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Riformismo o rivoluzione?
Note sulle criminologie liberal
e radical negli Stati Uniti
Il corso tenuto da Jonathan Simon e Tony Platt alla University of California,
Berkeley, nellautunno del 2012costituisce unimpresa accademica e pedagogica straordinaria. Suggestivamente intitolato From Community Control
to Mass Incarceration (Dal controllo comunitario allincarcerazione di massa), il seminario si rapidamente trasformato in qualcosa di pi simile a un
workshop permanente che non a un corso universitario: non appena iniziata a circolare la notizia che nelle aule ipertecnologiche della Law School
di Berkeley si stava tentando di riprodurre qualcosa di simile allatmosfera
della defunta Berkeley School of Criminology, la partecipazione al corso ha
iniziato ad estendersi in direzioni impreviste. In generale, lobiettivo del corso si pu riassumere con il tentativo di ricostruire una genealogia della crisi
penale americana attraverso unanalisi critica di alcune delle battaglie culturali, politiche e ideologiche che hanno solcato il campo della criminologia
negli Stati Uniti durante gli anni Sessanta e Settanta. Quella fase storica ha
assistito nel corso di meno di ventanni dapprima al consolidamento
dellinsieme di ideologie e pratiche correzionali e trattamentali che David
Garland (1985, 244-64) ha riassunto sotto la categoria di penalit welfarista, e successivamente al repentino abbandono di tale ethos riabilitativo
a favore di una svolta punitiva che negli anni Ottanta e Novanta avrebbe
alimentato lincarcerazione di massa dei poveri urbani, soprattutto latini e
afroamericani (M. Alexander, 2010; V. Rios, 2011; L. Wacquant, 2006; B.
Western, 2006). Platt e Simon hanno condotto questo viaggio sotto forma
di una serie di dialoghi, volti a comprendere la storia, il presente e il futuro
della crisi penale statunitense, tra i contemporanei e il passato, tra differenti
generazioni di studiosi e soprattutto tra prospettive criminologiche liberal
e radical1; nelle prossime pagine concentrer i miei commenti in particolare
su questultimo versante.
Nel suo commento sui temi del seminario di Berkeley, Jonathan Simon2
giunge allinteressante conclusione secondo la quale per quanto distanti le
posizioni espresse dalla tradizione liberal e da quella radical siano potute apparire nel contesto fortemente polarizzato delle lotte sociali di massa e della
violenta repressione di stato di quegli anni , in ultima analisi, le distanze teo1
Utilizzo qui le categorie liberal e radical nellaccezione statunitense adottata nei dibattiti
del seminario.
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Si veda larticolo di Simon pubblicato in questo numero della rivista.
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Come spiega Michel Foucault (1976, 89), lagenda dei riformatori penali non era ispirata
tanto da sentimenti umanitari verso le vittime della punizione, quanto dallobiettivo di fare della
punizione e della repressione degli illegalismi una funzione regolare, suscettibile di estendersi a
tutta la societ; non punire meno, ma punire meglio; punire con una severit forse attenuata, ma
per punire con maggior universalit e necessit; inserire nel corpo sociale, in profondit, il potere
di punire.
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Questo punto stato evidenziato da Alvin Gouldner (1968) nella sua critica a una delle
correnti pi avanzate della criminologia liberal, la labeling theory. Scrivendo da una prospettiva
radicale, Gouldner denunciava lincapacit dei teorici delletichettamento di mettere in discussione
le sorgenti strutturali del potere di etichettare e punire, come anche le implicazioni pi vaste dellineguale distribuzione di tale potere nella societ.
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Per una rassegna si vedano D. Greenberg (1993); D. Melossi (1998); A. De Giorgi (2006).
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pervasivit della logica acquisitiva dellaccumulazione capitalistica, nella deprivazione relativa sperimentata dai gruppi sociali svantaggiati, nelle conseguenze anomiche determinate da fasi di rapida trasformazione economica o
nella criminalizzazione delle strategie di sopravvivenza adottate da categorie
sociali marginali. Tuttavia, linterpretazione del ruolo del sistema penale in un
tale contesto differisce significativamente tra i due approcci. Anche quando
critica dei processi di criminalizzazione dei poveri in una societ classista,
la criminologia liberal continua a concepire il sistema penale come unistituzione tendenzialmente reattiva, cio come un insieme di pratiche punitive
innescate dalle illegalit cui le popolazioni marginali sarebbero sospinte in
conseguenza della loro esclusione sociale. In questa prospettiva, la criminalit (di strada) continua a rappresentare il medium tra una societ capitalistica
criminogena e un apparato penale selettivamente orientato ai subordinati;
di conseguenza, tale nesso pu essere ridimensionato mediante riforme economiche che favorendo linclusione allinterno del sistema capitalistico di
produzione e consumo siano in grado di ridurre tanto la criminalit quanto
la necessit di punire.
Secondo una prospettiva radicale, al contrario, le pratiche penali egemoniche in una societ capitalistica sono connesse con le dinamiche di accumulazione capitalistica prevalenti in tale formazione sociale e intrattengono,
dunque, una relazione strutturale con i processi di sfruttamento del lavoro
e valorizzazione del capitale (C. Adamson, 1984; D. Melossi, M. Pavarini,
1977; A. De Giorgi, 2012). Invece di essere considerate come risposte congiunturali agli effetti criminogeni del capitalismo e dunque indipendenti
dai processi di accumulazione del capitale e relative semmai alla sfera della circolazione e della stratificazione dellaccesso al consumo , le pratiche
penali sono considerate qui come un elemento costitutivo del rapporto di
capitale. Dispiegando le proprie pratiche disciplinari nei confronti dei segmenti pi marginali della societ, il sistema penale contribuisce a perpetuare
le condizioni fondamentali per la riproduzione di un sistema di produzione
capitalistico prima fra tutte lesistenza di una forza lavoro docile e incline
ad adeguarsi allingiunzione al lavoro salariato anzich incorrere nelle sanzioni riservate a coloro che a tale ingiunzione si sottraggono (G. Rusche,
1933 [1976]). Cos, per esempio, una prospettiva radical sulle connessioni
tra la svolta punitiva e la ristrutturazione capitalistica degli anni Settanta negli Stati Uniti concepisce le politiche draconiane di incarcerazione di massa
degli ultimi trentanni non come una risposta agli effetti criminogeni della
transizione da uneconomia industriale basata sulla produzione di massa e il
pieno impiego verso uneconomia dei servizi caratterizzata dalla precariet
diffusa, dallinasprimento delle disuguaglianze sociali e dal deterioramento
delle condizioni di lavoro; piuttosto, tale approccio suggerisce che la svolta
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Van Swaaningen Renee (1997), Critical Criminology: Visions from Europe, Sage,
London.
Wacquant Loic (2006), Punire i poveri. Governare linsicurezza sociale, DeriveApprodi,
Roma.
Western Bruce (2006), Punishment and Inequality in America, Russell Sage
Foundation, New York.
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