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La geografia culturale
Introduzione
La cultura un terreno comune alle scienze umane e ogni disciplina affronta
lo studio di questo campo immenso secondo diversi punti di vista. Lo sguardo
del geografo non pu separare i gruppi dai territori che lo hanno organizzato
o nei quali vivono. La geografia umana studia la distribuzione degli uomini,
delle loro attivit e delle loro opere sulla superficie della Terra, cercando di
spiegare il modo in cui i gruppi si innestano sullambiente, lo sfruttano e lo
trasformano. La cultura che interessa i geografi, in particolare, prima di
tutto costituita dallinsieme degli strumenti, delle abilit e delle conoscenze
con cui i gruppi interagiscono con ci che li circonda. Un oggetto di studio
chiave per chi si interessa di geografia culturale poi il paesaggio, che reca
limpronta della cultura, delle attivit produttive degli uomini e dei loro sforzi
di adattare lambiente alle proprie necessit.
La svolta culturale nella Geografia
La geografia umana ha subito, nell'arco degli ultimi vent'anni, una mutazione
profonda, dovuta alle trasformazioni mondiali, alla globalizzazione, alle
minacce ecologiche che pesano sul nostro pianeta. Il mutamento
conseguenza anche dell'evoluzione delle idee. Si parla volentieri, a questo
proposito, di "svolta culturale". Per comprendere meglio la dinamica in atto,
doveroso comparare le principali idee che dominano e reggono la disciplina
attualmente.
Fino agli anni '70, i geografi hanno trattato fatti direttamente osservabili. Per
spiegarli ricorrevano a schemi interpretativi causali.
Nell'ottica naturalista prevalente alla fine del XIX secolo, il modello di
causalit al quale facevano ricorso era di tipo lineare: un fatto osservato in un
determinato istante era il risultato dell'azione di una forza agente in un istante
precedente. Il clima mediterraneo spiegava, cos, l'estensione dell'ulivo; il
deserto era responsabile della nascita del nomadismo.
I geografi misero a punto, nel corso della prima met del XIX secolo, un
insieme di metodi nuovi per far risaltare, partendo da dati grezzi, le
distribuzioni, considerate come fatti. Di solito, spiegavano e mettevano in
pratica schemi pi complessi delle relazioni causali. Sinteticamente,
possibile evidenziare le seguenti tendenze geografiche:
- La presa di coscienza dell'esistenza di strutture geografiche la cui stabilit
spesso stupefacente: per esempio, divisioni regionali, paesaggi agrari o
ambienti antropizzati. Si dimostra cos che queste strutture risultano
dall'azione di una pluralit di cause che derivano dal passato, interagenti tra
esse;
- A partire dal 1950, per interpretare le strutture osservate, si ricorsi all'idea
di sistema: le realt analizzate sono fatte di elementi tra i quali le interazioni
sono multiple. Esistono circuiti di retroazione, quindi, cause ed effetti sono
simultanei.
implica, fin dal principio, una forte componente culturale. Essa non assume
esattamente la stessa fisionomia in Germania, Stati Uniti e Francia, i tre paesi
in cui i progressi risultano pi rapidi.
1.2 La geografia culturale tedesca.
Lespressione geografia culturale coniata nel 1880 da Friedrich Ratzel
(1844-1904) e nasce nellambito del pensiero tedesco, sotto linflusso della
teoria darwiniana. Ratzel insiste in particolar modo su un punto essenziale: i
gruppi umani dipendono e sono condizionati dallambiente in cui sono
insediati, da cui traggono la totalit o la maggior parte del necessario alla loro
sussistenza. La mobilit un dato fondamentale e un bisogno irrefrenabile
nella vita degli individui e delle collettivit. Gli uni e le altre devono disporre
pertanto di spazio.
Ratzel riconosce ai popoli un attributo proprio della loro essenza, la mobilit,
e un insieme di tecniche che ne assicurano il collegamento con lambiente
vicino e che dipendono dalla storia e dal livello di sviluppo. La geografia che
egli concepisce riserva un posto importante ai fatti di cultura, poich essa si
interessa ai sistemi impiegati per trarre profitto dallambiente e alle tecniche
adottate per semplificare
gli spostamenti. Questa cultura analizzata alla luce dei suoi aspetti materiali,
come insieme di artefatti utilizzati dagli uomini nei loro rapporti con lo spazio.
La dimensione cruciale attribuita al bisogno di spostamento orienta la
geografia ratzeliana verso precise preoccupazioni: essa pone laccento sulla
finitezza dello spazio, sulle barriere che ostacolano lespansione dei gruppi e
sugli effetti della frontiera. Lidea darwiniana di lotta per la sopravvivenza
limita, quindi, linteresse che lautore nutre per i fatti della cultura e
conferisce alla sua opera una portata essenzialmente politica. La cultura, per
come viene modellata sulla base dei problemi posti da Ratzel, diventa una
delle variabili fondamentali della geografia umana, ma il modo in cui egli
stesso la esamina, limita la curiosit che manifesta nei suoi confronti. Alla
selezione degli esseri viventi operata dallambiente e postulata da Darwin,
Ratzel sostituisce la selezione delle societ ad opera dello spazio: lo strumento
essenziale di cui i popoli dispongono per regolare il loro rapporto con lo spazio
lo Stato. La politica prende allora il sopravvento sul dato culturale.
Per la maggior parte dei colleghi di Ratzel, la geografia consisteva solo nella
descrizione della superficie terrestre. Insistendo sulle relazioni tra le societ e
il loro ambiente, Ratzel orientava effettivamente la geografia verso lanalisi di
relazioni causali, ma per la scienza del tempo i rapporti uomini/ambiente non
costituivano un oggetto unitario che potesse giustificare lesistenza di una
disciplina. Molti geografi tedeschi erano pertanto in cerca di una definizione
che offrisse loro il vantaggio di circoscrivere un oggetto preciso evitando
dispute sui confini con le discipline contigue.
Otto Schlter (1872-1959) fa del paesaggio loggetto della geografia umana,
concetto questo che mantiene lunit della disciplina, poich un paesaggio
modellato tanto dalle forze naturali quanto dallazione umana. La geografia
umana concepita da Schlter, che pone laccento sullinterazione tra fattori
naturali e fatti antropici, si interessa nello specifico al modo in cui i gruppi
umani modellano lo spazio in cui vivono e lo studio degli insediamenti umani
diventa il tema centrale della disciplina: essi costituiscono, infatti, quello che
gli autori tedeschi chiamano la Kulturlandschaft, ossia il paesaggio culturale,
equivalente di paesaggio antropizzato. Per Schlter, come per la maggior
parte dei geografi
tedeschi dei primi decenni del XX secolo, limpronta che gli uomini impongono
al paesaggio costituisce loggetto fondamentale della ricerca.
I geografi tedeschi hanno cos fornito, fin dai primi anni del Novecento, un
approccio originale ai fatti culturali. Linfluenza del darwinismo spiega
lattenzione attribuita agli strumenti e alle tecniche impiegati per dominare i
luoghi cos come il ruolo rilevante riservato allanalisi del paesaggio. Un simile
approccio trascura completamente il problema dellacquisizione delle
pratiche, delle conoscenze e dei valori. Dei fatti di trasmissione esso prende in
considerazione solo quelli che riguardano la diffusione delle tecniche,
ignorando comunemente gli atteggiamenti e le credenze. In compenso, rileva
lesistenza nel paesaggio di tratti di origine culturale fortemente strutturati e
costanti. Lo studio del paesaggio che riserva ampio spazio ai fattori culturali,
sebbene sotto langolazione abbastanza ristretta appena ricordata, domina la
geografia tedesca dagli anni Venti agli anni Sessanta del XX secolo.
1.3 La geografia culturale americana.
Se la maggior parte dei geografi tedeschi si interessava, attraverso i propri
lavori sui paesaggi, ai rapporti tra cultura e spazio, negli Stati Uniti la scuola
dominante tra il 1910 e la Seconda Guerra Mondiale (quella del Middle West)
li ignorava completamente. Alla ricerca di rigore, essa prestava
particolarmente attenzione alla raccolta dei dati e alla rappresentazioni
cartografiche. La geografia culturale sarebbe stata quindi completamente
trascurata se non fosse stato per Carl O. Sauer (1889-1975) fondatore
dellaltra scuola americana, quella di Berkeley: lo sviluppo della geografia
culturale statunitense inizia cos trentanni dopo i primi lavori tedeschi in
questo campo.
Carl O. Sauer, naturalista, consacra la maggior parte delle sue ricerche sul
campo alle popolazioni indiane del sud-ovest degli Stati Uniti. Nel suo
pensiero, la geografia deve consacrarsi alla morfologia del paesaggio e
limitarsi a ci che leggibile sulla superficie della Terra. Sauer orienta la sua
ricerca in geografia culturale su alcune precise questioni, prima fra tutte
quella che indaga in quali modi i gruppi agiscono sulla vegetazione naturale e
sul mondo animale e come li trasformano. Come i suoi contemporanei, Sauer
concepisce la cultura innanzitutto come linsieme degli strumenti e degli
artefatti che permettono alluomo di intervenire sul mondo esterno, ma egli si
spinge oltre: la cultura composta anche da complessi viventi che le societ
hanno imparato a mobilitare per modificare
lambiente naturale, renderlo meno ostile alluomo e pi produttivo. Queste
trasformazioni non sono prive di conseguenze: quando sono prodotte senza
cautela, minacciano lequilibrio naturale e portano a catastrofi ecologiche. I
ricercatori della scuola di Berkeley prendono in considerazione in particolare
due aspetti delle societ industrializzate: il modo in cui esse distruggono
lambiente naturale nel quale si sono sviluppate; e il corredo di piante e di
animali non autoctoni di cui si circondano. Sin dagli anni Trenta del XX secolo,
in Sauer e nei suoi allievi viva uninquietudine ecologica gi molto moderna.
E senza dubbio per tali motivi che gli orientamenti dati alla disciplina dalla
scuola di Berkeley restano ancora oggi i pi attuali.
1.4 La geografia culturale francese.
Sin da sempre la geografia occupa un posto importante nella scienza francese,
ma la modernizzazione verificatasi alla fine del XIX secolo deve molto alle
trasformazioni prodotte in Germania. I geografi francesi prendono come
modelli Alexander von Humboldt, Carl Ritter o Friedrich Ratzel: il caso di
Vidal de la Blache. Egli parte dalla concezione della geografia umana proposta
da Ratzel, studiando come lambiente influenzi le societ umane. Nella sua
analisi, anchegli si interessa allinsieme delle tecniche e degli utensili che gli
uomini impiegano per trasformare lambiente in cui vivono, renderli pi
conformi ai loro bisogni e sfruttarlo. Per Vidal de la Blache, come per gli
studiosi tedeschi o americani,
dunque, la cultura di pertinenza dei geografi quella colta attraverso gli
strumenti che le societ utilizzano e attraverso i paesaggi che modellano. Per
lo studioso francese, tuttavia, questi elementi acquisiscono senso solo se li si
coglie come componenti dei modi di vita. Lanalisi dei modi di vita mostra
come lelaborazione dei paesaggi rifletta lorganizzazione sociale del lavoro:
questa nozione permette di gettare uno sguardo sintetico sulle tecniche, gli
utensili e i modi di abitare delle diverse civilt, sottolineando come abitudini,
comportamenti e paesaggi si intreccino per caricare i modi di vita di valori.
Per Vidal de la Blache e i suoi allievi, cos come per Ratzel e i geografi
tedeschi, la cultura ci che si interpone tra luomo e lambiente,
umanizzando i paesaggi. Ma essa anche una struttura, generalmente stabile,
di comportamenti che vanno descritti e spiegati. Se nei primi anni del XX
secolo, laccento naturalistico, le ricerche sul campo portano a considerare
le altre dimensioni dei modi di vita. Lattenzione prestata a questi ultimi
introduce nella geografia umana francese una logica che la spinge a integrare
aspetti sempre pi vari e sistemi di comportamento. Naturalista per origini e
giustificazioni, essa devia verso posizioni pi umanistiche.
Uno dei primi allievi di Vidal de la Blache Jean Brunhes (1869-1930) che, pur
appellandosi alla tradizione vidaliana, pratica tuttavia una geografia che
differisce molto da quella sviluppata dagli altri vidaliani. Nel suo pensiero, la
disciplina ha come missione lanalisi dei processi di occupazione del suolo,
mentre la parte riservata alla cultura minima e la si incontra quasi
esclusivamente nella descrizione dei generi di vita. I lavori di geografia
culturale si moltiplicano in tutti i paesi nel corso degli anni Trenta, Quaranta e
Cinquanta del Novecento. Aprono nuove piste, ma senza che lispirazione
iniziale sia messa in discussione. I nuovi approcci (Pierre Gourou, 1902-2001)
rimodulano il senso e la portata dellanalisi dei modi di vita: questi ultimi non
traducono solo lo sforzo di adattamento dei
gruppi agli ambienti locali, ma poggiano anche su forme specifiche di
relazione tra gli individui e tra le cellule elementari. La cultura cessa di essere
analizzata semplicemente in termini di relazioni uomini/ambienti, ma diventa
una variabile indipendente, impone a coloro che ne sono custodi la ricerca di
non letterale)]
4. Cultura e paesaggio
4.1. Paesaggio, paesaggio culturale
Se intendessimo il paesaggio come corredo di simboli che connotano i singoli
luoghi e che rimandano a significati, non avremmo bisogno di aggiungere
l'aggettivo culturale al sostantivo paesaggio. Il paesaggio, infatti, sarebbe
inteso come un prodotto culturale di per s, n vi potrebbe essere un modo
non culturale per concepire il paesaggio. Sarebbe avvertito come una realt
generata dal fatto che aspetti naturali del territorio sono investiti da un'onda
di umanizzazione, che attribuisce loro simboli e, cos facendo, li immerge in
una dimensione esistenziale e in un'atmosfera di spiritualit. Questa posizione
non per accolta dalla maggior parte dei geografi, e ovviamente respinta
dai geografi
inclini a muoversi sul terreno dello Strutturalismo, per cui la storia della
geografia contrassegnata dalla distinzione, non di rado da una vera e
propria contrapposizione, tra paesaggio culturale e altri tipi di paesaggio: il
primo concepito in termini, per cos dire, post-strutturalisti, gli altri concepiti
in termini sostanzialmente strutturalisti. Conviene dunque che si richiamino i
modi con cui queste distinzioni si sono fatte strada, non tanto per compiere
un'operazione rievocativa di certe vicende della geografia, quanto piuttosto
per capire il senso con cui espressioni come paesaggio antropogeografico,
paesaggio umanizzato, paesaggio naturale, e ovviamente paesaggio
culturale, ricorrono nella letteratura. Riprendiamo dunque, e sviluppiamo, le
considerazioni dedicate al termine paesaggio all'inizio del capitolo.
La prima distinzione concettuale risale all'Ottocento, quando i geografi
tedeschi hanno contrapposto Naturlandschaft a Kulturlandschaft. Il significato
di Land, che indica una porzione di territorio nella sua specificit, unito a
quello di schaft, suffisso che indica qualcosa legato assieme (Andreotti, 1996,
p. 29), ha fatto s che i due termini fossero riferiti a tre oggetti: al territorio in
senso lato (Sestini, 1961, p. 281); alla regione, donde derivata la distinzione
tra regione naturale e regione geografica (Biasutti, 1962, p. 13); al
paesaggio, donde emersa la distinzione tra paesaggio naturale e
paesaggio culturale. Quest'ultima ricorre ancor oggi nella letteratura
(Gregory, 1981, p. 183). Ne fa fede anche il Glossario
Geografico Internazionale, curato dall'Unione Geografica Internazionale
(1988), secondo il quale Naturlandschaft indica un paesaggio in cui manca
l'intervento dell'uomo od in cui questo non partecipe in maniera rilevante
(p. 546), mentre Kulturlandschaft indica un paesaggio alla cui configurazione
e struttura ha contribuito l'uomo, insieme alla natura. Fortunatamente, negli
ultimi tempi questa distinzione andata soggetta a critiche, motivate dal fatto
che non esiste ambiente naturale che, direttamente o indirettamente, non sia
influenzato dall'uomo. Si giunti persino ad asserire che l'ambiente naturale
una realt perch esiste l'uomo. Andreotti (2002, p. 89) nota che quando in
geografia si parla di un paesaggio naturale, si allude a un ambiente fisico nel
Toschi - si riconosce dal suo o dai suoi paesaggi e il paesaggio non una
regione, ma qualcosa che pu essere di una regione come di un qualsiasi altro
tratto di superficie terrestre che non meriti nome cos impegnativo. Lo studio
del paesaggio, dunque, diventa necessario per lo studio regionale, ma non si
esaurisce in questo: ha una sua autonoma ragione d'essere.
A questo punto si pu comprendere come il concetto di paesaggio, pur
essendo molto fecondo, non possa condurre di per s al concetto di regione.
Per raggiungere l'obiettivo occorre introdurre l'idea di genere di vita, altro
concetto ampiamente coltivato nella geografia del Novecento (Claval, 1995, p.
22-25; trad. it. 2003). Proposto da Vidal de la Blache (1911), il concetto di
genere di vita stato sostanzialmente riferito a un complesso di abitudini e di
concezioni organizzate e sistematiche, implicanti un'azione metodica e stabile,
capace di assicurare l'esistenza dei gruppi umani autonomi che le praticano.
Dal pensiero vidaliano emergono alcune proposizioni: che non vi genere di
vita se non collettivo e se il gruppo umano non gode di autonomia: che il
genere di vita, per essere tale, deve avere carattere di stabilit e di
sistematicit, che suscettibile di forza propria e ci senza contraddizione con
la stabilit e che pu subire modifiche per interventi esterni (Pracchi, 1965,
p.69).
La concezione vidaliana appare molto vicina a quelle che, nello stesso tempo,
andavano delineandosi nell'etnologia e nell'antropologia culturale e che
stavano conducendo all'idea di modello di cultura, inteso come il complesso
dei costumi, delle tecniche e dei valori propri di una comunit, con specifico
riferimento alle comunit con culture semplici. In sostanza, il genere di
vitaappariva come una sorta di concetto di connessione - oggi si direbbe di
interfaccia - tra la geografia e le scienze antropologico-culturali o, se si vuole,
come il prodotto della competizione tra geografi, da una parte, etnologi e
antropologi dall'altra, nel campo dello studio delle culture.
In ogni caso, il nostro interesse non risiede su questi aspetti, ma piuttosto sul
fatto che, per lungo tempo, regione, paesaggio e genere di vita sono stati
collegati facendo approdare a una visione unitaria, nella quale la regione
stata assunta come un territorio plasmato da un determinato genere di vita,
che si manifesta attraverso un paesaggio o un insieme di paesaggi tra loro in
qualche modo connessi. Pu questa concezione essere accolta nella
prospettiva della geografia culturale? La risposta negativa, per vari motivi.
In primo luogo, il concetto di genere di vita non ha pi ragione d'essere, come
d'altra parte diventa sempre meno legittimato il concetto gemello di
modello di cultura. In secondo luogo, l'attenzione della geografia culturale,
soprattutto se intesa come lo studio di simboli e delle relazioni tra simboli e
significati, tra segni e valori, non si concentra pi sulla regione, ma piuttosto
sui luoghi. In terzo luogo, perch il concetto di regione presuppone quello di
sistema di elementi connessi tra loro da
relazioni di causalit, il che incompatibile con questa prospettiva della
geografia culturale. In conclusione, si pu citare Aristotele, il quale sosteneva
che, quando si compiono scelte tra opzioni diverse, si aprono possibilit ma,
nello stesso tempo, se ne recidono altre. il caso degli aggregati territoriali.
Se si sceglie di sviluppare geografia culturale in chiave semiotica il solo
aggregato territoriale del trittico paesaggio, regione, genere di vita che