La rinunzia al diritto di propriet su beni immobili
La crisi economica, che lItalia sta vivendo da diversi anni, sta riportando in auge istituti civilistici che apparivano, fino a poco tempo fa, mere ipotesi di scuola. Tra questi, in particolare, la rinunzia al diritto di propriet, che ha formato oggetto di un recente, approfondito studio della Commissione studi civilistici del Consiglio nazionale del Notariato (La rinunzia alla propriet e ai diritti reali di godimento, Studio n. 216/2014-C del 21 marzo 2014, estensore MARCO BELLINVIA); studio che ha riconosciuto la piena legittimit e validit dellatto negoziale di rinunzia al diritto di propriet, esaminandone i requisiti, i presupposti di efficacia ed il regime formale e pubblicitario. Lo spazio delle presenti note non consente unanalisi approfondita del suddetto studio, al cui esame si rinvia, e che daltra parte approfondisce anche le tematiche connesse alla rinunzia ai diritti limitati di godimento (usufrutto, uso, abitazione, servit, superficie, enfiteusi). Basti, qui, evidenziare che la conclusione positiva riguardo allammissibilit della rinunzia alla propriet viene ricavata oltre che da norme specifiche che contemplano, genericamente, la rinunzia ai diritti reali (artt. 1350 e 2643 c.c.) da previsioni specifiche riguardanti alcune fattispecie particolari di rinunzia alla propriet (artt. 882, 1070, 1104, 1118, comma 2, c.c.), nonch dalla generale previsione dellacquisto, in capo allo Stato, dei beni immobili nullius (art. 827 c.c.). Oltre che da considerazioni di ordine sistematico, tenuto conto che da sempre la tradizione ammette il c.d. abbandono liberatorio (derelictio) anche riguardo ai beni immobili; fattispecie inquadrabile nella categoria degli atti reali (o comportamenti materiali attuosi), da cui la rinunzia abdicativa in oggetto si distingue per la propria natura negoziale (soggetta, in quanto tale, ad oneri di forma scritta ad substantiam, ed alla trascrizione immobiliare, presupposto della quale lautenticit del relativo atto, a norma dellart. 2657 c.c.). Forma e pubblicit che rendono certo ed incontrovertibile leffetto abdicativo e dismissivo, facendo s che la formalizzazione di un atto di rinunzia appaia soluzione preferibile rispetto al puro e semplice abbandono materiale della res. La conclusione circa la validit dellatto di rinunzia in oggetto non pu essere, in effetti, revocata in dubbio, come pure la relativa utilit: la propriet immobiliare, a differenza che in passato, sempre pi caratterizzata da profili di onerosit (si pensi agli aumenti della relativa imposizione tributaria, con listituzione prima dellImu e poi della Tasi) e di responsabilit, civile ed eventualmente penale, per i danni che possono essere cagionati a terzi dagli stessi immobili, se non adeguatamente mantenuti (cfr. gli artt. 2051 e 2053 c.c.). Effetti, questi, che possono rendere conveniente la rinunzia. Ma possono esservi anche altre utilit indirette dellatto abdicativo: basti pensare per fare un esempio allimpossibilit per chi sia proprietario di un immobile ad uso abitativo, ancorch fatiscente, di usufruire delle agevolazioni per la prima casa in caso di acquisto di altro immobile (ed alla difficolt che pu insorgere di alienare, anche
a titolo gratuito, il primo immobile ad altro soggetto). Si pensi,
ancora, al fatto che il trasferimento a terzi di un immobile acquisito con agevolazioni fiscali pu dar luogo a decadenza dalle agevolazioni stesse, con conseguente applicazione di sanzioni, mentre tale conseguenza sembra scongiurata a fronte della mera rinunzia alla propriet (Cass. 2 maggio 2013, n. 10249). Si consideri, ancora, che nonostante la criticabile posizione assunta dallAmministrazione finanziaria, che ha ritenuto applicabili allatto di rinunzia le imposte ipotecarie e catastali in misura proporzionale (Ris. Agenzia Entrate 16 febbraio 2007, n. 25/E) dal tenore dellart. 10 del D. Lgs. 31 ottobre 1990, n. 347, e dellart. 1 della tariffa ad esso allegata, si desume lapplicabilit a tale atto delle imposte ipocatastali in misura fissa, in assenza di un atto di trasferimento vero e proprio. E si potrebbe, ovviamente, continuare (la natura unilaterale dellatto di rinunzia consente, ad esempio, di conseguire leffetto di consolidare la propriet in capo al comproprietario non rinunciante con maggior facilit, in tutti i casi in cui tale comproprietario sia, ad esempio, incapace di agire, o per qualsiasi ragione impedito a partecipare alla stipula dellatto). Rimane una consistente perplessit, che nasce proprio dalle considerazioni sopra svolte riguardo alla possibile onerosit del diritto di propriet (che pu, in alcuni casi, qualificarsi addirittura come dannosit per il proprietario, che poi la ragione che induce a rinunciarvi). In un ordinamento giuridico nel quale, tra laltro, vige il principio invito beneficium non datur, che consente sempre al beneficiario di attribuzioni patrimoniali gratuite, nascenti da atto unilaterale o comunque da atto a cui il medesimo beneficiario non ha partecipato, di rifiutare lacquisto (artt. 1333, e 1411, comma 3, c.c.), appare francamente dissonante che, in caso di rinuncia ad una propriet dannosa da parte del relativo titolare, lo Stato (che pure disciplina con notevoli cautele le procedure di acquisto di liberalit a proprio favore: cfr. la Circ. Min. Fin. Dip. Territorio Demanio Serv. II 11 febbraio 2000, n. 22) sia sostanzialmente costretto ex art. 827 c.c. allacquisto a titolo originario degli immobili oggetto di rinuncia da parte di privati, senza poter nulla fare per evitare tale effetto, ed anzi dovendo farsi carico di spese ed oneri per la relativa manutenzione e cura, a pena di pi rilevanti responsabilit nei confronti dei terzi. I dati normativi, come gi detto, sembrano inevitabilmente condurre a questo risultato, che tuttavia proprio per la gravit delle conseguenze che ne discendono merita di essere adeguatamente considerato, anche nellottica di un intervento legislativo che razionalizzi la disciplina di cui trattasi.