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Alessandro De Giorgi (Universit Statale di San Jos)

Studi sulla questione criminale, viii, n. 3, 2013, pp. 29-38

Riformismo o rivoluzione?
Note sulle criminologie liberal
e radical negli Stati Uniti
Il corso tenuto da Jonathan Simon e Tony Platt alla University of California,
Berkeley, nellautunno del 2012costituisce unimpresa accademica e pedagogica straordinaria. Suggestivamente intitolato From Community Control
to Mass Incarceration (Dal controllo comunitario allincarcerazione di massa), il seminario si rapidamente trasformato in qualcosa di pi simile a un
workshop permanente che non a un corso universitario: non appena iniziata a circolare la notizia che nelle aule ipertecnologiche della Law School
di Berkeley si stava tentando di riprodurre qualcosa di simile allatmosfera
della defunta Berkeley School of Criminology, la partecipazione al corso ha
iniziato ad estendersi in direzioni impreviste. In generale, lobiettivo del corso si pu riassumere con il tentativo di ricostruire una genealogia della crisi
penale americana attraverso unanalisi critica di alcune delle battaglie culturali, politiche e ideologiche che hanno solcato il campo della criminologia
negli Stati Uniti durante gli anni Sessanta e Settanta. Quella fase storica ha
assistito nel corso di meno di ventanni dapprima al consolidamento
dellinsieme di ideologie e pratiche correzionali e trattamentali che David
Garland (1985, 244-64) ha riassunto sotto la categoria di penalit welfarista, e successivamente al repentino abbandono di tale ethos riabilitativo
a favore di una svolta punitiva che negli anni Ottanta e Novanta avrebbe
alimentato lincarcerazione di massa dei poveri urbani, soprattutto latini e
afroamericani (M. Alexander, 2010; V. Rios, 2011; L. Wacquant, 2006; B.
Western, 2006). Platt e Simon hanno condotto questo viaggio sotto forma
di una serie di dialoghi, volti a comprendere la storia, il presente e il futuro
della crisi penale statunitense, tra i contemporanei e il passato, tra differenti
generazioni di studiosi e soprattutto tra prospettive criminologiche liberal
e radical1; nelle prossime pagine concentrer i miei commenti in particolare
su questultimo versante.
Nel suo commento sui temi del seminario di Berkeley, Jonathan Simon2
giunge allinteressante conclusione secondo la quale per quanto distanti le
posizioni espresse dalla tradizione liberal e da quella radical siano potute apparire nel contesto fortemente polarizzato delle lotte sociali di massa e della
violenta repressione di stato di quegli anni , in ultima analisi, le distanze teo1
Utilizzo qui le categorie liberal e radical nellaccezione statunitense adottata nei dibattiti
del seminario.
2
Si veda larticolo di Simon pubblicato in questo numero della rivista.

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riche tra queste posizioni sarebbero rimaste contenute. Dopotutto, Simon


sembra suggerire, tanto lagenda criminologica liberal quanto quella radical
erano sul punto di essere spazzate via dallondata di populismo penale e di
revanchismo post-diritti civili che avrebbe pervaso il paese durante i successivi tre decenni. Secondo questa prospettiva lavvento dellincarcerazione di
massa, rappresentando di fatto il rigetto di qualsiasi approccio criminologicamente sensato alla questione penale, sembrerebbe operare retrospettivamente come un grande equalizzatore tra la tradizione criminologica riformista
e quella radicale.
Se osservate dal punto vista del tutto eccezionale di trentanni di draconiane politiche penali e di distruttive guerre alla droga che hanno portato gli
Stati Uniti a diventare il leader mondiale dellincarcerazione, le agende criminologiche liberal e radical degli anni Sessanta e Settanta appaiono in effetti
molto meno distanti tra loro di quanto entrambe non lo fossero dalla catastrofe penale che si sarebbe presto dispiegata. Per esempio, sarebbe difficile
negare il fatto che la proposta radicale dellabolizione della prigione sia meno
distante dallipotesi liberal dellincarcerazione come extrema ratio di quanto
entrambe non lo siano dallincarcerazione di massa; o che la rivendicazione
radicale del diritto allautodifesa democratica contro gli abusi della polizia
sia pi compatibile con la critica liberale della brutalit poliziesca di quanto
entrambe non lo siano dal paradigma poliziesco paramilitare imperante nelle
inner cities americane a partire dagli anni Ottanta e Novanta; o che, infine,
listanza radicale di un pieno riconoscimento dei diritti civili, politici e sociali
dei detenuti appaia meno distante dallenfasi riformista sulla riabilitazione e
il trattamento di quanto entrambe non lo siano dal ricorso sistematico allisolamento nelle prigioni statunitensi contemporanee.
Tuttavia, in queste pagine vorrei rivisitare alcuni dei dibattiti emersi durante il seminario di Berkeley per suggerire che, nonostante gli innegabili elementi di prossimit tra lapproccio radicale e quello liberal alla luce
della rivoluzione punitiva degli ultimi decenni, significative contraddizioni
permangono tra le due correnti di pensiero. Una riflessione su tali differenze appare rilevante soprattutto nel momento in cui si tenti di immaginare
possibili vie duscita dallattuale crisi penale. Qui commenter brevemente
tre elementi di differenziazione tra criminologie liberal e radical, relativi in
particolare ai campi della genealogia, dellepistemologia e della strategia politica.
La nascita della criminologia quale distinta forma di sapere si pu riconnettere allemergere del moderno Stato liberale tra la fine del xviii e la met
del xix secolo (D. Garland, 1985, 73-111; D. Melossi, 2008, 39-64; P. Pasquino, 1980). Nel contesto di quella che Michel Foucault (1978) defin come
la nascita di una forma di potere governamentale caratterizzata da unen30

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fasi crescente sul benessere della popolazione, sullefficiente gestione delle


risorse e su un paradigma di governo orientato allaumento della ricchezza,
della longevit ecc., la criminologia si sarebbe consolidata al fianco di altre
scienze sociali oggettivanti (H. L. Dreyfus, P. Rabinow, 1982, 160-7) come
un fondamentale luogo di produzione di sapere-potere sulla popolazione.
La nuova scienza del crimine sarebbe cos diventata una componente fondamentale del pi ampio processo di razionalizzazione della pena avviato
dallo Stato liberale in risposta agli eccessi punitivi dello Stato assolutista3. La
criminologia avrebbe cos fornito un contributo essenziale al progetto governamentale di categorizzare, misurare e trasformare la popolazione in modo
da assicurarne un governo efficace e produttivo. In tal senso, la produzione
di sapere criminologico sulla criminalit e la pena non poteva essere dissociata dal consolidamento di tecnologie e dispositivi orientati alla regolazione
e al trattamento delle patologie sociali dalle epidemie alla povert, dalla
disoccupazione alla devianza e cos via. Questa simbiosi tra la criminologia
dominante e le sfere del potere sovrano e dellingegneria sociale si sarebbe
pienamente realizzata nel momento in cui la disciplina divenne parte integrante delle pratiche di regolazione sociale tipiche del welfare state. Qui il
sapere criminologico avrebbe assicurato lestensione delle tecnologie di ingegneria sociale forgiate allinterno del paradigma welfarista (organizzazione
scientifica del lavoro, burocratizzazione, medicalizzazione ecc.) alla questione criminale e penale. In altri termini, la criminologia dominante si dovrebbe
considerare come uno degli elementi costitutivi del progetto di regolazione
dello Stato: la produzione di sapere criminologico si salda qui in un rapporto
simbiotico con le pratiche dispiegate dallo Stato per disciplinare gli individui
e governare le popolazioni allinterno di prigioni, scuole, fabbriche, ospedali
psichiatrici, universit ecc. (T. Platt, 1974).
La criminologia radical, al contrario, affonda le proprie radici allesterno
del campo del potere statale e delle connesse pratiche governamentali. La
sua genealogia si pu invece rintracciare nelle lotte sociali che si andavano
consolidando proprio contro quelle pratiche di controllo sociale che la criminologia liberal ha storicamente contribuito a razionalizzare, istituzionalizzare
e legittimare: pratiche correzionali dentro e fuori dalle prigioni, tecnologie
di polizia, trattamento psichiatrico e medicalizzazione ecc. In questo senso,

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Come spiega Michel Foucault (1976, 89), lagenda dei riformatori penali non era ispirata
tanto da sentimenti umanitari verso le vittime della punizione, quanto dallobiettivo di fare della
punizione e della repressione degli illegalismi una funzione regolare, suscettibile di estendersi a
tutta la societ; non punire meno, ma punire meglio; punire con una severit forse attenuata, ma
per punire con maggior universalit e necessit; inserire nel corpo sociale, in profondit, il potere
di punire.

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la genealogia della criminologia radicale, negli Stati Uniti come in Europa


e in America Latina, si pu ricondurre proprio alle forme di resistenza sviluppate da quelle popolazioni subordinate donne, studenti, minoranze etniche e razziali, forza lavoro marginalizzata, migranti, prigionieri, pazienti
psichiatrici e cos via che hanno costituito il principale obiettivo di pratiche
governamentali orientate al controllo, alla sorveglianza e alla normalizzazione (W. F. De Keseredy, 2011; J. Sudbury, 2005; R. Van Swaaningen, 1997).
Libera da affiliazioni ideologiche e connessioni istituzionali con lapparato
regolatore del welfare, la criminologia radicale ha cos potuto spingersi al di
l della semplice critica degli eccessi disciplinari dello Stato (per esempio,
abusi di polizia, ricorso eccessivo allincarcerazione, trattamenti psichiatrici
invasivi ecc.) e della conseguente pressione per riformare un modello di
cittadinanza sociale ritenuto comunque tendenzialmente inclusivo, per mettere in discussione i veri e propri fondamenti del potere di regolare, punire,
disciplinare e normalizzare4.
Queste profonde differenze genealogiche si riflettono ulteriormente nei
diversi punti di vista epistemologici privilegiati dalle due tradizioni criminologiche. Sul piano epistemologico, la criminologia liberal dominante rimane ancorata al progetto di regolazione dello Stato e finisce per adottare
le medesime definizioni della realt (crimine, devianza, patologia, normalit
ecc.) forgiate allinterno dei luoghi di produzione di sapere-potere in cui si
articola il potere governamentale dalle istituzioni educative alle prigioni,
dagli ospedali alle caserme. A sua volta, questo induce la criminologia liberal,
anche nelle sue varianti pi critiche, a privilegiare la dimensione congiunturale delle trasformazioni penali come i cicli politici, lopinione pubblica, la
paura della criminalit o le ideologie penali piuttosto che delle geografie
strutturali del potere, rispetto alle quali il potere di punire non costituisce
che unistanza particolare. In altri termini, lagenda criminologica liberal rimane fedele alla declinazione sovrana della questione criminale e penale,
anche quando tenta di aggiornare il proprio vocabolario mediante riforme
che in ultima analisi tendono ad assicurare la compatibilit delle pratiche
penali con levoluzione dei valori morali e delle sensibilit socio-legali dominanti (M. Alexander, 2010). Le criminologie radicali, al contrario, collocano la propria critica al di fuori dellorizzonte epistemologico delineato dallo
Stato, nel tentativo di svelare la relazione simbiotica tra il potere di punire e

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Questo punto stato evidenziato da Alvin Gouldner (1968) nella sua critica a una delle
correnti pi avanzate della criminologia liberal, la labeling theory. Scrivendo da una prospettiva
radicale, Gouldner denunciava lincapacit dei teorici delletichettamento di mettere in discussione
le sorgenti strutturali del potere di etichettare e punire, come anche le implicazioni pi vaste dellineguale distribuzione di tale potere nella societ.

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le matrici strutturali delloppressione sociale (A. Davis, 2009; S. Hall et al.,


1978; I. Taylor, P. Walton, J. Young, 1975).
Due esempi possono contribuire ad illustrare questa frizione. Il primo
ha a che fare con il modo in cui le correnti liberal e radical allinterno della
pi ampia famiglia delle criminologie femministe hanno affrontato la questione della violenza sessuale e di genere. Le criminologhe femministe liberal, muovendo da un punto di vista epistemologico ampiamente compatibile
con la logica individualistica e retributiva del sistema penale, hanno teso a
declinare la questione della violenza contro le donne non tanto nei termini
della necessit di rovesciare rapporti di genere diseguali in una societ sessista quanto piuttosto della richiesta di un pi deciso intervento del sistema
penale in difesa di alcune vittime meritevoli. In tal senso, lobiettivo immediato di queste mobilitazioni era lo Stato, il cui potere sovrano era esortato a
estendere la mano paternalista del sistema penale per proteggere le donne
(come individui) da intollerabili manifestazioni di violenza maschile (B. Richie, 2012). Questa prospettiva, divenuta gradualmente egemone allinterno
del movimento antiviolenza a spese di posizioni pi radicali in particolare
quelle avanzate da gruppi di donne di colore restie ad affidarsi ad un sistema di giustizia criminale da esse gi pi volte sperimentato come di per s
violento, razzista e sessista ha portato ad un crescente allineamento del
movimento antiviolenza con le retoriche di tolleranza zero prevalenti negli
anni Ottanta e Novanta. Di conseguenza, come ha di recente sottolineato
Beth Richie (ivi, 65-98), sebbene le vittorie delle femministe liberal e del loro
punto di vista criminologico in merito alla questione del controllo penale e di
polizia nei confronti degli autori di violenza siano innegabili, in ultima analisi
la componente maggioritaria del movimento antiviolenza ha non solo trascurato le sorgenti strutturali delloppressione di genere nella societ contemporanea rinunciando di fatto allobiettivo di una trasformazione radicale
dei rapporti sociali , ma ha anche svolto un decisivo ruolo di legittimazione
dellincarcerazione di massa.
Un secondo importante esempio delle contraddizioni epistemologiche
esistenti tra le varianti criminologiche radical e liberal (o anche socialdemocratiche) concerne linterpretazione del nesso tra economia capitalistica
e questione criminale/penale. Le connessioni tra mutamenti nelle strutture
di accumulazione capitalistica e processi di criminalizzazione sono state al
centro di unampia letteratura sociologica sulleconomia politica della pena5.
Le tradizioni criminologiche liberal e radical sono sostanzialmente in accordo sugli effetti criminogeni del capitalismo individuati, per esempio, nella

Per una rassegna si vedano D. Greenberg (1993); D. Melossi (1998); A. De Giorgi (2006).

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pervasivit della logica acquisitiva dellaccumulazione capitalistica, nella deprivazione relativa sperimentata dai gruppi sociali svantaggiati, nelle conseguenze anomiche determinate da fasi di rapida trasformazione economica o
nella criminalizzazione delle strategie di sopravvivenza adottate da categorie
sociali marginali. Tuttavia, linterpretazione del ruolo del sistema penale in un
tale contesto differisce significativamente tra i due approcci. Anche quando
critica dei processi di criminalizzazione dei poveri in una societ classista,
la criminologia liberal continua a concepire il sistema penale come unistituzione tendenzialmente reattiva, cio come un insieme di pratiche punitive
innescate dalle illegalit cui le popolazioni marginali sarebbero sospinte in
conseguenza della loro esclusione sociale. In questa prospettiva, la criminalit (di strada) continua a rappresentare il medium tra una societ capitalistica
criminogena e un apparato penale selettivamente orientato ai subordinati;
di conseguenza, tale nesso pu essere ridimensionato mediante riforme economiche che favorendo linclusione allinterno del sistema capitalistico di
produzione e consumo siano in grado di ridurre tanto la criminalit quanto
la necessit di punire.
Secondo una prospettiva radicale, al contrario, le pratiche penali egemoniche in una societ capitalistica sono connesse con le dinamiche di accumulazione capitalistica prevalenti in tale formazione sociale e intrattengono,
dunque, una relazione strutturale con i processi di sfruttamento del lavoro
e valorizzazione del capitale (C. Adamson, 1984; D. Melossi, M. Pavarini,
1977; A. De Giorgi, 2012). Invece di essere considerate come risposte congiunturali agli effetti criminogeni del capitalismo e dunque indipendenti
dai processi di accumulazione del capitale e relative semmai alla sfera della circolazione e della stratificazione dellaccesso al consumo , le pratiche
penali sono considerate qui come un elemento costitutivo del rapporto di
capitale. Dispiegando le proprie pratiche disciplinari nei confronti dei segmenti pi marginali della societ, il sistema penale contribuisce a perpetuare
le condizioni fondamentali per la riproduzione di un sistema di produzione
capitalistico prima fra tutte lesistenza di una forza lavoro docile e incline
ad adeguarsi allingiunzione al lavoro salariato anzich incorrere nelle sanzioni riservate a coloro che a tale ingiunzione si sottraggono (G. Rusche,
1933 [1976]). Cos, per esempio, una prospettiva radical sulle connessioni
tra la svolta punitiva e la ristrutturazione capitalistica degli anni Settanta negli Stati Uniti concepisce le politiche draconiane di incarcerazione di massa
degli ultimi trentanni non come una risposta agli effetti criminogeni della
transizione da uneconomia industriale basata sulla produzione di massa e il
pieno impiego verso uneconomia dei servizi caratterizzata dalla precariet
diffusa, dallinasprimento delle disuguaglianze sociali e dal deterioramento
delle condizioni di lavoro; piuttosto, tale approccio suggerisce che la svolta
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punitiva stata parte integrante di questa transizione capitalistica, una delle


sue fondamentali condizioni di possibilit (D. Melossi, 1993; A. De Giorgi,
2013; L. Wacquant, 2006). In questo senso, lopposizione allincarcerazione
di massa e allo stato penale non pu essere dissociata da una pi ampia resistenza al capitalismo finanziario e allideologia neoliberale.
Come suggerisce questultimo esempio, le differenze genealogiche ed epistemologiche evidenziate fin qui si risolvono in diverse strategie di trasformazione del sistema penale. Data la sua storica simbiosi con le istituzioni
e le pratiche di regolazione dello Stato moderno, come anche la sua enfasi
sulle riconfigurazioni congiunturali del campo penale, la criminologia liberal
tende a investire le lite del potere illuminate del mandato di riformare il
sistema in base a quello che la stessa criminologia liberal identifica come un
approccio razionale alla questione penale in genere declinato secondo
il nuovo mantra delle politiche criminali evidence-based. Processi di riforma
graduale avviati da lite professionali o da pubblici ufficiali interni allapparato statale appaiono qui come lunica risposta realistica alla crisi penale; il
compito dei criminologi quello di fornire prove scientifiche sulla necessit
e lorientamento di tali riforme dal punto di vista di unefficace prevenzione criminale e di uneffettiva riduzione dei costi. Dallaltra parte, i legami
strutturali tra le criminologie radicali e i movimenti per la giustizia sociale
soprattutto, ma non solo, su temi riguardanti la polizia, lincarcerazione e
la repressione di Stato spiegano lo scetticismo di lunga data degli studiosiattivisti verso agende di riforma dettate dalle lite. Invece di consegnare un
mandato di riformare il sistema penale alle stesse classi dirigenti che, in diverse circostanze storiche, hanno contribuito a determinare lattuale crisi penale, una strategia politica radicale suggerisce allora che nessun significativo
cambiamento penale possibile senza il diretto coinvolgimento dei gruppi
sociali che maggiormente hanno subito limpatto dellespansione carceraria:
i residenti del ghetto, i poveri urbani, le vittime dellincarcerazione di massa
e della guerra alla droga ecc. Se il sistema penale (qualsiasi sistema penale)
in ultima analisi un apparato per la riproduzione delle strutture di potere e
disuguaglianza esistenti, in effetti non v ragione di ritenere che alcuna riforma strutturale possa essere attuata dalla classe politica al potere senza una
mobilitazione radicale di coloro che sono confinati ai margini della struttura
sociale americana.
Un buon esempio il cosiddetto piano di riallineamento (Realignment
Plan)6 della giustizia penale promosso in California dal governatore Jerry
Brown nel 2011: unimponente riforma che sposta la responsabilit (e dun-

Realignment Plan, divenuto legge (AB109) nel 2011.

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que i costi) della detenzione e della supervisione post-carceraria di alcune


categorie di condannati per reati non violenti dallo Stato alle contee, con
leffetto di travasare migliaia di detenuti dalle prigioni statali a quelle locali. Salutato da molti commentatori liberal come un positivo passo avanti
verso una soluzione della crisi penale californiana, il piano di Brown un
tipico esempio di riforma dallalto, attuata dalle lite politiche dello Stato
pi sotto la pressione di vincoli finanziari e di bilancio che non della necessit di rispettare i diritti umani dei detenuti. Resta da vedere se il massiccio
trasferimento del potere di punire dallo Stato centrale alle contee porter a
una significativa riduzione della popolazione detenuta. Come alcuni gruppi
di base (per esempio, All of Us or None e la California Coalition for Women
Prisoners) hanno prontamente osservato, in assenza di una radicale riforma
del sistema delle pene e del sentencing, il piano di riallineamento produrr
poco pi che uno spostamento di corpi da unistituzione (centrale) a unaltra
(locale), con il probabile risultato di unespansione complessiva della popolazione carceraria. I critici hanno anche sottolineato che le condizioni di detenzione nelle prigioni di contea (jails) sono peggiori di quelle delle prigioni
di Stato (prisons), dal momento che nelle prime in genere mancano servizi di
assistenza sanitaria e psichiatrica adeguati, gli spazi per lattivit fisica sono
minimi e i programmi di istruzione o avviamento al lavoro sono inesistenti.
Le trasformazioni introdotte dal piano di riallineamento sono ancora in fase
embrionale e si dovranno attendere diversi anni per comprenderne a pieno
le implicazioni. Non difficile prevedere, tuttavia, che questo sar un tema
sul quale le prospettive liberal (top-down) e quelle radical (bottom-up) ancora
una volta divergeranno.
In conclusione, nonostante tutte le differenze sommariamente tracciate
fin qui, non tuttavia mia intenzione suggerire limpossibilit di un dialogo
tra le due tradizioni specialmente alla luce della generale tendenza verso
laumento della severit penale osservabile in una quota crescente delle societ tardo-capitalistiche. Qualunque posizione si decida di adottare lungo
il continuum tra prospettive liberal e radicali, il seminario di Berkeley ha
provato che un confronto tra criminologi e studiosi della questione penale
provenienti da tradizioni e storie diverse possibile.
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