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ACTA

PHILOSOPHICA

RIVISTA INTERNAZIONALE DI FILOSOFIA

ATENEO ROMANO DELLA SANTA CROCE

ARMANDO EDITORE

Semestrale, vol. 3 (1994), fasc. 2


Luglio/Dicembre

sommario

197

Editoriale: Un dovere di gratitudine


Studi
DIO NELLA FILOSOFIA MODERNA

201

Nicolas Grimaldi
Dieu dans la philosophie de Descartes

227

Jos Luis Fernndez


Dios en la filosofa de Malebranche

247

Daniel Gamarra
J. G. Fichte: laffermazione dellAssoluto

271

Armando Rigobello
Dio nella modernit: Husserl

287

Luis Romera
Dio e la questione dellessere in Heidegger

Note e commenti
315

Ral Echauri
Sobre el origen del ser y la nada

327

Daniel Innerarity
Filosofa como arte y experiencia de la vida

339

Antonio Malo
Tre teorie sulle emozioni (seconda parte)

Cronache di filosofia
353

La verit scientifica (J.J. SANGUINETI)

354

Convegni

355

Riviste

358

Societ filosofiche

359

Rassegne editoriali

Recensioni
361
363
366
369
371
374

AA. VV., Filosofia e democrazia in Augusto del Noce (M.A. Ferrari)


ARISTOTELE, Metafisica, a cura di G. Reale (M. Prez de Laborda)
A. CRESCINI, Lenigma dellessere (J.J. Sanguineti)
P. DONATI, La cittadinanza societaria (G. Chalmeta)
S. NANNINI, Cause e ragioni (J.J. Sanguineti)
L. POLO, Teora del conocimiento (vol. IV) (J.A. Garca Gonzlez)

Schede bibliografiche
377
378
379

AA.VV., The Past & the Present (S.L. Brock)


I. MANCINI, Come leggere Maritain (J. M. Burgos)
R. YEPES STORK, La doctrina del acto en Aristteles (M. Prez de Laborda)

381

Pubblicazioni ricevute

382

Indice del volume 3 (1994)

Un dovere di gratitudine

Mentre veniva stampato il precedente fascicolo di ACTA PHILOSOPHICA,


ci giunta, inattesa e dolorosa, la notizia della morte santa di S. E. Mons.
Alvaro del Portillo, Vescovo Prelato dellOpus Dei e primo Gran
Cancelliere dellAteneo Romano della Santa Croce, avvenuta il 23 marzo
scorso, al suo rientro a Roma da un pellegrinaggio in Terra Santa.
Ricordarlo, seppur brevemente, con affetto filiale in apertura di questo
numero della nostra rivista per noi un dovere di gratitudine, il cui compimento ben lontano dal corrispondere pienamente a quanto da lui
abbiamo ricevuto.
stato il Beato Josemara Escriv, fondatore dellOpus Dei, a desiderare e ad ispirare lAteneo Romano della Santa Croce, ma mor prima
di poterlo vedere realizzato. Mons. Alvaro del Portillo, succedutogli nel
1975 alla guida dellOpus Dei, ne ha messo fedelmente in pratica il progetto, seguendone e sospingendone con premurosa sollecitudine la preparazione, gli inizi e gli sviluppi. In questi anni siamo stati testimoni di come
il Prelato dellOpus Dei ci sia stato costantemente vicino con le sue indicazioni, i suoi suggerimenti, il suo amabile incoraggiamento e soprattutto
con la sua preghiera ed il suo sacrificio.
Anche ACTA PHILOSOPHICA nata grazie al paterno e paziente impulso
di Mons. Alvaro del Portillo. Ricordiamo con quanta risolutezza e affabilit ci spron gi agli inizi di gennaio del 1990 ad avviare una rivista che
fosse espressione del lavoro di ricerca della Facolt di Filosofia del
nostro Ateneo, e strumento di dialogo e di scambio con le altre istituzioni
universitarie. Da allora non ci mai mancato il suo sostegno e oggi, nel
completare la terza annata della nostra pubblicazione, guardiamo con stupore e riconoscenza la strada percorsa.

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editoriale

Se pensiamo ad ACTA PHILOSOPHICA nellinsieme della nascita e dello


sviluppo del nostro Ateneo, essa appare come naturale riflesso duna concezione della vita universitaria derivata dallo spirito eredit del Beato
Josemara Escriv che contraddistingue lAteneo della Santa Croce,
giunto ormai al decimo anno di attivit accademica. Fra i diversi aspetti di
questo motivo ispiratore, costantemente ricordatoci dal nostro primo Gran
Cancelliere, possiamo segnalarne due: lamore per la libert e lunit di
vita.
ben noto a tutti quanto lattuale congerie storico-sociale abbia reso
difficile per molti uomini riconoscere larmonia fra libert e verit. Tale
percezione di un orizzonte impervio diventa pi acuta allorch ad avvertirla una comunit universitaria con il suo essenziale compito formativo.
Mons. del Portillo, nella consapevolezza che la verit a rendere liberi
(cfr. Gv 8, 32), parlando di tale compito affermava che il nostro Ateneo
lassolve nel pieno rispetto della libert personale, anzi promuovendo la
libert e la personalit di ciascuno, in un servizio disinteressato e fecondo
alla Verit (Discorso in apertura dellanno accademico 1985-1986,
Romana, 1 [1985], p. 80).
Questa libert, che tanto pi piena diventa quanto pi responsabile e
rispettosa della libert altrui, d atto della ricchezza della verit non irrigidendola in una delle sue possibili formulazioni storiche. Perci, nel
grande quadro comune dellinsegnamento cattolico, questo Centro aperto a tutte le correnti e a tutte le scuole di pensiero che cerchino sinceramente una comprensione pi profonda della verit su Dio e della verit
sulluomo (ibidem).
Libert personale e servizio alla Verit, vissuti compiutamente, non
possono non condurre allunit di vita, secondo la quale lo specifico agire
delluomo universitario non una realt inconciliabile con il suo personale impegno nella vita quotidiana. Richiamandosi agli insegnamenti del
fondatore dellOpus Dei, Mons. Alvaro del Portillo prospettava, come sintomo di salute accademica, che nella vita di ciascuno di noi si accrescano le virt cristiane, proprio durante e attraverso le svariate attivit che
configurano la vita di questo Centro universitario (Discorso in apertura
dellanno accademico 1990-1991, Romana, 11 [1990], p. 234).

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editoriale

Cos, dunque, non a scapito del pluralismo ma proprio come conseguenza dellunit di vita di ognuno, lo studio per il credente un avvenimento vitale dove, come sottolineava lallora Prelato dellOpus Dei, il
vero progresso non si pu limitare a un mero sapere qualcosa di pi, ma
consiste soprattutto nel saperne di pi di Qualcuno: con un sapere che
non soltanto teorico, limitato allintelletto speculativo, ma che coinvolge
tutta la persona, in modo tale da promuovere la volont a gustare, ad
assaporare (sapere), per mezzo della contemplazione, la Verit, la Bont e
la Bellezza di Dio (ibidem).
Siamo sicuri per la speranza della fede che Mons. Alvaro del Portillo,
definito da Giovanni Paolo II servitore buono e fedele per la sua
fedelt alla Sede di Pietro ed il generoso servizio ecclesiale, sta continuando ad aiutare dal Cielo il lavoro che si svolge nellAteneo Romano
della Santa Croce; il suo grato ricordo ci spinge a proseguire nel nostro
impegno con lo spirito di servizio e di collaborazione che da lui, strettissimo collaboratore e primo successore del Beato Josemara Escriv, abbiamo imparato. In tal modo, restando nel solco della continuit, mettiamo in
pratica quanto ci ha raccomandato sin dalla sua elezione Mons. Javier
Echevarra, attuale Prelato dellOpus Dei e Gran Cancelliere del nostro
Ateneo, il quale stato per lunghi anni valido sostegno dei suoi due insigni predecessori.

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ACTA PHILOSOPHICA, vol. 3 (1994), fasc. 2 - PAGG. 201/226

studi

Dieu dans la philosophie de Descartes


NICOLAS GRIMALDI*
Sommario: 1. Lexistence de Dieu prouve par lide que nous en avons; 2. Lexistence de Dieu
prouve par lexprience de notre finitude; 3. Lexistence de Dieu prouve par la continuation de
mon existence; 4. La dmonstration de lexistence de Dieu: le dit argument ontologique; 5. La
vracit divine; 6. La connaissance de Dieu; 7. Dieu comme cause.

Lide de Dieu soutient tout ldifice de la philosophie cartsienne. Non seulement son ide est la premire et la plus claire de toutes, mais elle prcde mme celle
que nous avons de nous. De mme que si nous navions pas dabord lide de la perfection, nous ne pourrions jamais avoir dexprience de limperfection, de mme estce donc lide de Dieu qui nous fait sentir notre imperfection, et nous prpare ainsi
dcouvrir, au bout du doute, la certitude du Cogito.
Sil est vrai quil ne peut pas y avoir de vraie et certaine science pour un
athe, cest parce que nulle dduction ne peut tre certaine tant que nous ne sommes
pas assurs de lternit des vrits et de ce que toutes les ides claires et distinctes
sont vraies. Or une telle certitude ne peut tre tire que de la vracit divine, et cette
vracit elle-mme ne peut que se dduire de la nature de Dieu.
Les lois gnrales de cration (cest--dire les fondements de la physique), ne
peuvent tre que dduites de lide que nous avons de lternit et de limmutabilit
de son Crateur. Et tous les thormes particuliers seront dduits de ces lois gnrales.
Parce quon ne saurait daucune faon vouloir ce dont on naurait aucune ide,
nous nprouverions pas linfinit de notre volont si lide que nous avons de Dieu
ne faisait de linfinit de ses perfections lobjet ultime de notre volont. Cest parce
que lide de Dieu est lide la plus originaire de notre entendement quelle est loriginaire corrlat de notre volont.
Parce que la doctrine cartsienne de la cration continue fait de chaque instant
linstant mme de la cration, Dieu est non seulement la cause totale de ce qui existe,
mais encore la cause efficiente de chaque chose. Parce que cest donc lui qui fait les
*

Universit de Paris-Sorbonne, 1, rue Victor Cousin, 75230 Paris

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studi

grandes mes, ou celles qui sont basses et vulgaires, cest lui que les gnreux sont
redevables de lusage quils font de leur libert. Il nest donc rien qui ne dpende
toujours entirement de Dieu, et pas mme le plus libre des hommes dans le moment
o il fait de sa libert un usage absolu.
Parce que tout dpend de lui, cest donc lui quil faut dabord connatre. Or la
premire chose connatre, cest son existence. Une objection aussi vieille que le platonisme consisterait alors nous opposer quil serait vain de sinterroger sur lexistence de ce quon ne connat pas. La rponse, bien sur, est quil ny aurait strictement rien
en connatre sil nexistait pas. Alors? Il nous faut remarquer que le mouvement
mme de la pense cartsienne rsout cette apparente contradiction, en faisant de
lide de Dieu lide la plus originaire. Parce que lide de Dieu a toujours dj t
donne, nous en avons toujours eu une ide trs claire; et cest pourquoi nous pouvons
fort lgitimement nous interroger sur son existence.
Cest ce mouvement spontan de la pense que nous commencerons par analyser.
***
Lide de Dieu apparat, des la Premire Mditation, pour radicaliser lentreprise du doute, du moins en son premier moment. Est alors considr comme douteux
tout ce dont on peut trouver la moindre raison de douter. Sagissant des vrits
mathmatiques, si indpendantes de toute existence matrielle, outre le fait que certains sy trompent, on ne pourrait gure trouver de raison den douter que de supposer un Dieu trompeur. En effet, observe Descartes, il y a longtemps que jai dans
mon esprit une certaine opinion quil y a un Dieu qui peut tout, et par qui jai t cr
et produit tel que je suis1. Une chose est lide que nous avons de Dieu, autre chose
lopinion que nous avons de son existence. Lide de Dieu nous fait concevoir une
substance infinie, ternelle, immuable, indpendante, toute connaissante, toute puissante, et par laquelle moi-mme et toutes les autres choses qui sont ont t cres et
produites2. Cest donc une seule et mme chose davoir lide de Dieu et davoir
lide dun tre infiniment puissant. Puisquil nest rien quil ne puisse, il est donc
possible quil me trompe jusque dans les choses qui me semblent les plus videntes.
Lide inne de la toute-puissance de Dieu devient, en ce sens, une raison de douter.
Si lon comprend bien que lide que nous avons de linfini soit inne
puisquelle ne peut tre acquise, il est plus surprenant que cette ide que nous avons
de linfini soit en mme temps celle dun tre qui nous a crs. Or cest une ide constante chez Descartes que, si je mtais cr, je me serais donn toutes les perfections
dont jai lide3. Puisque je me connais imparfait, jai donc t cr. Mais ce sont
toutes les cratures imparfaites qui, pour cette mme raison, ont donc t cres. Il
sensuit dune part que le seul tre qui ait pu les crer nest donc pas une crature, et
dautre part quil doit tre parfait.
Si la toute-puissance de Dieu pouvait fournir une raison de douter, sa perfection
justifiait toutefois une raison inverse: car la meilleure chance pour une crature de
1
2
3

Premire Mditation, AT, IX-1, 16.


Mditation troisime, AT, IX-1, 36.
Cfr. Discours, 4me partie, AT, VI, 34; Mditation troisime. AT, IX-1, 38; Principes I, 20.

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Nicolas Grimaldi

ntre point trop imparfaite nest-elle pas davoir t cre par la plus parfaite des
causes? Serait-il vraisemblable, dans ce cas, que le plus parfait et le plus puissant des
crateurs neut produit ses cratures que pour les abuser?
Voici le problme pos ds la Premire Mditation. Lorsquelle sachvera,
deux choses seront manifestes. Assujetti la capacit de notre entendement, le premier moment du doute aura manifest que nous avons lide de Dieu. Dvelopp par
lexercice de notre volont sous le travesti du Malin Gnie, le second moment du
doute aura prouv que notre volont est capable dune ngativit infinie. Car combien de choses a-t-elle rvoqu en doute au bout de cette mditation? Une infinit:
autant que Dieu, sil existe, a pu en crer.
Une fois dcouverte la premire vidence: Cogito, existo, une deuxime en est
aussitt tire. En effet, puisque lvidence du conditionn prouve lvidence du conditionnant, lvidence de ma cogitatio en tant que mode de la pense atteste lvidence dune res cogitans en tant que substance de ce mode. De la dcouverte du Cogito,
Descartes avait encore tir un corollaire: puisque ce qui caractrisait lvidence de
cette proposition (Cogito, existo) tait sa trs grande clart et distinction, un thorme
avait fait de la clart et de la distinction les proprits et comme les critres de lvidence. On aurait pu continuer, sil ny avait eu cette hypothque dun Dieu
trompeur4, qui obre toute dduction, et par consquent toute progression de la connaissance. Car sil est vrai quon ne peut pas douter de lvidence dans le moment
mme o lattention en impose lintuition lesprit, plus rien toutefois ne nous assure
encore de sa vrit lorsque nous avons cess dy tre attentif, et que nous considrons
une autre ide. Et en effet, sil y a un Dieu qui peut tout, ne peut-il pas avoir fait que
ce qui tait vrai linstant prcdent ne ft plus vrai linstant suivant? Comment alors
tre jamais assur de la prennit de la vrit, nonobstant linstantanit de nos certitudes? Comment tre assur que la praesens evidentia peut tre considre comme
une evidentia aeterna? Nulle science ne sera donc possible tant que naura pas t
leve lhypothque de lventualit dun Dieu trompeur. Le mouvement des
Mditations va donc consister se demander: 1) sil y a un Dieu; et 2) sil peut tre
trompeur.
Tout le cheminement de cette argumentation, on le voit, est gouvern par la
conception que se fait Descartes de la toute-puissance divine. Selon lui, tant toutpuissant, Dieu est absolument indpendant. tant indpendant, il ne peut tre assujetti rien, et pas mme la vrit, ni au bien, ni la justice. Puisquil peut tout et quil
ne dpend de rien, tout dpend inconditionnellement de lui, y compris les vrits,
quil a donc aussi cres comme il a tout cr. Or cest cette ide dun Dieu crateur
des vrits qui, lorsque nous ne percevons plus lvidence dune vrit, laisse planer
le doute que Dieu, qui la cr, ne lait depuis abroge et nen ait cr une autre. On
voit donc comment largumentation des Mditations, o napparat pas la doctrine de
la cration des vrits5 en est cependant implicitement tributaire.
4

Mditation troisime, AT, IX-1, 28: Mais toutes les fois que cette opinion ci-devant conue
de la souveraine puissance dun Dieu se prsente ma pense, je suis contraint davouer
quil lui est facile, sil le veut, de faire en sorte que je mabuse, mme dans les choses que je
crois connatre avec une vidence trs grande; cfr. Principes I, 13.
5 Mersenne, 15 avril 1630, AT, I, 145: les vrits mathmatiques, lesquelles vous nommez
ternelles, ont t tablies de Dieu et en dpendent entirement, aussi bien que tout le reste
des cratures. Cest en effet parler de Dieu comme dun Jupiter ou Saturne et lassujettir au

203

studi

La premire question va donc tre celle de savoir sil existe rellement un tre
qui corresponde lide que nous avons de Dieu. Dieu existe-t-il? A loeuvre tout au
long de la Troisime Mditation, une premire mthode va consister prouver que
Dieu est lunique cause possible dun certain nombre de faits aussi indubitables
quimmdiatement constatables: le fait est que jai lide de Dieu, le fait est que je ne
suis pas parfait, le fait est que je dure. Sinterrogeant sur la condition de possibilit de
faits aussi patents, Descartes va en effet montrer quils ne seraient pas possibles si
Dieu nexistait pas. Comme dans une mthode dinvestigation policire, les faits tant
donns, ils constituent autant de preuves de lexistence de leur cause. Car comment ne
tiendrait-on pas pour prouve lexistence de lunique cause possible ds lors quest
indubitablement constate lexistence de son effet? Si tel effet ne peut avoir que telle
cause, il suffit davoir tabli lexistence de leffet pour avoir prouv lexistence de sa
cause. Autant quil y en a donc deffets remarquables, autant va-t-il donc y avoir de
preuves de lexistence de Dieu.

1. Lexistence de Dieu prouve par lide que nous en avons


Prenant appui sur lide de Dieu que nous trouvons en nous, la premire argumentation va consister se demander si nous pouvons lavoir produite, et sinon quelle en peut tre la cause. Prenant appui sur le principe de causalit, elle va donc
lappliquer aux ides en gnral, puis lide de Dieu en particulier.
Toute laxiomatique et tout le rationalisme cartsiens sont requis par la mise en
oeuvre de cette preuve. Quil ny ait rien dont on ne soit fond demander la cause
pourquoi il existe, cest en effet un axiome, et mme le premier de tous6. Sil ny a
pas de ralit dont on ne puisse rendre raison, il sensuit que tout ce qui est rel est
rationnel. Si la raison dtre de toute chose est la cause qui la produite (causa sive
ratio), il doit y avoir une premire cause, qui est elle-mme sa propre raison, et que
pour cette raison mme, posant sa propre existence par sa propre essence, on peut
nommer causa sui. Aussi est-ce ce que fera Descartes dans ses rponses Caterus7 et
Arnauld8.
Quaucune chose ne puisse avoir le nant pour cause, cest galement un
axiome9. Pas plus quil ne peut donc y avoir dabsolue spontanit ni de pur commencement, pas plus ne peut-il y avoir de cration (aliquid ex nihilo) dans la
Styx et aux destines, que de dire que ces vrits sont indpendantes de lui; 6 mai 1630,
AT, I, 149: Pour les vrits ternelles, je dis derechef que sunt tantum verae aut possibiles,
quia Deus illas veras aut possibiles cognoscit, non autem contra veras a Deo cognosci quia
independenter ab illo sint verae. Et si les hommes entendaient bien le sens de leurs paroles,
ils ne pourraient jamais dire sans blasphme que la vrit de quelque chose prcde la connaissance que Dieu en a, car en Dieu ce nest quun de vouloir et de connatre, de sorte que
ex hoc ipso quod aliquid velit, ideo cognoscit, et ideo tantum talis res est vera; 17 mai
1630, AT, I, 151-153: Vous me demandez in quo genere causae Deus disposuit aeternas
veritates. Je vous rponds que cest in eodem genere causae quil a cr toutes choses,
cest--dire ut efficiens et totalis causa. Cfr. aussi Siximes Rponses, AT, IX-1, 233.
6 Cfr. Rponses aux 2ndes Objections, AT, IX-1, 127.
7 Cfr. Rponses aux 1res Objections, AT, IX-1, 87.
8 Cfr. Rponses aux 4mes Objections, AT, IX-1, 187-188.
9 Cfr. Rponses aux 2ndes Objections, 3e axiome, AT, IX-1, 127.

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Nicolas Grimaldi

cration10. Du mme coup, puisquil ne saurait rien y avoir dans leffet qui ny ait t
produit par sa cause, cest une chose manifeste pour la lumire naturelle quil doit y
avoir pour le moins autant de ralit dans la cause efficiente et totale que dans son
effet11. Quoiquelle paraisse dduite du prcdent axiome, Descartes dira que cest
une premire notion, et si vidente quil ny en a point de plus claire12; et il la prsentera donc la fin des Secondes Rponses comme le troisime de ses axiomes13.
Ds lors quil ne pourrait rien y avoir de plus dans ce qui suit que dans ce qui
prcde, un tel axiome rduirait donc tout changement un dplacement, bornerait le
nouveau ntre jamais quun ramnagement de lancien, et, rsumant le tout
ntre rien de plus que la somme de ses parties, ferait par consquent du mcanisme
le principe fondamental de tout ce qui peut se produire dans la nature. Or, cest
quobjectent Descartes aussi bien Mersenne et les thologiens de la Sorbonne14 que
Gassendi15. Se rfrant implicitement des descriptions dAristote16, cest lobservation mme de la vie qui leur parait contester laxiomatique cartsienne. Le propre de
la vie nest-il pas, en effet, quil y ait plus dans ce qui suit que dans ce qui prcde?
Le propre dun organisme nest-il pas que le tout soit autre chose et quelque chose de
plus que la somme de ses parties? Ne voit-on pas tous les jours que les mouches et
plusieurs autres animaux, comme aussi les plantes, sont produits par le soleil, la pluie
et la terre, dans lesquelles il ny a point de vie comme en ces animaux, laquelle vie
est plus noble quaucun autre degr purement corporel?17. Comme aucune exprience ne saurait rcuser une vidence, cest sa logique a priori qui conduit Descartes
carter lobjection: sil nous semble parfois quil y ait plus dans leffet que dans les
causes qui ont concouru sa production, cest faute de connatre assez toutes les causes qui concourent au phnomne de la gnration18. Formule par Gassendi, lautre
objection oppose Descartes que son principe ne vaut que pour la cause matrielle,
mais est impertinent quant la causalit efficiente: que reste-t-il de larchitecte dans
la maison acheve, et queut-on jamais pu observer dans larchitecte de ce qui constitue proprement la maison?19. Nul embarras pour Descartes: quel philosophe eut
jamais cherch dans la matire la cause ou la raison de la forme quelle reoit?20.
Ce principe de causalit pos comme originaire, Descartes va lappliquer aux
ides. Une telle dmarche ne sexplique toutefois que par le statut driv que
Descartes leur assigne. Toute ide, pense-t-il en effet, est une reprsentation; toute
reprsentation est comme une image; et toute image drive de son modle comme
tout reflet drive de ce quil rflchit. Entre mes penses, recense-t-il, quelques10

Cfr. Cogitationes privatae, AT, X, 218: Tria mirabilia fecit Deus: res ex nihilo, liberum
arbitrium, et Hominem Deum. Si la Cration est mirabilis, cest parce quelle excde et
effare, en effet, toute comprhension.
11 Mditation troisime, AT, IX-1, 32.
12 Rponses aux 2ndes Objections, AT, IX-1, 106.
13 Cfr. ibidem, AT, IX-1, 128.
14 Cfr. Secondes Objections, AT, IX-1, 97.
15 Cfr. Cinquimes Objections, AT, VII, 288.
16 Cfr. ARISTOTE, Histoire des animaux, V, 15; V, 19; V, 31.
17 Secondes Objections, AT-IX-1, 97.
18 Cfr. Rponses aux 2ndes Objections, AT, IX-1, 105-106.
19 Cfr. Cinquimes Objections, AT, VII, 288.
20 Cfr. Rponses aux 5mes Objections, V, AT, VII, 366.

205

studi

unes sont comme les images des choses, et cest celles-l que convient proprement
le nom dide: comme lorsque je me reprsente un homme, une chimre, ou le ciel,
ou un ange, ou Dieu mme21. Cest donc par nature, selon Descartes, que toute ide
renvoie autre chose quelle-mme, dont elle nest, comme une effigie ou une trace,
quune reprsentation dlgue, drive22. La formulation de la lettre au P. Mesland
du 2 mai 1644 nautorise l-dessus aucune quivoque. Cest trs expressment, en
effet, que Descartes y dclare ne mettre aucune diffrence entre lme et ses ides
que comme entre un morceau de cire et les diverses figures quil peut recevoir23.
Do cette constante assimilation de toute intellection une passion24. Car comme
ce nest pas proprement une action, mais une passion en la cire, de recevoir diverses
figures, cest aussi une passion en lme de recevoir telle ou telle ide25.
Toute ide est donc constitue, et jamais constituante. Comme un reflet par rapport son original, comme une empreinte par rapport son sceau, comme un tableau
par rapport son modle26, lide ne produit pas son objet: elle le reproduit. Et
encore quil puisse arriver quune ide donne naissance une autre ide,... il faut
la fin parvenir une premire ide, dont la cause soit comme un patron ou un original, dans lequel toute la ralit ou perfection soit contenue formellement27. Et en
effet, comme nous neussions jamais eu lide ou limage dun satyre ou dune sirne
si nous navions jamais vu dhomme, de femme, de bouc ni de poisson, toutes nos
ides sont comme des tableaux ou des peintures qui ne peuvent tre forms qu la
ressemblance de quelque chose de rel et de vritable28. Par consquent, de mme
que toute vision, si dforme ou compose quelle puisse tre, dpend de lobjet vu,
de mme toute ide, si factice quelle soit, dpend de lessence quelle ne nous fait
concevoir quautant quelle nous la reprsente. On comprend du mme coup que, si
toute ide est comme un tableau, elle peut la vrit facilement dchoir de la perfection des choses dont (elle a) t tire, quoiquelle ne puisse jamais rien contenir
de plus grand ou de plus parfait29. Image, tableau, trace, empreinte, marque, effigie,
reflet, une ide nest pas une cause: cest toujours un rsultat. Il ny a pas dide en
soi. Renvoyant par nature autre chose quelle-mme, cest par nature quelle est
une relation, un double.
Ainsi dcrite, cest ncessairement que la nature de lide conduit donc distinguer sa ralit objective et sa ralit formelle30. Comme ce que nous voyons dans un
miroir pourrait tre dit la ralit objective du reflet, la ralit objective dune ide est ce
21 Mditation troisime, AT,
22 Ibidem, AT, IX-1, 34-35:

IX-1, 29.
les ides tant comme des images, il ny en peut avoir aucune
qui ne nous semble reprsenter quelque chose.
23 Mesland, 2 mai 1644, AT, IV, 113.
24 Cfr. Regius, mai 1641, AT, III, 372.
25 Mesland, 2 mai 1644, AT, IV, 113.
26 Mditation troisime, AT, IX-1, 33: la lumire naturelle me fait connatre videmment que
les ides sont en moi comme des tableaux [...].
27 Mditation troisime, AT, IX-1, 33.
28 Premire Mditation, AT, IX-1, 15.
29 Mditation troisime, AT, IX-1, 33.
30 Ibidem: tout ainsi que cette manire dtre objectivement appartient aux ides, de leur propre nature, de mme aussi la manire ou la faon dtre formellement appartient aux causes
de ces ides ( tout le moins aux premires et principales) de leur propre nature.

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Nicolas Grimaldi

que nous concevons en elle en tant quelle en est limage ou la reprsentation. Et comme
on pourrait dire, corrlativement, que lobjet rflchi par le miroir est la ralit formelle
de limage ainsi produite, de mme la ralit formelle dune ide est ce qui correspond
ontologiquement dans son objet ce quelle nous en fait logiquement concevoir31.
De mme encore que ce qui fait la diffrence entre les diverses images dun
miroir nest pas le miroir qui les rflchit, mais la diversit des objets quelles refltent, de mme ny a-t-il pas dautre diffrence entre les diverses ides que la diversit
des essences ou des objets quelles reprsentent. Leur ralit objective est donc dtermine et constitue par leur ralit formelle32.
Puisquil est de la nature dune ide de renvoyer autre chose comme sa
cause33, Descartes devait sestimer fond y appliquer le principe de causalit. Il en
tire donc un thorme qui, appliqu lide que nous avons de Dieu, en prouvera
lexistence: toute ide doit avoir une cause, contenant formellement au moins autant
de ralit que cette ide en reprsente objectivement34. Il ny a rien quune ide nous
fasse logiquement concevoir qui ne doive tre ontologiquement dans sa cause.
tant une substance, notre me a donc formellement assez de ralit pour produire lide dune substance tendue, et, partir dune telle ide, celle de tous les
modes de ltendue35. Mais, parce que cest notre imperfection mme qui nous a fait
douter, et parce que cest le doute qui nous a fait dcouvrir la substantialit de notre
me, notre me est une substance finie. Elle ne possde donc pas assez de ralit formelle pour tre cause de lide dinfini qui est cependant en nous. Par consquent,
lide de perfection36, ou lide dinfini37, cest--dire lide de Dieu, ne peut tre en
moi que parce quun tre possdant rellement, formellement, ontologiquement cette
perfection et cette infinit la mise et produite en moi, comme la marque de
louvrier empreinte sur son ouvrage38. Il faut ncessairement conclure que, de cela
seul que lide dun tre souverainement parfait (cest--dire de Dieu) est en moi,
lexistence de Dieu est trs videmment dmontre39.
cette preuve par la trace ou par la marque, les premiers lecteurs de Descartes
levrent quatre types dobjections, auxquelles il avait pourtant rpondu par avance
dans le corps de ses Mditations. Elles portaient:
31 Cfr. Rponses aux 2ndes Objections, dfinitions III et IV, AT, IX-1, 124-125.
32 Mditation troisime, AT, IX-1, 31-32: si ces ides sont prises en tant seulement

que ce
sont de certaines faons de penser, je ne reconnais entre elles aucune diffrence ou ingalit,
et toutes semblent procder de moi dune mme sorte; mais, les considrant comme des
images, dont les unes reprsentent une chose et les autres une autre, il est vident quelles
sont fort diffrentes les unes des autres.
33 Ibidem, p. 33: si nous supposons quil se trouve quelque chose dans lide qui ne se rencontre pas dans sa cause, il faut donc quelle tienne cela du nant [...]; tout ainsi que cette
manire dtre objectivement appartient aux ides, de mme aussi la manire ou la faon
dtre formellement appartient aux causes de ces ides [...]; il faut la fin parvenir une
premire ide, dont la cause soit comme un patron ou un original [...].
34 Cfr. ibidem, p. 32-33; cfr. aussi Rponses aux 2ndes Objections, 5me axiome, p. 128;
Principes I, 18.
35 Cfr. Mditation troisime, p. 36.
36 Cfr. Discours, 4me partie, AT, VI, 34; Principes I, 18.
37 Cfr. Mditation troisime, p. 36.
38 Ibidem, p. 41.
39 Ibidem, p. 40.

207

studi

sur la validit de lapplication du principe de causalit aux ides,


sur le caractre inn ou adventice de lide de Dieu,
sur son caractre inn ou factice,
sur la possibilit mme davoir vritablement une ide de linfini.
Dans les Premires Objections Caterus fait en effet observer quune ide na
pas dexistence en acte. Une maison a peut-tre besoin dune cause idale pour tre
construite, mais de quelle cause lide de maison pourrait-elle avoir besoin? Lide
de quelque existence que ce soit nest-elle pas que lexistence dune ide? Et le propre dune ide nest-il pas dexister sur le mode de linexistence? Pourquoi donc
recherche-je la cause dune chose qui actuellement nest point, qui nest quune simple dnomination et un pur nant?40. La rponse de Descartes est simple. Il est vrai
que la Joconde nest pas Monna Lisa. Doit-on penser pour autant que la Joconde
nexiste pas et quelle nest rien? Les ides ont le mme genre de ralit quune
image ou un tableau: une ralit objective. Ntre que dans lentendement, ce nest
pas ne pas tre; de sorte que si une chose a besoin dune cause pour exister hors de
lentendement, elle doit aussi avoir besoin dune cause pour exister dans lentendement, cest--dire pour tre conue41.
galement inspires dune ontologie implicitement raliste, les Secondes
Objections font valoir un autre argument. Bien loin de penser, comme fera
Malebranche, que reprsenter cest en quelque faon contenir, et linverse de
Descartes pour qui concevoir une ide cest la recevoir, Mersenne considre que concevoir cest produire une ide, et quil nest pas plus difficile de concevoir un chiliogone quun triangle, ou dimaginer mille thalers que de nen imaginer quun: au bout
du compte on nest pas plus riche dune manire que de lautre. Parce que les ides
ne sont que des tres de raison, et parce que lide de richesse ne nous rend pas plus
riches que lide de pauvret ne nous rend pauvres, aucune ide ne peut tre plus
noble que lesprit qui la conoit42. Descartes rpond en dnonant la ptition de
principe dune telle objection. Si on commence par dire que les tres de raison sont
produits pas la raison, et de surcrot que nous ne concevons que des tres de raison,
on naura videmment aucun mal prouver que lide de Dieu nest quun tre de
raison. Mais, de fait, on naura rien prouv du tout, puisquon a commenc par se
donner ce qui tait prcisment prouver, savoir que tout ce que nous concevons
est produit par notre esprit43. Or tel est prcisment le cas unique de lide de Dieu,
quelle contient plus de ralit objective que notre esprit ne possde de ralit formelle, de sorte quil est aussi certain quelle est en nous, quil est certain quelle ne
vient pas de nous.
Une deuxime srie dobjections met en question le caractre inn de lide de
Dieu. Nous ne lavons pas produite: soit. Elle a t mise en nous: soit. Mais par qui?
Y a-t-il rien dans lide que nous concevons de Dieu dont nous ne soyons redevables
ce qui nous a t enseign?44. Nest-il pas singulier que lide quen a Descartes
soit si exactement conforme ce quen enseigne lglise depuis quelle en a reu la
40 Premires Objections, AT, IX-1, 74.
41 Rponses aux 1res Objections, AT, IX-1, 82-83.
42 Secondes Objections, AT, IX-1, 48.
43 Cfr. Rponses aux 2ndes Objections, AT, IX-1, 106.
44 Cfr. Secondes Objections, AT, IX-1, 98.

208

Nicolas Grimaldi

Rvlation?45. Comme par une sorte de rciproque, nest-il pas tout aussi remarquable que ceux qui nen ont reu ni la Rvlation, ni la tradition, ni lenseignement,
nont point en eux une telle ide?46. Bref, cette ide de Dieu, leussions-nous
jamais eue si nous ne lavions jamais reue? La premire objection nembarrasse pas
Descartes: supposer que cette ide ait t mise en moi par ceux qui me lenseignrent, tant et tant quon remonte, il faut bien finir par convenir quil dut y avoir quelquun qui on ne lavait pas enseigne et en qui cependant elle avait t mise47.
Quant la seconde objection, il la rcuse purement et simplement, parce quil nie le
fait que prcisment elle tient pour observable. Parce quil ny a pas dhomme qui
nait lide dinfini, il ny a pas dhomme qui nait lide de Dieu; et les Canadiens et
les Hurons ne pensent pas l-dessus autrement que tout le monde. Ce qui prouve le
caractre inn de lide de Dieu, cest son caractre universel. En effet, si lide de
Dieu avait pu tre invente, compose, colporte, transmise par ci ou par l, elle ne
serait pas conue si exactement de la mme faon par tout le monde; car cest une
chose trs remarquable que tous les mtaphysiciens saccordent unanimement dans la
description quils font des attributs de Dieu48.
Si lide que nous avons de Dieu na t ni acquise ni transmise, ne pourrait-elle
alors avoir t construite partir de divers lments de notre exprience? Faute
quelle soit une ide adventice, ne serait-elle pas une ide factice? Ne se peut-il,
demande Mersenne, quelle ne reprsente rien que ce monde corporel, qui embrasse
toute les perfections imaginables, de sorte que sous le nom de Dieu nous ne nous
reprsentions en fait quun tre corporel trs parfait?49. Il suffit, rpond Descartes,
dvoquer une telle notion pour en dnoncer labsurdit. Un corps parfait est comme
un cercle carr. Comment serait-il, en effet, de la nature dun corps dtre infiniment
divisible sans quil soit aussi de sa nature dtre infiniment corruptible, cest--dire
imparfait? Parce que la matire nexiste que partes extra partes, un corps nest
quune somme dexclusions, un ramassis dingrdients spars, morcels. Comment
une unit aussi occasionnelle et prcaire aurait-elle aucune perfection?50.
Mais, demande alors Gassendi, si lide de Dieu ne peut tre tire de la considration des choses extrieures et matrielles, ne pourrait-elle tre forme par amplification ou par agrandissement des facults que nous reconnaissons simplement en
nous-mmes? Ne suffit-il pas de durer, de connatre, de pouvoir, et mme de notre
exprience de la bont et du bonheur51, pour que nous puissions en driver, par mul45 Cfr. Cinquimes Objections, AT, VII, 286.
46 Secondes Objections, AT, IX-1, 98.
47 Cfr. Rponses aux 2ndes Objections, AT, IX-1, 107.
48 Ibidem, p. 108; et aussi Rponses aux 1res Objections,

AT, IX-1, 84: parce que (lide de


Dieu) est empreinte dune mme faon dans lesprit de tout le monde, et que nous ne
voyons pas quelle nous vienne jamais dailleurs que de nous-mmes, nous supposons
quelle appartient la nature de notre esprit.
49 Secondes Objections, AT, IX-1, 98.
50 Cfr. Rponses aux 2ndes Objections, AT, IX-1, 109; et p. 107: que lide de Dieu peut tre
forme de la considration des choses corporelles, cela ne me semble pas plus vraisemblable
que si vous disiez que nous navons aucune facult pour our, mais que, par la seule vue des
couleurs, nous parvenons la connaissance des sons. Car on peut dire quil y a plus danalogie ou de rapport entre les couleurs et les sons quentre les choses corporelles et Dieu.
51 Cfr. Cinquimes Objections, AT, VII, 287.

209

studi

tiplication, lide de lternit, de lomniscience, de la toute-puissance, etc.?


Observons nimporte quel homme; affectons ses caractres dune puissance exponentielle: naurons-nous pas produit de la sorte une ide toute semblable celle que nous
avons de Dieu? Nullement, rpond Descartes. Imaginer que Dieu puisse tre quelque
mganthrope, ce serait en effet comme croire quun lphant est un norme ciron52,
ou que lternit est une dilatation de la temporalit. Quoi quon prtende imaginer
de la sorte, on ne conoit rien du tout. Car tant et tant quon ajoute du fini du fini,
on nen finira jamais de produire linfini53. Linfini peut tre un tout; mais il nest
certainement pas une somme. Lide que nous en avons ne pouvant donc tre obtenue
par aucune mdiation, elle ne peut tre donne que tout entire et tout dun coup54.
Donne immdiate de la conscience, intuition originaire, cest une ide inne.
Dailleurs, quand on imagine que lide de Dieu pourrait tre produite par la
facult que nous avons damplifier toutes les perfections cres, cest cette facult
dont on omet toutefois dexpliquer comment elle peut tre en nous. Excdant toute
reprsentation possible, que manifeste une telle facult, sinon une originaire affiliation avec lide de ce qui excde tout excs et dpasse tout dpassement?55. Si,
comme le dira Malebranche, nous avons toujours du mouvement pour aller plus
loin, nest-ce pas parce que nous avons originairement lide du lointain absolu, de
labsolument indpassable, cest--dire de linfini? Or notre esprit aurait-il la capacit de dpasser indfiniment la reprsentation de toute chose finie sil navait une
volont infinie, et notre volont pourrait-elle tre infinie sans vouloir linfini?
Pourrait-elle tre infinie si nous navions originairement en nous lide de perfections
infinies, cest--dire de Dieu mme?56.
Mais, va objecter Gassendi, puisque notre entendement est fini, en voquant ce
dont on ne peut rien concevoir de plus grand, ce quil conoit de la sorte nest-il pas
toujours fini? Puisquil ne peut donc pas le concevoir, cet infini dont il prtend avoir
lide nest-il pas alors quun mot?57. Dailleurs, comme le mot mme lindique,
linfini nest-il pas quune notion ngative, exprimant seulement la ngation de ce
qui est fini? Tout au contraire, rpond Descartes, cest ce qui est fini qui ne peut
jamais tre conu que comme une limitation de ce qui na pas de limite 58 .
Malebranche sera donc strictement fidle la pense de Descartes lorsquil dira que
lide dinfini prcde et fonde celle de toute chose finie59. Dune part, en effet, on
52 Cfr. Rponses aux 5mes Objections, Sur la 3e Md., IV, AT, VII, 365.
53 Cfr. Mditation troisime, AT, IX-1, 137.
54 Rponses aux 5mes Objections, Sur la 3me Md., X, AT, VII, 371: ne

pensez pas que


lide que nous avons de Dieu se forme successivement de laugmentation des perfections
des cratures; elle se forme tout entire et tout la fois, de ce que nous concevons par
notre esprit ltre infini, incapable de toute sorte daugmentation.
55 Ibidem, IV, p. 365: do nous peut venir cette facult damplifier toutes les perfections cres,
cest--dire de concevoir quelque chose de plus parfait quelles ne sont, sinon de cela seul que
nous avons en nous lide dune chose plus grande, savoir, de Dieu mme?; et IX, p. 371
:je soutiens que cette vertu-l daugmenter et daccrotre les perfections humaines jusqu tel
point quelles ne soient plus humaines, mais infiniment releves au-dessus de ltat et condition
des hommes, ne pourrait tre en nous si nous navions un Dieu pour auteur de notre tre.
56 Cfr. Mersenne, 25 dcembre 1639, AT, II, 628.
57 Cfr. Cinquimes Objections, AT, VII, 296.
58 Cfr. Rponses aux 5mes Objections, Sur la 3me Md., IV, AT, VII, 365.
59 Cfr. N. MALEBRANCHE, Recherche de la vrit, livre III, 2me partie, chap.VI (OC, I, 441).

210

Nicolas Grimaldi

ne conoit pas ltre par son manque. Dautre part, comment aurions-nous jamais
lide du manque ou de la limitation si on navait pralablement lide de ltre sans
limitation ni restriction?60. Bien loin, par consquent, que lide dinfini puisse tre
obtenue par totalisation ou par ngation de lide que nous avons de ce qui est fini,
cest au contraire la conscience mme de notre finitude qui ne serait pas mme possible si nous navions originairement lide de linfini; de sorte, comme lavaient
manifest les Mditations, que nous avons premirement en nous lide de Dieu que
de nous-mmes61.

2. Lexistence de Dieu prouve par lexprience de notre finitude


Tous les exposs de la mtaphysique cartsienne en dveloppent largument62.
Je dsire. Jai donc lide de perfections que je ne puis me donner. Cest la preuve
que je ne suis pas mon crateur. En effet, il est plus difficile de faire tre ce qui nest
pas que de perfectionner (cest--dire de modifier) ce qui est. Parce que je ne suis pas
la cause de mon tre, je ne suis pas la cause des ides dont je ne possde pas formellement la ralit, et qui ont donc d tre mises en moi par ltre qui ma cr. Or il
naurait pas pu en produire en moi la ralit objective sil nen avait formellement ou
minemment possd la ralit.
Comme toute trace est la fois lempreinte et labsence de ce qui la produite,
notre dsir est donc la trace de Dieu en nous. Anticipant une pense de Pascal63
largument cartsien caractrise donc Dieu comme la prsence dont notre dsir est
labsence. Puisque la conscience mme de notre imperfection atteste la finitude de
notre statut de crature, la rciproque de ce thorme est qutant donc incr un tre
parfait est ncessairement ternel.

3. Lexistence de Dieu prouve par la continuation de mon existence


Cet argument est un simple corollaire de la doctrine cartsienne du temps,
laquelle est immdiatement dduite de son axiomatique. Quaucune chose actuellement existante ne puisse avoir quelque chose non existante pour cause de son existence il ny a pas en dbattre ni en discuter: cest un axiome64. On en pourrait
dduire que, nexistant plus, le pass ne peut pas tre cause du prsent. Mais il ny a
pas mme le dduire, cest encore un axiome: le temps prsent ne dpend pas de
celui qui la immdiatement prcd65. Pour la mme raison, lavenir, qui nexiste
pas encore, ne peut pas tre la cause finale du prsent. Le prsent ne peut donc pas
60 Cfr.

lHyperapistes, aot 1641, 6, AT, III, 427; cfr. aussi Clerselier, 23 avril 1649,
5, AT, V, 356.
61 Mditation troisime, AT, IX-1, 36.
62 Cfr. Discours, 4me partie, AT, VI, 34-35; Mditation troisime, AT, IX-1, 38; Principes I, 20.
63 B. PASCAL, Penses (d. Brunschvicg), fr. 425: Que nous crie cette avidit et cette impuissance, sinon quil y a eu autrefois dans lhomme un vritable bonheur dont il ne lui reste
maintenant que la marque et la trace toute vide [...]?.
64 Rponses aux 2ndes Objections, 3me axiome, AT, IX-1, 127.
65 Ibidem, 2me axiome.

211

studi

tendre vers lavenir. Nous voici donc introduits a priori dans une ontologie o il ny
a ni tendance, ni dynamisme. Tout sy achverait donc linstant mme quil commence, si la cause qui la cr ne continuait de crer le monde encore chaque
instant. Telle est cette doctrine de la cration continue66, qui fait de chaque instant
linstant mme de la cration, et de Dieu, comme nous le verrons, la cause efficiente
de toutes choses67.
Pourtant, objecte Gassendi, nobserve-t-on pas souvent que leffet continue
dexister alors mme que sa cause a disparu? Nest-il pas ordinaire que les enfants
survivent leurs pres? La maison ne dure-t-elle pas bien longtemps encore aprs
que son architecte et les maons aient disparu?68. Mais ce nest pas de cette faon,
rpond Descartes, que Dieu nous cre. Car autre chose est la causalit de type artisanal qui fait de lavenir une transformation du prsent, et autre chose celle qui cre
lexistence mme et la perptue dinstant en instant69. Or cest ainsi, comme la
lumire ne dure quautant que le soleil la cre, que nous aussi ne durons quautant
que Celui qui nous a crs continue de le faire.

4. La dmonstration de lexistence de Dieu: le dit argument ontologique


La Cinquime Mditation ne prouve plus: elle dmontre. Elle ne cherche plus,
par une analyse des effets, attester les caractres ou lidentit de leur cause. Elle ne
procde donc plus a posteriori mais uniquement a priori, par le pur examen dune
notion. Descartes ne va donc pas procder ici autrement que navait fait Saint
Anselme dans les deuxime et troisime chapitre de son Proslogion. Comme celui-ci
avait voqu lide de ce dont on ne peut rien concevoir de plus grand, Descartes
voque lide de perfection, cest--dire lide de ce quoi on ne peut rien ajouter, ce
qui est une autre manire de caractriser linfini. Certes, avait prvenu Saint
Anselme, il ne suffit pas quune chose soit comprise dans notre intelligence pour que
nous comprenions quelle est sauf prcisment lorsquil sagit de ce dont on ne
peut rien concevoir de plus grand. Car le comprendre, cest comprendre quil est.
De cela seul savoir linfini il suffit davoir lide pour savoir que ce nest pas
seulement une ide. Sa pure ralit logique le dsigne comme la suprme ralit
ontologique. Son existence est incluse dans son essence. Descartes ne dira pas autre
chose70.
Toutes les difficults souleves par cet argument viennent peut-tre du seul fait
66

Cfr. Discours, 4me partie, AT, VI, 45; Mditation troisime, AT, IX-1, 39; Rponses aux
1res Objections, AT, IX-1, 86; Principes I, 21.
67 Cfr. p.ex. Rponses aux 1res Objections, AT, IX-1, 86: parce que je vois que les parties du
temps peuvent tre spares les unes davec les autres, et quainsi, de ce que je suis maintenant, il ne sensuit pas que je doive tre encore aprs, si, pour ainsi parler, je ne suis cr de
nouveau chaque moment par quelque cause, je ne ferais point de difficult dappeler efficiente la cause qui me cre continuellement en cette faon, cest--dire qui me conserve.
68 Cfr. 5mes Objections, sur la 3me Md., 9, AT, VII, 301.
69 Cfr. Rponses aux 5mes Objections, AT, VII, 369.
70 Cfr. Discours, 4me partie, AT, VI, 36; Mditation cinquime, AT, IX-1, 52; Rponses aux
1res Objections, AT, IX-1, 91; Principes I, 14 et 15.

212

Nicolas Grimaldi

de lavoir prsent comme un argument ou comme une dmonstration71, cest--dire


comme un raisonnement, avec ses prmices et sa conclusion. Ou bien, en effet, parce
quon ne peut pas concevoir linfini sil lui manque lexistence, cest une seule et
mme chose de concevoir linfini et de le concevoir existant72. Il sagit alors dune
intuition immdiate. Se demander si linfini peut ne pas exister, cest comme se
demander sil peut y avoir un cercle carr. Dans ce cas, il va de soi que lexistence et
linfini sont rciprocables: parce quelle ne peut tre limite par ce qui nexiste pas,
lexistence est sans limite et par consquent infinie; de mme, parce quil ny a rien
quon puisse lui ajouter, linfini existe ncessairement. Toutefois, au lieu den conclure, par un coup de pouce logique, quil est ltre ncessaire, on devrait seulement
dire, en toute rigueur, quil y a ncessairement de ltre, linfini. Ou bien, comme
lexpos cartsien peut parfois le laisser supposer, nous avons lide de Dieu comme
nous avons celle du triangle73 et, de mme que nous dduisons de la nature de celuici que la somme de ses angles est gale deux droits, de mme nous concluons74
de la nature de celui-l quil doit ncessairement exister. On aurait alors affaire,
comme en gomtrie, un jugement hypothtico-dductif: supposer quil y ait un
tre parfait... il serait de sa nature que....
Cest ce qui constitue lobjection de Caterus Descartes, comme il avait inspir
celle de Saint Thomas75 Saint Anselme. Si claire que puisse tre lide que nous
avons dun tre parfait ou de linfini, il ne sensuit pas pour cela quon entende que
cette chose soit dans la nature, mais seulement dans lentendement76. Or Descartes
lui-mme avait dj voqu cette ventuelle objection77, et avait dnonc le sophisme cach sous lapparence de cette objection78. Car la considration de toutes les
autres ides nous a accoutums distinguer les caractres intrinsques de leur essence de la possibilit extrinsque de leur existence79. Et cest cette habitude qui nous
fait croire sophistiquement que nous aurions dabord lide dun tre infini ou dun
tre parfait, et quensuite nous en dduirions lexistence comme une de ses proprits. Comme dabord nous avions lide de triangle sans savoir ce que pouvait
valoir la somme de ses angles, ainsi a-t-on pu croire que nous avions dabord lide
dinfini sans savoir si lexistence pouvait tre ou non contenue dans sa notion. En
cette assimilation, en cette abusive gnralisation, en cette coutumire analogie consiste prcisment le sophisme. Car lide dun tre parfait nest autre chose que
71

Mditation cinquime, AT, IX-1, 52, l. 14-15: ne puis-je pas tirer de ceci un argument et
une preuve dmonstrative de lexistence de Dieu?; cfr. AT, VII, 65, l. 19-20.
72 Ibidem, l. 41-42: encore quen effet je ne puisse pas concevoir un Dieu sans existence non
plus quune montagne sans valle [...]; et p. 53, l. 13-15: de cela seul que je ne puisse
concevoir Dieu sans existence, il sensuit que lexistence est insparable de lui, et partant
quil existe vritablement.
73 Cfr. Discours, 4me partie, AT, VI, 36; Mditation cinquime, AT, IX-1, 51, l. 14-27 et p.
52, l. 3.
74 Cfr. les expressions par lesquelles Descartes suggre peut-tre imprudemment un raisonnement, une dduction, une discursivit: il sensuit (AT, lX-1, 53, l. 14 et AT, VII, 6, l. 3),
cette ncessit est suffisante pour me faire conclure(AT, lX-1, 53, l. 39).
75 Cfr. THOMAS DAQUIN, Summa theologiae, 1a pars, quaestio 2, art. 1.
76 Premires Objections, AT, IX-1, 79.
77 Cfr. Mditation cinquime, AT, IX-1, 53, l. 1-7.
78 Ibidem, l. 8-9.
79 Ibidem, p. 52, l. 28-32.

213

studi

lide dun tre existant; au point que cest mme nen pas concevoir lide que de se
demander sil existe.
Plus subtile est une des objections de Gassendi qui anticipe la critique kantienne. Lexistence, dit-il, nest pas une perfection. linverse, nulle chose nest parfaite
ou imparfaite qu la condition pralable dexister. Ce nest donc pas parce quune
chose est parfaite quelle existe, mais il faut quelle existe pour quelle puisse avoir
quelque perfection que ce soit80. Or cette argumentation repose sur deux glissements
de sens. Lorsque Gassendi voque les diverses perfections possibles dune chose,
cest au mme sens o il voquerait ses diverses dterminations possibles: pour tre
verte ou jaune, grande ou petite, belle ou laide, encore faut-il dabord quune chose
soit. Son existence nest pas une dtermination ou un prdicat parmi dautres, mais la
condition mme de toute prdication et de toute dtermination objective. Par ailleurs,
la perfection quvoque Descartes propos de Dieu, nest pas seulement une surminente qualit ou lexcellence dune quelconque dtermination: la perfection selon
Descartes est un autre nom de linfini. Faute de lever ces quivoques, Descartes ne
peut donc que rpondre en rptant quon peut concevoir toutes choses indpendamment de leur existence, hors ltre parfait, ou linfini, ou Dieu, car Dieu est son tre,
et non pas le triangle81.
Si on se rappelle la fortune historique de largument ontologique, et comment
toute lontologie spinoziste en sera en quelque sorte dduite ( partir des notions de
causa sui et de substance), une objection de Mersenne prend un poids considrable.
Sil y a un tre infini en tout genre de perfection, son existence nexclut-elle pas
toute autre existence?82. Puisquil ne peut rien y avoir hors de lui, ne faut-il pas en
effet quil soit lunique substance et la cause immanente de toutes choses? Sans doute
est-ce lhistoire qui nous a fait rtrospectivement mesurer lenjeu de lobjection.
Descartes rpond; mais est-il convaincant? Lexistence de linfini, dit-il, nexclut pas
celles des choses finies. Soit; mais quel est alors leur statut? Ne seront-elles pas que
des modes de linfini? cause de sa conception de la libert, rien et pas mme ce qui
nous semble absurde ou contradictoire, ne peut limiter la libert infinie de Dieu. Du
mme coup, il nest plus rien qui doive embarrasser: quoi servirait linfinie puissance de cet infini imaginaire, sil ne pouvait rien crer?... Il en est de mme de tous
les autres attributs de Dieu, mme de la puissance de produire quelques effets hors de
soi83. Hors de Dieu: sera-ce hors de linfini?
Il y a toutefois une autre objection largument ontologique, et qui nous semble plus radicale que toutes les autres, bien quelle nait t articule par aucun des
correspondants de Descartes. Elle consiste observer que cet argument natteste
autre chose que lexistence de linfini, au sens o lexistence ou ltre en gnral
doivent tre dits infinis. Linfini est: il y a partout et toujours infiniment de ltre.
Quel tre? Est-il un? Est-il une personne? Est-il crateur? Or, ce il y a infini,
peut-on le nommer Dieu autrement que par un abus de langage? Autrement dit, cet
argument est-il vritablement une dmonstration de lexistence de Dieu?
Il est vrai, toutefois, que Descartes navait pas attendu cette dmonstration pour
80 Cfr. Cinquimes Objections, sur la 5me Md., 2, AT, VII, 323.
81 Rponses aux 5mes Objections, sur la 5me Md., 2, AT, VII, 383.
82 Cfr. Secondes Objections, AT, IX-1, 99, l. 8-16.
83 Rponses aux 2ndes Objections, AT, IX-1, 111.

214

Nicolas Grimaldi

tenir lexistence de Dieu comme prouve. Aussi est-ce ds la fin de la Troisime


Mditation et au tout dbut de la quatrime quil lve lhypothque qui grevait le
projet de toute science possible: celle du Dieu trompeur. Lexistence de Dieu dsormais certaine, le problme se pose en effet maintenant de savoir sil peut tre trompeur.

5. La vracit divine
Parce que Dieu est infini, il nest rien quil ne puisse. Il peut donc nous tromper
jusque dans ce qui nous parat le plus vident. En effet, sil y avait une seule chose
quil ne puisse, sa libert aurait une limite: il ne serait donc pas absolument infini. De
ce pouvoir infini qui est en Dieu, et qui inclut donc celui quil a de nous abuser de
toutes les faons, ne va-t-il pas sensuivre un insurmontable, un invincible doute qui
rduira toute science ntre quune suspecte vrai-semblance?
lexception de la morale provisoire, cest tout le systme, toute lentreprise
toute la doctrine cartsienne qui se trouvent maintenant dpendre de cette unique
question84. Sur la rponse que Descartes va faire, cest tout son difice qui est fond.
Or, autant de fois que largument en est expos, cette rponse tient en deux lignes:
quoique pouvoir tromper soit une marque de subtilit ou de puissance, toutefois
vouloir tromper tmoigne sans doute de la faiblesse ou de la malice; et partant cela
ne peut se rencontrer en Dieu85. Plus brivement encore, dans son ptre Voetius,
Descartes dira mme quun Dieu trompeur est inconcevable [...] parce que cela
implique contradiction dans le concept86. Il ny avait donc pas besoin dexplication:
il suffisait de poser la question pour y avoir rpondu.
Ses Rponses aux Siximes Objections fourniront toutefois Descartes loccasion de produire deux arguments. Le premier est que lerreur est un dfaut, un manque, une privation, et que ce qui la fait telle est un nant. Or le souverain tre ne peut
pas plus vouloir le nant quil nen peut tre la cause87, car cest ne rien crer que de
crer le rien. Parce quil fait implicitement rfrence la Rvlation, un autre argument est moins cartsien: comment la religion pourrait-elle nous faire un devoir de
notre foi si on pensait que Dieu pt jamais nous tromper?88.
Consquence immdiate de la vracit divine: le fameux projet dune mathesis
universalis que Descartes avait form ds 1628 sen trouve dsormais ontologiquement bien fond. Comme Descartes avait annonc Mersenne en 1630 que Dieu a
plac dans nos esprits les ides innes des lois quil a institues dans la nature89,
84 Mditation

cinquime, AT, IX-1, 55, l. 9: la certitude de toutes les autres choses en dpend
si absolument, que sans cette connaissance il est impossible de jamais rien savoir parfaitement; et p. 56, l. 23-26: Et ainsi je reconnais trs clairement que la certitude et la vrit de
toute science dpend de la seule connaissance du vrai Dieu: en sorte quavant que je le connusse, je ne pouvais savoir parfaitement aucune autre chose.
85 Mditation quatrime, AT, IX-1, 43, l. 1-5; cfr. aussi Mditation troisime, p. 41, l. 30-33;
Rponses aux 6mes Objections, 4, AT, IX-1, 230; et Principes I, 29.
86 Epistola ad Voetium, AT, VIII-2, 60.
87 Cfr. Rponses aux 6mes Objections, 5, AT, IX-1, 230.
88 Ibidem.
89 Cfr. Mersenne, 15 avril 1630, AT, I, 145.

215

studi

voici que la vracit divine vient de lui fournir le moyen dacqurir une science parfaite touchant une infinit de choses, non seulement de celles qui sont en (Dieu),
mais encore de celles qui appartiennent la nature corporelle, en tant quelle peut
servir dobjet aux dmonstrations des gomtres, lesquels nont point dgard son
existence90. Non seulement cest donc la carrire dune science infinie qui souvre
la mthode cartsienne, mais cest mme lassurance bien fonde dune science qui
pourra dsormais se dvelopper, la manire de la gomtrie, entirement a priori.
Car le premier effet de la vracit divine est bien que lordre des choses est originairement conforme celui de nos ides claires et distinctes, de sorte quil suffit de bien
juger pour bien faire.
La vracit divine est-elle le fondement de toute certitude? Regius le fait remarquer Descartes: la vrit des axiomes nest-elle pas manifeste par elle-mme, indpendamment daucune autre garantie que leur vidence mme?91. Mersenne renchrira: navons-nous pas dcouvert avec une absolue certitude que nous existons ou que
nous sommes un esprit, avant mme de connatre lexistence de Dieu, et moins encore sa vracit?92. Navons-nous pas dcouvert la clart et la distinction comme
dindubitables critres de la vrit93 avant mme de nous interroger sur lexistence de
Dieu? Par consquent, va demander Arnauld94, largumentation cartsienne nest-elle
pas tombe son insu dans un cercle, fondant lexistence de Dieu sur sa clart et sa
distinction, puis garantissant la certitude de la clart et de la distinction par lexistence de Dieu?
Cette objection a pour origine le double statut de la certitude, quon lobtienne
dans limmdiatet dune intuition, ou par la discursivit dune dduction. Pendant
que notre attention nous procure lintuition dune ide claire et distincte, nous ne
pouvons aucunement en douter. Quand il y aurait un Dieu trompeur, il ne saurait
jamais faire que je ne sois rien tant que (quamdiu) je penserai tre quelque chose95.
Car la clart et la distinction sont les proprits de lvidence, et le propre de lvidence est quon nen puisse pas douter96. Toutefois, cette vidence ne dure quaussi
longtemps que nous en avons lintuition; et cette intuition ne dure quaussi longtemps
que lattention qui nous la procure. Do ces notations temporelles dont Descartes
prcise et accompagne tous les exemples quil donne de cette praesens evidentia:
tant que97, toutes les fois que98, pendant que99, tandis que100, quam90 Mditation cinquime, AT, IX-1, 56.
91 Cfr. Regius, 24 mai 1640, AT, III, 64.
92 Cfr. Secondes Objections, AT, IX-1, 98-99.
93 Cfr. Mditation troisime, AT, IX-1, 27, l.

27-31: il me semble que dj je puis tablir


pour rgle gnrale, que toutes les choses que nous concevons fort clairement et fort distinctement sont toutes vraies.
94 Cfr. Quatrimes Objections, AT, IX-1, 166.
95 Mditation seconde, AT, IX-1, 19, l. 33-34; la mme ide est reprise dans la Troisime
Mditation, p. 28, l. 28-34.
96 Cfr. la dfinition de lintuition dans la 3me des Regulae, AT, X, 368, l. 16-17 (ut [...] nulla
prorsus dubitatio relinquatur); cfr. aussi Mditation cinquime, AT, IX-1, 52, l. 1-4.
97 Cfr. Mditation seconde, AT, IX-1, 19, l. 34.
98 Cfr. Mditation seconde, AT, IX-1, 19, l. 37; Mditation cinquime, p. 53, l. 33.
99 Cfr. Mditation cinquime, AT, lX-1, 52, l. 3; et p. 55, l. 27.
100 Cfr. Mditation troisime, AT, IX-1, 28, l. 29.

216

Nicolas Grimaldi

diu101, quoties102. Car lvidence simpose notre intuition aussi longtemps mais
pas plus de temps que nous y sommes attentifs. Ds que, pour progresser dans la
science, nous suivons lordre et lenchanement des ides, voici cependant que
lattention que nous donnons lune nous distrait de celle que nous avions donne
lautre. Du mme coup, cessant den avoir lintuition, nous cessons den prouver
lvidence, sa vrit ne simpose plus notre esprit que par le souvenir103 que nous
en gardons. Rien ne nous assure plus, alors, quun Dieu trompeur na pas abrog les
vrits quil avait cres. moins de savoir que Dieu nest pas trompeur et quil a
donc fait ternelles les vrits quil a cres, nulle dduction ne sera jamais certaine,
et nul progrs de la connaissance ne sera jamais possible.
Cest cette certitude-l que la vracit divine garantit: non celle de la praesens
evidentia mais celle de levidentia aeterna. Aussi Descartes a-t-il parfaitement raison
de se dfendre dtre tomb dans la faute quon appelle cercle104. Car lorsquil
avait dit que nous ne pouvons rien savoir certainement si nous ne connaissons premirement que Dieu existe, il ne sagissait pas des vidences prsentes lintuition,
mais de lternit des vrits ainsi dcouvertes, et par consquent uniquement de la
science des conclusions105. Voil donc en quel sens il ne peut pas y avoir de vraie
et certaine science pour un athe: parce que toute connaissance qui peut tre rendue douteuse ne doit pas tre appele science106.
Lorsque Descartes avait tabli, au dbut de la Troisime Mditation107, que les
ides vraies sont claires et distinctes, ctait une description phnomnologique, et la
vrit dont il sagissait tait celle de lvidence simposant lintuition. Lorsque la
vracit divine lui permet dassurer, dans la Cinquime Mditation, que ce que je
conois clairement et distinctement ne peut manquer dtre vrai108, les caractres de
la certitude sont levs cette fois la dignit de critres logiques, et la vrit dont il
sagit est une ralit ternelle.
On peut donc dire que, si la premire consquence de la vracit divine est
lternit des vrits cres, la seconde est que toutes les ides claires et distinctes
sont vraies, cest--dire conformes la ralit. Sensuivant de celle-ci, la troisime
est la substantialit de lme et son indpendance ontologique par rapport au corps.
Et en effet, ds la Seconde Mditation, la dcouverte du Cogito a rendu manifeste
que nous avons une ide claire et distincte de notre existence comme esprit, alors
mme que nous navons aucune ide daucun corps. Dune indpendance absolue de
101 Cfr.

Meditatio secunda, AT, VII, 25, l. 9; Meditatio tertia, p. 36, l. 16; Meditatio quinta, p.
65, l. 9.
102 Cfr. Meditatio secunda, AT, IX-1, 25, l. 12; Meditatio quinta, p. 67, l. 21.
103 Cfr. Mditation cinquime, AT, IX-1, 55, l. 16; p. 56, l. 1 et 5; cfr. aussi Regius, 23 mai
1640, AT, III, 64, l. 25-29.
104 Rponses aux 4mes Objections, AT, IX-1, 189, l. 36-37.
105 Rponses aux 2ndes Objections, AT, IX-1, 110; aussi Rponses aux 4mes Objections, AT,
IX-1, 190: nous sommes assurs que Dieu existe parce que nous prtons attention aux raisons qui nous prouvent son existence; mais aprs cela, il suffit que nous nous ressouvenions
davoir conu une chose clairement, pour tre assurs quelle est vraie: ce qui ne suffirait
pas, si nous ne savions que Dieu existe et quil ne peut tre trompeur.
106 Rponses aux 2ndes Objections, AT, IX-1, 111.
107 Cfr. Mditation troisime, AT, IX-1, 27, l. 28-31.
108 Mditation cinquime, AT, IX-1, 55, l. 39-41.

217

studi

leurs ides, la vracit divine nous autorise conclure que la ralit de lun est absolument indpendante de la ralit de lautre, et par consquent quil sagit de deux
substances distinctes109.
Lme tant dune nature entirement distincte du corps, il sensuit quelle
nest point naturellement sujette mourir avec lui110. Cest la quatrime consquence de la vracit divine. En effet lide claire et distincte que nous avons de la pense
la manifeste comme simple et par consquent comme indivisible111 ; tandis que
lide que nous avons du corps nous manifeste ltendue comme son attribut principal, et la divisibilit infinie comme une proprit de ltendue. Or, de mme que ce
qui est infiniment divisible est originairement et naturellement corruptible, de mme
ce qui est indivisible par nature est naturellement incorruptible112, quoique Dieu
puisse annihiler ce quil a cr113. Aussi seule la Rvlation peut-elle noncer de
faon affirmative ce que la raison ne manifeste que de faon ngative. Ce que dit la
raison: parce quelle nest pas soumise au corps, lme nest pas soumise naturellement la mort114. Ce quenseigne la Rvlation: que nos mes sont immortelles115 et
surnaturellement destines des flicits beaucoup plus grandes que celles dont
nous jouissons en ce monde116.
Cinquime consquence de la vracit divine: il y a des corps extrieurs, la
nature matrielle existe. Premire observation: il y a en nous une facult dimaginer.
Or limagination est la facult par laquelle nous nous reprsentons dans un corps tout
109

Cfr. Mditation sixime, AT, IX-1, 62; Rponses aux 2ndes Objections, expos gomtrique, 4me prop. AT, IX-1, 131-132; Au P. Gibieuf, 19 janvier 1642, AT, III, 475-478.
110 Mersenne, 24 dcembre 1640, AT, III, 266; Rponses aux 2ndes Objections, AT, IX-1,
120: La connaissance naturelle nous apprend que lesprit est diffrent du corps, et quil est
une substance; et aussi que le corps humain, en tant quil diffre des autres corps, est seulement compos dune certaine configuration de membres, et autres semblables accidents; et
enfin que la mort du corps dpend seulement de quelque division ou changement de figure.
Or nous navons aucun argument ni aucun exemple, qui nous persuade que la mort, ou
lanantissement dune substance telle quest lesprit, doive suivre dune cause si lgre
comme est un changement de figure, qui nest autre chose quun mode, et encore un mode,
non de lesprit, mais du corps, qui est rellement distinct de lesprit. Et mme nous navons
aucun argument ou exemple, qui nous puisse persuader quil y a des substances qui sont
sujettes tre ananties. Ce qui suffit pour conclure que lesprit, ou lme de lhomme,
autant que cela peut tre connu par la philosophie naturelle, est immortelle.
111 Cfr. Abrg des Six Mditations, AT, IX-1, 10.
112 Ibidem: lesprit ou lme de lhomme ne se peut concevoir que comme indivisible [...]
lme humaine nest point compose daucuns accidents, mais est une pure substance [...]
lme humaine est immortelle de sa nature.
113 Cfr. Mersenne, 24 dcembre 1640, AT, III, 266.
114 Cfr. Huygens, 10 octobre 1642, AT, III, 798; et Elisabeth, 3 novembre 1645, AT, IV,
333: laissant part ce que la foi nous enseigne, je confesse que, par la seule raison naturelle, nous pouvons faire beaucoup de conjectures notre avantage et avoir de belles esprances, mais non point aucune assurance.
115 Rponses aux 2ndes Objections, AT, IX-1, 120: si on demande si Dieu, par son absolue
puissance, na point peut-tre dtermin que les mes humaines cessent dtre, en mme
temps que les corps auxquels elles sont unies sont dtruits, cest Dieu seul den rpondre.
Et puisquil nous a maintenant rvl que cela narrivera pas, il ne doit plus rester touchant
cela aucun doute.
116 Huygens, 10 octobre 1642, AT, III, 798.

218

Nicolas Grimaldi

ce que nous nous reprsentons117. Sil ny avait aucun corps, elle serait donc en nous
une facult daberration ou une facult hallucinogne, et Dieu qui la mise en nous
serait un Dieu trompeur. Lexistence en nous de limagination fait donc prsumer de
lexistence vraisemblable de corps extrieurs. Deuxime observation: nous avons des
sensations, et nos sensations sont des ides. Comme telles, elles sont des images. En
tant quimages, elles ont une ralit objective. Cette ralit a ncessairement une
cause, dont nous savons dj quelle doit possder ou minemment ou formellement
au moins autant de ralit que lide en reprsente. Si cette cause tait Dieu, il produirait en nous comme un leurre ou comme une illusion ces images quoi rien de
rel ne correspondrait: ce serait un Dieu trompeur. Il ne reste par consquent quune
cause possible nos sensations: une ralit possdant formellement ce quelles nous
reprsentent objectivement: cest--dire lexistence matrielle de choses extrieures118.
La vracit divine autorise la dduction dune thorme supplmentaire. Puisque
toutes les choses matrielles ne peuvent tre conues que comme tendues, tout ce qui
est vrai de ltendue est ncessairement vrai de la matire. Or, nous avons un systme
dides claires et distinctes touchant ltendue: cest la gomtrie. Tout doit donc pouvoir sexpliquer en physique comme en gomtrie par de simples modifications de
grandeur, de figure, ou de mouvement. Voici le mcanisme a priori fond.

6. La connaissance de Dieu
Si on excepte la certitude que je suis, et que je suis un esprit, il ny a donc pas
une connaissance qui ne sensuive de celle que nous avons de Dieu119. Non seulement, comme nous lavons vu, lide dinfini est la premire de toutes et la plus originaire, puisque lide daucune chose finie ne peut tre forme que par limitation ou
ngation de lide dinfini; mais lide de Dieu est mme la plus claire et la plus
distincte de toutes. Comme il avait crit Mersenne que Deus est maxime cognoscibilis et effabilis120, Descartes rpondra Caterus quil y a en Dieu incomparablement plus de choses qui peuvent tre clairement et distinctement connues, et avec
plus de facilit, quil ne sen trouve en aucune des choses cres121. Parce quil ny
a rien de semblable linfini, ni rien qui en approche122, on ne peut en effet jamais le
confondre: aussi est-ce la plus distincte de toutes les ides. Mais sil est aussi vrai, et
en quelque sorte par nature, quon ne peut pas le d-finir, cela est sans importance,
117 Cfr.

Mditation sixime, AT, IX-1, 57 et 58; Morus, 5 fvrier 1649, AT, V, 270, l. 23-25:
rien ne tombe sous limagination qui ne soit tendu.
118 Cfr. ibidem, p. 63, et Principes II, 1.
119 Mersenne, 6 mai 1630, AT, I, 150, l. 2-4: lexistence de Dieu est la premire et la plus
ternelle de toutes les vrits qui peuvent tre, et la seule do procdent toutes les autres.
120 Mersenne, 21 janvier 1641, AT, III, 284, l. 11.
121 Rponses aux 1res Objections, AT, IX-1, 90; et Principes I, 19: nous concevons (les perfections infinies de Dieu) plus clairement et plus distinctement que les choses matrielles,
cause qutant plus simples et ntant point limites, ce que nous en concevons est beaucoup moins confus.
122 Morus, 5 fvrier 1649, 4, AT, V, 274: Solus Deus est quem positive intelligo esse
infinitum.

219

studi

puisquil est la seule ralit qui nait pas besoin dtre d-finie pour tre clairement
conue et parfaitement distingue.
Il convient toutefois de distinguer entre ce que cest que comprendre, et ce
que cest que savoir, entendre, ou concevoir. Parce que comprendre cest
embrasser par la pense123, le mot de comprendre signifie quelque limitation, (de
sorte qu) un esprit fini ne saurait comprendre Dieu, qui est infini; mais cela nempche pas quil ne laperoive, ainsi quon peut bien toucher une montagne, encore
quon ne puisse lembrasser124. Aussi Descartes ne cessera-t-il de dire que linfini,
en tant quinfini, nest point la vrit compris, mais que nanmoins il est entendu125, ou que lincomprhensibilit mme est contenue dans la raison formelle de
linfini126. Il est donc bien clair quincomprhensible ne signifie pas inconnaissable,
puisque cest une seule et mme chose de connatre linfinit de Dieu et de le connatre comme incomprhensible127.
Ainsi, de mme que lide que nous avons de la perfection a d prcder en
droit celle que nous avons de notre imperfection, de mme la connaissance que nous
avons de Dieu nous dcouvre que nous pouvons le contempler128 mais non pas le
comprendre, que tout dpend de lui sans quil dpende de rien129, et par consquent
quil est cause de tout.
123

Mersenne, 27 mai 1630, AT, I, 152: on peut savoir que Dieu est infini [...] encore que
notre me tant finie ne le puisse comprendre, [...] de mme que nous pouvons bien toucher
avec les mains une montagne, mais non pas lembrasser comme nous ferions un arbre, ou
quelque autre chose que ce soit qui nexcdt pas la grandeur de nos bras: car comprendre
cest embrasser par la pense, mais pour savoir une chose, il suffit de la toucher de la pense.
124 Clerselier (en rponse Gassendi), AT, IX-1, 210, o Descartes reprend donc la mme
comparaison dont il avait us dans la lettre Mersenne du 27 mai 1630.
125 Rponses aux 1res Objections, AT, IX-1, 89, l. 31-32; Entretien avec Burman, sur la 3me
Md., AT, V, 154: Dei perfectiones non imaginamur, nec concipimus, sed intelligimus [...].
126 Rponses aux 5mes Objections, sur la 3me Md., VII, AT, VII, 368, l. 4; Mditation
troisime, AT, IX-1, 37, l. 4-5: il est de la nature de linfini que ma nature, qui est finie et
borne, ne le puisse comprendre; et il suffit que je conoive bien cela [...].
127 Mersenne, 27 mai 1630, AT, I, 152: on peut savoir que Dieu est infini et tout-puissant,
encore que notre me tant finie ne le puisse comprendre ni concevoir; Mditation quatrime, AT, IX-1, 44: sachant dj que ma nature est extrmement faible et limite, et au contraire que celle de Dieu est immense, incomprhensible et infinie, je nai plus de peine reconnatre quil y a une infinit de choses en sa puissance, desquelles les causes surpassent la porte
de mon esprit; et lHyperaspistes, aot 1641, 7, AT, III, 430, l. 4-7: quand il est question des choses qui regardent Dieu, ou linfini, il ne faut pas considrer ce que nous en pouvons comprendre (puisque nous savons quelles ne doivent pas tre comprises par nous), mais
seulement ce que nous en pouvons concevoir, ou atteindre par quelque raison certaine.
128 Mditation troisime, AT, IX-1, 41: il me semble trs propos de marrter quelque
temps la contemplation de ce Dieu tout parfait, de peser tout loisir ses merveilleux attributs, de considrer, dadmirer et dadorer lincomparable beaut de cette immense lumire,
au moins autant que la force de mon esprit, qui en demeure en quelque sorte bloui, me le
pourra permettre.
129 Mersenne, 6 mai 1630, AT, I, 150: il est le seul auteur duquel toutes choses dpendent; 27 mai 1630, AT, I, 152: il est certain quil est aussi bien auteur de lessence
comme de lexistence des cratures: or cette essence nest autre chose que ces vrits ternelles [...] je sais que Dieu est auteur de toutes choses [...]; Rponses aux 6mes
Objections, 8, AT, IX-1, 235: quand on considre attentivement limmensit de Dieu, on
voit manifestement quil est impossible quil y ait rien qui ne dpende de lui [...].

220

Nicolas Grimaldi

Avant dexaminer ce qui sensuit de la dpendance de toutes choses par rapport


Dieu, voyons ce que nous pouvons connatre de son incomprhensible nature.
Volontiers nous dirions, avec Malebranche, que linfinit est le principal caractre
des attributs divins, dont les autres drivent. Pourtant, on doit observer que lordre
dans lequel Descartes les voque nest pas constant. Tantt cest la souverainet de
Dieu et son ternit quil cite en premier130. Tantt cest son omniscience et son
omnipotence131. Tantt cest sa perfection132. Tantt cest son infinit133. Sans doute
pourrait-on interprter cette diversit des noms divins, et lapparente rversibilit de
leur ordre, par le fait que chacune des perfections de Dieu englobe et exprime toutes
les autres. En ce sens, leur diversit ne ferait que diffracter labsolue simplicit de
Dieu134. Au sens o le propre de linfini est quon ne lui peut rien ajouter, nest-ce
pas pourtant son infinit qui fait sa suprme perfection? Pour la mme raison, nestce pas aussi son infinit qui fait son ternit? Quant son omniscience et son omnipotence, ne sensuivent-elles pas de son infinit absolue, au sens o nulle perfection
(connatre, pouvoir) nexiste quen participant la sienne?
Poussant cette logique sa limite, Descartes neut-il pas d affirmer alors que,
puisque ltre et linfini sont rciprocables, il nest rien que Dieu ne soit? Neut-il pas
alors t conduit affirmer, comme fera Spinoza, que ltendue est un attribut divin?
Et en effet, ltendue nest-elle pas lattribut principal dune substance? Ne pouvant
tre conue que par elle-mme, nest-elle pas aussi conue comme infinie ou du
moins comme indfinie?135. Ce que ltendue a danalogue linfinit, cette positivit ontologique qui fait de ltendue une manire dtre, do lui viendraient-ils sil
ny a rien dtendu en Dieu dont elle participe? Par ailleurs, tant pos que ltendue
nest pas une limitation, ni une privation, ni une illusion, ni un nant, mais une vritable ralit, comment Dieu serait-il infini sil y avait quelque chose quil ne ft pas?
Morus avait pressenti ce dveloppement de la logique cartsienne, en signalant que si
Dieu est positivement infini, il doit exister partout. Nallait-on pas alors tomber
dans quelque nouveau panthisme? Descartes sy refuse absolument. Je nadmets
pas ce partout, rpond-il Morus. Car il parat ici que vous ne fates consister linfinit de Dieu quen ce quil existe partout, ce que je ne vous passe point; croyant au
contraire que Dieu est partout raison de sa puissance, et qu raison de son essence
il na absolument aucune relation au lieu136.
130

Mditation troisime, AT, IX-1, 32, l. 5-7: je conois un Dieu souverain, ternel, infini,
immuable, tout connaissant, tout puissant, et Crateur universel de toutes les choses qui sont
hors de lui.
131 Cfr. Principes I, 14.
132 Cfr. Principes I, 15; I, 18; I, 19; I, 20.
133 Mditation troisime, AT, IX-1, 35, l. 41; p. 36, l. 3: par le nom de Dieu jentends une substance infinie, ternelle, immuable, indpendante, toute connaissante, toute puissante, et par laquelle
moi-mme et toutes les autres choses qui sont ont t cres et produites; p. 37, l. 38-40: je
conois Dieu actuellement infini en un si haut degr, quil ne se peut rien ajouter la souveraine
perfection quil possde; cfr. aussi Principes I, 27, o Descartes va distinguer ce qui est proprement infini de ce qui nest quindfini afin de rserver Dieu seul le nom dinfini.
134 Mditation troisime, AT, IX-1, 40, l. 15-17: lunit, la simplicit, ou linsparabilit de
toutes les choses qui sont en Dieu, est une des principales perfections que je conois en lui;
Rponses aux 2mes Objections, AT, IX-1, 108, l. 17-20.
135 Cfr. Rponses aux 1res Objections, AT, IX-1, 89-90; Principes I, 27.
136 Morus, 15 avril 1649, AT, V, 343, l. 13-18.

221

studi

Ce problme a son origine dans la conception diffrente que Descartes et


Spinoza se font de ltendue. Alors que Spinoza expliquera que ltendue, en tant
quattribut, doit tre conue comme absolument simple, et par consquent comme
absolument indivisible137, Descartes ne la conoit que comme divisible linfini, et
compose de parties qui toutes rciproquement sexcluent (partes extra partes).
linverse de ce que pensera Spinoza, cest donc une seule et mme chose pour
Descartes dtre corporel et dtre tendu. Aussi usera-t-il de la mme argumentation
pour montrer que Dieu nest pas tendu que pour montrer quil nest pas corporel.
Parce que lextension constitue la nature du corps, dit-il, et que ce qui est tendu
peut tre divis en plusieurs parties, et que cela marque du dfaut, nous concluons
que Dieu nest point un corps138. Si Dieu nest pas tendu, cest donc parce que
ltendue ne peut pas tre divine, et cela pour trois raisons: 1) parce quelle na pas
de simplicit; 2) parce qutant divisible elle est expose la corruption, et par consquent la temporalit; 3) parce que ntant constitue que dune infinit dexclusions et de limitations, son infinit nest quune infinit de privations et de ngations.
Son infinit nest quun mauvais infini.

7. Dieu comme cause


Parce que Dieu est infini, rien dextrieur lui na jamais pu le produire: il nest
caus par rien; il est causa sui139. Ayant donc une indpendance absolue, il nest
dtermin par rien: sa libert est infinie. tant cause de tout, mais ntant pas tendu,
il est absolument transcendant lunivers quil a cr. Toutefois, puisque Dieu nest
dtermin par rien, peut-il avoir aucune cause finale? ni mme aucune cause formelle? ni non plus aucune cause matrielle, puisque la matire est un effet de sa
Cration? En quoi alors consiste cette causalit? Comment sexerce-t-elle?
Sagissant de Dieu, dont la Cration est une causalit entirement surnaturelle,
Descartes rappelle le caractre inadquat de tous les types connus dexplication causale, qui nont de sens qu lintrieur de la nature, o sexerce une causalit strictement naturelle140. Toutefois, parmi les diffrents types de causalit inventoris et
caractriss par lcole, il en est un quon peut analogiquement attribuer la
Cration: cest la causalit efficiente141. Aussi Descartes ne cesse-t-il de dire que
137

Cfr. B. SPINOZA, thique 1, 13 et corollaire; 1, 15, scolie; et lettre XII Louis Meyer (in
Oeuvres compltes de Spinoza, Bibliothque de la Pliade, Paris, 1954, p. 1098).
138 Principes I, 23; et aussi Rponses aux 2ndes Objections, AT, IX-1, 109, l. 10-20: la nature du corps enferme plusieurs imperfections, par exemple, que le corps soit divisible en parties, que chacune des parties ne soit pas lautre, et autres semblables; car cest une chose de
soi manifeste, que cest une plus grande perfection de ne pouvoir tre divis que de pouvoir
ltre, etc..
139 Cfr. Rponses aux 1res Objections, AT, IX-1, 87-88; et Rponses aux 4mes Objections
AT, IX-1, 187-189.
140 Rponses aux 6mes Objections, 8, AT, lX-1, 235, l. 39; p. 236, l. 5: il nest pas besoin de
se demander en quel genre de cause cette bont, ni toutes les autres vrits [...] dpendent de
Dieu; car, les genres de causes ayant t tablis par ceux qui peut-tre ne pensaient point cette
raison de causalit, il ny aurait pas lieu de stonner quand ils ne lui auraient point donn de
nom; mais nanmoins ils lui en ont donn un, car elle peut tre appele efficiente [...].
141 Cfr. ibidem, p. 236 , l. 4-5.

222

Nicolas Grimaldi

Dieu est cause efficiente et totale142. Il le redira en 1647 dans ldition franaise
des Principes143 comme il le disait dans ses lettres de 1630 Mersenne: Dieu est le
seul auteur duquel toutes les choses dpendent144. Comme rien nexiste donc que
par lui145, il est aussi bien auteur de lessence que de lexistence des cratures146;
de sorte que les vrits ternelles aussi sont ses cratures et ne dpendent que de sa
volont147.
Cette doctrine pose les plus grands problmes. Elle sera critique aussi bien par
Spinoza que par Malebranche ou par Leibniz. Elle est aussi ce qui fait la principale
originalit de la pense de Descartes. Tout sensuit de la stricte identification de Dieu
linfini, de linfini la toute puissance, de la toute puissance lindpendance absolue, de lindpendance absolue lindtermination absolue, de cette indtermination
absolue lindiffrence absolue, et de lindiffrence absolue la contingence absolue. Toutes ces notions (puissance, indpendance, indtermination, indiffrence, contingence) vont conspirer et sunifier dans la notion de libert, et dans la conception
que Descartes va donc dvelopper de la libert de Dieu.
Tout commence par lide que la puissance de Dieu ne peut avoir aucunes bornes148. Parce que rien ne peut donc agir sur la volont de Dieu, cest pour elle une
seule et mme chose dtre absolument libre et dtre absolument indtermine. Cest
pourquoi Dieu ne peut avoir t dtermin faire quil ft vrai que les contradictoires ne peuvent tre ensemble149. Pas plus quil na donc t dtermine par aucune
considration ni raison crer ces vrits plutt que dautres, sil a donc voulu que
quelques vrits fussent ncessaires, ce nest pas dire quil les ait ncessairement
voulues150. Il aurait donc tout aussi bien pu faire que les contradictoires fussent
simultanment compatibles, que les angles dun triangle ne fussent pas gaux deux
droits151, que les rayons dun cercle ne fussent pas gaux152, quil y eut des montagnes sans valles153, ou mme rien du tout154.
142

Mersenne, 27 mai 1630, AT, I, 152, l. 2; et Elisabeth, 6 octobre 1645, AT, IV, 314, l.
22-25: Dieu est tellement la cause universelle de tout, quil en est en mme faon la cause
totale; et ainsi rien ne peut arriver sans sa volont.
143 Cfr. Principes I, 24.
144 Mersenne, 6 mai 1630, AT, I, 150, l. 7-8; 27 mai 1630, AT, I, 152, l. 7.
145 Rponses aux 6mes Objections, 8, AT, IX-1, 236, l. 12-13: rien ne peut exister, en
quelque genre que ce soit, qui ne dpende de Dieu.
146 Mersenne, 27 mai 1630, AT, I, 152, l. 2-4.
147 Mersenne, 15 avril 1630, AT, I, 145, l. 7-10: les vrits mathmatiques, lesquelles vous
nommez ternelles, ont t tablies de Dieu et en dpendent entirement, aussi bien que tout
le reste des cratures; 27 mai 1630, AT, I, 152, l. 2-4: il est aussi bien lauteur de lessence que de lexistence des cratures; or cette essence nest autre chose que ces vrits ternelles [...]; 6mes Rponses, 8, AT, IX-1, 236, l. 19-22: il ne faut pas penser que les
vrits ternelles dpendent de lentendement humain, ou de lexistence des choses, mais
seulement de la volont de Dieu, qui, comme un souverain lgislateur, les a ordonnes et
tablies de toute ternit.
148 Mesland, 2 mai 1644, AT, IV, 118, l. 11-12.
149 Ibidem, l. 19-21.
150 Ibidem, l. 25-27.
151 Cfr. ibidem, l. 6-10.
152 Cfr. Mersenne, 27 mai 1630, AT, I, 152, l. 20-23.
153 Cfr. Arnauld, 29 juillet 1648, 6, AT, V, 224.
154 Cfr. Mersenne, 27 mai 1630, AT, I, 152, l. 23.

223

studi

La toute-puissance, la parfaite indpendance et la suprme libert de Dieu sont


donc tout un avec son indtermination et son indiffrence absolues. Car une entire
indiffrence en Dieu est une preuve trs grande de sa toute-puissance155, de sorte
que sa volont a t de toute ternit indiffrente toutes les choses qui ont t faites ou qui se feront jamais156.
Contrairement un schma anthropologique qui nous fait imaginer Dieu notre
image en lui prtant un entendement et une volont semblables aux ntres, Dieu na
donc pas t dtermin crer ce monde parce quil serait le meilleur, ou faire ces
choses parce quelles sont trs bonnes: tout linverse cest parce quil la voulu que
ce monde est le meilleur, et cest parce quil les a produites que ces choses sont trs
bonnes157. Car tout ce qui est mdiat, discursif, successif et spar dans lhomme
cause de son imperfection, est immdiat, simple et simultan en Dieu cause de sa
perfection. Ainsi, alors que cest par des oprations successives que lhomme
conoit, dlibre, puis dcide, la simplicit de Dieu fait au contraire que cest en lui
une seule et mme chose de vouloir, dentendre, et de crer, sans que lun prcde
lautre, ne quidem ratione158. Aussi ny a-t-il aucune prfrence ou priorit entre
son entendement et sa volont159. Cest dans le monde cr que les vrits prcdent la connaissance quon en acquiert, et que cette connaissance prcde la dcision
de notre volont. Pour Dieu, linverse, rien ne serait connatre sil ne lavait cr,
et rien ne serait vouloir sil ne le connaissait. Voil pourquoi la volont de Dieu
devait tre absolument indiffrente et sa cration absolument contingente, ny ayant
en effet aucune ide qui reprsente le bien ou le vrai, ce quil faut croire, ce quil faut
faire, ou ce quil faut omettre, quon puisse feindre avoir t lobjet de lentendement
divin, avant que sa nature ait t constitue telle par la dtermination de sa volont.
Et je ne parle pas ici dune simple priorit de temps, mais bien davantage je dis quil
a t impossible quune telle ide ait prcd la dtermination de la volont de Dieu
par une priorit dordre, ou de nature, ou de raison raisonne160.
On aura remarqu quen voquant la simplicit de Dieu, cest toujours sa
volont que Descartes commence cependant toujours par citer. Par cela seul quil
veut quelque chose, il la connat, etc.161. Cest une seule et mme chose de vouloir,
dentendre et de crer162. Et quoiquil ne sagisse daucune priorit chronologique,
Dieu na conu aucune vrit avant que sa nature (de cette vrit) ait t constitue
155 6mes Rponses, 6. AT, lX-1, 233, l. 24-25; cfr. aussi 8, p. 235, l.
156 Ibidem, 6, p. 232, l. 40; p. 233, l. 1.
157 Ibidem, 8, p. 235, l. 34-39: si quelque raison ou apparence de

32-34.

bont eut prcd sa


prordination, elle leut sans doute dtermin faire ce qui aurait t de meilleur. Mais, tout
au contraire, parce quil sest dtermin faire les choses qui sont au monde, pour cette raison, comme il est dit en la Gense, elles sont trs bonnes, cest--dire que la raison de leur
bont dpend de ce quil les a ainsi voulu faire.
158 Mersenne, 27 mai 1630, AT, I, 153, l. 1-3; v. aussi 6 mai 1630, AT, I, 149, l. 28-30: en
Dieu ce nest quun de vouloir et de connatre; de sorte que ex hoc ipso quod aliquid velit,
ideo cognoscit, et ideo tantum talis res est vera.
159 Mesland, 2 mai 1644, AT, IV, 119, l. 9-14: lide que nous avons de Dieu nous apprend
quil ny a en lui quune seule action toute pure: et que ces mots de St Augustin expriment
fort bien: Quia vides ea, sunt, parce quen Dieu videre et velle ne sont quune mme chose.
160 6mes Rponses, 6, AT, IX-1, 233, l. 1-8.
161 Mersenne, 6 mai 1630, AT, I, 149, l. 28.
162 Mersenne, 27 mai 1630, AT, I, 153, l. 2.

224

Nicolas Grimaldi

telle par la dtermination de sa volont163. Et, parce que cest en effet la volont qui
affirme ou qui nie, qui cre ou ne cre pas, les vrits ternelles dpendent [...] seulement de la volont de Dieu164. Sans doute le Dieu qui prononce le Fiat inaugural est-il un Dieu volontaire. Nanmoins, tout cela ne manifeste-t-il pas quelque
subreptice primat de la volont?
Solidaire de cette observation, on aura not que toute largumentation cartsienne sensuit ici du privilge accord la puissance de Dieu par rapport ses autres
attributs. Malebranche dnoncera dans ce privilge qui soumet la charit, la justice et
la sagesse de Dieu sa puissance, une consquence de lanthropomorphisme par
lequel nous prtons Dieu les perfections que nous dsirons le plus, cause de notre
imperfection mme, et en consquence du pch. Par ailleurs, et quelque souci que
Descartes ait eu de tenir sa philosophie spare de sa religion, le Dieu de la ToutePuissance nest-il pas plutt celui de lAncien Testament que celui du christianisme?
Enfin, si lindiffrence est en Dieu lexpression de sa suprme libert, nest-ce
pas aussi au sens o le Dieu de Descartes est si ab-solu que, comme chez Aristote,
tout ait rapport lui sans quil ait rapport rien? Tout lui est reli; mais il nest li
rien. Mais alors, comment pourrait-il jamais aimer sa cration puisquelle lui est
indiffrente? Pourquoi, comme le demandera Leibniz, laimerait-on de ce quil a fait
sans choix, ni inclination, ni dilection, ni prfrence? Comme nous le fait pressentir
une lettre de 1647 Chanut, lorsquon dit quon aime Dieu, faut-il alors stonner si
cet amour exprime plus souvent le dsir dtre Dieu que celui de le servir?165. Dailleurs, quand on prendrait garde linfinit de sa puissance, par laquelle il a cr tant
de choses, dont nous ne sommes que la moindre partie; ltendue de sa providence,
qui fait quil voit dune seule pense tout ce qui a t, qui est, qui sera, et qui saurait
tre; linfaillibilit de ses dcrets, [...] et enfin, dun autre ct, notre petitesse
[...]166, tant de raisons que nous en puissions tirer de ladmirer ou de le craindre,
comment en tirerions-nous une seule de laimer? Descartes a certes voqu quelques philosophes persuads que cest lIncarnation qui nous fait aimer par-del toutes nos forces un Dieu qui nous a aims par-del toute raison167.
Mais y aurait-il un seul mot changer la philosophie cartsienne, si le Dieu,
qui en est le fondement, tait un Dieu qui ne se ft pas incarn dans son Verbe, pour
nous sauver, dont le Fils ne ft pas mort sur la Croix, et net pas ressuscit?

***

Abstract: Lidea di Dio un concetto centrale di tutta la filosofia cartesiana, anzi si


tratta di una questione che ne costituisce il fondamento. La ricerca di Dio secondo
Cartesio non comunque un movimento dimostrativo che faccia a meno del primo
principio della sua filosofia: Cartesio non abbandona la dimensione definita dal
163 6mes Rponses, 6, AT, IX-1, 233.
164 Ibidem, 8, AT, IX-1, 236.
165 Cfr. Chanut, 1er fvrier 1647, AT, IV,
166 Ibidem, p. 608, l. 23; p. 609, l. 1.
167 Cfr. ibidem, p. 607, l. 19-24.

608.

225

studi

cogito per proporre delle prove dellesistenza di Dio. Larticolo esamina non solo le
prove proposte da Cartesio per dimostrare lesistenza di Dio, ma anche si sofferma a
considerare il bisogno interno alla filosofia cartesiana, e perci al cogito stesso,
costituito appunto dallesistenza di Dio come questione basilare sul piano dellevidenza; infatti levidenza del primo principio cartesiano non sufficiente per fondare
tutte le istanze filosofiche che lo stesso cogito solleva.

226

ACTA PHILOSOPHICA, vol. 3 (1994), fasc. 2 - PAGG. 227/245

Dios en la filosofa de Malebranche


JOS LUIS FERNA NDEZ RODRIGUEZ*
Sommario: 1. La idea de Dios; 2. Las pruebas a posteriori; 3. La prueba ontolgica; 4. La
infinitud, atributo esencial de la divinidad; 5. La libertad divina; 6. El motivo de la creacin;
7. Creacin continuada; 8. Dios, causa nica.

1. La idea de Dios
Segn Descartes la idea de Dios sirve de fundamento para todas las otras ideas,
incluso para la idea del yo, pues si no tuvisemos la idea de lo infinito no podramos
saber que somos finitos. Pero, aunque es la primera en el orden del fundamento, no es
la primera en el orden del descubrimiento, pues en ese orden la primera es la del yo,
ya que slo a partir de la idea del yo se prueba la existencia de Dios. Si se elimina esa
primaca cronolgica del yo, no queda ms que la primaca de Dios. Pues bien, se es
el parecer de Malebranche, porque para l la idea de Dios es la primera en todos los
sentidos, pues uno puede estar algn tiempo sin pensar en s mismo, pero me parece
que no podra subsistir un momento sin pensar en el ser1, es decir, en Dios.
Esta inmediatez puede expresarse diciendo que el conocimiento de Dios es un
conocimiento sin idea. Sans ide, porque Malebranche est pensando en la acepcin
* Departamento
1

de Historia de la Filosofa, Universidad de Navarra, 31080 Pamplona, Spagna

I, 456. XII-XIII, 174. Todas las referencias a Malebranche estn tomadas de sus Oeuvres
compltes, publicadas bajo la direccin de A. ROBINET, Vrin, Paris 1960 ss, indicando el
tomo en caracteres romanos y la pgina en caracteres arbigos. Para que el lector pueda
saber en cada momento a qu obra pertenece cada referencia, sealo a continuacin la tabla
de correspondencias entre los tomos de esta edicin y las obras de Malebranche: I, II, III.
De la recherche de la verit. IV. Conversations chrtiens. V. Trait de la nature et de la
grce. VI, VII, VIII, IX. Recueil de toutes les rponses a Monsieur Arnauld. X. Mditations
chrtiennes. XI. Le trait de la morale. XII. Entretiens sur la mtaphysique et sur la religion. XIII. Entretiens sur la morte. XIV. Trait de lamour de Dieu. Trois lettres au R.P.
Lamy. Rponse gnerale aux lettres du R.P. Lamy. XV. Entretiens dun philosophe chrtien
et dun philosophe chinois. XVI. Rflexions sur la prmotion physique. XVII/1. Pices et
crites divers. XVII/2. Mathematica. XVIII. Correspondence et actes. XIX.
Correspondence et actes. XX. Documents biographiques et bibliographiques. XXI. Index
des citations. XXII. Index Gnral.

227

studi

estricta de la idea, acepcin segn la cual la idea es arquetipo: el arquetipo que Dios
tiene de todas las cosas creadas. Y en ese sentido es obvio que no se puede hablar de
idea de Dios, porque, al ser increado, no hay un modelo a cuyo tenor Dios haya sido
formado2. Cuando se expresa as, Malebranche no hace ms que sintonizar con el
modo que Dios tiene de conocerse a s mismo. La teologa cristiana nos ensea que
Dios no se conoce por medio de una idea, sino engendrando al Hijo, que es una
semejanza perfecta de su Padre, porque nada puede representar a Dios, salvo su
Verbo, que es consustancial con El3. Por eso, si Dios no tiene idea de s mismo,
cmo vamos a conocer a Dios por medio de una idea? Con razn se ha dicho que,
antes de preguntarse por el conocimiento que el hombre tiene de Dios, el filsofo
debe interrogarse por el conocimiento que Dios tiene de s mismo. A diferencia de
Descartes, Malebranche cree que el conocimiento humano debe asimilarse al conocimiento divino4.
Ahora bien, tambin sintonizara con la teologa cristiana, si expresase la inmediatez de nuestro conocimiento de Dios diciendo que tenemos idea de Dios, pues la
teologa cristiana tambin asegura que el Verbo, por ser la representacin del Padre, es
la idea del Padre, aunque una idea especial, pues, al ser una semejanza perfecta, una
semejanza que encierra toda su sustancia, la idea de Dios viene a ser Dios mismo:
linfini est lui mme son ide5. No debe extraarnos, por tanto, que Malebranche
afirme sin cesar que conocemos a Dios mediante su idea, aconsejndonos que, si queremos hablar de Dios, debemos consultar con mucha atencin y respeto la idea vasta
e inmensa del ser infinitamente perfecto6; protestando incluso contra los hombres
que a veces dicen que no tienen idea de Dios7, sin caer en la cuenta de que, si fuera
como ellos creen, no podran decir que Dios es sabio, justo, poderoso, etc., pues esas
cualidades no pueden serle atribuidas si falta la idea de ese sujeto8.
Naturalmente, slo puede afirmar que tenemos idea de Dios, despus de haber
negado que la haya, si ahora no entiende la idea en el sentido estricto de arquetipo. Y
es evidente que no la toma en esa acepcin, porque, al ser Dios increado, no hay
arquetipo que preceda a su creacin. Si hubiera arquetipo de Dios, sera conocido en
otra cosa, como sucede con los cuerpos, pues tener la idea de un cuerpo es ver una
cosa distinta del cuerpo, es ver su modelo. Pero si no hay arquetipo de Dios, tener
idea de Dios no es ver a Dios en otra cosa, sino en s mismo o de modo inmediato. A
eso viene a parar en definitiva Malebranche, cuando, en su respuesta a Arnauld, que
lo acusaba de mantener cosas contradictorias9, afirma que, referida a Dios, la idea no
se toma en el sentido propio de arquetipo, sino en el sentido general de ce que est
lobjet inmediat de lesprit quand on pense10. Con lo que la contradiccin sealada
2 VI, 165. Cfr. XII, 53.
3 VI, 165-166.
4 Cfr. H. GOUHIER, La

philosophie de Malebranche et son exprience religieuse, Vrin, Paris


1948, pp. 332-334.
5 XII, 53.
6 V, 26. Cfr. V, 75; XI, 67.
7 II, 54.
8 Ibidem; cfr. III, 94.
9 Cfr. Des vrais et fausses ides, c. XXVI. uvres. Edic. N. Schouten, Cologne 1.683, XXXVIII, p. 333.
10 VI, 166.

228

Jos Luis Fernndez

por Arnauld no es ms que una mala inteligencia de Arnauld, pues tanto da decir que
Dios es conocido sin idea como afirmar que tenemos idea de Dios, ya que en los dos
casos estamos ante un conocimiento inmediato de Dios. La contradiccin se da magis
in verbis quam in re11.
Para subrayar la inmediatez de nuestro conocimiento de Dios, Malebranche
llega incluso a asegurar que a Dios, igual que al alma, lo conocemos por sentiment
interieur, pues, de la misma manera que llego a la conclusin de que existo, porque
me siento... llego a la conclusin de que Dios existe... porque lo percibo12. Pero
comparar el conocimiento que tenemos de Dios con el conocimiento que tenemos de
nosotros mismos no es confundirlos, porque, aunque los dos son directos, lo son de
distinta manera, ya que el arquetipo de nuestra alma existe en Dios, aunque de hecho
estamos privados de l, cosa que no ocurre con el arquetipo de Dios, que no existe en
ninguna parte.
Exprsese como se quiera, el conocimiento de Dios es inmediato. La razn de
esa inmediatez es siempre la misma y casi siempre expresada con las mismas palabras: Nada finito puede representar lo infinito13. Como representar es contener,
tambin se puede decir: lo finito no puede contener lo infinito. Si no atendemos a esa
razn, quebrantamos lo que l llama el primer principio de nuestros conocimientos,
que dice que la nada no es visible. Esto significa que slo podemos percibir una
cosa en otra, si la primera est de alguna manera contenida en la segunda, porque, si
no lo estuviera, al percibirla en ella, percibiramos algo que no est all, con lo cual
tendramos una percepcin sin objeto, una percepcin de nada, incurriendo as en una
contradiccin, pues quien dijese que percibe la nada vera y no vera al mismo tiempo14: vera, porque dice ver; no vera, porque ver nada es no ver. En esa contradiccin incurrira quien dijese que percibe tres realidades donde slo hay dos o diez mil
donde slo hay nueve mil novecientos noventa y nueve, pues percibira una que no
existe. Pero tambin, y con ms razn15, quien afirmase que percibe una realidad
infinita en esa realidad finita que es nuestra alma, porque vera un infinito que no
existe16.
Ahora bien, si nada finito puede contener lo infinito, entonces lo infinito slo
puede ser percibido inmediatamente. Como le gusta decir a Malebranche, si ests de
acuerdo en que nada finito puede representar lo infinito, es evidente que, si ves lo
infinito, slo lo ves en s mismo17.

2. Las pruebas a posteriori


Esa inmediatez no se respeta, por supuesto, en las pruebas a posteriori, pues
esas pruebas, por ser discursivas, excluyen precisamente el contacto directo del pensamiento con Dios. Desde luego, esas pruebas pueden ser muchas. Ya en la
11 Cfr. F. ALQUI, Le cartsianisme de Malebranche, Vrin, Paris
12 II, 103.
13 II, 96. Cfr. II, 99; V, 74; VIII, 974; XII, 135; XII, 174, etc.
14 II, 99.
15 VIII, 947.
16 II, 100.
17 XII, 52.

1974, pp. 120-122.

229

studi

Recherche de la verit deca: Qu dificultad hay para reconocer que existe un


Dios? Todo lo que Dios ha hecho lo prueba; todo lo que los hombres y las bestias
son, lo prueba; todo lo que nosotros vemos, todo lo que nosotros sentimos, lo prueba.
En una palabra, no hay nada que no pruebe la existencia de Dios, o que no pueda
probarla a espritus atentos y que se dediquen con seriedad a buscar al autor de todas
las cosas18. En las Conversations chrtiennes repite: Mira los objetos que nos
rodean. De cul quieres que me sirva para probarte que hay un Dios? Del fuego
que nos conforta? De esta luz que nos ilumina? De la naturaleza de las palabras por
medio de las cuales estamos conversando? Porque, como acabo de decirte, no hay
ninguna creatura que no pueda servir para dar a conocer al Creador, con tal de que
uno la considere con toda la atencin posible y no forme juicios precipitados sobre
ella19. Y en Entretien dun philosophe chrtien et dun philosophe chinois afirma
tambin: No hay nada visible en el mundo que Dios ha creado a partir de lo cual no
se pueda ascender al conocimiento del Creador, con tal de que se razone acertadamente20.
Esto no significa, sin embargo, una reivindicacin de las pruebas escolsticas
que parten de las realidades exteriores. Para Malebranche esas pruebas no tienen
ningn valor, puesto que suponen la existencia de los cuerpos, y esa existencia slo
puede ser establecida por la fe. Partir de lo sensible quiere decir tomar como punto de
partida esas modalidades de la sustancia pensante que se llaman sensaciones. Se
trata, pues, de unas pruebas a posteriori peculiares: a posteriori, porque arrancan de
las criaturas; peculiares, porque, cuando uno ve una criatura, no la ve en s misma,
sino en ciertas perfecciones que estn en Dios y que la representan, o sea, en sus
ideas. Por eso, tampoco se puede decir que este tipo de pruebas sean de inspiracin
cartesiana, pues si es verdad que Descartes se vio obligado, debido a la existencia
problemtica del mundo externo, a abandonar las pruebas tradicionales, tambin lo es
que, mientras Descartes parte de la idea de Dios, Malebranche arranca de las sensaciones.
Pues bien, la prueba a posteriori ms elaborada21 es la que se encuentra en
Entretien dun philosophe chrtien et dun philosophe chinois, donde le piden a
Malebranche una prueba ms concreta que la prueba ontolgica, que, por ser tan
abstracta, no acaba de ser del todo convincente: No habra una ms sensible?22.
18 II, 19. Cfr. II, 104.
19 IV, 14. Cfr. IV, 13.
20 XV, 11.
21 Una de sas es la que

tiene como punto de partida la sensacin del dolor provocado por una
espina que nos pincha. De dnde surge ese dolor? Lo que causa el dolor no es el alma que
siente, ni la espina que nos pincha; es una potencia superior. Esta potencia debe saber al
menos el momento en que la espina nos pincha. No puede saberlo por medio de la espina,
porque los cuerpos no pueden iluminar los espritus, porque no son ni visibles ni inteligibles
por s mismos y porque no hay ninguna relacin entre un cuerpo y un espritu, ninguna eficacia de los cuerpos sobre los espritus. No puede saberlo, pues, ms que por s misma, es
decir, por el conocimiento de su propia voluntad que crea y mueve la espina y cuya potencia
es infinita, porque es capaz de crear. Existe, pues, un Dios (IV, 28). Si no hubiese Dios,
yo no sera pinchado, no sentira nada, no conocera nada (IV, 28-29).
22 XV, 11. En otra ocasin, refirindose a las pruebas personales o metafsicas, que as llama
l en ocasiones a las pruebas a priori, dice: Es intil proponerle esas demostraciones al
comn de los hombres. Son demostraciones que cabe llamar personales, porque no conven-

230

Jos Luis Fernndez

Malebranche satisface esa peticin probando que ni los supuestos cuerpos exteriores,
ni nuestro cuerpo, ni nuestra alma pueden explicar las sensaciones tan variadas que
experimentamos en nosotros. Cuando abres los ojos en medio del campo, en el
momento mismo en que los abres, descubres un nmero de objetos muy grande, cada
uno segn su magnitud, su figura, su movimiento o reposo, su proximidad o su
lejana, y descubres todos esos objetos por medio de percepciones de colores muy
diferentes. Cul es la causa de esas percepciones tan instantneas que tenemos de
tantos objetos? No puede ser ms que o los objetos mismos o los rganos de nuestro
cuerpo que reciben su impresin o nuestra alma o... el Dios al que nosotros adoramos
y que creemos que obra en nosotros sin cesar con ocasin de las impresiones de los
objetos sobre nuestro cuerpo23.
Los objetos? Lo que hacen los objetos es reflejar la luz hacia nuestros ojos.
Ahora bien, esa reflexin es una operacin puramente material, que no puede constituir por s misma la verdadera causa de esas percepciones de los objetos, puesto que
la percepcin, que es pensamiento, no puede ser el resultado de la materia, que es
extensin, pues pensamiento y extensin son absolutamente heterogneos.
Nuestros ojos? Los ojos reunen los rayos reflejados por los objetos. As reunidos, provocan una alteracin del nervio ptico y, por medio de esos pequeos cuerpos que se llaman espritus animales, una alteracin del cerebro. Ahora bien, esas
alteraciones de nuestro cerebro no pueden ser la verdadera causa de nuestra percepcin de los cuerpos, porque son alteraciones puramente materiales que no tienen nada
que ver con nuestras percepciones, como tampoco lo tienen los objetos.
Nuestra alma? No puede nuestra alma sacar de las alteraciones orgnicas esas
percepciones que tenemos de los objetos? Tampoco, porque para ello necesitara
conocer los procesos orgnicos de la percepcin, cosa que no conoce. Adems, aunque los conociese, para poder conocer cmo pasan los rayos a travs del ojo, necesitara conocer a la perfeccin la ptica y la geometra. Suponiendo que las conociese
perfectamente, no podra descubrir al instante las relaciones infinitas del campo perceptivo, necesarias para poder calcular su figura, su magnitud, su distancia, su sorprendente variedad de colores. Ahora bien, en vez de eso, tenemos el sentimiento
interior de que todas nuestras percepciones de objetos se producen en nosotros sin
nosotros e incluso a nuestro pesar24. Si nuestras percepciones dependieran de nosotros, seran percepciones producidas de acuerdo con nuestros conocimientos, reguladas por ellos. Puesto que sabemos, por ejemplo, que el sol nunca cambia de tamao,
nuestra percepcin deba presentrnoslo con la misma magnitud en el horizonte que
en el zenit. Y, sin embargo, pese a nuestros conocimientos, lo vemos mayor en el
horizonte. Es, pues, evidente que no es nuestra alma la que causa las percepciones
que ella tiene en el momento en que abre los ojos en medio de un campo.
Dios? Para poder regular los movimientos de nuestro cuerpo con los movimientos de los cuerpos exteriores el ser que cause nuestras percepciones debe conocer perfectamente la geometra y la ptica. Esos conocimientos son tan exactos que
cen generalmente a todos los hombres. La mayor parte, a veces incluso los ms sabios o que
ms leen, no quieren o no pueden prestar atencin a las pruebas metafsicas, por las que
ordinariamente sienten un absoluto desprecio. Por eso, si uno pretende convencerlos, es preciso proponer unas ms sensibles (II, 103-104).
23 XV, 11.
24 XV, 15.

231

studi

es necesario que ese ser sea infinitamente inteligente. Pero, adems, los aplica con
tanta rapidez, tan instantneamente que esa inteligencia infinita debe ir acompaada
de una potencia infinita. La produccin de esas sensaciones supone un conocimiento
tan perfecto que slo es asequible a una causa infinitamente inteligente e infinitamente poderosa. Pues bien, ese ser es el ser infinitamente perfecto.
Estamos, pues, ante una prueba que establece que la menor modificacin sensible no encuentra su causa verdadera ni en las cosas exteriores, ni en nosotros, sino en
una potencia suprema que obra segn una suprema sabidura.
Ahora bien, las pruebas sensibles, por ser discursivas, carecen de la imprescindible inmediatez que requiere nuestro conocimiento de Dios. Como l dice, todas las
pruebas sacadas de las criaturas tienen el defecto de no convencer al espritu par
simple vue. Todas esas pruebas son razonamientos convincentes en s mismos, pero,
al ser razonamientos, no son convincentes si se supone un genio maligno que nos
engaa. Nos convencen suficientemente de que hay un poder superior a nosotros,
porque incluso esa suposicin extravagante lo prueba, pero no nos convencen plenamente de que existe un Dios o un ser infinitamente perfecto. Con lo cual, en esos
razonamientos la conclusin es ms evidente que el principio25.

3. La prueba ontolgica
De la prueba ontolgica, que Malebranche suele calificar como la prueba de
Descartes26, dice que es la ms bella, ms relevante, ms slida y la primera, o sea,
la que menos cosas supone27; y tambin que es la ms simple, ms clara y ms
slida de todas las que la metafsica puede ofrecer28.
La formulacin ms breve y ms repetida es sta: Si pienso en El, y ciertamente pienso en El, necesariamente existe29. Que pensamos en lo infinito, no resulta
difcil de comprender, porque todos los hombres piensan en Dios, cuando preguntan
si existe30. Lo que resulta difcil poner de manifiesto es que basta pensar en Dios
para saber que existe. Cmo se llega a eso?
En las Respuestas a las segundas objeciones Descartes recoge su formulacin
del argumento ontolgico en el siguiente silogismo: Se debe atribuir a una cosa lo
que se concibe como contenido en la idea de esa cosa; ahora bien, la existencia necesaria est contenida en la idea de Dios; luego Dios existe31. Pero Malebranche no
cree que sea una formulacin del todo convincente, porque tiene carcter discursivo.
Por eso, se decide a aadirle una aclaracin, que titula: Eclaircissement de la preuve
de Descartes de lexistence de Dieu. Con ella pretende comprender todava con ms
distincin esta prueba de la existencia de Dios y responder con ms claridad a ciertas
objeciones que se le podran hacer 32 . Al recordar en otra ocasin ese
25 II, 371.
26 II, 93, 94, 96.
27 I, 441.
28 VIII, 947.
29 XII, 135. Cfr. II,
30 XII, 56.
31 Op. cit., AT, IX,
32 II, 93.

232

101, 372; III, 143; XII, 174, etc.


129.

Jos Luis Fernndez

Eclaircissement dice que lo haba aadido para hacer la demostracin ms completa


y convincente. Me pareca que la suya, sin ese complemento, podra dar lugar a que
surgiese en el espritu cierta desconfianza justificada, que yo no haba querido descubrir por respeto a su autor y por otras razones ms importantes33. En qu consiste
ese complemento?
Para evitar el carcter discursivo de la prueba, hay que empezar por corregir el
principio sobre el que la prueba se apoya. Malebranche cae enseguida en la cuenta de
que ese principio es el que afirma que todo lo que est clara y distintamente encerrado en la idea de una cosa se puede afirmar con verdad de la cosa misma. As, si se
concibe que la idea del todo es mayor que la idea de la parte, se debe concluir que el
todo es mayor que la parte; si se concibe claramente que la existencia posible est
contenida en la idea de una montaa de mrmol, se debe inferir que una montaa de
mrmol puede existir; si se concibe claramente que la existencia no puede estar
incluida en la idea de una montaa sin valle, hay que deducir que una montaa sin
valle no puede existir; otro tanto hay que decir de la existencia de Dios, pues, si se
concibe claramente que la existencia est contenida en la idea de ser omniperfecto, se
debe concluir que Dios existe necesariamente, puesto que la evidencia es igual en
todas esas proposiciones34.
Malebranche no est, sin embargo, dispuesto a aceptar que se sea el primer
principio de nuestros conocimientos. Ciertamente es un principio, pero no el primero,
pues el primero es el que afirma que la nada no es visible35, pues el de los cartesianos depende de l, ya que si se puede afirmar de una cosa lo que est encerrado en
su idea es porque la nada no es visible36. Ahora bien, si la nada no es visible, se
puede establecer ya esta primera verdad: lo finito no puede representar lo infinito. De
sta se sigue la siguiente: si nada finito puede contener lo infinito, entonces si percibimos lo infinito, lo percibimos en s mismo o de modo inmediato. Y de aqu se saca
sin ms su existencia, porque todo lo que el espritu percibe inmediatamente, existe
realmente... pues, si no existiera, al percibirlo, no percibira nada... lo cual es una
contradiccin manifiesta37. Es contradictorio que se pueda ver inmediatamente lo
que no existe, ya que al mismo tiempo se vera y no se vera, porque ver nada es no
ver38. Ese es el principio primero e incontestable: todo lo que el espritu percibe
inmediatamente existe necesariamente, puesto que, si no existiese, si no fuese nada,
al percibirlo, el espritu no percibira nada, lo cual es una contradiccin 39 .
Malebranche hace observar que dice siempre inmediata y directamente40.
Muchos no acaban de entender esto, pues, como pueden pensar en muchas
cosas que no existen, se imaginan que tambin podemos pensar en lo infinito sin que
exista. Pero no es lo mismo, porque, si podemos pensar en muchas cosas que no existen, es porque esas cosas no son vistas en s mismas o directamente, sino en las ideas
que las representan. Ahora bien, Dios no se encuentra en ese caso, ya que Dios es
33 VIII, 947.
34 Cfr. II, 93.
35 II, 96.
36 VIII, 953.
37 XV, 5.
38 II, 99.
39 XIX, 910.
40 XV, 5.

233

studi

percibido en s mismo. Malebranche lo reitera una y otra vez: Es necesario recordar


que, cuando uno ve una criatura, no la ve en s misma ni por s misma, porque no la
ve... ms que por la visin de ciertas perfecciones que estn en Dios, que la representan. As, se puede ver la esencia de esa criatura sin ver la existencia, su idea sin ella;
se puede ver en Dios lo que la representa sin que ella exista. Esa es la nica razn de
que la existencia no necesaria no est contenida en la idea que la representa, con lo
que, para ser vista, no es necesario que exista actualmente... Pero no sucede lo mismo
con el ser infinitamene perfecto; no puede ser visto ms que en s mismo, porque
nada finito puede representar lo infinito. Por tanto, no se puede ver a Dios sin que
exista; no se puede ver la esencia de un ser infinitamente perfecto sin ver su existencia; no se puede ver simplemente como un ser posible; nada lo contiene, nada puede
representarlo. Por tanto, si se piensa en El, es necesario que exista41.
Todo lo dicho puede recogerse en el siguiente silogismo: Todo lo que el espritu percibe inmediatamente existe realmente; ahora bien, pienso en el infinito, percibo
directa e inmediatamente el infinito; por tanto, existe42. Este silogismo no debe, sin
embargo, confundirnos, porque, si nos valemos de razonamientos discursivos para
probar la existencia de Dios, es slo para exponerlos a los dems43, pues, si Dios
es percibido en s mismo, la prueba deja de ser discursiva y se convierte en intuitiva
o, como le gusta decir a Malebranche, en prueba de simple vue44, lo cual significa:
tan pronto como vemos lo infinito, comprendemos que lo infinito existe.
A esto viene a parar el complemento que Malebranche introdujo en la prueba de
Descartes. Cosa distinta es si es o no una modificacin muy profunda. Quizs sea
menos de lo que parece, puesto que esto haba sido vislumbrado ya por el propio
Descartes. En efecto, es cierto que Descartes expone la prueba ontolgica mediante
un silogismo, como ya vimos. Sin embargo, Descartes prosigue diciendo que, aunque
haya presentado la prueba en forma de silogismo, su conclusin puede ser conocida
sin prueba por los que estn libres de todos los prejuicios, remitindonos a otro
texto en el que desea a sus lectores que gasten mucho tiempo en considerar la naturaleza del ser sumamente perfecto... porque, slo con eso, y sin ningn razonamiento,
sabrn que Dios existe45. En otra ocasin dice tambin que es casi la misma cosa
concebir a Dios y concebir que existe46. Pero, sin solucin de continuidad, sigue
diciendo: Mas eso no impide que la idea que tenemos de Dios, o de un ser sumamente perfecto, sea muy diferente de esta proposicin, Dios existe, y que una no
pueda servir de modelo o antecedente para probar la otra47. Con Malebranche ese
carcter discursivo desaparece totalmente. Por eso, despus de afirmar que el infinito
existe, porque en la idea de infinito est encerrada la existencia necesaria, se corrige inmediatamente, para hablar con ms claridad, porque el infinito no puede ser
visto ms que en s mismo48. Se trata, pues, de una prueba que no encierra ya razonamiento alguno; cuando lo incluye, es para exponer la prueba a los dems.
41 II, 96. Cfr. XII, 53-54.
42 XV, 5.
43 II, 372.
44 II, 371.
45 Rponses aux secondes objectiones, AT,
46 A Mersenne, juillet 1641, AT, III, 396.
47 Ibidem.
48 II, 371.

234

IX/1, 126.

Jos Luis Fernndez

Si estamos ante una prueba de simple vue, se comprende que diga Malebranche
que es tan evidente que hay un Dios como lo es para m que yo existo49; que la
proposicin, existe Dios, es la ms clara de todas las proposiciones que afirman la
existencia de algo, y que incluso es tan cierta como sta, pienso, luego existo50; que
es una demostracin muy simple... la ms simple de las que yo podra dar51.

4. La infinitud, atributo esencial de la divinidad


La palabra Dios no es ms que la expresin abreviada del ser infinitamente
perfecto52. Y en esa expresin cuenta tanto la perfeccin como la infinitud, pero
sobre todo la infinitud, pues ella es la que hace que las perfecciones que le atribuimos
a Dios puedan ser atribuidas a Dios.
De ella, en efecto, se sigue un primer grupo de atributos que le convienen al ser
infinitamente perfecto considerado en s mismo o de modo absoluto. En primer lugar,
la independencia, que deriva directamente de la perfeccin infinita: Dios es el ser
infinitamente perfecto; por lo tanto, es independiente53. Puesto que la independencia alude a la falta de causa, de la independencia se deriva la inmutabilidad: Dios es
independiente; por lo tanto es inmutable54. De la independencia se sigue tambin la
eternidad: La existencia eterna es la manera de existir de lo que es
independiente55. Adems de independiente, inmutable y eterno, la perfeccin infinita es inmensa. Inmensidad significa omnipresencia, es decir, que la sustancia divina
est en todas partes, no slo en el universo, sino infinitamente ms all, porque Dios
no est encerrado en su obra, sino que su obra est en El y subsiste en su
sustancia56. Y conviene poner buen cuidado en no confundir la inmensidad divina
con la extensin inteligible. Malebranche protesta airadamente contra esa asimilacin.
De la infinita perfeccin, considerada no en s misma, sino en su relacin con
las criaturas se sigue otro grupo de atributos que tiene que ver o con el entendimiento, como la sabidura, o con la voluntad, como la justicia. Ahora bien, aunque Dios
conoce y quiere, porque conocer y querer son indudablemente perfecciones, no conoce y quiere como nosotros, pues, por ser infinitamente perfecto, el conocimiento y el
querer de Dios son tambin infinitamente perfectos. As, es infinitamente perfecta su
sabidura, pues, a diferencia de nosotros, que no conocemos todo y no conocemos
nada en nosotros, Dios conoce todo y lo conoce todo en El. Por eso, Dios no slo es
sabio, sino la sabidura57. Lo mismo pasa con la justicia, pues Dios no slo es justo,
sino la justicia. Las perfecciones que estn en Dios y que representan los seres que ha
creado y puede crear no son todas iguales, sino que hay entre ellas un orden. Las per49 II, 103.
50 XII, 54.
51 XV, 5.
52 Ibidem.
53 XII, 175.
54 Ibidem.
55 VI, 19.
56 XII, 178.
57 XII, 188.

235

studi

fecciones que representan los cuerpos, por ejemplo, no son tan nobles como las que
representan los espritus. Y ese orden es inmutable, puesto que en Dios todo es inmutable, con lo cual no puede hacer que un espritu dependa de un cuerpo. Ahora bien,
como Dios se ama, ama tambin el orden inmutable entre esas perfecciones. Por eso,
Dios es esencialmente justo, porque todas sus voluntades estn esencialmente
conformes con el orden inmutable58. En eso estriba precisamente la justicia, a saber,
en el orden inmutable de las perfecciones que El encierra en su esencia59.
Como todos los atributos se siguen de la infinita perfeccin de Dios, todos son
infinitos, aunque usando una terminologa de Spinoza, sera mejor decir que cada uno
de ellos es infinito en un gnero, es decir, una expresin determinada de la infinitud.
Ahora bien, Dios no es una simple suma de atributos infinitos en un gnero, sino infinito en todos los gneros, en todos los sentidos, en una palabra, lo infinito infinitamente infinito60. Y de esta infinitud hace Malebranche el atributo esencial de la
divinidad61. Con eso quiere decir, por supuesto, que la infinitud ocupa el primer
lugar en la definicin de la esencia de Dios, de suerte que por relacin a ella cualquier otro atributo debe ser considerado como menos esencial. Sin embargo, la infinitud no slo es un atributo privilegiado o fuera de serie, pero uno ms entre los dems,
sino el atributo que encierra todos los dems atributos62, es decir, el que constituye
la raz de todas las dems perfecciones, puesto que, si las dems perfecciones tienen
en comn el ser perfecciones infinitas, esto es debido precisamente a esa infinitud
radical. Gracias a ella, Dios es necesaria y esencialmente infinito en toda suerte de
perfecciones63.
Esa infinitud explica la forma suprema de unidad llamada simplicidad, pues, si
cada una de las perfecciones que forman la esencia divina es infinita, cada una de
ellas es realmente idntica a las otras. Como dice nuestro autor, cada perfeccin que
El posee incluye todas las dems sin ninguna distincin real, porque, al ser cada perfeccin divina infinita, constituye el ser divino64.
Ahora bien, que la esencia divina sea simple no quiere decir que nosotros
conozcamos perfectamente cmo lo es: No descubres esa propiedad, que es esencial
para el infinito, de ser a la vez uno y todo, compuesto, por as decirlo, de una infinidad de perfecciones diferentes, de tal manera simple que en El cada perfeccin
encierra todas las dems sin ninguna distincin real65.
Lo mismo hay que decir de las dems perfecciones. Sabemos que todas las
dems perfecciones estn incluidas en la infinitud divina, pero no sabemos cmo. Y
esto es as, tanto si se trata de la inmensidad: Cmo existe Dios en todas partes y
entero en todas partes?66; de la eternidad: Cmo ve El en su eternidad, en una
duracin sin sucesin, la sucesin de todos los tiempos?67; de la omnipotencia:
58 XII, 191.
59 XVI, 51.
60 XII, 52.
61 XII, 387.
62 XVI, 138.
63 XVI, 137.
64 III, 148. Cfr.
65 XII, 54.
66 XVI, 132.
67 Ibidem.

236

XII, 54.

Jos Luis Fernndez

Cmo es Dios omnipotente? Quiere un mundo y ese mundo existe en el mismo


instante en que El quiere que exista. Qu relacin hay entre un acto eterno de la
voluntad divina y la creacin del universo en el tiempo?68; y lo mismo sucede con
su sabidura, su justicia, su bondad69. Sabemos, pues, que Dios tiene todas las perfecciones, pero no sabemos cmo. Es ese cmo el que no podemos explicar claramente70. Por eso, se puede decir que de las perfecciones divinas tenemos un conocimiento, pero no una comprehensin, es decir, no un conocimiento perfecto, pues eso
es lo que significa comprendre por oposicin a entendre.
Ahora bien, si las perfecciones son incomprehensibles es porque tambin es
incomprehensible la infinitud que est detrs de ellas confirindole la infinitud que
cada una de ellas tiene. De lo infinito, dice Malebranche, no tenemos una comprehensin o una percepcin que lo abrace y lo abarque, pero tenemos cierta percepcin, es decir, una percepcin infinitamente pequea comparada con una comprehensin perfecta71. Slo veis muy confusamente y como de lejos lo que Dios es. No lo
veis tal como es, porque, aunque veis lo infinito o el ser sin restriccin, slo lo veis
de una manera muy imperfecta72. Esto se debe a nuestra propia limitacin: Como
mi espritu es finito, el conocimiento que yo tengo de lo infinito es finito. Yo no lo
comprehendo, no lo abarco; estoy incluso cierto de que jams podr abarcarlo. En
una palabra, la percepcin que tengo de lo infinito es limitada, pero la realidad objetiva en la que mi espritu se pierde, por as decirlo, no tiene lmites73.
Con esto Malebranche no hace ms que repetir una doctrina cartesiana, pues
Descartes no se cansa de repetir que Dios es conu, pero non compris74, llegando
incluso a afirmar que la incomprehensibilidad misma pertenece a la razn formal de
lo infinito75.
Por imperfecto que sea, el conocimiento de lo infinito es anterior al de lo finito.
En una carta a Clerselier escribe Descartes: La nocin que tengo de lo infinito existe
en m antes que la de lo finito, porque, por el hecho de concebir el ser o lo que es, sin
pensar si es finito o infinito, concibo el ser infinito; pero, para poder concebir un ser
finito, es necesario que sustraiga alguna cosa de esa nocin general del ser, que consiguientemente debe ser anterior76. Malebranche, tomando pie de este texto, repite:
El espritu no slo tiene la idea de lo infinito, la tiene incluso antes que la de lo finito. Porque concebimos el ser infinito, con slo concebir el ser, sin pensar si es finito
o infinito. Pero, para concebir un ser finito, se necesita sustraer alguna cosa de esa
nocin general de ser, que consiguientemente debe ser anterior. De esta suerte, el
espritu slo percibe una cosa en la idea que tiene de lo infinito77. La idea de Dios
es, de esta suerte, la condicin de cualquier otra idea, pues cualquier otra se forma
68 Ibidem.
69 XVI, 25.
70 Ibidem. Cfr.

A. ROBINET, Systme et existence dans luvre de Malebranche, Vrin, Paris


1965, p. 184.
71 II, 101. Cfr. XII, 51.
72 XII, 54.
73 XII, 174. Cfr. XII, 183.
74 Mersenne, 27 mai 1630, AT, I, 152. Rponses aux premires objections, AT, IX/1, 89, etc.
75 Rponses aux cinquimes objections, AT, VII, 368.
76 Clerselier, 23 avril 1649, AT, V, 356.
77 I, 441.

237

studi

descendiendo de lo infinito a lo finito por sucesivas restricciones, determinaciones,


limitaciones.
Esto ocurre con nuestras ideas particulares, que no son ms que participaciones de la idea general de lo infinito, de la misma manera que Dios no toma su ser de
las criaturas, sino que todas las criaturas no son ms que participaciones imperfectas
del ser divino78. Todas las ideas particulares que tenemos de las criaturas no son
ms que limitaciones de la idea del Creador, igual que los movimintos de la voluntad
hacia las criaturas no son ms que determinaciones del movimiento hacia el
Creador79.
Esto sucede tambin con las ideas generales. Mientras Toms de Aquino piensa
que la ideas generales se obtienen prescindiendo de la concrecin, Malebranche cree
que se forman aadiendo la generalidad a la concrecin. Cuando le objetan que las
ideas generales no son ms que una reunin confusa de algunas ideas particulares,
Malebranche responde que la suma de particulares slo da como resultado un particular. Para obtener una idea general hay que aadir la idea de generalidad a las ideas
particulares. Es lo que ocurre, por ejemplo, con la idea general de crculo. Slo puedes formar ideas generales, porque descubres en la idea de infinito suficiente realidad
para dar generalidad a tus ideas... Jams podras pensar en esas formas abstractas de
gneros y especies, si la idea de infinito, que es inseparable de tu espritu, no se uniese naturalmente a las ideas particulares que percibes. Podras pensar en tal crculo,
pero jams en el crculo... El espritu sin reflexionar aade a sus ideas finitas la idea
de generalidad que encuentra en el infinito80. Y lo mismo se puede decir del dolor.
Si piensas en el dolor en general, es que puedes unir la generalidad a todas las
cosas. Pero insisto en que no podras sacar esa idea de la generalidad de tu fondo.
Tiene demasiada realidad; es preciso que el infinito te la suministre de su abundancia81.
El infinito est, pues, en el origen de toda idea: de toda idea particular y de toda
idea general. Por eso, no queda ms remedio que decir que Dios es ms conocido que
cualquier otra cosa.

5. La libertad divina
Dios crea el mundo, pero lo crea no necesariamente, sino libremente. Afirmar
que Dios es libre quiere decir que es indiferente para obrar o no obrar82. En esto
Malebranche se opone decididamente a Spinoza. Spinoza mantiene que, aunque Dios
no est sujeto a un ser distinto del suyo, sta ligado a su propio ser, a las leyes de su
naturaleza83, con lo que todas las cosas estn determinadas a existir84. Esto es
justamente lo contrario de lo que piensa Malebranche, pues, segn l, Dios no crea
78 I, 441-442.
79 I, 443.
80 XII, 58.
81 XII, 60.
82 VIII, 490.
83 Ethica, I, 17, G. II, 61.
84 Op. cit., I, 29, G. II, 71.

238

Jos Luis Fernndez

necesariamente el mundo, sino que lo crea con una libertad perfecta y una completa
indiferencia85. La razn est en que Dios, como ser infinitamente perfecto, se basta
plenamente a s mismo86, y en consecuencia no se ve forzado a producir ningn otro
ser. Malebranche insite en esta idea de mltiples maneras, pero concibiendo siempre
la libertad divina como una consecuencia de la autosuficiencia de Dios: como Dios
se basta plenamente a s mismo, se determina a crear el mundo con una entera libertad87.
Esa libertad es el fundamento de la distincin entre verdades necesarias y verdades contingentes, pues mientras las segundas dependen de la libre iniciativa divina,
las primeras dependen de la razn de Dios88. De ah la oposicin de Malebranche a
Descartes en el tema de las verdades necesarias.
Descartes cree que esas verdades dependen solamente de la voluntad de
Dios89. Ahora bien, esta doctrina, piensa Malebranche, nace de la aspiracin del
hombre de humanizar a Dios, concretamente de su deseo de imaginar a Dios como
algo que a l mismo le gustara ser. Al hombre, en efecto, le gustara ser creador de
verdades, abandonando de esta manera el orden impuesto por la razn, ante el que
siente una especie de servidumbre, una especie de impotencia90. Al no poder
hacerlo, en vez de renunciar a su deseo, imagina a Dios como a l mismo le gustara
ser, a saber, poder absoluto para obrar contra todo orden91. El voluntarismo respecto de las verdades necesarias nace, pues, del deseo del hombre de cortar a Dios por el
patrn de sus propias inclinaciones92, de sus pasiones93, de s mismo94.
Spinoza no comparte esta crtica. Segn l, acusar a Descartes de haber humanizado a Dios es no haber entendido a Descartes. Segn Spinoza, Descartes no tiene,
desde luego, razn, pues pensar que las verdades necesarias dependen de la voluntad
de Dios es pensar como posible otra voluntad de Dios, siendo as que Dios no puede
tener otra voluntad distinta de la que tiene95. Pero tampoco tiene razn Malebranche
para acusar a Descartes de humanizar a Dios: La opinin que somete todo a una
cierta voluntad divina indiferente y que sostiene que todo depende de su beneplcito, se aleja menos de la verdad que la opinin de los que sostienen que Dios hace
todo con la mira puesta en el bien96. Hacer depender a Dios de algo a lo que l se
somete en su obrar como a un modelo es lo ms absurdo que puede afirmarse de
Dios97.

85 XII, 176.
86 XII, 208.
87 Ibidem. Cfr. VIII, 754; IX, 1109; XV, 30, etc.
88 Cfr. G. DREYFUS, La volont selon Malebranche,
89 AT, IX/1, 336.
90 XII, 220
91 II, 87.
92 III, 86.
93 III, 190.
94 XII, 220.
95 Cfr. op. cit., I, 33, G. II, 75.
96 Op. cit., I, 33, G. II, 76.
97 Ibidem.

Vrin, Paris 1958, p. 54.

239

studi

6. El motivo de la creacin
La decisin libre de producir el mundo no es una decisin sin motivo. Al contrario, la motivacin es condicin para la libertad, con tal de que el motivo no sea
invencible. Y es obvio que no lo es, puesto que, al ser autosuficiente, nada hay que
empuje invenciblemente a Dios a producir algo distinto de El. Cul es ese motivo
no invencible?
La tradicin filosfica vena afirmando que el motivo de la creacin era el
amor, pero Malebranche cree que eso no es as: Dios no ha creado el mundo por
pura bondad, por pura caridad para con nosotros98. Si pensamos as, es porque nos
dejamos llevar por nuestro amor propio... contrario a la ley divina, a ese orden
inmutable que encierra todas las buenas razones que Dios puede tener99. Segn ese
orden, el movimiento del amor de Dios no puede, como en nosotros, proceder de
fuera, ni por consiguiente arrastrarlo hacia afuera100. En Dios todo amor que no
sea el amor propio sera desordenado o contrario al orden inmutable que El encierra y
que es la ley inviolable de la voluntad divina101
Si el motivo del acto creador no puede ser el amor o generosidad divina, cul
puede ser? Solamente su gloria: Dios hace todo para su gloria102. Ahora bien,
cmo puede Dios sacar gloria de su creacin, siendo as que es una obra finita, sin
ninguna proporcin con lo infinito? Esta dificultad parece cerrar el paso a toda esperanza de dar razn del acto creador, pues, si el mundo es indigno de Dios, cul
puede ser el motivo para que Dios lo cree? Ninguno, salvo que hagamos al mundo
digno de Dios. Y slo resulta digno de Dios, si una persona divina ... se une a su
obra para hacerla divina y, de esta suerte, digna de su contemplacin y proporcionada
a la accin de su voluntad103. Esa persona es el Verbo, la Razn Universal, que,
para dignificar la totalidad de la naturaleza, se une a las dos sustancias, espritu y
cuerpo, de las que est compuesto el mundo104. Por esa unin, la obra de la creacin
queda infinitamente engrandecida, hacindose capaz de darle la gloria que El le
comunica por su divinidad. Con lo cual, el mundo honra a Dios sin que Dios saque su
gloria de algo ajeno a El.
La Encarnacin es, pues, la razn de ser de la creacin. De suerte que, por lo
tanto, la Encarnacin no est subordinada a la Redencin, pues no ha sido decidida
por Dios para rescatarnos del pecado, sino para justificar la creacin. Aunque el
hombre no hubiese pecado, el Verbo se encarnara para darle al mundo una dignidad infinita, con el fin de que Dios, que slo puede obrar para su gloria, reciba de l
una gloria que corresponda perfectamente a su accin105 creadora. He ah la expresin metafsica del cristocentrismo.

98 XII, 200.
99 XII, 201.
100 Ibidem.
101 Ibidem.
102 XVI, 183.
103 V, 11-12.
104 XII, 205.
105 XII, 204.

240

Jos Luis Fernndez

7. Creacin continuada
Descartes afirma, como un axioma, la discontinuidad del tiempo: el tiempo presente no depende del que le ha precedido inmediatamente. Y de la discontinuidad del
tiempo deduce Descartes la doctrina de la creacin continuada, pues, si el tiempo es
discontinuo, de que una cosa exista ahora no se sigue que deba existir un momento
despus, salvo que el que la ha producido en el primer momento siga producindola,
es decir, conservndola106. Tambin Malebranche piensa que el instante de la creacin no pasa107 jams, de suerte que, si las criaturas existen, es porque Dios quiere que existan y, si siguen existiendo, es porque Dios contina queriendo que existan108. Esto es as respecto de las criaturas corporales: Un cuerpo existe, porque
Dios quiere que exista; contina existiendo, porque Dios contina queriendo que
exista109. Pero tambin lo es respecto de las criaturas espirituales: Dios crea nuestra alma durante todos los momentos de su existencia, ya que slo existe, porque
Dios quiere que exista y slo contina existiendo, porque Dios contina queriendo
que exista110. La razn hay que buscarla, fundamentalmente, en la necesidad de
garantizar la dependencia de la criatura respecto de su creador. Esa dependencia no
se da, desde luego, en las obras humanas, pues una casa sigue en pie, aunque se haya
muerto el arquitecto que la ha construido. Pero no debemos juzgar las obras divinas
por el patrn de las obras humanas, pues, si las obras de los hombres no dependen de
los hombres es porque estos no le han dado el ser a la materia con la que trabajan,
sino que la suponen ya producida, cosa que no ocurre con las obras divinas, pues
Dios no supone nada producido, sino que lo produce todo111.
Seran tan independientes que Dios ni siquiera podra aniquilarlas, esto es, hacer
que dejaran de ser. Naturalmente, si quisiera podra aniquilarlas, porque es todopoderoso, pero es que no puede querer, porque su voluntad tendra entonces como trmino
la nada. Y esto se aviene mal con los atributos divinos tales como la sabidura y la
omnipotencia: con la sabidura, porque un Dios infinitamente sabio no puede querer
nada que no merezca ser querido, como le ocurre a la nada, que no encierra nada de
bueno ni de amable112; con la omnipotencia, porque, no se entiende bien qu omnipotencia sera sa que se desplegase para no hacer nada113. Por eso, la aniquilacin
de las criaturas no puede ser consecuencia de una voluntad positiva; slo puede ser
consecuencia de que Dios deje de querer que existan.

8. Dios, causa nica


De la doctrina de la creacin continuada saca Malebranche la consecuencia de
106

Cfr. Discours de la mthode, V, AT, VI, 45; Meditationes, medit. III, AT, IX/1, 39, 127;
Principes de la philosophie, AT, IX/2, 34.
107 XII, 156.
108 VII, 514. Esa voluntad por la que crea y conserva es la misma (cfr. III, 26; VII, 514; X, 50).
109 X, 49.
110 XVI, 36.
111 Cfr. X, 49; XII, 157-158.
112 X, 49. Cfr. XII, 158.
113 Cfr. XII, 159.

241

studi

que slo Dios puede ser causa. Efectivamente, cuando Dios crea, no produce seres
abstractos, sino existentes114. Esto, aplicado a los cuerpos, quiere decir que Dios crea
cuerpos en estado de reposo o de movimiento. Y, como la creacin es continuada, es
Dios quien los conserva en reposo o en movimiento, por lo que la fuerza que mueve
los cuerpos no pertenece a los cuerpos, sino a Dios: Es la accin omnipotente del
creador que los crea o conserva sucesivamente en diferentes lugares115.
Lo que se dice de los cuerpos debe decirse tambin de los espritus, pues Dios
es el creador, el conservador, el nico verdadero motor de los espritus igual que de
los cuerpos116. Por estar continuamente creando los espritus, es la causa de todo lo
que hay en nuestros espritus: de nuestros conocimientos, pues los espritus no pueden conocer nada si Dios no los ilumina117; de nuestras sensaciones, porque los
espritus no pueden sentir nada si Dios no los modifica118; de nuestras voliciones,
ya que los espritus son incapaces de querer nada si Dios no los mueve hacia el bien
en general, es decir, hacia l... los hombres slo pueden amar, porque Dios quiere
que amen y su querer es eficaz... slo pueden amar, porque Dios los empuja sin cesar
hacia el bien en general, es decir, hacia l119.
Todo se debe, pues, al querer de Dios, con lo que todos los efectos estn en
conexin con su voluntad, pero no en una conexin cualquiera, sino en una conexin
necesaria, porque la voluntad de Dios es omnipotente y en consecuencia siempre eficaz, pues es evidente que Dios no sera todopoderoso, si su voluntad absoluta fuese
ineficaz120, es decir, si quisiera algo y ese algo no sucediera. Y en eso consiste precisamente la causalidad, pues, cuando se habla de la relacin de causalidad, se habla
de una conexin necesaria, ya que una cosa es propiamente causa de otra, cuando el
espritu percibe una conexin necesaria entre ella y su efecto121. Por eso, Dios es
causa. Ms an, la nica verdadera causa, porque el espritu no percibe una
conexin necesaria ms que entre la voluntad del ser infinitamente perfecto y los
efectos. Por eso, slo Dios es la causa verdadera122. He ah el principio ms fecundo123 y el ms santo124 de todos los principios: el ms fecundo, porque una sola
causa produce una infinidad de efectos125; el ms santo, porque, al ser Dios la nica
causa verdadera, todo el honor y la gloria son slo para El, soli Deo omnis honor et
gloria126.
Tenemos as fundada desde fuera, es decir, desde la voluntad omnipotente de
Dios, la conexin necesaria. Pero esto no significa que tengamos una idea clara y
distinta de la causalidad. Hay quienes piensan que la esencia de la causalidad es
114 Cfr. XII, 156.
115 VII, 515.
116 III, 145.
117 II, 314.
118 Ibidem.
119 Ibidem.
120 X, 96.
121 II, 316.
122 Ibidem. Cfr. III, 53, 203, 209, 213, 216; IV,
123 X, 121.
124 XI, 162.
125 Cfr. X, 118-119; XI, 118; XII, 97, 286-287.
126 II, 311.

242

29; V, 48; XI, 160-163; XII, 166, etc.

Jos Luis Fernndez

oscura en el nivel del ser finito, pero se hace clara en el nivel del ser infinito. Pero no
es as, al menos para Malebranche. Segn l, tenemos una idea clara de que la voluntad de Dios es omnipotente y en consecuencia que entre ella y sus efectos debe haber
una conexin necesaria. Pero eso no significa que tengamos una idea clara de la naturaleza de esa conexin necesaria, puesto que pertenece al orden de la voluntad divina
y slo Dios conoce su voluntad. Al filsofo que le pregunta sobre la creacin, el
Verbo le contesta: Te gustara comprender cmo la voluntad de mi Padre tiene una
eficacia tan grande que da y conserva el ser a todas las cosas, pero te atormentas en
vano por averiguarlo. Ya te he dicho que slo debas consultarme sobre lo que yo
encierro en tanto que sabidura eterna y razn universal de los espritus... Pero t
quieres saber por qu una cosa existe por el mero hecho de que Dios lo quiera. Me
pides una idea clara y distinta de esa eficacia infinita que da y conserva el ser a todas
las cosas. No tengo ahora una respuesta que darte que sea capaz de satisfacerte. Tu
pregunta es indiscreta. Me consultas sobre el poder de Dios, consltame sobre su
sabidura, si quieres que te satisfaga ahora. No otorgo a los hombres una idea distinta
que responda a la palabra potencia o eficacia... aunque creas que Dios hace todo lo
que quiere, eso no significa que veas claramente que hay un enlace necesario entre la
voluntad de Dios y los efectos, porque tampoco sabes lo que es la voluntad de Dios.
Pero lo que es evidente es que Dios no sera omnipotente si sus voluntades absolutas
resultasen ineficaces127. El conocimiento de la causalidad est reservado para la
otra vida128.
Malebranche no dice slo que Dios es la nica causa verdadera. Explica,
adems, que Dios ejerce esa causalidad de una manera universal. Malebranche no
deja de repetir que Dios produce todas las cosas por medio de la eficacia de su voluntad, pero de una voluntad que no es particular, sino general. Y con ello quiere decir
que Dios obra siguiendo las leyes generales establecidas por El129. Estaramos, por
ejemplo, ante una intervencin particular de la voluntad de Dios, si Dios moviese una
bola sin la intervencin de ninguna colisin, es decir, si se tratase de un movimiento
sin choque; o si Dios nos hiciese sentir el dolor de un pinchazo sin la intervencin de
una espina que nos pinche, es decir, si se tratase de un dolor sin excitacin. Por el
contrario, estamos ante una intervencin general de la voluntad de Dios, cuando una
bola se mueve por la colisin de otra que choca con ella, porque entonces Dios la
mueve siguiendo la ley general del movimiento; cuando sentimos dolor por una espina que nos pincha, puesto que en ese momento Dios acta de acuerdo con la ley
general de la unin del alma y el cuerpo. Y las razones de que Dios opera siguiendo
leyes generales son, aparte de motivos a posteriori, motivos a priori, fundados en la
naturaleza de la causa, concretamente, en la sabidura, inmutabilidad y bondad de
Dios: en su sabidura, porque las intervenciones generales son propias de una inteligencia infinita, capaz de prever todas las consecuencias130; en su inmutabilidad, porque las actuaciones generales implican conducirse siempre de la misma manera131;
en su bondad, porque, al valerse de leyes generales, asocia a las criaturas a su poder,
127 X, 96.
128 Cfr. XV, 33.
129 V, 147. Cfr. VII, 651.
130 Cfr. V, 165-166; VI, 37-38; VIII,
131 Cfr. V, 21; VI, 38; VIII, 665.

717; XV, 28.

243

studi

hacindolas partcipes de la bondad de su obra, en la medida en que tienen capacidad


para ello132.
Esas leyes generales, por lo dems, precisamente por ser generales, son muy
pocas. Y en esto brilla otra vez la infinita sabidura de Dios en forma de simplicidad,
pues con muy pocas leyes produce una infinidad de obras admirables133. De este
principio de la simplicidad hacan entonces los filsofos un uso muy amplio sobre
todo en la ciencia. Ya Descartes deca que la naturaleza obra siempre por los medios
ms fciles de todos y ms simples134. Y Leibniz afirmaba tambin que Dios debe
construir su obra con el menor gasto, minimo... sumptu135. Pero Malebranche va ms
all, porque le da a ese principio una extensin que no tena, valindose de l para la
explicacin metafsica del tema de los defectos del mundo. De dnde proceden los
defectos que deforman el mundo? El optimismo clsico, de ascendencia agustiniana,
piensa que los defectos del mundo no son verdaderos defectos, sino defectos aparentes, debidos a una de estas dos cosas: o bien a nuestra ignorancia de los planes de
Dios en su conjunto, pues, si conocisemos el conjunto de los planes de Dios, lo que
nos aparece como un defecto, nos aparecera como formando parte de un todo y en
consecuencia no como un defecto; o bien a la necesidad de poner de manifiesto las
perfecciones del universo, porque con los defectos sucede como con las sombras de
un cuadro, que son necesarias para realzar la belleza del color, o con las disonancias
musicales, que resultan imprescindibles para poner de relieve la belleza de la
armona. Ninguna de estas razones satisface, sin embargo, a Malebranche136, pues la
perfeccin de una obra debe medirse en funcin de lo que se hace, pero tambin en
funcin de la manera de hacerlo, ya que Dios, que quiere que su obra le honre..., no
quiere que sus vas le deshonren137. Sobre todo, quiere que su conducta no le
deshonre, porque, al ser infinita, debe ser preferida por Dios a la obra que de ella
resulte, que es finita. Eso es lo que explica que el mundo est lleno de defectos, pues
una conducta general y simple deja escapar el detalle de los acontecimientos, generando de esa suerte la aparicin de desrdenes en el universo. Pero es preferible un
mundo lleno irregularidades a una conducta que se gue por leyes particulares y complejas.
Pero no basta con decir que Dios es la nica causa y que ejerce su causalidad
por medio de intervenciones generales de su voluntad. Se necesita aadir que Dios
asocia a las criaturas a su causalidad, haciendo de ellas causas ocasionales. Esto
significa que Dios se sirve de ellas para determinar la eficacia de sus voluntades
generales138. As, la colisin de los cuerpos es la causa ocasional para que Dios
mueva los cuerpos, dado que esa colisin determina la eficacia de la ley general del
movimiento, pues hay una ley que dice que Dios mueve los cuerpos, pero resulta que
los cuerpos slo se mueven cuando entran en colisin, con lo cual la colisin determina la eficacia de esa ley, haciendo de causa ocasional; el pinchazo es la causa oca132 Cfr. VIII, 665.
133 Cfr. III, 81, 88-89; V, 53; IX, 1081; X, 78-79; XVII/1,
134 AT, IX, 201.
135 De rerum originatione radicali, G. VII, 303.
136 Cfr. V, 36, 41; VIII, 765-766, 769-770; XV, 53-54.
137 XII, 213-214.
138 V, 154. Cfr. X, 75; X, 142; VI, 36.

244

581.

Jos Luis Fernndez

sional para que Dios produzca en nosotros un dolor, pues hay una ley que dice que
slo sentimos dolor, cuando nuestro cuerpo experimenta una alteracin, con lo que
esa alteracin determina la eficacia de esa ley, sirviendo de causa ocasional139. Las
causas ocasionales forman, pues, parte de las leyes generales como determinaciones
suyas.
***
Abstract: Secondo Malebranche la nostra conoscenza di Dio immediata e ci ci
obbliga a rivedere sia le prove a priori che a posteriori per il fatto che tutte e due
sono discorsive. Ma immediatezza non vuol dire che la nostra conoscenza della
Natura Divina sia perfetta. La stessa nozione di infinito, che si trova aldil delle
nostre capacit, ce lo impedisce. Ci valido per tutti gli attributi, compreso quello
della Potenza Divina. Per questa ragione, anche se lunica causa che esiste la
Causalit Divina, noi non la possiamo comprendere perfettamente, cio dal punto di
vista di Dio.

139

Cfr. XII, 318-319. Esas determinaciones son susceptibles a su vez de cumplirse de mil
maneras diferentes, originndose as la enorme variedad de efectos (cfr. X, 54).

245

ACTA PHILOSOPHICA, vol. 3 (1994), fasc. 2 - PAGG. 247/269

J. G. Fichte: laffermazione dellAssoluto


DANIEL GAMARRA*
Sommario: 1. LAssoluto dal punto di vista del finito; 1.1. Alcune questioni storiografiche; 1.2. Dal
principio incondizionato allAssoluto; 1.3. Teoria e realt del primo principio; 1.4. Presenza e
immagine; 2. Assoluto, immagine e apparizione; 2.1. La considerazione metafisica dellimmagine;
2.2. Considerazioni sullAssoluto; 2.3. Apparizione e Assoluto.

1. LAssoluto dal punto di vista del finito


1.1. Alcune questioni storiografiche
La situazione storica della filosofia di J.G. Fichte viene di solito delimitata fra
la filosofia di Kant e quella di Hegel. E allinterno della filosofia romantica tedesca
Fichte occupa di solito un posto relativo agli altri due grandi idealisti, cio fra
Schelling e Hegel. Linserimento di Fichte in questa situazione storica implica di
solito un giudizio sulla sua filosofia, cio non si tratta meramente di un puro riferimento temporale o cronologico. Quando se ne cercano invece pi da vicino le motivazioni, non difficile riscontrare alla base di tale schema linterpretazione hegeliana
della storia della filosofia e, pi specificamente, la sua interpretazione riguardo al
periodo da lui stesso vissuto. Se si va oltre nella linea dellinterpretazione di Hegel
e, in questo caso, anche di Schelling , la filosofia di Fichte viene suddivisa in
due grandi periodi ben diversi fra di loro: quello di Jena, che occuperebbe gli anni
che vanno dal 1793-94 fino al 1800; e quello di Berlino, tranne il breve soggiorno a
Erlangen, comprendente il periodo fra il 1800 e lanno della morte di Fichte, il 1814.
Questa periodizzazione abbastanza rigida della filosofia di Fichte e lo schema
dei suoi rapporti sia con la filosofia di Kant, sia specialmente il suo posto fra i tre
grandi romantici, non ha tuttavia un riscontro completamente soddisfacente nei fatti.
Anzi, il vero riscontro di questo schema si troverebbe piuttosto nellesegesi hegeliana. Nella Dottrina della scienza del 1794, Fichte afferma ripetutamente che la sua
filosofia futura non sar altro se non lo sviluppo della riflessione sul primo principio
assolutamente incondizionato del sapere, cio viene detto in pratica che ormai ha in
*

Ateneo Romano della Santa Croce, Piazza di SantApollinare 49, 00186 Roma

247

studi

possesso un certo primo principio, unintuizione fondamentale se si vuole, che svilupper successivamente e che ci appunto segner lindirizzo della sua filosofia,
cio non un altro principio, non unaltra intuizione. Come ha affermato R. Lauth,
nel periodo jenese Fichte ha chiamato questo primo principio io per esprimerne
verbalmente il carattere spirituale. Il grossolano fraintendimento di questa parola lo
ha spinto a cercare altre espressioni: soggetto-oggetto, ecc. Dal 1801 al 1804 Fichte,
entrando in discussione con il realismo superiore di Jacobi-Reinhold e lidealismo
superiore di Schelling-Hegel, lott senza tregua per completare la filosofia trascendentale nei suoi principi supremi1. La questione come si vede da queste parole sembra pi complessa ma allo stesso tempo pi chiara.
Che in Fichte esista una maturazione intellettuale delle sue tesi fuori dubbio,
come lo il fatto che laccusa di ateismo del 1799 segni nella sua vita, e anche nella
sua filosofia, una esigenza riguardo comunque allo stesso progetto filosofico anteriore a quella data. Infatti, come mette in rilievo Lauth, le prime formulazioni della filosofia di Fichte non furono accolte con la comprensione dovuta: sia il linguaggio che
la novit proposta non furono immediatamente capiti; anzi, dopo il 1799 continu la
stessa situazione. Il problema riguardava fra laltro la questione dell Io,
dellAssoluto e del sapere. Le prime formulazioni della Dottrina della scienza2 degli
anni 1793 e 17943 furono difficili da capire sia per il metodo che per la proposta teoretica, e di questo fatto si accorse Fichte stesso. Cos nel 1797 pubblica la Versuch
einer neuen Darstellung der Wissenschaftslehre e nel 1798, con laggiunta di nova
methodo, unaltra nuova versione della WL. Ma il lavoro sulla WL ebbe quindi un
periodo di inattivit quando venne fuori la questione sullateismo. Infatti
lAtheismusstreit occupa lattenzione di Fichte durante il 1799 e il 1800 non soltanto
da un punto di vista teoretico ma anche pratico, giacch a causa dello sviluppo della
questione deve abbandonare Jena e trasferirsi a Berlino dove, dopo un breve periodo,
consegue la cattedra di filosofia. A questo punto riprende vigorosamente il lavoro
della WL e, meno di un anno dopo, compare la WL 1801; sono gli anni delle discussioni col realismo superiore di Reinhold e di Jacobi, e soprattutto con lidealismo di
Schelling e di Hegel.
Cos troviamo in un periodo di meno di dieci anni tre formulazioni della WL,
avendo presente che la prima (degli anni 1793-94) non che una introduzione o,
meglio, una fondazione4; lAtheismusstreit rappresenta certamente un momento non
dedicato alla WL propriamente detta5; il lavoro viene ripreso nel 1801, dopo il mancato successo delle WL precedenti e stimolato dal bisogno di approfondire le nuove
1
2

R. LAUTH, La filosofia trascendentale di J.G. Fichte, Guida Editori, Napoli 1986, p. 45.
Dora in poi per riferirci a questo titolo: Wissenschaftslehre, pi volte ripetuto da Fichte in
diverse rielaborazioni e edizioni, adopereremo: WL.
3 Questultima col titolo completo, assai significativo di: Grundlage der gesamten
Wissenchaftslehre.
4 Cfr. R. LAUTH, La filosofia trascendentale..., cit., pp. 43; 52-53. Fichte si esprime cos
nellottobre di 1794 nella Allgemeine Literatur-Zeitung, quando presenta la Grundlage:
alla presente fondazione dellintera Dottrina della scienza far seguito, la prossima Pasqua,
un sistema sviluppato della Dottrina della scienza teoretica e pratica.
5 Comunque le questioni dibattute fanno parte della tematica della WL; il rapporto fra i grandi
temi dellAtheismusstreit e quelli della WL si vede con pi chiarezza a partire dai successivi
sviluppi della Dottrina della scienza.

248

Daniel Gamarra

prospettive aperte con le riflessioni condotte dal 1793 fino a quel momento 6.
Secondo linterpretazione di Schelling7 e di Hegel, questo sarebbe il principale
momento in cui avviene la distinzione dei due periodi della filosofia di Fichte; e,
secondo linterpretazione del solo Hegel, praticamente qui finisce la vera e propria
filosofia di Fichte, poich Hegel non conoscer le posteriori edizioni della WL e avr
conoscenza soltanto della filosofia popolare di Fichte, sviluppata in vari momenti,
con lezioni rivolte a un pubblico piuttosto vario: 1800, 1803, 1806 e 1807 sono le
date dei corsi pi importanti; e sulla loro validit filosofica il giudizio di Hegel
alquanto duro8.
In questa cornice storica si inserisce il problema dellAssoluto: esso non nasce
nella seconda filosofia di Fichte in quanto secondo periodo, poich una separazione
da un presunto primo periodo non mai esistita; ma presente fin dalle prime formulazioni della WL, anche se a partire dal 1801 che Fichte sviluppa in un modo particolarmente acuto il problema, in chiara polemica con la filosofia idealista9.
Resta quindi da chiarire brevemente il rapporto di Fichte con Kant. Al riguardo
abbiamo un testo importante dello stesso Fichte: Ho sempre detto, e lo ripeto ora,
che il mio sistema non altro che quello kantiano. Ci vuol dire che contiene lo stesso punto di vista, ma che nel modo di portare avanti la ricerca completamente indipendente dallesposizione kantiana. Ho detto questo non per avvalermi di una grande
autorit, n per creare un punto di appoggio per la mia teoria al di fuori di essa, ma
6

A. PHILONENKO, Loeuvre de Fichte, Vrin, Paris 1984, p. 211: chaque pas Fichte sest
enrichi, rptons-le; mais sa richesse est toujours accumule dans le mme sens. Il ny a
gure de raison qui permette de distinguer un premier Fichte dun second, si ce nest pas
quaprs 1798 il ne publie pas tout comme il le faisait auparavant.
7 Cfr. F.W. SCHELLING, Philosophie und Religion (1804), Ausgewhlte Werke III, 629 [C.H.
Becksche Verlagbuchhandlung, Mnchen 1977]; e Zur Geschichte der neueren
Philosophie. Mnchener Vorlesungen (1827), Ausgewhlte Werke, V, 375 e ss [C.H.
Becksche Verlagbuchhandlung, Mnchen 1979]. Le discussioni fra Fichte e Schelling
sono state accuratamente studiate da R. LAUTH, Die Entstehung von Schellings Identittphilosophie in der Auseinandersetzung mit Fichtes Wissenschaftslehre (1795-1801), Karl
Alber Verlag, Mnchen 1975; id., Die erste Auseindersetzung zwischen Fichte und
Schelling 1795-1797, Zeitschrift fr philosophische Forschung, 21/3 (1967), pp. 341367; id., Die zweite philosophische Auseinandersetzung zwischen Fichte und Schelling
ber die Naturphilosophie und die Transzendentalphilosophie und ihr Verhltnis zueinander (Herbst 1800-Frhjahr 1801), Kant-Studien, 45 (1974), pp. 397-435.
8 G.W.F. HEGEL, Vorlesungen ber die Geschichte der Philosophie, Jubilumsausgabe, XV,
640 [Frommann, Stuttgart 1965]: In seinen spteren, popularen Schriften hat Fichte
Glaube, Liebe, Hoffnung, Religion aufgestellt, ohne philosophisches Interesse, fr ein allgemeines Publikum, eine Philosophie fr aufgeklrte Juden, Jdinnen, Staatsrthe. Nelle
pagine che dedica allanalisi della filosofia di Fichte, Hegel cita come fonte la Grundlage
der gesamten Wissenschaftslehre, di 1794, Grundlage des Naturrechts nach Principien der
Wissenschaftslehre di 1796, ber den Begriff der Wissenschaftslehre di 1798, e alcuni scritti dellepoca dellAtheismusstreit . Per un confronto pi ampio fra le filosofie di Fichte e
quella di Hegel, cfr. R. LAUTH, Hegel vor der Wissenschaftslehre, F. Steiner Verlag,
Stuttgart 1987.
9 R. LAUTH, La filosofia trascendentale..., cit., p. 53: Tutta la preoccupazione di Fichte negli
anni 1799-1804 fu respingere sia il realismo superiore (Jacobi-Bardili-Reinhold) sia lidealismo superiore (Schelling-Hegel) e di completare la filosofia trascendentale sviluppando una
dottrina dellassoluto.

249

studi

per dire la verit ed essere giusto10. In questo senso, in sostanza, il pensiero di


Fichte oltre ad essere chiaro anche molto vicino alla verit. La questione sollevata
pure da Hegel di vedere Fichte come il passaggio obbligato fra la filosofia di Kant e
la sua, appartiene soprattutto allo schema interpretativo triadico proposto da Hegel.
Infatti Hegel vede in Fichte il compimento (Vollendung)11 della filosofia di Kant, e
non un pensatore originale che aggiunge alla filosofia kantiana una novit che Kant
non aveva raggiunto. Se Fichte, come si vede dal testo della WL 1797, pensava che la
sua fosse una filosofia entro il kantismo, ci non significa che non si accorgesse
anche della sua novit. La filosofia trascendentale in Fichte continua ad essere vera
filosofia trascendentale, ma al tempo stesso prende le distanze rispetto a Kant e sviluppa argomenti originali.
Lunit Kant-Fichte proposta da Hegel ha un fondamento, ma forse ununit
troppo fortemente affermata. Lidealismo soggettivo una categoria che a Hegel
risulta chiara dal punto di vista del suo superamento nellidealismo assoluto e con la
mediazione di quello oggettivo. La domanda si pone quindi nella e sulla validit
dellinterpretazione triadica. Si deve aggiungere per che Kant consider la WL come
una pura logica12, cio senza vederla n in continuit n come compimento della
sua filosofia; e con ci sembra che i tre giudizi siano in parte discordanti fra loro:
Fichte si dichiara in buona misura kantiano, Kant non considera la filosofia di Fichte
un superamento della sua e Hegel, infine, stabilisce una connessione stretta fra le
due, in disaccordo con i giudizi di entrambi. Non questo il luogo per chiarire in
modo preciso la questione, ma soltanto sembra interessante notare che i momenti
hegeliani propongono uno schema storiografico che in questo caso oppure anche
in questo caso non sembra verificarsi completamente. La questione, come avremo
occasione di vedere a proposito del problema di Dio in Fichte, pi complessa, in
quanto la proposta filosofica di Fichte non pura conseguenza della filosofia kantiana n pura opposizione ad essa.
Allo stesso tempo i temi scanditi intorno al problema di Dio o dellAssoluto
nella filosofia fichtiana scoprono una dimensione che le prime edizioni della WL avevano annunciato, ma non avevano sviluppato in maniera rigorosa ed esauriente.
Anche se Hegel da parte sua aveva valutato criticamente le prime WL13 intorno al
1800, non aveva certo previsto lulteriore sviluppo della filosofia di Fichte in questi
temi. Anzi, la scissione fra finito ed infinito che preoccupa sia lHegel giovane sia
quello pi maturo, ha anche una risposta nella filosofia di Fichte, che si presenta in
modo diverso dallinterpretazione hegeliana riportata sia nella Differenz che nelle pi
tardive Vorlesungen.
10

Versuch einer neuen Darstellung der Wissenschaftslehre (=WL 1797), F. Meiner Verlag,
Hamburg 1984, p. 2 (SW, I, 420-421).
11 Cfr. G.W.F. HEGEL, Vorlesungen..., cit., 640.
12 I. KANT, Erklrung in Beziehung auf Fichtes Wissenschaftslehre, AK, XII, 370: Denn
reine Wissenschaftslehre ist nichts mehr oder weniger als bloe Logik, welche mit ihrem
Principien sich nicht zum Materialem des Erkenntnis versteigt, sondern von Inhalte derselben als reine Logik abstrahirt [...].
13 Cfr. G.W.F. H EGEL , Differenz des Fichteschen und Schellingschen Systems der
Philosophie, in Beziehung auf Reinholds Beytrge zur leichtern bersicht des Zustandes
der Philosophie zu Anfang der neunzehnten Jahrhunderts (1801), Jubilumsausgabe, I; trad.
it. a cura di R. Bodei, Mursia, Milano 1990.

250

Daniel Gamarra

1.2. Dal principio incondizionato allAssoluto


La filosofia di Fichte si presenta con una fondamentale dimensione riflessiva,
costituente e originante della filosofia come tale. La non accettazione della cosa in
s, cos come veniva proposta da Kant, rimuove lultimo ostacolo per fare del soggetto lambito dellinizio della filosofia14. Infatti, davanti alla cosa in s, il soggetto
doveva ricevere un qualcosa che non dipende da lui, davanti al quale il soggetto stesso passivo. Se la cosa in s viene tolta, si apre di conseguenza lo spazio per un inizio assoluto a partire da un solo principio: non cio dalla cosa in s e dal soggetto,
ma soltanto dal soggetto. Ma questo inizio deve rivestire appunto un carattere assoluto e allo stesso tempo deve essere trovato nellinteriorit soggettiva15.
Da questa premessa muove gi buona parte dello sviluppo della filosofia di
Fichte; inizio della filosofia, punto di vista della filosofia, esito della filosofia sono
tre momenti intimamente vincolati che dipendono dallunit della scelta filosofica di
Fichte. Infatti egli vuole fondamentare linizio assoluto ed incondizionato del sapere
in modo tale da poter ricavare cos un primo principio del sapere in generale16. Il
punto consiste nel fatto che Fichte distingue linizio della filosofia dallinizio del
sapere come tale. La filosofia infatti un sapere e come tale ha un principio o dei
principi che reggono lo sviluppo e le sequenze logiche. Ma la questione che Fichte
propone quando parla dellinizio del sapere non tanto quella dellinizio della filosofia, ma di un sapere che coinvolga la filosofia stessa in un grado pi alto di sinteticit. Questo lambito della dottrina della scienza: il sapere del sapere, la scienza
suprema il cui oggetto, per parlare in modo improprio, il sapere stesso17.
Da questo punto di vista la proposta fichtiana non una proposta metafisica nel
senso tradizionale del termine, giacch la preoccupazione del filosofo non quella di
indagare loggetto, la cosa che si presenta davanti al soggetto; si tratta piuttosto di
una ricerca riflessiva e allo stesso tempo originante del sapere18. In questo senso, la
dimensione filosofica in cui si muove Fichte assoluta, ma in modo diverso a quello
appunto della metafisica che trova lAssoluto come termine dellindagine filosofica e
come sviluppo dei principi primi della filosofia avendo come orizzonte la natura,
oppure la molteplicit del reale nel suo essere in s. Fichte pone la questione dellinizio del sapere in modo inverso, cio in quanto non si tratta di sapere qualcosa ma
soltanto di un sapersi, senza che per questo sapersi venga costituito attraverso la
distinzione di soggetto e oggetto19. La riflessione filosofica verso il primo principio
quindi una ricerca dellincondizionatezza del primo principio stesso, oppure una
ricerca condotta sulla possibilit di tale incondizionatezza. Se qualcosa saputo,
14

Cfr. Grundlage der gesamten Wissenschaftslehre (=GgWL), F. Meiner Verlag, Hamburg


1988, pp. 40 e 98 (SW, I, 120 e 172-173).
15 Cfr. Cfr. Wissenschaftslehre nova methodo (=WL 1798), F. Meiner Verlag, Hamburg 1982,
p. 7 (SW, X, 7).
16 GgWL, p. 171 (SW, I, 252-253): Auer dem Setzen des Ich durch sich selbst soll es noch
ein Setzen geben. [...] Un so ist denn die WL a priori mglich, ob sie gleich und objektive
gehen soll.
17 Cfr. WL 1798, p. 101 (SW, X ,127-128).
18 Cfr. WL 1798, p. 28 (SW, X, 33).
19 Cfr. WL 1798, p. 11 (SW, X, 12).

251

studi

conosciuto, la domanda si pone esattamente sulla possibilit fondante del sapere


come tale.
Il posto del primo principio del sapere definito, nella filosofia di Fichte, dalla
riflessione verso linteriorit soggettiva in modo trascendentale. Con ci Fichte si
pone in un punto di vista che ammette soltanto il sapere se intimamente giustificato
dal primo principio: ogni sapere devessere contenuto nella condizione trascendentale posta dal primo principio, non in quanto al suo contenuto oggettivo o empirico, ma
in quanto alla dipendenza e al collegamento con esso. Cio il primo principio del
sapere il solo sapere autogiustificato, perch autoevidente20. Se cos, il primo
principio non relativo, ma assoluto.
Il movimento filosofico della riflessione ha una direzione verso lalto e
allindietro, perch la WL si costituisce nella sua autofondazione: la realt del sapere
non si potrebbe paragonare tanto ad una acquisizione, quanto ad una riduzione ad
unum21. Il punto di partenza empirico di Fichte la pluralit del sapere umano, la
diversit delle scienze, il sapere volgare. Tutte le forme di sapere hanno in comune
una richiesta pi o meno modesta di verit e certezza. Ma al tempo stesso la certezza
di qualsiasi sapere dipende a sua volta dai principi ricevuti da un sapere superiore. Se
la questione della verit e della certezza posta in modo assoluto, cio come siano
possibili la verit e la certezza in se stesse, la giustificazione della risposta non pu
venire dalla cosa ma dal principio che costituisce il sapere. Sapere infatti un atto del
soggetto che ha colto un qualcosa che di solito pu essere rappresentato come un
davanti a s. Se si fa questione non di questo davanti ma di ci che rende possibile il
davanti stesso, troviamo la soggettivit in una dimensione non empirica in quanto
non determinata da nessun contenuto che appartenga allesperienza22. La via di
Fichte verso il primo principio del sapere una proposta trascendentale della soggettivit in cui trova la giustificazione di ogni certezza non per via oggettiva oppure
empirica, ma nel cogliere il nucleo attivo della costituzione di qualsiasi oggettivit.
In questo modo il primo principio del sapere un sapersi a cui si arriva non
oggettivando, ma nellannullamento delloggettivit; dietro questo annullamento si
trova soltanto latto costituente del sapere23. La WL questa scienza che ha come
compito lo svelare la struttura soggettiva trascendentale che autofondamenta se stessa
come istanza di sapere o di pensiero, al margine di qualsiasi oggettivit e come pura
attivit autoevidente.
Ma da sottolineare che lassolutezza del primo principio costituente del sapere, che attivo, autoevidente e non-oggettivo, unassolutezza rinchiusa nellambito
del finito. Infatti Fichte non afferma la realt di una istanza assoluta di ordine o natura ontologica, ma un assoluto che di carattere gnoseologico. La distinzione fra
ontologico e gnoseologico ha un valore limitato. Dire che lontologico , a questo
punto, abbandonato per affermare il carattere gnoseologico del principio, sarebbe
unaffermazione in un certo senso vera, ma non sufficientemente vera. Nelle prime
redazioni della WL Fichte aveva identificato il primo principio con lIo. Questo Io
20
21

Cfr. WL 1797, p.104 (SW, 524).


Die Wissenschaftslehre. Zweiter Vortrag im Jahre 1804 (=WL 1804), F. Meiner Verlag,
Hamburg 1986, p. 7 (SW, X, 93).
22 Cfr. WL 1797, p. 72 (SW, I, 492).
23 Cfr. WL 1797, p. 112 (SW, I, 533).

252

Daniel Gamarra

non ha nessun carattere sostanziale ma ha, in senso stretto, il carattere di principio


attivo autoevidente. Ci che Fichte cercava era appunto il superamento della distinzione soggetto-oggetto in ordine alla fondazione di un sapere assoluto in quanto non
dipendente da quella stessa relazione. Il posteriore sviluppo della WL aggiunge a
questa determinazione del principio il carattere di unicit, in quanto listanza ultima
anteriorit rispetto alla scissione soggetto-oggetto, oppure di pensiero-essere. In
fondo la caratterizzazione del primo principio nel suo carattere incondizionato una
descrizione ontologica dellIo: cio non si tratta di una questione di mera identificazione gnoseologica di un incondizionato, bens di un raggiungimento di una realt
spirituale che si determina in un atto finito non condizionato, cio ultimo24. Perci
lassolutezza dellincondizionato rivela in realt un atto finito che autoevidente: la
sua evidenza non dipende dalloggetto pensato, la sua ultimit non riguarda il carattere di causa del reale, ma comunque si presenta come reale e non-oggettivo, riflessivo
e non-relativo: assoluto e finito25.
Costringere il primo principio nei limiti della finitezza dargli carattere reale di
pensiero o di atto ultimo che fondamenta ogni sapere; la sua assolutezza non tuttavia linfinitezza di un essere al di l del finito o del mondo. Ma questo assoluto, che
allo stesso tempo atto finito e incondizionato, pone la questione dellAssoluto come
la propria negazione. Il primo principio del sapere, lIo, non ha natura di fondamento
ontologico del reale, ma soltanto di fondamento del sapere, in quanto il sapere viene
geneticamente sviluppato da esso. Ma in un successivo approfondimento della WL
Fichte, soprattutto dopo lAtheismusstreit, comincia a sentire e a manifestare tematicamente la nostalgia dellAssoluto che si colloca al di l della finitezza. Se la riflessione aveva portato Fichte fino alla radice del sapere, alla determinazione del principio della WL, essa adesso lo induce, dopo il momento di fondamentazione sistematica del sapere e della deduzione genetica della coscienza, allindagine trascendentale
dellAssoluto come altro dalla soggettivit26. Il punto di vista continua ad essere per
lo stesso: in certo modo la domanda si porr come la possibilit di affermazione
dellAssoluto, sulla condizione di tale affermazione dal punto di vista del finito. E
certamente se la genesi trascendentale aveva dato ragione della totalit degli atti del
soggetto, i concetti devono in questo momento cambiare in modo abbastanza radicale, giacch non si tratta per lappunto di una deduzione n di una genesi, ma di pensare il rapporto di origine del pensiero stesso riguardo ad una certa alterit. Trovare Dio
o affermare lAssoluto senza abbandonare il punto di vista finito il compito di cui
Fichte si fa carico a partire dal 1799-1800. Il principio incondizionato del sapere gli
ha permesso di trovare la WL; occorre ancora vedere se la WL gli permette di andare
oltre senza abbandonare se stessa.
Ma a questo punto abbiamo diversi concetti non ancora strutturati in modo
adeguato. Il punto di vista di Fichte quello del sapere, e per trovare il principio
primo e inconfutabile del sapere stesso ha percorso il cammino della riflessione tra24

Lultimit del principio incondizionato la conclusione di un interno vedersi del soggetto;


questo non definisce che in s ogni sapere implichi ogni esclusione delloggetto oppure ogni
riferimento oggettivo e anche allesperienza. Ci che afferma Fichte che listanza oggettiva
oppure quella esperienziale non ultima e con ci non offre un carattere autogiustificantesi.
25 Cfr. Darstellung der Wissenschaftslehre. Aus den Jahren 1801/02 (=WL 1801), F. Meiner
Verlag, Hamburg 1977, p. 34 (SW, II, 27-28).
26 WL 1801, pp. 188-189 (SW, II, 132); p. 190 (SW, II, 134-135).

253

studi

scendentale fino allidentificazione di un principio teoretico incondizionato del


sapere che il sapere che sa se stesso; il che a sua volta possibile in quanto c un
atto di pensiero che si pone come primo e autoevidente: lIo, la coscienza nel suo
momento trascendentale, costituiscono il momento primo del sapere. In questo
modo il principio incondizionato si rivela in possesso di una certa assolutezza, e
perci definisce un ambito di sapere assoluto. Lintroduzione invece di un Assoluto
che pu essere affermato come un al di l della coscienza, non significa unespansione della coscienza e del suo atto fino allAssoluto, ma unaffermazione a partire
dallunit del concetto di sapere. Il sapere sempre sapere-di: ma se c un Assoluto
come tale, il sapere, se rimane nel suo punto di vista finito, non pu costituirsi come
assoluto per il fatto che si trova in possesso dellAssoluto anche se il sapere pu
essere un sapere assoluto27. Lassolutezza del sapere non sapere dellAssoluto,
anche se si costituisce come sapere assoluto. Unit e incondizionatezza del principio, sapere assoluto e Assoluto sono categorie che non si possono scambiare fra loro
come se ci fosse ancora una categoria superiore che rendesse ragione di una unit di
prospettiva. Ma il cammino del sapere non costituisce comunque unaffermazione
assoluta della autosufficienza del sapere, nel senso che inevitabile dallinterno del
sapere stesso la presenza di una alterit che si mostra soltanto nel sapere28. In questo modo lAssoluto secondo Fichte lAssoluto del sapere-in-s29. Lio o soggetto
si relaziona allAssoluto come una immagine: c fra lAssoluto e lIo un rapporto
manifestativo30.
Ma prima di continuare con questo tema qui appena introdotto, ci soffermeremo
a chiarire uno dei problemi contenuti in questa serie di tesi: quello dellunit teoretico-pratica del principio incondizionato del sapere in quanto dimensione unica (o unitaria) della soggettivit. dallunione di queste due dimensioni che il concetto di
immagine, oppure quello di manifestazione (Erscheinung) sviluppato da Fichte
con la finalit di chiarire il rapporto dellIo con lAssoluto , giunge, attraverso la
Dottrina della scienza, a determinare pi esattamente la portata dellaffermazione
fichtiana di Dio.

1.3. Teoria e realt del primo principio


Se una ricerca filosofica o scientifica che sia si propone di cercare il primo prin27

WL 1801, p. 29 (SW, II, 22): Das Wissen ist nicht das Absolute, aber es ist selbst als
Wissen absolut.
28 G. RAMETTA (a cura di), J.G. FICHTE: Privatissimum 1803. Dodici lezioni sulla dottrina
della scienza, Edizioni ETS, Pisa 1993, Introduzione, p. 37: dallinterno della prospettiva
trascendentale emerge dunque la necessit di porre, per spiegare il sapere e per non saltare irreflessivamente oltre di esso, un uno veramente essente, un vero originario, che
necessariamente assume la determinazione della verit solo allinterno del sapere e come
sapere, ma che appunto proprio per questo si manifesta, attraverso il sapere, come lindeducibile implicato, principio e presupposto di questultimo.
29 WL 1804, p. 237 (SW, X, 277).
30 R. LAUTH, La filosofia trascendentale..., cit., p. 45: La Wissenschaftslehre 1804 mostra che il
supremo punto di unit della Dottrina della scienza lautocoscienza non nella sua immanenza, ma come manifestazione (Erscheinung) dellassoluto; la Dottrina della scienza si situa nel
punto di unit e di congiunzione del sapere e della verit assoluta rivelantesi in esso.

254

Daniel Gamarra

cipio come punto di partenza, la cui conoscenza necessaria per andare avanti nel
conoscere, si pensa immediatamente ad un principio che deve soddisfare una esigenza appunto conoscitiva. Nella Dottrina della scienza di Fichte questa dimensione
viene profondamente potenziata. La WL infatti ha una sola possibilit di giustificarsi:
la sua devessere una autogiustificazione; il suo principio non si trova al di fuori di
essa; anzi, la giustificazione specificamente uno sviluppo del suo proprio concetto.
Questo una necessit del primo principio e della Dottrina della scienza come sapere primo, oppure come sapere del sapere; se la WL si trova in grado di poter sviluppare la nozione propria di WL verr dunque (auto)giustificata, altrimenti essa stessa non
sar sapere primo.
Accanto a ci, oppure implicitamente in questa posizione fondamentale, la WL
si d, di conseguenza, il suo proprio oggetto. Nel riflettere in modo radicale, sembra
che Fichte non lasci spazio a nessuna immagine, a nessun oggetto che non sia il sapere autogiustificantesi: non appare in quella riflessione se non la riflessione appena
distanziata da qualsiasi oggettivit. Perch infatti non si tratta di una riflessione autocoincidente oppure che nel suo esercizio si sovrapponga a se stessa annullando assolutamente ogni doppia dimensione di oggetto e riflessione. Ma invece si assiste ad
una donazione oggettuale che si costituisce nel riflettere stesso. Come Fichte propone
nella prima WL, cio nella Grundlage, la esperienza attraverso la quale appare il
primo principio la proposizione A=A, non attraverso il suo contenuto bens attraverso lidentit. Che A A non significa altro, in ordine alla fondazione del principio, che A posto, e latto del porre si rivela fondamentale in quanto il giudizio
stesso, lattivit del giudicare non in senso psicologico ma come radicale attivit soggettiva fondante31: lIo che giudica e nel giudicare coglie il fatto fondamentale (trascendentale) dellaffermare stesso, oppure coglie se stesso in quanto autore dellatto
fondamentale che si rivela nel giudizio32.
In questo modo landare indietro verso il primo principio che possa fondamentare il sapere in modo assoluto, non soltanto permette di trovare a Fichte un principio
incondizionato del sapere che sa se stesso, ma anche latto fondamentale del porre: il
principio teoretico della WL inseparabile dal fatto fondamentale dellattivit dellIo.
Anzi, lIo tale nellagire attraverso cui pone il primo principio: la filosofia si procura scientificamente non solo il proprio oggetto, ma anche il pensiero delloggetto33.
Questa bi-dimensione del primo principio una costante nel pensiero di Fichte. Con la
tematizzazione di entrambi i problemi cambier la terminologia e in un certo senso
alcuni suoi interessi speculativi, entro lunit sostanziale del suo pensiero; ma ci che
non cambier affatto sar la tesi che il fondamento del sapere attivo, e che in ci
combacino sia la teoricit del principio sia la sua praticit34. Il pensare pensiero-di, o
31

Cfr. GgW, Erster Teil, 1 (SW, I, 91-101); ivi, p. 16 (SW, I, 96): Also das Setzen des Ich
durch sich selbst ist die reine Ttigkeit desselben. Das Ich setzt sich selbst, und es ist,
vermge diese bloen Setzens durch sich selbst [...].
32 WL 1797, p. 41 (SW, I, 461): [...] in diesem Akte (di pensare) [...] sieht der Philosoph sich
selbst zu, er schaut sein Handeln unmittelbar an, was er tut, weil er es tut.
33 R. LAUTH, La filosofia trascendentale..., cit., p. 43.
34 A. PHILONENKO, Loeuvre de Fichte, cit., pp. 34-35: Le Moi sera donc effort infini, parce
que quon nen a jamais fini avec le monde, mais parce que tout effort suppose une limitation quil doit franchir. [...] Le Moi doit tre absolument pour soi, donc libre; e anche p.
37: [...] le Soi est dfini par Fichte comme effort infini (unendliches Streben). La libert

255

studi

anche nella sua prima istanza principiale, pensiero che si pensa oppure pensiero che
riflette; il pensare inseparabile dalla sua dimensione di opposizione a ci che pensa e
nellopporsi si vede la dimensione e il motivo fondamentale della sua realt come atto.
Sia che questa attivit venga prima concettualizzata come sforzo sia come libert, ha
sempre la dimensione originaria della realt soggettiva come realt in atto: cio,
secondo Fichte, non esiste un atto del soggetto che non implichi allo stesso tempo la
realt e lesercizio dellatto primo35.
Se la WL si propone di dedurre la totalit delle forme di pensiero in modo tale
da unire ogni manifestazione di pensiero al primo principio incondizionato, tale compito spetta anche alla libert o allattivit pratica dellIo non in modo per secondario
o conseguente, ma in modo originario e a livello pi alto di quello del pensiero riflettente; in questo modo Fichte ha unificato sia la prospettiva del sapere in quanto al
fondamento, attraverso il superamento della distinzione soggetto-oggetto; ma andato anche oltre la distinzione sapere-atto pratico della libert, in quanto approdato alla
dimensione comune attiva non per astrazione ma in quanto raggiungimento dellorigine comune dellattivit dellIo. La storia pragmatica dello spirito umano36, come
Fichte ha definito la WL, la deduzione viva del sapere attraverso la necessit delle
forme di pensiero37.
E questa unit originaria dello spirito ha, nella questione dellAssoluto,
unimportanza fondamentale. Come avremo occasione di vedere, la posizione
dellAssoluto senzaltro lal di l del sapere, in quanto la Dottrina della scienza
per lappunto una teoria del sapere: lAssoluto in un certo senso ci che non saputo giacch infinito e in quanto non-sapere; ma la posizione dellAssoluto spetta
anche, e principalmente, allattivit dellIo come attivit unica e originaria, in modo
tale che lAssoluto non si rapporti anche se in modo negativo soltanto al sapere
ma anche alla libert: questa vive nellancora della storia e nella soggettivit finita, e
ha anche il carattere di sforzo infinito, di tendenza non (mai) compiuta. La presenza
dellAssoluto, limmagine, nella soggettivit non altro che la presenza del divino
nellattivit originaria del soggetto. Il che comunque non significa per Fichte che
lAssoluto si presenta nel soggetto in modo tale da condizionare necessariamente o
determinare sia il sapere che la vita pratica o morale donando un contenuto o una
rappresentazione determinata. Qui si dovrebbe ritornare in un certo senso ad una
distinzione precedentemente riferita fra dimensione ontologica e gnoseologica
dellIo: ma si dovrebbe aggiungere una dimensione ulteriore cio quella morale. Cos
per come il principio gnoseologico rivela la natura dellIo e in un certo senso il
pensare Io, cos in questo momento la natura dellIo viene piuttosto costituita sia
dal pensare che dalla libert, o, se si vuole andare allultima piega dello spirito,
est linvitation permanente lexistence et ce titre la libert est un devoir qui comprend en
lui-mme sa propre rcompense: elle est pretium sui et Fichte doit ici se sparer de Kant
[...].
35 Die Principien des Gottes- Sitten- und Rechtslehre, F. Meiner Verlag 1986, p. 96: Setzen
Sie dieses Princip der Genesis als einen Vernunftschlu: ich frage, welches ist seine absolut
vorauszusetzende Prmisse: Offenbar: Das Denken kommt gar nicht durch sich selber zum
immanentem Seyn [...] sondern nur durch ein fremder Princip, das Soll [...].
36 Cfr. GgWL, p. 141 (SW, I, 222).
37 Cfr. M. GUEROULT, Lvolution et la mthode de la doctrine de la science chez Fichte,
Olms, Hidesheim 1982 [reprint], I, p. 160 e ss.

256

Daniel Gamarra

dallattivit originaria comprendente sia lattivit intellettuale che quella morale38,


come immagine dellAssoluto.
Siccome la presenza dellAssoluto non diretta ma, attraverso la mediazione
dellimmagine, lAssoluto stesso condiziona la vita soggettiva nella misura in cui il
soggetto raggiunge attraverso la WL la consapevolezza delle potenzialit dellattivit
originaria. La questione che a questo punto la WL cambiata rispetto alla prima
impostazione data da Fichte, nel senso che ha subito un ampliamento nello scoprire
una dimensione della soggettivit che nel primo percorso della WL si era mostrata
solo parzialmente. Linteresse di Fichte era sempre stato la libert39, ma anche la
libert e la fondazione dellagire morale stata una scoperta sul filo della WL. Se
limpostazione delle prime WL concentrano linteresse e largomentazione da un
punto di vista pi teoretico rispetto alla Dottrina della scienza, dopo gli anni 17991800 Fichte si rende conto che con i principi della WL ha in mano i principi
dellagire libero e che la dimensione corrispondente allaffermazione dellAssoluto di
cui ha bisogno il sapere, si presenta anche davanti alla soggettivit come tale a partire
dal suo carattere di principio attivo. Comunque la natura attiva della soggettivit,
dellIo, non si configura soltanto come un guardare ci che si mostra davanti alle sue
potenzialit. In primo luogo perch lAssoluto non si mostra in se stesso, daltra parte
perch questo guardare non adatto a penetrare la natura dellAssoluto; cos
lAssoluto si presenta mediato, ma la mediazione come tale concentra il suo esserci
nel nucleo dellattivit originaria del soggetto. Se questa attivit non viene appunto
attivata, la presenza dellAssoluto non sar possibile. In questo modo, lIo raggiunger quel tanto di Assoluto (mediato) a seconda di quanto la sua attivit in quella
direzione sia stata un compito liberamente esercitato sia riguardo al sapere che alla
vita morale. Il soggetto che invece non cerca di mettere in atto la WL non raggiunger n una vita veramente dotta, n una vita pienamente morale. Perci lunit teoretico-pratica della WL che si presenta nelle sue prime formulazioni in modo piuttosto oscuro riguardo alla dimensione antropologica complessiva dellIo, si estende
comunque lungo tutto il percorso della WL e della filosofia popolare di Fichte. Il
fatto che dopo alcuni anni in cui non aveva lavorato in modo diretto alla WL, cio gli
anni della filosofia della religione e della filosofia della storia, Fichte ritorni alla WL,
permette di vedere che verso il 1810 la ripresa della WL ha un fondamentale carattere
sintetico e riflessivo su unopera che si era gi molto avvicinata alla sua completezza.

1.4. Presenza e immagine


La filosofia di Fichte nel periodo di Jena non tratta in maniera decisa il problema dellAssoluto, anche se non si pu negare che in un certo senso la via intrapresa
38
39

Cfr. WL 1801, pp. 194 e ss. (SW, II, 136).


In questo senso le motivazioni profonde del pensiero di Fichte si devono cercare in collegamento con il superamento del necessitarismo spinoziano e nella scoperta della ragione
pratica in Kant: la sua filosofia ha unintenzione pratica fin dallinizio anche se nelle prime
WL questa intenzione rimane in certo senso oscurata; di questa difficolt sono testimoni i
primi interpreti della sua filosofia ed stata soltanto la critica storica sviluppata negli ultimi anni a far luce definitivamente su questo aspetto. Cfr. L. PAREYSON, Fichte. Il sistema
della libert, Mursia, Milano 1976, pp. 73 e ss.

257

studi

aveva come fine, o almeno come uno dei suoi fini, il raggiungimento di una dimensione assoluta al di l della soggettivit40. La prima WL pone laccento e linteresse
speculativo nella determinazione dei principi del sapere e nella determinazione delle
sue leggi strutturanti; per ottenere ci Fichte procede nella deduzione dei modi necessari del pensiero e delle sue azioni necessarie. La questione comunque dellorigine,
della radice del sapere e dellintelletto viene presentata quasi in modo negativo, cio
velatamente mostrata, mentre si accusa soprattutto una assenza: la mancata apparizione del problema dellAssoluto diventa cos la necessit della sua apparizione.
Invece la riflessione del pi lungo periodo di Berlino viene configurata e decisamente dominata da questo problema: lAssoluto, la sua manifestazione nel sapere,
la sua presenza vitale41. Le WL del 1801 e del 180442 offrono due prospettive sulla
questione. Pi che trattarsi comunque di due punti vista che partono da posizioni
separate o distanziate fra loro per avvicinarsi ad una stessa questione, esiste fra i due
testi un rapporto di continuit: nel 1804 Fichte riprende la tematica sullAssoluto a
partire dai risultati della WL 1801. Si tratta di un momento di fondamentale importanza per capire la totalit del pensiero fichtiano43: c qualche autore che ha definito
questo momento come un periodo mediano44 della filosofia fichtiana; la questione
sostanziale comunque che in questo momento Fichte matura quella posizione che
sembrava di una immanenza assoluta della coscienza45 per assumere un punto di
vista che non si identifica neanche in un punto di vista dellAssoluto, ma nel punto di
unione della coscienza con la sua giustificazione ultima, cio col suo fondamento.
La tematica dellAssoluto si pone quindi attraverso la necessit di riunire la pluralit del sapere, che la coscienza finita diversifica, in un solo sapere e che non pu
non avere se non un solo principio. E cos come entro il limite della finitezza il prin40

Cfr. J. CRUZ CRUZ, J.G. Fichte: Doctrina de la ciencia, traduzione e introduzione, Aguilar,
Buenos Aires 1975; qui, Introduccin, p. XXXIII.
41 Id., p. XIII: El saber finito pulveriza la realidad en s de las cosas y, al hacerlo, necesita de
una realidad, un esse in mero actu (SW, X, 206), que le d consistencia.
42 Cfr. J. WIDMANN, Die Grundstruktur des transzendentalen Wissens nach J.G. Fichtes
Wissenschaftslehre 1804, Meiner, Hamburg, 1977.
43 R. LAUTH, Le problme de linterpersonalit chez J.G. Fichte, Archives de Philosophie,
25 (1962), p. 325: Malgr limportance de quelques travaux sur la dernire philosophie de
Fichte [Loewe, Gurtwitsch, Guroult], il rgne encore aujourdhui un prjug tant du point
de vue de lhistoire de la philosophie systmatique, qui identifie purement et simplement la
philosophie de Fichte avec la forme que la WL a trouve dans la Grundlage de 1794;
lapprofondissement et la nouvelle forme quelle a trouve ensuite viennent, pense-t-on, de
motifs extra-philosophiques, religieux que lon croit pouvoir ignorer. Cette fausse intrpretation ne rend pas justice lintense travail purement scientifique auquel se livra Fichte
Berlin de 1801 1804 pour achever le systme de la WL.
44 Cfr., p.e., G. RAMETTA, J.G. Fichte: Privatissimum..., cit., Introduzione, pp. 39 e 69.
45 limpressione che causa la lettura della prima WL, in cui difficile vedere le possibili successive aperture che vengono mostrate da Fichte pi tardi negli sviluppi della WL e in alcuni altri
scritti come, ad e., quelli di filosofia popolare. Perci come criterio ermeneutico non serve
badare tanto alla distinzione fra periodi e momenti diversi delle opere di Fichte, ma soprattutto
alla sua unit la cui analisi ammette nonostante ladoperare un criterio genetico, di collegamento
interno delle diverse tesi esposte da Fichte; ma anche il punto di vista della genesi implica lidea
di unit. Daltra parte le critiche che si possono muovere al sistema della WL nascono anche da
questa prospettiva, giacch prese separatamente alcune sue tesi godono del favore dellincompletezza riguardo ad una valutazione che potrebbe chiedere il diritto di vera interpretazione.

258

Daniel Gamarra

cipio della WL si erano mostrati allo stesso tempo con validit teoretica e con una
dimensione pratica, anche nellapparizione della questione dellAssoluto questi due
motivi si trovano uniti. Se il sapere nella dimensione finita diversificato, lo
anche la vita, cio lattivit originaria della soggettivit, fondamento del sapere e
della libert. La prospettiva che spinge Fichte a cercare una spiegazione al di l della
finitezza, ma entro la finitezza, abbraccia pure questi due aspetti; o per meglio dire,
abbraccia lunico aspetto reale dellIo: la sintesi di prassi e teoresi, la precedenza
dellorigine prima della divisione dellattivit originaria del soggetto, giacch se il
sapere e la vita si considerano nella loro dimensione finita, la domanda sullorigine
deve mostrare listanza di unit di sapere e di vita. Ma la dimensione assoluta della
vita non pu che mostrarsi, cio non pu presentarsi apertamente nella sua infinitezza cos come essa , in quanto che il mezzo della sua presenza la coscienza e la vita
finita. In questo senso si stabilisce in Fichte una dialettica di origine assoluta-apparizione in cui infatti lapparizione lapparire dellorigine ma in quanto apparire; pi
esattamente, lAssoluto si manifesta (Erscheinung, Sicherscheinung). La manifestazione manifestazione dellAssoluto come vita e sapere, cio manifestazione finita:
se la manifestazione fosse infinita, non sarebbe in senso stretto manifestazione ma si
identificherebbe con lAssoluto stesso nella sua forma originaria di principio; ma
questo implicherebbe che il finito fosse infinito46. La manifestazione perci anche
negativit: lapparire allo stesso tempo lessere occulto, ci che non appare e si
nasconde nellapparire stesso. Ma come si pu vedere anche da queste considerazioni, lAssoluto, o meglio, la possibilit della sua affermazione, viene data e proposta
in chiave negativa al di l o prima della dialettica manifestazione-nascondimento.
Infatti lAssoluto viene negativamente trovato, o negativamente affermato, giacch
laffermazione come tale riguarda il contenuto del concetto oppure lattivit dellIo.
Questo non pu, in prospettiva trascendentale, giungere allAssoluto in modo affermativo; la ricerca invece dellunit che lo stesso Io non capace di dare47, in senso
vero e proprio, alla totalit del reale e del sapere, viene condotta da Fichte attraverso
una via negationis perch lAssoluto non ammette altra affermazione che la negazione della finitezza. Da qui nasce anche la forza che ha nel pensiero fichtiano la riflessione sullimmagine, e le riflessioni sulla luce e la vita che si manifesta nel finito48.
46

O almeno che il finito si mettesse nella prospettiva dellinfinito e tentasse di capire se stesso
e lAssoluto da un punto di vista che appartiene soltanto allAssoluto. Questo potrebbe essere il punto di vista di Hegel; Fichte invece, pur ammettendo un punto di vista unico, cio
quello trascendentale, non adopera un punto di vista al di fuori del finito e in questo modo si
delinea la possibilit dellaffermazione di una determinata unit di finito e infinito senza
compromettere lindipendenza della finitezza.
47 Su questo dare possibile (o impossibile) per il soggetto, si gioca buona parte dellinterpretazione del pensiero di Fichte; non posso adesso entrare nella questione, ma in modo molto
generico si potrebbe dire che differisce dal porre e che non ha un senso ontologico ma trascendentale; il dare trascendentale appartiene al soggetto, a sua completa disposizione, e il
soggetto stesso deve dare essenzialmente, il che sarebbe un darsi, che lo costituisce trascendentalmente.
48 WL 1804, p. 236 (SW, X, 276): Gewiheit oder Licht ist unmittelbar lebendiges Princip,
also reine absolute Einheit, eben des Lichtes, welche durchaus nicht weiter beschrieben,
sondern nur vollzogen werden kann [...]. Anche, p. 231 (SW, X, 272): Jetzt erst sind wir
auf einen Charakter des Lichtes gekommen, durch welchen es sich ummitelbar zeigt, als
Eins mit dem oben eingesehenen Sein: die Gewiheit rein und fr sich, und als solche.

259

studi

In altri termini, abbondare sullAssoluto non che una ermeneutica della differenza
del finito.
La prospettiva del sapere quindi quella della possibilit della manifestazione:
la realt in s, ci che uno in s, appare nellIo come Io. Perci Fichte non ha
adesso inconvenienti nel parlare di Essere puro o di Essere assoluto: essere non come
categoria dellesistenza percettibile; non come qualcosa di oggettivo, ma come origine del sapere: non un oggetto del sapere, qualcosa che pu diventare cosciente, ma la
vita condizionante la totalit del sapere effettivo49. Perci, cos come aveva dedotto
tutte le azioni necessarie dellIo a partire dal primo principio della WL, Fichte adesso
si trova davanti al compito di giustificare la totalit del sapere a partire dalla sua origine, utilizzando non il punto di vista dellorigine stessa e in quanto tale, ma quello
della sua manifestazione: si tratta di una nuova genesi del sapere in cui questo appare
come manifestazione dellorigine. E cos come la sua manifestazione tale in quanto
sapere, lo altrettanto in quanto vita, cosicch il sapere altro non se non la vita
manifestata come luce. In questo senso le categorie di Vita e di Luce compaiono
allinterno della dialettica della manifestazione, cio come esplicazioni del rapportodi-immagine dellessere finito con lAssoluto. LEssere come origine Assoluto; c
anche un sapere assoluto che non lEssere ma lEssere implicito nel sapere come
origine e manifestazione; cos Fichte ha posto il rapporto con lEssere non come
qualcosa che corrisponde al mondo empirico, ma come qualcosa che ha a che vedere
con lIo e con la sua riflessivit. Lascesa alla WL, ai suoi principi, continua ad essere
un compito proprio ed esclusivo del finito, come ascendere riflessivo e libero;
lEssere originante che in s e per s, non appare come tale nel sapere, ma
questultimo lunica dimensione possibile della sua apparizione. In un certo senso
vero che la visione dellEssere limitata alla condizione soggettiva, ma anche vero
che il contenuto del sapere non altro che lEssere: la coscienza sua immagine,
oppure la presenza dellAssoluto immagine, in modo tale che la coscienza la presenza dellAssoluto giacch unita ad esso come alla sua fonte ed origine50.
La molteplicit ricondotta allunit nellambito del sapere segna la conquista di
una dimensione ulteriore della soggettivit nella sua propria interiorit. E questa
nuova dimensione implica il carattere di autodistinzione reciproca: lAssoluto non
lIo, lIo non lAssoluto. Mentre la presenza dellAssoluto come sapere assoluto
la presenza-di-immagine, o lessere-di-immagine.

2. Assoluto, immagine e apparizione


2.1. La considerazione metafisica dellimmagine
Il problema di Dio in Fichte pu essere esaminato nella prospettiva, gi prima
49
50

J. CRUZ CRUZ, J.G. Fichte: Doctrina de la ciencia, cit., Introduccin, p. XXXIII.


M. IVALDO, LAssoluto e limmagine, Studium, Roma 1983, p. 33-34: [...] siffatta affermazione [dellAssoluto] non potr avvenire alla maniera di una presa diretta e immediata
dellAssoluto stesso, ma alla maniera di una riflessione e radicalizzazione del sapere in
quanto forma, immagine, vivente compenetrazione di pensiero e di vita.

260

Daniel Gamarra

accennata, della dialettica uno-molteplice51, e si tratta di una prospettiva che nella


filosofia fichtiana risulta necessaria. Al tempo stesso, e premettendo la questione
unit-molteplicit, si pu giungere al problema di Dio attraverso la considerazione
metafisica dellimmagine52. Ma questo raggiungere il problema di Dio, o porsi in
modo giustificato il problema di Dio, non significa per Fichte dimostrarne lesistenza
e neanche penetrarne lessenza. Sia luno che laltro compito non appartengono alla
filosofia trascendentale cos come Fichte la concepisce. La questione invece diversa, ma non meno decisiva.
La questione dellAssoluto nasce da una istanza di unit e di unificazione radicale del molteplice finito. Il sapere nel finito si rispecchia in modi diversi ma sempre
limitati. Lascesa verso il primo principio della WL invece un tentativo di giustificazione dellunit del molteplice dal punto di vista del sapere, cio il raggiungimento
dellunit ha un carattere chiaramente riflessivo. LIo che si trova in fondo al percorso della Dottrina della scienza allo stesso tempo il principio che la rende possibile. La riflessivit in generale la possibilit di ricondurre, nellambito della filosofia
trascendentale, il relativo al suo fondamento, e con ci viene determinato anche il
modo di procedere metafisico. Questo non pu prescindere dalla riflessivit dellIo in
quanto questa costitutiva della filosofia stessa, o meglio della Dottrina della scienza.
Il problema dellAssoluto viene anche assunto in questo modo di procedere; il
concetto di immagine come un qualcosa di dipendente da unaltra realt, per cos
dire, principale o superiore, porta con s lidea di una discesa: limmagine ci che
riflette ci che non immagine ma che semplicemente . Limmagine esiste se da
una parte c qualcosa che rifletta, e se c qualcosa che si possa riflettere.
LAssoluto nella sua manifestazione immagine, ma limmagine dellAssoluto non
viene costituita da una discesa dellAssoluto verso e fino al finito. Fichte ripete in
molti modi che lapparizione apparizione dellAssoluto, cio che la manifestazione
sempre manifestazione dellAssoluto nella vita dellIo. Ma ci che non sempre
spiega il rapporto esistente fra lAssoluto e la sua manifestazione53. Dal punto di
vista dei principi della WL e cio dal punto di vista trascendentale, lelemento teoretico che viene fuori nel problema dellAssoluto quello della discontinuit fra
lAssoluto e il finito, cio fra il mondo dellIo e la dimensione fuori da ogni possibile
oggettivazione. Con ci ci troviamo nella situazione in cui lAssoluto si manifesta
come immagine, ma al tempo stesso sembra incomunicabile con ci in cui si manifesta. Daltra parte, la riflessivit dellIo arriva al limite della molteplicit al di l della
quale dovrebbe esserci il fondamento, ma non c esperienza del fondamento e il
primo principio della WL si manifesta come attivit finita. LIo cio non raggiunge
riflessivamente lessere dellAssoluto in quanto tale. Invece ci che viene da lui raggiunta limmagine come condizione dellapparizione dellAssoluto; la filosofia
51

Cfr. A. MASULLO, Luno e i molti nella fichtiana filosofia del soggetto: Individualit, pluralit, comunit, in V. MELCHIORRE (a cura di), LUno e i molti, Vita e Pensiero, Milano 1990,
pp. 337-369; e anche, F. MOISO, Unit e identit nel tardo Fichte, ibid., pp. 371-404.
52 Cos lo propone anche M. VET, Idalisme et thisme dans la dernire philosophie de Fichte.
La Doctrine de la science de 1813, Archives de Philosophie, 55 (1992), pp. 263-285; qui,
p. 264. Il suo comunque un punto di vista che mira soprattutto a slegare la prospettiva metafisica da una meramente storiografica, senza riferimento alla questione uno-molteplice.
53 Cfr. W. JANKE, Fichte. Sein und Reflexion. Grundlagen der kritischen Vernunft, Walter de
Gruyter, Berlin 1970.

261

studi

fichtiana dellAssoluto una filosofia della presenza non attraverso la prova diretta
del Dio che crea o agisce nel mondo, ma attraverso la sua affermazione indiretta di
cui limmagine il nesso.
Se quindi, da una parte, troviamo in Fichte la necessit dellaffermazione
dellunit come superamento della molteplicit e del relativo, dallaltra parte, il punto
di vista dellIo riflessivo si rivela come il costitutivo della WL e perci come il suo
limite invalicabile: lAssoluto pu entrare in scena dallIo per il quale non possibile
trascendersi o annullarsi, cio arrivare realmente a Dio oppure far scomparire latto
proprio dellIo perch avvenga un atto rivelatore dellAssoluto stesso.
La considerazione dellimmagine ha quindi una portata metafisica in questo
senso: si tratta di ricavare dallimmagine ci che a partire dallimmagine altro e che si
manifesta in essa, ma che allo stesso tempo si trova fuori della portata dellIo. Da qui
che la questione dellimmagine pu invitare alla considerazione dellimmagine in
quanto immagine, del rapporto immagine-essere, e quello di immagine come immagine
di Dio. Ci che R. Lauth ha denominato hhere Wissenschaftslehre54 indica in un certo
senso il punto di vista sintetico dellimmagine, anche se in senso stretto la dottrina
della scienza superiore non sidentifica con limmagine, ma consiste soprattutto nel
punto di vista trascendentale in cui si uniscono il momento ascendente verso lAssoluto
e il punto di vista deduttivo che a partire dal momento supremo dellascensione giustifica la totalit del reale55. Comunque il momento pi alto della WL, cio il momento
sintetico, evidente per se stesso; si tratta appunto di un intuitus che in un certo senso
supera anche il momento riflessivo dellIo in un atto unico. Ma questo momento, che
il risultato della riflessione, mostra appunto limmagine come essenzialmente determinata dalla manifestazione dellAssoluto e come condizione di possibilit di tale manifestazione. A partire da questo punto superiore in cui limmagine viene costituita come
evidenza, si pu iniziare il movimento di discesa dellAssoluto verso il finito56.

2.2. Considerazioni sullAssoluto


Limmagine ha quindi questo ruolo in un certo senso mediale: il che significa,
54
55

Cfr. R. LAUTH, Le problme de linterpersonalit chez J.G. Fichte, p. 327.


J.M. MANZANA MARTINEZ, LAbsolu et son apparition absolue daprs la Doctrine du
savoir de 1812 de Johann Gottlieb Fichte, Archives de Philosophie, 28 (1965), p. 391:
Par la Doctrine suprieure du savoir la philosophie transcendentale se convertit en philosophie de la transcendance (selon Fichte, en lunique philosophie possible de la transcendance), en tant quen elle la totalit du rel apparat possible seulement en se transcendante: partir de lAbsolu et vers lAbsolu existant.
56 J.M. MANZANA MARTINEZ, LAbsolu et son apparition absolue..., cit. p. 392: Ce mouvement rgressif pourrait tre appel contemplatio creaturarum sub specie aeternitatis vel
Dei en opposition au mouvement ascendant: demonstratio Dei ex creaturis. Anche se
queste espressioni sono suggerenti e invitano a riflettere su dimensioni metafisiche, sembra
che abbiano in Fichte un carattere quasi metaforico, o che comunque non possono essere
considerate in senso metafisico stretto. In qualche modo la proposta di Fichte rimane sempre nella prospettiva del finito anche se in esso si colga qualcosa dellAssoluto. Pi appropriata sembra invece, se si vuole parlare di elemento metafisico o di punto di vista metafisico, la considerazione metafisica dellimmagine non come elemento puramente funzionale,
ma manifestativo e costitutivo dellatto dellIo.

262

Daniel Gamarra

da un lato, presenza dellAssoluto come manifestazione, e daltra parte, anche limitazione dellAssoluto nel finito, considerando che limmagine non in senso stretto
una partecipazione ontologica, cio non di natura assoluta ma riflette lAssoluto, ne
costituisce la condizione.
Questa distanza fra lAssoluto e lIo era stata messa in rilievo da Fichte prima
ancora che sviluppasse in modo completo la dottrina dellimmagine. Infatti questa
appare, sulla base delle riflessioni del 1801, soprattutto nella WL 1804 e, in modo
assai chiaro e manifesto, pi tardi nelle elaborazioni della WL di 1812 e 181357. Ma
la teoria dellimmagine viene sviluppata su un concetto di Assoluto, di sapere assoluto, di luce e di vita che appartiene appunto alla WL 1801. Lanalisi di alcuni testi di
Fichte riguardanti questi temi potr chiarire ulteriormente la posizione dellimmagine
come manifestazione dellAssoluto.
1. In primo luogo si deve considerare che lidea che ha Fichte dellAssoluto di
una estrema linearit, nel senso che il punto di vista negativo attraverso cui viene
pensato lAssoluto non lascia spazio ad altra affermazione che non sia la sola assolutezza. Infatti Fichte non caratterizza lAssoluto se non per il suo essere assoluto,
indicando che ogni qualificazione sarebbe allo stesso tempo una determinazione che
non farebbe altro che togliere il suo carattere indipendente e libero da ogni momento
di relativit; perci lAssoluto non n un sapere, n un essere, cos come neanche
identit o indifferenza, ma soltanto ed esclusivamente lAssoluto58.
2. La Dottrina della scienza non viene configurata come una scienza
dellAssoluto, perci neanche come un sapere assoluto; la WL non pu assumere il
punto di vista dellAssoluto nel suo farsi come scienza prima, in quanto il suo oggetto se stessa e la sua definizione combacia con la sua realizzazione: il processo di
autogiustificazione della WL la WL come tale, e non si ha come accade in Hegel
un sapere che sia realizzazione (realt) dellAssoluto come tale. Ma lAssoluto
secondo Fichte forma del sapere, cio la sua configurazione come sapere tale solo
in quanto manifestazione dellAssoluto59.
57

Cfr. J.M. M ANZANA MARTINEZ, LAbsolu et son apparition absolue..., cit.; id., El
Absoluto y la apariencia absoluta segn la Doctrina del saber de J.G. Fichte del ao
1812, Scriptorium Victoriense, 11 (1964), pp. 241-280; id., El ascenso y la determinacin
del Absoluto-Dios segn J.G. Fichte en la Teora de la ciencia de 1804, Scriptorium
Victoriense, 9 (1962), pp. 7-63, 245-275; M. VET, Idalisme et thisme..., cit.; id., Les
trois images de lAbsolu. Contribution ltude de la dernire philosophie de Fichte,
Revue Philosophique de la France et de ltranger, 117 (1992), pp. 31-64; G. SCHULTE,
Die Wissenschaftlehre des spten Fichte, Klostermann, Frankfurt 1971.
58 WL 1801, p. 19 (SW, II, 12-13): Zufrdest, welches lediglich darum gesagt wird, um unsre
Untersuchung zu leiten, ist durch den bloen Begriff eines absoluten Wissens soviel klar,
da dasselbe nicht das Absolute ist. Jedes zum dem Ausdrucke: das absolute gesezte zweite
Wort hebt die Absolutheit, schlechthin als solche, auf, und lt sie nur noch in der durch das
hinzugesezte Wort bezeichneten Rksicht, und Relation stehen. Das absolute ist weder ein
Wissen, noch ist ein Seyn, noch ist es Identitt, noch ist es Indifferenz beider, sondern es ist
durchaus blo und lediglich das Absolute.
59 WL 1801, p. 19 (SW, II, 13): Da wir aber in der Wissenschaftslehre, und vielleicht auch
ausser derselben in allem mglichen Wissen, nie weiter kommen, denn bis auf das Wissen,
so kann die W.L. nicht vom Absoluten, sondern sie mu vom absoluten Wissen ausgehen.
[...] Vielleicht, da das absolute eben nur in der Verbindung, in der es aufgestellet ist, als
Form des Wissens, keinesweges aber rein und fr sich, in unser Bewutseyn eintritt.

263

studi

3. La forma del sapere della WL la penetrazione della luce assoluta nella


coscienza finita, cio il vedere stesso del sapere costituisce nel sapere la luce che
viene dallAssoluto; ma il punto di vista trascendentale considera questo punto di
luminosit come una istanza superiore o anteriore ad ogni possibile separazione reale
della luce come tale. Il sapere (das Wissen) lessere-per-s (Frsichseyn) perch
lunit superiore in cui non c n una istanza puramente interiore o soggettiva e
neanche una istanza esteriore o oggettiva, ma lintima unit superiore di essere e
sapere, o di libert e sapere. Questa unit linteriore vedere della luce60.
4. Comunque si pu parlare di una assolutezza del sapere in quanto sinnalza al
punto di vista superiore, cio in quanto ci che e perch : la giustificazione del
sapere a partire da se stesso costituisce un in s-per s (in sich-fr sich), il darsi di se
stesso che non pu essere altro che luce e visione pura61.
Queste dimensioni dellassolutezza implicano diversi livelli o ambiti. Infatti
lAssoluto di cui non si pu affermare predicativamente nientaltro che non sia la sua
assolutezza, al tempo stesso lorigine della luce. Ma la luce non viene vista dalla
WL nellAssoluto, ma vista nella stessa WL come supremo sforzo di autoriflessione
e autogiustificazione: collarrivare della WL al punto primo che giustifica se stessa e
la totalit del sapere, si raggiunge la luce costitutiva della WL, che a sua volta viene
concepita come un certo assoluto, cio come il vedere assoluto, incondizionato e condizione di possibilit di qualsiasi sapere e forma di coscienza. Ma il vedere assoluto
della WL non il vedere dellAssoluto n vedere lAssoluto come tale. LIo non raggiunge altro che un punto di vista superiore, trascendentale e unico come origine e
giustificazione del sapere; ma questo punto assoluto solamente in quanto non giustificato se non da se stesso, in quanto non relativo a nessuna ulteriorit nellambito
del sapere. LAssoluto invece lirraggiungibile fonte della luce che viene affermato
come tale dalla luce del principio supremo della WL: si tratta infatti di una affermazione indiretta e per via di condizione. LAssoluto come condizione della luce finita
immagine; e questultima come condizione dellAssoluto mostra che questo solamente affermabile a partire dal raggiungimento del punto di vista trascendentale.
Il raggiungimento dellAssoluto quindi non possesso oggettivo della cosa,
che significherebbe, nella prospettiva di Fichte, una doppia riduzione: da una parte,
lAssoluto sarebbe considerato nel limite delloggettivit e perci gli sarebbe attri60

WL 1801, p. 25 (SW, II, 19): Nicht das ruhende Seyn ist das Wissen, und eben sowenig ist
es die Freiheit, sagten wir, sondern das absolute sich Durchdringen, und Verschmelzen beider ist das Wissen. Sonach ist eben das sich Durchdringen, ganz davon abgesehen, was sich
durchdringe, die absolute Form des Wissens. Das Wissen ist ein fr sich seyn, und in sich
seyn, und in sich wohnen, und walten, und schalten. Dieses Frsichseyn eben ist der lebendige Lichtzustand, und die Quelle aller Erscheinungen im Lichte, das absolute substantielle
innere Sehen, schlechthin als solches. Un ulteriore chiarimento dellessenza del sapere
viene dato in WL 1801, p. 26 (SW, II, 20): Besteht, wie aus dem eben gesagten einleuchtet,
in diesem fr sich seyn das eigentliche innere Wesen des Wissens, als eines solchen (als
eines Lichzustandes, und Sehens): so besteht das Wesen des Wissens eben in einer Form
(einer Form des Seyns, und der Freiheit, nemlich, ihrem absoluten sich Durchdringen), und
alles Wissen ist seinem Wesen nach formal.
61 WL 1801, p. 27 (SW, II, 20): Das Wissen ist in sich, und fr sich als Wissen; und durchaus
nur als Wissen. Es ist als Wissen absolut, was es ist, und weil es ist. [...] Es ist daher fr sich
absolut und engreift sich selbst und hebt an, als eigentlich formales Wissen, [...] als
Lichzustand und Sehen, nur, inwiefern es absolut ist.

264

Daniel Gamarra

buibile qualsiasi predicato in grado assoluto a partire dalla capacit configurativa della ragione; ma il sapere che non sia il sapere supremo della WL sempre
conoscenza del reale finito e quindi la ragione predicativa non farebbe altro nei confronti dellAssoluto che conoscerlo come qualsiasi altro oggetto di sapere. Questa
equiparazione di oggettivit varrebbe di fatto la riduzione dellAssoluto a qualcosa
di finito: cio loggettivit nasce nellambito della ragione finita e soltanto in essa
ma, allo stesso tempo, appartiene soltanto alla ragione finita in quanto riferita alla
cosa finita. Da ci quindi la seconda riduzione e cio che la considerazione oggettiva dellAssoluto non sarebbe altro che predicare di esso che cosa. Se la via invece
intrapresa dalla WL quella del sapere e della ascesa, attraverso il sapere stesso,
fino al primo principio autoevidente62, ci che intende fare Fichte proporre un
punto di vista in cui loggettivit venga messa al bando: attraverso loggettivit non
si giustifica, secondo il nostro, il sapere; attraverso essa solo si conoscono cose,
cio il suo ambito quello delle scienze.
Il sapere del sapere non quindi oggettivo in questo senso: la WL non ha per
oggetto se non lassolutezza del sapere, non in quanto riferito ad un oggetto assoluto
ma in quanto non riferito ad altro che non sia levidenza del primo principio; se il
principio del sapere trovato dal sapere devessere necessariamente autoevidente
nellambito stesso del sapere; e questo ambito di sapere sar quindi non oggettivo. Se
oltre a ci possibile unaffermazione dellAssoluto come qualcosa di reale, non lo
sar nella linea delloggettivit ma in quella della WL, ossia del sapere autofondante.
Con ci la ricerca dellAssoluto viene delimitata dalla questione del limite del pensiero, colto nello stesso cogliersi come sapersi, o come sapere di se stesso. Come
abbiamo letto prima, Fichte fa di questo cogliersi del sapere un certo assoluto perch
il primo principio si pone oltre la distinzione di sapere e libert, cio come puro
nucleo attivo del soggetto. Sapere e libert costituiscono in confronto con la attivit
fondante una scissione di questa, cio una determinazione: il sapere si determina
verso loggetto e la libert verso lagire morale. Lunit dellatto prima della scissione costituisce il limite ultimo della soggettivit e perci il limite a partire del quale si
pone la questione dellAssoluto reale. LAssoluto come infinito non pu presentarsi
finitamente e in un certo senso appare come la controforma del limite della WL.
Controforma significa lesteriorit dellAssoluto riguardo al sapere e, allo stesso
tempo, la sua implicazione a partire del sapere. Limmagine quindi la mediatrice
che appartenendo al limite finito evoca linfinitezza dellAssoluto come la luce presente nella vita dellIo63.

62

M. GUEROULT, Lvolution et la mthode..., cit., p. 163: Par l, nous presentons que si le


Moi comme sujet philosophant est incontestablement reprsentatif, le Moi comme objet de
la philosophie pourrait bien tre quelque chose de plus: laction premire de lesprit humain
serait le fondement de la rpresentation; une science btie seulement sur le concept de
reprsentation ne saurait donc tre quune propdeutique.
63 J. CRUZ CRUZ, J.G. Fichte: Doctrina de la ciencia, cit., Introduccin, p. XXXVI: El saber
absoluto encerrado en s mismo, tiene una relacin-de-imagen con el Absoluto, y en explicarla estriba la marcha de la Doctrina de la ciencia. El saber absoluto seala al Absoluto
como fundamento originario por encima de s mismo. El Absoluto slo es en el saber (Yo
absoluto), pero en tanto que est sobre todo saber.

265

studi

2.3. Apparizione e Assoluto


Al di fuori di Dio non esiste, realmente e nel vero senso del termine, niente
altro che il sapere: e questo sapere la stessa esistenza divina, puramente e semplicemente, e nella misura in cui siamo il sapere, noi stessi, nella nostra radice pi profonda, siamo lesistenza divina64. Queste parole pronunciate da Fichte davanti a un
pubblico non specializzato costituiscono comunque una sintesi di notevole forza
riguardante la questione dellimmagine. Come previamente esaminato, laccesso a
Dio non ha in Fichte il carattere di una prova della realt dellesistenza di Dio in
senso classico65, ma non si tratta neanche, come potrebbe far pensare di primo acchito il testo sopra citato, di un caso di panteismo. Lesistenza divina, di cui parla il
nostro, non ha appunto un carattere metafisico nel senso che si possa pensare che ci
sia identit di essere fra luomo e Dio; siamo lesistenza divina significa pi precisamente: lAssoluto si manifesta in noi attraverso il sapere66.
Le parole della quarta lezione dellAsL hanno un contenuto che Fichte aveva
discusso nella lezione precedente in cui si era proposto e lo aveva proposto ai suoi
uditori il compito di pensare con rigore lessere67. In questo ambito Fichte faceva una distinzione di non poca importanza per la questione: fino a quel momento e a
partire dai vari ragionamenti fatti, Fichte aveva pensato lessere come Uno e non
come molteplice, cio come un essere chiuso, nascosto e assorbito in se stesso68. E
continuava: ma non giungono (Loro) ancora affatto a unesistenza, dico a unesistenza, a una manifestazione e rivelazione di questo essere69. Lontano da una contraddizione, Fichte propone in questo caso una distinzione che svolger un ruolo
chiave nello sviluppo dellAsL, e cio quella fra essere ed esistenza. Lessere ha qui
un carattere metafisico chiaro in quanto Fichte lo caratterizza come immutabile ed
eterno70: ci che prima abbiamo riferito col termine di Assoluto diventa, nelle lezioni
sulla vita beata, lessere che si trova al di l di ogni singolo mutevole e temporale;
lUno concepito quasi in senso neoplatonico, rappresenta nellambito di queste lezioni la fonte della vita e della felicit, ma al contempo lo si vede come profondamente
distaccato dal mondo in cui tutto scorre, si muove e scompare. La preoccupazione di
Fichte quindi riportare questo essere, lAssoluto, al mondo della vita e alla vita
degli uomini. Ma come affermava nel primo testo citato: al di fuori di Dio non esiste
che il sapere. Con questo indica, da un altro punto di vista, la stessa tesi prima accennata e cio che il punto di vista trascendentale offre una possibilit di accesso
64

Die Anweisung zum seligen Leben (=AsL), SW, V, 448 (286). Per le traduzioni in italiano,
cfr. J.G. FICHTE, La dottrina della religione, a cura di G. Moretto, Guida Editori, Napoli
1989; le pagine di questa edizione fra parentesi.
65 In questa linea casomai si potrebbe pensare ad unargomentazione da elencare fra i diversi
argomenti ontologici, anche se la distanza riguardo a questultimi delle argomentazioni di
Fichte per quanto si riferisce alla dialettica Assoluto-immagine, Assoluto-manifestazione,
piuttosto grande.
66 Per unanalisi del concetto di manifestazione (Erscheinung) nellultimo Fichte, cfr. i gi
citati articoli: M. VET, Idalisme et thisme..., e J.M. MANZANA MARTINEZ, LAbsolu et son
apparition absolue..., specialmente pp. 402 e ss.
67 AsL, SW, V, 438 (276): das Seyn scharf zu denken.
68 AsL, SW, V, 439 (277).
69 Ibidem.
70 Cfr. ibidem.

266

Daniel Gamarra

allAssoluto soltanto attraverso la WL in modo tale che, se ora nella AsL lAssoluto si
presenta come il Dio, origine della vita e fine della felicit eterna, la questione continua ad essere sostanzialmente la stessa: la questione della felicit, la realizzazione
etica e la pienezza della vita morale delluomo hanno a che vedere con Dio in modo
radicale, ma anche e soltanto attraverso la WL.
Ci che prima era rimasto nascosto era appunto ci che Fichte stesso dice a suoi
ascoltatori: si pensato allessere come ci che Uno, eterno e non mutevole; occorre quindi stabilire il nesso fra questo essere e la vita mondana. La risposta viene proposta in chiave metafisica e allo stesso tempo senza abbandonare la chiave trascendentale: lessere si distingue dallesistenza. Lesistenza ci che ci appare; ci che
giudichiamo come essere. Fichte fa appello al modo comune di giudicare: giudichiamo che ci che vediamo . E proprio questo lesistenza: lesistenza dellessere la
coscienza, o la rappresentazione dellessere71. Lapparire esige la fonte che si manifesta, la manifestazione stessa e il qualcuno cui la manifestazione si manifesta. Lesistenza quindi la manifestazione dellessere nella coscienza72. La fonte continua ad
essere Dio o lAssoluto, e la manifestazione limmagine. Ma con questo lessere,
cio lAssoluto, diventa esistente73, cio si manifesta nellesistenza non come in s,
nella sua eternit ed unit, ma nella molteplicit della rappresentazione in modo tale
che ogni giudizio sul mondo non altro che un giudizio sul Dio manifestato74. Il
limite trascendentale, il percorso giudicativo lungo il limite del pensiero, continua ad
esigere che laffermazione non abbia come oggetto lAssoluto ma la sua manifestazione come manifestazione. La totalit di ci che si manifesta, o meglio, la totalit
manifestata la totalit dellesistenza che deve concepirsi, conoscersi e formarsi
come semplice esistenza, e deve porre e formare di fronte a s un essere assoluto, di
cui essa stessa appunto la semplice esistenza: mediante il suo essere essa deve
annientarsi di fronte a unaltra esistenza assoluta; il che presenta appunto il carattere
di semplice immagine, di rappresentazione o di coscienza dellessere75.
La manifestazione dellAssoluto nella coscienza implica la natura riflessiva
dellIo, oppure detto altrimenti, la riflessivit della coscienza continua ad essere attiva davanti allessere manifestato. La domanda che si pone a questo punto che se
lesistenza lessere manifestato in modo cosciente, la coscienza stessa deve poter
comprendere in se stessa come possa nascere la manifestazione e come dallessere
interno in s nascosto possa derivare unesistenza, una manifestazione e rivelazione
dellessere76. Ma questa risposta non possibile. Fichte comunque non si ferma
71
72

AsL, SW, V, 440 (278).


AsL, SW, V, 441 (278-279): Das Bewusstseyn des Seyns, das Ist zu dem Seyn ist unmittelbar das Daseyn.
73 AsL, SW, V, 441 (279): Wir haben sonach, [...] im Denken dazuthun, dass das
Bewusstseyn des Seyns, die einzigmgliche Form und Weise des Daseyns des Seyns, somit
selber ganz unmittelbar, schlechthin und absolut dieses Daseyn des Seyn sey.
74 Wissenschaftslehre 1805 (=WL 1805), F. Meiner Verlag, Hamburg 1984: Das Licht ist die gttliche Existenz selbst, wie wir vom Lichte aufsteigend erkennen; vielmehr aber, wie wir nun
einsehen: die gttliche Existenz ist das Licht: und dies zwar also: das Licht ist nicht an sich, die
gttl. Existenz selber, insofern wir eine solche Existenz noch spterhin zugeben werden; sondern
es ist nur die Form, der absolut nothwendige modus existendi der gttl. Existenz [...].
75 AsL, SW, V, 441-442 (279). Cfr. WL 1805, pp. 54 e ss.
76 AsL, SW, V, 442 (280-281).

267

studi

davanti ad una risposta negativa. Il motivo del perch lesistenza non possa comprendersi nel suo originarsi nella coscienza sta nel fatto che essa donazione immediata
ed assoluta, che si trova nel suo esserci come gi data in modo tale che non c spazio per una ulteriore riflessione cosciente e viva, cio nellambito della pura evidenza: a questo punto la autoevidenza significherebbe che lAssoluto diventa evidente
nel suo manifestarsi, nel suo darsi, in modo tale da far scomparire la distinzione fra
finito ed infinito, fra coscienza ed essere, fondendosi in una unica esistenza o identit
di unit e molteplicit. La riflessione non pu mettere pi luce di quanta ne abbia
ricevuta; lIo non pu andare al di l dellevidenza del sapersi o dellautocomprendersi come origine della propria attivit. La donazione quindi differenza profonda e
abissale fra lAssoluto e la coscienza, cio, la sua immagine77.
Ma la manifestazione dellAssoluto nel sapere, questo modo di esistere del
sapere, determinato in maniera immutabile e attingibile soltanto con la comprensione
e la percezione immediata, la vita interna e veramente reale in esso78. Cio, se
attraverso la dimensione riflessiva della coscienza non si pu raggiungere levidenza
dellAssoluto, la vita di questo si vive veramente nellesistenza e al tempo stesso si
pu tentar di capire che cosa questa vita, non dal punto di vista dellautoevidenza,
ma dal punto di vista essenziale. Lessere reale, cio non lesistenza n alcuna immagine dellessere, non pu essere immediatamente conosciuto, e ci stato da noi
chiamato vita79. Se la manifestazione lesistenza dellAssoluto, niente esiste al di
fuori dellAssoluto stesso, cio non c pi possibilit n di vita n di comprensione
ulteriore o superiore a questo rapporto. La realt si esaurisce nel limite della manifestazione. La coscienza per non in grado di cogliere la totalit dellesistenza e
dellessere perch non essa stessa lAssoluto, ma limmagine in cui esso si manifesta. Ma il sapere che la coscienza possiede la sua propria vita che anche la vita
manifestata; in questo modo la vita reale del sapere , nella sua radice, lessere
interno e lessenza dellassoluto stesso, e nientaltro; e tra lassoluto o Dio e il sapere
nella sua radice vitale pi profonda non c separazione, ma i due si confondono
completamente80.
Litinerario che comincia con lidentificazione del primo principio del sapere
implica, nella filosofia di Fichte, il raggiungimento della comprensione della vita
profonda dellanima e attraverso essa il raggiungimento della verit radicale del suo
essere, cio limmagine che la coscienza trova in s una manifestazione
dellAssoluto, anzi, la manifestazione costituisce la vita della coscienza. La domanda, in un certo senso, eterna della filosofia quella che si pone anche nel limite della
sua propria comprensione, il che, come unico limite reale, non pu essere valicato.
Fichte ha tentato una via che lo ha portato a questa constatazione: lautoevidenza
della coscienza ha un limite costitutivo; lalterit assoluta che non entra nella autoevidenza si manifesta come vita profonda e come vita donata.
***
77
78
79
80

Cfr. WL 1805, p. 116.


Ibidem.
AsL, SW, V, 443 (280).
AsL, SW, V, 443 (281).

268

Daniel Gamarra

Abstract: The problem of God, or of the Absolut, in the transcendental philosophy


has not a classical metaphysical character; the position of the problem has an
subjective origin, and in Fichtes philosophy God appears as a certain last point in
the way of the Wissenschaftslehre. The doctrine of the science is the theory of
foundation of the philosophy and of the totality of sciences: Fichte finds its first principle in a subjective and last act of the mind. But in a latter period of his thougth, but
in continuity with its former philosophy, Fichte maintains that the Absolut appears as
an imagine in the conscience: this thesis constitues the possibility of an affirmation
of God from an indirect point of view, perhaps the only possible point of view in transcendental philosophy.

269

ACTA PHILOSOPHICA, vol. 3 (1994), fasc. 2 - PAGG. 271/286

Dio nella modernit: Husserl


ARMANDO RIGOBELLO *
Sommario: 1. Larticolazione del discorso; 2. Dio identificato e posto tra parentesi; 3. Il Logos di
ogni essere possibile; 4. Costituzione e creativit; 5. Garanzia intersoggettiva e veridicit divina;
6. Il messianesimo della ragione; 7. Considerazioni conclusive.

1. Larticolazione del discorso


Il metodo fenomenologico husserliano e il vasto contesto speculativo che ne
consegue costituiscono un punto di vista privilegiato per cogliere e valutare il nucleo
teoretico del pensiero contemporaneo ed in particolare la condizione in cui viene a
trovarsi la Trascendenza divina in tale contesto. La fenomenologia da un lato si pone
come metodo radicale rivolto a trasformare la filosofia in scienza rigorosa, dallaltro
apre il discorso sul darsi immediato che dalle prime evidenze logiche si estende alle
emergenze esistenziali del mondo della vita. In questa duplice e solidale direzione di
ricerca, la fenomenologia esprime efficacemente le due anime che percorrono tanta
speculazione contemporanea: il rigore razionale analitico e la dimensione esistenziale, anime che convergono ed insieme si differenziano di fronte a un tema altrettanto
radicale: il tema del senso. La fenomenologia, in un tempo di incombente nichilismo,
sembra essere lultima spiaggia su cui si combatte la lotta del senso ed in cui si mettono alla prova le estreme possibilit della ragione e dellesistenza di convergere in
un orizzonte che si ponga al di l di ogni cedimento psicologico e morale e che sia
percorso da uninsuperabile istanza di assolutezza. Il tema di Dio, linterrogativo sul
divino a che livello si situano in tale concezione filosofica? Questo largomento che
ci proponiamo di svolgere nelle pagine che seguono limitandoci alla posizione husserliana che della fenomenologia la pi emblematica espressione. Il discorso si articoler attorno ai seguenti punti: lidea di Dio nel contesto dellattivit costitutiva
dellego trascendentale fenomenologico; la garanzia intersoggettiva e la garanzia
divina; listanza di infinito nel compito teleologico della ragione.
Alla trattazione dei tre aspetti del tema va premessa una considerazione generale che riguarda la compresenza nel discorso husserliano di descrizione eidetica e di
*

Universit degli Studi di Roma Tor Vergata, Dipartimento di ricerche filosofiche, via
Cavaglieri, 00173 Roma

271

studi

costituzione egologica, quasi una oscillazione tra la funzione maieutica del vedere,
del cogliere attraverso la radicalit della riduzione, il volto pi elementare e pi proprio del fenomeno (su cui poi si articolano le ontologie regionali) e la funzione
fondante del costituire. Il costituire non si limita infatti a descrivere le intuizioni eidetiche ma ne analizza il costituirsi nellio. La costituzione donazione di senso che si
svolge a-priori nel contesto trascendentale dellio che dona senso riconoscendo e che
lo riconosce donandolo. Le analisi fenomenologiche si fondano appunto nelle evidenze apodittiche dellego la cui descrizione non descrizione di dati emersi
dallesperienza, ma di contenuti a-priori. Tale a-priori non , come in Kant, condizione di conoscenze, ma gi conoscenza di articolazioni di senso che costituiscono
le evidenze apodittiche dellego. Dalla fenomenologia eidetica si passa cos alla fenomenologia trascendentale che ne costituisce la radicalizzazione e in cui si attua la
rivoluzione copernicana di Husserl, il raggiungimento della terra promessa di una
scienza fenomenologica. In tale scienza, cui sono dedicate, tra le altre, le ultime pagine della Quinta meditazione cartesiana, trovano il loro fondamento le operazioni
delle scienze ingenuamente positive: il loro livello non radicalmente critico e rinviano alle operazioni originarie dellego costituente in cui si chiarisce anche lorizzonte intenzionale.
Ci siamo soffermati su queste considerazioni come premessa al successivo
discorso poich il passaggio da una fenomenologia eidetica ad una fenomenologia
trascendentale, passaggio che caus il disagio ed indi il distacco dal maestro di alcuni
tra i pi noti discepoli di Husserl, da Heidegger ad Edith Stein, condiziona notevolmente il discorso intorno a Dio. Le articolazioni di senso quali evidenze apodittiche
dellio finiscono infatti per presentarsi come operazioni della vita di un Assoluto
immanente entro il cui orizzonte trascendentale si risolve tutto il senso della realt.
Siamo di fronte alla versione fenomenologica dellidealismo trascendentale.

2. Dio identificato e posto tra parentesi


Un noto passo di Ideen ci porta decisamente, pur nella sua brevit, nel cuore
stesso della questione di Dio nella prospettiva fenomenologica-trascendentale. Si
tratta del paragrafo 58, intitolato La trascendenza di Dio neutralizzata, del Libro 1,
sezione seconda, capitolo quarto1. Largomento si svolge nel contesto della considerazione fenomenologica fondamentale, ossia della neutralizzazione dellatteggiamento naturale. Tentiamo di dare ora una parafrasi e un qualche commento del paragrafo in questione. Husserl inizia il discorso osservando come, operata la messa tra
parentesi del mondo e quindi posta fuori gioco la trascendenza del mondo nei confronti della coscienza ridotta, ci si faccia innanzi il tema di unaltra diversa trascendenza. Questo farsi innanzi non il presentarsi di un dato immediato di tale coscienza, come invece avviene per lio puro (dato immediato della coscienza ridotta), ma
giunge alla nostra consapevolezza in un modo che richiede un chiarimento. Va detto
comunque subito che questa diversa trascendenza si situa nel polo opposto alla tra1

E. HUSSERL, Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica, a cura di
E. Filippini, Einaudi, Torino 1965, pp. 127-128. Le citazioni che seguono si riferiscono a
questa edizione e traduzione.

272

Armando Rigobello

scendenza del mondo nei confronti dellio, ossia la trascendenza di Dio, trascendente nei riguardi dellio ed insieme del mondo. Husserl, quando scrive queste pagine, ha gi operato la riduzione del mondo naturale allassoluto della coscienza e
osserva come tale riduzione abbia messo in luce delle connessioni di fatto (ossia
colte gi costituite nella sfera della visione empirica), tra percezioni immanenti al
vissuto (Erlebnisse) e i sistemi di regole. Questo insieme di convergenze d luogo ad
un mondo morfologicamente ordinato, empiricamente rilevabile e che costituisce il
correlato intenzionale della coscienza ridotta e rende possibile le scienze classificatrici e descrittive. Questo mondo continua Husserl appare come una natura
fisica sottoposta a leggi esatte, ci alla luce della teoresi fisico-matematica e limitatamente agli stadi inferiori materiali.
questo il punto in cui Husserl introduce la considerazione che si riferisce
direttamente al tema dellesistenza di Dio. Il livello degli accennati stadi inferiori,
materiali, empirici non giustificano la razionalit operante in quel mondo morfologicamente ordinato, rimane quindi il problema di dove venga la mirabile teleologia che ne guida le manifestazioni. Nel mondo empirico, inoltre, agiscono diverse
forme di teleologia da quelle biologiche che presiedono allo sviluppo dagli elementari organismi fino alluomo, a quelle che investono la cultura e i valori. Tutto ci non
pu venir spiegato sul terreno naturalistico, ossia con dati di fatto e leggi naturali. La
stessa riduzione fenomenologica porta, al di l del dato e delle dinamiche naturalistiche, alla questione del fondamento nella coscienza costitutiva di quanto appare sul
piano fattuale. Husserl ribadisce in proposito la necessit di un fondamento metanaturalistico e precisa che esso richiesto non tanto di fronte al fatto in quanto mero
fatto, ma al fatto come sorgente di possibili e reali valori, crescenti allinfinito. Ci
impone la questione del suo (suo del fatto come sorgente di valore) fondamento che
non pu avere naturalmente il senso di una causa fisica. La conclusione del passo
investe direttamente ed esplicitamente il nostro tema. Husserl non intende soffermarsi sul modo in cui la coscienza religiosa pu condurre al medesimo principio, n
affrontare la questione sul fondamento razionale di tale modalit. Ci che invece
interessa, nellambito della sua ricerca, che lEssere divino extramondano, cos
come risulta dalle considerazioni razionali prima accennate, verrebbe ad essere trascendente non solo rispetto al mondo, ma pure nei riguardi della coscienza: sarebbe
dunque un assoluto in senso totalmente diverso dallassoluto della coscienza, come
daltra parte sarebbe un trascendente in senso totalmente diverso dalla trascendenza
nel senso del mondo2. Questo assoluto totalmente diverso che trascende in forma
totalmente diversa non oggetto di ricerca fenomenologica: A questo assoluto
continua Husserl e con tali parole conclude il paragrafo trascendente noi estendiamo naturalmente la riduzione fenomenologica. Esso deve rimanere fuori del nostro
campo di ricerca, se questo ha da essere il campo della coscienza pura3.
Vi un commento di Lvinas su queste pagine che ne pone in luce le difficolt
teoretiche: difficile prendere sul serio le brevi indicazioni su Dio che Husserl d
nelle Idee cercando nel meraviglioso gioco delle intenzioni costituenti il mondo in
modo coerente, una prova finalistica dellesistenza di Dio. La monade invita Dio
2
3

E. HUSSERL, o.c., p. 128.


Ibidem.

273

studi

stesso a costituirsi come senso per un pensiero responsabile davanti a se stessa4. La


monade naturalmente lego, la coscienza pura fenomenologicamente ridotta, lego
costituente. Il giudizio di Lvinas forse eccessivo, leggendo le parole di Husserl si
avverte comunque che la questione appare per lui marginale, per lo meno sul piano
della ricerca filosofica fenomenologicamente intesa. Al di l delle impressioni sta
comunque il fatto che Husserl ritiene validi gli argomenti finalistici addotti per riconoscere la esistenza di Dio risalendo da una intrinseca teleologia del cosmo e del
mondo della vita umana; certamente un riconoscimento che si collega inequivocabilmente al di fuori della ricerca fenomenologica. Questultima anzi per procedere
deve mettere tra parentesi Dio. Ateismo metodico, quindi? Pi precisamente si
potrebbe parlare di una identificazione della realt divina e contemporaneamente di
una sua messa tra parentesi.
Per una compiuta intellezione del testo commentato rimane da chiarire il significato dellespressione in senso totalmente diverso che Husserl usa sia per indicare la
differenza tra lAssoluto e lassoluto della coscienza, sia la differenza tra il trascendere
di Dio nei confronti del mondo e della coscienza e il trascendere della coscienza nei
confronti del mondo. Quellassoluta diversit corrispondente allassoluta separazione
del discorso ontologico-metafisico (in senso tradizionale e realistico) dal discorso
fenomenologico-trascendentale. Da un lato vi una trascendenza irriducibile
allimmanenza, dallaltro una trascendenza compresa nellorizzonte intrascendibile
dellimmanenza, ossia quella trascendenza genuina e vera dellintersoggettivit
immanente nellego trascendentale e che costituisce lo sbocco finale delle Meditazioni
cartesiane. La distinzione pu essere formulata in modo concettualmente chiaro,
rimane tuttavia difficile mantenere lassolutezza della coscienza al di fuori di una considerazione metafisica; questo larduo terreno in cui si situa la ricerca fenomenologica, il livello speculativo in cui consiste la sublime ambiguit della coscienza ricco di
suggestioni, una ricchezza pagata con una neutralizzazione senza ritorni.
Il paragrafo 58, su cui ci siamo soffermati, ha dato luogo ad unampia discussione tra gli interpreti. Come punto di riferimento in tale discussione potremmo citare
due Autori emblematici di due posizioni tra loro divergenti: Landgrebe e Strasser. Per
Ludwig Landgrebe la soggettivit trascendentale ponendosi come assoluta toglie
validit speculativa allidea di Dio che tuttalpi pu essere considerata un correlato
dellattivit costituente propria dellego trascendentale, un ego che finisce per colorirsi di panteismo5. Secondo Stephan Strasser invece lesplicita dichiarazione di
Husserl sulla eterogeneit tra lassoluto della coscienza e lassolutezza di Dio, tra la
trascendenza del mondo e la trascendenza di Dio non lascia dubbi sul fatto che Dio
sia concepito da Husserl come radicalmente diverso dalla coscienza trascendentale e
che il suo modo di essere trascendente sia inteso in forma radicalmente diversa dagli
altri modi di considerare la trascendenza6. La diversit della tesi di Strasser da quella
di Landgrebe tuttavia ridotta se si tiene conto che anche per Strasser laffermazione
husserliana dellesistenza di Dio fatta al di fuori del discorso fenomenologico. La
differenza pi di tono che di ordine speculativo. Per Strasser le poche parole sulla
4
5
6

E. LVINAS, En dcouvrant lexistence avec Husserl et Heidegger, Vrin, Paris 1967, p. 48.
Cfr. L. LANDGREBE, Phnomenologie und Metaphysik, Hamburg 1949.
Cfr. S. STRASSER, History, Teleology and Gott in Husserl, Analecta Husserliana, vol. IX,
p. 326.

274

Armando Rigobello

necessit di riconoscere lesistenza di Dio, sia pure in un quadro speculativo non


fenomenologico, sono di notevole peso ai fini di intendere lorientamento personale
di Husserl, per Landgrebe esse appaiono marginali. Strasser arricchisce le considerazioni fatte ricordando come altrove Husserl parli di Gott als Idee, unespressione che
richiama lideale kantiano dellidea di Dio, un ideale ad uso regolativo. In Husserl,
osserva Strasser, non si tratta tuttavia di un ideale regolativo della conoscenza.
Ragione di pi per riconoscere come tale idea, nel contesto del discorso husserliano,
non sia tanto una finzione euristica quanto una realt ultima ed assoluta, sia pure
inattingibile attraverso un referto fenomenologico7.
Il discorso su Dio nel pensiero di Husserl non si esaurisce nella discussione sul
senso da attribuire alle argomentazioni svolte nel paragrafo 58 di Ideen, ma si estende alla natura dellAssoluto husserliano e investe quindi il piano fenomenologico
vero e proprio, sia nel senso della attivit costitutiva dellio trascendentale che in
quello della garanzia intersoggettiva che tale attivit costituente porta con s. Ed su
questi aspetti, gi indicati allinizio di queste pagine, che vorremmo ora soffermarci.

3. Il Logos di ogni essere possibile


Si visto come Husserl nel gi ampiamente citato paragrafo 58 abbia sottolineato il senso totalmente diverso che si pone tra lassolutezza di Dio trascendente
secondo la tradizione finalistica e quella che caratterizza lattivit costituente
dellego trascendentale. Ma si tratta proprio di un senso totalmente diverso oppure
ci pi una dichiarazione di principio che una nota emergente dalle cose stesse?
La chiara distinzione tra livello fenomenologico e livello ontologico rimane valida
anche quando i due livelli sono considerati in termini di assolutezza? Oppure lassolutezza in quanto tale ontologizza stati di coscienza e operazioni della soggettivit? Il
piano fenomenologico, investito da alcunch di assoluto, trova il suo compimento in
una articolazione di strutture conoscitive che finisce per configurarsi come il logos di
ogni essere possibile, come uno schema di ontologia concreta. Cercheremo di chiarire questi aspetti del discorso a partire da alcune pagine della Quinta delle
Cartesianische Meditationen.
Husserl enuncia, delucida, chiarisce le proprie posizioni spesso ritornando su di
esse, tentando di esprimerle con parole diverse, focalizzandone alcuni aspetti, arricchendole di ulteriori sfumature. Tutto ci indica certamente lo sforzo di chiarire a se
stesso la profondit della propria posizione e, allo stesso tempo, permette di incontrare frequentemente nei suoi scritti dei periodi, degli incisi allinterno dei periodi, che
condensano in poche righe il nucleo centrale del discorso. Spesso vi solo limbarazzo della scelta. Prendiamo lavvio nella nostra indagine da uno di questi brani emblematici, una pagina del paragrafo 64 della Quinta meditazione cartesiana. Possiamo
dire scrive Husserl che nella fenomenologia a priori trascendentale trovano la
loro origine ed il loro fondamento ultimo (per la ricerca delle loro correlazioni) tutte
le scienze a priori in generale; prese in questa loro origine fanno addirittura parte
7

Cfr. S. S TRASSER , Das Gottesproblem in der Sptphilosophie Edmund Husserl,


Philosophisches Jahrbuch, 67 (1958).

275

studi

della universale fenomenologia a priori come sue ramificazioni sistematiche8.


Questa fenomenologia trascendentale a priori presuppone un a priori universale e
tale a-priori indicato subito dopo come il logos in cui risiede la condizione di
possibilit nellintero universo: Il sistema della-priori si pu anche designare come
sviluppo sistematico a priori universale, connaturato allessenza della soggettivit
universale e quindi anche dellintersoggettivit; questa-priori luniversale logos di
ogni essere possibile9.
Si noti come lo sviluppo sistematico della-priori venga considerato come
costitutivo dellessenza stessa della soggettivit trascendentale; ne discende che tale
soggettivit si pone come giustificazione a-priori di tutta la possibilit del reale e
quindi della sua intelligibilit. Ci porta Husserl a configurare una ontologia universale e subito precisa che questa ontologia non va intesa come vuota ontologia formale poich le sue strutture formali sono condizione di ogni possibile articolazione
della realt (tutte le possibilit regionali dellessere). In altri termini continua
infatti Husserl la fenomenologia trascendentale pienamente sviluppata sarebbe per
ci stesso una vera e propria ontologia universale; non per una mera e vuota ontologia formale ma anche tale da comprendere in s tutte le possibilit regionali
dellessere secondo tutte le correlazioni che a queste appartengono10.
Il discorso di Husserl vuole rendere ragione del formarsi di una ontologia concreta attraverso il metodo fenomenologico e perci sottolinea come il quadro ontologico delineato sia quello che risulterebbe da una fenomenologia trascendentale pienamente sviluppata, connessa direttamente con lo sviluppo sistematico della-priori
universale sopra ricordato. Nella considerazione fenomenologica trascendentale
risiede lorigine e il fondamento ultimo di ogni conoscenza e ne sono implicite le
linee di sviluppo in ogni sua possibile specificazione (le regioni del sapere) secondo la dinamica interna di quel logos che si visto essere logos di ogni essere possibile. Due ulteriori specificazioni arricchiscono lanalisi del contesto che stiamo esaminando. La prima considerazione riguarda il carattere di universo in s primo della
scienza con fondazione assoluta che connota lontologia concreta, indicata anche
come teoria concreta ed universale della scienza ed inoltre logica concreta
dellessere11. La seconda considerazione, che conseguenza della prima, sottolinea
come sia possibile in questa scienza totale della-priori raggiungere il fondamento
di una scienza autentica dei fatti e di una filosofia universale in senso cartesiano,
ossia una scienza universale dellessere di fatto basata su fondazione assoluta. Ogni
razionalit del fatto sta invero nella-priori12. Laffermazione di una scienza dei
fatti resa possibile dal riportare il fatto ad una fondazione assoluta a-priori sembra
delineare processi interni alla vita dellAssoluto, al di l del progetto cartesiano, un
Assoluto autofondantesi: La scienza a-priori continua Husserl scienza di ci
che vale come principio cui deve far ricorso la scienza dei fatti per potere infine ricevere una fondazione di principio. Solo che la scienza a-priori non deve essere ingenua ma derivare dalle ultime fonti fenomenologiche-trascendentali; in tal modo
8 E. HUSSERL, Meditazioni cartesiane,
9 Ibidem.
10 Ibidem.
11 Ibidem.
12 E. HUSSERL, o.c., pp. 173-174.

276

a cura di F. Costa, Bompiani, Milano 1970, p. 173.

Armando Rigobello

devessere conformata in un a-priori integrale fondato su se stesso e giustificantesi in


base a se stesso13.
A questo punto possiamo fare un primo bilancio sulla concezione di Dio in
Husserl a partire da un esame di considerazioni interne al discorso fenomenologicotrascendentale e non pi in sede meta-fenomenologica come nel caso del paragrafo
58 delle Ideen. Gli elementi che possiamo raccogliere dallanalisi fatta possono essere indicati nellordine seguente: la-priori universale, fondato e giustificato in base a
se stesso, connaturato allessere della soggettivit trascendentale, origine e fondamento di ogni conoscenza; lontologia concreta che discende da tale a-priori contiene a-priori tutte le possibili articolazioni dellessere, logos di ogni essere possibile;
la scienza che si sviluppa dalla-priori universale, proprio della soggettivit trascendentale, logica del concreto che raggiunge il fatto, scienza dei fatti. Questi elementi investono la nozione di soggettivit trascendentale, quella di scienza e i caratteri dellontologia. Sulla soggettivit trascendentale avremo modo di intrattenerci pi
innanzi ponendola in rapporto con lintersoggettivit, ma gi fin dora possiamo
cogliere in essa la nota dellassolutezza divina determinata dal suo essere coessenziale alla-priori trascendentale universale, un a-priori autofondantesi ed autogiustificantesi, che si configura come logos di ogni possibile realt. Da tale soggettivit e da
tale a-priori discende una scienza che richiama direttamente la scienza divina poich
da un lato la sua validit completamente garantita a-priori, dallaltro attinge al concreto, fino alla conoscenza rigorosa del fatto individuale. Si pensi a Spinoza per cui
la conoscenza dellindividuale possibile solo a Dio, oppure alla determinazione
completa dellindividuale che per Kant possibile solo nel contesto di tutti i giudizi
possibili che si trova soltanto nellidea di Dio14. Lontologia, cui perviene la ricerca
fenomenologica nel suo pi compiuto sviluppo, ha la concretezza dellAssoluto, le
sue articolazioni sono quelle di ogni reale possibile, la sua logica la logica del concreto.
Sarebbe troppo affrettato concludere che la soggettivit trascendentale, connaturata alla-priori universale, lequivalente di Dio o dellidea di Dio. Rimane infatti
aperta la questione della differenza tra il livello fenomenologico e quello ontologicometafisico del discorso, questione che investe pure laccennata ontologia concreta
poich da stabilire se tale concretezza fenomenologicamente rilevante lo sia anche
a livello extra-fenomenologico cio nel contesto di una considerazione realistica.
Una via per addentrarci nellardua questione certamente quella che investe le
13
14

E. HUSSERL, o.c., p. 174.


Spinoza nellEthica, propositio XXXI, scholium, afferma che la relazione delle cose con
Dio, la loro dipendenza secundum essentiam et existentiam, si pu sicuramente dimostrare con argomenti propri della conoscenza per universali (il secondo genere della conoscenza
spinoziana). Tale dimostrazione tuttavia non ita tamen Mentem nostram afficit, quam
quando id ipsum ex ipsa essentia rei cujuscumque singularis, quam a Deo pendere dicimus,
concluditur. interessante notare una certa convergenza tra questa intuizione spinoziana
della cosa singola nella sua dipendenza da Dio e la teoria di Kant a proposito della determinazione completa: la conoscenza adeguata di un singolo oggetto possibile soltanto se
potessimo investirlo con tutto luniverso dei giudizi possibili, ma la somma di tutti i giudizi
possibili lidea di Dio. Solo se potessimo rendere costitutiva e non semplicemente regolativa tale idea potremmo attingere la conoscenza esaustiva del concreto (Kritik der reinen
Vernunft, A 571-584; B 599-612. Sono le pagine sullideale trascendentale, libro II, cap. III,
sez. II).

277

studi

modalit con cui la soggettivit trascendentale opera, ossia occorre chiarire la natura
della attivit costituente. Quale il vero valore di questa enigmatica parola sospesa,
come la stessa fenomenologia, tra lapertura sul senso della realt e il conferimentto
di senso? Poich lo sviluppo della ricerca fenomenologica comporta lo sviluppo
sistematico della priori universale, secondo la dichiarazione di Husserl fatta nel
contesto della pagina appena esaminata, sar bene situare il discorso entro litinerario
tracciato da Husserl stesso: Nellordine, la prima delle discipline filosofiche sarebbe
legologia delimitata solipsisticamente, la scienza dellego ridotto in maniera primordinale; come seconda verrebbe poi la fenomenologia intersoggettiva fondata
sullegologia; questultima tratta dapprima le questioni universali per ramificarsi
dopo in varie scienze a priori speciali15. La nostra attenzione sar rivolta soprattutto
alla seconda e terza fase dellitinerario; la prima parte dello sviluppo della ricerca
fenomenologica corrisponde a quella fenomenologia eidetica che precede la fenomenologia trascendentale. Al passaggio da questa prima fase alla successiva si
accennato allinizio di queste pagine a commento dellarticolazione del discorso che
ci proponevamo di svolgere.

4. Costituzione e creativit
La vita pratica quotidiana ingenua afferma Husserl nelle prime considerazioni del paragrafo 64 della Cartesianische Meditationen, ingenua perch nel suo
ambito si sperimenta, si pensa, si valuta, si agisce allinterno di un mondo gi dato
e gli atti intenzionali vengono compiuti in modo anonimo16. Se dalla vita quotidiana
si passa alla conoscenza del mondo mediante le scienze positive, cio le singole
scienze della nostra enciclopedia del sapere, si perviene soltanto ad una ingenuit di
ordine superiore: La scienza ha la pretesa di giustificare i suoi passi teorici e riposa
sempre sulla critica, per di fatto la sua critica non radicale e ritiene originarie
operazioni che riposano invece su atti intenzionali a lei sconosciuti. La critica ultima
della conoscenza invece studio ed esame delle operazioni originarie, scoperta di
tutti i loro orizzonti intenzionali mediante i quali soltanto pu alla fine cogliersi la
portata delle evidenze e valutarsi correlativamente il senso ontico degli oggetti, delle
formazioni teoriche, dei valori e degli scopi17.
Le operazioni originarie cui si allude sono operazioni costitutive che rilevano in
radice gli orizzonti intenzionali di senso attraverso lautoesplicazione dellego trascendentale. Questa autoesplicazione consiste nella costituzione universale e necessaria delle forme di un mondo possibile... nellambito di ogni possibile forma
dessere in generale e del suo sistema di gradualit18. Anche tenendo nel massimo
conto le considerazioni fatte, sarebbe difficile ed affrettato concludere che la soggettivit trascendentale connaturata alla-priori universale equivalga alla nozione di
Dio. Rimane infatti aperta la questione pi volte ricordata della differenza tra livello
fenomenologico e livello ontologico-metafisico del discorso, questione che investe
pure laccennata ontologia concreta poich quella concretezza sempre relativa al
15
16
17
18

E. HUSSERL, o.c., p. 173.


E. HUSSERL, o.c., pp. 170-171.
E. HUSSERL, o.c., p. 171.
E. HUSSERL, o.c., p. 172.

278

Armando Rigobello

contesto fenomenologico. Si aggiunga anche la altrettanto rilevante questione del


modo in cui il mondo appare alla soggettivit trascendentale, un mondo gi dato.
Questa datit limita la sfera di assolutezza dellego trascendentale. La fenomenologia idealismo osserva Husserl nel paragrafo 41 della Quarta meditazione solo
nel senso di una autoesplicitazione del mio ego come soggetto di ogni possibile
conoscere, condotta nella forma di una scienza egologica sistematica, avendo cio di
mira ogni senso delloggetto essente che deve appunto aver senso per me come
ego19. Siamo quindi di fronte ad una nuova forma di idealismo trascendentale che
tuttavia si differenzia da quello dialettico della filosofia classica tedesca poich al
posto della attivit creativa vi quella costitutiva compiuta esplicitazione di senso
(durchgefhrte Sinnesauslegung), condotta su ogni tipo pensabile di essere per me,
come ego, e specialmente sulla trascendenza (che mi si presenta realmente data
dallesperienza) della natura, della cultura, del mondo in generale. Ma ci vale quanto dire: rivelazione sistematica dellintenzionalit costitutiva stessa20. La prova di
questo idealismo la fenomenologia stessa21.
Tentiamo di riesporre il nucleo centrale del discorso ed avanzare una ipotesi. Il
mondo, per la fenomenologia husserliana gi dato, ma la presa di coscienza del
senso del mondo porta a scoprirne la fonte nellattivit costitutiva dellego trascendentale a-priori. Si tratta di unindagine che dal dato risale alla genesi svelandone il
senso. Lindagine, come si visto, porta allattivit costituente dellego trascendentale assoluto, una intenzionale esplicitazione che investe dogni lato ogni aspetto della
realt. Tutto ci si svolge entro lorizzonte coscienziale dellego costituente, la sua
realt quella della coscienza trascendentale stessa, non ha bisogno di prova alcuna,
si d con evidenza apodittica. Lipotesi che avanziamo che lego, la soggettivit trascendentale a-priori si presentino impegnati in unattivit costituente perch cos
effettivamente appare alla nostra conoscenza soggettiva che risale dalla ovviet del
mondo quotidiano alle operazioni dellego trascendentale. La costitutivit ci apparirebbe come creativit e ravviseremmo nellAssoluto egologico un Dio immanente se
fosse possibile porci immediatamente alla sorgente a-priori invece di avvicinarci ad
essa attraverso un lungo itinerario di riduzione su riduzione, se fosse possibile violare
la neutralit fenomenologica e compiere quell avventura metafisica, quell eccesso speculativo contro i quali Husserl mette in guardia allinizio del paragrafo 60
della Quinta meditazione. Allinterno di questa ipotesi anche lenigma della donazione di senso, che contemporaneamente esplicitazione e scoperta di senso, verrebbe
chiarito. Lindagine fenomenologica trascendentale di Husserl verrebbe quindi ad
essere una esplicitazione della vita ab intra dellAssoluto compiuta dal suo interno
stesso da una mente finita, esplicitazione che si rivela compito infinito se considerata
dal punto di vista della soggettivit singola, non trascendentale. Questa posizione
potrebbe confluire, sotto alcuni aspetti, nella proposta di Ludwig Landgrebe che ritiene possibile interpretare la posizione husserliana in senso panteistico.
La questione del senso connessa intimamente a quella sulla costituzione. La
costituzione (Konstitution) donazione di senso (Sinngebung) ed allo stesso tempo
completa esplicitazione di senso (durchgefhrte Sinnesauslegung), raggiunge la
19
20
21

E. HUSSERL, o.c., p. 95.


Ibidem.
Questa frase manca nella traduzione italiana citata.

279

studi

genesi del senso (Sinngenesis). Anche quando Husserl accentua il fatto della donazione non ci troviamo mai di fronte ad una costruzione del senso, ma quasi ad un suo
riconoscimento attivo, intenzionale che approda alla fonte genetica. Lintenzionalit
infatti movimento verso, ma non vuota direzione, la sua stessa attivit condizionata dalla meta cui tende, il senso che dona ha la sua premessa nella fonte originaria
che sottesa, oggetto di esplicitazione costitutiva. NellHusserl pi maturo la costituzione va assumendo laspetto di una funzione, una relazione in cui il conferimento e
lesplicitazione appaiono come due volti dello stesso rapporto. Nonostante ci non si
pu negare che loperazione costitutiva husserliana rimanga, nel suo fondo, enigmatica. Le alterne accentuazioni sul dono o sulla scoperta, le esitazioni in proposito, loriginalit stessa della nozione non mai completamente portata alla luce fanno della
costituzione il sintomo di una ambivalenza della fenomenologia trascendentale husserliana che discende da quella singolare forma di ontologia senza realt oggettiva, di
concretezza senza natura che abbiamo gi incontrato nelle citazioni dal testo. Lambivalenza tra un discorso ipotetico di realt virtuale (verrebbe quasi da dire) e un
discorso che, in direzione opposta, scaturirebbe dalleccesso speculativo cui si
accennato sopra. Lipotesi di un immanentismo a sfondo panteistico decanta lambivalenza, conduce in realt la prospettiva husserliana oltre se stessa, ma pu esercitare
una funzione euristica nei confronti del tema che ci siamo proposto, ossia quale possa
essere il ruolo del discorso su Dio nel contesto della speculazione di Husserl. Non
intendiamo dire che Husserl si riveli, in fondo, un panteista, ma che il panteismo
potrebbe costituire una motivata eresia in seno al movimento fenomenologico giunto
al suo maturo livello trascendentale.

5. Garanzia intersoggettiva e veridicit divina


Un ulteriore elemento per individuare e chiarire il ruolo che la concezione di
Dio gioca nella fenomenologia trascendentale husserliana ci viene dalla problematica
iniziale della Quinta Meditazione, ossia dal problema di come superare il solipsismo.
nota la strada seguita da Husserl per rompere lisolamento provocato dalla messa
tra parentesi del mondo naturale: la radicalizzazione della riduzione fino al raggiungimento della sfera appartentiva e la conseguente presa di coscienza della sfera
dellestraneo nella quale si annuncia una presenza singolare e irriducibile alle altre,
quella dellalter ego e successivamente della comunit intersoggettiva. Ci riferiamo
soprattutto ai noti paragrafi 42, 43 e 44. Litinerario compiuto da Husserl interessa il
nostro tema poich nel descrivere i modi della verificazione concordante con cui il
rapporto intersoggettivo garantisce loggettivit del mondo, sia pure del mondo come
fenomeno della soggettivit, Husserl assume una posizione che in qualche modo pu
ricordare le argomentazioni con cui Cartesio toglie lipoteca sul mondo oggettivo
facendo ricorso alla veridicit divina. Losservazione di Paul Ricoeur nel suo lucido
commento alla Quinta Meditazione22. In realt lanalogia appare motivata dallanalisi dei testi.
Io ho esperienza degli altri, come altri che sono, in molteplicit desperienze
22

Cfr. P. RICOEUR, E. Husserl. La Cinquime Mditation Cartesienne, in lcole de la phnomnologie, Vrin, Paris 1986, p. 198.

280

Armando Rigobello

concordanti e variabili, e pi oltre: in ogni caso io esperisco in me, entro il mio


vivere coscienziale trascendentalmente ridotto, il mondo assieme agli altri; il senso di
questa esperienza implica che altri non siano quasi mie formazioni sintetiche private,
ma che costituiscano un mondo in quanto a me estraneo, come intersoggettivo, un
mondo che c per tutti ed i cui oggetti sono disponibili a tutti23. Lesito speculativo
del discorso riassunto qualche riga pi sotto: Questo problema si presenta dunque
a tutta prima come un problema speciale, quello dellesserci-per-me degli altri e
quindi il tema della teoria trascendentale dellesperienza dellestraneit, ossia la
cosidetta Einfhlung. Ma subito si vede che limportanza di una tale teoria molto
maggiore di quel che sembra a prima vista, in quanto parimenti fonda una teoria trascendentale del mondo oggettivo24. Dallestraneit intersoggettiva prende senso
anche un mondo di oggetti con predicati spirituali, ossia il mondo della cultura e
dei valori propri della spiritualit. Lavvertire lalter ego, anzi gli altri d luogo ad un
rapporto che allarga la sfera della soggettivit stessa e rende consapevoli che la soggettivit inclusa in unintersoggettivit, che lattivit costituente dellego trascendentale non isolata intenzionalit di un soggetto e supera anche il calore dellempatia che, in fondo, un sentire privato. Il senso del mondo che ci circonda e dei valori
spirituali che in esso fioriscono garantito dalla consapevolezza di essere inscritti in
un orizzonte trascendentale intersoggettivo. Lintersoggettivit il garante del valore
oggettivo di tutta lattivit intenzionale costituente.
Anche per Cartesio la garanzia dellesistenza della realt valida per ognuno
raggiunta a partire dalle potenzialit speculative implicite nel cogito, ossia mediante
lidea di Dio che fonda lesistenza del mondo e che non pu ingannarci per la veridicit intrinseca alla propria natura. Si rileggano in proposito le pagine della Quarta
delle Meditazioni Metafisiche di Cartesio: dal fatto solo che questa idea (lidea di
Dio) si trova in me, ovvero dal fatto che io esisto, io, che posseggo questa idea, concludo cos evidentemente lesistenza di Dio e lintera dipendenza della mia esistenza
da lui in tutti i momenti della mia vita, che non penso che lo spirito umano possa
conoscere qualcosa con maggiore evidenza e certezza25 e subito dopo aggiunge
lannuncio dellitinerario che lo porter a riconoscere loggettivit del mondo: E gi
mi sembra di scoprire un cammino che condurr da questa contemplazione del vero
Dio (nel quale tutti i tesori della scienza e della saggezza sono rinchiusi) alla conoscenza delle cose delluniverso26. Non seguiamo Cartesio nellesporre il suo itinerario, il criterio che lo guida comunque formulato immediatamente dopo: Poich, in
primo luogo io riconosco che impossibile che Dio minganni, ch in ogni frode ed
inganno si trova qualche imperfezione27. La soggettivit trascendentale interpersonale, la comunit intermonadica di Husserl non sono certo il Dio dellidea cartesiana;
lego husserliano tuttavia, per sua natura, pure esso veridico. La garanzia, in entrambi i casi, nella assolutezza, in entrambi i casi si tratta di una garanzia interna al soggetto, interna ed allo stesso tempo diversa dalla condizione di solus ipse da cui parte
largomentazione, garanzia interna ma erga omnes. Non nemmeno il caso di ricordare che il discorso di Husserl si disegna nellambito della coscienza trascendentale
23
24
25
26
27

E. HUSSERL, o.c., pp.102-103.


E. HUSSERL, o.c., p. 102.
CARTESIO, Opere; vol. I, Bari 1967, p. 232.
Ibidem.
CARTESIO, o.c., pp. 232-233.

281

studi

ridotta, ambito proprio della fenomenologia, mentre quella di Cartesio conduce direttamente allontologia, anzi alla metafisica nel senso vero e proprio del termine.
Analogie e differenze quindi non mancano, ma ha un suo significato comunque il fatto
che lalterit garante, evinta in entrambi i casi dallapprofondimento dellego, sia stata
esplicitamente individuata in Dio da uno dei due pensatori, da Cartesio appunto.
Sebbene il parallelismo tra le due posizioni non sia privo di notevoli difficolt, le
accennate convergenze vengono a rafforzare lipotesi avanzata nel precedente paragrafo sul carattere assoluto, in qualche modo divino, della soggettivit trascendentale
ed intermonadica husserliana. Il panteismo implicito nellorizzonte trascendentale
husserliano ha un qualche antecedente nellontologismo implicito nelle articolazioni
del cogito di Cartesio.

6. Il messianismo della ragione


Lultimo aspetto su cui intendiamo soffermarci riguarda la natura teleologica
della ragione husserliana, il suo compito infinito cos come emerge gi dalle prime
pagine della Krisis28. Prendiamo lavvio dal paragrafo 6 dove, delineato un abbozzo di
storia della filosofia moderna, Husserl precisa il compito per la ripresa, dopo la crisi e
la stanchezza speculativa del nostro tempo, mediante il ritorno ad una fede in una
ragione assoluta che dia senso al mondo, fede nel senso della storia, nel senso
dellumanit, nella sua libert in quanto attiva possibilit delluomo di conferire un
senso razionale alla sua esistenza umana individuale e umana in generale29. La realizzazione di questo impegno comporta il portare la ragione latente allauto-comprensione, alla comprensione delle proprie possibilit e perci rendere evidente la possibilit, la vera possibilit, di una metafisica questo lunico modo per portare la metafisica, cio la filosofia universale, sulla via laboriosa della propria realizzazione30. Si
configura cos un movimento infinito dalla ragione latente alla ragione rivelata e nel
perseguimento infinito dellauto-normativit. La ragione quindi pu presentarsi
latente oppure rivelata, il suo fine la omnicomprensione, un fine che ha un orizzonte
infinito in cui esplicarsi. La omnicomprensione sostanzialmente una autocomprensione. Possiamo dire che Husserl ha una fede nel significato positivo, unitario e quindi
razionale implicito nel mondo della vita. La filosofia non ha senso fuori di questa
opzione positiva, una lotta per chiarire questo platonismo di fondo e contro la
regressione di una civilt e societ che perdono la percezione e il senso del valore.
Questa razionalit universale ci deve essere, postulata con un atto di fede. Proprio
per questa sua presenza postulata, per questo suo situarsi in prospettiva di compito da
realizzarsi come telos, come ideale, la razionalit (nelle sue forme particolari e nelle
sue particolari realizzazioni) latente o meglio passata o sta passando da uno stadio
di latenza ad uno di esplicitazione. La ragione quindi, di fatto, dal punto di vista storico un processo di razionalizzazione, da latente si va facendo rivelata, un processo
che indica un compito infinito. Essa tende alla omnicomprensione, che sar pure autocomprensione, ed un tendere aperto, intenzionalmente rivolta ad identificarsi col
28

Cfr. E. HUSSERL, La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale, a cura di


E. Filippini, Il Saggiatore, Milano 1966, pp. 33-47.
29 E. HUSSERL, o.c., p. 42.
30 E. HUSSERL, o.c., p. 44.

282

Armando Rigobello

proprio ideale, che si configura in qualche modo analogo al kantiano ideale della
ragione. Che in Kant ha, come noto, soltanto un uso regolativo ed lidea di Dio.
La razionalit delle scienze positive, nel quadro della prospettiva husserliana
che stiamo esponendo, una razionalit formale, che chiude i fatti entro le proprie
strutture analitiche, una efflorescenza feconda della ricerca umana ma semplicemente un defluire laterale del grande fiume della ricerca filosofica che non dovrebbe
scindersi e ristagnare nelle realizzazioni parziali, ma procedere oltre. La razionalit
che presiede alle singole scienze ed alle tecniche non la ragione senzaltro, si alimenta essa stessa di una fonte che non esaurisce in s. La distinzione e le articolazioni sono elementi transitori, storicamente opportuni, ma debbono essere intenzionalmente rivolti a quella unit verso cui procede il filone centrale della ricerca, senza
per questo perdere la loro autonomia operativa. Se la rivelazione potesse essere completa, se la terra promessa potesse essere raggiunta, allora si coglierebbe nella comprensione assoluta lunit totale e si perverrebbe anche alla umanizzazione totale del
mondo che consiste nella autocomprensione. Questo messianesimo della ragione di
grande interesse per il nostro tema e vorremmo valutarlo approfondendo lanalisi
della struttura della ragione, colta in itinere. Se, per cos dire, sorprendessimo la
ragione husserliana in un momento del processo delineato, ci apparirebbe il tipo di
razionalit propria delle scienze particolari ma entro il quadro unitario e prospettico
della ragione in una pienezza che tuttavia ancora costituisce soltanto un orizzonte
regolativo. Tra la razionalit esplicita ed operante in tutta la chiarezza delle sue articolazioni logiche e la razionalit latente che si appresta alla rivelazione compare
sempre un iato che interrompe una continuit da cui tuttavia non si pu prescindere.
Il punto critico della omnicomprensione-autocomprensione caratterizzante la razionalit husserliana sembra essere quindi nellardua sutura tra tecniche logiche, proprie
delle scienze particolari, e lideale della comprensione totale. Ci si dovrebbe muovere nel pi rigoroso razionalismo, ma si parla di ragione nascosta, di ragione rivelata,
di fede e si mobilita lo slancio morale per la soluzione del compito. Una fede, una
passione di unit e di totalit di significato pervadono tutta la prospettiva husserliana,
ma la progressiva razionalizzazione deve sempre combattere contro un regredimento,
un fermarsi al settoriale, insomma contro la perdita di senso. Ed ecco quindi lappello
alla immagine ed alla forza quasi religiosa di un ideale razionale e regolativo.
Sono proprio rimossi in Husserl quei presupposti ingenui che impediscono a
Kant, secondo la critica husserliana, di saldare lanalitica a-priori con lideale della
ragione? Che tipo di razionalit potr essere quella che si realizza nella comprensione
totale? Il rimando ad una razionalizzazione mai compiuta forse il segno di una trascendenza elusa? Il compito infinito della ragione orientata verso una assoluta comprensione certamente segnato da una forte tensione religiosa che richiama dinamiche interne alla soggettivit-intersoggettivit trascendentali, delineate nei precedenti
paragrafi e che qui viene colto in una proiezione temporale di compito storico; di
compito che tuttavia, dato il carattere di infinito che gli costitutivo, acquista tonalit
messianiche e il cui orizzonte intenzionale richiama una prospettiva escatologica.
Tutto questo accentua il carattere religioso del compito della ragione. Lanalogia, sia
pure parziale, con lideale regolativo kantiano, daltra parte, reca un ulteriore elemento per considerare il telos della ragione husserliana un analogo dellidea di Dio.
Analogia non identit, le differenze rimangono, rimane tuttavia anche un abbozzo
di ricerca che si apre ad un ridimensionamento delle differenze.
283

studi

7. Considerazioni conclusive
Possiamo raccogliere i disparati elementi di quella che potremmo indicare come
la prospettiva teologica di Husserl, elementi certamente tra loro connessi, ma che non
si possono organizzare in un sistema unitario. Ci significativo in un Autore cui
non manca una forte passione sistematica. Da ci potremmo trarre una prima considerazione: sul terreno strettamente fenomenologico, anche a livello di fenomenologia
trascendentale, il tema di Dio, tema metafisico proprio della filosofia classica, non
occupa un posto di rilievo. In forma esplicita Husserl se ne occupa nel paragrafo 58
di Ideen nei modi e nei limiti che si cercato di chiarire: un riconoscimento della
validit degli argomenti filosofici ma non fenomenologici dellesistenza di Dio;
lestraneit di tale tema alla ricerca fenomenologica.
La nostra ricerca per procedere ha dovuto spostarsi su di un piano diverso: quello della affinit con alcune connotazioni metafisiche dellidea di Dio. Un discorso su
Husserl contro Husserl o, meglio, oltre Husserl, cio attribuendo impliciti significati
metafisici a considerazioni che Husserl intende invece mantenere sul terreno rigorosamente fenomenologico. Ci si riferisce a quanto si andati dicendo sulla soggettivit trascendentale monadica e intermonadica e sulla sua attivit costituente, come
pure sulla garanzia intersoggettiva nel superamento del solipsismo ed infine sul compito infinito della ragione. Il problema pregiudiziale rimane tuttavia quello del rapporto tra fenomenologia e discorso metafisico. In proposito la conclusione del paragrafo 64 con cui si chiudono le Meditazioni Cartesiane pu recare un ulteriore chiarimento. Avviandosi a terminare il discorso, Husserl sottolinea come il metodo fenomenologico sia incompatibile con quella metafisica ingenua che ammette le cose
in s, ma non disconosce le istanze problematiche che hanno dato vita a tale metafisica, sia pure tra problemi e metodi errati31. La metafisica compatibile invece con
la fenomenologia costituita dal plesso problematico che si interroga sui temi ultimi
e sommi come quelli della giustificazione dellesistenza, dellesistenza autentica,
della morte, della genesi del senso e della storia. Tutto ci accolto soltanto a titolo
ideale di possibilit di essenza32, cio come espressione di tensioni ideali di cui possiamo avere referto fenomenologico. Non si tratta di un passaggio dal livello fenomenologico al piano metafisico, ma dellattenzione a quanto abbia riferimento a temi e
problemi dellesistenza radicalmente intesa e dellulteriore che sempre ci trascende,
attenzione fenomenologica situata nellorizzonte di senso che la fenomenologia definisce. Si tratta di una metafisica impropria che pu pi correttamente definirsi fenomenologia delle istanze metafisiche, fenomenologia della coscienza morale e
dellesperienza religiosa. I caratteri propri della metafisica appaiono invece impliciti
in un auto riflessione universale: Lessere in s primo che precede ogni oggettivit mondana e la comprende in s, lintersoggettivit trascendentale, la totalit
delle monadi che si articola in diverse forme di comunit33. Entro lintrascendibile
sfera monadica appaiono le idee metafisiche ma con la consistenza propria di un
fenomeno della coscienza trascendentale ridotta. Tutto ci in piena corrispondenza
con il programma fenomenologico fin dal suo primo configurarsi.
31
32
33

E. HUSSERL, Meditazioni Cartesiane, cit., p. 174.


Ibidem.
Ibidem.

284

Armando Rigobello

Chiariti i limiti del rapporto che Husserl pone tra fenomenologia e metafisica,
non ci rimane che cercare tra i frammenti di metafisica implicita nella prospettiva
fenomenologica un primo abbozzo di risposta al tema che ci eravamo proposti, ossia
il posto che occupa il problema di Dio nella fenomenologia trascendentale husserliana. Gli elementi su cui ci siamo soffermati presentano tuttavia tra loro notevoli diversit, anzi appaiono eterogenei. Uno, quello sulla struttura finalistica del mondo, infatti valido purch lo si prenda in considerazione al di fuori della ricerca fenomenologica, un altro, quello del logos a-priori, si colloca tra ontologia e gnoseologia, una
altro ancora fa riferimento alla dinamica della costituzione, una attivit ambivalente
tra la scoperta e la implicita creativit. Due ulteriori elementi investono da un lato il
tema delle garanzie conoscitive, dallaltro il compito inesauribile della ricerca come
struttura della razionalit stessa. Questi elementi disparati troverebbero tuttavia reciproche connessioni se potessero convergere in un nucleo dottrinale, quello appunto
della nozione classica di Dio, un nucleo alluso, indicato come orizzonte intenzionale
ma mantenuto nel limbo di una ontologia fenomenologica che non gli permette di
costituirsi nella propria identit speculativa. Se la fenomenologia trascendentale
giungesse alla soluzione del compito in vista del quale Husserl laveva formulata, e
attingesse il livello delle verit metafisiche si attuerebbe laccennata convergenza: il
finalismo cosmico si rivelerebbe parallelo con la teleologia infinita della ragione, il
logos di ogni essere possibile si identificherebbe con la mente divina, cadrebbe
lambivalenza tra lattivit costitutiva e creativit, la struttura ontologico-metafisica
renderebbe superflua la garanzia intersoggettiva, linfinito e lassolutezza non si troverebbero in conflitto con il gi dato, col limite, con la finitezza.
Ma Husserl non ha portato il suo discorso fino a questo punto, il suo progetto
fenomenologico non tramontato in una ontologia e tanto meno in una metafisica di
tipo classico. Ci non toglie che lipotesi di un suo sviluppo in senso teistico abbia un
suo significato speculativo nella valutazione di logiche interne al pensiero moderno e
nel giudizio sulla stessa fenomenologia. Il pensiero moderno ogniqualvolta si articola
a livello di assolutezza non pu eludere il problema di Dio comunque lo risolva, e
daltra parte il problema di Dio pone la ricerca fenomenologica in situazioni limite
ove la singolarit del suo consistere ontologico rivela tutta la sua precariet. Uno studio intorno allidea di Dio nella fenomenologia husserliana potrebbe includere anche
un paragrafo sulla fenomenologia della religione, del linguaggio e dellesperienza religiosa, ma ci siamo limitati alla fondazione speculativa dellidea di Dio e cos pure
abbiamo tralasciato laspetto biografico, sulla personale religiosit di Husserl. Un adeguato quadro relativo alla fenomenologia della religione come sviluppo di tematiche
husserliane stato tracciato da Angela Ales Bello in Husserl. Sul problema di Dio34.
LAutrice riferisce sul dibattito in corso e sottolinea la rilevanza religiosa della regressione al vissuto originario che la Rckfrage husserliana contribuisce a porre in luce.
Xavier Tilliette, in una breve introduzione alla fenomenologia husserliana, dedica al tema che siamo andati trattando alcune pagine che intitola Digressione teologica quasi a sottolineare la secondariet dellargomento nel pur vastissimo ambito della
ricerca fenomenologica di Husserl. Il P. Tilliette si chiede se la rarefazione del divi34

A. ALES BELLO, Husserl sul problema di Dio, Studium, Roma 1985. Si vedano soprattutto
le pp. 105-137.

285

studi

no nella fenomenologia non sia leffetto accidentale di una ristrettezza metodica35.


da questa ristrettezza che nasce lidea di una filosofia come scienza rigorosa,
unidea che oggi appare anacronistica, a meno di una radicale trasformazione della
filosofia in formalismo analitico, uno sbocco ben lontano dalla concezione husserliana del filosofare. Il divieto di ogni eccesso speculativo discende dalla pregiudiziale
metodologica che isola il divino al di fuori della ricerca.
Eppure proprio la scelta metodologica della riduzione, della messa fuori gioco
del mondo naturalisticamente inteso, che offre lopportunit della descrizione di connessioni di senso che richiamano, come si gi accennato, le dinamiche interne della
vita ab intra di un Dio fonte del senso. Ma tutto ci rimane ad un livello di limbo
ontologico con tutte le ambiguit che questa collocazione comporta, unambiguit il
cui fascino spesso discende da unesperienza di isolamento in un mondo virtuale. Il
periodo con cui si chiude la Quinta Meditazione, dopo aver richiamato il detto socratico del conosci te stesso ed aver affermato che la scienza positiva scienza di ci
che si perduto nel mondo, conclude con un programma di ascesi speculativa in
vista di una nuova pienezza di senso, di una salvezza: Si deve perdere (verlieren) il
mondo mediante lepoch, per riottenerlo con lautoriflessione universale (um sie in
universaler Selbstbesinnung wiederzugewinnen). E termina rileggendo Agostino
alla luce della nuova interiorit: Noli foras ire, dice Agostino, in te redi, in interiore
homine habitat veritas36. Questa presa di coscienza di se stessi non la scoperta di
una fonte interiore di senso pi intima a noi che noi stessi, ma unautoriflessione che
riappropriazione razionale di quel mondo cui si aveva rinunciato con lascesi
dellepoch. Il presupposto illuministico infatti impedisce allautocoscienza riconquistata di raccogliersi nellintimit di ci che le pi proprio.
***
Abstract: In Husserl, God is identified as cause of the teleological order of the
world, absolute and transcendent; but the divine being falls outside the scope of phenomenological study and must be bracketed. Husserl insists on a radical distinction between Gods transcendence and that of consciousness. However, the nature of
the difference is unclear. The analysis of transcendental subjectivity manifests a priori grounds or functions which possess a seemingly divine absoluteness: the Logos of
all possible beings, at once universal and concrete, reminiscent of the spinozian and
kantian conceptions of the divine mind; the guarantee of intersubjectivity, analogous
to Gods role as the guarantee of truth in Descartes; and a tension toward omni-comprehension, with religious connotations comparable to those of Kants ideal of reason. As in the case of the transcendental subjects role as constitutive of meaning,
a role which is ambivalent between creativity and mere dynamic discovery, the
limits of the phenomenological method preclude a definitive resolution of the ambiguity. The question requires a positive confrontation between phenomenology and
classical metaphysics.
35

X. TILLIETTE, Breve introduzione alla fenomenologia husserliana, a cura di E. Garulli,


Itinerari, Lanciano 1983, p. 124.
36 E. HUSSERL, o.c., p. 175.

286

ACTA PHILOSOPHICA, vol. 3 (1994), fasc. 2 - PAGG. 287/313

Dio e la questione dellessere in Heidegger


LUIS ROMERA OATE*
Sommario: Introduzione; 1. Lassenza di Dio; 1.1. Lepoca della notte del mondo; 1.2. La questione di Dio e la questione dellessere; 2. La natura onto-teo-logica del pensiero metafisico di Dio;
2.1. Il primato della ratio e il principio di ragione; 2.2. Il significato delloggettivazione; 2.3. Il
Dio non divino; 3. Laltro inizio: verso il Dio divino; 3.1. Lultimo Dio e il superamento della
metafisica; 3.2. Lessere pensato dalla differenza ontologica; 3.3. Lessere come laccadere appropriante (lEreignis); 4. Lapparire di Dio; 4.1. Le dimensioni del pensiero dellessere e la loro
unit: il Geviert; 4.2. Dal sacro ai divini; 4.3. Il Dio di Heidegger.

Introduzione
M. Heidegger un pensatore ad un tempo essenziale ed epocale. Infatti, il pensatore tedesco ha occupato, e occupa tuttora, un posto preminente nel pensiero di
questo secolo perch ritorna sulle questioni essenziali di ogni tempo, ripensandole da
una situazione storica assunta in un modo consapevole, il che gli consente di considerarle contemporaneamente in dialogo con la tradizione e con lo sguardo rivolto verso
il futuro. Pi in particolare Lwith sottolinea che Heidegger un pensatore inquietante per i suoi contemporanei per lo stesso motivo per cui lo furono Fichte e
Schelling, cio perch il suo pensiero associato a questioni religiose1.
Forse il discusso risultato finale del periplo speculativo heideggeriano, siccome
prima o poi finisce per condurre alla questione di Dio, pu essere simbolicamente rappresentato nellimmagine delluomo pazzo che annunzia la morte di Dio
al mercato, nella nota pagina di Nietzsche. Nella lettura che fa di essa Heidegger si
enfatizza, non a caso, laffermazione con cui il personaggio nietzscheano fa ingresso
nella scena: cerco Dio!, mentre il requiem che Nietzsche gli fa cantare sostituito
da Heidegger con il de profundis. E commenta: luomo pazzo, invece, come
risulta chiaramente dalla prima parte del passo, e, pi chiaramente ancora, per chi ha
orecchie per intendere, dallultima parte colui che cerca Dio invocandolo ad alta
*

Ateneo Romano della Santa Croce, Piazza di S. Apollinare 49, 00186 Roma

Cfr. K. LWITH, Heidegger, pensador de un tiempo indigente, Rialp, Madrid 1952, p. 179.
Anche O. PGGELER (El camino del pensar en Martin Heidegger, Alianza, Madrid 1986) osserva che il problema di Dio era presente sin dallinizio del pensiero di Heidegger (pp. 283-291).

287

studi

voce. Un pensatore ha forse qui realmente invocato il de profundis? E hanno udito le


orecchie del nostro pensiero? O continuano ancora a non udire il grido? Il grido continuer a non essere udito finch non si incomincer a pensare. Ma il pensiero incomincer solo quando si render conto che la ragione glorificata da secoli la pi
accanita nemica del pensiero2.
Come non sentire la voce del medesimo Heidegger nel pensatore che cerca
Iddio e canta il de profundis per un Dio che non si trova pi, il cui canto solo sar
capito da un pensiero liberatosi della ratio? Diversamente da Nietzsche, Heidegger
non recita un responsorio (che indica sempre qualcosa di definitivo: requiem aeternam dona ei...) dinanzi alla morte di Dio; lui invoca il salmo delluomo che, pieno di
angoscia di fronte allassenza di Dio, nel profondo del suo cuore brama, mosso
dallanelito e dalla nostalgia, perch Dio torni a farsi presente (de profundis clamavi
ad te...). Ma, daltra parte, coincide con Nietzsche sia nella costatazione dello sparire
di Dio, sia nellidentificazione della causa della sua assenza: Dio morto perch noi
labbiamo ucciso. Dio morto. Questa affermazione non corrisponde a un atteggiamento di negazione e di astio, quasi significasse: Non c alcun Dio; ma rispecchia invece lo sdegno: Dio stato ucciso!. Siamo di fronte al pensiero cruciale; ma
nello stesso tempo la comprensione si fa ancora pi ardua. Sarebbe pi facile comprendere il detto Dio morto se significasse: Dio si allontanato di sua iniziativa
dalla sua vivente presenza. Ma che Dio sia stato ucciso da altri, e per di pi
dalluomo, cosa inconcepibile3.
Ma forse il pensiero di Heidegger nella ricerca di Dio alla fine si risolve nella
sola indicazione di una possibile via per arrivare a Lui, si conclude cio nellanelito,
senza riuscire per a trovare Iddio4; da ci limmagine ricordata delluomo che canta
il de profundis, che lamento per lassenza, anelito e supplica, ma non ancora gioia
per la presenza ritrovata5.
Quattro sarebbero di conseguenza i temi che si presentano alla considerazione
della questione di Dio nel pensiero di Heidegger: 1) lassenza di Dio nel nostro
tempo, 2) il motivo per cui Dio sparito, 3) la modalit di pensiero che pu cercare il
Dio nascosto e, infine, 4) lesito del sentiero heideggeriano. A questi quattro punti
allude la presente nota sintetica.

1. Lassenza di Dio
1.1. Lepoca della notte del mondo
Richiamandosi a Hrderlin laltro punto di riferimento heideggeriano insieme a Nietzsche nella considerazione del problema di Dio Heidegger vede la
nostra epoca come un tempo indigente nel quale calata e si estende la notte del
2

M. HEIDEGGER (=H.), La sentenza di Nietzsche Dio morto, in Sentieri interrotti, La


Nuova Italia, Firenze 1979, pp. 245-246.
3 Ibidem, p. 239.
4 Cfr. J. B. LOTZ, Das Sein nach Heidegger und Thomas von Aquin, in Atti del congresso internazionale Tommaso dAquino nel suo VII centenario, vol. VI, Roma-Napoli, pp. 38-41.
5 Non nostra intenzione pronunciarci sul problema biografico di Dio in Heidegger, ma soltanto sulle indicazioni teoretiche della sua opera.

288

Luis Romera

mondo. La povert e loscurit che invadono con sempre pi intensit tutte le sfere
del momento attuale non riguardano aspetti accessori: ormai lepoca caratterizzata
dallassenza di Dio, dalla mancanza di Dio (...). La mancanza di Dio significa che
non c pi nessun Dio che raccolga in s, visibilmente e chiaramente, gli uomini e le
cose, ordinando in questo raccoglimento la storia universale e il soggiorno degli
uomini in essa6. La notte del mondo consiste nella mancanza di quel Dio, che non si
limitava ad essere un elemento culturale insieme ad altri; al contrario, la sua assenza
si annuncia con la mancanza di un fondamento che fonda, in modo tale che veniamo
a trovarci in unepoca che, mancando il fondamento, pende nellabisso7.
Il momento storico attuale, epigono finale e definitivo dellepoca moderna, cos
configurato che lente si presenta in quanto tale sotto il dominio della tecnica. Alla
domanda sul come oggi in generale lente, Heidegger risponde affermando: quale
esso ci vien detto dal predominio dellessenza della tecnica moderna, il cui dominio
si manifesta in tutti i campi della vita, come appare dal fatto che si hanno espressioni
caratteristiche come funzionalizzazione, massimo rendimento (Perfection), automazione, burocratizzazione, informazione8. Nellepoca della tecnica9 le tracce di Dio si
sono perse, nascoste o dimenticate sotto il predominio della volont delluomo
sullente, che rende impossibile il lasciar essere lente e lapparire di Dio.
Ci nonostante non risiede qui il motivo ultimo dellindigenza del nostro
tempo: nella mancanza di Dio si manifesta qualcosa di peggiore ancora. Non solo
gli dei e Dio sono fuggiti, ma si spento lo splendore di Dio nella storia universale.
Il tempo della notte del mondo il tempo della povert perch diviene sempre pi
povero. gi diventato tanto povero da non poter riconoscere la mancanza di Dio
come mancanza10. Nellassenza di Dio e nella progressiva incapacit di riconoscere
lassenza come assenza resta legata la sorte delluomo in un modo radicale.
Heidegger ritiene che allinterno di questo processo storico di impoverimento diventa
ogni volta pi difficile che luomo possa trovare lo spazio nel quale raggiungere e
sviluppare la propria essenza11. Riprendendo una delle note che caratterizzano
luomo sin da Sein und Zeit (la morte, nella cui anticipazione, operata dal pensiero,
luomo diventa consapevole del suo essere) avverte: il tempo povero non soltanto
perch Dio morto, ma anche perch i mortali sono a mala pena in grado di conoscere il loro essere-mortali. Essi non sono ancora padroni della propria essenza. La
morte si ritrae nellenigmatico12.
Lassenza di Dio, che si manifesta come mancanza di un fondamento che permette alluomo di trovare nella storia lo spazio in cui soggiornare nella propria essenza, si costituisce come un processo o destino storico13 che si realizza nellepoca della
6 H., Perch i poeti?,
7 Ibidem, p. 248.
8 H., La concezione

in Sentieri interrotti, o.c., p. 247.

onto-teo-logica della metafisica, in Identit e differenza II, Teoresi


(1967), pp. 215-235, qui p. 221.
9 Lespressione tecnologia deve servire come caratterizzazione della metafisica dellepoca
atomica (ibidem, p. 221).
10 H., Perch i poeti?, o.c., p. 247. Cfr. P. DE VITIS, Heidegger e la filosofia della religione, in
AA.VV., La ricezione italiana di Heidegger, Cedam, Padova 1989, pp. 181-202.
11 Cfr. H., Perch i poeti?, o.c., p. 249.
12 Ibidem, p. 252.
13 Cfr. ibidem, p. 249.

289

studi

tecnica con la sua definitiva radicalit: lessenza della tecnica viene a giorno con
estrema lentezza. Questo giorno la notte del mondo, mistificato in giorno tecnico.
Si tratta del giorno pi corto di tutti. Con esso si leva la minaccia di un unico interminabile inverno. Frattanto, non solo tolta alluomo ogni protezione, ma le tenebre
avvolgono lintegrit di tutto lente. Ogni salvezza (Heil) tolta. Il mondo diviene
allora empio (heillos). E cos, non solo resta nascosto il Sacro (das Heilige) come
traccia della divinit, ma la stessa traccia del Sacro, la salvezza, sembra dissolta. A
meno che non ci siano mortali in grado di vedere la minaccia della mancanza di salvezza in quanto minaccia14.
La domanda che in questo contesto emerge con forza e urgenza dinanzi al pensiero suonerebbe cos: come mai siamo arrivati alla mancanza di Dio, anzi, allincapacit di percepire lassenza come tale? Perch essa costituisce un destino storico in
cui inserito luomo? Sintravede una possibile via duscita che permetta di recuperare lo spazio in cui si manifesti il Dio fuggito e dove luomo ritorni alla sua essenza?
In Heidegger queste domande puntano verso quel segno che determina il centro del
suo pensiero: loblio dellessere, loblio delloblio e il bisogno di un pensiero
dellessere. E se questo oblio fosse lessenza nascosta della povert del tempo della
povert?15.
certo che Heidegger ha manifestato pi volte la sua estraneit ad un avvicinamento della filosofia alla teologia, rivendicando il carattere proprio e specifico del
pensiero filosofico16, ma anche vero che non sono meno frequenti le affermazioni
circa la unicit del suo pensiero: numerosi sono i sentieri (Feldwege) sconosciuti
che vi conducono. Tuttavia per ogni pensatore ne sussiste uno solo, il suo, quello che
gli assegnato, sulla cui traccia egli deve muoversi in un costante andirivieni, per
mantenersi in esso come nel proprio, anche se non gli appartiene, e dire ci che cos
gli risulta17.
Heidegger si manifesta cauto sulla possibilit di un discorso su Dio allinterno
del pensiero dellessere: con questa indicazione, tuttavia, il pensiero che rimanda
alla verit dellessere come a ci che da pensare, non intende affatto aver deciso per
il teismo. Esso non pu essere teista pi di quanto non possa essere ateo. Ma questo
non sul fondamento di un atteggiamento di indifferenza, ma di rispetto dei limiti che
sono posti al pensiero come tale, e precisamente da parte di ci che gli si d come ci
che va pensato, ossia da parte della verit dellessere18.

1.2. La questione di Dio e la questione dellessere


Nonostante le riserve ora riportate, Heidegger anche esplicito nellindicare il
14 Ibidem, p. 272.
15 Ibidem, p. 251.
16 Cfr H., Fenomenologia

e teologia, in Segnavia, Adelphi, Milano 1987, pp. 3-34. Per


Heidegger la filosofia cristiana sarebbe un ferro di legno (cfr. H., Introduzione alla
metafisica, Mursia, Milano 1968, p. 19) o un cerchio quadrato (cfr. H., Nietzsche II,
Neske, Pfullingen 1961, p. 132). Per una discussione del rapporto filosofia-teologia in
Heidegger cfr. V. MELCHIORRE, Il linguaggio dellessere fra filosofia e teologia, in AA.VV.,
Heidegger e la metafisica, Marietti, Genova 1991, pp. 191-222.
17 H., La sentenza di Nietzsche Dio morto, o.c., p. 193.
18 H., Lettera sullumanismo, in Segnavia, o.c., p. 303.

290

Luis Romera

modo secondo il quale considera che si deve impostare il problema di Dio: solo a
partire dalla verit dellessere si pu pensare lessenza del sacro. Solo a partire
dallessenza del sacro si pu pensare lessenza della divinit. Solo alla luce
dellessenza della divinit si pu pensare e dire che cosa debba nominare la parola
Dio19. Perci si domanda: ma come pu luomo dellattuale storia del mondo riuscire anche solo a domandarsi in modo serio e rigoroso se Dio si avvicini o si sottragga, quando proprio questuomo tralascia di pensare anzitutto in quella dimensione in
cui solamente quella domanda pu essere posta? Ma questa la dimensione del
sacro, che rimane chiusa persino come dimensione, se lapertura dellessere non
diradata e, nella sua radura, non vicina alluomo. Pu darsi che la caratteristica di
questepoca del mondo consista nella chiusura alla dimensione di ci che integro
(das Heile). Forse questa lunica sventura (Unheil)20.
La connessione tra il problema di Dio e la questione dellessere consiste nellantecedenza dellultima nei confronti della prima; il che significa che, sebbene il pensiero
dellessere ancora non possa pronunciarsi su Dio, imprescindibile e condiziona il riferimento delluomo a Dio21. In questo senso prioritario un pensiero dellessere in riferimento al sacro, e del sacro rispetto a Dio. Letere, nel quale soltanto gli dei sono dei,
la loro divinit. Lelemento di questo etere, in cui la divinit stessa presente, il
sacro. Lelemento delletere per il ritorno degli dei, il sacro, la traccia degli dei fuggiti. Ma chi sar in grado di rintracciare questa traccia? Le tracce, sovente, sono ben poco
visibili, e sono sempre il retaggio di unindicazione appena presentita22.
Si raggiunge lo spazio in cui porre il problema di Dio soltanto nella misura in
cui ci si avvicina al sacro, il che implica pensare prima di tutto lessere. E, parallelamente, ricuperare lo spazio per lapparire di Dio suppone contemporaneamente e
inscindibilmente che luomo si riappropri della sua essenza: la salvezza deve venire
da l donde proviene ai mortali la svolta della loro essenza23. Anche qui il pensiero
deve incamminarsi verso il sentiero che conduce allessere giacch il pericolo consiste nella minaccia che investe lessenza delluomo nel suo rapporto allessere e non
in qualche pericolo momentaneo24.
19 Ibidem,

p. 303. Ma lessere non n Dio n il fondamento del mondo. Lessere essenzialmente pi lontano di ogni ente e nondimeno pi vicino alluomo di qualsiasi ente, sia questo una roccia, un animale, unopera darte, una macchina, un angelo o Dio (ibidem, p. 284).
20 Ibidem, p. 303.
21 Pochi sono coloro che sanno che Dio attende la fondazione della verit dellessere e quindi
il salto delluomo nellesserci! Si ritiene invece che dovrebbe essere luomo che aspetta
Dio. Forse questa la forma pi pericolosa dellessere-senza-Dio (Gottlosigkeit) (H.,
Beitrge zur Philosophie (vom Ereignis), Gesamtausgabe (=GA), Bd. 65, Klostermann,
Frankfurt a. M. 1989, p. 417).
22 H., Perch i poeti?, o.c., p. 250. Per questo sacro non semplicemente il divino di una
religione sussistente, in questo caso di quella cristiana. Il sacro non si pu in generale stabilire teologicamente, perch ogni teologia gi presuppone lo Theos, il Dio, e questo
cos vero che sempre dove appare la teologia, il Dio ha gi cominciato la sua fuga (H.,
Hlderlins Hymne Andenken, GA, Bd. 52, pp. 132-133).
23 H., Perch i poeti?, o.c., p. 273. Per giungere nella dimensione della verit dellessere in
modo da poterlo pensare, noi, uomini di oggi, siamo tenuti a chiarire anzitutto come lessere
riguarda luomo e come lo reclama. Tale esperienza essenziale ci accade nel momento in
cui capiamo che luomo in quanto e-siste (H., Lettera sullumanismo, o.c., p. 282).
24 H., Perch i poeti?, o.c., p. 272.

291

studi

Ma qui Heidegger fornisce unindicazione di natura dialettica: perch la salvezza incominci ad annunciarsi imprescindibile che luomo si accosti fino allesperienza totale dellassenza di Dio e del fondamento. Per vedere il pericolo e rivelarlo
occorrono mortali che giungano pi rapidamente nellabisso25, perch forse ogni
salvezza che non provenga da dove ha luogo il pericolo, ancora sventura (Unheil).
Ogni salvezza mediante espedienti (...) non che vuota apparenza26. E questo perch se si considera lessenza degli uomini essi appaiono pi vicini alla non-presenza
(Ab-wesen) perch sono investiti dallesser-presente (An-wesen), cio dallessere,
come chiaro fin dai tempi pi remoti. Poich lesser-presente nello stesso tempo si
nasconde, esso gi non-presenza. Pertanto labisso (Ab-grund) custodisce e ritiene
tutto27. Luomo deve giungere nellabisso per scoprire i segni che racchiude in s,
vale a dire, i segni degli dei fuggiti28 perch nellabisso sintravede quellesserepresente (lessere) che si nasconde (non-presenza) al pensiero come espressione della
volont di dominio.

2. La natura onto-teo-logica del pensiero metafisico di Dio


2.1. Il primato della ratio e il principio di ragione
Il richiamo di Heidegger a Nietzsche per fornire una traccia che permetta di
capire il motivo per cui Dio assente nellattualit duplice. Da una parte la mancanza di Dio fa parte del destino intrinseco del pensiero occidentale, destino che per
Nietzsche come per Heidegger pu essere definito nel suo tratto essenziale con
il termine nichilismo; dallaltra, la mancanza di Dio, proprio in quanto destino, ha la
sua sorgente nella radice del pensiero occidentale, perci lannunzio di Nietzsche
segnala e la morte di Dio e i suoi responsabili. Ora, se il pensiero delloccidente un
pensiero metafisico che si contraddistinto per Nietzsche, come per Heidegger
in ultima analisi per laffermazione teoretica di Dio, lasserzione nietzscheana, nella
lettura di Heidegger, finisce per dire che la metafisica in quanto tale, cio come
modalit del pensiero, che ha come destino ed esito finale lallontanamento di Dio.
Come possibile che il pensiero che ha avuto la pretesa di essere il pensiero su Dio
sia, nella sua essenza, il pensiero della morte di Dio? Sar cos nella misura in cui il
destino della metafisica, cio lo sviluppo storico delle potenzialit intrinseche della
sua essenza inizialmente nascoste , sia di fatto il destino dellassenza di Dio.
Per chiarire in modo esauriente il suddetto destino non sufficiente lanalisi storica,
occorre piuttosto pensare lessenza della metafisica, da cui derivano le diverse forme
storiche in cui apparsa e che restava paradossalmente nascosta (non-pensata) alla
metafisica stessa. Il criterio per un discorso con la tradizione storica (...) [cercare]
un non-pensato, da cui il gi-pensato riceve il suo spazio fontale29.
25 Ibidem, p. 272.
25 Ibidem, p. 273.
27 Ibidem, p. 249.

La non-salvezza in quanto non-salvezza ci d la traccia della salvezza. La


salvezza evoca il Sacro. Il Sacro congiunge il Divino. Il Divino avvicina Dio(ibidem, p.
296). Cfr. H., Nietzsche I, Neske, Pfullingen 1961, p. 352.
28 H., Perch i poeti?, o.c., p. 249.
29 H., La concezione onto-teo-logica della metafisica, o.c., p. 219.

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Il pensiero in cammino verso lessenza non-pensata deve compiere quel passo


indietro (Schritt zurck) che (passando dal derivato alloriginario) conduce
nellambito, finora non considerato, dal quale lessenza della metafisica e lessenza
della verit dellessere possono essere pensate30.
Da sempre ritiene Heidegger la metafisica si caratterizzata come un
discorso teoretico razionale ( logia) incentrato sullente in quanto ente ( ontologia), il quale si conclude con lemergenza del discorso su Dio ( teo-logia): la
metafisica ha una costituzione onto-teo-logica. La metafisica teologia, cio un
argomentare su Dio, perch Iddio fa parte della questione filosofica31. La prima e
fondamentale domanda che sorge, qualora si avesse la pretesa di chiarire la mancanza
di Dio, la domanda su come Iddio entri a far parte della questione filosofica e ci
non soltanto nella filosofia dellepoca moderna, ma nella filosofia in quanto tale32.
La domanda bivalente e unitaria ad un tempo, pone in discussione lambito in
cui simpone il problema di Dio e contemporaneamente indaga lessenza della filosofia stessa, vale a dire, la questione come pervenga Iddio nella filosofia? rimanda
allora alla domanda da dove deriva la struttura onto-teologica dellessenza della
metafisica?33. Porre e discutere questa domanda significa compiere il passo indietro con il quale diventa possibile fare luce sul modo in cui si pensato Dio nella
metafisica.
Innanzitutto preme a Heidegger mettere in evidenza il significato del termine
logia, che accompagna comunemente la denominazione delle scienze, indicando in
tal modo che lesercizio del pensiero, che di solito si considera scientifico, sotto la
formalit di tale logia: nel suffisso -logia non si nasconde soltanto la logicit nel
senso del discorso conseguenziale, ed in special modo del procedimento predicativo,
che ordina, dirige, assicura e comunica il sapere scientifico. -Logia rispettivamente
(jeweils) la totalit di una connessione fondante, in cui loggetto delle scienze viene
rappresentato e concepito in rapporto al suo fondamento34.
Logia indica una modalit del pensare che oggi diventata la forma pi rigorosa e quindi la modalit per eccellenza del pensare che parte da rappresentazioni
del reale, in cui lente colto nella sua verit tramite la sua oggettivazione ed
espresso mediante la proposizione. Sulla base delle rappresentazioni, la logia anche
processo logico che, grazie al discorso conseguenziale, determina le cause-ragioni
che spiegano lente oggettivato, per finire con unimmagine completa e sistematica
dellente articolata secondo connessioni fondanti che rapportano lente al suo fondamento ed cos giustificato e assicurato dal pensiero e per il pensiero. In quanto assicurato dalla ratio lente diventa disponibile alla tecnica.
La metafisica in quanto onto-teo-logia risponde alla modalit del pensiero logico: lontologia e la teologia sono logie, in quanto cercano la spiegazione dellente
30

Cfr. ibidem, p. 219. Passo indietro significa problematizzare, partendo da ci che stato
pensato, per arrivare nellimplicito non pensato, vale a dire, per giungere alla radice od origine del gi-pensato. Cfr. H., Dellessenza del fondamento e Dellessenza della verit (in
Segnavia, o.c., pp. 79-157) per il passaggio del concetto di verit come adeguazione (il gipensato) alla verit come aletheia (il non-pensato originario).
31 H., La concezione onto-teo-logica della metafisica, o.c., p. 223.
32 Ibidem, p. 223.
33 Ibidem, p. 224.
34 Ibidem, p. 225.

293

studi

in quanto tale e lo fondano nella totalit. Esse danno ragione dellessere come fondamento dellente. Esse rispondono al logos (Rede stehen = lo corrispondono) e sono
essenzialmente logos-conformi, logoiformi; sono cio la logica del logos35.
Per Heidegger il carattere logico della metafisica costituisce una sua nota essenziale, gi presente sin dallinizio della sua storia36. Tuttavia, lautentica natura e la
portata di tale carattere, per quanto riguarda il pensiero dellente, dellessere e, quindi, di Dio, si manifesta esplicitamente soltanto con la modernit. Inoltre, il pensiero
logico, nel senso sopra indicato, come modalit del pensiero scientifico, non limita il
suo campo di applicazione allambito delle scienze nel senso stretto; diventato
invece la formalit del pensiero che domina preponderantemente la cultura occidentale in tutti i campi.
La natura del pensiero logico pu essere conseguentemente enunciata in modo
sintetico tramite il principio di ragione formulato da Leibniz con lespressione nihil
est sine ratione. Heidegger ritiene che il principio ora enunciato agiva gi da secoli
nel profondo della cultura delloccidente, e in modo particolare nella metafisica,
anche se solo con Leibniz venne messo in luce esplicitamente37. Il fatto che sia un
principio indica che si riferisce allelemento fondamentale dellatteggiamento
delluomo di fronte al reale. Infatti, secondo questo principio, si segnala che lintelletto umano in quanto tale, ovunque e ogni qualvolta in attivit, mira subito a scovare il fondamento in base al quale ci che gli capita di incontrare cos com (...).
Lintelletto pretende che per le sue asserzioni e per le sue affermazioni si dia una fondazione38. Nel principio di ragione viene al linguaggio il nostro modo di abitare
sulla terra: il nostro soggiorno e il nostro andare sulla terra sono ovunque in cammino verso delle ragioni, verso il fondamento (...). Sondare il fondo e fondare determinano tutto il nostro fare e il nostro lasciar stare39.
Proprio il fatto che ci siano voluti dei secoli perch il principio di ragione fosse
enunciato esplicitamente indica per Heidegger come sia lungo e difficile il cammino
che porta il pensiero verso ci che gli pi vicino, cio verso ci che forma la base
sulla quale si costituisce, cresce e determina il suo destino40. Il principio leibniziano
un principio del pensiero in quanto svela cosa significhi in generale conoscere e che
cosa si debba ritenere conoscenza valida e verit accettabile. Concretamente il principio enunciato da Leibniz con altre formule equivalenti con lespressione sopra
riportata, come quando lo nomina principium reddendae rationis e lo esplicita dicendo quod omnis veritatis reddi ratio potest41.
Il principio di ragione, nel significato che ha in Leibniz e in generale nella
modernit, si ricollega al rappresentare del soggetto, dove fornire una ragione indica giustificare razionalmente le rappresentazioni allio che rappresenta. Tutto ci
che si incontra viene presentato, posto in una presenza, rispetto allio che rappresenta, viene ad esso riportato e ad esso offerto. In conformit al principium reddendae
35

Ibidem, p. 225. In queste pagine Heidegger ha presente soprattutto Hegel, ma la valenza


dellaffermazione ha la pretesa di estendersi a tutta la metafisica occidentale.
36 Cfr. H., La dottrina platonica della verit, in Segnavia, o.c., pp. 159-192.
37 Cfr. H., Il principio di ragione, Adelphi, Milano 1991, p. 17.
38 Ibidem, p. 15.
39 Ibidem, p. 28.
40 Cfr. ibidem, p. 18 e p. 42.
41 Cfr. ibidem, p. 47.

294

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rationis, il rappresentare, se vuole essere conoscitivo, deve fornire al rappresentare


stesso il fondamento di ci che incontra, deve, cio, renderglielo (reddere)42.
Ma il principio di ragione, perch principio del pensiero, anche un principio
dellente, giacch per Leibniz e per tutto il pensiero dellet moderna, il modo in cui
lente poggia sulloggettivit degli oggetti. Loggettivit delloggetto per il rappresentare comporta lessere rappresentato degli oggetti, il che significa infine che
qualcosa , e cio si dimostra un ente, soltanto se viene enunciato in una proposizione che soddisfa il principio di ragione43. Secondo la dimensione ontica e ad
un tempo noetica il principio anche esplicitato secondo la formula principium
rationis=nihil est sine ratione seu effectus sine causa44. La tesi del fondamento si
presenta come un principio nella misura in cui determina il riferimento a tutto ci che
, accomunando cos i termini ratio e causa (nihil est sine ratione, nihil est sine
causa)45, in quanto ente soltanto ci che rappresentato e quindi la ragione, il
fondamento, qualcosa che va fornito alluomo che rappresenta e che pensa46.
Nellanalisi finora seguita si prepara lultimo passo delle riflessioni di
Heidegger intorno al significato del principio di ragione. Tenendo presente che solo
ci che si presenta al nostro rappresentare, che ci viene-incontro (be-gegnet) in modo
tale da risultare posto, posato, sul proprio fondamento, vale come qualcosa che sta in
modo sicuro, che sta di fronte, e cio come un oggetto (Gegenstand), e quindi che
soltanto di ci che sta in questo modo possiamo dire con certezza: esso 47; allora
allinterno del pensiero rappresentante-fondante si compie il passaggio fino a Dio
come ultima ratio rerum48. Detto in termini estremi, ci significa: Dio esiste soltanto in quanto la tesi del fondamento valida49, e viceversa50.

2.2. Il significato delloggettivazione


Il carattere di logia del pensiero, che fa s che esso si sviluppi secondo il principio di ragione e che riconduce il che cosa e il perch dellente alla ratio, determina il modo in cui Dio entrato nella metafisica, condizionando la modalit del pensare Dio. Per cogliere di quale Dio si tratta occorre ancora soffermarsi sulle conseguenze del carattere di logia del pensiero, il che suppone tornare sul significato
delloggettivazione in Heidegger.
Ogni ente ora o il reale come oggetto o il realizzante come rappresentazione
oggettivante in cui si costituisce la oggettivit delloggetto. La rappresentazione
42 Ibidem, p. 47.
43 Ibidem, p. 49.
44 Cfr. ibidem, p.

45. In Tommaso dAquino invece chiara ed esplicita la distinzione tra


causa (piano ontologico) e ragione (piano noetico). Inoltre lanalogia esula dalla visione
della ratio offerta da Heidegger. La modernit come criterio ermeneutico della metafisica
rende impossibile la comprensione delle metafische non razionalistiche.
45 Cfr. ibidem, p. 53.
46 Ibidem, p. 50.
47 Ibidem, p. 55.
48 Cfr. ibidem, p. 54. Lespressione gi annuncia il nucleo della critica di Heidegger al Dio
della metafisica: questo Dio deducibile o spiegabile e, quindi, controllato dalla ratio.
49 Ibidem, p. 56.
50 Cfr. ibidem, p. 57.

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oggettivante, rappresentando, subordina loggetto allego cogito. In questa remissione, lego cogito rivela ci che in base alla sua attivit (la subordinazione rappresentativa), cio si rivela come subjectum. Il soggetto soggetto a se stesso. Lessenza
della conoscenza lautocoscienza. Ogni ente dunque o oggetto del soggetto o soggetto del soggetto. In entrambi i casi lessere dellente consiste in una rappresentazione che un porsi-innanzi-a-se-stesso e quindi in un imporsi. Allinterno della soggettivit dellente luomo assurge a soggetto della sua stessa essenza. Luomo si costituisce nellin-sorgere. Il mondo si muta in oggetto51. Oggettivare significa porre qualcosa dinanzi al soggetto (ob-iectum, Gegen-stand) in modo tale che lente cos posto
resta comprensibile, disponibile e assicurato dal e per il soggetto che rappresenta.
Heidegger interpreta lessenza del rappresentare in quanto imporsi alla luce della dottrina di Nietzsche della volont di potenza, la quale costituirebbe lo stato finale dello
sviluppo del rappresentare moderno, manifestando la natura definitiva di ci che si
contiene nella logia, nella misura in cui loggettivare presuppone la decisione che
lente vale come ente solo in quanto diventa oggetto per un soggetto. Il volere (...)
limposizione incondizionata di s secondo un progetto che ha gi posto il mondo
come linsieme degli oggetti producibili. Questo volere determina lessenza
delluomo moderno senza che egli si renda conto della sua portata, senza che, a
tuttoggi, possa ancora capire in base a quale volont assurta ad essere dellente
questo volere voglia52.
Lultima conseguenza affermata da Heidegger con tutta la sua radicalit:
questo rapporto fra soggetto e oggetto vale come lunico ambito in cui si decide in
merito allente rispetto al suo essere, in cui si decide, cio, dellessere, ma sempre e
soltanto in quanto oggettivit delloggetto, e mai dellessere in quanto tale53 giacch
lessere lindisponibile simpliciter. Il principio di ragione lambito in cui lessere
in quanto tale non appare, si sottrae, si dimentica. Il primato della ratio che corrisponde alla logia condiziona loblio dellessere54.
Lappartenenza di ratio, onto-teo-logia e oblio dellessere determina il modo in
cui lessere si destinato alla metafisica e condiziona la sua storia. Come stato
detto, Heidegger conduce la sua analisi seguendo le indicazioni del pensiero moderno
giacch solo nel mondo moderno tutto ci comincia a palesarsi come il destino
(Geschick) della verit dellessere dellente nel suo insieme55. Ovvero, con la
modernit diventa chiaro il sostrato essenziale che guidava sin dallinizio la storiadestino del pensiero metafisico, in modo tale che, nella misura in cui pensare significa
51 H.,

La sentenza di Nietzsche Dio morto, o.c., p. 235. Per Heidegger la storia della metafisica, da Platone a Hegel, ha cercato sempre di ricondurre la verit come aletheia allantropologia (cfr. H, Beitrge zur Philosophie, o.c., n. 110, pp. 208-222).
52 H., Perch i poeti?, o.c., p. 266, e continua: la totalit degli oggetti disponibili, che ormai
costituisce il mondo, sottoposta alla produzione autoimponentesi, ordinata da questa e
sottoposta ai suoi deliberati (...). Viene cos in chiaro, nel corso della metafisica moderna,
lessenza a lungo nascosta della volont, quale da tempo si andava attuando come
lessere dellente (id).
53 H., Il principio di ragione, o.c., p. 100.
54 La metafisica non si interroga sulla verit dellessere stesso. Perci, essa non si chiede
neppure mai in che modo lessenza delluomo appartenga alla verit dellessere. Non solo la
metafisica non ha ancora posto finora questo problema, ma questo problema inaccessibile
alla metafisica in quanto metafisica (H., Lettera sullumanismo, p. 276).
55 H., Perch i poeti?, o.c., p. 267.

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rappresentare lente in quanto ente (sia come idea, come sostanza, come ente creato o
come oggetto), il pensiero metafisico onto-logia e nullaltro56, cio non mai
pensiero dellessere. La metafisica rappresenta lente nel suo essere, e pensa cos
anche lessere dellente. Ma essa non pensa lessere come tale, non pensa la differenza tra lessere e lente57.
Come oblio dellessere il pensiero metafisico un pensiero nichilista e la storia
che sottost a codesto pensiero nichilismo: in ogni fase della metafisica si rende di
volta in volta visibile un tratto della via che il destino (Geschick) dellessere si traccia
nel seno dellente, nelle brusche epoche della verit. Nietzsche stesso spiega metafisicamente il corso della storia occidentale, e precisamente come il sorgere e lo svilupparsi del nichilismo58.
Nella misura in cui lepoca moderna lepoca della massima sottrazione
dellessere, in essa si svela totalmente il destino nichilista nascosto della metafisica
occidentale59. Heidegger non ha dubbi circa la vicendevole appartenenza dei termini
onto, teo e logia, affermando che la metafisica teo-logia perch onto-logia. Essa
questa, perch essa quella60. Il che significa che il Dio della metafisica poggia
sul nichilismo.
Il Dio dellonto-teo-logia , quindi, il Dio delloblio dellessere, un Dio che
raggiunto cercando ragioni-fondamenti nellambito della ratio oggettivante sottoposta allio che rappresenta e controllata da lui; un Dio che costituisce perci la ratio
definitiva, la giustificazione finale, la causa ultima (Ur-sache), lEnte sommo61.

2.3. Il Dio non divino


Come entra Dio nella filosofia? Di quale Dio si tratta? Nella metafisica
lessere, come fondamento del fondato, abbisogna di una fondazione adeguata,
cio della causa prima. Questa causa data come Causa sui. Cos suona nella filosofia il nome adeguato per Iddio62. Il Dio della metafisica si viene a trovare rinchiuso nei limiti della ratio, cos diventa un oggetto assicurato dalla ragione e rap56 H., La sentenza di Nietzsche Dio morto, o.c., p. 192.
57 H., Lettera sullumanismo, o.c., p. 276. Linterpretazione

heideggeriana della metafisica


stata fondatamente contestata da pi parti: cfr. W. BEIERWALTERS, Martin Heidegger. La
sua tesi delloblio dellessere messa in dubbio dal pensiero neoplatonico, in AA.VV.,
Identit e differenza, Vita e Pensiero, Milano 1985, pp. 365-378; C. FABRO, Partecipazione
e causalit, SEI, Torino 1960; idem, Tomismo e pensiero moderno, PUL, Roma 1969; idem,
Dallessere allesistente, Morcelliana, Brescia 1957, pp. 335-419; M. BERCIANO, La crtica
de Heidegger al pensamiento occidental, UPS, Salamanca 1990, pp. 45-46.
58 H., La sentenza di Nietzsche Dio morto, o.c., p. 192. In nessun luogo troviamo questa
apprensione (Erfahren) dellessere stesso. In nessun luogo incontriamo un pensatore che
pensi la verit dellessere stesso e quindi la verit stessa come essere (...). La storia
dellessere ha inizio, e certo necessariamente, con loblio dellessere (...). Lessenza del
nichilismo risiede nella storia, in virt della quale, nellapparire stesso dellente come tale
nel suo insieme, ne nulla dellessere come tale e della sua verit (id., p. 242).
59 Cfr. H., Il principio di ragione, o.c., pp. 98-99.
60 H., La concezione onto-teo-logica della metafisica, o.c., p. 226.
61 Cfr. ibidem, pp. 224-226, anche H., Nietzsche II, o.c., pp. 342-347.
62 Ibidem, p. 234. ovvio che la ricostruzione storica di Heidegger sembra alquanto sommaria.

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studi

presentato come il supra-ente, auto-causa e fondamento-ragione ultima fornito dalla


ragione a se stessa63.
Heidegger avverte che del pensiero che si muove secondo il principio di ragione
fa parte anche lassicurazione che qualcosa inspiegabile. Con simili asserzioni crediamo di stare davanti al mistero, come se fosse pacifico che la verit dellessere
possa essere fatta poggiare su cause e ragioni esplicative o, che lo stesso, sulla sua
inafferrabilit64. Il Dio della metafisica (anche quando lo si crede lineffabile) sarebbe sottomesso al primato del pensiero dellente in quanto lonto-logia parte dallente
in generale e cercando il suo fondamento senza pensare lessere diventa teologia arrivando allente supremo e causa ultima. Nellunit dellente in quanto tale,
in generale e supremo, si fonda la concezione essenziale della metafisica65.
Per Heidegger la problematicit del Dio della metafisica affiora non appena si
guardano le cose dalla prospettiva della religione: dinnanzi ad un tale Dio luomo
non pu n pregare, n tanto meno offrire sacrifici. Dinnanzi alla Causa sui luomo
non pu porsi in ginocchio riverente, n tanto meno far cantare e danzare il suo
cuore. Conseguentemente il pensare a-teo, che deve rinunciare al Dio della filosofia,
cio alla Causa sui, forse pi vicino al Dio divino (dem gttlichen Gott). Questa
espressione vuol significare soltanto che un tale pensare pi libero (pi disponibile)
per Lui di quanto la Onto-teo-logia non sia disposta ad ammettere. Possa una tale
osservazione rischiarare quel cammino, nel quale un pensare in via; quel cammino
che il passo indietro vien tracciando: al di l della metafisica nella essenza di essa, al
di l delloblio della differenza66.
Dalle premesse ora accennate Heidegger trae la sua conclusione teoretica: la
metafisica onto-teologia. Chi conosce la teologia nel suo maturarsi storico, sia quella della fede cristiana, sia quella della filosofia, preferisce oggi, nellambito del pensare, tacere su Dio. Difatti il carattere onto-teologico della metafisica diventato
discutibile per il pensare, non a motivo di qualsiasi ateismo, ma a motivo dellesperienza di un pensare, al quale, nella onto-teo-logia, si affacciata la prospettiva di
una unit dellessenza della metafisica, non ancora pensata67. Lesperienza di un
pensare pi originario di cui ci parla il limite della metafisica informa, inoltre, del
motivo dellassenza di Dio. Detto in altre parole: lultimo colpo contro Dio e contro
il mondo sovrasensibile consiste nel misconoscere Dio, lente dellente, assumendolo
come supremo valore. Il colpo pi duro contro Dio non consiste nel ritenerlo inconoscibile, nel provare la indimostrabilit della sua esistenza, ma nellinnalzarlo a supremo valore. Questo colpo non viene inferto da coloro che stanno a vedere e non credono in Dio, ma dai credenti e dai loro teologi che parlano del pi essente degli enti
senza mai impegnarsi a pensare lessere stesso e senza quindi rendersi conto che quel
parlare e questo pensare, considerati in base alla fede, sono la pura e semplice
bestemmia di Dio, una volta mescolati alla teologia della fede68.
63

Un Dio che per prima cosa deve provare la propria esistenza in fin dei conti un Dio
molto poco divino, e provare la sua esistenza risulta al massimo un atto blasfemo (H.,
Nietzsche I, o.c., p. 366).
64 H., Lettera sullumanismo, o.c., p. 273.
65 H., La concezione onto-teo-logica della metafisica, o.c., p. 227.
66 Ibidem, p. 234.
67 Ibidem, p. 223.
68 H., La sentenza di Nietzsche Dio morto, o.c., pp. 238-239.

298

Luis Romera

Tacere su Dio, non ripetere la bestemmia di Dio, non significa in Heidegger la


rinuncia al problema di Dio; vuol dire invece che il compito che ha la filosofia oggi
quello di tornare sulla questione dellessere e, in essa, risalire alla questione
sulluomo per disporsi alla questione di Dio. Nellepoca della massima sottrazione
dellessere e dellassenza di Dio Heidegger vede luomo smarrito, fuori e lontano di
casa. La spaesatezza (Heimatlosigkeit) sperimentata dalluomo che riflette riguarda la
propria e pi intima essenza, perch per Heidegger la patria del soggiorno storico
delluomo la vicinanza allessere. In questa vicinanza si compie, se mai si compie,
la decisione se e come Dio e gli dei si neghino e resti la notte, se e come il giorno del
sacro albeggi, se e come nellalbeggiare del sacro possano cominciare di nuovo ad
apparire Dio e gli dei. Ma il sacro, che solo lo spazio essenziale della divinit, che
sola a sua volta concede la dimensione per gli dei e per Dio, giunge ad apparire solo
se prima, dopo lunga preparazione, lessere stesso viene a diradarsi ed esperito
nella sua verit. Solo cos comincia, a partire dallessere, il superamento di quella
spaesatezza, in cui non solo gli uomini, ma lessenza delluomo stanno vagando69.
Come pi volte stato sottolineato, Heidegger non ha fretta nel parlare di Dio,
prima occorre arrivare al luogo in cui si dischiude il sacro e diventa possibile lapparire del Dio divino. Per portare a compimento tale desiderio abbiamo bisogno di pensare lessere superando loggettivit che sottoponeva lente allio, in modo tale che si
riconosca e si rispetti il carattere di indisponibilit dellessere; solo cos ci si avvicina
alla sacralit.

3. Laltro inizio: verso il Dio divino


3.1. Lultimo Dio e il superamento della metafisica
Il Dio divino verso il quale tende il pensiero di Heidegger si prospetta necessariamente come lopposto del Dio della metafisica. Non a caso ha voluto Heidegger
intitolare la sezione VII dei Beitrge zur Philosophie con le parole: Lultimo Dio,
che sono accompagnate dal sottotitolo: il completamente Altro contro i passati,
soprattutto contro quello cristiano70. Devono essere superati tutti i modi metafisici
di pensare Dio e Heidegger non esita a ricondurre il Dio della teologia cristiana alla
metafisica e quindi ad esigere il suo superamento71: lultimo Dio ha la sua pi unica
69 H., Lettera sullumanismo, o.c., p. 291.
70 H., Beitrge zur Philosophie, o.c., p. 403.
71 Cfr. lo studio di Regina sul problema di Dio

nei Beitrge zur Philosophie, dove ritiene che in


questo testo Heidegger parla del cristianesimo come pensiero teologico ridotto al platonismo
e questo al soggettivismo, mentre, sempre secondo Regina, non esisterebbe a priori unopposizione tra il Dio cristiano non teologizzato e lultimo Dio di Heidegger. Piuttosto i titoli
tuttAltro e lultimo Dio starebbero a significare limpossibilit di arrivare a lui con il
pensiero calcolante. (U. REGINA, I mortali e lultimo Dio nei Beitrge zur Philosophie, in
AA.VV., Heidegger, Morcelliana, Brescia 1990, pp. 165-198). Molto pi critico si manifesta
L. PAREYSON, Heidegger: la libert e il nulla, Annuario filosofico, 5 (1989), pp. 9-29.
Pggeler ritiene invece che il modo giudaico, cristiano e greco di pensare il divino sono il
gi-stato che obbliga a passare attraverso lesperienza nietzscheana della morte di Dio perch il nuovo Dio pervenga (El camino..., o.c. p. 209). Cfr. H., Nietzsche II, o.c., p. 29.

299

studi

unicit e si mantiene fuori di quella determinazione calcolante che pensata nei titoli
mono-teismo, pan-teismo e a-teismo. Il monoteismo e ogni forma di teismo esiste dalla apologetica giudaico-cristiana, la quale ha come presupposto speculativo la metafisica. Con la morte di questo Dio cadono tutti i teismi72.
La posizione che assume Heidegger nei confronti della storia della metafisica
(come sviluppo del nichilismo legato al principio di ragione) lo porta a tentare un
nuovo inizio per il pensiero con il quale inaugurare una nuova storia grazie allapparire di un nuovo Dio, lultimo Dio, il Dio divino. Lultimo Dio non la fine, ma laltro
inizio delle smisurate possibilit della nostra storia. Per amor suo permesso alla storia che c stata finora di non finire, ma deve essere portata fino alla sua fine73.
Per allontanare la propensione a pensare Dio metafisicamente e rientrare nella
storia della metafisica, Heidegger sottolinea tre caratteristiche del Dio a cui si riferisce: 1) lultimo Dio non la fine ma il pi profondo principio (der tiefste Anfang),
2) tale Dio si sottrae a qualsiasi calcolo (Rechnung), cio a quella razionalit dove
tutto torna e resta chiaro e fondato per la ratio, e 3) lultimo Dio ci chiama con un
cenno (Wink), non si manifesta in un modo palese alluomo. Con lo stesso scopo
adopera spesso il termine gli dei per indicare, da una parte, lindisponibilit
dellultimo Dio da parte della ratio e quindi lopposizione di questo Dio allente
supremo della metafisica; e, dallaltra, la ricchezza di un Dio che in qualche modo
coinvolto nella storia, come si dir74.
Ma anche qui il primo passo del nuovo inizio verso lultimo Dio riguarda
lessere: lessere sussiste come il fra per Dio e luomo, ma in modo tale che questo spazio intermedio (Zwischenraum) disponga (einrumt) alla possibilit essenziale
per Dio e luomo75. Per Heidegger lessere non si trova n sopra n sotto gli dei,
il rapporto dellessere con il divino di natura diversa, ma tale da potersi affermare
che gli Dei hanno bisogno dellessere, gli dei si servono dellessere76, per il loro
apparire (non soltanto nel senso di apparire alla coscienza umana, ma nel significato
che ha in Heidegger il termine apparire o farsi presente, cio come anwesen).

3.2. Lessere pensato dalla differenza ontologica


Per trarre lessere dalloblio e pensarlo nella sua verit Heidegger identifica
come strada percorribile dal pensiero quella che conduce al luogo dove si trova la
distinzione ontologica tra essere e ente (il pensiero diventa una topologia)77. Forse
72 H., Beitrge zur Philosophie, o.c., p. 411.
73 5Ibidem, p. 411.
74 Cfr. ibidem, p. 411.
75 Ibidem, p. 476.
76 Ibidem, p. 438. Gli dei hanno bisogno

del pensare secondo la storia dellessere, ossia


hanno bisogno della filosofia (ibidem, p. 438).
77 Per Heidegger lessere non riducibile al semplice giacere dellente di fronte a me, alla
vuota e positivistica esistenza; ma lessere non pu neanche essere pensato metafisicamente
come la determinazione pi generale dellente, n come la formalit che costituisce lente in
quanto ente (lentit) o loggetto in quanto oggetto (loggettivit). Tanto meno lessere si
lascia cogliere come la ragione-causa giustificante dellente. In tutti questi casi lessere ci
sfugge come ci che non disponibile per la ratio: pensarlo come esistenza significa
unimpostazione o positivista (ingenua e senza pensiero) o secondo le modalit logiche

300

Luis Romera

pensando la differenza in quanto differenza, il pensiero riceve unindicazione


sullessere e, con essa, un chiarimento sullessenza della metafisica, vale a dire, sul
come sorta la onto-teo-logia e sul perch lessere si sia destinato ad essa nel modo
in cui lo ha fatto. chiaro che, se la differenza essenziale, ogni pensiero dellente,
anzi ogni pensiero che oblia lessere, pur sempre un pensiero che sorge dalla differenza stessa, dove la mancanza consisterebbe proprio nel non averla pensata78.
Heidegger infatti di questa opinione. Penseremo lessere in modo concreto (sachlich), solo se lo penseremo nella differenza con lente, e questo nella differenza con
lessere79. Per calarsi nella differenza Heidegger avverte propedeuticamente che
occorre evitare il ricorso alle rappresentazioni, le quali ci porterebbero a concepire la
differenza come una relazione che il pensiero aggiungerebbe allessere e allente per
metterli in rapporto80; la differenza pi radicale. Ma offre anche una premessa sulla
portata della differenza ontologica: allora si vedr che essere significa, ovunque e
sempre, essere dellente, nella cui flessione il genitivo da intendere come genitivo
oggettivo... Ente significa, ovunque e sempre, ente dellessere, nella cui flessione il
genitivo da intendere come genitivo soggettivo81. La differenza distingue, per
collega, non ci conduce in un essere-in-s isolato.
Avvicinarsi alla differenza, per cogliere lorigine dellessenza della metafisica e
preparare il pensiero dellessere, implica muoversi ancora una volta secondo la
modalit del passo indietro che nel suo domandare instancabile si spinge verso loriginario. In questo contesto Heidegger fornisce unindicazione precisa sul modo in cui
pensare la differenza e, in essa, lessere: essere dellente significa: essere, il quale
lente. L detto qui in modo transitivo (con un significato transitivo), passando.
Lessere qui nel modo di un transito verso lente82. Ci non significa sottolinea
Heidegger relativizzare la differenza o sottintendere che lessere lasci il suo luogo
(Ort) per passare nellente come se questultimo prima fosse senza lessere e solo
secondariamente si collegasse allessere; ma, neanche, che lessere, nel passare
nellente, si snaturalizzi, polverizzandosi nella pluralit degli enti.
(possibilit-realt) nella quale il primato dalla parte del logos che determina le condizioni
di possibilit (logiche) dellessenza perch questa possa esistere; pensarlo come la determinazione pi astratta o come ragione sufficiente dellente sono altri modi di avvicinarsi
allessere sempre sotto il dominio della ratio. In Heidegger, invece, lapproccio allessere si
realizza sottolineando il primato del senso nella considerazione dellente. Il senso rinvia a
un orizzonte complessivo di significato in cui lente come tale : tale orizzonte il mondo
(Welt). Nella misura in cui c un mondo, ci sono gli enti corrispondenti a quel contesto
totale di senso, in modo tale che il mondo lapertura in cui sillumina lente, ed presente.
Il mondo per ha un carattere storico, il che significa che in nessun mondo si svela completamente lessere; in ogni orizzonte di senso lessere si mostra parzialmente (si svela e si
nasconde). Il carattere storico, veritativo e di rapporto con lente sono tre caratteristiche fondamentali dellessere in Heidegger.
78 Cfr. H., La concezione onto-teo-logica della metafisica, o.c., p. 228.
79 Ibidem, p. 227.
80 Cfr. ibidem, p. 227.
81 Ibidem, p. 227.
82 Ibidem, p. 229; quando, come in questo caso, la traduzione stata modificata da noi riprodurremo il testo tedesco: Sein des Seienden heit: Sein, welches das Seiende ist. Das ist
spricht hier transitiv, bergehend. Sein west hier in der Weise eines berganges zum
Seienden (H., Die onto-theo-logische Verfassung der Metaphysik, Identitt und Differenz,
Neske, Pfullingen 1978, p. 56).

301

studi

Il problema, stando alle indicazioni viste, consiste nel pensare coerentemente e


adeguatamente il passare (berkommnis) nel suo significato pi radicale e originario. La metafisica ha preteso di pensarlo secondo la modalit della ratio oggettivante
che ha portato a rappresentare il passare come un produrre, in modo tale che lessere
diventa il fondamento o ragione ultima nellambito di una comprensione dellente
che lo prospetta sempre come prodotto (effettuato dalla causa efficente, creato
dallEnte supremo o posto dalla coscienza)83. Storicamente le rappresentazioni metafisiche dellessere e del passare hanno avuto forme diverse, il che significa che
lessere in quanto passare nel senso del produrre come causare-giustificare si
d di volta in volta nella metafisica in questa od in quella accezione storica: physis,
logos, en, idea, energheia, sostanzialit, oggettivit, soggettivit, volont, volont di
potenza, volont di volont84.
Ma Heidegger ritiene che linterpretazione produttiva del passare non sia la pi
radicale e originaria. In altri termini, dobbiamo ricuperare un pensiero ancora pi
radicale, il quale avr ovviamente la difficolt di pensare e dire lessere senza i concetti e i termini metafisici consueti nella cultura occidentale85; pensiero, tra laltro,
che ci condurr verso quella dimensione radicale, essenziale od originaria (come dir
si voglia) dalla quale provengono le interpretazioni storiche delle metafisiche (senza
per essere stata pensata da esse).
Sulla linea della ricerca delloriginario, Heidegger afferma che lessere vuol
dire, dallalba del pensiero occidentale-europeo fino ad oggi, lo stesso che esser presente (Anwesen)86. Corrispondentemente lente ci che presente, il presente o
presentato (das Anwesende). Qui di nuovo sorge il problema di pensare non soltanto
lente, ma lessere; cio, di pensare la presenza (Anwesenheit) nella quale presente
lente, di pensare il far-presente (An-wesen nel senso verbale, Anwesenlassen).
Essere, da cui ogni essente segnato come tale, essere vuol dire esser presente,
ostendersi dellessere nella presenza (Anwesen). Pensato in riferimento a ci che cos
presente (auf das Anwesende), lesser presente (Anwesen) si mostra come lasciaresser-nella-presenza, lasciar-esser-presente (als Anwesenlassen). Ma ora si tratta di
pensare propriamente questo lasciar-esser-nella-presenza87.
Per Heidegger lessere visto dal passare e dal far-presente, nel senso pi radicale, significa che lessere apre lo spazio in cui appare lente, spalanca la radura
(Lichtung) nella quale lente si fa presente e cos come ente: lasciar-esser-presente
vuol dire: disvelare, portare nellAperto (Entbergen, ins Offene bringen)88. Per
lessere, nellaprire la radura, nel far apparire lente, si sottrae in quanto essere;
lessere porta nella presenza, mostra, per il mostrare e il portare nella presenza si
83 Cfr. H., Tempo ed essere, Guida, Napoli 1987, pp. 142-143.
84 H., La concezione onto-teo-logica della metafisica, o.c., p. 230.
85 Il linguaggio ci rifiuta ancora la sua essenza, che consiste nellessere

la casa della verit


dellessere. Il linguaggio si concede piuttosto al nostro semplice volere e alla nostra attivit
come uno strumento del dominio sullente (H., Lettera sullumanismo, o.c., p. 272).
86 H., Tempo ed essere, o.c., p. 102.
87 Ibidem, p. 106.
88 Ibidem, p. 106. Lo stare nella radura (Lichtung) dellessere, lo chiamo e-sistenza delluomo.
Solo alluomo appartiene un tal modo dessere. Le-sistenza cos intesa non solo il fondamento della possibilit della ragione, ratio, ma ci in cui lessenza delluomo conserva la
provenienza della sua determinazione (H., Lettera sullumanismo, o.c., p. 277).

302

Luis Romera

occultano per lasciare apparire lente. Lessere ha il carattere del ritrarsi


(Entzugscharakter), gli corrisponde il nascondimento e il nascondersi (Verborgenheit
und Sichverbergen)89.
Invece di soffermarsi a chiarire il significato originario del far-apparire che si
occulta, la metafisica ha interpretato lessere secondo i canoni delloggettivit: la
presenza di ci che presente interpretato in Aristotele come poiesis. Questa, reinterpretata pi tardi come creatio, conduce, lungo una linea di grandiosa semplicit,
fino alla posizione (Setzung), quale quella della coscienza trascendentale degli
oggetti. Si fa evidente, cos, che il tratto fondamentale del lasciar-venire-alla-presenza nella metafisica il produrre (Hervorbringen) nelle sue diverse forme90. La presenza a cui vuole richiamarsi Heidegger pi originaria della semplice-presenza
(Vorhandenheit) nel senso dellesistenza di fatto che rinvia a una essenza come possibilit (ambito delle modalit), e anche pi originaria della presenza come utilizzabilit (Zuhandenheit). Utilizzabilit e semplice-presenza sono modi dellAnwesen;
cio del venire ad essere nella presenza91; e, in quanto modi, derivati; e, come derivati, sono modi in cui si interpretata la presenza nella metafisica.
Il passo indietro verso loriginario impensato porta il pensiero secondo
Heidegger a considerare lessere in funzione del passare. Alla luce di quanto
stato detto, il passare dellessere un pervenire svelando, il quale svela da se stesso e
cos arriva nellente. Arrivo significa: occultarsi nello svelamento, cio mantenersi
occulto: essere ente92. Heidegger pensa lessere e lente con il gioco di quattro termini: pervenire (berkommnis) e arrivo (Ankunft), svelare e occultare. Lessere si
mostra come il pervenire (berkommnis) che svela. Lente come tale appare nel
modo dellarrivo (Ankunft) che si occulta nella svelatezza93. Lessere e lente pensati cos si mostrano come diversi grazie alla differenza, la quale d e mantiene separato il tra (das Zwischen), dove essere come pervenire ed ente come arrivo sono in rapporto, si separano e si riuniscono94. La differenza dellessere e lente , come differenza tra pervenire e arrivo, la risoluzione (Austrag) svelante-velante di entrambi 95. Quando il pensiero raggiunge la differenza come risoluzione o diporto
(Austrag) di pervenire e arrivo, si pensa lessere nella differenza.
Lessere come pervenire apre lo spazio (svela) donde lente appare (arriva allo
svelamento mentre vela la svelatezza e lo svelare). Nellaprire lo spazio (il mondo,
89 Cfr. H., Tempo ed essere, o.c., pp. 137-138.
90 Ibidem, p. 156.
91 Ibidem, p. 109.
92 H., La concezione onto-teo-logica della metafisica,

o.c., p. 229; Sein geht ber (das) hin,


kommt entbergend ber (das), was durch solche berkommnis erst als von sich her
Unverborgenes ankommt. Ankunft heit: sich bergen in Unverborgenheit: also geborgen
anwhren: Seiendes sein (p. 56).
93 Ibidem, p. 229; Sein zeigt sich als die entbergende berkommnis. Seiendes als solche
erscheint in der Weise der in die Unverborgenheit sich bergenden Ankunft (p. 56).
94 Cfr. ibidem, p. 229; Dieser [der Unter-Schied] vergibt erst und hlt auseinander das
Zwischen, worin berkommnis und Ankunft zueinander gehalten, auseinander-zueinander
getragen sind (pp. 56-57).
95 Ibidem, p. 229; Die Differenz von Sein und Seiendem ist als der Unter-Schied von
berkommnis und Ankunft der entbergend-bergende Austrag beider. Im Austrag waltet
Lichtung des sich verhllend Verlieenden, welches Walten das Aus- und Zueinander von
berkommnis und Ankunft vergibt (p. 57).

303

studi

Welt) lessere richiama luomo perch questi gli corrisponda permettendo che il
mondo sia eretto, simponga e perduri. Luomo Dasein, dove il da indica la radura
aperta dallessere e nella quale lente, ogni ente, 96. Le accezioni storiche in cui
lessere si d nella e alla metafisica sono i diversi modi in cui si pensato lessere
dellente, cio i diversi modi in cui si interpretato lo svelare e il passare senza pensare direttamente allo svelare e al pervenire in quanto tale97, n tanto meno, alla differenza come diporto che li separa e riunisce, rapportandoli.
Lessere si d sempre storicamente configurando le diverse epoche a seconda del
modo in cui lessere, destinandosi, interpretato dalla metafisica. Che sia lessere
stesso che si destina in modo storico significa, da una parte, che la forma in cui lessere si d determinata secondo il modo in cui lo stesso essere si illumina in unepoca
storica98; e dallaltra, che lesperienza dellessere e della differenza, cio il modo in
cui si pensano luno e laltra, costituiscono i singoli momenti della storia dellessere99.
La storia dellessere costituisce lautentica storia in quanto lessere si offre
alluomo aprendo lo spazio in cui lente appare. Perch si offre storicamente
Heidegger applica allessere il termine destino (Geschick). Riferendo la parola
Geschick allessere, intendiamo dunque dire che lessere si rivolge a noi e si dirada,
e, diradandosi, predispone e concede il lasco di spazio e tempo (den Zeit-Spiel-Raum
einrumt) nel quale lente pu apparire100.
I termini storia dellessere e destino si articolano con i termini visti prima di
svelare e velare, di passare e arrivo101. Lessere (west) come destino, come svelarsi che al tempo stesso perdura in quanto velarsi102 (per questo lente come
Ankunft occulta). Lessere perdura in quanto destinarsi che si sottrae del lasco
di spazio e di tempo per lapparire di ci che, corrispondendo al destino e alla sua
ingiunzione, si chiama, di volta in volta, lente103.
96

Cfr. H., Beitrge zur Philosophie, o.c., p. 298. Il modo in cui luomo, nella sua essenza
propria, presente allessere lestatico stare-dentro nella verit dellessere. Con questa
determinazione essenziale delluomo non vengono dichiarate false e rifiutate le interpretazioni umanistiche delluomo come animal rationale, come persona, come essere composto
di spirito, di anima e corpo. Piuttosto, lunico pensiero che le supreme determinazioni
umanistiche dellessenza delluomo non esperiscono ancora lautentica dignit delluomo
(H., Lettera sullumanismo, o.c., p. 283).
97 Cfr. H., Tempo ed essere, o.c., pp. 156-157.
98 H., La concezione onto-teo-logica della metafisica, o.c., p. 231.
99 Cfr. ibidem, p. 231.
100 H., Il principio di ragione, o.c., p. 111.
101 Muovendo dalla struttura-destino dellessere stesso (aus dem Geschick des Seins), il nihil
del nichilismo significa che lessere tenuto per nulla. Lessere non entra nella luce della
propria essenza. Nellapparire dellente come tale, lessere rimane escluso. La verit
dellessere sfugge; dimenticata. Il nichilismo sarebbe dunque nella sua essenza una storia
che concerne lessere. Il non-esser-pensato avrebbe dunque le sue radici nellessenza stessa
dellessere, essendo lessere stesso a sottrarsi. Lessere si sottrae ritraendosi nella propria
verit. Esso custodisce se stesso e si nasconde in questo custodirsi (...). In tal caso la metafisica non sarebbe affatto la semplice dimenticanza di un problema non ancora posto nei
riguardi dellessere. Essa non sarebbe affatto un errore. La metafisica verrebbe ad essere la
storia dellente come tale, a partire dalla struttura-destino (Geschick) dellessere stesso (H.,
La sentenza di Nietzsche Dio morto, o.c., p. 243).
102 H., Il principio di ragione, o.c., p. 131.
103 Ibidem, p. 144.

304

Luis Romera

In questi passi si sottolineano quattro elementi del pensiero dellessere di


Heidegger: 1) il carattere storico-destinale dellessere, 2) il suo passare nellente
aprendo il luogo in cui esso si fa presente (Lichtung, Welt)104, 3) il rapporto stretto tra
lessere e luomo105 e 4) il primato dellens ut verum. Tuttavia la dimensione storica
essenziale dellessere e il suo pervenire nellente non implicano assenza di unit
nellessere: se tuttavia ha una sua verit il fatto che lessere di volta in volta si destina a noi, e inoltre che lessere, in quanto tale, si concede a noi ed destinazione, allora, in base a ci, si ha che essere ed essere dicono di volta in volta, nelle differenti epoche del suo destino, qualcosa di diverso. Nondimeno, nellinsieme del destino dellessere domina un qualcosa di medesimo, che non si lascia per rappresentare
mediante un concetto generale106.
Rivolgendo lo sguardo verso la differenza si raggiunge il luogo in cui pensare
lessere, e ad un tempo si pu capire il modo in cui esso si destinato nella metafisica (nella sottrazione)107. Infatti, per Heidegger, la metafisica ha pensato la differenza
essere-ente in termini di fondamento-fondato secondo il predominio del pensiero rappresentante-fondante, interpretando lessere e lente e la differenza, in modo tale che
lessere e la differenza restavano nelloblio per la prepotenza delloggettivazione.
Dalloggettivazione e dal principio di ragione la metafisica, quando pensa lente
come il pi generale e fondato, onto-logia e, quando pensa lente come ente supremo che fonda, teo-logia108.
La metafisica solo quellinterpretazione dellessere che perde lessere stesso.
Quando il pensiero si ritira nellessenza della metafisica e intravede la sua sorgente
(la differenza come Austrag) la metafisica superata e il pensiero si prepara per
accogliere lessere dimenticato e far cos spazio per una nuova manifestazione di
Dio. Ci nonostante, nel sentiero di Heidegger non si compiuto ancora lultimo
passo.

3.3. Lessere come laccadere appropriante (lEreignis)


Il carattere unitario che reclama lessere nonostante il suo destinarsi e darsi storico (il quale costituisce la Seinsgeschichte) porta il pensare a soffermarsi ancora una
volta ad approfondire nellessere in quanto tale, non solo nella differenza con lente,
ma secondo il carattere del darsi che gli proprio. Infatti, lessere come lapertura
che fa presente e si occulta, cos come lessere in quanto destinarsi storico, non rinviano forse a una dimensione ancora pi profonda dove pensare lessere? Il darsi storico ma unitario dellessere implica che ci deve essere unistanza pi originaria dalla
quale la storia dellessere riceve il suo destinarsi, costituendo essa la sorgente unitaria

104 Ma proprio la radura (Lichtung) lessere (H., Lettera sullumanismo, o.c., p. 285).
105 Ma come si rapporta, se mai ci consentito porre il problema in questo modo, lessere

alle-sistenza? Lessere stesso il rapporto (Verhltnis) in quanto lui che tiene a s lesistenza nella sua essenza esistenziale, cio estatica, e la raccoglie in s come il luogo della
verit dellessere nel mezzo dellente (H., Lettera sullumanismo, o.c., p. 285).
106 H., Il principio di ragione, o.c., p. 111.
107 Cfr. ibidem, p. 109.
108 Cfr. ibidem, p. 150.

305

studi

del donarsi dellessere nel tempo. Tale istanza nominata da Heidegger con il termine Ereignis e la si raggiunge tramite lanalisi del darsi (es gibt) dellessere109.
Con lo scopo di dire e pensare lessere come presenza (Anwesen) senza scambiarlo con lente, del quale diciamo sempre che , Heidegger adopera lespressione
c-si d (es gibt) per indicare lessere stesso. Lente , lessere c-si d110. Nel
disvelare gioca un dare (Geben), quello appunto che nel lasciar-esser-nella-presenza
(Anwesen-lassen) d (gibt) lesser presente (Anwesen), cio lessere (Sein)111. In
riferimento allespressione tedesca es gibt, il dare di cui si parla interpreta
Heidegger fa riferimento a uno es che d. Ma la storia dellessere ci attesta che
tale darsi sempre nel tempo, il che significa constatare che insieme allessere si d
il tempo. Quindi noi tenteremo ora di gettare uno sguardo in avanti fino allo Es di
questo Es gibt Sein, Es gibt Zeit, allo Es che d essere e tempo (...) e scriviamo lo Es
con la maiuscola (...). Per questa via dovr mostrarsi il modo in cui si d (es gibt)
essere, si d (es gibt) tempo 112 . Alla luce della modalit della donazione e
dellistanza che dona (lo Es) sar evidenziata nellanalisi heideggeriana la modalit
dellessere a cui arriva il suo pensiero. perci necessario analizzare questultimo
passo della sua opera per cogliere limpostazione heideggeriana del problema di Dio.
In continuit con lorientamento che sta alla base di tutto il cammino del pensiero di Heidegger da Essere e tempo (1927), e prima, a Tempo e essere
(1964) , il motivo ultimo che persegue Heidegger nella sua riflessione intorno allo
Es gibt Sein di pensare lessere distogliendo lo sguardo dallessere pensato dalla
metafisica: pensare propriamente lessere esige che si abbandoni lessere come fondamento dellessente a favore del dare che gioca nascosto nel disvelamento, cio a
favore dello Es gibt. Lessere, in quanto la donazione (Gabe) di questo Es gibt,
trova il suo luogo proprio (gehrt) nel dare. Lessere in quanto donazione non svincolato dal dare113.
Heidegger indica che il dare lessere pu mostrarsi pi chiaramente nellambito di una riflessione sul dare a cui si riferisce. Ci riesce nella misura in cui volgiamo la nostra attenzione verso la ricchezza dellessere di cui custode, e di cui ci
parla, la storia dellessere; vale a dire verso la ricchezza di cambiamento (Reichtum
der Wandlung), ovvero verso la pienezza di cambiamento (Wandlungsflle)
dellessere, dove, secondo Heidegger, si trova il primo punto dappoggio per pensare il significato dellesser presente (Anwesen) come espressione della pienezza del
109

Nei Beitrge, nel capitolo VII sullUltimo Dio, il paragrafo 256 intitolato appunto Der
letzte Gott preceduto dal paragrafo 255 con il titolo: Die Kehre im Ereignis. Afferma O.
Pggeler (Heidegger und die hermeneutische Philosophie, Alber, Freiburg-Mnchen 1983,
p. 118): Sein als das unverfgbare, jeweils geschichtliche Seinsgeschick zeigt sich in seinem Sinn oder in seiner Offenheit und Wahrheit als Ereignis (...). Sein als Ereignis: mit dieser Bestimmung des Sinns von Sein ist Heideggers Denken angekommen an seinem Ziel.
Im Ereignis ist die Zeit, in deren Licht das Sein immer schon auf eine verborgene Weise
verstanden wurde, eigens mitgedacht. Per unanalisi del termine Anwesen e il suo rapporto
con lo Es, cfr. M. MARASSI, Presenza e differenza. Heidegger e lunit orginaria, in
AA.VV., La differenza e lorigine, Vita e Pensiero, Milano 1987.
110 Cfr. H., Tempo ed essere, o.c., pp. 105-106.
111 Ibidem, p. 106.
112 Ibidem, p. 106. Gi si era espresso in questi termini nella Lettera sullumanismo, o.c., p. 288.
113 H., Tempo ed essere, o.c., p. 107.

306

Luis Romera

donare. In altri termini, il dare e lesser presente propri dellessere si possono


cogliere solo se si tiene presente la dimensione storica dellessere. Noi possiamo
accertare la pienezza di cambiamento (Wandlungsflle) dellAnwesen anche storicamente (historisch), ricordando come Anwesen, venire ed essere nella presenza, si
mostra come lo En, luno unicamente unificante, come Logos, il raccoglimento
custodente il Tutto, come idea, ousia, energheia, substantia, actualitas, perceptio,
monade, come oggettivit, come posizione (Gesetztheit) del porre-s nel senso della
volont di ragione, damore, di spirito, di potenza, come volont di volont
nelleterno ritorno delleguale. Ci che si pu accertare storiograficamente si lascia
incontrare allinterno della storia (Geschichte). Il dispiegarsi della pienezza di cambiamento dellessere appare a prima vista come una storia dellessere (Geschichte
des Seins) e solo cos si manifesta come accade e avviene lessere (wie Sein
geschieht) e il modo in cui si d essere114.
Questo dare che dona la sua donazione al tempo che si trattiene in s conservando la sua pienezza Heidegger lo denomina il destinare (das Schicken). Se noi pensiamo come va fatto in questo senso il dare, lessere, che si d (es gibt), il
destinato (das Geschickte)115. Laccadere dellessere e il suo carattere destinale
determinano la storia dellessere: storia dellessere significa destino dellessere
(Seinsgeschichte heit Geschick von Sein), nelle cui destinazioni (Schickungen) tanto
il destinare (das Schicken) quanto anche Quello (das Es) che destina (schickt)
sospendono, trattenendosene, la loro manifestazione116. Pensato dallinvio, che
dona e si mantiene in s, conservandosi, in quanto si sottrae, lessere si svela con la
sua epocale pienezza di cambiamento.
Per completare il quadro Heidegger si richiama in questo contesto al ruolo
essenziale delluomo, giacch luomo per tale che egli riceve come donazione
(Gabe) lesser presente (Anwesen), che grazie allo Es si d (das Es gibt), percependo
ci che appare nel lasciar-lessere-ostendersi-nella-presenza (im Anwesenlassen)117.
Il darsi dellessere non pensabile in termini di fattualit empirica o fenomenica, n tanto meno come un in-s effettuato da unistanza con il ruolo di causa producente, n come posizione nellambito del rapporto soggetto-oggetto. In tutti questi
casi lessere visto metafisicamente. La modalit del pensiero dellessere di
Heidegger, vale a dire, il come si manifesta e si pensa lessere in Heidegger, non
secondo il contro (che oppone causa ed effetto, soggetto e oggetto), n in funzione
dellin-s , in questi casi il modo di pensare lessere lontifica; egli, invece, sviluppa
un pensiero nel quale fondamentale il rapporto come dimensione originaria ultima
non concettualizzabile, la quale indica il come in cui appare, e si deve pensare,
lessere. Il rapporto apparso chiaramente nellanalisi della differenza come Austrag
che distingue mantenendo la vicendevole relazione tra essere e ente118. Il rapporto
riappare quando si pensa alla relazione tra lessere e luomo: lessere ha bisogno
114 Ibidem, p. 109.
115 Ibidem, p. 110.
116 Ibidem, p. 111.
117 Ibidem, p. 115.
118 Pensare lessere

senza lessente non significa, dunque, che allessere sarebbe inessenziale il rapporto allessente e che sarebbe necessario prescindere da questo rapporto; piuttosto vuol dire che non bisogna pensare lessere alla maniera della metafisica (H., Tempo ed
essere, o.c., p. 142).

307

studi

delluomo per essenziarsi, e luomo appartiene allessere per compiere in questo la


sua estrema determinazione come esserci119. La mutua appartenenza di essere e
uomo compare spesso nelle opere di Heidegger120. Il rapporto riappare nel contesto
del darsi dellessere nel tempo: c un appropriare e un traspropriare (Zueignen, bereignen) dellessere come presenza e del tempo come regione dellAperto in ci che
loro proprio (in ihr Eigenes)121.
Lessere pensato nel suo darsi storico, ma unitario, secondo la modalit del rapporto di appartenenza (che rispetta la distinzione) di essere ed ente, essere e uomo ed
essere e tempo nominato da Heidegger con il termine Ereignis; dove si osserva per
unevoluzione, giacch, in un primo momento, lEreignis designava lessere (il rapporto dellabbisognare dellessere nei confronti delluomo e dellappartenenza
delluomo allessere costituisce lessere come Ereignis122), mentre in un secondo
momento lEreignis indica lo Es che d lessere: ci che determina ambedue, tempo
ed essere, in quel che loro proprio, cio nella loro coappartenenza
(Zusammengehren), noi lo chiamiamo: das Ereignis123. Questo spostamento
semantico gi unindicazione di come lessere pensato da Heidegger rinvia a una
dimensione pi originaria dello stesso essere (lo Es che d), nella quale si pensa il
rapporto tra essere e tempo. Questa struttura di pensiero era gi apparsa quando
abbiamo visto la differenza ontologica; anche l la distinzione e il rapporto tra essere
ed ente rinviavano a unistanza (lAustrag) nella quale pensare la differenza e il
vicendevole rapporto di essere ed ente.
LEreignis non il semplice evento, n una semplice relazione che soppraggiunge successivamente, n un altro nome metafisico dellessere, n un concetto
onniabbracciante124. Heidegger non esplicito sul significato ultimo di questa
dimensione radicale: la sua esplicazione non pi compito di questa
conferenza125; ci che si pu dire che lEreignis laccadimento dellappropriare
(essere e tempo, essere e uomo, essere ed ente), che al tempo stesso simpropria sottraendosi e conservando la sua pienezza essenziale126.

4. Lapparire di Dio
4.1. Le dimensioni del pensiero dellessere e la loro unit: il Geviert
Il pensiero dellessere impostato da Heidegger secondo le diverse prospettive
che sono emerse lungo lanalisi fin qui condotta: lessere visto dalla differenza con
lente ci ha portato a vederlo secondo i termini del passare come far presente che
119 H., Beitrge zur philosophie, o.c., p. 244.
120 Cos nella conferenza sullidentit (...)

detto cosa lap-propriamento (das Ereignis) adpropria, cio porta nel suo proprio (ins Eigene) e mantiene nellappropriamento: vale a dire
la co-apparteneza di essere e uomo (H., Tempo ed essere, o.c., p. 152).
121 Ibidem, p. 124.
122 H., Beitrge zur Philosophie, o.c., p. 244.
123 H., Tempo ed essere, o.c., p. 125.
124 Cfr. ibidem, pp. 125-128, 150, 160.
125 Ibidem, p. 128.
126 Cfr. ibidem, pp. 129-131. cfr. J. GREISCH, Identit et diffrence dans la pense de Martin
Heidegger, Revue des sciences philosophiques et thologiques, 57 (1973), pp. 71-111.

308

Luis Romera

dischiude mentre si occulta; lessere nel suo rapporto con il tempo, come destinarsi
che costituisce la storia dellessere; lessere nella vicendevole appartenenza
(Zusammengehrigkeit) con luomo in quanto il suo destinarsi richiama luomo come
Dasein che permette che si apra e si mantenga la radura (il da) in cui lente si mostra
ed . Tutte queste prospettive possono essere integrate nel termine Ereignis (come
accadere storico appropriante di esse), ma Heidegger ha adoperato anche un altro termine in cui unificare le dimensioni ora segnalate: il termine Geviert, che offre inoltre
il vantaggio di includere in s un riferimento esplicito al divino.
Il Geviert indica le quattro contrade dellinsieme dei Quattro e la loro riunione
nel luogo dellincrocio127. Le quattro contrade a cui si riferisce Heidegger indicano
le quattro dimensioni in cui si deve pensare lessere, quattro dimensioni che devono
essere integrate e riunite per pensare lessere secondo la loro specificit ma ad un
tempo unitariamente.
Le prime dimensioni del Geviert sono nominate con il binomio cielo (o mondo
nelle prime versioni128) e terra, dove il primo termine indica laprire dellessere che
dischiude lo spazio nel quale lente trova significato e la vita delluomo e un popolo
incontrano il luogo per il loro soggiorno. Il secondo termine (terra) allude al nascondimento dellessere che serba cos la propria ricchezza: la terra lautochiudersi per
essenza129, che servando sorregge130.
La terza dimensione sono i mortali poich essere-presente (essere) sempre, in
quanto essere-presente, un essere-presente allessere umano, essendo lessere-presente
quel richiamo che di volta in volta chiama lessere umano131. Il richiamo dellessere
alluomo si compie nel pensiero e accade nel linguaggio come casa dellessere132.
La quarta dimensione sono i divini: i divini sono messaggeri che ci indicano la
divinit. Nel sacro dispiegarsi della loro potenza, il Dio appare nella presenza o si
ritira nel suo nascondimento133. In questo testo Heidegger presenta quattro termini
che vanno distinti: i divini, la divinit, il sacro e il Dio. Per poter precisare il rapporto
tra i divini (o gli dei) e il Dio, e tra questi e il sacro e la divinit, occorre prima concludere la visione del Geviert.
Quattro sono le voci che risuonano: il cielo, la terra, luomo e il Dio. In queste
quattro voci il destino raccoglie lintero rapporto infinito134. Ma Heidegger rapporta
anche il termine Geviert allente (o alla cosa) e quindi lo prospetta come mondo
(Welt). Lente si manifesta ed allinterno di un mondo che contemporaneamente
mantiene: necessario che, a partire dellEreignis, la differenza ontologica sia
rimessa al pensiero. Ora, per, visto dallEreignis, questo rapporto si mostra come il
rapporto di mondo e cosa135.
Il rapporto di essere-mondo con ente-cosa gi stato delineato nellanalisi della
127 H., La questione dellessere, in Segnavia, o.c., p. 360.
128 Cfr. H., Lorigine dellopera darte, in Sentieri interrotti, o.c., pp. 21-30.
129 Ibidem, p. 32.
130 H., Costruire abitare pensare, in Saggi e discorsi, Mursia, Milano 1985, p. 99.
131 H., La questione dellessere, o.c., p. 357.
132 H., Lettera sullumanismo, o.c., p. 267; H., Il linguaggio, in In cammino

verso il linguaggio, Mursia, Milano 1984, pp. 28-35.


133 H., Costruire abitare pensare, o.c., p. 99.
134 H., La poesia di Hlderlin, Adelphi, Milano 1988, pp. 203-204.
135 H., Tempo ed essere, o.c., p. 147; cfr. H., La cosa, in Saggi e discorsi, o.c., pp. 109-124.

309

studi

differenza, ora per pu essere precisato ulteriormente: le cose (...) adunano presso
di s cielo e terra, i mortali e i divini. I Quattro costituiscono, nel loro relazionarsi,
ununit originaria. Le cose trattengono presso di s il Quadrato (Geviert) dei
Quattro. In questo adunare e trattenere consiste lessere cosa della cosa. Lunitario
Quadrato di cielo e terra, mortali e divini, immanente allessenza delle cose in quanto
cose, noi lo chiamiamo: il mondo. (...) Le cose (...) nel loro essere e operare come
cose, dispiegano il mondo136.
Pensare lessere come Geviert significa pensarlo come il punto dincrocio delle
dimensioni essenziali a cui il Geviert accenna: lessere come disvelare che si occulta
e si offre ai mortali costituendo cos un mondo in cui lente in quanto tale, sicch
solo nel mondo lente e viceversa; lente trattiene la riunione delle dimensioni mantenendo un mondo per la durata epocale di tale mondo. Il darsi (es gibt) dellessere,
come accadere (Ereignis) che appropria reciprocamente (zueinanderereignet) le
dimensioni del Geviert mentre ogni dimensione si traspropria (vereignen) e confida
alle altre configurando il Quadrato nella sua unitariet, un darsi che non costituito
dal soggetto, n pu essere ridotto a un effetto che richiama una ratio sufficiens.
Larrivare allessere reso possibile da un pensiero che sa attendere lavvento
dellessere, sentire il suo appello, rammemorare quello in cui gi si . Con queste
espressioni Heidegger tenta di nominare un pensiero che riflessione senza concettualizzare o ragionare. Questo tipo di riflessione non produce un pensiero, ma si
lascia invadere dallessere. Il carattere gratuito, non dipendente da me, di qualcosa
che ci viene incontro senza essere afferrata, il tratto indicato nei divini.

4.2. Dal sacro ai divini


Come abbiamo visto lapparire di Dio al pensiero va preceduto in Heidegger dal
pensiero della divinit, del sacro e dellessere secondo un susseguirsi di tappe che
non possono essere omesse.
Il sacro si mostra unicamente nellambito di una verit che non a disposizione
delluomo. Il sentiero del pensiero di Heidegger il tentativo di arrivare a un essere
che reclama per s la pienezza e lindisponibilit, che non si lascia impossessare dal
pensiero oggettivo-metafisico, n diventa materiale per la tecnica delluomo. Solo
quando il pensiero raggiunge tale essere, si mostra e percepisce il sacro.
Il sacro dice inoltre riferimento a un essere che non scioglie lente nel nulla, ma
che, invece, lo raccoglie e lo trattiene nel suo essere e nella sua verit di ente, nella
misura in cui apre e mantiene lo spazio in cui lente come tale. Il sacro allude quindi a quellessere che permette alluomo di sviluppare le potenzialit storiche affidategli. Nella misura in cui il sacro parla di un essere che lascia lente e i mortali nella
loro essenza, il sacro salva137.
136 H.,

Il linguaggio, o.c., p. 35. Cfr. H., Costruire abitare pensare, o.c., p. 99. Pggeler sottolinea il rapporto tra critica al pensiero occidentale, centralit del Welt e attesa soteriologica
in Heidegger: Nicht das erstarrte und entleerte Sein, sondern die Welt soll das zentrale
Thema Heideggers sein: die Welt als wahre Welt, als Welt, die den abendlndischen
Nihilismus in seiner Gesamtheit hinter sich lt. Heidegger soll die alte verfallene, christlich-metaphysisch-brgerliche Welt verwerfen und die kommende, heile und neue Welt
erwarten (O. PGGELER, Heidegger und die hermeneutische Philosophie, o.c., p. 75).
137 Cfr. O. PGGELER, El camino..., o.c., p. 231.

310

Luis Romera

Il sacro non si mostra mai direttamente alluomo finito, non mai un prodotto
n ricade nelle reti della ratio. Il sacro si mostra come ci che riunisce un mondo
secondo la storia accaduta dellessere. Infatti, il raccogliere del sacro sempre storico, giacch consiste nel riunire un mondo come Geviert. Perci ogni epoca storica
raccolta in ununit grazie al sacro che si presenta di volta in volta sotto la forma di
un dio.
Il sacro ci porta nellambito della divinit dove si mostrano gli dei come coloro
che indicano lavvenire dellessere e raccolgono il mondo. Il dio come il divino (un
dio della schiera degli dei, un divino) raccoglie e trattiene un mondo. Perci ai mortali compete aspettare lavvento del divino: i mortali abitano in quanto attendono i
divini come divini. Sperando, essi si confrontano con linatteso e insperato. Essi
attendono gli indizi del loro avvento, e non misconoscono i segni della loro assenza.
Non si fanno da s i loro dei e non praticano il culto degli idoli. Nella disgrazia, essi
attendono ancora la salvezza che si allontanata da loro138. I divini non sono n una
nuova versione metafisica di Dio, n una riedizione di un politeismo pagano, mostrano piuttosto, da una parte, la contrapposizione con luomo: questi fondato, i divini ricordano lessere fondato delluomo e la ricchezza del fondamento, non metafisicamente pensato, e il carattere di dono dellessere139. Dallaltra, i divini indicano
quel carattere del dio che raccoglie e mantiene un mondo che avviene storicamente in
modo gratuito.
Cos i mortali non riportano gli dei al Dio della metafisica confezionando un
idolo, ma, secondo la loro divinit e sacralit, sanno ricevere il dono che essi ottengono. Il sacro, nel riunire, ci parla dellinterpellanza di un dio, di quel dio che fonda
il soggiorno storico delluomo. Ma il divino (un dio degli dei) solo nellambito del
Geviert, cio si manifesta come una delle dimensioni del Quadrato.

4.3. Il Dio di Heidegger


Fin qui il Dio di Heidegger sembra esaurirsi negli dei; vale a dire, il Dio si presenta in ogni epoca storica sotto la forma del dio che raccoglie e sorregge il mondo in
cui sono gli enti e luomo, ed soltanto questo. Ma parallelamente al richiamo ad
unistanza unitaria originaria che d lessere nel suo accadere storico, anche qui
Heidegger allude a un Dio al quale accennano i divini: i divini sono i messaggeri
della divinit, che ci fanno segno. Dal nascosto dispiegarsi di questa, appare il Dio
nella sua essenza, che lo sottrae ad ogni confronto con ci che presente140.
Questo Dio (lultimo Dio, il Dio divino) non si lascia paragonare con niente di
ci che presente. Il Dio di Heidegger non si presenta mai chiaramente ai mortali,
resta avvolto nel suo mistero. Forse davanti a tale Dio solo resta lattesa di un suo
segno a cui corrispondere con latteggiamento mistico.
Ma qui opportuno chiedersi di quale Dio potrebbe eventualmente trattarsi.
Ricapitolando quanto stato detto, si visto che lessere va pensato da una
parte secondo il rapporto; dallaltra in funzione dellunit e pienezza che esige per
138 H., Costruire abitare pensare, o.c., p. 100.
139 Cfr. M. BERCIANO VILLALIBRE, El evento (Ereignis)

como concepto fundamental de la filosofa de Heidegger, Logos, XXIII-53 (1990), pp. 29-45.
140 H., La cosa, o.c., p. 118.

311

studi

s. Secondo il rapporto lessere si prospetta: 1) nel rapporto essere-ente come differenza che collega (espressa tramite i termini passare, far presente, presenza), 2) nel
rapporto essere-uomo come identit che distingue perch non la semplice uguaglianza (indicato come vicendevole appartenenza) e, infine, 3) nel rapporto esseretempo come destinarsi storico che apre i mondi e le epoche storiche (segnalato con i
termini storia dellessere e destino). In questo contesto facevamo riferimento
allessere come mondo nel senso del Geviert.
Lessere per rivendica un carattere unitario ( sempro lo stesso, das Selbe) che
ci ha portato allEreignis e allo Es.
In questo orizzonte appare il sacro come lindisponibile che raccoglie e rinvia a
un divino che sorregge il mondo e interpella luomo perch questi corrisponda al
destino storico dellessere nellepoca a lui affidata.
Qui, per, pu apparire lambiguit o indecisione finale del pensiero di
Heidegger. Lunit dellessere emerge come tale solo nel suo dispiegarsi nel tempo,
cio essa si d sempre e necessariamente in un modo storico, costituendo un mondo
nel destinarsi nel tempo, in modo tale che la pienezza dellessere si mostra nel susseguirsi delle epoche storiche. Se lessere, inoltre, si d sempre nel passare nellente
(istituendo un mondo) e nel richiamare luomo (perch gli corrisponda e si mantenga
il mondo), allora dobbiamo reintrodurre nellambito dellessere, anzi nellambito
della donazione dellessere, la necessit. Ma una pienezza che necessariamente deve
passare e istituire, vale a dire, una pienezza che necessariamnete si d nella storia e
nel far presente gli enti, una pienezza piena? Neanche con il rinvio allo Es
dellEreignis sparisce lambiguit, poich anche lEreignis va pensato secondo la
necessit di un dare essere e tempo, e la sua pienezza, anche se indisponibile per
luomo, finisce nel destinare storico del suo dono. Ma un dono che necessario,
totalmente dono o soltanto dono in una dimensione, quella cio affermata nellindisponibilit nei confronti delluomo?
merito indiscutibile di Heidegger laver richiamato lattenzione verso la questione dellessere e del Dio divino. Luomo non ha a che fare soltanto con gli enti,
egli si rapporta allessere in quanto tale, e unicamente allinterno di un rapporto del
pensiero con lessere nel quale lessere pensato (e non obliato) pu emergere la
questione di Dio. Ma proprio la modalit dellessere heideggeriano, e quindi la
modalit del dono e della donazione, che rendono ambiguo il cammino verso lapparire del Dio divino.
In effetti, la filosofia nata in Grecia come il problema delluno e dei molti,
come il problema della molteplicit finita e temporale (storica) degli enti che rinvia a
unistanza unitaria nella quale fuggire dal nulla. Due sono le risposte che, in ultima
analisi, si sono date al problema. La prima considera che luno si rapporta ai molti
facendoli sorgere dalla propria pienezza, alla quale ritornano, costituendo cos una
totalit. La soluzione monista appare nella physis greca e si ripropone nei panteismi,
in quello spinoziano e in altri, come forse anche nello Spirito assoluto hegeliano e,
secondo unimpostazione diversa, nelleterno ritorno delluguale nietzschiano. Gli
enti emergono dalla physis e vi ritornano; la physis per non mai senza gli enti,
anche se non si esaurisce in nessuna forma ontica storica. La physis pervasa dal
tempo, genera necessariamente, impersonale.
La seconda risposta considera il rapporto secondo il termine trascendenza. In
questo caso luno, nella misura in cui autenticamente trascendente (cosa solo possi312

Luis Romera

bile in una metafisica creazionista) dona i molti, ma il suo donare gratuito, la sua
pienezza tale da non aver bisogno della donazione. Il Trascendente il pi lontano
della necessit; perci esiste una differenza essenziale tra ragione e causa, tra fondare come processo intellettuale (che sinizia con la problematicit di ci che fondato
per arrivare al fondamento che affermato come necessario per a partire dal fondato) e il fondare ontologico del fondatore come donare del Trascendente (che gratuito, indeducibile).
In ambedue i casi listanza raggiunta pu essere sottomessa alla ratio, come fa
il meccanicismo monista o il Dio razionalista che crea il migliore dei mondi possibili.
Ma anche nei due casi listanza suscettibile di essere pensata come al di l della
ratio. Ci che per essenziale che soltanto in un contesto di trascendenza ha spazio un Dio divino.
questo il caso di Heidegger? difficile a dirsi141. Il pensiero dellessere di
Heidegger non sembra per molto aperto alla Trascendenza; forse solo resta, dopo il
tentativo speculativo, lattesa: soltanto un Dio pu ancora salvarci. La sola possibilit che ci resta nel pensiero e nella poesia, la possibilit per la manifestazione di
questo Dio142.
***
Abstract: The problem of God is profoundly present in Heideggers thought. It has
been the object of frequent discussion in the attempt to determine both the modality
of Heideggers God and the attitude of thought that according to Heidegger is capable of peceiving Gods gesture. The question of God is developed in four moments:
the analysis of the absence of God in our age, the lack of God as fruit of onto-theology, the thought of being as the first stage towards the sacred, towards the divinity,
and therefore towards God, and the final result of Heideggers thought (regarding
God). This study concludes with a question regarding the ambiguity or problematic
of a transcendent God in Heideggers thought.

141

Lambiguit pu essere indicata confrontando il rinvio allo Es, che sembra lasciar aperta
una porta verso la trascendenza (cfr. J. B. LOTZ, Dallessere al sacro. Il pensiero metafisico
dopo Heidegger, Querciana, Brescia, 1993), con affermazioni come: anche Dio , se egli ,
un essente, si trova come essente nellessere (H., Die Technik und die Kehre, Neske,
Pfullingen 1962, p, 45). in generale critico nei confronti del carattere fondativo dellimpostazione heideggeriana W. WEISCHEDEL, Il Dio dei filosofi, vol. II, Il Melangolo, Genova
1991, pp. 307-350.
142 H., Der Spiegel, 31.V.76, Ormai solo un Dio ci pu salvare, Guarda, Parma 1987, p. 136.

313

ACTA PHILOSOPHICA, vol. 3 (1994), fasc. 2 - PAGG. 315/325

note e commenti

Sobre el origen del ser y la nada


RAU L ECHAURI*

El viejo y acuciante problema del origen del ser ha cobrado en los ltimos aos
nuevamente actualidad gracias a la conocida teora del big bang, segn la cual una
fantstica estampida originaria habra dado lugar al nacimiento del universo. En tal
sentido, S. Hawking habla de un comienzo del tiempo y, con l, del universo, cuando
era infinitsimamente pequeo e infinitamente denso1.
Dejando de lado todos los interrogantes que pueda suscitar la existencia de un
universo autoconcentrado en un punto preexistente de energa, la obra de Hawking
destaca elocuentemente, por lo menos en sus primeros pasos, que el universo
comenz a existir en un momento determinado. Pero luego, el autor se inclina a pensar, segn lo expuesto en una conferencia pronunciada en el Vaticano, que el universo no tuvo ningn principio y que, por consiguiente, no fue creado2.
No cabe ninguna duda que la fsica actual est rondando con tales ideas en torno
al misterio mismo del ser, a su posible aurora, a su posible ocaso incluso, ya que si
amaneci gracias a la explosin del big bang, podra tambin atardecer en virtud del
big crunch o gran implosin. Por otra parte, resulta correcto afirmar que si el universo no comenz, carecera de creador? Como pensamos que tales cuestiones, en ltima
instancia, son de naturaleza preferentemente metafsica, es decir, pertenecientes a un
dominio que excede la ciencia, aunque ella los pueda avalar desde su ptica propia,
nos permitiremos recurrir a distintos filsofos, comenzando, con Parmnides de Elea,
uno de los primeros que parece haber planteado la cuestin del origen del ser.

1. Parmnides
Sorprendido ante el hecho de que el ente sea, Parmnides estima que l resulta
*

Consejo Nacional de Investigaciones Cientficas y Tcnicas (Conicet), Snchez de Loria 536


bis, 2000 Rosario, Repblica Argentina

1
2

S.W. HAWKING, Historia del tiempo, Grijalbo, Buenos Aires 1988, p. 26.
Op.cit., p. 156.

315

note e commenti

inengendrado e imperecedero; y para reafirmar su postura, se interroga a s mismo,


en un pasaje notable, acerca de una posible gnesis u origen de lo real, preguntndose
cmo y de dnde habra podido surgir. De haber nacido, tendra que haber nacido a
partir de lo que no es ( ); pero ello resulta absolutamente imposible, ya
que lo que no es, no es ni expresable (), ni pensable ().
Nos parece evidente que lo que no es se identifica para Parmnides con la nada,
y la nada, como lo haba afirmado poco antes, no es ( ). De lo que
no es, no puede obviamente resultar lo que es. Por otra parte, si el ente procediese de
la nada ( ), qu necesidad vuelve a preguntar Parmnides lo habra
hecho emerger antes o despus?
En efecto, si el ente hubiese nacido, qu lo habra hecho nacer? Al no visualizar Parmnides ninguna razn que d cuenta de un presunto nacimiento del universo,
concluye, una vez ms, en la perennidad de todo cuanto existe: es necesario que sea
absolutamente o no (fr.8). Desde el momento que el ente es, resulta imposible que
no sea, ni que no haya sido. El es, por lo tanto, absolutamente y, por ello, sin origen.
De haberse generado, seala Meliso en sintona con esta postura, el ente tendra
que haber sido precedido por la nada; pero resulta imposible que de la nada provenga
algo: Siempre fue lo que era y siempre ser. Pues si se hubiese generado, resulta
necesario que antes de generarse no hubiese sido nada; si antes no fue nada, jams
podra generarse nada de la nada ( ) (fr.l).
En este esplndido texto, Meliso pone de relieve una de las convicciones fundamentales de toda la filosofa antigua: el universo no ha tenido origen, porque, de
tenerlo, la nada lo habra antecedido; pero como de la nada efectivamente nada puede
surgir, l es ingnito, eterno e imperecedero, tal como lo apunta el segundo fragmento: Porque l entonces no ha surgido, l es, fue y siempre ser, y no tiene ningn
comienzo, y tampoco ningn fin, sino que es infinito.
Tanto Parmnides como Meliso, por lo tanto, han pensado y planteado la posibilidad de un origen radical del universo, aunque la han desechado inmediatamente,
porque ella supondra su procedencia de la nada; y lo que es no puede provenir de lo
que no es, tal como tambin lo reitera por su parte Empdocles de Agrigento: Pues
es imposible que algo llegue a ser a partir de lo que no es (fr.12).

2. Platn
Por otra parte, es esta ltima expresin, lo que no es ( ), aquella cuyo
sentido trata de dilucidar Platn en El sofista y ante la cual manifiesta su perplejidad.
Si el no ser no fuera, no se podra explicar a su juicio la existencia de lo falso, ya que
lo falso alude justamente a lo que no es. Sin embargo, Platn recuerda los versos de
Parmnides antes citados, segn los cuales es imposible que el no ser sea. Cmo
compaginar entonces la existencia de lo falso, o sea de lo que no es, con la absoluta
inexistencia del no ser proclamada por Parmnides?
Intrigado por esta cuestin, Platn ya no sabe qu designa el no ser, ni a qu
objeto o a qu realidad correspondera (237 c). Resulta imposible, al respecto, concebir el no ser, decirlo, pronunciarlo o comprenderlo (238 c). No obstante, as como lo
falso acreditaba, en cierta manera, la realidad del no ser, tambin la mentira la respalda, pues el que miente dice lo que no es. Temiendo convertirse en un parricida, al
316

Ral Echauri

contradecir a su padre Parmnides, Platn sostiene que lo que no es, en cierto modo
es, en tanto que lo que es, de alguna manera, no es (241 d). Si lo fro y lo caliente
son, prosigue Platn, qu puede significar el ser que conviene a ambos?
Indudablemente, Platn se asocia aqu a lo que l llama una lucha de gigantes en
torno a la realidad.
Finalmente, Platn culmina sus reflexiones sobre el no ser, con una pieza
dialctica, modelo ejemplar de su pensamiento y que constituye, a juicio de
Brochard, la piedra angular de todo el platonismo. Cinco gneros o ideas supremas
participan mutuamente entre s: lo que es, el movimiento, el reposo, lo mismo y lo
otro. Indudablemente, el movimiento es, asegura Platn, en tanto que participa de lo
que es, pero no es, en tanto que participa de lo otro, lo cual lo hace distinto del ser y,
por ello mismo, no ser. Es por lo tanto inevitable que haya un ser del no ser, no solamente en el movimiento, sino en toda la sucesin de los gneros. En toda la serie, en
efecto, la naturaleza de lo otro hace de cada uno de ellos otro que el ser, y, por eso
mismo, no ser. As todos, universalmente, bajo esta relacin, diremos correctamente
que no son, y, por el contrario, en tanto que participan del ser, diremos que son y los
llamaremos seres (256 e).
Alrededor de cada forma, por ende, hay multiplicidad de ser, infinita cantidad
de no ser; y dado que el ser mismo resulta diverso del resto de los gneros o ideas,
toda vez que estos son, el ser no es, y toda vez que el ser es, las otras formas no son.
De esta manera, Platn se ve como forzado a sostener la realidad del no ser, en un
texto incomparable, que seala un hito en su filosofa: Cuando enunciamos el no ser
( ), esto no significa, parece, enunciar alguna cosa contraria () al ser,
sino solamente alguna cosa distinta () (257 b).
La naturaleza de lo otro hace de cada forma que participa de l, otro que el ser,
y, por ello mismo, no ser. El gnero lo otro resulta as la condicin o el fundamento
del no ser. Se ha convertido Platn realmente en un parricida, al afirmar contra
Parmnides la realidad del no ser, que ste rotundamente negaba? Quizs, sea una
osada de nuestra parte decir que Platn no comprendi la visin parmendea acerca
del no ser, pues cuando el filsofo de Elea habla del no ser, se refiere a l como a un
vaco ontolgico, del cual el ente no habra podido surgir.
En cambio, cuando Platn afirma que las cosas, al participar de lo otro, no son,
no niega que existan, o sea que no sean en absoluto, sino que son distintas. Por tal
motivo, mientras para Parmnides el no ser indica la nada, para Platn el no ser seala lo otro.
De este modo, tanto la expresin ser como la de no ser poseen para Parmnides
un sabor existencial, del que estn desprovistas para Platn. Uno puede estar seguro
de encontrarse en la tradicin del platonismo autntico anota Gilson cada vez
que las nociones de existencia y de nada son remitidas a las nociones puramente
esenciales de lo mismo y de lo otro, de eodem et diverso3.
Platn, por lo tanto, no lo contrara a Parmnides, sino que utiliza las palabras
ser y no ser con un sentido decididamente esencialista. De aqu, que Platn use indistintamente los trminos ser, ente y esencia, por cuanto para l ser () es ser algo
() o algo que se es (),
Para Parmnides, en cambio, ser no significa ser lo que se es, sino que el ser
3

E. GILSON, Le Thomisme, Vrin, Paris 1965, 6 ed., pp. 54-55.

317

note e commenti

designa la condicin o estado mismo de lo real, pues el ente es o est siendo, y el no


ser la ausencia absoluta de realidad, pues la nada no es. Por tal motivo, Platn no
distingue entre el es copulativo y el es existencial; mejor dicho, Platn reduce el
es existencial al copulativo, lo cual es otra manera de decir, que el ser goza para l
de un sentido puramente esencial. Sin duda alguna, el ente es, tanto para Parmnides
como para Platn; pero que sea significa para el primero que est ejerciendo el ser,
mientras que para el segundo significa que es tal o cual cosa. Decir simplemente la
flor es significara para Parmnides que ella est siendo, mientras para Platn que
ella es tal o cual cosa o que ella est siendo lo que es.

3. Aristteles
Por su parte, Aristteles estima que el es slo posee una dimensin copulativa. Las expresiones ser o no ser, en s mismas, en efecto, no son nada ( ),
pero ellas agregan a su propio sentido una cierta composicin que es imposible de
concebir independientemente de las cosas compuestas4.
Nuevamente aqu, igual que para Platn, ser significa ser esto o lo otro, jams
ser en el sentido fuerte o existencial del trmino, tal como era el caso de Parmnides.
El verbo ser se reduce a simple cpula verbal, mero nexo de unin entre un sujeto y
su atributo o predicado. Por ello, siempre que Aristteles habla de un trnsito del no
ser absoluto al ser, slo se refiere al paso del no ser tal o cual cosa, al ser esa cosa. En
todos los casos, se trata siempre de la generacin, sea sustancial, sea accidental, que
nicamente afecta al rostro esencial del ente, nunca a su faz existencial.
El no ser aristotlico, por tanto, no indica la nada, sino la ausencia de una
forma, sustancial o accidental, que puede nacer por generacin o morir por corrupcin. Como dice Tricot, no hay para Aristteles ni generacin ex nihilo, ni corrupcin
ad nihilum. Por ello, no existe en la obra aristotlica la ms mnima alusin a un origen radical de los seres, ni mucho menos a su creacin, aunque, de hecho, no haya
habido en ella nada que se opusiera a la misma, tal como lo seala Jolivet5.

4. Filn
Si bien la idea de creacin estaba virtualmente contenida en el primer versculo
del Gnesis (Bereschit bara Elohim), parece haber sido Filn de Alejandra el primero en advertirla, tal como lo destaca G. Reale: Filn es el primer pensador que introduce en la filosofa la doctrina de la creacin6.
El mismo Gilson, por su parte, corrobora tal juicio, otorgndole a Filn la paternidad de tal idea, aunque durante los primeros aos de su magisterio se la haba negado7.
4ARISTO
TELES, De Interpretatione, 16b, 23-25.
5 Cf. R. JOLIVET, Essai sur les rapports entre la

pense grecque et la pense chrtienne, Vrin,


Paris 1931.
6 G. REALE, Storia della filosofia antica, Vita e pensiero, Milano 1978, Vol. IV, p. 279.
7 La influencia de Platn ha sido tan profunda que Filn el Judo que habra debido ser el primero en desarrollar una filosofa de la creacin ex nihilo, no ha concebido jams su idea

318

Ral Echauri

Indudablemente, asistimos con Filn a los primeros albores de una idea, quizs
no completamente perfilada en su pensamiento, ya que la accin creadora de Dios
parece confundirse a veces con la accin meramente configuradora del demiurgo
platnico. El texto del Gnesis utiliza el verbo bara, que la versin griega de los
Setenta traduce por epoihsen. En tal sentido, Dios hizo el cielo y la tierra; pero el
demiurgo tambin los hizo, lo cual no significa que los haya creado, ya que su actividad se reduce a modelar y configurar una materia preexistente. Por tal motivo, al no
existir en el lxico griego el verbo crear, Filn tiene que recurrir al verbo ,
que significa fundar y construir, para expresar el acto creador. Por ello, y para
distinguir la creacin, de la mera formacin, Filn escribe: Dios no slo ha conducido las cosas a la luz, sino que ha hecho aquellas cosas que antes no eran; l no es
solamente demiurgo, sino incluso creador ()8.
A partir de este momento, y gracias al contacto con el texto bblico, la cuestin
del origen del ser, dbilmente sospechada, alcanza una relevancia especialsima.
Habiendo desestimado tanto Parmnides como Meliso y Empdocles la posibilidad
de un surgimiento radical del universo, por cuanto nada puede proceder de la nada, la
idea de creacin introduce una alternativa frente a la idea rectora y dominante del
pensamiento griego, tal como lo ha subrayado E.Brhier: Nada viene de la nada,
nada retorna a la nada. Este principio, martillado en los versos del viejo Lucrecio, ha
quedado la gran idea rectora de todos los pensadores griegos, desde los fsicos presocrticos hasta los ltimos platnicos9.
Dos cosmovisiones se encuentran ahora enfrentadas. El mundo no ha tenido
principio, ni tendr fin, o, por el contrario, ha tenido un origen; en otras palabras, o es
eterno o ha sido creado. Pero si el mundo es eterno, su eternidad no puede ser la
misma que la de Dios, dado que el universo visible est afectado por el tiempo, en
tanto que Dios, no. Por ello, aunque el mundo no haya tenido ni principio, ni fin, no
se lo puede calificar de eterno a juicio de Boecio, porque si bien posee una duracin
ilimitada, no abarca todo el pasado y el porvenir en un solo instante. Slo Dios es
eterno, por cuanto en su presente rene la infinidad de los momentos del tiempo que
fluye10. En tal sentido, Boecio atribuye la eternidad exclusivamente a Dios, mientras que al mundo le reserva la perpetuidad.

5. Santo Toms
Santo Toms, por su parte, se solidariza plenamente con Boecio, negando la
coeternidad del mundo con Dios, ya que incluso si el mundo siempre existi, no
sera coeterno con Dios (Deo coaeternus), pues su duracin no sera totalmente
simultanea; lo cual es requerido por el sentido de la eternidad. Pues la eternidad es,
como all mismo se dice, la posesin totalmente simultnea y perfecta de una vida
interminable. Pero la sucesin del tiempo resulta causada por el movimiento, como
(Cf. Lesprit de la philosophie mdivale, Vrin, Paris, 1948, p. 69). La creacin del mundo
ex nihilo ha sido enseada por Filn (Cf. History of Christian Philosophy in the Middle
Ages, Random House, New York 1955, p. 39).
8 FILON, De somniis, I, 76, F.H. Colso-G.H. Whitaker, London-Cambridge, Vol.V, p. 337.
9 E. BRHIER, Etudes de philosophie antique, P.U.F, Paris l955, p. 166.
10 BOECIO, La consolacin de la filosofa, Aguilar, Buenos Aires 1960, p. 185.

319

note e commenti

dice el Filsofo. Por lo cual, lo que est sometido a la mutabilidad, aunque siempre
haya existido, no puede ser eterno; y a causa de esto, Agustn dice que ninguna creatura puede ser coeterna con la invariable esencia de la Trinidad (De pot., q.3, a.14).
Segn Santo Toms, no se puede hablar de una creatura coeterna con Dios, si
asignamos a la palabra eternidad el mismo sentido, cuando la atribuimos a la creatura y cuando la atribuimos a Dios. Primero, porque la duracin del mundo, de ser
eterno, no sera tota simul como la de Dios; y segundo, porque las cosas estn sometidas a una mutabilidad completamente extraa a la esencia divina.
Sin embargo, sabemos ciertamente por la fe, que el mundo no existi siempre;
pero ello no se puede demostrar racionalmente por cuanto la novedad del mundo
(novitas mundi) no puede recibir una demostracin por parte del mismo mundo
(S.Theol., Ia., q.46, a.2). Por lo tanto, que el mundo haya comenzado, y sea una novedad, resulta objeto de fe, pero no se puede demostrar, ni saber: unde mundum incoepisse est credibile, non autem demonstrabile vel scibile (S.Theol., Ia., q.46, a.2).
No obstante, Santo Toms estima que el mundo podra no haber comenzado, o
sea que podra haber sido creado desde toda la eternidad (ab aeterno). Tal es lo que
trata de mostrar en su penetrante opsculo De aeternitate mundi, que entre otras
cosas, marca la autonoma del pensamiento filosfico con respecto a la fe religiosa; y
hablamos de la autonoma de la razn, porque si bien Santo Toms sabe por su fe que
Dios cre el mundo en el tiempo, o si se quiere, que el mundo y el tiempo comenzaron, considera racionalmente posible que el mundo y el tiempo no hayan comenzado,
con lo cual creacin del mundo y eternidad del mundo no se excluyen entre s.
Escrito contra los que murmuran que tales ideas sean compatibles, Santo Toms
estima plausible que podra haber existido algo eterno, siempre y cuando toda su realidad hubiese sido causada por Dios. En tal caso, el universo carecera de un principio de duracin (principium durationis), es decir, no habra comenzado. Ello podra
repugnar al entendimiento por dos razones. En primer lugar, porque, de ser as, Dios
como causa agente, piensan algunos, tendra que haber precedido a lo creado en
duracin. Dicho con otras palabras, como siempre una causa precede a su efecto,
sera menester que Dios antecediese a la creatura, lo cual no sera posible si el mundo
fuese eterno. Sin embargo, Santo Toms piensa que un efecto puede ser producido
sbita e instantneamente por su causa, con lo cual no existe ningn orden de prelacin temporal entre sta y aqul.
En segundo lugar, dado que el mundo ha sido hecho de la nada, tambin repugnara al entendimiento la idea de su eternidad, porque, en tal caso, su no ser tendra
que haber precedido en duracin a su ser. Haber sido hechas de la nada significa que
las cosas no han sido hechas a partir de algo preexistente, de modo tal que la nada no
ha precedido a lo creado, como si fuera necesario que la nada fuese antes de lo que
fue hecho e inmediatamente despus exista algo11. En todo caso, resulta lcito decir
que primero es la nada que el ser, en el sentido de que la creatura, considerada en s
misma y por s misma, no es nada, por lo cual hay que decir que naturalmente tiene
antes la nada que el ser12.
No existe, por ende, la menor repugnancia en pensar que algo ha sido creado
11
12

S. TOMA S, De aeternitate mundi, en Opuscula philosophica, Lethielleux, Paris 1949, p. 57.


Op.cit., p. 58.

320

Ral Echauri

por Dios y que este algo siempre existi13. Si hubiese existido alguna incongruencia
al respecto, San Agustn la habra notado, segn Santo Toms, sobre todo porque
habra sido la manera ms eficaz para l de negar la eternidad del mundo.
Sin embargo, a pesar de no haber nunca admitido la eternidad de la creatura,
San Agustn parece no rechazarla, en opinin de Santo Toms, por haber citado un
argumento usado por los platnicos, segn el cual Dios habra causado desde siempre
a la creatura, sin precederla, tal como acontece con un pie que deja su huella en el
polvo. El pie podra haber estado posado en el polvo desde toda la eternidad causando su huella; del mismo modo, Dios podra haber creado las cosas desde siempre, en
cuyo caso la causa y el efecto seran concomitantes.
No obstante, algunos opinan que no puede existir una creatura coeterna con
Dios, como sostienen Juan Damasceno, Hugo de San Vctor y el mismo San Agustn.
Pero la explicacin ltima de esta postura, segn Santo Toms, la brinda Boecio,
cuando en su Consolacin de la filosofa escribe: Una cosa es ser conducido a travs
de una vida interminable, lo cual atribuye Platn al mundo, otra cosa distinta es que
toda la presencia de una vida interminable sea igualmente abarcada, lo cual resulta
manifiesto que slo es propio de la mente divina14. En otros trminos, mientras la
vida de la creatura est extendida en el tiempo, la vida divina est concentrada en un
punto. La eternidad de la creatura, por lo tanto, afectada por el cambio, el movimiento y la duracin es temporal; por el contrario, la eternidad de Dios, ajena a ellos,
resulta atemporal.
En este sentido preciso, tampoco para Santo Toms se puede hablar de una
creatura coeterna con el creador, porque la eternidad de la creatura no tiene el mismo
carcter que la de Dios. Sin embargo, se puede hablar de una creatura coeterna con
Dios, en el sentido de que la creatura, mvil y temporal, podra haber coexistido
desde siempre con su Creador, inmvil y atemporal. El tiempo y la eternidad podran
haber coexistido paralelamente, no obstante la radical heterogeneidad de sus naturalezas respectivas. Dicho de otro modo, lo que para Santo Toms resulta congeniable
es la eternidad de Dios y la perennidad temporal del mundo.
Tal postura no desdice, por otro lado, la doctrina de Santo Toms sobre el esse,
primer efecto de la causa suprema: primus effectus est esse et non est ante ipsum
creatum aliquid (De pot.,q.7, a.2). Dado que crear es dar el esse (prima rerum creatarum est esse), Dios podra haber conferido el actus essendi a las cosas desde toda la
eternidad, o, por el contrario, ellas podran haber comenzado a ser. La creacin es
una relacin de dependencia por parte de la creatura con respecto al Creador, y esa
dependencia pudo haber sido eterna, aunque sabemos por la Revelacin que ha sido
temporal: et sic creatio nihil est aliud realiter quam relatio quaedam ad Deum cum
novitate essendi (De pot., q.3., a.3).
El universo, por tanto, de ser eterno, no habra tenido principio de duracin,
pero aun en este caso, habra tenido principio de origen (principium originis), ya que
Dios lo causa y produce. Podra haber carecido de un inicio temporal, pero nunca de
origen, porque l depende totalmente de Dios.
13
14

Op.cit., p. 58.
BOETHIUS, The Theological Tractates, University Press, Harvard 1958, pp. 401-402.

321

note e commenti

6. Leibniz
Como seala Leibniz al respecto en su opsculo De rerum originatione
radicali, aunque el mundo sea eterno, debe haber una razn ltima de su existencia.
En tal sentido, existen cosas ms bien que nada, dado que cada esencia posible tiene
la pretensin de existir segn el grado de realidad o perfeccin que encierra. La existencia, por ende, resulta algo exigido por aquellas esencias aptas para alcanzar su
actualidad. Pero Dios se manifiesta como la razn ltima y como la fuente misma
tanto de los seres posibles como de los actuales.
Leibniz habla, en este sentido, del gran principio, segn el cual nada se hace
sin razn suficiente. Asentado este principio, la primera pregunta que tenemos
derecho a formular ser por qu hay algo ms bien que nada. Pues la nada es ms
simple y ms fcil que algo15.
Lo que nos llama la atencin en este notable texto, no es tanto la formulacin de
lo que se ha llamado la cuestin fundamental de la metafsica, sino ms bien su
referencia a la simplicidad de la nada, con la cual, por otra parte, debera haber
comenzado el texto, ya que ms que una conclusin resulta una premisa. En este sentido, dado que la nada es ms simple y fcil que algo, por qu hay cosas? Dicho de
otro modo, sera ms lgico o ms comprensible que no hubiese nada en absoluto, ya
que la nada es ms simple y fcil que el ser. Sin embargo, hay ser, y ste resulta,
obviamente, mucho ms difcil de justificar que la nada.
No obstante, lo ms maravilloso que hace un ente es ser. Y el ser que el ente
ejerce lo constituye y establece como tal, ya que si no lo ejerciera no sera y no
habra entonces nada en absoluto. En tal sentido, Leibniz parece inscribirse en la
nmina de aquellos pensadores que lo han detectado, al interrogar por qu existen las
cosas y no ms bien la nada, tal como tambin lo presume Gilson: Por haber escrito
esa frase, es necesario, sin duda, que Leibniz se haya sorprendido y admirado, al contacto con el acto misterioso que llamamos el ser, aqul en virtud del cual uno dice de
los entes que ellos son16.
Pero la diversidad de los espritus es una cosa admirable y para verificarlo
bastar que nos remitamos al filsofo de la duracin, para quien el problema del origen del ser resulta un problema fantasma por cuanto la idea de nada es, a su juicio,
una pseudo-idea.

7. Bergson
Al comienzo de su recordado anlisis de esta cuestin en Lvolution cratrice,
Bergson escribe: La existencia se me aparece como una conquista sobre la nada. Yo
me digo que podra, que debera incluso no haber nada, y me sorprendo entonces que
haya alguna cosa. O bien, me represento toda realidad como extendida sobre la nada
como sobre un tapiz: la nada era en primer lugar y el ser ha venido por aadidura. O
bien an, si siempre ha existido alguna cosa, es necesario que la nada le haya siempre
15
16

G.W. LEIBNIZ, Escritos filosficos, Charcas, Buenos Aires 1982, p. 601.


E. GILSON, Constantes philosophiques de ltre, Vrin, Paris 1983, p. 147.

322

Ral Echauri

servido de substrato o de receptculo y sea, en consecuencia, eternamente


anterior17.
Segn Bergson, resulta imposible imaginar la nada, pero podramos tratar de
concebirla, al pensar en un objeto inexistente. Pensemos, en primer lugar, en un objeto existente. La idea de este objeto no es ms que la representacin pura y simple de
ese objeto, pues no se puede representar un objeto, sin atribuirle por eso mismo, una
cierta realidad. Entre pensar un objeto y pensarlo existente, no hay absolutamente
ninguna diferencia18.
Pero si pensamos el objeto como inexistente le agregamos algo, a saber, la idea
de una exclusin de este objeto particular por la realidad actual en general19.
Representarse un objeto como inexistente implica conferirle, por lo menos, una existencia puramente ideal, la de un puro posible; negada la existencia sustancial del
objeto, aparece la existencia atenuada de lo simplemente posible, con lo cual resulta
absolutamente imposible pensar en un objeto inexistente y, con ello, pensar en la
nada.
En otros trminos, y por extrao que pueda parecer nuestra asercin, hay ms,
y no menos, en la idea de un objeto concebido como no existente que en la idea de
este mismo objeto concebido como existente, pues la idea del objeto no existente
es necesariamente la idea del objeto existente con la representacin, adems, de una
exclusin de este objeto por la realidad actual tomada en bloque20.
Entre pensar un objeto y pensarlo existente no hay para Bergson ninguna diferencia, siempre y cuando la reduccin que l propone de lo realmente existente a lo
pensado, o la identificacin del ente actual con su idea sea genuina. En efecto, no hay
ninguna diferencia desde un punto de vista puramente conceptual; pero si lo real
encierra adems de su esencia, objeto de concepto, el ser o la existencia como algo
no incluido en la esencia o distinto de ella, la realidad no se identificara, ni coincidira con su idea o concepto. La realidad no es reductible a mera idea, o, dicho de
otro modo, ella excede el plano lgico, dado que el misterio de la existencia no es
susceptible de ser apresado por un concepto.
Por otra parte, creemos figurarnos apunta Bergson que el ser ha venido a
llenar un vaco y que la nada preexista lgicamente al ser21. Bastara, sin embargo,
recordar a Parmnides y a Meliso, para invalidar tal aseveracin. Ni el ser ha venido
a colmar un vaco, ni la nada lo ha precedido, como tambin lo asegura Santo Toms.
Su nocin de la nada, por tanto, como un vaco ontolgico previo al ser, no
tiene la vigencia que Bergson parece asignarle. Por otra parte, cmo imaginar o concebir lo que no es, tal como lo propone? Qu otra cosa se puede decir de la nada,
sino que ella no es? Pero aunque la nada no sea ni pensable, ni imaginable, ella es
una idea exigida por el pensamiento cuando ste se aboca a la cuestin del origen del
ser. Por tanto, ella ha jugado un papel relevante no slo en las concepciones creacionistas del universo, sino tambin en aquellas cosmovisiones que, sin afirmar la creacin se asomaron al problema de un presunto advenimiento del ser.
17
18
19
20
21

H. BERGSON, Lvolution cratrice, P.U.F., Paris 1948, p. 276.


Op.cit., p. 284.
Op.cit., p. 285.
Op.cit., p. 286.
H. BERGSON, La pense et le mouvant, P.U.F., Paris 1950, p. 65.

323

note e commenti

8. Heidegger
Pero la pregunta fundamental de la metafsica ha sido retomada en nuestros das
por Martin Heidegger, sin brindar, por otra parte, no obstante la exspectativa suscitada, ninguna respuesta satisfactoria al respecto.
En primer lugar, Heidegger estima que un cristiano no puede acceder a la cuestin planteada, porque de antemano tiene la solucin, ya que cree que Dios cre al
principio el cielo y la tierra. Prescindiendo de que esa proposicin sea verdadera o
falsa para la fe22, ella no se relaciona, por lo tanto, con la pregunta fundamental, ni
la admite, porque el creyente queda dispensado por su fe de tal interrogacin.
Sin embargo, lo absolutamente importante, a nuestro juicio, consistira en saber
si tal idea, verdadera para la fe, es tambin verdadera para la razn, en cuyo caso la
creacin explicara el origen radical del ser, satisfaciendo la pregunta fundamental.
Rechazar la idea de creacin, porque ella est asociada a una determinada
Revelacin, implica un cierto filosofismo, desde el momento que el pensamiento, en
tal caso, est decidido a no aceptar otras ideas ms que las que l mismo descubre.
Si la idea de creacin le brinda al filsofo una respuesta atendible al problema
del ser, sera absurdo despreciarla por el solo hecho de no haber sido advertida por su
reflexin.
Por otra parte, la creacin es una verdad de orden natural, a juicio de Santo
Toms, que la inteligencia humana habra podido conquistar, aunque de hecho ella la
deba a la Revelacin. En tal sentido, Dios no slo ha revelado verdades de carcter
sobrenatural, como su paternidad o la Trinidad, sino tambin de ndole natural por ser
de difcil acceso a la razn, tales como la creacin.
Pero nuestro filsofo est reido con tal idea; incluso, en uno de los poqusimos
textos sobre el particular, Heidegger atribuye al tomismo una visin hylemrfica del
acto creador. En tal sentido, lo creado es lo confeccionado, y crear significa, por
ende, segn Heidegger, fabricar. Conviene recordar, sin embargo, que para Santo
Toms, Dios no procede como un artesano, porque el objeto inmediato del acto creador es el esse, el ser mismo del ente, el cual actualiza a la materia y a la forma, esto
es, a la esencia, resultando a su vez restringido y limitado por ella.
Pero los equvocos de Heidegger abundan. Tal como lo seala en Was ist
Metaphysik?, el pensamiento cristiano considera a la nada como la ausencia total de
realidad, lo cual implicara, en su opinin, que Dios, al crear, tendra que haberse vinculado con ella. Sorprende bastante que un metafsico de su talla piense que Dios
pueda relacionarse con la nada, como si sta fuese una zona sin ser que coexistira
con Dios.
Antes de la creacin, no existan simultneamente la nada y el ser, como lo
asienta Santo Toms, sino slo Dios, el ser mismo puro y subsistente, que todo lo llenaba y todo lo inundaba; y si El todo lo colmaba antes de su fiat creador, tambin lo
sigue colmando despus, pues Dios est presente en todas las cosas (adest omnibus)
como causa de su ser.
Por otra parte, Parmnides, Meliso y Empdocles tuvieron mil veces razn, al
negar que el ente pudiese provenir de la nada. Y Santo Toms los confirma plena22

M. HEIDEGGER, Introduccin a la metafsica, Nova, Buenos Aires 1956, p. 43.

324

Ral Echauri

mente, porque el ente no procede de la nada, sino de Dios como fuente absoluta y
nica de todo lo que es. Slo el Ser puede engendrar el ser. En tal sentido, la creacin
tiene el carcter de un acontecimiento constituido por el don del ser, aunque tal don
no presuponga evidentemente un receptor.
A nadie se le puede escapar la resonancia heideggeriana de estas ideas, por lo
menos tal como se pueden apreciar en Zur Sache des Denkens. Sin duda, la nocin de
Ereignis ocupa all un lugar central entendida como el acontecimiento que trae aparejado el obsequio del ser: El don (Gabe) del estar presente es lo peculiar del acontecer23. Pero una vez que el suceso tiene lugar, el ser desaparece como tal, y slo
queda en la superficie el ente: Cuando el ser es visualizado como el acontecimiento,
desaparece como ser24.
Estas reflexiones heideggerianas, un poco esotricas, pueden ser esclarecidas a
la luz de la doctrina tomista de la creacin. Indudablemente, la creacin ha constituido un acontecimiento fundamental, ya que gracias a ella ha comenzado realmente a
existir lo que no exista. Pero el esse mismo, lo ms ntimo y profundo del ente, se
disimula en el seno de ste. Slo podemos percibir el ente, pero el ser mismo en virtud del cual l es o existe, se sustrae a la captacin tanto sensible como conceptual. Si
bien el ente indica lo que es, el espritu humano recala espontneamente en el lo
que, sin reparar en el es, o sea en el ser. Y es natural que as sea, porque el lo
que seala la esencia del ente, y sta constituye el objeto adecuado y connatural del
entendimiento humano.
Sin embargo, resulta necesario exceder la esencia, el lo que, para divisar el
esse como la raz secreta de todo cuanto existe. Expresado ahora en trminos heideggerianos, el ser es, con respecto al ente, aquello que muestra, que hace visible, sin
mostrarse a s mismo25.
Tambin el esse tomista hace visible al ente, por cuanto lo hace existir; y tambin l, igual que el Sein heideggeriano, no se muestra a s mismo, ya que se entraa
ntimamente en el seno del ente como el fundamento invisible de la realidad visible.
Este parentesco entra la idea tomista de creacin y la nocin heideggeriana de
Ereignis, que ha acudido espontneamente a nuestro espritu, tambin ha sido advertida por J. Lotz en un texto que nos complace citar: Reencontramos aqu una vecindad profunda entre Heidegger y Santo Toms, en cuanto que el evento original de
aqul y la creacin de ste, indican simplemente la comunicacin del ser26.
Efectivamente, creatio y Ereignis designan el acontecimiento del ser, o, si se
quiere, ambos han tenido como objeto la ddiva del ser, obsequio admirable que nos
permite contemplar el fantstico espectculo de los entes y cuyo misterio siempre
estimular la reflexin del espritu humano.

23
24
25
26

M. HEIDEGGER, Zur Sache des Denkens, Max Niemeyer, Tubingen 1969, p. 22.
Op.cit., p. 46.
Op.cit., p. 39.
J.B. LOTZ, Il valore religioso nella filosofia dellessere di M. Heidegger, Sapienza, 3
(1978), p. 261.

325

note e commenti

326

ACTA PHILOSOPHICA, vol. 3 (1994), fasc. 2 - PAGG. 327/338

Filosofa como arte y experiencia de la vida


DANIEL INNERARITY*

Forma parte de los tpicos de la profesin que del filsofo se espere una actitud
de desconfianza por principio, una duda o sospecha genrica en relacin con la existencia del mundo exterior y de la realidad. Mientras el hombre corriente libra su
batalla contra la dureza del mundo real, el ocioso pensador flirtea con distinguidas
entidades y se bate contra monstruos vaporosos en un mundo al que no llegan los
rotundos desmentidos de la realidad vulgar. Nadie sabra decir a ciencia cierta quin
le ha concedido a este personaje el privilegio de prescindir olmpicamente de la experiencia de la vida. Esta caricatura parece retratar bien a quien se considera un filsofo
escptico y entiende la filosofa como una actividad ms cercana al arte que a la ciencia, ms adicta al sentido que a la exactitud. Pues bien, voy a sostener la tesis aparentemente paradjica de que cuanto ms escptico se es, tanto ms irrenunciable resulta
la experiencia de la vida, es decir, esas evidencias fundamentales arrancadas penosamente al curso de los acontecimientos, en el trato con la realidad, como sabidura
vital ganada tras las decepciones y los gozos que jalonan los tropiezos de una biografa finita.
El escepticismo consecuente ha de comenzar desconfiando de la duda absoluta
acerca de la realidad. En el clebre prlogo a la segunda edicin de la Crtica de la
razn pura, Kant hablaba de un escndalo de la filosofa consistente en que la existencia del mundo exterior se base en la fe y que no sea posible ofrecer suficientes
pruebas a quien se obstine en ponerla en duda. Heidegger deca en Ser y tiempo que
el verdadero escndalo consista ms bien en que hubiera alguien que esperara tales
demostraciones. El escepticismo razonable se pone de parte de Heidegger en la medida en que duda de la duda acerca de la existencia de la realidad, o al menos no renuncia al hbito formado en la experiencia de la vida de que en estos casos el peso
de la prueba recae sobre el acusador. Lo que en la vida se ha mostrado como una
garanta procesal que sirve a la justicia no puede ser ignorado en el ejercicio de la
teora.
La ocupacin del filsofo no puede justificarse si no es porque conduce a una
*

Departamento de Filosofa, Facultad de Filosofa y Letras, Universidad de Zaragoza, Spagna

327

note e commenti

ganancia de experiencia, con todo lo que ello comporta: descubrimiento, sentido,


comprensin, orientacin. Si la filosofa fuera nicamente negativa habra desaparecido con la comprobacin de que la realidad no es solamente el escenario de la desolacin y el sinsentido, como parecera complacer a los apologetas de la amargura. El
pesimismo y la crtica que rebasan las fronteras de lo razonable se convierten en un
implacable tribunal que se dedica a extender arbitrariamente la contingencia del
mundo, a no reconocer los testimonios en favor de un sentido incoado, modesto
en lo que se nos ofrece y en lo que hacemos con ello. El hombre terico excesivamente seducido por la crtica colabora as probablemente contra sus intenciones
a ampliar el alcance de la irrealidad, disminuyendo a un tiempo el trabajo de la experiencia. Un vaco inmenso comienza a abrirse a los pies de su atalaya. El estereotipo
de filsofo-que-sospecha se hace a su vez sospechoso de no tener nada interesante
que ofrecer, de que su filosofa a martillazos es una venganza resentida contra su propia ceguera. Y es mejor que no le pille a uno cerca esa peligrosa sntesis de despiste y
violencia.

1. Estrategias contra la desrealizacin


La filosofa es atencin y aprendizaje, experiencia ganada en el trato no siempre fcil y gratificante con la realidad. Y adems pretendo mostrar cmo esta
ganancia de experiencia que proporciona no aleja a la filosofa del arte, sino todo lo
contrario. La filosofa y el arte son igualmente cultivos de la atencin hacia la realidad y no ejercicios de distraccin. La filosofa puede ser considerada como una de
las bellas artes en la medida en que coopera con ellas en la ampliacin y concentracin de nuestro sentido de realidad. Son verdaderas estrategias de resistencia contra
la desrealizacin.
Hay una tradicin filosfica que describe la historia de la humanidad en trminos de una progresiva desilusin, como una ganancia de sentido de la realidad. Al
principio era la fantasa y lo ficticio, ahora gobiernan la observacin y la experiencia.
Me permito desconfiar de esta pica de la desconfianza. La experiencia nos dice que
andamos ms bien escasos de experiencias y sobrados de credulidad. Bien examinadas las cosas, nuestro mundo ofrece tambin el rostro de una ingenuidad no superada,
creciente incluso. Podra afirmarse que el contenido ilusorio de la realidad oficial ha
aumentado en la cultura moderna.
Este mundo moderno es un mundo de creciente aceleracin, de progreso. La
Ilustracin tena, fundamentalmente, prisa. Con ella se introdujo una apremiante
necesidad de tiempo, pues haba que recuperar el retraso de la razn. Y para recuperar el nico procedimiento era acelerar los procesos. El tiempo, que hasta entonces
no era ms que un medio en el que hacan su aparicin acciones y actores, se convierte en un poder al que todo se confa en virtud de su mera cantidad. Este cambio
de escala haba de tener como consecuencia que el individuo se viera zarandeado en
ese nuevo formato universal entre el entusiasmo por las nuevas dimensiones de los
proyectos histricos y el desconsuelo ante su insignificancia personal. Las tareas
pblicas se sobreponen a la pereza privada, la expectativa histrica pone en un
segundo plano a las experiencias personales, entre las cuales est la evidencia de
nuestra finitud y la sabidura de la paciencia. El nuevo formato del tiempo acelerado
328

Daniel Innerarity

de las expectativas se permite prescindir del tiempo lento de la experiencia. En el


torbellino de la aceleracin la experiencia resulta cada vez ms impotente, pues cada
vez envejecen con ms velocidad aquellas situaciones en las cuales y para las cuales
se obtuvieron las experiencias.
Por eso es propio de los procesos progresivos que comiencen con una iniciativa
tica para continuar con una inercia cintica. Lo que podramos llamar una heteromovilidad catastrfica consiste en que quien se mueve, mueve algo ms que a s mismo.
Quien hace la historia, hace algo ms que historia: destino. Es el exceso cintico que
sobrepasa los lmites hasta arribar a lo no pretendido. Ese ms fatal es la dinmica de
las masas muertas que, una vez puestas en movimiento, ya no quieren saber nada de
finalidades morales. El fatalismo es la otra cara del activismo irreflexivo. Es posible
entonces hacer algo? S, bajo la condicin de suponer una continuidad que realmente
no existe, es decir, actuando desde la ficcin de que las cosas no han cambiado o no
han cambiado tanto. Al menos, que no ha habido un cambio significativo desde que
comenz nuestra reflexin y menos an desde que tomamos la decisin y la pusimos
en prctica. Esta paradoja es especialmente aguda en las acciones que, por su dimensin o por el nmero elevado de sujetos que estn implicados, necesitan mucho tiempo. Mientras el tiempo transcurre y adems aceleradamente cambian tambin
los datos a partir de los cuales se comenz a actuar, y la rectificacin no siempre es
posible o beneficiosa. Entonces resulta necesario ignorar las nuevas condiciones,
actuar como si no las hubiera, bajo el supuesto de que las cosas estn como al principio. Sin estas ficciones sera imposible acabar ninguna empresa. Donde todo fluye,
las acciones son obligadas a devenir ficciones. Slo es posible actuar suspendiendo
ficticiamente el curso del tiempo. Luhmann ha hablado a este respecto de la necesidad de reducir la complejidad, pero a nadie se le oculta que toda simplificacin contiene alguna mentira piadosa o, mejor dicho, progresista.
Tratndose de poltica, la observacin de Luhmann es muy cierta. El nmero
creciente de participantes en las decisiones hace que no sea posible controlar a todos
o a algunos expertos, por lo que se impone hacer como si se les hubiera controlado,
pero en verdad nos ponemos en sus manos: les creemos. Esta es la consecuencia de
su tesis de que el incremento de racionalizacin exige un incremento de confianza,
hasta que ya no se sabe si se cree o se sabe (o se finge saber, que es lo ms probable
tratndose, por ejemplo, de poltica econmica). Esta nueva necesidad de creer, instalada en el ncleo de la sociedad tecnolgica, supone un incremento del nmero de
inexpertos, una disminucin de la experiencia propia, que no proporciona ninguna
indicacin acerca de qu debe hacerse ante las situaciones inditas. Es uno de los
modos en que se manifiesta que la racionalidad del mundo moderno no reduce el
espacio de lo ilusorio sino que lo aumenta.

2. Experiencia, expectativa, experimento


Otra indicacin de la presencia creciente de ficciones en el mundo moderno es
la prdida de experiencia que se produce cuando es sustituida por la expectativa.
Vivimos en una cultura que est cada vez ms dispuesta a la ilusin. Quien carece de
experiencias tiene ms facilidad para hacerse ilusiones. Esto tiene mucho que ver, sin
duda, con el ya mencionado envejecimiento de nuestras experiencias, lo que nos hace
329

note e commenti

aorar aquella niez en la que el mundo no nos resultaba an extrao. Si no se tienen


experiencias que puedan ser significativas en el momento presente, nuestra expectativa hacia el futuro no puede ser medida moderada, generalmente por las experiencias malas, generalmente de que disponemos. La expectativa no controlada
por la experiencia se magnifica y tiende a convertirse en ilusoria. Aparecen las superesperanzas y los super-miedos que tan buena acogida tienen entre los desmemoriados.
Ya s que no ponerse inmediatamente y sin condiciones en favor de la utopa
est tan mal visto como interrumpir por un momento la queja y ver lo que de positivo
hay en la realidad. Pero a veces la utopa no es sino una renuncia a mejorar lo existente en nombre de lo inmejorable. Creo que nuestro campo de accin se define en
otros trminos. Se requiere ms valor para poner a prueba una opinin o un juicio
que para navegar en el reino de las posibilidades jams contradichas. Y es que la
experiencia probablemente no sea otra cosa que el nombre que damos al aprendizaje
que resulta del fracaso, del desmentido de una expectativa por el veto interpuesto por
la realidad. Las experiencias son el buen resultado de la crisis de las expectativas. El
malo es la puerilidad. Cuando la fuerza de desmentir que es propia de la experiencia
gira en el vaco, el principio de realidad pierde crecientemente la posibilidad de
hacerse valer. Aparece lo que Koselleck llama el vaco entre la expectativa y la experiencia1. Los hombres se convierten en esperadores sin experiencia, en ilusos. Las
expectativas que han soltado las amarras con el pasado y con el presente se dirigen a
lo ms lejano y futuro, adquieren un tono pattico. A este respecto, Koselleck ha
denominado a la modernidad la era de las singularizaciones2. En ella no slo se singularizan los progresos en el progreso, las libertades en la libertad, las historias en la
historia, sino sobre todo las expectativas en la expectativa: en una nica y absoluta
expectativa total que est por encima de toda satisfaccin real y, por tanto, de cualquier decepcin, pues est decepcionada a priori de lo dado, de tal modo que esperanza y decepcin confluyen en una actitud que podramos llamar de indignacin
continua. El principio esperanza se convierte as en principio fanatismo, lo que en
alemn se dice Unbelehrbarkeit, es decir, literalmente: imposibilidad de ser enseado, de aprender, incorregible. Lo malo del doctrinarismo es que no tiene remedio. La
indisposicin habitual a ser corregido por las experiencias agudiza la prdida de
experiencia. Condena al hombre a existir esperando todava y habiendo dejado ya de
experimentar.
Al hablar de experiencia hay que distinguirla cuidadosamente del experimento
cientfico, pues no son la misma cosa. Es ms: estn incluso en relacin inversamente
proporcional. Precisamente en la era moderna caracterizada por una prdida creciente de la experiencia es cuando tiene lugar el apogeo de las ciencias experimentales. All donde disminuye la capacidad para la experiencia de la vida, se hace necesario salvarla mediante una delegacin en los especialistas de lo emprico. Pero la
paradoja consiste en que cuanto ms exacta ms especializada es la elaboracin
que los expertos hacen de la experiencia, tanto menos podemos seguirles, y nos
vemos obligados a aceptar experiencias que nosotros mismos no hacemos y que, por
1

R. KOSELLECK, Vergangene Zukunft. Zur Semantik geschichtlicher Zeiten, Suhrkamp,


Frankfurt 1979, pp. 349ss.
2 Cfr. ibidem, p. 265.

330

Daniel Innerarity

tanto, no son experiencias de la vida, de nuestra vida. La ciencia conduce a la fe... en


la ciencia y en los cientficos. En la medida en que los especialistas del experimento
cientfico hacen del mundo por decirlo con Kant objeto de la experiencia posible, deja el mundo de ser objeto de la experiencia propia.

3. El cultivo moral de la experiencia


El fenmeno correlativo en el campo de la tica es la apriorizacin de las
expectativas morales, la respuesta menos oportuna a la prdida de experiencia: la
renuncia explcita a ella, o sea aquel apriorismo que pese a la acertada crtica hegeliana, infructuosa al parecer se ha convertido en un signo de identidad de buena
parte de la tica posterior a Kant y que culmina en la actual tica discursiva que
absuelve actualmente a quien lo desee de las faltas por omisin en materia de experiencia.
Los intentos de hacer una tica sin experiencia se apoyan en la suposicin de
que vivimos en una era postconvencional, lo que nos condena a producir toda nuestra
orientacin existencial a partir del discurso tico-filosfico. Creo que tiene razn
Odo Marquard al declararse escptico ante esta declaracin fundamentalista, de
que haya que partir de cero: tan mal no estamos3. El apriorismo de la tica discursiva
exige que toda norma moral se fundamente en un discurso universal libre de dominio
al que accedemos con la predisposicin de dejarnos convencer por la fuerza del
mejor argumento. Ahora bien, esa disposicin a relativizar el propio punto de vista y
a escuchar a los dems se sustenta ya en una actitud moral no deducida de ningn
discurso, sino de la experiencia de la vida, que nos ha enseado esta obligacin elemental. El discurso no puede ser fundamento, comienzo absoluto. Sin una experiencia moral fundamental ni siquiera el discurso mismo puede iniciarse. Cul es entonces la fuerza argumentativa en materia moral? No lo s exactamente, pero en cualquier caso muy limitada. Una sociedad donde la vida de seres inocentes hubiera de
protegerse nicamente con argumentos en la que no hubiera ninguna convencionalidad previa bajo la forma de compasin espontnea, atencin al otro, sinceridad,
repugnancia ante el dolor injusto o sentido del ridculo sera mejor abandonarla a
su suerte y, por supuesto, mantenerse lo ms alejado posible de los torturadores sin
pretender convencerlos. Si todo hubiera de salvarlo la tica filosfica, sera un indicio de que ya no queda nada que salvar. La experiencia de la vida nos ensea que no
estamos tan mal.
Aristteles afirmaba que la tica no era apropiada para los jvenes porque
carecan de experiencia de la vida. Esta opinin supone que la tica es una tematizacin de la experiencia de la vida que ya se tiene y no una fuente de futuras convicciones. De la tica esperaba el perfeccionamiento del arte de vivir, una ayuda para confirmar o corregir las costumbres de la vida, insustituible por un artefacto argumentativo. Pero para eso se necesita una cierta edad. Esa experiencia de la vida comparecer
sin duda en un discurso moral pero no se adquiere en l. Si la moral laica quiere
decir lo que el trmino significa inexperto, lego en la materia, ignorante, indi3

Cfr. Das ber-Wir. Bemerkungen zur Diskursethik, en K. STIERLE / R. WARNING (eds.), Das
Gesprch, Fink, Mnchen 1984, pp. 29ss.

331

note e commenti

cara que se espera demasiado de la tica y que se nos tiene en demasiado poco a los
que no somos catedrticos de la materia. No estamos tan mal como piensan los anunciantes de la postconvencionalidad. La extensin de una suerte de docta ignorantia
universalis como condicin de acceso a la elaboracin mutua de obligaciones morales provoca en el honrado hombre medio la sensacin de que lo hecho hasta el
momento era una indecencia.
A diferencia de Aristteles, el punto de partida de Kant es catastrofista. Parece
interesado ms bien en aleccionar al que no quiere ser bueno que en mejorar al que
ya est convencido, al ciudadano cuya honestidad se reconoce mientras no se
demuestre lo contrario, verdadero y nico sujeto de la tica (que no necesitan ni el
perfecto ni el desalmado, pues ambos son igualmente incorregibles). Kant parece
suponer que no hay nada en lo que apoyarse, una conviccin inicial, algn valor pacficamente compartido, una preferencia de principio por el bien, un deseo de felicidad
que no significa necesariamente el mal ajeno. El acceso al punto de vista del imperativo moral tiene el estatuto de una conversin. Bien podra decirse que el hombre es
un estudiante de tica que no dejar de ser reprobable mientras no haya aprobado la
asignatura. La tica de Kant es una respuesta a la pregunta: cmo es posible una
tica independiente de la experiencia? El apriorismo tico es la negacin de la experiencia de la vida como instancia tica. No es casual que se dirija primordialmente a
los casos de conflicto tico en los que las convenciones y la experiencia de la vida
parecen no ofrecer ninguna solucin hasta que aparece la tabla de salvacin de un
imperativo formal. Para Aristteles, en cambio, el conflicto no es el punto de partida.
Por eso dedica su tica al acierto accesible a todos, a una virtud que no supone una
victoria, y transfiere los conflictos a la competencia de los poetas trgicos.

4. El realismo de la lentitud
La actual crisis de la experiencia a causa de la renuncia o desaparicin de la
experiencia de la vida es lo que hace que aumente la necesidad de las ciencias del
espritu, de los saberes humansticos, de la conciencia histrica y la experiencia esttica, de la filosofa. La recuperacin del sentido de la realidad requiere otro ritmo.
Efectivamente vivimos en un mundo acelerado, pero tambin tenemos al alcance
medios para compensarla. A la realidad oficial de la aceleracin le acompaa siempre la realidad alternativa de la lentitud. Ms an: precisamente en un mundo rpido
es en el que que hay que ser lento para ser realista, es decir, para ser un poco ms
escptico, para creer menos en los experimentos y en las expectativas, para no confiarlo todo a un discurso universal definitivo. Me refiero a esa suerte de escepticismo
que se basa en la experiencia de nuestra finitud, de la escasez de tiempo, de la necesidad de contar con lo dado, de renunciar al patetismo crtico y mirar con desconfianza
las expectativas desmesuradas.
La velocidad no vence completamente a la lentitud; ms bien ocurre que la
necesita para reparar sus propias disfunciones y con frecuencia acude a ella secretamente. Si, por ejemplo, nuestro tiempo est caracterizado por una creciente aceleracin, esto significa que nuestras experiencias envejecen cada vez ms rpidamente.
Este es el problema de la obsolescencia que acompaa a toda aceleracin; la creacin
de novedades incrementa lo que ha de desecharse. A la innovacin le sigue el cemen332

Daniel Innerarity

terio. A una cultura de la basura le acompaa siempre otra del reciclaje. Si en el


mbito de la ciencia y la tcnica aumenta el envejecimiento, en el de las letras recae
la tarea de rescatar las significaciones de las particularidades agonizantes que no
merecen perecer. Tras la revolucin viene el museo, es decir: el sentido esttico y el
sentido histrico. Donde crece la extraeza crece tambin la necesidad de interpretar
lo pasado. La era del desecho es tambin la era del museo y el monumento, de los
parques naturales, de la proteccin del sentido de continuidad histrica, de la ecologa fsica y de la ecologa del espritu, que son precisamente las humanidades, los
saberes de la interpretacin y del recuerdo, de la lentitud. Pues la primera experiencia
que se adquiere con el estudio de la historia es la siguiente: cunto ha cambiado
donde casi nada ha cambiado. Y la segunda dice: qu poco ha cambiado donde casi
todo ha cambiado y donde como es el caso del mundo moderno ms cosas cambian y ms rpido. En el mundo del cambio acelerado habita tambin la lentitud que
es necesaria para no perecer en ese cambio, para hacerlo inofensivo, menos extrao.
Ayuda a superar la insatisfaccin con el mundo que bajo la forma de desorientacin o perplejidad surgira ante la impresin de caducidad generalizada.
En un mundo acelerado crece pues la extraeza, disminuye la experiencia.
Nuestras experiencias envejecen con creciente rapidez. El mundo se ampla enormemente, pero como ya he sealado los experimentos tcnico-cientficos que lo
sustentan no estn a nuestro alcance. A los cientficos se les cree. Lo que de ello
resulta es que nos vemos empujados a sustituir las experiencias por expectativas ilusorias, hasta que finalmente dejamos de percibir la realidad por culpa de la ilusin: la
realidad misma adquiere el estatuto de lo ilusorio (la confianza en el cientfico, el
video juego, la realidad virtual, el pnico en las bolsas, la cultura de la imagen, el
rumor, la simulacin poltica... ). Si las ciencias fsico-matemticas se hicieran con el
monopolio de la experiencia, los no versados viviramos en un mundo irreal, de pura
creencia, sustentado en experimentaciones sofisticadas cuya validez no podramos
comprobar. Pero afortunadamente existen las letras que todo el mundo entiende ms
o menos, para las que no hay una frontera exacta entre profesionales y aficionados, ni
acreditaciones de competencia exclusiva. A los humanistas se les juzga.

5. El rendimiento cognoscitivo del arte


En esta situacin, los saberes humansticos son un camino de retorno desde lo
ficticio a la realidad. Aparentemente tienen ms bien que ver con todo lo contrario:
mundos irreales, mitos superados, libros envejecidos, teoras etreas, sentidos indemostrables, horrores y bellezas en estado puro, gestas y tragedias... La expresin de
Verlaine et tout le reste est litrature designa precisamente esa identificacin de
arte y falsedad retrica o, al menos, insignificancia cognoscitiva. Frente a este
prejuicio, Marquard ha propuesto recoger lo mejor de la concepcin romntica del
arte como anti-ficcin, cuya tarea no tiene lugar en el mbito de lo ficticio, sino
que es un instrumento para obtener experiencias por eso Schelling llamaba al
arte el rgano de la filosofa, de reflexin y atencin. Lejos de ser un entretenimiento banal, el arte tiene que ver con lo que es grave y constante (James Joyce)
en el misterio de nuestra condicin. Su rendimiento cognoscitivo al presentarnos
la condicin humana de una forma que nos es indita y familiar a la vez, pues todo
333

note e commenti

el mundo entiende el dolor y el llanto, cualquiera sabe de amores y traiciones


puede ser de gran relevancia en una sociedad precipitadamente dividida entre legos
y competentes. El mundo del arte permite enriquecer las experiencias sin que dejen
de ser nuestras. Por eso puede contribuir a que deje de ser necesario adquirir competencia tcnica a cambio de rudimentalismo cultural o pagar con un analfabetismo
tecnolgico la privacidad llena de sentido. En otros trminos: a que no haya que
optar entre la lentitud y la prisa, entre la experiencia y la perplejidad. Porque el arte
es lo ms resistente al envejecimiento; su constancia y duracin constituyen el
ncleo de su llamada de atencin sobre ese aspecto y ese ritmo desatendido en la
superficie de la aceleracin.
El arte es experiencia, es decir, camino de acceso hacia la realidad. Esta concepcin del arte es la anttesis de determinado estereotipo tardo-romntico que lo
entenda como embriaguez autorreferente. Un ejemplo de este tipo lo encontramos en
la oposicin entre conocimiento y arte, tal como lo establece Nietzsche en su comentario a una fbula puesta en boca de un espritu sin sentimientos y que forma parte
de un escrito pstumo titulado Sobre el pathos de la verdad.
En un lejano rincn cualquiera del universo que se derrama reluciente en incontables sistemas solares hubo una vez una estrella sobre la que astutos animales inventaron el conocer. Fue el minuto ms arrogante y embustero de la humanidad, pero fue
slo un minuto. Tras unas pocas respiraciones de la naturaleza, se hel la estrella y
los astutos animales tuvieron que morir. Ocurri en el momento preciso: aunque ya
se haban vanagloriado de haber conocido mucho, llegaron finalmente por detrs a la
gran amargura de que todo lo haban conocido falsamente. Murieron y huyeron con
el deseo de la verdad. As fue la casta de animales desesperados que haban inventado el conocer.
Esta sera la suerte del hombre si fuera precisamente slo un ser que conoce; la
verdad le arrojara a la desesperacin y al aniquilamiento, la verdad de estar condenado eternamente a la no-verdad. Pero al hombre slo le conviene la fe en una verdad
alcanzable, en una ilusin que se acerca cordialmente. No vive propiamente de un
continuo ser embaucado? Acaso no le oculta la naturaleza la mayora de las cosas,
precisamente lo ms prximo, por ejemplo su propio cuerpo, del que slo tiene una
engaosa conciencia? Est encerrado en esta conciencia y la naturaleza arroj la
llave. Ay de la funesta pasin del filsofo por lo nuevo, que exige mirar por una rendija hacia fuera de esa habitacin de la conciencia! Quizs vislumbre entonces que el
hombre est fijado sobre la avidez, la insatisfaccin, la repugnancia, la impiedad, lo
criminal, colgado a la vez de la indiferencia de su ignorancia y de las espaldas de un
tigre en sueos.
Djalo colgado, dice el arte. Despirtalo, dice el filsofo en el pathos de la
verdad. Pero ste naufraga, mientras cree sacudir al que duerme, en una mgica dormicin todava ms profunda quizs suee entonces con las ideas o con la
inmortalidad. El arte es ms poderoso que el conocimiento, pues l quiere la vida,
mientras que el otro alcanza como ltimo fin tan slo la aniquilacin4.
La contraposicin de Nietzsche se explica y a la vez es deudora de la restriccin
racionalista que trat de asimilar lo verdadero a lo apodctico y exacto, mientras
4

KSA, 1, pp. 759-760 (cito segn la edicin Colli-Montinari, Kritische Studienausgabe,


Berlin 1980).

334

Daniel Innerarity

entregaba el vasto espacio de la opinin, de lo razonable, del relato verosmil al sombro poder de la irracionalidad. Reconocer que existe una dimensin cognoscitiva en
el arte y una dimensin artstica en la filosofa se presenta como la nica manera de
superar la estril contraposicin entre el discurso de la verdad objetiva y el de la ficcin fantasiosa. El arte y la filosofa conspiran juntos en la tarea de ampliar la experiencia humana y fortalecer su atencin. Estn igualmente interesados en la vigilia
del hombre, que no quisieran pagar con el precio de despojar a la realidad de riqueza
y significacin. Ambos rechazan tener que elegir entre los hechos y el sentido. Las
ficciones son susceptibles de una verosimilitud que se hace patente en su rendimiento
cognoscitivo al explorar las posibilidades humanas. Esto no significa que el arte sea
la ilustracin de una tesis filosfica. La nica razn de ser del arte consiste en decir
aquello que tan slo el arte puede decir. Se trata de esclarecer estticamente el mundo
de la vida aventurndose en el reino de las posibilidades humanas. Efectivamente, el
arte proporciona consuelo, pero podemos distinguir entre los consuelos legtimos y
los demasiado fciles o escapistas. Del arte no queremos slo que nos consuele, sino
que haga descubrimientos sobre la dura realidad, que suavicen pero no oculten el verdadero dramatismo de la vida. En esto no hay nada perverso. Slamente los libros
que hacen pasar lo posible por real, que pretenden suplantar la vida y nos impiden
atender a la realidad, los que nos transportan temporalmente a un mbito del que
regresamos sin ninguna ganancia, que no nos ayudan a comprender mejor la existencia humana, solamente estas mentiras inverosmiles merecen acabar, una vez pasado
el efecto de la droga, en el basurero de los aliviaderos.
La parbola de Nietzsche puede ser ms cierta si es invertida y se intercambian
los papeles. En no pocas ocasiones la filosofa contiene menos realidad que el arte y
nos deja literalmente colgados, mientras que el arte es un medio colosal de espabilamiento. Cuanto ms tiende la realidad moderna a pasar de la experiencia a la expectativa, tanto ms tiende el arte moderno a recorrer el camino inverso y salvar estticamente la experiencia. No se trata tanto de descubrir lo esttico en la experiencia cotidiana, como de salvar la experiencia cotidiana en lo esttico. Pero esto slo es posible si lo esttico (el arte y su recepcin) es entendido y querido como experiencia. Lo
cual, a su vez, no se logra a pesar, sino debido a que lo esttico es un placer, un regalo, una posesin: el gozo de la experiencia5. El gozo recupera la fuerza de la experiencia para desmentir y para aprobar, que haba desaparecido en presencia de la rigidez subjetiva o en la nebulosa de una expectativa siempre remota. La experiencia
esttica nos confirma en lo que somos y esperamos, pero nos hace gozar con el cumplimiento de una expectativa. Vuelve a trazar un puente entre la experiencia y la
expectativa. Gracias a la experiencia esttica ponemos fin a nuestra desatencin y
desacuerdo hacia lo que ya somos, y al mismo tiempo nos libera de la sospecha de
que no estemos haciendo otra cosa que un ejercicio de autocomplacencia, nos quita
de encima la estrechez de miras, de quedar ciegos y necios. Y la estupidez ms habitual la que rige el mundo de hoy: cunto nos est costando sacarlo adelante es
la expectativa etrea e inexperta que al no conocer satisfaccin plena se vuelve
contra el mundo dado para anularlo en nombre de la salvacin, aunque generalmente
5

H. R. Jau ha llamado la atencin sobre este aspecto olvidado por la asctica esttica de la
negatividad: la accin de disfrutar, que desencadena y posibilita el arte, es la experiencia
esttica originaria (Kleine Apologie des sthetischen Erfahrung, Konstanz 1972, p. 7).

335

note e commenti

la aniquilacin no pase de ser una incapacidad para reconocer todo lo bueno que no
sea resultado de nuestra esforzada construccin.
A un sujeto as le contradice y rectifica la experiencia esttica, en la medida en
que sta mantiene y conserva el mundo que al negador se le estaba volviendo lejano.
La experiencia esttica torna las anteojeras en horizontes, desilusiona y pluraliza las
expectativas por el cauce de lo beau relatif. Si esto es as, todos los vocablos con pretensiones de ocupar un lugar central en la definicin del arte utopa, manifestacin,
crtica, provocacin, revuelta deberan dejar paso a otros ms tranquilos y reflexivos: experiencia, placer, variacin, pluralidad, recuerdo, catarsis, identificacin. El
arte de la expectativa debe ser sustituido por el arte de la experiencia para frenar esa
creciente extraeza del mundo, ese peculiar contemptus mundi de la desrealizacin.
Las obras de arte son los medios de que se sirve la realidad para seducirnos, son
aprobaciones de lo existente, evidencias contra las escatologas precipitadas, remedios contra el abandono del mundo.

6. El error como falta de atencin


El filsofo que no atiende a las seducciones de lo real se convierte en un ser
hostil y poco simptico, desconocedor del gozo del descubrimiento. Su pathos crtico
le lleva a tener dificultades para decir que s, para aprobar6. El gesto de descontento
hacia la realidad forma ya parte del estereotipo filosfico y da a entender que decir
no es la autntica relacin con la realidad. Marquard habla a este respecto de una
nostalgia del malestar en el mundo del bienestar. La cultura haba sido definida por
Gehlen como una descarga de lo negativo; gracias a ella los hombres son aliviados
del peligro, la enfermedad, la necesidad, el cansancio, el miedo. Los hombres tienen
pues una disposicin a negar, a deshacerse de lo negativo. Cuando lo negativo va
desapareciendo de la realidad, no desaparece al mismo tiempo la disposicin humana
a negar. Se queda en paro y busca nuevas ocupaciones males, y los encuentra
precisamente en aquella cultura que libera de lo negativo, precisamente porque libera
de lo negativo. Inicia un turismo frentico a la caza de confirmaciones de lo siniestro.
A causa de esta nostalgia del malestar en el mundo del bienestar, el bienestar mismo
termina siendo denominado malestar. Cuanto mejor nos va, tanto peor nos parece
aquello en virtud de lo cual nos va mejor. La descarga de lo negativo conduce a la
negativizacin de lo que efecta la descarga. Mencionar algunos ejemplos de esta
inclemente inversin de la disposicin a negar: cuanto ms enfermedades vence la
medicina tanto ms se tiende a declarar a la medicina misma como enfermedad,
cuanto ms ventajas proporciona la qumica a la vida humana ms se hace acreedora
de la sospecha de haber sido inventada para el envenenamiento del hombre, cuanto
ms represin ahorra la democracia liberal tanto ms es increpada ella misma como
represiva. Quiz sea esta inversin la que explique tambin que precisamente en una
cultura que logra superar las crisis se tienda a concebir la cultura misma como crisis.
Quisiera mencionar un ejemplo de ceguera filosfica y pathos de cercana del
6

Cfr. O. MARQUARD, Einheit und Vielheit. Ein philosophischer Beitrag zur Analyse der
modernen Welt, en Stifterband fr Deutsche Wissenschaft: Mitgliedversammlung, Stuttgart
8 de mayo de 1986, pp. 11-19.

336

Daniel Innerarity

fin del mundo advertida desde el despiste trascendental disfrazado de privilegio. En


un seminario que tuvo lugar en 1942 acerca de la Teora de las necesidades y cuyo
protocolo para la discusin ha sido publicado no hace mucho en las Obras completas
de Max Horkheimer, se recogen algunas observaciones sin duda muy esclarecedoras
del alcance de la teora crtica7. En el momento en que se presenta la posibilidad de
que el capitalismo pudiera satisfacer en buena medida las necesidades elementales,
aparece una nueva preocupacin: que los hombres no se ocupen de las cosas ms elevadas cuando estn satisfechos. En una discusin con la novela de Aldous Huxley
Brave New World se expresa el temor de que la supresin de la necesidad pudiera
equivaler a la supresin de la cultura. Con la desaparicin de los viejos miedos se
insina una nueva amenaza. Adorno califica la reaccin de los intelectuales ante la
maquinaria de cosificacin como pnico8. Horkheimer declara que si se hace una
distincin entre las necesidades materiales e ideales, hay que mantenerse sin duda
en la satisfaccin de las materiales, pues en esta satisfaccin est implcita el cambio social. Esta pretensin de realismo se traduce en el empeo por evitar la demencia que supondra apelar a exigencias individuales. En la tranquilidad crtica del
seminario, Adorno realiza la siguiente afirmacin: no es que el chicle dae a la
metafsica; es que el chicle mismo es ya metafsica. La mala filosofa es expresin de
que los hombres, en la abundancia de la vida asegurada, terminan por arreglrselas
con la miseria y la injusticia. La metafsica es una distraccin.
La discusin contina con la inquietud no disimulada de que la supresin de la
necesidad pudiera llevarla a cabo el capitalismo y no el socialismo. La teora crtica
de la cultura debera garantizar que la necesidad no fuera vencida por el falso salvador. Este era el sentido de la transformacin del arte y de toda la cultura en crtica. El
arte es el guardin de esa verdad utpica. Por eso el arte es desrealizado en un sentido indito: hablamos hoy de arte, aunque no lo haya. En el arte que no se ha perdido
en la cultura se esconde un presentimiento de la situacin en la cual no habr dominio.
Una confirmacin de que la idea de una sociedad sin clases es el nico pensamiento que est libre de toda sospecha de ideologa la proporciona Horkheimer al
confesar: todo lo que tengo que afirmar hace referencia a la sociedad sin clases; el
resto se me cae de las manos como una mentira. Este planteamiento llevaba consigo
la exigencia de mantener el ideal alejado de cualquier intento de llenarlo de contenido por medio de una intuicin o identificarlo en la realidad de algo presente. La
vaguedad del ideal es la condicin de su pureza incontaminada. Es difcil, piensa
Horkheimer, decir cmo ser la sociedad sin clases. Tan slo se puede estar seguro
de que todo lo que actualmente se llama cultura es mentira. Los discos de gramfono
no existen sino para cargarse la idea de la sociedad socialista. Por qu vamos a
definir como un valor algo que sabemos que slo existe hoy para impedir la sociedad
sin clases? Si la cultura presente es excluida de participar en el futuro abstracto, esto
significa que la cultura actual en un sentido afirmativo slo es posible como crtica
de la cultura. Cualquier tentacin de construir puentes entre el presente y el futuro es
7
8

Cfr. Gesammelte Schriften, Fischer, Frankfurt 1985, 12, pp. 559-586.


La posicin de Adorno, posteriormente matizada, ser recogida en su escrito Aldous Huxley
und die Utopie, integrado en Prismen, Gesammelte Werke, Suhrkamp, Frankfurt 1977, 10,
pp. 97-122.

337

note e commenti

ahuyentada en estas discusiones. Todas las objeciones contra la realidad de la caverna


sobre la que los filsofos deberan actuar son tan fuertes que al filsofo slo le
queda la funcin de erigirse en un vigilante. En el fondo de la cueva rige una ceguera
tan generalizada que, como dice Adorno en un juicio severo acerca de las piezas de
Beckett, hasta la muerte sale mal. El apocalipsis es el punto de fuga negativo de la
relacin hacia la idea originaria.
En estas discusiones, la dialctica resulta ser el oscilar entre preguntas ingenuas
y respuestas dogmticas, un esfuerzo por salvarse de la ruina total presagiada por la
imagen espectral de un fascismo ubicuitario. Su negativa a claudicar ante lo existente
confiere a los filsofos un gesto crtico, les da la apariencia de estar emitiendo un juicio definitivo. Pero la idea de una sociedad sin clases no es ms que un ticket que
permite liberarse de las lealtades frente a las circunstancias en las que se vive, circular con un orgullo filosfico que vive del desprecio de todo saber emprico, desacreditar la empiria limitada de los habitantes de la cueva. En un excelente comentario al
mito platnico de la caverna y a su recepcin histrica, Blumenberg ha hablado a
propsito del filsofo que ha visto las ideas y viene a mostrrselas a los habitantes de
la penumbra interior de las manos vacas del que regresa9. Esta vaciedad es otra
manera de llamar a la falta de experiencia. La verdadera ingenuidad filosfica no es
esa falta de experiencia que se disimula con un gesto de superioridad sobre lo real.

Cfr. Hhlenausgnge, Suhrkamp, Frankfurt 1989.

338

ACTA PHILOSOPHICA, vol. 3 (1994), fasc. 2 - PAGG. 339/352

Tre teorie sulle emozioni: cognitiva, fenomenologica e


comportamentistica (seconda parte)*
ANTONIO MALO**

III. Teoria fenomenologica


Un altro modo di spiegare lemozione quello proprio della teoria fenomenologica1. Prima di incominciare a parlare di questa importante corrente teoretica,
necessario stabilire ci che intendiamo come teoria fenomenologica. Con questo termine non ci riferiamo soltanto alle tesi della fenomenologia di Husserl e dei suoi
seguaci, ma anche a tutte quelle teorie sullaffettivit che la considerano come un
fenomeno di coscienza.
1. Si pu considerare Cartesio come il precursore di questa tesi. Questo filosofo
considera lemozione come un sentimento soggettivistico concomitante ai processi
fisiologici ed alla condotta: luomo capace di rendersi conto dello stato del suo
organismo e della condotta che ne deriver, e tramite questa conoscenza pu scegliere tra il seguire limpulso degli spiriti animali o no2. C un punto di contatto con la
teoria cognitiva, in quanto lemozione un modo di conoscere, ma si differenzia da
essa perch non si tratta di una conoscenza sul nostro rapporto con il mondo in
contrapposizione a Aristotele e neppure del nostro atteggiamento tendenziale
in contrapposizione a San Tommaso , bens si tratta di un sentimento soggettivistico concomitante. Ad esempio, la paura il sentimento concomitante alla fuga e al
*

La prima parte del presente articolo stata pubblicata sul precedente fascicolo di Acta
Philosophica, 3 (1994), pp. 97-111.
** Ateneo Romano della Santa Croce, Piazza SantApollinare 49, 00186 Roma
1 Invece

di teoria fenomenologica, Lyons parla di teoria dei sentimenti. Ci sembra che sia preferibile parlare di corrente teoretica fenomenologica, perch ci che le diverse teorie di questa amplia corrente hanno in comune non il concetto di sentimento, bens lidentificazione
dellemozione con un fenomeno particolare di coscienza.
2 Cfr. Les passions de lme, AT XI, p. 347. Su questo argomento pu vedersi il nostro articolo Coscienza e affettivit in Cartesio, in Acta Philosophica, 2 (1993), pp. 281-299.

339

note e commenti

trovarsi fisiologicamente in un certo stato. Abbiamo cos che lemozione secondo


Cartesio ha un carattere complesso e quasi paradossale: non una tendenza sentita, perch la tendenza appartiene alla sostanza estesa che in s inconscia (lemozione , invece, un sentimento e quindi un fenomeno di coscienza) ma, allo stesso
tempo, essa si trova naturalmente collegata a determinati processi fisiologici.
Lascrizione dellemozione allambito dei fenomeni di coscienza, bench sembri di grande chiarezza (secondo Cartesio, non si pu avere paura senza sentire paura,
giacch la paura non altro che un determinato oggetto di coscienza), pone due
importanti problemi. In primo luogo, il tipo di oggettivit che hanno le emozioni
secondo Cartesio diverso da tutti gli altri fenomeni di coscienza, perch, oltre ad
avere oscurit e confusione come nelle sensazioni e nei sentimenti organici, si sperimenta anche uninteriorizzazione o commozione nella propria anima, dalla quale ha
origine il nome di emozione3.
In secondo luogo, Cartesio afferma che nellemozione c un rapporto tra cambiamenti fisiologici-emozione-condotta che non si trova negli altri oggetti di coscienza. Ci fa ipotizzare lesistenza di un rapporto stretto tra la sostanza estesa e quella
pensante che metafisicamente apparivano indipendenti. Certamente non si tratta
sempre secondo Cartesio di un rapporto necessario, bens contingente, in cui non
si pu parlare di causalit propriamente detta Cartesio accetta soltanto quella efficiente , ma di occasione naturale o di abito volontario. La contingenza di tale rapporto fa s che le passioni abbiano conseguenze morali, giacch attraverso la ragione
e labito questo concepito fondamentalmente come una tecnica possibile
rompere il rapporto naturale.
Daltra parte, loggettivit peculiare dellemozione e il suddetto rapporto vengono messi in difficolt dalla scoperta cartesiana di emozioni pure lamore, lodio,
lallegria, la tristezza, ecc. che non hanno unorigine corporale. Perci si vede
obbligato a introdurre un altro aspetto nella sua teoria delle emozioni: la valutazione
razionale. Ci nonostante non risolve il problema, perch la valutazione non serve
per spiegare lemozione in se stessa ma soltanto la sua origine. Lemozione continua
ad essere un sentimento che accompagna uno stato fisiologico e una condotta e, quindi, Cartesio deve sdoppiare ogni passione pura in una passione pura sentimento
dellanima senza stato fisiologico e in una passione impura sentimento
dellanima che accompagna uno stato fisiologico particolare4.
2. Con la psicoanalisi, il concetto di emozione come fenomeno di coscienza si
arricchisce dei risultati delle moderne teorie fisiologiche. La teoria di Freud5 collega
il punto di partenza cartesiano lemozione la registrazione soggettiva dei cambiamenti fisiologici e dei movimenti corporali in un sentimento o percezione con
la tesi di Hume sul ruolo capitale che il piacere o il dispiacere hanno nellemozione.
Ma lo fa in un modo completamente nuovo. Freud accetta come Hume che
lemozione non sia un evento mentale o first impression, bens unimpressione
3 Cfr. Les passions de lme, AT XI, p. 348.
4 Cfr. ibid., p. 397.
5 Ci sembra che la tesi di Freud sullemozione,

sia per il punto di partenza sia per il ruolo


essenziale che in essa ha il sentimento, debba essere considerata come appartenente alla corrente fenomenologica, intesa nel senso ampio che usiamo qui.

340

Antonio Malo

secondaria o reflective impression. La differenza tra Freud e Hume consiste in questo: secondo Freud, questimpressione secondaria non deriva dalle impressioni originali n immediatamente e neppure tramite linterposizione della loro idea perch la causa dellemozione non ha nulla a che vedere n con la coscienza n con il
cogito.
La distinzione tra la causa dellemozione e lemozione stessa risolve il problema cartesiano delloscurit e confusione presenti nellemozione. Infatti secondo
Freud lemozione, in quanto fenomeno di coscienza, chiara, ma si tratta di una
chiarezza falsa perch nasconde la sua origine oscura e confusa. La sorgente
dellemozione, come pure quella di ogni altro fenomeno di coscienza, lEs. LEs, la
cui materia prima la libido6 o pulsione istintiva pi impersonale e antica, il fondamento delle altre due parti della psiche: lIo costituito dal pensiero e dal giudizio
la parte dellEs modificata dal contatto e dallinflusso del mondo esterno, e il
Super-Io, che reprime gli istinti censurandoli o ricacciandoli nelloblio.
Nella spiegazione dellemozione, Freud si serve di questa triplice distinzione.
Lemozione include in primo luogo particolari innervazioni o scariche, e in secondo
luogo certi sentimenti di due tipi: percezioni delle azioni motrici che si sono prodotte
e sentimenti di piacere o dispiacere che danno allemozione la sua caratteristica
essenziale. Lunione di questi due aspetti sempre secondo Freud nasce dalla
ripetizione di una esperienza particolare che si deve collocare nella preistoria, non
dellindividuo, bens della specie. Quando si presenta una situazione simile a quella
esperienza originale, gli stati affettivi sono vissuti nuovamente come simboli mnemici. Secondo Freud, lesperienza originale che alla base di tutta laffettivit il desiderio sessuale dellinfanzia che rimane represso e inconscio. Loggetto o la persona
che produce lemozione deve, dunque, essere collegata a questo desiderio. Quando
lenergia istintiva che risiede nellinconscio alta, c bisogno di una scarica che la
riconduca a livelli normali. Se questa scarica non si produce tramite i canali appropriati (la condotta sessuale), si fa attraverso valvole di sicurezza come gli affetti7.
Laffetto viene considerato cos un segno dellenergia istintiva.
Limpostazione freudiana dellemozione ha un valore retorico ed etico contrario
a quello assegnatole da Aristotele. Lo psicoanalista analizza lemozione, perch vi
vede il simbolo di qualcosa di nascosto. A differenza del retore, lo psicoanalista non
cerca di suscitare lemozione nel paziente ma di scoprirne la causa. Una volta trovati
i desideri censurati o repressi cercher di convincere il paziente di ci che deve fare
per tornare alla situazione ottima di equilibrio psichico. Arrivati a questo punto la
retorica e lermeneutica psicoanalitiche si trasformano in etica: il dovere psicoanalitico non deriva come logico dal giudizio dellintelletto sulla molteplicit dei
desideri (come accadeva in Aristotele), perch il giudizio stesso fondato sulla
libido, radice di tutti i desideri; ma proprio questo impulso originario la sorgente
del dovere: la tendenza della libido al proprio soddisfacimento lunico dovere reale.
6

Nella riduzione della psiche umana e, quindi, di tutte le manifestazioni culturali a libido
influisce grandemente la filosofia di Schopenhauer (vid. J. CHOZA, Conciencia y afectividad, o. c., specialmente il primo capitolo).
7 Nellimpossibilit di liberare questenergia istintiva si troverebbe lorigine della frustrazione,
dei complessi e dei conflitti delluomo (vid. S. FREUD, The Psychopathology of Everyday
Life, Holt, New York 1915).

341

note e commenti

3. Con la filosofia fenomenologica, questa corrente teoretica sullemozione raggiunge i risultati pi interessanti. Il suo punto di partenza la concezione dellemozione come un fenomeno di coscienza diverso dagli atti di pensiero e dalle volizioni:
lemozione non unidea o un oggetto di pensiero contrariamente a Cartesio ,
perch non corrisponde al logos, bens anteriore e, di conseguenza, ha un carattere
prerazionale. Lemozione non neppure laspetto conscio degli istinti biologici, n si
pu ridurre al sentimento di piacere o di dispiacere contro gli psicanalisti.
Nel suo saggio Filosofia della Volont, Ricoeur sistematizza il pensiero della
fenomenologia sul problema dellemozione. Accetta la tesi di Husserl, secondo la
quale il sentimento intenzionale giacch si sente sempre qualche cosa, ma a differenza di questo filosofo, che non pone nessun limite alla noematizzazione, Ricoeur
sottolinea la peculiarit dellintenzionalit del sentimento8; si tratta di unintenzionalit strana perch da una parte designa delle qualit sentite sulle cose, sulle persone,
sul mondo, daltra parte manifesta, rivela il modo in cui lio intimamente
affettato9. Nello stesso vissuto convivono, dunque, unintenzione e unaffezione, un
vissuto trascendente e la rivelazione di unintimit. Secondo Ricoeur, in questo paradosso consiste lessenza del sentimento per la quale il sentimento anteriore e irriducibile a qualsiasi polarit oggettiva.
Lintenzionalit dei sentimenti corrisponde sempre secondo questo autore
allintenzionalit delle nostre tendenze, perch ogni desiderio di qualche cosa contiene un sentimento e amore di se stesso. Perci, Ricoeur propone come metodo
per studiare laffettivit, lanalisi intenzionale delle tendenze. Richiamandosi alla
distinzione platonica delle tre parti dellanima (bios, thyms, e logos) concepisce
laffettivit come il thyms o mediazione tra il bios e il logos10. Lemozione non
sarebbe n puramente biologica n puramente razionale, ma parteciperebbe di ambedue i livelli. In quanto legata al bios, laffettivit ha un desiderio vitale o
epithyma; in quanto legata al logos, laffettivit ha un amore intellettuale o
8 Levinas

sostiene qualcosa di molto simile: lintenzionalit del vivere di ... (ci che sentito) diversa dallintenzionalit della percezione perch il gioco della costituzione cambia di
senso. Ci sempre secondo questo filosofo stato intuito da Cartesio, quando ha negato il rango di idee chiare e distinte alle sensazioni, ma non da Husserl. Le monde o je vis
nest pas simplement le vis--vis ou le contemporain de la pense et de sa libert constituante, mais conditionnement et antriorit. Le monde que je constitue me nourrit et me baigne
(E. LEVINAS, Totalit et Infini. Essai sur lextriorit, 4 ed., Nijhoff, La Haye 1971, p. 102).
9 P. RICOEUR, o. c., p. 100.
10 Prima di Ricoeur, Strasser concepisce laffettivit seguendo Platone come thyms o
Gemt. Ma, mentre per Platone il thyms inferiore al logos, per lo Strasser il livello di
esistenza pi alto, perch lo concepisce come lambito proprio di uno spirito finito, capace
di assoluto tramite la mediazione del finito. Secondo lo Strasser, nel sentimento c un
movimento temporale che cerca di superare la stessa temporalit: alla condizione pre-intenzionale, intesa come disposizione ad agire, segue latto, che gi intenzionale; il risultato
dellatto, in quanto rinforza la preferenza o gerarchia delle valutazioni, costituisce uno stato
post-intenzionale o meta-intenzionale. Tallon sostiene che with the help of affective connaturality and habitude, Strassers metaphysics of the Gemt is complete (A. TALLON, o.
c., pp. 341-360). Secondo questo critico, la conoscenza per connaturalit, che si identifica in
un certo senso con lintuizione, e labito fanno s che luomo si avvicini agli spiriti angelici,
i quali per intendere non hanno bisogno di ragione e il loro volere non nasce da un atto della
volont, bens latto di volont a nascere dal loro volere.

342

Antonio Malo

eros . Tra questi due desideri esiste una sproporzione originaria che rende impossibile il tentativo di classificare le passioni a partire da un numero limitato di passioni
semplici, perch le passioni umane non possono mai ricondursi allunit. Questa dualit dei desideri si riflette nella dualit del piacere e della felicit: il piacere perfeziona atti o processi isolati e parziali, mentre la felicit si riferisce ad un progetto esistenziale.
Il momento etico di questa teoria dellemozione arriva con la distinzione tra
felicit e piacere. La felicit sempre secondo Ricoeur pi perfetta del piacere,
perch questo finito, mentre quella infinita. Nel contrarre la felicit in un istante,
il piacere minaccia di paralizzare il dinamismo dellagire nel festeggiamento del
vivere. Il desiderio vitale non pu essere, dunque, sorgente di eticit perch non
fondamento di un progetto esistenziale; lo invece lamore intellettuale, perch questo non si riferisce a ci che gradevole o sgradevole, bens al valore o a priori del
bene e del male qua e adesso11.

1. Obiezioni e critiche alle tesi fenomenologiche


La principale obiezione fatta a Cartesio, e in generale a tutta la psicologia che si
fonda sullanalisi dei fenomeni di coscienza, stata quella del Wittgenstein, il quale
ha negato la possibilit stessa di ogni analisi considerando che la nostra esperienza
interna completamente differente da quella esterna non ne permette alcuna.
Secondo Wittgenstein, lerrore di questi autori deriverebbe dalla tesi razionalista ed
empirista, secondo le quali per sentire qualsiasi tipo di evento mentale necessario
un innersense o senso interno, simile ai sensi esterni, e questo sempre secondo il
Wittgenstein falso come dimostra lasimmetria che esiste tra la prima e la terza
persona dei verbi che esprimono emozioni: io ho paura (lemozione non ha bisogno
di nessuna osservazione per essere verificata) e lui ha paura, in cui necessaria
losservazione12.
Lerrore consiste, dunque, nello stabilire una simmetria tra i fatti che sono conosciuti e verificati attraverso i sensi esterni e i fatti di coscienza eventi, processi,
stati danimo, ecc. In realt opina Wittgenstein non esistono propriamente fatti
di coscienza, perch, mentre i fatti esterni possono essere espressi tramite il linguaggio, gli eventi mentali sono inesprimibili e, quindi, incomunicabili. Il carattere mutevole dellevento mentale renderebbe impossibile la descrizione diretta e interna dello
stato di coscienza associato ad una parola isolata. Limpossibilit di comunicare
levento mentale deriva dalla specificit propria dellespressione linguistica, perch
secondo questo pensatore ogni espressione linguistica ha un carattere comparativo, negativo e oppositivo, la cui significazione non procede da unesperienza vissuta, bens da una scelta e da una valutazione escludenti13.
11 Cfr. P. RICOEUR, o. c., p. 106.
12 Cfr. J.V. ARREGUI, Descartes

y Wittgenstein sobre las emociones, Anuario Filosfico,


24/2 (1991), p. 299.
13 Cfr. L. WITTGENSTEIN, Remarks on the Philosophy of Psychology, I, eds. G.E.M. Anscombe,
G.H. von Wright, Blackwell, Oxford 1980, 648. Commentando queste idee, Petit scrive:
nous nous rapportons aux choses avec tout notre langage, avec tout le systme de nos con-

343

note e commenti

La tesi di Wittgenstein non corrisponde completamente allesperienza che tutti


noi abbiamo. Certamente i vissuti interni non sono come i fatti esterni, perfettamente
oggettivabili, esprimibili e comunicabili, n losservazione esterna uguale allesperienza interna, ma ci non impedisce lesistenza di vissuti n la loro conoscenza. Ad
esempio, lallegria si sperimenta come luminosit interna, che non osservabile
come un fatto esterno, bens come un vissuto. Ci sembra che si possa fare a
Wittgenstein una critica simile a quella che lui ha fatto ai razionalisti: questo autore
tenta di trovare una simmetria, l dove c asimmetria, e siccome non la scopre, finisce per negare lesistenza di ci che asimmetrico.
Limpostazione cartesiana non si deve, quindi, rifiutare completamente, perch
lemozione anche conosciuta per mezzo dei nostri vissuti. Ci che della tesi cartesiana non si pu, invece, sostenere la considerazione dellemozione come un oggetto di pensiero, bench si affermi che oscuro e confuso. Infatti, la considerazione
dellemozione come un semplice evento mentale fa sorgere dei problemi irresolubili:
come differenziare una paura da unaltra (ad esempio la paura di perdere la vita, la
paura di essere tradito, la paura di ci che sconosciuto, ecc.)? Se si parla di paura in
tutti questi casi, perch c qualcosa di comune; ma in cosa consiste? Nel sentimento che pu essere identificato come paura, nellazione o nello stato fisiologico?
I filosofi analitici inglesi, sulla scia di Wittgenstein, hanno criticato anche il
concetto cartesiano di causalit contingente. Kenny afferma infatti che le connessioni
tra lemozione e loggetto, e tra lemozione, i cambiamenti corporali e la condotta
non sono contingenti, bens necessari, giacch non si pu definire un sentimento
senza tenere conto delloggetto, delle alterazioni corporali e della condotta n reidentificarlo14.
Tutte le critiche mosse contro Cartesio si possono ricondurre secondo
Ricoeur alla sua falsa visione antropologica, secondo la quale luomo sarebbe una
sostanza pensante e, pertanto, la sua coscienza sidentificherebbe con il logos. Ma
ugualmente sbagliato sempre secondo questo autore ridurre luomo a un semplice essere biologico, la cui coscienza sarebbe esclusivamente coscienza di istinti
biologici, specie dellistinto sessuale.
Nel situare lorigine delle emozioni nella preistoria della specie, Freud propone
lesistenza di una tendenza che anteriore alla conoscenza razionale. Ma come
hanno messo in rilievo i filosofi fenomenologi non si tratta di una tendenza unica
bens di una molteplicit: la repressione sessuale non pu spiegare laffetto di un
padre o di una madre per il bambino appena nato (linteresse sessuale rilevabile tramite la secrezione di un ormone, ma tale secrezione non appare in questo tipo di
affetto). Daltra parte interessante sottolineare come fa Freud che la tendenza,
bench sia inconscia, influisce sulla nostra condotta, ma certamente non con lassolutezza e il determinismo che propone Freud.
Riguardo alla tesi di Ricoeur, ci sembra che questa non sia cos contraria a quella di San Tommaso come ad un primo sguardo potrebbe sembrare, perch lAquinate
parla anche dellesistenza di due tipi di appetiti: quello sensibile e quello intelligibile,
cepts. Holisme: un mot est solidaire de la structure grammaticale dune phrase, et cette phrase est la langue comme une pice de machine la machine entire. Or le systme complet
de la langue ne correspond rien dans notre exprience vcue (J.-L. PETIT, La Philosophie
de la Psychologie de Wittgenstein, Archives de Philosophie, 54 (1991), p. 595).
14 Cfr. A. KENNY, o. c., pp. 12-13.

344

Antonio Malo

che hanno una certa somiglianza con i due desideri di cui parla Ricoeur. Ci nonostante esiste unimportante differenza: San Tommaso vede un rapporto stretto tra
questi due appetiti, come tra la conoscenza sensibile e quella intelligibile, mentre
Ricoeur sottolinea la loro dualit che finisce molte volte in contrasto o in tensione.
Questa sproporzione originaria tra la epithyma e leros secondo noi il
punto pi debole della tesi di Ricoeur. La possibilit dellintegrazione di questi desideri si fonda a suo avviso non sulla capacit che ha leros di assumere tutti gli
altri desideri, per il fatto di derivare dalle istanze conoscitive e volitive alle quali si
subordinano naturalmente le istanze conoscitive inferiori (questa la soluzione di
Aristotele e di San Tommaso), bens sulla possibilit che ha lo spirito di cogliere i
diversi valori mediante la riduzione allessenza e lintuizione preferenziale.
Certamente la possibilit di cogliere i valori suppone unapertura delleros rispetto
agli altri desideri, ma se il desiderio vitale non ha una certa subordinazione naturale
nei riguardi delleros, il dominio di questo ultimo non potr non essere dispotico.
Daltra parte, Ricoeur stabilisce una dicotomia tra la epithyma o affettivit vitale e leros o affettivit spirituale; ma a nostro parere luomo ha una sola affettivit, perch laffettivit inseparabile dalla coscienza, che unica15.

IV. Teoria comportamentista


Unaltra tesi quella dei comportamentisti che riducono lemozione ai suoi
aspetti osservabili. Il precursore di questa tesi James, che critica le entit psichiche
delle emozioni cartesiane. A suo avviso, bench si debba accettare che le emozioni
sono sentimenti, questi sono il risultato dei cambiamenti fisiologici che, proprio per
questo, costituiscono lessenza dellemozione (siamo tristi perch piangiamo, ma non
piangiamo perch siamo tristi) 16. Certamente, il pianto ha a sua volta una causa, la
percezione di un oggetto che ci fa piangere, ma questa percezione a suo avviso
non fa parte dellemozione, bens il suo antecedente. In questo modo, nellemozione
sempre secondo questo autore non c nessun fattore cognoscitivo. Lelemento
conoscitivo non appartiene allessenza dellemozione e, di conseguenza, non serve a
stabilire differenze tra le emozioni. Per fare ci sufficiente secondo James analizzare e misurare quantitativamente i cambiamenti fisiologici osservabili17.
La tesi di James stata approfondita e corretta dalla psicologia comportamentista. Secondo Watson, unemozione un pattern-reaction ereditato che contiene in s
profondi cambiamenti nei meccanismi corporali, specie nel sistema limbico. Questo
pattern-reaction sempre secondo Watson viene modificato molto presto, perci
15

Ugualmente ci sembra inesatta la tesi di Alqui, secondo cui ci sarebbero due coscienze:
una razionale ed unaltra affettiva (vid. F. ALQUI, La conscience affective, Vrin, Paris
1979).
16 Cfr. W. JAMES, The principles of Psychology, Holt, New York 1890, pp. 452 e sgg. James
stabilisce una distinzione tra coarser emotions, come la collera, il dolore e la paura, e
subtler emotions, come lamore, lindignazione e lorgoglio; questo secondo tipo di emozioni contiene meno sentimenti del primo.
17 Il problema come afferma Munn che laspetto fisiologico non racconta tutta la storia
dellemozione. Cannon, daltra parte, ha sperimentato che gli stessi cambiamenti avvengono
in emozioni differenti ed anche negli stati non emozionali (cfr. W. LYONS, o. c., pp. 15-16).

345

note e commenti

negli adulti difficile differenziare, in riferimento ai patterns della condotta, unemozione da unaltra o da un sentimento non emozionale. Il problema principale per
Watson consiste nellindividuare questi pattern-reaction prima della loro modifica,
altrimenti non si conoscer mai il tipo di emozione; n, daltra parte, si potr stabilire
una classificazione, giacch le reazioni non sono mai identiche, neppure nello stesso
soggetto.
Watson riduce, dunque, tutte le emozioni ai pattern-reaction del bambino appena nato e questi, a loro volta, a reazioni provocate da cambiamenti fisiologici. La
paura, la rabbia e lamore (questo ultimo inteso nel senso freudiano di libido) costituiscono i tre tipi di cambiamento fisiologico che si producono nel bambino; e di
questi tre, soltanto la paura e la rabbia sono emozioni. Siccome lemozione consiste
in una semplice reazione, ci che causa lemozione secondo Watson la situazione. Davanti alla stessa situazione, conclude questo psicologo, lemozione pi o
meno la stessa, perch i cambiamenti fisiologici sono gli stessi18.
Skinner, il pi noto esponente del comportamentismo contemporaneo, si rende
conto dellinsufficienza della tesi di Watson. Bench accetti che il comportamento si
fonda su due fattori la fisiologia e lo stimolo esterno o ambiente non considera
i cambiamenti fisiologici come essenza dellemozione, bens la condotta che agisce o
produce un risultato desiderato e, perci, tende a ripetersi. Sono, quindi, le predisposizioni ad agire in un modo determinato quelle che definiscono unemozione specifica: un uomo adirato colpisce il tavolo, sbatte la porta..., perch il suo comportamento
tende a raggiungere i risultati desiderati, propri della persona che stata offesa19.
Scott, un altro comportamentista, cerca di studiare il comportamento in accordo
con le attuali teorie di sistemi. In un articolo molto discusso20, studia la funzione
delle emozioni nei sistemi di comportamento. Le conclusioni a cui arriva sono le
seguenti:
1. Le emozioni sono aspetti dei complessi rapporti che si stabiliscono tra i sistemi dellorganismo: ingestivo, protettivo-ricercativo, investigativo, sessuale,
epimeletico (cura dei piccoli della propria specie), et-epimeletico (di espressione di aiuto e di attenzione), agonistico, allelomimetico (di imitazione) ed
eliminativo (di secrezione).
2. C un piccolo numero di emozioni, la cui funzione varia secondo il livello di
organizzazione del sistema in cui appaiono: alcune emozioni si trovano primariamente collegate al mantenimiento della stabilit interna o omeostasi
(come la fame, la sete, il respiro, la tenerezza, la collera, lansiet); altre
emozioni, come quellagonistica e quella sessuale, contribuiscono fortemente
allapprofondimento dei rapporti sociali.
3. Nessuna emozione pu essere usata come modello delle altre, giacch ognuna ha una funzione diversa secondo il sistema a cui appartiene; cos lamore
18

Cfr. J. B. WATSON, Psycology as the Behaviorist views it, Psycological Review, XX


(1913), pp. 158-177. Pu vedersi anche la sua opera Behaviorism, Norton, New York 1930.
19 B.F. SKINNER-HOLLAND, The Analysis of Behavior, p. 214; cit.: W. LYONS, o. c., p. 21.
20 J. P. SCOTT, The function of emotions in behavioral systems: a systems theory analysis, in
AA. VV., Emotion: Theory, Research, and Experience I: Theories of Emotion, Academic
Press, Inc., London 1980, pp. 35-56.

346

Antonio Malo

dei genitori verso i piccoli diverso dallamore tra maschio e femmina, perch il primo appartiene al sistema epimeletico, mentre il secondo corrisponde
al sistema sessuale.
4. Non c una separazione chiara e netta tra sensazione ed emozione, bens una
continuit graduale.
5. Tutte le emozioni hanno due funzioni nei sistemi organici: mantenere il comportamento per lunghi periodi affinch ladattamento si produca, e rafforzare
il comportamento in un modo positivo o negativo, contribuendo cos
allapprendistato delle risposte necessarie per vivere.

1. Obiezioni e critiche alle tesi comportamentiste


Bench i comportamentisti differiscano tra loro nel modo di considerare lemozione (alcuni sottolineano limportanza del pattern-reaction, altri mettono laccento
sullo stimolo esterno, sul comportamento o sulla funzione biologica dellemozione),
tutti concordano nellidentificare lemozione a partire esclusivamente dalle manifestazioni esterne (siano cambiamenti fisiologici, siano comportamenti determinati).
Questa tesi viene rifiutata dalla semplice esperienza, giacch nonostante le
manifestazioni esterne possano indicare lemozione che prova una persona, non sempre lo fanno in un modo veritiero. Contro la tesi di Watson, si deve affermare, dunque, che la situazione non in grado di spiegare lorigine dellemozione perch una
stessa situazione pu provocare emozioni diverse o non provocarne nessuna. Watson
non pu spiegare perch davanti al pericolo uno fugga e un altro resti fermo. Daltra
parte, le alterazioni fisiologiche non sono il fondamento dellemozione, perch, ad
esempio, nel coma si verificano delle alterazioni fisiologiche che non corrispondono
a nessuna emozione.
Si potrebbe per lo meno accettare che lemozione si trovi legata a un determinato comportamento come vorrebbe lo Skinner? Questo autore vede bene che lazione
appartiene al concetto di emozione, ma questazione non sempre una condotta
determinata come egli vorrebbe. Alla tesi di Skinner si pu fare, perci, la seguente
obiezione, seguendo il Lyons21. Luomo adirato agisce in una molteplicit di modi
diversi: arossisce, contrae i muscoli, grida, ecc. Come capire se la faccia rossa corrisponda al comportamento delluomo adirato o a quello delluomo in preda alla vergogna? Skinner farebbe probabilmente appello ad un altro fattore, la situazione. Ma
cos impossibile evitare di cadere in un circolo logico: la condotta viene identificata
come adirata a partire dallo stimolo della situazione e, a sua volta, lo stimolo viene
identificato come provocatore dellira a partire dalla condotta che stimola.
Daltra parte, secondo Skinner, lemozione nasce quando non c una reazione
adeguata tra lo stimolo e la risposta, perch quando la reazione adeguata la risposta
cos subitanea che non ha bisogno di emozioni. Lemozione avrebbe allora la funzione di trovare una risposta adeguata. Ma, come sottolinea la Heller, la tesi assolutamente falsa quando la reazione adeguata non parte organica del processo ma,
per esempio, del prodotto finale. Chi non ha mai ancora provato la soddisfazione e
21 Cfr.

W. LYONS, o. c., p. 22.

347

note e commenti

gioia incontenibile se a una domanda inaspettata ha risposto con prontezza e precisione?22.


La tesi di Scott sfugge a questa seconda obiezione perch lemozione non appare come sostitutivo della risposta adeguata, bens si trova legata necessariamente a
sistemi di comportamento ben determinato. Ci nonostante, non riesce a sottrarsi alla
prima obiezione, perch il solo metodo che egli adopera quello delleteroosservazione esterna. Da qui lindistinzione tra sensazione e sentimento, giacch dal punto di
vista della loro funzione nel sistema non ci sono differenze. Daltra parte non pu
concepire sentimenti che non siano collegati ai sistemi che egli individua. Ad esempio, lamore secondo lui collegato al sistema epimeletico o al sistema sessuale, ma lamore per Dio o lamicizia non hanno nulla a che vedere con questi due
sistemi.

V. Conclusione
La storia filosofica dellemozione si pu interpretare come la ricerca di una
risposta alla domanda sulloggettivit dellemozione. Oltre ad essere centrale in
ambito teoretico soprattutto nel campo della teoria della conoscenza e dellantropologia 23 la questione ha delle conseguenze molto importanti in ambito pratico,
poich la negazione del carattere oggettivo dellemozione significa di racchiuderla
nellambito della coscienza e, di conseguenza, di rendere impossibile la sua comunicazione (lemozione sarebbe qualcosa di ineffabile), la sua razionalizzazione (lemozione potrebbe essere soltanto intuita) e la sua educazione (lunico controllo possibile
sullemozione sarebbe quello dispotico della ragione). Daltra parte, affermare
loggettivit dellemozione presenta meno problemi, ma ci non corrisponde
allesperienza che noi abbiamo dellemozione, secondo la quale ci rendiamo conto
che essa non perfettamente comunicabile n pu essere assolutamente oggettivata
n controllata.
I cognitivisti hanno visto molto bene quando sostengono che lemozione in
rapporto con la valutazione di una realt sia attraverso la semplice presenza
delloggetto in una circostanza determinata, sia attraverso limpulso che loggetto fa
sorgere in noi e, di conseguenza, che lemozione non fenomeno meramente soggettivo. Infatti, siccome lemozione ha un rapporto con la valutazione fatta dal soggetto, essa ha un carattere soggettivo; ma, poich la valutazione si riferisce ad una
realt che appare nellemozione come il suo oggetto, lemozione ha unoggettivit.
Dal canto suo, il cognitivismo moderno, sotto la spinta della psicoanalisi e del
comportamentismo, ha sottolineato altri elementi che sono presenti nellemozione:
limpulso, il desiderio, il sentimento e lazione. Lemozione appare cos come una
realt complessa in cui c uninteriorit impulso, cambiamenti fisiologici, sentimento, valutazione o opinione e unesteriorit realt, evento o azione davanti
alla quale essa viene provata; manifestazioni esterne dei cambiamenti fisiologici,
gesti e azioni.
22 A. HELLER, Teoria dei sentimenti, Editori Riuniti, Roma 1981, p. 27.
23 Autori come Scheler, Strasser, Lersch, Wojtyla, Ricoeur, ecc. hanno

speciale al ruolo dellaffettivit nella struttura della persona.

348

prestato unattenzione

Antonio Malo

Due sono i problemi che emergono dallimpostazione cognitivista:


a) Esiste un rapporto tra tutti questi elementi?
b) Qual il tipo di rapporto?
I comportamentisti negano lesistenza di un rapporto tendenza-sentimento-comportamento perch il loro metodo di accesso allo studio dellemozione esclusivamente leteroosservazione. Siccome attraverso questo tipo di esperienza non possibile accedere alle tendenze n ai sentimenti, lemozione identificata con il comportamento, con le differenze gi viste a seconda degli autori.
I cognitivisti e i fenomenologi accettano invece lesistenza di questo rapporto,
perch, oltre alleteroosservazione, considerano lecita lautoosservazione. La distinzione tra queste due correnti sta nel modo di concepire il sentimento: nel cognitivismo sia quello classico, sia quello moderno il sentimento una valutazione o
una tendenza sentita che dipende da una valutazione (la valutazione o giudizio
lelemento essenziale dellemozione), mentre nella fenomenologia il sentimento un
fenomeno di coscienza, che nasconde un impulso originario (questo il pensiero di
Freud) o un fenomeno di coscienza, la cui intenzionalit peculiare perch suppone
la propria affezione e, di conseguenza, il livello tendenziale della nostra personalit
(questo il pensiero di Ricoeur, Levinas, ecc.).
Le differenze tra queste due correnti si osservano meglio se si analizza il modo
in cui ognuna concepisce il tipo di rapporto tendenza-sentimento-comportamento.
Tutti i cognitivisti accettano lesistenza di un rapporto. Nella tesi di San Tommaso,
seguita dalla Arnold, la valutazione la causa dellemozione, giacch muove lappetito lo fa passare dalla potenza allatto e, come abbiamo spiegato, questo movimento, in quanto viene sentito, costituisce propriamente lemozione.
Lyons per critica questa tesi, perch secondo lui lemozione non un
appetito sentito bens una valutazione. Per mostrare linconsistenza della tesi tomista,
Lyons usa lesempio dellemozione della tristezza cagionata dalla morte di un amico,
nella quale non si sente nessun impulso o tendenza ad agire e, dunque, non spiegabile attraverso lo schema impulso-verso il bene o impulso contro-il male percepito.
In definitiva conclude questo critico ci sono emozioni che non sono attive,
come la tristezza o, in misura minore, lallegria, ma quello che non manca mai
nellemozione la valutazione.
A nostro avviso, il problema della tesi di San Tommaso non identificare il sentimento con lappetito sentito, bens il fare dipendere lattivazione dellappetito da una
valutazione della cogitativa. Infatti se cos fosse, il rapporto valutazione-sentimentoazione sarebbe molto simile a quello di causalit efficiente, ma in questo tipo di rapporto non possibile distinguere con chiarezza la causa dalleffetto. Certamente, la
valutazione di qualcosa come pericolosa pu attivare lappetito che spinge alla fuga o
a fare fronte al pericolo, ma la valutazione stessa possibile soltanto se si ha appetito
o tendenza alla propria conservazione. Un problema simile si presenta alla tesi di
Lyons, in quanto la valutazione, oltre ad essere causa dellemozione, costituisce un
elemento dellemozione stessa. Infatti, lattaccamento del soggetto ad un valore
come lamicizia verso una persona appare come condizione antecedente dellemozione della tristezza per la morte dellamico. Ma come stabilire se il soggetto sia attaccato a un valore, se non tramite la constatazione che egli reagisce emotivamente nelle
349

note e commenti

situazioni in cui questo valore messo in gioco o viene perduto, come accade appunto
nel caso della morte dellamico24?
Perci in questo siamo daccordo con Ricoeur pi che parlare di un rapporto causale tendenza-sentimento-azione si deve parlare di un rapporto intenzionale,
in quanto il sentimento contiene in s il riferimento alla tendenza. proprio questo
riferimento alla tendenza ci che appare nella coscienza come una valutazione. La
tristezza per la morte di un amico si fonda sulla percezione di quella morte come un
male, ma un male non perch venga valutata cos da un giudizio razionale, bens da
un giudizio naturale che previo e, a volte contrario, al giudizio razionale. Se possiamo valutare come un male la morte dellamico, necessario accettare lesistenza di
un appetito nelluomo verso lamicizia. La possibilit di poter percepire questo bene
di natura spirituale, dimostra che nelluomo oltre alle tendenze biologiche ci sono
anche quelle spirituali25. La classificazione tomista degli appetiti deve essere, dunque, ampliata da questi appetiti o tendenze spirituali.
Per fare ci necessario stabilire altri criteri nella classificazione degli appetiti.
San Tommaso usa come criterio loggetto dellappetito cos come appare nella riflessione: lappetito irascibile ha come oggetto il bene arduo o difficile da raggiungere,
lappetito concupiscibile quello concupiscibile e lappetito intelligibile quello intelligibile. Ma gli appetiti, tranne quelli spirituali, non possono avere come oggetti queste
realt astratte che non soddisfano i bisogni, bens realt concrete che li soddisfino,
come il cibo, una bibita, ecc. Dunque gli oggetti che specificano le tendenze saranno
tali perch le soddisfino. Ci sembra che la definizione tomista di appetito non corrisponda a ci che lappetito o tendenza in se stessa, bens alla valutazione che deriva
dalla tendenza qualcosa conveniente o sconveniente o al modo in cui appare
loggetto nella coscienza la coscienza di piacere, la coscienza di difficolt, ecc.
24 Neuberg

critica tanto la teoria cognitiva quanto la fisiologica o comportamentista, perch


secondo lui spiegare la reazione emotiva di un individuo non consiste nellindentificare
gli antecedenti causali dellemozione, bens nel farla apparire come espressione della persona, presente in una situazione che essa considera come qualcosa che la coinvolge. Bench
non neghi lesistenza di un elemento conoscitivo nellemozione, considera che questo elemento non sembra essere una valutazione puramente cognitiva come sarebbe, invece, quella
dellintelletto che, considerando da un lato la situazione e dallaltro i valori a cui la persona
attaccata, giudicherebbe questa situazione come pericolosa (a questo giudizio seguirebbe
un sentimento di paura). sempre secondo questo autore la persona che fin dallinizio sente quella situazione come paurosa, la sperimenta come fastidiosa, ecc. Ci non vuol
dire conclude Neuberg che senta delle sensazioni di pericolo, bens che la persona
presente in tale situazione in uno stato di tensione, di eccitazione, di agitazione, ecc. (vid.
M. NEUBERG, o. c., pp. 479-508). Neuberg non spiega per perch la persona presente in
una data situazione in un determinato stato.
25 Unampliazione delle tendenze in questa direzione stata fatta dal Lersch, per il quale c
una pluralit di tendenze somatiche-psichiche-spirituali che, nellessere vissute, danno
luogo alle diverse emozioni. Lersch stabilisce una corrispondenza piena tra tendenza ed
emozione (vid. Ph. LERSCH, o. c., pp. 99-303), ma secondo noi questa corrispondenza
non perfetta, perch, ad esempio, la tendenza al nutrimento sentita come fame e non
come emozione. C bisogno dunque di stabilire una distinzione tra lemozione e le altre
tendenze sentite. Daltra parte non sempre le tendenze sono conscie: molte volte la tendenza
allautostima in un modo esagerato non si sperimenta ma il soggetto ha questa tendenza,
come dimostra il giudizio sbagliato che d di se stesso e degli altri.

350

Antonio Malo

Infatti la coscienza della valutazione di qualcosa come piacevole o difficile non un


appetito, bens un sentimento.
Si potrebbe obiettare che se la tendenza allorigine della valutazione non
sarebbe possibile spiegare perch davanti alla stessa realt, ad esempio, un cane che
abbaia, alcune persone hanno paura mentre altre non hanno nessuna emozione. La
distinzione tra le valutazioni che fanno le persone davanti alla stessa realt pu illustrarsi nel seguente modo: bench tutti gli uomini abbiano in genere le stesse tendenze come quella alla sopravvivenza , il temperamento, le esperienze e, soprattutto, leducazione ricevuta le va foggiando in un modo determinato. In definitiva la
tendenza di unione a ci che ritenuto come conveniente per la vita e il suo contrario
di separazione spiegano perch luomo sia in grado di amare e di odiare, ma la
concretizzazione di questo amore o odio di una certa persona verso una determinata
realt non si pu spiegare facendo appello soltanto alle tendenze.
Unaltra obiezione si riferisce al rapporto intenzionale del sentimento con
lazione. Secondo Lyons questo rapporto non esistirebbe perch una stessa emozione
pu dare origine a diversi comportamenti. La critica di questo autore non ci sembra
pertinente, perch lazione non deve sempre intendersi come un comportamento concreto. Certamente nellemozione dellira, le azioni si possono situare allinterno dun
comportamento aggressivo, ma nelle emozioni che nascono da tendenze spirituali
desiderio di potere, amicizia, religiosit non esiste un collegamento necessario
con un comportamento determinato, perch la condotta non data nella tendenza se
non come differenti possibilit di agire che devono essere concretizzate. La cultura
gioca in questo punto un ruolo essenziale.
Il sentimento per non pu ridursi alla valutazione, perch la sua intenzionalit
allo stesso tempo unaffezione. Laffezione si presenta come una totalit dotata di
caratteristiche somatiche e psichiche. Dal punto di vista psichico, il vissuto affettivo
pu essere analizzato in termini di intensit, interiorit, attualit ed altri analoghi.
Lemozione dellallegria, ad esempio, si percepisce come luminosit interna e come
mancanza di tre note penose dellesistenza: il suo peso, la sua tensione e la sua strettezza e, in fine, come vissuto singolare del tempo, in quanto la coscienza rimane
totalmente immersa nella visione del presente26. Non casuale che la beatitudine,
paradigma dellallegria, sia rappresentata proprio in questo modo, n che una mistica
come Santa Teresa dAvila descriva linferno, il paradigma opposto, come un corridoio buio, molto stretto27.
In conclusione per accedere allemozione abbiamo una doppia via: lesperienza
interna che permette di analizzare la valutazione e il sentimento, e lesperienza esterna che permette di osservare le manifestazioni esterne. Ognuna di queste due esperienze, nonostante la loro utilit, non serve da sola n per sentire lemozione n per
spiegarla. Ci si osserva, ad esempio, nella nostra comprensione dellallegria, che
parte sempre dal sentimento di allegria che abbiamo sperimentato qualche volta.
26

Per la caratterizzazione fenomenologica dellallegria pu vedersi Ph. LERSCH, o. c., p. 37.


Oltre a queste esperienze dellallegria ne abbiamo unaltra, quella che corrisponde ad un
tono vitale alto manifestato nei toni acuti della voce alle volte sono vere e proprie grida
, nei gesti di aprire le braccia o di sollevarle e nellattivit diligente.
27 SANTA TERESA DE AVILA, Obras completas, 8 edizione, La Editorial Catlica S.A., Madrid
1986, p. 173.

351

note e commenti

Infatti se non esistesse questa esperienza interna dellallegria, le sue manifestazioni


esterne rimarrebbero per chi le osserva vuote di significato, sarebbero come il significante di una parola in cinese per una persona che non ha nessuna conoscenza di questa lingua o come la descrizione di un colore per un cieco dalla nascita. Daltra parte
se non ci fossero delle manifestazioni, lallegria come qualsiasi altra emozione
sarebbe incomunicabile, non soltanto in quello che ha di esteriorit ma anche in quello che corrisponde al proprio modo di sentirla. La connessione tra aspetto interno ed
esterno si presenta quindi come qualcosa di necessario nella costituzione dellemozione e nella sua comprensione, ma non una connessione spiegabile in termini di
causalit efficiente28, bens in termini dellintenzionalit specifica che corrisponde
allaffettivit.

28

Certamente possibile scoprire dei collegamenti tra il sentimento interno dellallegria e le


sue manifestazioni esterne, come il tono vitale alto e il vissuto di ampiezza, o tra il sentimento di godimento del presente e la visione fiduciosa o latteggiamento diligente. Ma nella
manifestazione esterna non c nulla che si identifichi o, per lo meno, che assomigli al vissuto di luminosit o di chiarezza. Cos come la diligenza nellagire non vissuta nel sentimento interno di allegria.

352

Cronache di filosofia
A cura di DANIEL GAMARRA

La verit scientifica
Nei giorni 24 e 25 febbraio 1994 si svolto allAteneo Romano della Santa Croce il III
Convegno annuale organizzato dalla Facolt di Filosofia, sul tema La verit scientifica. La scienza attuale di fronte allintellegibilit del reale.
La tematica trova la sua motivazione nella fiducia riposta oggi nella scienza, apparentemente
pi credibile della filosofia come sapere oggettivo, insieme alla crescente convinzione epistemologica della scienza come conoscenza congetturale in perenne revisione di se stessa.
V. Cappelletti, vicepresidente dellIstituto dellEnciclopedia Italiana, ha inaugurato la seduta
del primo giorno con unampia e penetrante presentazione del pensiero umano sempre rivolto alla
ricerca della molteplice unit della natura, sin dai presocratici (in particolare Parmenide) fino alla
scienza moderna. Nella dialettica universale-individuale, quantit-qualit (ma sottolineando il primato del qualitativo), il pensiero cerca lintellegibilit del mondo fisico e approda ad una mente
universale che trascende la natura stessa.
Dalla metafisica si passati alla scienza con lesposizione di T. Arecchi, presidente
dellIstituto Nazione di Ottica. Il suo intervento ha rilevato la crisi effettiva della scienza univoca
cartesiana e galileiana, una scienza deduttiva basata sul dualismo teoria-osservazione e su una
grammatica semanticamente riduttiva, la cui formalizzazione completa fu vanamente tentata da
Carnap nel contesto del neopositivismo logico. I teoremi di limitazione di Gdel e di altri matematici e lattuale indirizzo delle scienze fisiche non lineari hanno evidenziato lintrattabilit delle
situazioni complesse e lindicibilit e non computabilit come caratteristiche che emergono
dallapproccio matematico e analitico nei confronti della natura. Arecchi propone un nuovo schema
scientifico basato su un linguaggio adattivo che rivaluta il senso della verit come adeguamento
alla realt (San Tommaso), purch venga abbandonata la concezione definita schizofrenica di
voler cogliere completamente la natura attraverso procedure di computazione.
M. Baldini, ordinario di storia della medicina all Universit di Roma La Sapienza, terzo
relatore della prima giornata, ha fatto notare il ruolo positivo degli errori nella conoscenza scientifica. Pur nella sua negativit, lerrore riconosciuto e sempre in agguato non solo un segno della
limitazione umana ma anche un collaboratore nella ricerca della verit. Possiamo imparare dai
nostri errori e come indici negativi essi sono indicatori della strada pi giusta. Dopo aver illustrato
limportanza dellerrore epistemologico nelle filosofie di Popper e di Bachelard, Baldini ha concluso invitando la filosofia della scienza a prendere nota di un punto pratico fondamentale: la scienza
non nasconda gli errori storici commessi nelle indagini, altrimenti non imparer a rettificare.
La seconda giornata del Convegno ha avuto inizio con la relazione di R. Martnez, docente di
filosofia della scienza allAteneo della Santa Croce. La scienza riconosciuta come intrinsecamente fallibile dallodierna epistemologia, ma la fallibilit non assoluta, osserv il relatore, nel senso
che non sempre le teorie scientifiche superate finiscono nel cestino dei rifiuti. Se la cosmologia
tolemaica ad esempio pu considerarsi come semplicemente falsa, la scienza newtoniana nei confronti della teoria della relativit e della fisica quantistica non merita certamente unidentica valutazione. In questultimo caso abbiamo a che fare con una scienza superata eppure vera a un certo
livello. Questa conclusione, che porta anche al ridimensionamento dellincommensurabilit di para-

353

Cronache di filosofia
digmi di Kuhn, si comprende meglio con un concetto adeguato di verit scientifica, non assolutistico o razionalista.
La relazione di M. Artigas, decano della Facolt ecclesiastica di filosofia dellUniversit di
Navarra (Spagna), si pone in continuit con la medesima tematica. La verit delle scienze sperimentali parziale, contestuale e approssimativa. La sua contestualit, punto discusso con particolare vivacit nella tavola rotonda del pomeriggio, deriva dal fatto che le scienze fisiche elaborano
oggettivazioni precise per capire la realt in rapporto a strumenti di misura e di osservazioni (con
luso, di conseguenza, delle definizioni operazionali). In queste condizioni (cio in un contesto concettuale e sperimentale) possibile determinare il significato e il riferimento dei termini degli enunciati scientifici, onde nasce il rapporto veritativo come adeguamento dellenunciato scientifico con
la corrispondente realt naturale.
Infine mons. J. Zycinski, vescovo di Tarnw e membro della Pontificia Accademia Teologica
di Cracovia, si soffermato sulla convinzione realistica degli scienziati, sempre riconfermata dalle
scoperte scientifiche che alle volte avvengono anche indipendentemente dalle teorie, da una parte, e
al contempo e convergentemente previste dai teorici (come avvenne con la scoperta della radiazione cosmica di fondo nel 1965). Non sorprende allora la rinascita odierna della filosofia della natura
ispirata alle scienze sperimentali, anche se praticata spesso in modo dilettantesco. Si apre cos, concluse mons. Zycinski, un panorama di ricerca promettente per la filosofia: esiste un ampio numero
di problemi scientifici, soprattutto nel campo della cosmologia, della meccanica quantistica e della
biologia che pu avere una funzione euristica positiva per lo sviluppo della metafisica.
Juan Jos SANGUINETI

CONVEGNI
Sul tema Le passioni di Simone Weil. Politica, cultura, religione, si svolto un convegno, il
27 e 28 gennaio 1994, organizzato dal Dipartimento di Ermeneutica filosofica dellUniversit di
Torino, e dal Centre Culturel Franais e dallAssociation pour ltude de la pense de Simone
Weil. Dopo il saluto del prof. U. Perrone, sono intervenuti come relatori: A. Devaux, Simone Weil
ou la passion de la vrit; G. Gaeta, Simone Weil, una lettura politica; P.C. Bori, Ogni religione
lunica vera; G. Forni, Simone Weil e il cristianesimo. Lincontro terminato con una tavola rotonda in cui erano presenti: U. Perrone, G. Fiori, B. Manghi, A. Marchetti, L. Ronconi, A. Devaux, G.
Forni, G. Gaeta, N. Bosco. Le sessioni del convegno si sono tenute presso il Centro di Studi T.S.T.,
Piazza San Carlo, 161, 10123 Torino.
Su Il mistero del male e la libert possibile: lettura delle Confessiones e del De Trinitate

di Agostino, stato organizzato dal Centro Studi Agostiniani, a Perugia, un convegno di studio
svoltosi dal 22 al 23 marzo 1994. Hanno partecipato con diverse relazioni: N. Cipriani, Istituto
Patristico di Roma: Lautonomia della volont umana nellatto di fede; V. Grossi, Istituto Patristico
di Roma: Libero arbitrio, libert e antropologia nelle Confessioni; J. Oroz Reta, Universit di
Salamanca: Esigenze della libert e del male nelle Confessioni; M. Cristiani, Universit di Siena:
Manicheismo e responsabilit personale. Inoltre sono state lette le seguenti comunicazioni: I.
Sciuto, La volont del male tra libert e arbitrio; M. Bettetini, Libert e male nel XII libro delle
Confessioni; G. Balido, Realt divina e virtualit antropologica nel De Trinitate; V. Paccioni,
Auctoritas et ratio, via alla vera libert; P.A. Ferrisi, Male, misticismo e sessualit nel pensiero di
s. Agostino. Le riunioni si sono svolte presso la Facolt di Lettere e Filosofia, Sala delle Adunanze,
Piazza Morlacchi, Perugia. Segreteria organizzativa: Via Aquilone 8, 06123 Perugia.
La Commissione Diocesana per la pastorale universitaria del Vicariato di Roma ha organizzato il
7 maggio 1994, presso lAula Paolo VI della Pontificia Universit Lateranense, Piazza San
Giovanni in Laterano 4, 00184 Roma, il Simposio dei docenti delle Universit di Roma sul tema:
Verit e Cultura. Il simposio era diviso in quattro sessioni: Verit e Cultura; Verit e Cultura

354

Cronache di filosofia
nellUniversit (I e II); Molteplicit e unit del sapere, e vi hanno partecipato diversi professori e
autorit accademiche delle Universit romane: U. Betti, Rettore della Pontificia Universit
Lateranense, G. Tecce, Rettore dellUniversit degli Studi La Sapienza, A. Bausola, Rettore
dellUniversit del Sacro Cuore, P. Bucci, Rettore del Libero Istituto Universitario Campus
Biomedico, B. Tedeschini Lalli, Rettore della III Universit di Roma, L. Clavell, Rettore
dellAteneo Romano della Santa Croce, A. Brancati, Rettore dellUniversit Tor Vergata, G.
Dalla Torre, Rettore della LUMSA, M. Arcelli, Rettore della LUISS. Inoltre sono intervenuti nelle
diverse sessioni: il Cardinale Camillo Ruini, V. Cimagalli, R. Cortesini, F. DAgostino, C. di
Agresti, R. Farina, G. Iacovitti.
Due importanti incontri si sono tenuti nel corso del 1994 nel campo della filosofia fenomenologi-

ca; entrambi sono stati organizzati dallIstituto Mondiale di Ricerca e di Studi Avanzati di
Fenomenologia, presieduto dalla prof.ssa A.T. Tymieniecka. Il primo, il cui titolo stato Gli ideali
dellumanit, si svolto a Graz (Austria), dal 22 al 28 agosto, in occasione della celebrazione del
25 anniversario dellIstituto. In questi anni di lavoro questa istituzione ha organizzato ben 35 convegni internazionali, ha pubblicato 48 volumi della serie Analecta Husserliana, e 17 corrispondenti
alla collana Phenomenology Inquiry. Il secondo convegno si svolto a Parigi dal 6 all8 ottobre, e
ha avuto come tema centrale La fenomenologia della vita come punto di partenza della filosofia. Per informazioni sulla pubblicazione degli atti ci si pu rivolgere a: A.T. Tymieniecka, 348
Payson Rd., 02178 Belmont, Mass., Stati Uniti.
Il Departement of Moral Philosophy, dellUniversity of St. Andrews, ha organizzato per il pros-

simo mese di marzo del 1995, dal 23 al 26, la Conference of Moral Philosophy, a cui parteciperanno, fra gli altri, D. Brink, T. Irwin, Ch. Korsgaard, P. Railton, M. Smith, D. Velleman. Per informazioni possibile rivolgersi a: G. Cullity, B. Gaut, J. Skorupski, Departement of Moral
Philosophy, University of St. Andrews, Scotland KY16 9 AL, tel.: 0334-62486/7; fax: 0334-6248.

RIVISTE
ANGELICUM (Universitas a Sancto Thoma Aquinate in Urbe)
71/1 (1994)

A. Lobato, Filosofa y Sacra Doctrina en la escuela dominicana del s. XIII


LA. mette in risalto la novit culturale della scuola domenicana che, soprattutto attraverso
Tommaso dAquino, d vita ad una nuova ed originale filosofia al servizio del sapere teologico.
Una delle basi fondamentali di questa novit, valida ancor oggi, la portata trascendente della
intelligenza umana che permette di capire lessere e i primi principi. Larticolo si chiude con
unappendice con una selezione di testi riguardanti la legislazione dellOrdine Domenicano
sugli studi. I testi appartengono a documenti del 1228 e del 1259.
J.A. Merino, Filosofa y teologa en la escuela franciscana medieval
Larticolo prende in esame i rapporti fra filosofia e teologia in tre grandi autori francescani:
Bonaventura, Giovanni Duns Scoto e Guglielmo di Ockham, ma anche con qualche riferimento
a Alessandro di Hales. Lorizzonte speculativo della scuola francescana, sottolinea lA., non
fondamentalmente antagonico rispetto ad altre scuole del XIII secolo, ma rappresenta una lettura originale e, allo stesso tempo, complementare delluniverso medievale.
H. Barbour, Tra lectio e disputatio negli studi monastici del XIII secolo
LA. mette in risalto il ruolo della retorica nella costituzione della filosofia scolastica, e come
questa ars non venne trascurata n in ambito filosofico-accademico n in ambito liturgico, cio
nelle disputationes e nella lectio divina, rispettivamente.

355

Cronache di filosofia
THE JOURNAL OF THE BRITISH SOCIETY FOR PHENOMENOLOGY (JBSP)

25 (1994), fascicolo monografico: The Philosophy of Merleau-Ponty


A. Grieder, How Phenomenologists Rediscovered the World
LA. afferma che la fenomenologia non ununica filosofia, ma che si tratta soprattutto di un
insieme di filosofie la cui connessione si deve cercare nellaria di famiglia che esiste fra di
esse. Nellarticolo vengono delineate alcune caratteristiche comuni alle diverse filosofie fenomenologiche per individuare il contesto nel quale si colloca la filosofia di Merleau-Ponty.
T. OConnor, Foundations, Intentions and Competing Theories
Larticolo presenta una prospettiva critica riguardo allavvicinamento e alla valutazione fondamentale della filosofia di Merleau-Ponty. LA. afferma che la sola lettura positiva dei testi del
filosofo francese non sufficiente per capire la portata del suo pensiero; lo si dovrebbe leggere
invece con una certa dose di scetticismo, motivato dal fatto che la filosofia di Merleau-Ponty
ha, secondo lA., problemi di unit interna e dallesistenza di autori che contestano pi o meno
radicalmente lidea stessa di filosofia cos come la intende Merleau-Ponty.
P.L. Bourgeois, Merleau-Ponty and Heidegger: The Intentionality of Transcendence, The Being of
Intentionality
Il modo in cui Merleau-Ponty affronta il tema dellintenzionalit e quello della trascendenza
ambiguo, secondo lA., e ci dovuto, in parte, alla questione della continuit o discontinuit, a
seconda delle interpretazioni, fra le opere giovanili e il suo pensiero pi maturo. LA. comunque afferma che tale ambiguit si potrebbe in buona misura superare attraverso uno studio organico della totalit delle opere di Merleau-Ponty che rivelerebbero anche una vicinanza rispetto
ad alcune tematiche heideggeriane, di cui lo stesso Merleau-Ponty sarebbe lispiratore.
M. Villela-Petit, Selfhood and Corporeity
A differenza di Heidegger, la considerazione del se (selfhood) secondo Merleau-Ponty implica,
malgrado la via indiretta e talvolta esitante attraverso cui conduce la sua ricerca, una considerazione esplicita e centrale del problema della corporeit, che in ultima analisi lo conduce, secondo lA., a tentare un vero sviluppo di unontologia della carne.
F. Dastur, Perceptual Faith and the Invisible
LA. esegue unattenta analisi fenomenologica della questione della percezione sensibile e della
fede nella realt risultante dalla percezione, allo scopo di individuare quali sono, secondo
Merleau-Ponty, le percezioni originarie che servono ad innestare il vero discorso filosofico.
LA. conclude che la fede nella percezione lesperienza dellappartenenza allessere che permette una visione indiretta di ci che in se stesso invisibile.
G.A. Johnson, The Colors of the Fire: Depth and Desire in Merleau-Pontys Eye and mind
La filosofia si trova nella situazione di dover cogliere il profondo a partire da ci che il filosofo
vede e che appunto superficiale. La tematica del profondo in Merleau-Ponty un punto centrale del suo pensiero giacch compare a proposito di diverse analisi e questioni fenomenologiche. LA. dellarticolo spiega come Merleau-Ponty intende il profondo in rapporto con la
dimensione spaziale, e come mette in evidenza la tematica del profondo del mondo con il
profondo del desiderio.
M.S. Mnchow, Seeing Otherwise - Merleau-Pontys Line
La finalit dellarticolo quella di esplorare un elemento che appare nella fenomenologia della
pittura secondo Merleau-Ponty, cio la tematica della fenomenologia della linea che evidenzia
come luniverso onirico, che la pittura realizza, un arricchimento dellesperienza umana.
W.S. Hamrick, Perception, Corporeity and Kindness
Il soggetto centrale che sviluppa lA. quello di mostrare, seguendo il pensiero di MerleauPonty, come il fenomeno della qualit viene illuminato attraverso la fenomenologia della perce-

356

Cronache di filosofia
zione e della corporeit. Esistono, secondo lA., percezioni immediate della presenza della qualit, che fondano e sono il presupposto delle nostre pi complesse relazioni percettive con gradi
diversi di qualit. Il chiarimento di questi rapporti possibile attraverso lanalisi fenomenologica della percezione della qualit come specificamente diversa dalla percezione ordinaria.
R. McLure, Seeing
LA. tenta di chiarire alcuni aspetti centrali del dibattito sul vedere epistemico e il vedere nonepistemico, che tuttora in corso fra diversi autori inglesi e americani. LA. prende posizione
nel senso che considera il vedere in se stesso come un atto non-epistemico sulla base del concetto di Merleau-Ponty del vedere pre-predicativo.
THE PHILOSOPHICAL QUARTERLY (University of St. Andrews)

175 (1994)
D.W. Hamlyn, Perception, Sensation and Non-conceptual Content
LA. prende in considerazione la questione dei rapporti fra oggetto e conoscenza sensibile, con
lintenzione di chiarire se tale rapporto possa essere concettualizzato attraverso uno schema
causa-effetto, oppure se c nella percezione qualche elemento che non si riduce ad un rapporto
causale e che potrebbe di conseguenza essere pi adatto ad una spiegazione di taglio fisiologista.
R. Moran, Interpretation Theory and the First Person
Esiste il consenso, afferma lA., che ogni volta che nellambito della filosofia della mente si
parla di argomenti come la fiducia, il desiderio, la percezione, e via dicendo, questi concetti
implicano lapplicazione di un determinato tipo di teoria. Il discorso sul riconoscimento della
prima e della terza persona implica invece una serie di concetti che appartengono alla psicologia del senso comune, che non costituisce una teoria fittizia oppure preconcetta, ma si tratta,
come dice lA., di una teoria teoria, cio di una vera spiegazione dei fatti psicologici.
Vengono discusse quindi due posizioni intorno alla questione degli stati mentali nel riconoscimento della prima e terza persona, e lA. prende posizione per quella denominata
Interpretation theory, che si rif a D. Davidson.
H.O. Mounce, The Philosophy of the Conditioned
LA. prende in considerazione alcuni aspetti della filosofia di J.S. Mill e di W. Hamilton per
stabilire in che modo entrambi gli autori possano dirsi realisti. Il filo dellargomentazione
dellA. la considerazione delle tesi fondamentali della gnoseologia sia di Mill che di
Hamilton; malgrado il diverso successo delluno e dellaltro si afferma, la filosofia di
Hamilton lunica forma coerente di realismo.
J. McDowell, The Content of Perceptual Experience
LA. esamina alcuni punti della teoria di D. Dennett sul rapporto fra il contenuto percettivo e
mondo, per affermare che, secondo Dennett, le intuizioni non sono indipendenti da ogni contenuto concettuale, e che appunto non pu affermarsi un dualismo, di stampo kantiano, fra intuizione e concetto.
SAPIENTIA (Universidad Catlica Argentina, Facultad de Filosofa y Letras)
187-190 (1993)

Vengono pubblicati gli indici generali della rivista, dalla sua fondazione nel 1946 fino al 1992,
in due fascicoli doppi. Gli indici, come scrive nella Presentazione il prof. R.E. Aras, comprendono gli indici di autori di articoli e di note, gli indici di materie generali, e gli indici di concetti
rilevanti.
Vol. 48, fasc. 187-188: Indice general (1946-1992), I: Editoriales y Artculos
Vol. 48, fasc. 188-189: Indice general (1946-1992), II: Notas, Comentarios y Reseas
Bibliogrficas

357

Cronache di filosofia
ETHICS. AN INTERNATIONAL JOURNAL OF SOCIAL POLITICAL AND LEGAL PHILOSOPHY

In un fascicolo non numerato, la rivista di etica dellUniversit di Chicago, pubblica: One


Hundred Year Index, Volumes 1-100 (October 1890 - July 1990). Articles and Discussions
Indexed by Author. Si tratta degli indici completi di cento anni di pubblicazioni.

SOCIET FILOSOFICHE
La Sociedad Iberoamericana de Estudios Kierkegaardianos, dellUniversit
Panamericana di Citt del Messico, ha presentato il libro di Luis Guerrero Martnez, Direttore della
Societ, intitolato: Kierkegaard: los lmites de la razn en la existencia humana (Publicaciones
Cruz O, Mxico, 1993). Lopera di Guerrero presenta una biografia del filosofo danese, un resoconto dei suoi scritti, per unulteriore e pi profonda analisi ermeneutica di Kierkegaard. Altri temi sviluppati nella pubblicazione sono: i presupposti antropologici nel divenire esistenziale; coscienza e
scelta nei modi di esistenza; lio come sintesi; dimensione antropologica del peccato; esistenza e
mondo; la fede come realizzazione esistenziale.
Da poco pi di un anno ha cominciato la sua attivit lIstituto S. Tommaso (IST), presso la
Pontificia Universit S. Tommaso dAquino di Roma, presieduto dal P. Dietrich Lorenz. LIstituto
organizza corsi di complemento degli studi tomistici, indirizzati alla specializzazione nella lettura
ed ermeneutica delle opere di Tommaso dAquino. associato alla Fdration Internationale des
Instituts dtudes Mdivales (FIDEM) e si propone di formare allo studio e allapprofondimento
di S. Tommaso e del tomismo, e di evidenziare il contributo che essi offrono alla riflessione contemporanea. I corsi comprendono un biennio di studio, suddiviso in quattro semestri. Il primo
semestre stato dedicato ad una Introduzione storico-critica e allo studio di alcune opere di san
Tommaso, e vi hanno partecipato come professori: D. Lorenz, A. Lobato, L.-J. Bataillon, R. Busa,
L. Boyle e S. Tugwell. Durante il secondo semestre sono state studiate le Opere filosofiche di
Tommaso dAquino, con speciale riferimento a suoi opuscoli, con la partecipazione, fra gli altri, di
E. Berti, D. Mongillo, P. Nowacki e F. Compagnoni. La terza parte del corso stata dedicata fondamentalmente allo studio delle Opere di Teologia e Sacra Scrittura, con corsi tenuti da E.
Kaczynski, R. Imbach, M.M. Rossi, L. Sileo, A. Cacciotti, B. Douroux, G. Muraro e T. Centi. Per
lanno accademico 1994-95 sono previsti invece una serie di corsi il cui tema centrale sar la Storia
del tomismo e rapporto col pensiero moderno; i professori che interverranno sono: R.
Scognamiglio, S. Fernndez, M. Fitzgerald, E. Platti, A. Cortavarra, A. Eszer, P. Conforti, U.
Horst, J. Castao, C. Soria e J. Montero. Col titolo Studi 1994, lIST ha pubblicato una raccolta di
studi, conferenze e discussioni che hanno avuto luogo in questo suo primo anno di vita. Al termine
del biennio di studi lIST rilascia un Diploma; lindirizzo : Largo Angelicum 1, 00184 Roma. Tel.:
67021; Fax: 679.04.07.
In occasione del 50 anniversario della morte del filosofo idealista Giovanni Gentile, e del
250 anniversario della morte di Giambattista Vico, lAccademia dUngheria in Roma, con sede a
Palazzo Falconieri, Via Giulia, 1, 00186 Roma, ha organizzato le Giornate di Studio sulla Filosofia
Italiana, dal 25 al 27 maggio 1994. Ha presentato e introdotto i lavori Jnos Kelemen, Direttore
dellAccademia e professore dellUniversit di Budapest, e sono intervenuti in qualit di relatori:
A. Negri, che ha parlato su: Neoidealismo italiano - Ricupero di Vico - Ermeneutica; J. Pl, Sulla
fortuna di Vico; A.M. Jacobelli, Vico e il linguaggio; C. Castellani, Metafisica della mente e
verum factum; J. Jacobelli, Il carteggio di Gentile; V. Stella, La filosofia dellarte di Gentile; A.
Jannazzo, Gentile e il fascismo. Fra gli altri hanno presentato comunicazioni: K. Kaboklicki, T.
Szab, A. Wessely, F. Rizzo Celona, B. Somly, A. Sabatini, L. La Porta, E. rdgh, A. Infranca e
M. Montori. Le Giornate di studio si sono concluse con una tavola rotonda, presieduta da G.
Vattimo, sulla filosofia ermeneutica italiana, cui hanno preso parte anche B. Bacs, G. Carchia, J.

358

Cronache di filosofia
Kelemen, G. Nicolaci e B. Samly. Nel corso della tavola rotonda stato presentato un numero
monografico della Rivista Athenaeum di Budapest, con il titolo Olasz filozfai hermeneutika
(Filosofia ermeneutica italiana).
La Katholische Hochschulgemeinde, di Vienna, ha pubblicato gli atti dei suoi due ultimi
convegni. Il primo volume, il cui titolo Naturwissenschaft und Weltbild. Mathematik und
Quantenphysik in unserem Denk- und Wertesystem, ed curato da H.-Ch. Reichel e Enrique Prat
(Verlag Hlder, Wien 1992), raccoglie i contributi del simposio tenutosi dal 15 al 17 gennaio 1991.
Il volume diviso in tre sezioni: Matematica e immagine del mondo, con interventi di H.-Ch.
Reichel, G.J. Chaitin, K. Sigmund; Fisica e immagine del mondo: W. Kummer, K. Baumann, J.S.
Bell, A. Zeilinger, D. Flamm; Scienza della natura, filosofia e fede: P. Weingartner, G. Pltner, J.
Seifert, A. Suarez. Il secondo volume, intitolato konomie, Ethik und Menschenbild, a cura di E.
Prat (Verlag Fassbaender, Wien 1993), presenta gli atti del simposio corrispondente al 24-25 marzo
1992. Nella prima sezione, Etica e immagine delluomo nella teoria economica, scrivono H.-Ch.
Biswanger, H. Matis, M. Spieker, E. Prat, J. Hanns Pichler; la seconda, Etica, razionalit ed economia, a carico di P. Koslowski, F.R. Hrubi, R. Alvira; e lultima, intitolata: Etica e immagine
delluomo nella prassi economica, raccoglie le relazioni di A. Maculan, K. Czempirek, M.
Hofmann, H. Stremitzer; il libro si chiude con un Epilogo di Ch. Schnborn. Entrambi i volumi
vengono corredati da un ampio indice di nomi e di materie.
La Fondazione Ezio Franceschini, presieduta dai proff. M. Olivi e C. Leonardi, bandisce
ogni anno diverse borse di studio sia per avviare programmi di ricerche, che per tesi di laurea gi
discusse. Fra laltro questanno le borse istituite sono state dedicate alla miglior tesi di laurea in
cultura mediolatina e a ricerche in storia della letteratura mistica del Medioevo, teoria musicale nel
Medioevo, filologia e letteratura latina medievale. Le informazioni per participare ai diversi concorsi si possono richiedere alla Fondazione: Certosa del Galluzzo - 50124 Firenze; tel. (055)
204.9749.
In occasione della pubblicazione dellopera di Paul Ricoeur, S come un altro, a cura di
Daniela Iannotta (Jaca Book, Milano 1993), l8 gennaio 1994 hanno parlato sullErmeneutica del
S, presso la sede del Centro Italiano di Ricerche Fenomenologiche (Via dei Serpenti 100, 1): F.
Brezzi, D. Iannotta, D. Iervolino, T. Imamichi e M. Snchez Sorondo. Il 26 febbraio, in occasione
della presentazione dellopera di Marco Ivaldo, Libert e Ragione. Letica di Fichte (Mursia,
Milano 1992), sono intervenuti sul tema: Fatto morale e metodica trascendentale, i proff. F.
Bianco, A. Rigobello, A. Ales Bello e M. Ivaldo. Entrambe le sessioni sono state seguite da un
dibattito.

RASSEGNE EDITORIALI
La casa editrice Laterza (Roma-Bari 1993) ha pubblicato di H. Althaus, Vita di Hegel. Anni

eroici della filosofia, in cui lautore presenta una ricostruzione unitaria della vita, opere e sviluppo
del pensiero di Hegel.
Il noto studioso di Aristotele Pierre Aubenque ha curato un interessante lavoro collettivo sulla
politica aristotelica: P. Aubenque - A. Tordesillas (a cura di), Aristote politique: tudes sur la
Politique dAristote, PUF, Paris 1993.
G. Duso pubblica un approfondito studio: Il contratto sociale nella filosofia politica moderna,
Franco Angeli, Milano 1993.
Sono stati pubblicati gli Atti dellInternationales-Edith Stein-Symposion tenutosi a Eichstatt nel

359

Cronache di filosofia
1991: R.L. Fetz - M. Rath - P. Schulz (a cura di), Studien zur Philosophie von Edith Stein, Karl
Alber Verlag, 1993.
uscito un nuovo volume della opera omnia di Hans-Georg Gadamer che include scritti di estetica: Gesammelte Werke, vol.: VIII: sthetik und Poetik I. Kunst als Aussage, J.C.B. Mohr,
Tbingen 1993.
Presso la casa editrice Payot di Parigi uscito: George Gusdorf, Le Romantisme, 2 voll. (Payot,

Paris 1993).
Una traduzione di un importate libro di S. Kierkegaard stata pubblicata da Rizzoli: S. Kier-

kegaard, Stadi sul cammino della vita, Rizzoli, Milano 1993. Ledizione stata curata da
Ludovica Koch.
Un interessante libro su un aspetto di singolare importanza per la cultura filosofica tedesca di

questo secolo uscito di recente: K.-Ch. Khnke, Entstehung und Aufstieg des Neukantismus.
Die deutsche Universittproblem zwischen Idealismus und Positivismus, Suhrkamp Verlag,
Frankfurt a.M. 1993.
Nella collana La Nuova Italia Scientifica, diretta da C. Cesa, sono stati pubblicati due interessanti volumi sulla filosofia di Kant: S. Landucci, La Critica della ragion pratica di Kant.
Introduzione alla lettura, La Nuova Italia, Firenze 1993; e G. Tognini (a cura di), Introduzione
alla morale di Kant. Guida alla critica, La Nuova Italia, Firenze 1993.
Un importante strumento di lavoro viene pubblicato da Vrin di Parigi: si tratta del carteggio fra
Leibniz e Thomasius che appare per la prima volta in versione completa: G.W. Leibniz - J.
Thomasius, J., Correspondances: 1663-1672, a cura di R. Bods (Vrin, Paris 1993).
La casa editrice Einaudi (Torino 1993), pubblica il volume: Novalis, Opera filosofica.
Un classico di filosofia della religione stato tradotto in italiano: W.F. Otto, Il Mito, Il
Melangolo, Genova 1993.
Il primo volume di un progetto comprendente lintera storia della filosofia stato presentato a

Firenze: P. Rossi - C.A. Viano, Storia della Filosofia, Laterza, Roma-Bari 1993. Il corso completo
sar di sei volumi.
La traduzione di un importante testo di G. Simmel, uno dei fondatori della moderna sociologia,
stato pubblicato da Guanda (Parma 1994): G. Simmel, Saggi di cultura filosofica; si tratta della
traduzione di Philosophische Kultur, apparso per la prima volta nel 1913.
Curata da G. Santinello, stata pubblicata la traduzione di: K.-H. Volkmann-Schluck, Nicol
Cusano. La filosofia nel trapasso dal Medioevo allEt Moderna, traduzione di Umberto Proch,
Morcelliana, Brescia 1993.

360

recensioni

AA. VV., Filosofia e democrazia in Augusto Del Noce (a cura di Giuseppe


Ceci e Lorella Cedroni), Cinque Lune, Roma 1993, pp. 233.

La filosofia delnociana, come ha segnalato Gaetano Vairo nella postfazione a Filosofia


e Democrazia in Augusto del Noce, costituisce unanalisi prospettica che trova una evidente
attuazione nella situazione politica italiana di oggi. Perci possiamo anche affermare che
lopera che adesso commentiamo riveste un notevole interesse non solo per chi vuole
approfondire la conoscenza del noto filosofo, ma per chi sia veramente interessato ad una
riflessione sul collegamento tra la prassi socio-politica e le sue radici filosofiche.
Infatti, la struttura dellopera consente di seguire i passi principali dellanalisi di Del
Noce sulla storia della filosofia moderna, facendo vedere nello stesso tempo che tale riflessione critica prende spunto sempre dal confronto con la cultura laica del suo tempo.
Andrea Parisi apre la prima sezione del libro con il saggio La genesi della modernit e il
problema del realismo nel pensiero di Augusto del Noce (pp. 27-64), nel quale cerca di ricomporre a grandi linee il quadro della concezione che il filosofo propose come alternativa al
razionalismo moderno. Partendo dallo studio del 600 francese, Del Noce intendeva arrivare ad
una filosofia cristiana per essenza. Riesce a concepire un realismo cristiano, incompatibile
per con il cartesianesimo, caratterizzato dal separatismo, dallantinaturalismo e dalla conseguente dualit tra vita spirituale e storia. Perci il suo realismo un tentativo di riproporre
lessere partendo dallesistenza e dalla storia.
Il secondo saggio, Del Noce critico del totalitarismo (pp. 65-94), di Gianni Dess. Si tratta della ricostruzione di come si sviluppata la critica delnociana al totalitarismo dal 1936 al
1957, periodo in cui egli formula le tesi che verranno esposte in seguito nei suoi volumi pi
conosciuti, come Il problema dellateismo e Il suicidio della rivoluzione. Gianni Dess difende la
seguente interpretazione: Del Noce, quindi il suo pensiero, contraddistinto dallapertura,
dallaccettazione della sfida della storia, che mette alla prova un presupposto da lui assunto, che
sostanzialmente il suo cattolicesimo e la posizione antropologica ad esso connessa. La strada
che lAutore propone per verificare tale ipotesi di lettura del pensiero delnociano passa attraverso lanalisi della formazione delle sue posizioni politiche, lo studio della sua nozione di totalitarismo e il nucleo di problemi alla quale essa rimanda, soprattutto lantitesi forza-persuasione.
Pasquale Serra si sofferma sulla Metafisica e democrazia in Augusto del Noce (pp. 95108). In questo scritto, tendente come tutti e cinque i saggi che compongono la prima parte
del libro a far comprendere il complesso itinerario speculativo delnociano, Serra sottolinea
che stato lincontro con Marx a costringere Del Noce a ripensare il modo tradizionale di intendere i rapporti tra metafisica e storia, tra filosofia e politica. Questo dialogo critico col marxismo
gli ha fatto capire il bisogno di una nuova posizione metafisica, capace di mostrare il fallimento
della filosofia moderna attraverso luso del loro stesso metodo, quello dellevidenza critica.

361

recensioni
Tale confronto col marxismo e col totalitarismo, insieme allanalisi critica del concetto
di modernit, porta a una democrazia che un punto di arrivo nella filosofia di Del Noce.
Lorella Cedroni d un orientamento per lapprofondimento di tale dimensione speculativa
nelle pagine intitolate Democrazia e filosofia politica in Augusto Del Noce (pp. 109-139).
Il filosofo, sottolinea la Cedroni, cerca di superare lo stato di precariet della democrazia, lunico regime che rischia continuamente la possibilit della propria autodistruzione.
Ci significher per Del Noce raggiungere una giustificazione della democrazia come valore
in s e non pi democrazia procedurale o accordo convenzionale sulle regole del gioco raggiunto dalla maggioranza. La condizione per tale superamento recuperare la dimensione
trascendente della democrazia, che il razionalismo cerca di ignorare. Del Noce affronta cos
il vero problema della filosofia: quello dellinterpretazione transpolitica della storia. questa
la chiave per capire anche il senso della critica delnociana alla democrazia pura: una democrazia fondata sulla forza rappresentata dalla quantit dei voti e retta dal principio della quantit, in pratica si traduce, secondo Del Noce, in democrazia manipolata.
Nel quinto saggio, Il problema politico dei cattolici in Augusto del Noce (pp. 141-169),
Massimo Borghesi giustifica limmagine che lo stesso filosofo accreditava di s: quella di un
pensatore solitario, almeno fino al suo incontro con Comunione e liberazione.
La prospettiva di impegno politico di Del Noce non coincideva con la violenza antifascista, per cui verso il 1945 avvenne la sua rottura col cristianesimo di sinistra; ma nemmeno
trovava nella proposta democristiana una prassi comune. A partire dalla spiegazione di queste
difficolt, Massimo Borghesi presenta un Del Noce che da una parte difende la laicit della
politica, contro la prassi clericale di diversi settori democristiani, ma che daltra parte sa rifiutare latteggiamento laicista di quei cristiani che adottano una separazione tra religione e vita
pubblica, che cancellano pi o meno coscientemente la rilevanza storica della fede.
Il saggio del Borghesi trova continuit nei primi tre studi che compongono
Argomenti, la seconda sezione dellopera. Infatti, Giuseppe Ceci (Augusto del Noce:
luomo, il pensiero, pp. 173-181) descrive in poche pagine qual stata la posizione delnociana
sullunit politica dei cattolici. Del Noce la concepiva s come un bisogno di questo momento
storico italiano, per salvare la democrazia, ma continuava a sostenere il carattere relativo di
tale necessit, perch, secondo lui, partendo da una morale basilare comune anche ai non cattolici, saremmo arrivati ad un dibattito politico riguardante lopportunit o meno di certe vie
politiche. Ci renderebbe superflua lunit politica dei cattolici.
Nello studio di Bruno Iorio (Del Noce e la crisi del moderno nella filosofia politica
dellItalia del novecento, pp. 183-194), troviamo descritto latteggiamento di Del Noce di
fronte alla filosofia politica dellItalia moderna e contemporanea. Lobiettivo quello di
addurre una serie di ipotesi di verifica della validit dellinterpretazione fatta dal filosofo.
Attraverso questanalisi, lAutore mette in risalto la funzione delnociana di stimolo e di critica, indispensabile per la ricostruzione della storia del nostro tempo.
Lultimo lavoro della sezione di Alfredo Omaggio (Litinerario della storiografia speculativa di Augusto del Noce, pp. 195-214), che ci propone il filosofo teoretico o lo storico
della filosofia in contrapposizione al filosofo della politica. Seguendo la traccia indicata da
Vittorio Mathieu, Alfredo Omaggio presenta la storiografia delnociana come il mezzo che ha
liberato la riflessione speculativa di Del Noce.
Lopera si chiude con lintervista di Massimo Borghesi e Lucio Brunelli a Augusto del
Noce, risalente al 1984, e apparsa su Trentagiorni, nellaprile dello stesso anno. A conclusione delle analisi del pensiero di Del Noce, la rilettura di queste sue dichiarazioni rilasciate
pochi anni prima della sua morte, come mettere in rilievo ancora una volta che la sua chiarezza di idee stata resa possibile da una grandezza intellettuale che il filosofo ha saputo vincolare a una volont sempre aperta ad accogliere ogni conquista umana della verit e del bene.
Maria Aparecida FERRARI

362

recensioni

ARISTOTELE, Metafisica (a cura di G. Reale), Vita e Pensiero, Milano 1993,


pp. 408 (vol. 1), 706 (vol. 2) e 712 (vol. 3).

Ledizione maggiore rinnovata della Metafisica di Aristotele che Reale ora presenta
offre al lettore alcune novit rispetto alle edizioni precedenti nella forma di presentazione e
in alcuni complementi , anche se, come egli stesso afferma, la sua ben nota interpretazione
dellunit della Metafisica di Aristotele non viene mutata; anzi, viene ribadita sulla base delle
diverse acquisizioni fatte negli ultimi anni, dedicati allo studio di Platone e i Platonici.
Ledizione composta di tre volumi: un primo che contiene un Saggio introduttivo e gli
indici, il secondo contenente la sua ormai classica traduzione della Metafisica, con testo greco
a fronte ottimo strumento di lavoro per chi si occupa di questopera , e infine un altro
volume con il commento di Reale.
Il primo volume, con il Saggio introduttivo, una vera e propria monografia, dove
Reale studia tutta la problematica della Metafisica aristotelica, in particolare il suo rapporto
con Platone e i Platonici rapporto che stato concentrato in questo primo volume per non
appesantire il commento. I primi sette capitoli contengono lintroduzione originaria
dellopera, con solo qualche modifica formale rispetto alle prime edizioni: vengono considerati i concetti chiave e la struttura della Metafisica, con un particolare riferimento alle quattro
dimensioni della Metafisica aristotelica segnalate da Reale: aitiologia, ontologia, usiologia e
teologia. I capitoli 8-12 sono invece del tutto nuovi, e contengono lo studio del suo rapporto
con Platone e i Platonici, cio, linterpretazione delle posizioni assunte da Aristotele nei confronti di questi pensatori, e la credibilit della sua testimonianza sulle dottrine platoniche non
scritte.
Anche i sedici diversi indici con cui finisce questo primo volume sono un ottimo strumento di lavoro. Essi hanno il preciso scopo di dimostrare in quale misura la Metafisica di
Aristotele sia una vera e propria miniera per la ricostruzione del pensiero di filosofi anteriori
e contemporanei ad Aristotele medesimo (vol. 1, p. 23). La molteplicit degli indici acquisisce perci un suo interesse particolare se viene considerata nella prospettiva della posizione
assunta da Reale sul rapporto di Aristotele con questi filosofi precedenti e contemporanei:
attraverso gli indici si pu vedere infatti in quale grande misura la sua testimonianza su di essi
sia stata accolta nelle moderne edizioni critiche di quei filosofi.
Rispetto alla ormai ben nota traduzione di Reale, contenuta nel secondo volume, si deve
tener conto dellavvertenza dellautore stesso: ho scelto di rendere nella nostra lingua soprattutto i concetti e non le mere parole (vol. 1, p. 16). Egli crede che in effetti una moderna traduzione non possa essere pi ad litteram, come quelle latine, ma debba necessariamente essere una traduzione-interpretazione.
Il terzo volume contiene il commento di Reale, che considera in maniera analitica

363

recensioni
ciascun testo della Metafisica, aiutando per il lettore con sommari sintetici. Perci come
egli stesso indica, questa una fra le pochissime edizioni a livello internazionale che presentino un commentario completo.
Sia la traduzione-interpretazione di Reale sia il suo commento vengono illuminati dalla
spiegazione contenuta nel primo volume della sua particolare interpretazione di Aristotele, e
dellimportanza che riveste una corretta comprensione del suo rapporto con Platone per poter
capire la struttura stessa della Metafisica. Voglio quindi presentare alcune delle idee chiavi
contenute nel Saggio introduttivo.
Si deve tener conto anzitutto che Reale opera una particolare rilettura della Metafisica
alla luce del pensiero di Platone. Questa intenzione, che era gi presente fin dalla prima edizione di questopera, si fatta ancora pi presente dopo gli anni trascorsi studiando Platone e,
perci, risulta ancora pi evidente in questa nuova edizione. Ci risalta, oltre che nellinterpretazione dellinflusso di Platone sulla struttura e il contenuto della Metafisica, nellinterpretazione di alcuni dei concetti metafisici pi importanti, e dello stesso oggetto della metafisica.
Valga come esempio ci che dice sui concetti di essere e di sostanza. Secondo Reale il
senso primo dellessere il senso principale e fondamento degli altri la sostanza (cfr.
vol. 1, pp. 85-86; 105-109). La divisione dellessere nelle categorie quindi la distinzione originaria, su cui si poggia necessariamente la distinzione degli ulteriori significati. Lessere
come atto e come potenza, perci, non esiste fuori od oltre le categorie: sono modi di essere
che si poggiano sullessere stesso delle categorie (cfr. vol. 1, p. 100).
Il capitolo quinto dellintroduzione dedicato alla polivocit della concezione aristotelica della sostanza (senso primo dellessere), per tentare di liberare la teoria da tutte le interpretazioni successive (la rielaborazione medioevale, che vede lindividualit come una caratteristica della sostanza prima; i presupposti storiografici, che portano a vedere nella sostanza aristotelica unantitesi della forma platonica; e linterpretazione storico-genetica, gi considerata
altre volte nelle opere di Reale). Dopo aver fatto questa liberazione dagli indebiti presupposti,
Reale segnala cinque caratteristiche definitorie della sostanza: lessere soggetto di inesione e
sussistenza separata, la determinatezza, lunit e lattualit (cfr. vol. 1, p. 124). La materia
che lo stesso Aristotele alcune volte chiama sostanza esaurisce in effetti la prima caratteristica elencata; ma gli altri due sensi di sostanza (la forma e il composto di materia e forma,
cio, il sinolo) esauriscono tutte e cinque le caratteristiche.
Qual quindi la sostanza per eccellenza: la forma o il sinolo?, si domanda Reale. La
risposta chiara, e consona alla sua rilettura platonica: anche se in prospettiva empirica
(quoad nos) il sinolo, in prospettiva metafisica (in se) la forma.
Un altro punto saliente nella sua nuova interpretazione, strettamente connesso con quello precedente, linsistenza sul fatto che sono le sostanze soprasensibili e non quelle sensibili, individuali, oggetto della fisica loggetto dellindagine metafisica (cfr. vol. 1, p. 68);
quindi la metafisica fondamentalmente teologia: La metafisica teoria dellessere o ontologia; ma lessere un molteplice che fa capo come meglio si vedr pi avanti strutturalmente alla sostanza, sicch lindagine ontologica si configura, necessariamente, principalmente come usiologia, cio indagine di quellessere (lousia) che il fondamento di tutti gli altri
esseri. Ora, se ci fossero solo sostanze sensibili, la metafisica come tale non sussisterebbe, in
quanto si ridurrebbe a mera fisica. Pertanto, il darsi di una ontologia e usiologia non fisiche (o
non meramente fisiche) dipende dallesserci o no di una sostanza sopra-fisica. In questo
senso, allora, lontologia e lusiologia non-fisiche o meta-fisiche sono possibili solo a patto
che si aprano in senso teologico (vol. 1, p. 64).
La proposta di Reale riguardante la necessit di liberare alcuni concetti aristotelici da
alcune aggiunte posteriori, che era gi presente nelle sue prime edizioni della Metafisica di
Aristotele, si ancora pi confermata da quando ha cominciato ad approfondire le questioni
legate al rapporto fra il nostro filosofo e il suo maestro Platone. Lo studio della veracit di

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recensioni
tutto ci che Aristotele afferma su Platone, infatti, rilevante, secondo Reale, sia per unadeguata interpretazione del pensiero platonico, sia per la stessa interpretazione della Metafisica
di Aristotele.
ben certo, ammette Reale, che quando si tratta di polemizzare con Platone e i Platonici
Aristotele perde spesso il senso della giusta misura, del greco equilibrio, di qualsiasi raffinato gusto, e non poche volte perde anche la correttezza (p. 254); e dedica il capitolo 10 del suo
Saggio introduttivo per mostrare che Aristotele in effetti deforma alcuni punti chiave del pensiero platonico, per facilitare lo scopo che si era proposto nella sua Metafisica. Ciononostante,
tali polemiche sono essenziali, perch solo se si capisce a fondo che cosa Aristotele vuole
distruggere, si comprende a fondo ci che egli intende presentare in antitesi. Tanto pi che,
proprio ci che egli costruisce, lo costruisce con materiale in larga misura proveniente da
quel pensiero con cui polemizza (p. 257). La metafisica di Aristotele viene perci definita
come una prosecuzione della platonica seconda navigazione.
proprio questa considerazione di Aristotele nel suo rapporto con Platone prosecuzione ci che porta Reale, come detto, ad insistere sulla priorit della forma nella metafisica aristotelica: una nuova cifra teoretica emblematica di Platone, che Aristotele ha ripensato a fondo in modo del tutto nuovo (p. 296). Ma questa novit radicale della Metafisica pu
portare il lettore proprio a una perplessit sullinterpretazione che di essa d lo stesso Reale:
ci che fa non forse avvicinargli troppo Platone?
Linterpretazione di Reale, in ogni caso, suggerisce al lettore anche a chi non del
tutto daccordo con lui molte questioni e domande che sono state tante volte dimenticate.
Chi non creda adeguate alcune delle risposte che d Reale, non avr certo facile il cammino
per contestargliele, visto lenorme apparato critico su cui poggia le sue opinioni.
Miguel PREZ DE LABORDA

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Angelo CRESCINI, Lenigma dellessere. Introduzione a una metafisica


integrale, Tilgher-Genova, Genova 1990, pp. 279.

Lopera che intendiamo recensire merita lattenzione di chi preoccupato per il futuro
della metafisica, apparentemente arrivata a un punto morto negli ultimi decenni. Lautore
imbocca la strada di una metafisica integrale che, a differenza della metafisica classica, non
solo inizia dallesperienza ordinaria ma anche da quella scientifica.
Il primo percorso della metafisica (parte I) incomincia con lanalisi dellesperienza
comune nel suo volgersi sul mondo di oggetti caratterizzati da reciproche differenze e variazioni. Le differenze di primo ordine sono le diverse presentazioni fenomeniche delle cose
che pur perseverano nella loro identit. Le differenze di secondo ordine (essenziali) intercorrono invece tra gli oggetti diversamente nominati. La conoscenza completa di una cosa il
suo riconoscimento, una sintesi originaria in cui si tiene conto della memoria e delle diverse
esperienze di una medesima cosa. Nel riconoscimento si arriva ai contenuti essenziali delle
realt del mondo, mai catturabili in un modo definitivo in quanto ad essi appartengono innumerevoli relazioni (nei confronti di tutte le altre cose delluniverso) e in quanto sono sempre
incompleti dal momento che nessun oggetto esauribile dalla conoscenza umana. Il soggetto
dotato di contenuti essenziali detto soggetto alla prima potenza (la sostanza della filosofia
classica).
Ora la coscienza umana, il soggetto alla seconda potenza, il luogo privilegiato dove
si compiono tutte le operazioni prospettiche di riconoscimento che portano al concetto di
cosa, di realt di mondo, proprio nel confronto tra le diverse e contrapposte essenze e nel
passaggio indefinito di oggetto in oggetto, indipendentemente dalla loro presenza fisica. Ma la
coscienza umana, essendo limitata, non pu vedere le cose se non prospetticamente e sempre
in funzione dellesperienza e del linguaggio, il che non si oppone al rapporto veritativo come
corrispondenza della mente con la realt. Daltra parte, nellincontro con le altre coscienze,
due mondi o due prospettive possono compenetrarsi, superando cos in parte i limiti inerenti al
relativo isolamento di ogni individuo umano.
Seguono alcune analisi ontologiche, sempre in questa linea, dei concetti metafisici di
sostanzialit, causalit, tempo e spazio. La causalit non va intesa come regolarit nelle presentazioni fenomeniche (Hume) bens come interazione costitutiva (agire e reagire vicendevole) tra cose nel senso prima illustrato. La scienza moderna si fermata solo alle manifestazioni fenomeniche della casualit efficiente, ma bisogna ricuperare tutta lampiezza della causalit considerata dalla metafisica classica. Il tempo generale o fluire unidirezionale degli
eventi (da cui deriva poi ogni tempo particolare, con i propri ritmi) viene visto da Crescini
come una sorta di intuizione astratta derivata dalla percezione intellettuale del passare da
una cosa allaltra, nelle variazioni che ci comporta. Una sezione trasversale (resa statica)

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del tempo lo spazio, intuizione, secondo lA., dellinfinita possibilit di percorsi di situazioni. Cos lo spazio risulta derivato dal tempo, ma insieme lo spazio cresce allinfinito nella
linea delle possibilit, mentre il tempo rimane unintuizione pi ancorata alla realt nel suo
divenire concreto. Ovviamente tempo e spazio, concepiti in questo modo, si capiscono solo
nellambito della coscienza umana (sono cio derivazioni dal nostro modo di conoscere la
realt naturale).
Vediamo ora che cosa succede nellesperienza scientifica (parte II). La via tradizionale
si affidava troppo alle prime presentazioni fenomeniche del mondo. La scienza moderna considera invece che il mondo osservabile immediato non si giustifica da solo. Si scopre allora
una realt, il metacosmo, allargata grazie ai nuovi strumenti tecnici e concettuali di ricerca,
che divisa nel microcosmo e nellultramacrocosmo. I concetti metafisici fondamentali
(sostanzialit, causalit, atto e potenza) sono applicabili alla nuova realt, anche se non univocamente. Ma non bisogna illudersi: non conosciamo il metacosmo come se fosse semplicemente un ampliamento del cosmo ordinario. Il mondo della scienza solo indirettamente
osservabile e non riceve facili concettualizzazioni: il microcosmo subisce le conseguenze
dellindeterminazione quantistica, che non consente di farne delle rappresentazioni univoche;
lultramacrocosmo dominato dallidea relativistica di campo, che riempie in qualche modo
lo spazio vuoto, dandogli la valenza di una realt dinamica.
La scienza moderna sviluppa una particolare dialettica di manifestazione e nascondimento, ma gi a livello ordinario sappiamo che le cose si manifestano e al contempo si
nascondono, poich le cose sono molto di pi di quanto vi si presenta nellatto del loro riconoscimento. Solo che il metacosmo ci essenzialmente nascosto. Il nascondimento normale
delle cose rivelante, in quanto presentazione parziale delle cose alluomo; il nascondimento
dellesperienza scientifica occultante, dato che il metacosmo non ricade propriamente sotto
la nostra esperienza, ma piuttosto una costruzione derivata e soggetta a molti limiti.
In definitiva la spaccatura tra mondo e metacosmo uno degli indici pi caratteristici
della limitazione ineliminabile del pensiero umano. Senzaltro il metacosmo spiega il mondo
ordinario, ma siccome lo spiega in un modo parziale e congetturale, vale anche la verit reciproca, cio per capire quel mondo bisogna fare assegnamento su quello che conosciamo primariamente nella vita ordinaria. Concretamente, i modelli del microcosmo sono inadeguati, mentre non sappiamo bene che cosa sia ontologicamente lo spazio-tempo che sembra ricoprire univocamente tutte le entit dellultramacrocosmo. In conclusione, la scienza ci offre ombre di
cose e di sostanze: i campi e le particelle sono realt ombratili, che noi ci illudiamo di poter
conoscere come se si trattasse delle cose della vita ordinaria. Anche le scienze formali (logica e
matematica) trovano dei limiti, e tutte insieme, cio le scienze sia formali che reali, proprio in
questi limiti dimostrano di non poter essere autonome e di avere sempre un riferimento ontologico (molto opportune a questo riguardo le illustrazioni dellautore sul calcolo infinitesimale).
Nella terza parte, pi breve ma senzaltro pi ardua, si evidenzia alla fine con pi chiarezza il senso completo di questo libro. La dispersione fenomenica veniva superata dal soggetto alla prima potenza (cane, rosa, casa, cielo), mentre le differenze formali venivano a loro
volta rivelate come tali solo nel confronto di ciascuna con tutte le altre, un confronto operato
solo dal soggetto cosciente, che diventa perci il fondamento delle cose come cose cio del
mondo. Solo che nel riconoscimento la manifestazione della cosa include il suo ben pi
ampio nascondimento, tra laltro perch il mondo incluso nel metacosmo che in quanto tale
ci nascosto.
Occorre risalire dunque allultimo livello, quello del riconoscimento totale delle cose, in
cui si vede la vera unit del mondo nella rivelazione del suo essere, un livello che corrisponde
allEssere assoluto (Dio), lidentica alterit, limmanente trascendenza, limmobile movimento, listantanea e simultanea eternit, la sussistente infinit (ciascuna di queste denominazioni
un singolo breve capitolo del libro).

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Per capire queste ultime pagine bisogna rileggerle parecchie volte: vi si trovano risonanze heideggeriane (dialettica di svelamento e nascondimento dellessere) e una vicinanza alla
distinzione di Tommaso tra lessere e lessenza, indicata esplicitamente nellultima pagina. La
sintesi dellautore evidentemente personale. Crescini ha preso senzaltro la via metafisicognoseologica della manifestazione-occultamento sposata con la dialettica platonica della differenza, sul grandioso sfondo parmenideo dellesigenza didentit dellessere.
Le cose in quanto si manifestano come presenza attuale rivelano lessere di ogni cosa,
che pure non una cosa. Lessere del mondo si manifesta ma insieme si occulta in un gioco
reciproco di presenze e di assenze. Le cose sono fatte dal nascondimento di ci che (p.
266). Ma tutte le cose del mondo, compresi anche i soggetti coscienti, finiscono col distruggersi completamente nella loro dissoluzione nel metacosmo: lessere delle cose un passare
che porta cos, paradossalmente, allessere senza nascondimento che non pu non essere, che
non passa perch non nel tempo: lEssere eterno, la coscienza dellessere (p. 264).
Lessere non pu essere distrutto (p. 268) e perci esiste necessariamente ed lattuale
completa presenza, la totale manifestazione dellessere, il suo completo riconoscimento.
Lattualmente disvelato tale per il suo disvelamento, ossia lessere tale per lEssere, ossia
per il suo passare senza nascondimento (p. 268).
Merito indubbio di questo lavoro il suo aprirsi in modo convincente a una metafisica
che cerca di incorporare le concezioni classiche pi profonde con alcune intuizioni, ci sembra,
della filosofia moderna, che pure viene sostanzialmente criticata, e inoltre con lesperienza
scientifica, in un quadro di ampio respiro in cui compare tutta la realt, vista dinamicamente
come unit pur sempre fragmentata e segnata dalla contingenza e particolarmente elevata nella
coscienza umana, nonostante le sue limitazioni. In questopera la contrapposizione di nascondimento e rivelazione analoga a quella tra potenza ed atto della metafisica classica. La conoscenza scientifica non semplicemente relegata dallautore al posto di un sapere secondario
che nulla dice al filosofo, ma viene integrata nella riflessione filosofica in modo molto naturale e specifico, sempre associata alla conoscenza ordinaria da cui non si pu prescindere. La
prospettivit del pensiero umano rende ragione di certe istanze della filosofia moderna che
non necessariamene sboccano nellidealismo o nel relativismo. Il libro poteva forse essere pi
esplicito sul significato dellessere delle cose, di cui si parla nelle ultime pagine con una certa
oscurit. Lopera in definitiva lascia molte porte aperte e in questo senso suggestiva, inducendo nel lettore un positivo stimolo per una metafisica rinnovata della realt che oggi sembra
assente ma che anche presentita nelle istanze speculative che stiamo vivendo.
Juan Jos SANGUINETI

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Pierpaolo DONATI, La cittadinanza societaria, Laterza, Bari 1993, pp. 330.

Il prof. Donati, ordinario di Sociologia presso lUniversit di Bologna, propone in questo libro una riflessione sociologica, profonda e di grande valore, sulla emergenza della cittadinanza post-moderna. In quanto opera di natura sociologica, lanalisi sviluppata dallautore
su questo fenomeno sociale in parte descrittiva e interpretativa, e in parte normativa (in
senso sociologico: cio, nello stesso senso in cui, ad esempio, si assume che parlare di bisogni-diritti implichi allo stesso tempo parlare di obbligazioni-doveri per i medesimi titolari).
Ma, in quanto opera di Donati, questa lettura non poteva non essere fatta che in chiave
relazionale (cfr. P. Donati, Teoria relazionale della societ, F. Angeli, Milano 1991): davvero una chiave che apre le porte alla comprensione della struttura e della dinamica della
societ, a giudicare dai risultati di questo suo lavoro.
Veniamo per ai contenuti. Nel primo capitolo lautore mette a fuoco il codice simbolico moderno della cittadinanza democratica come codice problematico dal punto di vista evolutivo. Essa, nel suo processo storico di crescita che sfocia nel welfare state cos come oggi lo
conosciamo, sarebbe giunta ad un punto-limite oltre il quale tende ad auto-distruggersi: per
questo motivo la gente non si identifica pi con i propri rappresentanti politici, la convergenza
su valori e mete comuni alla generalit dei consociati sempre pi astratta e formale, il distacco fra societ civile e Stato si accentua, ecc.
Questi ed altri fatti, anzich portarci a pensare in termini di limitazioni ad un astratto
principio di inclusione delle richieste dei cittadini (ridimensionamento delle politiche sociali
entro i binari di quel tanto di controllo sistemico che effettivamente perseguibile e implementabile), dovrebbero indurci ad operare una ridefinizione della cittadinanza come cittadinanza societaria. Per tanto, le limitazioni allo Stato sociale dovrebbero essere riferite solo e
specificamente al tipo di inclusione che stato istituzionalizzato nellassetto del welfare state
industriale.
Ma, quali sono i tratti essenziali della cittadinanza societaria? Non si tratta, ci tiene a
premettere lautore, di rispolverare la vecchia dottrina dei corpi intermedi; tra laltro perch
occorre assolutamente preservare luniversalismo acquisito con la modernit. Lidea piuttosto che, in una prospettiva a lungo termine, essere cittadino non dovr pi significare semplicemente avere uno status ascrittivo conferito dallo Stato, ma appartenere alle soggettivit
sociali nuove e vecchie che fanno pluralistiche e complesse le nostre societ, perch tali
soggettivit sono politicamente rilevanti per i beni comuni che devono essere prodotti. In altre
parole, si tratter di intendere la cultura dei diritti di cittadinanza come capacit di esprimere
una solidariet autonoma dotata di senso proprio, che chiede di essere riconosciuta e tutelata, e
quindi anche regolata e sostenuta, dallo Stato, ma mantenendo in s la propria ragion dessere,
la propria giuridicit, la propria progettualit, la propria gestione. Anche se altri possono con-

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dividerla e farla propria, al limite diventando universalistica, essa pu essere praticata solo sul
terreno del senso associativo della societ.
Nel secondo capitolo viene argomentata questa tesi con riferimento a quelle specifiche
sfere di relazioni sociali che costituiscono il privato-sociale (detto anche Terzo Settore).
Un fenomeno sociale questo che sfida la lettura che la modernit ha fatto dei bisogni sociali e
dei diritti sociali, e che invece nella societ attuale viene sempre pi spesso inteso e praticato
come un modo per costruire un ambiente padroneggiabile su scala inter-soggettiva, o come un
modo per garantire laccesso, lesigibilit e il controllo dei diritti relativi a interessi legittimi e
diffusi da parte di comunit (minori e/o periferiche), o, tanto per citare qualche altro esempio,
come un modo per elaborare una cultura dei nuovi diritti di vita quotidiana a fini di umanizzazione del lavoro e dei servizi di cure alle persone.
Mancano ancora, vero, le categorie interpretative sufficienti per capire tale fenomeno,
e quelle politico-giuridiche che possano osservarlo e regolarlo. Ma lo scopo dovrebbe essere
chiaro: occorre prevedere e mettere in atto un sistema di incentivi e sostegni, anzich di penalizzazioni dirette o indirette, per chi porta la cittadinanza ad essere concreta espressione e realizzazione delle virt civiche.
Nel terzo capitolo viene ampliata largomentazione precedente. Non pi solo questione di privato-sociale. la societ complessa nel suo insieme che manifesta nuove esigenze
di autonomia, in ogni ambito della vita e ad ogni livello della organizzazione sociale, culturale, economica e politica, come esigenza di nuova cittadinanza. La societ europea contemporanea sviluppa una eccedenza di socialit che entro il quadro della modernit rimane
latente, rimossa e repressa. La cittadinanza in senso moderno non pu riportare questi fenomeni al suo codice simbolico-normativo. Deve perci esserci uno spostamento fondamentale:
o le esigenze di una nuova cittadinanza sono disattese e allora la societ si frantuma, oppure
le esigenze di cui si parla sono riconosciute e tradotte in pratiche sociali, lungo linee di differenziazione e integrazione fra diversi ambiti di autonomia, e allora la soggettivit della
societ potr esprimersi in una cittadinanza pi universale e pi particolare insieme, attraverso appunto autonomie universalistiche.
Nel quarto capitolo, la tesi iniziale ulteriormente approfondita e sviluppata con riferimento al fatto che le richieste di autonomia sociale non sono impersonali e anonime, non sono
pi quelle della societ di massa con i suoi specifici movimenti sociali (studenteschi, femministi, ecc.), ma provengono da nuove soggettivit sociali. Se vogliamo comprendere queste soggettivit sociali dobbiamo elaborare un paradigma nel quale la soggettivit compresa
e definita in rapporto alla relazionalit degli attori. Occorrer, in altre parole, collocarsi in un
sistema di osservazione secondo il quale la soggettivit non pu essere definita se non attraverso, con e nelle relazioni (si tratta del paradigma relazionale o della societ come rete
sviluppato dallautore nellopera sopra citata). Comprendere questi soggetti sociali e le loro
istanze significa ri-disegnare la cittadinanza in una societ post-moderna come cittadinanza
societaria.
Si apre una fase storica conclude Donati in cui la cittadinanza assume la forma di
un complesso di diritti-doveri delle persone e delle formazioni associative che articola la vita
civica in autonomie universalistiche capaci di integrare la generalit dei fini con pratiche di
autogestione. Questa la sfida che la societ complessa lancia a se stessa. Tale sfida si chiama
cittadinanza societaria o delle autonomie sociali (p. 300) .
Gabriel CHALMETA

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Sandro NANNINI, Cause e Ragioni. Modelli di spiegazione delle azioni


umane nella filosofia analitica, Editori Riuniti, Roma 1992, pp. 367.

Lopera di Nannini, ordinario di filosofia morale allUniversit di Urbino, entra nel


dibattito tra naturalisti (Hempel, Nagel) e antinaturalisti (Ryle, Dray, Wittgenstein, von
Wright) nella proposta di modelli di spiegazione delle azioni umane che possano caratterizzare il metodo delle scienze storiografiche e sociali.
I modelli hempeliani, tratti dalle scienze naturali, sono schemi nomologico-deduttivi che
spiegano gli eventi a partire dalla congiunzione logica tra leggi universali e condizioni particolari. La loro estensione alle scienze storiche non incompatibile con il riconoscimento degli
atti liberi, secondo lA., visto che nelluomo sono individuabili comportamenti razionali regolari sia a livello individuale che sociale. Lapplicazione allindagine storica di quei modelli
richiede lintervento di leggi generali induttive (psicologiche, sociali, economiche), di solito
non esatte come le leggi naturali ma valide e importanti come generalizzazioni empiriche probabilistiche, talvolta a livello di senso comune (per es., il malcontento popolare pu provocare rivoluzioni in determinate condizioni).
Lautore si schiera con franchezza a favore di questi modelli, pur accogliendo listanza
degli atti intenzionali, compiuti cio con uno scopo prescelto dallindividuo, come elemento
indispensabile per capire il comportamento umano e la storia. Le correnti storicistiche, analitiche ed ermeneutiche hanno sostenuto lirriducibilit degli atti intenzionali agli eventi della
natura e di conseguenza leterogeneit radicale del metodo storico rispetto a quello delle
scienze naturali. Secondo Nannini comunque lo schema naturalista, se depurato da alcuni elementi positivisti, irrinunciabile per la comprensione e la spiegazione dei comportamenti
umani, il che peraltro serve per non cadere nel neostoricismo cui tende oggi lapproccio ermeneutico.
Lopera conduce con rigore e chiarezza una forma di dibattito (senza propositi storici)
tra lindirizzo naturalistico (cap. I) e quello denominato antinaturalistico (cap. II), imperniato pi sullanalisi della singola azione umana anzich sulla metodologia storica, per concludersi con una proposta di ricostruzione ideale della spiegazione delle azioni individuali altrui
(cap. III).
La filosofia analitica contemporanea (Wittgenstein, von Wright, Anscombe) ha abbandonato la tesi dualistica che vede nellintenzione, nellatto volontario, una sorta di evento
mentale che pu fungere da causa quasi-meccanica degli atti esterni delluomo. Senza arrivare
necessariamente al comportamentismo, la spiegazione analitica respinge tale concezione,
chiamata solitamente teoria causale dellazione, per vedere invece lintenzione (lato interno)
e lazione umana (lato esterno) come intrinsecamente associate (al modo di un significato e il
suo segno). Prendiamo ad esempio lazione di muovere le mani per pompare dellacqua (cfr p.

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254 ss): lintenzione di fare questatto, per la filosofia analitica, un tuttuno con latto esterno e viceversa, poich anche se vero che quellintenzione pu esistere prima della sua realizzazione, non si capirebbe come siffatta intenzione se non fosse riferita allatto oggettivo, e
certamente noi non potremmo mai riconoscerla negli altri se non viene manifestata attraverso
certe formalit empiriche socialmente riconosciute (come il linguaggio). Vuol dire che tra
lintenzione e lazione altrui (il che vale anche per le mie intenzioni non immediatamente
conosciute, per esempio ricordate) esiste un legame concettuale quasi-analitico, in quanto di
unintenzione non manifestata almeno linguisticamente, tramite cio qualche segno esterno,
non sappiamo niente (critica wittgensteniana del linguaggio privato).
Nannini arriva a chiarire il concetto di azione umana dei filosofi analitici superando con
maestria le difficolt esegetiche e le sottigliezze dei diversi autori, pur ritenendo insoddisfacente questo tipo di analisi. La sua posizione cerca invece di rendere compatibile lo schema
causale humiano (successione regolare tra eventi logicamente indipendenti, quindi di carattere
nomologico almeno statistico o probabilistico) con lo svolgersi dellazione umana, anche
interpretata come veramente intenzionale.
Lintenzione altrui viene considerata dallA. come conosciuta tramite un concetto disposizionale teorico, non osservativo, che si manifesta empiricamente attraverso molteplici sintomi, cos come una causa fisica teorica ipotizzata (per es. una disposizione, una propensione)
conoscibile induttivamente a partire dai suoi effetti sensibili regolari. Latto volontario e
intenzionale pu essere visto come una causa di azioni umane: ad esempio, lazione teleologica di aprire una finestra per far entrare nella sala un po daria fresca conoscibile come
azione intenzionale grazie a generalizzazioni empiriche, nel senso che noi quando vediamo
che una persona apre materialmente una finestra, dalla situazione concreta in cui si trova (la
stanza calda, la persona normale, vestita pesante, non ci sono altri motivi per aprire la
finestra, non c fumo nella stanza), compiamo naturalmente linferenza induttiva, grazie
allaccertamento di molti casi simili del passato, secondo cui, quando la persona produce
quellatto, la sua intenzione quasi certamente sar quella di rinfrescare la sala.
In conclusione, il lavoro di uno storico, pur presentandosi nella forma di una narrazione,
non pu limitarsi secondo Nannini alla comprensione simpatetica degli atti altrui, come ha
rilevato lindirizzo storicistico, ma deve anche spiegarli secondo ipotesi basate su generalizzazioni empiriche, visto che la conoscenza dellinteriorit degli altri sar sempre indiretta, cos
come fa il detective che cerca di ricostruire i fatti avvenuti. Lintento principale dellA. ben
riassunto nelle ultime righe della sua opera: Non solo dunque tra la conoscenza delluomo e
quella della natura, ma anche tra il senso comune e la scienza, non si apre alcun abisso: il
ponte per passare dalluna allaltra sponda ampio e facile a trovarsi. Perch non usarlo allora, invece di esasperare un contrasto tra il sapere scientifico e le discipline umanistiche che,
malgrado lascolto riscosso oggi da cultori dellermeneutica e di un nuovo storicismo, non ha
in effetti nessuna solida giustificazione? (p. 327).
Il lavoro di Nannini pu essere valutato sia dal punto di vista dellanalisi dellatto
umano, sia nella prospettiva del suo contributo alla metodologia delle scienze storiche.
Riguardo al primo punto, ci sembra di poter condividere solo parzialmente la sua tesi sulla
conoscenza altrui medianti ipotesi induttive. La riteniamo giusta quando in gioco unidea
mediata delle persone (lontane, del passato, poco familiari) ma crediamo che esista anche un
ambito, seppur limitato, di percezione quasi-immediata dellaltro come persona, con i suoi atti
intenzionali: dinanzi a una persona che ci parla noi non impieghiamo lipotesi causale
secondo cui chi ci parla molto probabilmente una persona con una intenzione, ma piuttosto
vediamo la sua anima (come direbbe Wittgenstein ma anche S. Tommaso, per cui possibile vedere un amico o un uomo), vale a dire non occorre restringere la nozione di osservabile ai
dati fenomenici dei sensi esterni.
Una ricostruzione ideale dei processi induttivi che ci portano al riconoscimento di una

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condotta intenzionale negli altri rischia di essere superflua, se intesa come ricostruzione logica
per ci che invece sembra una percezione immediata dotata di evidenza propria. In verit questo punto non cos distante da quanto si sostiene in questo libro, a patto che tale procedura
logica basata su generalizzazioni empiriche sia vista piuttosto come un processo psicologico
mediato di imparare a conoscere, cos come simparano una lingua o gli usi sociali. Una volta
che si crea una maggior distanza tra noi e il comportamento altrui, allora entrano in funzione
le forme logico-induttive rilevate da Nannini, che fanno anche perno sulla coscienza di noi
stessi e perci sono sorrette anche da corrispondenze analogiche a partire dalla conoscenza
immediata di noi stessi e di quelli che ci sono pi familiari.
Riguardo al metodo delle scienze storiografiche, ci sembra che lintento dellautore di
correggere gli eccessi storicistici non sia da trascurare. La storia non cerca ovviamente di formulare delle leggi generali, al contrario di quanto fanno le scienze naturali, ma la comprensione e la spiegazione delle vicende umane implica il ricorso (ordinariamente presupposto) alla
conoscenza degli usi umani tramite generalizzazioni di natura empirica, una conoscenza ottenuta peraltro con laiuto delle scienze antropologiche e della filosofia. Lopera di Nannini
risulta opportuna in questo senso e, nellevidenziare la presenza nel lavoro degli storici di
enunciati generali sintetici, soprattutto di senso comune, senzaltro contribuisce allauspicata
continuit tra le scienze naturali e il sapere umanistico.
Juan Jos SANGUINETI

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Leonardo POLO, Curso de teora del conocimiento, vol. IV, parte I, Eunsa,
Pamplona 1993, pp. 421.

La scansione temporale con cui stato dato alle stampe il pensiero di Polo manifesta
una singolarit che a mio giudizio indice delloperosit dellautore. Nella presentazione del
suo filosofema pi caratteristico la limitazione della mente umana , fatta in un libro
dellanno 1964 (El acceso al ser), vennero promessi quattro volumi in cui sarebbero state sviluppate le quattro dimensioni dellinnovatore abbandono del limite mentale, ma solo il primo
di essi vide la luce nel 1966 (El ser. I: La existencia extramental). Poi, quanto in seguito ci
pervenuto non sono stati i tre successivi volumi promessi ma qualcosa di meglio. Dopo venti
anni di attesa apparvero, fra il 1984 e il 1988, tre volumi dun corso di teoria della conoscenza
che giustificavano e verificavano con maggiore ampiezza di vedute e pi matura esposizione
la precedente proposta di un limite per la mente umana e la possibilit di abbandonarlo. Quei
tre volumi dovevano essere affiancati da un quarto che ancora una volta si fece attendere.
Adesso, a dieci anni dal primo, appare questo quarto volume ma, come in precedenza, il ritardo viene controbilanciato dal fatto che il libro offre molto pi di quanto era stato promesso.
Certamente esso non una semplice parte di un manuale di gnoseologia ma qualcosa in pi.
Se io dovessi precisare quel qualcosa in pi metterei laccento su tre punti. Da una parte,
il libro costituisce lesposizione della seconda dimensione dellabbandono del limite mentale
proposto da Polo; dunque uno sviluppo della sua filosofia annunciato gi dal 1964. In secondo luogo, esso lesposizione duna parte quella mancante della teoria della conoscenza
umana: lesposizione della ragione umana, delle operazioni unificatrici e degli abiti razionali
fino allabito dei primi principi. Inoltre, in un terzo ma non perci meno importante luogo,
un libro di fisica, di fisica filosofica: unesposizione del modo in cui luomo intende la natura
fisica, le sostanze ed i movimenti, gli esseri viventi e le loro funzioni vitali, ecc. Non c da
stupirsi, perci, che sia stato necessario dividere in due parti questo volume: quella appena
apparsa, e unaltra in fase di stampa. Tutto ci serve a mettere sullavviso il lettore che non
trover un testo di facile lettura ma, al contrario, materia di molto studio e meditazione.
Penso di essere in grado di affermare senza particolari remore che questo libro lopera
pi importante di Polo, quasi un lascito della maturit al termine della carriera accademica;
per lo meno lopera che fornisce il maggior numero di precisazioni, conseguenza della gran
mole di lavoro di cui il risultato (sono testimone, perch le ho battute a macchina, delle
prime stesure che ne faceva Polo gi dal 1980). Perci difficile fare una scelta fra i suoi contributi. Limpressione che provoca una lettura veloce del libro quella dun eccesso: una profusione di questioni studiate. Sono sicuro, per esempio, che nel campo della filosofia della
natura gli studiosi riceveranno con gratitudine molti dei suggerimenti poliani come, scegliamo
a caso, lidea di ritardo temporale (anticipazione) o quella di riserva della materia con cui Polo

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recensioni
illustra il cosiddetto principio della sua conservazione. Dal campo della logica vengono suggerite anche molteplici osservazioni fra le quali spicca il posto eminente che viene aggiudicato
alla matematica come modo di conoscenza. Altrettanto potremmo dire della psicologia, alla
quale certamente interesser la distinzione fra le intenzionalit della sensazione, limmaginazione e il pensiero, ben descritte da Polo. Abbiamo a che fare, insomma, con una quantit di
spunti davvero rilevante. Tuttavia, se veniamo al fondo argomentativo del libro, penso che ci
che Polo ci offre possa essere ricondotto ad alcune nozioni o questioni di base che forse vale
la pena di ricordare qui.
Da un punto di vista gnoseologico questo volume costituisce la proposta formale del
modo in cui gli abiti intervengono nella crescita conoscitiva dellintelligenza umana. Labito
, rigorosamente, lilluminazione delloperazione conoscitiva: la conoscenza non riflessa del
conoscere. Questimportante incorporazione della nozione di abito nella teoria della conoscenza permette di fare, a mio avviso, la sintesi fra critica moderna interessata al conoscere e
gnoseologia classica pi attenta a ci che conosciuto e rende possibile rispondere
finalmente alla domanda su come venga conosciuto lessere, domanda che un idealista potrebbe obiettare ad un realista oggettivo.
Da un punto di vista tematico, ci che in questo libro si dice sulla natura laggiustamento [ajuste] necessario di cui la fisica di Aristotele ha bisogno per diventare un interlocutore valido della nostra scienza attuale. In paragone con altri tentativi analoghi che la storia della
filosofia recente ci offre, c da evidenziare come Polo ricuperi in modo preciso le nozioni aristoteliche di elemento, ciclo di trasformazioni fra sostanze elementari, movimento circolare
come causa di tali trasformazioni, ecc., come anche la loro incorporazione nella biologia aristotelica. Troviamo, quindi, non soltanto una permanenza delle nozioni o principi pi radicali
come la materia e la forma o le cause , ma lintero intreccio della fisica teorica, sia pure
aggiustata in ci che necessario (e talvolta in modo tale che un aristotelico genuino rifiuterebbe simili aggiustamenti). Particolare portata riveste, in questo senso, la rettificazione del
luogo che Aristotele assegna alla circonferenza come forma di un movimento chiave del
suo superato geocentrismo , ma bisogna riconoscere che, senza di essa, la natura inerte non
pu essere capita pienamente. anche da rilevare, dalla prospettiva della filosofia classica, la
riduzione poliana delle categorie alle cause.
Infine, per quanto riguarda allispirazione strettamente poliana che, del resto, costituisce il nerbo che unisce tutti gli altri punti di vista ritengo che la nozione cui si deva fare
attenzione sia quella di esplicitazione. Essa un tentativo di formulare il modo in cui la ragione umana raggiunge la conoscenza della realt fisica al di sopra del proprio limite. In questa
linea c da segnalare che lesplicitazione non un compito mentale. Essa ascritta alle proprie cause: affidata ad esse dalla mente. Ne risulta che la conoscenza delle cause non oggettiva: le cause non sono oggetto della ragione ma principi extramentali. Perci, fra loro e la
mente si instaura una contesa [pugna] che la ragione compensa oggettivamente*; ma gli
oggetti della ragione (concetti, giudizi e dimostrazioni) sono consolidamenti logici di quella
compensazione e non la conoscenza delle cause, che inoggettiva. Ripeto: ci che da sottolineare e a mio avviso anche la chiave per comprendere lapproccio poliano che
lesplicitazione non viene esercitata dalla ragione come operazione mentale commisurata ad
oggetti, ma sono le cause ad esplicitarsi in contesa con la ragione, una contesa, del resto, che
la ragione non sempre in grado di compensare.
Una simile ottica consente di intravedere, dalla prospettiva della realt conosciuta, che
la manifestazione dellente (Polo preferisce parlare di essenza anzich di ente) non unavvenimento eventuale, come la tradizione heideggeriana attualmente ci suggerisce, perch sebbene essa non si riduca alla logica umana (lidealismo esigeva tale riduzione) anche vero che
* Pugna, compensacin e ajuste sono termini tecnici [N. del T.].

375

recensioni
non si produce neppure al margine della ragione umana ma in accordo con essa, in corrispondenza con essa.
Daltra parte, dal punto di vista del conoscente umano, la nozione di esplicitazione
determina con precisione la differenza fra gli oggetti logici della ragione, con la loro particolare intenzionalit, e la conoscenza della realt causale che luomo pu raggiungere nel ragionare, la quale non intenzionale. In questa distinzione risiede ci che Polo ha chiamato con
accortezza minaccia dignoranza. Se luomo non nota la finitezza del suo conoscere, ostacola il palesamento della concausalit esplicita e allora la conoscenza razionale della realt soccombe alla minaccia dellignoranza, il che significa ignorare il senso principiale della realt,
ovverosia il senso stretto in cui reale la realt fisica.
La teoria poliana della conoscenza, dunque, non solo procede allaggiustamento tecnico
fra i diversi approcci metafisici, tramite il ricorso alla distinzione delle operazioni intellettuali
che ognuno di essi applica; non solo fa risiedere nelloggettivit intenzionale della ragione la
zavorra che contraddistingue ci che Polo chiama metafisica prematura; c qualcosa di pi
radicale ed importante: la possibilit che il sapere umano come tale venga falsato per il fatto di
non aver avvertito il proprio limite. Il contrario di quella dotta ignoranza del Cusano diventa
ora quellignorante sapere che minaccia la ragione umana, in ultima analisi, se essa scambia
cause per ragioni.
Infine mi rivolgo ai poliani per fare il punto sullevolversi della formulazione della filosofia poliana: il libro presenta la seconda dimensione dellabbandono del limite mentale come
graduale e la cui culminazione la prima dimensione di tale abbandono. Il limite mentale
viene gi notato negli abiti che rendono possibili le operazioni razionali e lo progressivamente di pi fino a quando viene avvertito in condizioni tali che possibile abbandonarlo,
cio, nellabito dei primi principi, abito non seguito da operazioni. Non sono dunque due
dimensioni dellabbandono del limite separate o sconnesse, n in esse viene abbandonato in
maniera uguale il limite mentale. In precedenza Polo non laveva posto in questi termini.
Juan A. GARCIA GONZA LEZ

376

schede bibliografiche

A A .V V., The Past and the Present.


Problems of Understanding,
Grandpont House, Oxford 1993, pp.
102.
The six papers collected in this
volume are the fruit of a conference
held at Oxford, under the sponsorship
of Grandpont House, on the theme of
Pre-Modern Europe and the Modern
Student: Problems of Understanding.
As Andrew Hegarty explains in his
introduction, the conference formed
part of an ongoing effort by Grandpont
House to respond to John-Paul IIs
appeal to Europeans to rediscover the
truth of their origins. The urgency of
that appeal rests not only on the
obvious fact that modern (and even
post-modern) Europe cannot fully
understand itself except in light of its
past and its tradition, but also on the
belief that the tradition itself contains
precious resources for fortifying and
guiding the search for truth, both historical and otherwise. Gaining access to
those resources and using them discerningly, however, is anything but easy.
Learning about the past, and learning
from the past, encounter obstacles on
all sides: in ourselves, in the past itself,
and in the very nature of such an
inquiry. The conference brought
together six prominent scholarsthree
philosophers and three historiansto
reflect upon some of these difficulties
and ways of dealing with them.
In the first paper, Knowledge
and Belief in Human Testimony, Peter

Geach argues, with typical force and


wit, for the inevitability and indispensability of human authority as a source
of knowledge. He shows the significance of this claim by drawing a sharp
distinction between knowledge and
belief. Belief is merely a kind of disposition, e.g. to judge or to answer a question in a certain way; but knowledge is
a capacity, an abilitywe might say a
kind of mastery of something. Geach
then takes up the acceptance of authority or testimony as one of our main
natural means of acquiring knowledge.
He argues that although it is sometimes
necessary to choose between conflicting authorities, making such a choice
does not imply having independent
knowledge of the matter in question;
we cannot escape from resorting to
testimony and authority. It is only by
his trusting the testimony of others
that the experience of mankindis
made available to an individual.
Geachs reflections bring to mind
Aristotles dictum that he who wants to
learn must trust his teacher. They also
echo of Aquinas claim that theology,
which rests on faith, is genuine science.
Aquinas of course was speaking of
faith in divine authority; but he did so
in a cultural context in which human
authority too was recognized as a source of knowledge. The medievals view
of authority is perhaps one of the main
obstacles to the modern students
taking them seriously and learning
from them. This forms the target of the
volumes second paper, The Argument
377

schede

from Authority, by Christopher


Martin. Martin thinks we can learn
something from the medieval view of
authoritynot only something about
them but also something about ourselves and our own conception of knowledge. This is that we too, willy-nilly,
rely heavily upon authority, precisely
because we still regard knowledge as
something to be taught and learned.
Not acknowledging the role of authority contradicts our own standards of
reasonableness, those which we ourselves have learned and teach, and prevents us from exercising it or controlling it according to those standards.
The medievals acknowledged it, and
controlled it. For them the argument
from authority was an argument.
Admittedly it was the weakest argument of all, so that any other argument
was stronger: but it was none the less
an argument. You needed another argument to refute it, before you could
ignore it.
The third paper, by John Haldane,
presents a lucid account of four conceptions of human nature which have
been prominent in the history of philosophy, and seeks to clarify and defend
the one which is perhaps the least sympathetic to the modern mind: that of
man as a bodily creature with a rational
soul, a psychophysical unity, both
organic and rational. This is by no
means just one particular topic among
many, in the domain of problems in
historical understanding; it may be this
very conception of man which best
does justice to his historicity, which is
to say, his temporal and visible personhood. As Haldane explains, to
understand it is to perceive, through
observation of the multitude of activities and artifacts that constitute the
human world, that there are persons,
i.e. creatures such as ourselves with
378

aspects whose souls we are everyday


presented.
Limitations of space prevent
much discussion here of the volumes
remaining papers, by the three historians; but they are well worth reading.
Anne Duggan calls attention to various
ideological obstacles to our doing real
historyobstacles in our very conception of historical knowledge, and
obstacles in our attitude toward certain
dominant elements of Europes past,
particularly our aversion from the religious. Jonathan Riley-Smith argues
against the impossibility of an entirely
neutral approach to the pastthe questions we ask of it are always our questionsurging instead that we strive to
be conscious of our own partial and
conditioned vantage point, and that the
historian seek to express in comprehensible terms a necessary vision of
societys collective experience.
Finally, John Morrill insists that you
can get to know people in the past,
just as you can get to know people in
the present: you can come to have a
sense of the rhythms of their lives, of
the way in which they behave, of the
way in which they respond to a certain
kind of thing. He also insists upon the
value of a horizontal approach to the
past, the effort to re-create the contemporary context of events and
actions in their fuller sense. Doing so
teaches us something of the poverty of
our understanding of our own culture.
S.L. BROCK

Italo MANCINI, Come leggere Maritain,


Morcelliana, Brescia 1993, pp. 57.
In questa opera, densa e breve,
Mancini propone la sua ermeneutica
del pensiero maritainiano. Essa parte

schede

da un criterio preciso: il fenomeno


Maritain intraecclesiale, vale a dire,
la sua opera pu essere veramente
compresa soltanto allinterno della
comunit credente. Egli, infatti, ha
curato una filosofia incurante del filosofare (p. 11), non tanto preoccupata
di lasciare in eredit una scuola filosofica, ma di rendere un servizio in quanto proposta di comprensione cattolica.
Da questa premessa emergono tre
modi distinti di lettura. Ed essi hanno
necessariamente un sapore autobiografico perch altro non sono che le diverse riletture che nel corso del tempo lo
stesso Mancini ha fatto dellopera
maritainiana.
La prima si colloca negli anni 50
dove Maritain appare come uno schiaritore di concetti; come la personalit
capace mediante opere come La
Ptite Logique, Les sept leons sur
ltre e Les degrs du savoir di delineare il nostro territorio di fronte alla
ontologia fondamentale di Heidegger,
alla ontologia esistenziale di Sartre, alle
varie forme fenomenologiche (p. 17).
La seconda lettura, di tipo politico, corrisponde agli anni 60. In questa
decade opere come Umanesimo integrale e Luomo e lo Stato, furono capaci di illuminare la coscienza politica
mediante una riflessione profonda. E
Mancini, a modo di esempio, indica
cinque elementi ritenuti di particolare
rilevanza: 1) la preminenza delle forme
comunitarie e naturali di fronte a quelle
pi propriamente sociali; 2) la attribuzione del solo senso teologico al concetto di sovranit; 3) la critica allipermoralismo politico; 4) la dottrina dei
mezzi atti a conseguire i fini politici; 5)
la sua teoria della legge naturale.
Il terzo criterio di lettura ci porta
invece agli anni 70, allepoca del postConcilio tutta intesa a rispondere alla
domanda sul tipo di cristianit possibi-

le. Anche in questo problema come


dimenticare Il Contadino della
Garonna? Maritain ha molto da dire
e da proporre: il rifiuto del medioevalismo, la sua valutazione del marxismo,
le proposte per la nuova cristianit, ecc.
Ma tale lettura ci porta inevitabilmente ad unaltra, perch la cristianit
non basta. Il kerigma cristiano eccede
sempre ogni sua possibile particolarizzazione culturale. E cos appare lultimo Maritain. Scrittore non della cristianit, ma di cristianesimo, pensatore del
rapporto personale con Dio. Paradigma
incompiuto di tale atteggiamento
Approches sans entraves, che non pot
correggere perch stroncato dalla
morte.
Con questa ultima pennellata
chiude Mancini il piccolo volume che
lo vede ripercorrere in maniera lucida
la maggior parte dellopera maritainiana. Tenuto conto inoltre della sua ricchezza e densit di riflessioni esso si
pone come una necessaria e bella introduzione al pensiero di Jacques
Maritain. Un nome che, secondo
lautore, il mondo cristiano terrebbe
pi vivo se fosse meglio abituato ai
silenzi profondi e alla concentrazione
(p. 52).
J.M. BURGOS

Ricardo YEPES STORK, La doctrina del


acto en Aristteles, E U N S A ,
Pamplona 1993, pp. 510.
La obra se presenta como una
investigacin de las nociones de energeia y entelecheia en Aristteles, que
pretende, a partir de la recuperacin de
todos los sentidos del acto en
Aristteles, superar una defectuosa
teora del conocimiento propia del
racionalismo y las actuales doctrinas a
379

schede

l ligadas y la consiguiente descalificacin del conocimiento metafsico


de la realidad.
Para ello, trata el autor de dar
cuenta de todos los estudios acerca de
esta doctrina del acto, considerando su
diverso valor y las principales aportaciones de cada uno de ellos; e intenta asimismo, teniendo en cuenta el problema
de la gnesis y evolucin de sus obras,
analizar todos los textos en los que aparecen estas nociones estudiadas, para
hacer una interpretacin sistemtica y
unitaria de las expresiones energeia y
entelecheia en el Corpus Aristotelicum.
En la primera parte de la obra
acomete la labor de mostrar que tal
procedimiento unitario no es invalidado por una supuesta evolucin de tales
trminos, puesto que la doctrina del
acto, en todas sus dimensiones, est
presente ya desde el inicio de la especulacin de Aristteles, cuando an
estaba en la Academia de Platn.
La tesis central de la obra elaborada en la segunda parte es la del
triple sentido del acto: movimiento,
forma (sustancia) y operacin. Tal tesis
no es, segn afirma el autor (p. 29), un
a priori, sino resultado de la lectura y
estudio de los textos.
Comienza esta segunda parte (c.
4) con una consideracin del sentido
ms general de energeia contrapue-

380

sto a la potencia (dynamis) , para


pasar despus a analizar cada uno de
los tres mencionados sentidos: el movimiento (c. 5), la forma (c. 6) y la operacin (c. 7). En el c. 8 se hace un anlisis de la aplicacin que este tercer sentido (operacin) tiene en la teologa
aristotlica, para acabar esta segunda
parte con un ltimo captulo, el 9, en el
que recoge otros diversos pasajes en
los que aparecen estas expresiones, de
modo que se cumpla el objetivo que se
haba propuesto de analizar todos los
textos en los que estn presentes las
expresiones que trata de estudiar.
Acaba la obra (c. 10) con una
consideracin global del sentido ltimo
que tiene el descubrimiento aristotlico
del acto, exponiendo la interpretacin
que L. Polo hace de esta doctrina aristotlica del acto.
La obra resulta sin duda interesante para cualquier estudioso de
Aristteles, por la exhaustividad del
anlisis de los textos aristotlicos y de
las principales interpretaciones, y por
la indudable relevancia de la propia
propuesta de Yepes sobre la diferenciacin de los sentidos del acto. Pero por
esta misma exhaustividad puede ser
difcil de seguir para quien se acerque a
ella sin un buen conocimiento del pensamiento del Estagirita.
M. PREZ DE LABORDA

Pubblicazioni ricevute
AA. VV., Ripensare Agostino: interiorit e intenzionalit (a cura di L. Alici, R.
Piccolomini, A. Pieretti), Studia Ephemeridis Augustinianum, Roma 1993.
A A . V V ., The Past and the Present: Problems of Understanding. A
Philosophical and Historical Enquiry, Grandpont House, Oxford 1993.
Luigi ALICI, Presenza e ulteriorit, Edizioni Porziuncola, Assisi 1992.
ARISTOTELE, Metafisica. Edizione maggiore rinnovata, in 3 voll., con Saggio
introduttivo, testo greco con traduzione a fronte e commentario a cura di G. Reale,
Vita e Pensiero, Milano 1993.
Juan Cruz CRUZ, Libertad en el tiempo. Ideas para una teora de la historia,
Eunsa, Pamplona 1993.
Manuel FONTAN, El significado de lo esttico. La Crtica del Juicio y la filosofa de Kant, Eunsa, Pamplona 1994.
Umberto GALEAZZI, Ermeneutica e Storia in Vico. Morale, diritto e societ
nella Scienza Nuova, Japadre, LAquila 1993.
Antonio GALVANI, La danza del paradosso, Villa Verucchio 1993.
Jos ngel GARCIA CUADRADO, Hacia una semntica realista. La filosofa del
lenguaje de San Vicente Ferrer, Eunsa, Pamplona 1994.
Daniel INNERARITY, Hegel y el romanticismo, Tecnos, Madrid 1993.
Luigi PAREYSON, Prospettive di filosofia contemporanea, Mursia, Milano 1993.
Leonardo POLO, Curso de teora del conocimiento, IV (primera parte), Eunsa,
Pamplona 1994.
Armando RIGOBELLO, Oltre il trascendentale, Fondazione Ugo Spirito, Roma
1994.
F.W.J. SCHELLING, Lecciones muniquesas para la historia de la filosofa moderna, trad. Luis de Santiago Guervos, Edinford, Mlaga 1993.
Orlando TODISCO , Parola e verit. Agostino e la filosofia del linguaggio,
Anicia, Roma 1993.

381

Indice del vol. 3 (1994)

Editoriale: Un dovere di gratitudine

p. 197

Studi
GABRIEL CHALMETA
Il principio personalista

p.

NICOLAS GRIMALDI
Dieu dans la philosophie de Descartes

p. 201

JOS LUIS FERNA NDEZ


Dios en la filosofa de Malebranche

p. 227

DANIEL GAMARRA
J. G. Fichte: laffermazione dellassoluto

p. 247

MICHELE MARSONET
Logica e ontologia nella filosofia analitica

p. 27

RAFAEL MARTINEZ
Il significato epistemologico del caso Galileo

p. 45

ARMANDO RIGOBELLO
Dio nella modernit: Husserl

p. 271

LUIS ROMERA
Dio e la questione dellessere in Heidegger

p. 287

IGNACIO YARZA
La razionalit dellEtica Nicomachea

p. 75

Note e commenti
RAU L ECHAURI
Sobre el origen del ser y la nada

p. 315

DANIEL INNERARITY
Filosofa como arte y experiencia de la vida

p. 327

ANTONIO MALO
Tre teorie sulle emozioni (I parte)
(II parte)

p. 97
p. 339

JOS MIGUEL ODERO


Filosofa de la religin en Kant

p. 113

FRANCESCO RUSSO
La spiritualit della persona come autotrascendenza

p. 127

382

JAVIER VILLANUEVA
Intorno al body-mind problem

p. 135

Cronache di filosofia
Storia della logica (R. JIMNEZ CATAO)

p. 144

Gli studi su Xavier Zubiri (J. VILLANUEVA)

p. 145

Libert e morale (F. RUSSO)

p. 146

La verit scientifica (J.J. SANGUINETI)

p. 353

Recensioni
AA. VV., Filosofia e democrazia in Augusto del Noce (M.A. Ferrari)

p. 361

AA.VV., Estudios sobre la Centesimus annus (E. Colom)

p. 157

ARISTOTELE, Metafisica, a cura di G. Reale (M. Prez de Laborda)

p. 363

A. CRESCINI, Lenigma dellessere (J.J. Sanguineti)

p. 366

R. CUBEDDU, Il liberalismo della Scuola Austriaca (R. Crespo)

p. 160

A. DEL NOCE, Da Cartesio a Rosmini e Filosofi dellesistenza e


della libert (P. Armellini)

p. 162

P. DONATI, La cittadinanza societaria (G. Chalmeta)

p. 369

E. FORMENT, Lecciones de metafsica (J.J. Sanguineti)

p. 166

S. NANNINI, Cause e ragioni (J.J. Sanguineti)

p. 371

J.M. ODERO, La fe en Kant (D. Gamarra)

p. 169

L. PAREYSON, Dostoevskij (F. Russo)

p. 175

J. PIEPER, Qu significa sagrado? (J. Villanueva)

p. 177

L. POLO, Teora del conocimiento (vol. IV) (J.A. Garca Gonzlez)

p. 374

G. SAVAGNONE, Theoria (J.J. Sanguineti)

p. 180

Schede bibliografiche
AA.VV., The Past & the Present (S.L. Brock)

p. 377

AA. VV., Metafisica e teologia civile in Giambattista Vico (F. Russo)

p. 183

S. AZZARO, Politica e storia in Fichte (A. Livi)

p. 183

E. BRITO, Filosofia della religione (D. Gamarra)

p. 185

383

G. CHALMETA (a cura di), Crisi di senso e pensiero metafisico


(M. Prez de Laborda)

p. 186

J. HABERMAS, Il pensiero post-metafisico (A. Livi)

p. 187

R. JIMNEZ CATAO, Octavio Paz: potica del hombre (J.P. Maldonado)

p. 188

I. MANCINI, Come leggere Maritain (J. M. Burgos)

p. 378

R. YEPES STORK, La doctrina del acto en Aristteles (M. Prez de Laborda)

p. 379

384

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