove la lingua greca ha il participio
attributivo la lingua latina ha il pi delle volte una proposizione relativa. La Vulgata evidenzia come, nei passi considerati, il contesto permette la concordanza a senso.
6. Pochi esempi.
7. J. W. Wevers, LXX. Notes on the Greek Text of Numbers (SCS 46) 1998, 276: All Israel
is anderstood as a collective, and rva is rendered by the plural oiJ. La Vulgata ha: omnis
Israhel, qui stabat. In latino, naturalmente, si ha lintegrazione del verbo.
LA 56 (2006) 311-316
312
R. PIERRI
1Re 14,15 kai; pa'" oJ lao;" oiJ ejn messab (vs bX;M'h').
1Re 14,21 meta; Israhl tw'n (vs rv,a})8 meta; Saoul kai; Iwnaqan.
1Mac 5,45 kai; sunhvgagen Iouda" pavnta Israhl tou;" ejn th'/ Galaadivtidi9.
DanTeod. 9,7 kai; panti; Israhl toi'" ejggu;" kai; toi'" makra;n10 (vs ybiroQ]h'
yqijorh;w) ejn pavsh/ th'/ gh'/11.
Dagli esempi si nota che lantecedente dellarticolo sempre un collettivo. La traduzione richiede lintegrazione del participio attributivo del
verbo eijmiv o di un sinonimo o di altro verbo ricavabile dal contesto, come
risulta da altri testi in cui il participio si trova espresso.
Nei testi che seguono la concordanza ancora a senso ma il participio (non solo di eijmiv) espresso: Dt 4,17 oJmoivwma panto;" kthvnou"
tw'n o[ntwn12 (vs rv,a}) ejpi; th'" gh'"; 1Re 2,14 kata; tavde ejpoivoun panti;
Israhl toi'" ejrcomevnoi"13 (yaiB;h') qu'sai kurivw/ ejn Shlwm; 3Re 12,10 tavde
lalhvsei" tw'/ law'/ touvtw/ toi'" lalhvsasi (WrB]Di rv,a}) pro;" sev14.
noto che il participio attributivo una costruzione concorrente a quella del relativo15. Molto frequente larticolo pienamente concordato con
8. I codici c x hanno tou'. Cf. A. E. Brooke - N. McLean - H. St. J. Thackeray (ed.), The
Old Testament in Greek, vol. II, parte I, Cambridge 1927, 43. Il plurale appare nella Vulgata:
cum Israhele, qui erant.
9. Nella Vulgata il plurale si ha gi nellantecedente: ... universos Israhelitas, qui erant in
Galaditiden.
10. Nel corrispondente testo dei LXX si ha kai; panti; tw'/ law'/ Israhl tw'/ e[ggista kai; tw'/
ajpwtevrw.
11. Nella Vulgata si legge: omni Israhel, his qui prope sunt et his qui procul.
12. Ma in seguito si ha oJmoivwma panto;" ojrnevou pterwtou' o} (vs rv,a}) pevtatai uJpo; to;n
oujranovn. Il participio attributivo al singolare (tou' o[nto") si trova in Teodoreto di Ciro (Dtap)
e nelle versioni etiopica e bohairica. Cf. J. W. Wevers (ed.), Deuteronomium, Gttingen
1977, ad locum. Nella Vulgata si legge: similitudinem omnium iumentorum quae sunt
super terram vel avium sub caelo volantium.
13. Attestato il singolare <tw'/ ejrcomevnw/> 74 in Brokke - McLean - Thackeray, vol. II, parte
I, 7: codice dalledizione di R. Holmes - J. Parsons, Vetus Testamentum Graecum cum variis
lectionibus, I-V, Oxford 1798-1827. Il plurale appare anche nella Vulgata: sic faciebant
universo Israheli venientium in Silo.
14. Nella Vulgata: sic loquere populo huic qui locuti sunt ad te.
15. A modo di esempi si offrono testi tratti dai LXX e dal NT ma senza concordanza a
senso. In Gen 23,9 kai; dovtw moi to; sphvlaion to; diplou'n o{ ejstin (vs rv,a}) aujtw'/, to; o]n
(vs rv,a}) ejn mevrei tou' ajgrou' aujtou' il traduttore, come si vede, rende il relativo ebraico
rv,a} con una relativa e un participio attributivo. In Lv 4,9 kai; tou;" duvo nefrou;" kai; to;
313
lantecedente, con ellissi, in genere, del participio di eijmiv (pi raro di altro
verbo16) che pone in posizione attributiva un complemento, un avverbio,
un pronome, un nome17.
II. Nota su o{ti in Gal 4,6
Sullinterpretazione del valore contestuale della congiunzione o{ t i in
Gal 4,6 vi sono tre pareri: causale (Perch), dichiarativo (E che),
dimostrativo-effettivo (E la prova che18). Il testo Oti dev ejste uiJoiv,
ejxapevsteilen oJ qeo;" to; pneu'ma tou' uiJou' aujtou' eij" ta;" kardiva" hJmw'n
kra'zon: ajbba oJ pathvr.
stevar to; (vs rv,a}) ejp aujtw'n o{ ejstin (vs rv,a}) ejpi; tw'n mhrivwn lattributivo tov ellittico
del participio o[n. Un caso analogo in 2Re 7,9 kai; h[mhn meta; sou' ejn pa'sin oi|" (vs rv,a})
ejporeuvou... kai; ejpoivhsav se ojnomasto;n kata; to; o[noma tw'n megavlwn tw'n (vs rv,a}) ejpi;
th'" gh'". In Gdc 6,11 uJpo; th;n dru'n th;n ou\san (vs rv,a}) ejn Efraqa th;n (vs rv,a}) tou'
Iwa" il participio di eijmiv presente solo la prima volta. DanLXX 12,6 ha kai; ei\pa tw'/
eJni; tw'/ peribeblhmevnw/ ta; buvssina tw'/ (vs rv,a}) ejpavnw, ma in Teodozione si trova o}" h\n
ejpavnw. Nel NT un esempio di articolo come variante del relativo si trova in Col 1,4 kai;
th;n ajgavphn h}n e[cete (thvn D2 Y 1739. 1881 ) eij" pavnta" tou;" aJgivou". Anche in questo
caso lalternativa alla relativa il participio attributivo: lintegrazione del participio ou\san
(o di altro verbo) appare possibile. In genere, se si scioglie il participio attributivo in forma
esplicita con una relativa, cio con verbo nito, il relativo va al nominativo, come dimostrano le varianti dei seguenti passi del NT. In Gv 4,14 invece di o}" d a]n pivh/ (ejk tou' u{dato")
di altri testimoni (lezione del testo critico) nei codici * D si ha oJ de; pivnwn. At 10,5 (kai;
metavpemyai Sivmwnav tina) o}" ejpikalei'tai Pevtro" ma to;n ejpikalouvmenon Pevtron in E Y
33 (cf. 11,13); 14,15 (ejpistrevfein ejpi; qeo;n zw'nta,) o}" ejpoivhsen (ma to;n poihvsanta
in D) to;n oujrano;n kai; th;n gh'n. Rm 16,7 (oi{tinev" eijsin ejpivshmoi ejn toi'" ajpostovloi",)
oi} kai; pro; ejmou' gevgonan ejn Cristw/' ma toi'" pro; ejmou' in D F G.
16. Contestualmente, in Es 29,23, il traduttore integra (nel Testo Masoretico non ha corrispondenza) il participio proteqeimevnwn nel passo tw'n ajzuvmwn tw'n (vs rv,a}) proteqeimevnwn
e[nanti kurivou.
17. Ci limitiamo ad alcuni testi. Es 7,17 ejgw; tuvptw th'/ rJavbdw/ th'/ (vs rv,a}) ejn th'/ ceiriv mou
ejpi; to; u{dwr to; (vs rv,a}) ejn tw'/ potamw'/; Dt 21,2 ejpi; ta;" povlei" ta;" kuvklw/ (vs rv,a}) tou'
traumativou; 2Re 16,13 kai; prosevceen to; ai|ma tw'n eijrhnikw'n tw'n (vs rv,a}) aujtou' ejpi; to;
qusiasthvrion; 2Par 1,16 kai; hJ e[xodo" tw'n i{ppwn tw'n (vs rv,a}) Salwmwn ejx Aijguvptou.
18. Questo valore mi stato segnalato dal professore Angel Urbn (Univerdidad de Crdoba), a cui devo anche il rinvio a Nuevo Testamento. Traduccin del Nuevo Testamento por
J. Mateos - L. Alonso Schkel. Introducciones, notas y vocabulario bblico de J. Mateos con
la colaboracin de F. Camacho, A. Urbn, J. Rius, J. Barreto, Madrid 19872, 1356: Y la
prueba de que sois hijos, es que Dios envi. Similmente in C.F.D. Moule, An Idiom Book
of New Testament Greek, Cambridge 19592, 147: not because you are sons, God sent,
but [proof] that you are sons [is the fact that] God sent. Grassetto dellautore. - Dopo
aver accennato al valore causale e dichiarativo, M. Zerwick, Graecitas biblica (1966) 419
osserva: Ex contextu omnino praeferenda haec altera interpretatio (sed ex parte linguae res
314
R. PIERRI
315
elemento in un dato contesto, si afferma una sua possibile ellissi. nota la frequenza di
questo fenomeno. In un contesto ellittico lelemento mancante, sia pure unintera proposizione, non investe la struttura coordinante o subordinante del testo. Se lellissi reale,
lo anche lintegrazione. In questo caso lelemento integrato non comporta laggiunta
di altri elementi di sostegno o reggenza nel contesto, soprattutto di una congiunzione
coordinante che lo unisca a un altro elemento. Infatti spesso si dice che vi lellissi
di una proposizione (soprattutto di un verbo), ellissi per sostenuta dalla costruzione e
soprattutto dalla presenza di un elemento che funge da segnale dellellissi, in genere
una congiunzione, a meno che, in linea ipotetica, non si tratti di un inciso o si sostenga
che vi sia un rapporto sintattico paratattico. Ma unipotesi tutta da dimostrare. Si pu
dare il caso che vi sia lellissi di mevn (particella) o di dev (congiunzione) ma nel testo
non pu mancare anche lelemento correlato o coordinato. O manca luno o laltro, non
possono mancare entrambi. Pena loscurit espressiva. Al riguardo si confrontino gli
esempi di ellissi nel NT in BDR 480-481. Istruttivo anche il paragrafo 483 successivo sulla brachilogia.
24. Non il pleroma del tempo a stabilire quando Dio deve inviare il Figlio, quasi che il
tempo sia rispetto a Dio ci che il fato rispetto agli di. Ma Dio, che aveva stabilito di
mandare il Figlio e lo Spirito, li invia determinando il pleroma del tempo. Nessun determinismo al di sopra di quanto Dio ha stabilito.
316
R. PIERRI
25. Ci si pu chiedere se questa interpretazione si possa portare nellambito della nota di-
L. Cignelli
en cause par Paul?, Filologa Neotestamentaria 16/31-32 (2003) 85-101. Bibbia Cei =
La Sacra Bibbia della CEI (Conferenza Episcopale Italiana), ed. princeps 1971. BDAG =
W. Bauer - F.W. Danker - W.F. Arndt - F.W. Gingrich, A Greek-English Lexicon of the New
Testament and other Early Christian Literature, Chicago - London 20003. BDR = F. Blass
- A. Debrunner - F. Rehkopf, Grammatica del Greco del Nuovo Testamento. Ed. italiana a
cura di G. Pisi, Brescia 1982. BJ = La Bible de Jrusalem, Paris 1973. Garavelli = B.M.
Garavelli, Manuale di retorica, Bompiani 19926. Lagrange = J. Lagrange, vangile selon
Saint Luc, Paris 19274; Id., vangile selon Saint Matthieu, Paris 19274. LEH = J. Lust - E.
Eynikel - K. Hauspie, A Greek-English Lexicon of the Septuagint, Stuttgart 2003. Mateos
I = J. Mateos, El aspecto verbal en el Nuevo Testamento (Estudios de Nuevo Testamento I),
Madrid 1977. Schmid = J. Schmid, LEvangelo secondo Matteo, Brescia 1976. Smyth
= H.W. Smyth, Greek Grammar. Revised by G.M. Messing, Cambridge 1956 (rist. 1976).
Zerwick = M. Zerwick, Graecitas biblica Novi Testamenti, Romae 19665. Zorell = F.
Zorell, Lexicon Graecum Novi Testamenti, Parisiis 19904.
LA 56 (2006) 317-320
318
L. CIGNELLI
grande di lui. Cos interpretavano gi non pochi Padri, tra cui S. Agostino
(cf. Zerwick 149; Lagrange, vangile selon Saint Luc, 220). Secondo
Zorell, mikrov" nel senso di giovane un ebraismo (cf. Lxx Gen 42,32,
dove oJ mikrovtero" indica Beniamino rispetto ai fratelli ed sinonimo di oJ
newvtero" il pi giovane che compare ripetutamente prima e dopo: cf. vv.
13.15.20.34; 43,3.5.29.33; ecc.; cf. Zorell, s.v. mikrov" 1b; inoltre BDAG,
s.v. mikrov" 1b; 2a; LEH, s.v. mikrov"). Se si accetta questa seconda esegesi, in Mt 11,11 abbiamo il primo esempio in cui Ges afferma la propria
superiorit rispetto a personaggi e realt precendenti parlando di s, com
solito fare, in terza persona (cf. altri esempi in Mt 12,6.41.42), nonch una
conferma di ci che il Precursore ha detto di lui in Mt 3,11 oJ de; ojpivsw
mou ejrcovmeno" ijscurovterov" mouv ejstin ma colui che viene dopo di me
pi forte di me.
2. Mt 12,7 eij de; ejgnwvkeite tiv ejstin: e[leo" qevlw kai; ouj qusivan, oujk
a]n katedikavsate tou;" ajnaitivou" Ma se aveste capito che cosa signica:
Voglio misericordia e non/pi che sacricio (Os 6,6), non avreste condannato questi innocenti/degli innocenti. In base al contesto, larticolo di tou;"
ajnaitivou" non generico, come viene perlopi inteso: degli innocenti
o individui senza colpa (Bibbia Cei), ma piuttosto individuante deittico:
questi innocenti, cio i discepoli che stanno con Ges (cf. Lagrange,
vangile selon Saint Matthieu, 235; Schmid 272).
3. Gv 19,11 oJ paradouv" mev soi meivzona aJmartivan e[cei colui che/
chi mi ha consegnato a te, ha un peccato pi grande. Se larticolo di oJ
paradouv" individuante, indica colui che/quel tale che mi ha consegnato: il sinedrio? Caifa? Giuda Iscariota? (cf. nota della BJ). Se invece
generico, indica chi/chiunque/quanti mi hanno consegnato, cio tutti
i peccatori (Rm 3,23; 5,12).
4. 1Ts 2,14-15 (testo importante nel dialogo giudaico-cristiano) Umei'"
ga;r mimhtai; ejgenhvqhte, ajdelfoiv, tw'n ejkklhsiw'n tou' qeou' tw'n oujsw'n
ejn th/' Ioudaiva/ ejn Cristw/' Ihsou', o{ti ta; aujta; ejpavqete kai; uJmei'" uJpo;
tw' n ij d iv w n sumfuletw' n kaqw; " kai; auj t oi; uJ p o; tw' n Ioudaiv w n, 15tw' n
kai; to;n kuvrion ajpokteinavntwn Ihsou'n kai; tou;" profhvta" kai; hJma'"
ejkdiwxavntwn kai; qew/' mh; ajreskovntwn kai; pa'sin ajnqrwvpoi" ejnantivwn
Voi infatti, fratelli, siete diventati imitatori delle/di quelle Chiese di Dio
che sono nella Giudea, in Cristo Ges, dal momento che voi pure avete
sofferto le stesse cose da parte dei vostri connazionali, come anche loro
(i giudeo-cristiani in Terra Santa) da parte dei giudei, i quali/da parte di
319
quei giudei che hanno ucciso perno il Signore e i loro profeti, hanno perseguitato anche noi, non piacciono a Dio e (sono) contrari a ogni specie
di uomini.
Se larticolo di tw'n Ioudaivwn generico, allora si tratta dellinsieme dei
giudei, di tutto il popolo giudaico, e i participi articolati che seguono sono
appositivi (sostantivati), come appunto li intendono gli editori mettendo la
virgola dopo il termine reggente tw'n Ioudaivwn: da parte dei giudei (in
genere), i quali/essi che. Abbiamo, di conseguenza, un esempio di generalizzazione. Ma sappiamo che le generalizzazioni, specie in negativo,
sono arbitrarie e pericolose. Daltra parte, la generalizzazione non esclude
di per s le eccezioni, poche o molte non importa, per cui anche questa
interpretazione (corrente nelle traduzioni moderne) ci sembra sostenibile.
noto, ad es., che larticolo di oiJ Ioudai'oi nel IV Vangelo abitualmente
generico (cf. Gv 1,19; 2,18; 5,10.15-16.18; ecc.). Del resto, nelle scienze
umane, qual anche la lologia, si pu e si deve essere possibilisti.
Se invece larticolo di tw'n Ioudaivwn individuante deittico, come nel
versetto precedente (delle Chiese/di quelle Chiese che sono nella Giudea), allora si tratta soltanto di una parte dei giudei (quelli anticristiani),
e i participi articolati che seguono sono piuttosto attributivi, per cui va
tolta la virgola dopo tw'n Ioudaivwn: da parte di quei giudei che hanno
ucciso, non gi di tutti (cf. in questo senso Amphoux 85-101, il quale
si batte per questa interpretazione, ma senza dare sufcienti ragioni lologiche e, per giunta, facendo confusione tra participio determinativo, attributivo/appositivo, e participio circostanziale congiunto: ivi 87-88). Stando
quindi a questa seconda interpretazione, sintatticamente possibile ed esegeticamente preferibile, il senso di tw'n Ioudaivwn e dei suoi participi attributivi restrittivo, indica cio solo i giudei anticristiani (specie sinedriti
e sacerdoti), di cui faceva parte anche Paolo prima della conversione (cf.
Gal 1,13-14; At 6,15; 7,58; 8,1; 9,1-2.13-14; ecc.). Ma anche interpretando
come appositivi i participi dipendenti da tw'n Ioudaivwn, si pu evitare la
generalizzazione se intendiamo e traduciamo come segue: da parte
dei giudei, di quelli (soltanto cio) che hanno ucciso. Secondo questa
traduzione anche larticolo dei participi appositivi esplicativi individuante
deittico e di valore restrittivo.
5. Un esempio del tutto analogo a 1Ts 2,14-15 si ha in Mc 12,38 Kai;
ejn th/' didach/' aujtou' e[legen: blevpete ajpo; tw'n grammatevwn tw'n qelovntwn ejn stolai'" peripatei'n kai; ajspasmou;" ejn tai'" ajgorai'" E (Ges)
diceva nel suo insegnamento: State in guardia da quegli scribi/dagli scribi, da quelli (cio) che amano passeggiare con lunghe vesti e saluti nelle
320
L. CIGNELLI
piazze. Qui pure, in base al contesto (cf. vv. 28-34, dove Ges approva
uno scriba onesto; cf. anche 7,1 tine;" tw'n grammatevwn alcuni degli scribi), larticolo di tw'n grammatevwn devessere individuante deittico (cos
lo intendono gli editori non mettendo la virgola dopo questo genitivo) e
il participio articolato che segue o attributivo (prima traduzione) oppure
appositivo esplicativo (seconda traduzione). Nelluno e nellaltro caso, non
si tratta quindi di tutti gli scribi, ma solo di una parte, di quelli cio ostili
a Ges. Unaltra (antipatica) generalizzazione evitata Ma qui pure vale
losservazione fatta a proposito dellesempio precedente, che cio la generalizzazione non esclude le eccezioni.
Lino Cignelli, ofm
Studium Biblicum Franciscanum, Jerusalem
RENUNCIATION OF WILL
IN THE MONASTIC SCHOOL OF GAZA
A. Kofsky
From the outset of Christian monastic history, renunciation was universally considered an initial step along the ascetic path. Yet, in the various circles of early monastic tradition there were different emphases on
renunciation (apotagh/ or apo/taxi). Anchoritic monasticism, it seems,
felt less threatened by the dangers of personal will because the new, selfimposed seclusion brought about what psychologists call a shrinkage of
the self,1 though apparently it did not result in a corresponding shrinkage
of the consciousness of the self.2 In contrast to anchoritic monasticism,
coenobitic monasticism placed paramount importance on social cooperation and obedience. The monastic value of renunciationor, better, repression; the eradication, cutting out of the will (to\ ko/yai to\ qelhma or
ekkoph/)in early monastic literature is manifested in essentially four
main contexts, often supported by scriptural verses. It can appear as an
independent ascetic value: self-effacement and self-annihilation before
God; in the context of a non-hierarchic relationship with othersthese
two contexts being characteristic of the anchoritic setting; in the context
of a disciple-teacher/spiritual father relationship; or as part of the supreme
monastic value of obedience in the communal framework of coenobitic
life. However, close examination of the place of this topic in the paideia
of early monastic literature from the time of early Egyptian monasticism,
reveals a shift, an evolution in its importance and centrality, that can be
clearly traced in the various phases of the monastic school of Gaza, which
seems to have developed a special emphasis on extreme self-renunciation,
achieving its apogee in this circles late coenobitic forms and epitomized
in the second half of the sixth century in the vita of Dositheus, the disciple of Dorotheus.
Evagrius Ponticus, the great ideologue and psychologist of anchoritic
monasticism, does comment on the negative aspects of personal willbut
1. On asceticism as a phenomenon of self-shrinkage, see B.J. Malina, Pain, Power, and
LA 56 (2006) 321-346
322
A. KOFSKY
only briey.3 He contrasts ascetic effort with personal will and the desire
for honor: Let the ascetic labor of the virtues be an honor for you and
praise according to your will a dishonor (Estw soi timh\ oJ po/no twn
aretwn, kai atimia oJ kata qelhsin epaino).4 In discussing methods for
combating demons Evagrius states that pleasure, one of the roots of sin, is
hostile to humanity and born in free will:
It follows therefore that the fourth element is the cause of the sin,
namely, that which is not an object with substantial subsistence, nor the
mental representation of an object, nor even the incorporeal mind, but a
pleasure hostile to humanity, born of free will (hJdonh/ ti misanqropo ek
touv aujtexousiou tiktomenh), and compelling the mind to make improper
use of the creatures of God: it is the law of God that has been entrusted
with circumcising this pleasure.5
Here we can already note that, contrary to the Origenist tradition regarding free will as a conditio sine qua non for moral and ascetic life,
Evagrius perceives it as a purely negative psychic force leading to the
pursuit of pleasure and personal ambitiona concept that would be further
accentuated in the circle of Gaza, and one that nds a famous contemporaneous parallel in Augustine.6 Evagrius contrasts the human egoistic will
with the divine will, associating this comparison with the words of the
Lords Prayer:
Do not pray for the fulllment of your own wishes, for they do not
necessarily accord with the will of God (Mh\ proseu/cou sa qelh/mata
genesqai: oujde gar pantw sumfwnouvsi tw qelh/mati touv Qeouv). But
3. On Evagrius inuence in the monastic circle of Gaza, see Bitton-Ashkelony - Kofsky,
The Monastic School of Gaza, 174-175. Cf., however, F. Neyt, Le vocabulaire de Barsanuphe et de Jean de Gaza, Studia Patristica 12 (1975) 247-253. Neyt has concluded, on the
basis of the letters of the Old Men to Dorotheus, that the inuence of the Evagrian terminology was somewhat minor. However, it is difcult to agree with his conclusion about the
deliberate avoidance of the term apatheia in the correspondence. See Barsanuphius - John,
Questions and Answers, text and Fr. trans., F. Neyt, P. de Angelis-Noah, and L. Regnault,
SC 426-427, 450-451, 468, Paris 1997-2002; SC 427, p. 507, note 6. The editors of the text
believe that their avoidance of the term reects the tendency of the Old Men to distance
themselves from Evagrian terminology.
4. Evagrius, To Euglogius: On the Confession of Thoughts and Counsel in Their Regard
3.3. (PG 79, cols. 1093-1140; Eng. trans. R.E. Sinkewicz, Evagrius of Pontus: The Greek
Ascetic Corpus, Oxford 2003).
5. Evagrius, On Thoughts 19 (ed. and Fr. trans., A. Guillaumont, C. Guillaumont and P.
Ghin, SC 438, Paris 1998; Eng. trans. Sinkewicz, Evagrius of Pontus).
6. See, for example, Augustine, De spiritu et littera 5; Ep. 217 (to Vitalis); De correptione
et gratia 34-38.
323
pray rather as you were taught, saying: Your will be done in me (Matt
6:10). And in every matter entreat him in this way that his will be done,
for he wills what is good and benecial for your soul, but you are not
necessarily looking for this.7
grius of Pontus).
8. Evagrius, Chapters on Prayer 32.
9. On the Evagrian ideal of apatheia, see B. Maier, Apatheia bei den Stoikern und Akedia
bei Evagrius Pontikus: Ein Ideal und die Kehrseite seiner Realitt, Oriens Christianus 78
(1994) 230-249; J. Driscoll, Apatheia and Purity of Heart in Evagrius Ponticus, in H.A.
Luckman and L. Kulzer (ed.), Purity of Heart in Early Ascetic and Monastic Literature,
Collegeville 1999, 141-159; C. Joest, The Signicance of Acedia and Apatheia in Evagrius Ponticus, American Benedictine Review 55 (2004) 121-150, 273-307. On the evolution of the concept of apatheia in early Christian literature, see M. Spanneut, Lapatheia
chrtienne aux quatre premiers sicles, Proche-Orient Chrtien 52 (2002) 165-302, esp.
284-300; M. Sheridan, The Controversy over APAQEIA: Cassians Sources and His Use
of Them, Studia Monastica 39 (1997) 287-310.
10. Evagrius, Chapters on Prayer 89.
324
A. KOFSKY
Evagrius of Pontus). Cf. J. Driscoll, Spiritual Progress in the Works of Evagrius Ponticus, in J. Driscoll and M. Sheridan (ed.), Spiritual Progress. Studies in the Spirituality of
Late Antiquity and Early Monasticism (Studia Anselmiana 115), Rome 1994, 47-83; idem,
Evagrius and Pahphnutius on the Causes for Abandonment by God, Studia Monastica 39
(1997) 259-286.
12. See L. Regnault, Obissance et libert dans la Apophtegmes des Pres, Studia Anselmiana 70 (1977) 47-72 = idem, Les Pres du dsert travers leurs Apophtegmes, Solesmes 1987, 87-111; G. Gould, The Desert Fathers on Monastic Community, Oxford 1993,
33-36.
13. Apophthegmata (alphabetic) Poemen 36; Regnault, Obissance ed libert, 96-97;
Gould, The Desert Fathers, 34.
14. Apophthegmata (alphabetic) Poemen 54.
325
Fathers, 30.
17. See I. Hausherr, Direction spirituelle en Orient autrefois (Orientalia Christiana Analecta
144), Rome 1955; G. Filoramo (ed.), Storia della direzione spirituale, I, Brescia 2006.
18. Apophthegmata N 290.
326
A. KOFSKY
teaching, wishes to climb up to heaven by his own will, should be restrained.19 But the Apophthegmata also shows recognition of the possible
complexity of disciple-father relationship as potentially counteractive to
the renunciation imperative. This complexity is illustrated by the episode
of the brother who told an old man that he was looking to nd an old
man who suits his wishes. The old man said to him: Isnt it in fact
the case that you want to nd rest not by conforming to the will of an
old man, but by his conforming to your will?20 This would be, in fact,
a reversal of roles. The old man points out the brothers error of looking
for someone compatible with him or even looking to impose his own will
on a father, rather than submitting to the latters guidance. The brother
will nd rest only by abandoning his own will and conforming to the
will of an old man who, as Poemen put it, really knows what I want.21
To nd rest, comfort from God, as a remedy for ones spiritual plight,
and to prevail over his own will, appear here to be the main reasons for
submitting to the guidance of a father.
In addition to his submission to a spiritual guide, however, the social
exigencies of existence, even in a hermitic or semi-anchoritic monastic
community, expand the monks renunciation of self-will into a general social virtue in the context of relationship with fellow monks:
A brother said to an old man, I do everything that is necessary in
my cell, yet I do not nd comfort from God. The old man answered him,
This happens to you because you live with someone who is idle, and want
to impose your own will Go, and adhere to someone who fears God,
and humble yourself before him, surrendering your own will. And then
you will nd comfort with God.22
The problem here is that the brother evidently knows there is something
wrong, since he has no comfort from God. The answer is that he has not
yet learnt the lesson of renouncing his own will, which is learned by living in submission to a father. The following saying refers more explicitly
to the need for renunciation of ones own will in the context of relationships with fellow monks: Do not fulll your own will (Mh\ plhrwsh to\
qelhma sou); rather, you must humble yourself before your brother.23 A
19. Apophthegmata N 244.
20. Apophthegmata N 245.
21. Apophthegmata (alphabetic), Poemen 143.
22. Apophthegmata N 484.
23. Apophthegmata (alphabetic), Poemen 158.
327
328
A. KOFSKY
forms into a cardinal monastic principle.27 For Abba Isaiah the general goal
of monastic practice is to maintain a constant mental disposition of fear of
God and innocence before God.28 However, this goal stimulates the cultivation of an intense dynamic of sin, where practically every external situation
creates an opportunity for committing a sin that is generally conceived of
as stemming from erroneous will (qelhma) exploited and manipulated by
demonic devices.29 The cornerstone of the spiritual culture of the monk is
the power of discernment (diakrisi) among the various types of thoughts
(logismoi) surfacing in his stream of consciousness.30 This discernment
requires continuous humility toward others31 and the suppression of selfwill (qelhma)32 and self-condence33emotions that arouse the demons
of enmity and sadness (lu/ph)34plus an awareness of the negative tendencies unconsciously active in the soul.35 The state of sin after the fall is
characterized by Abba Isaiah as counter-nature (parafusi or to\ para
fu/sin), and sins are perceived as parafu/sei.36 According to Abba Isaiah,
animals are superior to man in his fallen, distorted nature because they
have preserved their original nature. To restore his natural state man must
act like an animal, which has no self-will and no knowledge of its own.37
The ideal, natural human will contained seven positive wills, or positive
passions. These natural wills and positive passions were distorted by the
enemy into a shameful will containing the seven negative passions, or
27. See also Parrinello, La direzione spirituale nella comunit monastica di Isaia, 363-
365. Cf. L. Perrone, The Necessity of Advice: Spiritual Direction as a School of Christianity in the Correspondence of Barsanuphius and John of Gaza, in B. Bitton-Ashkelony and
A. Kofsky (ed.), Christian Gaza in Late Antiquity, Leiden 2004, 131-149. Perrone locates
this major change rather later in the monastic teachings of Barsanuphius and John in the
rst half of the sixth century.
28. Asceticon 9.10; 9.21.
29. Ibid., 4.75; 4.115.
30. Ibid., 16.55; 16.58; 16.114.
31. Ibid., 9.15; 18.53.
32. Ibid., 20.3; 26.11. Even the stimulation and desire to know things that do not strictly pertain to the monk prevent him from recognizing his own sins (ibid., 23,6). For a theoretical
discussion of desire, temptation, and resistance, see G.G. Harpham, The Ascetic Imperative
in Culture and Criticism, Chicago - London 1987, 45-67.
33. Asceticon 30.5c.
34. Ibid., 6.1.
35. Ibid., 26.23.
36. Ibid., 8.22; 17.7; 18.14.
37. Ibid., 8.60.
329
vices, which became the root of all sin.38 This scheme enabled Abba Isaiah
to introduce into his concept of ideal human nature and counter-nature the
psychological classication of the passions. He thus created two parallel
psychological systems: a positive psychology of will and passions according to nature, and a negative one according to counter-nature. This positive
psychology becomes a vital tool in the ascetic warfare against existential
negative mental forces. A residue of the natural positive will and passions
somehow remained with us after the fall and serves us to ght our mental
demons in the quest to restore the sinless state of nature.39
In this theoretical scheme the eradication of the human self-will is catapulted to the center stage of the monastic imperative. If one does not purify
his carnal wills (ean mh\ kaqarish eauton apo twn sarkikwn qelhmatwn)
he remains in the state of counter-nature and cannot avoid sin.40 But our
psychological and mental dispositions demonically operate against this endeavor. Despondency (akhdia) breeds self-will, which in turn engenders
arrogance (katafro/nhsi), and the mind (nouv) is bound by ones own wills
(qelh/mata).41 The struggle is intense, precisely because the will is hardened:
Every person binds himself to hell and looses himself, for nothing is harder
than will (oujden gar sklhro/teron qelh/mato), whether it inclines toward
death or toward life.42 Similarly stated in eschatological terms, one can
only lose his soul in order to save it (Matt 10:39), by entirely cutting out his
carnal will, To cut out the will is to be saved (to\ ko/yai to\ qelhma, touvto/
esti to\ swqhvnai).43 Scientically cutting out the self-will in everything
(to\ en gnwsei ko/ptein to\ qelhma sou ei panta) is now counted as among
the main ascetic practices engendering monastic virtues.44 Submission to
self-will (qelhma) and conding in ones own justice (dikaiosu/nh) violates
ones own authority, acquires enmity (ecqra) and submits one to the control
of the enemy; he cannot then escape the spirit (pneuvma), which introduces
sadness (lu/ph) into the heart, nor nd rest and see what is lacking.45
38. Ibid., 2.6; 2.10. Two notable sub-vices are the desire to teach, which nourishes anger,
and forgetfulness, which is perceived as the mother of all vices, destroying all ascetic accomplishments.
39. Ibid., 2.5-10.
40. Ibid., 17.7.
41. Ibid., 17.7; 21.61.
42. Ibid., 18.11.
43. Ibid., 21.24; 21.54.
44. Ibid., 1.33.
45. Ibid., 5.25; 6.1; 8.60.
330
A. KOFSKY
331
importance that Abba Isaiah assigns to the cutting out of the will as a prime
monastic commandment is further evident from his association of the renunciation of will with the fundamental ascetic practice of xeniteia: Let us cut
out every will of our heart and let us love living as strangers (Eko/ywmen
pan qelhma thv kardia hJmwn, kai agaph/swmen to\ xeniteu/ein).58
52. Ibid., 3.39.
53. Ibid., 26.24.
54. Ibid., 7.22; 28.2.
55. Ibid., 16.73.
56. Ibid., 25.20.
57. Ibid., 25.20. On penitence in the monastic school of Gaza, see Bitton-Ashkelony - Kof-
332
A. KOFSKY
Though Chalcedonian in their theology, Barsanuphius and John nevertheless continued the legacy of the anti-Chalcedonian monastic leader Abba
Isaiah in the region of Gaza.59 They adopted his model of spiritual guidance
in absentia as well as his hybrid type of monastic community. Moreover, their
correspondence manifestly reects Abba Isaiahs monastic teachings, and in
fact Barsanuphius explicitly acknowledges the importance in Abba Isaiahs
ascetic system of cutting out the self-will.60 In the monastic circle and ascetic
paideia of Barsanuphius and John, the spiritual ideal consisted in the progressive renunciation of self-will, intensied and crystallized into a program for
annihilation of the self. The individual, personal, selsh will was now regarded
as a major obstacle on the way to perfection, caused by the inner dialectics of
the logismoi. According to Lorenzo Perrone it is precisely the cutting out
(ekkoph/) of the willthis became a quasi-technical termthat is now perceived as the quintessence of ascetic progression and marks for Barsanuphius
and John the very essence of Christianity.61 Thus, according to Barsanuphius
the cutting out of self-will is the key to salvation, a precondition for being
resurrected and rewarded with the saints by attaining the right side of God.62
To emulate Abraham, one must cut out ones will, like him, and sacrice, in
intention, ones son.63 The fathers could not have succeeded in their ascetic
progress without cutting out the will.64 As with Abba Isaiah, the eradication
of the will is repeatedly raised in the correspondence of Barsanuphius and
John in association with humility and obedience. Humility means cutting out
and Egyptian monasticism, see A. Guillaumont, Le dpaysement comme forme dascsce
dans le monachisme ancien, in Idem, Aux origines du monachisme chrtien: pour une
phnomnologie du monachisme (Spiritualit Orientale 30), Abbaye de Bellefontaine 1979,
89-116.
59. On various aspects of Barsanuphius and Johns monastic personalities and leadership,
see I. Hausherr, Barsanuphe, Dictionnaire de Spiritualit, I, cols. 1255-1262; L. Regnault,
Jean de Gaza, Dictionnaire de Spiritualit, VIII, cols. 536-538; D.J. Chitty, The Desert
a City: An Introduction to the Study of Egyptian and Palestinian Monasticism under the
Christian Empire, Oxford 1966, 132-140; L. Perrone, La chiesa di Palestina e le controversie cristologiche. Dal concilio di Efeso (431) al secondo concilio di Constantinopoli (553),
Brescia 1980, 296-307; Bitton-Ashkelony - Kofsky, The Monastic School of Gaza. On the
possibility of Barsanuphius and John entertaining anti-Chalcedonian sentiments disguised
by their brand of quietist asceticism, see ibid., pp. 213-222.
60. Barsanuphius and John, Questions and Answers 528.
61. See Perrone, The Necessity of Advice, 136-138.
62. Questions and Answers 187, 613.
63. Ibid., 810.
64. Ibid., 165. See also ibid. 141, where Barsanuphius, regarding his sacrice of a piece of
bread from his xed weekly portion, sent to a priest who asked for it, writes: it is benecial
even in this to cut off the self-will.
333
the self-will in everything. It enables cutting out the root of the passions and
pride that cause inappropriate conduct.65 In a set of basic instructions to a
former soldier who had recently become a monk, Barsanuphius urges him not
to maintain his will in anything, because it breeds anger, probably reecting
here the same motif as in Abba Isaiah.66 The words of the Lords Prayer: And
lead us not into temptation (Matt 6:13) mean that we should not be tempted
by our own will and desire, because the soul yielding to such temptation
brings death. The righteous prays in two ways: in one he asks to be tempted,
with Gods permission, as a salvic test; in another he asks not to be tempted
by his self-will in order not to lose his soul.67 Self-will precludes compunction (penqo).68 Without cutting out self-will the heart is not sensitive. It is
the lack of faith that prevents the cutting out of the will. Without cutting out
the self-will there is no point in asking for progress in the ascetic life.69 One
who has no self-will and constantly accuses himself on every occasion, nds
the mercy of God.70 A sort of a call to martyrdom is thus formulated on the
basis of Jesus appeal to abandon everything and follow him. Barsanuphius
advises Dorotheus accordingly: To abandon ones own will is a spilling of
blood. That is, to get there one must strive unto death and set aside his own
will (to\ afeinai to\ idion qelhma, aimatocusia esti: touvt esti to\ fqasai
tina kopiasai ew qanatou kai aqethvsai to\ qelhma auJtouv ).71 These words
are closely echoed by John, who declares that he who seeks the eternal life
will strive to guard Christs words, up to shedding his own blood through the
cutting out of his self-will. Since whoever seeks his own willabhorred by
Godwill have no part with Christ.72
Obedienceoften associated with humilityis the most common
means and context for the cutting out of the will, perceived as a precondition for salvation. According to Barsanuphius and John, to be saved one
must cut out all his wills and acquire humility, obedience and submission,
65. Questions and Answers 462. On humility, obedeience, and cutting out self-will in Bar-
sanuphius and John, see also Perrone, The Necessity of Advice, 137-141.
66. Questions and Answers 498. See Abba Isaiah, Asceticon 7.22; 28.2.
67. Questions and Answers 392.
68. On the monastic virtue of compunction, see I. Hausherr, Penthos: La doctrine de la
componction dans lOrient chrtien (Orientalia Christiana Analecta 132), Rome 1944. Eng.
trans. A. Hufstader, Penthos: The Doctrine of Compunction in the Christian East, Kalamazoo 1982; P. Nagy, Le don des larmes au Moyen ge, Paris 2000, 41-104.
69. Questions and Answers 237.
70. Ibid., 243.
71. Ibid., 254.
72. Ibid., 583.
334
A. KOFSKY
keeping death continuously before his eyes. Cutting out self-will is the essence of these monastic virtues.73 The cause of our perdition is the weakness of our will. Humility, obedience and cutting out self-will in everything
regarding our neighbor are the remedy against arrogance and pride, which
work against the knowledge of the glory of the Son of God (2Cor 10:5)
and put down the re of the enemy.74 For Barsanuphius, his partner in the
spiritual leadership of the monastic community and his one-time disciple
John the Prophet is the model for the perfection in cutting out self-will. He
is humble and obedient, he is one with Barsanuphius and has renounced
unto death all his wills.75 We can observe in Barsanuphius and John an
intensication of the tendency to understand the cutting out of the will as
being primarily linked to obediencea tendency observed already in Abba
Isaiahcoming gradually to dominate the practice of ascetic life. For John,
the cutting out of the will is not only a part of obedience; it is in fact obedience that cuts out the will.
Obedience has now become the measure for all the other ascetic virtues. Even seclusion in the cell must come as an act of obedience and not
for the well-being of the monk. If practiced as obedience it is then identied as the monks own positive will. Yet it is also pleasing to God.76 God,
Barsanuphius and prayer help the monk in his ascetic progress, on condition
that he has no other will but to prove his obedience; then he will be saved.77
The general context of obedience for the practice of cutting out the will is
closely associated with the counseling and authority of the spiritual father:
The fathers know better than you, brother, what is suitable for your soul.78
Thus does Barsanuphius, who is perceived in his correspondence as possessing supernatural powers,79 exhort a certain monk, to act according to
advice and not according to his own will. Cutting out the self-will leads to
humility, and accepting Barsahuphius as a counselor provokes the envy of
the demons.80 The demons are playing tricks with the monk by introducing
73. Ibid., 44, 232, 379, 554.
74. Ibid., 61, 69.
75. Ibid., 188.
76. Ibid., 249.
77. Ibid., 248.
78. Ibid., 250.
79. On Barsanuphius charismatic authority, see F. Neyt, Un type dautorit charisma-
335
into his thought what they want, so that he acts on his own will and disobeys
his fathers.81 The anonymous redactor of the correspondence of Barsanuphius and John regards Abbot Seridos as a prime example of obedience to
Barsanuphius counsel. Seridos, he declares, achieved great obedience and
submitted in everything to Barsanuphius until his death. He denied his own
will, as is attested in Barsanuphius letters. His obedience was perfect and his
humility profound.82 What is it to cut out the will? (To\ ko/yai to\ qelhma ti
estin;) a monk asks John. It is advance (prokoph/) according to God, and
cutting out the will. This consists, in good things, in cutting out the self-will
(to\ idion qelhma) and doing that of the holy men (twn aJgiwn); and in bad
things, in chasing away that which is misplaced (atopon). Obedience to
the holy fathers had become the prime ascetic value.83 It is in Barsanuphius
view the principle of obedience to the father unto death. One who wants to
follow his own will is a son of the devil (Ei ti oun qelei to idion qelhma
sthvsai, uio/ esti touv diabo/lou), and so is he who follows him.84
One of three essential rules Barsanuphius proposes for monastic life in
general is to leave ones own will behind oneself (to\ balein ojpisw to\
qelhma) and regard oneself as the last and least of all.85 This principle was
of course known also to late antique philosophers and had been inculcated
in their spiritual exercises.86 But for Barsanuphius and John this is intended
as an imitatio Christi, a rule of conduct. Christ came to fulll not his own
will but that of his father (John 6:38): If you want to acquire perfect humilityyou must cut out in everything your will, because he (Jesus) had
said himself: For I came down from heaven, not to do my own will, but
the will of my Father who is in heaven.87 The teaching of Jesus is summarized for Barsanuphius in the words of the Lords Prayer Thy will be
81. Ibid., 554.
82. Ibid., 570c.
83. Ibid., 380.
84. Ibid., 551.
85. Ibid., 69, quoting the Apophthegmata (Sent. Nouv. P. 333 = Eth. Pat. 180). See also
Questions and Answers 126: Cast behind yourself your will, humble yourself in everything
and be saved.
86. See P. Hadot, Exercises spirituels et philosophie antique, Paris 19872, esp. 63-66. Eng.
trans. A.I. Davidson and M. Chase, Philosophy as a Way of Life: Spiritual Exercises from
Socrates to Foucault, Oxford 19952. For some aspects of spiritual exercises in the circle
of Barsanuphius and John, see Bitton-Ashkelony - Kofsky, The Monastic School of Gaza,
157-182. For Dorotheus afnity with the spiritual exercises of late antique philosophy, see
Hadot, Exercises spirituels, 63-66; Perrone, The Necessity of Advice, 140.
87. Questions and Answers 150, 239, 542.
336
A. KOFSKY
done (Matt 6:10; Luke 11:2): The most remarkable teaching of our Savior is this: Thy will be done (H lamprotath didaskalia touv swthvro
hJmwn auth esti: Genhqh/tw to\ qelhma sou). If, then, someone says this
prayer with sincerity, he rebuts his own will, and subjects everything to the
will of God.88 This can be understood also as an expansion of the Evagrian
motif. The disciple should act in conformity with the will of God instead
of following his own will. Barsanuphius thus instructs: Cut out your will
for God, and tell him in everything: Not as I will, but as you will. (Matt
26:39). Strive to do in everything the will of God.89 He similarly explains
that the ideal is to cut out ones self-will in everything for God, in saying
not as I will, but as you will (Matt 26:29). Gods will is that we abandon
everything and follow him.90 This is further illustrated in the correspondence with Dorotheus.
Questions to the two Old Men such as How do I know that I am doing
the will of God instead of my own? are common. There must be a clear
understanding of the will of God; this is a precondition for progress on the
road to perfection. For example, an anonymous monk asks John: How do I
know, father, if I cut out my will when sitting in the cell or similarly when
staying with the brothers? And what is the will of the esh and the will of
the demons concealed under the appearance of good? And what is the will
of God?91 The will of the esh (Eph 2:3) and the will of the demons are
contrasted to the will of God or to the will according to the good, which
consists in eradicating, or cutting out the will of the esh: The will according to God is the cutting out of the will of the esh according to the apostle (To\ de qelhma to\ kata qeo/n esti to\ ko/yai to/ qelhma thv sarko\
kata to\n apo/stolon).92 The will of the demons consists specically in the
dissimulation of good. Yet, overall, it seems that Barsanuphius and John are
less interested in the will of the eshnamely, desires and passionsand
more interested in cutting out the personal will per se.93 A psychological aspect of concentrating on the consciousness of personal will and the means
of effacing it is the often accompanying syndrome of self-hatred orin the
language of Barsanuphius and Johnthe hating of ones soul, though this
aspect is only seldom treated in their correspondence. Hatred of ones own
88. Ibid., 40. See also ibid. 549.
89. Ibid., 124.
90. Ibid., 572.
91. Ibid., 173.
92. Ibid., 173.
93. See Perrone, The Necessity of Advice, 143.
337
soul, however, is regarded as identical with the cutting out of ones self-will
and is an invaluable component of asceticism.94
In a rare and somewhat paradoxical expression, Barsanuphius vouches
for those who truly toil on their way to perfection that God has in fact
condescended to the desire of our weakness, and his benevolence has
lowered itself to the point of cutting out his will for us (ekoyen hJmin to\
qelhma auJtouv)!95 This highly unusual expression may refer specically to
the incarnation and not necessarily to an ongoing divine condescension.
Nevertheless, the idea that God himself had cut out his self-will is precisely
the opposite of the postulated monastic value. At the same time one can
understand it here as the ultimate model for the monk, as well as a singular
event in the divine economy. The systematic emphasis on the guiding principle of cutting out self-will in conforming to divine will in turn enhances
Barsanuphius awareness of his oracular powers.96 In a letter to the monk
John of Beersheba he condes that everything he writes comes not from
his own will but through the order of the Holy Spirit!97
The famous words of the Lords Prayer Thy will be done became, then,
something of a golden rule.98 The renunciation of the will appears in Barsanuphius and John as a general norm of conduct not only for monks, but for
priests and laymen as well.99 Thus John advises a priest that if he wishes to die
in relation to other people, he should neither judge nor think ill of anyone, nor
be attached to his own will; that is to die to other people while being among
them.100 We can note here the same demand of the priest as of monks. Advising
a layman John adduces the saying of John Colobos: If you see a young man
climbing to heaven by his own will, catch his leg and make him descend. It is
right to ask in all humility rather than to proceed according to ones self-will.101
94. Questions and Answers 811.
95. Ibid., 811.
96. See Bitton-Ashkelony - Kofsky, The Monastic School of Gaza, 82-106.
97. Questions and Answers 13. On the correspondence between the Old Men and John of
Beersheba, see L. Perrone, Eis ton hesychias limena. Le lettere a Giovanni di Beersheva
nella corrispondenza di Barsanuo e Giovanni di Gaza, in Mmorial dom Jean Gribomont
(19201986), Rome 1988, 463-486.
98. See Perrone, The Necessity of Advice, 141-144.
99. On Barsanuphius and Johns correspondence with clergy and laymen, see L. Regnault,
Moines et lacs dans la region de Gaza au Vie sicle, in Bitton-Ashkelony - Kofsky (ed.),
Christian Gaza in Late Antiquity, 165-172; J.L. Hevelone-Harper, Disciples of the Desert:
Monks, Laity and Spiritual Authority in Sixth-Century Gaza, Baltimore 2005, 79-118.
100. Questions and Answers 151.
101. Ibid., 693; Apophthegmata N 111.
338
A. KOFSKY
To another layman he urges that he should cut out his own will in order to receive Gods grace.102 Barsanuphius similarly advices a layman that if someone
who fasts combines with his fast even a little self-will, his fast is an abomination before God. For example, the children of Israel fasted but at the same time
accomplished their own wills.103 It is a general rule: every good work that is not
done for the love of God and for Him alone but through self-will is tainted, not
pleasing to God and causes him to withdraw. Everything must be done according to Gods will. Our own will renders our work useless.104 We can see here
how the individual self-will can be transformed into a collective negative one
to supply historical explanationexpanding Abba Isaiahs precedenceand
how Barsanuphius deduces a general rule and a principle from this monastic
virtue. Moreover, according to John there is a close connection between cutting out the will and faith; he practically declares that faith is identical to the
cutting out of the will.105 It can be noted here, too, that there is no essential
difference between a monk and a devout laymanthat is, the monastic value
is applied as a model of conduct for the layman. Barsanuphius emphasizes
that knowledge of the self-will is not something reserved for specialists; it lies
rather with the person himselfhe who best knows his will.106
The context of the cutting out self-will imperative is much expanded by
Barsanuphius and John, who stress its relevance in relationships among the
monks. Regarding his relationship to a fellow monk, Barsanuphius advises
the hermit Andrew to act violently toward himself by cutting his own will
(oJ qelwn aresai tw Qew ko/ptei to\ qelhma aujtou tw plhsion biazo/meno
eauto/n).107 To a monks question as to how to discern and suppress the will,
John responds that among other people he should make himself nonexistent.
The will that comes to us from the demons is the will for justication and
self-condence.108 In relationships with our brothers, states Barsanuphius, we
must give up self-will and act according to their will, especially if they are
in need. To act according to self-will is not only against the will of God but
102. Questions and Answers 778a.
103. John, ordering Aelianus to obey and become an abbot, explains that one disobeys God in
order to maintain his self-will. In this way the Jews, wishing to maintain their own will, could not
submit to the law of God (Romans 10:3). See Questions and Answers 574. Here in fact John, as
if establishing a general historical category, draws an analogy between the following of personal
will and the Jews acting according to their own will and not submitting to Gods law.
104. Questions and Answers 401.
105. Ibid., 574.
106. Ibid., 190.
107. Ibid., 121.
108. Ibid., 173.
339
340
A. KOFSKY
dos death, see Bitton-Ashkelony - Kofsky, The Monastic School of Gaza, 40-41.
117. Questions and Answers 582.
118. Ibid., 256.
119. On the practical character of Johns spiritual guidance, see Bitton-Ashkelony - Kofsky,
The Monastic School of Gaza, 91-92.
120. Questions and Answers 250.
121. On this series of questions and answers, see F. Neyt, Les lettres Dorothe dans la
correspondance de Barsanuphe et de Jean de Gaza (Ph.D. dissertation. University of Louvain, Louvain 1969).
341
monastic school of Gaza, see Bitton-Ashkelony - Kofsky, The Monastic School of Gaza,
157-182.
129. Questions and Answers 266.
130. Ibid., 278, 285.
342
A. KOFSKY
the teaching of Christ (I came down from heaven not to do my own will but
the will of him that sent me [John 6:38]). Dorotheus must obey (the abbot) in
everything, even if it seems to entail a crime; his abbot bears the responsibility
for that.131 Dorotheus had established and was in charge of the inrmary in
the monastery. Yet he constantly feared that in the course of treating a patient,
the patient would be harmed if Dorotheus was acting according to his own
will and opinion. Johns reassuring advice here is that if Dorotheus is acting
according to his best medical judgment, it is right; but if he refuses to listen
to the advice of a more experienced person than himself, it comes from arrogance and self-will.132 Dorotheus agonizes over this dilemma: Is conversing with patients visiting the inrmary a part of complying with the abbots
orders, or is it in fact following his own will to socialize? John exhorts him
to stand uninchingly on guard against the bad will, not to give it a pretext;
he should be aware of the ne line as to what is necessary according to the
orders and not pass the limit.133 John never tires of encouraging Dorotheus
to keep constantly in mind Gods will as opposed to his personal will. The
self-will cannot sustain him and will only lead to ruin.134
Having begun his monastic career in the coenobium of Seridos, Dorotheus absorbed the monastic tradition under the guidance of Barsanuphius
and John. His literary work, as well as his occupation in medicine, testify to
a broad education.135 He later left Seridos monastery and settled in another
monastery, near Gazaor he founded a new one there.136 Its coenobitic nature is reected in his instructions to his monks and the imagery he invokes
in describing life in the monastery.137 A coenobium, says Dorotheus is analogous to a living body; it unites all of its parts, each of which has a particular function in the life of the monastery and of the monk.138 Dorotheus
131. Ibid., 288.
132. Ibid., 328.
133. Ibid., 313. On the reserved attitude toward guests in the monastic circle of Gaza, see
343
344
A. KOFSKY
writings sketch the image of the ideal Christian.145 Yet Dorotheus was interested
primarily in the teaching of spiritual principles, which drew their authority from
the ideal of obedience and had as their goal to approach God in the most perfect
manner.146 His lectures are vivid and appealing, his topics interwoven with anecdotes and personal experience; but there is scarcely anything in them that is
not traditional. Dorotheus originality lies in his sober and concrete adaptation
of this heritage to his coenobitic reality,147 hence the shift of emphasis regarding
various aspects of ascetic life.148 For example, Dorotheus introducesin contrast to his predecessors Evagrius, Abba Isaiah, Barsanuphius, and Johnhis
own clear and sober distinction between sins and passions as the root cause
of sin: Sins constitute the gratication of these passions: when a man acts
and brings into corporeal reality those works which were suggested to him by
his passions. It is certainly possible to have the passions and not set them to
action.149 This was indeed a relatively modest ascetic goal, one suited to the
moderate circumstances of communal monasticism. Thusas observed by Hadotthe afnity with philosophic spiritual exercises is also more recognizable
in Dorotheus, whose radical view of obedience transformed the philosophical
practice of spiritual exercises.150 Previous notions of eradicating self-will in
the context of relationships with God and with demons, and between a spiritual
father and fellow monks in general, are also found in Dorotheus,151 but it is
within his overall emphasis on obedience as the paramount virtue of coenobitic
monasticism that renunciation of personal will receives its greatest emphasis,
as is reected in his writings.
The domination of human life by self-will is the main characteristic
of our human condition after the fall, according to Dorotheus. Having expelled Adam from Paradise, God then:
delivered him to his own self-will (toi idioi qelh/masin) and to
his own desires, that he may grind down his own bones and learn that he
cannot go straight on his own, but only by the command of God; so that
learning the poverty of disobedience (hJ talaipwria thv parakohv) may
145. See P. Rousseau, Basil of Caesarea, Berkeley etc. 1994, 192-232.
146. Dorotheus, Instructions 48, p. 222; 21-25, pp. 178-184. Dorotheus was well acquainted
with the ascetic writings of Basil, and cited them to his monks.
147. See Regnault and de Prvilles introduction, Dorothe de Gaza, 44; Regnault, Thologie de la vie monastique selon Barsanuphe et Dorothe.
148. See also Bitton-Ashkelony - Kofsky, The Monastic School of Gaza, 142-144.
149. Instructions I.5.
150. See Hadot, Exercises spirituels, 63-74.
151. See Instructions V.62-64, XVI.169, Letter 7.192.
345
teach him the tranquility that comes from obedience (th\n anapausin thv
uJpakohv).152
The new existential reality tends to perpetuate evil in society. This holding fast to our own will (to\ kratein to\ idion qelhma) has thus brought many
and great evils to humanity. It is the antithesis and antidote of humility that
produces hatred of our own will (to\ misein to\ idion qelhma), leading to the
restoration of the original human nature and redemption.153 Humility, then,
consists primarily in cutting out self-will; this is a penultimate virtue. In Dorotheus words: Nothing helps men so much as to cut out self-will (Oujden gar
outw wfelei tou\ anqrwpou w to\ ko/ptein to\ idion qelhma), for thereby a
man advances almost beyond all virtues. In practice, this cutting out of selfwill means for Dorotheus a constant struggle against various desires, or wills
(qelh/mata): It is in pursuing this way of cutting out the will. From this cutting
out of self-will a man procures for himself detachment (aprospaqeia) and
from detachment he comes, with the help of God, to perfect apatheia.154 Here
Dorotheus instructs his monks in a practical technique for mastering the ideal
of eradication of self-will in the progress toward achieving the Evagrian ideal
of apatheia: by waging an ongoing, conscious mental struggle to oppose every
thought containing any element of will or desire:
A man denying himself in this way comes little by little to form a
habit of it, so that from denying himself in little things, he begins to deny
himself in great without the least trouble. Finally he comes not to have any
of these extraneous desires, but whatever happens to him he is satised
with it, as if it were the very thing he wanted. And so, not wanting to do
his own will, he nds himself always doing it. For not having his own will,
every single thing that happens to him is according to his will. Thus he is
found, as we said, to be without attachment (prospaqeia), and from this
state of detachment he comes to the state of holy apatheia.155
346
A. KOFSKY
instead of following his own will and instinct for survival.157 The ideal of
cutting out the self-will was developed into a signicant component of the
practical paideia of obedience in the monastic circle of Gaza, culminating in
the framework of coenobitic life during the time of Dorotheus. It became a
ground rule of conduct for every monk in any task he performed in the coenobium.158 Moreover, constant application in daily conduct transformed this
imperative into something like a second nature:
Do yourself violence in all things and cut out your own will, and, by
the grace of Christ living in you, you will become so habituated to cutting out self-will that you do it without constraint or trouble as naturally
as you do your own will. Then no longer will you want certain things to
happen, but what is happening will be the thing you want and you will be
at peace with all.159
The paramount importance of this communal virtue found classic expression in the exemplary gure of the young monk Dositheus and in his
monastic training by Dorotheus. Dositheus became a paragon of self-renunciation through obedience to his monastic trainer, and his vita illustrates
how the cutting out of self-will was elaborated into a course of initiation
into coenobitic life, achieving an ideal fully advocated later in Dorotheus
circle. According to the vita, Dositheus became so perfect in obedience
that he never did even one wish (en qelhma) of his own in anything,
nor did he do anything out of attachment (prospaqeia);160 even on his
deathbed he was ghting against his self-will (hjgwnizeto kata touv idiou
qelh/mato).161 Despite the bitterness among some of the veteran monks
due to Dositheus posthumous elevation to the side of the Trinityafter
only a short and seemingly unimpressive monastic careereventually all
recognized that he was found worthy of achieving such perfection in so
short a time, through his perseverance in obedience and the eradication
of self-will (dia touv krathvsai aujto\n th\n uJpakoh\n kai to\ ko/yai to\ idion
qelhma).162
Aryeh Kofsky
University of Haifa
157. Ibid., I.22.
158. Ibid., IV.58.
159. Dorotheus, Letter 2.187.
160. Vita Dosithei 9.
161. Ibid., 9.
162. Ibid., 13.
M. Pazzini - A. Veronese
1. Yaari A., Iggerot Erets Yisrael (Letters Written by the Jews of Erets Israel to their
Brothers in the Golah), 1943 (ristampa Ramat Gan 1971) [in ebraico]. Le due lettere si
trovano rispettivamente alle pp. 89-93 e 94-98.
2. Le lettere ebraiche sono: ayybfnm.
3. Le lettere ebraiche sono: ayynfnwmd.
LA 56 (2006) 347-374
348
M. PAZZINI - A. VERONESE
19 Firsthand Accounts, New York (Dover Publications), 1987 (ristampa invariata delledizione del 1930), nella sua traduzione del resoconto di viaggio di Meullam da Volterra (p.
196).
5. Si tratta, piuttosto, dellestate dellanno 1480. Si veda in proposito A. Veronese, Le comunit ebraiche del Vicino Oriente e di Egitto nelle relazioni di viaggio dei pellegrini ebrei
italiani del XV secolo. Nota storica, in Egitto e Vicino Oriente, IX (1986), p. 157.
349
ebrei italiani del XV e XVI secolo, le cui lettere o relazioni di viaggio ci sono pervenute.
Tali brani sono citati in traduzione italiana. La presenza di parole in corsivo o in corsivo
e grassetto indica, nelle traduzioni in lingua italiana, la presenza di una parola in volgare
scritta per utilizzando caratteri ebraici. Nelle citazioni che seguono tale uso stato mantenuto.
8. Nel Quattrocento lappellativo rabbi aveva sovente il signicato di egregio signore,
messere. Di norma, quando ci si vuole riferire ad un rabbino, il termine impiegato Rav.
9. La localit quasi certamente Montagnana. Non esiste infatti attualmente nella nostra
penisola una localit denominata Montagna. A favore di unidenticazione con Montagnana giocano numerosi fattori: in primo luogo, quasi certamente il nostro viaggiatore era un
ebreo dorigine veneta e in Veneto dovevano vivere, o perlomeno operare, i gli, ai quali
indirizzata la lettera. In almeno due casi, infatti, Yosef paragona i luoghi e gli edici con i
quali viene per la prima volta a contatto con localit ed edici veneti (Mestre e la fortezza
di Mogliano Veneto); perch il paragone potesse essere efcace, era necessario che la citt
e la fortezza fossero familiari anche a coloro che leggevano la sua lettera. Inoltre, parlando
di Damasco, mette a confronto i prezzi vigenti in tale localit con quelli di Venezia. In
secondo luogo, a Montagnana vi era, nel Quattrocento, un insediamento ebraico. Da ultimo, il nostro un ashkenazita, e senza dubbio il Veneto orientale era una delle localit del
centro-nord nelle quali pi forte era la presenza di ebrei dOltralpe, il cui usso migratorio
risaliva almeno agli ultimi lustri del Trecento. Su Yosef da Montagnana, cfr. S.H. Kook, R.
Joseph de Montagnana Askenazi Parnas in Jerusalem, in Zion, 1 (1930), pp. 255-256
[in ebraico].
10. Il termine Lombardia sta qui ad indicare genericamente lItalia settentrionale.
350
M. PAZZINI - A. VERONESE
Nome grande che ha dato vigore allo stanco. E dopo la buona notizia che
siamo arrivati qui vi narrer ancora circa la mia salute e la salute di vostra
madre11. Dico ai miei gli e alle mie glie a uno a uno pace. Il Santo,
sia egli benedetto, aggiunga anni di vita a voi, ai vostri gli e alle vostre
glie e alla discendenza della vostra discendenza. Come sabbia crescano e
si rafforzino in quantit. Ora rallegratevi e gioite con noi che siamo riusciti
a venire nella Terra Santa e nella Citt Santa.
Prima di tutto sia benedetto il Signore, per il fatto che ho scelto la strada
giusta, e vi scrivo per quale via sono arrivato12. Da Beirut13 andai a Damasco14, che dista due giorni e mezzo. L restammo il giorno di Kippur15 e di
Sukkot16 e l si ammal la signora Rivka, il suo ricordo sia in benedizione17,
e sono stato obbligato a lasciare a Damasco lei e la signora ex-moglie18. Essa
(Damasco) una bella citt e un luogo di commercio19; ci sono in essa circa
11. Segue la formula
12. Bench Yosef, differentemente da altri viaggiatori, non fornisca informazioni dettagliate
sul viaggio per mare, da quanto scrive sembra chiaro che si doveva essere imbarcato a Venezia. Sulla scorta delle informazioni fornite da altri viaggiatori, come ad esempio Meullam
da Volterra, in genere le navi che collegavano il Vicino Oriente con Venezia partivano ed
arrivavano a Beirut. Meullam da Volterra, per tornare in Italia, simbarc a Beirut l8
settembre 1481 e raggiunse Venezia il 18 ottobre dello stesso anno, facendo scalo a Cipro
(10 settembre), a Rodi (12 settembre), a Candia (16 settembre), a Modon (24 settembre),
a Corf (30 settembre), a Ragusa (4 ottobre), a S. Piero Animo (6 ottobre), a Parenzo (14
ottobre). In ognuna di queste localit la nave si ferm un giorno o due. Per litinerario
seguito dal viaggiatore toscano cfr. Meullam da Volterra, Viaggio in Terra dIsraele, Traduzione, introduzione, note e appendice di A. Veronese, Rimini, Luis, 1989 (Collana Gli
erranti), p. 122.
13. Nel ms. Berito (wfyrb). Si tratta della forma latina, e il suo uso da parte di Yosef da
Montagnana indica verosimilmente che il nostro aveva una certa familiarit con testi in
tale lingua. La forma medievale per Beirut (che troviamo impiegata, ad esempio, da Moeh
Basola e da Meullam da Volterra) Beruti.
14. Il viaggio da Beirut a Damasco aveva effettivamente una durata media di due giorni e
mezzo. Meullam da Volterra riferisce di avere lasciato Beirut gioved nel tardo pomeriggio
e di essere arrivato a Damasco domenica mattina; al ritorno, il viaggio ebbe inizio il 6 settembre e si concluse allalba dell8 settembre: cfr. Meullam da Volterra, Viaggio in Terra
dIsraele, cit., pp. 85-87.
15. Lo Yom Kippur (lett. giorno dellespiazione) un giorno di digiuno e di preghiera per
lespiazione e il perdono dei peccati. Cade il 10 del mese di tir.
16. La festa di Sukkot (lett. capanne) segue di cinque giorni lo Yom Kippur e dura dal 15
al 22 di tir; si conclude con la festa di imat Torah (gioia della Torah) che celebra la
conclusione del ciclo annuale di lettura della Torah.
17. Lespressione ebraica si pu tradurre con lidioma italiano di benedetta memoria.
18. Nel testo awryg.
19. Anche Meullam da Volterra descrive Damasco in termini entusiastici: [] essa
superiore al Cairo in tutto per quello che concerne la quantit e supera tutte le altre citt
351
cento20 famiglie21 (di ebrei) e fra loro vi sono molti onorati e conoscitori
della Torah; c in essa ogni qualit di pane, carne e vino e diversi generi
di frutti prelibati. I prezzi sono un poco alti a causa del gran numero di
abitanti. Ad ogni modo pi economica di Venezia. Non ho trovato alcun
povero in tutta questa regione per il fatto che un uomo, che dispone di una
rendita di quattrocento o cinquecento (ducati)22, pu viverci, in particolare
un uomo saggio come il nostro suocero rabbi Iosefo23, e cos scrivetegli o
parlategli faccia a faccia.
che ho visto sino a questo giorno, dato che mai ne ho vista una che le sia pari per la quantit delle merci e degli ornamenti. [] A Damasco ci sono pure quattro grandi bazaari:
il primo di pietre preziose e perle, il secondo di tutti i generi di spezie, il terzo di tutti i
generi di seta, il quarto per gli oggetti damaschini di rame rivestiti doro e dargento. Cfr.
Meullam da Volterra, Viaggio in Terra dIsraele, cit., pp. 86-87. Ovadyah da Bertinoro
scrive a proposito di Damasco: oggigiorno non v in nessun paese una citt altrettanto
benedetta da Dio come Damasco: si dice che le sue case, gli orti e i giardini non temano
paragoni. Cfr. Ovadyah da Bertinoro, Lettere dalla Terra Santa, introduzione, traduzione,
note e appendice di G. Busi, Rimini, Luis, 1991 (Collana Gli erranti), p. 67. Ai primi del
Cinquecento Moeh Basola nota che Damasco una grande citt, due volte le dimensioni
di Bolonia. circondata da mura estremamente ben costruite con attorno i fossi. Possiede
una cittadella molto ben forticata e molti attraenti mercati. Ha una popolazione numerosa
e il commercio vi grandemente sviluppato. Nei mercati possibile trovare ogni genere
di mercanzie e beni, in quantit maggiore che non a Venezia []. La terra decisamente
ben dotata di generi alimentari, e di frutta, e di prelibatezze degne di un re, e vi possibile
trovare ogni piacere. Il costo della vita allincirca quello di Venezia: cfr. Moeh Basola,
A Sion e a Gerusaleme. Viaggio in Terra dIsraele (1521-1523), a cura di A. David e A.
Veronese, Firenze, Giuntina, 2003, pp. 75-76.
20. Yaari propone di leggere quattrocento. In effetti, altri viaggiatori riferiscono che vivevano a Damasco ben pi di cento famiglie di ebrei: Meullam da Volterra scrive: Vi sono
[a Damasco] anche circa quattrocentocinquanta famiglie di ebrei, tutti ricchi ed onorati e
tutti mercanti: cfr. Meullam da Volterra, Viaggio in Terra dIsraele, cit., p. 87; Moeh
Basola, il cui viaggio in Eretz Yisrael avvenne tra il 1521 e il 1523, narra che gli ebrei col
sono in numero di circa cinquecento famiglie. Hanno tre sinagoghe che sono ben costruite
ed ornate una per i sefarditi, una per i morischi e una per i ziziliani: cfr. Moeh Basola,
A Sion e a Gerusaleme, cit., p. 76. Anche Ovadyah da Bertinoro, che pure non fornisce
indicazioni precise sulla consistenza dei nuclei ebraici damasceni, osserva che gli ebrei di
Damasco sono di buona condizione socio-economica. Scrive Ovadyah: A Damasco, invece, a quanto ho udito, vi sono ebrei ricchi dediti ai commerci : cfr. Ovadyah da Bertinoro,
Lettere dalla Terra Santa, cit., 67.
21. Il costrutto ebraico tyb l[b (pl. ytb yl[b) signica, letteralmente, padrone o proprietario di casa ed indica, nel nostro contesto, i nuclei familiari ebraici.
22. Non viene specicato di cosa si tratta. quasi certo che si debba integrare con
ducati.
23. Segue una sigla (fm) sconosciuta allo stesso Yaari. Yosef da Montagnana vuole probabilmente far sapere al suocero che a Damasco avrebbe potuto vivere bene con le rendite
sulle quali poteva contare. Non si pu escludere che il suocero avesse espresso il desiderio
di trasferirsi a vivere in Oriente: in ogni caso, da quanto scrive il nostro viaggiatore, si
352
M. PAZZINI - A. VERONESE
Da Damasco sono andato a Safed che Terra Santa. Circa dieci miglia
prima di arrivare a Safed24 ho attraversato il ponte di Giacobbe25 nostro
padre, che si chiama ancor oggi col suo nome ed sul Giordano, e l entrai
nella terra di Israele. Prima di arrivare al Giordano, alla distanza di circa
un miglio, caduta dal cavallo una persona26, che abbiamo portato con
difcolt no a Safed, dove ci fermammo circa un mese no a che guar la
suddetta (persona). E anche Safed una bella comunit e ci sono in essa
trecento nuclei familiari ebraici27, con i villaggi allintorno che si trovano
nel suo conne. L ci sono i sepolcri di molti profeti, giusti, Tannaim28 e
Amoraim29 [Yaari, p. 92] e della regina Ester.
evince che il suocero Iosefo (apzwy) viveva ancora in Italia, altrimenti non si capisce come
i nipoti avrebbero potuto parlargli di persona per trasmettergli il messaggio del genero.
In questo periodo, per altro, viveva a Damasco un rabbi Yosef, citato da Meullam da
Volterra, che era a capo della comunit damascena. Scrive Meullam: il loro capo (degli
ebrei di Damasco) rabbi Yosef il Medico: cfr. Meullam da Volterra, Viaggio in Terra
dIsraele, cit., p. 87.
24. Yaari scrive da Safed, ma si tratta, ovviamente, di un moto a luogo.
25. Il Ponte di Giacobbe, citato anche da Moeh Basola, era un importante punto dincontro per le carovane provenienti da S. Giovanni dAcri, Safed e altre localit dellAlta Galilea
e dirette a Damasco. Come ricorda Basola Si dice che questo (cio, il Ponte di Giacobbe)
sia il luogo dove il nostro patriarca Giacobbe possa essere benedetta la sua memoria
pass quando fece ritorno da Haran. Cfr. Moeh Basola, A Sion e a Gerusalemme, cit.,
p. 74 e p. 74 nota 2.
26. Il termine ebraico tylgwlg indica in realt il testatico. Nel contesto chiaro che si sta
parlando di una persona di sesso femminile. Unipotesi abbastanza verosimile (per la quale
si ringrazia Yacov Guggenheim, che lha suggerita) che Yosef in questo punto pensi in
italiano ed effettui una falsa traduzione. In volgare, quando ci si riferiva ad alcune forme
di tassazione personali, si usava la locuzione per testa. Testa in questo caso lequivalente di persona. Ma poich in ebraico il termine ro (var) testa maschile, e qui ci si
riferisce inequivocabilmente ad una donna, Yosef decide di utilizzare un sostantivo in forma
femminile, che pu signicare anche cranio. Daltra parte sembra strano che le lettere
ebraiche possano indicare un nome proprio, dato che sono seguite dalla lettera a una o
uno. La parola ebraica qui impiegata va dunque verosimilmente intesa come un sinonimo
di persona di sesso femminile.
27. Anche Moeh Basola riferisce che a Safed dimoravano pi di trecento famiglie di ebrei.
Egli fa anche cenno allesistenza di tre sinagoghe: cfr. Moeh Basola, A Sion e a Gerusalemme, cit., p. 54.
28. Il termine Tannaim (plurale dellaramaico tanna persona che studia e trasmette / insegna) indica un gruppo di saggi ebrei del periodo compreso fra Hillel e la compilazione
della Minah.
29. Il termine Amoraim (dallebraico rma dire, interpretare), indica un gruppo di saggi
ebrei, in particolare dimoranti a Cesarea e Tiberiade in Palestina (circa 220375) e in Babilonia (circa 200500), i quali hanno interpretato la Minah e altri scritti della precedente
epoca Tannaitica.
353
cerning Jewish Holy Tombs in Palestine, Jerusalem 1948, pp. 87-88 [in ebraico] e Z. Ilan,
Tombs of the Righteous in the Land of Israel, Jerusalem 1997, pp. 210-211 [in ebraico].
31. Quarantanni pi tardi, stando alla testimonianza di Moeh Basola, linsediamento ebraico di Kefar Kana si era notevolmente ridotto, e assommava a circa quaranta famiglie: cfr.
Moeh Basola, A Sion e a Gerusalemme, cit., p. 61.
32. Una persona della comunit.
33. Il nostro viaggiatore non dice nulla relativamente alla popolazione ebraica di Sichem.
Stando alla testimonianza di Basola, che scrive per una quarantina danni pi tardi, la
comunit ebraica locale assommava a circa dodici famiglie di ebrei, tutte dorigine orientale. Cfr. Moeh Basola, A Sion e a Gerusalemme, cit., p. 62. Nel corso del Cinquecento
la popolazione ebraica di Sichem aument: il censimento ottomano del 1538-1539 rileva
la presenza di settantuno famiglie debrei, divise in tre quartieri; a questa data dimoravano
a Sichem non solamente ebrei dorigine orientale, ma anche israeliti appartenenti ad altre
congregazioni: si vedano in proposito A. Cohen B. Lewis, Populations and Revenue in
the Towns of Palestine in the Sixteenth Century, Princeton 1978, pp. 145-149; e A. David,
To Come to the Land. Immigration and Settlement in 16th Century Eretz Israel, translated
by Dena Ordan, Tuscaloosa and London 1999, p. 27.
34. Sul pellegrinaggio alla tomba di Giuseppe il Giusto, cfr. E. Reiner, Pilgrims and Pilgrimage to Eretz Israel, 1099-1517, Ph. Dissertation, Hebrew University of Jerusalem, 1988,
pp. 290-291, cit. in Moeh Basola, A Sion e a Gerusalemme, cit., p. 62, nota 44.
35. Il Monte Garizim era per i Samaritani il Monte del Tempio, come ricorda anche
Meullam da Volterra. I Samaritani sono un gruppo che si era separato dal giudaismo tradizionale gi in epoca biblica. Molto in generale, possiamo dire che i Samaritani hanno un
atteggiamento pi rigido degli ebrei relativamente allosservanza di alcuni precetti (impurit
mestruale, circoncisione, riposo sabbatico), mentre danno uninterpretazione meno rigida
alle norme su matrimonio e levirato.
354
M. PAZZINI - A. VERONESE
Da Sichem sono venuto qui a Gerusalemme, alla distanza di un giorno, mentre la signora Rivka se ne era andata allaltro mondo36 a Damasco. E la signora ex-moglie arriv qui il venerd prima di anukkah37.
Circa le cattiverie che si dicevano (riguardo agli arabi): tutto bugia e
menzogna, lo giuro! Sono stato in tutte quelle citt delle quali ho scritto
e, lungo il cammino, ci siamo trovati, talvolta, in aperta campagna fra
molti ismaeliti e non ho sentito nessuno che aprisse la bocca per (dire)
cose cattive38.
Gerusalemme bella e grande, uomini e donne vanno per strada in
lungo e in largo e nessuno apre la bocca per (dire) cose cattive. Ci sono
molte botteghe39 di giudei nella parte migliore della citt. Sono stato al
36. Nel testo segue una locuzione ebraica (hqbv
355
cimitero degli ashkenaziti40, e sono stato sul sepolcro del Rabbi41 che si
trova distante dal cimitero circa un tiro darco e vicino alla sepoltura
del profeta Zaccaria42. Lo giuro! Quando ho visto il suo sepolcro mi
pareva di vederlo faccia a faccia. cos che, grazie al cielo, ho avuto
lopportunit di vederli sepolti nella valle di Giosafat. Vicino al Tempio
sta una delle cose nuove e meravigliose che ho visto. Ci sono ancora
molti ambienti, un cortile e un giardino e in tutta la casa 43 non c n un
albero, n una pietra opera delluomo, perch fatta di una pietra unica
scavata, tutta la casa, e le mura della casa e il cortile e il giardino sono
molto alti; tutto fatto di pietra. Vi pure, al suo interno, un pozzo nel
quale furono gettati ragazzi e ragazze vergini per non cadere di spada 44.
Ancor oggi nella notte del 9 di Av45 [Yaari, p. 93] gli ismaeliti dicono
che sentono grandi pianti dentro lo stesso pozzo che si trova in quel
luogo, un grande edicio, mi pare grande quanto Mestre dentro le mura.
Le Porte della Misericordia46 esistono ancora; le ho viste da lontano;
e la torre del re Davide47, su di lui sia la pace, una meraviglia fra
tutte le meraviglie, una fortezza grande e possente, e non ho visto una
Medioevo e nella prima et moderna. Basola, ad esempio, ne fa frequentemente uso nel suo
resoconto di viaggio: cfr. Moeh Basola, A Sion e a Gerusalemme, cit., pp. 43, 43 e nota
21, 48, 49, 54, 75.
40. Yosef da Montagnana lunico pellegrino italiano di questo periodo a me noto che parli
di un cimitero di ashkenaziti. Gli altri viaggiatori e pellegrini ebrei italiani si riferiscono
pi genericamente alle sepolture dei giusti. Meullam da Volterra, ad esempio, scrive:
Intorno alla torre (i.e., la tomba di Assalonne) c un gran numero di grotte di giusti che
sono l seppelliti. Un po a meridione vi la tomba del profeta Zaccaria (): cfr. Meullam
da Volterra, Viaggio in Terra dIsraele, cit., pp. 77-78. Basola riferisce che L vicino (alla
tomba del profeta Zaccaria) vi sono due belle caverne usate come sepolture: cfr. Moeh
Basola, A Sion e a Gerusalemme, cit., p. 63.
41. Il nome di questo personaggio non menzionato. Potrebbe trattarsi del profeta Aggeo.
42. Molti viaggiatori e pellegrini menzionano la tomba di Zaccaria: Meullam da Volterra,
Ovadyah da Bertinoro e Moeh Basola.
43. Cio in tutta la spianata del Tempio.
44. Si tratta probabilmente della cisterna menzionata da Basola, che il dotto ebreo chiama
Bir Bintan (Pozzo delle glie). Egli sostiene per, differentemente da Yosef da Montagnana, che le vergini israelite vi si gettarono al tempo della distruzione (del Tempio): cfr.
Moeh Basola, A Sion e a Gerusalemme, cit., p. 63.
45. In questo giorno si commemorano le due distruzioni del Tempio di Gerusalemme.
46. Sulle Porte della Misericordia, si veda pi avanti la nota 71.
47. La Torre di Davide viene menzionata, anche se con meno entusiasmo, da Basola, che
scrive: Sullo stesso lato vi una cittadella con una bassa torre, chiamata Torre di Davide:
cfr. Moeh Basola, A Sion e a Gerusalemme, cit., p. 65.
356
M. PAZZINI - A. VERONESE
357
358
M. PAZZINI - A. VERONESE
la nostra anima dentro di noi pianse con forza sulla disgrazia della disgrazia49 che si delizia, abita nelle stanze dipinte, soggiorna nella nostra
propriet in Gerusalemme. [Yaari, p. 95] Il nostro cuore diviso dentro
di noi, se gioire con lode a Dio per il nostro arrivo in pace, oppure se
piangere sulla causa del nostro peccato, e si strugge il nostro cuore e
non sorto pi lo spirito di gioia sul nostro volto. I nostri occhi fanno
scendere lacrime, il pianto degli oppressi che non hanno chi li consoli50,
perch si allontanato da noi a causa dei nostri peccati. Ma per la compassione di Dio nei nostri riguardi sono stati con noi, subito dopo il nostro
arrivo, uomini di Gerusalemme, insieme alle loro mogli, che ci hanno
consolato teneramente51, il dolore dei molti che aspettano consolazione,
il medico degli affranti di cuore che liberer i prigionieri, curer le ferite
delle nostre percosse, far ritornare i deportati del suo popolo; gioir e
si rallegrer Israele, ci metter in grado di vedere e gioire della bellezza
del suo Tempio glorioso.
Quanto a costruzioni, Gerusalemme una citt grande e lodata, (grande) come due volte Ancona. Mi ha raccontato un anziano di Gerusalemme
che non si pu farne il giro in meno di sei ore di cammino. Al suo interno
molto abitata, ornata di frutti come non ho mai visto no ad ora e il cui
nome non conoscevo; anche dei sette generi52 per i quali era lodata ornata.
Vi mercato ogni giorno a Gerusalemme, in cinque grandi strade53. Non
le colpisce il vento caldo o il sole, perch sono sovrastate da una grande
cupola54; dai molti fori della copertura passa la luce e sono ben illuminati. E
vi sono negozi da una parte e dallaltra, continui e ornati della benedizione
359
di Dio, nei quali non manca nulla55. difcile passare per queste strade,
vicino a ciascun (negozio), a causa della grande folla che vi si trova. Il vino
a Gerusalemme pi abbondante e di qualit migliore rispetto al vostro e
pi a buon mercato, e (gli ismaeliti), senza riguardo per gli ebrei, impongono una tassa su di esso56. Anche tutto il resto scelto. Mentre passavo in
quelle strade non ho impedito che i miei occhi grondassero lacrime e tremava il mio cuore al pensiero che mi vedessero gli ismaeliti. Gli ismaeliti
si comportano bene con noi, non percuotono mai e, per lo pi, non sono
sprezzanti. Il guadagno poco per quelli che vivono come noi, ma anche la
spesa. Lo giuro, la carne delle nostre bestie kaer57, gli ismaeliti desiderano
comprarla a tal punto che, molto spesso, i giudei non comprano a causa della buona educazione. Ogni giorno i macellai dIsraele scelgono e macellano
e si trova molta carne grassa e a buon mercato. Coloro che esercitano una
professione si mantengono bene e alcuni di loro si arricchiscono.
potevano trovare nei quattro mercati di Gerusalemme. Secondo Basola, cerano un mercato
musulmano, dove si vendevano tessuti di lana e lino, e un mercato ebraico, rinomato soprattutto per le spezie. In un terzo mercato si vendevano le verdure, in un quarto la frutta
e altri generi alimentari e inne in un quinto vi erano botteghe nelle quali vendevano
cotone: cfr. Moeh Basola, A Sion e a Gerusalemme, cit., pp. 68-69. Meullam da Volterra
riferisce che a Gerusalemme i prezzi sono moderati e la frutta molto buona. In particolare,
lebreo toscano fa riferimento ai quattro tipi di miele che si potevano trovare nella Citt
Santa e ad altri prodotti che reputa particolarmente buoni: miele duva, che duro come
la pietra e veramente degno di lode, miele di carruba, che molto buono e rifrescativo,
miele di datteri, miele dapi, e anche grano, orzo, melograno e tutti i generi di frutta buona
e gustosa. Essi (i gerosolimitani) hanno anche olio doliva buonissimo, ma consumano solo
olio di sesamo, dato che esso veramente eccellente: cfr. Meullam da Volterra, Viaggio
in Terra dIsraele, cit., pp. 80-81. Ovadyah da Bertinoro ricorda, relativamente ai mercati
di Gerusalemme: Da un lato e dallaltro (delle strade) si aprono le botteghe, piene di ogni
genere di mercanzia. Sono divise in maniera precisa: il mercato dei negozianti, quello degli
speziali, quello dei verdurai e quello dei cibi cotti e del pane: cfr. Ovadyah da Bertinoro,
Lettere dalla Terra Santa, cit., p. 89.
56. Bench la legge islamica proibisca il consumo di vino ai propri fedeli, lo consente ai
non musulmani per usi rituali, tassandone per il consumo. Basola riferisce che allepoca
del suo soggiorno a Gerusalemme era stata imposta su chiunque producesse vino una tassa
pari a mezzo ducato per ogni seicento litri di vino: cfr. Moeh Basola, A Sion e a Gerusalemme, cit., pp. 91-92. Per altro, vi da dubitare che il commercio di vino restasse limitato
al solo uso rituale e soprattutto che ebrei e cristiani non ne vendessero ai musulmani.
Ovadyah da Bertinoro, ad esempio, narra che un musulmano aveva ucciso la propria madre
e che portato di fronte al giudice si era giusticato sostenendo di essere stato ubriaco.
I giudici avevano pertanto sentenziato che la responsabilit dellaccaduto era degli ebrei e
dei cristiani, gli unici a produrre vino, e avevano multato i cristiani per dodici orini doro
e gli ebrei per sei: cfr. Ovadyah da Bertinoro, Lettere dalla Terra Santa, cit., p. 53.
57. Cio macellate secondo il rituale.
360
M. PAZZINI - A. VERONESE
Laria del paese buona; non ho mai sentito un caldo forte, nonostante
questa sia la stagione pi dura di tutte58. In casa c sempre aria limpida e
molto adatta alla salute. Questa terra beve acqua dalla pioggia del cielo, sia
piante che animali; scende una volta allanno, [Yaari, p. 96] ma sufciente; infatti non ho sentito per molti giorni il gocciolio della pioggia.
Il commercio usuale pi di ogni altra cosa e, con le merci che sono
in essa (cio a Gerusalemme), si arricchiscono le genti, e fanno commercio
in villaggi e cittadine e a Damasco, e tornano in pace alle loro case, perch
le strade sono veramente molto sicure59. Io e la mia famiglia abbiamo viaggiato da soli da Giaffa a Gerusalemme con un vecchio di settantanni; abbiamo incontrato spesso degli ismaeliti e rispondevamo con un saluto alle
loro domande. In verit ho udito che dalle sei in poi cessavano le carovane
e si abbandonavano i luoghi aperti, ma ora Dio ha ristabilito la situazione
precedente e arrivano ogni giorno navi al porto60 di Giaffa e caricano ogni
bene dalloltremare e tutto arriva a Gerusalemme per mezzo di asine, muli
e cammelli in quantit. Il terreno della terra di Israele viene lavorato molto
e bene e non ne ho visto di eguale per qualit.
Mi narr, questo vecchio, delle tombe di Hillel e di ammai61 e fece
testimoniare, circa le sue parole, dei giovani dalla Spagna62. Negli anni di
siccit andavano, uomini e donne, e pregavano nella grotta e Dio li ascoltava e rispondeva loro con la pioggia; e si riempivano prima le pietre che
hanno capacit di assorbimento, nella grotta prima, e bevevano, poi il cielo
58. Il riferimento alla stagione estiva.
59. Questa affermazione discordante rispetto alle testimonianze di altri viaggiatori. Se-
condo Meullam da Volterra, viaggiare senza unirsi ad una carovana era un gesto sconsiderato. Scrive ad esempio il viaggiatore toscano: Quando eravamo a circa un miglio da
Gaza, udimmo che gli ar(a)bani imperversavano nel territorio, che nessuno usciva di casa
(). Quando udimmo tali notizie il nostro cuore si riemp di paura, e anche quello di tutti
i membri della carovana, sino a che non giungemmo al luogo dove Abramo nostro padre
disse al suo servo: rimani qui con lasino; l udimmo che la strada era sicura sino a Gaza,
e che non dovevamo uscire da Gaza a meno di non avere una carovana di quattromila o
cinquemila uomini: cfr. Meullam da Volterra, Viaggio in Terra dIsraele, cit., pp. 63-64.
60. Letteralmente: mare.
61. Basola descrive le tombe di Hillel e ammai con dovizia di particolari. Narra che nelle
grotte sepolcrali si trovavano sarcofagi contenenti acqua dolce, buona da bere. Sostiene anche che quando i fedeli pregavano in gruppo presso le sepolture dei due dotti provocavano
un subitaneo innalzamento delle acque. Anchegli fa riferimento allimpurit, ma stando
alla sua testimonianza se una donna mestruata (e quindi impura) entrava nella grotta, erano
le lampade a spegnersi, non la quantit dacqua a diminuire. Cfr. Moeh Basola, A Sion e
a Gerusalemme, cit., pp. 57-58.
62. Qui il nostro viaggiatore non usa il termine ebraico drps, ma traslittera la parola italiana
Spagna in caratteri ebraici (ayynps).
361
63. Ebrei e musulmani condividono la tradizione che identica il luogo dove sepolto il
profeta Samuele con la localit posta a nord di Gerusalemme e nota in arabo come Nebi
Samuil. Basola, che ricorda la tomba del profeta Samuele e ne fornisce una descrizione
abbastanza precisa, rammenta lesistenza di un guardiano del sepolcro, al quale erano afdate le chiavi, che vi si recava due volte la settimana per accendere le lampade. Cfr. Moeh
Basola, A Sion e a Gerusalemme, cit., pp. 65-66.
64. La parola ebraica yjlg indica, in questo contesto, i sacerdoti e i religiosi cattolici.
65. Termine teologico che designa la Divina presenza che segue Israele ovunque, anche
nellesilio.
66. Cio, il Muro del Pianto.
362
M. PAZZINI - A. VERONESE
ledicio era stato usato come palazzo dei re di Gerusalemme; a partire dal 1119 la parte
meridionale del midra elomoh (hmlv vrdm) fu data ai Templari; in seguito, lintero edicio divenne loro propriet.
68. Il termine rwx Roccia un epiteto di Dio usato, in particolare, nel libro dei Salmi.
69. Cio: le pietre del luogo.
70. In ebraico: ytbx fastelli di spighe, parola di difcile interpretazione in questo contesto. Lo stesso Yaari non ne intuisce il signicato (nota 9).
71. Le Porte della Misericordia erano situate ad est del Tempio. Cos le descrive Basola:
Sullo stesso lato, vale a dire ad est, il Tempio ha due porte di ferro sigillate che sono un
poco sprofondate nel terreno. Sono chiamate le Porte della Misericordia. Dicono che gli
sposi entrassero per una (delle porte), mentre coloro che erano in lutto passavano per laltra: cfr. Moeh Basola, A Sion e a Gerusalemme, cit., p. 64.
363
y[wf indica in questo caso coloro che deviano dalla retta via, vale
a dire i cristiani. Nelle cronache delle persecuzioni subite dagli ebrei della Valle del Reno
durante lo svolgersi della I Crociata, questo termine utilizzato dai cronisti ebrei per indicare i crociati. Yaari ritiene che lestensore della lettera si voglia riferire non genericamente
- ai cristiani, ma ai pellegrini cristiani. In effetti, il termine spesso utilizzato per indicare
un cristiano che in qualche modo ostenti la sua fede; ed era forse pi consueto che a Gerusalemme giungessero gruppi di pellegrini, piuttosto che carovane di mercanti cristiani.
73. Il termine ebraico hvrp indica il brano biblico letto ogni sabato in sinagoga.
74. Cfr. Sofonia 3,20.
75. Epiteto impiegato per riferirsi a Gerusalemme e al santuario.
76. Ezechiele 25,14.
365
366
M. PAZZINI - A. VERONESE
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M. Piccirillo
376
M. PICCIRILLO
La chiesa
La chiesa di forma basilicale monoabsidata con presbiterio rialzato di
due gradini e con i due ambienti di servizio a anco dellabside3. Oltre
allingresso in facciata, ledicio aveva altre due porte: una al centro della
parete settentrionale che dava su un ambiente nel cortile a nord non ancora esplorato, e unaltra che attraversando lambiente di servizio sud dava
allesterno (Foto 5-6)4.
Come per le altre chiese della cittadina, le murature conservate per
unaltezza che supera i due metri sono costruite con ricorsi di pietre sommariamente sbozzate regolarizzati con inzeppature (Fig. 2 a-b-c-d). Conci
regolari di pietra lumachella delle cave di Umm al-Rasas erano stati usati
per gli stipiti e gli architravi delle porte, per i pilastri, gli archi e per la
calotta absidale del presbiterio iniziando dalla cornice di base.
Dellarredo liturgico della chiesa restavano solo alcuni frammenti dei
plutei e dei pilastrini della balaustra, una colonnina dellaltare e tre frammenti di colonne del ciborio, tutti di calcare bituminoso (Foto 7). La lastra
di un pluteo era decorata con una grande croce in rilievo, come si pu
desumere da un frammento recuperato. Si fanno notare i frammenti di due
colonne di ciborio con incisa una croce a braccia patenti con tracce di aggancio di una croce in metallo andata perduta (Foto 8-9). Sono stati anche
recuperati diversi frammenti in calcare tenero bianco scolpiti e decorati.
Dal restauro risultato un capitello intero del ciborio nemente intagliato
con motivi oreali sulla base e croci sui lati pitturati in rosso (Foto 11 ab-c-d) e la base di un secondo capitello con inciso un volatile (Foto 10).
Nella stessa pietra bianca molto leggera era stato intagliato un elemento
trapezodiale con incise delle lettere greche su un lato (Foto 12).
Larea pi disturbata dallo scavo clandestino risultata quella del presbiterio tra laltare con il reliquiario sottostante e la conca absidale (Foto
13). Al suo posto inserito nel pavimento ma aggettante in altezza per una
diecina di cm restato il contenitore in pietra del piccolo reliquiario di cui
restato soltanto lalloggiamento rettangolare (Foto 14). Resta il dubbio
sulla forma del reliquiario. Nei pressi del contenitore abbiamo infatti recuperato una lastra di alabastro spezzata e una lastra rettangolare con un foro
al centro che dovevano essere state utilizzate come chiusura del contenitore
3. La pianta simile a quella della chiesa del Vescovo Sergio nel complesso di Santo Ste-
377
Fig. 1. Umm al-Rasas - Kastron Mefaa. Il complesso di cui fa parte la Chiesa del
Reliquiario (Dis. M. Morati).
(Foto 15 a-b). In questa ricostruzione non si pu pensare ai normali reliquiari a forma di sarcofago con coperchio ad acroterio presenti nella chiesa
della regione ma probabilmente alla sola teca in metallo o ad una cassetta
rettangolare5. Al contenitore era stato aggiunta sul lato di ovest una lastra
rettangolare di pietra in relazione con i due alloggiamenti delle colonnine
dellaltare, anchessi collegati tra loro con una lastra da pensare come ba5. Per una documentazione precisa e dettagliata rimandiamo alla tesi presentata alla Sor-
bonne da Marie-Christine Comte, Les reliquaires paleochrtiens et byzantins du ProcheOrient et de Chypre (IVe-VIIIe sicles). Formes, emplacements, fonctions, rapports avec
larchitecture et la liturgie, Paris 2006 (inedita).
378
M. PICCIRILLO
Fig. 2a-b. Umm al-Rasas - Kastron Mefaa. La Chiesa del Reliquiario: a. Rilievo
della parete Est; b. Rilievo della parete Ovest (Dis. M. Morati).
379
LA CHIESA DEL RELIQUIARIO A UMM AL-RASAS
Fig. 2c-d. Umm al-Rasas - Kastron Mefaa. La Chiesa del Reliquiario: c. Rilievo della parete Nord; d. Rilievo della parete Sud
(Dis. M. Morati).
380
M. PICCIRILLO
Tavv. 6-7 e Idem, La chiesa di San Paolo a Umm al-Rasas - Kastron Mefaa, LA 47
(1997) 381, Tav. 29; Idem, La chiesa del Prete Wail a Umm al-Rasas - Kastron Mefaa in
Giordania, in F. Manns - E. Alliata (ed.), Early Christianity in Context. Monuments and
Documents, Jerusalem 1993, 319.
7. M. Piccirillo, Iconofobia o iconoclastia nelle chiese di Giordania?, in Bisanzio e lOccidente: arte, archeologia e storia. Studi in onore di Fernanda de Maffei, Roma 1996,
173-192.
8. La tomba nella navata sud risulta nella stessa posizione e di fattura identica a quella
ritrovata dai tombaroli nella Chiesa di San Paolo (M. Poller - M. Varvesi, Umm al-Rasas.
Excavation report on the tombs of the Lions Church, in: Ricerca in Giordania XIX, LA
49 (1999) 485-486, Pl. 42, Fig. 5).
381
Nei due girali superstiti dei due registri sovrapposti nellarea antistante
laltare sono identicabili alcuni motivi gurativi: un trasportatore duva in
un cesto a spalla vestito di una corta tunica, una lepre che mangia luva nel
registro esterno, e due fagiani ai lati di unaltra gura nel registro interno
(Foto 22-24)9. Di un terzo registro di cui fa parte liscrizione, resta solo
9. Motivi gurativi molto comuni nei mosaici della regione che a Umm al-Rasas trovano
un parallelo nel mosaico della chiesa del Vescovo Sergio (cf. M. Piccirillo, The Mosaics of
Jordan, Amman 1993, 234-235).
382
M. PICCIRILLO
traccia con linizio sulla sinistra nei pressi del nastro della fascia, e il piede
di un animale nei pressi di una foglia, in basso a destra delliscrizione. Tre
diamantini decorano il bordo di tessere bianche che separava la fascia a
nastro dal gradino meridionale del presbiterio.
Il mosaico della navata centrale
Il programma musivo della navata centrale comprendeva la lunga tabula
ansata con liscrizione dedicatoria nei pressi del gradino del presbiterio
seguita dal tappeto unico esteso a tutta la navata centrale spaziato da girali
di foglie di acanto circondato da una fascia di girali di tralci di vite. Sui lati,
restano tracce dei pannelli negli intercolumni seguiti dal motivo geometrico
unico esteso a tutta la lunghezza delle navate laterali (Fig. 4).
A giudicare dallangolo di nord est, i tralci di vite che formano i girali
della fascia originavano da cantari biansati posti ad angolo (Foto 30). Dei
motivi di genere che decoravano i girali restano identicabili alcuni motivi:
la parte bassa di un cesto, un alberello, la parte posteriore di un cane in
corsa sul lato nord, e un pavone in un girale superstite nel lato di ovest, in
parte coperto dai gradini posticci che superavano il dislivello con la porta
in facciata (Foto 27).
Nella navata centrale sono in gran parte andati distrutti i girali di foglie
di acanto del tappeto. La punta di una lancia e la presenza di un berretto
frigio nei pressi del lato orientale della fascia rimandano ad una scena insolita nei mosaici della regione.
Verso il centro della navata resta la parte posteriore di un capride, seguito nei tre girali del registro inferiore da un volatile in piedi tra due fenici
a testa radiata (Foto 25-26)10. Un altro volatile decorava il primo girale del
registro seguente.
Il programma della navata nord era uniformemente decorato con una
composizione ortogonale di ottagoni intrecciati a formare esagoni caricati
di diamanti con al centro quadrati con il motivo a girandola. Un motivo di
rombi posti di punta formato da tre linee di tessere rosse caricati di diamanti decorava la navata meridionale.
10. Il motivo si ritrova nel mosaico della chiesa del Vescovo Sergio (Piccirillo, The Mosa-
ics of Jordan, 235, g. 371). Cf. F. Bisconti, Aspetti e signicati del simbolo della fenice
nella letteratura e nellarte del Cristianesimo primitivo, Vetera Christianorum 16 (1979)
21-40.
383
LA CHIESA DEL RELIQUIARIO A UMM AL-RASAS
Fig. 4. La Chiesa del Reliquiario al termine delllo scavo con resti del pavimento musivo (Dis. M. Morati).
384
M. PICCIRILLO
Le iscrizioni
Nel danneggiamento del mosaico dovuto quasi sicuramente alloccupazione
delledicio dopo il suo abbandono, si salvata liscrizione del presbiterio
con gran parte delliscrizione dedicatoria.
A. Liscrizione dedicatoria
Il testo in greco si sviluppava su cinque linee nella tabula ansata in tessere
rosse estesa a tutta la larghezza della navata centrale tra il gradino e la fascia (Fig. 5, Foto 29-31). Le lettere allungate e ornate eseguite con tessere
nere sono alte in media 12 cm. Del testo restano le prime lettere di inizio
linea e la parte nale.
1.
2.
3.
4.
5.
385
tra i nomi dei pistikoi nella chiesa del Vescovo Sergio11. Il nome Wail,
scritto Oualesou, si ritrova nella iscrizione dedicatoria della chiesa del
Prete Wail12.
B. Liscrizione del presbiterio
Il testo greco scritto in tessere nere su fondo bianco si sviluppa su sette
linee inserite al centro di una composizione di girali di tralci di vite (Foto
28). Mancano le prime lettere iniziali di ogni linea. Altezza media delle
lettere 8/10 cm.
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
[...]baneq A
j grwpei'na
[...]iou k(ai) Naoumo" ajd(e)lfo;" kai;
[...]anou k(ai) Pauvlo" ajdelfo;"
[...]ou k(ai;) Pi(r)okovpi" Sergivou pr(esbutevrou) swth(riva/)
[...]ora" Kuvrio" provsdexe ta; i
[...]filesta;tou jAbbesobevo" presb(utevrou)
efulwkaliqi
Il testo presenta qualche difcolt che non siamo riusciti a chiarire. Viene data una lista dei benefattori della chiesa: Agropina, Naouma e Paolo,
fratelli di (un Tale ricordato precedentemente il cui nome andato distrutto), Procopio di Sergio e il prete Abbesobeos al quale viene dato un risalto
particolare per essersi interessato dellabbellimento della chiesa.
A parte Agropina/Agrippina, sono nomi gi noti allonomastica di Kastron Mefaa.
Naoumas Pistikoy di Germano lo si legge nelliscrizione sullingresso
della cappella martiriale nella chiesa di Santo Stefano e Paolo glio di Kas11. Piccirillo - Alliata (ed.), Umm al-Rasas - Mayfaah, 259, iscrizione n. 15.
12. Piccirillo, La chiesa del Prete Wail a Umm al-Rasas - Kastron Mefaa in Giordania, 322.
386
M. PICCIRILLO
387
332.
18. Cf. Piccirillo - Alliata (ed.), Umm al-Rasas - Mayfaah, 242-246 e R. Schick, Christianity in the Patriarchate of Jerusalem in the Early Abbasid Period, in Proceedings of the Fifth
International Conference on the History of Bilad al-Sham, Amman 1991, 63-80.
19. Piccirillo - Alliata (ed.), Umm al-Rasas - Mayfaah, 105-110.
388
M. PICCIRILLO
luso liturgico per la seconda met dellVIII secolo, risulta che laltare sso
su colonnine, difcile dire se prima o dopo la crisi, sub una trasformazione
radicale venendo sostituito da un altare in muratura. Cambiamento che si
ripercosse naturalmente anche sulla posizione dei piccoli reliquari a urne
che abbiamo trovato normalmente sparsi fuori posto allinterno delle chiese
e che dovevano essere conservati allinterno dellaltare20.
La ricchezza e la bellezza dei mosaici delle chiese aggiunti allimportanza della scoperta dal punto di vista storico di una localit cristiana governata da un arconte diacono cristiano in una regione da pi di un secolo
sotto autorit musulmana, ha fatto delle rovine di Umm al-Rasas - Kastron
Mefaa un simbolo di una possibile coesistenza pacica di cui pi che mai si
sente la necessit. Ragioni che hanno convinto la comunit internazionale
dellUNESCO riunita in Cina durante lestate 2004 a dichiarare le rovine
patrimonio dellumanit. Dichiarazione che fa ben sperare per il futuro
delle rovine che noi abbiamo avuto il privilegio di iniziare ad esplorare
nellestate di venti anni fa.
Michele Piccirillo, ofm
Studium Biblicum Franciscanum, Jerusalem
20. Per una sintesi estesa alle chiese della regione cf. A. Michel, Les glises dpoque
C. Pappalardo
La nota che segue riguarda il materiale ttile pi signicativo e gli oggetti provenienti dalle due tombe della chiesa nita di scavare durante la
campagna estiva dellanno 2004 (cf. M. Piccirillo, La Chiesa del Reliquiario, supra).
Dal punto di vista stratigraco, la situazione risultava compromessa
nella zona del presbiterio, a causa di due buchi praticati da tombaroli, mentre nel resto della chiesa era pressoch uniforme. Un abbondante
strato di terra dello spessore di 60-100 cm testimonia il periodo dabbandono che sub ledicio prima di crollare, sotto questo strato ve ne
era un altro di terra gialla compatta mista a sassi e frammenti ceramici a
stretto contatto del pavimento. Da questi contesti provengono gli esemplari della g. 2, che si riferiscono evidentemente al periodo in cui la
chiesa cadde in disuso e venne probabilmente utilizzata a scopi abitativi.
Tracce di un riuso tardivo, frequentemente riscontrato negli edici sacri
di Umm al-Rasas, si hanno nella parte scavata della navata meridionale
e sul presbiterio.
Tre sondaggi sotto il livello pavimentale hanno permesso di chiaricare la stratigraa del sottosuolo. La prima trincea stata praticata nella
testata orientale della navata nord, rimuovendo il pavimento in calce che
in questa zona integrava una grossa lacuna del mosaico (g. 4 e 5). Durante lo scavo stato possibile intercettare le lastre di chiusura di una
tomba coperte da una riempitura contenente frammenti ceramici, alcuni
dei quali appartenenti a lucerne (g. 3).
La tomba era costituita da un sarcofago in pietra fossilifera, misurante 190 x 43 x 36 cm e uno spessore di 12 cm, spezzato in due parti,
tenuto nella sua posizione con delle inzeppature di sassi e calce, coperto
da cinque lastre, che conteneva i resti ossei di tre persone. Due erano
ammucchiate a est mentre laltra era stesa con la testa ad ovest. Il sarcofago fu dunque riusato pi di una volta e non si pu dire se il mosaico
fu riallettato o meno dopo lultima sepoltura, bench il letto del mosaico
coprisse uniformemente la zona sondata.
LA 56 (2006) 389-398; tavv. 15-16
390
C. PAPPALARDO
Fig. 1 Pianta
della Chiesa
del Reliquiario
con indicati i
numeri di settore, i codici
di USM e le
quote.
391
CATALOGO
Dalla terra gialla sotto il crollo e dalla riempitura sul mosaico R1502/03/04
(g. 2).
1 R 21271; Pithos; 14 cm; imp. nemente granuloso; col. grigio; cott. media.
2 R 21272; Pithos; 27 cm; imp. nemente granuloso con inclusi bianchi e neri;
col. rosa, tranne allaltezza del toro sullorlo che grigio in sezione; ingobbio
marrone-grigio allesterno; cott. forte.
3 R 21275; Pithos; 35 cm; imp. ne con inclusi bianchi anche di grosse dimensioni;
col. grigio in sezione, rosa in supercie; ingobbio beige allesterno; cott. forte.
4 R 21274; Pentola; 14,5 cm; imp. ne; col. grigio; ingobbio grigio scuro in
supercie; cott. media Sanmor - Pappalardo, Ceramica dal monastero della
Theotokos nel Wadi Ayn al-Kanisah, LA 50 [2000] g. 12,2-4).
5 R 21286; Pentola; 6 cm; imp. nemente granuloso con inclusi bianchi; col.
rosso chiaro; ingobbio marrone allesterno; cott. forte.
6 R 21284; Tegame; 19,4 cm; imp. ne; col. rosa scuro; cott. forte.
7 R 21285; Coperchio; 12,5 cm; imp. nemente granuloso con inclusi bianchi;
col. grigio scuro; ingobbio nero allesterno; foro per il vapore sulla spalla; cott.
forte (Foto 1).
392
C. PAPPALARDO
Fig. 2 Dalla terra gialla sotto il crollo e dalla riempitura sul mosaico R1502/03/04.
393
394
C. PAPPALARDO
395
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C. PAPPALARDO
397
398
C. PAPPALARDO
Conclusione
In conclusione, si pu ancora una volta sottolineare come la situazione stratigraca incontrata nello scavo della Chiesa del Reliquiario sia omogenea
a quella delle altre chiese scavate ad Umm al-Rasas. Ledicio, mosaicato,
stando alliscrizione dedicatoria nel 586, al tempo di Sergio vescovo di
Madaba, come buona parte delle chiese di Umm al-Rasas, venne costruito
su unarea ad uso funerario, come testimoniato dalle due tombe rinvenute
presso langolo nord-est sulla navata settentrionale e presso quello sudovest, sulla navata meridionale, che contenevano le ossa di pi individui
forse gruppi familiari seppelliti in tempi successivi con corredi funebri
semplici e poveri, forse anche dopo la costruzione della chiesa e del suo
pavimento musivo. Inne, dopo un periodo di abbandono, ledicio fu riusato a scopi abitativi prima del denitivo crollo strutturale.
Carmelo Pappalardo, ofm
Studium Biblicum Franciscanum, Jerusalem
B. Hamarneh
400
B. HAMARNEH
401
1997: 481-483.
8. La campagna svolta nei mesi di Luglio-Agosto 1997 con la partecipazione della scrivente
in qualit di responsabile, V. Michel e S. De Luca. Della documentazione graca si sono
occupati M. Forgia e S. De Ruvo con lassistenza di M. Varvesi. Cf. Hamarneh - De Luca
- Michel 1999: 489-494.
9. Si potrebbe pensare alla presenza di un Praesidium militare romano. Piccirillo vi indica
una torre romana ma non esclude la provenienza probabile del materiale di spoglio dalle
vicine localit di Umm el-Walid e Dulayla. Cf. Piccirillo 2001: 272.
10. Ad esempio la stele anepigrafe decorata con croce utilizzata nel tamponamento dello
spazio tra i pilastri nella Cappella 3 e la stele proveniente dal sito, ora al Nebo (Piccirillo
1989: 115s). Tale tipologia di croci appare diffusa su stele ricavate in pietra calcarea datate
tra la seconda met del IV e la ne del VI secolo, si veda ad esempio il n. 318 nella classica di Meimaris. Cf. Meimaris - Kritikaou-Nikolaropoulou 2005: 10-11.
402
B. HAMARNEH
sorto direttamente sopra il presbiterio della Chiesa Nord il cui secondo piano visibile in elevato veniva utilizzato come bottega in epoca moderna. Tale destinazione sembra in perfetta
sintonia con i rinvenimenti ceramici e le fasi delladiacente area presbiteriale della chiesa
di S. Sergio (vedasi infra).
12. Nello stesso periodo sono attestati insediamenti nelle localit di Hesban - Esbous (cf.
Sauer 1973: 50-63) e a Dhiban (cf. Tushingham 1972: 83-84) nellambito della diocesi di
Madaba.
403
chiese.
14. Il dislivello chiaramente visibile anche nel sondaggio svolto presso lambiente laterale
5 della chiesa Nord (ubicato a N/E) ove si riscontra un profondo muro di fondazione.
15. Si tratta del taglio delle fondazioni US 157 ed il suo riempimento UUSS: 161, 162, 163,
164, 168, 169, 170, 171, 172.
16. Unoccupazione contemporanea attestata anche negli agglomerati rurali di Khirbet
el-Mukhayyat, Main e Umm er-Rasas tutte situati nella diocesi di Madaba.
17. Materiale di epoca Nabatea non ancorato a strutture si riscontra peraltro in altri villaggi
estesi come ad esempio nel caso di Hayyan al-Mushrif (diocesi di Bosra) e Main - Belemounta (diocesi di Madaba). Si rimanda a Hamarneh 2003: 259-260; 265-266.
18. Si ricordano ad esempio i fregi dentellati utilizzati nellattacco della volta a botte dellannesso nord (n. 6) della chiesa Nord ancora in situ; il capitello decorato con kemation
ionico rinvenuto nellaccumulo superiore della chiesa Nord; il concio ornato con un putto
che sorregge una ghirlanda reimpiegato nelle fondazioni del vano US 25 (ricavato allinterno della navata della chiesa di S. Sergio), nonch gli elementi di cornice dentellata posti
nei tamponamenti tra i pilastri del Martyrium Cappella 3 (da collegare alla fase moderna
di riuso del ambiente vedasi infra), inoltre le basi e i fusti di colonne rinvenuti nel nartece
ed altre sedi. La quantit numerica elevata degli elementi di scultura architettonica potrebbe
indicare la presenza di strutture di carattere monumentale nella localit. Al periodo romano
404
B. HAMARNEH
405
406
B. HAMARNEH
sistematica spogliazione di un monumento di imponenti misure19, verosimilmente in disuso al momento della costruzione di entrambe le chiese.
Tracce evidenti di tale impiego si possono osservare in situ nellattacco
della volta a botte dellambiente annesso alla chiesa Nord (ambiente 6) con
cornici modanate a dentelli con evidenti tracce di seconda giacitura, nonch
i pulvini utilizzati nellannesso sud-est Cappella 8.
Meritevole di particolare attenzione lutilizzo, come abbiamo accennato, di una cavit del banco roccioso (ove sorge la chiesa di S. Sergio)
destinata a spazio sepolcrale con deposizioni polisome20; lambiente ipogeo venne opportunamente rimaneggiato con lari di muratura a vista ed
intonaco, ed era accessibile direttamente da un ingresso a pozzetto, anchesso edicato in muratura ed intonaco per creare un condotto daccesso
allambiente funerario. Tale passaggio veniva chiuso da una lastra in pietra
munita di ganci in ferro praticati per facilitare lapertura e il collocamento delle inumazioni, e risulta ubicato in posizione decentrata allinterno
del pavimento musivo21 vedasi infra22. Il ricorso a spazi cimiteriali sotto
il pavimento Delle navate centrali degli edici di culto appare un fatto
inconsueto nellambito delle chiese giordane, tale soluzione sembra per
rimarcare il desiderio di creare un ambiente monumentale e privilegiato per
rimandano alcuni segmenti murari inglobati in edici recenti nel medesimo villaggio a poca
distanza dal complesso ecclesiale. Numerosi elementi scultorei decorati in stile nabateo si
riscontrano nelle case del villaggio moderno.
19. Numerosi esempi di riempiego si registrano nelle chiese della zona ricordiamo il caso
della chiesa del Khadir (dei Ss. Martiri) di Madaba dove si riscontra lutilizzo di blocchi
lavorati, capitelli, colonne e fregi decorati dalladiacente tempio romano. Analogo impiego
si riscontra nella localit rurale di Yajuz (diocesi di Philadelphia - Amman). Si rimanda alla
scheda con bibliograa in Hamarneh 2003: 262-263.
20. Lambiente ipogeo diviso in due vani di grandezza asimmetrica da un banco roccioso
basso a gradino, dove sono stati trovati due piatti in ceramica comune datati allVIII secolo
e numerosi frammenti di carbone. Lambiente a Nord sembrava abbastanza pieno di sepolture con i corpi inumati in posizione supina orientati W/E con capo ad Ovest mentre quello
sud sembrava meno utilizzato.
21. Lubicazione decentrata potrebbe confermare la presenza della cavit prima della costruzione delledicio.
22. La sistemazione dellingresso alla tomba monumentale comunitaria era gi previsto sia
nel programma architettonico sia in quello decorativo, tuttavia non risulta chiara lesclusiva
destinazione funeraria della chiesa in quanto nelle iscrizioni scoperte manca un esplicito
riferimento ai defunti. La presenza di tombe si riscontra spesso in prossimit o allinterno
delle chiese in ambito rurale come nel caso della chiesa dellEdicola ad Umm er-Rasas o
nella chiesa del Cortile del complesso di S. Stefano della stessa localit. Cf. Sanmor 1998:
412-424. In altre localit rurali le tombe si collocano nel nartece o nei vani attigui con
copertura costituita da lastre, il caso che rappresenta il raffronto pi diretto quello delle
sepolture dei monaci nella Basilica di Mos sul Monte Nebo.
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minoso facevano invece parte dellarredo liturgico della chiesa con colonnine, pilastrini e lastre. Larea sacra, sopraelevata di alcuni gradini rispetto alla
navata28, era dotata di synthronon, laltare, situato presso la corda dellabside
era sorretto da quattro colonnine alloggiate in incavi rettangolari29, mentre
due tavole per le offerte, di cui restano in sede le basi in scisto bituminoso, si
trovavano presso langolo sud/ovest e nord/ovest del santuario. Larea sacra
risultava divisa dalla navata, al momento della scoperta, da due grosse lastre
di pietra calcarea locale che fungevano da recinzione, saldamente inserite
nelle apposite scanalature e ricoperte di scialbo in sede.
I due ambienti laterali, dotati di un secondo piano, risultano inscritti
insieme allabside entro un muro continuo: entrambi sono di foggia rettangolare con ununica porta collegata ad un corridoio mosaicato che conduceva verso la navata. Lambiente a sud conserva una piccola nicchia nel
muro settentrionale.
Nella navata invece lo spazio tra i pilastri, addossati ai muri nord e
sud, a partire dal gradino presbiteriale, risultava occupato da panchine intonacate ad eccezione dello spazio tra i pilastri tre e quattro del muro nord
(numerazione a partire dal presbiterio) ove si trovava una struttura in muratura anchessa intonacata che mostra tracce di un manufatto addossato che
potrebbe essere identicato a titolo di ipotesi, con un sedile30, riservato a
personaggi di spicco nellambito della comunit del villaggio, conferendo
al complesso in generale, ed alla chiesa di S. Sergio in particolar modo, un
evidente valore politico.
La chiesa nella fase iniziale aveva tre ingressi in facciata di cui restava
aperto, al momento della scoperta, solo quello nord in corrispondenza del
quale stata trovata in situ una pietra rotonda che fungeva da chiusura31.
Un architrave monumentale decorato con una tabula ansata con una croce al centro con iscrizione in greco purtroppo illegibile32, rinvenuto negli
28. Si tratta di due gradini: il primo continuo tra muro nord e muro sud, mentre il secondo
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lannesso sud/est (n. 8) comunicante mediante una porta con la navata, una seconda porta
ad ovest conduceva allesterno. In un momento successivo la porta ovest viene chiusa dallabside del Martyrium o Cappella 3 aggiunta. Una simile fase ravvisabile nel complesso
del Nebo: infatti venne tamponata la porta del nuovo battistero edicato alla ne del VI
secolo dal Vescovo Sergio dallabside della Cappella della Theotokos terminata dal vescovo
Leonzio nel VII secolo.
57. Tracce del medesimo fenomeno si riscontrano nella Cappella 3 ma non nellannesso 8.
58. Come ad esempio il taglio US 125, effettuato nel pavimento musivo della navata centrale presso il gradino del presbiterio e riempito dal focolare US 126 (diametro circa 70
cm con ceramica abbaside); e i focolari, entrambi di 120 cm di diametro, US 127 al centro
della chiesa e US 128 presso la porta centrale della stessa che venne bloccata forse in
quelloccasione.
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sali seguito dalle lastre del tetto cadute con movimento verticale al centro
della navata (US 19 = 27). In questa occasione si segnala la presenza di
numerosissime tessere di mosaico bianco rinvenute con cospicue porzioni
del supporto di calce, elementi importanti che potrebbero suggerire, come
abbiamo avuto modo di accennare, lesistenza di un secondo piano come in
altre costruzioni caratterizzati dallimpiego della pietra (all stone) riscontrati nel Hauran meridionale e nel Massiccio calcareo della Siria settentrionale. Infatti stata accertato che almeno lambiente laterale sud-est della
chiesa di S. Sergio era dotato di un secondo piano mosaicato dello stesso
tipo di manto di tessere bianche ancora oggi in sito.
Larea presbiteriale tuttavia sembra sopravvivere al crollo almeno in questa
fase con la sua copertura, probabilmente a causa della presenza dei due ambienti laterali che fornivano una piattaforma dappoggio pi solida e meno ampia
elemento che potrebbe essere stato decisivo nelle successive fasi duso.
A seguito del crollo solo alcune parti delledicio vengono riutilizzate
in due riprese distinte (vedasi infra). Allinterno della navata si forma un
secondo strato sabbioso di colore giallo con frammenti ceramici eterogenei e numerosi frammenti di intonaco caduto dai muri spesso circa cm 70
(US 14). Inne un secondo crollo dei lari superiori dei muri dambito
per rovesciamento a causa del deterioramento della cresta e del suo supporto costituendo uno strato spesso circa m 1.55 (US 13), portando verso
il denitivo abbandono del complesso come attesta il cospicuo accumulo
superciale di materiale edilizio di circa m 1.85 formato in pendenza da est
ad ovest su tutta la supercie del complesso (US 0, 11).
La rioccupazione del complesso in epoca medievale islamica
La probabile presenza della copertura sul presbiterio e sugli ambienti laterali
della chiesa di S. Sergio consent la loro rioccupazione in epoca mamelucca
(1250-1390 d.C.)61, come testimoniano appunto alcuni rozzi rifacimenti strutturali62 e il materiale ceramico rinvenuto non solo nellarea del presbiterio
61. Si registra la presenza di un numero elevato di villaggi in epoca mamelucca a sud di
Bilad esh-Sham. Nella regione del Balqa, infatti lautore musulmano al-Daheri Ibn Shahin
annovera 300 localit. Cf. Al-Daheri, pp. 46-47. Inoltre si rimanda a Ghawanmeh 1982:
363-364.
62. La rioccupazione mamelucca dellarea presbiteriale della Chiesa di S. Sergio potrebbe
essere collegata con una situazione speculare nelladiacente Chiesa Nord, infatti si presume che lambiente costruito sopra il presbiterio di questultima (vano 5) fosse di epoca
medievale islamica.
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al crollo, dovuto ad inltrazioni da supercie, alle quali, a nostro avviso, non va assegnato
un valore cronologico determinante.
64. Il tamponamento della porta tra la chiesa di S. Sergio e del Martyrium o Cappella 3
sottolinea lautonomia dei due luci.
65. Si tratta di una cornice architettonica lavorata a rilievo, di foggia rettangolare, percorsa
da una frattura lungo il margine superiore. Il manufatto rappresenta sul lato di destra un putto
stante, visto frontalmente, il corpo tozzo e corto, con gambe divaricate: quella di destra
piegata al ginocchio ad angolo retto come le braccia che descrivono un movimento rigido, la
testa appare coronata da un caschetto di riccioli. Non si vedono mani e piedi. Il putto sorregge
una ghirlanda fogliata, la cui estremit gli avvolge il tronco e lambisce la gamba sinistra a m
di tracolla. La ghirlanda ha un andamento semicircolare con serie di foglie a petali arrotondati
nella parte terminale. Il punto centrale sopra la ghirlanda decorata con un rosone tagliato
dalla frattura. Il tema del putto con ghirlanda appare frequentemente sulla scultura architettonica di epoca nabatea a partire dal II secolo a.C. Cf. Baratte 1980: 38-39.
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66. Lingresso posto su quel lato potrebbe offrire un ulteriore indizio sulla presenza di una
stradina.
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Martyrium - Cappella 3
Il Martyrium o Cappella 3 (m 3.18 x m 8.33) viene addossato al muro meridionale della chiesa di S. Sergio (USM 17) in un secondo momento, come
testimonia il tamponamento della porta ovest dellannesso 8 dallabside
della Cappella USM 28 (vedasi infra) e le bugne scalpellate via dalle pietre
dal muro USM 17 per favorire laderenza dellintonaco e rendere uniforme
linterno dellambiente cultuale, come si evince dalle porzioni non interessate da tamponamenti tra pilastri67. La cappella risulta comunicante con S.
Sergio mediante una porta gi esistente e leggermente allungata rispetto
ad essa in quanto si conclude a ridosso del muro esterno del nartece. Un
secondo ingresso viene praticato sul lato sud permettendo di raggiungere
la Cappella direttamente dal nartece.
Il riutilizzo della Cappella come abitazione in epoca moderna ha causato lasportazione degli strati originari di abbandono allinfuori di un lembo
esiguo di terra gialla compatta (US 37) depositato direttamente sopra il
pavimento musivo conservato solamente sul lato ovest del vano, presso la
facciata dove si trova un alto gradino intonacato che occupa completamente
un piccolo corridoio coronato da una volta a botte e chiuso da un muro68.
Tale sistemazione occultava un piccolo pozzetto (USM 66) intonacato con
cura adibito forse alla custodia di reliquie, la cui cavit (cm 0.75 x cm
0.75) era chiusa da un capitello appena abbozzato a sua volta celato da
intonaco bianco. Scanalature nel muretto del corridoio a volta, praticate
verosimilmente per alloggiare una recinzione, suggeriscono limportanza
delle reliquie contenute o il valore cultuale ad esse attribuito nellambito
del complesso69. La cappella, verosimilmente centro di un culto martiriale70,
67. In tale modo la facciata esterna del muro USM 17 diventa un interno.
68. Non stato possibile vericare il contenuto del pozzetto in quanto fu scavato clandesti-
namente. Si tratta di una sistemazione insolita in area giordana, in quanto risulta pi diffuso
il collocamento del reliquiario nellarea presbiteriale. Cf. Michel 2001: 72-79.
69. La funzione cultuale della cavit suggerita anche dallorientamento inverso dei due
leoni nel mosaico antistante il gradino rispetto al resto del pavimento direzionato verso
labside ed inne dalla presenza di materiali pregiati rinvenuti nello scavo dellunico
lembo di stratigraa intatta fra cui: un frammento di mensa di forma circolare cm 80
in marmo bianco con venature giallastre (RA 868); un frammento di lastra in marmo
grigio (RA 860); frammento di lastra in marmo proconnesio decorata con scanalature
(RA 865); un frammento di colonnina in scisto bituminoso (RA 869) e frammenti di
lucerna vitrea.
70. Cf. Piccirillo 2001: 278. La presenza di cappelle annesse si riscontra spesso nei complessi costituiti da pi chiese sia in ambito urbano sia in quello rurale e datati alla seconda
met del VI secolo o agli primi decenni del VII secolo. Nel complesso della Cattedrale di
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Madaba si trova la cappella del Martire Teodoro, in quello della Cattedrale di Gerasa vi
una cappella omonima, ad Umm er-Rasas il complesso di S. Stefano costituito da quattro
chiese cos come la basilica di Mos sul Monte Nebo; cf. Michel 2001: 42-44. Alcuni esempi del territorio del patriarcato di Antiochia mostrano la presenza di cavit cubiche negli
annessi sud identicati con martyria. Cf. Donceel-Vote 1995: 193-195.
71. La situazione stratigraca sin qui descritta nella Cappella 3 era sigillata da un accumulo
uniforme di circa m 2.25 costituito da pietrame di diversa misura frammisto a terra giallogrigiastra US 32 coperto da circa cm 50 di riporto moderno US 0.
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Il nartece
Il nartece, posto a contatto con le facciate delle due chiese principali (USM
16; USM 18), risulta unico e comunicante con i tre edici cultuali, esso
delimitato a sud-ovest dal martyrium Cappella 3 e a nord-ovest dal
muro (USM 198) addossato alla facciata della chiesa Nord (USM 18). Il
lato occidentale segnato invece da uno stilobate N/S (USM 45) posto in
corrispondenza agli ingressi delle due chiese principali.
Tre porte mettono in comunicazione il nartece con la chiesa di S. Sergio, mentre due porte vi conducono dalla chiesa Nord, una sola porta lo
mette in collegamento con il martyrium.
Nella prima fase il nartece si presenta semplice e corrisponde per estensione alle facciate delle due chiese, esso era dotato di colonne poste sia
presso gli ingressi delle chiese sia lungo lo stilobate come in altri esempi
coevi72. Tale aspetto monumentale viene suggerito dal rinvenimento di numerose basi di colonne modanate, probabilmente di spoglio di cui quattro
(RA 26; RA 43; RA 61; RA 66) sono state trovate riutilizzate (alcune capovolte) nei muri ottomani (USM 40, USM 81) che corrono parallele alla
facciata della chiesa di S. Sergio; mentre una base (RA 47) era inserita direttamente nel piano pavimentale presso lo stipite della porta settentrionale
di S. Sergio, una stata invece scoperta nelladiacente martyrium (RA 51)
e da ultimo una stata trovata presso la facciata della chiesa Nord. Diversi
fusti di colonna (circa 12) sono stati individuati negli accumuli superciali
sia nellambito del nartece stesso che nelle chiese del complesso da considerare quale parte integrante della sistemazione originaria.
Il piano pavimentale del nartece risulta mosaicato con un motivo a
rombi e diamanti racchiuso entro una cornice lineare73. Esso gira intorno
allo stilobate e allunica base di colonna in situ presso lo stipite della chiesa
di S. Sergio.
Al momento della costruzione del martyrium, il nartece diventa doppio e subisce un piccolo rimodellamento: esso viene chiuso a sud/ovest
dallavanzamento della Cappella Martiriale mentre a nord ovest un muro
72. Una simile soluzione si registra nella chiesa della cittadella di Amman (Northedge 1992:
pl. 162); diversi esempi si trovano a Gerasa come la Chiesa dei Propilei; la Chiesa dei Santi,
Apostoli e Martiri; la Chiesa di Isaiah; quella dei Ss. Pietro e Paolo di Gerasa e chiesa del
Martire Teodoro mentre il nartece unico per pi chiese afancate come in quello di S.
Giorgio, S. Giovanni Battista, Ss. Cosma e Damiano per le chiese di Gerasa (Michel 2001:
226-269). Una sistemazione simile si riscontra nella chiesa sul Acropoli di Hesban (Piccirillo 1993: 250) e nella chiesa nord di Ruheibeh (Shereshevski 1991: pl. 48).
73. La decorazione musiva coeva alla decorazione di S. Sergio, poich il medesimo motivo a rombi decora i due corridoi che conducono verso gli ambienti laterali al presbiterio.
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(USM 198), addossato alla facciata della chiesa Nord forma un vano quadrangolare (ambiente 7) di m 4 x 2,6574, delimitato a sud da un muro dotato di soglia (USM 81) che lo rende comunicante con il nartece. Sul lato
occidentale invece un muro (USM 199), dotato di una base di semicolonna
con scanalatura, viene collegato con uno stilobate (USM 200).
Lambiente ricavato, che costituisce un vano speculare allavanzamento
del martyrium, mantiene il medesimo manto musivo di rombi e diamanti
scoperto nel nartece. Tale mosaico viene riparato con laggiunta di tessere bianche a ridosso dellingresso al martyrium e nei lati occidentale e
settentrionale.
Abbandono del nartece
Al momento dellabbandono delledicio di culto nellVIII-IX secolo, il
nartece risulta altres frequentato in quanto rappresenta lunico accesso al
complesso cultuale, ad eccezione di un lembo di terra gialla molto compatta di circa 6-8 cm (US 42) formatosi direttamente sopra il pavimento
musivo con tessere e ceramica di epoca bizantina. Nel lato settentrionale
del nartece e presso lingresso allambiente 7 stato individuato invece un
accumulo di terra marrone scura (US 80) con ceramica bizantina ed abbaside; nella parte restante del nartece appare coevo uno strato di terra gialla
di consistenza sabbiosa (US 188) che ha restituito ceramica abbaside.
Il denitivo abbandono dellarea risulta successivo al cedimento delle
strutture della facciata della chiesa con la formazione di uno strato di terra
gialla sabbiosa (US 14) con ceramica omayyade ed abbaside.
Il nartece in epoca ottomana
In epoca Ottomana il nartece subisce altre modiche e restringimenti, in
primis viene aggiunto un muro doppio (USM 81) che corre parallelo alla
facciata della chiesa di S. Sergio, altri due muri (USM 206; USM 207)
chiudono il limite ovest del nartece trasformandolo in ambiente, mantenendo la comunicazione con il Martyrium e lambiente 25 entrambi frequentati
in quel periodo.
74. La presenza di vani addossati alla facciata si registra nel caso della Chiesa del Ss. Mar-
tiri (el-Khadir) di Madaba; cf. Piccirillo - Denton 1996: 29; nelle chiese gemelle allinterno
del castrum di Umm er-Rasas (Bujard 1988: g. 3).
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Levoluzione cronologica delledicio di culto stata restituita mediante unattenta osservazione della sequenza stratigraca relativa ai contesti
di scoperta dei manufatti ceramici nei vari settori rivelando un quadro di
estremo interesse che viene qui presentato per loci.
Chiesa di S. Sergio
Fig. 1. Area presbiteriale. US 9: livello di calce relativo alla preparazione della messa in opera del mosaico pavimentale frequentazione di epoca
tardo bizantina e omayyade.
1) N 193. Anfora. Diametro cm 10. Imp. granuloso (inclusi di calcare e piccoli punti bianchi); colore: arancione-rosato; cott. forte. Datazione: periodo bizantino.
2) N 207. Anfora. Diametro cm 10. Imp. granuloso; colore: grigio-rosa; cott.
forte. Datazione: periodo bizantino.
3) N 433. Anfora. Diametro cm 10. Imp. granuloso; colore: beige; cott. forte.
Datazione: periodo bizantino.
4) N 384. Anfora. Diametro cm 8. Imp. granuloso; colore: beige-rosato; cott.
forte. Datazione: periodo bizantino.
5) N 371. Anfora. Diametro cm 10. Imp. granuloso (inclusi di calcare e piccoli
punti neri); colore: beige-rosato; cott. forte. Datazione: periodo bizantino.
6) N 382 (+ N 374, N 372). Anfora. Diametro cm 10. Imp. granuloso (inclusi
neri); colore: beige-rosato; cott. forte. Datazione: periodo bizantino.
7) N 344. Anforetta. Diametro cm 8. Imp. depurato; colore: beige; cott. forte.
Datazione: primo periodo bizantino.
8) N 353. Anforetta. Diametro cm 8. Imp. granuloso (inclusi di calcare e piccoli
punti neri); colore: beige; cott. forte. Datazione: periodo bizantino.
9) N 3579 (+ 3580). Anforetta. Diametro cm 6. Imp. granuloso (inclusi di calcare
e piccoli punti neri); colore: rosato. Decorazione: ampia banda in colore rosso
lungo la spalletta e sullorlo; cott. forte. Datazione: tardo periodo bizantino.
10) N 3582. Anforetta (parete). Imp. depurato; colore: beige; cott. forte. Decorazione: ramoscello reso in pittura marrone. Datazione: periodo omayyade.
11) N 252. Anforetta (fondo). Imp. granuloso; colore rosato; cott. forte. Decorazione: ingobbio beige. Datazione: periodo bizantino.
12) N 151. Imbuto o tappo per anfora (?) (fondo). Imp. granuloso (inclusi di paglia); colore: beige; cott. media-forte. Datazione: periodo omayyade. Fondo
con accenno di foro.
13) N 427. Imbuto o tappo per anfora (?). Diametro cm 12. Imp. granuloso con
piccoli inclusi neri; colore beige-rosato; cott. media forte. Datazione: periodo
bizantino. Il manufatto presenta un foro rotondo sul fondo.
14) N 327. Catino. Diametro cm (?). Imp. granuloso; colore: beige; cott. forte. Decorazione: motivo a onde inciso con un pettine sullargilla fresca. Datazione:
periodo bizantino.
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15) N 102. Piatto. Diametro cm 24. Imp. granuloso; colore: beige; cott. forte.
Decorazione: verniciatura o ingobbio rosa. Datazione: periodo bizantino.
16) N 330. Piatto-coperchio. Diametro cm 26. Imp. granuloso (inclusi minuscoli di
calcare e punti neri); colore: rosa; cott. forte. Datazione: periodo bizantino.
Fig. 2. Area presbiteriale. US 7: strato di terra gialla con numerosi inclusi di calce relativo al riutilizzo del presbiterio in epoca mamelucca.
1) N 422. Anfora. Diametro cm 18. Imp. granuloso con inclusi bianchi e bolle
darea; colore beige; cott. media. Decorazione: pittura rosso-bruna. Datazione:
periodo mamelucco.
2) N 315. Anfora. Diametro cm 16. Imp. granuloso; colore beige; cott. media. Decorazione: ingobbio bianco, pittura rosso-bruna sia allinterno che allesterno.
Datazione: periodo mamelucco.
3) N 226. Anfora. Diametro cm 14.5. Imp. granuloso; colore beige; cott. media.
Decorazione: pittura rosso-bruna sia allinterno che allesterno. Datazione: periodo mamelucco. Manufatto modellato a mano.
4) N 349. Anfora. Diametro cm 13. Imp. granuloso; colore rosa; cott. media.
Decorazione: pittura rosso-bruna. Datazione: periodo mamelucco. Manufatto
modellato a mano.
5) N 194. Brocca. Diametro cm 10. Imp. granuloso; colore beige; cott. media.
Decorazione: pittura rosso-bruna e nera. Datazione: periodo mamelucco. Numerose porosit dovute alla presenza di paglia nellimpasto.
6) N 295. Brocca. Diametro cm 13. Imp. granuloso; colore marrone; cott. media.
Decorazione: ingobbio rosa, pittura rosso-bruna. Datazione: periodo mamelucco.
7) N 416. Brocca. Diametro cm 13. Imp. granuloso; colore marrone; cott. media.
Decorazione: ingobbio rosa, pittura rosso-bruna allinterno e allesterno. Datazione: periodo mamelucco.
8) N 413 (+ N 414). Brocca. Diametro cm 9. Imp. granuloso con inclusi bianchi;
colore rosa; cott. media. Decorazione: pittura rosso-bruna allesterno e allinterno. Datazione: periodo mamelucco. Modellata a mano.
9) N 192. Brocca. Diametro cm 18. Imp. granuloso; colore rosa-arancio; cott. media. Decorazione: pittura marrone. Datazione: periodo mamelucco. Modellato
a mano.
10) N 118 (+ 311, 182, 212, 231, 101). Brocca. Diametro cm 9. Imp. granuloso
con bolle di area e piccoli inclusi bianchi; colore beige-rosato; cott. media. Decorazione: pittura rosso-bruna e nera a motivi geometrici. Datazione: periodo
mamelucco. Modellata a mano (la parte interna del collo presenta un doppio
strato di argilla).
11) N 116. Brocca. Diametro cm 9. Imp. granuloso con bolle di area; colore beige;
cott. media. Decorazione: pittura rosso-bruna. Datazione: periodo mamelucco.
Modellata a mano.
12) N 232. Tazza. Diametro cm 11.5. Imp. grossolano; colore beige; cott. forte.
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Fig. 3. Dal riempimento del muro est tra annesso sud e presbiterio della
Chiesa di S. Sergio.
N 7052. Lucerna. Imp. Grezzo con inclusi bianchi; colore rosa e beige in sezione; decorazione nastri incrociati in colore rosso bruno; cott. media. Evidenti
segni di bruciatura sul beccuccio. Datazione: periodo mamelucco.
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Annesso nord
Fig. 4. US 131: strato di terra marrone chiaro presso annesso nord (accumulo moderno a seguito del crollo della copertura).
N 4232. Anforetta (parete). Imp. depurato con piccoli inclusi neri; col. beigerosato; cott. forte. Decorazione: ingobbio bianco, pittura rossa a linee ondulate.
Datazione: periodo omayyade.
Fig. 5. US 132: accumulo di terra grigio scura presso lannesso nord (abbandono
depoca ottomana).
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1) N 4604. Anfora (frammento parete). Imp. depurato; colore beige-rosato divenuto grigio causa il fuoco; cott. forte. Decorazione: pittura rossa applicata a
uide pennellate con nastri doppi e tondi. Datazione: periodo omayyade.
2) N 4609. Tazza. Diametro cm 16. Imp. granuloso; colore beige-rosato alterato
dal fuoco; cott. forte. Decorazione: pittura in rosso con un tondo stilizzato
allacciato a quattro elementi gigliati contrapposti. Datazione: periodo
abbaside.
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Fig. 8. US 189: strato di terra rossa granulosa presso muro nord dellannesso
N 4549. Tazza. Diametro cm 10. Imp. granuloso; colore arancione; cott. media.
Datazione: periodo bizantino.
Navata
Fig. 9. Dalla Tomba ipogea della Chiesa 1 di S. Sergio.
1) N 4263. Piatto. Diametro cm 26. Imp. granuloso con inclusi bianchi e neri;
colore beige-rosato; cott. forte. Decorazione: ingobbio di colore biancastro
con pittura in colore rosso allinterno e sullorlo. Si tratta di cerchi di vario
spessore alternate a un motivo a onda. Datazione: tardo periodo omayyade.
2) N 4281. Piatto. Diametro cm 26. Imp. granuloso ricco di inclusi bianchi e piccola e media dimensione e inclusi neri; colore rosa; cott. media. Decorazione:
ingobbio beige. Datazione: periodo abbaside.
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Fig. 11. US 108: strato di terra di colore arancione di consistenza granulosa compatta in pendenza da N a S. Coperto da US 107. Lo strato
testimonia la fase di abbandono in epoca abbaside.
1) N 4380. Anfora. Diametro cm 14. Imp. granuloso; col. grigio-rosato; cott.
forte. Datazione: periodo bizantino.
2) N 4379. Tazza. Diametro cm 8. Imp. nemente depurato; col. arancione e
grigio allesterno, grigio in sezione; cott. forte. Decorazione: lesterno presenta gradini appena percettibili ottenuti dallasportazione dellargilla in eccesso
mediante un coltello, seguito da una lucidatura con bastoncino. Datazione: IX
secolo.
3) N 4378. Piatto. Diametro cm . Imp. granuloso; col. arancione; cott. forte. Decorazione: tracce di lucidatura allesterno. Datazione: periodo bizantino.
4) Gancio a L in ferro.
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Fig. 10. US 107: strato di terra di colore grigio relativamente compatto che interessa tutta larea della navata centrale della chiesa. Lo strato potrebbe essere
associato allabbandono della fabbrica poco prima del crollo della copertura (lo
strato posto direttamente sotto il crollo).
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Fig. 12. US 109: strato di terra di colore arancione di consistenza granulosa presente tra US 25 e il 6-7 pilastro del muro S della navata centrale (=
US 116). Si tratta del primo abbandono della chiesa da collocare in epoca
omayyade (con copertura ancora in situ) in quanto lo strato si deposita sopra il mosaico e risulta tagliato dai focolari (con ceramica abbaside).
1) N 4483. Anfora. Diametro cm 8. Imp. granuloso; col. arancione; cott. forte.
Decorazione: ingobbio beige. Datazione: periodo bizantino.
2) N 4478. Anfora. Diametro cm 12. Imp. granuloso; col. beige-rosato; cott. media-forte. Decorazione: ingobbio bianco. Datazione: periodo bizantino.
3) N 4399. Anfora. Diametro cm 8. Imp. granuloso; colore arancione; cott. forte.
Decorazione: ingobbio arancione, pittura in rosso scuro. Datazione: periodo
abbaside.
4) N 4418. Anfora. Diametro cm 8. Imp. granuloso; colore arancione; cott. forte.
Datazione: periodo bizantino (prima met VI secolo). Si veda Magnes 1993,
p. 225, 2.
5) N 4396. Anfora. Imp. granuloso; colore beige; cott. media-forte. Decorazione:
ingobbio bianco e pittura rossa. Datazione: periodo omayyade.
6) N 4352. Anforetta (parete). Imp. granuloso; col. beige-rosato (alterato dal fuoco); cott. forte. Decorazione: pittura rossa a linee ondulate. Datazione: periodo
omayyade.
7) N 4331. Anforetta. Diametro cm 12. Imp. granuloso; col. beige-rosato; cott.
forte. Datazione: periodo bizantino.
8) N 4351. Anforetta (parete). Imp. granuloso; col. arancione; cott. forte. Decorazione: pittura rossa a cerchi concentrici. Datazione: periodo omayyade.
9) N 4336. Anforetta (parete). Imp. granuloso; col. beige-rosato; cott. forte. Decorazione: ingobbio bianco e pittura rossa a linee ondulate. Datazione: periodo
omayyade.
10) N 4415. Anforetta (parete). Imp. granuloso; col. beige; cott. forte. Decorazione: ingobbio beige e pittura rossa a linee ondulate. Datazione: periodo omayyade.
11) N 4464. Pentola. Diametro cm 24. Imp. granuloso; col. marrone allinterno con
tracce di annerimento a contatto col fuoco allesterno; cott. forte. Datazione:
periodo bizantino.
12) N 4330. Coperchio. Diametro cm 15.6. Imp. granuloso; col. arancione; cott.
forte. Datazione: periodo bizantino.
13) N 4338. Coperchio. Diametro 18. Imp. granuloso; col. grigio; cott. forte. Datazione: periodo bizantino.
14) N 4345. Tazza. Diametro cm 12-18. Imp. granuloso; col. arancione; cott. forte.
Datazione: periodo bizantino.
15) N 4350. Tazza. Diametro cm 16. Imp. granuloso; col. beige-rosato (alterato dal
fuoco); cott. forte. Datazione: periodo bizantino.
16) N 4401. Tazza. Diametro cm 14. Imp. granuloso; colore rosa; cott. forte. Decorazione: ingobbio bianco, pittura rossa a motivi geometrici applicata sullesterno e sul labbro. Datazione: periodo abbaside.
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17) N 4406. Tazza. Diametro cm 16. Imp. granuloso; colore beige-rosato; cott.
forte. Decorazione: ingobbio bianco, pittura marrone-rossiccia a pelte sovrapposte e puntinate allinterno, sul labbro strisce verticali. Datazione: periodo
abbaside.
18) N 4395 (+ 4404; 4405; 4391; 4321 US 114; 4477 US 116 + 1 frammento dalla
chiesa Nord). Tazza. Diametro cm 14. Imp. granuloso; colore beige-rosato;
cott. forte. Decorazione: ingobbio bianco, pittura in rosso con motivo a S; sul
labbro striscia ondulata. Datazione: periodo abbaside.
19) N 4402. Tazza. Diametro cm 14. Imp. granuloso; colore beige-rosato; cott.
forte. Decorazione: ingobbio bianco, pittura marrone-rossiccia a elementi geometrici, sul labbro linea ondulata. Datazione: periodo abbaside.
20) N 4403. Tazza (frammento del fondo). Imp. granuloso; colore rosa; cott. forte.
Decorazione: ingobbio bianco, pittura rossa. Datazione: periodo abbaside.
21) N 4332. Mattoncino da nestra. Imp. granuloso; col. beige-rosato; cott. forte.
Tracce di intonaco sui piani di posa e di attesa. Datazione: periodo bizantino.
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Fig. 13. US 114: strato di terra di colore nero friabile coperto da US 107.
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19) N 3994. Piatto. Diametro cm 24 circa. Imp. granuloso; colore beige alterato
dal fuoco; cott. forte. Decorazione: tracce di pittura rossa sul orlo. Datazione:
periodo omayyade.
20) N 4263. Tazza (parete). Imp. depurato; col. beige-rosato; cott. forte. Decorazione: ingobbio bianco e pittura in rosso intenso a motivi geometrici e oreali.
Datazione: periodo abbaside IX secolo.
21) N 4358. Tazza. Diametro cm 12. Imp. depurato; col. beige-rosato; cott. forte.
Decorazione: ingobbio beige e pittura rossa applicata a uide pennellate. Datazione: periodo omayyade.
22) N 4280. Tazza. Diametro cm 12.2. Imp. depurato; col. beige-rosato; cott. forte. Decorazione: ingobbio beige e pittura rossa applicata a uide pennellate.
Datazione: periodo omayyade.
23) N 3997. Tazza. Diametro cm 12. Imp. granuloso; colore beige; cott. forte.
Decorazione: ingobbio beige, pittura rossa. Datazione: periodo omayyade.
24) N 3998. Tazza (frammento presso il fondo). Imp. granuloso; colore rosa; cott.
forte. Decorazione: ingobbio bianco, pittura rossa. Datazione: periodo abbaside.
25) N 3993. Tazza. Diametro cm 8. Imp. depurato; colore arancione; cott. forte.
Decorazione: tracce di argilla in eccesso tagliata col coltello. Datazione: periodo abbaside.
26) N 3991. Tazza. Diametro cm 10. Imp. depurato; colore arancione percorso da
strisce in grigio scuro; cott. forte. Decorazione: tracce di taglio dellargilla in
eccesso effettuata col coltello. Datazione: periodo abbaside.
27) N 4015. Tazza. Diametro cm 14. Imp. granuloso; colore beige-rosato alterato
dal fuoco; cott. forte. Decorazione: ingobbio bianco (?), pittura rossa a pelte
sovrapposte e puntinate allesterno e piccoli tondi sullorlo. Datazione: periodo
abbaside.
28) N 4299 grano di collana in vetro verde. Diametro cm 4.
Fig. 15. US 116: terra di colore arancione di consistenza granulosa depositata direttamente sopra il pavimento musivo della navata (abbandono
- post VIII secolo).
1) N 3974. Anfora. Diametro cm 8. Imp. granuloso; col. arancione chiaro; cott.
forte. Decorazione: ingobbio beige. Datazione: periodo bizantino.
2) N 4448. Anfora. Diametro cm 8. Imp. granuloso; colore arancione; cott. forte.
Datazione: periodo bizantino.
3) N 4556. Anfora. Diametro cm 8. Imp. granuloso; col. beige-rosato; cott. media.
Datazione: periodo bizantino.
4) N 3975. Anfora. Diametro cm 11. Imp. granuloso; col. arancione; cott. forte.
Decorazione: ingobbio beige, sul labbro argilla in eccesso schiacciata con le dita.
Tracce di annerimento da fuoco allinterno. Datazione: periodo bizantino.
5) N 4023. Anfora. Diametro cm 10. Imp. molto granuloso; col. marrone tendente allarancione; cott. media. Decorazione: pittura rossa. Datazione: periodo
omayyade.
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6) N 3982. Anfora. Diametro cm 14. Imp. granuloso; colore rosa; cott. forte.
Decorazione ingobbio bianco. Datazione: periodo omayyade.
7) N 4026. Anfora. Diametro cm 12. Imp. granuloso; col. grigiastro; cott. forte.
Decorazione: pittura rossa allesterno. Datazione: periodo omayyade.
8) N 4539. Anfora. Diametro cm 14. Imp. granuloso; colore beige-rosato; cott.
forte. Datazione: periodo bizantino.
9) N 4528. Anfora. Diametro cm 9. Imp. depurato con piccoli inclusi neri; colore
beige-rosato; cott. media-forte. Decorazione: ingobbio rosa (impronte di dita
allinterno). Datazione: periodo bizantino VII secolo.
10) N 4250. Anfora. Diametro cm 12. Imp. depurato; col. rosa; cott. forte. Decorazione: ingobbio bianco allesterno (Pappalardo - San Mor 1997, g. 5, 1).
11) N 4019. Anfora. Diametro cm 8. Imp. granuloso; col. arancione; cott. forte.
Decorazione: ingobbio beige-rosato e pittura in rosso scuro a linee ondulate.
Datazione: periodo omayyade.
12) N 4432. Anfora. Diametro cm 10. Imp. granuloso; colore arancione; cott. forte.
Datazione: periodo bizantino.
13) N 4548. Anforetta. Diametro cm 3. Imp. depurato con minuscoli inclusi bianchi e grigi; colore beige-rosato; cott. forte. Datazione: periodo bizantino.
14) N 3984. Anfora. Diametro cm 10. Imp. granuloso; colore beige; cott. Forte;
Decorazione: ingobbio bianco, orlo dipinto in rosso, esterno solcato da gradini.
Datazione: tardo periodo bizantino.
15) N 4463 (+ N 4482). Anforetta. Diametro cm 10. Imp. granuloso; col. beigerosato; cott. forte. Decorazione: ingobbio rosa, pittura rossa a linee. Datazione:
periodo abbaside.
16) N 4493. Anforetta. Diametro cm 10. Imp. granuloso; col. arancione; cott. forte.
Decorazione: ingobbio beige, pittura rossa. Datazione: periodo omayyade.
17) N 4525. Anforetta. Diametro cm 14. Imp. depurato; col. Beige rosato; cott.
forte. Decorazione: pittura rossa. Datazione: periodo omayyade.
18) N 4480. Anforetta. Diametro cm 9. Imp. granuloso; colore beige; cott. forte.
Datazione: periodo bizantino.
19) N 4266. Anforetta. Diametro cm 10. Imp. granuloso; col. beige-rosato; cott.
forte. Decorazione: ingobbio bianco. Datazione: periodo bizantino VI secolo.
20) N 4467. Anforetta. Diametro cm 11. Imp. granuloso; colore arancione; cott.
forte. Datazione: periodo bizantino.
21) N 4472. Anforetta. Diametro cm 12. Imp. granuloso; colore arancione; cott.
forte. Datazione: periodo bizantino.
22) N 4489. Anforetta. Diametro cm 10. Imp. granuloso; colore arancione; cott.
forte. Decorazione: impronte di dita sulla parte interna. Datazione: periodo
bizantino.
23) N 4595. Anforetta biansata. Diametro cm 7. Imp. granuloso; colore beigerosato; cott. forte. Decorazione: ingobbio beige, impronte di dita sulla parte
interna e pittura rossa. Datazione: periodo omayyade.
24) N 4535. Anfora (parete). Imp. granuloso; col. arancione; cott. forte. Decorazione: ingobbio beige e pittura di colore rosso scuro a linee ondulate. Datazione:
periodo omayyade.
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25) N 4473. Anfora (parete). Imp. granuloso; col. beige-rosato; cott. forte. Decorazione: ingobbio bianco e pittura di colore rosso scuro. Datazione: periodo
omayyade.
26) N 4469. Anfora (parete). Imp. granuloso; col. beige; cott. forte. Decorazione:
ingobbio beige e pittura di colore rosso scuro a linee ondulate. Datazione:
periodo omayyade.
27) N 4024. Anforetta (parete). Imp. granuloso; col. beige-rosato; cott. forte.
Decorazione: pittura rossa a linee ondulate. Datazione: periodo omayyade.
28) N 4558. Anforetta (parete). Imp. granuloso; col. beige-rosato; cott. forte.
Decorazione: pittura rossa a linee ondulate. Datazione: periodo omayyade.
29) N 4562. Anforetta (parete). Imp. granuloso; col. beige-rosato; cott. forte.
Decorazione: pittura rossa a cerchi concentrici. Datazione: periodo
omayyade.
30) N 4563. Anforetta (parete). Imp. granuloso; col. beige-rosato; cott. forte.
Decorazione: pittura rossa a linee ondulate. Datazione: periodo omayyade.
31) N 4195. Anforetta (fondo). Imp. depurato; col. beige-rosato; cott. forte.
Decorazione: ingobbio bianco pittura rossa a tondi. Datazione: periodo
omayyade.
32) N 4209. Anforetta (parete). Imp. depurato; col. beige-rosato; cott. forte.
Decorazione: ingobbio bianco, pittura rossa a tondi. Datazione: periodo
omayyade.
33) N 4424. Anforetta (parete). Imp. depurato; colore rosa; cott. forte.
Decorazione: ingobbio beige, pittura rossa a linee ondulate. Datazione:
periodo omayyade.
34) N 4442. Anforetta (parete). Imp. depurato; colore beige; cott. forte.
Decorazione: ingobbio beige, pittura rossa a linee ondulate. Datazione:
periodo omayyade.
35) N 4185. Anforetta (pancia). Imp. granuloso; col. beige-rosato; cott. forte.
Decorazione: ingobbio bianco e pittura rossa a cerchi. Datazione: periodo
omayyade.
36) N 4443. Catino. Diametro cm (?). Imp. granuloso (inclusi bianchi e neri);
colore beige; cott. forte. Datazione: tardo periodo bizantino.
37) N 4435. Catino (parete). Imp. granuloso; colore beige-rosato; cott. forte. Decorazione: decorazione a onde incisa col pettine sullargilla ancora fresca. Datazione: periodo bizantino.
38) N 4189. Anforetta biansata. Diametro cm 6. Imp. granuloso; col. grigio; cott.
forte. Datazione: periodo bizantino VI secolo.
39) N 4531. Piatto. Diametro cm 18 (circa). Imp. depurato con radi inclusi bianchi;
colore beige-rosato; cott. forte. Datazione: periodo bizantino.
40) N 4542. Piatto. Diametro cm 10. Imp. depurato con piccoli inclusi bianchi;
colore beige-rosato; cott. forte. Datazione: periodo bizantino.
41) N 4020. Tazza. Diametro cm 10. Imp. nemente depurato; col. arancione allesterno, grigio in sezione; cott. forte. Decorazione: allesterno gradini ottenuti da tagli dellargilla in eccesso e lucidati da un bastoncino per ottenere
diversi colori.
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B. HAMARNEH
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42) N 4244. Tazza (parete). Imp. granuloso; col. rosa; cott. forte. Decorazione: ingobbio beige-rosato e pittura rossa applicata con motivi geometrici intrecciati.
Datazione: periodo abbaside.
43) N 4533 (?). Tazza. Diametro cm 14. Imp. depurato; col. beige-rosato; cott.
forte. Decorazione: ingobbio beige-rosato e pittura rossa applicata. Datazione:
periodo omayyade.
44) N 4543. Tazza. Diametro cm 16. Imp. molto granuloso pietruzze e inclusi
bianchi (coarse ware); col. arancione; cott. forte. Decorazione: ingobbio rosato. Datazione: periodo bizantino.
45) N 4461 (+ N 4458, N 4459, N 4462). Tazza. Diametro cm 16. Imp. granuloso; colore beige-rosato; cott. forte. Decorazione: ingobbio bianco e pittura in
colore rosso scuro a motivi geometrici (tondi tangenti), allinterno scanalature
lievamante oblique, impronta di dita. Datazione: periodo abbaside.
46) N 4460. Tazza. Diametro cm 14. Imp. granuloso; colore beige-rosato; cott. forte. Decorazione: ingobbio bianco e pittura in colore rosso a pennellate uide.
Datazione: periodo omayyade.
47) N 4477 (= N 4395, N 4404, N 4391, N 4405 + 2 frammenti dalla chiesa 2 US
56-57). Tazza. Diametro cm 15. Imp. granuloso; colore arancione; cott. forte.
Decorazione: ingobbio bianco e pittura in colore rosso scuro a motivi geometrici. Datazione: periodo abbaside.
48) N 4547. Tazza. Diametro cm 18. Imp. depurato; col. beige-rosato; cott.
forte. Decorazione: ingobbio beige-rosato e pittura rossa scura applicata con
un elemento a croce dal quale dipartono numerose linee ondulate; vi sono
inoltre piccole strisce di colore rosso allinterno dellorlo. Datazione: periodo
abbaside.
49) N 4520. Tazza (Coppa - Scodella). Diametro cm 18 circa. Imp. depurato; colore beige-rosato; cott. forte. Decorazione: ingobbio bianco e motivi geometrici
dipinti in rosso. Datazione: periodo abbaside.
50) N 4425. Tazza. Diametro cm 17. Imp. depurato con minuscoli inclusi bianchi;
colore beige; cott. forte. Decorazione: pittura rossa a tondi. Datazione: periodo
omayyade.
51) N 4429. Tazza. Diametro cm 8. Imp. depurato; colore beige-rosato e linee
grige; cott. forte (piccole bolle darea). Decorazione: gradini e segni di taglio
dellargilla in eccesso col coltello. Datazione: periodo abbaside.
52) N 4440. Tazza (frammento presso il fondo). Imp. depurato con inclusi;
colore beige-rosato; cott. forte. Decorazione: ingobbio beige e pittura rossa.
Datazione: periodo abbaside.
53) N 4501. Lampada in vetro bianco. Diametro cm 4. Datazione: periodo
bizantino.
54) N 4602. gancio in ferro.
55) N 4550. Piatto (frammento). Imp. granuloso; col. beige; cott. forte. Decorazione: ingobbio beige con allinterno la lettera alfa dipinta in pittura rossa.
Datazione: periodo bizantino.
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B. HAMARNEH
1) N 4549. Anfora. Diametro cm 10. Imp. depurato con inclusi neri; colore beigerosato alterato dal fuoco; cott. forte. Datazione: periodo bizantino.
2) N 4557. Anfora. Diametro cm 14. Imp. depurato; colore beige-rosato (alterato
dal fuoco); cott. forte. Decorazione: tracce di colore rosso allinterno e sullorlo. Datazione: periodo abbaside.
3) N 4541. Anforetta. Diametro cm 10 circa. Imp. granuloso; colore marrone
annerito dal fuoco; cott. media-forte. Datazione: periodo bizantino.
4) N 4015. Anforetta. Diametro cm 8. Imp. granuloso; colore beige annerito dal
fuoco; cott. forte. Datazione: periodo bizantino.
5) N 4017. Anforetta. Diametro cm 8. Imp. granuloso; colore beige annerito dal
fuoco; cott. media-forte. Decorazione: tracce di pittura rossa. Datazione: periodo omayyade.
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Fig. 18. US 14: terra gialla di consistenza sabbiosa copre II crollo delle
strutture della chiesa di S. Sergio.
1) N 970. Anfora. Diametro cm 8. Imp. granuloso; colore beige; cott. forte. Datazione: periodo bizantino.
2) N 1111. Anfora. Diametro cm 16. Imp. granuloso; colore grigio; cott. media.
Decorazione: pittura marrone-rossastra. Datazione: periodo mamelucco.
3) N 992. Brocca (frammento fondo). Imp. granuloso; colore beige-arancione;
cott. media.
4) N 1002. Brocca (parete). Imp. granuloso; colore beige; cott. media. Decorazione: pittura nera. Datazione: periodo mamelucco.
5) N 1119. Brocca (parete). Imp. granuloso; colore beige; cott. media. Decorazione: pittura marrone-rossastra. Datazione: periodo mamelucco.
6) N 1108. Brocca (parete). Imp. granuloso; colore beige; cott. media. Decorazione: pittura marrone-rossastra su entrambi i lati del frammento. Datazione:
periodo mamelucco.
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B. HAMARNEH
7) N 1096. Catino. Diametro cm 24. Imp. granuloso; colore grigio; cott. media.
Decorazione: piccoli tondi ottenuti dalle punte delle dita sullargilla fresca.
Datazione: periodo mamelucco.
8) N 1004. Catino. Diametro cm 22. Imp. granuloso; colore grigio; cott. media.
Decorazione: piccoli tondi ottenuti dalle punte delle dita sullargilla fresca.
Datazione: periodo mamelucco.
9) N 956. Tazza (frammento di parete verso il fondo). Imp. depurato; colore beige-rosato; cott. forte. Decorazione: pittura rossa a tondi ed elementi vegetali.
Datazione: periodo omayyade.
Fig. 20. US 14: terra gialla di consistenza sabbiosa copre II crollo delle
strutture dellannesso Sud/Est o Cappella 8.
449
Fig. 21. US 103: strato di terra marrone di consistenza granulosa leggermente compattata in supercie coperta da US 102 (primo crollo). Abbandono.
Fig. 22. US 111. Strato di terra compatta di colore arancione copre UUSS
112, 118 (lastre e mosaico vano 8).
1) N 3950. Anfora (parete). Imp. grossolano; col. beige; cott. media-forte. Decorazione: ingobbio beige, pittura in nero e bord con divisione a registri dove
si alternano triangoli giustapposti, strisce e motivo a fusi allacciati tra loro.
Datazione: periodo mamelucco.
2) N 3952. Piatto/Catino. Diametro cm 24 circa. Imp. grossolano; col. beige;
cott. media. Decorazione: ingobbio rosa, pittura bord. Datazione: periodo
mamelucco.
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B. HAMARNEH
Fig. 23. US 148. Terra marrone chiara in corrispondenza alle lacune nel
pavimento musivo del vano 8 coperto da US 146.
Nartece
Fig. 24. US 38: abbandono del nartece. Accumulo di terra di colore grigiastro con pietre di svariate misure, ceramica, tessere, frammenti di laterizi
di forma ottagonale e intonaco.
1) N 773. Brocca. Diametro cm 10. Imp. granuloso; colore verdastro; cott. media.
Decorazione: ingobbio beige, pittura nera. Datazione: periodo mamelucco.
2) N 802. Pipa. Diametro cm 4. Imp. depurato; colore grigio; cott. forte. Decorazione: motivi geometrici a rilievo. Datazione: periodo ottomano.
Fig. 25. US 14: terra gialla di consistenza sabbiosa copre crollo strutture
del nartece.
1) N 825. Anfora. Diametro cm 11. Imp. granuloso; colore beige; cott. forte.
Datazione: periodo bizantino.
2) N 823. Anfora. Diametro cm 10. Imp. granuloso; colore beige-rosato; cott. forte. Decorazione: ingobbio rosa pittura rossa. Datazione: periodo omayyade.
3) N 689. Anfora. Diametro cm 7. Imp. granuloso; colore beige-rosato; decorato
allesterno e allinterno da piccole striature a gradino; cott. forte. Datazione:
periodo omayyade.
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4) N 657. Anfora. Diametro cm 8. Imp. Finemente depurato; colore rosa, ingobbio beige; cott. forte-metallica. Decorato con pittura rossa; Datazione: periodo
omayyade.
5) N 842. Catino. Diametro cm 10. Imp. granuloso; colore rosa; cott. forte. Decorato con tondi irregolari ottenuti dalla pressione delle dita sullargilla ancora
fresca. Datazione: periodo bizantino.
6) N 829. Catino. Diametro cm 20. Imp. granuloso; colore beige; cott. mediaforte; ingobbio beige e pittura marrone a motivi geometrici. Datazione: periodo
mamelucco.
7) N 3362. Catino. Diametro cm 19. Imp. granuloso; colore grigio; cott. mediaforte; ingobbio beige e pittura marrone a motivi geometrici. Datazione: periodo
mamelucco.
8) N 795. Piatto/Catino. Diametro cm 20. Imp. depurato; colore rosa; cott. forte;
ingobbio beige e pittura rossa/bruna a motivi geometrici allinterno. Datazione:
periodo mamelucco.
9) N 744. Tazza/scodella. Imp. depurato; colore beige-rosato; decorazione ingobbio beige e pittura rossa a intrecci geometrici e vegetali; cott. forte. Datazione:
periodo abbaside.
452
B. HAMARNEH
1) N 3340. Anfora. Diametro cm 10. Imp. depurato con inclusi bianchi; colore
rosa chiaro; cott. forte; ingobbio rosato. Datazione: tardo periodo bizantino.
Fig. 28 . US 188: strato di terra gialla sabbiosa presso il muro USM 82.
453
1) N 9022. Coppa. Diametro cm 15. Imp. depurato con minuscolo inclusi grigi;
col. rosato; cott. forte, ingobbio biancastro; datazione: periodo abbaside.
2) N. 9019. Coppa. Diametro cm 15. Imp. depurato con minuscoli inclusi; col.
rosso in supercie e grigio in sezione; ingobbio bianco allesterno; cott. forte.
Datazione: periodo abbaside.
Atrium
Fig. 29. Loc. II. 218: terra di colore giallo ad andamento irregolare.
1) N 8993. Brocca. Diametro cm 5.5. Imp. con piccoli inclusi; colore rosato; cott.
forte. Datazione: periodo bizantino.
2) N 8996. Pentola. Diametro cm 11. Imp. con piccoli inclusi; colore beige-rosato; cott. forte. Datazione: periodo bizantino.
3) N 8995. Piatto. Diametro cm 5.5. Imp. con piccoli inclusi; colore rosato; cott.
forte. Datazione: periodo bizantino.
4) N 9864. Piatto. Diametro cm 12.5. Imp. depurato con piccoli inclusi; colore
rosa in sezione, rosso in supercie; cott. forte. Datazione: periodo bizantino.
Fig. 30. US 270: terra di colore marrone friabile relativa alla frequentazione dellatrium.
1) N 9873. Brocca. Diametro cm 14. Imp. granuloso con piccoli inclusi di paglia;
colore rosato in supercie, Beige in sezione; cott. media; decorato con pittura
bord scuro con motivi geometrici allesterno e nastro puntinato lungo il bordo
interno. Datazione: periodo mamelucco.
2) N 9875. Anfora (parete). Imp. con piccoli inclusi; colore beige-rosato; decorazione a motivi vegetali in rosso; cott. forte. Datazione: periodo omayyade.
3) N 9877. Pentola. Diametro cm 14.5. Imp. con piccoli inclusi; colore rosso;
cott. forte. Datazione: periodo bizantino.
4) N 9876. Fondo pentola in steatite. Diametro circa cm 16.5. Decorato con piccole strisce verticali; colore grigio. Datazione: periodo omayyade.
454
B. HAMARNEH
Fig. 30. US 270: terra di colore marrone friabile relativa alla frequentazione
dellatrium.
Ostraca
Rinvenuti prevalentemente presso il gradino del presbiterio nella navata
centrale in US 115. Si tratta di un accumulo di terra di colore grigio, forse
abbandono in epoca abbaside. Il tipo di carattere utilizzato sembra essere
una variante del cu databile alla ne dellVIII o i primi anni del IX secolo.
1) N 4158. Parete anfora (frammento). Colore beige-rosato, rosa in sezione, impasto depurato con piccoli inclusi e vacuoli; ingobbio beige, decorazione: pittura
rossa, iscrizione disposta in senso verticale dipinta in rosso scuro in arabo di
difcile lettura.
2) N 4256. Parete anfora (piccolo frammento). Colore beige-rosato, rosa in sezione, impasto depurato con piccoli inclusi e vacuoli; ingobbio beige-rosato,
decorazione: sottofondo in pittura rossa, percorsa da poche lettere illegibili.
3) N 4257. Parete anfora (frammento). Colore beige rosato, rosa in sezione, impasto depurato con piccoli inclusi e vacuoli; ingobbio beige, decorazione: iscrizione araba in rosso in senso orizzontale.
4) N 4259. Parete anfora (frammento). Colore beige-rosato, rosa in sezione,
impasto depurato con piccoli inclusi e vacuoli; ingobbio beige, decorazione:
iscrizione in arabo dipinta in rosso scuro ordinata in due linee sovrapposte si
tratta di quattro parole distinte in carattere cu.
5) N 4260. Parete anfora (frammento). Colore beige rosato, rosa in sezione, impasto depurato con piccoli inclusi e vacuoli; ingobbio beige, decorazione: pittura
rossa con linea disposta in verticale, non si distinguono lettere.
455
456
B. HAMARNEH
6) N 4261. Parete anfora (frammento). Colore beige rosato, rosa in sezione, impasto depurato con piccoli inclusi e vacuoli; ingobbio beige, decorazione: pittura
rossa a linee ondulate frammenti di una parola illeggibile in arabo dipinta in
rosso.
7) N 4262. Manico di anfora. Colore beige-rosato, rosa in sezione, impasto depurato con piccoli inclusi e vacuoli; ingobbio beige, decorazione: pittura rossa a
linee ondulate, iscrizione araba disposta in due ordini sovrapposti e dipinta in
senso verticale, illeggibile.
8) N 4264. Parete anfora (frammento). Colore beige-rosato, rosa in sezione, impasto depurato con piccoli inclusi e vacuoli; ingobbio beige, decorazione: linea in
pittura rossa, tre righe sovrapposte di iscrizione araba in carattere cu dipinta
in rosso.
9) N 4267. Parete anfora (frammento). Colore beige-rosato, rosa in sezione, impasto depurato con piccoli inclusi e vacuoli; ingobbio beige, decorazione: iscrizione in arabo dipinta in rosso e disposta in quattro righe.
10) N 4268. Parete anfora (piccolo frammento). Colore beige-rosato, rosa in sezione, impasto depurato con piccoli inclusi e vacuoli; ingobbio beige, decorazione: pittura rossa a linee ondulate.
11) N 4269. Parete anfora (frammento). Colore beige-rosato, rosa in sezione, impasto depurato con piccoli inclusi e vacuoli; ingobbio beige, decorazione: tre
righe di iscrizione in arabo dipinta con in carattere cu, illeggibile.
12) N 4270. Parete anfora (frammento). Colore beige-rosato, rosa in sezione, impasto depurato con piccoli inclusi e vacuoli; ingobbio beige, decorazione: pittura
rossa a linee e frammenti di una iscrizione in arabo disposta in tre ordini.
13) N 4271. Parete anfora (frammento). Colore beige-rosato, rosa in sezione, impasto depurato con piccoli inclusi e vacuoli; ingobbio beige, decorazione: pittura
rossa a linee e frammenti di una iscrizione in arabo disposta in due ordini.
14) N 4273. Parete anfora (frammento). Colore beige-rosato, rosa in sezione, impasto depurato con piccoli inclusi e vacuoli; ingobbio beige, decorazione: iscrizione in arabo disposta in tre ordini, illeggibile.
15) N 4275. Parete anfora (piccolo frammento). Colore beige-rosato, rosa in sezione, impasto depurato con piccoli inclusi e vacuoli; ingobbio beige, decorazione: a linee ondulate in rosso, tracce di uniscrizione in arabo, illeggibile.
16) N 4277. Parete anfora (piccolo frammento). Colore beige-rosato, rosa in sezione, impasto depurato con piccoli inclusi e vacuoli; ingobbio beige, decorazione: a linee ondulate in rosso, tracce di uniscrizione in arabo, illeggibile.
17) N 4278. Parete anfora (piccolo frammento). Colore beige-rosato, rosa in sezione, impasto depurato con piccoli inclusi e vacuoli; ingobbio beige, decorazione: iscrizione in arabo, illeggibile.
Basema Hamarneh
457
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Y. Zelinger - L. Di Segni
The Site
Prior to the expansion of the limestone quarry at the Nesher cement factory
near Lod and Ramla, about twelve dunams (1.2 ha) were excavated near the
quarrys edge in two excavation seasons during the years 2004 and 2005.
The site, known simply as el-Khirbe (The Ruin) is located about ve km
southeast of Lod (Lydda, Diospolis), the main centre of the region through
most of its history,1 on the very last ridge of the low hills overlooking
the coastal plain, facing west towards Ramla. Several excavation seasons
conducted by the Hebrew University of Jerusalem at the fringes of the site
uncovered a variety of agriculture installations, tombs and burial caves.2
The current excavation uncovered remains of a settlement from two main
periods: the Second Temple period and the Byzantine period.3 Among the
remains from the Second Temple Period (which are not reported in this
article) we exposed remains of an agricultural village with a few mikvaoth
(ritual baths) and typical kokhim burial caves. This article will focus upon
the Byzantine remains on the site.
The Church
Remnants of an extensive Byzantine village were excavated around a large
basilica (12 x 22 m) that was for the most part destroyed. Its ground plan
1. J. Schwartz, Lod (Lydda), Israel: From its Origins through the Byzantine Period: 5600
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Ramla, Nesher Quarries (East), Hadashot Arkheologiyot-Excavations and Surveys in
Israel 112 (2000) 85 (Hebrew), 67*-68* (English).
3. The excavation, on behalf of the Israel Antiquities Authority and nanced by Nesher
Cement Factory, was directed by Y. Zelinger (2004-2005) and P. Gendelman (2005),
assisted by G. Hillel and D. Masarwa (area supervision), S. Yaakov-Jam (administration),
V. Essman, V. Pirsky and T. Kornfeld (surveying and drafting), G. Bijovsky (numismatics),
T. Sagiv (photography), C. Amit (artifacts photography), L. Habas (stone and marble
artifacts).
LA 56 (2006) 459-468; Pls. 23-24
460
Y. ZELINGER - L. DI SEGNI
461
was reconstructed based upon robbers trenches and the oor remains associated with them (Fig. 1). A well-preserved plastered bema was found at
the eastern end of the church. Four hollows in its middle too distant from
one another to mark the feet of an altar legs show where the columns of
a ciborium once stood (Photo 1).4 A cruciform baptismal font was located
in the southern aisle (Photo 2).5
Rubble from the destroyed church roof consisting of mixed tiles and a
few dozens metal nails was recovered in front of the bema. A marble pillar with holes in front for attaching a metal cross was found beneath the
broken tiles (Photo 3a-b).6
4. The ciborium is rarely archaeologically attested in churches west to the Jordan River.
Sockets for the bases of the columns supporting a ciborium, and a single column of the
same, were discovered in the Central Church at Rehovot in the Negev (Y. Tsafrir and
K.G. Holum, Rehovot in the Negev Preliminary Report, 1986, IEJ 38 [1988] 122-123).
Similar arrangements were also discovered in churches at Khirbet el-Beyudat (H. Hizmi,
in Y. Tsafrir [ed.], Ancient Churches Revealed, Jerusalem 1993, 158) and Horvat Bet Loya
(J. Patrich and Y. Tsafrir, ibidem, 267). Bagatti maintained that the octagonal platform in
the sanctuary of the Nativity Church in Bethlehem was the base of a ciborium, but this
view is not generally accepted (B. Bagatti, Gli altari paleo-cristiani della Palestina, LA
7 [1956-57] 74, and cf. M. Avi-Yonah, Bethlehem, New Encyclopedia of Archaeological
Excavations in the Holy Land, I, Jerusalem 1993, 207-208). Columns of a type usually
associated with ciboria were discovered in other churches in the Eleona and St. Stephen
in Jerusalem, in the monastery of St. Euthymius at Khan el-Ahmar, at Mamre, Ramet elAmleh, Sandahanna, Ascalon, Beth Shean, Nazareth (Bagatti, ibidem, 74-75; A. Acconci,
Elements of the Liturgical Furniture, in M. Piccirillo and E. Alliata [eds.], Mount Nebo.
New Archaeological Excavations 1967-1997 [SBF. Collectio maior 27], Jerusalem 1998,
473; J.-P. Sodini, La sculpture architecturale des glises in Jordanie, in N. Duval [ed.],
Les glises de Jordanie et leur mosaques, Beyrouth 2003, 141) but in every case these
elements may have had a different function, or may have supported ciboria attached to
baptismal fonts (see M. Ben Pechat, The Paleochristian Baptismal Fonts in the Holy
Land: Formal and Functional Study, LA 39 [1989] 168; Ead., Baptism and Monasticism
in the Holy Land: Archaeological and Literary Evidence, in G.C. Bottini, L. Di Segni
and E. Alliata [eds.], Christian Archaeology in the Holy Land. New Discoveries (SBF.
Collectio maior 36), Jerusalem 1991, 505, 506, Fig. 5). Less meager is the evidence for
ciboria in Transjordan: see N. Duval, Larchitecture chrtienne et les pratiques liturgiques
en Jordanie en rapport avec la Palestine. Recherches nouvelles, in K. Painter (ed.),
Churches Built in Ancient Times. Recent Studies in Early Christian Archaeology, London
1994, 179-180; A. Michel, Les glises dpoque Byzantine et Ummayade de la Jordanie,
VeVIIIe sicle, Turnhout 2001, 61; J.-P. Sodini, cited above.
5. For examples of this type of baptismal font, see Ben Pechat, The Paleochristian Baptismal Fonts in the Holy Land, 165-188.
6. Similar chancel pillars, with holes for afxing a metal cross, or with a cavity for inserting the same ornament, were found in the Western Church of Mamshit in the Negev (L.
Habas, The Relief Art of Chancel Screens in Churches and Synagogues in Palestine in the
Byzantine Period: A Stylistic and Iconographic Analysis. Unpublished MA Dissertation,
462
Y. ZELINGER - L. DI SEGNI
Jerusalem 1994, I: 162-163 (Hebrew), on Mount Nebo (see Acconci, Elements of the
Liturgical Furniture, 503-504, 509, nos. 84, 105) and at Khan el-Kursi in Jordan (Sodini,
La sculpture architecturale des glises in Jordanie, 135, Fig. 37).
7. A ne example of an ambo with staircase was recently found at Kh. Beit Sila near Jerusalem. See S. Batz The Church of St. Theodore at Khirbet Beit Sila, Israel Museum
Studies in Archeology 1 (2002) 39-54.
463
464
Y. ZELINGER - L. DI SEGNI
9. E.g. in an epistle sent by Emperor Constantius to the Egyptian clergy in 346 about the
return of the most reverend bishop Athanasius to the see of Alexandria from his Italian
exile; it is quoted by Athanasius, Apologia secunda contra Arianos 54: PG 25, 348. The
term is applied to bishops ca. 394 by Gregory of Nyssa, Ep. 1: PG 46, 1000, and by Gregory
of Nazianzus, Testamentum: PG 37, 393. Some fourth-century epigraphic examples come
from Asia Minor: see D. Feissel, Chroniques dpigraphie byzantine 1987-2004, Paris 2006,
182, no. 573 (= BE 1989, no. 976). A sixth-century metropolitan of Resafa-Sergiupolis
(SEG 36, no. 1306) is apparently styled aijdevsimo, but the inscription is fragmentary and
its restoration may be doubted.
10. Ep. 51, ed. I. Hilberg, CSEL 54, Vienna 1996, 395-412; Ep. 57,2: CSL 54, 504-505. The
background of the accusation was the enmity between Jerome and John, caused by Johns
refusal to appoint Paulinianus, Jeromes brother, to the priesthood. The personal enmity soon
passed into the theological eld, when Jerome and his friend and ally Epiphanius accused
John of Origenism.
11. C.H. Turner, Ecclesiae Occidentalis Monumenta Iuris Antiquissima, II, Oxford 1939,
436-437.
12. Theophilus synodical, in Latin translation, is included among St. Jeromes letters: Ep.
92: CSEL 55, 147, and so is the answer of the Palestinian bishops (Ep. 93) and Dionysius
reply (Ep. 94: CSEL 55, 156-157).
13. St. Augustine gives a list of 14 names, but only some of them are identied by the city
they represented: the name of Dionysius successor must be one of those not identied. See
J.D. Mansi, Sacrorum Conciliorum nova et amplissima collectio, IV, Graz 1960, 315-316;
Augustinus, Contra Iulianum haeresis Pelagianae defensorem I,5,19: PL 44, 652.
465
are available the last name in the list of the city bishops being that of
Maximus, who moved from the see of Lydda to that of Jerusalem ca.
33314 but some relevant information is again imparted by St. Jerome.
At Easter 396, following the accusations brought by Jerome against him,
John of Jerusalem forbade the priests of Bethlehem to baptize some of
Jeromes followers. Jerome sent them to Dionysius, whom he describes
as confessor et episcopus.15 The epithet confessor indicates that Dionysius had suffered persecution for his faith, obviously under the Arian
emperor Valens (364-378) who sent into exile many Catholic bishops and
priests. It is not certain if Dionysius was already a bishop under Valens,
but if he was, he was imprisoned or exiled until the emperors death,
at the battle of Adrianopolis in August 378, brought about the release
of the Catholic clergy; therefore the inscription in discussion cannot be
earlier than 379.
Numismatic evidence
Eleven coins that were found beneath the church and the bema were
identied by G. Bijovsky of the Israel Antiquities Authority.16 Six Early
Roman coins were probably brought in with the construction ll taken
from the remains of the Second Temple Period village. The ve other
coins, however, dated to the fourth century, the latest one dating to the
days of Theodosius the rst, between 383 to 395. Together with the inscription, the coins allow us to date the church to the late fourth century.
This makes it one of the earliest churches excavated in Israel.
Beneath the bema of this phase we found another, earlier and smaller.
The coins from this phase give the same dates as those of the later,
upper phase, i.e., in the last quarter of the fourth century. The pavement with the inscription approaches the second stage bema. Evidently
the earliest stage of the church did not last long but was soon replaced
with bishop Dionysius renovation, probably with the aim of enlarging
the sanctuary.
466
Y. ZELINGER - L. DI SEGNI
Fourth-century churches
Fourth-century churches are known from many historical sources but the
archaeological evidence, until now, has been minimal. One reason surely
is that the churches erected in this century continued in use for hundreds
of years afterwards, and their early stages were superseded or hidden by
later construction phases. Another reason may be that some at least of the
earliest churches were not basilicas but domus ecclesiae, and thus are not
easily recognizable.17 In some excavations of churches the lowest stages
were assumed to be of the fourth century, either because of early material
discovered there, or as a result of information collected from historical
sources or local tradition, but these chronological conclusions cannot be
maintained with certainty. This particular church is especially signicant,
since the fourth century date is strongly attested by both by the numismatic and the epigraphic evidence, the latter anchored to historical data
and conrmed by palaeography.
Of the 181 churches listed by Ovadiah in his Corpus, only nine are
dated to the fourth century by a combination of archaeological data and
literary sources: the four Constantinian foundations (St. Sepulchre and
Eleona in Jerusalem, the Church of Nativity in Bethlehem and the basilica in Mamre), four other churches in Jerusalem (Holy Zion, Ascension,
Gethsemane and Lazarium in Bethany), and a chapel on the place of the
multiplication of the loaves and sh at et-Tabgha.18 With the exception
of the St. Sepulchre, the actual fourth-century remains in these churches
are scanty and cannot teach us much about their internal arrangement and
17. For instance, Jerome in his narrative of Paulas pilgrimage in 385-386 describes some
churches as former houses of New Testament gures, which were made into churches
(for instance the house of Cornelius the centurion and the rooms of Philip the Apostle
in Caesarea, and Cleopas house in Emmaus (Ep. 108,8: CSEL 55, 313-314). Epiphanius
as a bishop saw a building in a village in Judaea, which he did not recognize as a
church until he was told it was such: the story is told by Epiphanius in a letter to John
of Jerusalem, preserved in Latin translation among Jerome correspondence (Ep. 51,9:
CSEL 54, 411).
18. A. Ovadiah, Corpus of the Byzantine Churches in the Holy Land, Bonn 1970, 29-30,
33-35, 56, 75-90, 131-132, nos. 18a, 22a, 46a, 65a, 71, 73, 74a, 77a, 135. A survey of
fourth-century churches was done by J. Patrich, Early Christian Churches in the Holy
Land, in O. Limor and G.G. Stroumsa (eds.), Christians and Christianity in the Holy
Land. From the Origins to the Latin Kingdoms, Turnhout 2006, 351-395, especially
363-364; however, he paid no heed to the fact that the early stages of these buildings,
the dating of which is based on literary sources, often cannot be discerned in the actual
remains.
467
general appearance. Three others (at Mt. Tabor, Jericho-Tell Hassan, and
the chapel at Shepherds Field - Kh. Siyar el-Ghanam) are assigned to the
fourth or fth centuries, based on rather imsy arguments.19 Of the 79
additional churches described by Ovadiah and de Silva in Supplement
I, only four are placed in the fourth century: three are monastic chapels
(at Ein Fara, Qarantal and Qasr el-Yahud, the last mistakenly dated), and
a pilgrimage site (at Jacobs Well): again the dating is based on literary
sources, which cannot be connected to any of the material remains.20 In
Suppements II and III, out of 58 additional churches added to the Corpus only three are ascribed to the fourth century, at least one of which
based on groundless tradition.21 Thus, the total number is minimal (17 out
of a total of 318), mostly pilgrimage sites or monastic chapels, not parochial churches, and as we have already stressed, almost none with clear
fourth-century remains to substantiate what is known from the sources.
Of the many scores of churches excavated in more recent years, fourthcentury phases can only detected at Dor,22 in the North Church at Shiloh
(as yet unpublished), and possibly in the early cave chapel at the Greek
Orthodox Shepherds Field,23 the North Church at Shivta and the East
Church at Mamshit.24 Thus the Nesher church is an important addition to
our knowledge of early Christian churches in Palestine.
19. Ovadiah, Corpus, 71, 74-75, 124-125, nos. 60, 64, 126a.
20. A. Ovadiah and C.G. de Silva, Supplementum to the Corpus of the Byzantine
Churches in the Holy Land, Levant 13 (1981) 204, 243-246, 249, nos. 1 [182], 58
[239], 59 [240], 63 [244]. The traditional dating is well founded, except in the case of
Qasr el-Yahud (the legend of Mary the Egyptian cited by Ovadiah in connection with
this church belongs to the seventh, not to the fourth century), but the actual remains are
mostly later, even medieval.
21. A. Ovadiah and C.G. de Silva, Supplementum to the Corpus of the Byzantine Churches in the Holy Land, II, Levant 14 (1982) 142-143, no. 27 (lower church at the Tomb
of the Virgin in the Kidron Valley); Id., Supplementum to the Corpus of the Byzantine
Churches in the Holy Land, III, Levant 16 (1984) 130, no. 3 (St. Micah at Beit Jibrin),
146-147, no. 50 (Carmelite Church on Mount Carmel, based on groundless tradition).
22. C. Dauphin, in Y. Tsafrir (ed.), Ancient Churches Revealed, Jerusalem 1993, 90-97.
The fourth-century date of the early stage is substantiated by an inscription mentioning
bishop Acacius of Caesarea, unknown to Dauphin. See L. Di Segni, Dated Greek Inscriptions from Palestine from the Roman and Byzantine Periods. PhD Dissertation. The
Hebrew University of Jerusalem, Jerusalem 1997, 435-438.
23. V. Tzaferis, The Archeological Excavations at the Shepherds Field, LA 25 (1975)
5-52.
24. A. Negev, The Churches of the Central Negev: An Architectural Survey, RB 81
(1974) 416-421. For a different opinion see Ovadiah and de Silva, Supplementum, II,
154-155, no. 42 [136].
468
Y. ZELINGER - L. DI SEGNI
Conclusion
This fourth-century church may have been built by the bishop of Lod for
the benet of pilgrims on their way to Jerusalem, or possibly at some site
hallowed by a tradition unknown to us. From the preliminary results of our
excavations it appears that the village did not exist prior to the erection
of the church, but gradually developed around it. The church continued
in use into the seventh century, as is shown by the ceramic nds and the
damaging of animal gures on the ambo balustrade by iconoclasts. The
settlement surrounding the church appears to have been abandoned at the
time during which the new city of Ramla was established nearby, in the
early eighth century.
Yehiel Zelinger
The Israel Antiquities Authority
Leah Di Segni
The Hebrew University of Jerusalem
A. Egea Vivancos
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A. EGEA VIVANCOS
mian Syriae accedere ad uisendos sanctos monachos, qui ibi plurimi et tam
eximiae uite esse dicebantur, ut uix referri possit; nec non etiam et gratia
orationis ad martyrium sancti Thomae apostoli, ubi corpus illius integrum
positum est, id est apud Edessam.
Aparte de la cantidad, Egeria destaca el excelso ascetismo y dureza de
la vida de los monjes de Osrhoene, as como el supuesto sepulcro de Santo
Toms, lo cual implicaba un fuerte ujo de peregrinaciones en direccin
a Edesa. La citada virgen peregrin a Edesa, pero haciendo un descanso
en Hierapolis y cruzando el ufrates en sus cercanas, quizs en el punto
donde estuviera la controvertida Caeciliana, y, aunque no cita de manera
literal haberse topado con monjes en esta fase de su viaje, la arqueologa
ha demostrado que para nada fue casual el cruce de la monja por estas
latitudes3.
Sin embargo, la ausencia en esta obra de informacin respecto a la
situacin monstica y cristiana en los alrededores de Hierapolis sorprende
enormemente, ya que en otras muchas ocasiones el itinerario no desaprovecha ocasin para ir enumerando las iglesias y monasterios que encuentra
por cada uno de los lugares por el que trascurre. As, por ejemplo, sucede
a la hora de llegar a Batnae, a slo 50 kilmetros al noreste del paso del
ro ufrates, donde se poda encontrar ecclesia cum episcopo uere sancto
et monacho et confessore habet, et martyria aliquanta4. Esta omisin intencionada de testimonios de expansin cristiana en la regin por parte de
Egeria quizs fuera casual, pero tal vez se pueda entender como una prueba
relativa de una fuerte pervivencia de culto pagano en la propia Hierapolis
o el deseo por parte de la narradora de omitir determinadas comunidades
cristianas en los bordes del ufrates, quizs herticas. La extraa ausencia
de comunidades cristianas en la ciudad sagrada en torno al ao 400 se
contrapone con el calicativo de ciudad piadosa que Procopio de Gaza
le atribuye5 ya en poca de Anastasio I (491-518). Este cambio, quizs est
en relacin con el establecimiento, a partir del siglo V, de un santuario en
honor al apstol San Mateo6.
3. Las fuentes tambin precisan cierto movimiento monstico en dos de los puntos de vado
del ro: ya fuera por la zona donde se supone Caeciliana, como por el paso de Europos,
Egeria tuvo que encontrarse con algunas comunidades, como la de los Acoimetas (cuya
fundacin por Alejandro es prcticamente contempornea al viaje de esta monja), por un
lado, y con el monasterio de Qenner, por el otro.
4. Egeria, Itin., 19.1.
5. Procop. Gaza, Pan., 18.
6. G. Goossens, Hirapolis de Syrie. Essai de monographie historique, Louvain 1943, p.
175. Cf. Commentarius (in Syn.) (BHG 1227).
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A. EGEA VIVANCOS
de que las mujeres ms bellas de toda la regin, a una y a otra orilla del ufrates, desde
arbls hasta Qara Qzq, provienen de esta tribu o qabla.
10. R. A. Chesney, The Expedition for the survey of the Rivers Euphrates and Tigris, carried on by order of the British Government. In the years 1835, 1836 and 1837, Londres
1850, 419.
11. C. L. Woolley T. E. Lawrence y P. L. O. Guy, Carchemish. Report on the Excavations
at Jerablus on behalf of the British Museum, Part II: The Town defences (WOOLLEY, C.
L.), Londres 1921.
12. F. Cumont, Itinraire, tudes Syriennes, Pars 1917, 277-315.
473
Somos conscientes de que el paisaje anterior a 1999 tuvo que ser muy
distinto, sin embargo, en la actualidad, el agua del nuevo embalse lame e
inunda la base de una serie de paredes verticales calizas. La amplia lengua
de tierra frtil que la separaba del ro se ha perdido y buena parte de las
viviendas han quedado bajo el agua o estn a punto de hacerlo. El resto de
la poblacin se ha encaramado a las cimas de los cerros, como aferrndose
con uas y dientes al lugar que los vio nacer. Sin embargo, los aparejos
agrcolas, incluidos tractores, se arrumban junto a las casas, recordando el
primitivo sistema de subsistencia, la agricultura. Los pocos que quedan han
debido reciclarse, adaptndose al medio, de tal manera que no es extrao
encontrar las primeras barcas de pesca amarradas en las entradas inundadas
de los antiguos monasterios cristianos.
El antiguo camino que, por esta orilla derecha del ro, ascenda desde
Quruq Magra hasta arbls, qued muy pronto inundado. As que el
acceso ms fcil se realiza desde Tell Amrna, donde nace un pequeo
camino asfaltado con direccin sureste que pronto se ve lamido por el ro.
Tal es la cercana de esta pista con el agua que en determinados momentos
del da, y dependiendo de los aportes de las presas turcas ro arriba, el
camino queda completamente cubierto. Por consiguiente, el nico acceso
por carretera a la aldea queda cortado, obligando a pasar caminando por
el ro o acceder a campo traviesa por medio de los montes existentes a sus
espaldas.
El Conjunto Arqueolgico
El yacimiento se extiende a lo largo de tres kilmetros lineales, aunque por
motivos prcticos fue dividido en dos bloques, dependiendo de la aldea a
la que mejor se asocien cada uno de los complejos y estructuras rupestres.
Se trata de dos montaas, una de ellas ms prxima a la aldea de Magra
Sarasat y la segunda estrechamente ligada a la poblacin de al-Jirba (literalmente la ruina). En este trabajo vamos a exponer detalladamente los
conjuntos ms prximos a la primera de las aldeas y ms brevemente los
hallazgos efectuados en torno a la segunda.
La estructuracin de los yacimientos rupestres se distribuye de la siguiente manera. Un pequeo wd septentrional, auente del Amrna, limita al Norte. Desde este punto comienzan a sucederse innidad de cuevas
y edicios rupestres excavados en las paredes verticales que caen prcticamente sobre el ufrates. Entre esta rambla y otra situada ms al Sur se
engloban una serie de cerros que se extienden a lo largo de no ms de dos
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nes formes de vie solitaire en Syrie, Miln 1980; Les Cnobites syriens, Miln 1983; Les
Stylites syriens, Miln 1987; Inventaire du Jebel Baricha. Recherches archologiques dans
la rgion des Villes Mortes de la Syrie du Nord, Miln 1987; Inventaire du Jebel El-Ala.
Recherches archologiques dans la rgion des Villes Mortes de la Syrie du Nord, Miln
1990; Inventaire du Jebel Wastani. Recherches archologiques dans la rgion des Villes
Mortes de la Syrie du Nord, Miln 1999.
14. G. Tate, Les campagnes de la Syrie du Nord du IIe au VIIe sicle, Pars 1992, 65.
477
nes de la zona cristiana del Macizo Calcreo, alrededor de Alepo, tambin aparecan estos
elementos, que eran llamados asas ptreas horadadas en la roca de forma curva (I. Pea,
Dos santuarios oraculares en Siria. Wadi Marthun y Banasra, LA (43), 1993, 387-401 (en
concreto, p. 389). Consideramos que esta denominacin dene esencialmente y de un slo
trazo la forma del objeto en cuestin si bien deja entre interrogantes su funcin que con
seguridad tuvo que ser variable y adaptable a cada caso concreto.
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16. Las comunidades bilinges estn atestiguadas por las fuentes para la regin (Egeria,
Itin., 47. Theod. Cyr., HPh, V, 5). La costumbre de cantar en dos grupos segn la lengua
de origen tambin la reproduce Eusebio (IV.13): ...cantan las alabanzas del seor, unos en
griego, los otros en la lengua del pas.
17. El silo de grano incluido en el eremitorio se hace norma en la mayora de los complejos
monacales cristianos de Siria, sean rupestres o no. En la Pennsula Ibrica tampoco son
extraos este tipo de silos que protegan la cosecha de la comunidad religiosa de posibles
asaltos y robos. M. Monge J. F. Jordn, Planimetra y perspectivas tridimensionales
del eremitorio rupestre hispanovisigodo de Alborajico (Tobarra, Albacete), Antigedad y
Cristianismo X, 1993, 497-506.
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Entre los gratos la mayora son rabes recientes, con seguridad fruto de
veladas de pastores, como bien reejan la multitud de corderos grabados
en las paredes.
g) La llegada al monasterio principal
El camino contina hacia el Sur, por una senda estrecha que poco a poco
coge cierta amplitud. A lo largo del camino existe un gran bloque de piedra
dentro del ro, pero lo sucientemente cerca de la orilla como para saltar
a l. En este bloque se labraron tres escalones que deban descender a una
terraza inferior, hoy completamente inundada por el agua, comunicando el
nivel en el que se abren todas las cuevas vistas hasta ahora, con un segundo
nivel inundado. Lo ms interesante es comprobar como el ro lame diariamente el primitivo piedemonte, que hoy acta como orilla, y va dejando en
el perl algunas estructuras antiguas y fragmentos cermicos. Igualmente,
en esta roca han quedado labradas dos cruces griegas de pequeo tamao.
Antes de llegar al wd, justo all donde se interrumpe la pared vertical,
se encuentra MS/16. Una cueva con su interior articulado mediante dos
grandes espacios cuadrangulares con sendas puertas al exterior y otra ms
pequea que los comunica transversalmente. Las cubiertas de ambos son
seudo-adinteladas.
La orientacin de sus paredes centrales, de manera perfecta al suroeste,
as como la dualidad de espacios, con una entrada individual cada uno, son
factores que nos permiten barajar la posibilidad de que estemos ante una
nueva iglesia o centro de reunin.
h) El wd Sur
Una vez sobrepasada MS/16, la alineacin ininterrumpida de montes que
provienen desde 2 Km. atrs se rompe bruscamente por esta pequea rambla que la corta de Este a Oeste. En su parte ms ancha, all donde se une
con el ro, no posee ms de 100 metros y va estrechndose conforme se
recorre curso arriba, hasta desaparecer y encajarse entre una serie de cerros
situados un poco ms a occidente.
Como ya se advirti previamente, en el lecho de esta rambla se instal el cementerio islmico de las poblaciones cercanas, sin embargo, el
copioso matorral nos indica un estado casi de abandono. Adems, las fuertes avenidas han ido desmontando algunas de las tumbas y removiendo
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A. EGEA VIVANCOS
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su lado, pero con orientacin Noroeste, en la pared contigua entre los dos
espacios, se abre un gran nicho rectangular de ms de un metro de altura.
Sobresalen tambin unos espacios ms profundos, excavados en una altura inferior, situados a ambos lados de esta gran sala. Uno de ellos aparece
colmatado, al otro, sin embargo, se entra con dicultad y no presenta nada a
destacar a excepcin de la existencia de cermica en supercie procedente
de las numerosas labores de expolio.
En la fachada, all donde se abren los vanos para acceder al interior,
destacan un grupo de nichos excavados a lo largo de la misma. Se trata
de nichos de 40 cm. de altura por otros tantos de anchura. Este sector del
monumento tambin posee tres puertas de acceso y una ventana, que lo
comunican directamente con el sector interior. Sobre la ventana hay una
hornacina.
Interior
Una vez sobrepasados los vanos, se accede al interior del complejo. Se trata
de una serie de habitaciones o espacios, un total de 6, la mayor parte de
ellos celdas o pequeas estancias (E):
(E1) Especie de vestbulo o recepcin a la que se accede a travs de la
entrada principal. Su vano, aunque fragmentado en parte, conserva agujeros
de quicio y de pestillaje, as como el rebaje interior donde ira a descansar
la puerta, que se abra desde el interior. Junto a ella se situaba un nuevo
vano que, si hacemos caso de las repisas originales que se conservan, tuvo
que funcionar a modo de ventana superior. En este espacio se abrieron varias hornacinas sobre un posible depsito o pozo rectangular. En la pared
que comunica con E3 se abri un lucernario y otra hornacina.
(E2) Se trata de un pequeo recinto de apenas 2 m2 que en origen
deba estar medio cegado. El habitculo quedaba cerrado mediante una
puerta como demuestran las huellas de pestillos excavados a ambos lados
del vano. De este espacio, a modo de reclusorio, destacan unos gratos
antiguos: un antropomorfo esquemtico de 15 cm., con algo colgado en
el brazo izquierdo, y lo que parece un cruciforme (similar a una cruz de
calvario o cruz con peana).
(E3) Se trata de otro pequeo camarn cuya puerta se cerraba desde
dentro. De ella se conserva el rebaje donde descansara la quicialera y las
huellas del sistema de pasador que sirvi de cierre. Aunque hoy est abierto
de par en par a E1, la oscuridad en su interior es total, por lo que se necesit de tres pequeos lucernarios excavados en las paredes.
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A. EGEA VIVANCOS
(E4) El acceso es confuso, sin bien parece que en origen slo estara
abierto a media altura. La cubierta es seudo-abovedada. Est coronado en
su fondo por una pequea tumba bajo arcosolio, del abad o superior del
monasterio, que pudo servir como posible reclamo de visitantes.
(E5) Tambin tiene una puerta preparada para cerrarse desde el interior.
Desde aqu se acceda libremente a dos espacios que no presentan huellas
de haber contado con hoja para la puerta (E4 y E6). De E5 sobresalen sus
escalones de acceso, algunos lucernarios y una hornacina con un rebaje u
oquedad en su fondo.
(E6) Es la estancia ms interior, por lo tanto la ms lgubre. En su
dintel han quedado grabados dos gratos, un crismn y una cruz (Fig. 10).
Su puerta es la nica que se remarca con este tipo de simbologa, as como
con dos pequeas entalladuras diagonales que caen a cada lado del dintel.
En su oscuro interior se hicieron necesarios los huecos para lucernas.
Lo extrao es la ausencia de marcas o huellas que certiquen algn
tipo de cierre. De este modo E4, E5 y E6 formaran un nico bloque, cuyo
cierre es el constatado en E5.
j) La gran escalinata rupestre (Fig. 11)
Saliendo de las dependencias del monasterio, y tomando una senda que se
dirige al sudoeste, a escasos 10 metros, se encuentra el inicio de una gran
escalinata tallada en la roca. Este elemento comunica mediante dos tramos
la zona del monasterio, ya comentado, con la cima del cerro.
En un primer tramo se conservan visibles 14 peldaos de 70 cm. de
anchura y 140 cm. de longitud. Entre cada peldao hay un desnivel de 10
cm. Para encajar la escalinata se efectu un rebaje del monte de 2,25 m.
de anchura, quedando los peldaos encajados entre dos paredes verticales planas. Se supone que todo el trayecto, sobre todo la parte que queda
colgada en el vaco, aprovechara este rebaje del monte para que sirviera
de quitamiedos. En la actualidad, parte de esta escalera se sita sobre un
vaco de 6 metros.
Tras esos primeros 14 escalones, la escalinata se pierde por un roto
antiguo del monte, que se desplom sobre la parte exterior del monasterio
inferior (MS/17). Una vez sobrepasado este tramo perdido podemos continuar la ascensin.
A esta primera parte de 28,2 metros de longitud, con direccin SO-NE,
le sigue un segundo tramo con direccin SE-NO de 20,4 metros, girando el
recorrido de la escalinata de manera brusca en un ngulo perfecto de 90.
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Blanco G. Matilla Siquer, Cristianizacin: los monasterios del mbito de Qara Quzaq,
Antigedad y Cristianismo 15, 1998, 399-415. G. Matilla Siquer J. Gallardo Carrillo,
Columbarios y relicarios en el Prximo Oriente, Antigedad y Cristianismo 16, 1999,
57-86. A. Egea, Ciudades, forticaciones, necrpolis y monasterios en el Alto ufrates
sirio durante la poca paleocristiana. Siglos IV-VII, Antigedad y Cristianismo 21, 2004,
33-66.
493
en la orilla del ufrates, en la regin de Cyrrhestica que tuvo que funcionar como un importante punto de paso del ufrates en esta regin, cabeza de puente de Hierapolis. Sobre
su situacin se ha escrito bastante: Benzinger, s.v. Ceciliana, PW 5, 1897, 1172. E. Hnigmann, Historische Topographie von Nordsyrien im Altertum, ZDPV 46, Leipzig 1923,
149-193. Segn nuestra opinin, el yacimiento arqueolgico situado frente a Tell Amar, por
extensin y localizacin, quizs pueda esconder los restos de esta antigua ciudad.
23. S. J. Mattern, A travers les villes mortes de Haute Syrie, MSJ 17 (1), 1933, 114116.
24. J. Lassus, Sanctuaires chrtiens de Syrie, Paris 1947, 62.
25. H. C. Butler, Early Churches in Syria. Fourth to Seventh Centuries, Princeton 1929,
39.
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A. EGEA VIVANCOS
495
sexo o del grado de formacin espiritual, en esta regin creemos que fue la lengua la que
pudo prevalecer a la hora de efectuar tal particin.
30. Quizs no sea una hiptesis denitiva, pero los descubrimientos arqueolgicos efectuados por la misin espaola del ufrates, muestran una cierta diferenciacin regional. La
epigrafa documentada en la orilla derecha siempre ha sido griega, mientras que la recogida
en la orilla izquierda siempre ha sido siraca. Este pequeo corpus indica una marcada
diferenciacin lingstica entre la Osrhoene y la Eufratense, mientras que en la primera, la
mayora de la poblacin hablaba y escriba siraco, en la segunda era el griego la lengua
predominante.
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A. EGEA VIVANCOS
lengua griega, tras haber vivido en solitario en los alrededores de esta ciudad,
se vio obligado a conformar el germen de un monasterio. En la biografa que
compuso Teodoreto se conrma la existencia de monasterios bilinges31.
- Eran comunidades monositas32? La Eufratense y la Osrhoene, dos
de las provincias del patriarcado de Antioqua, contaron con telogos monositas de gran prestigio como San Efrn, Filoxeno de Mabbug, o Jacobo
de Edesa, por lo que no es de extraar la predominancia del elemento
monosita en la regin.
- Quin fue el asceta o monje fundador? Fue su cuerpo el que ocup
el sepulcro descubierto en MS/17? Es sabido que en poblaciones relativamente cercanas se construyeron santuarios en torno a los restos de determinados monjes33 por lo que no sera de extraar un fenmeno similar.
- Pervivieron las comunidades a la llegada del Islam? Uno de los datos
ms apasionantes referentes al monasterio de Qenner, ubicado en la orilla
opuesta al de Magra Sarasat, es el poder constatar la supervivencia de comunidades cristianas (ortodoxas o catlicas) en la regin tras la conquista
musulmana. Tras la muerte del patriarca Atanasio Sandloyo, en el ao 758,
fue elegido un tal George, un monje de gran sabidura, que hasta entonces
haba sido un simple dicono de la abada de Qenner34. Ms all, la vida
de esta comunidad se nos pierde, pero no es de extraar que en Tell uyj
Fawqn (yacimiento conectado visualmente con Magra Sarasat) fuera localizada una triple inscripcin funeraria de varios monjes, datada entre los
siglos VIII y X35, que bien pudiera provenir del monasterio de Qenner.
31. Theod. Cyr., HPh, V, 5. Esta costumbre de cantar en dos grupos segn la lengua de
origen tambin la reproduce Eusebio (IV.13): ...cantan las alabanzas del seor, unos en
griego, los otros en la lengua del pas.
32. Al respecto, no hay que soslayar la signicacin que la Iglesia monosita posey en
la historia cultural y religiosa del Alto ufrates sirio durante los siglos de transicin entre
el mundo antiguo y medieval. Tras el concilio ecumnico de Calcedonia (ao 451) y la
condena del monosismo, con la consecuente proclamacin de la doctrina ocial catlica,
la regin qued dentro de dicha esfera monosita. Esta ruptura se consuma en el segundo
concilio de Constantinopla (ao 553), a raz del cual el gobierno bizantino presion contra
los monositas. La labor aglutinante de Jacobo Baradai, en la organizacin de la Iglesia
monosita, fue vital para la consolidacin de esta corriente cismtica, llamada desde entonces jacobita. 33. Por citar slo algunos ejemplos remitimos a: Theod. Cyr., HPh, XXIV,
2 (para el caso de Kittika y el monje Zebinas); Theod. Cyr., HPh, XVI, 4 (para el caso del
cuerpo de San Marn).
34. Palmer, A. 1990, Monk and mason on the Tigris frontier. The early history of Tur `Abdin,
Cambridge, 174. (Chr. Michael, 1195, XI, 25c, p. 475; Chr. Zuqnin, 775, p. 212.)
35. Bachelot, L. 1999, Tell Shioukh Faouqni (1994-1998), Archaeology of the Upper
Syrian Euphrates. The Tishrin Dam Area, Proceedings of the International Symposium Held
at Barcelona, Del Olmo, G., Montero, J.-L. (Eds.), Barcelona, 143-162.
497
En denitiva, comprobamos que la informacin que las fuentes literarias aportan al estudio de los inicios del monacato no cubre muchos territorios, en nuestro caso el Alto ufrates sirio. De este modo, la historia de
los primeros monjes debe ser rescrita al amparo de los nuevos descubrimientos arqueolgicos que diariamente se suceden en cualquier rincn del
arco Mediterrneo. Las prospecciones arqueolgicas se nos presentan como
un mtodo de acceso a la informacin barato y rpido, si bien slo una
excavacin arqueolgica resolvera algunos de los muchos interrogantes
que hemos planteado en este trabajo.
Alejandro Egea Vivancos
IPOA-Universidad de Murcia
Bibliografa
Bachelot, L. 1999, Tell Shioukh Faouqni (1994-1998), Archaeology of the Upper Syrian
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Cambridge.
498
A. EGEA VIVANCOS
M. Decker
500
M. DECKER
take.1 Evidence from the Greek mainland from the archaic and classical periods shows that the tower (pu/rgoi) was an early feature of the
Greek landscape in Attica and beyond.2 Large numbers of medieval towers also survive, though they have, as elsewhere, been little studied.3 The
Cyclades possess several on Delos and Rheneia, for example, while in
the Dodecanese, Rhodes also preserves several old towers.4 In Palestine,
Josephus mentions the pyrgos east of Beersheba owned by Agrippa I.5
Beyond the eastern Mediterranean, North Africa provides a host of architectural comparanda. Large numbers of them stood and were noted by
the late-19th and early-20th century travelers who visited the Levant, and
a signicant portion of these have since been destroyed.
The unity implied by the title of this work accords with only the
broadest characteristics shared by these buildings; this is their construction in durable materials (allowing for examples which surely existed in
mud-brick and other more perishable fabrics) and their generally massive
characteristics when compared with typical local structures. Of course it
should be allowed that wall thickness and height (which I take as denining whether or not a building is massive when compared with its peers)
may well be inherent within a building design. Towers, for their example,
by their ratios of height-width generally demand thicker walls than common houses. Of course the height and the wallt thickness might themselves
be what makes a tower. It is the advantage gained that leads to the building: either a vantage point, or security, via thicker walls. Beyond these
basic advantages there were of course many other considerations, and from
the material record we can recover some of the motives for construction
and functional differences.
1. R. MacMullen, Soldier and Civilian in the Later Roman Empire, Cambridge, Mass. 1963,
141. I wish to thank Mr. Nick Maroulis for his kindness in generosity in sponsoring my
research while investigating this topic.
2. S. Applebaum - S. Dar - Z. Safrai, The Towers of Samaria, Palestine Exploration
Quarterly 110 (1978) 91-100; L. Watrous, An Attic Farm Near Laurion, in Studies in Attic
Epigraphy, History and Topography Presented to Eugene Vanderpool, 1982, 197; J.E. Jones
- A.J. Graham - L. H. Sackett, An Attic Country House Below the Cave of Pan at Vari,
Annual of the British School at Athens 68 (1973) 448.
3. See: D. Pringle, Secular buildings the Crusader Kingdom of Jerusalem. An archaeological
gazetteer, Cambridge University Press: Cambridge, 1997.
4. F. Villeneuve, Lconomie rurale et la vie des campagnes dans le Hauran antique Ier sicle
av. J.-C. - VIIe sicle ap. J.-C., in J.-M. Dentzer (ed.), Hauran I: recherches archologiques
sur la Syrie du Sud l'poque hellnistique et romaine, Paris 1985-1986, 98.
5. Applebaum - Dar - Safrai, The Towers of Samaria (note 2 above), 96.
501
171.
8. J. Patrich, Map of Der Mar Saba, Jerusalem 1994, Site 44, 50.
9. Hirschfeld, Judean Desert Monasteries (note 6 above), 171-176.
502
M. DECKER
Rural towers in Samaria have been studied by Dar, who studied more
than 1,200 towers, 45 of which were excavated. He classied these towers
into six types. These ranged in size from small towers with exterior walls
about two meters in length, to large, two-storeyed towers measuring six meters on a side. Most of the Samarian towers were apparently constructed in
the Hellenistic period, though several of the large examples are probably Roman. On the whole, few of the Samaritan towers were well-sited for lookouts
and their primary purpose does not seem to be related to defense. They served
for storage of tools and crops and on occasion may have provided temporary
shelter for workers and herdsmen. Typically these buildings were about 3
meters high with exterior dimensions of 3-4 meters, like the one found at
Um Rihan (Fig. 1). Nearly all are built of a single course of rather large (0.6
x 0.4 x 0.8 m) limestone or dolmite quarried for the purpose and nished
on-site. While Dar linked the towers of the Samarian countryside with wine
production during the Hellenistic, only a handful were found in association
with wineries. Many, however, were found near diverse ancient agricultural
installations including sheepfolds, threshing oors, cup marks, oil-presses,
and cisterns. In the ancient village of Qarawat Bene Hassan 170 towers were
surveyed, a number of which exhibit strong evidence for their agricultural
role as storehouses or lookouts. Tower 80 was found in association with a
wine-press, a threshing oor and components from multiple oil-presses,
while Tower 73 was part of an assemblage that included two livestock pens
and a threshing oor. A few of the large towers (with exterior dimensions of 5
meters or more) were apparently pyrgoi whose main purposes were defensive
and possibly residential.10
10. S. Dar, Landscape and Pattern:An Archaeological Survey of Samaria 800 B.C.E.-636
503
During the Archaeological Survey of Israel buildings identied as watchtowers or watch-booths were found frequently such as that found in the
northwestern Negev around Hirbet Beer Shema.11 Southwest of Oboda in
the central Negev Highlands a tower lies on a hilltop above the Wadi el-'Asli,
measured 9 x 8 m. Iron Age II and Byzantine pottery were found within the
structure, which was constructed of roughly cut stones.12 In the wadi Nahal
Besor near Sede Boqer several towers have been noted: a square (6 x 6 m)
Byzantine example on a spur stands beside a rock-cut cistern and nearby
drainage channels. Another tower lay beneath the northern spur of Har Boqer, 7 x 7 m wide, embellished apparently with decorated lintel and capitals
which were found on the site. Two other structures and a cistern were associated with the second tower.13 Watch-booths were commonly found in the Har
Hamran survey in the eastern central Negev, described as oval structures of
1-2 x 3-5 m in dimension.14 These complexes indicate a central agricultural
or domestic purpose for these towers rather than a strictly defensive role.
There were also towered columbaria. The Herodian farm at Ramat Hanadiv had a large tower dovecote, nearby the main dwelling to it (Fig. 2)
504
M. DECKER
and dated by the excavators to the 1st century.15 The building of columbaria
in the form of towers was commonplace throughout the Roman Near East:
mud-brick towered columbaria were common especially in Egypt.16
Towers were also used as dwellings. In the hinterland of Antioch and
Apamea in north Syria, towers were built in considerable numbers throughout Late Antiquity. Many of those examples found in Syria seem to have
been self-contained or attached domestic structures, having nothing to do
with any ofcial military or ecclesiastical buildings. One such example
is that at Kfellusin (Fig. 3), where a lintel inscription provides a building
date of A.D. 492 or 522. One of the ner preserved towers that survives,
Kfellusin stood to a height of 15 m. On the groundoor, a staircase in the
north-east corner provided access to the upper storey while the room itself
was divided by two transverse arches carrying the stone slab ceilings, a
common feauture of Syrian domestic architecture, as we have seen. The
upper oors were undivided and measured approximately 5.5 m on a side.
Light entered the ground- and rst-oors via loopholes only, while the upper storeys were lighted by windows windows. Large stone slabs roofed the
building. The architecture of Kfellusin was thus distinctly Syrian in many
505
ways: the nely quadrated stone arches and corbelling is prominent in from
the Hauran to the northern regions. Its all-stone construction and size made
it a rather compact, but formidable building. Distinct though it is, Kfellusin
was not unique. At Serjible on the Jebel Siman, Butler recorded a large
tower over 17 m in height, comprising ve storeys. The Serjible tower was
thus both higher and more spacious than that at Kfellousin, but built from
the same limestone ashlar materials in one course that gave it a wall thickness of about 0.70 m. The interior of the Serjible structure differed from
the former example, with each oor divided into two rooms. The ground
oor contained a stable, and like Kfellusin, was lit only by slit windows,
while the second storey contained several windows and a corbelled latrine.
Despite the presence of a monastic complex at Serjible, Pea's belief that
the tower there served a religious purpose is uncertain. The tower stands
in isolation some 50 m from the monastery, and in light of the places
context and character, Butlers belief that the place was a tower-house is
probably correct.17
While the tower-houses are domestic dwellings rst and foremost their
defensive characteristics are apparent. The presence of loop windows in the
lower storeys, while the windows are found in the upper storeys, suggests
that the builders cared little that the ground oor received light (entirely
possible since it seems to have been a stable), and more for limiting access.
Anyone attempting to gain entry to the upper storeys would have had to
push their way through a heavy door, probably one of the ubiquitous stone
doors that still litter the landscape, then force entry to the dwelling space
above.
For whom and against whom were these dwellings fortied? Considering the total oor area of the upper storeys of Kfellusin, it could have
temporarily sheltered about a hundred people, and this implies about one
meter of space per person and that there were no active defenders attempting to strike at any attackers below; their being packed into the shelter in
such numbers would have offered them no freedom of movement. Kfellusin
could have served for such an emergency refuge and it has certain advantages over the conventional refuges known from the epigraphic record
described below. For one, towers required considerably less effort to build
than any sizeable open fort. The tower at Kfellusin, for example, required
on the order of 900-1200 man-days of labor to complete. A crude estimate
would put the labor required to nish a modest pyrgos, such as Tower C at
17. H.C. Butler, Publications of the Princeton Expedition to Syria 1904-1905 and 1909,
506
M. DECKER
Ras al-Khaimah tower survey 1991-1992, Proceedings of the Seminar for Arabian Studies
26 (1993) 9-49.
19. Procopius, History of the Wars, trans. Dewing, Cambridge, Mass. 1971 II.xix.12; S.
Thomas Parker, Preliminary Report of the 1994 Season of the Roman Aqaba Project,
Bulletin of the American Schools of Oriental Research 305 (1997) 35.
20. On the nature of the threat and the debate of its severity see B. Isaac, Bandits in
Judaea and Arabia, Harvard Studies in Classical Philology 88 (1984) 171-203; D. Graf,
The Saracens and the Defense of the Arabian Frontier, Bulletin of the American Schools
of Oriental Research 229 (1978) 1-26; E.B. Banning, Peasants, Pastoralists, and Pax
Romana: Mutualism in the Southern Highlands of Jordan, Bulletin of the American
Schools of Oriental Research 261 (1986) 25-50; S.T. Parker, Peasants, Pastoralists, and
Pax Romana: A Different View, Bulletin of the American Schools of Oriental Research
265 (1987) 35-51; P. Mayerson, Saracens and Romans: Micro-Macro Relationships,
Bulletin of the American Schools of Oriental Research 274 (1989) 71-79.
507
no room for their possessions or cattle. These must have been hidden away,
removed from the village, or simply given over to plunder.
In central Syria, around the ancient city of Epiphania (Hama) in the
village of Kerratin (ancient Taroutia) a pyrgos (Fig. 4) dated by inscription to 509/510 measures about 12 m square and had 1.80 m thick walls
and slit windows.21 The Kerratin tower has a strong (about 3 m in breadth)
glacis at its base, implying that this towers primary intent was defensive.
At Qasr al-Mharram (about 20 km NE of Hama) Lassus recorded three
towers built in the mid-6th century.22 One of these (called Lassus Tower
B) has a lengthy inscription that dates the building to 551 and states that
the structure is a tower of refuge. Tower B measures 7.55 x 8.55 m and
has a glacis on the north and east sides only. Within it is divided into two
by a partition. The second tower at Qasr al-Mharram, Tower C (9.7 x
9.4 m) bore traces of attached buildings, and thus may not have originally
been isolated. Like that at Kerratin, the glacis of Tower C encompassed
the entire base of the building. Probably in 574, the three towers at Qasr
al-Mharram were joined by a fourth, then walled together to complete a tetrapyrgon. The date strongly suggests a building erected in response to the
Persian threat that struck the region in the devastating invasion of 573. At
al Burj (about 40 km north of Hama), a nearly identical structure, including
the battering wall, was noted by Butler.23 Dated by its lintel inscription to
21. Butler, Princeton Expedition (note 16 above), II.B., 75.
22. J. Lassus, Inventaire archologique de la rgion au nord-est de Hama, Paris 1935-1936,
143-50.
23. Butler, Princeton Expedition (note 16 above), II.B., 103; W.K. Prentice, Publications
of the Princeton Expedition to Syria Division III, Greek and Latin Inscriptions, Section B,
Northern Syria, Leiden 1922, no. 1058.
508
M. DECKER
509
Unlike the free-standing and attached towers of the Syrian and Palestinian countryside described above, the pyrgoi and phrouria are more massive
and sometimes indicate state involvement. They seem to be reexive, built
in response to specic threats. Although the context is urban, there are useful paralles in the high steppe of North Africa at Sbeitla, where a scatter
of blockhouses or fortlets occupies the former center of the Roman city.29
While substantially larger than those of North Syria, the structures at Sbeitla
were enclosed, roofed fortlets to which the town dwellers repaired during
the swift raids of Moors, which were certainly not uncommon local disturbances in the 6th and 7th centuries.30 These structures have space within
for cattle, and at least one example possessed livestock troughts (Fig. 5).
Contemporary olive presses lie next to the Sbeitla towers, indicating that
they offered cover to the inhabitants as they processed their harvests. The
defensive nature of the Sbeitla blockhouses can be inferred not only by
their massive construction, built as they were from robbed-out ashlars of
earlier Roman work, but also from their position within the inhabited center
of a town whose circuit was too large to be defensible.
Baratte, Les ruines de Sufetula (Sbeitla), Tunis 1973, 92-97. I use the term blockhouse
in addition to tower here to denote the rather low height and broadness along with their
enclosed nature.
30. Corippus, Iohannidos seu De bellis Libycis libri VIII, ed. J. Diggle - F. Goodyear,
London 1970.
510
M. DECKER
Although security must have been the dominant concern that led to the
construction of these buildings, they frequently had additional functions.
Many towers formed either part of a domestic living space, like those in
the Hauran southeast of Damascus at Subhiya and al Saya, or those found
in Umm el-Jimal in modern Jordan.31 Towered farmhouses, the primary
dwellings of agrarian owners (and perhaps wealthier tenants) are depicted
in North African mosaics and ubiquitous in the archaeological record of
the Roman East. They should, however, be distinguished from fortied
farms.32
The latter I restrict to buildings where defensive features not only appear, but dominate the aspect of the building. Some of the best examples
of these buildings are known from the eastern limes. Examples are known
from Palestine in the Nahal Saadon described below and al-Tuba in northern Syria. In addition, a strongly probable case exists at Stabl Antar in the
eastern territory of Apamea in central Syria, near the late antique village
of Androna (al Andarin).
Androna occupied a large basin that occupies the space between the
Palmyrene hills to the southeast, the Jebel al-Ala to the south, the Jebel
Bishri far to the east, and the Jebels Hass and Sbeit to the north. Within
this broad swathe of steppe lie numerous Roman-Byzantine settlements.
Androna preserves impressive remains, including a 6th-century kastron.
The kastron lies in the middle of the village and is a well-built, daunting
edice, measuring 80 m square. The fort is constructed of well-cut basalt
interspersed with bands of brick with an exterior wall-thickness of about
one m of well-dressed basalt. A portico runs on all sides of the interior of
the structure, and a chapel dominates the interior space of the barracks.
Recent excavation has uncovered surprising archaeological pretension, including the remains of wall paintings, mosaics, and marble revetments.33
Although there is no record of the military garrison stationed there, Trombley suggests that an arithmos of 300-400 men may have been barracked
there. The nal publication of the Heidelberg team will provide the nal
31. Butler, Princeton Expedition (note 16 above), II.A., 137-142; 123.
32. I know of no precise Greek term for such a fortied farm; the closest is perhaps baris, of
uncertain origin, used to describe several rural fortied compounds in the Hellenistic period,
relics of which remain as placenames in Anatolia; L. Robert, Noms indignes dans lAsieMineure grco-romaine, Paris 1963, 15; C. Schuler, Lndliche Siedlungen und Gemeinden
im hellenistischen und rmischen Kleinasien, Munich 1998, 72-73.
33. C. Strube, Excavations and survey at el Anderin/Androna, Syria: The work of the
German team, in XXe congrs international des etudes Byzantines: Practes, 3.217, Paris
2001.
511
Fig. 6 Androna
kastron AD 558
(Butler, Princeton
Expedition, II.B.
Plate VIII).
answer to this question. Whatever the nature of the soldiers stationed there,
the presence of the kastron and the outer defenses of the substantial circuit
walls would have presented, if properly manned, a substantial, defensible
refuge for the inhabitants of the village and its environs. The position of
Androna, on one Roman route linking the dux at Chalcis with the dux of
Phoenicie Libanensis at Palmyra, was strategic, but not vital in the scheme
of defense against the Persians, as the Sasanian army never approached the
limes through the Syrian desert, although their Lakhmid allies did.34
The fort at Androna (Fig. 6) was erected over a period of one year and
ve months in 558-559 through the patronage of the locally-born (though
perhaps not locally resident at the time of construction) wealthy notable
named Thomas.35 The lintel of the chapel within the fort was laid by a
certain John. An inscription recovered within the chapel at Stabl Antar
also preserves the name John.36 Possibly this John was none other than the
technites who laid the lintel in the church in the kastron at Androna.
34. Malalas Chronographia, ed. L. Dindorf, Bonn 1831, 441; translated E. and M. Jeffreys
512
M. DECKER
The most devastating incident for the limes region around Apamea and
Chalcis occurred in 573. Apamea was sacked, and the captives from the territory and the city were said to have numbered 292,000.37 An early Roman
census recorded a population of 117,000 at Apamea, and given the size of
the city, a city whose remains occupy approximately 3 km sq, with a vast
territoria that supported an urban and sub-urban population of 400,000500,000, the gure of captives in 573 is not impossible. Whatever the exact
number of prisoners, the sack of one of the greatest cities of the east and
the deportation of thousands of captives to Persia was a tremendous blow
to the regions social and economic fabric. Trombleys astute survey of the
epigraphic evidence points to severe trauma in city and countryside due to
the Persian incursion: only four building inscriptions in Syria II are dated
574-591.38 One of those inscriptions is from Stabl Antar (577/578).
Stabl Antar (Fig. 7) must have been built in reaction to the Persian attack of 573, while the kastron at Androna (A.D. 558) was perhaps part of
a long-term response to the attacks in 540-44 and continual unease along
the frontier. If this is the case, what was Stabl Antar supposed to protect?
The settlement of Androna seems the obvious answer, but why create another fort, less than 10 km, when the village already possessed a new and
37. F. Cumont, The Population of Syria, Journal of Roman Studies 24 (1934) 187-190;
F. Millar, The Roman Near East 31 BC-AD 337, Cambridge, Mass. 1993, 250.
38. Trombley, War and Society (note 25 above), 178.
513
514
M. DECKER
It seems that Stabl Antar was not a garrison at all, but rather meant as a
place of refuge for a powerful local landowner, his dependents, and probably local villagers as well. The building and its environs offers a number of
clues about its function. Mouterde and Poidebard noted three long parallel
galleries, which they interpreted as either stables or granaries. These were not
visible to me 1999-2000 during my surface prospection of the site. Mouterde
and Poidebard further noted a walled enclosure surrounding a vast zone
of land, which they interpreted as intensively cultivated gardens. Similar
enclosures were found at the nearby grand estate center of Qasr Ibn Wardan
(built 561-564) and at Qubet Able, and Rasm el-Ahmar, all sites visited by
the Princeton Expedition.40 Butler noted that the upland west of the fortress
at Stabl Antar attens out over approximately ve miles (~ 8 km), and his
assessment that much of this upland could have been cultivated was borne
out by my visit to the site. Traces of ancient terraces immediately to the south
of the site survived in 1999-2000, but they were being rapidly destroyed by
modern agriculture. In light of the lack of scientic survey, the relationship
of the fort to the remains of these agricultural systems is uncertain, but given
the frequently good state of preservation of Late Roman-Early Byzantine
remains around Hama, there is a fair degree of probability that the terraces of
1999-2000 and the agricultural enclosure noted by Mouterde and Poidebard
belonged to the establishment at Stabl Antar. These agricultural installations
are inconclusive. Such a place was presumably manned by limitanei, but
by the late 6th century, their ranks were seriously depleted or perhaps even
disbanded by Justinian.41 Isaac has debunked the notion of the limitanei as
soldier-farmers (or farmer-soldiers).42 Those soldiers garrisoned at Nessana
certainly owned land, but it was as landowners that they functioned in society, not as georgoi working the land themselves.43
More importantly, the ground plan of Stabl Antar does not suggest that
it possessed a primarily military role. Anastasian-Justinianic forts in SyriaPalestine are known in some number. Qasr Hallabat in Jordan (Palestine
II), for example, was an Anastasian foundation. Neither Androna, nor the
fort at Idjaz (546/547) nor that at al-Habbat (556) have much in common
with Stabl Antar. The plan of Stabl Antar, with its tower-anked entrance
and L-shaped interior portico bears little resemblance to other eastern forts.
40. Butler, Princeton Expedition (note 16 above), II.B., 64.
41. Procopius, Anecdota, trans. Dewing, Cambridge, Mass. 1971, xiv.13-14.
42. B. Isaac, The Limits of Empire: The Roman Army in the East, revised ed., Oxford 1992,
208-213.
43. C. Kraemer, Excavations at Nessana III: Non-literary Papyri, Princeton 1958, 20.
515
It does, however, bear a strong resemblance in both size and interior organization to the Late Roman fortied farm site of Tel Nador in modern
Algeria. Like Stabl Antar, Nador is has a massive faade with exterior walls
constructed in ashlar. Nador also possesses towers on each corner of the
faade and a gateway anked by two towers and is of roughly comparable
size. The interior arrangement (Fig. 8), with the L-shaped portico on two
sides, strongly-resembles that of Stabl Antar. Nador was itself thought to
have been a fortress, but excavation has revealed that Nador was a largely
agricultural building, which in the 4th-century formed part of a farming
estate belonging to M. Cincius Hilarianus.44
Without scientic survey and excavation, it is impossible to draw any
rm conclusion about the function of Stabl Antar. In view of the position,
form of the structure and comparanda from the region, it seems that Stabl
Antar was probably part of the estate of a local wealthy individual, who
probably resided elsewhere, perhaps Apamea. The building of Stabl Antar
was likely a reaction on the part of the magnate to the sack of Apamea in
573 that sparked concern for his lands lying around Stabl Antar as well
as for the local inhabitants, many of whom were likely to have been his
tenants. The presence of Stabl Antar offered both a stronghold for those
attached to the landholder personally, a safeguard for the products of his
estate, and also likely a refuge for those living around in times of crisis.
44. D. Mattingly - J.W. Hayes, Nador and fortied farms in North Africa, Journal of
Roman Archaeology 5 (1992) 408-418; L. Anselmino, Il castellum del Nador: storia di una
fattoria tra Tipasa e Caesarea (I-VI sec. d.C.), Rome 1989, 202-210.
516
M. DECKER
Conclusion
Thousands of free-standing towers were built in antiquity in the Levant.
Although their presence has been widely noted, the range of uses and the
potential that a thorough study of these structures has in elucidating settlement patterns, land use, and security, has yet to be fully developed. From
two synthetic studies it has been demonstrated that a burst of tower building activity was associated with the colonization efforts of Hellenistic
kingdoms.45 The vast majority of towers seem to have been private, and
hundreds or even thousands dotted the villages of the late antique east;
Butler noted that the small settlement of Umm al-Kutten had seven towers
alone, all built of well-dressed basalt. In some cases these towers, whether
they were free-standing or part of an ensemble, were simply storehouses,
secure centers for keeping equipment, wine, oil, or grain. In other instances
towers were multi-purpose, with bottom oors for stables and upper storeys
devoted to living space. That these towers were intended as permanent or
long-term residences rather than simply seasonal shelter is indicated not
only by the tremendous effort expended in building them, but also by the
fact that many possess latrines and occupy a space sufcient for a large
family to have lived indenitely.46 Other civilian functions that towers possessed were as houses for oil and wine presses or as columbaria. Finally,
civilians used towers as refuges during bandit raids or as lookouts. This was
particularly the case in the plains, as in the Syrian Hauran, where many
villages had multiple towers that served this lookout function along with
any one or more of the others just noted.
Scale does tell something of the nature of these buildings. Small towers, those of just two meters or so on each side, were often simply lookouts or small storehouses. They lack the space to be full-time residences
and almost never have lighting. Large towers of six or seven meters on a
side were relatively common, and these tended to be permanent residences
that could offer vantage points to overlook crops and herds, often had
their own stables on the ground oor, and gave the inhabitants considerable security. This type of free-standing tower is found both in private
contexts, as at Kfellusin, or ecclesiastical, as at Qasr al Banat or Qasr
45. S. Dar, Landscape and Pattern (note 9 above), 113; S. Durugnl, Trme und Siedlungen
517
518
Fig. 9
g. 61).
M. DECKER
of the population, then the fortied farms appear to belong to two broadly
similar sets of circumstances. The fortied farm is not an altogether unknown in the late antique east, but it is a rare creature. Only a handful of
structures in the material record have been identied as fortied farms and
these, as with my arguments for Stabl Antar, are circumstantial and relatively tenuous. We are on rmer ground in this identication with a group
of farms in the western Negev around Saadon have a tower at the core,
at least one of which is strengthened by a glacis, the best of preserved of
which measures 7.4 x 8.6 m (Fig. 9).50 Clustered around the fortied dwell50. Y. Hirsched, Farms and Villages in Byzantine Palestine, Dumbarton Oaks Papers
51 (1997) 59.
519
ings near Saadon are dwellings and farm outbuildings, such as sheds and
folds. These Negev farms resemble the Tripolitanian fortied farms (gasr,
pl. gsur). Gsur typically possess a solid, heavy-walled closed building.
They are generally surrounded by ancillary agricultural and pastoral structures, and many have traces of domestic settlement grouped around them.
The gsur seem to represent a considerable shift in both the density of settlement, the agents controlling the land, and, in some cases, a chronological
divide between the earlier farms of the Roman period and the later fortied
farm settlements, which tended toward nucleation and probably indicate a
resurgence of non-Roman elites on the soil.51
In Syria-Palestine there is at present no evidence to suggest such a
chronolgical gap, but the question of ethnicity and changes in land tenure
raised in discussion of the Libyan gsur is valid to consider for Syri-Palestine as well. The remains of farms like those from Nahal Saadon are
interesting in part because of their location at the limits of settled life, and
we cannot rule out the arrival of new landholders from neighboring Arabia,
where the qasr, a towered compound and enclosed courtyard, were ancient
and durable parts of settled life. We see the coming of Arabic speakers
into the fringes of Syria and Palestine where they began to settle in some
number in Late Antiquity, and the fortied farms in the Negev, in particular
may reect the inuence of landowners recently arrived from the Arabian
Peninsula or Syrian desert.52
In other instances, it seems to me that the fortied farms in the East
represent pioneer settlement in the Late Roman period by an elite seeking
new lands to exploit in an area far beyond the traditional territory of the
larger cities, and removed from most of the apparatus of state control and
security. I am inclined to accept Mouterde and Poidebards dating of the
fortied farm at al Tuba (3rd century?), which would make this compound
an outlier of settlement. In other words, I envision Aurelios Bellichos as
characterizing an elite opening of the steppeland to settlement around this
time. Within an underpopulated landscape along the Barbarian Plain, it
is easy to see the need for defensive structures of the sort at al Tuba, if
for nothing more than to keep out wild animals and to shelter livestock at
night. In all likelihood, al Tuba represents what, to my mind, is the paradigm fortied farm: a remote estate center controlling a large rangeland in
open, relatively wild country.
51. D. Mattingly, Tripolitania, London 1995, 202-207.
52. R. Hoyland, Arabia and the Arabs from the Bronze Age to the Coming of Islam, London
2001, 236-237.
520
M. DECKER
Finally, some fortied farms were built later in the settlement history of
the eastern frontier. They are represented by Stabl Antar, which, assuming
my identication of its function is correct, seems to reect prominent landowners concerns about major specic threats in the form of enemy raids.
Although the date of the building in 577/78 reects the reaction of the Apamean rural population to the devastating invasion of the Sasanians in 573,
the impetus was apparently local and unofcial. In the future, archaeological work on these structures will iron out the issues of frontier settlement
and security, but there are a number of other questions that such study will
repay, such as the semiotics of elite control as expressed in architecture,
and the little explored but probable bridge between the form and expression
of these late antique compounds and later architectural expression, such as
the Umayyad Desert Castles.
Michael Decker
University of South Florida
A JEWISH INTAGLIO
FROM ROMAN AMMAIA, LUSITANIA
G. Cravinho - S. Amorai-Stark
Introduction
In the course of compiling a Corpus of Greco-Roman gems discovered
in Portugal, Graa Cravinho came across a nicolo intaglio in Dr. Delmira
Mas collection. It is engraved with a pronounced Jewish device: a
Menorah anked by ritual objects (Fig. 1). The Menorah intaglio is one
of 18 Roman engraved glyptic pieces in the collection (Neves 1971: 90,
n 18).1 To date the overall tally of glyptic nds from Ammaia consists
of 27 items.
The collection consists chiey of Roman artifacts. It was amassed from
the early 20th c. at the latest (A. Mas 1913: Dirio de Notcias, August
8; O Sculo August 13 newspaper articles, in Neves 1971: 12, footnote
1) by Mr. Antnio Mas, Dr. Delmiras father. The familys ancestral home
is located in the town of Portalegre, some 15 km from ancient Ammaia
(present day Aramenha). Most of the objects in this important collection
were surface nds, mainly by local people who found them while working
in the elds on the site of Ammaia. The Menorah nicolo was discovered together with another nicolo depicting a lyre device (Fig. 2) by a local worker
while he was engaged in digging irrigation canals. Both stones, found at
the same locus, were brought to A. Mas on the same date.
Another 3 gems are said to come from Ammaia or from its suburbs (a
cornelian now in the Museu Nacional de Arqueologia inv. 597, with a dolphin
device; two stones, set in golden rings, in the Barreto collection: a black onyx
depicting a running goat, from the suburbs of Marvo, which is situated on
top of the hill above Ammaia; a sardonyx with the device of a charoteer in a
biga, from a farm near Castelo de Vide, a small town near Aramenha which,
at Roman times, was in the Civitas Ammaiensis (Map. 1).2
1. Josefa Conceio Neves 1971 dissertation on the Collection mentions 19 glyptic items.
Her No. 2 in plate 1 is a Modern Art Nouveau piece. Therefore, the number of ancient
glyptic items in this collection totals 18 specimens.
2. For origin and description of all Ammaia gems cf. G. Cravinho, Glptica Romana em
Portugal, forthcoming Doctor Dissertation to be presented to the University of Santiago de
Compostela.
LA 56 (2006) 521-546; Pls. 33-36
522
G. CRAVINHO - S. AMORAI-STARK
3. The excavation has continued since the late 20th c. under the auspicious of the Ammaia
Foundation and supervision of the Universities of Coimbra and vora. We examined these
6 glyptic pieces and the few other jewelry fragments found by this excavation within a
water tunnel of the Ammaia therma (Bath-House) in June 2005. To date only a very small
part of the Bath-House water tunnels has been excavated. Aside from other considerations
and constraints major parts of the baths water system is covered by a major road and by a
grove of protected trees. Of these 6 unpublished glyptic pieces, 1 is a nicolo intaglio (with
a herdsman device), 1 a nicolo paste intaglio (with a warrior?) and 1 a nicolo glass paste
cameo. The other 3 are intaglios: 1 a carnelian (with a sow), 1 a sardonyx (with a Muse)
and 1 a red jasper (with a warrior).
523
Formally, the two intaglios differ from each other only in few unimportant details. The Menorah stone is of larger dimensions (12.3 x 10.8 x
3.7 mm) than the one with the musical instrument (9.6 x 7.0 x 2.5 mm). Its
motifs basic engraving lines are cut into the same light-blue of the surface,
whereas the cuts forming the lyre reach the lower darker blue layer and
thus its motif contrasts strongly with the upper light-blue surface.
The design of the Menorah intaglio differs from that of the lyre intaglio
because the rst renders a central large object with three secondary objects
while the other presents a single object.
Their engraving technique and style is similar. It is an austere linear
engraving style in which the basic modeling is with a medium size rounded
drill and few detailing with long thin wheel grooves. In both specimens the
few thin linear details appear on the basic modelling as very thin to thin
decorative lines. For example, on the lyre body 1 continuous detailing line;
on the body of the citron fruit 3 short secondary lines; on the Menorahs
ames very short thin secondary lines, and on part of its central brunch
1 thin decorative line. Both techniques are typically Roman but the one
using wheel grooves to produce an overall austere linear design of devices
and symbols with few detailing or no detailing are more typical of Late Roman-Early Byzantine period intaglios than of earlier Roman ones (Maaskant
Kleibrink 1978: No. 858; Boardman and Scarisbrick 1977: No. 83; Henig
and Whiting 1987: No. 67; Amorai-Stark 1993: Nos. 121, 124). However,
these styles are particularly common on magical gems depicting symbols
and gural motifs.4 These magical stones date chiey from the 2nd c. A.D.
onwards (Maaskant Kleibrink 1978: Nos. 1141, 1125, 1127; Philipp 1989:
Nos. 7, 31, 51, 104, 113, 121, 128, 136, 155, 168, 179, 187, 188, 193, with
references. Compare in particular 113c, 128c, 179b, 187, 188, 193). When
a single symbolic object is rendered on non-magical Roman intaglios, the
sacred object is usually depicted with greater feeling of volume than the
austere linear single musical object rendered on the Ammaia nicolos, and
with greater detailing (for example cf. Henig and Whiting 1987: No. 219;
Maaskant-Kleibrink 1978: No. 439; Invernizzi 2004: III, 0930-0952).
Vestiges of metal remain within the basic modeling engraving lines of
both stones (Figs. 1b and 2b). Unfortunately, neither intaglio could be submit4. The linear engraving style of both Ammaia gems differs greatly from various engraving
styles of lantique intaglios manufactured at Italian, English and other European Modern
(16th-19th c.) workshops. Their output commonly renders devices with much more round
basic modeling, and more detailing than that of the Menorah and lyre Ammaia nicolos, and
depiction of single or more symbolic objects is rare (Brown 1997).
524
G. CRAVINHO - S. AMORAI-STARK
scope) equipped with an energy dispersive spectrometer (EOM). No such microscope exists
in a Portuguese laboratory and a permission to take the intaglios to a laboratory outside of
Portugal was not obtained.
525
526
G. CRAVINHO - S. AMORAI-STARK
527
2005: 31, gs. 2, 5). Thus, in early Jewish rendering of scenes, and of
scenes combined with symbols the imagery conveys also the suggestion
of timelessness (Posek 2005: 38, 6-8). The anti-realistic effects of Jewish
scenes suggest a deliberate differentiation of the pictorial representation
from what it represents, thereby conveying the suggestion of timelessness
(Posek 2005: 50). The same conclusion applies also to representations of
sacred non-gural Jewish symbolic objects rendered on blank backgrounds.
It is particularly apparent in compositions of Jewish non-gural arrangements of sacred objects rendered in imperfectly bilateral symmetry with
formal irregularity depicting two Menorahs anking the destroyed Temple
of Jerusalem, thereby commemorating it and the cessation of the sacred
liturgy, a typical modality of synagogue mosaic pavements from the Land
of Israel (Posek 2005: 39-45, gs. 9-12).
The modality of the single Menorah motif with 3 ritual emblems, of
which the Ammaia intaglio is an example, is not discussed by Posek. However, there is no doubt that it derived from the ancient Jewish asymmetrical
dual depictions dating from the Roman period. By presenting the single
central Menorah itself in perfect symmetry with its ames converging to
center, the design of the Ammaia Menorah reects earlier and concurrent
depictions of the Menorah based on the symmetrical physical form of the
sacred Menorah, which also promotes a sense of order and harmony. But,
by representing 2 of its ritual symbols on one side of the symmetrical
Menorah, and a single emblem on its other side in asymmetrical layout
it also shows its dependency on Israeli and latter also Diaspora renderings of the dual Menorah anking a central motif, where each Menorahs
ritual emblems are asymmetrical. Asymmetry was perceived as representing an impermanent, accidental, and potentially changeable situation. The
combined message of symmetry and asymmetry was apparently meant to
indicate the visionary character of the Ammaia Jewish non-gural sacred
objects. Thus, the meaning of the spatial design of this intaglio presents
the same basic symbolic layout of each of the dual Menorah with ritual
emblems in the panels with the central Temple of Jerusalem but in a more
condensed form. Its formal meaning expresses the same basic ideology
as that of the more sophisticated combinations of bilateral plan symmetry
with asymmetrical details found on the Dura Europos panel and the dual
depictions of 2 Menorah anking a central Temple of Jerusalem shown
on mosaic pavements. The choice of rendering this motif on a blank blue
unied background exemplied by the Ammaia nicolo enhances in this
intaglio the ideological meaning of the motif, and in this relates directly to
the blue background of the Dura Europos fresco. If the metal vestiges in
528
G. CRAVINHO - S. AMORAI-STARK
6. It cannot be inferred that the engraver/patron of the Ammaia gem was personally ac-
quainted with the Dura Europos fresco but rather that this symbolic color modality was
plausibly at rst a feature of non-oor renderings of Menorahs but above all that the Ammaia gem presents the same basic formal color ideological meaning.
7. However, since due to the peripheral location of Dura Europos and the mixed stylistic
origins of its overall early phase frescos to which the Menorah fresco belongs it is doubtful
that the rst prototype of this spatial modality originated in Dura Europos. Future nds may
show that this prototype may well pre dates the mid 3rd c. A.D.
Iconography
529
The nding of the Menorah intaglio points to the presence of a Jew (or
Jews) in mid 2nd-3rd c. to 5th c. A.D. Ammaia. However, the following
iconographical discussion9 sugests that the upper date of this intaglio may
be further limited to the 4th or rst half of the 5th c. A.D. at the latest.
The Menorah with its accompanying ritual objects is a common Jewish
motif depicted predominantly in synagogue and funerary art, particularly
from the 3rd c. A.D. onwards.
The formal type of the Menorah with tripode-base and round semicircular branches, seen on the Ammaia stone, presents the most common
8. A discussion on the iconography of the Ammaia lyre nicolo device is beyond the scope of
this article. Sufce it to mention that the lyre had pagan symbolic meaning, for example as
Apollos lyre or Orpheus instrument, examples of which were found also in Roman Portugal (for example, Orpheus playing the lyre to his animals is depicted on a 4th c. mosaic from
Martim Gil, near Leiria, now in the Museu de Arqueologia in Belm, Portugal, MNA, inv.
No. 999.142.1). Some ancients believed that the ringstone of Polycrates was engraved with
the representation of a Chelys, or Lyre (Berry 1969: 107, No. 196). The lyre in the hand of
these Pagan gures or as their single symbolic attributes is occasionally portrayed on Roman
gems (Zwierlein-Diehl 1986: 130, No. 218; Breglia 1941: 74, No. 597; Sena Chiesa 1966:
415, pl. LXXVI, No. 1508; Maaskant-Kleibrink 1978: 128, No. 170; Johns 1997: 94, No.
219; Ambrosio and Carolis 1997: 46, pl. X, No. 106). However, the lyre also represents in
Jewish-Christian ancient art King Davids musical instrument (the Kinnor), and as such the
Ammaia lyre maybe another Jewish stone, or a Christian gem. According to St Clement of
Alexandria, the lyre was a suitable Christian symbol (Henig 1974: 28; Braun 2002: 189-95,
249-74, 287-90, 297-9, V.59b, V.60d).
Morphologically the Ammaia gem lyre appears to be a stylized depiction of the ancient
crescent-like Eastern lyres with high, symmetrical curved arms of same length, straight
yoke, three-strings and crescent-like body (Lawergren 1993: 55, 63-4, g. 9) of which type
B lyre on the Jewish Bar-Khochba coins (132-5 A.D.) is one Roman period sub-type (Braun
2002: 287-91, g. V.57c-d). The thin body of the Ammaia lyre is not typical to ancient
lyres and is unpractical for it lacks a sound-box. This rendering appears to be a reduction
of the characteristically crescent-like lyre body into a continuous, straight, thin body.
This unrealistic depiction of a lyre is not uncommon in Roman times, for in this period
portrayals of lyres do not always depict the instruments realistically. A very similar simplied three-string lyre of the same basic type as the Ammaia lyre occurs, for example, on a
small metal tesserae found near Caesarea Maritima, Israel (Braun 2002: 298, g. V.59b).
Such unrealistic depictions of lyres conrm the instruments standing as a symbol during
Hellenistic-Roman times (Braun 2002: 297). The stylized standing base of the Ammaia
lyre strengthens this musical instrument aspect as a symbol. Depictions of lyres on a stand
are known, but comparanda on gems are rare (Zwierlein-Diehl 1969: 529, g. 3:1). Such
examples are occasionally found in other art media. For example, a realistically rendered
lyre placed on a box-like podium with the inscription Apollon is the central motif of a
mid 3rd c. Roman mosaic pavement from Elis (Yaluris 1992: 427, tab. 92,1).
9. The following discussion is primarily based on Rachel Hachlili comprehensive monograph on the Menorah in Roman-Byzantine Periods Jewish art (Hachlili 2001).
530
G. CRAVINHO - S. AMORAI-STARK
Menorah type found in Jewish art from the 3rd c. A.D. (Hachlili 2001: 137,
Fig. III: 12). Variations on this type of Menorah, commonly without the
Menorah cross-bar; frequently lighted (with little ames) and anked by
ritual objects, are popular nds in Diaspora funerary art, such as the catacombs of Rome dating to the late 2nd-4th c. A.D. or in tombs and objects
from tombs elsewhere in Italy, Sicily, Carthage, Malta, Spain and the East
(Hachlili 2001: 87-95, gs. II-28; II-29).
The grouping of the ritual emblems that ank the Menorah on this
nicolo present one of the most common groupings of ritual objects: lulav,
etrog and shofar in Late Roman Jewish art. It constitutes one of the most
widespread groupings of emblems in Diaspora art where the total of this
grouping is of a higher percentage than in Menorah representations from
the Land of Israel (Hachlili 2001: 221-4, 226-7, tabs. V.2-V.3).
The lulav is the preferred ritual object in Diaspora art. The closest formal type of lulav to the one on the Ammaia gem appears on objects from
Diaspora tombs. The motif of the lulav anking a Menorah with other ritual
objects seems to appear only from the 3rd c. A.D. onwards. The realistic
palm-branch lulav type on our gem is the typical formal type of lulav found
in Diaspora tombs. In comparison, this type of realistically rendered lulav
is rare in depictions of this ritual object from the Land of Israel. Hachlili
suggests that preference for the lulav in the Diaspora might be explained
by a passage from the Mishna (Hachlili 2001: 226, Rosh Hashana 4, 310).
In the art of Israel the lulav is commonly depicted as part of the Tabernacle
Feast bundle together with one or two other branches (representing the
Hadass and/or the Aravah) and with the etrog.
The etrog is also rendered realistically in Diaspora art more commonly
than in the art from the Land of Israel, in synagogue as well as in tomb art
(Hachlili 2001: 218-9, g. V-7).
The Shofar rst appears in synagogue and funerary art of the 2nd-3rd c.
A.D.11 In Jewish Diaspora art, the shofar is the second most frequently depicted ritual object, commonly paired with the lulav and the etrog (Hachlili
2001: 211; 212; 215, g. V-4; table V-1). However, in Diaspora art the lulav
and the etrog seldom appear on the same side of the Menorah or together
(Hachlili 2001: 216-8, g. V-6). Diaspora depictions of the joint motif of the
Menorah with the three ritual objects mainly date from the 4th-5th c. A.D.
10. According to this Mishnah after the Temple was destroyed, Rabban Johanan ben Zakkai
ordained that the lulav should be used for seven days in the provinces, in remembrance of
the Temple.
11. But see Braun 2002: 192.
531
Therefore, because on the Ammaia gem the lulav and the etrog are
not joined, nor appear on the same side of the Menorah, and because the
etrog and the lulav are rendered realistically we can infer that this gem is
a product of a Diaspora workshop, whose upper date is most probably the
4th c. or rst half of the 5th c. A.D., at the latest.
Similar variations of the Menorah to that on the Ammaia nicolo, sometimes anked by the same or different groupings of the ritual objects, are
found on gems, seals and jewelry items from the Diaspora. The existence of
such small artifacts indicate that the Ammaia gem is not a unique example
of jewelry from the Diaspora with a representation of the Menorah anked
by the ritual objects joint motif, but rather that it belongs to a fairly common class of Jewish jewelry and small artifacts. By having these symbols
rendered their owners proclaimed their Jewishness, personal and national
hopes. However, only in few cases, is the origin of these miniature artifacts
secure. Within this group a fairly large number of securely provenanced
specimens come from the Western part of the Roman empire (for example,
a gold ring from Bordeaux; a ring from Moesia, Sicily; a ring from S. Antioco, Sardinia; a ring from Spain; a bronze seal from Rome; two lead seals
from Trier. Cf. Hachlili 2001: 108-9; Wolfe and Sternberg 1999: 89, No.
324). This geographical spread plausibly further indicates that the custom
of depicting the Menorah with its ritual objects on rings and seals was a
fairly common practice mainly (?) of Jews living in the Western part of the
empires Diaspora. However, within the generic types of jewelry and small
artifacts the number of published gems depicting the Menorah is small: 6
stones. None of them originate in excavations and thus their provenance
is not certain. 1, a carnelian, is assumed to be from Aquileia (ZwierleinDiehl 1991: 123, No. 2055); 1, another carnelian, is said to come from Italy
(Henig 1983: 109-10, g. 1a; Henig and MacGregor 2004: 132, No. 14.26);
1 unidentied stone, with Greek inscription, is plausibely from Rome, and
1, an amethyst, comes from an unidentied diaspora region (Hachlili 2001:
D 11.3, D 11.5); and 2, a red jasper12 and a carnelian are attributed to Israel
(Hachlili 2001: IS 16.2, IS 16.23). Thus, in none of these published gems
is the Menorah motif depicted on a blue nicolo background as it is on the
Ammaia intaglio. This background, as stated above, enhances the heavenly,
non-temporal, timeless symbolic meaning of the motif to an even larger
extent than the red-orange, red, and purple of the other extant Menorah
gems.
12. Perhaps a forgery. IS16.20 might also be a gem but its material is not mentioned
532
G. CRAVINHO - S. AMORAI-STARK
533
a member of the Cohen family (Tavares 2004: 14-5).13 Some objects relating to Jews, primarily ceramic oil lamps, were found in the ruins of Tria
citys harbor, Lusitania (its ancient Roman name is uncertain). At least 2
are decorated with the Menorah (Mantas 2004: 68). Recently, remains of a
structure found close to Trias industrial structures identied as cetariae
for the garum industry were identied by Mantas as probable remains of a
synagogue (and by other scholars as a Paleo-Christian basilica).14
Thus, although the Menorah intaglio is at present the single archaeological evidence to Jewish presence in Roman Ammaia the evidence from
Lusitania supports the plausible existence of individual Jews and perhaps
even of a Jewish community in this central city.
The Menorahs material and workshop origin
The following elaboration on the Menorah gems material and its presumed
origin will show that this Jewish gem is in all likelihood of local (Ammaia)-regional (Lusitania) production.
The word Nicolo refers to a hard quartz stone (silicon dioxide SiO2;
hardness of 7 on the Mohs scale) of the microcrystalline quartz group. It
is thus of the same mineralogical group as carnelian, chalcedony, sard,
sardonyx, agate, jasper, etc. In antiquity there existed a wide range of
quartzes of varying colors and appearance to which different names were
applied (Spier 1992: 5; Konuk and Arslan 2000: 4-5). These microcrystalline quartzes have the same mineralogical consistency as the macrocrystalline quartzes (amethyst, rock crystal, white opaque-milky crystals).
The varieties often merge in Nature into each other in a less precise way
than is suggested by the ancient or modern terminology (Ogden 1982:
105). The term sardonyx is used to describe various sub-types of chalcedony with straight bands of alternating brown or blue bands or bluebrown-white straight bands. However, in modern terminology the term
13. A carnelian intaglio with a Greek inscription on both sides, dated to the 3rd-4th c.
(Ginner 1996: 110-11, No. 49) said to have been discovered in the 18th c. by a herdsman
in Almeida, a town located in Lusitania (Yebenes, 2000: 41-4), is a Jewish or Christian
piece. Reverted into Latin characters the inscriptions read: Face A: TON THEON SOI
TON UPSISSTON MH ME ADIKHSIS; Face B: MEGA TO ONOMA. Ginner believes
that the divinity invoked in face A might be Iao and that face B could refer to Iao Sabaoth
or to Adonai. Another interpretation is that this apparently magical stone refers to Serapis
or Zeus-Serapis.
14. We thank Prof. Mantas of the University of Coimbra for sharing with us his thoughts.
534
G. CRAVINHO - S. AMORAI-STARK
15. Besides the Menorah and lyre nicolos, Dr. Delmiras collection contains 5 other nicolos
whose devices are: 1. a hero, perhaps Alexander the Great; 2. Mars Ultor; 3. Jupiter Tonans; 4. Eros/babys face, set in a golden ring. The devices on these 4 specimens are like
the Menorah and the lyre cut on vertical axis; 5. Eros extracting a thorn from a lions paw,
device cut on horizontal axis. The collection also contains 2 nicolo pastes: 1. Victory/Nike
in ight, also cut on the vertical axis; 2. stylized symbol probably wheat on circular surface.
The 8th nicolo with a device of a herdsman standing by a tree, and the 3rd nicolo paste with
a warrior device, were recently excavated by S. Borges in a water-pipe of Ammaias baths.
Both devices are likewise cut on the vertical axis. (These 10 pieces are to be published in
the Corpus of Gems from Portugal by Graa Cravinho, cf. supra n.1).
535
natural onyx and sardonyx sub-types of microcrystalline quartz was practiced before Roman times in order to improve, and enhance their natural
pale colors or to change them. The main procedure of altering the stones
in antiquity consisted of soaking them in honey and other sugary substances and presumably heating (Ogden 1982: 109; Francise 1991: 28-43).
By Late Hellenistic or Early Roman times this practice intensied and
the majority of banded/layered chalcedonies gems as well as beads dating
from these periods were then certainly coloured articially (Guiraud 1996:
40; Galopim de Carvalho 2002: 343). The appearance of nicolo gems presumably from Hellenistic times and certainly by the Early Roman period
is therefore most likely an invention of that period. It probably relates
to the advanced treatment methods, which by then included also usage of
silicate, heating, etc. Heating also helped to make it easier to carve the
treated raw material into at cut gem-blanks.
Nicolo, banded agate of the brown-red-white type, onyx and sardonyx
were considered in antiquity precious stones.16 It is highly likely that in
the Roman period gems fashioned from treated, colored quartz and cut to
nicolo shaped plain gems and then engraved were appreciated above all
for aesthetic considerations. Their light blue and darker blue/brown/black
layers tted and contrasted aesthetically very well with gold jewelry framings (of gold or bronze metal rings, pendants, earrings etc.) as well as
with silver metal jewelry. The secondary consideration for choosing the
blue nicolo might have been, at least for certain segments of the society,
symbolic. The high demand for such layered stones during Roman times17
16. Aside from glyptic, that is intaglios and cameos, these materials served also for cutting
of statuettes (particularly banded agate), inlays, and beads (usage of these materials for
beads declines by the latter 2nd c. A.D., nicolo beads are wanting). All were lapidary cut,
carved and engraved by lapidary workshops located in Rome, Alexandria, Aquileia (Chiesa
1966), Caesarea Maritima, Israel (Amorai-Stark 1999), but probably also in other regional
centers around the Roman empire.
17. Intaglios of layered microcrystalline banded agate are comparatively uncommon in
comparison to sardonyx, onyx and nicolos within the overall Corpus of Roman intaglios
(Ogden 1982: 109). The number of banded agates from Roman Portugal (35) is comparatively large. On the whole the usage of banded agates for ringstone intaglios, as well as
for beads starts to decline within the empire after the 1st c. A.D. The reasons for this
phenomenon are probably chiey within the realm of fashion considerations since both
the supply of the raw material and the technique of enhancing layered microcrystalline
into banded agates were unchanged or improved from previous periods. Furthermore, it
appears that banded agate continued to be used as cameos, statuettes, small vessels and
inlay material. Thus the nding of 2 brown/white/orange layered banded agate intaglios in
Ammaia dating from the later 1st c. B.C.-1st c. A.D. is in accordance with the overall usage
536
G. CRAVINHO - S. AMORAI-STARK
intensied the search after raw materials that is, for rich quartz layers
within the Roman empire.
Stones of the microcrystalline group were then preferred over stones
of the large quartz crystals for cutting and engraving because their
minute structure of crystals could be easily worked and they do not
have a weakness orientation or cleavage, as do the large macrocrystalline quartzes. Thus, ne quality carnelians, onyxes and sardonyxes were
not only very popular for intaglios but also the preferred stones for
engraving Roman cameos (Henig 1990: 134). This is well exemplied
by the nds from Portugal. Of the 26 Roman cameos from Portugal 18
21 are of quartz. Of these, 18 are layered microcrystallines (6 nicolos,
4 sardonyxes, 2 pale chalcedony, 1 agate and 1 dark onyx) and 4 are
carnelians.19 Many of these 21 specimens are unprovennanced or said
to come from Lusitania, particularly from Algarve or Alentejo. All 5
cameos of secured provenance come from sites or regions in Lusitania
(1 nicolo excavated in Fies; 1 white-brown sardonyx from Setbal; 1
white-red sardonyx and the single onyx from Alentejo; 1 carnelian from
Ammaia [in Dr. Mass collection]). Thus, percentage of nicolo cameos
(6 pieces), is 28.6% of the quartz cameos (18 pieces) and 23.1% of the
overall Roman cameos (26 pieces) from Portugal. This is an uncommonly high percentage.
of banded agate as intaglio material in the empire, but the overall high number of Roman
banded agates intaglios in the Corpus from Portugal is not. The devices of the 2 Ammaia
banded agates are of single horses: grazing and Pegasus. In both, the upper layer consists
of dark-white-dark stripes over which the horses are engraved. The artisans did not utilize
the agates stones layers to any compositional advantages. In Roman jewelry, for example
in cameos and beads the vertical banded layers of agates are commonly used to the utmost
ornamental, artistic and iconographic advantage drawn from the differences between the
layers of the banded agate. On the comparatively few banded agate Roman intaglios of
this brown/red/white/brown type, the devices were usually depicted on horizontal layers
(Amorai-Stark 1993: 92, No. 116; Henig 1994: 120-1, No. 227; Cravinho 2001: 155-7,
No. 6, later 1st c. B.C., provenanced from Conimbriga, Portugal). The example from
Conimbriga shows that both the common and less common forms of engraving banded
agate gems were known in Western Iberia during the early Roman times. The fact that
both Ammaia agates are cut in the less common Roman fashion for banded agate gems
plausibly supports the possible existence of microquartz workshops in Ammaia already
during its early days.
18. To date the number of up to 16th century cameos from Portugal total 32, 6 of them are
Post Roman-Early Byzantine.
19. The other 5 Roman cameos from Portugal are 4 pastes (1 a white-black glass paste
imitates onyx excavated in Ammaias Bath House) and 1 is a malachite.
537
Within the intaglio Corpus from Portugal microcrystalline quartz intaglios constitute c. 72% (of which c. 45% are carnelian.20 Carnelian presents
also the 2nd most frequent gemstone material within the Ammaia gems).
The high percentage of carnelian intaglios in Portugal Corpus as well as
in the gems from Ammaia is not a unique phenomenon to Portugal or to
Ammaia since carnelian is the most common intaglio (and overall glyptic)
material in most regions of the Roman empire (Ogden 1982: 108; Spier
1992: 5). This high percentage of carnelian is, however, a contributing factor to the evidence that microcrystalline quartz was quarried in Lusitania.
The high percentage of layered microcrystalline intaglios from Portugal
(34.2%) is, however, either higher or similar to that from other regions
within the empire (for the overall percentage of layered microcrystalline
gems [intaglios + cameos] from Portugal, 24.8%, see Table 2; Fig. 3).
The percentage of nicolo glyptic nds (intaglios and cameos) from Portugal is similar to that from other western regions21 but higher than the single
eastern Roman site presented in table 2 and Fig. 3.22 This similarity probably
points to the overall popularity-fashion considerations and economic value of
20. Excluding the Post Byzantine-Modern gems, to date the total of glyptic pieces (intagl-
ios, cameos and impressions) in the Portugal Corpus is 513. As the material of 34 pieces
couldnt be conrmed (of the impressions and of few stones), the total of conrmed material
glyptic pieces is 479. Of these 479 glyptic pieces, 342 are microcrystalline quartz intaglios
(nicolo: 43; sardonyx: 6; agate: 34; onyx: 8; carnelian: 151; chalcedony: 20; sard: 35; jasper:
45). Thus, combined with the cameos (see supra n.18) there are: 49 nicolo pieces, 10 sardonyx; 9 onyx; 155 carnelian, 22 chalcedonies pieces; 35 agate (there are no sard or jasper
cameos in the Corpus). In Fig. 3 the carnelians are included among the others since they
are not layered and due to their overall frequency.
21. As stated in the text modern publications often do not present a clear-cut differentiation between sardonyx, nicolo and onyx. For example, in some brown-red layered stones
are termed brown nicolos; in others blue-white-dark layered specimens are termed onyx;
in still others stones are termed sardonyx or onyx? Furthermore, since frequently the
stones are presented in black and white pictures or as impressions one cannot identify the
precise microcrystalline type of the stones. This problem has also been encountered in the
identication of few stones from Portugal. Therefore, the above counting and percentage
may in fact slightly differ.
22. There are 7 nicolo intaglios among the more than 400 Roman stones from Gadara, Jordan in the Sad Collection (Henig and Whiting 1987); a single nicolo among the more than
100 engraved stones from Caesarea Maritima, Israel in the Sdot-Yam Museum (AmoraiStark 1999: 87-9) and 3 nicolos within the nearly 170 glyptic pieces in the Yusel Erimtan
Collection, Asia Minor (Konuk and Arslan 2000). The last 2 were not included in the tablet
for brevity reasons. Corpora of Roman glyptic nds from most Eastern regions, such as
Greece, Syria, Lebanon, Israel, Turkey and Egypt, as well as from other major cities in these
regions are wanting. Absence of such a Corpus from Egypt or even from major Egyptian
centers such as Alexandria is particularly missed due to the Romans presumed belief that
nicolos originated in Egypt (see text).
538
G. CRAVINHO - S. AMORAI-STARK
nicolo during Roman times but also presumably to the availability of nicolo
in the western part of the empire. A different picture rises when the percentage of nicolo glyptic nds from Ammaia (27 pieces) is observed: 30%. This
is the highest in comparison to all cities and regions inspected. Furthermore,
the Ammaia percentage of glyptic microcrystallines and nicolo pastes is also
signicantly the highest among the examined locations (62.5%).
The existence of 8 nicolo intaglios within the present Ammaia glyptic
nds (27 pieces) which comprise c. 1/3 is the highest percentage in any single site or regional Roman nds (together with the nicolo pastes they comprise nearly 1/2 (in fact: 40.7% = c. 41%) of the nds. See Tables 1-2 and
Fig. 3). It is an unusually large percentage of nicolos and/or nicolos+nicolo
pastes for any collection. This is not likely to be accidental.
Table 1. Absolute Numbers of glyptic stones by sites and regions
SITES AND
REGIONS
AMMAIA
PORTUGAL
IBERIAN
PENINSULA
FRANCE
AQUILEIA
(Italy)
BULGARIA
BRITAIN
GADARA
(Jordan)
NICOLO
AGATE
SARDONYX
8
49
NICOLOPASTE
3
16
2
35
2
10
2
9
102
19
94
21
11
1088
1335
145
144
35
25
657
1015
128
20
1398
1573
43
654
67
860
378
427
26
7
59
127
5
18
12
2
10
22
ONYX
10
OTHERS TOTAL OF
GEMS
10
27
360
479
NICOLO
NICOLOPASTE
AGATE
SARDONYX ONYX
OTHERS
AMMAIA
PORTUGAL
IBERIAN
PENINSULA
FRANCE
AQUILEIA
(Italy)
BULGARIA
BRITAIN
GADARA
(Jordan
29.6%
10.2%
11.1%
3.3%
7.4%
7.3%
7.4%
2.1%
7.4%
1.9%
37.0%
75.2%
100.0%
100.0%
100.0%
7.6%
1.4%
7.0%
1.6%
0.8%
81.5%
14.3%
14.2%
3.4%
2.5%
0.9%
64.7%
8.1%
0.1%
1.7%
0.0%
1.3%
88.9%
100.0%
10.4%
6.9%
0.0%
14.8%
7.5%
2.1%
17.9%
0.2%
0.0%
0.0%
64.2%
76.0%
100.0%
100.0%
2.3%
0.5%
1.2%
5.2%
2.3%
88.5%
100.0%
539
and their overall nd in the Iberian Peninsula might in the future be slightly altered and
the percentage of those from the Iberian Peninsula lowered. This might come about due to
further ndings and publications; future universally accepted scholarly terminology regarding the precise identication of each and every microcrystalline glyptic nd from Spain
(cf. supra n. 21).
24. Among other questions future research into the precise origin of these nicolos at each site
and region will help to establish whether these nicolos come from the regions inner land, or
as we predict mainly from costal regions and harbor cities (like Aquileia); into existence of
Roman microcrystalline mines and of treated layered microcrystalline gems cutting centers in
Western European regions; as well as discussion of the established commercial ties between
Lusitania and these regions may help to establish Ammaia (and Lusitania) as the main, or one
of the most important sources of Western Roman treated layered microcrystalline gems.
25. The Elder Pliny, who died in A.D. 79, served as procurator in Tarraconensis (Iberia)
from 72 to 74.
540
G. CRAVINHO - S. AMORAI-STARK
It was founded a short while after the Romans arrived to the Iberian Peninsula on a site
with no evidence for occupation before Roman times. Claudius elevated it to the status of a
civitas. According to epigraphically and archaeological evidence, it was raised to the status
of municipium at the end of the 1st c. A.D. Ammaia controlled a vast territory, which coincides more or less with the present district of Portalegre (Mantas 2002: 51; Alarco 1987:
54, and 1988: 49). As a central regional civic city it was connected to many places in the
province and throughout the Iberian Peninsula by an excellent road system (Map 3). This
extensive and good road system allowed export of the regions products as well as import
of other products from various regions of the empire. For example, excavations have unearthed objects originating from other locations in Hispania, Galia Narbonensis, Italy and
the Middle East. One of the earliest imported objects found is a Rhodian amphora dating
from the end of the 1st c. B.C. - early 1st c. A.D. (Carvalho 2002: 74, 82-3, g. 2). The
city continued to exist after the Barbarian Invasions of the 5th c. At some date between the
2nd half of the 5th and 9th c., the city was probably submerged by oods and rise of Sever
River (Rei 2002: 164-5; Pereira and De Meulemeester 2001: 1-2).
27. Attributing the rise of Ammaia to near by mines does not repudiate other possible
explanations raised by scholars regarding the importance of the city, for example Antnio
Rei suggestion that Ammaia was a Roman tourist center (Rei 2002: 164: a sua principal
funo seria a de funcionar como local de veraneio das elites emeritenses).
28. Mantas 2002: 52-3, No. 1; 58-60, No. 4.
541
immigrated to this region, lived in the city of Ammaia or its surrounding area,
who are normally associated with mine exploration as well as with seasonal
transference of herds (Carvalho 2002: 82).29
Oleiro in his 1954 survey report of Ammaia identied important remains of ancient mine explorations in Cova da Moura, Porto da Espada in
the region of Ammaia (Oliveira J. 2002: 35) (Map 4).
Another quartz quarry has most probably been identied only recently
within the city perimeter of Ammaia.30
The Ammaia Museum contains a large amount of raw quartz specimens and fragments found on the site. The majority is of the non-layered
or faintly layered microcrystalline chalcedony type.31 Absence of strongly
colored layered microcrystallines specimens strengthens the above suggestion that the quarried quartzes were articially treated on site which is in
accordance with Galopim de Carvalhos theory regarding the geological
mineral nds of Portugal (Carvalho 2002: 275, 329, 341-3).
Undoubtedly ofcina gemmaria existed in Lusitania. Studies suggest
their existence, for example, in Conimbriga and Emerita Augusta (present
day Mrida), Lusitania (Luzon 1982: 135; Map 2). Our nds favor the existence of ofcina gemmaria also in Ammaia, since its establishment. The
total of 27 glyptic specimens from Ammaia is one of the largest from a
single site in Lusitania.32 Excluding the Menorah and lyre nicolo gems, the
date range of the other Ammaia nicolos and nicolo pastes, as well as of all
other ancient pieces from Ammaia which present a wide range of common
Roman motives is the 1st c. B.C. - 3rd c. A.D. To date no glyptic piece dating from the 4th c. onwards has come to light in Ammaia or its vicinity.33
29. Translated by Graa Cravinho from Portuguese.
30. Its location on Sever River crossing Ammaia has been shown to us by Joaquim Carvalho
in June 2005.
31. We examined the large specimens in the Museum on location and chemically analyzed
a tiny fragment given to us by Joaquim Carvalho under the SEM (cf. supra n. 4) of the
Geological Institute of Israel.
32. For example, in comparison the total of glyptic pieces from Conimbriga is: 26; from
Idanha-a-Velha (Roman Igaeditania): 6; from Fies (a Romanized Iron Age castrum): 5
(1 an ambar ring); from Vaiamonte (also a Romanized Iron Age castrum): 5; from Torre
de Palma (a villa): 1; from the area of Cascais: 4 (1 a jet ring) and from Lisbon (Roman
Olisipo) only 2 (1 red jasper, 1 glass paste).
33. Very few glyptic specimens within the Portugal Corpus appear to date from the Later
Roman period and fewer still from the 4th c. until early medieval times. For example, a
glass paste depicting a warrior, from Bracara Augusta (present day Braga) in Roman Gallaecia is dated to 3rd-4th c.; a glass paste with device of two standing gures set in a Late
Roman-Early Byzantine copper alloy ring and a pale layered untreated chalcedony depicting
542
G. CRAVINHO - S. AMORAI-STARK
The devices of the Ammaia 6 nicolos and 3 nicolo pastes34 are engraved in
3 distinctive common Roman engraving styles. Parallels to their engraving
styles are found among the other Roman gems from Ammaia. Thus, it is
probable that workshops specializing in fashioning treated raw quartz into
nicolo glyptic existed in the city side by side with other ofcina gemmaria
specializing in fashioning glyptic from other microcrystalline quartzes, or
a schematic standing gure plausibly holding a cross, unprovenanced, in Rainer Daehnhardt
Collection; a dark blue glass past cameo of a tragic mask, of late 3rd c. or earlier date, from
Salacia (present day Alccer do Sal) in Lusitania and a red sard with a cross set in a Late
Roman-7th c. type gold ring, unprovenanced, both in Rainer Daehnhardt Collection (to be
published in G. Cravinho, Glptica Romana em Portugal). These scant nds from Portugal
correspond to the dwindling production of glyptic which characterizes the period throughout
the former Roman Empire regions. Although we have no secure ancient information on Roman Ammaia after the 2nd c. A.D., other evidences show its progressive decline (Carneiro
2002: 139).
To date the coins from Ammaia total 1213 pieces (Pereira, Carvalho and Borges 1999/2000:
55-70: 1118 were unearthed, 10 are surface nds and 85 were donated. The excavated coins
include a C. Julius Caesar denarius [c. 49-8 B.C.], 1st c. A.D. specimens including Titus
coins, 2nd, 3rd and 4th c. A.D. coins. The latest coin an Arcadius [392-5] coin).
An earlier report on the citys 1995 excavations (Oliveira, Fernandes and Caeiro 1996: 201) indicates that by the mid 4th c. the city had to review its defensive strategy. It was then
necessary to strengthen the fortications, to secure the main entrance gate to the city and to
hastily close the hatches (postigo or escotilha in Portuguese) which led to the gates 2
circular towers. The report also states that these excavations unearthed more than 100 coins
(mainly of bronze) as well as fragments of common ceramics and sigillata dating from the
end of the 1st to the 4th c.). In a later article Pereira (2002: 99-134) elaborates on the 2
coin hoards unearthed in the interior of Ammaias main gate entrance west tower stating
that the 1st hoard was composed of 10 silver coins: from a Julius Caesar denarius to coins
of Domitian (some denarii), and further 10 coins; the 2nd hoard contained 10 coins: from
the Julio-Claudian, mainly Trajanus sestertia, to Domitian).
34. The majority present deities and their symbols. For example, Zeus-Jupiter is known
from several inscriptions to be the most important deity in Ammaia (Alarco 1987: 171 [1
of the 2 mentioned altars is dedicated to I.O.M. Solutorius]; idem 1988: 165, 167; Mantas
2002: 52-5, Nos. 1, 2: 2 inscriptions of a total of 5) is represented on one of these Ammaia
nicolos. Although their motifs are of common types frequently found depicted throughout
the empire on various other colored stones it is possible that the meaning of the deity
devices which appear on the Ammaia nicolo specimens was spiritually elevated by being
depicted on nicolos. For it is plausible that by being depicted on these blue layered stones
the non-earthly presence, heavenly aspect of these deities and symbols was more visually
obvious and thus more pronounced and acclaimed. Of these common Roman cameo and
intaglio subjects the theme of the herdsman presents the only daily life subject. Its basic
meaning is that of prosperity (for example Henig and Whiting 1987: Nos. 291-8; AmoraiStark 1999: No. 98; Spier 1992: 114, No. 290, with reference to the signicance of this
motif). However in time the goatherd motif may have been given a more spiritual Pagan
or Christian explanation (Henig 1990: 80, Nos. 148-9). As such the glyptic motif of a
goatherd was probably acceptable also to Christians and Jews (St. Clement of Alexandria:
Paedagogus III, 12, I).
543
more likely that the ofcina gemmaria in Ammaia worked all types of
quartzes at the same time. The schematic symbol (ear of corn) engraved
on a small F4 nicolo paste is the only other Ammaia gem which presents
a similar austere engraving style to that of the Menorah and lyre intaglios
(Fig. 4). It probably dates from the later 2nd-3rd c. A.D.
Considering this background it is highly certain that the nicolo material
of the Menorah intaglio comes from this local industry; its engraved Jewish
motif35 is a product of an Ammaia (or Lusitania) workshop; and that the
Menorah gems date is the 3rd c. A.D.
Summary
The Menorah intaglio from Ammaia is an example of the productive nicolo glyptic workshops in this Roman city, which were part of the regional
quartz industry. As the only secured Jewish gem from Roman Lusitania it
constitutes the most Western glyptic evidence to a Jewish presence within
the Roman empire. It is an important addition to the small number of
Jewish gems of secured Western Diaspora provenance depicting the motif
of the Menorah with 3 sacred symbols. The gem also suggests the existence
of Jews in Ammaia, and thus strengthens former evidence to presence of
Jewish communities in 3rd c. A.D. Lusitania.
Graa Cravinho
Lisbon, Portugal
Shua Amorai-Stark
Beer-Shevah, Israel
35. Provided that this is the case then one has to assume that its engraver was either pre-
sented with a pattern book or had one in his possession; was acquainted with the motif due
to former/concurrent Jewish clientele; or was presented with some object which carried the
motif.
Acknowledgement: Our gratitude to Martin Henig for reading the article and for his helpful comments.
544
G. CRAVINHO - S. AMORAI-STARK
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545
546
G. CRAVINHO - S. AMORAI-STARK
548
Trascrizione:
1. ? EAN OUN PROSFEREIS TO DWRON SOU EPI TO QUSIASTHRION KAKEI MNHSQHS
2. OTI O ADELFOS SOU ECEI TI KATA SOU AFES EKEI
TO DWRON SOU EMPROS
3. QEN TOU QUSIASTHRIOU KAI UPAGE PRWTON DALAGHQEI TW ADEL
4. FW SOU KAI TOTE ELQWN PROSFERE TO DWRON SOU.
UPER SOTHRHAS K(AI) AN5. TILHMYEOS K(AI)AFESEOS TWN AMARTIWN AUTWN
TWN KARPOFOROUNT(WN)
Traduzione
23. Se dunque stai per presentare la tua offerta allaltare e l
ti ricordi che il tuo fratello ha qualcosa contro di te, 24. lascia la
tua offerta l, davanti allaltare, va prima a riconciliarti con il tuo
fratello e allora verrai a presentare la tua offerta.
Per la salvezza e il soccorso e la remissione [dei peccati di
quelli che hanno offerto].
Il testo della citazione evangelica non presenta nessuna variante rispetto a quello greco comunemente accettato dagli editori in armonia con la
549
550
551
552
LA 56 (2006) 553-562
ABSTRACTS
E. Cortese
The present discussion regards the Old Testament theologies (OTT), especially
that of R. Albertz, which denies the documentary hypothesis of the Pentateuch and
derivates the biblical monotheism from the Canaanite polytheism. It deals with the
following problems: 1. Should the OTT only be a presentation of ideas or should it
be a presentation of the history of salvation? 2. The urgency of avoiding opposite
extremisms - deism and scepticism - in the scientic interpretation of the Bible.
3. The opinions of Albertz, Lang, Smith, and the other today-extremists. 4. The
question on the biblical monotheism and the inuence of the atheistic scholars
of religious phenomenology. 5. The biblical Hebrew quest for Gods identity ad
extra and ad intra. 6. OTT and anti-Semitism in exegesis and recent approaches
of the Jews and Christians in theological biblical questions.
Pgs. 9-28
The problem of an order in the Psalter has been posed since antiquity, without a
satisfying solution. This paper presents us with some major results of canonical
exegesis on the Psalms and allows us to reach the conclusion that such an order
does in fact exist. First, the Psalter is a book with a beginning and an end (beatitudes and doxologies). Secondly, the poems collected in this book have a connec-
556
ABSTRACTS
tion with one another, as already shown by Delitzsch, and possibly a concentric
structure, as it seems to result from the threefold division of the book proposed
by Beckwith. Moreover, the davidic or royal background of the Psalms gives us
a theological unity to the Psalter, so providing another key for its order.
Pgs. 47-70
OSEA 1-3: COMPOSIZIONE E SENSO A. Niccacci
The author examines the main attempts of the translation of the LXX underway,
under an hermeneutical prole. The ancient Greek version of the Jewish Miqraot,
or the Old Testament of the Christian communities introduces, regarding the Hebrew text, a complex phenomenology of differentiations on different levels: textual,
grammatical, syntactical, lexicogracal, stilistical and hermeneutical. In this way,
the characteristics of the LXX under the hermeneutic prole emerge with more
clarity because of the comparison with the ancient Jewish Greek versions and
with the Syriac and Latin versions transmitted in various Christian contexts. In
any case, the phenomena interpreted in an ancient version belong to the nature of
translation, independently from their confessional origin. Considering the task of
an Italian translation of the LXX in the Jewish context, and then transmitted in
a Christian context, the author thinks that it is necessary to equip the translation
with an hermeneutic apparatus formed from the New Testament quotations of the
Greek version and from the Christian literature of the Greek speaking Church
Fathers of the rst centuries. Moreover, a theological clarication is necessary
ABSTRACTS
557
between these hermeneutics of the LXX in the ancient Christian tradition, the text
Hebrew, the jewish atmosphere at the time of the LXX before it was handed over
up to modern Biblical Hermeneutics.
Pgs. 105-128
I VOLTI DI TUTTI SONO DIVENTATI NERI. NOTA FILOLOGICA A NAUM
2,11 (2,10) SIRIACO M. Pazzini
This note studies the vocalization of the unusual form oc in Nahum 2:11
(2:10 in some textual traditions). The vocalization oC (preferred to oC)
indicates a rare form of perf. 3 f. pl. The presence of C quy probably comes
from the analogy with other names deriving from the same root.
Pgs. 129-132
DIFFERENZE TEOLOGICHE TRA LA VETUS SYRA E IL DIATESSARON
G. Lenzi
It is usually held that the Old Syriac Gospels depend upon the Diatessaron. In
the present study the theological tendencies of the two versions are examined.
Tatian stressed the virginity of Mary, introduced some Encratite variants, offered
a Christology similar to Gnostic conceptions and was anti-Judaic. The translators
of the Old Syriac Gospels stressed the relationship between Joseph and Jesus,
introduced an important anti-Encratite variant, did not present any similarity with
Gnostic ideas and were Jewish Christians. The conclusion is that the two versions
were produced in two different communities and are independent of each other.
Pgs. 133-178
CANONE BIBLICO E TEOLOGIA BIBLICA, UN RAPPORTO NECESSARIO...
DIFFICILE G. Segalla
Biblical Canon and Biblical Theology are two realities tied together similar to
the problem of a unique canon made of two Testaments in tension, and answer,
to demonstrate the unity of the Scriptures. Having introduced the problem, two
crucial moments are taken into consideration in which the canon has been at the
center of theological reection: the 70 with the German hermeneutics on the one
hand and the American canonical critics on the other; the 90 with the proposal
of three important Biblical Theologies, examined for the answer they give to
the problem of the canon. In last part the results are synthesized and an attempt
is made to nd a new way in order to demonstrate the unity of the Scriptures: the
collective memory of Jhwh as the one God who has created the world and has
chosen Israel and the memory of Jesus containing the former and bringing it to
fulllment in the denitive revelation of the God who saves all men.
Pgs. 179-212
558
ABSTRACTS
We submitted again to our analysis the most famous texts of the Pastorals, attributed to traditions to show what is new in their representation. In 1Tm 1:15
the fundamental afrmation He came... to save sinners; in 1Tm 2:5-6: the idea
of Jesus the only mesites, without the Jewish idea of covenant; in 1Tm 6:13
with 1Tm 2:6 the presentation of the death of Jesus as martyrion or martyria; in
2Tm 2:11-13 the possibility that the syn- of verbs implies a reference not only
to Jesus, but also to believers together; in 2Tm 1:9-10 the introduction of the
word epiphaneia for the divine manifestation of Christ Jesus; in Titus 2:11-14
the revolutionary idea that salvation is the effect of the educational work of the
grace of God and nally Titus 3:3-7 the direct subordination of the justifying
grace to baptism. All that was fundamental for the development of the theology
of early Christianity.
Pgs. 225-300
ABSTRACTS
559
the Book of Genesis and the Books of Samuel and Kings. What is specic to the
Christian re-reading is that it is done in the light of Christ.
Pgs. 301-310
DUE NOTE FILOLOGICHE DI GRECO BIBLICO R. Pierri
The rst part of this contribution focuses on the interpretation of the conjunction
o{ti in Gal 4:6. The adduced arguments induce it to be considered as a casual
conjunction. A conclusive note refers to a possible exegetic implication of the
proposed reading, regarding Pauls relation to the Holy Spirit in the Acts of the
Apostles. The second part attempts to demonstrate that the article of a complement in attribuive (second) position may have construction according to the sense
(in number) with its antecedent, where the participle of eijmiv is understood or of
another verb derived from the context.
Pgs. 311-316
ARTICOLO INDIVIDUANTE O GENERICO? L. Cignelli
Some passages of the NT are analyzed in which the article may have either individual or generic meaning; the consequences for exegesis depending on whether
we choose either one or the other are highlighted and attention is called for in
the interpretation of texts.
Pgs. 317-320
RENUNCIATION OF WILL IN THE MONASTIC SCHOOL OF GAZA A. Kofsky
From the outset of Christian monastic history, renunciation was universally considered an initial step along the ascetic path. In various circles of early monastic
tradition there were different emphases on renunciation. In contrast to anchoritic
monasticism, which felt less threatened by the dangers of personal will, coenobitic
monasticism placed paramount importance on social cooperation and obedience.
Close examination of the place of this topic in the paideia of early monastic literature reveals a shift in its importance and centrality that can be clearly traced
in the various phases of the monastic school of Gaza. It developed a special
emphasis on extreme self-renunciation, achieving its apogee in this circles late
coenobitic forms and epitomized in the second half of the sixth century in the Life
of Dositheus, the disciple of Dorotheus.
Pgs. 321-346
DUE LETTERE IN EBRAICO DA GERUSALEMME (XV SECOLO): R. YOSEF
DA MONTAGNANA E R. YISSAQ LATIF DA ANCONA M. Pazzini -
A. Veronese
Two letters from pilgrims arriving from north and central Italy to Jerusalem at the
end of the 15th century are translated here into Italian. The name of the pilgrims
560
ABSTRACTS
are R. Yose da Montagnana and R. Yiaq Latif from Ancona. These letters are
translated for the rst time from the original.
Pgs. 347-374
The brief comment looks at the most noteworthy ceramics and objects, discovered
in the two tombs of the Reliquary Church of Umm al-Rasas, with the completion of the excavations of the summer campaign of 2004. The ceramic fragments
with sketches and descriptions, originate from the layers above the pavement
level and from the surveys carried out at the level of the mosaic. In harmony
with the situation of the layers and homogenous to that of the other churches
excavated at Umm al-Rasas, after a period of abandonment the building may
have been partially used as a dwelling before the ultimate structural collapse.
The two tombs discovered near the western angle of the northern nave and near
the eastern angle of the southern nave, contained the bones of more than one
individual, buried at different times. Lastly, together with a pair of rings, a cross
and various fragments of a pearl necklace of vitreous glass, the discovery was
also made of a pair of earrings, a hair pin and an iron belt buckle, objects which
came from the poor burial chests belonging to the dead.
Pgs. 389-398; Pls. 15-16
Continuing from the publication of the Liturgical Complex of Saint Sergius at Nitl
(cf. M. Piccirillo - I. Shahid, LA 51 [2001] 267-292) where the importance of the
ABSTRACTS
561
monument for the history of the presence of the Christian confederation of Banu
Ghassan in the Arabia Provincia is highlighted, in this article the stratigrac
documentation of the excavation is highlighted, especially that of the southern
part of the Church of Saint Sergius and the eastern annexes, together with the
related ceramic typology of the different periods of occupation.
Pgs. 399-458; Pls. 17-22
L. Di Segni
This fourth century church may have been built by the bishop of Lod for the
benet of pilgrims on their way to Jerusalem, or possibly at some site hallowed
by a tradition unknown to us. From the preliminary results of our excavations
it appears that the village did not exist prior of the erection of the church, but
gradually developed around it. The church continued in use into the seventh
century, as is shown by the ceramic nds and the damaging of animal gures
on the ambo balustrade by iconoclasts. The settlement surrounding the church
appears to have been abandoned at the time during which the new city of Ramla
was established nearby, in the early eighth century.
Pgs. 459-468; Pls. 23-24
MONASTERIOS CRISTIANOS PRIMITIVOS EN EL EUFRATES SIRIO: EL COMPLEJO RUPESTRE DE MAGRA SARASAT A. E. Vivancos
M. Decker
Some fortied farms were built later in the settlement history of the eastern frontier. They are represented by Stabl Antar, which, assuming my identication of its
function is correct, seems to reect prominent landowners concerns about major
specic threats in the form of enemy raids. Although the date of the building in
577/78 reects the reaction of the Apamean rural population to the devastating
invasion of the Sasanians in 573, the impetus was apparently local and unofcial.
562
ABSTRACTS
In the future, archaeological work on these structures will iron out the issues
of frontier settlement and security, but there are a number of other questions
that such study will repay, such as the semiotics of elite control as expressed in
architecture, and the little explored but probable bridge between the form and
expression of these late antique compounds and later architectural expression,
such as the Umayyad Desert Castles.
Pgs. 499-520
A JEWISH INTAGLIO FROM ROMAN AMMAIA, LUSITANIA G. Cravinho
- S. Amorai-Stark
The article presents a Jewish Menorah intaglio from Roman Ammaia, Lusitania,
present day Portugal. It surveys the evidence of other small Jewish artifacts
from the Western Diaspora and of the quartz industry in Ammaia and its region.
It also surveys the evidence of Jews in the province. We show that the Menorah
nicolo, to-date the only Jewish glyptic specimen from this province, is a product
of the productive nicolo glyptic workshops in this Roman city, which were part
of the regional quartz industry; that this industry which specialized in treated
microcystaline quartz but particularly in the manufacture of nicolos was one of
the most prolic in the Western Roman empire. Furthermore we prove that as
the single secured Jewish gem from Roman Lusitania this intaglio constitutes
the most Western glyptic evidence to Jewish presence within the Roman empire.
As an important addition to the small number of Jewish gems of secured Western Diaspora provenance depicting the Menorah with its 3 sacred symbols (the
Lulav, Etrog and Shofar) this 3rd c. A.D. Jewish intaglio proves the existence of
Jews in Ammaia and strengthens former evidence as to the presence of Jewish
communities in Lusitania.
Pgs. 521-546; Pls. 33-36
SE STAI PER PRESENTARE LA TUA OFFERTA ALLALTARE... (Mt 5,23-24).
LA TESTIMONIANZA DI UNISCRIZIONE PALESTINESE M. Piccirillo -
G. C. Bottini
The rareness of the epigraphical witness contrasts the frequency with which Mt
5:23-24 was quoted and commented upon by the ancient christian writers. Hereby
we publish an inscription of Palestinian origin that in its partial form, casually
came to our knowledge. The carving found on a tabula ansata, detached from its
original context, was a part of the Churchs original mosaic pavement. The rst
words allowed us to identify the quotation from the Sermon on the Mount according to the gospel of Saint Matthew 5:23-24, therefore with good probability;
we can complete the text that in the fourth line resumes the generic dedication
to the Churchs benefactors. The rareness of the epigraphical witness contrasts
with the frequency with which Mt 5:23-24 was quoted and commented upon by
the ancient christian writers.
Pgs. 547-552; Pls. 37-38
RICERCA STORICO-ARCHEOLOGICA
IN GIORDANIA XXVI - 2006
Mt. NEBO
Dayr al-Riyashi-
Zizia
Nitl
Kh. al-Mudaynah
Umm al-Rasas
Rashidiyah
Petra
Ras an-Naqb
Aila - Aqaba
a cura di M. Piccirillo
566
RICERCA IN GIORDANIA
correspondence between the cultural-temporal units represented among the collected lithics and sherds from both the random squares and the sites.
The type of sites represented among the ones surveyed during the 2006
season include: agricultural towns/villages/hamlets; campsites; defensive installations; farms; lithic scatters; roads; and water catchment facilities. Sites
associated with agriculture activities are by far the most numerous. It, thus,
seems that the survey territory was an important region of agricultural production, at least during some periods.
(The URL for the projects website is: http://www.stfx.ca/research/arnas.)
B. MacDonald
St. Francis Xavier University - Antigonish, Nova Scotia
2. The Wadi ath-Thamad Project, 2006 (Pls. 41-43)
The 9th season of the Canadian Wadi ath-Thamad Project was carried out during June and July 2006, with excavation of the Moabite and the Nabataean
settlements at Khirbat al-Mudayna, and with salvage excavations at the Roman
castellum of az-Zona.
At Khirbat al-Mudayna (Figs. 1 and 2), excavation continued in four areas of the Iron Age walled settlement; Field C outside the six-chambered gate
(Building 100) at the north end of the walled town, Fields B and D inside the
town, and Field E at the south end. The goal in Field A was the exploration of
the complex stratigraphic history of a group of silos and their retaining walls
which were in use prior to the construction of the gate and the casemate wall
system (Fig. 3). Additional exposure of a pair of retaining walls running eastwest across the north slope of the mound revealed that they served as support
walls for the silos. The careful construction of the stone-walled silos suggest
that they were used for storage of agricultural surpluses by the inhabitants of a
settlement for which there is as yet no other architectural evidence. When they
went out of use, these silos were lled with soil and Iron II pottery as a support for the plaza in front of the later Iron II gate. The most surprising object,
recovered in 2004 in the westernmost silo, was a piece of limestone inscribed
with three words in Moabite script.
Previous excavation inside the town (south of Gate 100) revealed a small
temple (B149) and a series of pillared buildings (B200 [north], B205 [central]) that shared party-walls. Within these buildings were more than 150 loom
weights and other textile production tools and installations. In Building 205,
several large stone installations (boulder mortars and stone platforms) were exposed during the 2006 season, as well as evidence for the original phase of the
buildings use (Fig. 4). As well, three parallel rooms of a third building (B210
[south]) were exposed, showing that here, as well as in the northern building
567
(B200), the rooms were separated by pillared walls with basins in place between the pillars. During the rst phase of use of B210, a large cellar was cut
into the underlying bedrock of the northern room. This cellar was subsequently
covered, but the building continued in use. Finds from the nal occupation
include a large basalt saddle quern, basalt millstone, spindle whorls, and an
ash-stained limestone altar.
A central north-south street separates the three pillared building on the
east from the western half of the site. As the level of this street rose over time,
the inhabitants built ramps with stairs alongside the outer wall of each pillared
building, leading up to the street. The support wall of the ramp protected the
entrance and channeled water away from the faade of the building. In the
debris of the street, we recovered 12 zoomorphic gurine fragments, one of
which is a horse and rider gure, along with two small limestone altars in the
same area where a limestone shaft altar had been found in 2005. Along the
west side of the street, a new excavation area (Field D) was opened. Here a
building (B300) with relatively massive walls was partially excavated. It differs from the pillared building in that it appears to have only a single large
room. The fact that this room contained few nds suggests that it may have
been looted or abandoned.
At the south end of the site further exploration was carried out in Building 400. Here too, there is a room with a line of pillars and limestone basins.
Beside the pillars was a cluster of unred clay loom weights and a considerable
amount of mendable pottery. To the east was a kitchen with a very large basalt
saddle quern built into a bench or working platform alongside a clay oven
(Fig.5). Of special importance was the discovery beside the oven of the head
and shoulders of a limestone male gure (currently in the Madaba Museum),
a miniature stone gurine, basalt hand grinders and millstones, chert pounders,
glycymeris shells, and an iron arrowhead. The nal phase of occupation in the
town was during the late Iron Age II, when the textile industry may have been
related to expanding markets under Assyrian inuence in Moab.
Excavation resumed in the northern half of a Nabataean house (B800)
located at the foot of the mound in Field N. Several new squares were opened
to clarify the area of the entrance vestibule with its large lintel stone. This vestibule opens into a large courtyard whose entrance is marked by post holes to
support architectural features. Additional work was carried out along the north
wall of the complex in order to capture the plan of the building as a whole.
Pottery dating to the 1st century AD, along with four Thamudic inscriptions,
were recovered previously in this house. To the south in Field L, we continued
documentation of a series of water management walls and their relationship
to the Nabataeanearly Roman period reservoir (B700) exposed in previous
seasons.
As part the Wadi ath-Thamad regional survey this season, salvage excavations were initiated at the Roman castellum of Khirbat az-Zona, situated ca.
568
RICERCA IN GIORDANIA
3.0 km east of Khirbat al-Mudayna. The focus was on the northwestern side
of the perimeter wall, where the gate complex and one of its anking towers
was partially exposed (Fig. 6). Hundreds of ceramic sherds collected in 2005
suggest a date in the third century AD. Interestingly, this structure made use of
a number of older architectural elements, Hellenistic and Nabataean in style.
Other discoveries include a Byzantine coin, decorated masonry and a Nabataean inscription.
A specialized burial team resumed excavations in two cemeteries, one located at the south end of Khirbat al-Mudayna (Fields U+V), and the other
(WT-112) located 500 m northwest of the mound. Primary and secondary burials were identied, ranging in date from the Nabataean period to later times.
The burial team also excavated a primary burial in the Nabataean villa (B800),
discovered during the course of excavations in the courtyard.
The project enjoyed the support of Dr. Fawwaz al-Khraysheh, Director
General of the Department of Antiquities, of Mr. Ali al-Khayyat, Director of
the Madaba District, and of Mr. Husam Hizajeen and Mr. Zuhair Zubi, representatives of the Department of Antiquities. The 2006 season was sponsored
by Wilfrid Laurier University and funded by the Social Sciences and Humanities Research Council of Canada and the University of Pittsburgh Research
Development Fund. The team included 48 scholars, students and volunteers
from Canada, the United States, Austria, Great Britain, Jordan, Denmark, and
the Netherlands.
P. M. Daviau
Archaeology and Classical Studies
Wilfrid Laurier
University, Waterloo, Canada
3. Umm al-Rasas. The XXth Archaeological Archaeological Campaign
2006 (Pls. 44-46)
The archaeological campaign started on August 1rst, in cooperation with the
Department of Antiquities of Jordan represented by Miss Hala . The Staff was
composed by Michele Piccirillo, Carmelo Pappalardo, John Abela, Patrick L.
Olick, and architect Emma Ferri. The economical contribution was generously
provided by the Ministry of Foreign Affairs of the Italian Republic.
This years excavation campaign was dedicated to deepen the knowledge
about the living quarters surrounding the large courtyard which we excavated
last year. From the memories of the local inhabitants we came to know that
the complex with the large courtyard at its centre was known as al-Dayr or
Bayt Umm al-Asal and also as al-Makhfar barracks, a name deriving from
the fact that a turkish contingent of soldiers was stationed here (informa-
569
tion given by Sultan al-Mur son of the Shaikh in a private conversation with
M. Piccirillo).
Initially this years research was concentrated on the Western area of the
complex with the excavation of two rooms towards the NW corner of the
courtyard. The second phase included the excavation of the SW area next to
the small arches which came to light during last years excavation in the SW
corner of the courtyard (Fig. 5).
The rooms to the NW (R1616-R1617/20)
The excavation in this area revealed a very intensive modern reuse of the
sothern section (R1617/20). To this period belongs the large irregular ight of
steps, built between the two fallen arches and which lead to a still standing
room to the south. While partially removing the ll of the area to the west
of these steps a capital was discovered. The excavations revealed the various
phases of these dwellings, all dating to the Umayyad-Abbasid period. The
excavation, conditioned by the bad state of the surrounding walls, brought
to light a late reuse of the area witnessed by two baked earth ovens, one of
which almost intact, and an almost even layer of ashes right on top of the fall.
In removing the fall some architectonic elements came to light with some of
them having traces of red paint under the plaster of which only a few fragments
remained. Among these were two nely decorated springers and a small column made up of a capital nely decorated with crosses, a base and two small
column shafts. On one of these a childish human gure with spread arms was
painted in red paint. The capital and the column base have lodgings most probably for a chancel screen of which some fragments where recovered. The fall
rested on a lime oor that is in relation to the threshold of a door, already seen
during last years excavations, and which opens on the courtyard to the east.
The wall which leans on the pillars of the second arch to the east and which
reduced the size of the room to its eastern section, belongs to this phase. After
removing the fall of the eastern arch to allow the retrieval of the architectural
elements, the debris to the north of the upper step of the ight of steps was
removed. This debris was made up of plaster, white large tesserae and stones
from a mosaic bedding that destroyed the ancient oor which lied on a higher
level than the lime oor. Only a very small portion of the ancient oor remains
in front of the threshold of the door which opened to the north and was made
up of beaten earth and well compacted irregular stones in relation to which a
large jar was discovered embedded in the oor in the North Eastern corner of
the room. The jar was broken, mutilated in its upper part and lled with plaster,
white tesserae and stones from a mosaic bedding. The mutilation of the jar is to
be attributed to a later phase of the room when the oor was lowered from its
original level. A trench was dug around the jar, alas fractured in many parts, in
570
RICERCA IN GIORDANIA
order to be able to remove it from its lodging. This helped us see another lime
oor at a lower level (by about 10cm) lying on a ll of about 30cm on virgin
soil. Analyzing the walls of the area one can hypothesize the existence of two
storeys both having the roofs supported by arches with the lower arch attached
to the pillar on which rested the higher arch (gs. 1 and 2).
The second room (R1616) excavated in this area lied to the North of the
previous. Access to it was through a door in the northern wall of R1619 and
another in the eastern wall directly on the courtyard. Even here the stratigraphic situation revealed at least three phases of usage: the most recent is
put in relation to the remains of two baked earth ovens, in the SE and NW
corners, and an abundance of ashes spread all over the area. A lime oor was
discovered attached to the foundations of the walls making us suppose even
here the lowering of the threading oor in respect to the original one of which
only traces remained next to the south door and in the NW corner. The original
structure was an elongated room with a vault to the west covering about a third
of its length having also an arch to the east. All the structures were plastered
(g. 3). The presence of an excessive number of ashlars, two of which with a
beautiful incised cross, and of large roof slabs make us suppose even here that
this room supported a second storey above it.
The rooms to the SW (R1621-R1622-R1623)
Our excavations proceeded to the SW corner of the courtyard where we excavated two rooms adjacent to the area with the small arches which were
partially excavated last year (g. 4).
The western room (R1621), squarish in form, had two EW arches supporting a ceiling of stone slabs. The plaster on its walls survived through time!
The original door opened on the northern wall, while the original threading
oor was only traced in a channel in the NE corner. There were two jutting
and plastered niches in the western wall and a lamp with vine shoots was
discovered when cleaning the debris that lled them. In a second phase the
oor was raised by about 15cm and laid in lime. The small channel in the NE
corner belongs to this phase. In a third phase the northern door was blocked
and plastered. Among the stones used to block this door one can still see in
situ a small lintel with a partially plastered incised cross at the centre. A new
door was opened in the southern wall in correspondence to a new oor made
up of stones and earth. Along the northern wall, covering over three quarters
of its faade, a platform made of three irregular steps was built. It was made
of reused stones among which a lintel with an incised circle containing what
seems a Chi Rho inscription. Always on the north wall an original niche having
the same size as the other two present in the same room was reduced to a small
niche and plastered with the same plaster used on the nearby blocked door.
571
Two roughly built structures made up of reused stones belong to a later phase
with the smaller one towards the centre of the room and attached to the ight
of steps while the larger one, built by a series of vertically standing blocks,
formed a square box in the SE corner.
To the east of this room stood another dwelling place (R1622) of which
we excavated only its southern part. This room had the same characteristics
of the adjacent western one: plastered walls, EW arches supporting the roof
and plastered niches in the walls. The oor, on the other hand, is made up of
stone slabs but with a lime section along the southern wall. On the east wall,
by the rst arch, we discovered arabic inscriptions some traced with charcoal
while one is very well incised. Always by the rst arch, but to the west, directly on the oor slabs and under some fallen roof slabs together with some
sherds we discovered the bone remains of a child, most probably killed by the
weight of the fall of the building. A door opening to the south seems to belong
to a second phase of the building. The fall, well visible in the section of the
unexcavated northern side of the room, clearly revealed that the building was
made up of two storeys, both supported by arches with the upper one having
also a large white tesserae mosaic oor laid on the stone slabs which divided
the two storeys thus conrming the hypothesis which emerged while excavating the other rooms (R1616-R1617/20).
While cleaning the area between R1622 and the small arches from the
surface debris and removing also some very late walls, we were able to bring
to light a series of at least four small arches in a NS direction and we could
also see the departures of four arches in an EW direction.
Conclusion
This summers exploration did in fact enhance our knowledge of the structures
around the courtyard. The excavation by the NW corner of the courtyard revealed a solid two storey structure of which we were able to trace the lower
one made up of two adjacent rooms connected by a door with the western one
having a partially still standing vault. The relationship of this structure with
the courtyard is not quite clear as the two communicating doors seem to belong
to a later phase.
Even the buildings excavated in the SW area revealed that they were made
up of two storeys. This shows that it was normal to have structures of this type
in this area of Umm al-Rasas. Another characteristic that came out during this
excavation is the fact that the second storey of these buildings had large white
tesserae oors. The two rooms excavated in this area had common characteristics as the carefully plastered walls, ceilings and niches and a door opened
in the southern walls during a later phase. These buildings, in contrast with the
other excavated rooms, were not reused after the fall of the walls which most
572
RICERCA IN GIORDANIA
probably took place at once. Further, the excavated rooms did not have any
traces of windows which opened on the outside.
Generally speaking we can conclude that the building excavated during
this years campaign had an evolution corresponding and parallel to that traced
in the courtyard. It had a continuous and long life independently from the
structural relationships that existed between them.
Further exploration in this area will permit us to understand better the relationship of the buildings surrounding the central courtyard with the courtyard
itself. We can already state that in this area, not distant from the main northern
gate of the Castrum, there stood a building of considerable dimensions.
C. Pappalardo - J. Abela
Franciscan Archaeological Institute on Mount Nebo
4. Nitl Excavation Campaign 2006 (Pls. 47-50)
During the Summer of 2006 a short excavation campaign has taken place in
the village of Nitl, situated about 10 km to the south/west of Madaba, the eldwork was directed by the author and supervised by Michele Piccirillo O.F.M.
from the Franciscan Archaeological Institute Mount Nebo and sponsored by
The Madaba Society for Cultural Heritage with a fund provided by Jordanian
Friends.
The archaeological research in the village has taken place regularly from
1996 until 1999/2000 with the aim of investigation of settlement patterns, topography and historical importance of the village in the Nabatean, Byzantine
and Omayyad/Abbasid periods. So far an ecclesiastical compound made of two
parallel churches with adjacent chapels and a martyrium has been unearthed
(for a review of the published material see Hamarneh B., Manacorda S., Nitl.
Excavation Campaign 1996, in Piccirillo M. (a cura di), Ricerca storico-archeologica in Giordania, in LA 46, 1996, pp. 406-409; Hamarneh B., De Luca
S., Manacorda S., Michel V., Nitl. Excavation Campaign 1997, in Piccirillo M.
(a cura di), Ricerca storico-archeologica in Giordania, in LA 47, 1997, pp. 478481; Hamarneh B., De Luca S., Michel V., Campagna di scavi a Nitl- Madaba
- 1999, in Piccirillo M. (a cura di), Ricerca storico-archeologica in Giordania,
in LA 49, 1999, pp. 489-494; Piccirillo M., LArabia cristiana. Dalla provincia
imperiale al primo periodo islamico, Milano, 2002; Piccirillo M., The Church
of Saint Sergius at Nitl. A Centre of the Christian Arabs in the Steppe at the
Gates of Madaba, LA 41, 2001, pp. 267-284. For a historical analysis see also
Shahid I., The Sixth-Century Church Complex at Nitl, Jordan. The Ghassanid
Dimension, in LA 41, 2001, pp.285-292).
A preliminary short survey of the site in July-August 2006 has stated that,
since the last excavation that took place in the village in the summer of the
573
year 2000, several acts of vandalism were operated on the uncovered buildings,
this included the two churches, the martyrium chapel, the ottoman mosque
and the dwellings of the same period (g. 1). In particular the intact roof of
the north diakonikon of the North church dated to the byzantine period was
completely demolished; the collapsed arches of the roof of the same church
covering the bema and conserved as stratigraphy evidence, were also knocked
down, the same treatment was reserved to the apse of St. Sergius church, to
the roong of two lateral rooms anking its presbytery and its faade wall;
further damage can be also observed in the faade wall of the martyrium chapel
in the point of connection to the narthex. The most consistent damage was
operated upon the ottoman Mosque, set on the south edge of the ecclesiastical complex and perfectly preserved (see M. Londino, La moschei ottomana
di en-Nitl-Madaba, in Piccirillo M. (a cura di), Ricerca storico-archeologica
in Giordania, in LA 53, 2003, pp. 446-449, g. 5-10). It had both north and
south walls completely demolished (gs. 2 and 3). It must be also stressed that
several other ancient buildings, surveyed in previous campaigns and yet not
excavated, were completely destroyed by the inhabitants on the southern slope
either to build modern houses or to obtain stones for new constructions.
This alarming situation evidences the urgency of undertaking a plane for
the preservation, protection and safeguarding of the Byzantine-Omayyad and
late Ottoman antiquities in village and the necessity of a restoration project
that should involve the sites major monuments, the priority is to preserve the
excavated church complex in order to prevent further vandalism due to the
important archaeological and historical information evinced from the analysis
of the data collected in the afore mentioned excavations of site of Nitl.
The 2006 eld work took place in two areas: the presbytery of the North
church and the courtyard of the whole ecclesiastical complex.
Presbyterium of the North Church
The presbytery area of the North church (locus 5) was left unexcavated in
previous campaigns due to a modern edice (used as shop about 30 years ago)
build exactly over the collapsed arches and roong of the church and thus left
for stratigraphy reasons.
After the removing the fallen stones of the arches and roong damaged by
vandals, a small portion of the presbytery area of the North church was uncovered, this included a plastered step set between two pillars (second pilaster), this
latter separated the sacred area from the nave of the building. A second raised
step, proper of the Bema, showed a screen base that hosted, still in situ, fragments of the chancel screen made of schist and two large stones both covered
with mortar, much similar to those found in the adjacent St. Sergius church. One
large column (about cm 50 long) was discovered in situ in the south/west angle
574
RICERCA IN GIORDANIA
of the presbytery, the column was also plastered with lime mortar, yet since that
it was not possible to excavate the base of the column and the adjacent area, it
is not clear if it was part of a proper ciborium or just a base for a mensae or an
offertory table due to its angular position (g. 4). The fragments of furnishing
recovered may be ascribed chronologically to the last phase of liturgical functioning of the North church just before it was denitively abandoned. Other
liturgical furnishing was uncovered in the debris as pieces of schist colonnetts
and fragments of marble slabs showing a common decorative tendency in the
employment of both marble and schist as in other churches of Madaba Bishopric
in the late byzantine period. A small portion of the pavement of the presbytery
was also unearthed this showed a mosaic pavement decorated with a swastika
motif in red, yellow and black tesserae on whitish background in good state
of preservation, the same motive borders the mosaic pavement of the adjacent
north diakonikon (locus 6). It was not possible to determine if the decoration
continuous due to the position of the modern shop build over the fallen arches
of the same presbytery that prevented further in depth investigations.
The stratigraphy evidenced in the small portion excavated shows a similar
situation so far documented in the adjacent St. Sergius church this consisted
of a shallow stratum of yellow sand deposited directly on the mosaic oor of
the presbytery with late byzantine shurds (US 116), this was toped by a second
stratum of whitish colour due the several fragments of plaster fallen from the
wall and roong (US 113). Then a large black stratum with ash deposits (US
126) probably coming from re places after the abandon of the sacred building
(as already observed in St. Sergius) this was toped by other stratum of plaster
coming from walls (US 23), then we have the fallen roof slabs toped by fallen
pillars (UUSS 19 27), in these two last stratum several architectonical decorated pieces were found. Similar material has been recovered in the previous
excavation of the churches and may be dated around 1st century A.D. and most
probably reused in the church building.
The Courtyard
The second part of the excavation was extended to the courtyard area, partially
investigated by the previous campaigns, and common for all the ecclesiastical
complex; the courtyard is situated about 2 mt below the level of the narthex,
due to the natural position of the bedrock sloping westwards. The stylobate
that delimits the narthex indicates most probably the accesses to the courtyard,
as no steps survive. The major aim of our investigation was to evidence the
extension of the courtyard to the west and to the north and to uncover the
slab paving evidenced here and there in short probe soundings (USM 208).
Two meters debris accumulated in the modern period with stones, plastic and
other material with no conserved stratigraphy were removed. Later the excava-
575
tion was limited to the south/western area, were a threshold (USM 214) with
a wall toped by a modern ottoman building (house n. 36) was uncovered in
1999 campaign. Two other ottoman period houses (nn. 34-35) are set on the
western limits of the excavated area.
It must be stressed that on the southern side we can still observe the faade
of the martyrium chapel set directly on bedrock sloping westwards, the irregularity of the bedrock was corrected and brought to the level of the threshold
by stones and pressed red soil. On the central part of the same area and moving
westwards an important hydraulic implant was uncovered, this consisted of a
large cistern, a wall, two small plastered basins and a water channel running in
south/north direction (gs. 5 and 6). Another cistern (n. 9) is set near the faade
of the North Church (see Hamarneh B., De Luca S., Michel V., Campagna di
scavi a Nitl- Madaba - 1999, in Piccirillo M. (a cura di), Ricerca storico-archeologica in Giordania, in LA 49, 1999, pp. 493-494).
The deep cistern has a rectangular opening and shows still in situ arches
toped by roof slabs as in other similar constructions found in the village permitting us to date it to the byzantine period. It must not be excluded the cistern has been hewn in bed rock then roofed with arches as evidenced in other
examples found in the village. In the same period the cistern was anked by
a mosaic pavement decorated with red, black and yellow tesserae following
a simple linear motive, this pavement was completely destroyed during the
construction of the ottoman house n. 36, only traces of the pavements layout
with lime and mortar still survive on the southern side of the cistern; while
high quantity of tesserae along with byzantine/Omayyad ceramics were found
in its destruction stratum (g. 7).
On the west side of the cistern: two plastered basins (with opus signinum)
set southwards and enclosed by a small wall and a water channel slightly bending towards east can be observed. This later was anked by a slab pavement.
The channel was accurately paved and seems to continuo beyond the ottoman
dwelling n. 36. This hydraulic system may be dated to the late byzantine period
as a sounding made under one of the removed slabs showed shurds of late byzantine ceramics. Several large fragments of pavement with tesserae were found
during the excavation it may indicate that the both channel and basins were
covered by a mosaic pavement. Similar hydraulic arrangements can be also
observed underneath the pavement level in Room M of St. Stephan complex
of Umm er-Rasas (see M. Piccirillo, Gli scavi del complesso di Santo Stefano,
in M. Piccirillo, E. Alliata, Umm al-Rasas Mayfaah I. Gli scavi del complesso
di santo Stefano, Jerusalem 1994, pp. 97-99) and under the pavement of the
lower Chapel of Priest John at Khirbet al-Mukhayyat (see M. Piccirillo, The
Churches on Mount Nebo New Discoveries, in M. Piccirillo, E. Alliata, Mount
Nebo. New Archaeological Excavations 1967-1997, Jerusalem 1998, pp. 225226), set to collect rain water and draw it to the numerous cisterns surrounding
the ecclesiastical complex.
576
RICERCA IN GIORDANIA
In the ottoman period the area was reused as the cistern was covered by a
small wall on four sides, a slab pavement was set around the its square opening
similar to the well conserved Cistern n. 9 set in the North church faade. Both
basins and water channel seemed to be reused to serve the modern dwellings
anking the courtyard area on the south and western sides (nn. 34-35-36) as
can be evinced from the fragments of mamluk/ottoman shurds found.
The complexity of the area and the several Ottoman buildings (still of
private property) that bounder the investigated area did not permit to carry on
further soundings, yet it will be rewarding to extend the excavation beyond the
upper mentioned dwellings to determine the connection of our ecclesiastical
complex to the late antique building surveyed there.
Basema Hamarneh
Franciscan Archaeological Institute on Mount Nebo
5. Two Nabataean Mosaic Floors from Wadi Musa-Petra (Pls. 51-52)
Two mosaic oors were discovered during salvage work by the Department
of Antiquities in the Wadi Musa town centre in 1996 and 1999, in the middle
of the suq area. They are referred to here as Mosaic 1 and Mosaic 2, in
order of their discovery.
Mosaic 1
Mosaic 1 was discovered in a Nabataean villa during the Wadi Musa Salvage
Excavation in 1996 (K. Amr - S. Al-Nawaeh - H. Qrarhi, A Preliminary Note on
the Wadi Musa Salvage Excavation 1996, ADAJ 41 (1997) 469-473; S. Twaissi,
A Study of the Nabataean Remains Excavated at Wadi Musa in 1996, unpublished
MA thesis, University of Jordan, Amman 2001 (Arabic). It decorated a room in
a private villa of the mid-late rst century AD. Unfortunately, the villa including
the mosaic oor was partially destroyed during the opening of a street prior to
the excavation (Figs. 1 and 2)). The whole excavated area was dismantled soon
after the excavation to build modern shops, and the mosaic is currently on display
at the Petra Museum.
The mosaic oor consists of two parts, the main carpet and an entryway.
The design, executed with small tesserae averaging 11mm a side, is purely
geometrical in four colours: white, yellow, red and black. The black is in two
shades of stone, dark grey and dark grayish brown, but the two shades seem
to originate from the same mother rock. The dark grey was mainly used for
the swastika-and-square border design, while the dark grayish brown was used
for the lines dening the border, with some mixing of the two shades. All the
577
colours and their variations, except for the red, can be obtained in local Jordanian stone (thanks to Ziad Aziz of Philadelphia Mosaics who provided me
with samples for comparison). The colour matching was done visually and no
provenience studies have been done yet for the origins of the stones.
The preserved dimensions of the mosaic are 1.30 x 0.75 m maximum for
the entryway and 2.75 x 2.15 m of the carpet, the longer dimension being
completely preserved. Assuming symmetry and an entryway of around 1.75 m
width, a feasible reconstruction of the carpet would have two central circles
and a length of around 4.60 m , i.e. the preserved section is around 40% of
the original mosaic oor.
Fragments of a black and white mosaic oor, forming squares and triangles
that could be related to the entryway design, were discovered in a rst century
AD mansion at az-Zantur/ Petra in 1997 (B. Kolb, Swiss-Liechtenstein Excavations at az-Zantur in Petra 1997, ADAJ 42, 1998, 259-261).
Mosaic 2
Mosaic 2 was discovered in 1999, in a mechanically excavated sewage trench
of the Wadi Musa Water Supply and Wastewater Project (K. Amr - A. alMomani, Preliminary Report on the Archaeological Component of the Wadi
Musa Water Supply and Wastewater Project (1998-2000), ADAJ 46, 2001,
253-285). It decorated a room in a villa contemporary with and neighbouring to
that which contained Mosaic 1, although a slightly earlier date within the mid
rst century AD is possible for the construction of this second villa (g. 3).
The sewage trench cut through the mosaic oor and left two fragments on
either side, one with a repeated geometric motif of interlocking circles in black
and white to the south, the other of simple alternating black and white tesserae to
the north. Both fragments were lifted and the more elaborate one is currently on
display at the Petra Museum. A later (archaeological) wall was built on top of the
mosaic oor, so we could only salvage a triangular fragment measuring around 45
cm in length and 65 cm maximum preserved width. The design was executed in
small tesserae averaging 9 mm a side. The stone sources seem to be the same as
for Mosaic 1, although no provenience study has been done.
[Stylistically the two mosaics t well in the 1st Century mosaic oors found
in the Herodian palaces in the fortress of Masada (G. Foerster, Art and Architecture, in Masada V, The Y. Yadin Excavations 1963-1965 Final Reports,
Jerusalem 1995, pp. 140-157), in the fortress and the palaces at the Herodion
and Jericho (E. Netzer, The Palaces of the Hasmoneans and Herod the Great,
Jerusalem 2001, 113), in the baths of the Machairos fortress in Jordan (V. Corbo,
Macheronte. La reggia-fortezza erodiana, in LA 29, 1979, 315-326, tav. 44),
as well as in the palaces of the same period found in Jerusalem (N. Avigad,
Discovering Jerusalem, Jerusalem 1983, 153-156). M.P.]
578
RICERCA IN GIORDANIA
In the meantime, two other mosaic oors have been found in Wadi Musa,
which can be dated to the same period. Mosaic no. 3 was discovered during
the excavations in the Wadi Musa town centre, carried out by the Department
of Antiquities in 1996 (g. 4). It adorned a room adjacent to the private bath
of a Nabatean villa. Recently, in January 2004, a fourth mosaic has been found
in al-wadi, without more details on its location (g. 5).
The general design and colour scheme continues into the early second
century AD mosaic oor of the al-Humayma Roman fort, although the workmanship seems to decline. See Romanization at Hawara (al-Humayma)?
The Character of Roman Culture at a Desert Fortress in Studies in the History and Archaeology of Jordan, vol. 8, Amman, 2004, pp. 353-360; see also
the interesting discussion on the Romanization vs. Nabataeanization as
indicated by the mosaics in Oleson et al., Preliminary Report of al-Humayma
Excavation Project, 2000, 2002, ADAJ 47, 2003, 37-64.
Khairieh Amr and M. Piccirillo
Department of Antiquities of Jordan
6. Varia Arabica. Greek Inscriptions from Jordan (Pls. 53-56)
This paper aims to make known to students and scholars a number of Greek
inscriptions from Jordan that, although exposed to view for a relatively long
time, have never been published; or if they have, their published text is less
than satisfactory. I wish to thank Fr. Michele Piccirillo for bringing them to
my attention and providing illustrations. The inscriptions are presented in geographical order, from north to south.
1. Two enigmatic letters in the mosaic pavement of St Constantine Church
at Rihab (Fig. 1-2)
A Greek inscription in the mosaic pavement dates the church of St. Constantine
at Rihab on February 28, 517 of the province (of Arabia), that is, February 623.1
Later the pavement suffered iconoclastic damages that were roughly repaired.
On a patch of white tesserae in one of the repaired portions of the mosaic two
letters were inscribed, marked with a horizontal stroke: TM. The horizontal line
marks the characters as either an abbreviated nomen sacrum or as numbers. As
A. Michel, Les glises dpoque byzantine et umayyade de Jordanie (provinces dArabie et
de Palestine) Ve-VIIIe sicle, Turnout, 2001, pp. 221-222; A. al-Husan, The New Archaeological Discoveries of the al-Fudayn and Rahabal-Mafraq Excavation Projects, 1991-2001,
ADAJ 46 (2002), pp. 88-89 and g. 29 (in Arabic). An Italian translation of the inscription is
1
579
the former makes no sense, the latter option remains. As a gure, TM signies
340, but what can be the meaning of this number? As an isopsephon, that is, a
gure representing the numerical value of a word or sequence of words, 340
is not known;2 as a date, by no known era can it result in a date later than the
erection of the church and the damages caused by iconoclasm, in the course of
the eighth or of the ninth century. It may, however, be a case of abridged date.
In the past I have suggested that abridged dates could be found when the era
employed was that of the world creation, and in a recent article I have presented
several cases in which this explanation solves chronological problems otherwise
insoluble.3 (6)340 by the Byzantine era in use in Transjordan corresponds to
832 AD, in the very midst of the iconoclast struggle.4
2. From the monastery of Mar Liyas, in the bishopric of Pella (Fig. 3)
Ten-line inscription framed within a round medallion decorated with a two-strand
rope pattern, situated in a room south of the church.5 The letters are roughly
traced and of irregular size, giving the inscription a rustic appearance. Here and
there are patches of white, larger tesserae, showing that the mosaic was repaired
in antiquity. Some of the iotas seem to bear a trema, though this is difcult to
ascertain, given the condition of the mosaic.
provided by M. Piccirillo, Aggiornamento delle liste episcopali delle diocesi in territoria
transgiordanico, LA 55 (2005), p. 387, n. 64. I wish to thank Father Piccirillo who showed
me a photo with a detail of this portion of the mosaic pavement.
2
On isopsephism, see P. Perdrizet, Isopsphie. Revue des tudes Grecques 17 (1904), pp.
350-360; T.C. Skeat, A Table of Isopsephisms, ZPE 31 (1978), pp. 45-54; C. Foss, Three
Apparent Early Examples of the Era of Creation, ibidem, pp. 241-246.
3
L. Di Segni, The Use of Chronological Systems in Sixth-Eighth Centuries Palestine.
ARAM 18-19 (2006-2007), pp. 113-126. One of the solution I suggested, pertaining to the
martyrium of Yamun, was presented by Piccirillo, Aggiornamento, p. 389, n. 78.
4
The iconoclast controversy had two phases, the rst from ca. 724 to 787, ending with the
Seventh Ecumenical Council (second council of Nicaea), the second in the ninth century,
ending with the council of Constantinople of 843, which restored icon veneration. For the
participation of the Church of Palestine in both phases, see J. Patrich, Sabas, Leader of
Palestinian Monasticism, Washington, 1994, pp. 351-352. For the era of the world creation
used in Transjordan, see L. Di Segni, The Date of the Church of the Virgin in Madaba, LA
42 (1992), pp. 251-257; ead., La data della cappella della Theotokos sul Monte Nebo. Nota
epigraca, LA 44 (1994), pp. 531-533.
5
On the site of Deir el-Liyas, northwest of Gerasa on the eastern slopes of the Ajlun Range,
see A. Augustinovic & B. Bagatti, La patria di Elia (Mar Liyas e Listib). LA 2 (1952), pp.
279-285; A. Augustinovic, El-Khadr and the Prophet Elijah, SBF, Collectio Minor 12,
Jerusalem, 1972; M. Piccirillo, Chiese e mosaici della Giordania settentrionale, Jerusalem,
1981, p. 17; id., LArabia cristiana, Milano, 2002, pp. 104-105; M. Abu-Abeila, Al-Athar
1 (2000), pp. 15-17 (Arabic).
580
RICERCA IN GIORDANIA
OUUNe
RGoNTOeYHFw
QHePIToQewFILe^
eI ON.Re
^IGoNeNo
eKPoDIIwANoFA
.O.^UPeR - - eIAAUTo^
UNBIo^TONAUToTeKNO
NeNMIo - -IND DIwHL
eTo - Pe.LHO
- - I
L. 3 the second and perhaps also the rst theta lack the middle bar; l. 4 EION?
perhaps Hsion(o"), cf. nominative Hsivwn, SEG XXXIX: 1540; l. 8 the mu of mhniv
may have had an overhanging eta, but the mosaic is broken here; the month may be
Iounivw/ or Ioulivw/; After D a letter resembling T but with unsymmetrical horizontal
bar: not t(ou') whl e[tou" but a iota with trema or horizontal line over it, mismanaged
by the mosaic layer; ll 9-10 the letters after e[tou" are hardly legible: perhaps th'"
(possibly abbreviated) Pellhvon poli" = Pellaivwn povlew"?
With the help of Christ, the mosaic pavement has been laid under
Esion (?), the most God-loving priest and abbot, by the care of John,
pulse merchant, for the succour of himself and (his) wife and his children, in the month of June (or July) of the 14th indiction, year 838 [of
the city] of Pe[l]la (?).
The urban era of Pella started in 63 BCE; thus year 838 corresponded to
775/6. June and July 776 fell in the 14th indiction. John, the pulse merchant,
must have been a local well-to-do Christian who paid for the mosaic pavement.
Here we have another example of the continuing ourishing of Christian life
in eighth-century Palestine.6
The city of Pella belonged to the province of Second Palestine. For its bishops, see most
recently M. Piccirillo, Aggiornamento, p. 390.
6
581
- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - ENONOIKON
- - - - - - - - - - - - - - - - - ALOUQENOAGKULINOIO
- - - - - - - - I CARIENTAKALwPOLUFEGGEIKOMw
- - - - - - K RATEON TO . NAIIMONHNI . N ARCH
- - - - - H AKULI . OUL A MPROTATOUPRw - - - - I
ET OTwEK - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - Iw - - - - - - -
582
RICERCA IN GIORDANIA
- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - enon oi]kon
< ++ < ++ < megavlou sqevno" Agkulinoivo
< ++ kai; carievnta kalw/' polufeggevi kovsmw/
< ++ < kratevonto" ejnaivsimon hJnivan ajrch'".
Dia; spoudh'" Akulinou' lamprotavtou prwvtou th'"
povlew" ejgevneto tw/' eku e[tei - - - - - - Iw - The might of great Aquilinus [erected this - - ] hall, [ - - ] and
graceful in beautiful brightly-shining decoration, when [Ulpianus?]
was holding a righteous rein of ofce. By the provision of Aquilinus,
clarissimus principalis, in the (year) [4]25, was done - - -
The rst four lines are hexameters. Interestingly, the name of the ofcial
who was responsible for the restoration or enlargement of the building is written with an added gamma in l. 2: can it be in order to ensure that the rst syllable of the name would be long? The metre permits to restore epsilon before
-non in l. 1, where the remains of the letter would be consistent with either E
or C, both square letters; but sigma would produce a long syllable while a short
one is required. More important, the metre enables us to roughly evaluate the
number of letters missing at the beginning of the lines; thus the restoration dia;
or ejk spoudh'" at the beginning of l. 5 can be considered certain.
At the end of l. 5 there is a large gap. The last legible letter before the
gap, though broken, can be identied with certainty as an omega; after the
gap, there are the remnant of an upright line and a sigma. The upright letter
and the width of the gap make it impossible to restore prwteuvonto": the
most likely restoration must therefore be prwvtou th'" | povlew", with povlew"
written in abbreviated form at the beginning of l. 6, for there is not space for
more than 5-6 letters in the gap there.9 Prw'toi or principales were found both
in the Roman and in the Byzantine polis, but while in the former they may
just have been the members of the local aristocracy (unless formally designed
dekaprw'toi, ten members of the city council in charge of nancial affairs), by
the second half of the fourth century the principales formed a kind of executive
body within the council, with specic responsibilities on the executive and administrative level. As such, they are often mentioned in building inscriptions.10
Abbreviations of povli" of one, two or three letters are common, especially in the fourth
century: see M. Avi-Yonah, Abbreviations in Greek Inscriptions, Jerusalem, 1940, pp.
94-95.
10
A.H.M. Jones, The Later Roman Empire, 286-602, 2nd edition, Oxford, 1990, pp. 760,
1300-1001; L. Di Segni, The Involvement of Local, Municipal and Provincial Authorities
in Urban Building in Late Antique Palestine and Arabia, in J.H.Humphrey (ed.), The Roman and Byzantine Near East: Some Recent Archaeological Research, JRA, Supplementary
series No. 14, Ann Arbor, MI, 1995, pp. 323-324.
9
583
It is worth noting that in texts and inscriptions of the fth-sixth centuries the
members of this group are usually called simply prw'toi or prwteuvonte", but
we nd the term prw'to" th'" povlew" in inscriptions of the imperial period
from Gerasa itself, from Tel Shosh in the Lower Galilee and from Asia Minor,
and the analogous prwtopolivth" on a third-century ossuary from the territory
of Eleutheropolis.11 The use of the fuller term may be another pointer to an
early date of this inscription.
The dating formula tw/' x e[tei became common in Gerasa in the Byzantine
period.12 In the date, marked with a horizontal stroke in l. 6, only the units and
the tens are preserved. If the chronology suggested above is accepted, the missing mark should be a hypsilon, resulting in the gure [4]25. Year 425 by the
era of Gerasa corresponds to 362/3, from autumn to autumn. In the rst part of
that year the governor of Arabia was Belaeus, who was replaced in mid-363 by
Ulpianus, governor of Arabia in 363-365.13 Governors usually took up their posts
in late spring or summer, when travelling conditions were favourable; therefore
it is likely that in the second half, or at least in the last third, of year 425 of the
Gerasene era, the governor was Ulpianus. Oujlpianou' ts both the metre and in
the available space at the beginning of l. 4, better than Belaeus name.
4. A lintel from Hesban ancient Esbus (Fig. 5)
A lintel of hard limestone, broken at the right-hand end, was discovered by
the Andrews University Expedition in 2001. The lintel was recently published
by Mattingly and Burgh and the reader is referred to their paper for details.14
However, as the reading given by the editors seems partly incorrect, I would
suggest another, based on a photo taken by Fr. Piccirillo on the site.
For prw'to" th'" povlew", see C.B. Welles, The Inscriptions, in C.H. Kraeling, Gerasa, City of the Decapolis, New Haven, 1938, p. 441, no. 188; SEG XXXVIII: 1586 (Tel
Shosh, ancient Gabae), and IGRom IV: 666, a third-century inscription from Phrygia. For
prwtopolivth", see SEG XXVI: 1688 and cf. POxyrh I, 41. 9 (a papyrus of the third or
early fourth century).
12
In inscriptions of the rst-third centuries in the city the gure of the year is normally
introduced either by the L-mark or by e[tou". The formula tw/' x e[tei appears in inscriptions
of the fth, sixth and early seventh centuries: see for instance Welles, Gerasa, nos. 275,
277-279, 298, 304, 306, 314, 335. There are no fourth-century inscriptions dated by an era
year in Gerasa, as far as I know.
13
Both governors are known from epistles of the famous rhetor Libanius of Antioch: see A.H.M.
Jones, Prosopography of the Later Roman Empire I, Cambridge, 1971, pp. 160 (Belaeus), 973974 (Ulpianus 3); M. Sartre, Les gouverneurs de l'Arabie romaine, Trois tudes sur l'Arabie
romaine et byzantine, Bruxelles, 1982 (Collection Latomus, no. 178), p. 104, nos. 70-71.
14
K. Mattingly & Th.W. Burgh, Lintel Inscription from Tall Hisban, Field M, Square 5,
2001, Andrews University Seminary Studies 43, 2 [2005], pp. 247-260.
11
584
RICERCA IN GIORDANIA
The lintel in its present state is 101 cm long along the bottom edge, 94 cm
along the upper edge, 34 cm wide and 19 to 30 cm thick. It was not discovered
in situ, but among the rubble thrown down the northern slope of the tell, below
the Acropolis Church. It seems likely that it may have originally belonged to
that church rather than to the North Church, which is located at a lower level.
Moreover, the inscription of the lintel indicates that it belonged to a monastic
church, or at least to a church with attached monastery, while none of the inscriptions discovered in the North Church mentions an abbot or monks; on the
contrary, they seem to indicate that that foundation was a parochial church.15
The text reads:
Here follow Mattingly and Burghs reading and translation. I have added
diacritical signs but left the parentheses as in their transcription, for it is not
clear when they mean to mark a break or an abbreviated word. Apparently they
use square brackets for broken letters and round for missing letters):
Epi; tou' qeoseb(estavtou) Georgivou presb(utevrou kai;)
hJgoumevnou tou' swthrivw/ d(apavnh/ kai;)
(ka)mavtwe ajnenewvqh hJ ejkk(lhsiva)
mhni; septembrivw/ provth ijn(divktou.)
At the time of the most pious George, presbyter (and) abbot of
(the) Savior, (who) provided the c(osts and) labor (for the) restoration
of the church (in the) month of September of the rst indiction.
Corrected transcription:
Epi; tou' qeoseb(estavtou) Gewrgivou presb(utevrou) kai; hJ-
goumevnou tou' swthriwvdou" dwv-
On the Acropolis Church and the North Church, see also Michel, Les glises, pp. 295-300.
There is no indication of a monastery attached to either church, but the Acropolis Church
was abandoned earlier than the North Church. Since Esbus still had a Christian community
in the post-iconoclastic period (a bishop is mentioned in 879: see G. Fedalto, Hierarchia
Ecclesiastica Orientalis II, Padova, 1988, p. 749), a monastic church is more likely to have
been abandoned earlier than a parochial church.
15
585
586
RICERCA IN GIORDANIA
suitable here than a simple patronymic. Philadelphus must have been a personage of some standing in the community, and not an unt candidate for holding
a public position. The magistrianoiv (agents in rebus) lled various functions
in the administration of a province: we nd one in Gerasa in 533, who held the
ofce of topothrhthv" (representative of the provincial governor, and de facto
city governor) and sponsored the construction of a water pool.18
5. A mosaic pavement in the Church of the Holy Martyrs (el-Khader) at
Madaba (Fig. 6)
The inscription is framed in a round medallion set in the mosaic pavement
of the narthex, in front of the entrance of the nave.19 The six-line text is surmounted by a vegetal motif; a similar motif decorates the bottom part of the
medallion, underneath the last line of script. About a fth of the medallion on
the left side is destroyed, with the beginning of lines 2-5. The letters, elegantly
traced but not over-decorated, belong to the oval alphabet. Their shape points
to a date in the second third of the sixth century.
The text reads:
OTIPROEII
- BAIANAGNHNECOI
- - - - ULATTON
- - - IwTwNMARTURw
- DOUTEDOXAN
TwQEwKATAXIAN
Osti" provseisi
w|de bavi>an aJgnh;n e[coi
mnhvmhn fulavttwn
tw'n aJgiw(tav)twn martuvrwn, douv" te dovxan
tw/' qew/' kat ajxivan.
Whoever enters hither, let him hold a pure palm branch, keeping
[the memory] of the most holy martyrs and giving glory to God as is
His due.
Bavia
> n, accusative of a nominative feminine bavia
> , seems to be a local or vulgar
variant of the proper form: bavi>on (neuter) or bavi>" (accusative bavi>n), feminine,
palm branch. The mistake may have risen from taking bavi>a, palms, for a
nominative singular. The palm branch was as symbol of victory, of the crown of
martyrdom, and of Jesus triumphal entry in Jerusalem on Palm Sunday but also a
symbol of chastity and virginity as such it was often engraved on the tombstones
of those who had died unmarried. It is unclear what the inscription was supposed
Welles, Gerasa, pp. 469-470, nos. 277-278. For the functions of the magistriani, see
Jones, Later Roman Empire, pp. 578-582; Di Segni, The Involvement, pp. 326-327.
19
The inscription was uncovered in excavations conducted by Gh. Bisheh on behalf of the
Department of Antiquities of Jordan. On this church, see Michel, Les glises, pp. 311-314.
18
587
to mean: that the faithful should bring a palm branch as an offering in entering
the church? or, what seems more likely, that they should enter in purity of heart
and chastity of mind, lest they profane the holiness of the martyrium?
The expression giving glory to God is reminiscent of Ps 67 (68): 35,
which is echoed in various verses of Apocalypse (4:9; 11:13; 14:7) and as a
liturgical formula in the monastic milieu. It also appears in the sixth-century
pavement of the monastic chapel at Ain el-Keniseh on Mount Nebo, in the
bishopric of Madaba.20
6. A mosaic inscription from el-Rashidiyah (Fig. 7)
The following inscription was discovered among ancient ruins in the village of
el-Rashidiyah, near Buseira (ancient Bosor in Edom), on the Petra-Talah road.
The inscription is framed in an octagonal medallion set in the mosaic oor of
a church, which was excavated by the Jordanian Department of Antiquities.
A report of the excavation in Arabic and a drawing of the inscription were
published in 2003.21
The text reads:
ENTAUQAEI
Entau'qa eijELQwNKATANOH
sevlqwn katanohvIMHTERAPARQENON
s(e)i" mhtevra pavrqenon
4 CUAFRATONLOGONQU
C(risto)u', a[fraston lovgon, Q(eo)u'
OIKONOMIANKAIEIPITEU
oijkonomivan, kai; eij pisteuvHwQHEIUNQwETELIw sh" swqhvsei. u;n Q(e)w/' ejtel(e)iwvH
QHHYHFwIMPERITIw
qh hJ yhvfwsi" mh(ni;) Peritivw/
8 TOUET^UXHIND^ZUPER tou' e[t(ou") uxh ijnd(iktiw'no") z, uJpe;r
wTHRIAMEGALITH
swthriva" Megavli" th'"
FILOCRITOUERG^GE
filocrivstou. Erg(on) geNAMENONDIAANDRE
navmenon dia; Andrev12
OUELHwTOU
ou Elhwvtou
Y I
yi(fistou').
L. 9 Megavli" = Megavlh", iotacism; ll. 10-11 genavmenon = genovmenon; l. 12
Elhwvtou = Aijliwvtou; l. 13 YI with a diagonal stroke cutting the iota, abbreviation of
yi(fistou') = yhfistou'.
M. Piccirillo, Le due iscrizioni della cappella della Theotokos nel Wadi Ayn al-Kanisah
- Monte Nebo, LA 44 (1994), pp. 555-556. See also A. Felle, Biblia Epigraphica, Bari, 2006,
p. 77, no. 77 (where the inscription is mistakenly assigned to the bishopric of Esbus).
21
Hakim Mahamid, Results of the excavation of the church of al-Rashidiya/ al-Talah,
ADAJ 47 (2003), pp. 7-16.
20
588
RICERCA IN GIORDANIA
Entering hither thou will see the virgin mother of Christ, the ineffable Logos, dispensation of God, and if thou believe, thou shall be
saved. With Gods help this mosaic was nished in the month Peritius
of the year 468, indiction 7, for the salvation of Christ-loving Megale.
Work done by Andrew of Jerusalem, mosaic layer.
Year 468 of the era of Arabia covers the time between 22 March 573
and 21 March 574. The month of Peritius in the Arabo-Macedonian calendar
began on the 16th of January; therefore the date of the inscription corresponds
to January-February 574, which fell in the 7th indiction. The inscription refers
to an image that could be seen inside the church, perhaps a mural fresco or
mosaic, representing the Virgin and her Son, described as the Word of God
and His oij k onomiv a . The term oij k onomiv a is typically used by the Church
Fathers to indicate the fact of incarnation, by which, by Gods dispensation,
the Word became one with the body and soul of man, and hence the Person
of the Word incarnate.22
Several aspects of this inscription are of interest. One is that it does not
mention a bishop, a priest or an abbot, under whose direction the church was
decorated, but solely the donor; and not only is the latter a woman in itself
a rare occurrence but she associates no relative in her plead for salvation.
Unless some other inscription, not yet uncovered or totally lost, contained
a clergymans name, its absence may point to the private character of this
church. Megale must have been a wealthy woman, if she could afford to
nance the decoration and perhaps the entire construction of a church;
the failure to commemorate members of her family not even deceased
ones invites the surmise that she may have taken vows of religious life.
The hagiographic literature features several examples of women living in
retirement in their own house, keeping their independence and not submitting
themselves to the monastic discipline of a coenobium.23 Another exceptional
aspect is the description of a picture of the Virgin and Christ that could be
seen in the church: the only parallel that comes to mind is the description of
a similar icon in the central medallion of the mosaic pavement in the Church
of the Virgin at Madaba, which, however, is two centuries later.24 If the gures were represented in a wall mosaic, it is possible that the last phrase,
For various examples, see G.W.H. Lampe, A Patristic Greek Lexicon, Oxford, 1989, pp.
941-942, s.v. oijkonomiva, C 6.
23
See for instance John Moschus, Pratum 127 (Damiana, before she became a recluse, and
the old almsgiving widow), 206 (the senators wife and the virgins her companions), PG
87, cols. 2389-2392, 3097.
24
M. Piccirillo, Chiese e mosaici di Madaba, Jerusalem, 1989, pp. 45-50; for the date, see
L. Di Segni, The Date of the Church of the Virgin in Madaba, LA 42 (1992), 251-257.
22
589
e[rgon genovmenon dia; Andrevou, referred to this work, not or not only
to the laying of the mosaic pavement. Andrew, the artist, calls himself
Eliwvth", that is, the Jerusalemite, from the Roman name of Jerusalem,
Aelia Capitolina, which remained in use as just Aelia (spelled Elia) in
the Byzantine period.25 The fact that an artist from the metropolis was called
in to carry out the work in this remote village may be an indication that he
was required to make not only the pavement but also a much more delicate
and difcult work, a wall mosaic. The mention of his origin may be a subtle
way of expressing the donors pride in having recruited an artist from the
big city and thus most likely at great expense to execute her project.
The inscription was surely dictated by Megale herself: note the shift from
O to A in the participle, typical of users of Greek whose everyday language
was Arabic.26
E.g. Ptolemy V, 15, 5 (ed. C. Mller, Paris, 1883); Itinerarium Antonini Augusti 200,
1 (ed. O. Cuntz, Itineraria Romana, Leipzig, 1929); Eusebius of Caesarea, Onomasticon, passim (also in Jeromes Latin translation); Peutinger Map (ed. E. Weber, Tabula
Peutingeriana. Codex Vindobonensis 324, Graz, 1976: Aelia Capitolina, formerly called
Jerusalem the metropolis); Not. Dign. Or. XXXIV, 21, 48 (ed. O. Seeck, Berlin, 1876);
Hierocles, Synecdemos, 718, 8; Georgius Cyprius, 998 (ed. E. Honigmann, Le Synekdmos
de Hirocls et l'opuscule gographique de Georges de Chypre, Brussels, 1939). There
was a monastery of hermits in the desert of the Jordan, called laura of the Eliotes,
which most scholars wrongly locate in Sinai because of a mistake in the Greek text
(John Moschus, Pratum 134, PG 87, cols. 2997-2998; cf. Y. Hirschfeld, List of Byzantine Monasteries in the Judean Desert, in G.C. Bottini, L. Di Segni and E. Alliata [eds.],
Christian Archaeology in the Holy Land: New Discoveries, SBF, Collectio Maior 36,
Jerusalem, 1990, pp. 55-56, no. 41). The text mentions a lavkkon eij" to; Sinav, reservoir
in the Sinai, in the vicinity of the laura, but this is a lectio facilior corrected in the old
Latin translation, which has lacu in sigma, to be understood as a sigma-shaped, that
is, semicircular, reservoir, rather than a reservoir in a place called Sigma. The opening
sentence of the anecdote states quite clearly that the story took place in the desert of
the Jordan. The laura of the Jerusalemites was one of several ethnic monasteries
in the desert of the Jordan, like the monasteries of the Bessians and of the Syrians (cf.
Hirschfeld, List, p. 55, nos. 39-40).
26
The sounds A and O are interchangeable in Greek inscriptions written in areas where
the main spoken language was Arabic. The fact was already noted by Reginetta Canova
who mistakenly ascribed it to the inuence of Aramaic: see her Iscrizioni e monumenti
paleocristiani del paese di Moab, Rome, 1954, pp. CVII-CVIII. On the phenomenon, see
M. Sartre, Inscriptions Grecques et Latines de la Syrie XIII, 1, Bostra, Paris, 1982, pp.
36-37; L. Di Segni, The Greek Inscriptions, in M. Piccirillo and E. Alliata (eds.), Mount
Nebo. New Archaeological Excavations 1967-1997, SBF, Collectio Maior 27, Jerusalem,
1998, pp. 438, 451, 452, 454, nos. 34, 35, 58, 60, 62; ead., Greek Inscriptions in Transition
from the Byzantine to the Early Islamic Period, in D.J. Wasserstein et al. (eds.), From Hellenism to Islam. Cultural and Linguistic Change in the Roman Near East (forthcoming);
E.A. Knauf, P. Yadin 1: Notes on Moabite Toponymy and Topography, Scripta Classica
Israelica 22 (2003), pp. 181-182 and n. 4.
25
590
RICERCA IN GIORDANIA
ENTAUQAKI I .
FANOOATA N QZH.
ETHIGANEPAH . N . .
ENE IT . M DEIOKBE
Tw ENIA UTwO E - - T IOUN
O . ANQRwPOIKAIAPEQANEN
. OTRITEN . O - - -
A. Alt, Aus der Araba III. Inschriften und Felszeichnungen, ZDPV 58 (1935), pp. 64-65,
no. 3, and on Franks researches in the area, cf. F. Frank, Aus der Araba I. Reiseberichte,
ZDPV 57 (1934), pp. 191-280; M. Sartre, Inscriptions grecques et latines de la Syrie, Tome
XXI, Inscriptions de la Jordanie, Tome IV, Ptra et la Nabatne mridionale, Paris, 1993,
pp. 142-144, no. 107, and cf. pp. 144-145, no. 108, an epitaph with a similar formula, but
no date, or at least, the date is lost.
27
591
by the era of Arabia that was in use in this area. This would coincide with
year 455-456 CE, or more precisely, with June 11 (26 Daesius according to
the Arabo-Macedonan calendar) 455. No great calamity a plague, an earthquake? that might have caused the death of a third of the population of the
city or of the human race is known at or around this date.28 Still, some quite
tragic and striking event must have occurred at that time, for a second epitaph
with the same formula, though undated, was discovered near this one.29 In
default of autopsy, Sartre was in no position to challenge Alts reading or to
suggest another. I myself accepted this date without dispute, noticing that it
seemed to t the mention of a catastrophe, apparently due to an earthquake,
which occurred in the bathhouse of Hammath Gader some time before September 455.30
What, however, none of us had noticed was that no date by the era of
Arabia was ever expressed in ascending order. This makes the reading NT
untenable, unless one can detect the strongest evidence that this is the true
date, which just for once was given in inverted order. This, as we have seen,
is not the case. But can we offer an alternative? To do so, we must trust the
drawing in which many letters are distorted, as we have already admitted
and outside information, coming from other sources than the inscription
itself, if any is available.
Based on the drawing, the rst letter after e[tei is a perfectly clear V-like
hypsilon, which is the shape this character takes almost everywhere in the
text. The second letter appears to be a tau, with the upper stroke slightly
sloping to the right. But since tau represents a hundreds gure, like hypsilon, it is not possible to read this sign as a tau: however, in many casually
written scripts cursive lambda is traced in a very similar way. The following
two letters were ignored by Alt, who transcribed here mh(nov"); but the mu
is easily recognizable in the broken letter before the delta of DEIOU (the
drawing shows its two vertical strokes, the left one upright, the other slightly
curving, as usual in a cursive script, while the middle part is missing). The
abbreviation was thus m(hnov") or m(hniv), unless a small eta was written above
the mu and was lost, which is possible but not necessary. The mark before
the mu therefore belongs to the gure representing the date. In the drawing
it resembles a lower-case A in modern English font, but the loop is more
faintly marked than the rest, an indication that the draughtsman was uncertain
whether it was really there or not, or whether it was an intentional incision
As Sartre points out, the term kovsmo" indicates the pagan population of a city, as opposed
to the baptized, in a text by Dionysius of Alexandria cited by Eusebius (HE VII, 25, 21), or
the masses (e.g. John 12, 19) or the human race (I Clem. 7, 4).
29
Above, n. 27.
30
L. Di Segni, The Greek Inscriptions of Hammat Gader, in Y. Hirschfeld, The Roman Bath
at Hammat Gader, Jerusalem, 1997, p. 258, n. 4.
28
592
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or a scratch on the stone surface. If we ignore the loop, the mark appears to
be a zeta. The gure ULZ means 437: can we trust that we have the right
date?
Year 437 of the era of Arabia coincided with 542-543, and 22 Daesius fell
on June 11, 542. At this time, the plague that had entered Palestine through
Gaza in late summer 541 was in full sway in Arabia, Syria and Asia Minor.31
There is no doubt that the enormity of the death toll could justify the phrase
one third of the human race died better than any other known event that affected the region in the relevant period. We should therefore consider a new
reading of the Fenan inscription:
31
On the plague of 541-542 see L.I. Conrad, The Plague in Bilad al-Sham in Pre-Islamic
Times, Proceedings of the Symposium on Bilad al-Sham during the Byzantine Period, Vol.
II, Amman 1986, pp. 143-163; id., Die Pest und ihr soziales Umfeld im Nahen Osten des
frhen Mittelalters, Der Islam 73 (1996), pp. 81-112. That the plague heavily affected Palestine and Arabia can be seen in the graphics showing the building activity in the region,
as well as in those showing the curve of deaths attested in dated epitaphs: see l. Di Segni,
Dated Greek Inscriptions from Palestine from the Roman and Byzantine Periods, PhD Diss.,
The Hebrew University of Jerusalem, 1997, pp. 911-912; ead., Epigraphic Documentation
on Building in the Provinces of Palaestina and Arabia, 4th-7th c., in J.H. Humphrey (ed.),
The Roman and Byzantine Near East, Volume 2, JRA, Supplementary series No. 31, Ann
Arbor, MI, 1999, p. 164.
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interposto uno strato isolante di grosso spessore e con una copertura leggera
sorretta da travi reticolari.
Lambiente interno sar illuminato da una luce naturale diffusa, pi adatta
per una migliore visione dei mosaici, preferita a quella diretta dei raggi del
sole.
Il sistema di lamelle montate sulle aperture verticali della muratura, permette di regolare lafusso di radiazioni verso linterno ed ottenere leffetto di
illuminamento uniforme.
Al ne di permettere il ricircolo naturale dellaria stato previsto un ulteriore sistema di aperture, posizionate alle estremit delle murature. La luce
diretta che ltra attraverso queste ultime aperture viene riessa da un sistema
di pannelli opachi appesi alle travi reticolari.
Dalla chiesa di San Sergio il percorso prosegue verso la cappella e ambienti annessi (Tappa 4) visibile anche dallinterno di San Sergio e da l alla
Moschea Ottomana (Tappa 5) no poi alluscita.
Tutto il percorso sar caratterizzato dalla presenza di pannelli didattici
plurilingue composti da testi, piante e disegni vari.
A causa di recenti atti vandalici che hanno distrutto importanti strutture
(parte della Chiesa e parte della Moschea) e al ne di proteggere in maniera
efcace i monumenti da intrusioni esterne stato previsto di delimitare questarea archeologica con un muro.
Arch. Alfredo Roncalli - Arch. Emma Ferri
Franciscan Archaeological Institute on Mount Nebo
9. Una copertura per il Memoriale di Mos (Tavv. 63-64)
La copertura attuale del monumento, con orientamento est-ovest sullasse longitudinale, nellimmagine composita com risultata dagli ultimi interventi di
scavo degli anni settanta, consente un percorso di visita, mantenendo la sacralit del luogo, allinterno delle strutture che hanno determinato il complesso
della Chiesa dalla sua prima fase costituita dalla cella tricora, datata da padre
Bagatti, in base ai ritrovamenti ceramici, al V secolo (cfr. B. Bagatti, Nuova
ceramica del Monte Nebo (Siyagha), in LA 35, 1975, ). Come confermato dai
dati oggettivi e dai riscontri sui materiali di scavo, la Chiesa ha subito nelle
sue fasi duso, una serie di trasformazioni, commisurate alle necessit della
comunit monastica che vi risiedeva. Tali fasi, anche se lasciano ancora alcuni
dubbi interpretativi, sono state analizzate da pi studiosi. Lultimo studio (E.
Alliata e S. Bianchi, The Architectural phasing of the Memorial of Moses, in:
M. Piccirillo e E. Alliata, Mount Nebo, New Archaeological Excavations 1967
1997, Jerusalem 1998), eseguito sulle strutture in vista, ha consentito di
ipotizzare una cronologia relativa dellevoluzione del complesso ecclesiastico.
597
La cronologia relativa, desunta dallosservazione diretta dei rapporti stratigraci fra le strutture antiche, rapportata ai dati di scavo e grazie allanalisi
del materiale rinvenuto, ha consentito di denire un ipotesi plausibile delle
successioni delle fasi duso e trasformazione del complesso, dando ad ogni
fase un ambito cronologico ben preciso. A questo studio ci si riferisce per la
toponomastica del luogo e per linterpretazione funzionale degli ambienti, in
relazione ai percorsi di visita attuali ed alle funzioni religiose attribuite oggi
agli ambienti visibili.
La copertura che ora vediamo, realizzata nel 1965, il frutto di un intervento durgenza, che ha mantenuto in sicurezza il complesso e ne ha consentito lutilizzo, come luogo di culto ed al contempo come area museale. Le
due funzioni spesso si sono scontrate nel godimento e nella comprensione del
sito, perch lallestimento museale, non potendo essere autonomo rispetto alla
funzione cultuale, non si potuto sviluppare in modo organico con informazioni sugli scavi e sullinterpretazione storica che si data delle strutture e del
loro utilizzo nel tempo, in funzione delle trasformazioni che sono state via via
operate.
Un museo locale il luogo dove sono esposte ed illustrate, con lutilizzo
di un adeguato apparato didattico, le permanenze del luogo; una Chiesa il
luogo dove, in accordo con la tipologia architettonica relativa alla specica
confessione, sono celebrate le liturgie e dove la popolazione ritrova la sua
identit religiosa.
Le due funzioni non sono sempre contrastanti, necessario per, per riunirle in ununica soluzione architettonica, chiarezza nella distribuzione degli
spazi e nellesposizione degli elementi decorativi.
Tale chiarezza, proprio per la caratteristica durgenza dellattuale sistemazione del complesso basilicale, non sempre stata raggiunta.
Riprogettare le volumetrie e gli spazi della basilica compito arduo, proprio per lenorme rilevanza che nelle due funzioni coesistenti, sacra ed espositiva, il luogo rappresenta.
Analizzando lallestimento sotto lodierna copertura, si nota subito il contrasto fra limponenza volumetrica delle strutture antiche e lesilit della struttura che le copre, realizzata in materiale leggero e con una luce libera, fra le
strutture verticali, molto ampia.
Lattuale copertura ha comunque il merito di coprire sotto ununica struttura e
con una visuale completa del sito, la totalit degli ambienti che dovevano formare
il complesso ecclesiastico nella sua ultima fase dutilizzo (inizio VII sec.).
La copertura della cella tricora costituita da due spioventi in ferro (IPE
400), poggianti sulla sopraelevazione dei muri perimetrali. Lazione spingente
dei puntoni ridotta unicamente mediante la presenza in chiave di un fazzoletto di congiunzione dei due elementi. Partendo dalla transenna del presbiterio, laula e gli spazi occupati dal battistero diakonikon nord, e dalla cappella
della Theotokos e dal battistero sud, sono coperti mediante una struttura a due
598
RICERCA IN GIORDANIA
spioventi in ferro (IPE 200), con fazzoletto tirante in colmo e piedritti rompitratta su piastrini centrali. Questi sono ancorati ai muri longitudinali dellaula
della basilica grazie ad una piastra metallica con quattro tirafondi.
I pilastrini centrali hanno sulla sommit due modiglioni stilizzati, riducendo cos la luce dinessione dei puntoni. In senso longitudinale, lungo
lasse del muro, la struttura trasversale collegata da un elemento a trave
orizzontale in ferro (IPE 140). I puntoni trasversali poggiano perimetralmente
su sezioni di pilastro riportate sulle ricostruzioni in c.a. dei muri perimetrali.
La prima campata (di facciata) e la sesta (tra aula e presbiterio), solo per
lampiezza dellaula, presentano una controventatura incrociata con elementi
in ferro a L (L 100).
In senso longitudinale lorditura principale suddivisa da elementi in ferro
a L (L100), con interasse trasversale di circa 170 cm. A questorditura secondaria ancorato un manto di copertura, in ondulino di brocemento dello
spessore di ca. 0,5 cm.
Nel manto di copertura sono presenti delle asole illuminanti, ricavate con
ondulino in policarbonato traslucido.
Lattuale copertura, soggetta a forti escursioni termiche, proprio per le
caratteristiche del materiale che la costituisce, subisce continue dilatazioni e
contrazioni, che nel tempo hanno causato una sconnessione dei muri perimetrali lunghi, in prossimit degli spazi laterali, con lesioni longitudinali sui muri
e sui piani pavimentali mosaicati.
A seguito di queste alterazioni nasce la necessit di realizzare un nuovo
sistema di coperture che, con loccasione, deve cercare di riportare in chiaro,
con i limiti dellattuale conoscenza storico-archeologica, una lettura delle varie
fasi cronologiche delle strutture e delle differenti funzioni destinate ai singoli
ambienti del complesso basilicale.
E da risolvere, parimenti, il problema dellaccessibilit al sito, cercando
di individuare, preservando le strutture limitrofe, un percorso idoneo alla visita del complesso monastico, evitando al massimo interventi di adattamento
delle attuali quote pavimentali e delle strutture murarie.
Presupposti progettuali
In accordo con gli autori che hanno cercato di dare una lettura oggettiva delle
strutture e delle relazioni intercorrenti fra loro, si pu certamente affermare
che il Memoriale di Mos, nella forma che oggi si vede, altro non se non il
risultato della somma dei vari corpi di fabbrica, che nel tempo hanno denito
un complesso ecclesiastico ricco ed articolato, molto difcile da comprendere
attraverso lattuale sistemazione architettonica.
E necessario pertanto semplicare laggregazione di volumi, al ne di
poter evidenziare i nuclei principali di sviluppo del complesso ecclesiastico e
599
600
RICERCA IN GIORDANIA
(Cfr. S. J. Saller, The Memorial of Moses on Mount Nebo, part II. The Plates,
Jerusalem 1941).
Lavancorpo costituir una sorta di bussola architettonica, che rilever
inoltre la differenziazione fra il corpo centrale, la basilica, ed i corpi di fabbrica laterali.
Consentir anche di ottenere aperture distinte, una per lingresso ed una
per luscita.
La facciata con lavancorpo a capanna pi basso, comprender in alto il rosone policromo dellattuale prospetto frontale, recuperando cos sia lelemento
decorativo che la memoria storica dellodierna sistemazione.
Entrando allinterno della basilica, la copertura evidenzier, mediante la
differenziazione delle distinte campate, i vari corpi di fabbrica.
Lorditura orizzontale principale prevista nel corpo centrale con capriate
polonceau e nei corpi laterali con travi metalliche reticolari, in modo da sottolineare i tre corpi di fabbrica distinti.
Mantenendo gli attuali appoggi interni, queste travi troveranno sostegno
lungo i quattro assi murari longitudinali, corrispondenti ai muri perimetrali ed
ai muri interni delimitanti laula della basilica grazie al prolungamento in alto
dei micropali da realizzarsi in profondit e che verranno eseguiti in accordo
con il progetto di consolidamento fondale predisposto dal prof. Piergiorgio
Malesani (P. Malesani, Indagini geologiche e geologico-tecniche; progetto degli interventi di consolidamento, in M. Piccirillo (a cura di), Un progetto di
copertura per il Memoriale di Mos, Jerusalem 2004). In testata al micropalo
sar saldata una piastra di acciaio circolare di spessore 10mm di diametro
25cm con 5 fori alesati per meglio registrare eventuali disassamenti dello
stesso, questultima si interfaccer ad unaltra piastra circolare con le stesse
caratteristiche saldata a sua volta al montante.
Per ridurre le dilatazioni causate dallescursione termica, le strutture metalliche, oltre ad avere una composizione spezzata, saranno realizzate in acciaio inox e saranno fornite di cuscinetti di scorrimento perimetrale, giunti di
dilatazione e barriere al vapore. I montanti (tubi a sezione circolare 160mm)
hanno diverse altezze a seconda della loro posizione; quelli a chiusura del
manufatto posizionati nella parete nord (n 7) e nella parete sud (n 8) raggiungono laltezza di 6,51m (le altezze sono calcolate ad uno zero relativo
posizionato sulla soglia di entrata della basilica); i montanti che chiudono la
parte quadrangolare della tricora (n 8 160mm) hanno un altezza di 8,63m
come quelli che racchiudono la parte absidata della stessa tricora (n 6 114).
Si cercato di normalizzare per quanto fosse possibile il passo dei montanti
tenendo presente i muri esistenti. Nelle pareti nord e sud il passo di max.
4,15m mentre per la parte della tricora il passo varia dai 3,70m ai 1.60m.
Nel corpo in aggetto che forma lentrata della basilica vi saranno n 6
montanti (Tubi a sezione circolare 160mm) n 2 pali di altezza 8,63m, n 2
pali di altezza 8,83m, n 2 pali di altezza 9,90m. I passi sono rispettivamente
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di 4,66m, 4,75m, 4,15m e 0,50m questultima misura necessaria per la presenza di una colonna. Nelle pareti est e ovest si trovano inoltre altri montanti
necessari per irrigidire la struttura (n4) di altezza 7,29m.
I montanti pi interni (n 12 tubi a sezione circolare 160mm ) saranno
alti 8,63m.
La struttura metallica orizzontale secondaria, sormontata da un massetto
alleggerito sorregger un pacchetto isolante ventilato, con sovrapposto un
manto di copertura in coppi e tegole in laterizio. Le falde opportunamente
inclinate avranno il compito di raccogliere le acque meteoriche per poterle
riutilizzare in quegli usi in cui non sia necessaria acqua potabile.
La regimazione delle acque meteoriche sar garantita attraverso un sistema di convogliamento delle acque diversicato, con collettori principali
convoglianti verso le grandi cisterne poste sul fronte e sul retro della basilica.
La copertura dei corpi nord e sud, in prossimit dei muri di divisione con la
basilica centrale, sinnalzer a formare un nastro vetrato longitudinale, in modo
da diffondere nei corpi laterali lilluminazione idonea alla lettura dei pavimenti
musivi in posto e di quelli rimossi, sistemati lungo le pareti perimetrali.
La cella tricora, nucleo primitivo della basilica ed attuale luogo riservato al
culto, sar separata dagli altri corpi del complesso, mediante una cesura orizzontale vetrata nella copertura; una cortina luminosa che vuole indicare lautonomia
originaria di questa suggestiva e raccolta parte della chiesa. Questa parte della
struttura di copertura sar realizzata in legno con travi lamellari e struttura piana
in pannelli straticati tipo KALBI spessore cm 14 (un lato in abete fugato ed
un lato con osb) coibentazione in polistirene estruso (densit 30 kg/mc)
Il corpo centrale sar costituito da un padiglione quadrangolare di circa
115mq con capriate in legno lamellare di abete trattato: modello centinato
(boomerang), travi in legno lamellare trattato sez. (65 x16cm e 24 x16cm)
legate con piastre e giunti cechi e nodi a vista in acciaio FE430, e unabside
con strutture ad ombrello costruito con travi in legno lamellare trattato di sez.
24 x16cm. Tutta la struttura sar attestata in laboratorio attraverso un premontaggio di tutto il manufatto con verica di portata dei carichi, e conseguente
smontaggio con preparazione di schede di rimontaggio.
E mantenuta in esterno, ed anzi esaltata verso lalto, la possente abside
centrale, che rappresenta, per chi proviene da Madaba, lelemento architettonico dominante, storicizzato nella memoria collettiva.
Laspetto delle cortine esterne, in accordo con la tradizione del luogo, previsto
nella cromia attuale, grazie ad un rivestimento della struttura, costituito in materiale
lapideo in lastre coibentato, con lavorazione e tessitura simile rispetto alla muratura
originaria conservata, ma pi regolare. Le lastre di rivestimento saranno sorrette
ed ancorate ad uno scheletro metallico a griglia legato ai pilastri principali.
La composizione architettonica della nuova copertura sar caratterizzata da
due alte vele trasversali, che idealmente sottolineeranno la differenza cronologica fra la chiesa originaria, la cella tricora ed i volumi successivi.
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Gi Burchardt nel 1812 aveva notato che Seyl Heydan si unisce alle acque del
Wadi Moujib nelle vicinanze delle rovine di Dar el-Riyashe, un luogo ben noto
ai beduini della zona che, oltre allabbondante cacciagione, vi trovavano e trovano
refrigerio nelle acque termali di Ayn al-Qusayb che sgorga bollente a pochi metri
dal letto del wadi, sul versante nord, di fronte alle rovine (Figs. 1-2).
Il primo esploratore a raggiungere e descrivere le rovine arroccate sulla
cima di uno sperone roccioso fu Nelson Glueck che vi giunse l11 luglio 1933.
Lo studioso lo descrisse come un piccolo monastero ed ebbe anche il tempo di
schizzarne una pianta schematica (AASOR, XIV, 1934, p. 54; Pl. 14).
Si tratta di una struttura rettangolare orientata secondo un asse nordovest sud est - scrisse. Sezioni di muri, in particolare quelli del lato di sud
est, che sono praticamente ancora intatti, mostrano tracce di intonaco. Lungo
tuttintera la lunghezza del lato interno del muro di ovest-sud-ovest c una
serie di stanze. Tre sul lato di nord-est che si affacciano su un cortile interno
lastricato con tessere in pietra molto larghe e sommariamente squadrate, di
cui restano conservati alcuni frammenti. Sui due lati del cortile ci sono due
cisterne...Vicino alla cisterna di sud-est, due grosse pietre molto consumate
recano ognuna una croce di Malta scolpita. La ceramica raccolta appartiene al
tardo periodo bizantino.
Ledicio di Deir er-Riyashi, cos difcile da raggiungere, era senza dubbio un monastero. Sullestremit orientale del Deir, sul lato a picco dello sperone roccioso, ci sono chiare scanalature che stanno a indicare dove lacqua e
possibilmente le provviste venivano tirate su, senza che i monaci dovessero
uscire dal loro ritiro.
In tempi moderni, a ne anni ottanta, vi giunto August Strobel dellIstituto Evangelico Tedesco che aggiunge anche questo ai tanti meriti acquisiti
nella esplorazione dellarea impervia e senza strade tra il Wadi Moujib a sud
e il villaggio di Main a nord che oggi diverse strade permettono di attraversare con vedute mozzaato sul deserto e sul Mar Morto. Lesploratore not e
descrisse almeno tre rovine sulla montagna di Qasr al-Bashir alla conuenza
tra il Sayl Heidan e il Wadi Moujib: quello che chiama il schloss/castello, un
secondo che chiama pavillon, e un terzo al quale identicato con festung/
forte. Per le tre rovine i beduini della zona usano lo stesso termine di Qasr
o Dayr al-Riyashi, anche se per le rovine del pavillon isolate su una roccia
al centro di una ampia terrazza, Strobel registra il nome di Tulul Abu al-Filus
evidentemente indicatogli dalla guida. Qui, tra le pietre not un orologio solare
in pietra e pot schizzare una pianta ipotetica di un edicio abbastanza regolare. La terza rovina sarebbe quella vista, descritta e schizzata da Glueck. Una
quarta rovina di un edicio quadrangolare stato aggiunto da Stefan Wimmer
collaboratore e successore di Strobel che sal a Dayr er-Riyashi verso la ne
degli anni novanta.
Affascinato dalla posizione certamente strategica di questi edici nei quali
not stralci di mosaici policromi da lui datati al primo secolo e resti di un pa-
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saggio dei cercatori doro vera iattura delle rovine di Giordania. Seguiamo il
muro che univa la terrazza allo sperone identicato da Strobel con un acquedotto che dirigeva lacqua piovana verso la cisterna al centro delle rovine (gs.
5-6). Le tessere bianche di diverse dimensioni sparse sul declivio rimandano
ai pavimenti mosaicati del cortile e delle stanze di abitazione. Unici ambienti
sicuramente identicabili sono due cisterne, quella scoperchiata al centro del
cortile di cui restano sui muri le partenze degli archi del tetto, e quella sul
versante di ovest ancora in gran parte coperta dal tetto sorretto da un arco
cementato con una malta tenace di cenere, calce e pozzolana. Nei pressi della
cisterna precedente una vaschetta rettangolare era stata ricavata direttamente
nella pietra arenaria rosa della montagna. Nulla che rimandi solo lontanamente
alle costruzioni erodiane!
Delusi ma affascinati dallo spettacolo che da questa posizione si gode sul
fondovalle e in alto verso i dirupi scoscesi che abbiamo attraversato scendendo e che dovremo riaffrontare in salita!, dopo una breve pausa di riposo, pi
che a Erode preferiamo ripensare ai monaci che trovavano in questa forra una
presenza amica e rassicurante nel loro girovagare sulla sponda del Mar Morto
durante il periodo di Quaresima e, se malaticci, anche un sollievo nelle acque
calde di Ayn Qusayb.
Punto di partenza era il monastero di San Giovanni il Prodromos sulla
sponda occidentale del ume Giordano, come racconta lautore della Vita di
Santa Maria Egiziaca: Nella domenica che d il nome alla prima settimana
di digiuni, si celebravano come di norma i divini sacramenti e ognuno veniva reso partecipe del vivicante e incontaminato corpo e sangue del Signore
nostro Ges Cristo. E dopo aver preso un po di cibo si radunavano tutti nelloratorio e piegate le ginocchia e fatta con suppliche una preghiera, i monaci
si scambiavano a vicenda labbraccio della pace e ognuno, inginocchiatosi
pubblicamente, abbracciava labate chiedendo la benedizione, per averlo come
cooperatore e compagno allinizio della lotta. Cos facendo spalancavano le
porte del monastero e cantando allunisono: Il Signore mia luce e mia salvezza, di chi avr timore? Il Signore il difensore della mia vita, di chi avr
paura? uscivano...Ognuno, poi, si nutriva secondo come poteva o voleva. Infatti, uno portava (lacqua) secondo la misura sufciente al corpo, un altro
chi, un altro datteri di palma, un altro poi legumi che erano stati immersi
nellacqua, un altro nulla oltre al proprio corpo e al vestito che indossava.
Si nutrivano poi, -quando lo esigeva la necessit della natura- delle erbe che
nascevano nel deserto. Ognuno, inoltre, era regola a se stesso ed era legge da
non strasgredire che nessuno sapesse come il suo compagno facesse astinenza
o come vivesse. Traversando, infatti, subito il Giordano, si separavano gli uni
lontano dagli altri e nessuno si univa al compagno, ritenendo il deserto stesso
una citt. E se, inoltre, uno di loro vedeva di lontano qualcuno che veniva verso di lui, subito deviava dal cammino e si dirigeva da unaltra parte; viveva,
poi, per s e per Dio, salmodiando di frequente e prendendo cibo al tempo
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identicabile) ricordato sia dal Prato che dalla Vita di Santo Stefano, come
stazione intermedia tra il Giordano (laura di Sapsafas) e il monastero di San
Lot di Zoara (Mar Lut).
M. Piccirillo - C. Pappalardo
Franciscan Archaeological Institute on Mount Nebo
11. Celebrating the 30th anniversary of an important discovery on
Mount Nebo August 31 (Tavv. 68-70)
It was 30 years ago, in August 1976, that a handful of experts from the Studium Biblicum Franciscanum discovered one of the most beautiful mosaics of
Jordan the mosaic of the Old Baptistery Chapel in the Memorial Church of
Moses at Mount Nebo.
The Franciscan Fathers, who have since 1932 been the custodians of this
most revered site holy to the three monotheistic religions could hardly
believe their eyes.
We were working on the restoration of a more recent mosaic, recalls
Father Michele Piccirillo, a pioneer of archaeological work and conservation
efforts in and around Madaba.
As archaeologists, we knew there had to be something underneath. But
we didnt expect anything this beautiful.
Beautiful is in fact the rst word that comes to mind from the rst glance
at this exceptional artwork of the beginning of the 6th century.
The mosaic shows four panels of scenes of hunting and husbandry on a
white background elegantly interrupted by small fruit trees, bushes and ower
branches.
In two hunting scenes, the rst register shows a black man perhaps
representing the African continent holding an ostrich, and a young man
in seemingly Persian clothing perhaps representing the Asian continent
holding a zebra and a curious creature resembling both a dromedary and
a giraffe.
In the second register, a shepherd sits on a rock under the shade of a tree,
watching his goats and sheep graze on the leaves of four small trees. Cunningly
breaking an otherwise perfect, almost monotonous, sequence, the top of the
second tree absolutely identical in both design and execution to the other
three is upside down. After all these years, Father Piccirillo remains as
puzzled as the rst time he noticed it: Perhaps the author simply misplaced
the carton with the reference design!
The third register is perhaps the most dramatic, with two hunters on horses, accompanied by their dogs, spearing a bear and a boar.
The dramatic action continues in the fourth panel, with a young shepherd
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defending a calf from a lion, and a soldier with spear and shield attacking a
lioness, which bleeds bright red blood from her wound.
Deep attention to details is obvious in the clothes and accessories of the
protagonists, but most remarkably in their faces. There, explains Father Piccirillo, a new technique, which will later become the hallmark of the ancient
Madaba Mosaic School, appears for the rst time: The tesserae (or cubes) are
cut smaller and smaller until they are almost reduced to tiny fragments in order
to obtain as naturalistic an effect as possible.
We are before the work of innovators, artists who set a trend that will
eventually characterize all mosaics in the Madaba region.
And these innovators have names: Soel (Suheil), Kaium (Khayam) and
Elia (Elias).
Certainly Arabs, certainly from Madaba, they signed the splendid work
that we were lucky to discover almost intact. (g. 1)
Unfortunately, other mosaics of similar importance were not found intact.
Or, even if they were, they did not remain intact for long.
In this like in many other cases involving artworks, authorities had to
strike a ne balance between the need to preserve these relatively new-found
treasures and the need to show them around the world.
Between 1986 and 1993, some of the most precious Madaba mosaics were
taken on a tour across Europe.
It was a necessary step to showcase an important part of Jordans heritage
and give a much needed boost to archaeological and cultural tourism. But it
was also a move that took its toll on some fragile masterpieces.
It was a necessary evil, to make the world aware of Jordans mosaics,
comments Father Piccirillo.
Today, the restoration efforts directed by the Studium Biblicum Franciscanum have returned most of these mosaics including, for example, the
mosaic of the Priest John Chapel to their original splendor. (gs. 2-4 and
5-7)
Other restoration efforts, namely on the mosaics of St. George and those
in the Church of St. Lot and Procopius are under way.
Central to the conservation of these riches is also the Madaba Mosaic
School, whose students and experts help revive this ancient artistic tradition
in the very city that was once one of the capitals of the nest mosaics in the
entire Mediterranean region.
A strategy to upgrade the Madaba Mosaic School was launched earlier this
month to reposition Madaba as a leading regional centre for the study, restoration, conservation, and production of mosaic art. According to the USAID,
which is funding the strategy, the aim would also be to bring real benets
and opportunities to the people of the Madaba area, with the support of the
public and private sectors in capacity building, training, and entrepreneurial
activities.
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interesse (come i capitelli del Nebo, di Main e quello gurato di Aila - Aqaba).
Da questa panoramica vanno escluse i due capitelli di Princeton (gg. 7-8, p.
126), indicati come provenienti da Gerasa e datati al V-VI secolo, ma che sono
invece fabbricati per il palazzo omayyade di al-Muwaqqar e datati allepoca di
Yazid II ovvero allVIII secolo (si veda Hamilton R.W., Some Eight Century
Capitels from el-Muwaqqar, in QDAP, XII, 1946, pp. 63-69). Non manca un
esame attento dei materiali utilizzati nella produzione locale che va dal marmo
per i manufatti liturgici sino al locale scisto bituminoso verosimilmente impiegati nellVIII secolo come alternativa al marmo di importazione pi difcili da
reperire in quel contesto storico (si veda anche Talgam R., The Stylistic Origins
of Umayyad Sculture and Architectural Decoration, Weisbaden 2004).
Una breve sintesi dedicata ai manufatti ceramici presentata da E. Villeneuve (La cramique de Jrash au temps des glises. Un aperu des productions et des importations, pp. 148-150). Lo studio offre una cernita tipologica
e cronologica della produzione ceramica della citt di Gerasa dal V allVIII
secolo.
La seconda sezione del volume dedicata ai mosaici si apre con uno studio
di J. Balty, La place des mosaques de Jordanie au sein de la production orientale (pp. 153-188). Il contributo della studiosa offre una valutazione di sintesi
delle tipologie iconograche e stilistiche dei pavimenti musivi di area giordana
elencati in ordine cronologico. Il collocamento di tali motivi in un contesto
pi ampio di produzione musiva Medio Orientale dimostra la persistenza di
alcuni motivi tradizionali di epoca tardoantica ed esalta le tendenze innovative
operate dai locali mosaicisti, quale segno inconfondibile della grande creativit
delle maestranze.
P. Canivet con Quarte et les mosaques dglises du IVe sicle au VIe
sicle en Syrie Seconde (pp. 189-197) presenta lo scavo del complesso ecclesiale di Huarte (Apamea) costituito da una chiesa doppia. Il primo edicio di
culto, dotato di un battistero, sorge alla ne del IV secolo o nei primi anni del
V sopra una cavit utilizzata come memoria. Nella seconda fase, ne V- inizi
VI secolo, sorge una basilica detta di Fotio destinata al culto ed una seconda
discosta a nord, dedicata a S. Michele e dotata di un battistero proprio. LA.
descrive le ricercate decorazioni musive rinvenute nel complesso soffermandosi in particolare su quelle del Michaelion ove si riscontra il motivo di Adamo
tra gli animali ed una scena di trasporto di reliquie.
Le tre campagne di scavo susseguite nel sito del palazzo omayyade di
Qastal al-Balq hanno permesso agli autori P. Carlier e F. Morin di descrivere
un contesto di occupazione estremamente articolato (si veda Qastal al-Balq mosaques omayyades civiles 685-705 apr. J.-C.). Il latifondo omayyade
sorge su strutture preesistenti ed formato da un grande palazzo a due piani,
dotato di cisterne sottostanti il cortile centrale, moschea e cimitero nonch un
impianto di irrigazione delle terre vicine. I vani delledicio palatino risultano
tutte decorate a mosaico pavimentale la cui decorazione aniconica costituita
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che attraverso le iscrizioni musive scoperte nel territorio ove sono annoverati
donatori di rango ecclesiastico (vescovo, presbitero, ecc.), laici (di vario rango
ed importanza sociale) e mosaicisti. In questo contesto il ruolo principale viene
attribuito al vescovo quale promotore e testimone dei lavori di edicazione,
restauro o abbellimento compiuti mentre altri ecclesiastici possono comparire
sia ex ofcio o nella veste di donatori. Il ruolo dei laici sembra circoscritto invece allofferta vera e propria anche se non viene mai menzionata lentit della
stessa (si veda anche Hamarneh B., Evergetismo ecclesiastico e laico nella
Giordania bizantina ed omayyade nel V-VIII secolo. Testimonianze epigrache,
in Vetera Cristianorum, 33, 1996, pp. 57-75).
Il volume si conclude con un abstract in inglese, arabo e francese ed un
agile indice topograco, va altres sottolineato laggiornamento bibliograco
di numerosi contributi ed il grande interesse delle problematiche affrontate
dagli autori ancora oggi attuali malgrado la lunga attesa della pubblicazione del
volume, segno inconfondibile della grande importanza storica ed archeologica
rivestita dai monumenti cristiani della Giordania. La continuit dellindagine
archeologica e le numerose scoperte manifestano la lunga durata delloccupazione cristiana del territorio e la vitalit dei centri urbani e rurali in epoca
omayyade, uninsieme che offre nuovi spunti per le ricerche a riguardo, ci
auspichiamo che vi siano altre occasioni per riprendere il dibattito scientico
sulle tematiche di archeologia bizantina non solo del territorio della Giordania
ma anche dei paesi adiacenti.
Basema Hamarneh
G. W. Bowersock, Mosaics as History. The Near East from Late Antiquity to
Islam, London 2006.
Con piacere abbiamo ricevuto e letto questo ultimo lavoro del Prof. Glen Bowersock che riesamina i mosaici scoperti nel Medio Oriente, in particolare
quelli da noi valorizzati e riportati alla luce in Giordania, per una sintesi storica e una conclusione che ci trova completamente daccordo nellinterpretarli
come evidenza di un continuum culturale della Antichit Tardiva che non
deve escludere il primo periodo islamico : From these images the uses of
Hellenism among Jews, Christians, and pagans alike emerge with clarity...
The coherence and tolerance in this disparate world explain the deep peace
that most of Palestine, Syria and Transjordan enjoyed over many centuries...
The late-antique Near East was a kind of miracle, and its like has never been
seen in that region again.
Lattenzione dello studioso si sofferma sulla Carta musiva di Madaba e sulle rappresentazioni architettoniche, come come testimonianza della coscienza
urbana della societ medio-orientale rimodellata dalla cultura greca, sui miti
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Beyond the River. Ottoman Transjordan in Original Photographs, R. S. Abujaber and F. Cobbing, Stacey International 2005 (240 pp.).
Un bel libro che copre un vuoto di documentazione fotograca riguardante i
monumenti e gli abitanti della Transgiordania del XIXmo secolo di cui siamo
debitori a pari merito agli esploratori del XIXmo secolo e ai responsabili attuali del Palestine Exploration Fund, come pure ai due curatori del volume, in
particolare allamico Raouf Abu Jaber che ha messo ancora una volta a disposizione delleredit culturale di Giordania la sua vasta conoscenza della storia
umana delle sue trib ereditata nella sua famiglia, di cui aveva gi dato prova
magistrale qualche anno fa con la pubblicazione di Pioneers over Jordan. The
Frontier of Settlement in Transjordan, 1850-1914, London 1989.
Le foto pubblicate provengono dallarchivio del Palestine Exploration
Fund, la benemerita istituzione londinese alla quale tutti gli studiosi che operano nellarea sono debitori.
Un capitolo introduttivo riassume la storia dellesplorazione della regione
da Ulrich Seetzen (1807) e Burckhardt (1812) no al viaggio del Decano Arthur Stanley of Westminster che dopo aver visitato la regione nel 1852-53 fu
uno dei cofondatori del PEF nel 1865. Due anni dopo, 1867, giunse in Giordania Charles Warren membro della Societ che con altri colleghi degli Ingegneri
Reali riuscirono a misurare ed esplorare 650 miglia quadrate di territorio tra
Jerash e Salt e nella Valle del Giordano. Del gruppo faceva parte il Caporale
Henry Phillips al quale dobbiamo le prima ricca documentazione fotograca
dei monumenti di Transgiordania. Successivamente giunsero Palmer nel 1869
e H.B. Tristram canonico di Durham nel 1872, seguiti nel 1881dalla breve ma
intensa missione guidata dal Capitano Claude Reignier Conder con il Tenente
Mantell come fotografo della spedizione. Nel 1895 giunsero Frederick Jones
Bliss and Charles Alexander Hornstein che lasciarono un archivio di foto di
ottima qualit, seguiti da Duncan Mackenzie e da Francis Newton che visitarono la Transgiordania nel 1910 durante il loro impegno di scavo in Palestina
a conto del PEF.
La documentazione divisa in capitoli inizia con la Depressione del Mar
Morto in particolare con foto dedicate al Mar Morto e al ume Giordano, sale
sullaltopiano con le citt della Decapoli e specialmente di Amman e di Salt,
scendendo verso Madaba con una ricca documentazione dei dolmens del Wadi
Hesban, della sorgente di Ayn Mousa e della facciata di Qasr Mushatta, e poi,
oltre il Mujib, verso il Moab con il castello di Kerak, e in Edom con i monumenti di Petra. La splendida carrellata accuratamente commentata termina
con la documentazione riguardante la Rivolta Araba durante la Prima Guerra
Mondiale. Il libro chiude con un Appendice dedicata ai fotogra in ordine
alfabetico le cui foto sono state utilizzate nella pubblicazione.
Particolarmente interessante il capitolo secondo dedicato alle trib di
Transgiordania e ai loro shaikh attori di primo piano in questa storia della
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et des reliquaires trouvs ou suspects dans bien des cas. Je nai retenu que les
reliquaires dment dcrits photographis ou dessins et souvent conservs sur
place ou placs dans les muses. Jai donc retenu 241 reliquaires rpartis sur
129 sites (glises ou baptistres) et 21 reliquaires conservs dans les muses
des grandes villes dOccident ou dOrient.
Ltude des formes des reliquaires seules et leur emplacement dans les
glises risquait de limiter la comprhension de leur fonction et de leur fonctionnement. Il ma paru alors intressant de rechercher dans les textes contemporains, les rcits de plerinages, les homlies et autres sources littraires
comme les vies des saints et de stylites, les traces des pratiques liturgiques.
Ltude des textes apporte un certain nombre dinformations la fois sur la
frquence et le rle grandissant du culte des reliques, comme sur lutilisation
de lhuile sanctie coulant des reliquaires dans les processus de vnration
et ceux de gurison, associs la pratique de lincubation. Mais ces textes
manquent de prcisions permettant de restituer les architectures et il est rare de
pouvoir faire concider un monument conserv avec un texte prcis. Dautant
que les grands monuments dans lesquels se droulaient ces rites ont malheureusement souvent disparu, cest le cas de la cathdrale dAntioche et de
lglise de Csare, ou alors ces btiments ont t profondment transforms
et remanis lors de phases ultrieures comme le St-Spulcre, la cathdrale de
Tyr ou le mmorial du Mont Nbo.
Concernant la liturgie proprement dite, qui ne mtait pas familire au
dbut de ma recherche, jai commenc de tenter comprendre et tent dtudier llaboration des diverses liturgies orientales. Cest une tache qui sest
avre extrmement difcile. En effet, les dbuts de la liturgie orientale sont
trs mal connus et continuent de faire lobjet de spculations parfois contradictoires qui tentent de rapprocher les dcouvertes archologiques de quelques
textes qui nous sont conservs. Jai pu constater la suite dAndr Grabar
que lvolution architecturale la plus patente, en rapport avec lvolution de
la liturgie outre celle des baptistres, est celle qui est due au dveloppement
du culte des reliques, du moins pour la Syrie-Palestine, ce qui ntait peut-tre
pas le cas Constantinople.
Lorsque jai entrepris ce travail, jai remarqu quil existait peu douvrages
traitant uniquement des reliquaires. Par exemple, outre le volume de Buschhausen, maintenant incomplet pour lOrient, louvrage d Y. Duval concernait,
lui, les reliquaires dAfrique du Nord (Duval Y., Loca sanctorum africae, le
culte des martyrs en Afrique du IVe au VIIe sicle, 2 volumes, collection de
lcole franaise de Rome 58, Rome, 1982). Depuis ces ouvrages, ltude
des reliquaires nouvellement dcouverts dans la partie orientale de lEmpire
a t entreprise au sein des architectures des sites tudis. Cest le cas des
sites de Jordanie et de Syrie-Phnicie. Pour ces pays, trois auteurs ont fait
la synthse de ces dcouvertes et jai pu en tirer prot. Je veux parler de
G.Tchalenko pour la Syrie du Nord, de P. Donceel-Vote pour la Syrie et le
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Liban et dA. Michel qui a prsent dans un volume la synthse des travaux
de M. Piccirillo pour la Jordanie.
Concernant la Palestine, on dispose du volume de Tsafrir pour les fouilles
rcentes et des tudes et conclusions dA. Negev, pour les glises du Nguev.
Cette dernire synthse aurait besoin dtre reprise, la faveur des nouvelles
recherches, car les conclusions nen sont pas toujours satisfaisantes.
Si plusieurs reliquaires prsents dans les muses de Syrie et dIsral manquent de provenance prcise, il faut aussi rendre compte de certaines fouilles
rcentes, bien menes, qui ont considrablement amlior notre connaissance et
notre comprhension de certaines glises. Je veux parler, plus particulirement
de Ras el-Bassit en Syrie, dHippos-Sussita en Isral-Palestine, ainsi que de StHilarion de Gaza. Ces tudes archologiques nouvelles bnciant de mthodes
scientiques et bases sur des recherches plus nes ont permis de faire avancer
la connaissance des phases dutilisation des glises et de commencer replacer
dans le temps lvolution du culte des reliques, comme celui, eucharistique.
Je prsenterai prsent le sujet en trois points :
1er point : Comment ai-je abord la question du classement typologique
des reliquaires :
Lapproche adopte a t typologique et descriptive. Elle a permis de constater
une varit limite dans les formes des reliquaires de pierre, marbre, mtal et
verre. Lapparition de ces formes qui pour certaines se retrouvent dans une
grande partie de lEmpire semble avoir t dans ses nuances et pour certaines
formes, inuence par des habitudes et des choix rgionaux qui privilgient
par exemple les grands reliquaires en forme de sarcophage et en forme de
stle en Syrie du Nord et les plus petits reliquaires-sarcophages en Palestine
et Arabie. La forme en caisse, petite ou moyenne se trouve en Palestine et en
Syrie et un nouvel exemple conserv au muse de la Flagellation Jrusalem
vient de mtre signal. La forme encastre dans le mur me parat rserve
la Syrie du Nord, et des exemples qui sy apparentent viennent de mtre
indiqus par A. Desreumaux, venant de Diyarbkir en Asie Mineure.
Deux autres formes : la forme ovale, en capsella de mtal, ou en ampoule
de verre ont t adoptes pour protger les reliques places lintrieur de
reliquaires de pierre ou de marbre et malgr la raret de ces trouvailles qui
se sont produites la fois en Jordanie, sur la cte syrienne et en Palestine, il
apparat que ces formes sont gnralises tout lOrient. Comme pour la forme
en sarcophage rpandue dans tout lEmpire, des exemples existent galement
en Bulgarie, en Asie Mineure, en Afrique du Nord et en Italie.
Pendant la priode tudie qui stend du IVe au VIIIe sicle, il ne semble
pas quil y ait eu une modication radicale dans les formes. Ce qui frappe
cest plutt la multiplication et le dplacement des reliquaires.
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les reliquaires de fondation placs sous lautel, sans systme de sanctication ou qui lont perdu.
Plusieurs cas observs en Palestine et Jordanie ont une double fonction de
fondation et de vnration quand les reliques restent accessibles sous lautel et
peuvent donc tre soit temporairement exposes, soit simplement touches.
Plusieurs dplacements dans la position des reliquaires ont t observs.
Par exemple en Syrie, des pices annexes, ils sont parfois approchs du chur,
placs devant la barrire de chancel. Ailleurs, en Palestine seconde et en Arabie, depuis les pices annexes, ils sont dplacs vers lautel ou sous lautel.
Dans les glises possdant des cryptes il peut galement exister plusieurs
ples de vnration, comme Rehovot-in-the Negev (dans la crypte et dans
une pice annexe).
Environnement, emplacement et fonction sont trs interdpendants. Jai
pu mettre en vidence, en montrant le grand nombre de reliquaires attests, la
place minente qui leur est rserve (souligne par les textes contemporains)
et le rle important pris et conserv par les reliques, pendant la plus grande
partie de la priode tudie.
Quen est-il du fonctionnement :
Grce aux fouilles rcentes dUmm al-Rasas, de Sussita-Hippos, de Ras
el-Bassit, certains lments rests en place permettent de se faire une ide du
fonctionnement de certains reliquaires :
Les reliquaires contact : pouvaient tre poss sur une table ou un socle
quelconque et une baguette tait introduite dans lorice du toit.
Les reliquaires circulation dhuile : devaient permettre la rcupration
de lhuile sainte dans des ampoules eulogies, les plus petits reliquaires
devaient tre surlevs.
Les reliquaires circulation interne avaient peut-tre un systme de rcupration de lhuile sanctie, mais il nous chappe.
3e point : Les rapports avec larchitecture et la liturgie
Cette importance du rle des reliques souligne par les textes est galement
notable dans lobservation de lvolution de larchitecture et des installations
liturgiques qui mon avis ont du tenir compte de lintroduction et du grand dveloppement de ce culte, corollaire et partie prenante du culte eucharistique et pas
seulement culte annexe. Les propositions de Lassus et de Grabar qui ont montr
la place minente occupe par les martyrs et linuence que lintroduction de
leur culte a eue sur larchitecture extrieure et intrieure des glises dOrient, me
paraissent, avec quelques nuances, toujours dactualit, malgr les rticences de
certains auteurs qui dans des articles rcents tendent minimiser cette place.
Jai dabord abord la liturgie par le biais des traces laisses par les
installations liturgiques fermant le chur et certains autres espaces. Mon but
625
626
RICERCA IN GIORDANIA
LA 56 (2006) 627-704
RECENSIONI
Backes B.
631
Bernhauer E.
632
Bolshakov A.O.
633
635
636
637
639
640
642
645
648
Kovacs J.L.
652
Harris M.J.
WindusStaginsky E.
Schmitt H.H.
Vogt E. (ed.)
Luz U.
Chenu B.
Serra A.
Brambilla F.G.
Loader W.
McGinn S.E.
Iovino P.
658
630
RECENSIONI
MarcheselliCasale C.
662
Biguzzi G.
669
Lenzi G.
672
674
677
Charlesworth J.H.
(ed.)
678
Dez Fernndez F.
679
685
Fedalto G.
686
Fedalto G.
686
Ligato G.
686
Ligato G.
686
Efrem il Siro
Pepi L.
Serani F.
Fontana M.V.
(a cura di)
Guidobaldi Guiglia A.
Barsanti C.
Santa Soa di Costantinopoli (A. Acconci)
688
631
Backes Burkhard, Das altgyptische Zweiwegebuch. Studien zu den SargtextSprchen 1029-1130 (gyptologische Abhandlungen 69), Harrassowitz Verlag,
Wiesbaden 2005, xiv-466 pp., 1-16 tavole, 98 rilegato
LA. si propone di ricostruire il testo originale del cosiddetto Libro delle due
vie (Ldv) dellantico Egitto, un libro sulle vicende del defunto nelloltretomba,
utilizzando i detti 1029-1130 dei Testi dei sarcofagi (di solito designati come
CT VII, 1029-1130 secondo ledizione The Egyptian Cofn Texts, a cura di A.
de Buck - A.H. Gardiner, vol. VII, Chicago 1961).
Backes nota che in genere la critica testuale ancora interesse di un circolo
ristretto di studiosi di area tedesca, mentre al di fuori di essa non considerata
affatto.
Egli intende condurre una ricerca di critica testuale che sia accessibile anche ai non addetti ai lavori, tenendo conto dei limiti di tempo della sua ricerca,
che frutto di una tesi dottorale elaborata in circa 3 anni. Per cui lA. avverte
subito circa i limiti della sua ricerca, affermando che spera di porre domande
e proporre argomenti che potranno spianare la strada verso la soluzione del
problema del Ldv, non pi di questo.
Backes vede la critica del testo non come ne a se stessa ma in funzione
dellanalisi del contenuto dei testi. In effetti il volume comprende due parti
principali: appunto la critica del testo (pp. 7-239) e il commento sul contenuto
delle singole sezioni che compongono il Ldv (pp. 243-429). Nel commento
lA. si confronta in particolare con L. Lesko, The Ancient Egyptian Book of
Two Ways, Berkeley etc. 1972.
Backes solleva delle riserve circa la designazione comune dei detti CT
1029-1130 come Libro delle due vie, per il fatto che questa designazione
corrisponde solo ad una parte del complesso, che pi ampio e include anche
delle sezioni attestate altrove in forma indipendente. Inoltre la sequenza dei
detti non sempre evidente, anche se si rileva una certa coerenza nel succedersi delle sezioni.
I risultati della critica del testo sono pi difcili da riassumere che non
quelli dellanalisi del contenuto. Per quanto riguardo lo stemma del Ldv riferisco soltanto che Backes identica due rami principali, con varie contaminazioni e collegamenti, e presenta la sua ipotesi di un archetipo del testo
originale, indicato come a, in tutte le 8 sezioni che egli identica (cf. prossimo
paragrafo), con abbondanti note esplicative e traduzione.
Riguardo al contenuto, Backes identica 8 sezioni, cos delimitate in base
ai detti dei CT: 1) 1029-1033 partenza del defunto con la Barca del Sole; 2)
1034-1068 prima sezione delle due vie, con una via superiore attraverso
il cielo e una inferiore nelloltretomba; 3) 1071-1088 seconda sezione delle
due vie e tomba di Osiride; 4) 1089-1098 nella zona del dio-luna Thot e
della barca del dio Sole; 5) 1099 funzioni e attivit del defunto; 6) 1100-1117
passaggi delle porte delloltretomba e zone di Horus; 7) 1118-1124 nella zona
632
RECENSIONI
della Barca di Osiride nel cielo orientale poco prima del sorgere del sole; 8)
1125-1130 ultima salita del defunto sulla Barca del Sole e conclusione.
Riguardo alla sequenza logica dei testi appare che lo scopo nale il
viaggio del defunto con la Barca del Sole, un tema che compare n dallinizio
(CT 1029, 1030 e 1033), come anche un viaggio del defunto insieme al dio
Sole verso lorizzonte orientale che si verica nelle sezioni 2 e 3, che sono le
sezioni delle due vie, dove si introduce anche lo scopo intermedio del viaggio,
che la visita a Osiride. Da parte loro le sezioni 4 e 5 promuovono la causa
del defunto che viene associato al dio Thot e alle sue attivit beneche.
La seguente sezione 6 descrive larrivo del defunto allorizzonte passando
attraverso una serie di porte. Nella sezione 7 compare una seconda volta la
zona di Osiride. Il defunto lo visita e si comporta con lui come glio e ba del
dio e come il dio Thot che lo riporta in vita.
Nellultima sezione, poco prima dellalba, il defunto passa per una serie
di porte, poi allontana il mostro Apo che minaccia di affondare la Barca del
Sole, come gi nella sezione 4. Passato questultimo pericolo, il defunto si
trova nella parte nord del mare di fuoco come il primogenito del dio primordiale e sotto la sua protezione come il dio Sole.
Lo scopo nale dei testi la rigenerazione notturna del defunto, che
largomento dellultimo detto (CT 1130), il pi famoso della serie.
Il defunto acquista dunque uno status di altissimo livello, no ad essere
indispensabile come glio primogenito del dio Sole e come glio o ba di
Osiride. Da un lato, la risurrezione di Osiride signica sia per il Sole che per
il defunto stesso il ritorno alla vita e il godimento di tutti i beni. Dallaltro, il
defunto anche presentato come aiutante di Thot, il quale cura locchio ferito
del dio sole Ra e allontana il suo nemico Apo, e anche risuscita il corpo di
Osiride e gli assicura un successore.
Alviero Niccacci, ofm
Bernhauer Edith, Hathorsulen und Hathorpfeiler. Altgyptische Architekturelemente vom Neuen Reich bis zur Sptzeit. Mit einem Vorwort von Christian
E. Loeben (Philippika. Marburger altertumskundliche Abhandlungen 8), Harrassowitz Verlag, Wiesbaden 2005, xvi-132 pp., 45 tavole, 48
Nella presentazione al volume della Bernhauer, Loeben nota che tra le attrattive
dellarchitettura dellEgitto Antico spicca la capacit di rendere certi elementi
vegetali, per loro natura di breve durata come il papiro, il loto o la palma, come
simbolo di eternit, dando la loro forma a elementi architetturali. La colonna
a forma di papiro la pi normale in Egitto Antico nellarchitettura di tutti i
tempi, ma nel Nuovo Impero comincia la colonna detta di Hathor, la dea della
musica, per lo pi con la rappresentazione del sistro che era lo strumento a lei
633
sacro. Si verica cos non solo la natura fatta pietra ma anche la musica
fatta pietra.
In conformit al titolo del libro, che nomina colonne e pilastri a forma
di Hathor, lautrice Bernhauer precisa che le prime sono quelle di forma circolare, i secondi quelli di forma quadrangolare o poligonale. Il modello vegetale
delle colonne si spiega con il fatto che lideologia egiziana vedeva il tempio
come limmagine delluniverso: il pavimento era la terra, il softto, spesso
decorato con stelle, era il cielo e le le di colonne di papiro rappresentavano
il boschetto di papiro e le colonne a palma il boschetto sacro di Buto.
Dato che le colonne e i pilastri di Hathor non sono stati ancora oggetto di
una ricerca diretta, lA. conduce un esame dettagliato e molto tecnico su vari
templi, tenendo conto anche degli scavi recenti. Prima illustra in generale la
concezione e lo sviluppo delle colonne e dei pilastri, del sistro e del tempietto
che compare a modo di corona sulla testa di Hathor, varie forme della testa di
Hathor e dei suoi sostegni in rapporto alla divinit principale femminile, spesso
Hathor stessa, nei vari templi (pp. 3-44).
Segue lesame di vari templi a partire dal Nuovo Impero al terzo Periodo
Intermedio (pp. 45-120). Essi sono: la cappella di Hathor nel tempio funerario
di Hatshepsut, lo Speos Artemidos, il tempio di Satet a Elefantina, la cappella
di Hathor nel tempio di Tutmosi III a Deir el-Bahari, il santuario di Hathor
presso il tempio funerario di Tutmosi III, il tempio di Ameno III a El-Kab, il
tempio di Sedeinga nella Nubia, un frammento di capitello nel tempio di Luxor, il tempio della Maat nel recinto di Montu a Karnak, il piccolo tempio nel
Ramesseum, il tempio di Hathor di Mens, il piccolo tempio di Abu Simbel, il
recinto cultuale di Abu el-Naga a ovest di Tebe, il tempio di Bastet a Bubastis,
il tempio di Hathor a Timna nel Sinai, il tempio di Serabit el-Chadim, il tempio
settentrionale di Buhen nella Nubia.
Lanalisi seguita da unappendice con la riproduzione delle iscrizioni dei
sostegni di Hathor (pp. 121-132), dalla lista delle riproduzioni, delle tavole e
da 45 tavole in bianco e nero.
Alviero Niccacci, ofm
Bolshakov Andrey O., Studies on Old Kingdom Reliefs and Sculpture in the
Hermitage (gyptologische Abhandlungen 67), Harrassowitz Verlag, Wiesbaden 2005, 277 pp., XLII tavole, 98 rilegato
Il libro la prima pubblicazione completa della relativamente piccola ma interessante collezione di oggetti dellAntico Impero egiziano conservati nel museo
del Hermitage di S. Pietroburgo.
In una lunga introduzione Bolshakov racconta la storia della collezione
egizia, che in quanto tale non rientrava negli interessi originari del museo n
634
RECENSIONI
stata il frutto di scavi diretti. Mentre no al 1891 gli oggetti dellAntico Impero, pubblicati dal curatore W.S. Golnischeff, erano solo 3, presto diventarono
quasi 2500 in seguito allacquisto di una collezione privata e ad altri acquisti
dal mercato antiquario in Egitto.
Il merito maggiore della raccolta va a N.P. Likhatchev, che non era un
egittologo ma un epigrasta interessato ai sistemi antichi di scrittura. In occasione del suo viaggio in Egitto nel 1908, egli collezion diversi oggetti che
rappresentano i vari stadi della graa egizia. Nonostante i problemi delle rivoluzioni del 1917 e dellesilio di Likhatchev, la collezione fu salva. Tornato
dallesilio, Likhatchev si incontr con Y.Y. Perepelkin che divenne una gura
chiave dellegittologia russa del XX sec. Perepelkin per non riusc a studiare
la collezione stessa, compito che appunto ha portato a termine il suo discepolo
Bolshakov.
Provenendo la collezione da privati e da antiquari, si pone il problema della datazione degli oggetti. A questo scopo lA. segue i criteri avanzati da G.A.
Reisner e da H. Junker, mentre ritiene erronei quelli di N. Cherpion.
La collezione del Hermitage qui pubblicata comprende 22 pezzi databili
allAntico Impero o ad un periodo di poco posteriore. I pezzi sono ordinati in
tre gruppi: sculture, rilievi e blocchi iscritti, pietre di offerta e una paletta per
unzione, e sono disposti in ordine cronologico.
Di ognuno Bolshakov presenta i dati riguardanti il numero di inventario,
la datazione, il materiale, le dimensioni, lo stato di conservazione, la provenienza nota o ricostruita, la storia dellacquisto, la bibliograa e i monumenti
o oggetti paralleli.
Lanalisi molto dettagliata si avvale in modo considerevole dei mezzi graci digitali, fornisce in abbondanza disegni, ricostruzioni, oltre alla trascrizione e traduzione dei pochi e brevi testi che vi sono contenuti. Di ogni oggetto
si studiano in dettaglio i paralleli dello stesso periodo, conservati nei musei
di Cairo, Copenhagen e Cambridge, in vista di stabilire la lettura, la funzione e la data dei diversi oggetti sia per quanto riguarda la decorazione che le
iscrizioni.
Molti oggetti sono pubblicati qui per la prima volta o erano pubblicati solo
in russo e quindi erano per lo pi non accessibili agli egittologi.
Lanalisi corredata dallindice dei re, persone private, titoli, epiteti, divinit, edici, provenienza e collezionisti. Segue la bibliograa, la lista delle
abbreviazioni e delle aggiunte e inne 42 tavole con le foto in bianco e nero
degli oggetti.
Questo catalogo potr essere una base preziosa per tracciare uno studio
sempre pi approfondito dei vari problemi della storia e delle concezioni dellAntico Impero egiziano.
Alviero Niccacci, ofm
635
636
RECENSIONI
637
articoli specici dedicati anche agli autori rappresentativi del periodo, illustrato
con 13 tavole genealogiche delle dinastie ellenistiche, 200 foto di monete, 150
opere darte e piante di edici e di citt. Di sicura utilit anche la tavola nale con
gli episodi pi signicativi del periodo che vanno dallanno 359 (Filippo II re di
Macedonia) al 63 d.C., ne del Regno del Ponto che diviene provincia romana.
Per il riferimento diretto al mondo biblico facciamo notare il lungo lemma
Juden (cols 485-506) e quelli dedicati agli Hasmoner (cols 385-389) e ai
Makkaberbcher (cols 659-661).
Michele Piccirillo
Luz Ulrich, Studies in Matthew, William B. Eerdmans Publishing Company,
Grand Rapids MI - Cambridge, U.K. 2005, xii-285 pp.
This book gathers eighteen studies on Matthews Gospel, translated in English
for the rst time. The authors innovative work ranges broadly over the critical issues of Matthean studies, including the narrative structure and sources
of the Gospel. Different studies present the christology of Mt, his theology
of discipleship, of miracles, and of Israel. Several chapters establish the hermeneutical principles underlying Luzs famous commentary on Matthew. The
author is predominantly conscious of the Gospels reception history, a history
of interpretation linking with the past that determines many of the questions,
categories, and values. German exegetes call this method the Wirkungsgeschichte. Studies in Matthews Gospel thus constitutes a contribution to biblical
hermeneutics as well as to exegesis.
The Gospel of Matthew is a book intended to be read as a whole and not in
small parts or pericopes. It must be read not just once but many times. Matthews
Gospel is not a collection of material for teaching. It is written to be read aloud.
The kerigma had to be proclaimed in assemblies. The rst four Beatitudes start
with the same Greek letter pi. The rst and the second part of the Beatitudes have
the same number of words as Di Lella has shown it. The Gospel makes signicant demands to its readers. The hypothesis of the author is that the evangelist
expressed himself in a comprehensible way to his audience.
His argument is based on a great number of formal elements observable
in the Gospel. Among them are keywords. In the Sermon on the Mount, as
many authors, especially T. Soiron, have underlined it, Matthew repeats the
word righteousness ve times and the word father fteen times. These two
keywords express the theology of the Sermon on the Mount. In Mt 8-9 the
keyword to follow occurs nine times, and in chapters 11-12 there are eleven
instances of the keywords judgment. In each case the keywords are central
to the theme of the passage. Only a reader following the whole text can get
aware of this occurrence.
638
RECENSIONI
The same has to be said of repetitions. Matthew has not only received
doublets from his sources, such as the two feedings of the crowds or the two
demands for signs. He himself has formed repetitions, such as the passage on
the tree and its fruit (7:15-20; 12:33-35), the healing of two blind people. Since
Matthew creates such doublets through his own redaction, it is impossible to
reproach to him his awkwardness when he adopts doublets from his sources.
He repeats what is important to him, and once again this can be noticed only
by reading the whole text of his Gospel.
There are other signals in the Gospel, distinctive features in the narrative
which point beyond their immediate context. The prologue is full of such signals, Emanuel, son of Abraham, Galilee of the Gentiles, the mountain
on which Jesus refuses the devils proposal of the kingdoms of the world, or
the strange episode of 2:3-4 in which all Jerusalem, all the chief priests and
scribes of the people, and Herod are united in fear when three Gentiles, the
Magi, ask where the Messiah has been born: all these are signals pointing
to what Matthew will later narrate concerning Jesus rejection by all Jerusalem
and the future mission to the Pagans. Only readers attentive to the end of the
Gospel shall discover theses literary inclusions. Only at the end the risen Lord
promises to his disciples to be with them till the end (Emanuel). During the
Passion narrative Jesus is rejected by the chiefs of his people. He appears to
his disciples in Galilee, not in Jerusalem, as Luke and John have it.
The use of gematria is also common in Matthews Gospel. The genealogy
division into three parts of 14 groups invites the reader to see Jesus as the son
of David, whose gematria is 14.
Since it is impossible to summarize all these articles, we shall content
ourselves giving the Table of Contents which shows the variety of the volume:
Matthews Story (Mt the evangelist and The Gospel of Mt: A New Story of
Jesus); Matthew and his tradition (Mt and Q; Fictionality and Loyalty to Tradition in Mts Gospel in the Light of Greek Literature); Christology (Matthean
Christology outlined in theses; The Son of Man in Mt); Ecclesiology (The
disciples in the Gospel according to Mt; Discipleship: a Matthean Manifesto
for a Dynamic Ecclesiology; The primacy saying of Mt 16,17-19 from the
perspective of its Effective History); Ethics (The fulllment of Law in Mt);
Miracles (The miracle Stories in Mt 8-9); Matthew and Israel (anti-Judaism in
the Gospel of Mt as a Historical and Theological Problem: an Outline); Hermeneutics with Matthew in mind (Reections on the Appropriate Interpretation
of NT Texts; The signicance of the Church Fathers for Biblical Interpretation
in Western Protestant perspective; Can the Bible still be the foundation for a
Church today? Canonical Exegesis and Hermeneutics of Effective History,
Hermeneutics of Effective History and the Church; The Signicance of Mts
Jesus Story for Today).
Frdric Manns, ofm
639
640
RECENSIONI
in rassegna). Il capitolo termina con alcune riessioni attualizzanti ispirate allepisodio di Emmaus nel suo versante personale e comunitario. Per citare solo
qualche esempio, Chenu, riprendendo una vecchia immagine di Martin Luher
King, ritiene che la chiesa deve fare contrasto con il mondo circostante, essere
termostato, incidendo sullopinione comune, piuttosto che termometro, cio
riettendola (p. 118). Oppure pi avanti, quando sottolinea con un pizzico di
polemica lesigenza di una prassi eucaristica, integrale ed equilibrata: Nella
prospettiva di Emmaus, difcile non criticare la sopravvalutazione della dimensione sacricale delleucaristia in rapporto alla dimensione comunionale
e conviviale, la focalizzazione sulla passione di Cristo a scapito della proclamazione del mistero pasquale. I discepoli di mons. Lefebvre farebbero meglio
a rendersene conto. Il Crocisso il Risorto (p. 120).
In queste poche righe non possibile rendere conto di tutta la ricchezza del
breve saggio di Chenu. Il volumetto pu essere divorato in un giro di alcune
ore, ma non penso che sia questo il modo pi adatto della sua lettura. Esso pu
soddisfare le esigenze di un lettore impegnato che cerca uno strumento serio, nutrito della teologia biblica, per una riessione, una meditazione o semplicemente
per stimolare la propria crescita spirituale. Un benecio particolare ne potranno
trarre quanti operano direttamente nel campo pastorale e catechetico.
In questo libro Chenu ha saputo dare uno sguardo completo seppure panoramico sullaffascinante testo di Luca e ci ha lasciato inoltre in eredit una
specie di testamento spirituale, concreta dimostrazione del fatto che instaurare
un rapporto fecondo tra ricerca scientica e impegno pastorale, tra esegesi e
prassi personale ed ecclesiale non rappresenta solamente un pio desiderio.
Lesaw Daniel Chrupcaa, ofm
Serra Aristide, Una spada tragger la tua vita (Lc 2,35a). Quale spada?
Bibbia e tradizione giudaico-cristiana a confronto, Servitium - Marianum, Palazzago BG - Roma 2003, 359 pp.
La monograa di un esperto nel campo mariologico punta a delucidare il senso
del celebre oracolo di Lc 2,34-35, in primo luogo la portata della frase in cui
Simeone predice il ferimento di Maria (della sua anima, sinonimo di vita)
con una misteriosa spada: kai souv aujthv th\n yuch\n dieleu/setai rJomfaia
(v. 35a). Lespressione, lungi dallessere intesa in senso letterale, rappresenta
una metafora di ispirazione biblica. Questa specicazione si rivela senzaltro
preziosa, bench non sia facile poter scoprire in modo immediato e univoco il
valore proprio della metafora lucana, data la multiforme ricchezza della simbologia biblica.
In effetti, come dimostra lo studio di Serra, la profezia del santo vegliardo
si presta a varie interpretazioni, di cui due in particolare hanno trovato una
641
larga accoglienza lungo i secoli. La prima, che al giorno doggi sembra anche
la pi diffusa nellimmaginario collettivo, ravvisa nella spada la profonda
esperienza del dolore provato da Maria durante la passione e morte del Figlio.
La seconda interpretazione scorge invece nella spada un simbolo della Parola di Dio. Le due interpretazioni sono complementari dal momento che la
Vergine Maria si lasciata sempre attraversare/guidare/illuminare dalla mistica
spada che simboleggiava il disegno divino predetto nelle Scritture, principalmente nellora della passione del Figlio.
Il lavoro articolato in tre parti che riprendono il contenuto di tre articoli
pubblicati dallA. nella rivista Marianum, con ritocchi e aggiunte redazionali.
La prima parte esamina il termine spada come gura della Parola di Dio
allinterno dellAT (Salmi; Is 49,2; 2Mac 15,15-16; Sap 18,15-16), dellantica letteratura giudaica (Filone, Qumran, Giuseppe Flavio, Targum, Talmud,
Midrash) e del NT (Ebr 4,12-13; Ef 6,17; Ap 1,16; 2,12.16; 19,15.21). Al
di l delle varie accezioni, nellinterpretazione biblica giudaica e cristiana
si ritrova una semantica di base del termine spada: essa uno dei simboli
pi emergenti della Parola, nella quale si manifesta il disegno, la legge o la
volont di Dio, che si incarnano nelle successive e alterne vicende della storia
salvica.
La seconda parte ferma lattenzione sul modo in cui la tradizione cristiana
dei secoli II-XIV ha riletto la profezia di Simeone. Una ben nutrita rassegna
di commenti (circa novanta) dei padri e scrittori ecclesiastici, divisi secondo
larea di provenienza (orientale e occidentale), mira ad illustrare i quattro temi
essenziali racchiusi nel brano lucano: la rovina e la risurrezione (v. 34a), il
segno di contraddizione (v. 34b), la spada (v. 35a), i pensieri di molti cuori
(v. 35b). Questa immersione nella storia degli effetti del testo biblico porta
a interessanti osservazioni. Quanto al passo di Lc 2,35a, veniamo a scoprire
che la tradizione cristiana, pur mantenendo un comune interesse per il valore
gurativo, segue due loni paralleli. Per i padri e gli scrittori greci la spada
della profezia di Simeone soprattutto simbolo della parola di Dio, mentre
quelli latini preferiscono piuttosto vedere in essa la sofferenza materna di Maria durante la passione del Figlio.
Nella terza e ultima parte lA. si addentra nellesegesi di Lc 2,34-35, approfondendone il senso alla luce delle piste di ricerca individuate dalla tradizione
giudaica e cristiana. Lanalisi del brano lucano nellampio panorama dellopera
di Luca una riconferma della semantica espansa del termine spada. Anche
per Luca limmagine di questa arma sta a signicare la parola di Dio (oltre a Lc
2,34a cf. in tal senso Lc 22,36), che rivela il progetto predisposto e realizzato
da Dio nella vicenda di Ges di Nazaret. Alla missione del Figlio strettamente legata la missione della Madre che compie anche (ma non solo) con il suo
dolore la volont di Dio.
Il volume completato da un variegato indice analitico di indubbia utilit.
Parimenti saranno gradite al lettore le conclusioni di ciascuna parte, in cui
642
RECENSIONI
643
riguardanti il tema della ricerca. Luca mostra una predilezione per il verbo
zhte/w (nelle sue varie forme esso compare 17 volte sulla bocca di Ges, 14
volte usato dal narratore e 2 volte da altri soggetti) che sembra costituire un
elemento importante della trama del racconto (cf. lo schema dettagliato a p.
22-23 e quello riassuntivo a p. 24). Ne convinto anche il nostro A. al punto
da denire Luca come discepolo (narratore) della ricerca di Colui che il
maestro stesso della ricerca (loriginario narratore) (p. 27). In questo modo
Luca ha saputo riunire insieme la prospettiva di Marco che presenta i suoi
personaggi in stato di ricerca e la linea di Matteo che pone invece laccento su
Ges come maestro della vera ricerca. Ne consegue allora che nei vangeli (sinottici), e ci vale in primo luogo per Luca, la ricerca principio generatore
del racconto, sia perch ne determina la struttura (concentrica), sia soprattutto
perch si pone allorigine del movimento dinamico della narrazione.
Del ricco materiale lucano sulla ricerca Brambilla ha voluto soffermarsi
sui sette brani, scelti secondo alcuni criteri. In primo luogo si interessato ai
racconti in cui Ges appare come loggetto diretto della ricerca da parte dei
suoi familiari o seguaci. Questo aspetto emerge nelle sezioni pi esterne del
terzo vangelo: in Lc 2,39-52, dove Ges viene cercato dai genitori, Maria e
Giuseppe, e nellepisodio parallelo di Lc 24,1-12, in cui le donne non trovano
nel sepolcro il corpo del Crocisso.
Ges viene cercato anche da parte di un gruppo, le folle o le autorit. Un
esempio della ricerca condotta dalla folla labbiamo nel brano studiato di Lc
4,42-44. Qui la ricerca di Ges motivata da un bisogno personale, quello cio
di ottenere da lui un concreto benecio: la guarigione sica. Al lato opposto
si pone la ricerca di Ges da parte delle autorit religiose e politiche che si
sforzano invece di farlo perire per proteggere i propri interessi.
Nei racconti di Lc 9,7-9 e Lc 19,1-10 vengono presentati due capi, rispettivamente il tetrarca Erode e larcipubblicano Zaccheo, che manifestano il
desiderio di cercare Ges (si noti la somiglianza letteraria tra 9,9: kai ezh/tei
idein aujto/n e 19,3: kai ezh/tei idein to\n Ihsouvn), ma con esiti completamente
opposti. Colpisce soprattutto lepisodio di Zaccheo, forse il testo pi bello
sulla ricerca di Ges (p. 123), dove si incrocia in modo esemplare la ricerca
da parte di un uomo che ha ritrovato in Ges la salvezza e la ricerca da parte
del Figlio delluomo, venuto a cercare e salvare ci che era perduto.
Nel cuore della sezione centrale del terzo vangelo, il cosiddetto viaggio
di Ges verso Gerusalemme, si trova il brano che mette in luce lassolutezza
della ricerca del regno di Dio: Lc 12,22-32. Con questo brano giungiamo
al centro del nostro cammino, non solo nel senso cronologico, ma anche
in senso teologico (p. 97); il cuore della predicazione di Ges e il
principio generatore della sua azione (p. 107). Qui, a differenza di altri testi,
non abbiamo un episodio, ma una istruzione di Ges in forma sapienziale che
culmina nellaffermazione di cercare sempre e prima di qualunque altra cosa
il regno di Dio.
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place, whether it is sought or not (p. 118). Questa conclusione, per il suo lato
estremo, tuttaltro che certa. Essa esclude infatti la possibilit di un rinnovamento dellalleanza matrimoniale, come viene invece prospettato da Paolo che
raccomanda ai divorziati di intraprendere la strada della riconciliazione (1Cor
7,11). In ogni caso, i testi di Matteo e Paolo sul divorzio dimostrano chiaramente che, pur cercando le nuove vie duscita per le situazioni matrimoniali in
crisi, rimane sempre valida la legge del matrimonio indissolubile, cos come
stata annunciata da Ges nella controversia con i farisei (Mc 10,2-12//Mt 9,312; oltre ad esserne infastidito, non capisco il motivo per cui Loader denisce
sempre questi e altri racconti evangelici come anecdotes / aneddoti; una pura
predilezione o lindice di qualche signicato?).
Il cap. III, il pi lungo di tutti, dedicato al celibato (Celibacy and Hope:
Interim Choices; p. 121-229). Questo stato di vita strettamente legato con
la sequela di Ges. Letto nel suo contesto storico, dove la famiglia e il matrimonio erano in grande stima, la radicalit del discepolato voluto da Ges,
che contemplava anche labbandono della famiglia e la rinuncia al matrimonio (Mc 10,29-30//Lc 18,29-30; Mk 3,31-35; Mt 8,18-22//Lc 9,57-62), poteva
davvero apparire inaudita. La causa di questa nuova prospettiva va ricercata
nellavvento del regno di Dio, capace di ridimensionare sia la vita presente sia
quella futura. Infatti, solo in questa ottica diventa comprensibile leunuchia
volutamente scelta (Mt 19,10-12) e la visione di un eone futuro in cui non
c posto per le relazioni terrene. Anche il sesso e il matrimonio, per quanto sembri paradossale, cesseranno la loro funzione, quella procreativa, come
suggerisce il paragone con gli angeli immortali (Mc 12,18-27 e parr.). Loader
ha probabilmente ragione nel rilevare questa limitazione che non tiene conto
dellaspetto unitivo del matrimonio, ma qui il fatto piuttosto marginale; al
di l del motivo colpisce soprattutto leliminazione dal regno dei risorti dei
rapporti matrimoniali.
Parlando del celibato, Loader presenta i casi di celibi eccellenti (Ges,
Giovanni Battista, Paolo; non sembra invece dare molto peso alla verginit di
Maria, almeno a quella che la teologia cattolica chiama virginitas post partum:
Both Matthew and Luke assume Mary and Joseph would have assumed normal sexual relations after Jesus was born [p. 209]; purtroppo lA. non dice su
che cosa in concreto si fondano le sue supposizioni). Nonostante una valutazione molto positiva del celibato nel cristianesimo primitivo (1Cor 7 analizzato a
lungo e con molta cura; e Ap 14,4-5), Loader tiene a sottolineare, e a ragione,
che la legge del celibato non costituisce per un seguace di Cristo un obbligo
n tantomeno una necessit assoluta. There is a strong tradition of celibacy
within the Jesus tradition. It is seen as an option, or, better, a calling or gift
(p. 215). Di conseguenza, il matrimonio, pur avendo una funzione limitata alla
cornice del mondo creato, non deve essere assolutamente deprezzato di fronte
al celibato che nel tempo presente annuncia e anticipa in maniera imperfetta
la realt denitiva del regno di Dio.
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principali motivi teologici dello scritto paolino e le attuali tendenze della sua
interpretazione.
(1) La sezione di apertura raccoglie tre studi di carattere esegetico-teologico. Nel primo saggio (Did Paul Have a Covenant Theology? Reections on
Romans 9:4 and 11:27, p. 3-19) J.D.G. Dunn si propone di dimostrare che
una visione antitetica tre le due alleanze: quella antica (la legge) e quella nuova
(il vangelo), fortemente sottolineata nella teologia luterana, non corrisponde
di fatto al pensiero paolino. Dallanalisi di Gal 3,15.17; 4,24; 1Cor 11,25;
2Cor 3,6.14; Rm 9,4; 11,27 emergono due importanti conclusioni: il concetto
di alleanza (diaqh/kh) non era un tema dominante nella teologia di Paolo
(p. 19: the covenant theme was not a central or major category within his
own theologizing quasi una frase-ritornello di Dunn) e la nuova alleanza,
preconizzata dai profeti (Is 59,21; Ger 31,31-34; Ez 36,25-27), va compresa
come una attuazione pi efcace degli obblighi dellalleanza di Yhwh con il
popolo di Israele, mai superata quindi, ma aperta ora alla (com)partecipazione
dei popoli pagani. In short, Pauls talk of covenant is not central to his theologizing, nor a point of distinction within Second Temple Judaism (p. 14).
J.B. Gibson discute nel suo studio (Pauls Dying Formula: Prolegomena to an Understanding of Its Import and Signicance, p. 20-41) la portata
retorica della formula di morte riferita a Ges (1Ts 5,9-10; Gal 2,21; 1Cor
8,11; 15,3; 2Cor 5,15; Rm 5,6.8; 14,9) e ritenuta la pi importante di tutte le
formule confessionali contenute nelle lettere paoline (M. Hengel). Paolo non
stato tuttavia lunico ad usarla fra gli scrittori del NT (cf. ad es. Gv 11,50-51;
1Pt 3,18) e questo modo di esprimersi doveva essere familiare ai suoi uditori
pagani. Infatti, nella letteratura greco-romana del tempo si parla spesso di uno
che muore per qualcuno (oltre 100 volte, secondo i calcoli di Gibson). Ma
la somiglianza solo linguistica. In aperta polemica con il mondo antico, che
mediante questa formula intendeva inculcare e rinforzare i valori dellideologia
imperiale (la guerra, la violenza e la forza bruta come mezzi per costruire la
civilt e procurare la salvezza), Paolo, al contrario, ribadisce che la morte
di Ges di Nazaret, Signore e Figlio di Dio, implica altri valori: umilt, abnegazione, dedizione universale e amore per i nemici. Questa conclusione,
basata su uno studio meticoloso delle fonti letterarie extra-bibliche, sembra
convincente (perlomeno in via di principio), anche se richiederebbe ancora di
essere concretamente vagliata sui testi di Paolo.
Il contributo di G.F. Snyder ripercorre la storia dellinterpretazione della
Lettera ai Romani (Major Motifs in the Interpretation of Pauls Letter to the
Romans, p. 42-63). Lintenzione quella di far vedere, attraverso esempi
concreti, in che modo lesegesi del testo paolino, e di alcuni suoi passi in
particolare (ad es. Rm 1,16-17; 5,12; 13,1-7), ha inuenzato lungo i secoli la
teologia e lesistenza cristiana. Questo continuo e forte inusso sta ad indicare
limportanza e la centralit della lettera di Paolo, nel passato, al presente ma
anche per il tempo avvenire. James Dunn speaks of Romans as a template
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for Pauline theology. One might even aver that Romans is the template for the
Christian faith It will speak again and again, but always in new ways, to
answer present questions (p. 63).
(2) Alla critica retorica della Lettera ai Romani, un metodo che riscuote
un grande favore tra gli esegeti moderni, sono dedicati tre contributi. W.S.
Campbell (All Gods Beloved in Rome!. Jewish Roots and Christian Identity, p. 67-82) tenta di chiarire, a partire dallo stile argomentativo di Paolo,
il problema dei rapporti interni nella comunit romana fra i cristiani di razza
ebraica e quelli di origine pagana. Un problema complesso e accresciuto anche
dalla presenza dei proseliti che, abbracciando la fede in Cristo, erano propensi
a rigettare i precedenti legami con il giudaismo. Paolo non condivide tuttavia
lidea che la fede in Cristo implica una netta separazione dalle radici ebraiche
(e lo dimostra anche il suo esempio: pur chiamato, egli non ha smesso di
essere un israelita), ma non richiede neppure come necessaria lassunzione
della prassi ebraica da parte dei pagani incorporati nella discendenza di Abramo. Chi , dunque, il cristiano? Lunit nella diversit il tipo dellidentit
cristiana in grado di riassumere al meglio il pensiero di Paolo. Thus originally
there was no one inclusive term to describe all believers in Christ. There were
simply groups of Jewish and Gentile believers distinguished by their differing
life-styles (p. 82).
Lo studio di J.D. Hester (The Rhetoric of Persona in Romans: Re-reading
Romans 1:1-12, p. 83-105) intende confermare la proposta di J. Jewett, di
considerare cio Rm come una lettera diplomatica, anche se di fatto essa non
utilizza tutti gli elementi di questo genere epistolare. Lanalisi retorica di Rm 1,112 (qui lA. si scosta dalla magioranza degli interpreti che fanno iniziare il corpo
della lettera nel v. 16), prima allinterno della lettera e poi secondo i criteri della
teoria della convergenza simbolica (Symbolic Convergence Theory), permette
di conoscere lintenzione di Paolo e insieme lo scopo della sua lettera: non tanto
pastorale-etico quanto piuttosto teologico ed evangelico. Infatti, in vista di un
nuovo compito missionario (Rm 15,24), Paolo ha voluto assicurarsi il sostegno
dei cristiani di Roma e proprio per legittimare la sua persona di apostolo delle
genti ha dovuto esporre il suo insegnamento (paideia).
Il contributo di W. Wuellner (Reading Romans in Context, p. 106-139),
decisamente il pi lungo, ma anche il pi impegnativo, si immerge nei meandri
della critica retorica che scruta linterrelazione tra lautore, il testo e il lettore
reale o implicito. In particolare, lo studio intende dimostrare che il testo e il
contesto (dellautore e del lettore/dei lettori) sono complementari fra di loro.
Il procedimento comprende due parti: teorica (dove vengono esposti i principi
generali delle teorie dellargomentazione, dellintenzionalit e dellazione) e
pratica (in cui queste teorie retoriche vengono applicate al testo di Paolo, soprattutto a Rm 1-6). Uno studio tuttaltro che facile per chi ignora le leggi della
retorica, ma capace di illuminare vari aspetti irragiungibili ad es. dal metodo
storico-critico.
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red writ). Infatti, come fanno vedere le analisi comparative di K.A. Burton
(Regarding Henry and the Dicovery of Grace, p. 207-221) e di L.D. Hurst
(Six-Gun Savior: George Stevens Shane and Pauls Letter to the Romans,
p. 240-252), riguardanti i due noti lms di generi alquanto diversi (rispettivamente, il drammatico Regarding Henry di M. Nichols del 1991 e il western
Shane di G. Stevens del 1952), la teologia di Paolo ancora capace di
illuminare e orientare la vita delluomo di oggi. La stessa intenzione si cela
dietro la proposta pedagogica di L. Halteman Finger (Getting Along When
We Dont Agree: Using Simulation and Controversy to Help Students and
Lay Persons Interpret Romans, p. 222-239) che, per rendere vivo e attuale
il messaggio biblico, da anni e con successo propaga un gioco interattivo di
simulazione in cui gli studenti, rivestendo i panni dei cristiani della chiesa di
Roma, si sforzano di capire il senso della lettera indirizzata ad essi da Paolo.
Se questi (ed altri ancora) metodi di ermeneutica moderna non potranno mai
sostituirsi alla classica ricerca biblica, essi si presentano tuttavia come mezzi
legittimi e complementari, e in certi contesti e ambienti perno necessari, al
ne di incarnare nel mondo attuale la Parola di Dio. E penso che anche Paolo,
cos ingenioso nella sua multiforme opera missionaria, non avrebbe nulla da
obiettare in merito.
Come si pu vedere da questa sommaria presentazione, gli studi compresi nella presente collezione si distinguono, e non solo per metodo, volume
o indirizzo. Nellinsieme essi offrono nondimeno un ventaglio abbastanza
ampio di problematiche che riguardano la Lettera ai Romani, in grado da
incuriosire un lettore esigente ma anche quello meno preparato. Alcuni contributi infatti desteranno linteresse degli esegeti del testo paolino (Dunn,
Gibson, Hester, Wuellner), altri serviranno ai principianti come agili piste di
introduzione (Snyder, Campbell, Lampe, Osiek), altri ancora potranno ispirare
quanti sono coinvolti nel campo della pastorale (Burton, Halteman Finger,
Hurst) o chi nutre un interesse particolare per la promozione della dignit
umana (McGinn, Tamez, Thimmes). Una polifonia di riletture, in denitiva,
che rende omaggio al capolavoro del genio di Paolo e, insieme, ad uno dei
suoi illustri interpreti.
Lesaw Daniel Chrupcaa, ofm
Kovacs Judith L. (trans. and ed.), 1 Corinthians. Interpreted by Early Christian Commentators (The Churchs Bible), William B. Eerdmans Publishing
Company, Grand Rapids, MI / Cambridge, U.K. 2005, xxix-340 pp.
Dopo quello dedicato al Cantico dei Cantici, questo il secondo volume di una
nuova collana che si propone di far conoscere linterpretazione della Bibbia
nel primo millennio cristiano.
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usare il gergo moderno, sono: Giovanni Crisostomo (74 testi), Agostino (49),
Origene (40), seguiti da Ambrosiaster (18), Teodoreto di Ciro (17), Severiano
di Gabala (12), Cirillo di Alessandria (11) e Gregorio di Nissa (11), e poi da
tutti gli altri (da 7 a un testo). 1Cor 1,26-31 il brano con il maggior numero
dei commenti (9), altri ne hanno generalmente da 3 a 5, ma ci sono pure quelli
con uno o due. Varia anche la lunghezza dei testi: da alcune righe no a 2 pagine (il pi lungo in assoluto, 4 pagine, un commento di Gregorio di Nissa
a 1Cor 15,28). Oltre a questi dati statistici sarebbe interessante conoscere il
criterio con cui i testi sono stati scelti; purtroppo, leditore non ha precisato
questo particolare.
Ben indovinata mi sembra la scelta di far risaltare nei testi patristici i passi
della Scrittura, quelli della 1Cor mediante il grassetto e tutti gli altri mediante
il corsivo. Molto utile anche la prima delle tre appendici, in cui vengono date
brevi informazioni sugli autori delle opere citate; e la terza appendice che contiene un piccolo glossario dei nomi propri (di eresiarchi e gruppi ereticali). In
chiusura abbiamo gli abituali indici (dei nomi, dei termini, dei passi biblici).
Con il presente volume (e quelli che verranno in seguito) viene illuminato
uno scritto e un periodo importante della storia dellesegesi cristiana della Bibbia. Ne possono beneciare molti: laici impegnati, predicatori della Parola di
Dio, studenti di scienze teologiche e bibliche, ma anche gli stessi esegeti che,
in mezzo a tanti metodi e approcci moderni, con gli occhi ssi sullo stile o sulla retorica, rischiano a volte di perdere di vista il vero senso del testo biblico.
Entrare in dialogo con lesegesi antica pu aiutare a ritrovare un giusto equilibrio tra la scienza e la vita, nonch rendere pi ricca e vivace linterpretazione.
Lesegesi cristiana non cominciata con Bultmann! questo in ultima analisi
il messaggio semmai ce ne fosse il bisogno che viene da questo eccellente
volume e dalla collana che sta facendo i suoi primi passi.
Lesaw Daniel Chrupcaa, ofm
Harris Murray J., The Second Epistle to the Corinthians. A Commentary on
the Greek Text (The New International Greek Testament Commentary), William B. Eerdmans Publishing Company, Grand Rapids, MI / Paternoster, Milton Keynes, U.K. 2005, cxxviii-989 pp.
Il nuovo commentario della prestigiosa collana NIGTC, dedicato alla 2 Lettera ai Corinzi, opera del professore emerito di esegesi e teologia del NT al
Trinity Evangelical Divinity School (Deereld IL). Il controverso scritto di
Paolo sembra particolarmente caro a M.J. Harris che ha avuto gi loccasione
di commentarlo nel 1976.
Preceduto da una Prefazione dellautore, dalla lista di Abbreviazioni e sigle, e soprattutto da una ben nutrita Bibliograa (oltre 100 pagine), il corpo
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concentrica. Pur riportando nei dettagli le analisi degli altri, egli preferisce
concentrare lattenzione sul contenuto della lettera pi che sulla sua forma
o sulle tecniche di composizione. Per raggiungere questo ne Harris limita
la sua esegesi alle questioni di critica testuale, grammatica e sintassi, generalmente trascurate nei commentari moderni. Egli convinto infatti che la
comprensione teologica del testo dipende in buona parte dalla comprensione
della grammatica (p. xiv: at root Christian theology is grammar applied to
the biblical text; Scripture cannot be understood theologically unless it has
rst been understood grammatically). E su questo punto difcilmente potr
essere smentito, anche se la sua marcata predilezione per il solo prolo grammaticale e sintattico lo espone al rischio di una critica da parte dellesegesi
retorico-letteraria.
La metodologia utilizzata da Harris nel suo commento trasparente e lineare. Dopo aver introdotto con poche frasi il contenuto di una sezione o di
un brano, viene proposta la traduzione, seguita da osservazioni di critica testuale (dove sono valutate tutte le varianti presenti nella 27a edizione di Nestle
- Aland) e dalla spiegazione del testo versetto per versetto; a chiudere vi un
elenco bibliograco.
Harris esamina il testo con rigore e acribia, onesto nel riportare con tono
moderato le opinioni degli altri e convincente nelle sue proposte, sempre ben
motivate. Talvolta lA. non teme di esplorare nuove vie di interpretazione storico-critica, come, ad esempio, nel commento a 2Cor 3,13. Il punto discusso in
questo passo il motivo per cui Mos poneva un velo sul suo volto. Gli esegeti propongono al riguardo un ventaglio di ipotesi. Invece di sceglierne una,
Harris offre unaltra spiegazione. A suo parere, nel v. 13b vanno distinti due
motivi strettamente legati fra di loro: to prevent the people of Israel from
gazing steadily until the end of what was fading away / per prevenire il
popolo di Israele dal guardare sso il ne di quello che stava per scomparire.
Il primo motivo dipende da Es 34,35, dove si dice che Mos per evitare
che il popolo, spaventato e sbalordito, ponesse troppa attenzione al suo volto
radiante invece che al contenuto del messaggio di Dio si copriva la faccia
con un velo. Ma per Harris vi sarebbe un altro motivo che Paolo renderebbe
mediante il participio sostantivato touv katargoumenou. Quello che stava per
scomparire non si riferisce soltanto alla gloria del volto di Mos, ma contiene
anche unallusione allantica alleanza (h palaia diaqh/kh) e al suo ministero
di durata limitata. Pertanto, il volto coperto di Mos , insieme, il simbolo
dellefmero splendore (do/xa; 2Cor 3,7-8) e della transitoriet dellantica alleanza (vv. 11). Secondo il suo stile che punta allessenziale, Harris si sente
quindi di poter concludere: On this view the purpose of Moses veil was to
prevent preoccupation with outward (cf. 5:14) and to point to the temporary
character of the whole Mosaic system of covenant and law. The rst purpose
is explicit (pro\ to\ ktl.); the second is implicit in the neuter substantive touv
katargoumenou (p. 300).
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Oltre alla precisione e alla capacit di muoversi tra le varie posizioni esegetiche, c un altro aspetto di questo commentario che merita di essere segnalato, bench possa interessare principalmente un pubblico di lingua inglese.
Harris si mostra molto sensibile alla traduzione; infatti, la sua proposta, fondata
come si detto su una previa analisi grammaticale e sintattica del testo,
viene confrontata in maniera sistematica con altre traduzioni moderne del XX
secolo (oltre una decina). Inoltre, alla ne del volume, il lettore trover in
appendice una parafrasi ampliata di 2Cor (p. 943-962). Per sapere di cosa si
tratta, cito a titolo di esempio il passo di 2Cor 1,1, prima in traduzione letterale
e poi in quella parafrasata:
Paul, an apostle of Christ Jesus by the will of God, and Timothy our
brother, to the church of God that is in Corinth, together with all Gods people
who are in the whole Asia.
This letter comes from Paul, a special envoy of Christ Jesus commissioned by the will of God, and from our Christian brother and collegue Timothy
who is well known to you all, and is addressed to the church of God as it is
found in Corinth, along with all of Gods chosen and holy people who live
anywhere in the province of Asia.
Per concludere, possiamo dire che Harris ha sicuramente prodotto un solido commentario di tipo classico (in questo caso si tratta di un pregio!), frutto
di una lunga esperienza e di grande perizia. Anche la veste editoriale dellopera
merita apprezzamento1. Gli esegeti della 2Cor in genere, e gli studenti delle
scienze bibliche in modo particolare, saranno riconoscenti per questo prezioso
strumento che si riveler di indubbia utilit per le loro ricerche.
Lesaw Daniel Chrupcaa, ofm
1
Ho potuto notare solo alcuni incidentali errori o sviste tipograche: p. xxvi: Allo (abbrev. della
collana, due volte): Bib invece di bib; p. xxxvii: Bring (nel titolo): seine Glauben invece di sein
Glauben; p. lxxxix: Kremendahl (nel titolo): Verhaltnis invece di Verhltnis; p. xcv: Ollrog (nel titolo): seiner Mitarbeiter invece di seine Mitarbeiter; p. xcviii: Pesch (nel titolo): Paulus-neugesehen
invece di Paulus - neu gesehen; p. cviii: N. Schneider (nel titolo): der paulinischen invece di der
paulinischen Antithese; p. 33: egw invece di egw; p. 70 nota 173; p. 161 linea 1: facie34 ?; p. 164-66:
eliminare i punti alla ne dei titoli; p. 222 in Bibliography: G. Friedrich: (il primo) Neukirchener
invece di Neukirchen; p. 264 nota 29 ultima riga: en pneu/mati qeou invece di en pneu/mati qeouv; p.
305 linea 2 a destra: anaginwskhtai invece di anaginwskhtai; p. 345 linea 22: Ihsou invece di
Ihsouv; p. 348 linea 22: dia Ihsoun invece di dia Ihsouvn; p. 351 linea 15: phv pistew invece di
thv pistew; p. 354 linea 3: manca uno spazio; p. 357 in Bibliography: M. S. Ferrari: paulinschen
Peristasenkataloge invece di paulinischen Peristasenkatalogen; p. 382 linea 3 da sotto: enduein
invece di endu/ein; p. 399 linea 6: (il primo) perpatein invece di peripatein; p. 412 nel testo di 5:11:
qeiqomen invece di peiqomen; p. 423 linea 25: uJper aujtwn invece di uJper aujtwn; p. 499 nota 19:
pneumatkoi invece di pneumatikoi; p. 538 nel testo di 7:10: ergazetai invece di ergazetai; p. 734
linea 16: anecesqe invece di anecesqe; p. 766 linea 12: emauton invece di emauto\n; p. 812 linea 4:
zhvlw invece di zhlw; p. 872 linea 3 da sotto: exouqen hmeno invece di exouqenhmeno.
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RECENSIONI
Iovino Paolo, Lettere a Timoteo. Lettera a Tito (I Libri Biblici. Nuovo Testamento 15), Paoline Editoriale Libri, Milano 2005, 303 pp., 28
La nuova versione con il commento alle due lettere a Timoteo e della lettera
a Tito di P. Iovino inserita nella serie I Libri Biblici, pubblicata da Paoline
Editoriale Libri. Se volessimo essere pi precisi e indicare una pi esatta collocazione scientica nella stessa collana, diremmo che sarebbe da porre tra
lalta divulgazione esegetica della Lettera ai Galati proposta da A. Vanhoye e
la grande specializzazione del commento alla 1Corinzi di R. Fabris, o quello a
Ebrei di C. Marcheselli-Casale, che presenteremo in seguito.
Iovino, infatti, senza rinunciare al suo rigore interpretativo, sembra aver
preferito quello che usando una sua parola potremmo chiamare unespansione pastorale ed ecclesiale, che poi lo scopo primario che la stessa collana
si era proposta allinizio e che ha preservato no ad ora, nonostante le evidenti
rettiche sopraggiunte in seguito.
Ci non un difetto, ma una descrizione dello stile da lui preferito, naturalmente a vantaggio di coloro che lo leggono e tenendo conto delle effettive
possibilit operative del suo stato. Lesito , tuttavia, pregevole e anche originale, nel rispetto della convenzione imposta ai contributori della serie. A una
prima parte dedicata ai problemi introduttivi (pp. 15-56), segue una seconda
riservata a traduzione e commento dei tre testi (pp. 61-229). Una terza per
il messaggio teologico, che di fatto comprende questo stesso (pp. 233-250),
la loro posizione nel canone che, in realt, mette in evidenza i loro rapporti
con lAntico Testamento (pp. 251-255), e i problemi della loro interpretazione, costituiti da paragra per lo pi dedicati alle relazioni intertestuali con le
lettere di Paolo.
Qui (pp. 257-261), egli espone le tesi retoriche di C. Marcheselli-Casale,
Le Lettere Pastorali a Timoteo e Tito. Analisi letteraria e strategia retorica
e quelle teologiche di A. Pitta, Paolo dopo e al di l di Paolo: il paolinismo
nelle Pastorali, luno e laltro pubblicati in Il deposito della fede. Timoteo e
Tito, a cura di G. De Virgilio (Suppl. Riv. Bibl. 34), Bologna 1998, pp. 19-38
il primo, pp. 39-52 il secondo.
Il resto dedicato ai loro rapporti con altre tradizioni, in particolare quella giovannea (p. 262), ma anche quelle teologiche supposte di derivazione
liturgica (1Tm 1,17 e 6,15-16), confessionale (1Tm 2,5-6 e 6,12-13), o innica
(1Tm 3,16; 2Tm 2,8.11-13): in particolare, 1Tm 2,6 e Mc 10,45 (il Figlio
dellUomo che d la sua vita in riscatto per tutti); 1Tm 6,13 e Gv 18,32 (Ges
testimone della verit); 2Tm 2,8 e Rm 1,3-4 (risurrezione di Cristo e sua discendenza davidica); 2Tm 2,11-13 e Rm 6 (catechesi battesimale su morte
e vita nuova); ma anche con Mt 10,32-33 e Lc 12,8-9 (il Cristo giudice che
rinnegher coloro che lo avranno rinnegato) (pp. 263-265).
Quanto alle tradizioni etiche (pp. 265-267), vede la ripresa di Rm 13,17 in Tt 3,1 per la teologica politica; ma anche echi della catechesi sugli
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RECENSIONI
nella seconda generazione apostolica, per colmare il vuoto di autorit che si era
creato, ricorrendo alla ripresentazione attualizzante della gura dellapostolo e
del suo vangelo (pp. 25 e 42-43).
Ma nella discussione Iovino sobrio, come in tutto il resto, anche se determinante per il suo assenso a questa attuale tendenza esegetica pare che sia
stata lassenza dei grandi temi della teologia paolina (p. 26), naturalmente
unito con altri motivi non secondari che rendono lipotesi della stretta autenticit problematica.
Stupisce, tuttavia, che egli opti per una origine giudeo-cristiana e per un ambiente del giudaismo della diaspora. Tale, infatti, il Sitz im Leben che egli propone
(pp. 42-45), accettando la tesi di H. Merkel, Le lettere pastorali, 20-22.
Su questo, forse, sarebbe opportuno riettere pi a lungo. A noi sembra
che non basta il richiamo al Cristo dalla stirpe di Davide (ek spermatos
David), quale di legge in 2Tm 2,8, se da tutti riconosciuto non essenziale
alla logica del discorso, e quindi aggiunto come una eco da Rm 1,3. E la
ripresa del logion da Mc 10,45 sulla vita da lui data in riscatto (lytron) per
tutti, riproposto in 1Tm 2,6 (antilytron), avrebbe dovuto in qualche modo
dissuadere da tale ambientazione del testo: manca proprio la formula il Figlio dellUomo (ho hyios tou anthropou), che era essenziale in quel modo
di pensiero, e al suo posto apparso il semplice uomo (ho anthropos), che
certamente una ripresa da Gv 19,5 (idou ho anthropos), ma in un contesto
che non pu essere denito giovanneo e quindi, neppure indirettamente
giudeo-cristiano. Anzi, c un esplicito invito a non curarsi (1Tm 1,4) o a
tralasciare (Tt 1,14) tutto ci che poteva avere a che fare con il giudaismo
o con racconti giudaici.
Per il resto, la nuova versione dei testi da lui proposta piana e la severa
verica della prof. Anna Passoni dellAcqua avr trovato poco da retticare,
data la cura evidente con cui egli ha voluto rispettare il ductus del testo originale, da cui raramente si distacca a favore della sintassi dellitaliano.
Ci gli accade due volte nella 2Tm. In 2Tm 1,2, il lettore nota subito laggiunta di che ti diano grazia, misericordia e pace, che amplica lo scarno saluto
iniziale (p. 177). In 2Tm 1,6.12 dove il testo originale ha per due volte la formula
relativa dihen aitian per evidenziare la rigorosa successione della logica argomentativa, da lui rispettata nel primo traducendo Per questo motivo, ma annullata nel secondo con la proposizione indipendente: questa la causa (p. 182).
Ma anche per la traduzione della locuzione pistos ho logos, noi avremmo
preferito una maggiore coerenza, che la mettesse in evidenza in conformit alla
intenzione originaria. Se lA. convinto che il logos di riferimento in realt
il messaggio e il contenuto della didaskalia, altrove indicato in modo paolino
come to euaggelion (p. 260), allora sarebbe stato opportuno un unico omologo
in italiano: la parola.
Ma lui, Iovino, preferisce la variatio retorica e muta signicato secondo
contesto. In 1Tm 1,15 traduce Questa affermazione sicura e degna di fede
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(p. 65); in 1Tm 3,1 ha Degno di fede il detto (p. 78); in 1Tm 4,9 Questo
discorso degno di ducia (p. 102); in Tt 1,9 nalmente aderente alla parola
degna di fede (p. 145); in Tt 3,8 di nuovo Questo discorso degno di ducia
(p. 161); e in 2Tm 2,11 ancora vero il detto (p. 194).
Il tutto, in ogni caso, ci ha realmente convinto, eccetto punti dove noi
avremmo scelto in modo diverso, nel rispetto del testo. In 1Tm 1,4 a disegno
di Dio avremmo preferito amministrazione (o governo) di Dio (oikonomian
theou); in 1Tm 1,6 a essendosi allontanati, noi avremmo sostituito avendo
mancato (astochesantes i.e. la buona coscienza); 1Tm 1,10 pervertiti,
dove noi leggiamo coloro che hanno coito (o giacciono) con maschi (arsenokoitais); in 1Tm 1,12 ponendomi al (suo) servizio, in cui senza (suo) sarebbe
stato meglio, perch si tratta del servizio apostolico (cf. 2Tm 4,5).
In 1Tm 5,12 infedeli al loro primo impegno, letteralmente sarebbe la
loro prima fede (ten proten pistin), che potrebbe riferirsi realmente alle prime
nozze, senza escludere la possibilit delle nozze con Cristo. In 1Tm 5,17 il
duplice riconoscimento corrisponde meglio a il doppio onorario (o stipendio)
(diples times), perch di questo si tratta realmente nel testo (cf. pp. 122-123,
il commento). In 1Tm 6,2 perch quelli ricevono i loro beneci lo sostituiremmo volentieri con coloro che si occupano di benecenza, perch tale pare
essere il primo senso del greco hoi tes euergesias antilambanomenoi.
In Tt 1,5 al posto di in citt (p. 145) avremmo scelto il distributivo in ogni
citt (kata polin); in 2Tm 2,21 pronto per qualsiasi utilizzo buono (p 195) lo
avremmo sostituito con il pi semplice pronto per ogni opera buona (eis pan ergon agathon hetoimasmenon) come traduce lo stesso A. in 2Tm 3,17 (p. 196).
Il distorceranno lascolto dalla verit in 2Tm 4,4 (p. 197) non ricevibile in modo alcuno. Noi avremmo tradotto distoglieranno (o distorneranno)
lascolto dalla verit, in modo pi conforme al testo (apo tes aletheias ten
akoen apostrepsousin). Ugualmente non ricevibile la traduzione Non se ne
chieda loro conto per 2Tm 4,16b dove un Non sia loro computato (o addebitato) non solo avrebbe rispettato con pi rigore loriginale (me autois logistheis),
ma sarebbe stato anche pi conforme al riferimento tipologico alla passione di
Cristo, proposto nel commento, con riferimento indiretto al perdono di Ges
in Lc 23,34 e a quello di Stefano in At 8,60.
Ma queste, come tutti sanno, sono preferenze esegetiche diverse, che non
intaccano il valore della nuova traduzione proposta da Iovino, anche se siamo
convinti che avrebbero potuto migliorarla e renderla ancora pi conforme al
testo. Mentre faremmo reale fatica ad assecondare la sua proposta sulla composizione letteraria delle tre lettere, da lui elaborata con analisi di notevole impegno (pp. 32-42), che tuttavia a noi sono parse come labbozzo di un quadro
effettuato con tratti di tipo impressionistico, pi che con il metodo continuo
che richiederebbe una pi rigorosa analisi del discorso.
Per esempio. a tutti noto che la 1Tm costituita essenzialmente da
due raccolte di norme, chiaramente distinte: la prima in 1Tm 2,13,13 che
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Vanhoye (salvo, poi, in modo inatteso per chi legge, il riconoscimento postumo
del carattere o natura omiletica del testo: p. 654!).
Ma ci che lui propone in sostituzione, non solo non denibile. semplicemente lasciato non denito. Conclude lesame critico dicendo che la lettera
un appello polimorfo (p. 43, nota 118), facendo eco allautore del testo di
Eb 13,22 che denisce il suo scritto un logos tes parakleseos, sermo exhortationis, che lui traduce parola di esortazione-consolazione (p. 43), che poi
spiega dicendo: si tratta cio di un messaggio orale, inviato per iscritto, il che
non esige la scelta previa di un preciso genere letterario.
Con ci il lettore comprende che il testo non classicabile, anche se
lA. cerca di fargli accettare lipotesi indenita, che ha un genere epidittico
con intenti diversi: omologie, catechesi anticotestamentaria, omiletica, tratti
liturgici, parenesi accorata, dimostrazioni stringenti, elaborazioni midrashiche,
strategie retoriche (p. 43).
In questo modo giustica genericamente lasserzione che la Lettera agli
Ebrei uno scritto dal genere letterario polimorfo (p. 25). Ma ci non mai
mostrato con una precisa analisi giusticativa del testo, neppure quando afferma che sarebbe composto da cinque trattati bel riconoscibili (p. 44), di cui
non offre n indicazione n motivo tematico o argomento. E in questo, a noi
che scriviamo con spirito di fraterna comprensione, parso troppo ellittico,
no al punto da essere non chiaro.
La stessa incompletezza abbiamo rilevato con la dispositio rhetorica del
testo, lasciata inesposta. A p. 44, nota 127, informa sullesistenza di una proposta di disposizione retorica fatta da K. Bakhaus, Der Neue Bund und die
werdende Kirche (NTAbh 29), Mnster 1996, 57-64. Ma non riportata, n
lui ne propone una e tuttavia a p. 50, trattando della retorica del testo, ne parla
di nuovo, come un dato abbastanza certo (!), con riferimento a P. Garuti,
Alle origni dellomiletica cristiana (SBFAn 38), Jerusalem 1995, dove, come
noto, non c una disposizione retorica, perch in quel saggio manca uneffettiva analisi retorica di tutto il discorso, che P. Garuti neppure in seguito ha
proposto, bench gli fosse stato chiesto, afnch completasse il lavoro che
aveva iniziato in modo magistrale e scientico.
Quindi, in questo, la sintesi di Marcheselli-Casale in difetto, perch manca la novit retorica che tutti attendevano, e di cui lo stesso A. Vanhoye, quasi
in un estremo tentativo di superare se stesso, aveva dato un saggio nel suo
discorso presidenziale La teleiosis du Christ: point capital de la christologie
sacerdotale dHbreux, NTS 42 (1996) 321-338.
Anche a p. 45, quando rompendo gli indugi, lA. informa il lettore di
essersi persuaso che Eb pi che lettera o libro un trattato in stile
retorico, non adduce prove dal testo per giusticare la sua persuasione con
rigore scientico, ma cita H. Lausberg, Elemente der literarischen Rhetorik,
Mnchen 1967, 24-26 da cui risulta che un tractatus, in epoca classica, comprendeva inventio rerum (argomento), exordium, una dispositio con propo-
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integrative di spiegazione, che qualche volta lo rendono pi simile a una parafrasi, che non a una traduzione letterale fedele.
evidente che la competenza targumica acquisita dallA., gli ha suggerito questo metodo per rendere laccesso alla comprensione del testo pi
piano. Tuttavia, qualche proposta semantica ci parsa problematica. In Eb 1,3
essendo irradiazione della sua presenza, ci pare una perdita in rapporto alla
traduzione comune irradiazione della sua gloria, che probabilmente pi
valida per il parallelo con impronta della sua sostanza: la doxa non una
cosa funzionale (come kabod), ma sostanziale.
In Eb 2,17 dice: Perci (Ges) doveva essere reso simile in tutto ai (suoi)
fratelli, che per noi un eccesso causale di fronte al senso letterale greco
doveva in tutto essere simile (o rassomigliare) (homoiothenai) ai fratelli;
oppure: diventare simile (become like: Liddell-Scott-Jones 1225, s.v.), tenendo conto che in Eb 2,14b lui (autos) il soggetto logico dei verbi.
In Eb 3,2 traduce: Essendo egli fedele a colui che lo ha insediato. Ma
il greco toi poiesanti auton potrebbe corrispondere meglio allitaliano che lo
ha fatto che sarebbe anche pi adeguato al testo, perch chi lo ha scritto usa
in genere il verbo tecnico teleioo, rendere perfetto, perfezionare, nel senso
metaforico di consacrare per lordinazione (cf. Eb 2,10 teleiosai; 5,10 teleiotheis; 7,28 teteleiomenon), da cui deriva teleiosis: Eb 7,11a consacrazione
sacerdotale, in una interpretazione scientica, con equivalenza tecnica. Una
conferma indiretta in Eb 5,1 dove per linsediamento del sommo sacerdote
il verbo usato kathistatai e non poietai.
In Eb 6,6 propone che si rinnovino una seconda volta per la conversione.
Ma il testo dice in attivo palin anakainizein eis metanoian. Quindi: rinnovare
di nuovo (o una seconda volta) per conversione.
In Eb 7,20 traduce: Ci non avviene senza prestare giuramento, supponendo che i sacerdoti fossero insediati giurando. Ma il testo dice ou choris
horkomosias e il riferimento algiuramento di Dio al suo Cristo in LXX Sal
109,4 (= 110,4) citato in Eb 7,21: Ha giurato il Signore (omosen kyrios) e non
si pente. Tu sei sacerdote per sempre. Questo, a quelli, non fu detto secondo
chi ha scritto il testo.
In Eb 9,11 si legge giunto (a Dio), che unaggiunta al testo, che non
si giustica, perch ci detto in Eb 9,12: entrato nel santuario, che
in antitesi a Eb 9,8 dove sul culto antico aveva fatto notare che con quella
disposizione della tenda, lo Spirito Santo voleva mostrare che la strada del
santuario non era stata ancora aperta.
In Eb 9,15 propone e anche per questo, in cui anche di troppo per il
testo che dice solo kai dia touto, e per questo, riferito alla morte sacricale
di Cristo, con cui diventato mediatore di un'alleanza nuova. Unaltra ragione
anteriore e pi importante, a cui questa sarebbe aggiunta (anche), non c.
Quindi, anche superuo.
In Eb 9,26b traduce: Egli si manifestato una volta sola, ora, nella pienezza
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dei tempi. Ma il nyni de con cui inizia la frase ha valore logico non temporale:
Ora, invece (cf. J. Moffatt 1924: 133). Meglio, sarebbe stato Al contrario
come richiedeva lantitesi logica con Eb 9,26a; o il semplice Ora, invece.
In Eb 10,7.9 propone la traduzione da LXX Sal 39,8 (= 40,8): Ecco, sono
venuto. Ma nel greco c un semplice idou heko, presente: Ecco, vengo, e
non heka, il perfetto da lui supposto.
In Eb 10,29 propone e avr insultato il dono dello Spirito, mutando
lordine del testo, che dice: Avr insultato lo Spirito della grazia (to pneuma
tes charitos). Loffesa molto pi grave: non al dono, ma a Colui che dona
la grazia, lo Spirito!
In Eb 11,1 per la famosa denizione della fede, propone: La fede fondamento (esperienza) delle realt che si sperano, dove fondamento corrisponde
effettivamente al signicato di hypostasis, ma il commento tra parentesi (esperienza) semanticamente inopportuno, perch muta la logica del discorso, che
non riguarda noi, ma la fede in s.
Quindi, se Marcheselli-Casale voleva interpretare correttamente hypostasis
come fondamento di cose sperate, avrebbe potuto porre tra parentesi (actual
existence, reality), suggeriti da Liddell-Scott-Jones 1895, s.v. B. III, che tuttavia
non ignorano il senso classico: essence, substance. In effetti, questo vuole dire
Eb 11,27 dove narra di Mos che lasci lEgitto, senza temere lira del re. Rimase,
infatti, saldo come se vedesse linvisibile (ton gar aoraton hos horon).
In Eb 13,17 propone: Aderite alle vostre guide. Ma sarebbe stato pi
adeguato: Obbedite ai vostri capi, come richiedeva il greco: peithesthe tois
hegoumenois hymon, dove peithesthe da peithomai, Med. Pass. di peitho, il
cui signicato corrente obey (Liddell-Scott-Jones 1356, s.v.); e tois hegoumenois, da hegoumenos, un termine tecnico, che al plurale hegoumenoi signica, in genere, rulers, to be the head, e che noi diciamo semplicemente capi
(cf. Liddell-Scott-Jones 763, s.v.). Quindi la stessa osservazione vale per Eb
13,24 dove traduce interpretando Salutate le vostre guide, che un titolo non
adeguato per chi di fatto aveva il governo della chiesa locale, gi esistente.
Queste sono solo alcune osservazioni su ci che a noi parso essenziale,
anche se non abbiamo ritenuto conforme ad una nuova versione, la preferenza di Marcheselli-Casale per alcuni arcaismi, che ci sono sembrati non pi
tollerabili, per non dire inaccettabili.
Per esempio, in Eb 8,1 (p. 338), Eb 10,12 (p. 366), e Eb 12,2 (p. 475), traduce si assiso per il greco ekathise, che noi diciamo in italiano corrente si
seduto; in Eb 10,10 traduce dia tes prosphoras, per mezzo delloblazione,
anche se per mezzo dellofferta sarebbe stato preferibile, come fa lui stesso
in Eb 10,18.
In Eb 12,1 si legge che abbiamo intorno a noi un cos gran nugolo di
testimoni, dove il greco dice nephos martyron, traducibile in modo semplice
nube di testimoni, che metafora di schiera numerosa e che unito al pronome indenito tosouton, avrebbe potuto essere tradotto in modo pi piano:
BIGUZZI G. APOCALISSE
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Quindi, anche noi, avendo intorno una schiera cos grande (o numerosa) di
testimoni deponiamo ogni peso e il peccato che ci intralcia.
Inne, per Eb 13,4 ci propone il talamo senza macchia, mentre noi
avremmo preferito il pi chiaro: Sia senza macchia il letto matrimoniale e,
come variante ricercata, il letto coniugale. Questo non da macchiare con
adulterio!
In Eb 13,9 suggerisce: Non lasciatevi fuorviare da dottrine varie e peregrine, dove estranee sarebbe stato pi adeguato per il greco xenais; in
Eb 13,11 traduce con al di fuori un exo, eccedendo. Un semplice fuori,
sarebbe stato sufciente, come un normale qui era preferibile al quaggi
per il greco hode di Eb 13,14.
Queste le nostre riserve sulla nuova traduzione da lui proposta seguendo
il testo greco, la cui edizione non mai apertamente dichiarata. Ma da supporre che sia quella pi diffusa: Nestle-Aland, 27a edizione del 1993, bench
nel paragrafo che riguarda il testo (pp. 76-77), citi solo, in testo, ledizione
critica di A. Merk - G. Barbaglio, Nuovo Testamento, greco e latino, EDB,
Bologna 1991.
Tra le varianti pi note la famosa choris theou, senza Dio, al posto di
chariti theou, per grazia di Dio, in Eb 2,9 che egli ha preferito, bench la
seconda sia lectio communis, e la prima sia attestata dal minuscolo 1739 datato
da Nestle-Aland (p. 709) al secolo X ( ubicato a Athos, Lavra). Ma egli
convinto che fosse del sec. III d.C., o ne del sec. II, e per questo lha scelta
(p. 157). Qui, forse, impreciso. Tuttavia, ha ragione. Origene legge choris
theou, e ci attesta che questa variante era gi nota, bench P 46, di quello
stesso periodo, e pi autorevole, abbia chariti theou (p. 76).
Con ci riteniamo di avere reso un servizio, raccomandando questo
commento molto utile per lo studio, ma avvertendo il lettore di qualche
problema, che richiede da lui spirito critico e attento. A lui afdiamo anche
luso e la comprensione del Messaggio teologico, che noi dobbiamo
rinunciare a presentare in modo critico, perch lA. preferisce la parafrasi
parenetica, allesposizione scientica. E ci rende impossibile ogni tentativo
di analisi critica. Ma lo riteniamo utile per chi cerchi spunti per la catechesi
comunitaria.
Nello Casalini, ofm
Biguzzi Giancarlo, Apocalisse. Nuova versione, introduzione e commento (I
libri biblici. Nuovo Testamento 20), Paoline, Milano 2005, 480 pp.
Il nome dellautore di questo nuovo commentario dellApocalisse la migliore
garanzia del suo valore scientico. Con il presente volume, infatti, G. Biguzzi
corona in un certo senso il suo lungo e costante interesse per quel libro biblico
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RECENSIONI
che lui stesso ama denire il capolavoro di tutta la letteratura apocalittica, non
solo cristiana (p. 66). Sar difcile contrastare lopinione di uno studioso che
si calato cos a fondo nei meandri dellultimo scritto del NT e ha tentato di
carpire i suoi segreti in numerose pubblicazioni; ricordiamo, in particolare, la
monograa I settenari nella struttura dellApocalisse, Bologna 1996 (che ho
avuto il piacere di presentare in LA 47 [1997] 595-597) e il pi recente saggio
LApocalisse e i suoi enigmi, Brescia 2004. Con questo commentario Biguzzi
tenta quindi per la terza volta di espugnare la fortezza dellApocalisse e lo fa
per usare la metafora da lui adoperata indicando al lettore un lo di Arianna per ritrovare la strada giusta nelle vie del labirinto. Per chi vuole leggere
lApocalisse di seguito, dal primo versetto allultimo, il pericolo infatti quello
di non riuscire a mantenersi sulla via verso luscita e di perdersi in sentieri laterali o in vicoli ciechi. Limmagine del lo di Arianna deve dunque, anzitutto,
dire che la preoccupazione prima, se non proprio unica, di questo commentario
quella di guidare alla comprensione di un episodio dopo laltro e, pi ancora,
quella di evidenziare lunitariet della trama del libro (p. 5).
Il commentario si apre con una Prefazione a cui segue la lista di Abbreviazioni e sigle, e termina con un Lessico biblico-teologico, la Bibliograa
(ragionata e generale) e i vari Indici (degli autori, lologico-tematico, delle
citazioni). Il corpo centrale dellopera, sul quale vogliamo focalizzare lattenzione, strutturato in tre parti: Sezione introduttiva (p. 13-52), Traduzione e
commento (p. 53-380), Il messaggio teologico (p. 381-400).
La prima parte presenta il prolo storico-letterario dellApocalisse. In
questo agile status quaestionis il lettore viene posto di fronte ad una serie
di problematiche la cui conoscenza si rivela necessaria oltre che utile per
una migliore comprensione del testo: 1) storia dellinterpretazione; 2) piano
letterario (limportanza strutturale dei settenari e la divisione del libro: Ap
1,1-8: Introduzione; I Parte. Ap 1,9-3,22: Il Cristo e le Chiese di Asia [con
le due sezioni allinterno: 1,9-20 e 2,1-3,22]; II Parte. Ap 3,23-22,5: Piano e
azione di Dio nella storia [con i tre cicli narrativi: 4,1-8,1; 8,2-16,21; 17,122,5]; Ap 22,6-21: Conclusione epistolare); 3) luogo, data e circostanze della
composizione (la stesura va ambientata nella regione dellAsia Minore, in
epoca domizianea, nellambito di una decisa opposizione al potere di Roma
e alla idolatria imperiale); 4) autore (Giovanni di Patmos, mandato in esilio
su questa isola per qualche motivo legato con lannunzio cristiano, ben ancorato nel pensiero paolino-giovanneo e, seppure portatore dello stesso nome,
distinto probabilmente dallomonimo autore del IV Vangelo); 5) lingua (dietro
numerosi solecismi, per lo pi intenzionali, si cela un buon conoscitore del
greco e amante del linguaggio simbolico); 6) testo (la tradizione manoscritta e lingresso nel canone, lunitariet del libro, il genere letterario misto:
apocalittico, profetico, epistolare); 7) valore letterario ed estetico (p. 50:
uno dei libri pi belli della Bibbia e della letteratura universale); 8) perenne
attualit del libro.
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RECENSIONI
teologia (Il governo di Dio e la teologia della storia), la cristologia (Il Cristo
rivelatore, pastore e vincitore) e lecclesiologia (La Chiesa, la soteriologia, lo
Spirito e leschaton).
Se dovessi indicare la nota distintiva del commentario di Biguzzi, direi
che essa consiste appunto nellaver saputo coniugare le esigenze di una analisi minuta con il desiderio di pervenire ad una sintesi teologica, gettando
cio la luce sulle singole tessere e facendo vedere la bellezza del mosaico
intero, per usare una terminologia artistica. E penso che in questo modo egli
riuscito anche a dimostrare con laccento posto sullunitariet letteraria e
teologica dello scritto di Giovanni di Patmos quanto sia indovinata la frase
con cui ha aperto la sua Prefazione: LApocalisse difcile ma bellissima.
Non si deve illudere, comunque, pensando di avere tra le mani un libro di
esegesi o di teologia dellApocalisse. Per quanto Biguzzi si sia sforzato di
far emergere la compattezza letteraria e teologica del libro sacro e nonostante le sue parole rassicuranti che questo commentario non vuole essere una
enciclopedia, quanto piuttosto unampia parafrasi (p. 6), resta pur sempre
un commentario (con una miniera di informazioni sufcienti per far girare la
testa) destinato a guidare nella comprensione e a stimolare la ricerca. Certo,
il vero valore di questo commentario si potr conoscere solamente dal ricorso
che ne faranno i futuri utenti. Personalmente ritengo che si tratta di uno strumento dotato di requisiti necessari per meritarsi lattenzione e la stima degli
studiosi dellApocalisse.
Senza togliere nulla alla valutazione positiva del commentario, termino
segnalando alcuni errori o sviste che dovrebbero essere eliminati in una eventuale ristampa: lordine alfabetico sbagliato: p. 427 (Chapa), p. 429 (De
Villapadierna), p. 440 (Zanker); i nomi vanno messi dopo: p. 427 (Bosetti,
Chapa); manca la data: p. 429 (Ellul), p. 430 (Friesen), p. 434 (Marconcini);
manca la casa editrice: p. 439 (Wengst), inoltre a p. 436 (Zwingly in Rissi
invece di Zwingli); le sigle sbagliate o non comprese fra le Abbreviazioni:
p. 424 (ANRW in Alzinger) e p. 426 (ANRW in Bcher), p. 425 (DBS in Barclay invece di DSB), p. 428 (ABD in Collins invece di AnchBD; lo stesso in
Hanson a p. 431), p. 428 (BT in Comblin), p. 429 (PSV in Doglio invece di
PSpV), p. 431 (SBLAM in Gundry; lo stesso in Stuckenbruck a p. 438), p. 431
(IDB.S in Hanson), p. 433 (HzNT in Kraft invece di HNT), p. 435 (SBFLA
in Prigent), p. 436 (CNT in Prigent; lo stesso a p. 59 nota 9); la divisione
della sigla AJBI a p. 437 (Satake) perlomeno curiosa. Tutti questi errori (qui
limitati alla sola Bibliograa) si riscontrano anche nelle note del testo.
Lesaw Daniel Chrupcaa, ofm
Lenzi Giovanni, Il Targum Yonathan. I: Isaia. Traduzione a confronto con il
testo masoretico, Marietti, Genova - Milano 2004, lvi-290 pp., 38
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(p. 20), Mesopotamia e Iran (p. 23), India (p. 27) e lambiente dei misteri
ellenistici (p. 32).
Nella sezione successiva del primo capitolo viene presentata leredit giudaica con i suoi fondamenti biblici (p. 39) e il complesso mondo della letteratura apocalittica e rabbinica (p. 44).
La terza sezione di questo primo capitolo tratta dellambiente della predicazione cristiana in prospettiva storica: i primi due secoli (p. 59), let dei
Concili (p. 72) e i dintorni di Efrem (p. 81), cio gli autori pi direttamente
collegati al mondo del Padre siro.
Il secondo capitolo (pp. 88-121) ci mostra Efrem in viaggio verso il paradiso e allinterno di esso. Molto suggestivo (e anche molto appropriato) mi
pare il titolo del paragrafo a p. 91: In viaggio a bordo del libro dal quale si
percepisce che la Bibbia, come sempre, la fonte principale dispirazione di
uno dei massimi poeti della cristianit, il veicolo sicuro del suo volo.
Una volta imbarcato Efrem ci mostra la terra vista dallalto (p. 93) e
la topograa del paradiso (p. 96); segue la descrizione di alcuni particolari:
la cinta (p. 98), le gioie paradisiache (p. 101), la visione beatica (p. 102), il
paradiso tempio (p. 104), gli abitanti del paradiso (p. 105) e gli abitanti dellinferno (p. 106). Gli inni Sul paradiso possono essere letti anche come una
biograa di Adamo che il grande e incontrastato protagonista dellintera
raccolta (p. 107).
Le ultime pagine di questa prima parte presentano una bibliograa sintetica
e strutturata per temi che spazia dalle assai tecniche rassegne bibliograche
efremiane e dalle fonti in lingua siriaca no a studi di pi ampio respiro.
Il corpo del volume (la seconda parte), che contiene la traduzione italiana
degli inni, abbraccia le pagine 135-320. Il testo tradotto in italiano, corredato
di numerose note esplicative, viene riportato in strofe per rendere la divisione
del testo originale. Facciamo assaggiare qualche stralcio di questi quindici
inni.
Nel primo inno (strofa 4) troviamo, fra laltro, una descrizione del monte
del paradiso: Con locchio della mente / ho visto il paradiso / e le vette di tutti
i monti / poste sotto la sua vetta. / Soltanto ai suoi calcagni giunse / la cresta
del diluvio; / prostrato ne baci i piedi, / volgendosi poi / a scalare, calpestare
la cima / di monti e vette. / Baci i calcagni di quello / e umili la cima di tutti
gli altri (p. 139). Strofa 8: E poich lontana / la visione del paradiso / e locchio non pu distendersi tanto / da raggiungerlo, / ne ho fatto una descrizione
semplicata, / azzardando un poco. / In quellalone della luna, / che si forma, /
vediamo il paradiso, / poich anchesso cos circolare, / e il mare e la terra / vi
sono inclusi (pp. 141-142).
Dal secondo inno (strofa 6): La cima del paradiso inespugnabile / per
quelli di fuori / mentre si piega tutta, / allinterno, per quelli che salgono. /
Tutto intero, allinterno, volge gioiosamente / lo sguardo verso i giusti. / Lui
stesso lega i anchi / del mondo, / cinge limmenso mare. / il vicino dei ce-
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lesti, / amico per quelli di dentro, / nemico per quelli di fuori (p. 153). Strofa
7: Ho visto sulla sua cinta / i chi silenziosi, / le cui corone furono belle /
per il primo peccatore. / Ed come se le loro foglie / arrossiscano di chi
nudo: / sono necessarie / a chi ha perduto i propri abiti / e pur coprendolo /
provocano in lui vergogna e compunzione, / poich nel luogo della purezza
/ ci si vergogna di chi nudo (pp. 153-154). La strofa 9 ci mostra che ci
che di positivo la terra offre ai suoi abitanti un riesso attenuato dei beni
del paradiso: Quella volont divina / alla quale tutto facile, / ha costretto
le fonti / libere del paradiso, / imprigionandole sulla terra / a mo di canali, /
chiamandole a uscire / verso di noi, / cos come ha legato le acque / nel ventre
delle sue nubi, / ed esse sono inviate nellaria / a un cenno della sua volont
(pp. 154-155). Poco dopo (strofa 11) descrive i diversi gradi di beatitudine:
Quando i giusti saliranno / i suoi gradini per prendervi eredit, / ciascuno sar
esaltato in corrispondenza / alla propria fatica, con giustizia. / Ciascuno verr
stabilito / nel gradino di cui degno. / I suoi gradini sono sufcienti / a tutti:
/ a terra i penitenti, / a met i giusti, / la sua cima per i trionfatori / e il suo
vertice per la ekinah (p. 156).
Nel decimo inno vediamo linteresse di Efrem per i meccanismi della
natura, interesse cos tipico nelle sue diverse raccolte: Le variazioni della
luna / producono variazioni tra i ori: / allinizio dei mesi si aprono / i grembi
dei rami, / raggiungono la pienezza con la luna piena / distendendosi in ogni
direzione, / contraendosi / di nuovo alla ne del mese. / Si immergono con la
sua ne / e spuntano con il suo inizio. / Essa la chiave dei loro grembi, / che
apre e poi chiude (p. 257).
Nel quattordicesimo inno (strofa 3) Efrem biasima leccessivo attaccamento del cristiano alla vita terrena: Gettarono Geremia / nella beneca fossa, / e
sebbene la sua ricompensa si accrescesse moltissimo / non desider rimanervi a
lungo. / Noi, invece, la cui dimora terrena / mescolata a ogni genere di mali, /
preghiamo di esservi / lasciati, / non percependo / dove siamo affogati. / Dacci,
mio Signore, di conoscere / dove siamo prigionieri (pp. 300-301).
Concludiamo questa rassegna con lultima strofa degli inni (inno XV, strofa 17): Queste e simili cose, / insieme a tutte quelle lette, / hanno rappresentato nella mia mente / il giardino della vita. / Beato chi sar degno / di giungere
alla sua delizia. / Il Clemente mi conduca / ai suoi frutti: / sia il loro sapore a
ravvivarmi, / o il loro profumo a colpirmi, / o il loro splendore a raggiungermi,
/ o la loro rugiada a bagnarmi! (p. 320).
Efrem conduce il suo ascoltatore ad ammirare la cinta del paradiso, la sua
vegetazione lussureggiante, gli attendamenti dei beati, e percorre trepidante
con lui la salita verso la vetta tenendolo per mano. A questa meta, con laiuto
di Dio e con la guida sicura di Efrem, potremo pervenire anche noi. Cos sia,
amen, amen.
Massimo Pazzini, ofm
677
Pepi Luciana - Serani Filippo, Corso di ebraico biblico: con Cd-audio per
apprendere la pronuncia dellebraico, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo
(MI) 2006, 320 pp., 19.50; Serani Filippo, Esercizi per il Corso di ebraico
biblico, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2006, 352 pp., 19.50
Il presente Corso di ebraico biblico formato da due volumi, tra loro complementari. Il primo, frutto della collaborazione dei due docenti, presenta un
corso completo, suddiviso in 45 lezioni; il secondo volume, curato interamente
da Serani, propone una serie di esercizi, unitamente alle loro soluzioni, onde
favorire una verica, in particolare agli autodidatti. Grazie al CD-audio allegato
ai due volumi vengono favoriti lapprendimento e il miglioramento della propria
pronuncia e della lettura. La parte nale del secondo volume comprende un
breve vocabolario di ebraico biblico.
Questo Corso si propone, come sottolineano gli autori, di offrire uno
strumento di facile uso sia a coloro che desiderano apprendere lebraico biblico
attraverso un regolare corso accademico, sia a coloro che vogliono accedere ai
testi originali dellAntico Testamento da autodidatti. Infatti la materia viene
spiegata in maniera elementare con la preoccupazione costante di condurre lo
studente passo a passo.
Fra i pregi dellopera annoveriamo: 1) I molti testi biblici sono desunti
dai programmi biblici per computer; in questo modo gli errori, cos frequenti
in questo genere di sussidi (soprattutto nella prima edizione), sono quasi del
tutto assenti. 2) I volumi sono stampati bene, i caratteri ebraici sono grandi e
chiaramente leggibili. 3) Le parole oggetto di trattazione vengono evidenziate
in un diverso stile tipograco. 4) Abbondanza di testi in ebraico: vi sono molti
esempi o, meglio, molte frasi prese integralmente dalla Bibbia. 5) Si tratta di
una grammatica propedeutica nel vero senso della parola (puoi avvertire la
presenza del professore che ti segue da vicino e dialoga con te). 6) Gli esercizi sono abbondanti e completano, integrandola, la teoria esposta nella prima
parte. 7) La sezione Impariamo dagli errori e ripassiamo!, che si trova nella
seconda parte del volume degli esercizi, di grande utilit in particolare per
chi studia la materia da solo.
Fra le cose che si possono migliorare segnaliamo: 1) Linizio dello studio
troppo complesso e manca, a mio avviso, di analisi elementare e gradualit; in
questo senso mi pare discutibile la scelta di proporre n dallinizio versetti integrali della Bibbia. 2) Manca (per scelta degli autori) una trattazione sistematica
delle begadkefat, la qual cosa si riette sulla loro trascrizione in caratteri latini e,
talvolta, sulla loro pronuncia (mi pare che la materia sia, in questo caso, troppo
semplicata). 3) Larticolo (come pure altri argomenti complessi) trattato,
certo per una precisa scelta degli autori, in diverse parti del libro (pp. 20-22 +
156-157); la trattazione pu risultare, perci, un poco dispersiva. 4) Il glossario
posto alla ne del secondo volume incompleto in riferimento allintero lavoro.
5) Qualche piccola svista si pu trovare nelle parole non prese dal programma di
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RECENSIONI
computer, come: hN:heb (per hN:heB;; p. 30, nota 9), rb;D (per rb'D; p. 54), rEa, (per
r<a,; p. 54), hn:b]tok]Ti (per hn:b]Tok]Ti; p. 66 x 2), hn:b]Tok] (per hn:b]toK]; p. 66), bTok] (per
btoK]; p. 78), bteko e btok; (per bteKo e btoK;; p. 82), ecc.
Nonostante queste osservazioni, delle quali si potrebbe tenere conto nella preparazione di una eventuale seconda edizione, concordo con gli editori
dellopera che con questo prezioso sussidio, laccesso allAntico Testamento
in lingua originale, non pi privilegio di pochi, ma unopportunit offerta a
tutti. Auguro, quindi, un buono studio ai volenterosi che si accingono allapprendimento dellebraico tramite questo manuale!
Massimo Pazzini, ofm
Charlesworth James H. (ed.), Jesus and Archaeology, William B. Eerdmans
Publishing Company, Grand Rapids MI - Cambridge, U.K. 2006, xxv-740 pp.
This important volume edited by J.H. Charlesworth presents 25 lectures that
archaeologists and biblical scholars presented at a meeting in Jerusalem to
celebrate the new millennium. The volume is divided into two parts: the rst
one deals with archeological studies, while the second discusses problems of
archaeology and theology. Many contributors of the rst part wanted to share
their recent discoveries in places like Bethsaida, Sepphoris, Qana, Mount Zion,
and Ein Gedi, focusing on the question How do new archaeological discoveries
clarify the world of Jesus from Nazareth?. There is no need to remember that
Archaeology and history are illuminating the background of the New Testament.
Readers of this book will gain many new insights into the life and times of
Jesus, the Galilean Jew who changed the world.
The volume, published in 2006 by Eerdmans Publishing Company, must
be updated since recent excavations have revealed other important places for
the New Testament scholars, such as the Siloam Pool, the new Mosaic Floor of
Meggido and the roman city of Tiberias. Some articles have a very loose link
with archaeology, such as the study of B. Chilton: Recovering Jesus Mamzerut. A selected bibliography concludes this illustrated volume. An index of
Scripture and other ancient texts will help the reader to nd immediately the
passage he is looking for.
Since it is impossible to summarize each lecture, we present only the
titles with the names of the authors of this very rich volume: Preface (J.H.
Charlesworth); Introduction: What is Biblical Archaeology? (A. Biran); Jesus
Research and Archaeology: A New Perspective (J.H. Charlesworth); Archaeology and the Historical Jesus (S. Freyne); Recovering Jesus Mamzerut (B.
Chilton); Did Antipas Build the Sepphoris Theater? (R.A. Batey); Khirbet
Qana (and Other Villages) as a Context for Jesus (P. Richardson); Bethsaida
(R. Arav); Mount Tabor (F. Manns); Jesus the Exorcist in Light of Epigraphic
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entusiasmo accettate nel volume che presentiamo, andando, secondo noi, oltre
le premesse di una critica prudente sempre buona regola per un archeologo.
Tra tutti questi interventi, lo studio di padre Florentino, per seriet e precisione dei dati, si pone in continuazione diretta con i volumi di padre Corbo,
che per primo pubblic la pianta schematica del monumento costantiniano (Pl.
1 in parte modicata), chiarendo e precisando una stratigraa che sicura per
i due saggi di scavo (nellambiente E I restrostante SantElena e nellambiente C retrostante la Roccia del Calvario) ma che con buona probabilit si pu
estendere a tutta la basilica e perci anche ai saggi di scavo seguiti da padre
Corbo, correggendone la stratigraa proposta.
Con il Cap. I e II (El Calvario y el Santo Sepulcro vistos por la crtica de los ltimos 170 anos, pp. 19-52) il saggio di scavo viene inserito
in un contesto pi generale di studio del santuario che riguarda il problema dellautenticit inserito nella discussione pi generale della topograa
di Gerusalemme, partendo da C.R. Conder (1883) no agli scavi moderni
nellarea del Muristan eseguiti da K.M. Kenyon e da U. Lux, quelli nel Santo
Sepolcro e nellarea di Porta di Damasco. In realt, mi permetto di aggiungere che questo un problema discusso con seri argomenti e con risultati
convincenti basati sulle fonti storiche e sulla conoscenza del territorio dai
Palestinologi Francescani del XVI-XVII secolo, ai quali dobbiamo la linea
ipotetica del percorso del muro di epoca erodiana (padre Gian Francesco
della Salandra), il primo rilievo architettonico del monumento (padre Bernardino Amico), laccurata descrizione (padre Francesco Quaresmi), e la prima
Pianta della Gerusalemme moderna (padre Antonino De Angelis da Lecce,
Roma 1578) eseguita proprio per rispondere adeguatamente alla domanda
posta dai pellegrini sullubicazione del Santo Sepolcro fuori o dentro le mura
di Gerusalemme (cf. M. Piccirillo, La Gerusalemme francescana, in Una
Gerusalemme toscana sullo sfondo di due Giubilei 1500-1525, Firenze Montaione 2004, 94-118).
La pubblicazione dello scavo inizia con il Cap. III dedicato allArea E,
gli ambienti dietro la cappella di SantElena (pp. 53-99), seguito dallo scavo
nellArea C del Calvario (Cap. IV, pp. 101-144) sulla quale, sulla scia aperta
dai padri Bagatti e Testa, si fermer lattenzione dellarcheologo nei capitoli
successivi (Cap. V: La Cueva del Glgota, pp. 145-184 e Cap. VI: La cueva
del Calvario en la literatura apcrifa de los primeros siglos de la era cristiana,
pp. 185-200). Dopo la pubblicazione dei materiali di scavo con la collaborazione di diversi studiosi delle istituzioni scientiche spagnole, tipologie ceramiche
a cominciare dal periodo del Ferro II, stampi della Legio X Fretensis, monete
e resto ossei umani (pp. 201-314), vengono date le conclusioni in spagnolo e
in inglese (pp. 315-321), seguite dalle 71 tavole di foto e dalle piante di scavo
fuori testo (I-VI).
Giustamente nel libro lA. insiste sulla stratigraa che la novit maggiore del lavoro e bisogna essergli grati per i graci puntigliosi di documen-
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RECENSIONI
tazione stampati nel testo e nelle tavole fuori testo a ne volume. Il problema
principale riguarda la datazione della cava di pietra che si trova nel sottosuolo
della basilica nora datata al periodo del Ferro II basandosi sui frammenti
di ceramica di quel periodo venuti alla luce nello sterro (pp. 70ss per lArea
E I). Dallo scavo stratigraco accurato seguito da padre Florentino sotto il
pavimento non ancora manomesso risulta che nella riempitura di scaglie a
contatto con la roccia della cava si trova solo ceramica del periodo Romano
non pi tardiva degli inizi del II sec. d.C. (p. 72). I resti ceramici di epoca
pi antica trovati mescolati con tipologie di epoca romana provengono dalla
riempitura successiva allutilizzo della cava (un livellamento/terraplenado
che si estese anche alla vicina area del Muristan che sotto la Chiesa del Redentore raggiunse gli 8 metri di spessore!) in preparazione della costruzione
nellarea di alcuni edici da datare al tempo di Aelia Capitolina. Una riempitura, secondo lA., storicamente da mettere in relazione con la decisione di
costruire nellarea un tempio pagano, riempitura a cui fa riferimento Eusebio
di Cesarea (Vita Constantini III,26,2), da non confondere con la possibilit di
alcune sacche di terra rossa con materiale del periodo del Ferro preesistenti
nellarea.
Un problema a parte costituito dalla datazione del disegno della barca
con liscrizione latina su una lastra che fa parte del muro di un edicio di
epoca romana. LA. non esclude che potrebbe essere stato eseguito durante la
costruzione della Basilica costantiniana, quando il livello del muro di fondazione raggiunse la quota del muro preesistente, prima della messa in opera del
pavimento che copr tutto (pp. 76-78).
Il settore del Calvario (Area C) suddiviso in quattro Aree, I-III ad est e
IV ad ovest dello spuntone di roccia consevato e inglobato nella cappella. I
lavori condotti dal Patriarcato Greco-Ortodosso a cominciare dal 1970 erano
stati in parte pubblicati dallArch. Christos Katsimbinis (The Uncovering
of the Eastern Side of the Hill of Calvary, LA 27 [1977] 197-208). Larea
orientale tagliata in due (CI e II) dalla costruzione del muro in direzione nord-sud che separa la Roccia dallarea interna. Su invito dellArchitetto
Katsimbinis, padre Florentino prosegu lindagine di scavo in profondit dal
maggio allagosto 1977 tra la Roccia e il muro in un settore molto limitato
nei movimenti, con partenza dalla quota raggiunta dagli interventi precedenti
che si erano fermati a livello del pavimento della grotticella. Praticamente,
lindagine precedente era stata interrotta a livello di una riempitura, nella quale erano stati gettati con materiale ttile anche elementi architettonici e unara
pagana, che copriva un forno inzeppato di tegole in relazione con un muretto
entrambi decapitati. Ad una certa profondit ricompariva la riempitura con
ceramica mista del periodo del Ferro e romana in relazione con la copertura della cava al tempo della costruzione degli edici di Aelia Capitolina,
ai quali sarebbe da attribuire la parte inferiore del muro divisorio nord sud
con alloggiamento sulla roccia, mentre la parte superiore sarebbe di epoca
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suoi discepoli e e dei profeti. Principio programmatico che resta anche oggi
la linea conduttrice per molti archeologi di Terra Santa.
Michele Piccirillo
Fontana M.V. (a cura di), La Collezione Tonizza nel Museo della Chiesa Nuova di Assisi. Le monete partiche, sasanidi e islamiche, Istituto Italiano di Numismatica, Roma 2001, 119 pp., 15 tavole
La formazione della collezione nusmimatica conservata dai Frati Minori nella
Chiesa Nuova di Assisi, come si spiega nellIntroduzione, fu donata dal loro confratello Giacinto Tonizza (1866-1935) che laveva messa insieme nei primi decenni
del secolo scorso. Collezione che comprendeva un lotto di monete alessandrine,
e altre non specicate che sarebbero state donate al Re dItalia, come risulta dal
discorso del Sindaco di Assisi in una lettera che autorizzava la tumulazione della
salma nella Chiesa Nuova di Assisi: La complessa personalit di Mons. Tonizza
tale da imporsi non solo nellambito religioso, ma anche nel settore dellarte,
della cultura e della scienza. Una prova tangibile la si ebbe alla Mostra Universale
di Arte Sacra a Torino, cui Mons. Tonizza partecip, guadagnandosi la Medaglia
doro. Lillustrazione delle monete raccolte e poi donate a Casa Savoia sbalord
per la competenza storica, archeologica e numismatica.
Di fatto, il padre Tonizza fu, come soldato di leva prima in Eritrea, e
poi per molti anni missionario della Custodia dellAlto Egitto e al servizio
dei Luoghi Santi come frate della Custodia di Terra Santa (dal 1892), con
inizio al Cairo e nelloasi del Fayum, lo troviamo nel 1896 a Gerusalemme e
a Betlemme, per poi tornare al Cairo nel 1897, dal 1898-1900 ad Aleppo in
Siria, nel 1901 di nuovo in Egitto ad Alessandretta, dal 1905 a Beirut, nel 1912
di nuovo ad Alessandretta, nel 1918, dopo una parentesi a Vienna durante la
guerra, fu inviato a Costantinopoli, e nel 1919 fu eletto Vescovo di Tripolitania dove rest no al 1935 anno di morte (notizie raccolte da Padre Angelo
Niccacci in Mons. Giacinto Tonizza, Vescovo Titolare di Paretonio e Vicario
Apostolico della Libia 6-7-1866 - 16-4-1935, manoscritto).
Nel Museo dello Studium Biblicum a Gerusalemme si conserva, a disposizione degli studiosi ma non ancora pubblicata, la cospicua collezione di monete alessandrine, e il catalogo (manoscritto) delle monete islamiche, scritto da
padre Tonizza al quale hanno fatto sempre riferimento gli studiosi che si sono
interessati di questo settore. Non siamo nora riusciti a comprendere il motivo
per cui padre Tonizza smembr la sua collezione tra Gerusalemme, Assisi e
Torino, se risulta realt il dono fatto al re.
Ringraziamo la Profssa Fontana e i colleghi che lhanno aiutata per aver ricordato con questa pubblicazione di alcuni lotti di monete conservate ad Assisi un
francescano benemerito del Medio Oriente anche nel campo numismatico.
Michele Piccirillo
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teresse che ancora suscita il sultano ayyubida nel mondo occidentale. Sulla
scia dei cronisti medievali contemporanei come Guglielmo di Tiro che, pur
presentandolo come il nemico numero uno del Regno Latino (bisogna fare
ogni sforzo per resistere a questo uomo magnico che passa di vittoria in
vittoria verso la vetta del potere), purtuttavia lo descrisse prima della vittoria
di Hattin come un uomo di mente ne, attivo in guerra e generoso oltre
ogni giusta misura, il potentissimus princeps fu gi idealizzato nel secolo
successivo no a diventare protagonista di leggende eroiche. Noto lepisodio
che si legge nellanonimo Estoires dOutremer et de la naissance Salehadin,
dove si racconta che il sultano, sul letto di morte, chiam il califfo di Baghdad, il patriarca di Gerusalemme e il pi saggio degli Ebrei dellarea di
Gerusalemme, perch desiderava capire quale legge fosse la migliore e non
trovandola, decise di dividere il suo regno in tre parti, la migliore ai cristiani,
la seconda ai Saraceni e la terza agli Ebrei. Racconto ripreso da Boccaccio
nel Decamerone e poi da Lessing in Nathan der Weise, mentre la gura di
Saladino fu contrapposta da Walter Scott a quella di Riccardo Cuor di Leone
a favore del musulmano. Malgrado i tentativi di demitizzazione moderni, la
gura resiste sul suo piedistallo nellimmaginario collettivo (cf. C. Hillenbrands, The Evolution of the Saladin Legend in the West, Mlanges de
lUniversit Saint-Joseph 58 [2005] 497-510).
Con la gura di Saladino si cimentato il giovane studioso dellUniversit Cattolica di Milano approfondendo nel volume che presentiamo un
aspetto collaterale ma di grande attualit oggi davanti alla prigione americana
di Guantanamo che non pu lasciare indifferenti: come venivano trattati i
prigionieri al tempo di Saladino e come tratt il sultano i prigionieri cristiani?
In generale, non risultando una politica costante basata su una norma, lA.
si basa sui fatti accertabili e accertati da entrambe le parti, quella cristiana
e quella musulmana, per giungere ad una conclusione storica di comportamento dettato dallopportunit politica contingente pi che da principi. Una
conclusione che salva solo in parte il Saladino della leggenda. Si va dal
prigioniero ucciso (no allindegna mattanza permessa da Saladino del dopo
Hattin dei cavalieri dellOspedale e del Tempio), a quello maltrattato, a quello
tenuto in considerazione come merce di scambio o di futuro riscatto oneroso
di sicuro protto (nel caso del re Guido di Lusignano per ricordare il caso
pi famoso) in episodi che riguardano il captivus che poteva affrontare casi
di cattura, incatenamento, deportazione, trattamento pi o meno clemente o
crudele, lavoro coatto, uccisione o liberazione per atto di generosit o pagamento del riscatto (p. IX).
Il secondo volumetto molto pi agile dedicato a Sibilla, una coprotagonista del periodo di Saladino, la giovane principessa glia della regina
Melisenda, che con le sue scelte di valore pubblico e privato, che lA. segue
con una certa simpatia e compartecipazione nella lettura delle fonti contemporanee (come si pu dedurre dal sottotitolo), ebbe un ruolo non secondario
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RECENSIONI
nella tragedia annunciata del Regno Latino di Gerusalemme, per sua scelta
forse pi di donna che di regina, afdata ad un parvenu, Guido di Lusignano,
venuto a cercare fortuna in terra dOriente.
Michele Piccirillo
Guidobaldi A. Guiglia - Barsanti C., Santa Soa di Costantinopoli. Larredo
marmoreo della Grande Chiesa giustinianea (Studi di Antichit Cristiana 60),
Citt del Vaticano 2004, 893 pp.
Organismo architettonico che n dalle sue origini ha incarnato la concezione
simbolica delledicio sacro, il maestoso tempio constantinopolitano intitolato
alla Divina Sapienza, emblema tanto della citt cristiana quanto della capitale ottomana, riunisce attorno a s un patrimonio storiograco assai rilevante,
manifestazione di un interesse scientico che ha visto dal Novecento ad oggi
lapporto di eccellenti studi volti a ricostruire in profondit gli aspetti storicocostruttivi della fabbrica giustinianea. Negli ultimi decenni, anzi, la rinnovata
attenzione critica verso il monumento ha prodotto indagini sistematiche su temi
specici, in particolar modo mirate allarchitettura e ai sistemi strutturali, ma
anche volte a focalizzare aspetti concernenti i programmi decorativi, le vicende legate ai restauri, le relazioni tra architettura e liturgia attraverso iniziative
editoriali e da ultimo anche espositive che offrono valide e convincenti
informazioni sul complesso sistema di forme che ledicio tramanda.
Si pu far conto dunque su una abbondante bibliograa specialistica, ma
non possono dirsi vagliati in tutte le loro implicazioni gli argomenti che vertono sulla ricostruzione della facies giustinianea attraverso lo studio analitico
di tutte le tipologie di materiali. Permane la convinzione che il tanto celebre
monumento sia in fondo ancora solo parzialmente edito, cos come dichiarano
esplicitamente e mettono in luce con il loro lavoro Alessandra Guiglia
Guidobaldi e Claudia Barsanti, curatrici del volume che presentiamo: frutto di
un lavoro collettivo, che si avvale della collaborazione di Roberta Flaminio,
Asnu Bilban Yalin, Andrea Paribeni e Mauro della Valle, e che impostato
sulla complementariet di una ricerca volta alla sottile indagine di argomenti
sinora poco approfonditi in senso storico e lologico.
Lassetto originario della Grande Chiesa, malgrado gli eventi traumatici e le
trasformazioni subite, non stato alterato o modicato nella sostanza, sebbene
siano da ricordare la totale perdita, durante la presa di Costantinopili da parte del
latini, nel 1204, degli arredi liturgici che conosciamo dalla descrizione di Paolo
Silenziarlo (ciborio, recinto presbiteriale, solea, ambone) e la scomparsa dei
tesori di inaudita ricchezza che gremivano ledicio. Ma, in misura preponderante, era ed il marmo a connotare loriginario progetto decorativo delledicio,
impiegato in quantit eccezionale anche nei dettagli della struttura, dalle grandi
689
lastre marmoree sul suolo ai marmi variegati e colorati per i rivestimenti parietali, alle cornici, ai colonnati, allingente complesso di manufatti lapidei in opera
per schermare gallerie e nestrati. Nel suo complesso quindi, proprio linsieme
dei marmi dislocati nella Santa Soa, per consistenza e qualit, a rappresentare
la testimonianza pi eloquente e vistosa delleredit culturale e artistica dellet
giustinianea. Ne danno esatto rilievo le ispirate parole di Procopio (in proposito
segnaliamo la nuova traduzione commentata da M.L. Fobelli, Un tempio per
Giustiniano. Santa Soa di Costantinopoli e la Descrizione di Paolo Silenziarlo,
ed. Viella, Roma 2005) e ne daranno conto per primi in Occidente eruditi e umanisti che nel descrivere la sontuosa architettura imperiale riveleranno un interesse preminente per i materiali e in modo particolare per la qualit e le suggestive
combinazioni dei marmi utilizzati. Ebbene, mentre lambito di elaborazione
artistica pi originale, ovvero la plastica architettonica, ha ricevuto valutazioni
complessive nellambito di trattazioni specialistiche, e sebbene lastre e transenne
non siano sfuggite a citazioni o acuti approfondimenti, assai pi generiche sono
infatti le nostre informazioni circa lintero corpus dei materiali marmorei eccezionalmente ancora in opera e sinora solo episodicamente e frammentariamente
presi in considerazione. Fissata lattenzione su questo dato, la verica stata
impostata in maniera comparata, prendendo pi direzioni di indagine.
La monograa che presentiamo il risultato di quasi un decennio di lavoro
coordinato da Alessandra Guiglia Guidobaldi e Claudia Barsanti, quale esito
ultimo dellinteresse costante che le due curatrici da tempo rivolgono allo specico indirizzo di studi della scultura proto e medio bizantina. Il volume, che
riunisce e sviluppa diversi contributi preliminari apparsi in sedi specialistiche,
maturato nel contesto di una missione archeologica svolta a partire dal 1999
con lautorizzazione del Ministero della Cultura della Repubblica di Turchia
e in accordo con lAyasofya Mzesi di Istanbul, sostenuta in Italia dal Consiglio Nazionale delle Ricerche, dal Ministero della Universit e della Ricerca
Scientica e Tecnologica e dal Ministero degli Affari Esteri.
Esclusi i capitelli e i decori parietali; escluse le cornici dei piani architettonici e quelle in stucco, la raccolta di saggi prende in esame le 102 lastre in
opera nelle gallerie 52 in funzione di parapetto delle nestre e 50 incassate
negli intercolumni con relative cimase e basamenti; i 16 softti degli architravi in opera nelle nestre delle gallerie sud e nord e i 26 privi invece di decorazione gli architravi della galleria occidentale. Vengono messe in evidenza
le caratteristiche dei telai marmorei dei nestrati e delle monumentali griglie
che li schermano; sono prese in considerazione le dodici grandi lastre collocate
sotto la nestra della galleria occidentale e il gruppo delle transenne in opera
con funzione di parapetti nei vani dei pilastri nord e sud ai lati del bema, al
piano delle gallerie e quelle in opera nella loggia del Sultano al pianoterreno.
Un contributo del tutto nuovo allo studio dei materiali della Megle Ekklesa
quello relativo allindividuazione di spolia; mentre la sezione dedicata ai
marchi di ofcina che siglano per la gran parte gli elementi marmorei amplia il
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RECENSIONI
punto dosservazione anche sullorganizzazione del grande cantiere costantinopolitano, prevalentemente organizzato attorno allestrazione dalle cave di Marmara Adasi. La storia dei marmi della Santa Soa seguita no alle vicende
posteriori al 1453, vale a dire agli interventi di un certo rilievo commissionati
dai sultani nel tardo XVI secolo e poi nel XVIII, messi a fuoco nel capitolo
nale che ripercorre analiticamente le fasi degli interventi di restauro realizzati
dai fratelli Fossati nel 1847-1849.
Per lorganica e denitiva presentazione del materiale Alessandra Guiglia
Guidobaldi e Claudia Barsanti hanno seguito un impeccabile e ormai collaudato modello di analisi (ricordiamo il contributo Gli elementi della recinzione liturgica ed altri frammenti minori nellambito della produzione scultorea
protobizantina, in F. Guidobaldi - C. Barsanti - A. Guiglia Guidobaldi, San
Clemente. La scultura del VI secolo [San Clemente Miscellany IV/2], Roma
1992): ad ognuno dei cinque capitoli stata conferita autonomia, come una
sorta di sezione monograca sul tema trattato; lanalisi dei materiali affrontata attraverso una trattazione premessa o un commento nale e nella catalogazione vera e propria, che consente un pi solido inquadramento degli elementi
sottraendoli alle incertezze della passata storiograa. Tutti i contributi che
compongono il volume procedono di pari passo con la lettura archeologica,
lo scavo darchivio o nella letteratura critica e lanalisi tecnica, nellinteresse
preminente di sviluppare considerazioni complessive. Lapparato illustrativo
si giova di numerose riprese fotograche che offrono vedute generali e in dettaglio in larga parte inedite e degli accuratissimi, preziosi rilievi della Santa
Soa, realizzati da Robert Van Nice a partire dal 1937 e in seguito pubblicati
tra 1965 e 1986. Esposta con ricchezza di riferimenti, dati, notizie e bibliograa, la materia che costituisce ogni saggio fonde risultati che possono dirsi
gi acquisiti ad una imponente quantit di nuove informazioni, ottenute per il
tramite dellinterrogazione diretta delle strutture attraverso la pratica (irrinunciabile) della perlustrazione sul campo, unita a tutte le metodiche di ricerca
disponibili. La manifestazione saliente di questa attenzione rappresentata da
alcune nuove acquisizioni: ricerche in aree meno note perch non agibili o di
facile accesso hanno infatti portato al recupero di sparsi materiali apparentemente minori e al primo rilevamento scienticamente completo di nuclei di
marmi per lo pi ancora inediti.
Nel capitolo introduttivo A.G. Guidobaldi rileva la carenza della documentazione graca e fotograca, e soprattutto la mancanza di adeguata valorizzazione di insieme, anche negli studi pi recenti, dellingente materiale costituito
dalle centodue lastre in opera dal VI secolo e dalla serie dei softti darchitrave
che rappresentano un unicum nel panorama dellarchitettura bizantina. Pochi,
pressoch inesistenti, i riferimenti ai plutei in opera negli intercolumni e nelle nestre del piano delle gallerie. Lautrice ricerca i rimandi ai rivestimenti
marmorei della Grande Chiesa nelle testimonianze delle fonti documentarie,
a partire dalle prime brevi descrizioni nei prodotti artistici det rinascimen-
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tale per giungere ai ben pi analitici documenti graci, soprattutto utili per la
perduta decorazione musiva, realizzati nellOttocento. Il capitolo illustra le
vicende relative alla scoperta del monumento dovuta allinteresse dimostrato
da generazioni di archeologici e studiosi di diverse discipline e di tutti i paesi
europei, i quali portarono il monumento allattenzione del mondo scientico
attraverso meritevoli descrizioni spesso corredate da suggestive ricostruzioni
grache. Degna di particolare menzione lopera di Wilhelm Salzenberg, che
si accostato al monumento con sensibilit scientica nuova, realizzando anche alcuni rilievi particolareggiati (datati 1854) dei materiali marmorei. Dopo
il suo, lapproccio pi ravvicinato al monumento sar di un costantinopolitano,
Eugnios Antoniades, astronomo autore di pregevoli studi sullastronomia greca antica e di fedelissimi disegni sui pianeti osservabili. La sua opera stata
ed utilissima per le precise annotazioni raccolte nel corso di un ventennio di
ricerche e di un sopralluogo protrattosi per mesi grazie alla concessione del
sultano Abdlhamid II nel 1904, dal quale scaturiranno, tra laltro, sezioni di
entrambi i lati dei plutei in opera negli intercolumni; e un repertorio completo
degli ornati scolpiti sul lato verso la galleria.
Lo studio dei materiali si apre con il capitolo dedicato da A.G. Guidobaldi
ai nestrati che nelle gallerie minori inglobano la met dei plutei ancora in
opera e tutti i softti di architrave. Il sistema delle complesse intelaiature si
articola in tre grandi trifore a doppio registro e in nestre a singole arcate
divise in gruppi di tre, garantendo la migliore funzionalit (ricordiamo che al
sistema di diffusione della luce, derivante dalle fonti naturali oltre che dalle
lampade, a somiglianza del cielo, lekphrasis di Procopio signicativamente
dedica ben centoquindici versi). Si riscontrano due diversi tipi a telai e griglie
marmorei coordinati da pilastri. Nella galleria meridionale sono superstiti parti
del rafnato sistema ornamentale dei sottarchi delle nestre a lastrine alternate
a pavonazzetto e cipollino rosso tagliate allo scopo da poter congiungere le
venature in forme speculari. Un tipo di decorazione, sottolinea lautrice, sopravvissuto nei sottarchi del San Demetrio di Salonicco, mentre i precedenti di
una simile articolazione modulare sono rintracciabili in alcuni esempi di edilizia civile depoca imperiale: e con ci si sottolinea anche limportanza per gli
studi paralleli, di antichistica, che trovano nel complesso della S. Soa lesito
nale. Ai telai impiegati nei nestrati del pianterreno e delle gallerie dedica
un approfondimento R. Flaminio. Si tratta di manufatti ricavati in marmo proconnesio e siglati nelle stesse ofcine di provenienza delle lastre e dei softti,
a ulteriore dimostrazione, afferma anche lautrice, dellunitariet del progetto
della Grande Chiesa. Come categoria di materiali essi possono forse trovare
precedenti tipologici negli esemplari metallici il cui impiego conosciuto nellarchitettura romana ma ancora poco noto negli edici di culto.
Ben 52 lastre cingono su tre lati il perimetro delle gallerie in funzione di
parapetti; decorate su entrambi i lati con schemi decorativi uniformi e una certa
disomogeneit di resa, in parte siglate. A.G. Guidobaldii ricostruisce lam-
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RECENSIONI
pio quadro di riferimenti del motivo disco-croce che impronta le lastre sul
lato esterno verso la galleria, studiato nellambito di trattazioni sulla scultura
costantinopolitana del VI secolo. Assai meno noto no ad ora il repertorio
decorativo del lato delle lastre rivolto verso linterno, i cui problemi di ripresa
fotograca sono oggi stati superati dallutilizzo di apparecchi digitali e da opportuni raddrizzamenti (descritti nellAppendice al volume). Si tratta di schemi
geometrici a rombi o quadrati posti diagonalmente e campiti da ornati di natura
vegetale e animale o da schemi ternari che prevedono al centro la croce, sistematicamente abrasi o comunque, fatta eccezione per alcuni casi, sottoposti ad
interventi di cancellazione parziale del motivo. Per quanto concerne i softti
architravati che scandiscono in due ordini le ampie trifore delle gallerie, ventisei sono in opera nei nestrati della galleria occidentale; disadorni ma con
incise le sigle di lavorazione che sono assenti invece nei softti decorati. A.G.
Guidobaldi ne ipotizza, con buona verosimiglianza, una antica nitura pittorica, forse dovuta ad interventi depoca mediobizantina. Il catalogo completo
degli architravi con softti decorati con un uniforme schema articolato in tre
specchiature, quadrangolari o rettangolari, contenenti gure geometriche e generalmente ornati vegetali (con la riproposizione in scala minore del decoro
dei plutei) viene offerto da Asnu Bilban Yalin. Questa categoria di manufatti
testimonia la continuit duso di un sistema architettonico utilizzato n dalla
prima et classica per architravi e lacunari, di cui proprio lAsia Minore tramanda gli esempi artisticamente pi elaborati, per esuberanza ornamentale e
maestria tecnica. Passando in rassegna i precedenti localizzati in area greca
e romana, lautrice non manca di illustrare lesempio dei softti cassettonati
del protiro della S. Soa consacrata nel 415 da Teodosio II e gli esempi della
trabeazione ancora in opera nel San Giovanni di Studio. Testimoniano il legame con lantichit anche le membrature di San Polieucto e dei Santi Sergio e
Bacco, queste ultime costituenti lesempio pi signicativo per la prossimit
cronologica e stilistica. Lautrice inserisce un ampio commento su questo tipo
di membrature spesso di natura erratica e in stato di estrema frammentariet, e non di rado impiegate anche per incorniciature di porte o architravi di
dimensioni ridotte, ad esempio di templa giusticato dalle afnit che esse
mostrano con la lanaloga tipologia di marmi nelle chiese bizantine di Costantinopoli, Izmit-Nicomedia, Salonicco, ecc. Il repertorio decorativo del resto
comune alla produzione scultorea del VI secolo e rintracciabile su manufatti
di categorie diverse, ma lautrice giustamente sottolinea lomogeneit iconograca dellintera ornamentazione della Grande Chiesa giustinianea, dove per
lo pi dominano temi di natura vegetale intercalati a inserti simbolici, quali
croci, cornucopie, kantharoi, che si sseranno nellorizzonte artistico orientale
quale fonte di riproposizione continua.
la croce, tuttavia, vertice simbolico ed iconograco, la protagonista assoluta dellintero programma ornamentale della chiesa di Giustiniano (del resto, essa connota anche tanta parte della plastica architettonica e degli arredi
693
marmorei del battistero della chiesa del Concilio a Efeso, e del San Polieucto).
Il simbolo intenzionalmente prescelto ed esaltato anche nel sistema di schermatura della monumentale nestra semicircolare alla sommit del prospetto
occidentale, nella paratattica sequenza di croci sul globo distribuita lungo le
cornici. Il grande vano luce a griglie marmoree viene descritto da A.G. Guidobaldi: sostenuto da dodici grandi lastre di rivestimento della sottostante
parete sul lato interno, nella zona superiore del naos, tra le gallerie e la base
della cupola, e si eleva a trenta metri da terra. Ogni elemento contrassegnato
da una sigla, cos globi e pilastrini che scandiscono lalternarsi delle lastre, cos
cimase e fasce inferiori delle due colonne di proconnesio che scandiscono in
tre luci la grande nestra e le griglie.
Il corpus dei plutei distribuiti negli intercolumni delle gallerie analizzato da C. Barsanti comprende 22 lastre nella galleria nord, 21 a sud e 7 ad
ovest, ma in origine il numero complessivo raggiungeva presumibilmente le
57 unit. Alcuni elementi recano segni riconducibili agli interventi di restauro
effettuati nella prima met dellOttocento dai fratelli Fossati, diretti arteci
di alcune lastre dipinte ad imitazione degli originari plutei inseriti negli intercolumni obliterati. Direttamente ssate su uno stilobate o al pavimento le
lastre sono sormontate da una cimasa modanata. Nella trattazione vengono
rigorosamente fornite circostanziate informazioni relative ai dati dimensionali,
ai principi di distribuzione, agli schemi e del repertorio decorativo e ai criteri
del loro abbinamento. Il lato verso la galleria mostra lo schema formato da
specchiature afancate o isolate: un motivo geometrico a rombo o quadrato
posto diagonalmente o ancora la stella a otto punte formata da due quadrati
intrecciati, nel cui interno prendono risalto ornati per lo pi tomor. I campi
decorativi risultano abrasi (nella fattispecie, risultano scalpellate le croci sul
globo presenti su trentacinque lastre), a seguito di un intervento riferibile dopo
linizio del XVIII secolo e prima della met del XIX che pu dirsi sistematico
solo nella galleria ovest e parziale invece nelle altre. Nel suo studio lautrice
distingue diverse mani di esecutori e una articolazione degli apparati ornamentali riconducibile in schemi semplici o ternari, ad aggetto contenuto, sul lato
rivolto verso la galleria e in schemi a modanature complesse, con soluzioni
fortemente plastiche e chiaroscurate, sul lato esposto verso il naos, anche se nel
complesso, suggerisce C. Barsanti, linsieme appare improntato ad un concetto
di intenzionale variet stilistica iconograca e di libera associazione distributiva. Di entrambe le tipologie compositive viene offerto un ampio quadro di
riferimenti, attraverso un censimento di analoghi materiali che spaziano dai
contemporanei prodotti della capitale e dellAsia Minore a manufatti dambito
occidentale. Almeno per quanto riguarda gli schemi a modanature complesse,
essi sembra possano dirsi esportati in qualit di modello, riette lautrice, pi
che come prodotti niti.
C. Barsanti fornisce inoltre una valutazione tipologica di insieme anche
delle cimase di coronamento delle lastra in opera negli intercolumni e nelle
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RECENSIONI
nestre delle gallerie. Un complesso di quasi centocinquanta pezzi attribuibili ad una unica manifattura, eccezionalmente integri e in opera, a differenza
dellingente mole di pezzi analoghi generalmente presenti nei contesti archeologici dellintera area di inuenza bizantina, frammentari ed erratici e, per le
loro caratteristiche eminentemente funzionali, di solito scarsamente considerati
negli studi sulla scultura.
Sono sei le transenne in opera nella S. Soa, alle quali vanno aggiunte tre
analoghi elementi utilizzati nella c.d. loggia imperiale ottomana, no ad ora
cos ben mimetizzate tra le altre appositamente realizzate dai fratelli Fossati
che soltanto allesame ravvicinato sono risultate identicabili con dei marmi
antichi. Lo studio delle transenne della S. Soa consente allautrice di offrire
un ampio quadro delle caratteristiche di questo rafnato ambito della produzione scultorea costantinopolitana det giustinianea, con una estesa panoramica
sugli elementi delle pi varie regioni dellImpero.
Il capitolo dedicato al reimpiego vede la minuziosa analisi da parte di R.
Flaminio di marmi interi o in frammenti di recuperati in varie parti del complesso ma per lo pi inseriti nella pavimentazione, censiti l dove lo consentivano le aree ispezionabili e altrimenti vericate sulla documentazione prodotta
dal Van Nice relativamente allarredo dellex-moschea. Si tratta in gran parte
di plutei, tra interi e frammentari; pilastrini; segmenti di cimase e di telai di
nestre, una mensa in pavonazzetto e a seguire elementi di pi incerta identicazione, con buona probabilit appartenenti alloriginario arredo della chiesa
giustinianea. I restauri alla pavimentazione sono ritenuti probabili dallautrice
gi nel periodo bizantino, forse nelle ultime fasi di vita delledicio come
chiesa. Un approfondito commento dedicato alla storia dellepigrafe funeraria
di Enrico Dandolo, nel 1204 alla guida dei latini impegnati nella conquista di
Costantinopoli nel corso della IV Crociata. Il doge mor nella capitale sul Bosforo e venne sepolto con tutti gli onori nella S. Soa; R. Flaminio ripercorre
analiticamente la vicenda critica relativa allidenticazione del sepolcro e ai
vari spostamenti da esso subito, avanzando lipotesi di un probabile assetto
originario in forma di sepolcro parietale collocato in una galleria. Un ulteriore spunto di interesse fornito dallindagine compiuta sulle ante di marmo
proconnesio in opera nella galleria meridionale, quale ingresso alla parte pi
riservata delle gallerie: anche in questo caso si trattato di porre laccento su
un manufatto certamente noto agli specialisti, la cui oscillante attribuzione cronologica per i calzanti confronti istituibili con gli altri materiali marmorei pu
ora con buona verosimiglianza ssarsi allinterno del programma decorativo
della S. Soa di Giustiniano.
Gi Antoniades, con sensibilit archeologica, ebbe cura di riprodurre scritte
e segni grafti connotanti i marmi della S. Soa. Manifestazione tangibile dellorganizzazione del cantiere che nel corso di cinque anni port a compimento
il grandioso disegno di patrocinio imperiale, le sigle dei marmorari da A.
Paribeni censite e studiate alla luce dei consistenti dati di confronto portati
695
696
RECENSIONI
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Handschriften, Verlag Franz Philipp Ritzen Echter Verlag, CD-ROM,
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LIBRI RICEVUTI
LA 56 (2006) 705-719
I. STUDENTI
Si registrato un incremento nel numero degli iscritti allo SBF che questanno
sono stati 101: 42 alla Licenza, 12 alla Laurea, 7 al Diploma di Formazione
biblica, 27 straordinari e 13 uditori. I licenziati sono stati 11: 10 in Scienze
bibliche e Archeologia, 1 in Teologia con specializzazione biblica. Sono state
discusse due tesi di Laurea: una in Scienze Bibliche e Archeologia, unaltra
in Teologia con specializzazione biblica.
Tesi di Licenza in Scienze bibliche e Archeologia
LUCA M., Il dono del Risorto. Analisi esegetica e teologia biblica di Gv 20,1923, pp. 92 (moderatore: G. Bissoli).
OLICKAL M., God sent me before you. A Narrative Analysis of Gen 45,1-8,
pp. 93 (moderatore: P. Kaswalder).
GOH Y.C.L., Wisdom to rule and build. Wis. 9,1-18 as an afterlife of a text,
pp. 122 (moderatore: F. Manns).
LUNA MIRANDA R., Il senso degli anni della vita. Studio esegetico del Salmo
90, pp. 86 (moderatore: A. Mello).
TINAJ G., Charis kai aletheia nel prologo di Giovanni, unendiadi rivelatoria,
pp. 125 (moderatore: F. Manns).
PANIAGUA E.J., The Behavior of Agape. An Exegetical Analysis of 1 Cor
13:4-7, pp. 98 (moderatore: A. M. Buscemi).
TOCZYSKI A., Analisi sintattico-testuale e narrativa di Es 14, pp. 84
(moderatore: G. Geiger).
ROSTOM MADERNA S., La diosa Asherah en Os 2,4-5a.6-7.10-14. Estudio
histrico-exegtico, pp. 124 (moderatore: A. Niccacci).
DE ANDRADE SOUZA E.M., Il ruolo della sapienza nella creazione di Dio: sfondo biblico-giudaico di Col 1,15-18A, pp. 110 (moderatore: A. M. Buscemi).
708
709
Yahwehs decision at his very rst theophany to Moses in the burning bush (Exod
3,8). Yahweh came down to deliver his people from Egypt and to bring them to
the good land. To Moses, he entrusted the rst part of his plan the deliverance
of the Israelites from Egypt (v. 10), but Joshua alone is the human agent of the
second part commissioned precisely in Deut 31,23 to bring the people into
the Land. Yahweh promised to both of them his own assistance I will be with
you (M;[i hy<h]a,), to Moses in Exod 3,12 and to Joshua in Deut 31,23, principally
for this salvic plan. In this light, it was not within the remit of Moses to give to
Joshua authority in the matter of leadership into the land, because he had never
received it from Yahweh. Moses could give to Joshua only some of his authority
(31,7-8; cf. Num 27,20a). Joshua received the full authority, i.e., equal to Moses
one, uniquely from the Lord alone in the tent (Deut 31,23). Thus Joshua is not
only a competent leader as was Moses and thus his real successor, but also the
true and the only executor of the second half of Yahwehs initial intention. It is
this latter that makes his role at least as important as that of Moses. The initial
intention of Yahweh as evidenced by his rst theophany continues through the
commissioning of the new leader and it will be completed only after the entrance
into Land, as the narrative of the Jordan crossing conrms.
Before Moses death the new competent leader is ready and after the 30 days
of mourning for Moses (34,8b), the narrator states for the reader alone that the new
leader Joshua is the only guide equal to Moses. The assumption that after Joshua
there was never another man like Joshua with the same authority as Moses became
a working hypothesis for the following chapter The prophet like Moses.
Chapter 4 analyses the last four verses of Pentateuch, Deut 34,9-12. V. 9
presents Joshua, full of the spirit of wisdom and alludes also to his future task
in the crossing of the Jordan. Vv. 10-12 present a prophet like Moses who is
characterized by face-to-face contact with Yahweh (v. 10b) and as miracle
worker at the event of exodus and crossing of the Reed Sea (vv. 11-12). The
literary analysis has shown that vv. 9-12 form an unbreakable unity and that
to cut v. 10 (hv,moK] laer:c]yIB] dw[ aybin: q:Aalw; v. 10a) off from v. 9 appears to be
a serious neglect of the Hebrew syntax and of the narrative coherence. Thus
the object of vv. 9-12 is Joshua and his role, which extend far beyond the end
of Deuteronomy. These verses are the basis for a proposal that Joshua is the
prophet like Moses and only the reader is aware of that.
V. 9 recalls the Mosaic installation via Moses imposition of the hands on
Joshua and recalls also the divine installation where Joshua received the spirit
of wisdom from the Lord. Thus it makes an indivisible link for the reader
between the Mosaic and divine installations and afrms the importance of the
last, divine installation. Since both Moses and Joshua share an equal dignity
obtained from Yahweh, then vv. 9-10 can legitimately be explained as the
qualication of Joshua as the prophet like Moses. Indeed, since then there
has not arisen a prophet like Moses, because he stood already ready there
on the spot Joshua. This conclusion is the most challenging one. Now, v. 9b
710
alludes to the crossing of the Jordan and vv. 11-12, which depend on v. 10,
evoke the Exodus miracle. Thus this prophet equal to Moses is characterized
by the Exodus attributes and then vv. 9-12 make an unbreakable link between
the narratives of the crossing of the Reed Sea and of the Jordan.
Vv. 9-12 recall the strong linkage between Exod 3,8-12 and Deut 31,23
and thus the link between the Books of ExodusDeuteronomy and the Book of
Joshua is without comparison in the Hebrew Bible. The theme, which starts in
Exod 34 and is being completed in Josh 34, employs Deut 34,9-12 (linked
to 31,23) as necessary to convey an important statement for the reader, that
Eisodos has an equal value to that of Exodus. Since vv. 9-12 form a strong
link between the books of Deut and Josh, it is erroneous to speak about such
a Pentateuchal redaction, which apparently would have marked a division between the Pentateuch on the one hand and Joshua on the other.
Since vv. 9-10 form a literary unity, the division of vv. 7-9 from vv. 10-12
fails to recognize the principles of the text as literature. A diachronic proposal
that overlooks both the syntactical structure (of vv. 9-10a) and the narrative coherence is lacking a solid basis. Thus any diachronic analysis which separates
v. 9 from vv. 10-12 on the literary basis, must be revisited at least.
Chapter 5 analyses the short narrative Josh 5,13-15. Joshua, the prophet
like Moses, after he led the people into the Promised Land, encounters that
unknown. The encounter as such terminates with the speech of Yahweh in 6,25. In fact, the syntactical analysis conrmed that 5,136,5 describes one single
encounter between Joshua and Yahweh. However, the text of 5,13-15 has been
proven to be cohesive and to have a self-subsistent narrative. It functions as
an introduction to the second part of the encounter. The plot of theophany has
been identied in this whole narrative unit (5,136,5).
Since the rst salvic era that Yahweh inaugurated in Exod 3,8 was fullled
with the crossing of the Jordan (Josh 34) and, as recalled by several narrative
notes in Josh 5, the reader may expect a new revelation of God. Indeed, the
comparative study of Joshuas encounter with the commander (vv. 13-15) with
four other theophanies to Abraham (Gen 18,1-15), to Jacob (ch. 32,25-32),
to Moses (Exod 3,1-12) and to Balaam (Num 22,20-35) conrmed that this
encounter inaugurates a new theophany of Yahweh. The narrator of Joshuas
encounter evokes remarkably via the phrase taking off sandals the reiteration of the revelation to Moses and its actualisation through the liberation of
Yahwehs people from Egypt and through their entry into the good land. On the
other hand, through the intended links to the theophanies to Abraham and Jacob,
the narrator evokes the fullment of the old, and most important, promise of the
land for the patriarchs and for their posterity. Thus these narrative devices function as a support for the proposal of the equal importance of a new theophany
in Josh 5,13-15(6,5) with the three theophanies mentioned above. In this new
theophany, Yahweh revealed himself to Joshua with the military connotations
and with the decision to be a protagonist of the future for his people.
711
Today it is accepted that the biblical authors utilized the imaginative and
conventional religious language familiar to them from their Syro-Palestine
background and freely applied it to Yahweh, often to demonstrate his superiority over other deities. The monotheistic orientation however tended to present
Yahweh also with more sophisticated attributes and with the unshakeable human-divine relation which was the basis of a presentation of Yahweh that was
more symbolically than realistically military. It seems to be that the postexilic
theological reconsideration must have penetrated some chief texts treating the
promise of the land from the Book of Exodus to the Book of Joshua at least
and created a rm hope of the gift of land. The same theologians have presented a new revelation of Yahweh with a decision to give the land into the
hand of the Israelites. Evidently, their God will be the protagonist of such an
invasion of the land and by no means the Israelites alone.
Our investigation has shown that the second chief theophany of Yahweh
in Josh 5,136,5 does not empower Joshua for a military campaign but rather,
evoking in the reader the past important revelations and events of the history
of the Israelites, it raises the hopes for the life in the Promised Land. Thus the
narratives about the ritual destruction of the nations are not conceived on the
literary level as of the primary importance and their interpretation, which often
recalled as problematic, are evidently relativised and they should not constitute
the most important theological problem of the Book of Joshua. Indeed, the
chief role of Joshua was to accomplish Yahwehs decision to lead the people
into the Promised Land and then to apportion it, but not to conquer it. His
leadership therefore is not a model of leadership in the conquest but a model
of leading home, into the land. Our text therefore narrates a new revelation of
Yahweh who himself, under the military vestments, will be the protagonist of
the proximate future of Israel. Moreover, the narrator of Josh 5,13-15 recalls
the past events and the fullment of the faithfulness of Yahweh to his greatest Promise of the Land and thus the reader may expect that new salvic era,
opened by this theophany, will be marked again by Yahwehs faithfulness and
a positive outcome for his people in the Promised Land. (.B.)
Tesi di Laurea in Teologia biblica
MAZUR Roman, La retorica della Lettera agli Efesini, pp. 451 (moderatore:
A. M. Buscemi; correlatore: G. C. Bottini; censore: R. Pierri).
La funzione di questa parte, secondo la retorica classica, coincide parzialmente con
lo scopo della conclusione del lavoro scientico: ratio posita in rebus, si tratta cio
di ricordare in maniera concisa i punti pi importanti ai quali la ricerca arrivata
(Cf. QUINTILIANUS, Linstituzione oratoria, VI.1.1, in riferimento alla peroratio =
conclusio. Cf. anche LAUSBERG, Handbook of Literary Rhetoric, 431-435.)
712
La ricerca iniziata partendo da unindagine preliminare, che mi ha permesso di conoscere la molteplicit degli studi fatti sulla Lettera agli Efesini, i
loro punti di arrivo come anche il buon livello da essi raggiunto e il contributo
specico che essi hanno offerto per il mio tema di ricerca sulla struttura retorica della Lettera agli Efesini. Ad essi, in qualche modo mi sento debitore.
Rileggendo per criticamente gli studi che mi hanno preceduto, mi sembrato bene colmare due lacune principali: 1) la prima riguarda lapplicazione
del metodo storico-critico a tutta la Lettera, specialmente nella parte letteraria,
dove gli aspetti sintattici e strutturali delle varie pericopi spesso sono stati
trascurati dai commentatori, per offrire unesegesi pi concettuale che testuale
e concettuale insieme; 2) la seconda lacuna riguarda lapplicazione sistematica
delle regole della retorica al testo della Lettera. La maggioranza degli studi, da
me esaminati, sono commentari e, quindi, si spiega il fatto che gli autori hanno
fatto uso della retorica solo in maniera sporadica, non tanto per individuare
la inventio della Lettera, ma per servirsi di qualche gura della elocutio che
poteva in qualche modo caratterizzare certe parti della Lettera. I pochi autori,
che hanno trattato la Lettera o parti di essa sotto laspetto retorico, mostrano
una sensibilit maggiore ai problemi retorici, anche se a mio avviso hanno un
difetto di fondo: manca in essi una ricerca letteraria, sintattica e strutturale, di
base che sostenga la ricerca della struttura retorica della Lettera; mancano in
altre parole di quel recte dicendi modus della Lettera agli Efesini. Tutto ci,
pertanto, mi sembra che sia dovuto, in un modo e in un altro, ad una carenza
di metodo nella ricerca: un metodo che non prescinda dalla critica storico-letteraria del testo n di quella propria delle regole retoriche.
Conscio di tutto ci e che unanalisi solamente retorica, che trascuri la
retta elocutio o la areth thv le/xew, non si giustichi, mi sembrato bene
di stabilire un metodo di ricerca che unisca sia laspetto letterario che quello
retorico. Cos, ho iniziato, in primo luogo, dallanalisi sintattico-letteraria del
testo secondo le tappe del metodo storico-critico: dopo aver esaminato il testo
secondo la critica textus, abbiamo cercato di individuare, mediante la sintassi
e altri dettagli stilistici, tutti quegli elementi di unit e di suddivisione che
aiutavano a scoprire sia la micro-struttura della Lettera agli Efesini che la sua
macro-struttura. In tal modo, si potuto ricostruire il tessuto (textus) della
Lettera, cos da avere una prima comprensione del suo messaggio. La seconda
fase del lavoro stato quello di capire tale messaggio alla luce dellanalisi retorica, in modo da comprendere a fondo la dispositio o inventio della Lettera,
cio quellordinamento pratico del procedimento argomentativo retorico, applicato per ottenere il massimo della comprensione del lettore o per esprimerci
in termini retorici: attentum, docilem, benevolum auditorem parare.
Chiarito il metodo della ricerca, nella Prima Parte del mio lavoro, ho
stabilito una stretta analisi letteraria di ogni pericope, basata su tre traiettorie
importanti: i limiti delle pericopi, in cui stata inserita anche la critica textus,
il genere letterario, lo sviluppo formale-contenutistico. In base a tale ricerca,
713
714
Una volta stabilito tale modo di procedere, sono passato dalla micro-struttura dellanalisi letteraria della Prima Parte alla macro-struttura dellanalisi
retorica: in altre parole ho stabilito la dispositio della Lettera agli Efesini nella sua globalit. Essa si presenta: a) come un discorso inserito in una veste
epistolograca: avente, quindi, un praescriptum, un corpus, un postscriptum;
b) il suo genus rhetoricus quello dellargumentatio epidittica: cio quello
di una istruzione sul bene da fare e il male da evitare, avente come punto di
riferimento il messaggio cristiano nel suo insieme, sia nella sua caratterizzazione dottrinale che in quella parenetica, ma ancor di pi avendo come centro
portante la cristologia; c) la dispositio concreta della Lettera si svolge in modo
regolare: dopo lexordium di Ef 1: praescriptum + eulogia + ringraziamento
(unito alla petitio), segue la narratio di Ef 2,1-10, alla quale succede largumentatio o probatio di Ef 2,11-6,9, e inne la peroratio di Ef 6,10-20 ed il
postscriptum di Ef 6,21-24; d) la lunga argumentatio di Ef 2,11-6,9 ha due
propositiones: una principale in Ef 2,8-10 e una secondaria o sub-propositio
in Ef 4,1-3, entrambe illustrano epiditticamente il messaggio principale della
Lettera: la salvezza, offerta come grazia ai credenti e che essi sono chiamati a
mantenerla, come un solo uomo nuovo, nellunit ecclesiale.
In base alla nostra analisi sintattica e letteraria, la struttura della Lettera si
presenta nel modo seguente:
Ef 1,1-2 praescriptum
Ef 1,3-14 eulogia
Ef 1,15-23 ringraziamento e preghiera dintercessione
Ef 2,1-6,20 corpus della Lettera
Ef 2,1-3,21 parte dogmatica o dottrinale o teologica
Ef 2,1-10 narratio
Ef 2,11-22 argumentatio
Ef 3,1-13 argumentatio
Ef 3,14-21 lintercessione (Ef 3,14-19) e la dossologia (Ef
3,20-21)
Ef 4,1-6,20 parte parenetica
Ef 4,1-16 propositio: unit (Ef 4,1-3) e carismi ecclesiali
(Ef 4,7-16)
Ef 4,17-24 esortazione a vivere secondo luomo nuovo
Ef 4,25-5,2 esortazione a vivere secondo lamore
Ef 5,3-14 esortazione a non vivere secondo i vizi ma
secondo le virt
Ef 5,15-20 esortazione a vivere da saggi
Ef 5,21-6,9 Haustafel
Ef 6,10-20 ultima esortazione - peroratio
Ef 6,21-24 postscriptum
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Il quadro generale della dispositio della Lettera agli Efesini, secondo lanalisi
retorica svolta, si presenta nella maniera seguente:
Ef 1,1-23
Ef 2,1-10
Ef 2,8-10
Ef 2,11-3,13
Ef 2,11-22
Ef 3,1-13
Ef 3,14-21
Ef 4,1-6
Ef 4,7-6,9
Ef 4,7-16
Ef 4,17-24
Ef 4,25-5,2
Ef 5,3-20
Ef 5,3-14
Ef 5,15-20
Ef 5,21-6,9
Ef 6,10-20
Ef 6,21-24
exordium
narratio
propositio
argumentatio
prima probatio
secunda probatio
peroratio
propositio (Ef 4,1-3) con adiectio (Ef 4,4-6)
argumentatio
prima probatio
secunda probatio
amplicatio dellargumentatio con una digressio
due amplicationes
amplicatio con catalogo dei vizi e delle virt
amplicatio sulla vita da saggi
argumentatio sulla vita della famiglia cristiana (Haustafel)
peroratio
postscriptum
Come si pu notare dal confronto delle due strutture, gli elementi essenziali
della Lettera concordano tra loro, tranne in alcune parti; le differenze sono dovute
soprattutto al genere letterario misto della Lettera: epistolograco e retorico insieme. Cos, la prima differenza si nota gi allinizio, dove lexordium della Lettera
pi esteso del solito e include tre generi letterari: il praescriptum, la eulogia e il
ringraziamento, che nellanalisi letteraria vengono svolte in tre pericopi distinte.
In effetti, per, le tre pericopi di Ef 1 contengono elementi caratteristici di un
exordium.
Anche la narratio di Ef 2,1-10 prepara la continuit del discorso e nella
sua parte nale, attraverso la propositio di Ef 2,8-10, introduce il tema principale della Lettera: la salvezza un dono di Dio e gli uomini la ottengono
per lamore misericordioso di Dio e mediante le opere buone a cui sono stati
predisposti nel Cristo Ges (Ef 2,10).
Largumentatio di Ef 2,11-3,13 la pi/sti o probatio, che in Ef 2,11-22 e
Ef 3,1-13 vuole mettere in risalto (docere) sia la differenza tra leijko/ del passato dei credenti e quello presente e, inoltre, il ruolo ministeriale di Paolo nel
rivelare agli Efesini il mistero di Cristo, soprattutto ai credenti provenienti dal
paganesimo. Entrambe le pi/stei contengono elementi emotivi atti a suscitare
il pathos, afnch lauditorium segua il contenuto del docere.
In Ef 3,14-21, si ha la peroratio, che, attraverso il suo tipico elemento di
ricapitulatio o ajnakefalai/wsi, riprende brevemente le idee n qui presenta-
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717
causa, per chiedere a Dio che la Parola del vangelo possa essere proclamata
con franchezza a tutti gli uomini e la salvezza possa investirli attraverso lazione apostolica di Paolo.
Il postscriptum di Ef 6,21-24 fa ritorno al genere epistolare e conclude la Lettera
in modo regolare o comune alle altre Lettere paoline con piccole modicazioni.
Al termine di questa conclusione generale, mi sembra che la ricerca non nisca
con il mio presente lavoro, ma che vi siano ancora delle prospettive di ricerca. In
primo luogo, vi ancora da lavorare nel campo specico della retorica. vero che
ho cercato di individuare inventio, dispositio e elocutio, ma questultimo campo
della elocutio molto vasto e complesso e in qualche modo andava oltre i limiti del
mio lavoro. Infatti, il campo della elocutio non si interessa soltanto delle gurae
elocutionis e delle gurae sententiae, a cui noi abbiamo fatto riferimento e che
sono molto importanti per lesegesi dei testi, ma anche della compositio soprattutto della sententia e del periodus. Ogni retore usava una colometria specica,
che rendeva il proprio discorso non solo sapido, ma anche armonioso allascolto.
Tale studio potrebbe essere di aiuto in certi casi, non tanto per lesegesi contenutistica dei testi, quanto per lesegesi formale che si interessa della divisione e
suddivisione del testo. Potrebbe avere una certa utilit anche per coloro che si
dedicano a rilevare i brani poetici del testo, come in qualche modo ho accennato
per la eulogia di Ef 1,3-14 e linno di di Ef 2,14-18.
Mi sono interessato anche dellaspetto contenutistico del brano, ma chiaro che la Lettera sotto questa dimensione presenta prospettive molto vaste nel
campo della teologia, della cristologia, della pneumatologia, dellecclesiologia
e del loro rapporto vicendevole. Tutto ci non era chiaramente nel nostro scopo,
ma elaborando questa ricerca, man mano che procedevo, mi sono reso conto che
essa non era altro che un campo ristretto nel campo immenso della investigazione
sulla Lettera agli Efesini. Gli studi su questo punto non mancano; ci che manca
in essi, per, la base solida dellapprofondimento della ricerca sul testo.
Il presente lavoro vuole fornire a tali studi un fondamento pi sicuro:
quello di una ricerca che tiene conto degli aspetti formali letterari sintattici
e strutturali e di quelli funzionali della retorica. Sotto questo aspetto, la mia
ricerca potrebbe essere utile anche ai commentatori di Efesini, in quanto non
vi pu essere nessun buon commento che non tenga conto degli aspetti formali
e funzionali di questa Lettera, pi che di ogni altra lettera paolina. Spesso,
infatti, si sente affermare che la Lettera agli Efesini ha poca partecipazione
emotiva. Questo non vero e lo studio sulluso della retorica in questa Lettera
ci ha convinto che quellaffermazione un locus communis sine fundamento
in re. Paolo rivela tutto il suo essere in questa Lettera, sia con i toni evocativi
della eulogia di Ef 1,3-14, sia nel ricordare ai credenti di Efeso il suo impegno
per manifestare ad essi il mistero di Cristo (Ef 2,1-22), ma soprattutto nella
parenesi di Ef 4,1-6,20, dove il cuore di Paolo vibra nellesortare a vivere in
maniera degna della vocazione a cui si chiamati, in maniera da contribuire
con i propri carismi alledicazione della Chiesa, a riempirsi dello Spirito per
718
cantare a Dio con salmi, inni e cantici spirituali, per vivere in armonia nella
famiglia e a rivestirsi dellarmatura spirituale per essere pronti a resistere alle
insidie del diavolo, ma specialmente a rivestirsi di Cristo per essere un solo
uomo nuovo con lui. (R.M.)
II. NOTE DI CRONACA
5 ottobre 2005. Nella chiesa di S. Salvatore si svolta la celebrazione eucaristica per linaugurazione dellanno accademico 2005-2006. La celebrazione
stata presieduta da Mons. Pietro Sambi, Nunzio Apostolico. Per la prima volta si
sono uniti alla celebrazione anche docenti e studenti dello Studium Theologicum
Salesianum. Sotto la presidenza del Decano si svolta la prima assemblea degli
studenti ordinari dei tre cicli della Facolt, per lelezione del loro rappresentante
al Consiglio.
11 ottobre 2005. Gli studenti dello SBF hanno eletto come loro rappresentante
al CD Giuseppe Berardi.
30 ottobre 2005. Riceviamo una lettera di ringraziamento dellarcivescovo
Mons. Leonardo Sandri, Sostituto della Segreteria di Stato del Vaticano - Affari
Generali. Il papa Benedetto XVI esprime gratitudine per il dono ricevuto in occasione del Congresso Internazionale indetto dalla Federazione Biblica Cattolica
per il XL anniversario della Dei Verbum.
18 novembre 2005. Nellaula Bellarmino Bagatti, p. Adrian Schenker, op,
tiene una conferenza sulla Biblia Hebraica Quinta.
14-29 novembre 2005. Si svolge il IX corso per animatori di pellegrinaggi in
Terra Santa.
8 dicembre 2005. Visita allo SBF e al Museo di Don Arto Antonio sdb, direttore
dellIstituto di Psicologia dellUPS di Roma e di p. Giancarlo Lato ofm.
10 dicembre 2005. Su invito di p. Alviero Niccacci il prof. Bruno Chiesa ha
tenuto una conferenza presso lo SBF dal titolo I Karaiti del X sec. come prodotto
della simbiosi giudaico - cristiano - musulmana.
17 dicembre 2005. P. Claudio Bottini (moderatore della prima sessione) e p.
Frdric Manns (relatore) hanno partecipato alla giornata di studio Il Concilio
Vaticano II: 40 anni dopo presso il Centro Notre Dame di Gerusalemme.
11 gennaio 2006. S. Em. il Cardinale Tarcisio Bertone, Arcivescovo di Genova,
ci onora di una sua visita e si ferma alla Flagellazione come ospite.
1-14 febbraio 2006. Si svolge lescursione in Egitto guidata da p. A. Niccacci.
9 febbraio 2006. Visitano lo SBF e sono nostri ospiti Julio Trebolle, biblista
spagnolo, Pablo Turrijano.
14 febbraio 2006. Giungono alla Flagellazione Mons. Giuseppe Segalla e p.
Marco Nobile. Il primo terr un corso di Teologia biblica (NT), il secondo un
corso di Teologia e uno di Esegesi (AT).
719
TAVOLE
M. Piccirillo
C. Pappalardo
B. Hamarneh
Y. Zelinger
L. Di Segni
A. Egea Vivancos
G. Cravinho
S. Amorai-Stark
M. Piccirillo
G.C. Bottini
M. Piccirillo
33 - 36
M. PICCIRILLO
Foto 1 Umm al-Rasas. Gli edifici allesterno del muro nord del castrum
prima dello scavo.
M. PICCIRILLO
M. PICCIRILLO
M. PICCIRILLO
M. PICCIRILLO
M. PICCIRILLO
M. PICCIRILLO
M. PICCIRILLO
M. PICCIRILLO
Foto 18
10
M. PICCIRILLO
Foto 20
Foto 21
M. PICCIRILLO
11
Foto 22 Trasportatore e lepre che mangia luva Dettaglio del mosaico del
presbiterio.
Foto 23 Testa di
volatile Dettaglio
del mosaico del
presbiterio.
Foto 24 Dettaglio
del mosaico del
presbiterio.
12
M. PICCIRILLO
M. PICCIRILLO
13
14
M. PICCIRILLO
C. PAPPALARDO
Foto 1 Coperchio
R 21285 dalla
riempitura sul
mosaico in
R 1502.
Foto 2 Frammenti
di lucerne dallo
scavo della chiesa.
15
16
C. PAPPALARDO
B. HAMARNEH
17
18
B. HAMARNEH
B. HAMARNEH
19
20
B. HAMARNEH
Foto 9 Veduta della navata di S. Sergio con il crollo delle lastre del tetto in
situ.
Foto 10 Nicchia con lastra marmorea alloggiata e decorata con croce incisa.
B. HAMARNEH
Foto 11 Frammenti di
intonaco dipinto trovati
presso la facciata interna di
S. Sergio.
Foto 12 Ceramica di epoca
mamelucca trovata nello
scavo del complesso.
Foto 13 Lucerna N 7052
datata allepoca mamelucca.
21
22
B. HAMARNEH
Y. ZELINGER - L. DI SEGNI
A FOURTH-CENTURY CHURCH
23
24
Y. ZELINGER - L. DI SEGNI
A FOURTH-CENTURY CHURCH
Photo 6. The
inscription near the
bema (N. Davidov.
Courtesy of the
IAA).
A. EGEA VIVANCOS
25
Figura 2 Mapa parcial del Alto ufrates sirio con indicacin de algunos de
los yacimientos mencionados en el texto.
26
A. EGEA VIVANCOS
A. EGEA VIVANCOS
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A. EGEA VIVANCOS
A. EGEA VIVANCOS
29
30
A. EGEA VIVANCOS
Figura 11 Vista de la escalinata rupestre que une MS/17 con MS/19. Magra
Sarasat. Siria.
A. EGEA VIVANCOS
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A. EGEA VIVANCOS
Figura 14 Vista del patio de JIR/1 con los accesos a las diferentes celdas
del eremitorio. Al Jirba. Siria.
G. CRAVINHO - S. AMORAI-STARK
A JEWISH INTAGLIO
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G. CRAVINHO - S. AMORAI-STARK
A JEWISH INTAGLIO
G. CRAVINHO - S. AMORAI-STARK
A JEWISH INTAGLIO
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G. CRAVINHO - S. AMORAI-STARK
A JEWISH INTAGLIO
M. PICCIRILLO - G. C. BOTTINI
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M. PICCIRILLO - G. C. BOTTINI
RICERCA IN GIORDANIA
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RICERCA IN GIORDANIA
RICERCA IN GIORDANIA
ATH-THAMAD
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RICERCA IN GIORDANIA
ATH-THAMAD
Fig. 3 Retaining walls and silos on the north slope in front of Gate 100.
RICERCA IN GIORDANIA
ATH-THAMAD
Fig. 5 Oven and working platform with basalt saddle quern (left) in
Building 400.
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RICERCA IN GIORDANIA
UMM AL RASAS
Fig. 1 Umm al-Rasas. The Palace after the 2006 excavations seen from the
west.
Fig. 2 The southern wing of the Palace seen from the north.
RICERCA IN GIORDANIA
UMM AL RASAS
45
Fig. 3 Umm al-Rasas. The Palace. The vaulted room of the sourthern wing.
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RICERCA IN GIORDANIA
UMM AL RASAS
RICERCA IN GIORDANIA
NITL
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Fig. 1 Nitl. The destruction of the ecclesiastical complex seen from the
martyrial chapel.
Fig. 2 Nitl. The facade of the Ottoman Mosque after the recent destruction.
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RICERCA IN GIORDANIA
NITL
Fig. 3 Nitl. The mihrab of the Ottoman mosque after the destruction.
Fig. 4 Nitl. The column found in the south west corner of the presbytery of
the North Church.
RICERCA IN GIORDANIA
NITL
Fig. 6 The small basin and the water channel on the right side.
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RICERCA IN GIORDANIA
NITL
Fig. 7 Nitl. Plan of the 2006 summer excavation campaign (Dr. by E. Ferri).
RICERCA IN GIORDANIA
Fig. 2 Petra.
Reconstruction
drawing of the
mosaic floor
(Dr. by Q.
Twissi).
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RICERCA IN GIORDANIA
Fig. 3 Fragment
of Mosaic B.
Fig. 4 Nabatean
Mosaic C from
Wadi Musa .
RICERCA IN GIORDANIA
VARIA ARABICA
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Fig. 1 Rihab. The Church of St. Constantine (In the centre, Dr.A.al-Husan
with the students of the Madaba Mosaic School).
Fig. 2 Rihab. The disfigured mosaic panel with the two letters TM added
during the restoration.
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RICERCA IN GIORDANIA
VARIA ARABICA
RICERCA IN GIORDANIA
VARIA ARABICA
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Fig. 5 Hesban. The stone lintel found on the northern slope of the acropolis.
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RICERCA IN GIORDANIA
VARIA ARABICA
Fig. 7 Rashidiyah. The central inscription in the Church of the Virgin Mary
excavated by the Department of Antiquities of Jordan.
RICERCA IN GIORDANIA
ZIZIA
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2a
2b
Fig. 1 Jizia/Zizia. Stele funeraria
con iscrizione.
Fig. 2 a. b. c Jizia/Zizia. Stele
funeraria con croce in rilievo
dal cimitero di est.
2c
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RICERCA IN GIORDANIA
ZIZIA
Fig. 4
Fig. 5
Fig. 7
Fig. 6
Fig. 8
RICERCA IN GIORDANIA
ZIZIA
Fig. 10
Fig. 11
Fig. 13
Fig. 12
Fig. 14
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RICERCA IN GIORDANIA
ZIZIA
Fig. 15 Jizia/Zizia. Stela funeraria dal cimitero di est, con aggiunta in arabo.
Fig. 16
Fig. 17
RICERCA IN GIORDANIA
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Fig. 2 Nitl
Archaeological
Park. View of
the St. Sergius
Shelter (Dr. by
A. Roncalli-E.
Ferri).
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RICERCA IN GIORDANIA
RICERCA IN GIORDANIA
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RICERCA IN GIORDANIA
RICERCA IN GIORDANIA
AL RIYASHI
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Fig. 1 Lisola di Dayr al-Riyashi alla confluenza tra il Wadi Heidan con il
Wadi Moujib/Arnon prima di riversarsi nel Mar Morto (Google Earth).
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RICERCA IN GIORDANIA
AL RIYASHI
Fig. 3 Dayr al-Riyashi (sulla sinistra), a sud di Ayn Qusayb nellansa del
Wadi Heidan.
RICERCA IN GIORDANIA
AL RIYASHI
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RICERCA IN GIORDANIA
MOUNT NEBO
Fig. 1 The poster to remind the 30 years from the discovery of the mosaic
floor in the old diakonikon of the Memorial of Moses (by J. Abela - C.
Pappalardo).
Fig. 2 The exhibition of the upper mosaic floor of the Priest John Chapel.
RICERCA IN GIORDANIA
MOUNT NEBO
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RICERCA IN GIORDANIA
MOUNT NEBO
Fig. 7 The restored upper mosaic floor of the Priest John Chapel on Mount
Nebo (by A. Vaccalluzzo and F. Sciorilli).