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Il bacino idrografico delimitato dallo spartiacque che pu essere definito come la linea pi elevata
separante il bacino imbrifero dai bacini contermini, unendo le massime quote relative secondo la
minore pendenza.
Per tracciare lo spartiacque si considerano le curve di livello (o isoipse) di una carta topografica, se
ne individuano i picchi e si uniscono con una linea, sempre perpendicolare alle curve di livello,
secondo il versore di minima pendenza. Per chiudere lo spartiacque principale sulla sezione di
chiusura prescelta, da tale sezione ci si muove seguendo la massima pendenza, sempre
ortogonalmente alle curve di livello, finch non si raggiunge uno spartiacque secondario che infine
riporta su quello principale. Un tale modo di procedere risulta idoneo solo nel caso di bacini
naturali, mentre, nei casi in cui le opere di regimazione e di canalizzazione artificiale hanno
modificato il naturale deflusso delle acque, si devono seguire criteri diversi e spesso non basta
l'utilizzo della sola cartografia. In genere per bacini di medie dimensioni si pu lavorare su
cartografia in scala 1:25.000.
la sezione di chiusura del bacino) generalmente non coincide con quello topografico e pu essere
determinato solo tramite indagini idrogeologiche.
Il tempo di risposta caratteristico del bacino dato dall'intervallo temporale trascorso fra l'inizio
dell'evento di precipitazione e l'arrivo del colmo di piena alla sezione di chiusura, dipendente dalle
dimensioni del bacino, dallo sviluppo del reticolo idrografico, dal regime fluviale, ecc. Il tempo di
ritardo idrologico in un bacino viene, invece, rappresentato dall'intervallo temporale che separa il
baricentro dell'idrogramma di piena (depurato della portata di base che sarebbe defluita nel corso
d'acqua anche in assenza dell'evento), da quello del pluviogramma netto, ovvero decurtato della
parte di pioggia persa per assorbimento e infiltrazione, mentre si parla di tempo di picco per
individuare il momento in cui si raggiunge il colmo della piena.
Esistono numerose espressioni che legano tali parametri temporali con i cosiddetti parametri
geomorfici del bacino, descritti nei paragrafi seguenti, il cui utilizzo per la modellizzazione dei
fenomeni di trasformazione afflussi-deflussi e formazione della piena trattato nel cap. 5.
[1.1]
il fattore di circolarit (Miller)
[1.2]
il rapporto di allungamento
[1.3]
Un fattore di forma dato anche dal rapporto fra la lunghezza L della linea d'impluvio principale e
il diametro della circonferenza che racchiude una superficie equivalente all'area del sistema
idrografico considerato.
Il rapporto o fattore di circolarit il rapporto tra l'area A del bacino e l'area del cerchio di uguale
perimetro P.
Il coefficiente di uniformit il rapporto 1/
tra il perimetro P del bacino, la circonferenza del
cerchio di uguale area S e la lunghezza L dell'asta fluviale principale.
Il rapporto di allungamento il rapporto tra il diametro del cerchio di uguale area A e la lunghezza
L dell'asta fluviale principale.
Tali indici di forma sono legati fra di loro e mostrano quanto la forma del bacino differisca da
quella di un cerchio.
1.1.3.3 Rilievo
L'andamento altimetrico di un bacino pu essere descritto dalla curva ipsografica, che si ottiene
riportando in un diagramma cartesiano i punti le cui ordinate e ascisse rappresentano
rispettivamente la quota e la superficie totale delle porzioni di bacino che si trovano a quote
superiori a questa (Fig. 1.3).
La forma di tale curva d delle indicazioni circa il grado di evoluzione del bacino.
Da essa possibile ricavare la quota media del bacino, nonch determinare l'altezza media (altezza
corrispondente alla linea di compenso della curva) e l'altezza mediana (altezza alla quale
corrisponde nella curva la met della superficie del bacino).
Un altro parametro caratteristico, che prende il nome di rilievo, la differenza tra la quota del punto
pi elevato dello spartiacque e quella della sezione di chiusura.
[1.4]
Il metodo del reticolato consiste invece nel sovrapporre un reticolato a maglie quadrate alla
rappresentazione topografica del bacino, misurare in corrispondenza di ogni nodo del reticolato la
minima distanza intercorrente tra due curve di livello, calcolare il rapporto tra la differenza di quota
tra le due isoipse e tale distanza minima, ottenendo cos una pendenza locale. La media aritmetica
delle pendenze locali sar la pendenza media del bacino.
Tramite l'approccio a parametri distribuiti possibile analizzare l'acclivit di un bacino elaborando
il raster delle quote. infatti possibile calcolare per ciascuna cella del raster una pendenza data dal
seno dell'angolo che forma il vettore di massima pendenza di un piano interpolante le otto celle
circostanti quella in esame con la sua proiezione sul piano orizzontale, ottenendo cos un raster
delle pendenze (Fig. 1.6).
Dal raster cos ottenuto si pu determinare la pendenza media del bacino.
Oltre a questi indici, il cui calcolo risulta piuttosto oneroso se non addirittura proibitivo senza
l'ausilio di un elaboratore elettronico, se ne hanno altri.
Il pi semplice il rapporto tra il rilievo del bacino prima definito e la lunghezza dell'asta principale
(indicato con i1 in Fig. 1.5).
Un altro dato dalla pendenza della retta di compenso che individua, intersecando la curva del
profilo longitudinale del corso d'acqua, un'area sovrastante ed una sottostante uguali fra di loro
(indicata con i2 in Fig. 1.5).
Un altro indice ancora il rapporto di rilievo dato dal rapporto fra il valore medio della differenza
di quota tra i diversi punti dello spartiacque e la sezione di chiusura e, al solito, la lunghezza L
dell'asta principale.
Figura 1.5 - Calcolo semplificato della pendenza media di un bacino sulla base del profilo
longitudinale
Figura 1.6-Raster delle pendenze del comprensorio del Servizio Idrografico Mareografico di Pisa
1.1.3.5 Altre caratteristiche del bacino
Oltre alle caratteristiche propriamente geomorfiche interessano altre propriet di un bacino.
Ad esempio l'esposizione che pu essere calcolata in modo distribuito per ciascuna cella quadrata in
cui viene suddiviso il bacino come l'angolo formato con la direzione Sud-Nord dalla proiezione sul
piano orizzontale del vettore di massima pendenza del piano interpolante le otto celle circostanti
quella in esame; al solito, la media aritmetica dei valori di esposizione di ciascuna cella d
l'esposizione media dell'intero bacino.
Risulta, inoltre, importante definire la geologia, la pedologia e l'uso del suolo del bacino idrografico
al fine di ricavarne le caratteristiche idrologiche che governano i processi di trasformazione afflussi
- deflussi.
Ci limitiamo qui ad elencare alcune delle caratteristiche, che, insieme alle suddette e a quelle
relative al reticolo idrografico descritte nei paragrafi successivi, consentono un'analisi completa del
bacino idrografico, come trattato nel cap. V:
Per ogni bacino idrografico esiste una relazione fra il numero dei rami fluviali (Nu) aventi un certo
ordine e l'ordine (u) stesso: in genere il valore del primo diminuisce all'aumentare del secondo.
L'organizzazione della rete idrografica e quindi il suo grado di gerarchizzazione possono essere
espressi mediante parametri quantitativi (Horton, 1945; Strahler, 1958).
Il parametro di base il rapporto di biforcazione Rb che esprime il rapporto fra il numero di
segmenti fluviali di un certo ordine ed il numero dei segmenti dell'ordine immediatamente
successivo. Studi condotti su reticoli idrografici diversi indicano che in una regione a clima
uniforme, caratterizzata da uniforme struttura geologica e sviluppo in ogni sua parte, il rapporto di
biforcazione tende a rimanere costante passando da un ordine al successivo.
Vale pertanto quella che viene comunemente definita prima legge di Horton: "Il numero di aste
fluviali di ordini via via pi bassi, in un dato bacino, tende a formare una serie geometrica che
inizia con un singolo segmento dell'ordine pi elevato e che aumenta secondo un rapporto di
biforcazione costante".
Pertanto, una volta ordinato il reticolo, possibile definire il rapporto di biforcazione tra l'ordine u
e quello u+1 come:
. [1.1]
Horton ha osservato che Rb costante al variare dell'ordine e tipicamente varia tra 3 e 5.
Considerando invece la lunghezza media delle aste di un certo ordine
[1.2]
si ottiene il rapporto fra le lunghezze
. [1.3]
Sempre Horton ha osservato che RL costante al variare dell'ordine e compreso tra 1.5 e 3.35.
In analogia, si definisce anche il rapporto fra le aree RA come:
[1.4]
che risulta in genere compreso tra 3 e 6.
Esistono anche altre leggi analoghe alla prima: la seconda e la terza legge di Horton relative,
rispettivamente, alle lunghezze delle varie aste ed alle aree dei sottobacini, unaltra legge di Horton
relativa alla pendenza media delle aste e una legge di crescita allotropica.
I rapporti di biforcazione, lunghezza e area possono essere ricavati, dopo aver acquisto ed ordinato
il reticolo secondo Strahler, sulla base di regressioni esprimenti le seguenti relazioni:
[1.5 a,b,c]
dove:
U = ordine massimo del reticolo
Nu = numero delle aste di ordine u
= lunghezza media delle aste di ordine u
= area media sottesa da aste di ordine u
Dal rapporto di biforcazione sono stati successivamente definiti anche altri parametri per una
determinazione pi completa del grado di gerarchizzazione (Avena et al.,1967):
Infatti, maggiore il numero d'ordine assegnato ad un bacino e maggiore sar l'articolazione del suo
sviluppo e pi regolare, a parit di dimensioni, la sua forma. , infatti, improbabile che un bacino
stretto e allungato abbia un corso d'acqua principale contraddistinto da un numero d'ordine
superiore a quello dell'asta principale di un altro corso d'acqua della stessa lunghezza che si forma
in un bacino di forma pi regolare. Un numero d'ordine basso sar caratteristico di un ramo
tributario montano, mentre un numero d'ordine elevato sar caratteristico di un ramo di valle (Fig.
1.7).
La Fig. 1.8 mostra l'andamento di alcuni parametri geomorfici, su di un piano semi-logaritmico, al
variare del numero d'ordine u del reticolo idrografico: al crescere di u (ovvero del grado di sviluppo
del reticolo) maggiore sar l'estensione A del bacino idrografico e la lunghezza complessiva L del
reticolo stesso (nonch la larghezza dell'alveo principale e la portata da esso convogliata), mentre
minore sar il numero n di affluenti tributari e minore la pendenza s dell'alveo.
Fig. 1.8 - Relazioni tra numero d'ordine u del reticolo idrografico e (1) estensione A del bacino
idrografico, (2) lunghezza complessiva L del reticolo stesso, (3) numero n di affluenti tributari e (4)
pendenza s dell'alveo.
Si definisce inoltre la densit di drenaggio di una bacino idrografico come:
[1.6]
dove LT la lunghezza totale del reticolo ed A l'area del bacino. Il valore della densit di drenaggio
molto sensibile alla scala della cartografia di base utilizzata.
Fig. 1.9 - Reticolo idrografico della Sieve gerarchizzato e con gli ordini delle aste distinti per
spessore
Il numero totale delle aste di primo ordine n un altro parametro che caratterizza l'organizzazione
del reticolo fluviale. Un bacino analogo al precedente pu essere composto (facendo riferimento
alla stessa rappresentazione cartografica) da alcune decine di migliaia di aste di primo ordine.
La frequenza delle aste di primo ordine Fa il rapporto tra il numero delle aste di primo ordine e la
superficie del bacino.
La densit di drenaggio D (in km/kmq) data dal rapporto tra la somma delle lunghezze delle linee
di impluvio di un sistema di idrografico e la sua superficie di drenaggio; il rapporto inverso detto
coefficiente di drenaggio.
Un altro indice della densit di drenaggio si pu determinare sovrapponendo al bacino una griglia
ortogonale a maglie quadrate e contando il numero totale di incroci dei lati della griglia con le aste
fluviali in modo tale da poter calcolare il rapporto tra il numero di questi incroci e la lunghezza
totale dei lati della griglia compresi nel bacino.
La densit di drenaggio, esprimendo sostanzialmente la lunghezza media delle linee di impluvio per
unit di superficie, assume valori pi elevati nei territori 'impermeabili', dove, come gi detto, il
reticolo idrografico si presenta pi sviluppato. I fattori principali che controllano la densit di
drenaggio sono il tipo litologico, la permeabilit locale, la presenza e il tipo di copertura vegetale.
Anche la frequenza di drenaggio Fd, data dal rapporto fra il numero totale delle linee di impluvio e
la superficie del bacino, mostra valori pi alti in corrispondenza di rocce impermeabili.
Indicando con l la lunghezza media dei segmenti fluviali compresi tra due confluenze successive ed
n il numero di aste fluviali del primo ordine, comprese cio tra ciascun punto pi estremo di monte
e la prima relativa confluenza, si ha che il prodotto l n1/2 appare molto meno sensibile alla scala
cartografica di quanto non lo siano l ed n presi singolarmente. Melton ha ricavato nel 1958
operando una regressione con elevato coefficiente di correlazione sui dati di 156 bacini americani
molto diversi fra loro per clima, superficie, uso e copertura del suolo, la relazione:
F = 0.69 D2 [1.1]
dove D la densit di drenaggio del bacino ed F la frequenza delle aste Hortoniane, espressa per
le reti asintotiche da F=(4/3)(n/A).
Esistono legami tra l, A, D ed N, e, inoltre a volte si utilizzano le approssimazioni 0.69 2/3, Rb=2,
N 2n, con N numero totale di segmenti fluviali.
Si ha poi il gradiente di pendio, dato dal rapporto tra il dislivello dei nodi e la lunghezza di ciascuna
asta fluviale; il suo valore medio calcolato su tutto il reticolo idrografico, pu risultare di ausilio
nell'analisi dell'acclivit del bacino.
Uno degli scopi della morfometria fluviale quello di ricavare delle informazioni quantitative
relative alla geometria di un sistema fluviale che possano essere messe in correlazione con
informazioni idrografiche, come ad esempio nel caso della relazione di tipo esponenziale tra la
portata in una sezione di un corso d'acqua e l'area della porzione di bacino contribuente al deflusso
nella sezione medesima.
Esso strettamente legato ai cicli dell'energia e del trasporto delle sostanze minerali ed interessa
l'acqua presente negli oceani, sulla superficie terrestre, all'interno del suolo e del sottosuolo e in
atmosfera. Il lavoro necessario per la messa in movimento delle particelle d'acqua nel ciclo
idrologico fornito, sostanzialmente, da due sorgenti di energia (la radiazione solare e la forza di
gravit) che assicurano, con la loro conservazione, la regolarit e l'equilibrio del ciclo globale.
L'acqua trasportata in un sistema chiuso costituito dalla terra e dall'atmosfera, all'interno del quale
cambia stato da liquido a gassoso o solido e viceversa. Ogni goccia d'acqua segue un percorso dagli
oceani all'atmosfera alla terra, attraverso movimenti di superficie e sotterranei. I principali processi
fisici in gioco sono l'evaporazione, la condensazione le precipitazioni, l'infiltrazione ed i deflussi.
La precipitazione che raggiunge la superficie del suolo all'inizio di un evento meteorico , in parte,
trattenuta dalla vegetazione per intercettazione vegetale ed, in parte, dalle depressioni o piccoli
invasi superficiali. Al proseguire dell'evento la superficie del suolo viene ricoperta da un sottile
strato d'acqua, secondo un fenomeno di tipo transitorio (detenzione superficiale), che scorre fino a
raggiungere il reticolo idrografico (scorrimento superficiale), determinando la formazione del
deflusso superficiale. In ognuna di queste fasi (soprattutto in quella di invaso superficiale), l'acqua
pu infiltrare nel suolo, facendone variare il contenuto idrico ovvero l'umidit. Una parte dell'acqua
di infiltrazione torna in atmosfera per effetto dellevapotraspirazione, un'altra parte torna in
superficie per effetto dell'assorbimento capillare ed il resto raggiunge le acque sotterranee. Le
acque infiltrate nel terreno possono riemergere in superficie tramite il deflusso ipodermico o quello
sotterraneo. Le precipitazioni variano enormemente da luogo a luogo ed il volume d'acqua che
raggiunge il suolo in funzione dell'intensit di precipitazione, della copertura vegetale, della
pendenza, della capacit di infiltrazione, della permeabilit e del contenuto iniziale di umidit.
Intensit di pioggia moderate possono essere pi efficaci nella penetrazione nel suolo, soprattutto
quando esso poroso. Piogge leggere vengono rapidamente perse per evaporazione, mentre elevate
intensit, pi alte della capacit di assorbimento del suolo, si accumulano sulla superficie e scorrono
su di essa portando a condizioni pericolose di erosione e di dissesto idrogeologico in genere.
1.2.2 Le grandezze del ciclo idrologico
Nella Fig. 1.11 si riporta una descrizione grafica del ciclo idrologico, da cui si osserva che la
precipitazione dell'acqua sul suolo pu avvenire sotto forma di pioggia, neve o grandine (un
apporto pu essere dato dalla rugiada e dalla brina che condensano direttamente sul suolo). Le
prime due forme di precipitazione sono le pi importanti mentre la terza incide solo per una piccola
percentuale. Durante la precipitazione una parte dell'acqua evapora nuovamente prima di
raggiungere il suolo. L'acqua che raggiunge il suolo pu essere trattenuta dalla vegetazione,
infiltrarsi nel suolo, evaporare o scorrere in superficie. Sempre in Fig. 1.11 sono riportati i principali
sistemi di misurazione delle quantit che prendono parte al ciclo idrologico (i cosiddetti dati
idrologici trattati nel Cap. IV). Si riconoscono la misura della precipitazione sia essa nevosa
(spessore e densit del manto di neve) che sotto forma di pioggia, del livello idrometrico nei corsi
d'acqua e quindi della portata, del livello piezometrico dell'acqua in falda. Alcune delle stazioni di
misura rilevano anche altri parametri climatico-idrologici come evaporazione, temperatura
(dell'aria e del suolo), umidit (relativa dell'aria e contenuto idrico del suolo), velocit e direzione
del vento, radiazione solare incidente, pressione barometrica.
[1.12]
dove V=V(t) il volume d'acqua immagazzinato nel volume di controllo, Qu=Qu(t) quello entrante
e Qe=Qe(t) quello uscente.
Linsieme dei processi alla base del ciclo idrologico rappresentato nello schema a blocchi di Fig.
1.10 (da Moisello, 1985), in cui i blocchi schematizzano forme di accumulo dellacqua, mentre le
linee rappresentano i singoli processi che trasferiscono lacqua da una forma di immagazzinamento
allaltra. La parte del ciclo idrologico che rappresenta la trasformazione afflussi - deflussi (cfr. Cap.
V) che si verifica nel bacino idrografico compresa nel contorno tratteggiato. La precipitazione (P),
proveniente dallatmosfera, va alla superficie del bacino (inclusa la copertura vegetale) ed in parte
direttamente alla rete drenante. Entrambi questi blocchi alimentano il ritorno dacqua allatmosfera
tramite levaporazione (E). Il blocco del suolo alimenta anchesso levaporazione, oltre che la
traspirazione (T) da parte della copertura vegetale con cui si ha altro ritorno di acqua allatmosfera,
lo scorrimento ipodermico (Qi) e la percolazione profonda o ricarica degli acquiferi (R). Il blocco
che rappresenta gli acquiferi alimenta lo scorrimento profondo, che si suddivide nello scorrimento
Qa che raggiunge la rete drenante interna al bacino (rappresentata dal blocco alimentato dallo
scorrimento superficiale Qs e lo scorrimento ipodermico Qi) e nello scorrimento Qa che raggiunge
la rete drenante esterna al bacino (a valle della sezione di chiusura del bacino). Nel caso in cui non
si verifichi la coincidenza fra spartiacque topografico e spartiacque freatico si pu avere anche uno
scorrimento profondo Qs dallesterno verso il blocco che rappresenta gli acquiferi. La rete drenante
scarica alla fine nelloceano, la cui superficie rialimenta lumidit atmosferica chiudendo il bilancio
idrologico.
Il volume fisico di ciascuno dei blocchi citati deve essere delimitato in modo che si possano definire
con chiarezza le quantit dacqua entranti ed uscenti (volume di controllo). Per ciascuno di tali
volumi deve valere lequazione di continuit dellidraulica, che esprime il principio della
conservazione della massa: in un assegnato intervallo di tempo la differenza tra la quantit dacqua
che entra nel volume di controllo e quella che ne esce deve uguagliare lincremento della quantit
accumulata nello stesso volume.
Nellimpostare lequazione di bilancio non importante conoscere gli scambi allinterno del
volume di controllo, ma sufficiente conoscere i flussi sulla superficie del volume di controllo
entranti (Qe) ed uscenti (Qu), la cui differenza dovr essere uguale alla variazione del volume di
fluido immagazzinato (Vi) nel volume di controllo.
[1.13]
Lequazione di continuit applicata al bacino idrografico prende il nome di equazione del bilancio
idrologico, che pu assumere forme diverse a seconda del volume di controllo considerato (Fig.
1.12, da Moisello, 1995), oltre che naturalmente dalle semplificazioni introdotte nella descrizione
dei fenomeni idrologici che hanno luogo nel bacino.
Ad esempio le equazioni di continuit scritte per il volume maggiore (con base coincidente con la
superficie di separazione tra il sottosuolo permeabile ed il sottostante strato impermeabile) e minore
(base coincidente con la superficie del suolo e con il fondo degli specchi dacqua) riportati in Fig.
1.12 , valgono:
P+Qs=Ea+Et+Ev+T+Q+Qa+ Vu+ Vr+ Vv+ Vd+ [1.14]
P+Qi+Qa=Ea+Et+Ev+F+Q+ Vr+ Vv+ Vd+ Va [1.15]
P: precipitazione
Qe: afflusso sotterraneo dallesterno agli acquiferi che si trovano nel sottosuolo del bacino
Ea: evaporazione dagli specchi dacqua e, durante le precipitazioni, dal velo dacqua che
ricopre il terreno
Et: evaporazione dal terreno
Ev: evaporazione dalla copertura vegetale (distinta dalla traspirazione e limitata ai periodi in
cui la vegetazione bagnata dalla pioggia)
F: infiltrazione attraverso il suolo
T: traspirazione, per cui la vegetazione preleva acqua dal suolo e la restituisce allatmosfera
Q: infiltrazione attraverso il suolo
Qi: deflusso ipodermico dal suolo alla rete idrografica del bacino
Qa: deflusso sotterraneo dagli acquiferi alla rete idrografica interna al bacino
Q"a: deflusso sotterraneo dagli acquiferi alla rete idrografica esterna al bacino
Vu: incremento del volume contenuto nel suolo sotto forma di umidit
Vr: incremento del volume contenuto nella rete idrografica
Vv: incremento del volume contenuto nella copertura vegetale (come acqua di costituzione
o come risultato dell'intercezione durante la pioggia)
Vd: incremento del volume contenuto nelle depressioni superficiali, in invasi e ghiacciai
(destinato a ridursi per infiltrazione o evaporazione)
Va: incremento del volume contenuto negli acquiferi del bacino.
Con la "chiusura" del bilancio si verifica la congruenza delle misure e delle stime delle varie
grandezze, oppure si calcolano le variabili idrologiche non misurate. I vari termini dellequazione
vengono espressi come volumi, spesso riferiti allunit di superficie (e quindi generalmente misurati
in [mm]) e nellunit di tempo considerato.
Nell'impostazione dei bilanci idrologici solitamente ci si limita, per semplicit a individuare i bacini
idrologici in base allo spartiacque topografico, tranne in casi particolari (per es. bacini di natura
carsica).
Il deflusso superficiale costituito da quella parte della precipitazione che scorre sulla superficie del
terreno, raccogliendosi poi nella rete idrografica. Esso contribuisce al deflusso in alveo, insieme al
deflusso sotterraneo, ed preminente durante la fase iniziale dei fenomeni di piena; nei periodi di
magra, invece, si ha un regime di 'esaurimento' e il deflusso dovuto quasi esclusivamente alle
risorgenze di falda (sorgenti ed emergenze di subalveo).
Durante una piena il deflusso superficiale dipende quasi esclusivamente dall'intensit di
precipitazione, dalla capacit di infiltrazione e dai caratteri morfologici del bacino imbrifero.
All'interno di un bacino idrografico si verificano fenomeni di erosione, trasporto e sedimentazione,
il cui principale veicolo l'acqua. Tali fenomeni sono determinati da meccanismi regolati da vari
fattori,, per esempio il fenomeno di erosione dipende da:
Esistono equazioni empiriche di carattere generale per la previsione dell'erosione a scala di bacino,
come ad esempio la USLE (Universal Soil Loss Equation) di Wischmeier e Smith e le sue versioni
modificate, che tengono conto dei principali fattori in gioco. Attualmente si ricorre a modelli
matematici pi complessi.
Esistono molti tipi di modelli che possono essere classificati secondo diversi criteri: modelli fisici
(di scala, analogici, di simulazione) oppure astratti (deterministici, aggregati e distribuiti o non
deterministici, probabilistici e stocastici), ecc.
Fra questi sono molto significativi e costituiscono oggetto di attivit di ricerca scientifica recente i
modelli a parametri distribuiti.
Con modelli di questo tipo si riescono ad analizzare le principali dinamiche che si verificano in un
bacino idrografico effettuando, a livello distribuito, un bilancio idrologico, un bilancio
sedimentologico ed un bilancio dell'inquinamento diffuso.
Adottando la schematizzazione spaziale a griglia (raster), possibile infatti attribuire ad ogni cella
le informazioni relative a morfologia del bacino, sviluppo del reticolo idrografico, caratteristiche
idrogeologiche del suolo, carico inquinante immesso, afflusso meteorico, ecc. che vengono
utilizzate nelle varie equazioni di bilancio e di trasferimento.
Per quanto riguarda il bilancio idrologico, ciascuna cella pu essere schematizzata come un insieme
di serbatoi fra loro comunicanti, detti volumi gravitazionale, capillare e profondo, il che permette,
sulla base di una trasformazione afflussi - deflussi (cfr. Cap. V), di stimare la precipitazione,
levapotraspirazione, lo scorrimento superficiale, l'infiltrazione nel suolo, il deflusso ipodermico, la
percolazione verso la falda, ecc., ottenendo una corretta interpretazione della risposta idrologica del
bacino.
Nel bilancio sedimentologico, si pu invece far riferimento ad un approccio del tipo USLE, gi
ricordato in precedenza, per la stima dell'erosione in ciascuna cella, utilizzando informazioni
preventivamente archiviate (caratteristiche geopedologiche, uso del suolo, ecc.) oppure elaborate
con il modello idrologico. Un'analisi cos condotta consente di valutare gli effetti indotti da
interventi realizzati o previsti (rimboschimenti, pratiche colturali, ecc.) sulla superficie del bacino o
nei corpi idrici ricettori (erosione, trasporto solido, interrimento di invasi, ecc.).
Utilizzando un modello idro-sedimentologico distribuito a scala di bacino possibile anche
effettuare un bilancio dell'inquinamento diffuso. Infatti le sostanze chimiche distribuite sul territorio
interagiscono nel suolo e sono veicolate dall'acqua e dalle particelle di terreno erose e quindi,
schematizzando opportunamente le interazioni inquinanti acqua - sedimenti e le dinamiche di
trasporto, si comprende come si possano ottenere importanti informazioni sulla qualit delle acque
superficiali e sotterranee. Ad esempio, sono possibili le seguenti applicazioni:
previsione, alla scala di bacino, della concentrazione di sostanze inquinanti nelle acque di
deflusso in risposta ad impulsi di precipitazione;
analisi e previsione dei rilasci di sostanze residue dai trattamenti agricoli (fertilizzanti,
pesticidi, ecc.), dilavate nei canali di bonifica (solute o fissate nei sedimenti in ragione della
natura chimica dei composti;
stima dei carichi eutrofici di corpi idrici;
controllo delle immissioni di sostanze nocive (solventi organoclorurati, metalli pesanti, ecc.
in acquiferi naturali, causate da scarichi o immissioni accidentali in pozzi, da discariche,
ecc.;
valutazione dell'efficacia di misure di prevenzione e di disinquinamento;
valutazione della vulnerabilit e del rischio di inquinamento dei corpi idrici superficiali o
profondi, spesso oggetto di approcci per lo pi naturalistici e descrittivi;