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La rappresentanza sindacale nei luoghi di lavoro: dalle rappresentanze sindacali aziendali (r.s.a.

)
alle rappresentanze sindacali unitarie (r.s.u.)
Premessa
Il sindacato italiano ha a lungo trascurato la rappresentanza allinterno dellimpresa; tale vuoto
stato colmato da alcune entit rappresentative.
La prima stata la commissione interna, eletta a suffragio universale dai lavoratori dellimpresa,
che svolgeva attivit sindacale anche se non era un organo del sindacato.
Successivamente si cerc di sostituire le commissioni interne con le sezioni sindacali aziendali,
basate sul principio associativo ma che non ebbero una grande diffusione.
La svolta arriv con lintroduzione dei delegati e del consiglio di fabbrica:
I delegati erano soggetti rappresentativi dei lavoratori appartenenti allo stesso settore produttivo.
Il consiglio di fabbrica, invece, era lorgano composto dai delegati al quale i tre sindacati
confederati (CGIL, CISL, UIL) riconobbero i poteri contrattuali allinterno dellimpresa.
Con le successive modifiche delle categorie dei lavoratori e la rottura del patto federativo tra le
confederazioni, il sistema dei consigli di fabbrica entr in crisi e questo port lorientamento
sindacale alla costituzione di autonome e separate rappresentanze sindacali aziendali (r.s.a.); su
questultimo punto decisivo stato il contributo dello Statuto dei Lavoratori (L. 300/1970) nel
disciplinare i modelli di rappresentanza sindacale nei luoghi di lavoro.
Tra una democrazia sindacale assembleare diretta e una democrazia di tipo rappresentativo, la
scelta ricadde sulla seconda.
Le rappresentanze sindacali aziendali (r.s.a.)
Lart. 19 Stat. Lav. apre il Titolo III dedicato alla protezione e alla promozione dellattivit sindacale
nellimpresa.
Il Titolo III dello Statuto dei Lavoratori non di applicazione generale; infatti secondo lart. 35 Stat.
Lav. esso si applica alle imprese che nelle unit produttive occupino pi di 15 lavoratori.
Nella versione originaria dellart. 19 Stat. Lav. le rappresentanze sindacali aziendali possono
essere costituite ad iniziativa dei lavoratori in ogni unit produttiva nellambito: a) delle associazioni
aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale, b) delle
associazioni sindacali non affiliate alle predette confederazioni, firmatarie di contratti collettivi
nazionali o provinciali di lavoro applicati allunit produttiva.
Secondo la Corte Costituzionale non in contrasto con: lart. 39 c.1 Cost. in quanto si limita ad
aggiungere prerogative ulteriori rispetto a quelle garantite dal principio costituzionale, e non a
sottrarle (Corte Cost. n. 54/1974); lart. 3 c.1 Cost. n. 345/1996).
Le rappresentanze sindacali unitarie (r.s.u.)
I delegati o i consigli di fabbrica erano un compromesso tra il sindacato CISL e il sindacato CGIL;
la mediazione si trova nel 1993 con le rappresentanze sindacali unitarie previste dal protocollo
Ciampi-Giugni tra governo e parti sociali, e regolate dallaccordo interconfederale tra sindacati
confederati (CGIL, CISL, UIL) e Confindustria.
La r.s.u. subentra alla r.s.a. nella titolarit dei diritti sindacali e il suo riconoscimento pu essere
revocato da un sindacato firmatario solo dando disdetta a tutto laccordo.
Liniziativa della costituzione e del rinnovo di una r.s.u. pu essere presa disgiuntamente da una
delle organizzazioni sindacali firmatarie del protocollo; inoltre allaccordo possono aderire
organizzazioni non confederative se hanno sottoscritto il contratto collettivo nazionale di lavoro
(c.c.n.l.) o hanno raccolto firme per almeno il 5% dei lavoratori con diritto al voto.
2/3 dei seggi sono ripartiti tra tutte le organizzazioni, 1/3 tra le associazioni firmatarie del c.c.n.l.
La contrattazione collettiva di secondo livello (aziendale) viene effettuata oltre che dalle r.s.u.
anche dagli organi locali dei sindacati firmatari il c.c.n.l.
Le elezioni sono valide se si raggiunge il quorum del 50% pi uno e le r.s.u. durano in carica tre

anni.
La rappresentanza sindacale nel pubblico impiego
Il protocollo Ciampi-Giugni del 1993 stato integrato dallaccordo
quadro del 1998 e ripreso dal Dlgs. 165/2001 in materi di contrattazione collettiva nel pubblico
impiego.
Partendo dal presupposto del requisito dimensionale delle unit produttive con pi di 15
dipendenti, lart. 42 c.2 Dlgs. 165/2001 dice che le organizzazioni sindacali, ammesse alle trattative
per la sottoscrizione dei contratti collettivi, possono costituire rappresentanze sindacali aziendali ai
sensi dellart. 19 Stat. Lav. che sono titolari dei diritti previsti agli artt. 23, 24, 30 Stat. Lav.
(Permessi e aspettative sindacali).
Lart. 42 c.3 Dlgs. 165/2001 dice che le organizzazioni sindacali, anche ad iniziativa disgiunta,
possono costituire un organo di rappresentanza sindacale unitaria del personale mediante elezioni
alle quali possono partecipare tutti i dipendenti pubblici; si applica il criterio proporzionale dei seggi
a differenza del settore privato (assenza della c.d. riserva del terzo).
Infine bene evidenziare come le costituzione di r.s.a. e di r.s.u. r.s.u. nel pubblico impiego sia
legata allaccertamento di una rappresentativit minima delle organizzazioni sindacali pari al 5%
(rappresentativit sufficiente).

Caso FIAT-FIOM sulla rappresentanza sindacale


Nel 2012 la FIOM presenta ricorso ai giudici di Torino, Modena e Vercelli poich esclusa dalle Rsa
per non aver firmato il contratto specifico della Fiat che richiama l'articolo 19 della legge 300 del
1970. La FIOM denuncia l'incostituzionalit dell'art. 19 dello statuto dei lavoratori per violazione
degli artt. 2, 3 e 39 (principio della libert sindacale) della Costituzione. I giudici sollevano il caso
dinanzi la Corte Costituzionale, la Corte il 3 luglio 2013 "dichiara l'illegittimit costituzionale
dell'articolo 19, primo comma, lettera b), della legge 20 maggio 1970, n. 300 (Norme sulla tutela
della libert e dignit dei lavoratori, della libert sindacale e dell'attivit sindacale nei luoghi di
lavoro e norme sul collocamento), nella parte in cui non prevede che la rappresentanza sindacale
aziendale possa essere costituita anche nell'ambito di associazioni sindacali che, pur non
firmatarie dei contratti collettivi applicati nell'unit produttiva, abbiano comunque partecipato alla
negoziazione relativa agli stessi contratti quali rappresentanti dei lavoratori dell'azienda"[7]; quindi
consentendo la rappresentanza sindacale ai soli firmatari del contratto aziendale, l'art. 19 legge
300/70 contrasta con i valori del pluralismo e della libert di azione della organizzazione
sindacale[7]. Dopo tale decisione, la Fiat ha dichiarato che accetter la nomina dei rappresentanti
sindacali aziendali della FIOM.
Da Pomigliano a Mirafiori: il caso FIAT FIOM e la sentenza 231/2013
Il sistema industriale italiano composto per la maggioranza da piccole e medie imprese. Le
situazioni di crisi come quella attuale hanno un maggiore impatto su sistemi di questo tipo poich
recessione, contrazione dei consumi e della produzione ed elevata tassazione spiegano i propri
effetti negativi in primis proprio verso imprese medie e piccole, erodendone i ricavi e costringendo
molte di esse al fallimento.

Anche le grandi imprese naturalmente soffrono gli stessi problemi, ma la diversa dimensione dei
mercati su cui operano permette di contenerne in parte gli effetti. Anzi, i problemi che
maggiormente interessano le grandi imprese in questi periodi sono in larga parte diversi, amplificati
anche dal ruolo sociale che le stesse ricoprono (o che a esse attribuito, almeno nel nostro
Paese): ristrutturazioni e ridimensionamenti aziendali, per esempio, ma soprattutto nuove politiche
di investimento che richiedono maggiore flessibilit e che possono portare allo scontro con le
opposte organizzazioni di tutela dei lavoratori e delle loro garanzie sullimpiego. Questo ci che
accaduto in Italia, a partire indicativamente dal 2010, tra la pi importante impresa automobilistica
italiana, FIAT, e il principale sindacato dei lavoratori metalmeccanici, FIOM, a sua volta affiliato a
CGIL.

Ancor prima dellinizio di questo braccio di ferro si erano manifestate alcune incongruenze di
vedute tra le tre principali confederazioni sindacali: CGIL, CISL e UIL. Nel 2009 venne stipulato un
Accordo Interconfederale sulla riforma degli assetti contrattuali, definito quadro in quanto dettava

in via sperimentale, i principi del nuovo modello contrattuale, con il rinvio della definizione delle
specifiche regole applicative a successivi accordi interconfederali o di categoria. Si tratt per di un
accordo separato, in quanto la CGIL non lo sottoscrisse a causa della possibilit, prevista nello
stesso, di introdurre nel successivo contratto nazionale di categoria le cosiddette clausole di
uscita o di apertura. Tali clausole permettono ai contratti decentrati di derogare anche in pejus
alla disciplina dei singoli istituti economici o normativi previsti nel contratto nazionale, qualora ci
sia funzionale al governo di situazioni di crisi o a favorire loccupazione o lo sviluppo economico di
un

territorio

di

unazienda.

In questo modo si cre un differenza soggettiva di disciplina: alla CISL e alla UIL, nonch alle
relative organizzazioni di settore, si applicavano le regole previste dallAccordo del 2009 mentre le
stesse non si applicavano alla CGIL e alle relative organizzazioni di settore, tra cui la FIOM, che
rimanevo ancorate alle regole introdotte con il precedente Accordo (Protocollo Ciampi-Giugni del
1993).
Quindi, in una situazione gi di per s precaria, caratterizzata da tensione e disaccordo tra i
principali esponenti del mondo sindacale, si abbatte sul sistema delle relazioni industriali il
cosiddetto uragano Marchionne, proprio a indicare gli effetti devastanti che il caso avrebbe avuto,
o che perlomeno avrebbe dovuto avere nelle previsioni, sul sistema stesso.

Nel 2010 FIAT annuncia la nascita del progetto Fabbrica Italia e in forza di ci si trova davanti a
una fondamentale scelta di politica aziendale: il suddetto progetto prevede di investire uningente
quantit di danaro (si parla di circa 20 miliardi) negli stabilimenti italiani per raddoppiare la
produzione, con lalternativa di trasferire la stessa allestero, dov possibile abbattere i costi e
godere di una legislazione lavoristica meno vincolante. Non volendo rinnegare il suo retaggio
lazienda manifesta lintenzione di proseguire la produzione in Italia, ma a condizione che sia
possibile, per i contratti decentrati, derogare alle stringenti regole dei contratti nazionali di
categoria, nel caso al contratto dei Metalmeccanici, al fine di introdurre regole di maggiore
flessibilit per gli stabilimenti locali: laccusa di FIAT che dietro alle garanzie che il contratto di
categoria pone a favore dei lavoratori si nascondano comportamenti di scarsa efficienza da parte
degli stessi, cosa che incide negativamente sulla produttivit. Tale situazione si manifesta
soprattutto nello stabilimento di Pomigliano dArco (NA), dove si registra un tasso di assenteismo
per malattia di molto superiore alla media, che si incrementa ulteriormente in prossimit del
weekend (famosa la risposta dellAD Marchionne alla domanda sul giorno di maggior
assenteismo:Dipende da che partita c).

Nellambito del progetto Fabbrica Italia lo stabilimento di Pomigliano ha unimportanza cruciale: il


15 giugno 2010 viene siglato un accordo tra FIM, UILM, UGL, cio i sindacati del settore
metalmeccanico facenti capo alle confederazioni, e FIAT per la costituzione della newco Fabbrica
Italia Pomigliano FIP , nella quale vengono riversati tutti i lavoratori della ex fabbrica FIAT di

Pomigliano. Formalmente FIP una nuova azienda, soltanto controllata dal gruppo FIAT e non
aderente al contratto nazionale dei Metalmeccanici: in questo modo possibile estendere ai
lavoratori le deroghe al contratto dei Metalmeccanici che la FIAT ha ottenuto dai sindacati firmatari
dellaccordo, senza pericolo di violazione del contratto stesso e potendone pretendere il rispetto da
parte di tutti i lavoratori indipendentemente dalla loro adesione a sindacati firmatari o meno
dellaccordo nazionale. A tale modifica contrattuale non aderisce per la FIOM-CGIL, che anzi si
oppone fermamente alla stessa: viene quindi proposto un referendum sul contratto in questione,
che

vede

lapprovazione

del

63%

dei

lavoratori.

Si giunge cos a una svolta fondamentale: sullonda delleffetto Pomigliano il 7 settembre 2010
FIAT disdice il contratto nazionale dei Metalmeccanici stipulato nel 2008 con CGIL, CISL e UIL e in
scadenza nel 2011; a fronte di ci FIAT e Federmeccanica manifestano lintenzione di stipulare un
nuovo contratto nazionale per il solo settore automobilistico, separato dal CCNL Metalmeccanici
appena disdetto, che da molti ritenuto di fatto un contratto aziendale.

Il 23 dicembre 2010 viene siglato a Torino, presso lo storico stabilimento di Mirafiori, un contratto
tra FIAT e FIM, UILM, FISMIC, UGLM e Associazione Capi e Quadri FIAT che viene definito storico
per il sistema di relazioni industriali italiano. A questo CCSL (Contratto Collettivo Specifico di lavoro
di primo livello) partecipano infatti tutte le principali sigle del settore metalmeccanico, ma non la
FIOM, ritenuta la principale sigla sindacale dei Metalmeccanici per numero di adesioni; inoltre
dopo la disdetta del CCNL Metalmeccanici questo risulta essere lunico contratto vincolante per il
gruppo FIAT e lunico contratto che stabilisce le regole di rappresentanza aziendale vincolanti per il
gruppo

stesso.

Nel 2011 si assiste a un ricompattamento del fronte sindacale, con la stipula dellAccordo
interconfederale del 28 giugno: questa volta non si tratta di un accordo separato, comera
successo nel 2009, in quanto la CGIL torna parzialmente sui suoi passi e accetta che i contratti
decentrati, in particolare quelli aziendali, possano derogare in pejus al contratto collettivo
nazionale, ma solo nei limiti di quanto previsto dallo stesso contratto nazionale. La partecipazione
della CGIL, a fianco di CISL e UIL, nella stipula del contratto con Confindustria (quindi vincolante
anche per FIAT in quanto aderente a Confindustria) determina dunque un alleggerimento della
difficile situazione che si era venuta a creare tra parti sindacali e parti datoriali a seguito dei fatti
precedentemente esposti.

La ritrovata unit si manifesta ulteriormente in seguito allintervento a gamba tesa effettuato dal
Governo sulle regole definite nellultimo Accordo Interconfederale. Il 13 agosto 2011, nemmeno
due mesi dopo lapprovazione dellAI e senza alcuna considerazione dello stesso, viene emanato il
decreto legge 138/2011, poi convertito in legge 148/2011 con lapposizione della questione di
fiducia, nel quale vengono dettate in particolare nuove regole nei rapporti tra contratto nazionale e
contratto decentrato: larticolo 8 prevede che i cosiddetti contratti di prossimit, cio contratti

territoriali non meglio definiti, possano derogare in pejus non solo al contratto nazionale ma anche
alla legge, pur rimettendo allautonomia delle parti la discrezionalit sullesercizio di queste
deroghe; tutto ci nel solo rispetto di criteri generalissimi (scopo e oggetto dellaccordo) o che
sarebbero comunque inviolabili anche senza unapposita previsione (sistema delle fonti del diritto).
Particolarmente critico e criticato risulta il comma 3, detto salva-FIAT in quanto prevede che le
disposizioni contenute in contratti collettivi aziendali vigenti, approvati e sottoscritti prima
dellaccordo interconfederale del 28 giugno 2011 tra le parti sociali, sono efficaci nei confronti di
tutto il personale delle unit produttive cui il contratto stesso si riferisce a condizione che sia stato
approvato con votazione a maggioranza dei lavoratori: si tratta evidentemente di una disposizione
espressamente volta a garantire lapplicabilit del CCSL FIAT e degli accordi di Pomigliano,
ratificati dalla maggioranza dei lavoratori tramite referendum.

Con tale espediente il Governo sicuro di risolvere definitivamente la controversia a favore di FIAT
(vista anche la scarsa simpatia dei governi Berlusconi per le organizzazioni sindacali); senonch
il 21 settembre 2011, in occasione della ratifica definitiva dellAI del 28 giugno, Confindustria,
CGIL, CISL e UIL aggiungono al testo dello stesso una postilla nel quale si afferma che le
organizzazioni aderenti a tale accordo si sarebbero impegnate ad applicare solamente le norme
dello stesso, con lintenzione dunque di lasciare in disparte la normativa prevista dallarticolo 8.

Questa ulteriore presa di posizione dei sindacati e soprattutto di Confindustria spinge FIAT a fare
il grande passo: limpresa torinese decide di uscire dallassociazione degli industriali con
decorrenza dal 1 gennaio 2012. In questo modo essa svincolata da tutti gli accordi conclusi da
Confindustria con i sindacati, compreso lAI del 28 giugno 2011, con il risultato che lunica
disciplina applicabile ai dipendenti del gruppo risulta quella prevista dal CCSL siglato il 23
dicembre 2010.
Si giunge cos alla questione fondamentale della vicenda, cio la possibilit per i lavoratori FIAT di
costituire rappresentanze sindacali aziendali (RSA) nelle diverse unit produttive. La disciplina
generale in materia non si trova in accordi collettivi ma nella legge 300/1970, il cosiddetto Statuto
dei lavoratori. Larticolo 19 dello stesso prevede che rappresentanze sindacali aziendali possono
essere costituite ad iniziativa dei lavoratori in ogni unit produttiva, nellambito delle associazioni
sindacali che siano firmatarie di contratti collettivi di lavoro applicati nellunit produttiva; nel caso
in questione ci vuol dire che possono costituire RSA solo i lavoratori che siano iscritti a sindacati
che abbiano firmato il CCSL. Ci determina una situazione quantomeno paradossale dal momento
che FIOM, che rivendica la maggior rappresentativit non solo nellambito del gruppo FIAT, ma
anche in tutto il settore metalmeccanico, non pu rappresentare i propri lavoratori nelle unit
produttive

del

gruppo

in

quanto

non

firmataria

del

CCSL.

Questa situazione genera immediate reazioni di censura verso la scelta operata da FIAT e verso le

sue conseguenze, a cui seguono ricorsi giudiziari da parte di FIOM, che lamenta una lesione dei
diritti dei lavoratori a essere rappresentati e lantisindacalit del comportamento di FIAT. In
particolare il Tribunale di Modena, seguito da quelli di Torino e Vercelli, propone ricorso alla Corte
Costituzionale per una lamentata violazione degli artt. 2 e 3 della Costituzione a opera dellarticolo
19. Questi articoli postulano rispettivamente garanzie di protezione dei diritti inviolabili delluomo
che si estrinsencano in formazioni sociali e di protezione del principio di uguaglianza, ritenute dai
suddetti Tribunali violate nel momento in cui fatto irragionevole divieto a un sindacato di
rappresentare i propri lavoratori e di tutelare cos gli interessi degli stessi.

La Corte Costituzionale accetta il ricorso e colpisce larticolo 19 con una sentenza di


incostituzionalit di tipo additivo, cio di implementazione del diritto vigente (Ghera 2013): nella
sentenza 231/2013 dichiarata lincostituzionalit dello stesso nella parte in cui non prevede che
la rappresentanza sindacale aziendale possa essere costituita anche nellambito di associazioni
sindacali che, pur non firmatarie dei contratti collettivi applicati nellunit produttiva, abbiano
comunque partecipato alla negoziazione relativa agli stessi contratti quali rappresentanti dei
lavoratori dellazienda.

Le motivazioni della Corte vertono in primis sulla ratio dellarticolo 19: tradizionalmente questo
inteso come criterio di distinzione tra i sindacati che possono accedere ai diritti previsti dal titolo III
dello Statuto e quelli che non sono legittimati a usufruirne. Questo perch i diritti in questione
necessitano di un comportamento attivo del datore di lavoro, il quale costretto a sopportarne i
relativi costi; si intende quindi evitare di oberare questultimo con spese eccessive permettendo di
accedere ai suddetti diritti solo ai sindacati che possono realmente avere voce nel conflitto sociale
in forza della loro effettiva rappresentativit. Sarebbe quindi un ovvio controsenso escludere un
sindacato che rappresenta un ampio numero di lavoratori perch non ha firmato il contratto
collettivo,

come

avviene

invece

nel

caso

in

questione.

In questo contesto avrebbe luogo un inequivocabile violazione degli artt. 2, 3 e 39 della


Costituzione. Si afferma nella sentenza: Risulta, in primo luogo, violato lart. 3 Cost., sotto il
duplice profilo della irragionevolezza intrinseca di quel criterio, e della disparit di trattamento che
suscettibile di ingenerare tra sindacati. Questi ultimi infatti nellesercizio della loro funzione di
autotutela dellinteresse collettivo che, in quanto tale, reclama la garanzia di cui allart. 2 Cost.
sarebbero privilegiati o discriminati sulla base non gi del rapporto con i lavoratori, che rimanda al
dato oggettivo [] della loro rappresentativit e quindi giustifica la stessa partecipazione alla
trattativa, bens del rapporto con lazienda, per il rilievo condizionante attribuito al dato contingente
di avere prestato il proprio consenso alla conclusione di un contratto con la stessa. E se, come
appena dimostrato, il modello disegnato dallart. 19 [] condiziona il beneficio esclusivamente ad
un atteggiamento consonante con limpresa, o quanto meno presupponente il suo assenso alla
fruizione della partecipazione sindacale, risulta evidente anche il vulnus allart. 39, primo e quarto

comma, Cost., per il contrasto che, sul piano negoziale, ne deriva ai valori del pluralismo e della
libert di azione della organizzazione sindacale.
Leffetto della sentenza nella vicenda quello di vanificare gli sforzi effettuati da FIAT per superare
la contrapposizione di FIOM: questultima infatti nuovamente ammessa a costituire RSA perch,
pur non firmandolo, aveva preso parte alle negoziazioni relative al CCSL del 2010.
Pur fornendo un criterio di soluzione semplice e apparentemente esaustivo la pronuncia della
Corte rivela alcune criticit.

La prima riguarda il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato a cui la Corte deve
attenersi nelle sue sentenze: il giudizio di questultima deve vertere esattamente sulle questioni
sollevate dai giudici rimettenti. Nella sentenza 231 si assiste a una parziale violazione di questo
principio, in quanto le istanze di rinvio chiedevano la dichiarazione di illegittimit dellart. 19 perch
questo adottava un criterio che non teneva conto della misurazione effettiva della
rappresentativit e dellaccesso e partecipazione al negoziato; sono poste quindi due questioni,
ma

la

Corte

risponde

solamente

alla

seconda

di

queste.

Il secondo problema di tipo interpretativo: che cosa deve intendersi per partecipazione alle
trattative? Risulta sufficiente, ai fini in questione, la semplice presentazione di una piattaforma
rivendicativa alla parte datoriale (Ichino 2013), per poi magari disinteressarsi degli esiti della
trattativa stessa, o necessario un confronto prolungato sino al raggiungimento di accordi, con
leventuale

esercizio

di

scioperi

simili?

In terzo luogo si pone il problema dellesaustivit del criterio individuato dalla Corte per
lattribuzione dei diritti di cui al titolo III dello Statuto. Viene infatti da chiedersi se lo stesso criterio,
ovvero leffettiva attivit contrattuale, sia onnicomprensivo, possa cio applicarsi a ogni fattispecie
di rapporti tra parte datoriale e lavoratori. La risposta chiaramente negativa e nella sentenza 231
la Corte stessa lo ammette, relativamente ai casi di mancanza di un contratto collettivo applicato
nellunit produttiva per carenza di attivit negoziale o per impossibilit di pervenire a un accordo
aziendale. Proprio questo il senso del monito presente nella sentenza stessa, con cui la
Consulta invita il legislatore a dettare criteri selettivi della rappresentativit sindacale. Senza
considerare che in una sana logica di contrattazione dovrebbe essere lattivit contrattuale a
discendere

dalla

capacit

rappresentativa

non

viceversa.

Se quindi il giudizio della Corte risolve il caso FIAT FIOM nello specifico, altrettanto non pu dirsi
dei problemi relativi alla disciplina della rappresentanza sindacale in azienda. Questo daltronde
un ulteriore profilo di criticit della sentenza, che dovrebbe avere un carattere di generalit e
astrattezza e risolvere eventuali aporie del diritto in un ottica differente da quella del caso in
questione. Pare invece che in questo caso la Corte, forse spinta dallimpatto sociale della
questione, abbia ancorato la sua pronuncia al fatto concreto, operando quasi pi da Cassazione
che da Corte Costituzionale (secondo lespressione dellavvocato Di Rutigliano del collegio FIAT).
Non un caso che, per risolvere finalmente lincoerenza della disciplina della RSA, allindomani

della sentenza siano gi stati proposti disegni di legge, come il d.d.l. 993 presentato dal senatore
Ichino e altri.

Qual quindi limpatto innovativo, da molti esaltato, della sentenza 231/2013? A ben guardare
esso risulta di difficile individuazione: forse la vera innovazione sarebbe stata una dichiarazione di
incostituzionalit totale dellarticolo 19, in modo da obbligare lintervento legislativo sullassetto di
una materia fondamentale che levoluzione dei rapporti sociali dimostra ormai obsoleto.

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