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1.

La geografia culturale
Introduzione
La cultura un terreno comune alle scienze umane e ogni disciplina affronta
lo studio di questo campo immenso secondo diversi punti di vista. Lo sguardo
del geografo non pu separare i gruppi dai territori che lo hanno organizzato
o nei quali vivono. La geografia umana studia la distribuzione degli uomini,
delle loro attivit e delle loro opere sulla superficie della Terra, cercando di
spiegare il modo in cui i gruppi si innestano sullambiente, lo sfruttano e lo
trasformano. La cultura che interessa i geografi, in particolare, prima di
tutto costituita dallinsieme degli strumenti, delle abilit e delle conoscenze
con cui i gruppi interagiscono con ci che li circonda. Un oggetto di studio
chiave per chi si interessa di geografia culturale poi il paesaggio, che reca
limpronta della cultura, delle attivit produttive degli uomini e dei loro sforzi
di adattare lambiente alle proprie necessit.
La svolta culturale nella Geografia
La geografia umana ha subito, nell'arco degli ultimi vent'anni, una mutazione
profonda, dovuta alle trasformazioni mondiali, alla globalizzazione, alle
minacce ecologiche che pesano sul nostro pianeta. Il mutamento
conseguenza anche dell'evoluzione delle idee. Si parla volentieri, a questo
proposito, di "svolta culturale". Per comprendere meglio la dinamica in atto,
doveroso comparare le principali idee che dominano e reggono la disciplina
attualmente.
Fino agli anni '70, i geografi hanno trattato fatti direttamente osservabili. Per
spiegarli ricorrevano a schemi interpretativi causali.
Nell'ottica naturalista prevalente alla fine del XIX secolo, il modello di
causalit al quale facevano ricorso era di tipo lineare: un fatto osservato in un
determinato istante era il risultato dell'azione di una forza agente in un istante
precedente. Il clima mediterraneo spiegava, cos, l'estensione dell'ulivo; il
deserto era responsabile della nascita del nomadismo.
I geografi misero a punto, nel corso della prima met del XIX secolo, un
insieme di metodi nuovi per far risaltare, partendo da dati grezzi, le
distribuzioni, considerate come fatti. Di solito, spiegavano e mettevano in
pratica schemi pi complessi delle relazioni causali. Sinteticamente,
possibile evidenziare le seguenti tendenze geografiche:
- La presa di coscienza dell'esistenza di strutture geografiche la cui stabilit
spesso stupefacente: per esempio, divisioni regionali, paesaggi agrari o
ambienti antropizzati. Si dimostra cos che queste strutture risultano
dall'azione di una pluralit di cause che derivano dal passato, interagenti tra
esse;
- A partire dal 1950, per interpretare le strutture osservate, si ricorsi all'idea
di sistema: le realt analizzate sono fatte di elementi tra i quali le interazioni
sono multiple. Esistono circuiti di retroazione, quindi, cause ed effetti sono
simultanei.

- In alcuni casi, le relazioni di causalit sono in qualche modo invertite:


affinch una popolazione dispersa fruisca di servizi sufficienti, bisogna che sia
organizzata secondo una gerarchia di luoghi centrali. Si definisce cos,
l'interpretazione funzionale.
La geografia che si sviluppa fino agli anni '70 si libera dai presupposti troppo
stretti dell'approccio ambientale della fine del XIX secolo e propone schemi
d'interpretazione pi elastici e complessi. Ma i geografi naturalisti dei primi
del '900 e quelli strutturalisti, funzionalisti o sistemici degli anni '50, '60, '70
hanno tutti un fondamento comune. Il loro scopo analizzare una realt data
oggettivamente, tutti si occupano di fatti geografici. Contemporaneamente,
rifiutano di considerare le percezioni e i processi mentali. Questo conduce a
studi freddi, impersonali, nei quali non si vede "vivere" la popolazione delle
regioni studiate e non ci si confronta con la loro diversit.
La svolta culturale, che si affaccia a partire dagli anni '70 e finisce per imporsi
negli anni '90, si basa su una visione allargata delle forme di causalit
operanti nel mondo: ci che ci circonda, vediamo o viviamo, non solamente
la risultante del gioco di forze passate o presenti, ma riflette i sogni che la
gente elabora per il proprio avvenire. Il mondo che noi vediamo costruito a
partire da decisioni umane. Le persone cercano di modellare l'ambiente in cui
vivono in funzione delle loro aspirazioni: non le subiscono passivamente.
Questo ci che l'approccio culturale sottolinea. La cultura fatta di pratiche,
tecniche, conoscenze ereditate, progetti. Lega l'istante presente a quei
precedenti e a quello che seguir. Da anche un senso alla vita di individui e
gruppi.
L'approccio culturale parte da un'altra visione del tempo: le forze passate e
presenti non sono le sole a intervenire: le proiezioni che individui e gruppi
sviluppano per il futuro contribuiscono a definirlo. E' dunque un altro tipo di
relazione causale che viene considerata e che si aggiunge a quelle gi
esplorate.
I progetti e i piani che animano gli individui non esistono, evidentemente, solo
nel presente. Si esprimono attraverso le rappresentazioni che gli uomini fanno
del futuro, le immagini che elaborano e i discorsi che tengono a questo
proposito.
I geografi apprendono anche a considerare parole, mappe mentali e
iconografie delle popolazioni che studiano. La geografia scopre il ruolo dei
discorsi e delle immagini.
La svolta culturale conduce anche i geografi a rompere definitivamente con il
positivismo. Con essa, non esitano pi ad interessarsi alla soggettivit degli
individui, ai saperi vernacolari di cui sono portatori e alla loro esperienza
vissuta. La geografia umana cessa di apparire come contrapposizione di
compartimenti: geografia economica, geografia politica, geografia urbana,
geografia rurale, ecc. Le realt di cui questa si occupa non sono consegnate
oggettivamente all'umanit: l'economia, la politica, la cultura, la societ sono
categorie costruite da uomini, culturalmente definite. Sono utili per l'azione
ma non sono date dalla natura. La divisione della geografia in economica,
politica, sociale ecc., riflette i valori e le prese di posizione delle societ dove
vivevano i ricercatori della prima met del XX secolo. Ha, pertanto, un valore

relativo. La ricerca deve diventare critica: non pu essere credibile se non


mettendo in evidenza la natura, l'origine e i presupposti del contesto di
riferimento.
Il mondo che scoprono i geografi oggi costruito dallo spirito umano. Allorch
parlano di Oriente, Balcani, Estremo Oriente, non disegnano entit eterne che
si imporranno per sempre agli osservatori. Le entit, ritagliate nel reale, sono
sempre cariche di soggettivit. Le azioni che vi si svolgono, si spiegano
sempre, in parte, con i progetti che gli uomini creano.
La svolta culturale fa sparire le divisioni pi o meno rigide, a poco a poco,
stabilitesi in seno alla disciplina: non si tratta pi di trasformare la geografia
culturale in un semplice inventario di tecniche ereditate dal passato e delle
lingue parlate nel mondo. Essa appare, invece, come il preambolo di tutti gli
interrogativi sulle realt che la disciplina cerca di apprendere.
Segue le traiettorie degli individui e mostra come evolvono le dinamiche di
socializzazione, in relazione agli incontri o ai discorsi in atto. L'approccio
culturale fa scoprire che lo spazio non la realt neutra e obiettiva alla quale
si fa riferimento: la sua natura cambia a seconda dei luoghi, qui profani, sacri
un po' pi lontano. E' attraverso l'analisi degli altri mondi, che gli individui
hanno cominciato a costruire, che si spiega la genesi di zone cariche di
grandiosit e potenza del sentimento religioso.
L'approccio culturale modifica e riavvicina tutti gli ambiti esplorati dalla
disciplina: non si tratta pi d'ignorare l'evidenza che il consumo
culturalmente costruito e che i modi di produzione sono, allo stesso tempo,
traduzione delle tecniche mobilitate e dei sistemi di valore e organizzazione
sociale; non pi questione di considerare gli stati, spazi oggettivamente
esistenti: la lezione di Jean Gottmann sul ruolo delle iconografie ormai
compresa; nello stesso tempo, l'analisi del potere sottolinea il ruolo delle
attitudini, aspettative e abitudini delle popolazioni, come dimostrano i lavori
pi recenti sulla governance. La geografia sociale non si limita
all'identificazione di classi che riflettono in modo pi o meno esatto
l'organizzazione economica di una societ; tende, piuttosto, a considerare
tutte le forme e le manifestazioni della socialit e s'interessa alle modalit con
cui i valori, le religioni e le ideologie giustificano forme di relazione
istituzionalizzate. Nel campo degli studi urbani e rurali, i punti di vista
morfologico e funzionale, a lungo dominanti, sono stati superati per esplorare
procedure attraverso cui luoghi e spazi sono interpretati, vissuti, valorizzati,
preservati. Gli studi ambientali hanno cessato di considerare la natura e il
paesaggio come elementi puramente obiettivi per tenere, invece, conto della
loro dimensione soggettiva.
1.1 Evoluzione della geografia culturale.
Alla fine del XIX secolo, sotto leffetto della rivoluzione darwiniana che
completa la trasformazione iniziata tre generazioni prima, si afferma
lesigenza di prestare unattenzione particolare alle relazioni tra gruppi umani
e ambiente. Le relazioni societ/ambiente diventano centrali per una nuova
disciplina: negli ultimi anni del XIX secolo si impongono il termine e la nuova
nozione di geografia umana, che

implica, fin dal principio, una forte componente culturale. Essa non assume
esattamente la stessa fisionomia in Germania, Stati Uniti e Francia, i tre paesi
in cui i progressi risultano pi rapidi.
1.2 La geografia culturale tedesca.
Lespressione geografia culturale coniata nel 1880 da Friedrich Ratzel
(1844-1904) e nasce nellambito del pensiero tedesco, sotto linflusso della
teoria darwiniana. Ratzel insiste in particolar modo su un punto essenziale: i
gruppi umani dipendono e sono condizionati dallambiente in cui sono
insediati, da cui traggono la totalit o la maggior parte del necessario alla loro
sussistenza. La mobilit un dato fondamentale e un bisogno irrefrenabile
nella vita degli individui e delle collettivit. Gli uni e le altre devono disporre
pertanto di spazio.
Ratzel riconosce ai popoli un attributo proprio della loro essenza, la mobilit,
e un insieme di tecniche che ne assicurano il collegamento con lambiente
vicino e che dipendono dalla storia e dal livello di sviluppo. La geografia che
egli concepisce riserva un posto importante ai fatti di cultura, poich essa si
interessa ai sistemi impiegati per trarre profitto dallambiente e alle tecniche
adottate per semplificare
gli spostamenti. Questa cultura analizzata alla luce dei suoi aspetti materiali,
come insieme di artefatti utilizzati dagli uomini nei loro rapporti con lo spazio.
La dimensione cruciale attribuita al bisogno di spostamento orienta la
geografia ratzeliana verso precise preoccupazioni: essa pone laccento sulla
finitezza dello spazio, sulle barriere che ostacolano lespansione dei gruppi e
sugli effetti della frontiera. Lidea darwiniana di lotta per la sopravvivenza
limita, quindi, linteresse che lautore nutre per i fatti della cultura e
conferisce alla sua opera una portata essenzialmente politica. La cultura, per
come viene modellata sulla base dei problemi posti da Ratzel, diventa una
delle variabili fondamentali della geografia umana, ma il modo in cui egli
stesso la esamina, limita la curiosit che manifesta nei suoi confronti. Alla
selezione degli esseri viventi operata dallambiente e postulata da Darwin,
Ratzel sostituisce la selezione delle societ ad opera dello spazio: lo strumento
essenziale di cui i popoli dispongono per regolare il loro rapporto con lo spazio
lo Stato. La politica prende allora il sopravvento sul dato culturale.
Per la maggior parte dei colleghi di Ratzel, la geografia consisteva solo nella
descrizione della superficie terrestre. Insistendo sulle relazioni tra le societ e
il loro ambiente, Ratzel orientava effettivamente la geografia verso lanalisi di
relazioni causali, ma per la scienza del tempo i rapporti uomini/ambiente non
costituivano un oggetto unitario che potesse giustificare lesistenza di una
disciplina. Molti geografi tedeschi erano pertanto in cerca di una definizione
che offrisse loro il vantaggio di circoscrivere un oggetto preciso evitando
dispute sui confini con le discipline contigue.
Otto Schlter (1872-1959) fa del paesaggio loggetto della geografia umana,
concetto questo che mantiene lunit della disciplina, poich un paesaggio
modellato tanto dalle forze naturali quanto dallazione umana. La geografia
umana concepita da Schlter, che pone laccento sullinterazione tra fattori
naturali e fatti antropici, si interessa nello specifico al modo in cui i gruppi
umani modellano lo spazio in cui vivono e lo studio degli insediamenti umani

diventa il tema centrale della disciplina: essi costituiscono, infatti, quello che
gli autori tedeschi chiamano la Kulturlandschaft, ossia il paesaggio culturale,
equivalente di paesaggio antropizzato. Per Schlter, come per la maggior
parte dei geografi
tedeschi dei primi decenni del XX secolo, limpronta che gli uomini impongono
al paesaggio costituisce loggetto fondamentale della ricerca.
I geografi tedeschi hanno cos fornito, fin dai primi anni del Novecento, un
approccio originale ai fatti culturali. Linfluenza del darwinismo spiega
lattenzione attribuita agli strumenti e alle tecniche impiegati per dominare i
luoghi cos come il ruolo rilevante riservato allanalisi del paesaggio. Un simile
approccio trascura completamente il problema dellacquisizione delle
pratiche, delle conoscenze e dei valori. Dei fatti di trasmissione esso prende in
considerazione solo quelli che riguardano la diffusione delle tecniche,
ignorando comunemente gli atteggiamenti e le credenze. In compenso, rileva
lesistenza nel paesaggio di tratti di origine culturale fortemente strutturati e
costanti. Lo studio del paesaggio che riserva ampio spazio ai fattori culturali,
sebbene sotto langolazione abbastanza ristretta appena ricordata, domina la
geografia tedesca dagli anni Venti agli anni Sessanta del XX secolo.
1.3 La geografia culturale americana.
Se la maggior parte dei geografi tedeschi si interessava, attraverso i propri
lavori sui paesaggi, ai rapporti tra cultura e spazio, negli Stati Uniti la scuola
dominante tra il 1910 e la Seconda Guerra Mondiale (quella del Middle West)
li ignorava completamente. Alla ricerca di rigore, essa prestava
particolarmente attenzione alla raccolta dei dati e alla rappresentazioni
cartografiche. La geografia culturale sarebbe stata quindi completamente
trascurata se non fosse stato per Carl O. Sauer (1889-1975) fondatore
dellaltra scuola americana, quella di Berkeley: lo sviluppo della geografia
culturale statunitense inizia cos trentanni dopo i primi lavori tedeschi in
questo campo.
Carl O. Sauer, naturalista, consacra la maggior parte delle sue ricerche sul
campo alle popolazioni indiane del sud-ovest degli Stati Uniti. Nel suo
pensiero, la geografia deve consacrarsi alla morfologia del paesaggio e
limitarsi a ci che leggibile sulla superficie della Terra. Sauer orienta la sua
ricerca in geografia culturale su alcune precise questioni, prima fra tutte
quella che indaga in quali modi i gruppi agiscono sulla vegetazione naturale e
sul mondo animale e come li trasformano. Come i suoi contemporanei, Sauer
concepisce la cultura innanzitutto come linsieme degli strumenti e degli
artefatti che permettono alluomo di intervenire sul mondo esterno, ma egli si
spinge oltre: la cultura composta anche da complessi viventi che le societ
hanno imparato a mobilitare per modificare
lambiente naturale, renderlo meno ostile alluomo e pi produttivo. Queste
trasformazioni non sono prive di conseguenze: quando sono prodotte senza
cautela, minacciano lequilibrio naturale e portano a catastrofi ecologiche. I
ricercatori della scuola di Berkeley prendono in considerazione in particolare
due aspetti delle societ industrializzate: il modo in cui esse distruggono
lambiente naturale nel quale si sono sviluppate; e il corredo di piante e di

animali non autoctoni di cui si circondano. Sin dagli anni Trenta del XX secolo,
in Sauer e nei suoi allievi viva uninquietudine ecologica gi molto moderna.
E senza dubbio per tali motivi che gli orientamenti dati alla disciplina dalla
scuola di Berkeley restano ancora oggi i pi attuali.
1.4 La geografia culturale francese.
Sin da sempre la geografia occupa un posto importante nella scienza francese,
ma la modernizzazione verificatasi alla fine del XIX secolo deve molto alle
trasformazioni prodotte in Germania. I geografi francesi prendono come
modelli Alexander von Humboldt, Carl Ritter o Friedrich Ratzel: il caso di
Vidal de la Blache. Egli parte dalla concezione della geografia umana proposta
da Ratzel, studiando come lambiente influenzi le societ umane. Nella sua
analisi, anchegli si interessa allinsieme delle tecniche e degli utensili che gli
uomini impiegano per trasformare lambiente in cui vivono, renderli pi
conformi ai loro bisogni e sfruttarlo. Per Vidal de la Blache, come per gli
studiosi tedeschi o americani,
dunque, la cultura di pertinenza dei geografi quella colta attraverso gli
strumenti che le societ utilizzano e attraverso i paesaggi che modellano. Per
lo studioso francese, tuttavia, questi elementi acquisiscono senso solo se li si
coglie come componenti dei modi di vita. Lanalisi dei modi di vita mostra
come lelaborazione dei paesaggi rifletta lorganizzazione sociale del lavoro:
questa nozione permette di gettare uno sguardo sintetico sulle tecniche, gli
utensili e i modi di abitare delle diverse civilt, sottolineando come abitudini,
comportamenti e paesaggi si intreccino per caricare i modi di vita di valori.
Per Vidal de la Blache e i suoi allievi, cos come per Ratzel e i geografi
tedeschi, la cultura ci che si interpone tra luomo e lambiente,
umanizzando i paesaggi. Ma essa anche una struttura, generalmente stabile,
di comportamenti che vanno descritti e spiegati. Se nei primi anni del XX
secolo, laccento naturalistico, le ricerche sul campo portano a considerare
le altre dimensioni dei modi di vita. Lattenzione prestata a questi ultimi
introduce nella geografia umana francese una logica che la spinge a integrare
aspetti sempre pi vari e sistemi di comportamento. Naturalista per origini e
giustificazioni, essa devia verso posizioni pi umanistiche.
Uno dei primi allievi di Vidal de la Blache Jean Brunhes (1869-1930) che, pur
appellandosi alla tradizione vidaliana, pratica tuttavia una geografia che
differisce molto da quella sviluppata dagli altri vidaliani. Nel suo pensiero, la
disciplina ha come missione lanalisi dei processi di occupazione del suolo,
mentre la parte riservata alla cultura minima e la si incontra quasi
esclusivamente nella descrizione dei generi di vita. I lavori di geografia
culturale si moltiplicano in tutti i paesi nel corso degli anni Trenta, Quaranta e
Cinquanta del Novecento. Aprono nuove piste, ma senza che lispirazione
iniziale sia messa in discussione. I nuovi approcci (Pierre Gourou, 1902-2001)
rimodulano il senso e la portata dellanalisi dei modi di vita: questi ultimi non
traducono solo lo sforzo di adattamento dei
gruppi agli ambienti locali, ma poggiano anche su forme specifiche di
relazione tra gli individui e tra le cellule elementari. La cultura cessa di essere
analizzata semplicemente in termini di relazioni uomini/ambienti, ma diventa
una variabile indipendente, impone a coloro che ne sono custodi la ricerca di

certe soluzioni piuttosto che di altre e trascende i limiti degli ambienti


naturali. Pierre Gourou
arriva a parlare di determinismo della cultura, capovolgendo i termini classici
dellinterpretazione geografica: la concentrazione umana in certi luoghi
piuttosto che in altri non riflette le attitudini naturali dei luoghi, ma esprime la
disuguale capacit di organizzazione dei gruppi.
Conclusione
Fin dalla sua nascita, la geografia umana riserva un posto importante alle
realt culturali, ma le coglie in unottica riduttiva: laccento posto sulle
tecniche, sugli utensili e le trasformazioni del paesaggio. Il solo aspetto della
trasmissione delle culture che venga affrontato quello della diffusione. Da un
paese allaltro gli orientamenti sono diversi. I tedeschi sono i primi a
focalizzare la loro attenzione su utensili, tecniche e paesaggi. Attraverso
lanalisi della morfologia del paesaggio, mostrano come strutture notevoli li
caratterizzino. Gli americani devono a Sauer il merito di aver evidenziato
limpatto delle culture sulla componente vivente, vegetale e animale, dei
paesaggi. I francesi concepiscono, con la nozione di modo di vita, uno
strumento flessibile che evita loro di mettere tra parentesi le relazioni tra
luomo e il paesaggio. Perci preferiscono prendere in considerazione le
componenti sociali e ideologiche della cultura, mostrandosi sensibili, grazie a
Jean Bruhhes e a Pierre Deffontaines, agli insegnamenti delletnografia e degli
studi folkloristici. Lentusiasmo per le strutture agrarie in ogni caso avvicina, a
partire dagli anni Trenta, i lavori francesi e tedeschi, e fa passare in secondo
piano, per lo meno in Europa, gli altri aspetti della cultura.

2. La geografia culturale oggi


Introduzione
Le domande riguardanti i fatti culturali che i geografi si ponevano allinizio del
XX secolo erano cos circoscritte da condannarli ad una visione superficiale
dei problemi. Essi tendevano a fare della cultura una realt di natura
superiore, che si imponeva agli uomini, ignorando cos i problemi posti dalla
trasmissione del sapere e la diversit delle forme che essa riveste allinterno
di una stessa societ a seconda dei luoghi e dei livelli sociali e trascurando di
fatto gli aspetti normativi della societ.
2.1 Crisi e declino della geografia culturale.
I lavori di geografia culturale condotti negli anni Sessanta o Settanta del
Novecento, sulla scia di quelli realizzati fin dallinizio del secolo, non mancano
di interesse. Molti geografi esitano, per, a proseguire lavori la cui ispirazione
sembrava loro superata. Subentrano, allora, altri specialisti. In Francia,
levoluzione dei paesaggi e del loro modellamento ad opera della cultura
sempre pi descritta da storici, mentre oggi gli antropologi americani amano
analizzare con precisione, come faceva Sauer, i rapporti tra i gruppi e
lambiente. La fecondit di alcune ricerche ispirate dai lavori dellinizio del
secolo non deve nascondere la disaffezione che questi incontrano tra i
geografi. Nei primi decenni
del XX secolo, i geografi che si interessavano ai fatti di cultura si dedicavano
essenzialmente alla diversit delle piccole cellule di gruppi etnici e delle
campagne del mondo tradizionale. Il progresso tecnico, la facilit delle
comunicazioni e la trasformazione industriale della fabbricazione di attrezzi
cancellano rapidamente questi tratti. Linquietudine che suscitava
luniformazione del mondo era gi viva nei geografi allinizio del XX secolo.
Tuttavia, fino alla Seconda Guerra Mondiale, le campagne mantenevano una
forte specificit. La comparsa del trattore accelera le trasformazioni: il motore
a scoppio e lelettricit assicurano ovunque laccesso a forme concentrate di
energia, il che comporta una
forte razionalizzazione del lavoro. Linteresse dei geografi per i fatti di cultura
si concentrava sullinsieme degli utensili e degli equipaggiamenti utilizzati
dagli uomini per sfruttare lambiente e organizzare il loro habitat. La
meccanizzazione e la modernizzazione danno vita a un arsenale di macchine e
di tipi di costruzione talmente standardizzati che il soggetto perde interesse.
La geografia culturale in declino perch i fatti della cultura tecnica non
spiegano pi la diversit delle distribuzioni umane.
Lo strumento che dava profondit ai lavori francesi ispirati al modello
vidaliano, lanalisi dei modi di vita, si rivela pertanto inadatto al mondo urbano
e industrializzato. Le societ tradizionali erano omogenee a livello
professionale: oltre l80% della popolazione si concentrava nel mondo rurale. I
vincoli imposti dallambiente e dalle strutture fondiarie erano generalmente
cos forti che in una comunit si disponeva di un unico modo di produrre il

necessario per vivere. La modernizzazione delleconomia spinge una parte


crescente della popolazione attiva verso i settori secondario e terziario. La
descrizione dei modi di vita illustra la parte dellesistenza condotta in famiglia,
al di fuori del lavoro, ma il tempo trascorso al lavoro sfugge alle
semplificazioni. Si impone dunque lidea che i metodi di descrizione messi a
punto dalla geografia francese e che si adattavano cos bene alla
comprensione delle realt culturali del mondo tradizionale non siano adeguati
alla societ modernizzata che si sta rapidamente estendendo. Le societ
portatrici di stili di vita peculiari scompaiono in tutto il mondo e ci sembra
condannare le ricerche di geografia culturale.

2.2 Gli anni Settanta del XX secolo.


La scomparsa della geografia culturale, che sembrava cos certa allinizio
degli anni Sessanta data luniformazione delle tecniche e della vita materiale,
non ha avuto luogo. Il contesto obbliga dunque i geografi a non trascurare le
dimensioni culturali dei fatti che osservano e orienta la loro curiosit in una
nuova direzione: le tecniche sono diventate troppo uniformi per catturare
lattenzione, ma le rappresentazioni, fino ad allora trascurate, meritano di
essere studiate. Negli ultimi quarantanni, la ricerca si interessata molto alle
dimensioni economiche, sociali e politiche della geografia. In questi campi,
lambizione era quella di scoprire delle costanti e non stata delusa: i geografi
hanno colto la pertinenza dei modelli di gravitazione, messo in evidenza la
logica sottesa allorganizzazione delle reti dei trasporti, dei sistemi di
comunicazione e quella delle localit centrali, e hanno compreso la
strutturazione ad anelli dello spazio intorno a centri dove si organizzano gli
incontri e gli scambi. Ma le costanti che nascono dallincidenza della distanza
non devono mascherare la diversit degli obiettivi perseguiti dagli agenti
economici: sullo sfondo si delinea la dimensione culturale. I lavori di geografia
economica, sociale e politica conducono essenzialmente a due constatazioni:
1) la vita sociale ed economica riflette la diversit dei comportamenti
culturali. E necessario un clima di fiducia per il buon funzionamento di certe
istituzioni: il rendimento di unorganizzazione cresce quanto pi i suoi membri
sono convinti dellimportanza della missione da assolvere e accettano di
lavorare a questo scopo con entusiasmo;
2) le spiegazioni proposte dalla geografia economica, sociale o politica non
sono mai universali perch lazione umana non mai completamente
prevedibile e sfugge alla standardizzazione.
Questi risultati vanno contro le teorie a lungo dominanti, in particolare il
marxismo, secondo le quali tutto poteva essere ricondotto ai rapporti di
produzione, mentre il resto era solo folklore secondario. La nuova geografia,
come veniva intesa negli anni Sessanta e Settanta, sfocia dunque in questioni
di natura culturale.

Il rinnovamento della geografia culturale si abbozza fin dallinizio degli anni


Settanta e si manifesta quasi ovunque nello stesso modo: i luoghi non hanno
solo una forma e un colore, una razionalit funzionale ed economica, ma sono
caricati di senso da coloro che vi abitano o che li frequentano. Le ricerche
sulla percezione dello spazio e dellambiente condotte dagli psicologi sono
messe a frutto, soprattutto nel mondo anglosassone dove, fin dallinizio degli
anni Settanta, sono numerosi i lavori sul senso dei luoghi e su ci che la
letteratura insegna al riguardo: il romanzo diventa quindi documento. Si
impone, pertanto, un approccio umanistico. La nuova corrente appare come
una delle componenti indispensabili per tutti i processi geografici. Insistendo
sul senso dei luoghi, sullimportanza del vissuto, sul peso delle
rappresentazioni religiose, essa rende indispensabile uno studio approfondito
delle rappresentazioni culturali.
2.3 Gli anni Ottanta del XX secolo.
Intorno al 1980, le nuove curiosit nel campo culturale sono diventate
abbastanza forti da cominciare a strutturarsi. Nei paesi anglosassoni, in
particolare, si arriva a parlare di New Cultural Geography. Evoluzioni
analoghe avvengono in Francia e in altre nazioni.
Gli sforzi per superare quel livello descrittivo che aveva caratterizzato la
geografia fino a quel momento provengono da alcune individualit forti: Denis
Cosgrove in Inghilterra e James Ducan negli Stati Uniti, per citare solo i pi
conosciuti. Uno storico marxista inglese, Raymond Williams, esercita su di
loro una forte influenza. Per questultimo la cultura un sistema di significati
il cui scopo quello di permettere il funzionamento della societ globale. Su
questo punto, i sostenitori della nuova geografia culturale lo seguono: ci che
cercano di capire linterpretazione simbolica che i gruppi e le classi sociali
danno dellambiente e le giustificazioni estetiche o ideologiche che ne
propongono. Verso il 1986-1987, i ricercatori anglosassoni hanno preso
coscienza della convergenza dei loro sforzi e cominciano allora a parlare di
New Cultural Geography, che rompe con gli antichi orientamenti della
disciplina e manifesta una viva curiosit per la postmodernit. Il lancio della
rivista Ecumene, il cui primo numero esce allinizio del 1994, simboleggia
questa resurrezione.
In Francia, la principale preoccupazione non quella di rompere nettamente
con i lavori della prima met del XX secolo, ma di arricchirli e di integrarli in
una prospettiva pi globale. Parallelamente agli interrogativi sul senso dei
luoghi, sulla percezione dello spazio e sullimportanza delle testimonianze
letterarie che Armand Frmont incarna negli anni Settanta, si compie un
lavoro di riflessione che permette di ampliare gli ambiti di applicazione degli
strumenti tradizionali: passando dai modi di vita ai ruoli e ai budget-tempo, ci
si d il mezzo per affrontare in modo sintetico gli aspetti materiali e le
concezioni prevalenti nelle societ industrializzate e urbanizzate, come era gi
possibile fare per quelle
tradizionali. La geografia culturale alla francese non rinuncia allo studio degli
aspetti materiali della cultura, ma lo fa sotto nuove angolazioni. Si dedica ai
paesaggi, descrive le passioni e i gusti della gente, si interroga sulle
specificit delle isole, assume una dimensione etno-geografica e rivolge la

propria attenzione a ci che le diverse culture dicono del mondo, si interroga


sulla natura delle identit e sul legame territoriale. Avvicinandosi alle
discipline umanistiche, vale a dire a quelle dellespressione e della
comprensione, i geografi scoprono linteresse delle fonti letterarie. La rivista
Gographie et Cultures, pubblicata nel 1992, funge da forum per coloro che si
raccolgono intorno allinteresse comune nei confronti dei fatti culturali.
Ponendo laccento sui processi culturali, i geografi francesi rinnovano
lapproccio culturale senza trascurare risultati acquisiti in precedenza.
Il rinnovamento constatato nel mondo anglosassone e in quello francese tocca
anche altri paesi, come la Germania, dove la Landschaft continua a essere un
oggetto di studio privilegiato e lItalia, dove le ricerche si moltiplicano
soprattutto intorno allo studio del paesaggio.
2.4 Le potenzialit della svolta culturale nella Geografia.
Lapproccio culturale permette di dare alla geografia basi epistemologiche
nuove ed proprio questo che si intende quando si parla di svolta culturale
della disciplina. Le ricerche geografiche dellinizio del XX secolo prendevano a
modello le scienze naturali. I lavori degli anni Cinquanta e Sessanta
ricalcavano le scienze sociali in voga a quel tempo, come leconomia o la
linguistica, e si sforzavano di cancellare gli aspetti soggettivi della realt,
partendo dal presupposto che le decisioni prese dagli uomini fossero razionali.
Questi studiosi rifiutavano di prendere in considerazione sogni, simboli,
ideologie o aspirazioni mistiche e spiegavano il presente con il gioco di forze
passate o, in caso di fenomeni di retroazione, simultanee. Lapproccio attuale
si interessa al senso che gli uomini attribuiscono al cosmo, allambiente in cui
sono immersi e alla societ in cui si inseriscono: a ci serve la cultura. Il
mondo in cui vivono i gruppi sociali non solo una conseguenza dellimpatto
di cause precedenti o simultanee, ma esso riflette il gioco delle anticipazioni e
il modo in cui gli esseri umani si proiettano nel futuro: necessario esplorare
gli aldil che forniscono agli uomini i valori che essi investono nei loro progetti
e gli orizzonti delle aspettative di cui si dotano per orientare il corso della loro
esistenza. Dire che il presente riflette gli altri mondi che lo spirito ha
immaginato far intervenire un tipo di casualit che
non ha pi niente di meccanico e rompere con la tradizione scientifica
positiva. Il futuro non una realt tangibile, ma esiste solo sotto forma di
discorso, di immagini, di simboli. Sono questi gli elementi a lungo trascurati
che lapproccio culturale alla fine integra. Il cambiamento in corso non
concerne solamente un settore specifico della geografia, quella che verrebbe
chiamata geografia culturale, ma tutta la disciplina ne coinvolta. I
compartimenti che separavano i diversi campi, e che si credevano rigidi, si
deformano, si spostano e diventano permeabili.
Non pi possibile capire la geografia economica, se ci si dimentica che il
consumo e limpresa sono condizionati da preferenze culturali; allo stesso
modo, non si pu analizzare la geografia politica trascurando il ruolo delle
modalit di governo, o la geografia sociale dimenticando la stratificazione
sociale e i valori che la fondano.
3. Il concetto di cultura

La parola cultura un'eredit greco-latina. Deriva dall'indoeuropeo kwel,


che significa elevare, prendere cura, amare, adorare. Gli indoeuropei erano un
popolo di cavalieri, di guerrieri e di allevatori che vivevano nelle steppe. il
motivo per cui, in un primo tempo, la parola fu riferita all'allevamento degli
animali, in particolare a quello dei cavalli. I greci l'hanno riferita anche
all'agricoltura, nel senso di coltivazione di piante. Grazie a un procedimento
metaforico stata estesa alle manifestazioni spirituali: cos come la
coltivazione di una pianta conduce dal seme alla crescita e alla maturazione,
allo stesso modo la cultura sviluppa lo spirito e lo conduce a elevarsi. Ha una
funzione costruttiva.
La parola scomparve dalle lingue indoeuropee con le grandi invasioni
barbariche. Rientr nel linguaggio francese nell'alto Medioevo, tra il XII e il
XIII secolo, mentre era in atto un profondo rinnovamento della civilt europea.
in quella fase che acquis una forte connotazione religiosa al punto che fin
per essere considerata come sinonimo di adorazione. La cultura ammanta il
culto cristiano e permette all'uomo di progredire lungo il cammino della
santit.
Nel Rinascimento, e ancor pi con l'Illuminismo, la parola assunse un
significato pi ampio, fu riferita all'elevazione dello spirito, al sapere e al
perfezionamento. Divenne sinonimo di progresso e di valori universali, in ci
contrapponendosi alla natura, alla barbarie e alla superstizione. In breve, la
cultura fu intesa come civilt, completamento dello spirito umano, una
creazione volontaria che non ha niente di
spontaneo; circostanza che la ricondusse al senso originario, greco, ma con
una connotazione meno religiosa.
Fu soltanto nel 1845 sottolinea Ortolani e opportunamente richiama
Andreotti che Ernst Kapp introdusse il termine Kulturgeographie nella
letteratura geografica tedesca. In quel momento la cultura era ancora intesa
come manifestazione individuale, attribuendogli allincirca lo stesso senso in
cui il concetto era stato inteso nel secolo dei Lumi. Per concepirla
esplicitamente come manifestazione
sociale concetto pi congeniale allindagine geografica di quanto fosse
quello di cultura in senso individuale sarebbero trascorsi altri decenni.
La genealogia della parola cultura importante, perch implica un doppio
senso e una traiettoria ascendente, che conduce dall'ordine inferiore della
natura all'ordine superiore dello spirito. La cultura riposa su una dualit
profonda, materia e spirito, dell'essere umano e della sua azione: mostra
l'azione che l'uomo esercita su se stesso per costruirsi; mostra l'azione che
l'uomo esercita al suo esterno sul mondo che lo circonda, costruendo il suo
ambiente. In ambedue i casi, si tratta di fecondare o di sviluppare un terreno
grezzo, che altrimenti resterebbe sterile o selvaggio. E di dargli un senso.
L'idea, infine, relativizza la distinzione tra l'innato e l'acquisito, ossia il
dualismo natura/cultura. Questa dualit artificiale perch, nell'uomo, non
esiste un aspetto senza l'altro.
[Da J. Bonnemaison, La gographie culturelle, Editions du CTHS, Parigi, 2000,
pp. 66-68 (trad.

non letterale)]

4. Cultura e paesaggio
4.1. Paesaggio, paesaggio culturale
Se intendessimo il paesaggio come corredo di simboli che connotano i singoli
luoghi e che rimandano a significati, non avremmo bisogno di aggiungere
l'aggettivo culturale al sostantivo paesaggio. Il paesaggio, infatti, sarebbe
inteso come un prodotto culturale di per s, n vi potrebbe essere un modo
non culturale per concepire il paesaggio. Sarebbe avvertito come una realt
generata dal fatto che aspetti naturali del territorio sono investiti da un'onda
di umanizzazione, che attribuisce loro simboli e, cos facendo, li immerge in
una dimensione esistenziale e in un'atmosfera di spiritualit. Questa posizione
non per accolta dalla maggior parte dei geografi, e ovviamente respinta
dai geografi
inclini a muoversi sul terreno dello Strutturalismo, per cui la storia della
geografia contrassegnata dalla distinzione, non di rado da una vera e
propria contrapposizione, tra paesaggio culturale e altri tipi di paesaggio: il
primo concepito in termini, per cos dire, post-strutturalisti, gli altri concepiti
in termini sostanzialmente strutturalisti. Conviene dunque che si richiamino i
modi con cui queste distinzioni si sono fatte strada, non tanto per compiere
un'operazione rievocativa di certe vicende della geografia, quanto piuttosto
per capire il senso con cui espressioni come paesaggio antropogeografico,
paesaggio umanizzato, paesaggio naturale, e ovviamente paesaggio
culturale, ricorrono nella letteratura. Riprendiamo dunque, e sviluppiamo, le
considerazioni dedicate al termine paesaggio all'inizio del capitolo.
La prima distinzione concettuale risale all'Ottocento, quando i geografi
tedeschi hanno contrapposto Naturlandschaft a Kulturlandschaft. Il significato
di Land, che indica una porzione di territorio nella sua specificit, unito a
quello di schaft, suffisso che indica qualcosa legato assieme (Andreotti, 1996,
p. 29), ha fatto s che i due termini fossero riferiti a tre oggetti: al territorio in
senso lato (Sestini, 1961, p. 281); alla regione, donde derivata la distinzione
tra regione naturale e regione geografica (Biasutti, 1962, p. 13); al
paesaggio, donde emersa la distinzione tra paesaggio naturale e
paesaggio culturale. Quest'ultima ricorre ancor oggi nella letteratura
(Gregory, 1981, p. 183). Ne fa fede anche il Glossario
Geografico Internazionale, curato dall'Unione Geografica Internazionale
(1988), secondo il quale Naturlandschaft indica un paesaggio in cui manca
l'intervento dell'uomo od in cui questo non partecipe in maniera rilevante
(p. 546), mentre Kulturlandschaft indica un paesaggio alla cui configurazione
e struttura ha contribuito l'uomo, insieme alla natura. Fortunatamente, negli
ultimi tempi questa distinzione andata soggetta a critiche, motivate dal fatto
che non esiste ambiente naturale che, direttamente o indirettamente, non sia
influenzato dall'uomo. Si giunti persino ad asserire che l'ambiente naturale
una realt perch esiste l'uomo. Andreotti (2002, p. 89) nota che quando in
geografia si parla di un paesaggio naturale, si allude a un ambiente fisico nel

quale non sono intervenute significative mutazioni ad opera dell'uomo e


dunque si esclude in partenza l'esistenza di un paesaggio naturale puro.
Accanto alla coppia paesaggio naturale, paesaggio culturale, nella
letteratura ricorre la coppia paesaggio naturale, paesaggio geografico, detto
anche paesaggio antropogeografico (figura 8.6). Almeno, in apparenza, al
secondo termine, paesaggio geografico, stato attribuito un significato molto
esteso, che dovrebbe abbracciare ogni aspetto derivante dalla presenza
umana, non escluse, almeno in linea di principio, le manifestazioni culturali. Al
Congresso Geografico Internazionale del 1938 (Union Gographique
Internazionale, 1938, pp. 480-81), infatti, si proclamato che il paesaggio
geografico, non essendo solo un'entit fisionomica ed estetica, comprende
tutte le relazioni genetiche, dinamiche e
funzionali tra loro associate sulla superficie terrestre. Su questa base nel
Novecento si sono diffuse teorizzazioni, delle quali nella geografia italiana v'
traccia fino agli anni Sessanta (Tomolo, 1947, pp. 66-67; Toschi, 1947-1972,
pp. 392-93).
V' poi una terza distinzione, di cui si occupa ancora Biasutti (1962, capitolo
1), tra paesaggio sensibile, costituito da tutto ci che si pu percepire
attraverso un giro d'orizzonte, e paesaggio geografico, frutto di
un'elaborazione di dati e, quindi, di un'astrazione (Zerbi, 1993, pp. 45-46). I
due concetti non derivano, come si vede, da una distinzione tra i contenuti del
paesaggio, ma riflettono piuttosto due momenti del porsi del soggetto nei
riguardi del paesaggio: un primo momento, percettivo, da cui deriva il
paesaggio vissuto nella nostra esperienza quotidiana (paesaggio sensibile), e
un secondo momento, elaborativo, che ci fa approdare al paesaggio descritto
scientificamente (paesaggio geografico). Sull'opportunit di distinguere questi
due momenti concordano vari geografi, tra cui Toniolo (1947, pp. 59-60), ma
soprattutto teorizza Sestini (1947a. 1947b, 1961), secondo il quale
l'esperienza sensibile avviene dapprima cogliendo la veduta panoramica e poi
l'aspetto fisionomico, mentre l'elaborazione scientifica conduce al paesaggio
antropogeografico.
Questo complicato intreccio di distinzioni costituisce il terreno sul quale si pu
affrontare la questione finale, quella del rapporto concettuale tra paesaggio
geografico e paesaggio culturale. La questione ha assunto consistenza nella
seconda met del Novecento, soprattutto dagli anni Sessanta, quando
Lehmann apr la strada per attivare integrazioni tra geografia, psicologia ed
estetica (Andreotti, 1996, pp. 14-19) imprimendo cos nuovi impulsi a quelle
tendenze, gi affiorate in passato, che nel concepire il paesaggio ponevano il
soggetto al centro dell'attenzione ed esaltavano i contenuti spiritualisti
dell'incontro tra comunit umane e luoghi. Negli ultimi anni Andreotti (1994a,
1994b, 1996, 1998b, 2002) ha affrontato varie volte il tema, mettendo a
confronto i modi con cui concepire il rapporto tra paesaggio geografico e
paesaggio culturale. Dall'esame di questo panorama emergono, in sostanza,
due posizioni ricche di conseguenze (figura 8.7).
La prima posizione consiste nel ritenere che il paesaggio culturale costituisca
un tipo di paesaggio geografico. La si pu trovare esposta in Toschi (19461972, pp. 389-90; 1952), secondo il quale il tipo il distintivo di una
categoria di individui per cui - trasferendoci al campo del paesaggio -

possiamo identificare tipi di paesaggi. Possiamo cio parlare di paesaggi


agrari, paesaggi rurali, paesaggi turistici, e cos via. E naturalmente
potremmo parlare di paesaggio culturale, il quale, sempre seguendo
l'impostazione di Toschi (1946-1972, pp. 392-93), potrebbe essere inteso in
due sensi: come un paesaggio ricco di impronte culturali, oggi diremmo di
eredit culturali, oppure come il complesso delle impronte culturali presenti
in un determinato luogo o spazio.
La seconda posizione considera il paesaggio culturale come una categoria s,
distinta dal paesaggio geografico, cio non come un tipo di paesaggio
geografico. Secondo questa posizione, radicata nel pensiero di Lehmann e
sostenuta da Andreotti (1996, pp. 32-33), il carattere distintivo tra paesaggio
geografico e paesaggio culturale sta nel fatto che il primo percepito come
apparenza visuale, mentre il secondo percepito come apparenza visuale
integrata, cio come il prodotto di un'intima associazione tra soggetto e
realt. Quando colto come mera apparenza visuale, il paesaggio
rappresentato come insieme di aspetti umani (Andreotti, parla di animazione
antropologica), mentre quando approdiamo all'apparenza visuale integrata, il
paesaggio rappresentato come l'insieme dei segni che riflettono gli ideali, i
valori e le esperienze intellettuali. Da questa impostazione deriva una
divaricazione sul piano della formazione della conoscenza. Quando si tratta di
paesaggio geografico (apparenza visuale), la realt esterna ci appare come un
complesso di forme: gli input partono dall'oggetto e si riflettono sul soggetto,
producendo percezione, rappresentazione, conoscenza. Al contrario, quando si
tratta di paesaggio culturale (apparenza visuale integrata) la
rappresentazione provocata da un patrimonio intellettuale e spirituale del
soggetto che si riflette su una realt esterna, cio sul territorio, attribuendo
simboli e significati ai luoghi: il percorso opposto al primo, perch parte dal
soggetto, che si specchia sulla realt (Andreotti, 1996, p. 28). La
rappresentazione del paesaggio diventa dunque una rappresentazione della
proiezione del soggetto.
A farne una categoria distinta contribuisce, in sostanza, il fatto che, nel
paesaggio culturale, sorge con-senso (consenso) tra soggetto e luogo: un cumsentire, sen-tire insieme. Si crea pathos, partecipazione simpatetica,
immedesimazione (Andreotti, 1994a, p. 54); in una parola, emozione. Se si
condivide questo asserto, secondo Andreotti (1994a, p. 55) non tutti i
paesaggi, per il semplice fatto che posseggono tracce di cultura, costituiscono
paesaggi culturali. Lo sono soltanto quelli in cui la cultura di elevato livello,
ricca di segni eccellenti, intellettuali e spirituali: cultura sempre relativamente all'epoca in cui stata prodotta - un apice, sempre una freccia
lanciata dallo spirito: quando la freccia coglie nel bersaglio dell'universalit,
quell'attimo culturale si tramander nei secoli. Sotto questo punto di vista, il
paesaggio culturale non costituito da ogni tipo di segni cui comunemente si
attribuisce natura culturale, come potrebbero essere ad esempio gli stili
architettonici predominanti in un paesaggio urbano, bens da simboli capaci di
produrre emozione, e cos facendo, capaci di condurci verso nuove immagini
del mondo.

Cosi inteso il paesaggio culturale in sostanza un paesaggio geografico, ma


osservato e studiato da un punto di vista consapevole della centralit della
cultura; un paesaggio, per cos dire intellettivo [...] in quanto si perviene alla
sua conoscenza mediante un'operazione intellettuale-discorsiva (Andreotti,
2002, p. 119).
In sostanza, il paesaggio culturale la manifestazione di una geografia
dell'arte o della memoria, alla cui comprensione si giunge in virt di un atto
conoscitivo istantaneo e sinottico; insomma, come il risultato di un processo
intuitivo, basato sull'immediatamente percepito. Questa impostazione
conduce Andreotti a sostenere che il paesaggio culturale quel luogo che
osservato o attraverso esperienze personali o soprattutto conoscenze storicoartistiche-letterarie - queste ultime nel senso pi ampio della parola - rivela le
conoscenze medesime o si manifesta come motivo di arricchimento (Andreotti,
2002, p. 102).
4.2. Le ragioni del paesaggio culturale
Questo, in sintesi, il panorama delle posizioni che emergono da una visione
d'assieme della letteratura geografica sul paesaggio. Quali conclusioni trarne?
Il punto di partenza per approdare a conclusioni che, quando sia inteso
come un manto di simboli attribuiti ai luoghi, il paesaggio culturale qualcosa
di nettamente distinto dal paesaggio geografico, anche quando il paesaggio
geografico include elementi culturali. la rappresentazione del modo di
proiettarsi del soggetto nella realt, del suo essere-nel mondo nel senso
heideggeriano del termine; una rappresentazione che consiste in segni di forte
connotazione intellettuale e spirituale, i quali collegano memoria e progetto,
passato e futuro, esistenza natura societ trascendenza.
Da questo postulato derivano tre asserti: si esclude che il paesaggio culturale
sia il frutto di una speciale prospettiva dalla quale guardare il paesaggio
geografico; si esclude che il paesaggio culturale sia un tipo di paesaggio
geografico; si esclude che il paesaggio culturale possa identificarsi con il
contenuto culturale di un paesaggio geografico. Tra paesaggio geografico e
paesaggio culturale la differenza sta nella rappresentazione, quindi sul livello
su cui ci si muove: il paesaggio geografico appartiene al livello strutturalista,
rientra nel modo cartesiano di rappresentare la realt ed una costruzione
tipica della modernit; il paesaggio culturale il frutto di una
rappresentazione che appartiene a un'atmosfera post-strutturalista,
incompatibile con il pensiero cartesiano e non rientra nelle atmosfere della
modernit. Queste ragioni meritano qualche puntualizzazione.
Nel caso del paesaggio geografico Ia realt esterna - nel nostro caso i luoghi ha il primato sul soggetto. I luoghi sono considerati "come realt oggettive e
sono rappresentati secondo i principi del Razionalismo cartesiano, in base ai
quali la realt scomposta in elementi (epistemologia disgiuntiva) e tra gli
elementi si postula che esistano relazioni di causa ed effetto. Ci esclude che
la conoscenza possa essere costruita anche tenendo conto di piani di
rappresentazione non analitici come i piani dell'arte e della religione - poich
sono estranei al modo razionalista di rappresentare la realt. Come s' avuto

occasione di far presente, questo atteggiamento, le cui radici affondano


saldamente nel pensiero della modernit, conduce alla spiegazione. Il
discorso, dominato dal lgos, procede in modo causalistico: si concentra sul
referente, vale a dire sulle forme del territorio, costruisce rappresentazioni
che mostrano tessiture di elementi, compresi quelli culturali, in quanto legati
tra loro da nessi di causalit e quindi disposti in un ordine razionale, e infine
approda a significati univocamente determinati dai simboli contenuti nella
rappresentazione. Ci si rivolge a spazi piuttosto che a luoghi, e si cerca di
cogliere ci che di omogeneo v' all'interno dello spazio. I dettagli di questa
posizione sono esposti nella tabella 8.4., colonna di sinistra.
Nel caso del paesaggio culturale, invece, il soggetto ha il primato sulla realt
esterna. I luoghi non sono considerati come realt a s, ma in termini di
simboli attribuiti loro dai soggetti, e i simboli sono assunti come le
manifestazioni culturali del paesaggio. La realt non pi spiegata, ma
compresa nel suo insieme, circostanza che conduce a rappresentazioni in cui i
simboli non sono visti come elementi connessi necessariamente da relazioni di
causa ed effetto. Le conseguenze sul discorso, qui dominato dal mythos, cio
dalla conoscenza che procede per illuminazioni e intuizioni, sono profonde. Il
simbolo diventa la sorgente della rappresentazione e si assume che il singolo
simbolo possa far approdare a pi significati. La rappresentazione non
conduce a significati ricchi di senso, ma piuttosto mette in evidenza il consenso, vale a dire le armonie che la cultura ha creato tra esistenza, natura,
societ e trascendenza e ha manifestato attraverso le impronte sul territorio.
A questo si aggiunga la circostanza secondo la quale i luoghi, non pi lo
spazio, sono l'oggetto primario della rappresentazione e in essi si cerca
l'identit, la personalit culturale. In un momento storico, qual quello che
stiamo attraversando, in cui avvertita l'esigenza di tutelare le identit
culturali nei confronti di processi di massificazione, si pu convenire che una
geografia culturale che releghi lo spazio nel sottofondo e ponga il luogo in
primo piano non risponda a meri atteggiamenti intellettualistici: un terreno
in cui motivazione scientifica e senso comune si trovano associati. In questo
quadro si pu condividere il pensiero di Bonesio, secondo cui il bisogno,
caratterizzante l'atteggiamento comunitario, di riconoscersi in archetipi,
tradizioni, continuit che formino un orizzonte di senso indisgiungibile dal
senso o dal desiderio di appartenenza a un luogo, di radicamento in una terra
elettiva, di ricerca di un orizzonte in cui appaesarsi (Bonesio, 2002, p. 79).
4.3. Regione e generi di vita: relitti?
Si avuta occasione di far presente che, nella geografia culturale su base
strutturalista, quale ad esempio stata sviluppata dalla scuola di Berkeley, la
regione costituisca un importante campo tematico. Nell'ambito della geografia
culturale vicina all'antropologia culturale, infatti, sono stati sviluppati due tipi
di ricerche. Da un lato, sono state condotte indagini per identificare il
territorio in cui diffuso un determinato elemento culturale, ad esempio un
determinato uso del suolo, o un determinato rito iniziatico. Dall'altro lato, sono
state dedicate indagini all'identificazione di aree di insediamento di etnie, o
comunque di comunit umane dotate di specifici connotati culturali. In
ambedue i casi, la regione stata considerata come mera area - vale a dire

uno spazio caratterizzato dalla presenza di qualcosa - per cui si potrebbe


parlare pi propriamente di regione-area (Vallega, 1995, p. 14). Muovendo
dallampia discussione che la geografia ha dedicato a questo tema (Marinelli,
1916; Ric:heri, 1920; Toschi, 1963, 1967; Whittlesey, 1954) sono state distinte
le regioni-area elementari, se individuate in rapporto a un solo elemento (ad
esempio, un'area caratterizzata da una determinata tecnologia di uso del
suolo), dalle regioni-area complesse, se identificate in rapporto a due o pi
elementi (ad esempio, un'area caratterizzata da modelli di organizzazione
della famiglia oltre che da determinati riti di iniziazione, e cos via). Nel
campo della geografia culturale questo modo di intendere la regione trova
applicazione, ad esempio, nell'identificazione di regioni culturali. dette
anche aree culturali (Claval, 2001e, pp. 31-33), essenzialmente intese come
spazi in cui sono presenti determinati connotati culturalmente rilevanti come
l'uso di una determinata lingua e la pratica di una determinata religione, o di
specifici costumi sociali.
Appare evidente che identificare aree di diffusione di elementi non
funzionale allo studio del paesaggio, ma semmai alla mera rappresentazione
della distribuzione di fatti sul territorio. La regione intesa come regione-area
non rivestirebbe, dunque, particolare interesse dal punto di vista della
geografia culturale. La prospettiva cambia quando si tenga conto che, nella
storia della geografia, alla concezione della regione-area si affiancata quella
della regione-organismo (Vallega, 1995, pp. 15). Essa parte dal presupposto
che, a mano a mano che procede l'umanizzazione del territorio, emergono
legami cos stretti tra natura e comunit umana da dar luogo a veri e propri
organismi territoriali.
Questo concetto di regione stato posto in riferimento a quello di paesaggio
asserendo che una regione, intesa come regione-organismo, si possa
identificare per essere caratterizzata da un paesaggio, o da un insieme di
paesaggi contigui. Nell'Introduzione a Il paesaggio terrestre (1947), Biasutti
associa il concetto di paesaggio naturale a quello della regione naturale,
intesa come un territorio dotato di un paesaggio naturale omogeneo e non
influenzato da comunit umane, e coerentemente associa il concetto di
paesaggio geografico a quello di regione geografica, intesa come territorio
con un paesaggio omogeneo sia in rapporto alla natura sia in rapporto alla
presenza umana (figura 8.8). Dunque per Biasutti il paesaggio la fisionomia
di una regione (Baldacci, 1966, p. 226). Lungo un itinerario non dissimile, ma
molto pi sensibile agli aspetti umani del territorio, si muove Sorre (1961, p.
320), il quale sostiene che le regioni sono porzioni di spazio dominate da un
tipo di paesaggio umano o da una combinazione di tipi. Su una posizione cos
radicale non concordano n Sestini n Toschi. Sestini
(1963, p. 286) sostiene che il paesaggio non esaurisce i temi della geografia
umana, giacch accanto ai paesaggi resta da trattare, tra l'altro, anche di
regioni non identificabili con lo spazio occupato dai singoli paesaggi. Da
canto suo, Toschi (1952, p. 7) sostiene che il paesaggio non deve essere
confuso con la regione. La regione pu essere descritta e rappresentata in
rapporto ai caratteri del suo paesaggio, o dei suoi paesaggi: esiste, quindi, un
rapporto di necessit, giacch ogni regione ha un suo paesaggio, o suoi
paesaggi. Ma non esiste rapporto di identit: un determinato paesaggio non
identifica, di per s, una regione, giacch questa potrebbe anche essere
contraddistinta da due o pi paesaggi. Di conseguenza, la regione - aggiunge

Toschi - si riconosce dal suo o dai suoi paesaggi e il paesaggio non una
regione, ma qualcosa che pu essere di una regione come di un qualsiasi altro
tratto di superficie terrestre che non meriti nome cos impegnativo. Lo studio
del paesaggio, dunque, diventa necessario per lo studio regionale, ma non si
esaurisce in questo: ha una sua autonoma ragione d'essere.
A questo punto si pu comprendere come il concetto di paesaggio, pur
essendo molto fecondo, non possa condurre di per s al concetto di regione.
Per raggiungere l'obiettivo occorre introdurre l'idea di genere di vita, altro
concetto ampiamente coltivato nella geografia del Novecento (Claval, 1995, p.
22-25; trad. it. 2003). Proposto da Vidal de la Blache (1911), il concetto di
genere di vita stato sostanzialmente riferito a un complesso di abitudini e di
concezioni organizzate e sistematiche, implicanti un'azione metodica e stabile,
capace di assicurare l'esistenza dei gruppi umani autonomi che le praticano.
Dal pensiero vidaliano emergono alcune proposizioni: che non vi genere di
vita se non collettivo e se il gruppo umano non gode di autonomia: che il
genere di vita, per essere tale, deve avere carattere di stabilit e di
sistematicit, che suscettibile di forza propria e ci senza contraddizione con
la stabilit e che pu subire modifiche per interventi esterni (Pracchi, 1965,
p.69).
La concezione vidaliana appare molto vicina a quelle che, nello stesso tempo,
andavano delineandosi nell'etnologia e nell'antropologia culturale e che
stavano conducendo all'idea di modello di cultura, inteso come il complesso
dei costumi, delle tecniche e dei valori propri di una comunit, con specifico
riferimento alle comunit con culture semplici. In sostanza, il genere di
vitaappariva come una sorta di concetto di connessione - oggi si direbbe di
interfaccia - tra la geografia e le scienze antropologico-culturali o, se si vuole,
come il prodotto della competizione tra geografi, da una parte, etnologi e
antropologi dall'altra, nel campo dello studio delle culture.
In ogni caso, il nostro interesse non risiede su questi aspetti, ma piuttosto sul
fatto che, per lungo tempo, regione, paesaggio e genere di vita sono stati
collegati facendo approdare a una visione unitaria, nella quale la regione
stata assunta come un territorio plasmato da un determinato genere di vita,
che si manifesta attraverso un paesaggio o un insieme di paesaggi tra loro in
qualche modo connessi. Pu questa concezione essere accolta nella
prospettiva della geografia culturale? La risposta negativa, per vari motivi.
In primo luogo, il concetto di genere di vita non ha pi ragione d'essere, come
d'altra parte diventa sempre meno legittimato il concetto gemello di
modello di cultura. In secondo luogo, l'attenzione della geografia culturale,
soprattutto se intesa come lo studio di simboli e delle relazioni tra simboli e
significati, tra segni e valori, non si concentra pi sulla regione, ma piuttosto
sui luoghi. In terzo luogo, perch il concetto di regione presuppone quello di
sistema di elementi connessi tra loro da
relazioni di causalit, il che incompatibile con questa prospettiva della
geografia culturale. In conclusione, si pu citare Aristotele, il quale sosteneva
che, quando si compiono scelte tra opzioni diverse, si aprono possibilit ma,
nello stesso tempo, se ne recidono altre. il caso degli aggregati territoriali.
Se si sceglie di sviluppare geografia culturale in chiave semiotica il solo
aggregato territoriale del trittico paesaggio, regione, genere di vita che

rimane, e guadagna valorizzazione, il paesaggio. Gli altri due aggregati,


regione e genere di vita, perdono giustificazione.

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