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LA FIGURA DELL'ARTISTA NEL RINASCIMENTO

La concezione delle arti figurative sempre stata caratterizzata da una


dicotomia tra manualit ed intellettualit e di conseguenza gli artisti sono
stati considerati talvolta dei semplici artigiani talaltra dei veri e propri
intellettuali. Durante tutto il Medioevo la figura dellartista non si discost,
agli occhi dei contemporanei, da quella di un comune lavoratore manuale,
in virt di una mentalit che apprezzava unopera non per dei fattori
estetici ad essa intrinseci ma per la buona qualit della fattura e per la
preziosit dei materiali impiegati nonch per unesposizione narrativa in
grado di far comprendere ai pi gli eventi rappresentati, in base ad una
visione didascalica dellarte.
Una prima reazione a questo stato di cose fu rappresentata dal Libro
dellArte di Cennino Cennini, uno scritto del primo quarto del
Quattrocento a met strada tra il prontuario tecnico medievale e il
moderno trattato darte. Se infatti Cennini -che nellincipit del suo libro si
dichiara scolaro di Agnolo Gaddi e quindi appartenente al filone di arte
figurativa inaugurato da Giotto- sulla scorta di Teofilo fa derivare la pittura
dalla necessitas scaturita in seguito al peccato originale, aderendo
pienamente al pensiero scolastico medievale, pur vero che compie un
notevole salto in avanti richiedendo allartista competenze intellettuali e
teoriche accanto alle consuete capacit manuali. Queste ultime tuttavia
risultano nettamente prevalenti nellimpostazione data al suo trattato, che
molto si dilunga nella descrizione delle pratiche allora in uso nelle
botteghe.
Le botteghe degli artisti non si differenziavano nella struttura e
nellorganizzazione da quelle degli altri artigiani: solitamente collocate al
livello della strada e collegate mediante un uscio con labitazione del
titolare, il lavoro che si svolgeva al loro interno era impostato secondo un
metodo di produzione che prevedeva una netta suddivisione dei compiti
tra il maestro, gli assistenti e gli apprendisti.

una nota opera Della Robbia (alla Verna), foto di Franco C.

Molte botteghe erano specializzate in un particolare genere di manifattura


artistica: cos ad esempio, nella Firenze del Quattrocento la bottega dei
Della Robbia si occupava esclusivamente di terrecotte invetriate
policrome, mentre quella dei Benintendi era una specialista nella
creazione di ex-voto in cera. In questo modo, oltre al raggiungimento di un
livello tecnico assai elevato, si aveva una notevole semplificazione per
quanto riguardava la gestione e lamministrazione dellattivit. Molto
spesso la trasmissione del mestiere avveniva allinterno di una stessa
famiglia, il che costituiva una maggiore garanzia per il mantenimento dei
segreti di bottega e a questo proposito possiamo citare gli esempi dei
Della Robbia, dei Benintendi, dei Ghiberti, dei Lippi, dei Rossellino, dei da
Maiano, dei Pollaiolo.

Alle statue delle facciate della chiesa fiorentina di Orsanmichele lavorarono diversi degli artisti
qui citati (gli originali sono ora nel museo collegato). Fu la chiesa delle Arti fiorentine-foto ap

Come tutti gli altri lavoratori artigianali, a cui del resto erano assimilati, gli
artisti, per poter esercitare il loro mestiere e per veder riconosciuti i propri
diritti civili, dovevano essere iscritti alle corporazioni, che corrispondevano
ad unorganizzazione gerarchica di una societ di tipo collettivistico che
non prevedeva spazio alcuno per il concetto di individualit creatrice. Gli
artisti per non avevano una corporazione che li comprendesse tutti,
poich ci vorr ancora del tempo perch si affermi una visione universale
delle arti, ma, a seconda del materiale che pi comunemente impiegavano
per le loro creazioni, erano iscritti a diverse gilde. Cos i pittori della
Firenze quattrocentesca, in virt del fatto che maneggiavano i colori, erano
iscritti allArte dei Medici e degli Speziali; gli orafi allArte della Seta,
insieme ai battiloro e ai filatori doro, anello di congiunzione tra gli orefici e

i lavoratori della seta; gli scultori appartenevano allArte dei maestri di


Pietra e Legname, cui dovevano essere iscritti anche gli architetti, vista la
loro formazione da carpentieri, in un periodo in cui la progettazione e la
supervisione della costruzione di un edificio ancora non erano considerate
come un mestiere a s stante e tra un architetto e un capocantiere non
cera molta differenza.
Tra gli scopi delle corporazioni rientrava una sorta di protezione sindacale,
in grado di salvaguardare i propri iscritti dalla concorrenza: non a caso gli
artisti forestieri che si iscrivevano allArte dei Medici e degli Speziali
dovevano versare una quota corrispondente al doppio di quella prevista
per i fiorentini, il che, tra laltro, indice di una massiccia presenza di
artisti tedeschi e fiamminghi nella Firenze del Quattrocento. Il regolamento
delle gilde poi costituiva una garanzia per gli acquirenti, i quali erano sicuri
di ricevere prodotti realizzati secondo le migliori tecniche artigianali: nei
regolamenti delle corporazioni intere pagine sono dedicate a disposizioni
relative allutilizzazione dei pigmenti migliori, in grado di durare a lungo e
a raccomandazioni circa limpiego di metodiche lavorative accurate e
coscienziose. Le corporazioni controllavano interi aspetti della vita dei loro
membri: si assicuravano che essi rispettassero le pratiche religiose, che
osservassero una condotta di vita onesta e moralmente impeccabile,
controllavano la formazione degli apprendisti, soprintedevano ai contratti
e regolavano i rapporti con i committenti. E chiaro che in un tale stato di
vigilanza totale esercitata dalle gilde per gli artisti non era facile affermare
la propria individualit o andare contro le regole stabilite e comunemente
accettate, per cui risulta ancora pi rivoluzionaria lazione di alcuni
maestri rinascimentali impegnatisi per veder riconosciuta la libera
espressione della propria creativit.
Un primo esempio di ribellione alle strette regole corporative ci offerto
da Filippo Brunelleschi, larchitetto che aveva saputo proporre una geniale
soluzione al problema della copertura del Duomo fiorentino e che per
primo aveva delineato le regole della prospettiva pittorica lineare, che
sarebbero state codificate da Leon Battista Alberti nel De Pictura,
dedicato, nella sua redazione in volgare apparsa nel 1436, proprio a
Brunelleschi. Il 20 agosto del 1434, quando lenorme cupola di Santa Maria
del Fiore era prossima al compimento, Brunelleschi, su richiesta dellArte
dei maestri di pietra e legname cui apparteneva, venne fatto arrestare per
essersi rifiutato di versare alla corporazione i tributi previsti per legge. A
questo punto intervenne il Capitolo del Duomo e larchitetto venne liberato
dopo pochi giorni, potendo riprendere il lavoro senza altri ostacoli da parte
della corporazione. Che Brunelleschi rappresenti il prototipo del nuovo
architetto, impegnato nella progettazione delle varie fasi dellopera da lui
intrapresa, dimostrato da un aneddoto tramandatoci dal Vasari, secondo
il quale un d le maestranze a lui sottoposte, per via di discussioni
avvenute sul cantiere, decisero di scioperare chiedendo un aumento del
compenso loro spettante, credendo in tal modo di arrecare un danno a
Filippo. Questi dal canto suo assunse degli operai lombardi che seppe
istruire sul da farsi in un solo giorno costringendo gli scioperanti ad
implorarlo per essere riassunti anche con un salario minore. Tale episodio

altamente eloquente circa il contrasto tra la mentalit delle maestranze,


che ragionano ancora secondo unottica medievale e credono di essere
insostituibili e Brunelleschi, che si comporta da moderno architetto
considerando gli operai dei semplici strumenti per lesecuzione delle
proprie invenzioni. Questa nuova concezione dellarchitetto, la cui funzione
si definisce primariamente nella fase progettuale, fu teorizzata da Leon
Battista Alberti nel De Re Aedificatoria, pubblicato postumo nel 1485.
Per Alberti larchitetto figura ben diversa dal carpentiere, in quanto il suo
ruolo si configura nella progettazione di edifici e nella sovrintendenza alla
realizzazione del proprio disegno, che deve essere affidata a collaboratori
esperti e diligenti. Siamo di fronte ad una visione della figura
dellarchitetto come puro teorico, che agisce sulla base di unaccurata
conoscenza della geometria, della matematica e dei principi che regolano
lo spostamento dei pesi e lassemblamento dei corpi: non potrebbe essere
pi esplicito il passaggio da una concezione medievale che considerava
larchitetto allo stesso livello di un capocantiere, alla nuova mentalit che
vede questa figura impegnata nella progettazione dellopera, la cui
esecuzione materiale demandata a sovrintendenti capaci, alla stregua di
un intellettuale dirigente di tipo paleocapitalistico; del resto noto che
lAlberti non esegu mai personalmente le opere da lui progettate. La
nuova figura dartista delineata da Alberti si definisce anche nel suo
trattato De Pictura, scritto nel 1436, due anni dopo il soggiorno
fiorentino, in occasione del quale larchitetto pot vedere allopera
Donatello, Brunelleschi e Ghiberti, al culmine della propria carriera, mentre
Masaccio era morto pochi anni prima. Stimolato dal clima fiorentino,
caratterizzato da una felice congiuntura tra sperimentazioni degli artisti e
atteggiamento progressista della committenza, Alberti dichiar la pittura
arte somma tra tutte, degnia ad i liberi huomini . Dilettarsi di pittura per
Alberti indizio di un ottimo ingegno ma solo chi si dedicher totalmente
allo studio potr sperare di raggiungere una fama pari a quella degli
antichi. Il pittore, oltre alle necessarie abilit tecniche, dovr rivelarsi in
grado di padroneggiare i fondamenti della geometria, dellottica e della
prospettiva; dovr familiarizzarsi con i principi che regolano il movimento
del corpo umano, poich i movimenti danimo si conoscono dai
movimenti del corpo; soprattutto dovr conoscere la poesia, la retorica e
le lettere, che gli permetteranno di ottenere una buona inventione. E
chiaro dunque che lartista qualcosa di pi di un semplice artigiano: un
dotto, un intellettuale la cui professione si trova allo stesso rango della
poesia e delle scienze teoretiche e il suo inquadramento nelle vecchie
corporazioni ormai percepito come un anacronismo.
In questa stessa linea inaugurata da Alberti, che si era impegnato a fornire
alle arti figurative un saldo presupposto teorico per innalzarle dal rango di
arti meccaniche a quello di arti liberali, si pone pure Lorenzo Ghiberti, il
celebre autore delle porte del Battistero fiorentino. Nei Commentari - in tre
libri scritti dopo il 1447 (dove, tra laltro, compare la prima autobiografia
scritta da un artista)- si rif a Vitruvio e dichiara la necessit per lartista di
istruirsi in tutti i rami dello scibile: grammatica, prospettiva, geometria,
storia, filosofia, anatomia, medicina, teoria del disegno, astrologia e

aritmetica. Le arti figurative infatti per Ghiberti comprendono pi discipline


e si compiono per materia e per ragionamenti e di conseguenza il vero
artista deve possedere un adeguato bagaglio teorico accanto alle doti
manuali. A questa rivendicazione di un nuovo ruolo per lartista si
accompagna, nel Ghiberti, una spiccata consapevolezza di s e delle
proprie capacit intellettuali e creative impensabile per un semplice
artigiano: poche cose si sono fatte dimportanza sulla nostra terra che
non sieno state disegnate ed ordinate di mia mano .
Come reagirono i committenti a queste rivendicazioni degli artisti, che,
reclamando una considerazione pari a quella degli intellettuali, chiedevano
che le loro opere fossero valutate in base a criteri diversi da quelli adottati
per dei semplici manufatti artigianali ?

l'aquila della corporazione fiorentina di Calimala in vetta alla basilica di San Miniato al Monte

Se vero che Brunelleschi e Ghiberti lavorarono per una committenza


illuminata, costituita dagli Operai nominati dallArte della Lana e dallArte
di Calimala e che Alberti fu al servizio di principi illustri, pur vero che
ancora nel 1470 Borso dEste a Ferrara pagava Francesco del Cossa,
impegnato nel ciclo del Salone dei Mesi di Palazzo Schifanoia, dieci
bolognini al piede , come lo stesso artista lamentava in una lettera inviata
al duca, in cui rivendicava un trattamento migliore di quello riservato ad
un qualsiasi garzone. Similmente nella Roma di Sisto IV, il papa
rinascimentale che promosse il restauro e la decorazione delle pareti della
Cappella Sistina, nel 1478 Antoniazzo Romano redasse i nuovo statuti
della Compagnia dei Pittori, che ci riportano ad una realt di bottega in altri
contesti superata, recando tutta una serie di disposizioni circa la
celebrazione di importanti festivit religiose, circa limpedimento di affidare

lavori a chi non fosse in regola con i pagamenti e di usare colori


contraffatti.
Comunque, sia pure in maniera graduale e diversificata, un nuovo
atteggiamento cominciava a impadronirsi della committenza: Michael
Baxandall, nel suo studio Pittura ed esperienze sociali nellItalia del
Quattrocento , ha evidenziato come, nel corso del Quattrocento, nei
contratti stipulati tra committente e artista si parli sempre meno delluso
delloro e dellazzurro ultramarino e acquisti maggior importanza labilit
tecnica del pittore, a cui si chiede di intervenire personalmente in
determinate parti dellopera o di dipingere sullo sfondo delle raffigurazioni
al posto delle dorature. Lopera cio comincia ad essere valutata non in
base ai materiali preziosi con cui eseguita ma in quanto realizzata da un
abile artefice e il talento artistico inizia a divenire una discriminante
importante nel giudizio di un dipinto o di una scultura. Lo stesso Alberti del
resto, nel De Pictura, aveva raccomandato agli artisti di non usare loro
nelle tavole ma di imitarne bagliori e riflessi mediante i colori, in modo da
procurarsi lode e ammirazione per la maestria dimostrata.
La nuova posizione assunta da una parte della committenza nei confronti
degli artisti pu ben essere esemplificata da un aneddoto che Vasari
riporta a proposito di Filippo Lippi. Il frate carmelitano, uno dei pittori pi
apprezzati e richiesti della sua epoca, amava a tal punto la compagnia
femminile da tralasciare spesso le opere cui attendeva. Un giorno Cosimo
d Medici, spazientito, lo rinchiuse in casa sua perch terminasse unopera
che gli aveva commissionato ma il frate, spinto da appetiti amorosi, riusc
a fuggire calandosi dalla finestra. Alch Cosimo si convinse della necessit
di concedergli la massima libert, motivandola con la celebre frase: che
leccellenze degli ingegni rari son forme celesti e non asini vetturini.

il sacello nella Cappella Ruccellai-foto Sailko/wikimedia

Questo atteggiamento illuminato caratterizza un conterraneo e


contemporaneo di Cosimo d Medici: Giovanni Rucellai, priore e
gonfaloniere. Su sua commissione Alberti realizz linnovativo palazzo di
famiglia, la rinascimentale facciata di Santa Maria Novella e la cappella di
famiglia in San Pancrazio. Nello Zibaldone scritto in tarda et Rucellai ci ha
lasciato un documento molto importante per la ricostruzione della sua
posizione nei confronti dellarte e degli artisti. Dopo aver elencato tutte le
imprese da lui patrocinate, afferma che esse gli hanno procurato immensa
gioia e piacere, poich sono state compiute in parte per rendere onore a
Dio, in parte per glorificare la citt e in parte per assicurargli la memoria
tra i posteri, rivelando come il desiderio di gloria fosse uno dei motori
principali della promozione dellattivit artistica. Rucellai dichiara con
orgoglio di possedere opere di scultura e di pittura eseguite dai migliori
maestri italiani, quali Domenico Veneziano, Filippo Lippi, Giuliano da
Maiano, Maso Finiguerra, Verrocchio, Andrea del Castagno, Paolo Uccello e
Desiderio da Settignano.
Il fatto che Rucellai non menzioni il soggetto delle sculture e dei dipinti da
lui posseduti, limitandosi ad indicarne gli artefici, chiaro indice di una
mentalit rinascimentale, per cui nella valutazione di unopera la celebrit
e la maestria dellartista si rivelano fattori decisivi. Lorgoglio di detenere
opere di artisti famosi a apprezzati e lattenzione verso la loro individualit
denota un interesse proprio del conoscitore e del collezionista.
Contemporaneamente al manifestarsi in alcuni committenti di questo
atteggiamento tipico dellamatore, che brama raccogliere capolavori dei

maggiori maestri per il proprio diletto personale, intorno agli anni


Cinquanta alcuni artisti iniziano ad essere accolti in societ e, se Domenico
Veneziano nel 1438 si rivolgeva a Piero d Medici in tono supplichevole,
nel 1457 Filippo Lippi scriveva a Giovanni di Cosimo Medici chiamandolo
carissimo e Benozzo Gozzoli intratteneva con lui una relazione di
amicizia. Un rapporto familiare e disinvolto traspare poi dal tono di una
lettera inviata a Lorenzo il Magnifico nel 1479 da Bertoldo, lallievo di
Donatello famoso per i suoi bronzetti, le sue placchette e le sue medaglie,
che rispondevano perfettamente al gusto di Lorenzo, caratterizzato da una
bramosia del lusso e da una passione per gli oggetti di piccolo formato.
Lorenzo comprendeva e condivideva il desiderio di rivendicazione sociale
degli artisti, incoraggiandolo in molti modi. Fece erigere una tomba a
Filippo Lippi, ventanni dopo la sua morte, nel Duomo di Spoleto e fece
comporre lepigrafe commemorativa da Poliziano, suo poeta preferito; si
impegn perch in Santa Maria del Fiore fosse posta una lapide in onore di
Giotto.
A Lorenzo si deve lattuazione di uniniziativa totalmente nuova: la
fondazione di una scuola per artisti, ospitata nella villa che il Magnifico
aveva fatto costruire per la moglie Clarice Orsini. In tal modo si
rivendicava per gli artisti la necessit di uneducazione diversa
dallapprendistato di bottega. Il Magnifico affid la direzione di questa
scuola a Bertoldo e qui si formarono Lorenzo di Credi, il Granacci, i Rustici,
Baccio da Montelupo e il giovane Michelangelo, accolto in casa Medici
allet di quindici anni e prediletto da Lorenzo, che lo trattava come un
membro della famiglia. Il Magnifico aveva sostenuto e difeso la vocazione
artistica di Michelangelo, duramente osteggiata dal padre, che aveva nei
confronti dellarte una mentalit conservatrice e considerava denigrante
per il figlio di un notaio dedicarsi alla scultura e solo grazie
allintercessione di Lorenzo si convinse che uno scultore e uno scalpellino
non erano la stessa cosa.
La filosofia neoplatonica della corte laurenziana costitu un favorevole
impulso al processo di emancipazione di alcuni artisti. Verso la fine del XV
secolo il filosofo neoplatonico Marsilio Ficino, in una lettera al famoso
astronomo Paolo di Middelburg, celebrava la propria epoca come unet
delloro, in cui erano state riportate alla luce le arti liberali, tra cui
includeva la pittura, la scultura e larchitettura. In questo clima
neoplatonico si formarono artisti quali Verrocchio, Botticelli, Filippino Lippi,
Michelangelo e Leonardo.
Tra gli artisti del Rinascimento Leonardo quello che con maggior forza
rivendica il carattere intellettuale e non meccanico della creazione
artistica, nel suo Trattato della Pittura, che prende le mosse dal De Pictura
albertiano. Leonardo identifica la pittura con la scienza, affermando che
qualsiasi indagine deve partire dalle dimostrazioni matematiche, che
devono essere verificate dallesperienza, la quale assume un valore
fondante allinterno del processo conoscitivo, poich tutto il sapere non
derivato dallesperienza incerto e fallace. In questo modo egli combatte
le concezioni che definiscono meccaniche le indagini derivate

dallesperienza. Leonardo non solo propone unidentificazione pitturascienza, ma dichiara la sua arte preferita superiore alle discipline
scientifiche, poich essa si configura come un dono innato, che non si pu
insegnare se non la si riceve in dote dalla natura, come accade invece con
il sapere matematico. Mentre infatti la geometria e laritmetica si
occupano esclusivamente della quantit, la pittura mira al raggiungimento
della qualit artistica, che consiste nella bellezza. Per Leonardo la pittura
unoperazione che si pone prima nella mente dellartefice per poi
concretizzarsi attraverso il lavoro della mano. In questo modo Leonardo
supera definitivamente la barriera medioevale tra arti meccaniche e arti
liberali, indicando una stretta correlazione tra indagine teorica e verifica
sperimentale. Oltre a rivendicare limportanza del pensiero nelloperazione
artistica, Da Vinci concepisce le arti figurative come linguaggio: in un
passo del Trattato relativo al paragone tra pittura e poesia, Leonardo
afferma la superiorit della prima in virt della sua immediatezza
comunicativa: la pittura infatti si rivolge direttamente alla vista, che tra i
cinque sensi il pi nobile; la sua portata universale, in quanto non
necessita di essere tradotta ma si rivolge direttamente agli occhi dei
fruitori, comunicando i suoi contenuti in maniera molto pi immediata di
quanto avvenga nella poesia. Lesempio che adduce per dimostrare questa
tesi altamente eloquente: il nome di Dio scritto su una parete sar molto
meno venerato della sua immagine dipinta. Siamo ormai lontani dalla
concezione che assimilava lartista ad un semplice artigiano, tutto dedito
allesecuzione del lavoro manuale: egli infatti, in virt di una dote innata e
di uno studio approfondito, deve essere in grado di imitare la natura, di
penetrarne cio le leggi pi nascoste e di riproporle rielaborandole, alla
stregua di un secondo creatore. E chiaro che alla luce di una tale
concezione lapprendistato in bottega era ormai percepito come un
anacronismo e che allartista si richiedeva un nuovo tipo di educazione,
degna di un intellettuale e di un cortigiano, ruolo che Leonardo ricopriva
alla corte milanese di Ludovico il Moro, dove, oltre alla realizzazione di
dipinti, era impegnato come ingegnere militare nonch nellallestimento di
feste e ricevimenti, in occasione dei quali disegnava costumi ed elaborava
macchine teatrali.
Agli scritti degli artisti che mirano a fornire alle arti figurative un valido
presupposto teorico si accompagnano, a partire dalla met del
Quattrocento circa, una serie di atteggiamenti degli stessi che dimostrano
una spiccata autoconsapevolezza delle proprie doti: alcuni artisti, coscienti
del proprio talento e del proprio ingegno, si impegnano perch questo
venga unanimemente riconosciuto dai committenti. Vasari riporta a questo
proposito numerosi aneddoti, che, anche se non sempre verificabili, sono
comunque eloquenti circa la lotta di emancipazione che alcuni artisti
condussero contro committenti che stentavano a valutare il talento
artistico come una sorta di predestinazione e seguitavano a considerare gli
artisti degli esponenti delle arti meccaniche. Laneddoto che Vasari riporta
circa la realizzazione del monumento equestre di Bartolomeo Colleoni,
affidato dalla Signoria di Venezia al Verrocchio, mostra come, nella
battaglia per lemancipazione, gli artisti assumessero anche degli
atteggiamenti ribelli, che denotano unacquisita coscienza del valore del

proprio operato. Stando a Vasari, la Signoria aveva affidato al Verrocchio la


realizzazione del solo cavallo, essendosi rivolta ad un altro scultore per
lesecuzione della figura. Questo fatto adir a tal punto il fiorentino da
indurlo a staccare la testa del modello dellanimale. Quando il governo
veneziano lo diffid dal recarsi in terra veneta pena la decapitazione,
lartista rispose ai suoi committenti dichiarando che mentre essi non
sarebbero stati in grado di sostituire la sua testa con una migliore, egli
avrebbe potuto compiere tale operazione con il cavallo che doveva
scolpire, rivendicando in tal modo una posizione di assoluta superiorit. Di
fronte a cotanta sicurezza la Signoria richiam il Verrocchio a Venezia e gli
affid la realizzazione dellintero monumento.

ultima cena del Ghirlandaio nell'abbazia di San Michele Arcangelo a Passignano (provincia Firenze)

Non meno consapevole dellimportanza del proprio ruolo sembra essere


Davide Ghirlandaio, impegnato insieme al pi noto fratello Domenico nella
decorazione dellabbazia di Passignano, nel 1476. Lamentatosi con labate
per la cattiva qualit del cibo che gli veniva offerto, afferm che non era
conveniente che fosse trattato come un manovale e arriv persino a
percuotere il cuoco.
Una condotta senza precedenti per un artista tenne Michelangelo nei
confronti di Giulio II: il papa nel 1504 aveva affidato al Buonarroti la
realizzazione della propria tomba, ma ben presto i lavori relativi alla
fabbrica di San Pietro distolsero il pontefice dal finanziamento di
questincarico. Michelangelo perse la pazienza e lasci Roma
allimprovviso, recandosi nella natia Firenze e solo dopo numerosi appelli
del papa si convinse a tornare nella capitale. Mai prima dallora un artista
aveva osato comportarsi in questo modo con un pontefice e mai nessun
committente aveva mostrato tanta tolleranza verso un grande talento.
Lalta considerazione che Michelangelo aveva di s traspare anche dalla
secca risposta quando potr che forn a Giulio II che gli chiese quando
avrebbe terminato gli affreschi della volta della Sistina, nonch dalla
vistosa firma che appose sulla Piet vaticana.
La tolleranza e il rispetto che Giulio II mostra verso Michelangelo un
atteggiamento che comincia a farsi strada tra i committenti. La marchesa
di Mantova Isabella dEste, desiderosa di decorare il suo studiolo con le
opere dei maestri migliori, tent in molti modi di ottenere unopera di
Leonardo. A questo scopo nel 1501 scrisse al vicario generale dei

carmelitani perch intercedesse presso il pittore. Quanto al soggetto e ai


termini di consegna, la marchesa si rimetteva totalmente alla volont del
pittore ma, com noto, non riusc nel suo intento. Le trattative con
Giovanni Bellini, a cui Isabella aveva inviato un anticipo per un quadro
destinato allo studiolo, non furono migliori: lartista non esegu mai il
dipinto richiestogli e dopo otto anni dallinizio delle trattative si limit ad
inviargli una Nativit. Il fratello di Isabella, Alfonso duca di Ferrara, tent
per un anno intero di ottenere da Raffaello un quadro rappresentante un
Trionfo di Bacco. Quando lartista fu finalmente convinto ad accettare
lincarico, la morte lo colp e solo con molta difficolt il duca riusc ad
ottenere dagli eredi la restituzione dellacconto versato allurbinate.
I rapporti tra Alfonso e Tiziano non furono meno difficili: lartista
veneziano doveva eseguire per lo studio del duca tre baccanali e
lesecuzione di uno di essi, il Bacco e Arianna della National Gallery, si
trascin per lunghi anni.
A questo capovolgimento totale dei rapporti tra lartista e il committente
corrispondevano notevoli mutamenti avvenuti nel mercato dellarte. Tutte
queste trattative tra sovrani e artisti non avvenivano direttamente, ma
attraverso lintermediazione di una figura creatasi da poco, quella
dellagente darte, rappresentata in maniera esemplare da Giovan Battista
della Palla, patrizio fiorentino che, esiliato dalla sua citt nel 1521, si rec
in Francia dove riusc ad entrare nelle grazie del re e ad intercedere
presso di lui per lacquisto di opere di famosi maestri italiani. Laffermarsi
della figura del mercante darte fu agevolata dallinstaurarsi di rapporti
diplomatici tra lItalia e la Francia in seguito alla discesa di Carlo VIII nella
penisola nel 1494. Numerosi artisti furono invitati a recarsi a lavorare
presso la corte francese, come Leonardo, fra Bartolomeo, il quale declin
linvito, Andrea del Sarto.
Il fenomeno si ripet dopo il sacco di Roma del 1527, quando artisti come
Rosso Fiorentino, Primaticcio, Benevenuto Cellini e Parmigianino furono
chiamati al servizio di Francesco I a Fontainebleau. In questo contesto il
ruolo dellagente darte acquis unimportanza sempre maggiore: questi
personaggi conducevano con s gli artisti in Francia, Spagna e Inghilterra e
li raccomandavano ai dignitari locali. Spesso si assumevano il rischio di
commissionare opere a proprie spese, tentando poi di rivenderle a principi
e sovrani disposti a spendere qualsiasi cifra pur di possedere lavori di
maestri di fama internazionale. In questo modo terminava la
contrattazione del prezzo tra artista e committente basata su un accurato
calcolo dei materiali usati, del tempo impiegato e delle dimensioni
dellopera, nonch le continue interferenze dei mecenati nei confronti della
composizione, il che confer agli artisti una libert creativa prima
sconosciuta. Il prezzo delle opere inoltre lievit notevolmente e di
conseguenza molti artisti raggiunsero, oltre a unindiscussa fama, una
discreta condizione economica.
Anche se solo nella seconda met del XVI secolo gli artisti saranno
ufficialmente affrancati dallobbligo di appartenenza alle corporazioni e

anche se non tutti potevano permettersi lalta considerazione e gli agi


tributati a un Raffaello, a un Michelangelo o a un Tiziano, le arti figurative
erano ormai state elevate su un piano intellettuale. Lartista diverr allora
un perfetto cortigiano, che decide personalmente per chi lavorare e la sua
formazione sar patrocinata dalle accademie, che iniziano a vedere la luce
nel 1561, quando Vasari, con il sostegno di Cosimo I, fonda a Firenze
lAccademia del disegno.

sede attuale Accademia di S.Luca,con statuto autonomo dal 1577

Le teorie manieristiche sullidea che trova attuazione nella creazione


artistica, considerata espressione dellindividualit dellartefice, vanno di
pari passo con questi cambiamenti nel tessuto delle istituzioni e
favoriscono laffermarsi di una visione dellartista come un personaggio
eccentrico, caratterizzato da genio e sregolatezza, ruolo gi incarnato sul
finire del Quattrocento da Piero di Cosimo. Un calzante esempio in questo
senso offerto dal vivido ritratto vasariano del Pontormo, artista tutto
preso dalla sua arte, alla continua ricerca di soluzioni sperimentali, negato
per le cose pratiche della vita, riluttante ai rapporti con gli altri e
ossessionato dallidea della morte.
Il processo di affrancamento delle arti figurative dalle pratiche artigianali
di bottega era definitivamente compiuto e lartista era divenuto, agli occhi
dei contemporanei, un bohmien ante litteram.
Laura Cianfarani (diritti di riproduzione riservati all'autore)

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