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Newton malato di alchimia

Gilberto Corbellini 22 gennaio 2012 p.

Le storie della scienza o le biografie dei grandi scienziati scritte da scienziati prendendo in considerazione solo quelli di
un qualche spessore tendono a ricadere in tre categorie: banalit compilative, illuminanti ricostruzioni dell'evoluzione
del pensiero scientifico umano, divertissement pi o meno stimolanti. Il romanzo della vita di Netwon dell'astrofisico
francese di chiara fama Jean-Pierre Luminet, che negli anni ha coltivato anche una passione per l'arte (come critico) e la
divulgazione scientifica, ricade nella terza categoria. un libro che si legge con piacere, dove ci sono delle trovate
fantasiose (come il bastone di Euclide che Luminet usa come testimone e veicolo delle sfide raccolte dai creatori della
fisica moderna che si sono cronologicamente succeduti), divertenti invenzioni di dialoghi tra i protagonisti della biografia
dell'ultimo dei maghi (John Maynard Keynes) e squarci di luce che lasciano intravvedere, in secondo piano ovvero
come fondale della recita che viene messa in scena, la storia e i contenuti dell'opera di Newton, per il significato che
questa effettivamente ha rispetto alla nascita della fisica moderna. Chi, avendo letto o dopo aver letto il libro di Luminet,
avesse interesse per a capire con maggior verosimiglianza chi era, cosa ha fatto e cosa ha detto Newton dovrebbe leggere
anche il Newton di Niccol Guicciardini (Carocci, Roma, 2011). Che non meno appassionante, ed pi istruttivo.
Sarebbe per ingeneroso giudicare il libro di Luminet usando criteri storico-scientifici, perch lo scopo dell'autore
quello di umanizzare il personaggio, smontare il mito, creato nell'et del positivismo, che ne fa l'emblema della
razionalit scientifica e tracciare soprattutto un profilo verosimile della sua psicologia e dei suoi interessi. Si sa che,
mentre produceva i contributi che rivoluzionavano la matematica, l'ottica e la meccanica, Newton era ossessionato
dall'esegesi cronologica della Bibbia, da diatribe teologiche ai tempi piuttosto pericolose (considerava, seguendo le tesi di
Ario, un'idolatria venerare Cristo come Dio) e dai temi alchemici (quando mor la sua libreria conteneva 170 libri di
alchimia su 538 libri di scienza). Esiste una letteratura sterminata sulla personalit di Newton, cio sulle sue difficolt a
intrattenere relazioni umane che non fossero di natura ostile o dominante, ed era nota la sua totale mancanza di
generosit intellettuale verso i colleghi. Negli ultimi decenni della vita tuttavia miglior. Cos come i biografi avevano
messo in luce come Newton cercasse relazioni con persone, soprattutto giovani, che non mettevano in discussione la sua
superiorit, o che lo adulavano. I tratti complessi del carattere di Newton vengono resi molto bene nel romanzo di
Luminet.
Luminet sembra chiaramente scartare l'ipotesi che Newton fosse affetto da sindrome di Asperger, una forma di autismo;
l'ipotesi stata avanzata dallo psicologo dello sviluppo Simon Baron-Cohen e da Ioan James, che la diagnosticano anche
a Henry Cavendish (1731-1810), Albert Einstein (1879-1955), Marie Curie (1867-1934) e Paul Dirac (1902-84,
quest'ultimo successore di Newton sulla cattedra lucasiana). L'Asperger stata diagnosticata anche a Michelangelo e a
Wittgestein, ed esiste un'ampia letteratura sul fatto che gli scienziati molto produttivi nel dominio cognitivo delle scienze
fisiche sono carenti nel dominio cognitivo che governa le relazioni psicologiche nei contesti sociali, per dirla banalmente
sono poco interessati alle persone. Tuttavia, nel caso di Newton diversi elementi biografici inducono a scartare la
diagnosi di Asperger, e Luminet sembrerebbe propendere per una personalit che era frutto di un attaccamento materno
disturbato, Newton era nato sottopeso, aveva perso il padre tre mesi dopo la nascita e fu abbandonato dalla madre dopo
che questa si rispos. La diagnosi sarebbe compatibile, secondo lo psichiatra Antony Storr che nel 1985 scrisse un profilo
psicologico di Newton, con l'ambivalenza dei rapporti che intrattenne con la madre, con la sua mancanza di autostima,
che lo portava a essere sospettoso, temere ossessivamente le critiche e il furto delle sue idee, e con la sua incapacit di
amare.

Per quanto riguarda la malattia mentale che colp Newton nel 1692-93, Luminet sembrerebbe propendere per l'ipotesi
che fosse una conseguenza della crisi della sua amicizia con Nicola Fatio de Duillier, determinata, secondo il romanzo, da
un esplicito approccio omosessuale da parte di Fatio, a cui Newton reagisce con inusitata violenza e disgusto. I sintomi
della malattia di Newton, che si possono evincere dalle lettere, erano depressione, apatia, insonnia, perdita di appetito e
manie di persecuzione e abbandono dagli amici. Nel 1979 furono esaminati alcuni campioni di capelli verosimilmente
appartenuti a Newton, che risultarono altamente positivi per un'intossicazione da mercurio, oro e antimonio. Dalle
informazioni che ha lasciato il suo copista Humphrey Newton, lo scienziato lavor intensamente nel suo laboratorio
alchemico negli anni Ottanta dell'Ottocento, e da una lettera indirizzata da Newton a John Locke il 15 ottobre 1693,
risulta che nell'inverno precedente egli era praticamente vissuto inalando i fumi che uscivano dalla due fornaci in cui
scaldava metalli in un capanno di legno senza camino accanto alla cappella del Trinity College. Peraltro Newton dice, in
almeno 108 occasioni diverse, di aver assaggiato i preparati metallici. I disturbi mentali che lo colpirono, e che
scomparvero quando smise di fare esperimenti alchemici, sono compatibili con un'intossicazione cronica da mercurio.
RIPRODUZIONE RISERVATA
Jean-Pierre Luminet, La parrucca
di Newton. Scienziato, alchimista
o psicopatico, prefazione di P. Bianucci, La Lepre, Roma, pagg. 384, 24,00

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