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VERSO LE AMMINISTRATIVE 2009

Introduzione al convegno “La sinistra, il cambiamento, un nuovo soggetto” del 27 maggio 2008
di Alessandro Pollio Salimbeni

Questo non è un programma di governo: è una proposta di lavoro, molto aperta a contributi e da sotto-
porre a critica, correzioni, integrazioni. E’ un punto di inizio, da cui parte SD per costruire – sia per
quanto la riguarda come soggetto politico sia come contributo ad un nuovo centro sinistra – proposta e
pratica politica.

Le ragioni dell’innovazione.
Nella primavera del prossimo anno si terrà un ampio turno di elezioni amministrative: si voterà per la
Provincia di Milano, per quella di Monza, in una grande quantità di comuni. Vogliamo impegnarci per la
conferma delle amministrazioni di centrosinistra ed anche per conquistarne di nuove. Non si tratta di “ri-
vincita” delle elezioni politiche: deve essere invece l’avvio di una nuova fase del governo locale. Una in-
novazione programmatica e politica è richiesta da almeno tre questioni: il centrodestra ha vinto
chiudendo così la lunga fase della transizione, in molti comuni si chiude il ciclo del doppio mandato, non
c’è più un meccanismo di trascinamento tra voto amministrativo e voto politico.

I tre problemi strategici.


Vogliamo iniziare a dare sostanza alla formula della costruzione di un nuovo centro sinistra, indicando
alcuni contenuti di questo rinnovamento a partire da almeno tre problemi strategici.
Il primo è la crisi finanziaria degli Enti Locali. Sia le più recenti vicende degli oneri dei “derivati” sia la de-
bolezza dei comuni rispetto a grandi e piccole operazioni edilizie ci dicono quanto sia limitata la autono-
mia del governo su scala locale. In generale è il tema del risanamento della finanza pubblica, della
trasformazione delle capacità impositive e della ricostruzione di un saldo rapporto di fiducia e traspa-
renza su cui innestare la tassazione di scopo. Nessuno di questi aspetti risponde però alle esigenze del
breve periodo, in cui sembra invece da percorrere la strada del recupero di margini di efficienza del fun-
zionamento delle strutture locali e lo svolgimento di funzioni fondamentali in forma associata. Anche a
questo fine va rivisto il modello della collaborazione tra pubblico e privato, di cui occorre fare un bilancio
completo e veritiero, anzi, dopo oltre dieci anni, un vero e proprio bilancio di fase.
Il secondo problema è il federalismo fiscale, che deve essere affrontato insieme al tema delle compe-
tenze – nuove e meno nuove – degli enti locali e della articolazione dei poteri delle istituzioni ai diversi
livelli. Questi aspetti non sono più rinviabili ma, soprattutto, non possono essere lasciati alla discussione
della sola Regione, anche perché la Lombardia sembra essere più attenta alle proprie condizioni finan-
ziarie che alla realizzazione di una trasformazione lungo tutto il sistema istituzionale. Inoltre: risorse per
quali competenze? E poi – oltre alla questione centrale della città metropolitana – serve un pensiero
non occasionale su tutta la articolazione dei poteri pubblici locali, comprese le duplicazioni, confusioni e
sovrapposizioni. Non per caso Formigoni ha rilanciato le competenze regionali sull’organizzazione degli
enti locali come una delle espansioni possibili in base al Titolo V.
Il terzo problema è, forse, politicamente più intenso. Il modello di governo locale è nella sostanza quello
degli anni ‘70 – non a caso il più ricco e studiato in tutto il mondo – con l’unica innovazione nei processi
di privatizzazione (in senso lato). In grande parte quel modello è messo in crisi dalla crisi fiscale e finan-
ziaria ma, in aggiunta, si è costituito e si è retto sulla capacità di rappresentanza propria del sistema po-
litico di quegli anni e su meccanismi di competizione/collaborazione con il resto del sistema
istituzionale. Oggi è rimasto ben poco di quelle condizioni e, soprattutto, il cambiamento è stato enorme
(e non sempre in meglio) relativamente alle caratteristiche della società, oggi più ricca – in molti indivi-
dui – ma più polarizzata economicamente e socialmente, meno “locale” ma più privatista, più esigente
ma meno solidale, percorsa dalle tensioni di condizioni inedite (basta pensare alla modificazione della
piramide demografica e al tema dell’immigrazione).
Le condizioni.
Abbiamo bisogno di incrementare e qualificare il nostro capitale sociale. Intanto c’è il grande tema delle
politiche per i beni comuni, base materiale della cittadinanza e del senso di appartenenza collettiva.
Il nuovo centrosinistra deve misurarsi con il tema delle infrastrutture in modo più maturo e lungimirante:
oggi questa parola – una delle parole malate della politica italiana – sembra solo un velo ipocrita per
dire autostrade. Siamo sicuri che sia così’? Mobilità su ferro, connessione a banda larga, servizi al citta-
dino per via telematica, l’architettura civile (scuole, sedi pubbliche in generale, ecc.), organizzazione
della logistica, grandi vie di comunicazione per il trasporto delle merci, organizzazione dei tempi opera-
tivi delle aggregazioni urbane, la riprogettazione degli spazi urbani – dei pieni e dei vuoti – ed altro an-
cora: tutto questo è infrastruttura ed è, più ancora, struttura della qualità della vita, in sintonia con il
meglio delle esperienze europee, su cui aprire anche un rilancio del triangolo cultura-vita quotidiana-de-
cisione politica.
Seconda condizione è la riforma della PA locale. Si comincia da noi, dai luoghi dove svolgiamo un ruolo
di guida e di governo, sperimentando soluzioni organizzative, misurando carico di lavoro, efficienza e
responsabilità, costruendo con il metodo della condivisione - ma assumendosi la responsabilità delle
scelte - un nuovo ambiente del lavoro pubblico per valorizzarne le riserve di capacità, passione e com-
petenza. Questo è un interesse primario dei cittadini e in particolare di quelli tra loro che più hanno biso-
gno delle prestazioni pubbliche. E’ un interesse del sistema economico perché migliora il rendimento
generale del sistema. E’ un interesse per chi nel pubblico lavora oggi o vuole farlo domani. In questa
prospettiva pensiamo si possa sperimentare anche sul piano della contrattazione di secondo livello.
In terzo luogo occorre mettere al centro una nuova fase di azione democratica. Questa è una forza in
sé, una scommessa positiva sulla volontà
e capacità di cambiamento, un atto di fiducia nei confronti dei cittadini. Non serve parlare di partecipa-
zione se questa non diventa una forza operativa, strumento reale per giungere a decisioni secondo mo-
dalità di condivisione. Riprendere ed estendere, dunque, il modello (con le necessarie modificazioni) del
bilancio partecipato per arrivare a definire procedure partecipative alle scelte di insediamento, di infra-
strutture, ecc., imparando dalla esperienza della legge regionale della Toscana. Contemporaneamente,
aprire una fase di utilizzo delle grandi possibilità della rete con una vera e propria agorà telematica per il
controllo pubblico del funzionamento dei servizi al cittadino.

Quattro grandi obiettivi.


Indicati i grandi problemi, identificate alcune condizioni di contesto, dobbiamo precisare gli obiettivi cui
orientare l’approfondimento programmatico: vanno rimossi gli ostacoli al libero dispiegarsi delle capacità
e delle aspirazioni, a partire dal peso delle rendite e in primo luogo quella che pesa sull’uso del territo-
rio. E’ necessario aprire una nuova stagione di programmazione economica e urbanistica per uno svi-
luppo pienamente sostenibile. Il primo obiettivo è la qualità urbana: vivere nell’area metropolitana non
può più essere doloroso per alcuni, difficile per molti (perfino per chi ha di più, in molti campi), faticoso
per tutti. Casa, ambiente, istruzione, qualità dei manufatti e degli spazi: l’area metropolitana milanese
deve tornare ad essere un luogo di riferimento per chi ci nasce e per chi ci viene, per bisogno o per inte-
resse. Su questo obiettivo si qualificano i gruppi dirigenti di Milano: la sinistra tanto più può interpretare
e risolvere i bisogni più diffusi quanto più è in grado di costruire un progetto complessivo ed essere rife-
rimento per gli strati sociali motori di un cambiamento profondo, come al meglio della sua storia.
Il secondo obiettivo è la costruzione di un nuovo welfare, come politiche di promozione e sostegno dei
diritti di cittadinanza, che hanno più bisogno di modelli centrati sulle persone che di elenchi di funzioni.
Chiave di volta è la progettazione condivisa, che faccia leva – ancora una volta – sulla forza della parte-
cipazione e della cooperazione.
Il terzo obiettivo riguarda il legame sociale e civile, per promuovere nuove dimensioni della socialità.
Essa è stata garantita per qualche decennio dalla attività di grandi e storiche “agenzie” di promozione e
progressiva integrazione - partiti, sindacati, associazioni laiche e religiose – e dalle strutture della edu-
cazione pubblica, dalla scuola alla televisione. Oggi, ciascuno a modo suo, questi soggetti vivono crisi
profonde o ne sono profondamente modificati i caratteri e i pesi relativi. Oltre alla crisi degli strumenti,
appare scavato e inciso il tessuto sociale e culturale, in cui le differenze si sono trasformate in solchi e
divisioni profonde. Pensiamo che la sinistra debba porsi l’obiettivo di contribuire ad una nuova socialità,
fondata sull’equilibrio tra diritti e doveri, sulla espansione dei diritti civili e sociali e sulla riaffermazione
della legalità. Anche la questione della sicurezza va inquadrata in questo obiettivo.
La criminalità ha tanti aspetti diversi, da quella che colpisce la popolazione più debole e indifesa alle
grandi mafie. E noi siamo dalla parte delle donne ogni volta che vengono colpite nel corpo e nella
mente – quasi sempre da parenti e conoscenti, tra l’altro - degli anziani truffati, dei commercianti e degli
imprenditori tormentati dall’usura e dal pizzo.
Una volta per tutte: chi commette reati va punito, sia esso italiano, romeno o di qualsiasi altra naziona-
lità. Anzi, è già un segno della assurdità della situazione che si debba ribadire un concetto alla base
della convivenza civile. E a proposito di reati e di severità, ricordiamo che bruciare campi (anche se
abusivi) è un reato gravissimo, a Ponticelli, a Opera ed in qualsiasi altro luogo.
Chi giunge in Italia in condizioni di povertà e bisogno va inserito in un percorso virtuoso che gli per-
metta sia di rispettare i doveri sia di godere di diritti di cittadinanza che spesso sono semplicemente di-
ritti umani fondamentali. E forse a questo proposito è utile riaprire la discussione sulla possibilità di
estendere il diritto di voto amministrativo ai cittadini stranieri regolarmente presenti da cinque anni nel
nostro Paese, consentendo di rendere così più efficace il riconoscimento di diritti e di doveri da parte di
tutti. Tra le leggi da rispettare non ci sono solo quelle di ordine pubblico o il codice penale ma anche
quelle a tutela delle libertà e della dignità, a partire da donne e bambini.
E infine il lavoro, che non si può nemmeno pensare anche solo di definire in questa sede: basti solo un
appunto quasi stenografico, per segnare una direzione di marcia, guardando con realismo ai poteri ef-
fettivi del governo locale in materia. Pensiamo che la Provincia abbia fatto molto e bene nella forma-
zione professionale e nelle azioni per il mercato del lavoro ma siamo convinti che questo sia un campo
nel quale vada superata la sovrapposizione delle competenze regionali (solo formalmente trasferite). Si
può iniziare a progettare una vera e propria “Casa dell’innovazione”, che potrebbe essere una Fonda-
zione di forte impulso pubblico che permetta a 2/300 giovani ricercatori di lavorare in autonomia per
creare brevetti. E poi va assunto un impegno prioritario delle amministrazioni locali e le azioni contro il
lavoro irregolare e pericoloso, dal controllo rigoroso sui propri lavori (subappalti compresi) all’azione di
contrasto con un effettivo coordinamento tra tutte le strutture pubbliche preposte.

Expo 2015.
Siamo convinti che Expo possa essere una grande opportunità per la metropoli milanese e dunque
anche per l’Italia. Siamo altrettanto convinti che i risultati positivi non arrivino da soli e che sia indispen-
sabile da subito costruire luoghi di confronto e occasioni di partecipazione, perché si affermino strategie
generali di sviluppo equilibrato e sostenibile sotto il profilo economico, sociale ed ambientale.
I temi di una proposta si possono così indicare e raggruppare:
costituzione di un osservatorio indipendente sul complesso dell’Expo e con particolare riferimento al
monitoraggio delle risorse (pubbliche e private) e dei costi, all’andamento dei prezzi, alle condizioni di
legalità degli appalti;
la gestione del territorio; le ricadute sull’area metropolitana in ordine a sistema della formazione, ricerca,
apparato economico e industriale; il lavoro per l’Expo riguardo alla qualità, non precarietà, sicurezza;
le procedure di discussione pubblica e i processi di condivisione;
nutrire il pianeta: le colture e non gli OGM, il commercio globale, rapporti equi di scambio, l’ecosistema;
la filiera agroalimentare italiana, la distribuzione, i prezzi.
Nella prospettiva di governo, la questione essenziale è quella dei circuiti della decisione e della ge-
stione. Rinviando ad altra occasione – indispensabile – la discussione più di merito, ci limitiamo a porre
il tema che sarebbe indispensabile che i sindaci dell’area metropolitana - ed anche del più vasto bacino
(regionale e forse interregionale) di immediato rapporto con l’area – realizzassero forme di coordina-
mento ed anche di codecisione e fossero così parte integrante della struttura di governo dell’evento.

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