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Universit di Parigi XI
differenti parti del mondo sono collegate dalla televisione, dalla radio e dalla musica, i
programmi siano americani e che se si elaborano dei valori comuni siano dei valori nei quali gli
americani si riconoscono. E chiaro per lui che ci che buono per gli Stati Uniti buono per il
mondo. Gli americani, conclude, non devono negare il fatto che, di tutti i popoli nella storia
del mondo, il loro che il pi giusto, il pi tollerante, il pi desideroso di rimettersi in
questione e di migliorarsi in permanenza, ed il modello migliore per l'avvenire.
Ma questo trionfo del imperialismo culturale dellimpero sarebbe il multiculturalismo di cui il
melting pot americano offre precisamente l'esempio.
Per i turiferari della mondializzazione felice, il trionfo su scala planetaria dell'economia di
mercato e del pensiero unico, lungi dallo stritolare le culture nazionali e regionali,
comporterebbe un'impareggiabile offerta di diversit, corrispondente a una crescente
domanda di esotismo. La societ globale si realizzerebbe conservando i valori fondamentali
della modernit: i diritti dell'uomo e la democrazia. In effetti, nelle grandi metropoli il libero
cittadino pu apprezzare tutte le cucine del mondo nei ristoranti etnici; ascoltare musiche
molto diverse (folk, afro-cubana, afro-americana...); partecipare alle cerimonie religiose di
svariati culti; incrociare persone di tutti i colori con abbigliamenti talvolta caratteristici. Questa
nuova diversit culturale mondializzata si arricchisce ulteriormente delle commistioni e degli
incroci incessanti provocati dalla mescolanza delle differenze. Da ci consegue l'apparizione di
nuovi prodotti, e tutto ci in quel clima di grande tolleranza che, in linea di principio, sarebbe
autorizzato da uno Stato di diritto laico. L'offerta culturale -proclamava Jean-Marie Messier, il
bulimico rappresentante francese delle transnazionali del multimediale (Vivaldi-Universal)- non
mai stata cos ampia e diversificata. (...) Per le generazioni future, la prospettiva non sar la
superproduzione americana, e nemmeno l'eccezione culturale alla francese, bens la differenza
delle culture, accettata e rispettata 1 . Curiosamente, questa posizione si riallaccia a quella di
certi antropologi, come Franco La Cecla (Il malinteso) e pi ancora Jean-Loup Amselle,
secondo cui, piuttosto che denunciare il predominio americano ed esigere quote che
garantiscano l'eccezione culturale, meglio comprendere che la cultura americana diventata
un operatore di universalizzazione in cui le nostre specificit possono riformularsi senza essere
perdute. Il vero pericolo non l'uniformazione: se esiste un effetto inquietante nell'attuale
mondializzazione, esso va individuato nel ripiegamento e nella balcanizzazione delle identit 2 .
Cos, dall'inconfutabile constatazione che le culture non sono mai pure, isolate e chiuse ma
vivono, al contrario, di scambi e di apporti continui; che peraltro un'americanizzazione totale
destinata all'insuccesso; che anche in un mondo anglicizzato e mcdonaldizzato le diversit di
linguaggio e di alimentazione si ricostituirebbero, ne deduce, a nostro avviso affrettatamente,
che il timore dell'uniformizzazione planetaria infondata. L'invenzione di nuove sotto-culture
locali e l'emergere di trib nelle nostre periferie eliminerebbero gli effetti dell'imperialismo
culturale. Questa posizione di fronte a una situazione nuova si ritrova parzialmente anche nei
libri recenti di alcuni amici 3 .
2. La crisi
Come il capitale al quale intimamente legata, la mondializzazione in realt un rapporto
sociale di dominio e di sfruttamento nella scala planetaria. Dietro lanonimato del processo, si
trascinati in una impresa, auspicata da certe persone, per i loro interessi, impresa che
presenta rischi enormi e pericoli considerevoli per tutti, particolarmente per i popoli del Sud del
mondo. La mondializzazione non positiva per tutto il mondo. Ci sono dei beneficiari e delle
vittime, i padroni e gli schiavi.
La crisi della societ globalizzata si manifesta in modo indissociabile sui piani economicosociale e politico-culturale.
A - Con la deregulation in tutti i paesi del mondo, con lo smantellamento delle
regolamentazioni nazionali, non vi pi alcun limite alla riduzione dei costi e al circolo vizioso
suicida. un vero e proprio gioco al massacro tra individui e tra popoli, a spese della natura.
Gli effetti perversi del libero scambio sono sopratutto sensibili nei paesi del Sud. I paesi meno
avanzati (P.M.A : Pays pas moyen avancer comme on dit au Bnin...) hanno tutto da perdere
all'apertura senza precauzione dei loro mercati. Ne risultano disuguaglianze e ingiustizie
insopportabile. Se esiste un impero, si tratta del impero del caos (Ramonet, Joxe).
Le ingiustizie pi evidenti sono le ingiustizie sociali e le ingiustizie ecologiche.
1) Ingiustizie sociali
Le disuguaglianze crescenti tanto tra il Nord e il Sud, quanto allinterno di ciascun paese
sono sintomi dell'ingiustizia globale. La polarizzazione della ricchezza tra le regioni e tra gli
individui raggiunge infatti livelli insoliti. Secondo lultimo rapporto del PNUD, se la ricchezza del
pianeta si moltiplicata di sei volte dopo il 1950, il reddito medio degli abitanti di 100 dei 174
paesi censiti in piena regressione e anche laspettativa di vita. Le tre persone pi ricche del
mondo hanno una fortuna superiore al PIL totale dei 48 paesi pi poveri! Il patrimonio dei 15
individui pi fortunati supera il PIL di tutta lAfrica subsahariana. Infine, i beni delle 84 persone
pi ricche supera il PIL della Cina con il suo 1miliardo e 200 milioni di abitanti!
2) Ingiustizie ecologiche
La nostra sovracrescita economica supera gi largamente la capacit di carico della terra. Se
tutti gli abitanti del mondo consumassero come lamericano medio, i limiti fisici del pianeta
sarebbero largamente superati 4 . Se si prende come indice del peso ambientale del nostro
stile di vita limpronta ecologica di questo sulla superficie terrestre necessaria, si ottengono
risultati insostenibili sia dal punto di vista dellequit rispetto ai diritti di prelievo sulla natura,
sia da quello della capacit di rigenerazione della biosfera. Se si considerano i bisogni di
materiali e di energia necessari per assorbire i rifiuti e gli scarti della produzione e dei consumi,
e a ci si aggiunge limpatto ambientale e delle infrastrutture necessarie, i ricercatori che
lavorano per il World Wide Fund (WWF) hanno calcolato che lo spazio bioproduttivo
dellumanit di 1,8 ettari a testa, mentre un cittadino degli Stati Uniti consuma in media 9,6
ettari, un canadese 7,2, un europeo medio 4,5. Siamo dunque molto lontani dalluguaglianza
planetaria e pi ancora da uno stile di civilizzazione sostenibile che dovrebbe limitarsi a 1,4
ettari, ammesso che la popolazione attuale resti stabile 5 . Queste cifre si possono discutere, ma
esse sono sfortunatamente confermate da un numero considerevole di indici (che daltra parte
sono serviti a stabilirle).
Queste disuguaglianze e ingiustizie globali sono il terreno pi favorevole allo sviluppo del
terrorismo.
B - Non si deve nascondersi il fallimento completo della globalizzazione culturale e del
progetto universalistico occidentale. Dopo cinquant'anni di occidentalizzazione economica e
culturale del mondo, ingenuo e in malafede recriminare sui suoi effetti perversi. Dovunque
nel mondo si massacra allegramente e gli stati si disfano in nome della purezza della razza o
della religione.
Ci sono tutte le ragioni per pensare che questo effetto di ritorno dell'etnocentrismo dal Sud
e dall'Est in fondo rigorosamente proporzionale alla segreta violenza implicita nella
imposizione della norma universalista occidentale. Come se, dietro l'apparente neutralit del
mercato, delle immagini e del formalismo giuridico, numerosi popoli percepissero di riflesso un
etnocentrismo paradossale, un etnocentrismo universalista, l'etnocentrismo del Nord e dell
Ovest, tanto pi devastante in quanto consiste in una negazione ufficiale radicale di ogni
pertinenza delle differenze culturali. E che non vede nella cultura se non il segno di un passato
da abolire definitivamente.
Basta dare un'occhiata sulla stampa quotidiana occidentale per rendersi conto
dell'etnocentrismo feroce del 90% di tutte le notizie, non solo attraverso i servizi giornalistici
ma anche negli articoli di fondo 6 ."
Ci si cosi chiusi in un manicheismo sospetto e pericoloso: etnicismo o etnocentrismo,
terrorismo identitario o universalismo cannibale.
Questo dibattito sull'etnocentrismo tanto pi attuale quanto pi i problemi di diritto da
dirimere fanno irruzione nella nostra quotidianit, dal chador o velo islamico all'escissione,
dal montare del razzismo alla ghettizzazione delle periferie.
Jean-Marie Messier, prsident-directeur gnral de Vivendi Universal, Vivre la diversit culturelle Le Monde du
10/04/2001.
Telle est du moins la lecture rductrice de Nicole Lapierre, L'illusion des cultures pures compte rendu de l'ouvrage de
Jean-Loup Amselle Branchements. Anthropologie de l'universalit des cultures (Flammarion, 2001), Le Monde du 4
mai 2001.
Penso a Eccessi di culture di Marco Aime (Giulio Einaudi editore, Torino 2004) e a Henri Panhuys, La fin de
l'occidentalisation du monde, non a caso sottotitolato De l'unique au multiple, L'Harmattan, Paris, 2004.
Si trover una bibliografia esaustiva dei rapporti e dei libri. sul tema dopo il famoso rapporto del Club di Roma, in
Andrea Fasullo, Il pianeta di tutti - Vivere nei limiti perch la terra abbia un futuro - Bologna 1998.
Ethique et agro-industrie. Main basse sur la vie, L'Harmattan, Paris 1996, p. 97.
Bien rsum ainsi par Christian Laval, L'ambition sociologique. La dcouverte/MAUSS, 2002. p. 427
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Mditation europenne aprs un demi-millnaire, in 1492-1992, Conqute et vangile en Amrique Latine. Questions
pour l'Europe aujourd'hui, Acte du colloque de L'universit catholique de Lyon, Profac, Lyon 1992. p.50.