Vous êtes sur la page 1sur 251

MENTEM ALIT ET EXCOLIT

1A

l.

"
'_
|l|.!...!!1_l_.ll,|. .

' " Immmn


KK. HOFBIBLIOTHEK
OSTERR NATIONALBIBLIOTHEK

Wzzpo

L NTICA
MORALE FILOSOFIA
ESPOSTA QUANTO ALLA PERIPATETICA DAL ZANOTTI,
ALLA STOIGA E PITAGORICA DA VARI GRECI; AGGIUNTAVI
LA

DBLINEAZIONE

DI QUELLA

DI JACOPO

STELLINI.

OPERA
RACCOLTA E I_UBBLI(IAIA
PER CU RA

DI GIANDOMENICO ROMAGNOSI.

__.___

MILANO
PER VINCENZO FERRARIO
M. DCCC. XXXI.

1' iiim? -

_ 1

Queslo libro non che una collezione; ma essa


equivale ad una itoria autentica degli studj da pi di
venti secoli fatti in Europa sul pi importante ramo
della universale losoa. I caratteri delle tre scuole
piantiche, pi dominanti e pi durevoli, si troveranno
negli scritti qui radunati. e se della epicurea non i
data verunzl speciale scrittura, non ne manca per in
quella del Zanolti una sufficiente informazione.

Abbiamo incominciato col compendio della Filoso


a morale peripatetica, esposta da Francesco Maria
Zanotti fij, s perch egli ci pone al fatto delle qui.
(i) Egli nato nel 6 di gennaio i692 fu presidente delrlnsti
tulo di Bologna sua patria, e _cesa di vivere giunto presso
ch allet di anni 86 nel dl_ nfididicembre (lellanno i777.
_ll. suo Compendio della morale peripatetica fu stampato nel
754,contra
a cui laaggiunse
esame di
alcunenel
opinioni
di
i lanno
Manpirtuis
Morale lstoica
inserita
suo libro
intitolato Essai de Morale. Quest esame o confntazione
promosse una disputa fra molli italiani scrittori. Un suldi
domenicano imprese a difendere Maupertuis.
Zunoui rispose con tre discorsi. Ansaldi replic con una
lunga lettera. Di nuovo sotto altro nome si oppose Zanotti.
Steltero per Zuno|ti il Lami, il cardinal Quirini e lo Schia
ra; qualche altro per fAnsaldi, e la controversia ni nel
l anno i763.

Francesco Zanotti ebbe la sorte in oggi invidiabile di es.


cere in amichevole corrispondenza con Eustachio Manfredi,
_ col Poleni , col Volpi, col Morgaui, col Ghedini , col Bas
aani, col Frugoni, col Canterzani, col Palcaiii in Italia; col

'Fonlenelle e con Voltaire in Francia, e collessere associato


alle accademie di Londra, di Berlino

e di Montpellier, cc.
n

IV

RAGIONE DELL OPERA

stioni agitate fra i Peripatetici, gli Stoici e gli Epicu


rei; s perch egli ci presenta un quadro completo del
la peripatetica losofia rafazzonata alquanto dalla
platonica, e s perch tali cose espone colla elegan

za di un valente letterato, e colla facilit e disinvol


Jura di un uomo di mondo. Noi fummo di avviso di
farlo precedere come oratore che si cattivasse la buo

na grazia del maggior numero dei lettori, e servisse


come di intermediario ad affrontare leiseverit stoica
e la sulylimit pitagorica.
Quanto alla stoica, miglior compendio certamente
non trovasi del Manuale di Epitteto, tradotto dal ri

putatissimo grecista Pagnini. Due altri soli rivaleg

giano in fama eon Epitteto , cio Seneca e l impera


tore MtlrC7Aiir8li0 , gli scritti dei quali sono forse
pi popolari, ma non pi suceosi del manuale di

Epitteto.
Vienenalmente la scuola pitagorica, della quale
non abbiamo libro autentico di un autor solo che ne
contenga' la intera dottrina. Funrito dunque obbli

gati di raceoglierla da frammenti originali. Il pri


mo si quello della Tavola di Cebete, che gi corre

va tradotta dal Pagnini per le mani di tutti stampata


in compagnia del Manuale di Epitteto, e in simile guisa
fu riprodotta in questa collezione. Gli altri frammenti
poi, tranne tre soli, si trovano nei sermoni di Stol/eo

uniti a parecchi altri da lui conservati. Noi see


gliemmo quelli di Ipotamo da Tunio, di Eurlfa

mo, di Iparco, di Archita, di Teage, di Polo. Gli

altri tre sono unframmento sulla sapienza di Archita,


riferita da Giamlzlico , un capitolo sul matrimonio,
di Ocello Lucano, ed alcune sentenze di Sesto pita
gorico tradotte da Runa. Tutti questi scritti si tro

vano raccolti negli Opuscula mythologica physica et

RAGIONE DELL OPERA

ethica, pubblicati per cura del celebre inglese Tu.


maso Gale, e stampati dal Wetestenio in Amsterdam
nell anno i688. In questa nostra collezione abbiamo
usato di citare a mano a mano le pagine di quella
del Gale.

Nel trascegliere questi pezzi abbiamo avuto cura di


preferire quelli che pi degli altri racchiudevano i
principj della dottrina, tralasciando quelli di minor
conto, o che non contenevano fuorch ripetizioni. E

perch i nostri lettori non sospettino che i singoli


frammenti contengano le opinioni dei singoli pensa
tori _. anzich la dottrina della scuola intera pitago
rica, noi dobbiamo avvertire che dalla conformit

cogli altri frammenti ammessi, e dalle memorie spar


se negli scritti degli antichi, risulta essere la dottrina

espressa nei frammenti trascelti quella della scuola


tutta pitagorica. Fu poi cura nostra di congegnarli
in modo che componessero una serie ordinata di tu

ticoli di un solo argomento.


Abbiamo soggiunto la delinazione dellalosoa mo
rale dello STELLINI fattadalui stesso in italianafavella

onde compiere il prospetto generale delPantica. Noi ab


biamo imitato quei geogra, i quali delineando la carta
di una dataparte del continente la contornano con qual
che tratto delle nitime regioni. Bench Stellini abbia
detto di spiegare la morale di Aristotele, ci nonostante

manifesto aver egli aperta una nuova via , cio


quella per la quale la morale pu essere elevata al
la dignit di_arte scientifica. Il suo metodo i vera

mente losofico , peiuche nell esporre egli denisce ,


nell esaminare sale alle origini, e nel conchiudere
deduce dai principj. Le quali cose dalle scuole peri
patetica, stoica ed epicurea non essendo state pra

ticale, nacquero quegli smembrumenti che vengono'

v1

RAGIONE DELL OPERA

cagionati da una dialettica arrschiata, quel dar es


sere e potenza a pure astrazioni, quel sillogizzare su le
quisquilie , quel convertire i mezzi in intenti e vice
versa , e nalmente quelle interminabili dispute su l

fondamenti di tutta la dottrina. Jacopo Stellini us

dell accorgimento di quei nrmatorni quali volendo


realmente migliorare un sistema si attengono a forme

esterne antiche, e per come pose fuori l insegna di


Aristotele, cos dovette soggiacere a vestire con un lin
guaggio detto latino quei pensamenti che si bene avreb
be saputo esprimere nell italiano ; e che avrebbero
pur tanto giovato ad introdurre sessunt anni fa la

lingua propria alle morali discipline, e a procacciare


lettori alla sua grand opera sull Etica.
Dopo della scelta eccoci a dar ragione dell'ordi
ne della collezione. Parlando delle scuole antiche pro
cedemmo in ordine inverso di et. Quella che nella

met del passato secolo perdette la sua dominazione


fu posta la prima. la stoica che cess di orire colla
caduta del romano impero fu posta in mezzo. la pi
tagorica o italica, che si perdette e confuse colla pla

tonica, coll aristotelica e colla stoica, fu posta in ul


timo. E perch mai (taluno domander) usare questo
ordineP-Rispondiamo, in primo luogo perch abbia
mo voluto imitare i savj antiquari, i quali dal mo
derno passano alPantico, onde procedere dal cognito
alPincognito. e questo procedimento era tanto pi con-I
sigliato quanto pi lo scritto del Zanotti era, diremo

cos, pi accostevole al maggior numero dei leggiton-,


comesopra abbiamo avvertito. - In secondo luogo per

ch dopo i dibattimenti dei Peripatetici , degli Stoicz e


degli Epicurei occorreva una sentenza che POICSSE
ne alle controversie. e questa sentenza sta nelle.spo
siziorte della scudla pitagorica, molti dettati della

RAGIONE DELL OPERA

vu

quale si veggonopalmarmente trasfusi nelle susseguenti


scuole contrastanti.' In terzo luogo, perch la dottrina
essendo espressa con tale altezza e concisione che

pare voce di oracolo, abbisognava di un apparecchio


onde farne intendere ed apprezzare le lezioni.
Uscendo del santuario pitagorico si presenta il

disegno dello Stellin. Ecco la rotonda palladiana


del Capra aanco del pi grandioso tempio dei Fa
raoni. Questo avvicinamento fu praticato per dare
una prova che lo spirito umano suole nel principio
benincamminarsi, nel mezzo traviare, e nelne ri.
tornare avveduto sul buon sentiero. Col ravvicinare

la scuola pitagorica a quella dello Stellini si ravvi


cinano due estremi rassomiglzkznti, i quali non si con

fondono , perocch la pitagorica nel sentenziare


non suole spesso dar ragione, e quella dello Stellini
usadci principi dedotti dalla natura, e discute le opinio
ni in modo che in Europa non esiste verun trattato n
pi compiuto , n pi profondo. Nella scuola pita
gorica per altro havvi un adombrazione molto pi
vasta e pi eminente, talch a fronte di quella dello

Stellini il disegno pitagorico presenta dimensioni gi


gantesche _. alle quali sembra porne il solo estremo

orizzonte, non perch la dottrina sia pi abbondante,


ma perch ne segna la posizione e le connessioni nel
l ordine universale, ed investe il tutto con una onni

possente unit.
Giova per osservare che nei precetti pratici della
vita civile gli antichi erano daccordo, e le dissidenzc

non si manifestavano fuorch nelle aule accademiche.


Per la qual cosa, nelle loro risposte sugliaari co
muni, regna una tale unit e santit di precetti che

sommamente contrasta colle versatili decisioni dei po


steriori casisti. Se poi si confrontino i moderni lo

Vui
RAGIONE DELL OPERA
so cogli arttichi, tranne lo Stellini , noi troviamo

quelli pi ragionatori, e questi pi istruttori: lo Stel


lni l uno e l altro.

Ci basti per render ragione dell opera che per no


stra cura ora viene pubblicata. Noi abbiamo ammesso

di dare notizie storiche dei fondatori delle scuole,


delle quali presentiamo in succinto le dottrine. Queste
potranno da ogni lettor italiano essere acquistate leg

. gendo la Storia e lindole di ogni losoa del BUONA


mm , scritta con brevit, senno, splendore e con mi

wglior critica di quella del Burchero , dello Stanlejo


ed anche di Tielmann, del Bhule e di molti altri.
proprio delle scienze tutte, ma specialmente di
quelle che dirigono le umane azioni, di rimanere

prive di quel bene e di quella stima che produr do.


vrebbero, quando non vengano congiunte a quel tron
co universale dal quale solamente traggono vita, je

condit e valore. Pur troppo la morale losoa si


risente di questa dissoluzione, e quindi auguriamo che
sorga un genio che almeno insegni come eettuare si
possa quel collegamento che pare invocato da una
eminente civilt.
'

Milano il i2 di settembre i83i.


GIANDOMENICO ROMAGNOS!

PREFAZIONE DELL AUTORE


AL SIGNOR MARCHESE

LUGBEZIO PEPOLI
Nobile e patrizio bolognese, gentiluomo veneziano, cc.
Ice.

Quantunque io, come voi sapete, ornatissimo e gen


tilissimo signor Marchese, mi sia messo a scrivere

questo trattato di losoa morale per comandamento


vostro e per voi solo; e perci speri che egli debba
esser letto unicamente da voi, essendo unicamente

per voi scritto; ad ogni modo perch potrebbe venire


in mano d altri, i quali, ci non sapendo, stimas
sero me essere incorso in vari errori, e di questi mi
riprendessero, io penso di dovere scusarmi appresso

loro. Perch sebbene essendo voi soddisfatto della mia


fatica, poco debbo curare il giudizio degli altri; non
tuttavia da permettere che agli altri dispiaccia quel

lo che a voi piaciuto chio faccia. E quand anche


le mie escusazioni non fossero ricevute, a me per
gioverebbe di averle fatte, massime cominciando da
quella che io voglio che sia la prima, anzi la mag
giore di tutte , cio , che se io ho preso un carico

tanto superiore alle mie forze, prendendo a scrivere


in losoa morale, voi siete quello che me l avete
imposto ; onde avendo comune con voi la colpa, pare
ch io debba aver gomune con voi anche il biasimo;
che di vero mi terrei per molto contento, e troppo

pi che non sono, mi stimerei fortunato incorrendo


in alcuna riprensione, nella quale avessi voi per com
pagno. Per non valermi per di questa escusazione
sola, quantunque questa sola bastar mi si potesse ,
non lascer di rispondere separatamente a ciascuna
delle riprensioni, che secondo eh io posso antivedere
mi saran latte. E certo saran di quegli, i quali si ma

raviglierauno che io abbia preso a scrivere di Filo<

PllEFAZlONE DELUAUTORE

sulla morale in un tempo, in cui cosi pochi ne scri


vono, e pochissimi curano che se ne scriva. A quali
per rispondendo dico, che se eglino mi dimostras
sero essere la Filosoa morale una scienza ignobile e
da sprezzarsi, molto valerebbe la lor ragione; ma es
sendo ella stata stimata sempre fra tutte le altre scien
ze nobilissima, e agli oratori, ed ai poeti, e a tutti
quelli che s avvolgono negli affari, ed entrano al go
"erno delle repubbliche, sommamente necessaria, non
veggo perch debba accusarsi chi prenda a scriver
ne, eziandio che pochi ne scrivano; che anzi parmi

da lodar molto per questo appunto, perch fa quello


che pochi fanno. Saranno ancor degli altri, a quali
parr cosa strana, che mettendomi io a scrivere in Fi

losoa abbia voluto seguire Aristotele, le cui opinioni


e maniera di losofare sono oggidi generalmente di
sapprovate ; ed altri diranno che la materia della mo

rale vuol trattarsi con molto maggior brevit , che


non fece Aristotele, dicendo , che al vivere onesto ,
senza tante speculazioni, bastano pochissimi precetti
che possono raccogliersi in quattro versi, e biasime
ranno la lunghezza del mio libro. Per cominciando
da questi ultimi , io non credo , signor Marchese, di
avervi messo per le mani un trattato tanto lungo che
non possa esser letto ed inteso da chi si sia in bre
vissimo tempo; intanto, che io ho temuto assai volte,
che voi foste per dolervi pi tosto della brevit mia,
ed avreste desiderato un trattato pi amplo e pi di
fuso; dal qual per mi sono astenuto , si perch gli
altri miei studi non mi consentivan di farlo; si_ an

cora, e molto pi, perch scrivendo io questo trattato


per voi solo , laltezza dellingegno vostro non aveva
bisogno di molto lunga esplicazione. Ma gli altri che
non hanno tanto ingegno, quanto voi, e tuttavia vor
rebbon ridur la Morale a quattro versi; io non credo

gi che abborriscano la lunghezza , ma pi tosto si


infastidiscano della scienza istessa , la qual loro par
rebbe sempre troppo lunga , quantunque fosse bre
vissimamente trattata; perciocch sempre lungo

tutto quello che infastidisce. Perch quanto poi al

dire, che pochissimi precetti bastano al vivere onesta

PREFAZIONE DELL AUTORE

mente, io nol nego; e so che Socrate fu della stessa


opinione; e per solea dire , che colui gi grande
mente virtuoso, che desidera di essere. Nego bene che
il ne di quei che scrivono in morale, altro non sia

che il vivere onesto; perch sebbene molti nel prin


cpio dei lor trattati non altro ne hanno detto di ave
re che questo solo, io credo per, che se eglino aves
ser meglio ricercato l animo loro, vi avrebbero tro

vato anche un altra intenzione molto nobile e molto


necessaria. E questa di mostrare agli uomini non

solamente le regole dell onest, ma farne ancora in


tender loro le ragioni, i principii e le cause, per po
ter poi bene e distintamente ragionare, ed insegnarlc
ad altri, e farne lezioni da tramandare alla posterit:
il che se non avessero quegli scrittori avuto in animo,
non ne avrebbero disteso tanti libri n tanto accura

tamentc. Ora sebben poche regole bastano al vivere


onestamente; per molto studio e molti avvertimenti
e speculazioni si ricercano a poter bene ragionare; e
quindi che non tutti quelli che praticano l onest,
.sono anche atti ad insegnarla, e molte volte meglio
ne parlano quelli che non la praticano; richiedendosi
in questa materia assai pi studio al ben dire che al
ben fare: di che possono facilmente accorgersi i poeti
e gli oratori , e tutti quelli che entrano a parlare o
nelle pubbliche, o nelle private adunanzc,occorrendo
loro quasi del continuo di dovere giudicare delle azioni
virtuose o viziose degli uomini, ora' lodandole e or

biasimandole, e difendendole spesse volte , e spesse


volte accusandole, e'venir sovente a contrasti sopra
le usanze e glinstituti della citt. Delle quali cose se
credono di poter parlare assai bene quelli che non vi

hanno studio niuno, quanto meglio e pi spedita


mente il faranno quelli che avcndovi posto studio, sa

pranno subito distinguere luna virt dallaltra,e


render ragione degli ufcii di ciascheduna, dividendo
il loro discorso acconciamente , e con bel modo , e
traendolo dai veri principii? Il che per_non potran
no fare se non quelli che avranno dato qualche spa
zio di tempo allo studio della morale. Al quale acco

standosi avran pur dovuto in primo_luogo vedere in

PREFAZIONE DELUAUTORE

che sia posta la felicit, direttrice comune di tutte le


umane azioni, e quindi tratti da essa, procedere alla
contemplazione della virt, ricercandone prima la na

tura , poi per qual modo e in quante forme dividasi,


e come ci adorni di tutti gli altri beni, o sieno quelli
che rischiarano l intelletto, o quelli che diconsi esser

del corpo, o quelli che si lasciano alla fortuna. E in


questo mare entrando, come avran potuto non tra

scorrere alla considerazione di quelle qualit dellani


mo, che per una certa similitudine si ngono essere

virt e non sono? Come astenersi dalla considerazione


degli affetti che per le varie apparenze in noi si risve
gliano? Come passarsi dellamore? Come dell amici

zia? Di che si vede lo studio della morale poter es


sere assai breve a chi voglia vivere onestamente ; a

chi voglia farne trattati, o solo anche bene e distin


tamente, ove che sia, ragionarne, non poter essere se

non molto lungo. E per venire ad alcun caso partico


lare, chi non vede che in quelle adunanze massima
mente, in cui trattasi di ridurre a pace le cavallere

sche contese, dovendovisi disputar sempre sopra gli


ufcii della giustizia , dell intrepidezza, della man
suetudine, del valore, sopra l onore che nasce da
virt , sopra l ingiuria che lo sminuisce , o lo leva ,
niente pi necessario che posseder bene i principii
della morale losoa? Nella quale quelli che sono am
maestrati, senza dubbio ragioneran molto meglio;

laddove quelli che ne sono privi, non possono parlar


che a caso; perciocch seguono le popolari opinioni
che non di rado sono false, e si cangiauo di di in di

a capriccio degli uomini; onde quei che le seguono ,


decidono le quistioni non secondo i principii che mo
stra la ragione, ma secondo quelli a cui per fortuna
s avvengono. Di che potete essere testimonio voi stes

so , signor Marchese , che essendo nato in cosi alto


luogo, e congiungendo a tanta acutezza (Yingegno, e
prontezza d animo una singolar perizia e destrezza in
ogni maniera di armeggiare pare che la natura vi abbia
posto al mondo per affari di cavalleria; nei quali
essendo sopra let vostra versatissimo , avrete abba

stanza compreso, quanto in quelli sia necessaria una

PREFAZIONE DELL AUTORE

non mediocre conoscenza della morale losoa. E io


credo che per questo abbiate voluto che io ne sten
da un trattato, sperando forse che altri, mosso dal
mio esempio , ne scriverebbe dopo me un migliore.
Ma assai s _detto circa la riprensione della lunghez
za. Vegniamo all altra d aver voluto io seguire Ari
stotele; la cui maniera di losofare mi dicono essere
oggid quasi generalmente disapprovata, parendo an
che le sue opinioni disusate e false. Ma quanto alles

sere disusate , io non so, perch alcuno mi debba


per questo riprendere; imperocch se le opinioni di

Aristotele diconsi disusate, ci argomento che fu


rono usate una volta. Che se le opinioni, come le ve
sti , usandole si logorassero e perdessero il pregio
loro , io concederei volentieri che non dovessero pi

quelle antiche seguirsi che furono un tempo in gran


dissima riputazione, poi dopo un lungo uso sono state
abbandonate. Ma poich invecchiando gli uomini , e
indebolendosi , non invecchiano Q n si indeboliscono
le sentenze, ' chi vorr oppormi che io mi allontani
dalla consuetudine seguendo le opinioni dristotele,
le quali se non sono in uso nel presente secolo, fu
rono per in uso in un altro? Perciocch, volendosi
seguir luso, non maggior ragione, perch debba se
guirsi piuttosto luso di un secolo che di un altro, non
essendo lun secolo di maggiore autorit che laltro. Ed
io so bene che in alcune scienze, le quali si fondano
sopra molte e lunghe osservazioni con esperimenti
e prove ricercate, pi vuol credersi agli ultimi secoli
che a quelli che li precedettero; il che si vede nella

notomia, nella naturale istoria , nella geograa , nel


I astronomia, e generalmente in quasi tutte le scienze
siche. E ci , perch gli ultimi possono stabilire le
lor dottrine sopra maggior numero di esperimenti e

di osservazioni che gli antichi non poterono , i quali


dovevano averne minor copia. E per la stessa ragio
ne dovrannoi posteri in tali scienze creder meno al
nostro secolo che al loro. Che se la dottrina morale
si stabilisseessa pure sopra tali cose, io sono dopi
nione ancor io , che volendo seguire la consuetudine

dovrebbe seguirsi quella degli ultimi ; ma fondandosi

6'

PREFAZlNE DELL AUTORE

essa sopra ragioni e principii, che in pochissimo


tempo si manifestano a tutti, n altr ricercandovisi

se non una certa acutezza d ingegno , svegliata da


qualche studio, non so, perch gli antichi non po
tessero essere in queste cose eccellenti, come i no

stri; e parmi sciocca presunzione il volere che la con


suetudine di un certo secolo abbia lauto di autorit ,
che le consuetudini degli altri sieno tutte da disprez
zarsi e da deridersi. Sebben molti sono , i quali in

vero disprezzano le opinioni degli antichi per questa


sola ragione, perch pi non sono secondo l usanza;

ma si vergognano per di dirlo, e vogliono pi tosto


dare ad intendere, che le disprezzano , perch aven
dole diligentemente esaminate, le hanno trovate false;
e questi mi riprenderanno , dicendo: che accostando
miad Aristotele mi sono allontanato dal vero. Ed io
credo che errino grandemente; perch se noi vorremo

ascoltar la ragione senza dare all usanza pi di quel


lo che le si dee, io stimo che sar cosa assai diffi
cile il decidere, quali di tanti loso chehanno scrit
to della morale con tanta acutezza e verit, abbia col

pito il vero, e qual no. Intantoch io credo, che co


me in altre scienze, cosi anche in questa vana ed
inutil fatica prendono quei maestri , che voglion pri

ma aver decise tutte le quistioni a senno loro per in


segnarle poscia cosi, come essi I hanno decise; quasi
la decision loro terminai potesse quelle quistioni che

non hanno potuto terminarsi per la decisione di ve


run altro; o fosse di maggiore utilit agli scolari ap

prender ci che parve vero al lor maestro , il qual


forse non era il pi eccellente uomo del mondo, che

quello, che parve vero ai grandissimi ed eccellentissi


mi. lo dico dunque che i maestri non debbono pi

gliar gran pena, se quelle cose che insegnano sieno


vere, o no; purch paiano vere a molti e grandi uo
mini, e l osservazione , o l esperienza, o la dimo
strazione non sia loro contraria; il che avviene tal

volta nelle scienze siche e matematiche; nelle altre


non pu cosi facilmente avvenire. Anzi io vo tanto
innanzi che ardisco a dire, molte volte esser pi uti

le e pi conveniente, che il maestro insegni quello

PREFAZIONE DELL AUTORE

'

che parvero a molti, che quello che par vero a lui


solo , se gi egli non stimasse se stesso pi che tutti

gli altii; perch seio dovessi insegnar, per esempio,


metasica a giovani , e me n avessi composto una a
mio modo , la qual sola mi paresse vera, chi sarebbe

per che non volesse pi tosto saper quella di Mal


lebranche , o di Leibnizio, che la mia? ll che se
vero nelle altre scienze, perch non anche nella mo

rale? Cessino dunque di molestarmi coloro, i quali


credono che seguendo le opinioni dAristotele io ab

bia seguito il falso; perch n cosa facile il decider


ci; e quando bene avessi seguito il falso, avrei per
seguito l opinione e la ragion dimoltissimi, la quale
presso gli uomini giudiziosi dee rendere probabili
eziandio quelle cose che per altro false parrebbero.
N io per ho seguito tanto Aristotele, che da lui
non mi sia in alcun luogo , come voi vedrete , signor
Marchese, allontanato; il quale potrete anche accor

xgervi, che dove l ho seguito, ho per sempre te


nuto l occhio rivolto verso Platone, di cuiyse ho da
dirvi il vero, fuor di modo era acceso; n ho saputo
dissimulare abbastanza i miei amori. E se ho seguito
Aristotele, lbo fatto, perch m paruto che egli
mi offra e ponga innanzi tutte le parti della morale
ad una ad una, e le spieghi con assai bell ordine; di
che Platone non mi stato cortese. Alcuni per non
approvando la forma del losofar dAristotele, n
quella maniera di procedere nelle quistioni, anche per
questo mi riprenderanno; e ci massimamente faran

no quelli, i quali vorrebbero che tutte le cose si


trattassero secondo lordine e lusanza de geometri.

Al che io consentirci volentieri; ma vorrei prima che


mi spiegassero chiaramente , in che consista una tale
usanza; perch se ella si riduce, come il pisuol
farsi, a questo solo che si raccolgano sul principio di
ciascun trattato tutte le dinizioni con quelle doman
de, che per seguir l uso dei geometri chiamano po
stulati, in vece di apporle, come gli antichi hanno
fatto, a luogo a luogo, e secondo che il bisogno ne
occorre, io non veggo che gran guadagno per ci si

faccia; poich se quelle denizioni e quelle domande,

PREFAZIONE DELL AUTORE

frapposte a luogo a luogo, con gli argomenti che da


esse derivansi, non bastano a chiarir le quistioni , non
basteranno n meno , essendo raccolte in sul princi
pio; e quindi che i matematici stessi non sono sem

pre stati cosi diligenti nell osservanza di quella rego


la. Che se l usanzadei geometri, la qual vogliono che
si segua , si riduce a questo, che di niuna cosa mai
non si disputi, se prima non se n abbia formata una
chiara e distinta idea, intendendo per qualsivoglia

nome quello che pi ne piace, onde non debba esser


contrasto intorno alle denizioni, io dubito grande
mente se possa ci farsi in tutte le scienze, e se gio

vi. Imperocch i geometri, non essendo obbligati di


dir piuttosto di una cosa che di un altra , possono
intendere per qualunque nome quello che loro ag
grada , e per tal modo, quanto alle denizioni, uscir
di briga; non cosi gli altri. Perch se egli verr qui
stione in alcuna adunanza sopra i doveri del cittadi
no, niente valer a colui che ragiona il dire: io vo
glio intendere per cittadino quello che a me piace;
ma bisogner pure che intenda quello che piaciuto
agli altri, e s accomodi al sentimento comune che

vago bene spesso ed incerto; e se egli vorr ridurlo


a idea chiara e distinta per mezzo di una giusta de
nizione, incorrer per questo istesso nei dubbii e
nelle dispute. E cosi avvien quasi del continuo, qua
lor si ragiona del valore , della cortesia, della genti
lezza, della belt , dell ardire , della generosit , del
1 onore, e d innite altre tai cose; che non lecito
intendere per questi nomi quello che ciascun vuole ,

ma bisogna rimettersene all uso del popolo , spie


gando le voci il meglio che si pu. N quello vero,
che alcuni van pur dicendo, cio che non si possa
ragionar bene e rettamente di una cosa, se non quan

do se [iabbia una chiara e distinta idea. lmperocch


senza averne una chiara e distinta idea, pu tuttavia

conoscersene alcuna propriet, la qual conosciuta in


nite altre se ne raccolgano. Di che potrei recare in;
niti esempi si antichi, come moderni, tratti da uo
mini eccellentissimi, i quali hanno trattato divina

mente di alcune cose, dicui non avevano quasi niuna

PREFAZIONE DELLI AUTORE

idea, e ne hanno fatto i volumi. E per non risalire

alle et rimote, quale idea ebbe , o cur di avere ,


limmortal Neuton della luce, della cui natura lasci

che ognuno disputasse a voglia sua? Pure avendo sco


perto alcuna sua propriet nel refrangersi, di quanto

accrebbe per questo solo la diottrica? E quella tanto


nobile e tanto famosa forza attrattiva, che oggidi si

introdotta con cosi grande alterigia nelle scuole dei


sici, chi pu sapere che cosa ella sia? Lo stesso
Neuton, che la introdusse, non sard pur di cercar
lo; e ad essa per commisejl governo delluniverso.
E tali pur sono tutte le forme e qualit de corpi, e
gli spiriti stessi e le inclinazioni dell animo e gli af
fetti, e tutto ci che loro appartiene ; delle quali cose
non mai si parlerebbe, se dovessero prima aspettar
sene le idee chiare e distinte. Sia questa dunque una
felicit propria dei matematici di poter sempre rivol

gere i lor discorsi alle idee chiare e distinte, ma non


l impongano, come una legge allaltre scienze, le
quali o non possono osservarla, non ne hanno bi

sogno. N so, se i matematici stessi sempre l osser


vino; e se quelli che spiegano i Inisterii dellalgebra,
e quelli che s affaticano intorno alle cose innita
mente piccole, non incorran talvolta in idee confuse
ed oscure; delle quali per niente si turbano; e come
n hanno scoperta alcuna propriet, stimano ci ba

star loro , e procedono avanti nei loro argomenti con


sicurezza. Il che se fanno essi, non dovremo maravi
gliarci , se i loso trattando delle virt e dei vizii

faccian lo stesso; e volendo mostrar agli uomini le


vie della felicit, e tener dietro a tutti i beni che la

contengono , ragionino talvolta di una cosa prima di


averne data la denizione , e talvolta non ne dieno

denizione niuna, contenti di quella idea che ne ha

il popolo; della qual poscia non contentandosi altro


ve la spiegano, e pi tosto che denirla la descrivo
no; e ci facendo tornano pi volte allo stesso argo

mento, e turbano quel bell ordine che i geometri si


hanno proposto. N bisogna riprender tanto Aristo

tele, n gli altri antichi che le materie loro trattarono


a questo modo. I quali non gi da credere che non

IO

PREFAZIONE DELUAUTORE

conoscessero i comodi del iagionar geometrico; ma


conobbero ancora vana cosa essere il volerli lrasfe.
rire a tutte le scienze. E certo troppo duro sarebbe
il non volere che possa parlare della virt, n lodare

la temperanza , la liberalit , la cortesia , la mansue


tudine , se non chi abbia studiato in geometria; es
sendo queste virt i mezzi pi principali per conse
guire la felicit, a cui sono nati tutti gli uomini, non
i geometri solamente. E cisedo anche che gli antichi
avendo per le mani argomenti cotanto illustri, non
volessero perdere i comodi dell eloquenza, la qual
molto meglio risplende, e pi si fa bella con una certa
leggiadra sprezzatura, trascurando quel ricercatissimo
ordine che si soffre in geometria, essendole necessa
rio, e parrebbe affettazione in altre scienze che non
ne hanno bisogno. E qui par veramente, ornatissimo
e gentilissimo signor Marchese, che il luogo stesso
mi chiami a dover dire dello stile e della forma di
scrivere che io ho tenuta nel presente compendio, la
quale a voi massimamente che siete in tutte le grazie
del dire esercitato, dovr parer stretta oltre modo e

angusta, e priva eziandio di quei piccoli ornamenti


che la brevit non riuta; e parendo a voi tale non

potr non parere anche agli altri. N io mi difender


da questa accusazione, n cercher di piacervi in una

cosa, nella quale io non posso piacere a me mede


simo. Mi rivolger piuttosto a dimandarvene perdono,
il quale se da voi otterr, solfrir pi facilmente che

mi sia negato dagli altri. E certo voi sapete, con


quanta fretta ed impazienza m convenuto scrivere
questo compendio in mezzo a molti altri studii , che
non che alla politezza del dire , appena mi consen
tivano che io pensassi a quello che dir dovea. Il che
fu' anche cagione che io mi abbandonassi ad Aristo
tele , credendo di mettermi in buone mani e far pi
presto. Per il rilessi come potei, e scorsi qua e l
per gli scritti dalcuno de suoi commentatori; i quali.
oltre l acutezza dei pensament non hanno altro che
sia gran fatto da imitarsi; ed io , che da natura mi
lascio facilmente volgere allo stile di quei ch io leg
go, non potea certo da quei commenti raccogliere

PREFAZIONE DELL AUTORE

Ii

n ornamento, n grazia. Aristotele poi hamolte qua


lit nel suo dire belle e maravigliose, e =tral altre una

certa franchezza, e brevit risoluta con molta gravit,


le quali essendo massimamenteaccompagnate da mille
altre vaghezze, gli stanno bene, e lhanno fatto pia
cer tanto a Cicerone. Ma se di quelle alcun poco mi
si fosse attaccato ben vedea che quel poco trasferito
ad altralingua, e spogliato degli altri ornamenti, sa
rebbe in me_ cattivo , e rimarrei nel mio dire , cosi
come parmi d esser rimaso,_arido e digiuno, avendo
dinanzi agli occhi un esempio pienissimo' e abbondan
tissimo. Ed iocerto avrei posto cura per non incor
rere intali vizii, o, essendovi incorso, peuemen

darli; se oltre glincomodi che gi vi ho detto, non


avessi anchel animo inquieto fuor di modo e tur
bato. Perch oltre quella naturale malinconia, che
come sapete, mi tanto propria che par nata meco;

potrei dirvi, se fosse luogo , di molte angustie ed


ansiet,.che tuttavia mi stanno intorno all animo; n
lascian dessere al commosso spirito tormento e pena,
per quanto dicano d esser nate da bella e nobil ca
gione : ma qual che la cagione ne sia , che non si al
lontana per dalla virt , affliggono il cuore e distol
gon la mente dagli studii riposati e tranquilli. Intanto
che mi sono sdegnato pi volte meco stesso della mia
losoa, e ho preso in ira gli scritti miei, parendo
mi presunzion troppo grande che io volessi mostrare
agli altri la felicit che non ho saputo ritrovare per
me medesimo; e se il libro non fosse stato fatto per

comandamento vostro e per voi, io non so quello,

che ne fosse avvenuto. Poi pensando meco stesso , e


rivolgendomi con l animo tra le mie cure , ho nal

mente considerato, che se noi non vogliamopche par


lino della felicit se non i felici; da temere che
troppo pochi saranno al mondo quelli che ne parle
ranno; e siccome interviene talvolta in una citt, o

terra illustre , che non essendovi niun maestro assai


valente o di ballo, o di musica, o di pittura, o dal
tra tal arte nobile e liberale , pur si piglia lezione da

chi men che mediocre, parendo meglio saper qual


che cosa di quelle arti, che esserne del tutto privo ;

'32.'

ia

PREFAZIONE DELL AUTORE

cosi essendo al mondo tanto pochi i felici, o piuttosto


non essendone niuno; chiunque voglia lezioni di fe

licit, debba esser contento di prenderle da qualche


infelice. Senza che molte volte le cose meglio, che per

se stesse, si intendono per li loro contrarii. ll perch


dovranno essere attissimi ad insegnare la felicit ezian
dio quelli che non la provano; solo che notino dili

gentemente e con qualche studio tutto ci che sen


tono mancare in loro , e conoscano ad una ad una
tutte le parti della loro miseria , il che non molto

difcile a chi la prova. Comunque siasi , che troppo


omai s detto , se il presente libro venisse in altre
mani che nelle vostre, e le mie escusazioni non fos

sero dagli altri ricevute , a me per baster che sieno


ricevute da voi; e quand anche ci mi negaste, pure
sar contento di avere obbedito in qualche modo, se

condo le forze mie , a un cosi grande e cosi gentile


cavaliere , come voi siete; il qual onore per me tanto
si estima , eh io credo che quei medesimi che ripren
deranno l opera mia, dovranno per anche avermene
qualche invidia.

LA
FILOSOFIA MORALE
sncomoo UOPINIONE
DEI PERJPATE TICI
RIDOTTA IN COMrENDiO.

La Filosoa morale una scienza che in


segna al! uomo di frsi migliore e pi fli
ce ,. donde subito si vede , niuna altra disci
plina poter essere n pi illustre, n pi
magni/ica. Volendo noi esporla brevemente
e con quella maggior chiarezza che possiamo
la divideremo in cinque parti. Nella prima
tratteremo della zlicit. Nella seconda della
virt morale in generale. [Velia terza delle
virt morali in particolare. Nella quarta del
le virt intellettuali. Nella quinta di certe a/i
jezioni o disposizioni danimo , le quali seb

bene paiono degne di laude, o di biasimo ,


non sono per da "Lettere n tra le virt n
tra i vizii. Il che _/cendo , poco , e in po
chi luoghi ci scosfefemo dalfordine e dalle
opinioni d/Iristotele.

PARTE PRIMA
DELLA FELICIT

CAPITOLO PRIMO
Come dicasi la felicit essere il ne ultimo.
A spiegare , come la felicit si dica essere il ne ul
timo delle azioni, cominceremo di qui. Le azioni che
l uomo fa , sono di due maniere; perciocch altre si
fanno senza deliberazione e senza consiglio , come il
batter del cuore, il correr del sangue, il digerire

i cibi; e queste si chiamano azioni dell uomo; ed


altre si fanno per consiglio e deliberazione, come
quando uno aiuta lamico , o mantien fede nel con
tratto; e queste si chiamano azioni umane. La scien

za sica tratta delle prime, delle seconde la morale.


Restringendoci dunque alle seconde, io dico. Ogni

azione umana, facendosi per deliberazione e per con


siglio , si fa per qualche ne, il qual si vuole , non
per altro , ma per se stesso, e pu dirsi ultimo ne.
Cosi colui, che vuole il medico , se lo domanderai,
perch lo voglia, risponder, che lo vuole per la me
dicina ; e se lo domanderai , perch voglia la medi
cina, risponder , che la vuole per la sanit; e se

(li nuovo lo domanderai, perch voglia la sanit,


egli si rider della tua domanda ; perciocch la sa
nit non si vuol per altro , ma per se stessa , e tieni
luogo d ultimo ne. Che se egli non avr voglia di
ridere , e vorr pur rispondere qualche cosa , altro
non sapr dire, se non che egli vuole la sanit, per
ch essa gli sta bene , e gli conviene , e insomma lo
rende in qualche parte felice. Cosi tutto quello , che
l uom si propone come ultimo ne in qualunque
azione, va a riporsi sotto il nome di felicit: del qual

nome gli uomini son tanto vaghi, che non par loro
di star bene, se non possono esser chiamati felici.

16

PARTE PRIMA

E dunque la felicit posta ncll ultimo ne_delle azio


ni e dei desideri degli uomini.
E comech non siasi ancora per noi dichiarato, qual
cosa sia cotesto ne ultimo delle azioni, e per non
ancor si sappia in che consista la felicit; pu tut

tavia per le cose n qui dette facilmente intendersi,


che la felicit rende l uomo cosi compiuto e perfet
to , che ottenuta essa , altro pi non gli resta da vo
lere ; e similmente, che la felicit da anteporsi a
tutte le cose, ed il maggiore di tutti i beni. Impe

rocch volendosi per se stessa , ben mostra di avere


in se stessa il merito d essere voluta; non cosi le al

tre cose, le quali vogliamo solamente perch servono


alla felicit : n levorremmo , se la felicit non ce
le avesse, per cosi dire , raccomandate.

CAPITOLO Il.
In che consista la felicit.
Se ha quistione in losoa oscura ed avvolta , si
questa. Veggiamo dunque di spiegarla a poco a
poco , e come possiamo. Egli par certo , che il ne
ultimo di qualsivoglia azione umana vada a riporsi o
nel piacere, o nella virt , perciocch qualunque
azione l uom faccia, cerca sempre o luno, o laltra;
e se vuole il piacere , non gli si domanda mai, per
ch lo voglia; parendo che il piacere sia da volersi

per se stesso. E lo stesso dicasi della virt. Riducen

dosi dunque l ultimo ne o al piacere , o alla virt,


pare ch: la felicit non debba potere allontanarsi da
ue cose.
q neste
E quindi
son nate varie opinioni molto tra loro di
verse. Epicuro, che ori sotto i tempi di Aristotele ,

volle che la felicit fosse posta nel solo piacere , pa


rendogli che l uomo non potesse in ultimo volere
altro. La qual opinione prese egli forse da Aristippo,
che fu capo deCirenaici, e ori prima di Aristotele.
Sebbene alcuni credono che Epicuro prendesse tutto

da Democrito, il qual losofo fu della setta degli


Eleatici , discendente dai Pittagorici.

DELLA FELICITA

P1

Zenone che fu capo degli Stoici, e visse intorno ai


tempi dEpicuro, volle che la felicit non in altr
consistesse' che nella sola virt. N egli fu per il_
primo a dir ci; ch prima di lui l avea detto Anti
stene, capo_ de Cinici, il qual visse alquanto prima
di Aristotele.
'

Platone che ebbe alla sua scuola molti grandissimi


uomini, e tra gli altri Aristotele stesso , intese che la
felicit dovesse riporsi nella contemplazione dell idea
del bene; il che ha bisogno di una spiegazione assai

diligente. Noi ne parleremo appresso.

'

_ Aristotele pass ad altra opinione, la qual noi spie

gheremo, come avremo ragionato alquanto delle altre.

CAPITOLO Iii.
i La felicil non posta nel solo piacere.

Se la felicit fosse posta nel solo piacere, ne se


guirebbe che oltre il piacere niente altro restasse al
luomo da desiderare; e pure' gli resterebbe da desi
derar la virt, la quale certamente distinta dal pia
cere ; dunque-non da dire che la felicit sia posta
nel piacer solo. Di fatto chi colui, cui proponen
dosi due piaceri eguali, luno con virt, 1 altro sen

za, non volesse anzi quello che questo? Vedesi dun


que che oltre il piacere vuolsi ancor la virt.
Poi se la felicit fosse posta nel solo piacere, sic
come tutte le azioni si fanno perla felicit , cosi tutte
farebbonsi pel piacere; il che falso, facendosene
molte nonpel piacere , ma per altro; e certo colui

che si ofealla morte o per la patria, o per lamico,


non pare che cerchi a se stesso niun piacere; non
dunque da credere che sia riposta nel piacere tutta la
felicit; ed Epicuro' ed Aristippo, che sel credettero,
si mgannarono.
Ma , dir alcuno , le azioni stesse virtuose non per
altro si fanno che per quel piacere che nasce dalla
virt; par dunque chetutte le azioni si facciano pel

piacere. Ed io rispondo, che gli uomini costumati e

gentili fannobensi le azioni virtuose con piacere, ma

X8

PARTE PRIMA

non per lo piacere. Colui che fa benecio all amico,


lo fa certamente con piacere: ma egli non mira a ci:
mira piuttosto al comodo dell amico; altrimenti ser

virebbe non l amico , ma se stesso. Che se il virtuoso

dirigesse le azioni sue al_ iacere,' egli dovrebbe tal


volta seguire il vizio,
bandonare la virt; con
ciossiacosach meno piacere si tragga da questache

da quello. Che gran piacere potea promettersi Sce


vola, allorch stese la mano sul fuoco ad abbruciarla?
Ptu diranno gli Epicurei , si vuole il piacere, non

per altro ne , ma per se stesso; dunque esso con


tiene la felicit. Al che rispondo, che potrebbe simil
mente dirsi della virt, la qual si vuole non per altro
fine, ma per se stessa. Siccome dunque noi conce
diamo loro che la felicit non posta nella sola virt,
cosi dovrebbero essi concederci che non posta nel

piacer solo.
CAPITOLO IV.
La felicit non posta nella sola virt"

Se la felicit fosse posta nella sola virt , come


voller gli Stoici, ne seguirebbe che bastar dovesse al

l uomo la virt sola , e questa avendo non altro gli


restasse da desiderare; e pure gli resterebbe da desi
derare la sanit, che cosa distinta dalla virt, e si
milmente la robustezza e la bellezza; ed oltre a ci

le ricchezze, gli onori, i piaceri, che non sono virt;

dunque non da concedere che la felicit sia posta


nella virt sola; E per verit chi colui che potendo
esser sapiente o con sanit, o senza, non volesse anzi
essere un sapiente sano, che un sapiente ammalato?
E certo la sanit un bene, volenclola gli uomini
per lei stessa, non per altro ne ; e cosi pu dirsi
della bellezza, delle ricchezze, degli onori. Ora se que
ste 00;: mancassero al virtuoso , come spesse volte

mancano, chi direbbe che egli fosse felice, mancan

degli tanti beni? Pure non gli mancherebbe la virt;


dunque la virt non basta alla felicit.

Tu dirai: gli Stoici pur negaron che la sanit fosse

DELLA FELlClTA

H,

un bene; e lo stesso fecero della robustezza e della


bellezza; e similmente delle ricchezze , degli onori,
dei piaceri e degli altri doni della fortuna , volendo

essi che niun altra cosa fosse da annoverarsi tra i

beni, fuori solamente la virt. Il che se vero, co.


lui che avr la virt, avr ad un tempo stesso tutti
ibeni, e per conseguenza nulla gli mancher.
Io rispondo che gli Stoici non vollero chiamar beni
n la sanit, n le altre cosesopraddette, ma le chia.

marono per comode , e degne d essere preferite ai


loro opposti, e d essere con diligenza procacciate; il
che facendo lasciarono a _quelle cose la natura e les
senza del bene; levarono via solo il nome. Di fatto,
che altro il bene, se non quello che da essere

preferito al suo opposto, e da essere voluto e da es


sere procacciato? Poco dunque importa che gli Stoici

chiamassero la sanit un bene, ovvero un comodo ,


essendo di queste voci un sentimento medesimo. E

se l infermit e il dolore ela povert e lignominia


non vollero chiamar mali ,_ci nulla; perciocch le

chiamaronoincomodi, che quello stesso.


Dir taluno: luomo sapiente desidera la sanit, e le
ricchezze , e le scienze per potere esercitar la virt;
dunque non vero che tali cose si desiderino e si vo:
gliano per loro medesime. Rispondo esser vero che

il sapiente desidera tali cose, perch servono alla vir.


t; ma le desidererebbe anche senza questo. Due ra

gioni dunque ha luomo savio di desiderare la sani


t; e perch ella desiderabile per se stessa, e per
ch serve alla virt , che un altra cosa non meno
considerabile.

CAPITOLO V.

Come dicasi la jlicit


esser posta nella contemplazione di un idea.

Platone distolse gli uomini da tutte le cose terrene,


e grinvito alla contemplazione di un idea, nella quale
se avesser potuto mirare una volta, disse che sareb

bero felici. Pochi si invogliamno d una felicit cosi

Q3.

30

' PARTE PRIMA

astratta. Noi per dichiareremo l opinione di quel


grand uomo, e cominceremo da pi alti principii a
questo modo.

Tra le molte idee che ci si parano dinanzi alla


mente, n ha alcune che si chiamano singolari, e_d al
tre che si chiamano universali. Le singolari sono quel

le che ci rappresentano le cose singolari, come l idea


del tal uomo, per_ esempio diGinlio Cesare; le uni

versali sono quelle checi rappresentano certe forme


astratte, che appariscono non in una cosa sola, ma

in molte; come l idea dell uomo in generale, per cui


ci si rappresenta non un tal uomo, ma la natura e

=la forma astratta dell uomo , la quale apparisce in


tutti. E cosi l idea del cittadino. in generale, che ci
rappresenta non un tal cittadino, ma una certa forma

astratta che apparisce in tuttii cittadini. E tale


l idea del bello in generale, o vogliamo dire della

belt, e lidea del buono in generale, o vogliamo dire


della bont ed altre innite.
Credono molti metasici, che le idee universali si
formino cavandole ed astraendole dalle idee singolari;
e per ci astratte le chiamano : e spiegano la cosa in
questo modo. Veggendo noi molte cose singolari_ ci

fermiamo talvolta in quello che comune a tutte ,


senza pensar punto a ci che proprio di ciasche
duna; e allora che ci rappresentiamo nella mente
una certa forma comune, cavandola dalle cose sin
golari, e formiamo l idea universale. Cosi veggendo
molti uomini singolari, Cesare , Lentulo, Trebazio ,

e considerando in essi solamente lesser d uomo, che


comune a tutti, ci formiamo nell animo nnessenza
umana astratta da tutti gli uomini, e quella unidea
universale. A questo modo ragionano i pi dei meta
sici; e si credono che quelle forme astratte non ab
biano sussistenza niuna nella natura, e soltanto sieno
nelranimo nostro, e in quanto da noi si concepiscono.

Ma Platone, il qual solo val pi che tutti gli altri,


' ha creduto il contrario; ed ha voluto che le nature
astratte sieno e sussistano non negli animi nostri, ma
fuori; e fossero anche prima che si concepissero; e

queste essere eterne ed immutabili , non ristrette da

DELLA FELICITA

2i

luogo n da tempo; alle quali rivolgiamo lanimo per


un avviso che ce ne danno gli oggetti singolari, se
condo che a noi si presentano; onde ci pare di trarle
e pigliarle da essi ; ma le abbiamo(Faltronde. E se
condo una tale opinione non da credere che la belt,
la bont, e le altre essenze, che astratte si chiamano,
per noi si formino, e sieno sol tanto quanto da noi si

concepiscono; perch n si concepirebbero da noi, se


gi non fossero; n noi le formeremmo giammai cosi
perfette, come le veggiamo. E queste sono le idee
tanto famose di Platone.

Ora accostandoci al proposito, da sapere, essere


stata similmente opinione di Platone , sostenuta da
lui con molte ragioni, che le anime nostre fossero
prima che noi nascessimo; e che a quel tempo es

sendo libere esciolte dai legami delcorpo, vedes


sero molto chiaramente le idee che abbiamo detto ,

n in altro si esercitassero che nella contemplazione


di esse; perle quali appreseron d allora tutte le

scienze; bench immerse poscia ne corpi appena se


ne iicordinofE come volle che le anime nostre fossero
prima che noi nascessimo; cosi anche sostenne con
molte ragioni che, noi morti, dovessero l anime ri

manere; le quali, se nel corso di questa vita avessero


rettamente operato e con virt , sarebbero ricevute

di nuovo tra le idee; ed appressandosi massimamente


all idea della bont, e contemplandola e godendosela,

sarian contente e felici. Cosi Platone lev la felicit


da questa vita, e trasferilla ad un altra , facendola
consistere nella contemplazione di un idea. N credo
che altra cosa pi nobile, n pimagnica sia stata
mai detta in losoa.

N l opinion di Platone, siccome io giudico,


tanto opposta all opinione dAristotele, quanto alcu
ni si persuadono, imperocch, come appresso vedre
mo, questi due gran loso non son contrarii tra
loro di opinione, ma fanno due diverse quistioni. Ad
ogni modo, bench potessero le due sentenze di lega
gieri comporsi, e tenersi amendue per vere; non molto
piacque ad Aristotele quella platonica felicit; e prin
cipalmente si rivolse a levar via l idea astratta della

bont con l argomento che segue.

PARTE PRIMA
Acciocch si desse l idea astratta della bont , bi

sognerebbe che tutte le cose che noi diciamo buone,


avesser comune non solo il nome, ma anche una cer
ta forma di bont , che fosse in tutte la medesima ;

poich questa forma tratta fuori , e svelta , per cosi


dire, dalle cose singolari, sarebbe appunto l idea del

la bont. Ora quante cose diciamo buone , le quali


per niente hanno di comune , se non il nome? Chi
dir essere la medesima forma di bont nella virt e

nel cibo, bench buoni si dicano e l uno e l altra?

Cosi argomentava Aristotele molto sottilmente contra


il suo maestro.

CAPITOLO VI.
La jelicit posta nella somma di tutti i beni
che convengono alla natura.

Dicendosi la felicit esser posta nella somma di


tutti i beni che convengono alla natura dell uomo ,
pare che niente "enga a stabilirsi , se prima non si
stabilisca quali beni sieno quelli che alla natura del
luomo sono convenienti. Imperocch anche gli Epi
curei potrebbero dire, la felicit esser posta nella som
ma di tutti i beni che convengono alla natura delluo
mo, riducendoli tutti al piacere; e similmente potreb
bero fare gli Stoici, riducendoli alla virt, e i Plato

nici alla contemplazione. Ma prima di stabilire quai


sieno i beni che convengono alla natura dell uomo
par che debba stabilirsi qual sia questa natura: ci
che fece con assai bell ordine Aristotele.

E dunque l uomo, secondo Aristotele, per natura


sua composto danima e di corpo: e tale essendo, ha

bisogno servirsi quasi continuamente di cose estrinse


che. E ci posto chi non vede che alla natura di lui
si convengono cosi i beni dell animo, come quelli
del corpo , ed anche gli estrinseci? e per convenir
glisi le scienze, le virt morali, la sanit, la bellezza,

gli onori, le ricchezze e gli altri doni della fortuna I


Essendo dunque la felicit posta nella somma di tutti

i beni che alla natura convengono , bisogner dire

DELLA FELICITA

a3

che ella sia posta nella somma di tutte le sopraddette


cose.
Ma la natura dell uomo vuolsi considerare ancora
pi sottilmente; perciocch alcuni hanno voluto ri

guardar l uomo come solitario e non appartenente


che a se stesso; ed altri hanno voluto considerarlo
come nato non solamente a se stesso , ma anche alla

repubblica; ed cosa chiara che secondo queste di


verse considerazioni bisogna ancora stabilire ni di
versi; essendo altri i beni che convengono al solita
rio, ed altri quelli che convengono al cittadino.
E qui entrerebbero due quistioni diverse in vero

l una dallaltra, ma per tra loro congiuntissime;


cio se l uomo sia composto danima e di corpo; e
se sia nato alla societ; perch, sebben pare che Ari
stotele non ne dubiti , non per da sprezzarsi lau

torit di Platone, il qual volle che l uomo non fosse_


altro che l animo , n pi il corpo gli appartenesse

di quel che appartengono i ceppi al carcerato. E in


verit che altro poteva egli dire , considerando che
Panimo appresso la morte, si rimarebbe in eterno
senza il corpo? Certo che la natural ragione non altro

poteva insegnargli. Che se l uomo non natural


mente corporeo, come potr egli dirsi che sia natu
ralmente ordinato alla societ? la quale non gli ap

partiene se non quanto , essendo egli nella prigione


del corpo, gli conviene di vivere per qualche tratto di

tempo con altri prigionieri a lui simili. Cosi Platone.


Ma Aristotele considerava luomo, come composto
naturalmente d anima e di corpo , e lo invitava alla

societ. Per non da maravigliarsi che Platone pro


ponesse all uomo una felicit, ed Aristotele un altra;

imperocch condotti da principii diversi, cercarono


cose diverse: quegli la felicit del solitario , e questi
dell uomo civile.
Di fatto avendo poi Aristotele divisa la felicit in
due; in quella del solitario e in quella dell uomo ci

vile, chiam la prima Gru/annui, noi diremo con

templativa; e la fece consistere nella contemplazione


n pi n meno, come Platone avea fatto. E questa
felicit tanto apprezz che l antepose a quellaltra

24

PARTE PRIMA

dell uomo civile, come pi nobile di essa e pi pre


stante, e degna solo delle forme separate e delle in

telligenze sempiterne. L altra poi che egli chiam


arnwnmiv, noi diremo cittadinesca, o civile, volle egli
che fosse, quantunque men nobile, tuttavia pi con
sentanea alla natura dell uomo , e la stabil, come
sopra detto, nella somma di tutti i beni, si dani

ma, come di corpo e di fortuna; e a questa felicit


chiam gli uomini, lasciando quella platonica beati
tudine agli Dii.

CAPITOLO VII.
La felicit civile posta principalmente
nell esercizio della vix.

Essendo la civile felicit posta nella somma di


molti beni, come sopra stato detto, potrebbe alcu
no voler sapere in qual di essi sia posta principal
mente ; ed io rispondo , esser posta principalmente
nell azione ragionevole e virtuosa; essendo questa
quella che principalmente si conviene alla natura del
luomo. Nel che mi servir delrargomento dAristotele.
Niente pi si conviene al sonatore , in quanto
sonatore, che sonar bene; e al danzatore, in quanto

danzatore, che danzar bene; e al cavalcatore , in>


quanto cavalcatore, che cavalcar bene ; e similmente
ad ogni professore, in quanto tale , niente pi si
conviene che esercitar bene la profession sua. Or chi

non vede la profession propria delluomo, imposta


gli dalla natura, non altro essere che seguir la ra
gione i Se ci gli si leva, non si distinguer pi dalle

ere. Par dunque che niente pi gli convenga, che


far le azioni ragionevoli e virtuose; e questo eserci
zio principalmente si ricerchi alla felicita.

E perch lazione virtuosa pu essere fatta in due


maniere; per abito , e senza abito; e facendosi per
abito, si fa facilmente; facendosi senza abito si fa
difcilmente e con pena; per chiaro che alla

felicit quella azione si richiede , che si fa per

abito; imperocch non essendovi labito , l azione

DELLA FELlClTA

a5

sarebbe faticosa; e la felicit non vuol fatica. Cosi


argomentava Aristotele , contra cui due ragioni sono
state mosse , alle quali brevemente risponderemo.

E prima hanno detto, ogni azione esser diretta a


alche ne; come dunque potrebbe porsi in una
azione la felicit , la qual non pu essere diretta a

niun ne, essendo essa il ne ultimo? E quelli che


cosi argomentano , non abbastanza intendono quel

che dicono; e non veggono che il ne dell azione


pu essere o fuori dell azione, o nellazione istessa.

Spieghiamo questa distinzione. Il ne pu essere fuori


dellazione, come quando lo scultore fa la statua; la
quale il ne, ed fuori dell azione; e quindi ,
che nita l azione rimane tuttavia la statua. A1 con
trario pu il ne essere nellazione istessa, come quan
do uno balla per sollazzarsi, il cui ne il sollazzo,

che posto nell azione stessa del ballare; e quindi


che cessando il ballo cessa il sollazzo. .L azione, il

cui ne in lei stessa, pu dirsi insieme azione e


ne , facendosi non per altro che per lei stessa. E
tale l azione virtuosa , la quale chi la facesse per
altro ne che per usar virt, non sarebbe (pi azione
virtuosa. Per ben disse Aristotele nel libro sesto iv?
fyg anni, t, infami/u. ros , la stessa azion buona
ne. E s cosi, perch dubiteremo noi di dire, che
nell azion virtuosa sia principalmente riposta la feli

cit? la quale per questo appunto, che non diretta


ad altro ne, pu dirsi ne a se stessa; il che simil
mente dell azion virtuosa si dice.
Altri poi hanno sminuito l argomento dAristotele,
facendolo valere troppo pi che non conveniva; e

l hanno piegato e rivolto a questo modo. Niente pu

convenire al sonatore , in quanto egli sonatore , se


non il sonare; n al danzatore, in quanto egli dan
zatore, se non il danzare ; n al cawalcatore, in quan
to egli cavalcatore , se non il cavalcare; dunque se

noi seguiremo gli stessi esempi , bisogner conchin


_dere che niente convenga all uomo, in quanto egli
uomo, se non l azione ragionevole e virtuosa; il che
dicendo, bisogner anche dire, che la felicit non sia

posta in altro che nella virt , e ci accosteremo agli


3

,6

PARTE PRIMA

Stoici. Io per rispondo a questo modo. Egli il vero


che al senatore , in quanto sonatore , altro non si
conviene se non il sonare; ma ci accade, perch il
sonatorefin quanto sonatore , altro non che so
natore; e lo stesso dicasi del danzatore, del cavalca

tore e degli altri. E similmente se luomo, in quanto

uomo, non fosse altro che ragionevole, niente altro


gli si converrebbe se non 1 azione virtuosa ; ma es

sendo egli ancora composto danima e di corpo , e


per nato alla societ, e chiamato agli ufcii del cit- '

tadino, non da maravigliarsi, se oltre l azion vir


tuosa gli convengano eziandio altri beni, sanit, bl
lezza , onori , senza cui star non potrebbe la felicit ,

alla quale iicercasi principalmente la virt, ma non


basta.
CAPITOLO VIII.
Se possa uno essere pi felice di un altro.

Gli Stoici, i quali ponevano la felicit nella sola


virt, uguagliando tutti i virtuosi uguagliarono ezian
dio tutti i felici. E ci fecero , perch avendosi im
maginata una certa virt perfettissima e somma, di

cui niuna potesse essere maggiore , vollero chiamar


virtuoso e felice solamente colui che quella avesse
acquistata; e quelli che noi chiamiamo virtuosi e fe

lici, e che non giungono a quell altissimo grado, li


chiamavano essi non virtuosi, ma vicini alla virt, n
felici, ma vicini alla felicit. E a questo modo non
dovea certo parer loro che uno potesse essere o pi

virtuoso o pi felice di un altro.


E similmente insegnavano, non poter l uno esser
dell altro pi misero, ma tutti i miseri esser miseri
egualmente ; consistendo, secondo essi, la miseria nel
lesser privo della somma e perfettissima felicit, nel
la qual privazione tutti i miseri sono eguali. N vale

che luno sia pi vicino alla felicit che l altro, poi


ch non giungendovi niun di loro, ne sono egual
mente privi amendue. E qui valevansi dell esempio

dei sommersi, i quali egualmente annegano, o sieno

DELLA FELICITA

27

sott acqua cento piedi, o un palmo solo; non aven


dovi altra differenza, se non che quelli che sono pi
gi, sono pi lontani dalla salvezza, e quelli che sono

pi alti, veggono la lor salvezza pi vicina, ed affo.


gano con maggiore speranza.
I Peripatetici ragionarono d una maniera pi po.

polare , e seguendo Aristotele si risero degli Stoici_;


imperocch avendo constituito la felicit nella somma
di molti beni, vollero che dovesse chiamarsi felice
non solamente colui che tutti gli avesse, e in grado
sommo, il qual veramente felicissimo dovrebbe dirsi,
ma anche colui che ne avesse molti e in grado ec.
cellente, bench alcuni gliene mancassero. E certo
questa l usanza del parlar comune intorno a tutte
le qualit; che non si dice caldo, o bianco solamente

quel corpo che ha tutti i gradi del calore, o della


bianchezza; ma quello ancor che ne ha molti; n si
dice eloquente solo colui, che ha tutte le parti del
l eloquenza , ma quello ancora che ne ha conseguito
molte, e in esse risplende. Potendo dunque uno aver
pi beni che un altro, e quegli stessi beni che ha lal
tro, averli in grado maggiore , perciocch pu uno
esser pi forte , e pi temperante; e pi liberale , e
pi mansueto, e pi cortese , e pi sano , e pi ro

busto , e pi bello che un altro; quindi secondo i


Peripatetici, che l uno possa dirsi pi felice dellaltro.

E par bene, che gli Stoici, allontanandosi dalluso del


parlar comune , mutassero pi tosto i nomi, che le
sentenze.

Sebbene sarebbe anche da vedere, se quella loro


felicit perfettissima e somma. di cui niuna maggiore
pu darsene, non sia un immaginazione del tutto
vana e di sua natura impossibile; perciocch essendo
la felicit dell uomo necessariamente nita , come

quella che dee proporzionarsi all uomo stesso; il vo


lersela immaginar tale , che non ne possa essere una
maggiore, egli lo stesso che volersi immaginare una
cosa nita, di cui altra maggiore dar non si possa.
E siccome una linea nita non pu mai essere tanto
lunga, che non possa darsene una pi lunga ; n un

numero nito tanto grande, che non possa darsene

28

PARTE PRIMA

un pi grande; cosi n pure una temperanza nita


pu essere tanto grande, n una giustizia, n una
prudenza, n una belt, n una forza che non possa
darsene una maggiore. Ma di queste cose si compone
lumana felicit. Egli par dunque che niuna umana
felicit possa essere cosi grande che niun altra mag

giore dar se ne possa. Per veggano gli Stoici, pro


ponendo agli uomini una felicit perfettissima, di non
propor loro una felicit impossibile. Concediamo dun

que questa somma felicit che essi dicono, a qualche


Dio; e lasciamo che gli uomini gareggiar possan tra

loro qual sia pi felice e qual meno.


CAPITOLO IX.
Delle varie maniere di beni.
Essendosi detto che la felicit civile posta nella
somma di tutti i beni che convengono alla natura ,
sar cosa molto comoda agli oratori ed a poeti ezian
dio, e a tutti quell che entrano a parlar d affari ,'
l aver ridotto la moltitudine dei beni a certe classi
er oter ra onarne
secondo le occasioni distinta

.
. .
mente e con bell ordine. Ed ai loso cosa anche
necessaria, dovendo essi trattarne partitamente, giac

ch si fanno maestri di felicit; bench per fra tutti


i beni, ond essa composta, non si degnano d or
dinario di spiegar altro che la virt.
Egi tra il popolo introdotta una certa divisione
non del tutto cattiva, per cui dividonsi i beni in tre

spezie, dicendosi altri beni d animo, altri beni di


corpo, ed altri beni di fortuna. La qual divisione per
le cose dette di sopra abbastanza pu intendersi.
E poi un altra divisione alquanto pi sottile, per
cui dividonsi i beni in dilettevoli ed onesti. Nei dilet
tevoli si cerca il piacere; negli onesti si trova il pia

cere senza cercarlo; perciocch lazione si fa, non per


ch rechi piacere , bench lo rechi. Il che meglio si
intender, come avremo trattato delle virt.
Il popolo che non avvezzo gran fatto a pensare
bene e rettamente, suole aggiungere una terza classe

DELLA FELICITA

a9

di beni che egli chiama utili, e far la divisione di


tre parti. Ma non s accorge che quella cosa che noi
chiamiamo utile , non bene in se stessa, ma piut
tosto un mezzo che ne conduce a qualche bene, o

sia questo il piacere, o la virt. Chiamerebbe utile


ci che non servisse n alluno n alraltra? Non deb
bono dunque le cose utili numerarsi tra i beni, come
le dilettevoli e le oneste: che se la divisione piace al
popolo, potr l oratore servirsene, non dovr servir

sene il losofo.
E stata quistione trai loso, se lazion disonesta
possa esser mai utile. E certo se ascolteremo gli Stoici,

non pu. Imperocch utile quello che ne conduce


in qualche modo alla felicit. Ora essendo, secondo
essi, la felicit posta nella sola virt, a cui senza
dubbio non pu mai condurne lazione disonesta, ne
segue di necessit che lazione disonesta non possa
giammai essere utile. Ma questa ragione sar nulla ,
qualor si neghi che la felicit consista nella sola virt.
Consistendo dunque la felicit nella virt e nel pia
cere congiunti insieme , pare che debba dirsi utile

tutto ci che ne conduce o al piacere o alla virt ;


ma non gi ci che scorgendoci all uno ci allontana

dall altra. E tale si lazione disonesta , la quale se


adorna la felicit d alcuno diletto, la guasta e la cor
rompe con la disonest; e levando all uomo lo splen

dore della virt, lo rende cosi brutto e deforme,

che niun piacere abbellir lo potrebbe, ed ornarlo ab


bastanza. Pongasi dunque fuor di dubbio, niuna azio
ne disonesta poter veramente dirsi utile.

Fine della Parte Prima.

PARTE SECONDA
DELLA VIRT MORALE
IN GENERALE

CAPITOLO PRIMO.
Dell onest.

Tra le molte verit che si paran dinanzi alla mente,


n ha alcune che si chiamano speculative, ed altre
che si chiamano pratiche. Le speculative son quelle
che ci mostrano una certa cosa essere in certo mo
(lo , e niente impongono che per noi far si debba:
come questa: i pianeti girano intorno al sole; e que
sta : l aria grave ; e questa: ogni triangolo ha trc

angoli eguali a due retti, che tutte sono verit spe


culative. Le verit pratiche sono quelle, che ciim
pongono di far qualche cosa , come questa: bisogna

(lare aiuto agli amici; e questa: la parola data da


mantenersi; ed altre.
Siccome tra le verit speculative n ha di quelle

che si conoscono per se stesse, c si tengon per vere,


quantunque non se ne adduca prova niuna , anzi si
assumono esse a provai le altre, onde principi si
chiamano; cosi parimente tra le verit pratiche nha

di quelle, si manifestano per se medesime , senza


aver bisogno di dimostrazione niuna, anzi da esse ar

gomentando si raccolgono tutte le altre; onde prime


verit pratiche posson dirsi:

Queste prime verit pratiche con tutte le altre, che


da esse argomentando si raccolgono , sono ci che
comunemente si chiama onest ; e tutte si dicon re

gole dcll onesto; e quelle prime principi dellonesto,

ed anche principi della morale.


Pirrone, che visse circa i tempi dAristotele, e Ari

stippo , che ori alquanto prima , negarono , che si

DELLA VIRTU MORALE IN GENERALE

3|

dessero queste prime verit pratiche, le quali si ma


nifestino da se medesime. Cosi togliendo i principi
levaron via tutto l onesto. Lo stesso hanno fatto a
questi ultimi secoli due famosi empi, non del tutto
ignoranti, Hobbes e Spinosa, i quali siccome hanno
levato i principi della morale , cosi potevano per la
stessa ragione tor di mezzo anche i principi specula
tivi, e in questo modo render vano ogni umano di
scorso , anche il loro. '

Ma dir alcuno. Se si desse questo onesto, che voi


dite, dovrebbero le medesime cose tenersi per one
ste in tutti i tempi e da tutte le nazioni; e pure
altre cose sono state tenute per oneste in un tempo,

ed altre in un altro; ed anche diverse nazioni giudi


cano diversamente ; e noi detestiamo ora certi amo

ri , i quali si dice che in Grecia a tempi di Socrate


furono stimati onesti, dunque l onesto non gi egli

una certa verit che si manifesti; pi tosto un


nome che gli uomini vanno imponendo ora ad una

cosa, ed ora ad un altra a piacer loro.


Ed io rispondo a questo modo. Bench tante e tanto
varie sieno le opinioni intorno alle regole dell one
sto , non per questo vuol dirsi che esse regole di
pendano dal capriccio degli uomini, e non sieno per
se stesse , perch anche delle verit naturali potreb
be similmente dirsi che dipendano dal capriccio de
gli uomini, considerando le innite dissensioni dei
sici. E i metasici quante dissensioni hanno? n

per?) credono che le loro proposizioni dipendano dal


capriccio. E lo stesso avviene in tutte le scienze.
Di che credo io due essere le ragioni: la prima si

, perch procedendosi in ogni scienza dai principi


alle conseguenze per via di argomentazione, non tutti
argomentano rettamente, e per discordar debbono
nelle conseguenze. La seconda si , perch tra prin
cipi stessi n ha alcuni alquanto astrusi e sottili, dei
quali non pu accorgersi se non chi d alto inge
gno e vi pon molta attenzione. Quanti principi hanno

i matematici e isici, e imetasici istessi, che sfug


gono facilmente e si nascondono! Potendo dunque
avvenire che alcun principio si manifesti ad uno, non

3,

PARTE SECONDA

ad un altro, qualunque volta ci avvenga, dovr


seguirne dissensione e' variet.
N diremo per questo che le verit non sussistano

per lor medesime, e che possano cangiarsi a piacere,


mutando e principi e conseguenze a voglia nostra.

Che se ci non si dice nell altre scienze, perch do


vr dirsi nella morale? la quale se ha alcun principio
non ben noto a tutti, come hanno anche le scienze
speculative, ne ha per molti notissimi , e che niuno
ardirebbe negare. Chi negher che ben sia far bene
ad altri, potendo farlo? Chi dir che la parola data
non da mantenersi? Chi negher questa verit, che

convenga all uomo di dire il vero; se quegli stessi


che la negano, intendono di dire il vero negandola;

e per questo appunto la negano? Tanta la forza


della verit e dellonesto.
Che se i fanciulleschi amori dei Greci furono in
alcun tempo detti onesti, ci forse fu, perch onesto

si chiama anche quello che quantunque cattivo in se,


tuttavia non condannato dalle leggi della citt, ed
facilmente compatito dagli uomini, e non reca di
sonore; siccome veggiamo ora, che se una giovane
donna, essendo libera, ami focosamente un giovane
parimente libero, si dice l amore essere onesto, non
perch sia buono e meriti laude; ma perch le leggi
della citt nol condannano, n reca disonore alcuno:
ed oltre a ci vuol compatirsi la giovent; ma non

per tantoi loso il disapprovano. Cosi pu essere


che gli amori de Greci si dicessero onesti per simil
modo. E parmi d aver letto nel famoso convito, che
essendosi messo Socrate a sedere vicino di Fedro, sor
risero tra loro i convitati; ci che pur segno , che

quel socratico amore , quantunque non disonorasse


l uomo, n fosse punito dalle leggi, pure avesse ap
presso loro alcunasconvenevolezza e deformit. Non

dunque da credere, n chei Greci stimassero buoni


quei certi loro amori; n che l onesto si stabilisca cosi
a voglia ed a capriccio degli uomini; altrimenti po

trebbe dirsi lo stesso eziandio de principi di tutte le


scienze.

'

'

DELLA. VIBTU MORALE IN GENERALE

33

CAPITOLO II. '

Delle leggi.

Legge altro non che unordinanza, la quale pre


scrive agli uomini qualche cosa da farsi, e che essi
son tenuti di osservare; cosi che osservandola fanno

bene, e meritano lode e approvazione , e non osser


vandola si rendon colpevoli, e sono degni di biasimo
e di castigo. La legge poi si divide in naturale e ci
vile, sebbene la civile nasce e proviene dalla natu

rale.

La legge naturale consiste nelle regole dellonesto;


n solamente in quelle prime che si chiaman principi,
ma anche in quelle altre che da principi per argo
mentazione si raccolgono. E tali regole sono vera;
mente leggi; poich manifestandosi per esse e dichia

randosi che la tale o la tal cosa dee farsi dagli uo


mini, inducono negli uomini obbligazionedifarla, e
li condannano, come colpevoli, se non la fanno. E
perch sentonsi per una certa voce della natura che
le bandisce per cosi dire, e le promulga nellanimo d.i
ciascheduno, per ci diconsi leggi naturali.

>La legge civile poi un ordinanza di qualche uo-i


mo, la quale ha forza di obbligar gli altri a far ci
ch ella ordina. Come ell abbia tanta forza, daspief
garsi diligentemente, perch certo non pare che lab-{
bia di natura sua. Chi dir che Speusippo e Seno->.
crate sieno obbligati di fare una cosa per questo solo
che Alessandro ha dichiarato pubblicamente di vo
lerla? Quel voler dllessandro, e quella pubblica di
chiarazione che autorit hanno di natura loro , onde>

possano obbligare altrui?

'

E sono oggidi molti, i quali, ridendosi dellone


sto, come le altre obbligazioni, cosi anche questa, di
cui parliamo, fanno nascere dalyinteresse; insegnan
do che il snddito dee obbedire al principe non per
altro, se non perch gli torna a conto di cosi fare.
Secondo la qual opinione cessando l utile in colui,

che obbedisce, cesserehbe ancora l obbligazione, e

34

PARTE SECONDA

dovrebbe il tutore, qualor credesse di poter farlo con


sicurezza , ammazzare il pupillo, tornandogli ci a
conto. Ma questa vile losoa non degna degli uo
mini italiani.
E dunque da avvertire che l onesto, o vogliamo

dire la legge naturale obbliga gli uomini a mantener


quello di che sono convenuti, e dove possano far ci
che necessario al ben comune. Essendo dunque ne

cessario al ben comune, che alcuno proponga i suoi


voleri pubblicamente, e che gli altri vi si sottomettano;
ed essendo di ci gli uomini convenuti, ne segue, che

se colui; a cui sta, propone pubblicamente i suoi vo


Ieri, debbano gli altri per legge naturale sottoporvisi

ed obbedirgli; n dee 'veruno per cagione del pro


prio interesse sottrarsi all obbligazione. E di qui na
sce tutta 1 autorit de maestrati, a quali propriamen
te non obbediamo noi, ma facendo ci che essi vo

gliono, obbediamo alla legge immutabile e sempiterna


dell onesto.
E tanta l autorit dell onesto, che comanda agli

stessi maestrati, imponendo altamente al principe di


intender sempre nelle sue leggi alla pubblica felicit;
la qual dovrebbe egli procurare procurando ai citta
dini non sol le ricchezze che talvolta nuocciono, ma

ancora, e molto pi la virt che sempre giova ; n


dovrebbe voler il bene dei cittadini per istar bene egli,
ma perch stieno benei cittadini. Il che se facessero i
principi, obbedirebbero allonesto; e comanderebbero
agli uomini e governerebbero le repubbliche alquanto
meglio che non fanno.

CAPITOLO III.
Dell azione virtuosa.

Un azione fatta secondo le regole dellonesto chia


masi virtuosa, cosi veramente che queste tre condi
zioni non le manchino, prima che sia fatta per vo
lont libera, poi a ne d onest, in terzo luogo con

fermezza danimo e costanza. Spieghiamo queste tre


condizioni ad una ad una.

DELLA VlRTU MORALE lN GENERALE

35

E prima bisogna che lazione virtuosa sia fatta per


volont libera; poich le cose che si movono non per

volont, ma per altro principio, quantunque facciano


operazion buona, non si dice per che facciano ope
razion virtuosa; n diremo virtuosa una pianta , la
qual frondeggi, bench frondeggiando faccia quel che
dee; ma nol fa per volont. Ed anchenccessario
che lazione si faccia per volont libera , perch non

si dice mai azione virtuosa quella che uno fa , essen


dovi tratto da necessit. Ma delrazione volontaria e
libera diremo separatamente ne due capi che seguono.
Vuolsi in secondo luogo che lazione virtuosa sia
fatta per ne di onest, il che se non fosse, non po
trebbe n men dirsi fatta secondo l onesto; perch
colui che fa un azione, per altro onesta , ma non
col ne di operare onestamente, anzi riguardando
solo, e intendendo al suo comodo, par certo che
adatti l operazione pi tosto al comodo che all one
sto, e pi operi secondo quello, che secondo questo.
Bicercasi in terzo luogo che lazione virtuosa sia
fatta con fermezza danimo e costanza; il che vuol

dire , che colui che la fa, dee essere disposto a far


la, qualunque volta ragion lo chiegga. Cosi non si
stimer azione molto virtuosa quella che fa colui, il
qual paga il debito che piccolo , disposto di non
pagarlo se fosse maggiore; perch costui mostra di
non volere gran fatto scomodarsi per l onest ; e se
egli lama, gli manca quella fermezza che nelrniore

si richiede.
Non alcun dubbio, che lazion virtuosa degna

di laude e di approvazione; e acquista qualche me


rito a chi l adopera, rendendolo tale, che ben gli
sta, se ben gliene avviene. E questa verit tanto

chiara per se stessa e manifesta che pu aver luogo


tra i principi. Altre propriet si assegnano dellazione
virtuosa, delle quali diremo appresso. Diciamo ora

dell azione volontaria.

36

_PARTE SECONDA

CAPITOL IV.
Dell azione volontaria.
Volontaria si dice quell azione che uno fa, essendo
mosso da un principio che dentro di lui, avendo
cbnsiderato le ragioni di farla; e cosi credo che vo
glia intendersi Aristotele l, dove e dice, il volon
tario esser quello, i? ai pxii e: ili/r; etfri ril unta.

Etna.ra, {v ai; i wpeiu; perciocch le singolari circo


stanze, re neo han, che debbon conoscersi dallope
rante, contengono appunto le ragioni, per cui dee ,

o non dee operare.


E certo che all azione volontaria non basta che
sia fatta per un principio intrinseco , se tal principio
non si muove per cognizione; altrimenti si direbbe vo
lontaria ancor la caduta di un corpo grave, prove

nendo da un principio intrinseco che nel corpo istes


so; la qual per non si dice volontaria, poich quel
principio , 0nd essa procede ,_non si muove per co

gnizione , ma per altro.

Quindi che per la violenza si rende l azione in


volontaria, ed anche per lignoranza. La violenza
quando si fa un azione contra il voler suo per un
principio estrinseco che ne sforza; come sejmo spin

ge il compagno, essendo esso spinto da unaltro , a


cui vorrebbe, n pu resistere; e in tal caso lazione

involontaria, perciocch non procede da principio


intrinseco. L ignoranza poi , quando uno fa una
cosa, non sapendo bene quel-lo che egli fa; e non

sapendo quello che egli fa, non ha potuto esaminar


le ragioni di farlo. E allora lazione involontaria
per mancanza di cognizione.
E per togliere qualche ambiguit , che nascer po
trebbe in questo luogo , non sar fuor di proposito

ragionare alquanto di quelle cose che si fan per ti


more, le quali da alcuni si confondono facilmente

con quelle che si fanno per violenza. Aggiugnercmo


poi alcuni avvertimenti intorno all ignoranza.
Le azioni dunque che si fanno per timore, afne

DELLA VIRTU MORALE lN GENERALE

37

di sfuggire qualche grave sciagura che ne sopra


sti, non lasciano perci di essere volontarie; impe.
rocch partono da principio intrinseco, e si fanno con
pienissima cognizione di ci che si fa; come colui
che getta le merci per timore del naufragio; il qual
le getta movendosi da se stesso, e conoscendo benis

simo ci ch egli fa. La volont dunque eccitata dal


timore non lascia di essere volont. Per ben dissero
i giuristi: coacta voluntas voluntas est; e il famoso

Paolo: coactzis volui. Che se le leggi non hanno per


volontario quello che uno fa mosso dasrave timore;

e veggiamo chei contratti fatti per simil guisa in


moltissimi luoghi si tengon per nulli; ci non , per
ch l azione non sia in verit volontaria, ma perch
l azione non volontaria in quel modo che le leggi
richiedono al valor del contratto. Questo volontario ,
che nasce dal timore , detto da Aristotele molto sa
viamente volontario misto, perch per essa vorrebbe
luomo non far ci che fa; ma pure lo fa, volendolo
fare; e volendo con dispiacere , pare in certo modo

che voglia insieme e non voglia.


Ma venghiamo allignoranza , circa la quale da
avvertire secondo Aristotele, che quello il qual fa una
cosa credendo di farne un altra, non sempre opera
contra sua voglia; perch anche operando cosi pu
far cosa che a lui poi piaccia di aver fatta, o almeno

non gliene dispiaccia; ma se conoscendo l errore ,


tristo ne sia scontento, mostra bene che abbia ope
rato contra il voler suo , e l azione senza dubbio

involontaria.
Sono poi due divisioni dell ignoranza assai note
nelle scuole , le quali spiegheremo' ora piuttosto per
non ometlerle , che perch debbano aver alcun uso
in questo nostro compendio.
'
_ Altra dunque lignoranza del gius, o vogliamo
dire della legge; altra l ignoranza del fatto. L igno
ranza del gius , quando uno conosce benissimo Fazio
ne chei fa, ma pure ignora la legge, sotto cui cade
tale azione; come uno che porta l armi per la citt,
e non sa che ci sia vietato dalle leggi. in questo caso
conosce lazione, ma non tutte le circostanze dellazione
411

38

PARTE SECONDA

non sapendo che per essa viene a trasgredirsi la legge


del comune; e se l azione di portar l armi volon

taria, non per volontaria la trasgressione. Ligno


ranza del fatto , quando uno conosce assai bene la

legge ,ma non conosce pienamente lazione che egli


fa; come uno che porta una bacchetta senza sapere

che dentro v uno stile; e sa per altro che portar lo


stile vietato. In costui pu dirsi che sia involontaria
e lazione del portar lo stile e la trasgressione.
Altra poi l ignoranza vincibile , altra l igno
ranza invincibile. L ignoranza vincibile quella che
potea levarsi, solo che la persona avesse posto la di

ligenza e lo studio che pur dovea. L invincibile


quella che non potea levarsi n pur con questo. Co

lui che ha in casa un gliuolo, e non sa che egli


usa tutto il di con gente malvagia; e intanto nol sa,
perch non ne tien cura, e non lo osserva, ha unigno

ranza vincibile ; perch se egli avesse usata la dili


genza che pur dovea , saprebbe ci che non sa. Ma
se uno non sa che colui che incontra, e che non co
nosce, sia un sicario, ha un ignoranza invincibile.
L ignoranza vincibile non fa che l azione non si ab
bia per volontaria; perch colui che non cura di le

var lignoranza, mostra volerla in certo modo; e cosi


vuole in qualche maniera anche gli effetti che da essa
provengono. Ma lignoranza invincibile rende invo
lontaria l azione, almeno per quella parte, su cui
cade F ignoranza. E ci sia detto dellazion volontaria.
CAPITOLO V.
DelPazione libera.
Acciocch un azione sia libera, pare che ntilraltro

per Aristotele si ricerchi se non che sia volontaria. Ma


quelli che hanno pi sottilmente trattato questa ma
teria,ricercano qualche cosa di pi. In fatti se luo
mo fosse portato necessariamente, e per un certo na

turale ed invincibile istinto a voler ci che vuole, n


potesse fare altrimenti; quantunque le azioni umane

fossero volontarie, provenendo da volont, non si sti

DELLA VIRTU MORALE lN GENERALE

39

merebbero per libere , provenendo da volont ne


cessaria.

Par dunque chiaro che ad un azione libera si ricerchi


oltre lesser volontaria, anche les'sere senza necessit;
onde pu ella denirsi cosi, che sia un azione volon
taria senza necessit, o per dir lo stesso in altro mo
do, un azione fatta per principio intrinseco , e con
cognizione, potendo anche non farsi; dove le parole:

per principio intrinseco e con cognizione , mostrano


che dee essere volontaria; e le altre : potendo non

farsi, levano via la necessit.

Distinguesi nelle scuole una libert che , dicono,


di indifferenza , da un altra libert che non tale.
La prima quella libert che uno/ha di scegliere tra

due partiti qual pi vuole, non essendo per altro


niente pi inclinato all uno che allaltro. La seconda

quella libert che uno ha di scegliere qual pi vuole


di due partiti, essendo per pi inclinato alluno che

allallro. Ed chiaro che questa maggiore inclina


zione non toglie la libert , perciocch ella invita
bensi lanimo, ma non lo sforza; ed egli spesse volte

condotto da ragione sceglie e vuole quel partito , a


cui meno inclinava. Altre divisioni si danno della li
bert; ma noi al presente non ne abbiamo bisogno.
A questo luogo apparterrebbe una quistione molto

sottile e molto agitata , cio se quella libert che no


ad ora abbiam denita, veramente si dia; e se luo
mo l abbia. La qual quistione importantissima al
la morale; poich se luomo non libero, ed con
dotto in tutte le sue azioni da una certa fatale neces
sit , che servon dunque tante leggi e tanti precetti I
Ma noi lasceremo tal controversia ai sici, a cui sta
veramente di trattarla; e terremo intanto per fermis
simo , che l uomo sialibero , e non gi condotto in
tutte le cose dal destino, siccome volle Zenone e vollero

molti Stoici 5 comech Crisippo, che fu pure di quel


la setta , e udiCleante, e, come vuolsi, fu discepo
lo dello stesso Zenone, sottraesse le umane azioni al
la potest del destino. Che se pure alcuno Stoico ci

importunasse, e noi gli risponderemo, che se gli uo


mini fanno per destino tutto ci ch essi fanno , noi ,

4o

'

PA RTE SECONDA

che crediamo esser liberi, dovremo dunque essere


destinati a crederlo; e se in questo ci inganniamo ,

la colpa sar pur del destino, e non nostra. Lascinci


dunque avere quella credenza a cui, secondo l opi

nionloro , siam destinati. E ci basti aver detto del


la libert.
CAPITOLO VI.
Che cosa sia la virt.

Spiegata avendo n qui l azion virtuosa, sar fa- '


cile intendere che cosa sia la virt, non essendo el-'

la altro che un abito di far le azioni virtuose; e quan


do dico un abito , intendo una prontezza ed una fa
cilit di operare acquistata con lesercizio e con luso.
E certo non pare che la virt debba essere altro
che un abito; perch siccome non si dir aver la
scienza del danzare, n si chiamer danzatore colui,
che una volta sola e stentatamente fa un passo simi
le a quelli che fanno i danzatori; ma si colui il qua

le essendosi lungamente in quell arte esercitato , ne


sa far molti , e speditamente , e con facilit , e con
scioltezza, e con grazia; cosi parimente non si dir
avere la mansuetudine , n mansueto si chiamer co
lui, che una volta sola e a gran fatica abbia com
presso l ira sua; ma si colui , che avendol fatto mol
te volte , il fa oggimai facilmente , e quasi senza vo
lerlo. E cosi pu dirsi di ogni virt. Edunque la
virt un abito. N altro certamente che un abito in
tendon gli uomini nel ragionar comune, qualora usa

no il nome della virt. Il che. da se solo basta a pro


var quello, che abbiamo proposto.
Pur questo stesso si prova da Aristotele con altra
ragione assai sottile, a intender la quale' bisogna
cominciar di pi alto. lo dico dunque , che'nellani
ma soglion distinguersi dai Filoso due parti : Puna
delle quali chiamasi superiore , l altra inferiore. Alla
prima appartengono due potenze, intelletto e volont;
alla seconda appartengono le passioni, lira , l odio,

l amore , l invidia, ed altre tali.

DELLA VIRTU MORALE IN GENERALE

4i

Ora avviene spesse volte, chela volont posta


quasi in mezzo tra l intelletto e le passioni, sia quin
di invitata dall intelletto con la rappresentazione del
vero e dell onesto, e quindi tratta , e quasi strasci
nata dalle passioni con l offerta lusinghevole dalcun
piacere ; di che la volont sente noia; e con fatica e

difcilmente pu indursi a seguir l intelletto , e fare


azion virtuosa contrastando alle passioni. Ben vero
che se ella si avvezzer a vincerle, acquister a poco

a poco un abito, per cui le vincer poi facilmente.


Cosi sono tre cose nell animo che appartengono al.
l azione , le potenze , le passioni e gli abiti.

' Ci posto argomenta Aristotele in questo modo ,


provando che la virt un abito. Pare che la virt
appartenendo all azione debba essere una potenza,

o una passione , o un abito 3 ma non n una po


tenza , n una passione 3 dunque sar un abito. Che

poi non sia n una potenza , n una passione , si di


mostra cosi. Se la virt fosse una potenza , ovvero
una passione, ne seguirebbe , che tutti gli uomini
avrebbero la virt , imperocch tutti hanno le po
tenze e le passioni; se dunque non tutti hanno la

virt , bisogna dire che la virt non sia n una po


tenza , n una passione. Oltre che gli uomini si lo

dano per la virt , essendo che per questa fanno le


azioni virtuose e lodevoli; e niuno per si loda per
aver la potenza dell intendere o del volere, poich
tutti l hanno; dunque la virt non consiste in una
potenza; molto meno in una passione; imperocch

niun si loda per essere iracondo, o timido, o invi


dioso , essendo che la lode non vuole andar dietro
a tali cose.
CAPITOLO VII.

Qual sia il soggelo della virt , e d alcune


propriet di essa.

Non alcun dubbio che il soggetto della virt si


il virtuoso; poich il soggetto di un abito quello

in cui risiede tale abito; e l abito della virt risiede

4,

PARTE SECONDA

nel virtuoso. Ma perch il virtuoso pu considerarsi


in pi maniere, per diremo che il soggetto della
virt il virtuoso , in quanto egli vuole; ovvero la
volont stessa del virtuoso. E la ragione questa. ll
soggetto d un abito _ quella potenza che fa gli atti
per cui s acquista tale abito; ma la virt un abito;
e la volont quella potenza che fa gli atti virtuosi,
per cui s acquista un tale abito; dunque la volont
il soggetto della virt. Che vale a dire: il virtuoso
non soggetto di virt , n virtuoso , in quanto cor

re , o scrive , o dorme; ma solo in quanto vuole , o


disposto a volere le cose buone.
Ma dichiariamooramai alcune propriet del vir
tuoso. E primamente dico , che niuno virtuoso per
natura. La ragione questa. La virt un abito , e
per dee acquistarsi con l uso; ma quello che dee
ac uistarsi con l uso non si ha da natura; percioc

ch se si avesse da natura non sarebbe necessario luso;

dunque la virt non si ha da natura; dunque niuno


per natura virtuoso.
In secondo luogo. Il virtuoso fa l azion virtuosa

con piacere. La ragione questa. Il virtuoso vuole


l azion virtuosa , e la fa; ora niuno pu far quello
che vuole senza sentirne piacere; dunque il virtuoso
fa l azion virtuosa con piacere. Senza che, se il vir
tuoso facesse l azion virtuosa con dispiacere e con
noia, la farebbe con fatica ; dunque non facilmente;

dunque il virtuoso non avrebbe l abito della virt;


dunque il virtuoso non saria virtuoso , che impos
sibile.

In terzo luogo. Il virtuoso fa l azion virtuosa vir


tuosamente; che vale a dire fa l azion virtuosa, e la
fa con virt. Ci non ha bisogno di dimostrazione.
Anzi vorr alcuno che piuttosto si spieghi, come pos
sa farsi lazion virtuosa senza virt. Se per si risguar

di la sola azione esterna , chiaro; perch pu uno


fare l azion virtuosa esternamente ed aver l animo
contrario, come chi donasse al compagno per poter
lo pi comodamente tradire. Costui donando farebbe
l azion virtuosa esternamente, ma avendo l animo
contrario all onesto , la farebbe senza virt.

DELLA VIRTU MORALE IN GENERALE

'43

Che se si consideri l azione non solo esternamen


te , ma anche internamente virtuosa , pu questa al
tresi farsi senza virt. Perciocch colui che la fa ,
pu farla senza avervi ancora acquistato l abito , il
qual se gli manca, gli manca la virt. Far dunque
senza virt l azion virtuosa.

CAPITOLO VIII.
Della materia della virt.

La materia , intorno a cui s adopera e si esercita


la virt , posta , secondo Aristotele , nel piacere e
nel dolore: zep iovu, sul 167m; 2;), i; ihm, pmg.
Ci vuole spiegarsi. Diciamo dunque in questo modo.

La volont , quanto a se, seguirebbe facilissima


mente e per suo naturale istinto l onesto, a cui l in

telletto e la ragione l invitano, se per seguirlo non


dovesse vincere la forza delle passioni che la traggono

bene spesso in contrario. Pur lo segue talvolta, vin


cendo le passioni, prima stentatamente e con fatica ,
indi con maggior facilit, nch vi abbia fatto labi

to; fatto il quale le vince poi facilissimamente qua


lunque volta faccia mestieri. E tale abito la virt.
Si vede dunque che la virt s adopra immediata
mente , e si esercita intorno alle passioni -, onde pu

dirsi che le passioni sieno la materia


prossima dellai
'

virt.

Le passioni poi versano intorno al piacere ed al

dolore, commovendosi sempre ed eccitandosi per lap

parenza dalcun d essi; intanto che la prima e prin


cipal divisione delle passioni (comech molte se ne
assegnino ) suol esser quella, per cui si dividono in

tristezza e timore, che si commovono per l apparen


za di un dolore o presente o avvenire; e in esulta

zione e condenza che si commovono per lapparenza

di un piacere o conseguito o da conseguirsi. Le altre


passioni si riducono a queste quattro. Essendo dun
que che la virt versa intorno alle passioni, e queste

intorno al piacere ed al dolore, par chiaro che sic


come le passioni sono la materia prossima della virt,

>44

PARTE SECONDA

cosi il piacere ed il dolore debban esserne la materia


rimota.

Dir alcuno. Se la materia della virt sono le pas


sioni, dunque non sar atto alcuno di virt, dove
non sia qualche passione da moderarsi; m: operer

virt n giustizia quel giudice, il qual giudichi retta


mente una causa, in cui egli non sia da veruna pas

sione incitato. E pur questo non par che sia vero ;


dunque la materia della virt non son le passioni.
Rispondo , che colui che fa azion buona , non fa
per azion virtuosa, se non la fa con costanza dani

mo , cio disposto a farla, quand anche la passione


gliel contendesse; n io dir molto virtuoso quel giu
dice, il qual giudica rettamente la causa, in cui n
l interesse , n la grazia lo tentano, essendo per di
sposto a fare un giudizio diverso, caso che lo tentas

sero. Non pu dunque esercitarsi virt, senza dispo


sizione a vincere le passioni: e questa disposizione
la virt stessa, la cui materia son le passioni che ella
vince, o disposta di vincer .
Ma dirai. Se uno avesse gi moderate le passioni
per modo che pi non gli desser contrasto , egli se
condo voi non potrebbe pi operare virtuosamente ,
poichmancandogli il contrasto delle passioni, gli
mancherebbe la materia della virt. E pur questo par

falso.

Ed io rispondo che colui che ha moderate le pas


sioni, le ha per tuttavia; e se non gli danno con
trasto, ci avviene perch egli per l abito che ha

acquistato le sa tenere in quella moderazione, a cui


gi le ridusse, e che esse di lor natura volentieri non
soffrono. Or questa una certa maniera di vincerle ;
essendo un vincerle il tenerle per modo che non pos
sano far contrasto.
Tu dirai. Se si desse un uomo senza passioni, egli

certamente sarebbe pi perfetto degli altri uomini, e


per dovrebbe aver senza dubbio la virt; dunque
non dovrebbe mancargli la materia della virt; e pure

gli maiichercbbero le passioni, dunque non da dire


che la materia della virt sieno le passioni.

Al che rispondo, che colui il quale non avesse pas

DELLA VIRTU MORALE lN GENERALE

l'5

sione alcuna, non avrebbe n men virt; non gi che

egli non operasse le cose oneste; che certo le opere


rebbe e con facilit e prontezza somma; ma in lui

loperarle non sarebbe virt; essendo che non ogni


a fare le con
coseluso
oneste
e virt, le
mapassioni,
solo quel
lJarontezza
che si acquista
divincere
ed
abito. Quella prontezza che avrebbe uno , in cui

non potessero levarsi a tumblto le passioni, sarebbe

un inclinazione pi felice, ma non virt.


'
N so poi, se io mi debba concedere quello che
hai detto, cio che un uomo a cui mancassero le pas
sioni , fosse per ci pi perfetto degli altri uomini,

n anche quellocheessendo questo maraviglioso no


mo pi perfetto degli altri uomini, dovesse per ci
aver la virt.
Imperocch quanto al primo, niente vale il dire

che le passioni sieno di lor natura cattive, e sieno


imperfezioni; onde ne segua che chi non le avesse,

dovesse esser per ci pi perfetto uomo degli altri.


Perch io rispondo , che quanto allessere le passioni

di lor natura cattive, questa gran quistionc di cui


tratteremo appresso. Ma posto pure che contengano

imperfezione, anche l esser corporeo ne contiene; n


per perfetto sarebbe un uomo a cui mancasse il cor
po;_'e similmente non sarebbe perfetto un uomo a cui

mancassero lepassioni.
Quanto poi alla seconda cosa che hai detto, cio
che essendo quell uomo maraviglioso, a cui manca

no le passioni , pi perfetto degli altri, dee per ci


aver la virt che hanno gli altri, essendo certamente
la virt una perfezione: rispondo ci esser falso; poi
ch la virt e perfezione, ma perfezione delluomo,

che vale a dire di un soggetto ragionevole capace


delle passioni. Che se noi supponghiamo un uomo in

capace delle passioni, noi lo supponghiamo pi chc


uomo, e lo facciamo quasi un Dio; e ad esso si cou

verranno pi presto le perfezioni divine, che le uma


ne. Laonde non sar virtuoso; ed operando le cose
buone, non le operer per virt, ma per un altra di

sposizione assai pi nobile della virt.

'

46

PARTE SECONDA

CAPITOLO IX.
Se le passioni sieno cattive di lor natura.

Il luogo istesso cichiama ad una quistione assai


sottile, ed , se le passioni sieno cattive di lor na
tura. Gli Stoici credetter che fossero; e quindi argo-.

mentavano che dovesse luomo estirparle e levarle via


del tutto. Aristotele mostr meno alterigia, e si con
tent che luomo avesse le sue passioni, purch le
reggesse e moderasse.
_
'_ '
Prima di entrare in una quistione tanto profonda ,

par necessario denir bene che cosa sia passione; e


vedere in quante maniere possa voler dirsi cattiva. Io

dico dunque che la passione altro non che un mo


vimento dell animo, il quale per l apparenza dalcun

piacere o dispiacere si eccita a inclinare la volont ,


senza aspettar l esame della ragione. E di qui subito
si vede che la passione pu inclinar l uomo anche a

cosa buona, potendo inclinarlo a ci che la ragione


poi approvi e commendi.
'
Quelli poi che dicono esser cattive le passioni,
possono dirlo in due maniere ; prima volendo signi
care che sieno malvagie ed abbiano disonest in_se,

come hanno il furto, l"omicidio e le altre colpe; poi


volendo dire, che sieno incoinode e noiose, oom la
febbre, che non ha in se malvagit niuna , ma reca
noia, ed cattiva.
Ora accostandomi alla quistione, e cercando in pri-_
mo luogo , se le passioni sieno di lor natura malva
gie e disoneste , io dico che non sono; perch quale
malvagit in un movimento che sorge nell animo
per ordine della. natura a inclinare la volont? N
vale il dire che esso non aspetta lesame della ragio
ne; e il non aspettarlo malvagit. Perch a questo

modo malvagit sarebbe anche il digerire i cibi, e il


batter del cuore, e cento altre operazioni che nelluo

mo si fanno, senza aspettar la ragione -, la quale dee


aspettarsi dalla volont che libera, non dalle altre

potenze che seguono , e debbono seguire l istinto

DELLA "lPiTlT MRALE lN GENERALE _ 47


loro. Altrimenti malvagia dovrebbe dirsi ancora la fa

me e la sete e l inclinazione al dormire, e qualun


qne altro appetito.
Pur, dir alcuno, le passioni incitano la volont ad
operare senza riguardo della ragione: Or non sono
dunque malvagie? Rispondo, niuna malvagit essere

nell incitamento ohe esse danno alla volont, non


essendo in ci colpa niuna; e la volont stessa. se
malvagia , non malvagia, perch incitata; malva

gia, perch essendo incitata nonattendefesame della


ragione , come potrebbe e dovrebbe. E dunque la
malvagit nella volont, non nella passione.
Ma non si dice tutto di , che la passione' trae luo
mo alle cose disoneste? Ed io rispondo: talvolta an
che alle oneste. L_amor de gliuoli trae l uomo a
educarli bene. La compassione trae luomo a sollevai:

gli oppressi. ll desiderio della gloria tra luomo alle

magnanime imprese. Quante volte giovi) l ira ai forti,


il timore ai prudenti, la vereeondia ai eostumatil Che

se noi volessimo levare dalle istorie tutti i fatti glo


riosi, a cui gli uomini furono dalla passione sospinti,
io temo che assai pochi ve ne resterebbero Non
dunque da dire che le passioni sieno di lor natura _
cattive , spingendo talvolta l uomo alle cose disone
ste; poich lo spingono talvolta anche alle oneste.
E quando ancora le passioni incitano la volont

alle cose disonesto , non disonesto in loro Fncitar


la; disonesto in lei il seguire un tale incitamento ,

e abbandonarsi alla passione pi che non dee: per


ciocch la_ volont dee seguir la passione , e valer
sene secondo che ragion vuole ; come il piloto si
serve del vento secondo l arte sua; il quale se tra

scura l arte abbandouandosi al tempo, e va dove an


dar non doma, pecca, non il vento, ma egli. E cosi
pure se la volont, messa da parte la ragione, segue_
le assioni 3 e trascorre
fuor dell onesto la col a
_
pur sua, non delle passioni, le quali ben rette e mo
derate servono a far pi facilmente le azioni oneste,
e sono gli strumenti della virt.

Ma
. sono
. alcuni i q.nali dicono , le .assioni essere
..
cattive di lor natura, intendendo che sieno non gia

zs
PARIE SECONDA
disoneste e malvagie , ma fastidiose ed importune ;
dovendo l uomo star sempre in sul reggerle e mo
derarle, il che gli d noia e fatica; come dunque' le

malattie si dicono cattive, bench non malvagie, cosi


pare che_possan dirsi ancor le passioni. _Il quale ar
gomento da distinguere; perch sebbene le passioni
a chi non ancor virtuoso recano noia grande e fa
stidio, non ne recano per a chi gi virtuoso; per
ciocch il virtuoso avendovi fatto labito, le governa
e le tempra facilmente; e sapendone, per cosi dire ,

l arte, le regge con piacere, come il cavaliere che


regge il cavallo con maestria , e vi ha diletto , pia
ceudogli di farci che sa far cosi bene; e se il ca
vallo mostra sdegnarsi del freno, e tuttavia gli obbe
disce, piace ancor quello sdegno. Non son dunque le
passioni moleste n faticose di lor natura, essendo

tali solamente a quelli che non hanno virt; poich


agli altri che sorrvirtuosi, cedono facilmente , e si
piegano com essi vogliono; di che eglino sentono pia
cere , e ne traggono aiuto per far le azioni virtuose

con pi pronto e sicuro animofPer le quali cose. par


mi dover conehiudere che le passioni non sono per
niun modo cattive di lor natura.

CAPITOLO x.
Se la virt sia posta in un certo mezzo tra l eccesso
e il difetto.
Che la virt e similmente l azione virtuosa con

sista in mediocrit, cio a dire in un certo mezzo


posto fra due estremi, l un de quali cade in difetto,
laltro trascorre in eccesso, stata senza dubbio opi
nione fermissima d Aristotele; cosi che egli non du

bit di denir la virt invrpoaiperiz iv zasmirn ,


abito di deliberaree di eleggere consistente in me

diocrit; e poco appresso volendo spiegare tale me


diocrit aggiunge Hcfdrns de}

lumen "r;

un naQ

vweaohrf , ris d: sAM-Jm: tale mediocrit fra due


mali, lun de quali per eccesso , l altro per man

canza. Diciamo alquanto di quest opinione dAristo

DELLA VIRTU MORALE IN GENERALE

49

tele , la quale tanto famosa, che quasi venuta in


proverbio.
E certo, se dicendosi che la virt posta in mez
' zo tra l eccesso e il difetto, altro non voglia inten
dersi, se non che ella non pu avere in se n luno,
n laltro: la cosa chiarissima; perciocch se la vir

t avesse in se eccesso alcuno, o difetto, starebbe


male, e non sarebbe virt.
E forse a questo argomento ebbe riguardo Aristo

tele, bench egli lo proponesse per modo di analo


gia, la qual maniera di argomentare bench non in
duca evidenza nei discorsi, per molto illustre, o

famigliare ai loso. Aristotele dunque argomentava


cosi. Tutte le cose bene e rettamente constituite stan
no in mezzo tra l eccesso e il difetto: la fatica ret
tamente presa non dee essere n troppa , n poca :
lasta non dee essere n troppo lunga n troppo cor
ta; il vento al navigante non si vuole n troppo ga

_gliardo, n troppo debole; e cosi avviene di mille al


tre cOSCUPEPClI non diremo lo stesso della virt? La
qual essendo ottima fra tutte , par bene che debba
fra tutte essere sgombra d ogni eccesso e dogni di
fetto. Ci si conferma da Aristotele anche per via di
induzione, poich avendo annoverate alcune virt,
le quali certamente son poste tra Veccesso e il difet
to, come la fortezza, che posta tra la temerit e il
timore; e la temperanza, che dicesi posta tra la dis
solutezza e la stupidit; par che quello che si dice di
alcune, possa credersi di tutte. Per crescer forza a

questo argomento sarebbe a proposito fbrmare un


giusto novero delle virt, e mostrar poi quello stesso
in ognuno; il che difcilissimo. Lo fece forse Teo

frasto, che fu grandissimo peripatetico, discepolo di


Aristotele, il qual sappiamo che molto si valse del
linduzione a provar lopinione del suo maestro. Ma

tra le ingiurie che il tempo ci ha fatto, non la pi


piccola raverci rapito gli scritti di quel granduomo.

5o

'

viari: SECONDA
CAPITOLO XI.

. Di qual maniera sia ii mezzo in cui sia la virt,


e come sieno cattivi gli estremi.
Distingue Aristotele due mezzi, l uno de quali

chiama aritmetica, l altro geometrico. Il mezzo arit


metico quello che posto fra due determinati estre
mi, ed lontano egualmente all uno ed all altro,
come il numero otto che egualmente lontano dal

dieci e dal sei. E questo mezzo non pu cangiarsi ed


il medesimo appresso tutti. Il mezzo geometrico

quello che essendo posto fra due estremi, segue per


una certa proporzione, onde varia; n pu esser sem

pre lo stesso. Cosi una veste che stia bene, e per sia
in mezzo fra la troppo lunga e la troppocorta, ricer
ea una certa proporzione verso la persona per cui

fatta; poich quella veste, che duna lunghezza mez


zana per uno , potrebbe essere troppo lunga o trop
po corta per un altro," n si dice mezzana se non a

proporzione della persona. Tale il mezzo geometri


co. E se per mezzo geometrico altro qui intendiamo
_ da quello che sogliono intendere i geometri, poco im

porta; imperocch intendendosi le cose, non sono da


curarsi i nomi.
La virt dunque, secondo Aristotele, posta in un

mezzo geometrico, il quale non lo stesso verso tutti,


ma varia secondo la variet delle persone, a cui dee
proporzionarsLDi fatto, se quello che uno mangia con
tmperanza fosse mangiato da un altro , sarebbe in

temperanza; perciocch quella stessa quantit di cibo


che verso d uno moderata, pu essere sovrabbon
dante ed eccessiva verso d un altro. Cosi i pericoli

che uno pu disprezzar con fortezza, non possono


disprezzarsi da un altro, se non con audacia; e sar

in uno prodigalit quello che in un altro sarebbe li


beralit perfetta. Vedesi dunque che il mezzo, in cui

posta la virt, geometrico, e per varia secondo


la proporzione delle persone.
Veggiamo ora , come si dicano cattivi gli estremi

DELLA VIRTU MORALE IN GENERALE

5:

della virt. E certo possono dirsi cattivi, in quanto

sono privi di quella virt, di cui sono estremi, es


sendo una certa spezie di male la privazione di un
bene. Pur potrebbero esser privi di quella virt di
cui sono estremi, e non essere n rei n colpevoli;
ed anche potrebbero, allontanandosi da una virt,

avvicinarsi tanto ad un altra, che paresser degni di


lode. E certamente se la stupidezza un estremo, co
me dicono, della temperanza, avr la temperanza un
estremo che non sar n reo n colpevole ; essendo
la stupidezza difetto di natura, non vizio di volont;

e cosi ne giudica anche Aristotele. Il principe oi che


castiga il delinquente meno di quello che egli meri
ta , allontanandosi dalla giustizia _, trascorre alla cle
menza, e merita pi laude , essendo meno_ giusto.
Non sono dunque gli estremi delle virt sempre cat

tivi, perch abbiano in se malvagit. Le quali cose


si intenderanno forse meglio nella terza parte di quasto compendio, ove tratteremo delle virt in partico
lare, e dei loro estremi.

CAPITOLO XII.

Se possa essere un azione indgrente.


quistione assai sottile e degna della considera
zione dei loso, se possa essere un azione indiffe
rente, la qual non sia n onesta, n disonesta; a in

tender la quale a bene premettere una distinzione.


Io dico dunque, che altro considerar l azione in
astratto , come quando_uno considera il passeggiare

senza por mente n alla persona che passeggia, n al


ne, n alluogo, n al tempo; ed altro considerar
l azione nella persona che la fa, avendo riguardo a
tutte le circostanze.

E primamente considerando Fazione in astratto,


par che tutti s accordino a dire, che possa ella es
sere indifferente, cio n onesta, n disonest. Di

fatto chi dir che l azione del passeggiare, spogliata


dogni sua circostanza , sia onesta? E n meno_ per
si dir che sia disonesta. Perciocch_ il passeggiare ,

5:

'

PARTE SECONDA

se si spogli di tutte le sue circostanze, niente ha, onde


possa dirsi o conforme alle regole dell onest, o con
trario; onde pare indifferente. Ma se poi si consideri

l azione in chi la fa, secondo le circostanze tutte ,


gran quistione , se indifferente esser possa; e quan

tunque i loso poco di ci abbiano scritto, ne hanno


per trattato molto sottilmente i teologi cristiani, i
quali seguendo i principi altissimi di quella loro di
vina losoa, sono stati tratti in contrarie opinioni.
I pisottili, parendo loro che ogni azione riferita a
Dio sia onesta, riferita ad altro disonesta , hanno sta
bilito con molto giudicio, ninna azione poter essere
indifferente. Ma essi seguono i principi loro. Noi non
aspiriamo ora a quella tanta sublimit.
Per seguendo le tracce che Aristotele , non da

altro condotto che dall umana ragione, ci ha mo


strate , diremo poter benissimo alcuna azione essere
indifferente. ll che proveremo in tal modo. Compo
nendosi la felicit di molte parti, delle virt, dei pia
ceri, dei comodi, e potendo farsi alcuna azione per
n di virt, pu anche farsene alcuna per n di pia
cere e di comodo; come quando uno prende la me
dicina non per altro che per riavere la sanit, il quale
allora pensa al comodo, non alla virt. Or tale azio
ne non n onesta, n disonesta; non onesta, poi
ch non fatta per ne di onest, n disonesta pure ;
poich chi dir essere disonesta cosa il volere star

sano? Dunque non essendo n onesta, n disonesta,


sar indifferente.
Qui chieder alcuno, se sia pur da lodarsi colui

che prende la medicina per solo ne di sanit; pa


rendo certo che sia, poich fa azione ragionevole.

Non egli ragionevol cosa il procurare la sanit? E


se da lodarsi , come diremo dunque che egli non
faccia azione onesta e virtuosa?
Rispondo: Colui che prende la medicina, fa cosa
buona ed obbedisce alla ragione; ma nol fa per ob
bedirle, lo fa per istar sano; e pi tosto che alla ra
gione, pensa a se stessoJCosi fa cosa buona, ma non
la fa onestamente, non facendola per ne di onest.

Laonde n si oppone alla virt, n la segue. E quindi

DELLA VIRTU MORALE IN GENERALE

53

che egli non n da biasimarsi , nda lodarsi,


poich si biasimano quelli che fanno le azioni diso
neste, e si lodano quelli che fanno le oneste; ed egli

non fa n l uno n l altro. Se gi non volessimo


estendere la lode , come fanno i poeti e gli oratori,

a tutte le cose buone, anche a quelle che non con


sistono in virt; come sono la bellezza , la sanit ed

altre tali. Nel qual caso noi loderemo Fazione di cu

lui che prende il medicamento , piuttosto come buo


na e conducente alla natural felicit, che come one
sta; e cosi si lodano ancora le ricchezze , la nobilt,

la grazia, e tutti gli altri beni che sono fuori della


virt.
Fine della parte seconda.

._1

PABTE TERZA
DELLE vmT MORALI

IN PARTICOLARE
u-n.-.q_

CAPITOLO I.
Della divisione delle virt.

Essendo la virt generalmente un abito di farle azio


ni virtuose, subito si vede, che potendo dividersi le
azioni virtuose in pi modi, potr anche in pi mo
di dividersila virt. E gi le azioni virtuose soglio
no per la maggior parte dividersi secondo i vari og
getti, intorno a cui versano, versando alcune intorno
.gli onori, ed altre intorno alle ricchezze, ed altre in
torno a piaceri, ed altre intorno ad altre cose. Per
loch possono costituirsi molte virt; essendo l abito
di far certe azioni una virt , e labito di farne certe
altre uifaltra.

Che se il popolo, dividendo a modo suo le virt ,


non avesse prevenuto i loso, avrebbero questi forse
potuto fare una divisione pi esatta e pi comoda ,

e da piacere ai dialettici , i quali vorrebbero che


nel dividere niente mai si ommettesse di ci che di
videsi; e si turbano, se l una parte si confonda con

l altra: ed hanno stese certe lor leggi. Ma quando i


loso entrarono in queste cose, le trovarono gi oe
cupate dal popolo , il quale avca divise le virt a sen
no suo , notandone molte , quelle singolarmente clic
pi rispleudevano , edistiuguendole con certi nomi.
La qual divisione miracol sarebbe, se fosse stata, non
dir compiuta e perfetta, ma costante appresso tutti,

esempre la medesima, perciocch il popolo segue


piuttosto il caso, che la ragione. N perci i losofi
credettero di doverla mutar gran fatto, o correggere;

imperoccb sarebbe bisognato sconvolgere le popolari

DELLE VIRTU MORALI IN PARTICOLARE

55

idee, e introdur nuovi nomi, e i gi introdotti torcere

dall antica lor signicazione, con gran disturbo degli


oratori, e de poeti, e di tutti quelli che parlano alla
moltitudine, ai quali non che fastidio e noia, con que
sta losoa, anzi comodo ed aiuto recar volessi.
Seguiron dunque i loso in dividendo le virt ,

piuttosto i popolari instituti , che la ragion loro; n


molto curarono di soddisfare ai dialettici. E quindi
venne quella gran moltitudine e variet delle divisio

ni , che essi proposero ; delle quali per non mai , che


io sappia, contesero, qual fosse esatta, o non fosse
sapendo essi bene, niuna esserne tale. Posidonio che
visse a tempi del gran Pompeo, ridusse le virt a quat
tro sole. Pi assai ne avean numerato Cleante e Cri
sippo. Panezio, meno antico di questi due, segui una
nltra divisione. E questi tutti furono stoici. Aristotele
non che dagli altri, discord da se medesimo, avendo
divise le vitr nella rettorica ad un modo, e nella mo,
rale ad un altro. Per ci anche verisimile, che Teo.

msto, che fu diquella scuola, seguisse certa aitra


divisionsua. Niente in questo luogo pi incostante

di Cicerone , il qual pare talvolta esser contcntofdi


quelle quattro, Prudenza, Giustizia, Fortezzajfempe

ranza (che fu la divisione dell antica Accademia):


talvolta, come queste nol contentassero , altre ne ag
giunse, e non sempre le medesime. Tanto vero, che
poco riguardarono allesatteua della divisione , pun

ch non troppo si discostassero dalla popolar consue


tudine.
N era gran fatto necessario ii fare altrimenti; im

perooch, purch si conosca quale azione sia virtuosa,


e qual no, poco importa alla retta istituzion de costu
mi il sapere, di qual maniera esser debbano le virt

divise , e qual d esse sia fazione da riferirsi interve


nendo quasi sempre, che si conosca l azione essere vr

tuosa prima che si sappia di qual virt. Gi gli ora


tori e i poeti c quelli che parlano al popolo, ecom
mendano la virt proponendola in altrui, o facendo
sembiante di averla in lor medesimi, vana cosa sareb
be ed inutile, anzi nociva ed importuna il voler di
storli dagliustituti popolari. ll perch bene fecero i

56

PARTE TERZA

loso a seguir piuttosto le divisioni utili ed imper


fette del popolo , trattando di quelle virt che gi il
popolo conosca, che rintracciarne delle perfette ed
utili.

Comunque ci sia, seguendo noi ora Aristotele pro

porremo quelle stesse undici virt che egli propose ,


o contengano esse una perfetta divisione, o non la con
tengano. Certo che sono molto illustri; e per essere

state particolarmente proposte da si grand uomo, do


vrebbero tenersi per tali , quand anche non fossero.

CAPITOLO ii.
i Delle denizioni delle virt.

Siccome il popolo prevenne i loso nel dividere


le virt, cosi pur li prevenne nel determinarle e cir
coscriverle, assegnando a ciascuna certi limiti e certo
nome, onde potesser distinguersi luna dall altra. Il
che se avesse fatto con diligenza e con costanza, avreb
be alleggeritoi loso d un gran peso; perch il de
nire le virt esattamente , quando gi fossero state
con molta accuratezza circoscritte , sarebbe stata pi
facil cosa. Ma il popolo non suol essere molto dili
gente nel circoscrivere le sue idee; anzi le confonde

quasi tutte estendendole quando pi, e quando meno,

e avviluppandole ed intralciandole in pi modi. E quin


di' , che i nomi popolari, i quali tengon dietro alle
idee, si confondono essi pure, e vanno per lopi er

rendo quasi incerti e dubhiosi della loro signicazio


ne. Il che si vede anche presso noi, ch tutti hanno
in bocca: valore, gentilezza, grazia, altezza d animo,

ed altre parole tali, che pochi saprebbero denire di


stintamente.

E lo stesso dovette pure intervenire di quelle idee,


che il popolo savea formato delle virt, prima che i
losofanti ne disputassero, e dei nomi che a quelle
furono imposti. Il perch gran briga presero posciai

loso, volendo ridurre a certe denizioni quelle po


polan virt, e distinguer ciascuna esattamente, segnan
.do il genere in cui tutte convenivano, e le differenze

DELLE Vll_l'lUMOBALl IN PARTICOLARE


57
per cui disconvenivano; cosi che ciascuna denizione

abbracciasse tutto quello che ciascun nome abbrac


ciava, e non pi. Il che tanto pi doveva esser dif
cile, se, come spesse volle interviene, uno stesso
nome avesse abbracciato virt diverse; che allora sa

rebbe stato impossibile al losofo comprendere tutta


la signicazione del nome in una sola denizione.

Laonde non da maravigliarsi , se alcuno talvolta ha


denito una stessa virt in maniere diverse, come

Aristotele, che alcuna ne denisce nella rettorica ad


un modo, e nella morale ad un altro; perch egli forse
non intese denire una virt sola, ma piuttosto due,
che avevano un solo nome.

N questo solo incomodo ebbero quegli antichi


loso; bisogno ancora, che introducesser talvolta ,

quantunque meno il volessero , nuovi nomi; perch


sebbene seguiron pi tosto le idee del popolo, e quelle
per lo pi distinsero coi nomi popolari ; ad ogni mo
do ordiuandole poscia, e disponendole con certa ra
gione , l ordine stesso li fece accorti d alcune virt
che il popolo avea trascurate , e che andavano senza
nome; il che avveniva anche agli estremi; perch aven

do il popolo nominato alcuna virt, gli sono talvolta


sfuggiti gli estremi, e non li ha nominati; ed anche
talvolta l uno ne ha nominato , e non l altro. Pcr la
qual cosa Aristotele stesso , che cerc di essere tanto

popolare, come savvenne a certe virt e a certi estre


mi, non pot esserlo quanto volea.

Per se presero gran brigai loso a denir le vir


t, molto maggiore ne prenderemmo noi, se volessimo
esaminar le loro denizioni,I e cercar sottilmente, se be

ne esprimano quegli abiti che il popolo avea contrasse


gnati, e comprendano tutto quello che sotto quei no
mi si comprendeva; perch chi pu saper giustamente

le idee che aveva il popolo di que tempi, e la forza


dei nomi loro, massimamente in tanta diversit e

lontananza si delle lingue , come dei costumi e delle


leggi? Oltre che sarebbe anche da qnistionar molte
volte, se avendo un losofo dichiarata qualche virt,
abbia voluto denirla esattamente secondo le regole

dei dialettici, o solamente dicliiararla. E certo Ari

58

PARTE TERZA

stotele, il quale dicesi essere stato il primo ritrovatore

di tali regole, in alcun luogo non ebbe gran cura di


osservarle; e , come cosa sua, le disprezz.
Il perch molto comodamente faremo, e libereremo

la losoa da una gran noia, se prenderemo le de


nizioni che ci hanno lasciato gli antichi delle virt ,=

non come denizioni di cose certe e gi stabilite, ma


come spiegazioni di certi nomi imposti a piacere, a

guisa che fanno imatematici. Perch chi pu vietarne


di concepire con lanimo un abito di fare le spese.

grandi, e nominar quest abito magnicenza? E ci


posto, se noi deniremo la magnicenza, con dire che
sia un abito di fare le grandi spese, non dovr sopra

tale denizionedisputarsi niente pi di quel che si


disputi tra i geometri sopra la denizione del circolo,'
o del triangolo. E cosi avverr nelle denizioni di tutte
le altre virt.

Seguendo dunque un tale instituto, e venendo a cia


scuna delle virt particolari, proporremo in primo
luogo la denizione di essa, indi noteremo i suoi estre
mi , i quali per non vogliamo che siano esaminati

troppo sottilmente, perciocch i vizi non meritano tan


to studio. Ci fatto, poco pi altro aggiungeremo,
giacch n altro si richiede ad un compendio, siccome
questo; ed Aristotele stesso di molte virt poco ci
ha lasciato; molti altri loso anche meno.

CAPITOLO III.
Della fortezza.
La fortezza una virt , per cui l uomo incontra
i pericoli, e soffre i mali della vita con grande anim0..
E dico che incontrai pericoli con grande animo, quan
do gl incontra, niente pi temendoli di quello che
ragion vuole; e usate le cautele, che pu usare e dee, '
non cura il restante. Dico poi, che soffre con. grande

animo i mali della vita, quando li soffre senza troppo


attristarsene, e prendendone quel conforto che pu ,

dai beni che gli rimangono, e massime dal piacere


dell Onest.

DELLE VIRTIMOBALI IN PARTICOLARE


59
Questa denizione della fortezza non guari di

versa da quella, che no dai tempi di Platone ci han


no lasciata quasi tutti i loso , proponendo , come
materia di fortezza, tutte le cose che vagliono a rat
tristarci e far paura. Ed io credo facilmente, che Ari

stotele non d altra maniera intendesse quella virt ,

che egli chiam ciuffi/a, gli altri hanno interpretato


forse meglio virilit.

'

Sebbene son di quelli i quali credono, che Aristo


tele restrignesse quella virt sua ai pericoli della guer
ra;e certo volendo proporne esempi, sempre li trasse

dal valor militare. Ma forse ci fece, perch essendo


materia della fortezza tutte le cose terribili, egli volle
trarre gli esempi dalle pi illustri. Parmi poi, che Ari
stotele l, dove tratta di quella sua virt, che chiama
vvolpi/nl , abbia voluto, non gi denirla, ma descriver
la piuttosto, e commendarla; il che potr ognuno fa
cilmente intendere, leggendo quel capo. Non pu dun
que cosi di leggeri accertarsi sotto qual denizione

egli la comprendesse.
Gli estremi della fortezza, almeno in quanto riguar
da i pericoli, sono laudacia e il timore. L audacia
di colui che troppo sprezza i pericoli, e non usa quelle

cautele che ragion vuole; e il timor di colui che trop


po se ne turba, e per li sfugge , quando dovrebbe
incontrarli. E proprio del timido usar molto pi caute
le che non bisogna; sebbene, dove il pericolo sia vici

nissimo, tanto si turba, che non sa prender consiglio,


ne pu.
Sono alcuni abiti, i quali dal volgo si chiamati for
tezza, e non sono; perciocch n quelli son forti, che
si espongono ai pericoli per mercede , n quelli
che il fanno solo per ira; poich niuno di que

sti opera per ne di onest, tolto il qual ne tolta


via la virt. N questi pure son forti, i quali si con
dano tanto nella perizia e robustezza loro, che non
credono essere verun pericolo incontro , perciocch

se si leva l immaginazion del pericolo, levasi eziandio


la materia della virt. E questa tali son da temersi, ma
non sono forti.

6o

_ PARTE TERZA

CAPITOLO Iv.
Della temperanza.

La temperanza una vin per cui l uomo si astie


ne moderatamente, cio, quanto ragion vuole, dai pia

ceri; n dico da tutti i piaceri, ma da quelli che con


sistono nel mangiare e nel bere; e da quelli che ap

partengono al sentimento del tatto. Perciocch colui

che usa moderatamente, e sol quanto gli si conviene


del piacere della musica, bench faccia azion buona
e virtuosa e lodevole, non per temperante si chiama;
n intemperante si direbbe, quando ne usasse sover
chiamante. E similmente colui che si d al piacere
della caccia o del ballo, o dell armeggiare, o daltra
tal opera, il quale n temperante , n intemperante
si chiama; ma da distinguersi con altro nome.

Gli estremi della temperanza diconsi essere lintem


peranza e linsensibilit. L intemperanza trae all ec
cesso, ed di colui che va dietro a piaceri soverchia
mente. ljinsensibilit poi sarebbe di uno il quale non
avesse il gusto n del mangiar n del bere, e non sen
tisse le lusinghe del tatto , e questo estremo pi to

sto difetto di natura che scostumatezza, ed tuttavia'


rarissimo e forse anche impossibile. Chi dunque fosse

insensibile o stupido , non avrebbe colpa, ma n pure


virt.

Fin qui abbiam detto della fortezza e della tem


peranza, le quali due virt pare che principalmente

sieno dirette a compor luomo e fbrmarlo bene in lui

stesso. Le altre virt paiono piuttosto dirette a for


mar l uomo e ben comporlo verso gli altri; tra le
quali la giustizia suole aver il primo luogo; ma per

ciocch di essa dovremo trattare un poco pi larga


mente , la rimetteremo all ultimo; e cosi parimente

fece Aristotele. Ora diremo dunque della liberalit.

DELLE VIRTU MORALI IN PARTICOLARE

6i

CAPITOLO V.
Della liberalit.

La liberalit _ una virt, per cui luomo dona del

suo ad altri moderatamente, secondo la retta ragione.


Onde si vede subito, la materia di questa virt essere
tutto ci, che dandosi ad uno pu chiamarsi dono ,
come il danaro, la roba, e tutti i beni che vengono in

commercio. Per colui che fa ottenere la dignit ad


un altro, o gli cortese di un titolo, o mostra la via
al passaggiero, si chiama egli bensi gentile e beneco,
ma non donatore, n liberale.
Cade nellestremo della liberalit per eccesso colui,

che dona oltre il convenevole, e per difetto colui, che


dona meno del convenevole. Il primo di questi estre
mi suol chiamarsi per un certo uso prodigalit; seb

ben prodigo il pi delle volte si dice anche colui, che


dissipa le sue facolt , eziandio' che nulla doni ad al

trui; potendo dissiparle o nella crapola, o nel gioco,


o in altra guisa. L altro estremo si chiama da molti
avarizia , e forse meglio da Aristotele vmndsp/u. E

certo l avaro cade in questo estremo; ma non per


tanto pu uno cadere in questo estremo , e tuttavia
non dirsi avaro: come sarebbe uno, il quale essendo
strettissimo nei donativi, fosse larghissimo nelle spese,
e consumasse tutto il suo in passatempi; il quale non

si direbbe avaro; e tuttavia mancherebbe alla libera


lita, lasciando di donare quanto conviene.

Pu dunque chi prodigo non eccedere nella libe


ralit; e chi manca di liberalit non sempre avaro.
Onde apparisce, ci che vedrassi anche altrove, quanta
confusione sia nenomi popolari : e quanto bisogno ab
biano di studiar bene la natura delle virt tutti quelli
che debbono parlarne al popolo, per non confonder le
cose , essendo i nomi cosi confusi. Ma noi lasceremo
che altri provveggano al bisogno, facendo un trattato
particolare di ciascuna virt; e intanto tornando al

proposito diremo brevemente della magnicenza.


6

62

PARTE TERZA
CAPITOLO VI.
Della magnicenza.

La magnicenza una virt, per cui l uomo fa le


spese grandi moderatamente, cio quando e come con
viene. Perch nelle nozze si vuol far spesa maggiore,
che nella cena ordinaria; e nelle giostre e negli altri

spettacoli pubblici sta bene il far pompa, e spendere


largamente. Ben vero che non dovendo le spese ec
cedere la facolt di chi le fa, poich se eccedessero ,
non sarebbero convenienti; quindi segue che n i po
veri, n le ersone mezzanamente comode possano
avere magni cenza; imperocch o non fanno le spese

grandi, ci che alla magnicenza richiedesi , o se le


fanno , non sono convenienti, il che ripugna alla virt. N questo dee recar maraviglia, sapendosi che
non tutte le virt son di tutti. Ha anche di quelli,

che per mancanza daveri non posson essere liberali.


Gli estremi della magnicenza assai si possono inten
dere per le cose dette.

CAPITOLO VII.
Della magnanimil.
La magnanimit una virt, per cui luomo studia

di conseguirei primi onori moderatamente , cio sc


condo che vuol ragione ; onde glincontri magnici,
i posti elevati , i gran titoli sono materia, intorno a
cui versa il magnanimo; il quale bisogna bene che
studi di meritarli , onde possa credere che a lui si
convengano ; poich se ci non credesse , egli esige
rebbe contra ragione; e in questo sarebbe eccesso, e

non virt. E quindi che il magnanimotra tutte


le virtuose azioni imprende sempre le pi cospicue ,
e quelle, a cui debbonsi i primi onori; e per si dice
che la magnanimit rende grandi tutte le altre virt.
Gli estremi della magnanimit consistono o nel vo
lere i primi onori quando non convengono, il che si

DELLE VIRTU MORALI IN PARTICOLARE

63

chiama superbia; o nel non curarli, qualor converrel

bero , il che non saprei come nominare in nostra


lingua. Aristotele si servi del nome pmpoxl/vx-(u che
vuol dire piccolezza d animo.
Sono stati alcuni, i quali hanno fbiasimato questa

aristotelica magnanimit, n l hanno voluta porre nel


numero delle virt; parendo loro, che ella si oppon

ga alla cristiana umilt, la qual virt fa che l uomo'


sfugga tutti gli onori, e stimi di non meritarli ,- e va
tanto innanzi secondo gli ascetici , che per essa l no
mo viene a credere di esser peggiore di tutti, quan
tunque sia di bont singolarissimo. Io ho proposto di

non volere per conto alcuno in questo compendio en


trare nella losoa santa de cristiani. Forse che in
altro luogo mostrer quanto lume abbia essa recato
alla naturale losoa , e quanto labbia adornata in
tutte le parti, e perfezionata. Ora per a dileguare il
proposto dubbio dir solamente, che il cristiano umi
le non pu voler fuggire gli onori, se non quanto ra
gion chiede; e quando ragione il voglia, dovr rice
verli ed acchetarvisi. E se egli sar costituito in alto
grado, per esempio in dignit regia, dovr conoscere
che a lui si debbono gli onori reali, e li vorr, e sapr
essere umile anchein mezzo a questi onori; il che grado
sommo di umilt. Par dunque, che il cristiano umile
non si opponga al magnanimo di Aristotele, potendo
egli pure e meritar gli onori grandissimi, e conoscere
che gli si debbono, come il magnanimo, e volerli. E
questa fu pur lopinione del famoso de Aguirre, che
seppe tanto innanzi in losoa , e cosi pur credette
S. Tommaso , il qual pare che abbia avanzato in sa-
pere tutti gli altri. E se noi ascolteremo il Rodriquez,

maestro grandissimo fra gli ascetici, noi troveremo


la cristiana umilt non opporsi in modo alcuno alla

magnanimit d Aristotele, anzi esserne il fondamento


precipuo; n poter essere veramente magnanimo, se

non lumile cristiano. Ma di questo abbastanza.

64

PARTE TERZA
CAPITOLO VIII.
Della modestia.

Ha una virt, che Aristotele stesso non seppe co


me chiamare; ed desiderio di certi piccoli onori,
che alcuni hanno chiamato modestia ; io direi pi

volentieri decenza; n questo nome pure mi soddisfa

rebbe. Ma qual che il nome ne sia, una virt, per


cui l uomo cerca e vuole gli onori piccoli secondo la
retta ragione. Per materia di tal virt sono le saluta-

zioni, i primi posti nelle private compagnie, ed altre


tali convenienze. N questa virt dovr scompagnarsi

dallumilt cristiana, non iscompagnandosene la ma?


guanimit.

Colui che eccede, volendo queste minute convee


nienze pi che non bisogna, pu chiamarsi ambizioso;

colui che manca, volendone meno di quel che do


vrebbe, non saprei come chiamarlo; ma il vizio

raro, e per ci forse non ha nome. L ambizione pi


comune, ed vizio tanto grande e tanto fastidioso ,

che a petto di esso pu l altro estremo parer virt.


E certo chi riuta i piccoli onori , che manifestissi
mamente gli si convengono, fa male; ma molto pi
turba la compagnia chi li esige con sommo rigore ,

e ne tanto geloso, che per ogni piccola mancanza si


cruccia, e fa le querele grandissime.

Io non so se a questa virt potesse ridursi quella


cura che molti hanno, massimamente nobili, dell ono

re; imperocch volendo eglino esser tenuti in certo


modo onesti, e consistendo in ci quell onore che
cercano, par bene che si contentino di piccola cosa;

poich il minimo onore, che possa farsi ad uno, si


quello di crederlo onesto; e quindi , che general
mente dovuto a tutti, qualor non si provi con forte
argomento il contrario.
'

N perch io dica esser piccolo questo onore, vo


glio per ci inferire che non se ne debba tener conto,

perch siccome il saper gli elementi duna scienza


cosa piccola, ma per nccessarissima, n da trala

DELLE VIRTU MORALI IN PARTICOLARE

65

sciare; cosi I aver buon nome, quantunque sia piccolo


onore, per necessario al viver civile , n deetrei-r

scurarsi; anzi deesi procurar di averlo pi che gli


onori grandissimi, che sono men necessarii.
' E s egli pur vero che lo studio dell onore ridu
casi a quella virt, di cui ora trattiamo, bisogner di
re che tutta la scienza cavalleresca altro non sia che
un particolar trattato di tal virt. La quale scienza
perciocch alcuni negano che possa esservi, mentre
altri la insegnano diffusamente, non sar fuor di pro

posito accennar qui il meglio ch io posso e in poche


parole le parti di essa, acciocch quelli che hanno
agio, esaminandole tutte partitamente, possano formar

ne un pi sicuro giudizio.

Stabilisce dunque la scienza cavallercsca, secondo


che insegnano i pi eccellenti maestri, queste tre cose:
prima , che luom nobile dee conservar intero l onor
suo; indi che questo onore per lingiuria si perde, o si
sminuisce; e in ultimo luogo, che per la soddisfazio
ne si restituisce, e non altrimenti. Poste le quali cose
ne viene per giusta conseguenza, che luom nobile ,

qualor riceve ingiuria, debba esigerne soddisfazione; e


perch lesigerla in certo modo risentirsi, perci debba
luom nobile risentirsi tutte le volte che riceve ingiuria.
Chi dunque volesse entrare a spiegar tutta la scien
za a parte a parte, dovrebbe in primo luogo dimo
strare, quanto, e come , e no a qual segno debba

l uom nobile pregiar l onore e averlo caro. Nel che


temo che alcuni trascorrano all eccesso, anteponen

dolo, non che alla vita, alla salute ancor della patria,
e dei gliuoli, e dei parenti, e degli amici. N io so,
perch un nobile, essendo fuori del suo paese e sco
nosciuto non potesse saviamente , e con virt soste

ner la vergogna di essere tenuto un ladro, qualor fa


cesse mestieri a conservar la vita del fratello , o del
l amico, posponendo cosi l onore all amicizia.
Sarebbe in secondo luogo da dichiarare, quando
l ingiuria levi lonore, e quando no; perch sebbene

in questa cavalleresca scienza non suol chiamarsi in


giuria se non quell offesa che leva l onore ; ad ogni

modo son certe offese, che, quanto in loro potreb

66
PARTE TERZA
bero levarlo, e per ingiurie si chiamano; ma le cir

costanze fanno che nel levino. Perch se quello che


dice, o mostra di voler dire, lingiuriatore , mani
festamente falso, non leva l onore, perciocch niuno
gliel crede; ed anche lira toglie fede alle parole; le
quali non bisogna esaminare tanto sottilmente, n mi
surare ogni sillaba, avendo paura di ogni equivoco, e
volendone subito le dichiarazioni; perch mostra di
avere 1 onor suo assai male stabilito chi teme di per

derlo per cosi poco. N dico io gi che l ingiuria non


levi mai lonore, ch talvolta lo leva ; dico solo, che
ci non avvien cosi spesso, come alcuni si credono, e

per questo appunto sarebber le ingiurie da distinguersi.


Sarebbe poi in ultimo da dichiarare, quali soddisfa
zioni sieno quelle che vagliono a restituire l onor per
dutosi per lingiuria. E quelle certo sono valevolissiine
che si ottengono per giudicio pubblico: le altre do
vrebbero diligentemente esaminarsi. Perch la sod
disfazione, dovendo restituir l onore , dee far credere
agli uomini il contrario di quello che loro avea fatto
creder lingiuria; il che difficile a conseguirsi per

dichiarazioni e proteste che faccia colui che ingiuri ;


il quale se persuase altrui con lingiuria, poco persua

dcri col disdirsi, sapendosi che questo si fa il pi


delle volte per uscir di briga, non per altro. E gli
uomini in questi affari sono disposti sempre a crede

re il_ peggio, valendo appresso loro assai pi, che le


scritture, la pratica che s ha del mondo. Ma mio in

tendimento non ora di fare un trattato di cavalleria


bastimi averne descritta, o pi tosto abbozzata e deli

neata la forma.

CAPITOLO 1x.
Della mansuetudine.

La mansuetudine, che dai latini si chiama ancor le

nit, una virt , per cui l uomo trattien lira per


modo che si stia dentro i termini del convenevole.

Onde facilmente si vede, che colui il quale mai non


si adirasse , eziandio che l adirarsi talvolta gli stesse

DELLE VIRTU MOliALl lN PARTICOLARE

67

bene, non sarebbe mansueto ; anzi peccherebbe contra


la mansuetudine, e incorrerebbc in _un estremo che
potrebbe chiamarsi lentezza , non avendo altro nome

chio sappia. Cosi lento, non mansueto diremo un pa


dre che seguendo lira moderatamente, emeudar po
trebbe il {igliuolo e nol fa. L altro estremo che con
siste nell adirarsi oltre il convenevole , pu dirsi ira
viziosa o smodata. E questo vizio il pi frequente,
ed massimamente dei grandi e dei potenti.

CAPITOLO X.
Della verit.

Il commendare e lodar se stesso, esponendo le pro


prie virtu , ove si faccia secondo ragione, mezzana

mente e con bel modo, mettesi a luogo d una virt,


la quale Aristotele chiam biim , per gli altri la
dicono verit; forse perch il lodar se stesso non pu

mai essere azion virtuosa, ove la lode non sia vera.


E quindi che il lodar se stesso e le azioni sue
conviene massimamente al virtuoso, il qual per non
dee farlo , se non che rare volte, e sol quando vi
astretto da necessit; di che abbiamo molti esempi

in Cicerone, che ad alcuni paiono anche troppi. E Vir

gilio , il qual propose il suo Enea come uomo vir


tuosissimo, pur gli fe dire
Sum pius fEneas, raptos qui ex hoste penates

Classe veho mecum, fama super azlhera notes


imperocch avea bisogno di commendar se stesso per
avere aiuto dalla Dea.
N anche si disdice ad uomo semplice lodar se
stesso qualche volta, facendolo massime senza pompa
di parole, e quasi non s accorgendo di farlo; percioc
ch la semplicit leva il sospetto dellambizione. Per

ben fece Virgilio ponendo in bocca a Dafni quei versi


Daphnis ego in silvis hinc usque ad sdera IOZUK
Formosi pecoris custos, formosior ipse,
i quali ad uomo accorto si disdirebbero; in un gli

vinetto semplice e sincero , come quello era, hanno


grana.
_
l

68

PARTE TERZA
Gli estremi di questa virt facilmente siintendono;

perch certo da biasimarsi molto colui che loda se


stesso oltre il convenevole; n gran fatto da lodarsi

chi potendo e dovendo secondo ragione dir le sue


lodi , teme di farlo; ed per men male peccare in
questo secondo modo che nel primo.

CAPITOLO Xl.
Della gentilezza.
anche un altra virt lodare ed approvarei detti
e le azioni altrui, purch si faccia a buon ne e cou

venientemente e secondo ragione. La qual virt se noi


chiameremo gentilezza, non credo che molto ci allon
taneremo dal parlar popolare.

Un estremo di questa virt consiste nel lodar trop


po, e quando e come e per quel ne che non convie
ne. Nel che mancano gli adulatori che per n di gua
dagno, o per rendersi aggradevoli, lodano eziandio
le cose che sono da biasimarsi. E cadono in questo
estremo ancor quelli , i quali lodano le qualit buone

che ha un vizioso, conoscendo per altro che quella lode


nutre e fomenta la malvagit; come colui che parlando

con l omicida, si estende a lodarne ed esaltarne lac


certezza, lingegno, l ardire, nulla riprendendo lomi
cidio stesso; perch romicida contento di quelle lodi
meno pensa ad emendarsi; e questi peccano nella gen

tilezza, perch lodano quando e come non conviene.E


similmente fanno quelli che udendo alcuna malvagit,
o vedendola, non la vogliono riprendere quantunque
possano, e si tacciono; i quali non vogliono dispia

cere ai cattivi, n credono di peccare, perch pec

cano tacendo. N io so, se pi nuocciano al buon


costume questi cortesi che non disapprovano mai niu
na cosa; o quei fastidiosi che le disapprovano tutte.

L altro estremo della gentilezza di quelli che nel


I altrui lode sono pi scarsi di quel che conviene; nel

che cadono facilmente glinvidiosi ei superbi; e que


sti sono veramente pi odiati che gli adulatori; ma
non forse pi malvagi. Laonde sarebbe da studiassi

DELLE VIRTU MORALI IN PARTICOLARE

69

grandemente la gentilezza; perch sebbene questa


virt sia poco celebrata dagli uomini, per assai gra
dita , e l un degli estremi molto odiato , l altro
molto degno di essere.
CAPITOLO XII.
Della piacevolezza.

Noi chiameremo piacevolezza quella virt che Ari


stotele chiam vrpzvrat/u, e consiste nel rallegrare e

tenere in festa le compagnie con ragionamenti gra


zibsi e leggiadri motti; il che facendosi moderata
mente e secondo che alle persone conviene, ed al luo

go ed al tempo e alle circostanze tutte, contiene virt


morale.
Che se uno eccede in ci, trae in un vizio che po
tremo dire buffoneria; come quelli che per far ridete
usano motti osceni ed avviliscono se stessi, e raccon

tano cose sporche e laide; il qual costume massi


mamente dei comici e dei poeti italiani, tra quali non
mancato chi faccia la laudazione dellorinale. E si
milmente sono colpevoli tutti quelli che scherzano con

poca riverenza della religione e delle cose sacre.


L altro estremo della piacevolezza di quelli, che
nelluso delle facezie sono pi scarsi che non con
viene. E in alcuni veramente da riprendere una certa
rozzezza d animo che emendar potrebbero e non vo

gliono; i pi per, anzi che vizio di costume, han


no difetto di natura, ricercandosi un certo ingegno a
ritrovar le facezie accomodate al tempo e all occa
sione; il qual ingegno ove manchi nulla serve la vo
lont. Per siccome la magnicenza non se non dei
ricchi, cosi la piacevolezza non se non degl inge
gnosi. E per ci siccome mal farebbe il povero a vo
ler usare la magnicenza, cosi mal farebbe colui che

volesse usare la piacevolezza, non essendovi da na

tura disposto.

PARTE TERZA
CAPITOLO XIll.
Della giustizia.

La giustizia una virt per cui l uomo dispo


sto di dare altrui prontamente quello che gli si dee. E
per giustizia in primo luogo si chiama quell abito
che uno ha di fare generalmente le cose oneste; per

ch il farle un obbedire alle leggi, e prestare alla


sovrana ed immutabile autorit dellonesto quella som
missione che per noi le si dee ; di che nulla pi
giusto. E questa giustizia legale vien detta, e non

una particolar virt, abbracciandole generalmente tutte.


La giustizia poi che pu dirsi virt particolare, e
di cui ora trattiamo, si quella per cui luomo di

sposto di dare all altro uomo quello che gli si dee.


E perch quello che gli si dee, pu doverglisi prin
cipalmente in due maniere, o perch labbia meritato,

o perch siasi cosi per certo ragionevole cambio con


venuto, quindi nascono due maniere di giustizia. La
distributiva per cui si assegnano i premi e le pene
secondo il merito; e la commutativa, per cui si cam
biano i beni, non secondo il merito di ciascuno, ma
secondo il convenuto. Perch se il_compratore sborsa

il prezzo della roba comprata al mercatante , egli non


riguarda il merito del mercatante, ma l obbligo della
convenzione. Al contrario il principe che punisce il
reo, riguarda il merito di lui, non alcuna particolare
convenzione che con esso abbia.
Suol dirsi che la giustizia distributiva va dietro a
una certa proporzione, e la commutativa va dietro

allegualit. Noi spiegheremo brevemente questodet


to, il quale contiene il fondamento e la somma del
l una e dell altra giustizia.
La giustizia distributiva dunque va dietro a una.

certa proporzione , in_ quanto che distribuendosi i


premi e le pene secondo il merito, bisogna che qual
la proporzione che passa tra il merito d uno e il
merito di un altro, tal sia quella che passa tra il pr -

mio o la pena che si d alluno, e il premio o la

_ DELLE VlRTU MORALI lN PARTICOLARE

_7I

pena che vuol darsi allaltro. Levandosi via questa


proporzione levasi via la giustizia distributiva.
E quindi si vede che in due maniere pu man
carsi alla giustizia distributiva, o dando pi di quello
che la suddetta proporzione richiede, o dando meno;
e questisono gli estremi d essa giustizia, bench nei

premii il dar pi di quello che la proporzione richie


de , e nelle pene il dar meno non sempre atto vi
zioso , quantunque sia sempre fuori del giusto. Per
ciocch l uomo non obbligato a esercitar giustizia
ad ogni tempo; fa bene talvolta a esercitar piuttosto
qualche altra virt; come colui che castiga meno del

giusto, e in questo adopera clemenza; e colui che


premia oltre il merito, e in questo adopera liberalit.
La giustizia commutativa poi va dietro allegua
lit , in quanto che cambiandosi per essa i beni non

giusto il cambio, se non eguale, e se luno non


d tanto allaltro quanto ne riceve. E bench nelle
occorrenze della vita Sogliano cambiarsi certi beni,
che per se stessi non hanno proporzione alcuna, n
egualit (perch si cambiano indistintamente e vesti
e pitture e case e poderi e diritti e domini ed altre
cose tali), questi tuttavia si rendono eguali per ri
spetto del danaro, che come una misura comune;

perch se la pittura a giudizio degli uomini val tanto


quanto il podere; si dice che la pittura e il podere

sono eguali. E quand anche danari non fossero, come


una volta non furono, potrebbero per dirsi eguali

quei beni che egualmente conducono alla felicit. Im


perocch se tutte le azioni umane alla felicit sono
dirette; n altro si cerca dagli uomini, n si vuole,
se non la felicit sola; che fanno essi dunque nelle

loro compre e nelle lor vendite e nei loro mutui e


in tutti i loro contratti, se non che trafcare quando

una parte e quando un altra delle loro felicit? Nel


qual trafco per questo ancora ricercasi leguaglian
za , avendo tutti gli uomini per natura loro alla fe
licit egual diritto.

lntantoper le cose dette si vede, poter uno mancare


in due modi alla giustizia commutativa, o dando pi

di quello che l tiguaglianza richiede, o dando meno;

PARTE TERZA

bench chi d pi, non commette colpa, ma in er.

rore; colui che d meno, offende la giustizia, ed opera


disonestamente. E di qui pu conoscersi quali sieno

gli estremi della giustizia commutativa.


N Aristotele si allontan guari da questo nostro
discorso , avendo insegnato che la giustizia commu
tativa posta tra il far danno ed il riceverne; alla

qual sentenza procedeva in questo modo. Facendosi


alcuna commutazione tra due persone, non pu ella
dirsi del tutto giusta, se non tale rispetto ad amen

due le persone che la fanno; ora se l una persona


fa danno all altra, la commutazione ingiusta rispetto
ad essa; se riceve danno dallaltra, ingiusta rispetto
all altra; non pu dunque la commutazione dirsi del
tutto giusta, se il commutante o reca danno, o ne ri

ceve; onde pare che la giustizia commutativa debba


esser posta tra queste due cose.

Per tutto tinello che n qui detto tanto della


giustizia distributiva, quanto della commutativa, assai
si conosce non avere i pittagorici compiutamente in
teso la natura di questa virt, allorch insegnarono non >

essere generalmentela giustizia, se non che r u vrnrivro


19h, cio il contraccambio, che alcuni hanno chiamato
taglione; e volevano con ci dire che ognuno debba
ricevere tal cosa appunto, quale altrui diede, e in ci
sia posta tutta la giustizia. Nel che per verit si in
gannarono , perch sebbene pu aver luogo qualche
volta che se uno rompe il braccio ad un altro, giu
stizia sia che a lui similmente si rompa il braccio; e
se uno d cento scudi, a lui parimente cento scudi si

dieno; tnttavolta non sempre cosi. Perch come pu


darsi tal contraccambio ad uno, il quale con suo pe

ricolo abbia conservata la patria? E pure giustizia


vuole che sia premiato. Ed a colui che merita pre
mio per qualche scienza con lungo studio acquistata,
si rende non gi unaltra scienza , come richiedereb
besi al contraccambio, ma bensi ricchezze ed onori.
Oltre di che ognun vede che se il nobile, e il citta

dino constituito in magistratura , percuote il plebeo,


non dee essere dal plebeo ripercosso allistesso modo;

facendo la disuguaglianza delle persone, che in egual

percossa
DELLE
sieno
VIRTU
le offese
MORALl
disuguali.
lN PARTICOLARE
Onde apparisce che
introducendo i pittagorici contraccambio , levavano

l uguaglianza.
Vegniamo ora a certe convenzioni, le quali percioc
ch inducono obbligo, paiono contenere giustizia com
mutativa; n per giustizia commutativa propriamente
hanno in loro, n egualit, anzi n giustizia pure in
niun modo; nel che se io minganni , vedranno altri.

E certamente nelle donazioni che si fanno tra gli uo


mini e si pongon nel numero decontratti , non par
che sia egualit n giustizia niuna; perciocch colui

che dona, d al compagno senza volere ricever nulla;


n pu dirsi che dia ad altrui quello che gli si dee;'
anzi d quello che non gli si dee, e per questo do
na; ed liberale, non giusto. Par dunque che la do
nazione, bench a i contratti abbia luogo, non con
tenga per giustizia veruna, n possa contenerla.

Ma sono ancora altre convenzioni, nelle quali non


, n pu essere egualit n giustizia per rispetto del
la materia di cui si conviene: perciocch uno talvol
ta vtrae in contratto certi beni cosi alti e magnici
che non hanno prezzo che li eguagli; come il me
dico che reca la sanit alli_nfermo , convenutosi di
certa somma; e il maestro similmente che insegna
la scienza allo scolare; perch la sanit e la scienza

si stimano dagli uomini maggiori di ogni prezzo, for


se perch si crede condur quelle all umana felicit pi
che qualunque somma di danaro. Ora queste con
venzioni , quantunque giuste a qualche modo dir si
possano e inducano obbligazione in chi le fa, non con

tengon per vera e propria giustizia commutativa, non


contenendo uguaglianza. Che se 1 infermo dee pure
al medico la somma onde s convenuto, e lo scolare

al maestro , ci viene perch cosi s convenuto , e


vuol mantenersi la fede data; non perch nella con
venzione contengasi permutazione o cambio giusto

veruno.

Alciini per per ridurre queste tali convenzioni al


Vuguaglianza , le torcono con interpretazione per tal
modo, che convenendosi il medico di risanar linfermo
per certa somma, e il maestro di addottrinar lo sco
7

5.1

PARTE TERZA

lare, non si conviene propriamente n della sanit ,


n della dottrina; ma sol si pone in contratto quella

material fatica che fanno il medico ed il maestro a


procurar quegli la sanit delriufermo, e questi lam
maestramento dello scolare. Cosi levando dalla mate
ria del contratto la sanit e la dottrina che si stimano

maggiori di ogni prezzo, e lasciandovi la sola mate


rial fatica o del medico o del maestro, pretendono ri
dur le parti a egualit . potendo essere a tal fatica
prezzo eguale. Comunque siasi, par certo che la giu

stizia commutativa propriamente non abbia luogo qua


lor vogliansi porre in contratto certi beni superiori ad
ogni prezzo. Il perch bene e saviamente hanno di
sposto le leggi di molti popoli che non si mettano a
vendita imaestrati, n le cose sante e consacrate dalla
religione.
Siccome poi ha dei beni che per valer troppo non
possono venire in commutazione eguale e giusta; cosi
ha delle persone che non possono far commutazione
alcuna non avendo che commutare; n per questo

che non si facciano convenzioni anche con loro, alle


quali star si dee piuttosto per una certa fedelt na
turale e costanza danimo che per giustizia. E di que
sta maniera sono gli schiavi che non essendo padroni
n dellopera, n dei corpi loro non che della roba
non hanno che commutare. E per se pongon fatica
e si adoprano ne comodi de lor signori, non possono
per questo prendere mercede alcuna ; e se il padrone

o alcun altro convien con loro e osserva il conve


nuto , non in questo vera e propria giustizia com
mutativa, ma unaltra virt. E lo stesso similmente
vuol dirsi dei glinol che sono del padre, e della mo
glie che del marito, i quali non possono commutar
nulla, se gi non avessero beni propr]; il che pu
variare secondo la variet delle leggi.
Si fa una quistione, se l uomo possa essere ingiu
sto verso se stesso, e par di no; perch se quello che
riceve ingiuria contento di riceverla, non pi in
giuria, secondo il detto: valenti nont infuria , ora
se l uomo fa ingiuria a se stesso, la riceve anche egli

stesso, ed contento riceverla, perch se non fosse

DELLE VIRTU MORALI lN PARTlCOLARE

75

contento, non la farebbe, dunque non pi ingiuria,


dunque non pu l uomo fare ingiuria a se stesso ,
dunque non pu essere ingiusto verso se stesso. Ben
vero che se uno uccide se stesso, quantunque non
faccia ingiuria a se, par tuttavia che la faccia ai pa
renti ed agli amici, e massimamente alla patria; per

ch niuno mai tanto suo che non sia in qualche


modo ancor degli altri, i quali possono volere e vo
gliono che esso si conservi al ben comune; e per fa

ingiuria a loro, privandoli di un bene che possono


pretendere e pretendono.
Fin qui abbiamo detto di tutte le undici virt che
furono da Aristotele annoverate; delle quali se alcuno
non sar contento, e vorr aggiugnerne delle altre,
non molto con lui contrasteremo ; n faremo quello

che fanno certuni , i quali, come avessero obbligo di


sostenere che le virt tutte in queste undici debbano
contenersi, si studiano con ogni sforzo di ridurre ogni
abito virtuoso, qual chegli siasi, ad una di esse; fu

cendo per ci bene spesso violenza alle denizioni, e


interpretandole e torcendole stranamente, di che na
scono litigi senza ne. Noi per lasceremo ad altri que
sta fatica, n molto ci cureremo di ridurre alle un
dici virt sopraddette o la clemenza, o la fedelt, o
la religione, o la gratitudine, o la cortesia , o altra
virt non nominata, contenti essendo che oltre le virt
annoverate da Aristotele altre esser ne possano. E cer
to egli par bene, che siccome ha una virt che versa
intorno alle spese, e cbiamasi magnicenza; cosi po
trebbe notarsene unaltra che versasse intorno alle fa
tiche, ed un altra che versasse intorno agli studi, ed
un altra che versasse intorno alle visite ed ai passeggi,
essendo tutte queste cose capaci di mediocrit cosi,
come sono di eccesso e di difetto. E se tra le virt
morali si pone l abito di usar facezie e di tener gra
ziosi ragionamenti, perch non potr quello anche
porvisi di usar detti gravi atti a inspirar virt e di
fare racconti onesti, e di comporre esortazioni? Ma
lunga e diicile impresa sarebbe numerar tutte le ma
niere della virt; chi per ne avr ben inteso molte,
potr intendere facilmente ancor le altre, senza aver

bisogno di affaticarsi per ridurle tutte a quelle undici.

76

PARTE TERZA
CAPITOLO XIV

Se avendosi una virt s abbiano tutte.

Aristotele insegn che avendosi una virt in grado


eccellentissimo si hanno tutte. Gli Stoici confermarono
lo stesso, levando via quelle parole: in grado eccel
lentissimo, le quali parvero loro inutili, non essendo
virt al parer loro se non quella appunto che giun
ta ad un tal grado. Prima di dimostrare 1 opinione
dAristotele piacemi premetter due cose.'

La prima che ogni virt nasce dallamor dellone


sto, e per amor dellonesto si pone in opera e si eser

cita; e non pu esser n dirsi grandissima, se lamor


dell onesto, onde nasce, e per cui si esercita, non
grandissimo. Per la qual cosa colui che ha una gran

dissima virt , avr eziandio un grandissimo amore


dell onest.
La seconda si che quanto maggiore amore sen
tir luomo in se dell onesto, tanto maggior pron
tezza avr egli a tutte le azioni virtuose , eziandio a

quelle alle quali sar meno avvezzo, supplendo in lui


alla forza delluso la grandezza dell amore; avr dun
que prontezza grandissima a qualunque azione virtuosa
colui in cui l amor dell onesto sar grandissimo.
Ci posto argomenteremo a questo modo. Chi ha
una virt in grado eccellentissimo non pu non ave
re, come test abbiamo detto, un amor grandissimo
dell onesto; e chi ha un amor grandissimo dell one
sto , ha parimente una grandissima prontezza a tutte
le azioni virtuose, il che pure abbiam mostrato poco

anzi; dunque chi ha una virt in grado eccellentissi


mo avr similmente una grandissima prontezza a qua
lunque azione virtuosa. Or chi non vede che questa

prontezza abbraccia tutte le virt? Avr dunque tutte


le virt , e sar disposto a far prontamente cosi le

azioni del forte, come del temperante , e del magni


co e del liberale e del magnanimo e di qualunque
altr virt, valendo in tutte egualmente l amore del
l onest.

DELLE VIRTU MORALI lN PARTlCOLARE

77

Tu dirai. Potrebbe uno essere avvezzo s fienare

l ira, e tuttavia non essere avvezzo a frenare il timo


re , e cosi esser pronto agli atti della mansuetudine,
c non essere a quelli della fortezza; e ci posto egli
avrebbe la mansuetudine senza la fortezza; pu dun
que uno avere una virt senza averle tutte.

Rispondo. Colui ch avvezzo a frenare lira con

virt somma, ed per ci mansueto in grado eccel


lentissimo, dovr avere un amore grandissimo verso
l onesto; perciocch senza questo niuna virt , n
pu dirsi somma; ed avendolo avr parimente, come
sopra dimostrato , una grandissima disposizione a
far gli atti della fortezza, quantunque non vi sia av
vezzo ; il che per non sarebbe se egli fosse d una
mansuetudine non grandissima, ma ordinaria; n ba.

sterebbe a render facili all uomo quelle azioni a cui


per altro non fosse avvezzo.
Ma pur dir alcuno. Quand anche avesse costui
una grandissima disposizione agli atti della fortezza ,
pur non sarebbe questa disposizione acquistata col
lungo uso, n con lesercizio di tali atti, laonde non
sarebbe abito; poich l abito una disposizione che
si acquista con lesercizio di molti atti; e non essendo

abito, n virt pure sarebbe, n fortezza; perch


come stato detto, la virt non se non abito.

Rispondo che questa disposizione agli atti della


fortezza sarebbe acquistata col lungo uso, non gi di
far atti di fortezza ( che questo ora non supponghia
mo) , ma bensi di seguire con grande animo e con
gran forza l onesto; imperocch avvezzandosi luomo
a seguir l onesto con sommo ardore in certe azioni,
acquista forza e prontezza di seguirlo ancor nellaltre.
E cosi avviene ancora in qualunque particolar virt
che avvezzandosi l uomo a esercitarla in certe occa
sioni , acquista forza di esercitarla in tutte; e co
lui che in casa si avvezza a trenar lira verso i do
mestici , la frener anche fuori verso gli estranei; e
chi veramente forte nell assalire , lo sar anche nel
difendersi; e similmente colui che esercitando una

virt avr avvezzato l animo a seguire costantemente

Fonesto nelle azioni proprie di tal virt , lo seguir


per quest uso facilmente eziandio nell altre.

78

PARTE TERZA

Bjpiglier alcuno. Pur s detto che il povero non


pu esser magnico; e che colui non pu esser pia
cevole il quale non sia ingegnoso. Or questodunque

dovr esser falso. Perch pu benissimo il povero e


il non ingegnoso aver qualche virt , come la tempe
ranza , in grado eccellentissimo; e avendo questa,

avr il povero anche la magnicenza , e il non inge


gnoso anche la piacevolezza.
_

Rispondo, che dove abbiamo detto non potere il


povero esser magnico, n aver virt di magnicenza,
abbiamo inteso non poterla avere per quei mezzi che
son pi comuni ed ordinari, e che consistono nel

lungo esercizio di quegli atti che sono propri della ma


gnicenza. Ed anche abbiamo voluto in quel luogo
considerare le virt mezzane ed ordinarie, non le ec
cellentissime e somme. Per altro se il povero avr la
temperanza in grado altissimo, egli avr parimente le
altre virt, e la magnicenza ancora; sebbene la ma
gnicenza non potr usarla per mancanza di facolt ;

ma altro il non avere una virt, altro l averla e


il non usarne. E lo stesso pu dirsi del non ingegno
so, che potr allistesso modo avere piacevolezza ,
sol che abbia la volont pronta a sollevare e ralle
grare altrui con la grazia dei motti, quantunque per
mancanza d ingegno non sappia farlo; e sar come

un forte, il qual sia trattenuto dalla podagra , onde


non possa andare incontro ai pericoli; al quale man-'

cando la prontezza del corpo, non per manca quel


la dell animo; n lascia per la podagra di esser for

te , ma un forte podagroso.
CAPITOLO XV.
Delle colpe e de vizj.
Avendo noi detto delle azioni virtuose e delle virt,
ragion vuole che dicasi ancora delle colpe e de vizi.
Diciamone dunque brevemente. E da avvertire che
l onest ci prescrive ed ordina alcune azioni; alcune al

tre non le prescrive, ma solo le propone, e quasi le rac


comanda; e quelle siamo obbligati di fare, queste non

DELLE VlRTU MORALI IN PARTICOLARE

7g

gi, sebbene anche queste ben sarebbe di farle. Cosi


ben sarebbe, e secondo lonesto_ astenersi dal vino per
maggior temperanza, ma niun obbligo per vi ci strin
ge; al contrario ognuno obbligato a moderar l ira
e conservar la fede.
'
Il contravvenire al prescritto ed all ordine della
onest, colpa la quale pu difnirsi: azione discor
dante dall onesto. Il vizio poi non altro che abito
di commetter colpe, il qual abito, chi volesse, po
trebbe dividersi in pi maniere secondo _la variet.

delle colpe; in quella guisa che secondo la variet


delle azioni virtuose si dividono le virt. Ma noi la
sceremo che altri il partano a modo loro.
La colpa poi ha alcune propriet che sono de-

gne di considerazione. E prima rende colpevole colui


che la commette, cio deforme ed imperfetto, e di

verso da quello eh esser dovrebbe; poi lo fa degno


di biasimo e di castigo. N vale il domandare in

che consista una tale deformit; perciocch in qua

lunque cosa consista, egli per certo che colui che


ha rubato, tutti lo stimano reo e degno di castigo , e
lo stimarlo cosi lo stesso che stimarlo brutto e
deforme, ed altro da quello ch esser dovrebbe.
E questa deformit e reit rimane nel colpevole ,
quantunque passi l azion della colpa; perch seblien

colui ha ammazzato ieri il compagno, e quella azion


non pi, per in chi la fece la reit daverla fatta;

n a toglierla via vale alcun atto che egli faccia , o


pentendosi di quel che commise, o in altro modo; poi
ch quantunque il ladro si Penta e restituisca quello
che ha rubato, egli per ladro , ed colpevole di
furto che gi fece, ed ha reit in se; n pu dirsi giu
sto e innocente per modo alcuno; e tuttavia merita

quel castigo che le leggi hanno imposto al latrocinio.


So chela losoa dei cristiani ha insegnato i mezzi

onde possa giusticarsi, cio divenir giusto un colpe


vole ; ma la losoa naturale , ch io sappia, non ne
mostra niuno.
E stata quistione tra gli stoici e gli altri loso, se

possa una colpa esser maggiore di un altra, dicendo


gli stoici, tutte le colpe. essere eguali, il che negavano

8o
PARTE QUARTA
i peripatetici; la ragion de quali pu esser questa. '

Essendo la colpa non altro che un azion malvagia ,


in quanto discordante dallbnesto, quella potr dirsi
colpa maggiore, che pi dall onesto discorda, e quella
minore , che meno. Ora pu un azione discordar pi
dallonesto, e unaltra meno. Potr dunque una col
pa dirsi maggiore di un altra. Di fatto chi negher,
che se due_ azioni discorderanno dalronesto, l una in

tutte le sue circostanze, l altra in una sola , non sia

quella pi discordante di questa? Come l inganna.


re con giuramento persona amica e in cosa grave,

che certo pi discordante dallonesto che non lo


ingannare in cosa lieve e senza giuramento uno stra

niero; poich questo discorda dall onesto, in quanto


solo inganno , e quello discoida in ogni sua circo
stanza. E chi non vede che pi discorda dall onesto
ammazzar suo padre che involar due scudi al vicino ?

E certo siccome naturalmente veggiamo molte cose


esser prescritte dall onesto, cosi puma naturalmente in
tendiamo alcune esserci imposte con maggior premu
ra, e per cosi dire con maggiore imperio e autorit,
altre con meno; ed esser maggior colpa contravvenire

a quelle che a queste.


Sarebbe molto utile agli oratori ed ai poeti, mas
simamente ai comici, aver raccolte le note e i con
trassegni pi illustri di ciascun vizio, per potere , ri
correndo ad esse , dipingerne in pochi tratti quando
uno e quando un altro , senza aver bisogno di tante
parole; le quali bene spesso, non toccando quelle note
pi insigni, poco vagliono. Potrebbero anche raccorsi
le note di ciascuna virt e di ciascun affetto. Aristo
tele ne accenn alquante nella Rettorica e nella Mo
rale; e molte ce ne mostrano i Caratteri di Teofrasto.

Ma in un compendio non possiamo andar dietro ad


ogni cosa.

Fine della Parte Terza.

PARTE QUARTA
DELLE VIRT INTELLETTUALI.

CAPITOLO I.
Che cosa sia virt intellettuale, e quale il soggetto
di essa, e qual la materia.

Conciossiacosach la parte ragionevole dell animo,


che chiamasi ancor superiore, contenga due potenze,
intelletto e volont, avendo noi detto abbastanza della
seconda, in cui, come nel soggetto loro , riseggono
tutte le virt morali, resta che diciamo ancor della

prima. E per cominciare dalla clinizione , diremo che


lintelletto quella potenza che riguarda le cose in
quanto sono da conoscersi, che lo stesso che dire,
quanto sono vere; siccome la volont quella poten

za che riguarda le cose in quanto son da volersi, che


lo stesso che dire in quanto son buone.
E paruto ad Aristotele, n senza ragione, che l in

telletto debba distinguersi in due facolt, l una delle


quali pu chiamarsi contemplativa l altra consultativa,
ovvero deliberativa. La contemplativa quella che con
sidera le cose non per altro che per conoscerle, come
fa il matematico allorch considera il rivolgimento del
le sfere. La consultativa quella che considera le
cose non sol per conoscerle, ma per prender consi
glio sopra di esse e deliberare; perch sebbene l ele
zione propria della volont, sta per alrintelletto
d esaminare le ragioni dell eleggere.
Ora potendo l uomo di leggieri ingannarsi e tra
scorrere in errore tanto nel contemplar le cose che

solo vuol conoscere, quanto ancora nel deliberare,


certissimo che egli pu con lo studio , e con l indu
stria, e col lungo esercizio acquistarsi un abito di giu
dicar rettamente e conoscer le cose come sono in se ,

e di vedere alle occasioni qual consiglio sia da pren

8)

PARTE QUARTA

dersi e qual no; n pu negarsi che questo abito

non sia un compimento e una perfezione delle soprad


dette due facolt. Laonde non senza ragione si chia

ma virt, e dicesi intellettuale, perciocch appartiene


allintelletto: siccome le virt che riseggono nella vo
lont, e la rendono moderatrice e signora delle pas
sioni, si chiamano morali, perciocch appartengono ai
costumi.

Si dunque la virt intellettuale un abito di cono


scere le cose rettamente, o si considerino sol per co

noscerle, o si considerino per deliberarvi sopra. E di


qui pu vedersi qual sia il soggetto della virt intellet
tuale, e qual la materia; imperocch il soggetto si
l intelletto medesimo in cui essa virt risiede; e la
materia sono le cose stesse che si considerano, in
auto son da conoscersi. E ci basti aver detto de]

l essenza della virt intellettuale e del soggetto di


essa e della materia.

CAPITOLO II.
Che la virt intellettuale necessaria alla felicit.
Che la virt intellettuale sia necessaria alla felicit
pu dimostrarsi con molte ragioni. Noi ne diremo al
cune; e la prima sia questa. Essendo non altro la fe
licit che la somma di tutti i beni che perfezionano la
natura delluomo, ne viene per conseguente che tutto
ci che perfeziona la natura delliomo sia necessario
alla felicit. Ora la virt intellettuale perfeziona senza
alcun dubbio la natura dell uomo ; dunque senza al
cun dubbio necessaria alla felicit. E se a comporre
la somma felicit vuolsi la bellezza; come non si vor
r anche la scienza, essendo questa ornamento dellani

mo non men che quella del corpo?


Un altra ragione si questa. Non pu alcuno eserci

tare le virt morali, come conviensi, senza eleggere


rettamente; n pu eleggere rettamente senza cono

scer rettamente le cose che ha da eleggere; dunque


all esercizio delle virt morali necessaria la virt

intellettuale; ma quello necessario alla felicit, dun


que anche questa.

DELLE VIRTU lNTELLETTUALl

83

Una terza ragione pu esser questa. Quantunque


Tuomo sia, siccome paruto ad Aristotele, per na
tura sua ordinato alla societ, egli tuttavia non tanto
degli altri, che non sia ancora grandemente di se me
desimo , e per non possa, anzi non debba talvolta
prender licenza dalla comunit, e ritirandosi nella so

litudine di se stesso, ricercar quivi quella felicit che


si conviene ai solitari, e che consiste principalissima
mente nella contemplazione del vero, essendo questa

l atto pi nobile che far si possa dall intelletto , il


quale fra tutte le potenze dell uomo si crede essere
ed la pi nobile e pi prestante. Ora egli certo
che l uomo non potrn prontamente, n con faci
lit trovare il vero, n contemplarlo, se egli non sar
adorno della intellettuale virt. Par dunque anche per
questo che la virt intellettuale sia necessaria alla fe
licit.
CAPITOLO III.
Divisione della uirli intellemialr.

Essendosi (la noi poco sopra distinto l intelletto in


due facolt, cio nella contemplativa e nella consul

tativa, par bene che l abito, il qual perfezionasl in


telletto, e chiamasi virt intellettuale, debba esso pure
distinguersi in due, l un de quali sia compimento e
perfezione della facolt contemplativa , l altro della

consultativa. Ma questa divisione par tuttavia troppo


stretta, ed Aristotele ha voluto allargarla alquanto. Di
remo dunque cosi:
La facolt contemplativa comprende due parti,
luna delle quali versa intorno ai principii , e laltra
intorno alle conseguenze che da principii per via di
discorso si raccolgono. Imperocch in tutte le disci
pline ha certe proposizioni che si conoscono esser vere
non gi perch si dimostrino o si raccolgano da altre

proposizioni, ma perch appariscono tali per se stesse;


e queste si chiamano principii. Cosi se uno dice: il
tutto sempre maggiore di qualsivoglia delle sue parti;
questo un principio; perch tal proposizione ma
nifesta da se, n ha bisogno di esser provata per mezzo

34

'

PARTE QUARTA

di altre proposizioni, e con discorso. Ha poi delle


proposizioni che si conoscono esser vere solo per via
di discorso, deducendole e derivandole evidentemente

e senza duhitazion niuna dai principii; e tali proposi


zioni si chiamano conclusioni, ovvero conseguenze.

Cosi se uno dice: i tre angoli di qualsivoglia triangolo


son sempre eguali a due angoli retti; questa con

clusione ovvero conseguenza; poich tal proposizione


non si terr per vera, se non si prover per via di di
scorso deducendola dai principii.

E chiaro che la maniera onde si conoscono i prin


cipii molto diversa dalla maniera onde si conoscono
le conseguenze; conoscendosi quelli per se stessi e
senza argomentazion niuna, e queste solo per via di
argomentazione; onde pare che bene e rettamente di

vidasi la facolt contemplativa dell intelletto in due ,


cio in quella facolt per cui l uomo conosce i prin
cipii, e in quella per cui conosce e deduce le conse
guenze.
Ora potendo amendue queste facolt perfezionarsi
con l uso, acquistando facilit, prontezza, abito di eser
citarle rettamente; potranno per ci essere due abiti,
l un defquali perfezioni la facolt, per cui si conosca
no i principii; l altro perfezioni la facolt, per cui si
deducono le conseguenze; e saranno due virt _della

facolt contemplativa. La prima di queste due virt

Aristotele la chiam 12;; e noi, seguendo gli altri, la


chiamaremo intelletto; la seconda fu detta da Aristo

tele Ewlspn , noi la diremo scienza.


Similmente la facolt consultativa comprende an
ch essa due part; imperocch o riguarda l opera
che vuol farsi, secondo che ella esige pi tosto una
certa forma che un altra, o riguarda l azione istessa
del farla; la qual distinzione essendo un poco oscura
la spiegheremo con esempio. Quando uno delibera di
fare un orologio, bisogna certo che egli consulti so
pra due cose; la prima , se a lui convenga tale azio
ne, e se gli stia bene di fare un orologio; e questa
consultazione riguarda lazione stessa. La seconda ,

di qual maniera debba essere un orologio, come deb


ban comporsi le ruote e le molle , e come disporle ,

DELLE VlBTU INTELLETTUALI

85

acciocch l orologio abbia quella forma che pi gli


si conviene; e questa consultazione riguarda lorolo

gio istesso, non altro cercandpsi se non la forma che


egli aver dee.

E chiaro che queste due consultazioni sono tra loro


molto diverse, eper con ragione la facolt consulta
tiva stata divisa in due parti, cio in quella per cui
si cerca se l azione convenga o no , e in quella per
cui si cerca qual debba esser la forma della cosa che
"uol farsi.

Potendo dunque amendue queste parti perfezio


narsi con l uso, acquistando facilit, prontezza, abito
di esercitarle rettamente e come conviene, perci po

tranno esser due abiti, l un de quali perfezioni la pri


ma delle sopraddette due parti, l altro laltra; e sa
ranno due virt della facolt consultativa. Aristotele
chiam la prima opvna-nr; noi la chiameremo pru
denza; la seconda rzm; noi la diremo arte.

Nascono dalle sopraddette divisioni quattro virt


intellettuali, cio l intelletto che un abito di cono
scere speditamente e con chiarezza i principii; la scien
za che un abito di dedurre speditamente e con esi
denza le conseguenze dai loro principii; la prudenza

che un convenga
ahito di conoscer
quali
azioniisi
di fare, bene
e qualie prestamente
no; e l_arte che
un abito di conoscer bene e rettamente tutto ci che
si ricerca alla perfetta forma dellopera che uno fa.
Ora bench questa divisione paia comprendere tutte
quante le virt che appartengono allintelletto, e possa
perci alcun losofo esserne contento, non lo fu per

Aristotele; il quale oltre alle quattro virt sopraddet


te se ne form una quinta che a lui parve pi bella
e pi gentile e pi nobile di tutte l altre , e la chia
m nQ/u , noi diremo sapienza. Ma egli la spieg
tanto oscuramente; e cosi la tenne nasccsa che parve

esserne geloso. Noi per ne diremo alcun poco , co


me avremo trattato delle altre quattro.

Ma prima di entrare a ci bisogna che noi sod


disfacciamo ad alcune domande. Perch prima saran
no alcuni i quali vorranno sapere per qual causa po
nendosi la scienza tra le virt intellettuali non vi si
8

se

PARTE QUARTA

ponga ancorlopinione, che un abito di dedurre le


conseguenze con probabilit bensi, ma per con dub
bio, e temendo di errare; nel che certo si distingue

dalla scienza. N dee confondersi con la prudenza, n


con larte, poich queste due virt, essendo pratiche,

versano intorno alle azioni, laddove l opinione si fer


ma bene spesso nella speculazione, e nulla ha di prati

co.Per qual cagione adunque non s aggiunge egli lopi


nione come una virt intellettuale alle altre quattro ?
Rispondo a ci brevemente. Virt non si dice se
non quell abito il quale perfeziona qualche potenza
dellanimo. Ora l opinione essendo sempre congiunta
con timore che possa esser falso ci che si tiene per

vero , come potrebbe compiere e perfezionare l intel


letto? Qual intelletto potrebbe dirsi pago e contento
essendo in tanto timore di ingannarsi? E se lopinione
di sua natura soggetta all errore , chi vorr ascri

vere al numero delle virt un abito ingannevole?


Pur dir alcuno: Anche la prudenza soggetta al
l errore , come si vede tutto il di che s ingannano

eziandio i prudentissimi, e Parte parimente. Dunque


per la stessa ragione ne la prudenza, n larte sareb
bero da porre nel numero delle virt.

Ed io rispondo che la prudenza bensi soggetta


all errore, ma non di natura sua; e solo l accidente

fa che erri talvolta. E in vero se i prudenti s ingan


nano, per questo s ingannano , perch non sono as
sai prudenti ; nascendo sempre lerrore non da pru
denza, ma da mancanza di essa. Che se si desse una

prudenza perfettissima non si ingannerebbe mai, n


lascerebbe per questo di esser prudenza. E lo stesso
similmente pu dirsi dell arte. All incontrario 1 opi
nione traendo seco di sua natura il timor delringan
no , senza il quale non sarebbe pi, n si dmandereb
be opinione , assai si vede essere di natura sua sog
getta ad ingannarsi. Per ben si dice esser virt la
prudenza e l arte, ' non l opinione; della quale ben
ch l uomo si serva lodevolmente in molte occasioni,
non per che egli se ne contenti; e soltanto se ne
serve , perch non spera di giungere a cognizione pi

perfetta. Ma passiamo oramai a dire delle virt intel


lettuali in particolare.

DELLE VlRTU INTELLETTUALI

87

CAPITOLO IV.
Dell intelletto.
Sopra abbiamo detto essere l intelletto un abito di

conoscere certamente e indubitatamente principi certi


e indubitati ; che vale a dire alcune proposizioni, la
cui verit si manifesta, ed chiara da per se stessa

senza aver bisogno di alcuna dimostrazione. Di questa


maniera sono tutti i principi della geometria , come

quelloche due linee rette non possono contenere n


chiudere spazio alcuno; e quelli dellaritmetica e molti
della logica sono della stessa natura.
Di qui si vede che la materia, intorno a cui versa

la virt dell intelletto, sono i principi di tutte le di


scipline che procedono con evidenza, come fanno la

geometria e alcune altre. Ben vero che questi prin


cipi si possono conoscere in due maniere; e il cono

scerli in una maniera proprio della virt dellintel


letto ; il conoscerli in altra maniera non proprio del

la stessa virt. Spiegbiamo queste due maniere di co


nosccrli.
Un principio, come sopra detto, altro non che
una proposizione, la qual si manifesta da per se stessa
senza aver bisogno di dimostrazione. Ma non per

questo che egli non possa anche dimostrarsi; altro


essendo il non aver bisogno di dimostrazione; ed al
tro il non potere essere dimostrato. Cosi per esempio
quel principio dei matematici, ogni parte minore
di quel tutto di cui parte , si manifesta da per se
stesso, e non ha bisogno di dimostrazione alcuna.
Tuttavolta alcuni metasici si sforzano di dimostrar
lo, deducendolo per via di discorso da un altro prin
cipio da cui fanno discendere ogni cosa, ed che lo
stesso soggetto non pu insieme essere, e insieme non

essere. Cosi lo stesso principio non ha bisogno di di


mostrazione, e per chi volesse pu anche dimostrarsi.
E nello stesso modo gli altri principi delle altre di
scipline si dimostrano dai metasici, bench non ne

sia bisogno; e quindi che la metasica si dice esser

88

PARTE QUARTA

radice e fonte di tutte le discipline , perciocch di


mostra i principi loro.
Potendo dunque un principio essere conosciuto per
se stesso , ed anche per via di dimostrazione, non
alcun dubbio che se egli si conoscer per se stesso,
sari questa cognizione propria della virt dellintel
letto, perciocch, conosciuto essendo per se stesso, egli
avr forma e natura di principio. Ma se egli si cono
scer per via di dimostrazione , egli non avr pi for
ma di principio, ma di conseguenza; e il conoscerlo
a questo modo non apparterr pi aHa virt dellin
telletto, ma piuttosto alla virt della scienza di cui di
remo appresso. Si vede dunque che la materia intorno
a cui versa la virt dell intelletto, sono i principi in
quanto si conoscono per se medesimi.

Dice Aristotele che la virt delrintelletto versa in


torno alle cose necessarie; e questo da spiegarsi.
Dico dunque che conoscendo noi i principi, intendia

mo che essi non solamente son veri, ma ancora che


essi non possono essere altrimenti, che vale a dire,
sono veri necessariamente. E quindi che da tutti si
chiamano necessari. Versando dunque la virt dellin
telletto intorno a principi, si dice che versa intorno
allecose necessarie. Non cosi si direbbe delropinione,
la qual versa intorno alle cose che si tengono per ve
re , ma insieme si conosce che potrebbero essere al
trimenti.
Fin qui abbiamo spiegato la materia della virt

dell intelletto. Prima di passar pi oltre bisogna ri


spondere ad alcuni, i quali negano del tutto che si

dia una tal virt. E questi in vero vorrebbero confon


_ dere la potenza dell intelletto con quella virt che ha
lo stesso nome; e ragionano in tal modo. La potenza

dell intelletto non certamente virt nabito; poich


non si acquista per assuefazione, ma si ha da natura.
Ora chi negher che noi conosciamo i principi delle
scienze per la sola potenza dell intelletto? Chi dir
che v abbia parte lassuefazione? ll matematico quan
do afferma che il tutto maggiore di qualsivoglia delle

sue parti, l afferma egli per un certo uso che abbia

di affermarlo, o per una natural potenza che gli fa

DELLE VIRTU INTELLETTUALI

59

intendereci che afferma? Si conoscono dunque i


principi non peralcuna virt che si acquisti eserci

tandovisi , ma per una natural potenza che non ha


bisogno di esercizio. A guisa che gli uomini respirano , non per assuefazione, ma per quella natural po
tenza che hanno di respirare; donde avviene chenien

te meglio respirino i vecchi dei giovani; bench quelli


vi abbiano un assuefazione pi lunga. E cosi i prin
cipi della scienza si intendono egualmente da tutti;
n pi dai dotti che dagbindotti.
A tutto questo rispondo essere veramente in noi
una natural potenza che chiamasi intelletto, e per la
quale conosciamo i principi; ma altro conoscere i
principi; altro conoscerli speditamente, ed avver

tjrli subito ed averli pronti al bisogno. E quanto al


conoscerli, ci spetta a quella natural prontezza che
abbiamo detto; il conoscerli poi speditamente ed averli
pronti al bisogno viene da abito. Quindi che un geo
metra espertissimo condurr facilmente a ne la sua
dimostrazione avendo alla mano tutti i principi della
sua dottrina; laddove un altro meno esercitato vi sten
terebbe sopra non avendo cosi in pronto i principi
medesimi. La forza dunque per cui conosconsi i prin
cipi natural potenza e chiamasi intelletto; ma la
forza di conoscerli speditamente_ ed avvertirli qualor
fa duopo, un abito ed virt, la quale bench
chiamisi essa pure intelletto, non per da confon
dersi con la potenza.
_
N da dire che tutti i principi si conoscano egual

mente, perch se io dir che due quantit avendo la


stessa proporzione ad un altra debbano essere egua
li, questo si intender subito senza nessuna difcolt
da un matematico; da un altro non si intender cosi

subito. E lo stesso avverrebbe molto pi inaltri prin


cipi ,' come in quello di Euclide, che se due linee rette
si tagliano da una terza, e gli angeli che si fanno in
teriormente dalla stessa parte sieno eguali a due an
goli retti, le due linee tagliate saranno per necessit
parallele; la qual proposizione alcuni non l hanno vo
luta aver per principio e ne hanno cercata dimostra
zione. E di questa maniera sono molti principi nelle

9o

PARTE QUARTA

scienze meccaniche, nella sica e nella dialettica;

come quello che niun corpo possa moversi da se stes


so; e quello che niuna cosa possa essere senza aver

qualche ragione per cui piuttosto sia che non sia; e


quelfaltro, che dalla potenza non debba argomentarsi
l atto; ma dall atto la potenza bensi; le quali cose

gli uomini esercitati nelle scienze intendono presta


mente, non cosi gli altri. E dunque manifesto , oltre

la potenza che abbiamo di conoscere i principi essere


in noi talvolta anche la facilit di conoscerli; e quella
abbiamo dalla natura, e questa dalluso; e quella

potenza, questa virt. Fin qui dell intelletto.


CAPITOLO V.
Della scienza.

Diciamo ora della scienza. La scienza un abito


dimostrativo per cui si provano e dimostrano con evi
denza le proposizioni per li loro principi; per dicesi

luomo aver scienza di quelle cose che per argomen


tazione dimostrativa conosce ; e per non dicesi aver

scienza de principi , ma solo cognizione , perciocch


i principi si conoscono, ma non per argomentazione.
La materia poi della scienza sono le proposizioni

istesse che si dimostrano, in quanto si dimostrano. Im


perocch le medesime proposizioni possono conoscersi
in due maniere, per dimostrazione ed anche senza; co
me le proposizioni della geometria, che uno pu co
noscere per averle dimostrate, ed un altro per averle
solamente sentito dire ai geometri: e tali proposizioni
in quanto sono dimostrate, sono materia di scienza;

e colui che le sa per dimostrazione, si dice che le sa;

ma colui che le conosce per altro mezzo non si dice


che le sappia.

Potendo la materia della scienza dividersi in pi


maniere, potr dividersi similmente anche labito.Quin
di che molte scienze esser si dicono, la geometria,

laritmetica, la logica, la metasica ed altre, le quali


tutte sono abiti dimostrativi; ma la materia e gli og
getti sono diversi, occupandosi la geometria nelle

DELLE VIRTU INTELLETTUALI

g!

quantit estese, l aritmetica nel numero, la logica


nelle propriet e nella natura del sillogismo , la me
tasica nelle cose intelligihili e che non cadono sotto
i sensi. E colui che ha labito di argomentare in al
cun genere di queste cose, e pu farlo con prontezza

e facilit, si dice avere quella scienza che in tal ge


nere SI occupa.
E stato detto da Aristotele che la scienza versa in
torno alle cose necessarie, incommutabili ed eterne; il
che si dimostra esser vero a questo modo. Le cose

che si conoscono per dimostrazione, e delle quali si


ha scienza, non solamente si tengono per vere , ma
anche si tiene che non possano in modo alcuno es

sere diversamente , cosi che pare che niuna vicenda


o rivoluzione di natura possa cangiarle. Mostra dun

que che sieno necessarie e incommutabili; e se tali


sono, sono anche eterne; perch quello che necessa

riamente , n pu cangiarsi , sempre ; anzi da


per tutto ed ha una certa maniera di immensit. Di
fatto qual luogo , in cui non ritronsi le verit de
gli aritmetici e dei geometri? Sono dunque in tutti i
luoghi e in tutti i tempi; o piuttosto essendo fuor di
ogni luogo e d ogni tempo , non altrove poste e lo
cate che in se medesime , risplendono e si manifesta
no ai tempi e ai luoghi tutti; e perci sono eterne ed
immense, e par che abbiano una certa sembianze di

divinit. Ma lasciamo queste sottigliezze ai metasici.


CAPITOLO VI.
Della prudenza.

Fin qui detto delle virt intellettuali che appar


tengono alla parte contemplativa. Passiamo ora a quel
le che appartengono alla consultativa; e prima dicia
mo della prudenza, della quale ci converr di ragio
nare pi largamente, essendo questo luogo molto ne

cessario nella losoa ed anche non poco oscuro.


La prudenza un abito di conoscere e distinguere
rettamente quali azioni si convengano di fare, e quali
non si convcngano; e diciamo che si conviene di fare

g,

PARTE QARTA

un azione, quando il farla conduce al ne trltimo,


cio a dire alla felicit di chi la fa; e perch tali sono

principalmente le azioni virtuose, per pu dirsi che


la prudenza sia un abito di distinguere principalmente '
quali sieno le azioni virtuose e quali no.
>
Di qui si vede quale sia la_materia intorno a cui
versa la prudenza; ed non altro che le azioni con
venienti, massimamente l'e virtuose. Ed ufcio della
prudenza il conoscerle , non il farle; essendo che il

farle appartiene alle altre virt, come alla temperati


za, alla mansuetudine, alla fortezza che sono abiti di
operare , laddove la prudenza abito di conoscere;

n basta per alla prudenza il conoscerle di qualun


que modol; ma bisogna che le conosca come virtuose
e convenienti.

N per questo che siasi detto essere la prudenza


un abito di conoscere , non di operare , vuolsi con
chiudere che la prudenza non sia una virt pratica;
che anzi Aristotele la denisce f Zfukri/L abito
pratico; e altrove chiaramente Ji Qpdniav; spaventa.
N da dubitare che ella non sia virt pratica, e
non possa chiamarsi tale per la ragione che spieghe
remo ora.

Par certamente che tutto quello che appartiene alle


azioni da farsi, scorgendole all ultimo Iine, e impo
nendole talvolta ed ordinandole debba dirsi pratico.

Ora la prudenza dirige le azioni, mostrando quai sia


da farsi e qual no; e le scorge all ultimo ne , e le
impone talvolta e le ordina, onde anche dicesi da Ari
stotele ETNGITIZ; par dunque che la prudenza deb
ba dirsi virt pratica. La qual ragione si intender
pi chiaramente, se noi spiegheremo la differenza che

passa tra il giudicio pratico e il giudiciospeculativo,


potendosi formare intorno alle azioni cosi l uno come
laltro.

Allora dunque si forma un giudicio speculativo so


pra unazione quando si giudica di essa, consideran
dola non secondo tutte le circostanze che laccompa

gnano, ma solo secondo alcune. Al contrario il giu


dicio che si_ forma pratico qualor si considerano in
qualche particolare e determinata azione tutte le

DELLE VlRTU INTELLETTUALI

93

circostanze che l accompagnano. Per esempio cercan


dosi se a donna giovane convenga il danzare pub
blicamente, e giudicandosene senza pensar ad altro il
giudicio speculativo; ma cercandosi se ci conven

ga a Giunia, la qual sa di essere bellissima danzatri


ce e che danzando sveglia in Trebazio pensieri poco
onesti, e giudicandosene secondo tutte le circostanze

di quella danza, il giudizio pratico. E qui mani


festo che il giudicio, il qual regge e governa la vo
lont, non gi lo speculativo, ma il pratico; il quale
sempre l ultimo, e dopo cui nulla pi opera lin
telletto, ma segue tosto la volont e si muove al
lazione.
Tornando ora alla prudenza da avvertire che ella
s adopera ne giudici speculativi bensi , ma anche e
molto pi e principalissimameute ne pratici, i quali

sono l ultima regola delle azioni. E se questi giudici

si chiamano pratici, perch non si chiamer pratica


la prudenza che li forma?
'

E bench _la prudenza, di cui parliamo, risegga


nell intelletto , non per che in certo modo non
possa dirsi prudente anche la volont , qualora ella
segua i giudici retti dellintelletto, poich seguendo
li segue la prudenza. E se avr abito di far ci, po
tr dirsi quest abito una certa prudenza, la quale
conterr in se la giustizia , la liberalit, la fortezza e
tutte l altre virt morali. Laonde stato detto che
dove sia la prudenza, ivi esser debbano tutte le virt
morali, ed al contrario; e Socrate diceva che ogni
virt una certa prudenza. E quindi anche argomen
tano alcuni, niuna virt perfetta poter essere senza
tutte le altre, e ci per una ragione che credono di
aver trovata in Aristotele; ed questa. Una virt per
fctta non pu esser senza la prudenza; ma la pru
denza non pu essere senza tutte le altre virttdun

que una virt perfetta non pu essere senza tutte le


altre. Ma di ci abbiamo ragionato altrove.
Ora tornando alla prudenza che sta nell intelletto,
dico in primo luogo che ella versa intorno alle cose
non necessarie; e in secondo luogo che ella versa in

torno alle cose singolari.

94

PARTE QUiRTA

Primamente versa la prudenza intorno alle cose


non necessarie, versando intorno alle azioni che pos
son farsi, e possono anche non farsi, e sono libere,
e non hanno necessit niuna. Di fatto la prudenza
si esercita nelle deliberazioni; n mai si delibera in

torno alle cose che necessariamente saranno. Versan


do dunque la prudenza intorno alle cose non neces
sarie, assai si vede che molto diversa dalla scienza
e piuttosto trae all opinione; per soggetta all er

rore, come lopinione altresi.


Versa poi la prudenza intorno alle cose singolari ,
csercitandosi nei giudici pratici che versano intorno

alle azioni singolari. Per disse molto bene Aristotele


essere la prudenza quasi un certo senso, iifnfns
ppvna-n; perch siccome i sensi versano intorno alle

cose singolari e determinate, cosi anche la prudenza.


Di qui si conosce quanto debba esser difficile as
segnar le regole della prudenza; poich le regole in
tutte le discipline, essendo universali esse , risguar
dano le cose universali, e se tali non fossero non

si chiamerebbero regole. Ora come assegnar le rego


le della prudenza che versa intorno alle cose singo

lari? Per gli uomini si fanno prudenti non per re


gole , ma per esperienza e per uso. Laonde dice Ari

stotele che potr un giovinetto essere pi facilmen


te gran matematico , che uomo prudente; perch la
matematica si apprende per certi principi universali,
la prudenza con luso; e a intender quelli basta una

grande acutezza di ingegno che un giovinetto pu


avere ; l uso non pu.
Prima che noi lasciamo di dire della prudenza ,
a bene notar due abiti, i quali bench sieno diversi,
da essa per si derivano, e in essa per certo modo si
contengono, e sono l economico ed il politico. Leco
nomico quello per cui l uomo provvede alla fami
glia , giudicando secondo retta ragione di tutte le co
se che alla felicit di quella convengono. Il politico
quello, per cui luomo similmente provvede al comu
ne _o alla citt. E questi due abiti come si distinguono
tra loro, cosi anche si distinguono dalla prudenza ,

per cui l uomo provvede alla felicit non della fa


miglia , n del comune , ma sua.

DELLE VIRTU INTELLETTUALI

95

Ben vero che se l uomo aw il governo della


famiglia O della citt , mancher molto alla virt sua
se egli non istudier tutti i modi di render felice e
luna e laltra; e mancando alla sua. virt mal prov
veder agli altri ed a se stesso , efacendo altrui in

felice sar infelice egli pure. Par dunque che se egli


avr la prudenza che gli conviene, dovr anche ave
re l economia e _la politica. Ma gi dellaprudenza ,
per quanto soffre la brevit di un compendio, assai
si detto.

CAPITOLO VII.
Dell arte.

Diremo ora dell arte, ragionando alquanto della


natura sua, e poi del suo oggetto. Dico dunque che
l arte un abito di conoscere e distinguere rettamen
te tutto ci che si ricerca a renderbella e perfetta
l opera che si fa; ed abito di conoscere , non di
fare; essendo posto nell intelletto , di cui proprio
il conoscere; il fare poi appartiene alle altre facolt.
N io credo che in altra maniera debba spiegarsi

Aristotele, l dove edice esser l arte iii; xomxiiv;


le quali parole bench si interpretino da alcuni: habi
tum faciendi; meglio per , secondo ch io giudico ,
si spiegan da altri dicendo: habftum adfaciendum

idoneum ; cio abito acconcio al fare , perch di ve


ro niuna cosa pi acconcia a farbene il lavoro ,
che il conoscere tutto ci che alla perfetta forma di

esso si appartiene.

N mi si dica che arteci si chiamano quelli che


fanno e non quelli che conoscono. Perch io rispon
der che quelli che conoscono hanno benissimo la
virt che noi ora diciamo arte, bench non la eser

citino , e per il popolo non li chiami arteci; essen


dosi imposto questo nomea quelli che insieme han

no la virt e ladoprano. E quindi , che uno pu


aver larte, e tuttavia non essere artece, potendo

mancargli l esercizio, quantunque non gli manchi la


cognizione. Cosi al danzatore cui sia offesa una gam

96

PARTE QUARTA

ba manca lesercizio del danzare, non manca Parte;


e il pittore a cui stato tolto il pennello, si dir aver

perduto il pennello, non l arte.


Ben vero che chi non abbia mai fatto un lavo
ro difcilmente pu averne larte, cio conoscere tut
to ci che si richiede alla perfetta somma di esso;
cosi difcilmente intender tutto quello che si ricer
chi alla leggiadria di una danza chi non abbia mai
danzato; ma altro che l arte si acquisti per mezzo
di qualche esercizio , altro che consista nell eserci
zio medesimo.

intendendo larte alla perfezion di quello che si fa,


come si vede per la denizion sua ,' chiaro apparisce
averiessa un ne assai diverso da quello che hanno
le virt morali, le quali intendono a perfezionare luo

mo che fa, non le cose che egli fa; e quindi che


alcuno pu aver una o molte arti, e far belli e com
piuti i suoi lavori, senza per far belh e compiuti i
suoi costumi, ed essendo un huon artece essere un
cattivo uomo. Per l arte per se stessa non contiene
virt morale. Anzi pu uno talvolta mancare all arte
con virt , come lo schermitore che per non offen

der l amico che s interposto lascia sfuggir l oc


casione del colpo , il quale facendo atto di amicizia,
pecca nell arte, e guastaudo la scherma perfeziona
se stesso.
Di qui alcuni hanno tratto una bellissima diffcrenf

za che passa tra la prudenza e larte; ed che con


tra la prudenza non pu mai peccarsi senza biasimo,

contra larte u peccarsi anche con lode. E la ragio


ne si , perc i colui che pecca contro l arte pu
a"er giusto motivo di farlo pensando piuttosto a per
fezionar se stesso che il suo lavoro; laddove colui
che pecca contro la prudenza non pu avere niun

giusto motivo di farlo; poich se l avesse non pec


cherebbe pi contra la prudenza.
Ma diciamo oramai della materia intorno a cui
versa l arte, la qual si certamente tutto quello che

si ricerca alla bellezza e alla perfezione delle cose


che si fanno; imperocch l abito di conoscer ci
l arte. Per le arti sono molte, essendo molto varie

DELLE VIRT INTELLETTUALI

le cose che si fanno, ed avendo varie maniere di bel


lezza e

perfezione; poich altra forma di bellezza

si richiede a una danza, altra a un poema, ed altra


a una pittura.

Dicesi ancora che larte versa intorno alle cose


non necessarie. Di fatto le cose che si fanno per arte

potrebbero anche non farsi; e si fanno belle e per


fette, e potrebbero anche farsi non belle n perfette;
laonde si vede che non hanno in se, n di natura
loro, necessit niuna. Dunque larte versa intorno al

le cose non necessarie, e in questo simile alla pru


denza.

CAPITOLO VIII.
Della sapienza.

Il nome greco FnO/u, che per noi vale sapienza,


stato preso da molti in molte maniere; alcuni lhan

no attribuito a qualunque arte o scienza che si pos


segga in grado sommo; onde sapienti si sono chiama

ti anche gli scultori. Altri sotto questo nome hanno


inteso la coorte di tutte le morali virt.
E cosi inteser gli Stoici in quelle loro famose sen
tenze, per le quali insegnavano che niuno pu es
ser ricco, niuno nobile, niuno signore , niuno sano,
niuno bello, se non il sapiente; nelle quali sentenze

raccolsero tutto l orgoglio della loro losoa.


Aristotele di qual maniera abbia preso lo stesso
nome, gran quistione, e da non dichiararsi cosi fa
cilmente; perciocch avendo egli posto la sapienza,
come quinta tra le virt intellettuali, par certo che

egli abbia voluto distinguerla non che dalle morali

tutte , ma anche dalle quattro intellettuali che sopra


abbiamo spiegate. E

dalla prudenza e dall arte

la distingue senza alcun dubbio , volendo che la sa.


pienza versi intorno alle cose necessarie, eterne, im

mutabili , universali, intorno a cui non versano n


l arte, n la prudenza.
E pare ancora che abbia voluto distinguerla dalla
scienza, avendo detto che la scienza versa non gi
9

98

PARTE QUARTA

intorno ai principi , ma solo intorno alle conseguen


ze; e che la sapienza versa intorno alle une ed agli

altri , con che viene a distinguerla eziandio dall in

telletto, il qual versa solamente intorno ai principi.


E le parole di Aristotele son chiare l dove e dice:
d"a; u! QI pi,

yin ti: ix} rI nipziv infiniti,

sAAt noti repi rin anche lnsvisn.


_
E quindi potrebbe alcuno argomentare , che se
condo Aristotele la sapienza dovesse confondersi con
lintelletto e con la scienza presi insieme; come fos

se la sapienza non altro che un intelletto prestantis


simo congiunto ad una scienza prestantissima; questo

ancora pare che abbia lasciato scritto Aristotele, l


dove ragionando della sapienza, la dice scienza ed
intelletto.
(p/u v5; ai tmnipn 75v pmnru,
e poco appresso: ii Mola ui u: ETIFH/MU mi ti:
Tl/innciuv oau; cio la sapienza una scien

za e un intelletto delle cose che sono di lor natura


prestantissime. Sebbene volendo egli che la sapien
za sia una scienza la quale versi intorno alle cose di
lor natma prestantissime, pare in certo modo che la
distingua dalle scienze comuni. Che scienza sar ella
dunque? Oltre che se volle Aristotele formareuna
virt congiungendone due insieme, avrebbe potuto

similmente formarne altre ed altre congiungendone


insieme altre ed altre.
Veggiamo dunque di spiegare questa cosi oscura
sapienza senza partirci , per quanto possiamo , n da
Aristotele, n dal vero. lo dico pertanto, tale sapien

za non altro essere che la metasica , la qual certo


versa intorno alle cose prestantissime e nobilissime ,
versando intorno alle verit astratte che sono eterne
ed immutabili; onde subito si vede distinguersi essa

dalla prudenza e dall arte.

E perch la metasica salendo pi alto che le al


tre scienze cerca le ragioni dei principi e li dimo
stra; perci pare che si distingua anche dallintelletto
e dalla scienza; poich l intelletto considera i princi
pi , e la scienza li segue senza dimostrarli. E pu an
che la metasica chiamarsi in certo modo intelletto e
scienza, poich versa intorno ai principi : ci che fa

DELLE VIRTU INTELLETTUALI

99

ancor Pintelletto , e li dimostra per via di argomen

tazione e di discorso: ci che proprio della scienza.


Egli si par dunque che la metasica, distinguendo
si senza alcun dubbo dalla prudenza e dall arte,
distinguasi ancora dall intelletto e dalla scienza, e
tuttavia possa anche dirsi scienza ed intelletto; e in

somma abbia tutte le condizioni che in quella sua


tanto sublime e _tanto oscura sapienza Aristotele ri

chiedeva. Perch
nonnome
diremo
noi dun e che egli
intendesse
per un tal
la metasicasu

Fine della parte quarta.

PARTE QUINTA
DI ALCUNE QUALIT DELUANIMO
CHE NON SONO N vizi, m; vmTU

CAPITOLO PRIMO.
Nota delle qualit di cui vuol trattarsi.

Molte e molto varie sono le qualit dell animo, le


quali quantunque bene e pregevoli, non si vogliono
tuttavia porre tra le virt , come n meno tra vizi i

loro contrari. Delle quali fa duopo ragionare, si per


ch alcune dispongono alla virt, ed altre apparten

gono grandemente alla felicit; si ancora perch mol


te sono alla virt cosi somiglianti che per poco non
si confondon con essa, ed ufcio del losofo il di
stinguerle. N noi per tratteremo ora di tutte , ma
solamente ne toccheremo alcune che sono state no
tate da Aristotele ; n ci metteremo gran fatto cura
dell ordine, come in cosa che difcilmente potrebbe

ordinarsi, e non ne ha per molto bisogno.


Diremo dunque in primo luogo della virt eroica,

che piuttosto un eccesso di virt che virt; poi pas


seremo alla continenza e alla tolleranza, la prima del
le quali risguarda il piacere , la seconda il dolore. Co
me di queste tre qualit avremo ragionato, o dei loro
contrari , diremo anche della verecondia, la qual si
muove scoprendo l uomo una certa sconvenevolezza
in se stesso, e dello sdegno che gli viene scoprendone
alcuna in altrui. Diremo appresso alquanto pi lar
gamente dell amicizia, la quale pare in certo modo
virt; e del piacere, il quale salito in tanto pregio

che presso molti tien luogo di felicit. Indi tornando l


donde da principio partimmo,ragioneremo alcun poco

della felicit e porremo ne a questo nostro compendio.

Dl ALCUNE QUALYAv DELIIANUIO

i0|

CAPITOLO 11.
Della virt eroica.
\

Non ha dubbio che la virt pu esser maggiore


_ e minore per inniti gradi come le altre qualit tutte;

perch siccome il calore pu sempre pi crescere, non


potendosene assegnare uno tanto grande che non possa
intendersene un maggiore; e lo stesso pu dirsi della

robustezza, della bellezzae delle altre qualit del cor


po; cosi anche interviene della virt , non potendosi

cosi facilmente intendere virt tanto grande che altra


pi grande non possa assegnarsene.
'
Ben vero, che siccome l uomo non pu consegui

re tutti i gradi della robustezza, ma si contiene den


tro a certi limiti oltre i quali d ordinario non passa;
e chi li _ oltrepassasse mostrerebbe avere non so che

di soprannaturale; cosi n pure pu l uomo conse


guire tutti i gradi della temperanza e della fortezza,
e delle altre virt morali; ma si riman d ordinario
dentro a certi limiti, oltre i quali chi passasse si sti
merebbe avere una virt pi che umana.
Questa virt dunque grande, straordinaria, mara
vigliosa, pi che umana, chiamasi virt eroica; la qual
non si dice semplicemente virt, perciocch non par
propria dell uomo, ma daltra cosa che sia dell uomo
pi eccellente; e noi siamo soliti chiamar virt sola

mente quegli abiti che son dell uomo. Laonde stato


detto in Dio non esser virt, ma una certa sovragivan
dissima eccellenza maggiore d ogni virt. E quindi
ancora che la virt eroica attribuivasi dai Greci ai
gli degli Dii e ai Semidei che si stimavano essere
meno che Dii e pi che uomini; de quali molti ne
furono tra gli argonauti e tra quelli che poco appres
so andarono a Troia; se pure si vuol por mente alle

favole. Dal n qui detto pu vedersi che cosa sia la


virt eroica, la quale maggiore della virt umana,

n per giunge all eccellenza divina.


Ora egli chiaro che un eroe dee avere tutte quan
te le virt; e la ragione si questal Un eroe dee aver

PARTE QUINTA

qualche virt in grado eccellentissimo; perciocch se


niuna ne avesse non sarebbe eroe; ma chi ha una

virt in grado eccellentissimo dee averle tutte, come

abbiamo in altro luogo dimostrato; dee dunque leroe


averle tutte.

Saranno alcuni i quali diranno, che 1 eroe non


stato n per esser mai ; e che pertanto nulla ci ap
partiene il saperne; ed essere per ci vano lo scri

verne e farne i trattati. I quali io dico che si ingan


nano; perch n meno fu mai alcun ottimo oratore ,
n alcun perfetto capitano; e ptwe ne sono stati scritti

libri interi che si stimano utilissimi; perciocch molto


giova all uomo, per rendersi migliore , il conoscere
ed il sapere qual sia la forma del perfettissimo e del

lottimo. Per i poeti nelle loro epopeie intendono di


insegnare agli uomini la virt, proponendone loro

una grandissima e quasi divina nelle azioni di un


qualche eroe.

Per la qual cosa non perduta opera sarebbe ed ai


poeti certamente utilissima, fermarsi alquanto nella
considerazione della virt eroica, e mostrandone le va
rie forme, e le parti tutte, e gli ufci, farne distesa
niente un trattato. Ma questo a noi ora non appartiene.

Solamente a levar l errore d alcuni a quali uno non


pu parere eroe se non ha l animo sgombro e sciolto
d ogni passione, diremo allincontrario, poter l eroe
sentir le passioni e turbarseue, e far talvolta le azioni
oneste con qualche stento e fatica. Il che dichiarare
mo brevemente a questo modo.
Quella prontezza e facilit che uno ha a fare le
azioni oneste, e in cui consiste la virt, non vien per

altro, se non perch la parte ragionevole dell animo


ha per esercizio e per uso acquistata una forza molto
maggiore che non quella dell appetito. Ma la forza

dcllappetito non la stessa in tutti, n sempre; es


sendo in alcune occasioni assai piccola, ed in altre pi
grande, ed in altre grandissima e terribilissima: nel

che molto vagliono gli oggetti esterni che, penetrando


per via desensi inno allanima, commovono lappe
tito e l accendono ora pi ed ora meno , e fanno tal
volta contrasti grandissimi da mettere in turbamento
e in pericolo qualunque virt.

Dl ALCUNE QUALITA DELIANIMO

i03

Quindi che pu uno esser prontissimo e spedi


tissimo contra gli assalti comuni ed ordinari dell ap
petito, onde a ragione virtuoso sia detto: ma contra
quei grandissimi e furiosissimi non cosi; de quali non

uscir vincitore senza turbamento e fatica. N pu


darsi una virt tanto grande, che accendendosi viep
pi l appetito ed infuriando non possa giungere a
darle noia; se gi non fosse quella una virt innita,
la quale essendo tale non sarebbe virt, ma piuttosto
una qualit propria di qualche Dio.

Ora l eroe si quello che nei comuni ed ordinari


assalti dell appetito cosi si porta, e con tanta facilit
li respinge che pare in certo modo che non li senta;

e in questo mostra essere pi che uomo; ma nei gran


dissimi e furiosissimi si turba alquanto e si alfatica
ancor egli ; ed anche in questi per mostra essere pi
che uomo vincendoli; siccome vincendoli con fatica
mostra essere men che Dio. E questa la differenza
che passa tra l eroe e il virtuoso, che molto pi sen
za alcuna comparazione si ricerca a turbar un eroe,
di quello che si ricerchi a turbare un virtuoso; ma

non per che non si turb talvolta anche l eroe.


Per la qual cosa mal fanno certi tragici i quali vo
lendo (non so per qual ragion mossi) condurre eroi
su le scene , vi conducono insensati; e cosi li fanno

andare alla morte come al pranzo. Ma Virgilio che


intese ottimamente tutte le cose, form talmente il suo

Enea che potesse e temere nepericoli grandissimi, e


dolersi , e compartire altrui, e prender odio , e sde
gnarsi, purch ne fossero le cagioni gravissime. Per
non volle che egli si accendesse damore per qualun
que volgar bellezza, come i nostri paladini fanno; ma
soltanto allorch savvenne ad un volto reale, pieno
di grazia e di belt, con tutte le attrattive dellonest
e del valore; n questo ancora era bastante ad accender
lo, se non vi si aggiungevano e la gratitudine e la com
passione, e non vi concorrevano in particolar modo

e il luogo e il tempo e la fortuna e il destino e gli


Dii ; cosi che pare che tutte le forze si mettessero in

opera tanto umane quanto divine per far si che l au


gusto fondator di Roma dovesse innamorarsi della|t

i04

PARTE QUINTA

gusta fondatrice di Cartagine. Tanto vi volle a far na


scere il pi nobile eil pi magnico abbracciamento
che sia stato al mondo mai , qual fu quello di Enea
e di Didone. Fin qui della virt eroica.
Alla virt eroica opponsi una qualit dell animo
che Aristotele ha chiamato Gnpirnra, noi potremo dire
erezza, ovver ferit, ed un eccesso di vizio cosi gran
de che par non possa in uom cadere ; e chi l ha, mo
stra dessere men che uomo, e piuttosto era che
uomo. Come se uno senza niuna necessit uccidesse
i gli e tranquillamente se li mangiasse; che ognun
direbbe costui essere non un uomo, ma un mostro.
La ferit vien talvolta dalla consuetudine; e cosi se
ne son veduti parecchi esempi nelle nazioni barbare e
selvagge. Viene anche per malattia, come ne furiosi ;
e per soverchia tristezza d animo si dice di molti
che sieno dati in erezza. E venendo cosi non vi,
zio, ed cosa men cattiva del vizio, ancorch sia, co
me dice Aristotele, pi terribile; perch pi danno

ne reca colui che preso da ferit , che non il mal


vagio il qual men si teme, bench sia peggiore; a quel
la guisa che men si teme l usuraio che la serpe, ben
che lusuraio sia malvagio', la serpe non abbia in se
malvagit niuna
CAPITOLO I l l.
Della continenza.

La continenza, che da Aristotele si dice iyxpreia,


una disposizion d animo a vincere , ma con fatica
per e difcilmente, la cupidigia dei piaceri; n gi di
tutti i piaceri, ma di quelli solamente che son del gu
sto e del tatto; perch chi vince la cupidigia degli
altri diletti, come della musica o della caccia, non si
dice propriamente wxpmf, continente; ma chiamas

con altro nome. Forse che estendendo la continenza


ai piaceri del gusto offendiamo alcun poco l uso del
comun favellare ; il che se vero, non molto per ci

pentiremo di aver errato in cosi piccola cosa.


E gi. si vede che la tempemnza e la continenza ver

DI ALCUNE QUALITA DELL ANIMO

'05

sano intorno alle stesse cose, n per sono lo stesso.


Poich per la temperanza si vince la cupidigia dei pia
ceri facilmente e quasi senza fatica; per la continenza
con fatica e difcilmente. Laonde la temperanza virt,
la continenza solo disposizione alla virt.
Alla continenza opponsi l incontinenza, che da Ari
stotele vien detta 021,41!!! ; ed una disposizione che
ha l uomo a lasciarsi trarre dalla cupidigia dei pia
ceri pi che non conviene; bench anche questo fac

cia con fatica e mal volentieri, e combattendo pure e


contrastando con lappetito. Quindi che l inconti
nenza non si mette tra i vizi; perch siccome la virt
un abito per cui facilmente si fanno le azioni one
ste, cosi il vizio un abito per cui facilmente si fan
no le disoneste; n questo pu dirsi dellincontinente,
il qual non si piega alle cose disoneste, se non dopo
molto e lungo contrasto, quasi vinto e strascinato dal

la passione.
E di qui si vede qual sia la differenza tra l incon
tinente e l intemperante; perch l intemperante, co
me vizioso, cede ad ogni urto della passione senza
contrasto; l incontinente cede solo agli urti maggiori
e pecca con fatica; laonde lintemperante ha il gin

dicio guasto, l incontinente intende meglio, e meglio


conosce di far male; di che avviene che lincontinen
te spesse volte si pente del suo eccesso e si corregge;
ci che non fa se non rade volte l intemperante.
E stata quistione tra i loso, se 1 incontinente pos
sa dirsi prudente; perch da una parte l incontinente

il qual pecca e fa tuttavia gran contrasto all appetito


per non peccare, mostra ben di conoscere e giudicare
che non gli convenga 1 azione che egli fa; percioc
che non contrasterebbe se questo non conoscesse; on

de pare che abbia prudenza conoscendo e giudicando


_dellazion rettamente. Ma d altra parte qual maggiore
imprudenza che elegger quello che si conosce esser
cattivo? E perci pare che lincontinente non abbia
prudenzarvollero dunque alcuni, che lincontinente
debba dirsi prudente ed altri no. Aristotele lo lasci

_essere imprudente; di che due ragioni possono ad


dursi.

,06

PARTE QUINTA

In primo luogo il prudente virtuoso, essendo la


prudenza, come sopra dimostrato, di sua natura con
giuntissima alla virt; ma lincontinente non virtuo

so, essendo l incontinenza una disposizione al vizio;


par dunque che l incontinente non debba aversi per
prudente.
In secondo luogo l incontinente quantunque formi
assai rettamente il giudicio speculativo, considerando
lazione in generale, tuttavia peccando mostra di non
formare assai rettamente il giudicio pratico, ma la pru
denza posta principalmente negiudici pratici; dun

que non a dire che l incontinente abbia prudenza.


N per da maravigliarsi se molti incontinenti

si odono parlare nelle adunanze e compagnie degli


uomini ottimamente e dar lezioni utilissime, ed esser
molto da attendersi le lor sentenze; imperocch in
tali compagnie per lo pi avviene che si ragioni delle

cose in generale, senza discendere alle ultime partico


larit, nelle quali sole lincontinente erra. Senza che

nelle compagnie allegre e gioconde, e che si tengono


pi a passar tempo e sollazzarsi onestamente cbe ad
altro ne entrar non sogliono le impetuose passioni ,
che sole possono conturbare il giudicio dellinconti
nente, il quale conosce ed ama la virt n tanto che
la passione gliel consente.
CAPITOLO IV.
Della tolleranza.

La tolleranza che da altri stata detta costanza, e


da Aristotele aprir/z una disposizion d animo per

cui l uomo sostien la noia e il dolore senza turbarsene


pi di quello che gli si convenga; e il fa per con
fatica e diflicolt; onde si vede non esser fortezza n

virt, essendo che il forte e il virtuoso sostien la noia


e il dolore facilmente.
Alla tolleranza opponsi una qualit che noi potremo
dire intolleranza, o mollezza d animo, e da Aristotele
fu detta Mania, ed una disposizione, per cui luo
mo resistendo al dolore, e contrastando per sostenersi,

DI ALCUNE QUALITA DELUANIMO

m7

pur cede e si abbandona di tanto in tanto a una so


verchia tristezza; nel che non n effemminatezza,

n vizio; perch l elfemminato e il vizioso cede su


bito al dolore e si turba senza contrasto.
I continenti sogliono essere tolleranti, perciocch
chi pu astenersi dal piacere , pu anche soffrir con
pazienza il dispiacere E similmente glincontinenti so
glion essere intolleranti, perciocch chi non sa aste
nersi dal piacere molto meno sapr soffrire il dolore.

Oltre a ci la continenza una disposizione per cui


l uomo privandosi d un piacere , soffre una noia ; es
sendo sempre noioso il privar se stesso d un piacere.

Par dunque che niuno possa essere continente se non


ancora in qualche modo tollerante.
CAPITOLO V.
Della verecondia.

La verecondia una disposizione che ha luomo


a vergognarsi del mal fatto, temendo a eagion di que
sto non esser tenuto cattivo dagli altri. Onde si vede
che la verecondia non qualunque vergogna, ma quel
la sola che nasce dall azion poco onesta. Perch quan
do gli uomini si vergognano o della povert, o della

ignoranza, o d esser nati in basso luogo, quella si chia


ma piuttosto vergogna che verecondia.

Anzi pare che verecondo si chiami per lo pi colui


il qual si vergogna duna colpa che gli altri compa
tiscono leggermente, bench egli di tale compatimen
to non si accorga, e per ci si turbi. Onde la verecon
dia congiunta con semplicit danimo ed e propria
dei giovani e delle donne. I vecchi o non si vergo
gnano di cosa niuna, o si vergognano solo delle brut
tissime e che non possono essere compatite. Ne gio
vani si compatiscono tutte pi facilmente; se gi non
fossero di quelle atrocissime in cui non suol cadere
il verecondo; e pi si compatiscono se essi se ne ver
gognano; perch vergognandosene mostrano penti
mento; e pi da lodarsi nel giovane il pentimento

che (la biasimarsi la colpa.

m8

PARTE QUlNT

Bench la verecondia sia una qualit molto com


mendabile, essendo indizio di gentile animo e costu

mato, e inducendo l uomo a pentirsi del mal fatto ,


non per questo vuol numerarsi tra le virt; essendo
piuttosto una perturbazion d animo ed una passione
che vien da natura, che un abito; laonde accortamente

Aristotele nel secondo libro della rettorica la pose tra


gli affetti. Di fatto non si dice mai che il verecondo
si vergogni facilmente , perch egli sia avvezzo e per
lungo tempo esercitato a vergognarsi. Anzi vergognan
dosi pi i giovani che i vecchi, pare che la vergogna sia
una disposizion danimo, la quale esercitandola venga
meno, ci che non avviene delle virt n degli abiti.
Siccome poi la verecondia disposizione alla virt,
e per molto commendata ( almeno dovrebbe es
sere, e certo gli antichi ne fecer gran conto), cosi la
inverecondia, o vogliam dire la sfacciataggine, la qual
consiste nel non vergognarsi di comparir cattivo alla
presenza degli altri, grandissima disposizione al vizio
ed degna di grandissimo biasimo, n posson servir
le di scusa i costumi presenti. E pare che tanto pi si

disdica ai giovani ed alle donne, quanto pi d essi


propria la verecondia.
CAPITOLO VI.
Dello sdegno.

Ha una certa disposizione danimo che daGreci fu


detta psim, noi la diremo sdegno; ed quella per
cui luomo si turba qualor vede onorarsi edinnalzar
si glimmeritevoli. E questa piuttosto perturbazione
e passione che virt; perciocch niuno si sdegna per
avere contratto abito di sdegnarsi, ma solo perch cosi
fatto da natura; e la virt, come abbiamo detto in

pi luoghi, abito.Per ben fece Aristotele nella sua


rettorica a porre 1.4 "pia-m , lo sdegnarsi, tra gli affetti.
E bench lo sdegno non sia virt, per indizio

di virt; perch colui che si sdegna mostra di cono


scere che non conviene onorar il vizio n innalzarlo,

e spiacendogli l innalzamento dei viziosi mostra di

Dl ALCUNE QUALITA DELUANIMO

i09

amare la giustizia e la virt. Il perch sogliono fa


cilmente sdegnarsi i dotti e i virtuosi e quelli che han
no l animo grande e signorile; al contrario i vili e gli
abietti non soglion essere disdegnosi; servendo anche

molto allo sdegno l opinione che uno ha del proprio


merito, onde soffre malvolentieri che un indegno si
goda quella fortuna che a lui converrebbe: e tale opi
nione propria del magnanimo, non del vile.
Quantunque lo sdegnoso meriti laude, in quanto ama
la virt; pi per a mio giudizio ne meriterebbe se
sapesse amarla senza sdegno; il che sarebbe, se im
parasse dalla virt medesima, quanto poco conto far

si debba delle dignit e degli onori e degli altri beni


della fortuna; i quali se egli stimasse poco, non gli
darebbe fastidio che toccassero , come quasi sempre

avviene, ai malvagi; ma egli mostra stirnarli troppo


avendone gelosia, e fa come gli Stoici i quali sprezza
vano la sanit, le ricchezze , gli onori, non avendoli
per beni ; ma volean per che niuno li possedesse se
non il virtuoso, con che mostravano pur di stimarli.

Allo sdegno opponsi una disposizion daniino alla


quale non saprei che nome imporre; ma comunque
si nomini, consiste in questo che l uomo non senta

rincreseimento niuno di vedere esaltato il "izio e op


pressa la virt. E una tal disposizione molto vicina
alla malvagit; perch colui cui non dispiace di ve
dere la virt oppressa, si indurr di leggeri apppri
merla egli, n curer molto di essere virtuoso. E dun

que assai vicino ad essere malvagio colui che non


punto sdeguoso.
CAPITOLO VII.

Dell amicizia.

n i nobile n
_pi
. Non
. luo 5 o in tutta la lsosoa
.
P .
. .
illustre di questo; sopra cui sono stati scritti e
dai Greci e dai Latini volumi interi ieni di ma ni
P _
g
cenza e di dottrina. Noi dunque ne scriveremo, bre

vemente in verit, se la dignit della materia si con


sideri ; ma per pi ampiamente che non abbiamo
X0

Ho

PARTE QUINTA

fatto delle qualit spiegate di sopra. E in primo luogo


diremo che cosa sia l amicizia, e la divideremo nelle
sue parti.

lo dico dunque che l amicizia una scambievole


benevolenza scambievolmente manifestata; e dico be
nevolenza perch senza questa non pu essere ami

.cizia, e bisogna che sia scambievole, perch se Ce


sare vorr bene a Lentnlo, non perci si diranno ami
ci, quando Lentnlo anch egli non vogha bene a Ce
sare; n tampoco si diranno amici, se volendo bene
1 uno all altro, l uno per non sappia della benevo
lenza dellaltro. Par dunque che nell amicizia debba
essere la benevolenza non solo scambievole, ma anche
manifestata. Per ben fece Aristotele, il quale avendo
detto vvamv eiv uvruriz.MHW

A/uv uau, cio che

l amicizia una benevolenza contraccambiata, non


fu contento, ma volle aggiugnere in Aarilniysaar, che
quanto dire non nascosa.
Non per che questa manifestazione di benevo
lenza si voglia far sempre con le parole; che anzi ci

avvien di rado, perch in alcune amicizie, come ve


dremo appresso , la manifestazione si fa dalla natura
istessa , o dalle leggi senza che luomo vi abbia par
te; oltre che sempre pi vagliono le azioni che le pa
role. La benevolenza poi manifestata induce in quelli
che la manifestano un certo obbligo di conservarla
per l avvenire; perch colui che vuol bene oggi dee

avere in animo di voler bene ancor domane; altri


menti non vorrebbe bene n meno oggi; e se ha tale
animo dee conservarlo, ci richiedendosi alla fedelt
e alla costanza.
Non poi da dubitare che la benevolenza non in
duca luomo a esercitare gli ufci dellamicizia, im
perocch chi vuole il bene di un altro (in che po
sta la benevolenza ) lo procura anche in tutti i modi; _
e questi sono gli ufllci dell amicizia.
Spicgata cosi la natura dell amicizia facilmente si

intende ,niuna societ doiver essere tra gli nomini o


_instituita dalla natura o introdotta dagli uomini istes
si, a cui non corrisponda una certa maniera di ami

cizia ; imperocch quali societ esser pu in cui non

DI ALCUNE QUALlTA DELUANlMO

n!

ricerchisi che l uno voglia un certo bene all altro? E


questa benevolenza si tiene per manifesta , essendo
manifesto il genere della societ che vi ci obbliga.
Quando il compratore si conviene col mercante nasce
tra loro una certa spezie di societ, e quindi una cer

ta forma di amicizia per cui luno dee volere un certo


bene all altro; poich il compratore dee volere che

il mercatante abbia il danaro di cui s convenuto,


e il mercatante che il compratore abbia la roba chegli
ha comprata. E questa una certa forma di amicizia,
ed altre similmente potrebbero addursene. Aristo
tele ne propose molte seguendo varie divisioni. Io se
guir le pi comode.
Dico dunque che altre amicizie ci si impongono
dalla natura , altre si contraggono per elezione. Del
la prima maniera pu dirsi essere l amicizia che pas
sa tra il padre e i gliuoli, e lega insieme tutti quel
li che sono d un istessa famiglia; la quale amicizia

alquanto stretta. N ha alcune alquanto pi larghe,


ed una larghissima, la qual lega insieme e congiunge
tutti gli uomini, volendo la natura che l uomo ge

neralmente voglia il bene dell altro uomo , e lo pro


curi, qualunque volta o niuno o pochissimo incomo
do gliene venga; e cosi impone agli uomini una cer
ta comune benevolenza , che tutti insieme li lega e
stringe facendosi amici l un dell altro; n neces

sario aver manifestato altra volta una tale benevolen


za; perciocch l ha manifestata abbastanza la natu

ra che ce la impone, non credendosi che alcuno vo


glia disubbidirle.
Alle amicizie
che ciche
si impongono
dalla natura,
io
riduco
anche quelle
si stabilisconoidalle
leggi,
come quella che passa tra il principe e i sudditi, e
tra l un suddito e l altro, i quali volendosi bene
scambievolmente , fanno ci che voglion le leggi, e

facendo ci che voglion le leggi obbediscono alla


natura.

E queste amicizie tutte ricercano alcuni determina


ti uici e non pi; perch sebbene ogni uomo
obbligato di sostenere colui che cade, potendol fare,

non per obbligato donargli del suo; n il cittadino

Ii:

PARTE QUINTA

tenuto di dar mangiare all altro cittadino, se que


sti pu procacciarselo d altra parte pi comodamen
te. Per queste amicizie si contentano di pochi uici

e comuni, e non sogliono n pur chiamarsi amicizie.


Pittosto amicizie si chiamano quelle che si contrag
gono per elezione, bench di queste ancora nha al
cune che poco meritano si illustre nome.
Venendo dunque alle amicizie che si contraggono

per elezione, noi le divideremo, come fa anche Ari


stotele , in tre. La prima sar l amicizia che nasce
dall utilit; la seconda quella che nasce dal piacere;
la terza quella che nasce dalla virt.

CAPITOLO VIIl.
Dell amicizia che nasce dall utilit.

L amicizia che nasce dall utilit si vuol distin


guere in due parti, perch sebbene la distinzione par

r alquanto sottile, per necessaria acciocch due


amicizie tra loro diversissme non si confondano. E
dunque da avvertire che altro voler bene a uno ,
perch ne venga bene a noi; altro voler bene a uno,
perch facendo egli bene a noi par convenevole che
noi ne vogliamo a lui. Nel primo caso il ne della be
nevolenza l utile proprio, il qual si segue e non al
tro; nel secondo caso l utile non il ne della be
nevolenza, bench ne sia il motivo, e piuttosto si se
gue una certa convenevolezza ed onest che l utile.
Quindi che questa amicizia pi onesta e contiene
virt; quella prima non pur degna di esser chia
mata amicizia, perch colui che vuole il ben dellani
co non perch ne torni bene a lui stesso, vuole pi

tosto bene a se stesso che allamico; e cosi ama lami


co come il cacciatore ama il cane.

N per questo per dico che il voler bene ad al


trui perch ne torni bene a noi sia cosa disonesta;
non essendo disonesta cosa cercare i suoi comodi an
che per questo mezzo; dico solo che questa benevo
lenza non contiene vera amicizia; ed essendo diretta

ai propri comodi non degna di niuna lode. E quindi

Dl ALCUNE QALlTA DELUANIMO

H3

che chi vuole il ben d un altro per quel vantaggio


solo che a lui stesso ne viene non protesta mai ci
liberamente e se ne vergogna; e molti sono i quali
cercano tutti i modi di far parere che altro ne non
abbiano se non il ben dellamico; nel che sono simu
latori e menzogneri e disonesti; e tali sono gli usurai

che a nullaltro pensando che al lor guadagno, pur


vogliono mostrare di favorire altrui e vogliono es
sere ringraziati dell usura.

E sebbene questa amicizia che ha per ne l utile


proprio non per se stessa disonesta cosa, sono per
da biasimarsi grandemente coloro iquali questa sola
cercano, e tutte le altre amicizie disprezzano; perch

sebbene cercando le amicizie utili non son disonesti ,


sono per disonesti sprezzando le amicizie virtuose. E
tali per lo pi sono i trafcanti e i cortigiani, e tutti
quelli che in ogni cosa intendono sempre allaccresci
mento delle lor fortune.

Che se l amico vuol bene all altro amico, mosso


ed indotto dallutil proprio , cosi per che l utile sia
non il ne della benevolenza, ma solo il motivo,
fuor di dubbio che l amicizia sar molto onesta , es
sendo molto onesto il voler bene a coloro che ci gio
vano. E chi sar che non lodi il pupillo se vuol bene

al tutore che procura e regge le cose sue; e lo sco


lare se vuol bene al precettore che lo ammaestra l
bench il pupillo e lo scolare sieno indotti dallutile
loro a voler bene: quegli al tutore e questi al mae
stro. Ed chiaro che questa amicizia non dee cessa

re bench cessi l utilit, essendo cosa onesta il vo


ler bene non solamente a coloro che ne giovano, ma
anche a quelli che ne giovarono.

CAPITOLO IX.

Dell amicizia che nasce dal piacere.


Dell amicizia che nasce dal piacere si possono (lime

quasi le stesse cose, perch se il piacere ne della


benevolenza, come se uno vuol bene ad un altro nmi
perch questi abbia alcun bene, ma per trarne (gli

i1

PARTE QUINTA

un piacer suo, questa non sar vera amicizia; per1

ciocch colui che vuol bene a questo modo piuttosto


vuol bene a se stesso che allamico. N per diso
nesta cosa; non essendo disonesto il voler bene a uno

perch ne venga alcun piacere a noi, salvo se il pia


cere non fosse egli disonesto. E chi dir essere diso
nesta cosa il desiderar la salute al danzatore per aver
il piacere di vederlo danzare?
Ma se il piacere motivo della benevolenza e non
ne, come se noi vogliamo bene a uno, perch po
nendo egli studio in piacere a noi, par convenevole
che noi altresi ponghiamo qualche studio al ben di
lui, l amicizia senza dubbio molto onesta, essendo
ragionevole cosa il voler bene a coloro che procuran
doci alcun diletto ne rendono la vita men noiosa; e

quand anche il diletto recato fosse disonesto, diso


nesto per non sarebbe il desiderare, e volere e pro
curare il bene di chi il rec; potendo abbominarsi il

piacere, e tuttavia procurar il bene della persona che


volle peccar per ricercarlo.
E a queste piacevoli e dilettose amicizie riduconsi
quelle degrinnamorati, i quali in quanto amano non
sono amici, ma divengono; perch la dichiarazione

dell amore va sempre congiunta con' la dichiarazione


della benevolenza, e di qui nasce lamicizia, la quale
per sestessa e di sua natura sarebbe buona quando
anche lamore fosse non buono. Perch se il giovane
vuole il bene della sua donna, e similmente la donna
del suo giovane, desiderandogli onori e ricchezze e
scienza , in che consiste la benevolenza, non in ci
malvagit niuna; ma se luno vuol trar dall altro il

piacer suo, ci che vien dallamore, pu in questo es


sere malvagit, e vi quando il piacere sia malvagio.
Quelli che nelle loro amicizie vanno dietro all uti
lit, come sopra abbiamo dimostrato, si scostano dal
la vera amicizia, e similmente quelli che vanno die
tro al piacere. V ha per questa differenza, che chi
va dietro all utilit non suol ricercare alcuna qualit
lodevole nella persona che ama, bastandogli che ella
gli sia utile; laddove chi va dietro al piacere suol ri
cercare nella persona che ama le qualit lodevoli ,

Dl ALCUNE QUALITA DELL ANIMO

i|5

come la bellezza, la grazia, la cortesia; il che si vede


negl innamorati, i quali non amerebbero la persona
che amano , se non paresse lor bella e gentile e co
stumata e degna del loro amore ; e per si scostano
meno dalla ragione e dalla onest. Non per che

non pecchino tutti qualor trascorrano in eccesso. Quel


li che seguono lutilc peccano pi vilmente; glinnaq
morati peccano con pi gentilezza, ma per peccano.

CAPITOLO X.

Delfamcizia chenasce dalla virt.

L amicizia si dice nascere dalla virt allora quan<


do uno avvenendosi in un altro e trovandolo cortese,

piacevole, mansueto, ed ornato di scienza e di virt


e di molte altre qualit belle e prestanti, gli par de
gno di essere ben voluto , e per ci si muove a vo
lergli ogni bene; poich se tale benewlenza sar scam
bievole, e scambievolmente si manifester, sar quella
rara amicizia che si dice nascere da virt, ed il pi
ricco tesoro che aver possa l uomo in questa vita.

Non alcun dubbio che tale amicizia non sia fra


tutte la pi gentile e la pi nobile; si perch posta
in virt; si ancora perch non ba altro ne che il

ben delramico, essendo disgiunta dall interesse e dal


piacere; e per molto diversa dalle altre due ami

cizie che sopra abbiamo dette. Sebbene non potendo


il virtuoso non essere e piacevole e liberale e cortese

e magnanimo, non pu non essere ancora cosa molto


utile e molto gioconda; e chi lama in quanto virtuo

so viene per conseguente ad amarlo anche in quanto


utile e in quanto giocando. E per tale amicizia pa

re che abbracci in certo modo e contenga le altre due;


ed anche perci dicesi perfettissima. E pare ancora
che debba essere durevolissima , imperocch non ri

cercando negli amici se non la virt, niente commette


al caso e alla fortuna. '
_
E questa quella maravigliosa amicizia che fu rara
ancor tra gli eroi, e basterebbe da se sola a far bello

il mondo, quandanche tutte laltre bellezze gli man- '

{v6

PARTE QUINTA

cassero. E certo che ella grado sommo e perfettis


simo di societ, volcndosi bene allamico non per al
tro ne, se non perch egli abbia bene, il che gra
do sommo e perfrttissimo di benevolenza , in cui luno
vuole il ben dell altro, n cerca pi , contentandosi
di quel puro e nobil piacere che tien sempre dietro
all amicizia senza esser cercato.
Sono in vero oggidi molti iquali esponendo gli uf
ei della societ, non altro ne le propongono se
non lutile; e questa loro opinione estendono ad ogni
maniera di societ , tanto a quella civile che unisce
insieme i cittadini, quanto a quellaltra pi ampia e
pi comune che tutte stringe le nazioni e l una con
laltra le congiunge. La ragione de quali se noi se
guissimo, bisognerebbe dire che niuno dovesse mo
strar la via al passaggiero , qualora non ne sperasse

alcun utile, e che l una nazione non dovesse mai sov


venir laltra senza speranza di qualche guadagno, quan
do anche potesse farlo comodissimamente, e fosse lal
tra ridotta agli estremi pericoli. Filosoa barbara c
inumana che noi lasceremo agli oltramoutani, da quali
ci coutenteremo di esser vinti nella ricchezza e nel po
tere, purch non lo siamo nella virt.
Ma tornando al proposito , io dico: che lamicizia

che nasce dalla virt , sola fra tutte l altre perfet


tissima e meritevole di si bel nome; si perch fon
data in virt , si perch contiene perfettissima bene
volenza , della quale abbianio pochissimi esempli ; e
ne avremmo anche meno se i poeti non ne avessero

accresciuto il numero con le loro favole.


CAPITOLO XI.
Di alcune sentenze intorno all amicizia.

Corrono alcuni detti intorno allamicizia che usciti,


ered io , della losoa passarono nel popolo , intro
dottivi forse dagli oratori e dai poeti, e vogliono qual
che spiegazione; perciocch il popolo li dice assai

volte senza intenderne troppo bene il signicato. Ve


dremo dunque di spicgarli in qualche modo. Poi,

DI ALCUNE QUALITA DELUANIMQ

H7

dichiarate alcune quistioni e varie qualit propinque


all amicizia, porremo ne a tutto questo argomento.
Sentenza prima.

stato detto in primo lnogo che Vamicizia consi


ste in somiglianza; il che vuole spiegarsi, non essen
do da credere che il grande non possa essere amico

del piccolo, e il bello del brutto, e il robusto del de


bole, bench sieno tra loro dissomiglianti.
lo dico dunque che la somiglianza in cui consiste
lamicizia e somiglianza di volont, cosi che gli amici,
per quanto sono amici, debbano volere le istesse co

se; non gi perch luno debba voler avere la stessa


cosa che vuole aver laltro , come se amendue voles

sero avere la stessa veste o lo stesso podere, che di


qui piuttosto nascerebbe nimist; n anche perch

l uno debba voler cose simili a quelle che vuol lal


tro , come se volendo l uno _una spada e l altro ne
volesse un altra del tutto simile, che questo sarebbe
atto piuttosto di emulazione che di amicizia; ma per
ch volendo l uno avere una cosa e l altro dee vo
lere che egli rabbia; poich cosi volendo vogliono lo
stesso; come se Scipione volesse avere il comando

dell armata , e Lelio volesse che egli l avesse; nel

qual caso Lelio e Scipione vorrebbero la medesima


cosa, e perci sarebbero similissimi nel volere. E in
questa simiglianza di volont posta l amicizia, per
ch se l uno degli amici vuol quello stesso che vuol
l altro , volendo ognuno il proprio bene, ne segue
che luno voglia il bene dellaltro; e lamicizia po
sta in questa mutua benevolenza.

N per questo che non possa nascere dissen


sione tra due amici; che anzi nasce talvolta e ne
cessariamente; perch pu l uno credere che una
cosa gli sia utile, e per volerla; la qual l altro stimi

inutile, anzi nocevole; e per non voglia che egli


labbia; e in questo pi tosto dissomiglianza di in
telletto che di volont; perch volendo amendue ci
bhe utile discordano nel giudicio , stimando l uno

che tal cosa sia utile e l altro che non sia. Cosi fu

H8

PARTE QUINTA

quella gloriosa contesa che nacque tra i due pi gran


di amici che sieno stati al mondo mai Pilade ed Ore

ste; de quali volendo l uno e laltro morire non vo


lea l uno in niun modo che laltro morisse , percioc
ch niun di' loro credea che fosse allaltro cosa buo
na il morire ; laonde offerendosi ciascun di loro a mo

rir per l altro, lasciarono agli uomini un esempio chia-_


rissimo di una eroica dissensione. Ben vero che se la

somiglianza degli amici consistesse solo nel voler l uno


il ben dell altro cosi in generale; n mai gli amici si
accordassero ne giudiciloro particolari; e quello che
all uno par bene paresse sempre male all altro; dif
cil cosa saria che l amicizia durasse lungamente; per

eiocch in tanta variet di giudici nascerebbero di

leggeri le contese grandissime, nelle quali non suol


mantenersi l amicizia.
E dunque necessaria allamicizia la somiglianza del-_

la volont; e molto anche le giova quella ddgudici;


e perch a fare una tal somiglianza molto giova la
conformit dei temperamenti e della educazione e

degli studi e l uguaglianza dei natali e dello stato;


per si crede che sieno pi disposti all amicizia co
loro i quali sono conformi in queste cose che gli al
tri; e noi veggiamo che gli uomini si rendon facilmente
benevoli ed usano assai volentieri con quelli che lor

son simili di temperamento e condizione.


Sentenza seconda.

t
E stato detto in secondo luogo, ed passato in pro
verbio tra i Greci T oimiv ma , cio che le cose
degli amici sono comuni; onde argomentava leggia
drameute Socrate che l uom dabbene debba esser
padrone di tutte le cose, essendone padrone gli Dii _

de quali amico. Ed Aristotele diede al proverbio


maggiore autorit. Veggiamo dunque come le cose
degli amici sieno comuni, perch certo non da cre
dere che la moglie e i gliuoli e molti altri beni che
son d un amico sieno similmente e nell istesso mo

do ancor dell altro.

'

E priinieramente pu dirsi che le cose degli amici

DI ALCUNE QUALIT DELIANIMO

Hg

sieno comuni, e che i beni dell uno sieno anche del


l altro in questo modo. Perch avendo l un degli
amici alcun bene e possedendolo, e godendolo, vuol
l altro amico, che egli appunto labbia e lo possegga
e lo goda. Quel bene adunque ha appunto quelluso
che egli vuole; e cosi egli lo possiede in certo modo.

E quindi , che se limperio de Greci di Alessan


dro; e ci vuol Parmenione ; egli per certo modo

anche di Parmenione, essendo di colui di cui Parme


nione vuole che sia.
Pu anche spiegarsi il proverbio de Greci in altro
modo; perch essendo l amico disposto a usar dei
suoi beni a vantaggio dellaltro amico, ci richieden
dosi alla perfetta amicizia di cui parliamo; par che
questi venga in certa maniera a possederli avendoli
prontissimi al suo bisogno.
Sentenza terza.

In terzo luogo stato detto che l amicizia consiste


in una certa egualit, il che facilmente pu intendersi
intese le cose precedenti; poich primamente essendo
gli amici tra loro simili di volont e di pareri, come
s mostrato di sopra, pare che per questo conto pos

sano dirsi eguali, perch tutte le cose simili sono


eguali in quello in che son simili. Laonde ben disse
Aristotele wws J: qui/u mai ingiurie: l amicizia
uguaglianza e similitudine.
Poi se.i beni dellun amico sono comuni anche al
l altro, come sopra abbiam dichiarato; chi non vede
che anche per ci viene a indursi tra gli amici una
certa egualit? Egualit vi si induce ancora per una

altra ragione; perch essendo gli amici, come ora


vogliamo suporre , virtuosi, quello che inferiore di
grado non pu soffrir lungamente di usar tutte quel
le cerimonie che gli uomini hanno introdotte per
ozio eche egli fa, e conosce esser vane. E laltro ami
co che superiore di grado non dee voler soffrire
che egli le usi. Cosi facilmente si ridurranno a trat

tarsi con domestichezza e come se fossero eguali, sal


No se si trovassero in pubblico, nel qual caso, se son

io

PARTE QUINTA

veramente virtuosi, obbediranno mal volentieri alla


usanza, ma pure obbediranno. Quindi che i prin
cipi e generalmente i superbi , non sono atti allami

cizia non potendo loro soffrir l animo di uguagliarsi


mai a veruno in che che sia.
Sentenza quarta.

anche passato in proverbio , che l amico d uno


un altro lui stesso: 01'; 2M: n; scrisse Ari
stotele; e Cicerone: amicus alter idem. Come ci pos
sa intendersi lo spiegheremo in due maniere.
In primo luogo non fuor dell uso comune il di
re che ci che simile sia lo stesso. Chi che veg
gendo il ritratto di Cesare assai simile, non dica tosto

ecco Cesare, egli desso? Che se la similitudine, co


me insegnano gli scolastici, tende all unit essendo

gli amici similissimi tra loro di volont e di pareri,


come sopra abbiam dichiarato , potr dirsi in certo
modo che sieno amendue una cosa sola , e che l uno
sia l altro. Perch se il ritratto di Cesare si dice es
ser (esare avendo gli stessi lineamenti del volto ,
quanto pi dovrem dire che luno amico sia laltro
amico avendo la stessa volont e gli stessi pareri che
sono i lineamenti dell animo?
In secondo luogo pu dirsi che l amico duno sia
un altro lui stesso , perciocch gli vuol bene come a

se stesso. Il che per dee spiegarsi diligentemente. lo


dico dunque che due maniere sono di voler bene; la
prima quando si vuol bene a uno, perch egli abbia
bene e non per altro ne; l altra quando si vuol
bene a uno per altro ne. E non alcun dubbio che
ognuno vuol bene a se stesso nella prima maniera,

cio per aver bene e non per altro. Ora volendo bene

anche all amico nella stessa maniera, cio perch egli


abbia bene, e non per altro, ne segue che egli voglia
bene allamico non altrimenti che a se stesso,' e sia
l una e l altra benevolenza di un istesso genere. N

per questo per vuolsi inferire che se l uno amico


vuol bene all altro, come a se stesso, gli voglia anche

bene quanto a se stesso; perch sebbene la benevo

Dl ALCUNE QUALITA DELL ANlMO

n:

lenza che uno porta a se stesso, e la benevolenza che


porta allamico, sono di un medesimo genere, potreb
bero tuttavia non essere del medesimo grado; ed esser
lnna maggior dellaltra, di che diremo in altro luogo,
dove tratteremo dell amor proprio.
CAPITOLO XII.
DI alcune quistioni intorno all amicizia.

.
Moltissime quistioni sono state fatte intorno allami
cizia. Noi ne sceglieremo alcune; intese le quali non
sar gran fatto difcile intender l altre.
Quistione prima.

Se lamieizia sia un atto o piuttosto un abito. La


qual quistione non pu dichiararsi, se prima non si

spieghi che cosa voglia intendersi in questo luogo per


atto; e che cosa voglia intendersi per abito.
' Per atto vuolsi intendere una certa forma che
nel soggetto sin tanto che dura l operazione; cessan

do loperazone cessa ella pure. Cosi lessere scrivente


un atto, il qual cessa cessando l operazion dello
scrivere; nita la quale l uomo non pi, n si dice
scrivente.

Per abito vuolsi intendere una forma che riman


nel soggetto, n cessa perch cessi l operazione. Co
me la nobilt, la dignit ed altre; perch il nobile non
lascia di esser nobile quantunque si rimanga dall ope
rare; e il principe principe eziandio dormendo.

Ora pu facilmente vedersi che lamicizia piut


tosto un abito che un atto; perciocch lamicizia non
cessa bench cessi di tanto in tanto 1 operazione, e se
Lelio vedr dormir Scipione non dir gi che Scipio
ne non sia suo amico, dir piuttosto che Scipione suo
amico dorme.
N perch dicasi che l amicizia sia un abito vuol

quindi conchiudersi che sia virt; poich per esser


virt non basta che sia abito in quella maniera che

abbiamo ora spiegato; bisognerebbe che fosse uno di


II

PARTE QUINTA

quegli abiti, i quali consistono in facilit di operare


acquistata per esercizio e per uso. Per essendo l ami
cizia un abito a quella guisa che abbiamo detto , re
sta anche luogo a quistionare se sia virt.
Quistione seconda.

Se l amicizia sia virt. E par veramente che non


debba essere per due ragioni, delle quali la prima
questa: la virt un abito che si fa con lesercizio
e per uso; ma la benevolenza e l amicizia non si fan
no a questo modo, non dicendosi mai che uno vo
glia bene allamico, perch vi esercitato e vi ha fatto
uso, ma per altro; dunque l amicizia non virt.

La seconda ragione questa: Lamicizia essendo


scambievole non tutta in colui che l ha; ma parte

in lui e parte fuori di lui. Cosi lamicizia che Lelio


ha con Scipione non tutta in Lelio, ma parte in Le
lio e parte in Scipione, e cosi pur avviene di tutte
le cose che consistono in relazione e scambievolezza.

Essendo dunque che lamicizia non tutta in colui


che l ha, ma in parte fuori di lui , par certamente
che non debba dirsi virt; poich la virt tutta in
colui che lira, cio nel virtuoso, il qual non sarebbe
n si direbbe virtuoso se la virt fosse in lui non tutta
intera , ma solo in parte.
Non dunque virt l amicizia, e sella cosa one

stissima, come certamente , e degna di grandissima


laude, cosi che par molto simile alla virt, ci pro
viene perch gli ufc] dell amicizia sono virtuosi, do

vendo lamco esercitar spesse volte verso laltro ami


co la liberalit , la giustizia , la piacevolezza, la cor.
tesia, senza le quali virt lamicizia non potrebbe es

sere. Ed anche per questo pare che l amicizia non


debba ascriversi al numero delle virt , non essendo
essa una particolar virt , ma piuttosto una particolar
disposizione che quasi tutte le abbraccia e le com
prende. Per ben disse Aristotele, che l amicizia o
virt, o con virt: tipe-n, i, fu-r iperin; dove seb
ben pare che lasci alcun luogo alla dubitazione, as

sai per mostra non aver lui tenuto l amicizia per

Dl ALCUNE QUALIT DELL ANIMO

m3

virt, avendone dubitato; oltre che dell amicizia ha


egli trattato ampiamente, non in quel luogo ove pren
de a spiegar le virt, ma altrove.
Quistione terza.

Se possono aversi molti amici. E non ha dubbio


che trattandosi delle amicizie imperfette se ne pos.
sono aver molti; bench nha di quelle che si accom

pagnano con la gelosia, e facilmente si sdegnano; e


queste non soffrono la moltitudine. Trattandosi poi
delle amicizie virtuose e perfette, chiaro si vede non
essere impossibile aver molti amici, non essendo im
possibile Pavvenirsi in molti cortesi e mansueti e gen

tili e magnanimi , e voler loro bene ed esser ben vo


luto da loro. Ben vero che ricercandosi allamicizia
l uso frequente di non pochi ufci , bisogna vedere

che l averne molte non sia di soverchio peso. E le


amicizie famose che si leggono nelle istorie, non fu
rono mai che tra due soli; n i poeti le nsero altri

menti; forse non parve loro verisimile che tanti vir


tuosi si trovasser nel mondo allo stesso tempo , n

fosse poco il ngerne due in qualche et.


Quistione quarta.

Come sciolgansi le amicizie. Essendo Pamicizia una


benevolenza scambievole , come questa cessa nell un
degli amici, cosi tosto cessa e rompesi l amicizia; n

vale che la benevolenza si conservi nell altro , perch


questo all amicizia non basta. Quello poi degli amici
dicesi avere sciolta l amicizia, che stato il primo a
deporre la benevolenza.

Pu anche sciogliersi l amicizia restando in amen


due gli amici la scambievole benevolenza. E ci av
viene quando o per malizia di alcuno , o per qual al
tro siasi inganno, viene la scambievole benevolenza
a nascondersi per modo che l un degli amici non cre
de pi di essere ben voluto dall altro; perch allora
quantunque benevoli si possan dire, non per si di
ranno amici, essendo l amicizia una benevolenza non
solo scambievole, ma anche, come sopra detto ,

m4

PARTE QUINTA

ai, Aiuiara, cio palese e manifesta; n vale dire


che fosse una volta manifestata , poich nasconden

dosi poscia come se manifestata non fosse.


Colui che scioglie e rompe un amicizia senza aver

ne forte ragione (ed difcile averla) commette gran


colpa, perch distruggendo l amicizia distrugge una
cosa che molto amica della virt. Che se l un de
gli amici depone la benevolenza , sciogliendo in tal
modo l amicizia, non perci dee laltro deporla cosi
subito; anzi dovrebbe conservarla quanto pu essen
do l amicizia un raro e inestimabil tesoro di cui deb

bono conservarsi diligentemente ancor gli avanzi.


Quslione quinta.

Se l uomo felice abbia bisogno di amici. Noi se

guendo Aristotele , diremo che ne ha bisogno; non


perch alla felicit debbasi aggiungere altra cosa es
sendo essa contenta di se medesima, ma perch a
formarla e comporla richieggonsi tutti i beni che alla
natura delluom0 convengono, e per anche lamicizia;
e come dicesi che l uom felice ha bisogno della sa
nit, della bellezza, della virt, senza le quali non
sarebbe felice; cosi pu dirsi allistesso modo che ab

bia bisogno dell amicizia, se gi parlar non volessi


mo della felicit di un solitario a cui basta la con
versazione degli Dii; il qual per non so se abbastan
za si tenesse beato, quando tra lui e gli Dii non fosse
una scambievole benevolenza, la qual si eserciterebbe

con altri ufci , e sarebbe una certa amicizia divina


di cui ora non ragioniamo.
CAPITOLO XIII.
Di alcune qualit che si accostano alla natura
dell amicizia.

Ha molte qualit che veramente non sono amici


zia, ma per all amicizia si accostano e le apparten
gono; a noi baster dire di queste sei: della benevo
lenza, dell amore, della concordia , della benecen

za , della gratitudine, dell amor di se stesso.

Dl ALCUNE QUALlTA DELL ANIMO

i25

Della benevolenza.

Per le cose n qui dette assai pu intendersi che


cosa sia benevolenza, la quale in vero non altro che
un desiderio del bene altrui. Laonde si vede che la
benevolenza non amicizia, ma principio di ami
cizia; perch se scambievole e dichiarata, diviene

amicizia; e se non scambievole, o dichiarata, solo


benevolenza.

Dell amore.
L amor poi altro non che un desiderio di pos
seder quello che ne piace, e il possederlo vuol dire
averlo pronto e disposto a qualche piacer suo. Onde
si vede che l amore non benevolenza , altro essen
do volere il ben duno, in che consiste la benevolen
za, ed altro il desiderare di possederlo. E bench il

volgo e col volgo i poeti ( a quali hanno voluto ac


costarsi gli oratori , forse pi ancora che non conve
niva ) confondano bene spesso queste due cose chia
mando amore la benevolenza e benevolenza lamore;
non per che anche talvolta non le distinguano,
laonde acutamente disse Catullo:
amantem infuria talis
Cogft amare magia, sed bene valle minus.

E il popolo dir facilmente che Lentulo ama il vino,


ma che voglia bene al vino non lo dir cosi facil
mente; dunque manifesto altro essere l amore, al
tro benevolenza.
Ben vero che le cose che hanno senso e, son nate

alla felicit, difficilmente siamano senza voler loro


bene; n il giovane amer la sua donna senza voler
le bene; salvo in certi impetuosi sdegni che si frap
pongono allamore; di che abbiamo molti esempi nei

poeti latini, i quali erano pi sdegnosi dei nostri e


_des_ideravano di tanto in tanto che mal venisse alle
lor donne. lnostri sono meno iracondi e si sdegnano
pi dolcemente; nel che sono da commendarsi pi I

latini. Ma comech sia, gli sdegni degl innamorati.

UG

PARTE QUINTA

sogliono esser brevi, e tornano presto a benevolenza,


senza la quale gli uomini costumati non amano.

E quindi forse venuto che le due qualit si con


fondano insieme, cio lamore e la benevolenza pren
dendole come una qualit sola. E i loso stessi han
no voluto compiacere al popolo nominando spesse
volte amore tanto la benevolenza quanto l amore; e

per non confondere le cose , avendo confuso i nomi,


hanno dovuto distinguer l amore in amore di amici

zia, che quello che noi no ad ora abbiamo chia


mato benevolenza; e in amore di concupiscenza, che
quello che noi no ad ora abbiamo chiamato amore.

Che se lamore si vuol distinguere dalla benevolen


za dovr similmente distinguersi dellamicizia; si per
ch l amicizia consiste in benevolenza; si ancora per

ch l amicizia sempre scambievole , l amore non


sempre.
Della concordia.

La concordia altro non che un comune consen


timento a volere le istesse cose; dico a volere, per
ch potrebbe chiamarsi concordia anche il consenti
mento delle opinioni; ma questa non quella con
cordia che intende Aristotele della morale , la qual
consiste nella conformit dei voleri non nella confor
mit delle sentenze; e quella appartiene all amicizia

non questa; potendo benissimo due amici aver di


verse opinioni intorno al corso de pianeti, ma non
potendo esser discordi in voler quelle cose che si co
noscono esser buone all uno od all altro.

Bisogna bene che gli amici non discordino troppo


spesso tra loro circa gli ufci dellamicizia, stimando
l uno che sia ufcio di amicizia ci che l altro stima

cerimonia vana ed inutile; perch di qui nascono le


querele grandissime e spesso sopra cose piccolissime.
Vedete, dice colui, che il tale non venne laltr ieri
a farmi riverenza; ed ecco che gi tre ore ch io
son tornato di villa; ed egli non ancor venuto a sa

_ lutarmi; ed anche lanno passato non venne a darmi


. le buone feste. E questi queruli oltrech mostrano pic

DI ALCUNE QUALITA DELL ANIMO

m7

colezza d animo turbandosi di cose lievi, non sono


molto atti a conservar lamicizia, o piuttosto mostra

no di non avere\ amicizia niuna; perciocch l amicizia


ricerca le signicazioni vere dell animo, e si sdegna

di quelle che si fanno per usanza e non vogliono dir


nulla.

N per da dirsi che l amicizia sia lo stesso che


la concordia , poich per esser concordi basta volere
le istesse cose; ma per essere amici bisogna che l1mo

le voglia per ben dell altro. 0nd che due, i quali


si convengono di fare la stessa cosa per ben di un
terzo, si diranno concordi, ma non per questo si di
ranno amici ; anzi potrebbero essere anche nemici ,

potendo due nemici concordarsi insieme a volere il


en d un terzo. Gli amici dunque sono sempre con
cordi, almeno in ci che appartiene alla felicit loro;
ma i concordi non son sempre amici.

Della benecenza.
La benecenza una consuetudine di far bene ad
altri, la quale non amicizia; dovendo lamicizia es

sere vicendevole, laddove la benecenza spesse volte


non
corrisposta.
; anzi allora pi benecenza quando
_
meno
Laonde si vede che nellamicizia non molto ri
splende la benecenza; perch sebbene colui che fa

benecio allamico si chiama beneco, ed ; pi be


neco per si stima esser quello che fa benecio al
l estraneo; perciocch il primo spera in qualche mo

do il contraccambio; il secondo almeno d ordinario


non lo spera in niun modo.

Ben vero che chi fa benecio per n di ottene

re il contraccambio, non benecio; perciocch non


fa veramente il beneficio, ma lo cambia. E tali per lo
pi sono icortigiani, e quelli che sempre cercano
il guadagno, secondo l opinion dequali perduta ope.
ra sarebbe fare un benecio senza cambiarlo. E chi
tale ha lanimovile ed abbietto.
r

m8

PARTE QUINTA

Della gratitudine.
La gratitudine una disposizion d animo che noi
abbiamo a far bene ad alcuno, perch egli ha fatto

bene a noi. Ed diversa dall amicizia, perciocch


quello che grato fa bene solo perch ha ricevuto
bene; ma quello che amico lo fa anche senza quei
sta ragione: e il grato tutto inteso a restituire il be
necio; l amico non intende restituirlo; anzi intenden

do restituirlo mostrerebbe di essere poco amico. Laon


de le persone gentili, facendo alcun favore, non mo
strano mai di farlo in grazia di un altro favore che
gi ricevettero , e studiano piuttosto di esser grati,
che di parere. E chi fa il benecio dee farlo in ma
niera che non mostri di aspettarne un altro; ne dee

troppo querclarsi se non gli corrisposto: perch,


querelandosi, fa credere di aver fatto il benecio per
questo ne. Onde ehi manca alla gratitudine, pecca;
e non per molto virtuoso chi la esige.
E poi anche un altra ragione perch 1 amicizia
debba credersi diversa dalla gratitudine; e ci , per
ch l amicizia non pu aversi con un nemico, ma la
gratitudine pu aversi, potendo un nemico, mosso da
grandezza d animo , averci fatto alcun benecio , di
cui noi gli siamo grati. Altro dunque l amicizia, al
tro la gratitudine.
Delfamor di se stesso.

Io non so se in tutta la losoa sia parte alcuna


o pi oscura, o pi importante di questa; perch se
l uomo intendesse bene l amore che egli porta a se
stesso , pi facilmente stabilirebbe il ne ultimo, il
quale difcilissimo a stabilirsi per l oscurit di un

tal amore. Noi per ci ingegneremo di dirne il pi


che potremo chiaramente , e principieremo di qui.
L uomo tratto per certo naturale istinto a voler

ci che buono a lui; e si dice essere a lui buono


tutto ci che lo rende migliore, e pi perfetto e

pi tranquillo e pi felice; e sono di tal maniera il

Dl ALCUNE QUALITA DELL ANIMO

i2g

piacere e l onest; dunque l uomo naturalmente


tratto a voler il piacere e l onest.
Or bench dicasi che l uomo dee volere (Iuello
che buono a lui, non per dicesi che egli debba
volerlo a questo solo ne che a lui sia buono; perch
io posso volere una cosa che sia buona a me , e tut
tavia volerla ad altro ne; e ci si vede nelronest ;
perch chi vuole l onest vuole una cosa che vera
mente buona a lui; ma egli a ci non mira, mira

piuttosto alla bellezza eterna ed immutabile dellone


sto, da cui rapito non pensa pi a se medesimo, Ed

anche cosi facendo segue Fistinto che egli ha di an


dar dietro alle cose che a lui son buone.
E questo istinto appunto quello che chiamasi
amor di se stesso, principio di tutte le azioni, il qual
le scorge sempre a cosa buona , quando al piacere ,
e quando alla virt. Ben vero che disgiungendosi
in questa misera vita il piacere dalla virt, bene spes

so avviene che all uomo si proponga dalYmia parte


il piacere senza la virt, dall altra la virt senza il pia

cere; ed essendo egli libero, e potendo eleggere (Iual


pi gli piace, scostandosi dalla virt segue spesse vol
_te il piacere; nel che pecca seguendo un bene che

allora seguir non dovrebbe. E tanto pi pecca, che se


egli avesse aspettato, la virt forse gli avea prepara
to maggior piacere di quello che possa dargli la col
pa. Cosi offende la dignit delronesto, e mal provvede
a se medesimo, e nelluno e nellaltro non ben segue
l amor di se stesso.
Per la qual cosa quelli che tanto gridano contra
l amor di se stesso non bene intendono quel che di
cono; perciocch chi ama se stesso come conviene,

non cerca il piacere se non quanto la virt gliel con


sente, e nol cerca di modo alcuno proponendoglisi la
virt; nel che segue le cose che a lui son buone se

guendo l amor di se stesso reltissimamente. E se al


_cun si trovasse che ci facesse con costanza danimo

e sempre, io non so perch egli non fosse quel sa


pientissimo e quel felicissimo che i loso no ad
ora hanno tanto desiderato
vedere.

Spiegato cosi l amor di se stesso, non sar diieile

i30

PARTE QUlNTA

il dicbiarar tre quistioni che sogliono farsi intorno


all amicizia. La prima si ; se lamor di se stesso si

opponga all amicizia. La seconda si ; se lun amico


pi ami se stesso. che laltro amico. La terza; se aman
do l uomo se stesso , possa perci dirsi amico di se

stesso. Delle quali cose io mi spedirbrevemente.


Quanto alla prima, seguendo Aristotele, dico che
Yamor di se stesso tanto non si oppone allamicizia,
che anzi la ricerca e la vuole. E la ragione questa:
luomo tratto dallamor di se stesso vuole tutte le
cose che a lui son buone; ora l amicizia a lui buo

na ; dunque dee essere tratto dallamor di se stesso


a volerla.

Ma dicono alcuni : se uno vorr bene allamico trat


tovi dallamor di se stesso, vorr bene all amico, per
ch bene ne torni a lui e penser allutil suo; dun

que non sar vera e perfetta amicizia. Nel che si in


gannano; perch l uomo tratto daIlamor di se stesso

vuole le cose oneste, le quali veramente a lui son buo


ne, come sopra abbiamo spiegato, ma non le vuole
per questo ne, che a lui ne torni bene , n volendo
le pensa allutil suo; e lamicizia cosa onestissima,
dunque la vorr in questo modo, e non per bene
suo.
Quanto alla seconda quistione; dico che luno ami
co pi ama se stesso che l altro amico. E la ragione
si . Bench l uomo voglia la felicit sua e la felici
t dellamico senza riferire n questa n quella ad
altro ne ; v ha per questa differenza, ch ei vuole la
felicit sua per certo istinto impressogli dalla natura,
a cui non potrebbe resistere quand anche volesse;
ma la felicit dellamico la vuole per elezione; e non
alcun dubbio che pi forte limpulso dellistinto
che quello dellelezione.
_
Pu anche addursene un altra ragione. Ha dei be
ni prestantissimi e sommi che luomo non vorrebbe
perdere perch li avesse Yamico; e tale la virt:
si vede dunque , che luomo pi ama se stesso che
lamico. Ben vero che trattandosi dei beni minori,
come son quelli della fortuna, non dee l uomo stu
diarsi di averne pi che l amico; e molte volte sar

Dl ALCUNE QUALITA DELL ANIMO


i3i
gran senno se dovendo dividerli , lascer all amico
la maggior parte: perch, cosi facendo, user corte

sia e far azion virtuosa, e lasciando allamico il da


naro terr per se il piacere della virt.
Quanto alla terza quistione , spero che i Peripate
ci non dovranno di me dolersi, se avendo io seguito

Aristotele in tante altre opinioni, da lui mi scosto in


una; e dico, che quantunque l uomo ami se stesso
non dee per poter dirsi propriamente amico di se'
stesso; perciocch l amicizia vuole necessariamente
scambievolezza, la qual non pu ritrovarsi in un sog
getto solo; e se Aristotele argomentava non poter

l uomo dirsi giusto verso se stesso non potendo es


sere verso se stesso ingiusto, perch non doveva egli
similmente argomentare non poter luomo dirsi amico
di se stesso non potendo essere di se stesso nemico?
Fin qui abbiamo detto dell amicizia che un raro
dono del cielo, e poco dagli uomini conosciuto; i
quali l hanno disonorata imponendo lo stesso nome
a tutte quelle conoscenze e famigliarit comuni, per
cui si conserva una certa societ tra gli uomini, e che
nascono per lo pi dal bisogno, e alcuna volta dal
piacere. N sono per cattive; anzi son buone, e gio
va averne molte; ma non bisogna confonderle con
quella perfetta amicizia che no ad ora abbiamo

descritto, n esigerne gli stessi ufci. Nel che molti


peccano i quali essendosi trovati con uno, tre o quat

tro volte ad un convito, ed avendone ricevuto alcuna

cortesia ed avendogliene fattaalcuna, cosi subito lo


chiamano amico, e richieggon da lui tanti ufci quan
ti appena ne avrebbe richiesto Pilade da Oreste. Per
la qual cosa bisogna ben distinguere queste amicizie
imperfette da quella perfettissima, di cui abbiamo
trattato , e non esigerne pi di quello che a ciasche
duna si conviene; avendo sempre in mente che la ve

ra amicizia vuole aversi con pochi; la cortesia, la


gentilezza, la grazia con tutti.

a,

PARTE QUINTA
CAPITOLO IV.
Del piacere.

Niente pi difficile che denir il piacere, essendo

egli una di quelle cose che sentiamo senza intender


le. Pur diremo, piuttosto per descriverlo che per de
nirlo, che egli un certo dolcissimo e soavissimo
sentimento dell animo che non n vizio n virt,
e si accompagna tuttavia con amendue ; e bench pa
ia che si accompagni pi volentieri col vizio, onde
venuto in sospetto a molti; pur segue ancor la virt

quantunque ella se ne sdegni talvolta e nol curi.


Molti, seguendo Aristotele, hanno insegnato consi
stere il piacere nell operazion perfetta di alcuna po
tenza. E certo se niuna potenza operasse al modo suo,
e come a lei conviene, non la volont, non l intelletto,
non quelle altre che pi tengono del corporeo, e sen

si si chiamano, niun piacere potrebbe nascerne. E niu


no altresi ne nascerebbe qualor la potenza facesse la
operazione sua imperfettamente, cio con istento e con
fatica; onde par certo che il piacere sia sempre con

giunto con l operazione perfetta di alcuna potenza;


ma questo spiegare piuttosto ci che produce , o
trae seco il piacere, che il piacere stesso.

Comunque ci sia egli certo che tal dottrina apre

un largo campo a molte divisioni del piacere, che sa


ranno agli oratori ed ai loso molto comode. E gi
si vede che, dividendosi le operazioni delle potenze
in pi maniere, potranno anche dividersi i piaceri al
listesso modo; e quindi nata la divisione de piaceri
in quei dellanimo e quei del corpo; dicendosi piaceri
dell animo quelli che nascono dall operazione della
volont o dellintelletto, e piaceri del corpo quelli
che nascono dall operazione di altre potenze, le quali

non movendosi se in qualche modo non le eccita il


corpo, perci si dicono sentimenti del corpo. E que

ste istesse due spezie di piaceri potrebbero dividersi


in altre, dicendo per esempio chei piaceri del corpo

altri appartengono alla vista, altri all udito ed altri

Dl ALCUNE QUALIT DELL ANIMO

i33

ad altro sentimento facendo cosi molte classi di pia


ceri. Noi per non andremo dietro a tante divisioni
non avendone ora bisogno; e le lasceremo agli ora

tori se avvenga loro di dover ragionar del piacere.


Essendo i piaceri divisi cosiin varie classi, non

da maravigliarsi se gareggia per cosi dire , e conten


dau tra loro di nobilt; e par certo che quelli che

appartengono all intelletto, e quelli che sono amici


della virt, vogliano essere stimati pi degli altri. N
senza ragione; imperocch ogni cosa dee stimarsi tan
to pi nobile e pi pregevole, quanto congiunta a
maggior perfezione. Per chi che non istimi pi no
bile lo spirito che il corpo? E tra corpi stessi, chi
che non ammiri pi quello in cui trova maggiore ar
ticio della natura, che un altro? E se cosi , perch
non istimeremo noi molto pi nobile e pi perfetto
quel piacere che tien dietro alroperazione dellintel
letto, di quello che segue Voperazione dalcun senso
del corpo ; essendo quella senza alcun dubbio pi no

bile e pi prestante di questa?


E potrebbe anche pi facilmente conoscere la va
ria nobilt dei piaceri, chi potesse vedere non sol le

cagioni, ond essi nascono, ma anche Pintrinseca fer


ma loro. Sebben sono di quelli i quali credono tutti
i piaceri essere della stessa forma in quanto a loro ,
n distinguersi per altro che per le cagioni che li
producono, le quali bench diverse producono lo stes
so effetto. Aristotele non pare che sia stato molto ami
co di questa opinione, essendosi ingegnato di dimo
strare con tante prove che i piaceri Joxzm l; n?

iul, Jamwni, cio sono anche di specie differenti;


il che non si direbbe se fossero (liffcrenti tra loro solo
per l operazone che li produce; n questa estrin
seca differenza avrebbe bisogno di tante prove.
Ed io maccosto volentieri allopinion dAristotele;
perciocch parmi assai probabile che essendo le ope
razioni, ondei piaceri provengono, di spezie tra loro
tanto diverse, debbano esser diverseeziandio le spe

zie di quei piaceri che ne provengono; ed altro del)

ba essere il piacere che nasce dalla contemplazione


delle cose, altro quello che nasce dal bere: n lo
stesso piacere sentasi nell amicizia che I J canto.

i3.;

PARTE QUINTA

E quindi che i diversi piaceri, come veggiamo


bene spesso, si impediscon l un laltro e si guastano;
e per molte volte vogliamo uno e non un altro; co
si nella tragedia ci dispiacciono i motti e gli scherzi

che nella commedia ci piacerebbero: e ci avviene ,


perch nella tragedia vogliamo il piacere di piangere.
Non dunque da dire che da tutte le operazioni na
sca lo stesso piacere.

CAPITOLO XV.
Se il piacere sia per se stesso un bene.

Aristotele ha negato che il piacere sia per se stesso'


un bene, e lha assomigliato al desiderio, il qual se
di cosa buona buono, se di cattiva cattivo;

cosi il piacere, se viene da operazion buona, buono,


se da cattiva, cattivo; non essendo per se stesso
n buono n cattivo. Cosi Aristotele allopinion del
quale ionon potrei aceostarmi, se non l dove si cer
casse se il piacere sia per se onesto, o disonesto;
che certo non per se stesso n lun n l altro; e

sol dicesi onesto quando viene da operazione onesta,


e disonesto quando viene da operazion disonesta.
Ma cercaudosi se il piacere sia per se stesso un
bene , non si cerca gi se egli sia per se stesso onesto,
perch molti beni sono oltre agli onesti; la sanit

non ha in se, n per se onest niuna; pur chi dir


che ella non sia un bene? E cosi pur sono la bellez
za , l agilit, la grazia , ed altri doni, de quali non
avrebbe voluto Aristotele comporre la felicit se non
gli avesse stimati beni. Essendo dunque che molti be
ni si trovano oltre gli onesti, potrebbe il piacere es
sere per se stesso un bene, quantunque per se stesso

non fosse onesto; e che egli sia di questa maniera


m ingegner di provarlo , che che ne abbia pensato
Aristotele.
Bene per se stesso si dice esser quello che l uom
desidera senza riferirlo ad altro ne, perch, non ri
ferendosi ad altro ne, mostra di avere in se stesso
la ragione di essere desiderato, e per di essere un

Dl ALCUNE QUALlTA DELUANlMO

i35

bene per se stesso. Ora a qual ne si riferisce egli il


piacere? E volendo uno alcun piacere, chi che il
domandi a qual ne lo voglia? Par dunque che il
piacere sia per se stesso un bene. E certo chi levasse
al' diletto tutto ci che non lui, e ridottolo alla sem
plicissima forma del piacere lo mostrasse agli uomini,
qual sarebbe tanto insensato che nol desiderasse?
E tanto pi mi meraviglio che Aristotele non sia
venuto apertamente in questa opinione , avendo egli

stesso mossa una ragione che pur dovea trarvelo; ed


l , dove argomentando dal contrario,-perch il do
lore un male , ha conchiuso che il piacere debba
essere un bene divina/un in ry iidovv niqmliav r; sin;

imperciocch essendo il dolore senza dubbio per se


stesso un male, potea similmente, argomentando dal
contrario, conchiudere che il piacere dovesse essere
per se stesso un bene. Della qual forma di argomen
tare si rise veramente Speusippo, e rivolgendola ad
altro soggetto domand se l avarizia fosse un malcj;
ed essendogli risposto che era, domand di nuovo
se lavarizia fosse contraria alla prodigalit; e rispo

stogli parimente che era, conchiuse argomentando


dal contrario : dunque la prodigalit sar un bene.
Argomentava molto acutamente Speusippo , ma non
er diceva il vero; n dovea cosi di leggeri trasferir

largomento d Aristotele dalla contrariet del dolore


e del piacere alla contrariet dell avarizia e della pro
digalit essendo due contrariet tanto diverse; per
ciocch l avarizia e la prodigalit si oppongono tra
loro, come due estremi di un istessa virt; non cosi
il dolore ed il piacere. Ma di ci altri veggano.
Tornando al proposito domanderanno alcuni: se il
piacere per se stesso buono , come son dunque al
cuni piaceri cattivi? Che tali pur sono i disonesti. A
che rispondo, che i piaceri disonesti non sono cattivi
in quanto sono piaceri; ma son cattivi in quanto son
disonesti, cio a dire: in quanto si congiungono ad
una operazione che difforme dalle regole dellone
st; da dirsi cattiva loperazione, non il piacer che
la segue; e per chi abborrisee la colpa non l abbor

risce perch piace (che ci sarebbe irragionevol cosa)

136

PARTE QUINTA

ma l abborrisce perch colpa; siccome chi ama


lazion virtuosa non Fama perch reca incomodo e fa;
tica (che ci sarebbe pazzia); ma lama perch azion

virtuosa , e soffre lincomodo per amore della virt.


E dunque il piacere per se stesso un bene, avendo
la forma e la natura del bene in se stesso: e quindi
che n alcun uomo felice immaginaixsappiamo ,

n alcun Dio , se nol ricolmiamo di un grandissimo


ed innito piacere. E ben potea passarsi Aristotele di
quella sua leggiadra comparazione , quando assomi
gli il piacere al desiderio, perciocch il piacere ha
qualche ragione in se d esser voluto, il desiderio non

ne ha niuna; e l abbondanza dei piaceri fa l uom


felice, l abbondanza dei desideri non gi.

CAPITOLO XVI.
Se il piacere sia l ultimo ne.
Essendo io venuto a ragionar del piacere non cre
der che niuno sia per riprendermi se io torner ad

una quistione trattata gi n da principio, e cercher


se il piacere sia esso l ultimo ne, giacch pare che
alcuni non sappiano levarsi di mente che in esso solo

sia posta la felicit. Ed anche Aristotele torn pi di


una volta alla medesima quistione, n volle nire i
suoi dieci libri della morale senza aver prima rispo
sto agli argomenti di Eudosso , il quale avea posta
tutta la felicit nel piacere, adducendone pi ragioni.
Noi dunque, seguendo Aristotele, ci accosteremo di

nuovo all istessa quistione, e non concederemo per


niuna ragione ad Eudosso quello che gi negammo ad
Epicuro.
Io dico dunque quello che ho detto altre volte , e

ci , che la felicit consiste non nel solo piacere ,


ma ne] piacere insieme e nella virt; imperocch non

pu l uomo esser felice se egli non ha tutti quei beni


che a lui si convengono, cio tutti i beni a quali per
certo suo invincibile istinto si sente esser tratto; or

questi beni, come sopra dimostrato, sono il piacere


e la virt; egli non pu dunque esser felice, se non
ha insieme e piaceri e virt.

DI ALCUNE QUALITA DELUANlMO

i37

Oltre a ci il piacere senza la virt non pu mai


essere tanto grande quanto alla felicit si richiede;
perciocch mancando all uomo la virt gli manca
eziandio quel piacere che da lei nasce, senza il quale

difcile che egli sia contento. Ed essendo natural


mente inchinato allonest, non pu non sentir dispia
cere se non l ottiene. Qual il traditore , il ladro ,

l usurpaton, l assassino, il quale sentendo di essere


disonesto , non dispiaccia a se medesimo; ed aven
do mille piaceri non volesse piuttosto averli con la

virt? della quale essendo privo , sente vergogna e


dolore, e appena ardisce egli stesso di chiamarsi felice.
Per cosa vana il volere immaginarsi un piacer tan
to grande che basti all uomo senza la virt.
Ma argomentava Eudosso a questo modo. Lultimo
ne altro non se non quello che tutte le sensitive
cose o ragionevoli o irragionevoli per certo loro na

turale istinto appetiscono; ma questo il piacere;


dunque l ultimo ne altro non che il piacere. Al
che rispondendo dico che l ultimo ne delle cose
sensitive, in quanto son sensitive, veramente il pia
cere; perciocch in quanto son sensitive, per loro na
turale istinto ad altro non si inovono; ma se le cose
sensitive sieno ancor ragionevoli come l uomo , e
per sieno tratte per naturale istinto non solo al pia

cere, ma anche alla virt, non pu lultimo ne loro


consistere nel piacer solo, ma dee consistere nel pia
cere e nella virt; nel piacere in quanto son sensitive,

e nella virt in quanto son ragionevoli.


.
Argomentava Eudosso anche a quest altro modo.
Il dolore il sommo dei mali, perch veggiamo che

tutti lo sfuggono; bisogna dir dunque che il piacere


sia il sommo dei beni. Ed io rispondo che il dolore
veramente un male , e questo basta perch tutti lo
fuggano; n necessario perci che egli sia il som
mo dei mali. Cosi potrebbe il piacere essere un bene
senza per essere il sommo dei beni. Ma domander
alcuno: qual?! dunque il sommo dei mali? Ed io ri
sponder, il sommo dei mali essere il dolore congiun

to alla colpa; che se il dolore si disg.iunger dalla


colpa, potr talor disprezzarsi, quasi non fosse male ;

i3a

PARTE QUINTA

e sar lode in ci, come fecero e Scevola e Curzio


e Bruto e Catone e tanti altri , che dove non fosse
colpa appena credettero che fosse male il dolore.

Essendo dunque il sommo dei mali posto nel dolore


_e nella colpa, par conveniente che il sommo dei beni
si pgonga nella virt e nel piacere.
n altro argomento di Eudosso era questo. Quello

che si appetisce e si vuole per lui stesso , e non per


altro ne il sommo bene ; ora il piacere si appetisce
e si vuole in questo modo; il piacer dunque sar egli

il sommo bene. Al quale argomento rispondo , che


quello che si appetisce e si vuole per lui stesso e non
per altro ne veramente un bene; ma non da

dirsi per ci che egli sia il sommo bene. A cotesto


modo poteva anche dimostrarsi che la virt sia il
sommo bene, percocch essa pure si appetisce e si

vuole per lei stessa , e non per altro ne; ma ci fa


che ella sia un bene, non gi che sia il sommo bene.
Per non altro pu quindi raccogliersi, se non che

essendo la virt un bene, ed anche un bene il piacere,


venga per la congiunzion d amendue a formarsi quel
sommo inestimabil bene, a cui tendono tutti i desi

deri delluomo , e che noi chiamiamo felicit.


Pur dir alcuno: Se un colpevole non avesse verun
incomodo, n quello pure della sinderesi; e fosse in
tanto ricolmo di tutti i piaceri, chi potrebbe dire che
egli non fosse felice? Che importerebbe a lui della
colpa, quando niun male gliene avvenisse? E dim
que riposta la felicit nel piacer solo.
Ed io dico che il colpevole, il quale ha perduta la
sinderesi, quandanche avesse tutti i piaceri, non do
vrebbe per dirsi felice, essendo che la felicit, secondo
l opinion di tutti, uno stato a cui si ricercano due
cose; l una di render l uomo quieto e tranquillo,
laltra di renderlo tale quale esser dee. Ora il col

pevole, quandanche abbia tutti i piaceri, se per


colpevole, non tale quale esser dee; ma brutto ,
deforme, mostruoso, orribile, detestabile alla natura;

non par dunque che possa dirsi felice. N vale il dire


che a lui poco importi della sua deformit; cercandosi
qui se egli sia veramente brutto e deforme, non sc gli

importi di essere. Ma di questo non pi.

Dl ALCUNE QUALITA DELUANIMO

i39

CAPITOLO XVII.
Del desiderio della liciz.
stato detto molte volte e da molti che il desi
derio della felicit si lo stimolo di tutte le azioni,
cosi che niuna se ne faccia se non per l incitamento
di esso; e che esso necessario, n pu estinguersi in

modo alcuno; e che non ha termine, ma va e pro


cede all innito. Le quali cose esporremo ora breve
mente, spiegando prima che cosa esso sia e in che
consista.

E dunque il desiderio della felicit un istinto per


cui luomo desidera la somma di tutti i beni che a
lui convengono, e il rendono compiuto e perfetto. il

qual desiderio certamente nell uomo; perch seb


bene pare talvolta che egli si contenti di alcuni pochi
beni, non per che non volesse averli tutti quando
potesse; e quindi che va dietro ora ad un bene ed

ora ad un altro, non essendo veramente contento di


niuno, e vorrebbe raccoglierne quanti pi pu; e
giacch non pu esser felice interamente, si ingegna
pure e si sforza di esserlo in qualche parte.
Quindi si vede quanto poca differenza sia tra il
desiderio della felicit e l amor proprio , se pur ve
n ha alcuna, e non sono piuttosto un istinto solo con
due nomi ; di che ora niente leva il disputare. E an

che chiaro che il desiderio della felicit non virt;


perciocch non si acquista per abito, ma inserito
dalla natura, onde instinto si chiama; e per l istessa

ragione non vizio neppure.


Spiegato a questa maniera il desiderio della feli
cit pu subito intendersi come esso sia l incitamen
to di ogniazione. lmperocch niuna azione si fa se
non se per conseguire alcun bene, sia dilettevole, sia
onesto; onde si vede l incitamento di ogni azione do
ver essere quell istinto che ci trae verso il bene; e

questo istinto il desiderio della felicit.


Ed essendo cosi anche manifesto che il desiderio
della felicit necessario,_n pu levarsi via, n estin

i4

PARTE QUINTA

guersi in nessun modo. Imperocch se esso l inci


tamento di ogni azione, ne segue che qualunque azio
ne facesse l uomo per estinguerlo , la farebbe mosso
ed incitato da esso stesso e seguirebbe il natural de
siderio della felicit in quel tempo medesimo che egli
cercasse e si sforzasse di sfuggirlo. N altra via po
trebbe esservi di levar da se un tal desiderio, se non
iidursi del tutto allinazione, levando dase ogni in
tendere ed ogni volere; il che sarebbe cangiar natura.

E qui "orr forse alcuno che si spieghi alquanto


ampiamente , come gli uomini pecchino; perch se la
volont si porta sempre albene, come sopra detto;
e ve la trae un invincibile desiderio di felicit , egli
par bene che niuna azion rea n malvagia debba po
ter venirne. E come sarebbe malvagia provenendo da
un desiderio che trae al bene ed invincibile?
Questa in vero difficolt importante da spiegarsi;
per, bench io ne abbia ragionato alquanto in altro
luogo , non lascer di ragionarne anche qui un poco
pi largamente. Io dico dunque che componendosi
la felicit di due parti, cio del piacere e dell one
sto, quella sarebbe felicit somma in cui sommo pia
cere e somma onest si congiungessero. E se mostrar
si potesse alluomo e presentarglisi questa sovrana e
perfetta e divina forma di felicit, non alcun dub
bio che egli non se_ ne accendesse fuor di misura,e
dimenticando ogni altro obbietto, non corresse impe
tuosamente dietro a questo solo; n in ci facendo Lise

rebbe egli libert, n consiglio; ma seguirebbe certo


suo naturale ed invincibile istinto, nel che non sa
rebbe n vizio, n malvagit niuna, n virt pure.
Ma questa cosi eccellente forma e cosi squisita di
felicit nel viver nostro non si ritrova; e bench il
sommo e perfettissimo piacere non possa essere, se

condo clfio credo, senza una somma e perfettissima


onest; n la somma e perfettissima onest senza un

sommo piacere e perfettissimo, ad ogni modo perch


i piaceri che ci si propongono in questa vita, sono

imperfetti, e le onest altresi; avviene bene spesso che


si disgiungan tra loro, e ci si pari dinanzi ora il pia
cere congiunto con la disonest, ed or lunest ' con

giunta col dispiacere e con linoomodo.

Dl ALCUNE QUALITA DELL ANIMO

i!"

E allora che l uomo venendo a deliberazione

ed a consiglio, e usando la libert ch egli ha di 506!


gliere tra beni imperfetti che gli si mostrano, quello
che egli pi in grado, disponsi ad abbracciare o il
Piacere con la disonest, o l onest col dispiacere; e
se fa questo, fa azion lodevole_e virtuosa; se quello,

malvagia e biasimevole.
_
Ma che che egli si faccia, la volont di lui sempre
si porta al bene; imperocch facendo azion malvagia,
vuole il piacere, che un bene, e facendo azion vir
tuosa, vuol l onest, ch un altro bene; n giani

mai che voglia quello che vuole, se non in quanto


bene. Perch di fatto n il malvagio vuole la malvagit
t, in quanto malvagit; ma solo in quanto gioi
conda; n il virtuoso vuol la virt, in quanto sco
moda, ma solo in quanto virt.

Onde si vede che l uomo anche adoprando mal


vagiamente, pur segue alcun bene, e per vi _mos
5o ed incitato da desiderio di felicit; perciocch non

pecca gi egli perch non voglia il bene, sprezzando


la felicit; ma perch non vuol quel bene che dovreb

be, e delle due parti della felicit quella sceglie che


la meno prestante e la meno lodevole, cio il pia,
cere, lasciando laltra, che nobilissima e l0devolis
sima, cio la virt.
Saran di quelli i quali domanderanno per qual
ragione componendosi la felicit di due parti, dello
nesto e del piacere, debba l uomo anzi seguir Pone
sto senza il piacere, cheil piacere senza l onesto, cosi

che seguendo quello, faccia virtuosamente e sia degno


di laude; e seguendo questo, faccia malvagiamente e
degno di biasimo sia riputato.
E questi tali in vero pare che non abbiano ancora
abbastanza compreso leccellenza e la dignit dellone
sto. Poich se l onesto, come tante volte abbiamo
detto, quello che per se stesso e di natura sua dee
volersi e seguirsi ; il dubitare se l uomo seguir lo deb

ba, o pure se gli sia lecito scostarsene alcuna volta,


egli lo stesso che dubitare se l uomo seguir debba
quello che dee seguirsi. La qual dubitazione in cui

potr cadere? Non dunque lecito all uomo lo sco

starsi
i4g
dall
'
onesti per
PARTE
che che sia; e se il fa, fa mal
vagiamente ed degno di biasimo e di castigo.
Ma perch sono alcuni i quali avendo gran copia
di piaceri , vengono in tal tracotanza e superbia che
disprezzando ogni onest e ridendosene, si mettono
sotto i piedi la virt; e purch non abbiamo il ca

stigo , niente importa loro di meritarlo; a bene ag


giugnere un altra ragione , acciocch intendano con
questa loro alterigia mal provvedersi ai fatti loro. Im
perocch pensando bene e rivolgendo nell animo
quanto disdicevol cosa sia e mostruosa e indegna del
la maest della natura un malvagio, il qual sigoda
lungamente della sua malvagit ;, e quanto brutto e

orribil sia il vedere che colui che assassin il pupillo,


debba essere perpetuamente felice del suo assassinio;
egli non pu non credersi e non tenersi per fermis
simo che l insidiatore, il ladrone, lo spergiuro do
vranno perdere una volta quel piacere per cui con
seguire non dubitarono di offendere cosi altamente la
onest. Ed al contrario essendo il virtuoso degnissi
mo dei sommi piacen, e come dice Aristotele, 069m
12mm , cio amicissimo e carissimo aDio, ben
da credere che egli ricever quando che sia il premio

che ha meritato. Che se la natura' cosibene ordi


nata nel reggimento de mondani corpi, che secondo
i sici sempre sceglie le disposizioni e le forme pi
perfette e pi vaghe; per qual ragione crederemo noi
che nel regger gli uomini e nel condurli al lor ne,
debbaessere trascurata e senza niun ordine? Perloc
ch fan male e mal provveggono a lor medesimi tutti
quelli che allontanandosi dalle virt si abbandonano
al piacere ;imperocch perdendo ora la virt che non

curano , perderanno una volta anche il piacere che


tanto curano. Ed al contrario gli onesti debbono spe
raremolto nella provvidenza della natura e nella di
vina amicizia; e studiandosi di esercitar la virt, non
affrettarsi gran fatto di conseguir il piacere; perch

se la natura il concede ora ai malvagi, quanto pi


dovr esserne cortese e larga ai virtuosi quando che

sia? Cosi quelli che seguono la parte pi nobile della


felicit, che la virt, conseguiranno una volta anche

Dl ALCUNE QUALITA DELL ANIMO

i43

la parte men nobile, ma per dolce e cara, che


il piacere, laddove i malvagi avran perduto ogni cosa.
Ma torniamo al proposito.
Abbiamo n qui dichiarato come il desiderio della
felicit sia lincitamenw di tutte le azioni, n possa
estinguersi per niun modo. Resta che dichiariamo ,
come egli, secondo che insegnano i loso, non al)
bia termine alcuno, ma vada e proceda all innito.
La qual cosa come che possa spiegarsi in pi manie
re , noi ci contenteremo spiegarla in due senza pi.

Ma sar bene dir_ prima alquanto del desiderio e


della contentezza; perciocch la contentezza leva laf

fanno ai desideri, i quali se abbiamo detto procedere


allinnito, non perci dee temersi che procedano
all innito anche gli affanni; ch questo in vero sa

rebbe miseria troppo grande; mala contentezza serve


molto ad alleviarla. Per far dunque animo ai timidi,

cominceremo a dirne in questo modo. Dicesi luomo


desiderar quelle cose le quali, se aver potesse, le pi
glierebbe. La qual voglia spesse volte focosa ed ar
dente oltre misura, ed inquieta l animo e lo turba ,
come il pi sonole voglie de giovani; talora pi quie
ta e non d tanta noia , come suole accadere massi

mamente in quelli che essendo prudenti e moderati e


virtuosi assai, n avendo cosa che lor dia molto fa
stidio, si contentano di quei benicbe hanno, n cer

can pi ; i quali piuttosto contenti chiamar si voglio


no che felici. Imperocch consistendo la felicit nella
somma di tutti i beni, e questa non avendo essi, non

hanno la felicit; e bench desiderino averla, poich


se potessero piglierebbero volentieri quei beni ancor
che non hanno; tuttavia il desiderio non li turba;

e per contenti si chiamano. E tali esser possono an


cor molti in mezzo a dolori, massimamente quando
li vogliano eglino stessi. Chi dir che non fosse con
tento Scevola allora quando con fortezza inaudita' e
veramente romana abbruci la mano, se egli stesso
volle abbruciarla? E Curzio e Catone altresi furono
contenti allorch si ammazzarono; giacch il vollero

essi stessi, credendo di fare azione onesta ammazzan


dosi; e la fecero per questo, perch credetter di farla.

"ti;

'

'

5 PARTE QUlNTA

E di vero bench luomo contento si accosti alquanto


alla felicit non per felice; tanto pi che quello

stato di contentezza a cui bastano pochi beni, suole


essered ordinario poco durevole , salvo se non sia

fondato in virt; perch gli altri beni sono esposti


alla fortuna che prestamente li dona e li toglie; e
molti ancora per lo troppo durare stancano e vengono
a noia ed a fastidio, onde manca la contcntezza. Ma
vegniamo al proposito.
lo dico che il desiderio della felicit va e procede
all innito primamente in questo modo. Egli certo
che l umana felicit, siccome quella che nita , n
pu essere altrimenti,tale ancora esser dee che sempre
le si possa aggiugnere qualche cosa, onde vieppi cre
sca e si faccia maggiore, essendo questa la differenza
che passa tra le nite cose e le innite; che siccome
alle innite sempre si pu detrarre, cosi alle nite sem

pre si pu aggiugnere; e per questa ragione due fe


lici possono essere l uno pi felice dell altro , come
altrove abbiamo dichiarato. Ora se cosi , qual sar
quel felice il quale si creda di esser felice abbastan
za? E chi sarebbe, che avvisato d una maggiore fe
licit non la cambiasse volentieri con quella minore
ch egli ha ? Siccome dunque non segnato alcun
termine alla felicit, oltre cui non possa ella stender
si e farsi maggiore, cosi n al desiderio pure, il qual
trapassa ogni termine qualunque segnar gli si voglia ,
e va e scorre all innito. Il che se apparisce negli
altri beni che constituiscono e formano la felicit, pi
ancora e principalmente si manifesta nella virt. Per
ciocch qual luomo che voglia essere temperante,
e giusto e cortese e valorofa misuratamente? Anzi
ognuno che sia onesto desidera di divenire onesto
sempre pi; ed onesta cosa il desiderarlo. I pia
ceri poi che adornano la felicit e che sono onesti,
(lil che potendol fare non ne volesse conseguir sem

pre dei maggiori? Se gi non venisse un qualche ld


dio il qual gl imponesse di contentarsi di quei pia
ceri ch egli ha, facendo diventar virt l astenersi da

gli altri. E questo desiderio dei piaceri dove non con


duce egli l uomo , o pi tosto dove nol trasporta e

Dl ALCUNE QUALITA DELLANlM0

i45

nol rapisce? Alessandro , che fu grandissimo nelle


imprese e nei desideri, oltre la Macedonia bram an
che l Asia; e dopo lAsia un altro mondo; e se de

sider le virt come gl imperi, ben mostr quanto


sia grande nel cuor dell uomo e vasto e intermina
bile e immenso il desiderio della felicit.

Va poi e procede all innito il desiderio della fe


licit anche per un altra ragione. Chi colui che vo
glia esser felice per un certo spazio di tempo e non
pi? E potendo aggiugnere un giorno solo, anzi una

sola ora alla sua felicit non gliela aggiugnesseTNon


dunque nella lunghezza del tempo alcun termine
in cui si fermi, o piuttosto cui non trapassi, tra

scorrendo sempre pi oltre, il desiderio della felicit.


E di vero, se gl infelici, purch non sieno infelici
del tutto , e resti pur loro alcun bene , desiderano
e cercano e procurano con ogni sforzo , e si studia
no di vivere quanto pi possono; molto pi pare che
ci si convenga di fare ai felici, i quali essendo in
cosi grande abbondanza di tutti i beni, niuna ragione
hanno perch debba esser loro odiosa la vita, anzi
n hanno una grandissima per desiderare di vivere e
durar lungamente. E questo desiderio di vita che non
ha termine alcuno , ove si fermi e riposi, che altro
se non desiderio di eternit? E di qui nasce quel
l abborrimento naturale e quasi necessario che ognu
no ha di morire. Per la qual cosa egli si par bene
che strano sarebbe e disordinato provvedimento della
natura se avesse prescritto alcun termine alla vita del
l uomo, non essendone prescritto niuno al desiderio;

il perch molti losofanti si hanno fermamente per


suaso che la morte sia non gi il ne del vivere,
ma piuttosto un passaggio da questa vita temporale
e breve ad una pi lunga e sempiterna. E questo
dovremmo credere per pi alto decoro della natura
quand anche le ragioni dei sici nol consentissero;
le quali per non solo il ci consentono, ma ci dimo
strano chiaramente dover tenersi l anima per eterna

ed immortale , n morire essa morendo l uomo, ma


sorgere a vita migliore e pi perfetta. Ed essendosi

creduto da molti che la gloria delle preterite azioni


I3

i1,6

PARTE QUINTA

dovesse piacere e recar contento e diletto alle anime


dei trapassati , si studiarono di lasciar di se stessi
dopo la morte un gran nome, credendo cosi di prov
vedersi di alcun comodo per la vita avvenire. N par
ve che la natura disapprovasse del tutto la loro opi
nione , essendosi ella stessa servita di un tale stimo
lo per eccitar la virt. Il che se vero, e se un al
tra vita tanto migliore ci attende, la qual dobbiam
vivere eternamente , a che dunque ci affrettiamo di
esser felici in questa manchvole e breve, e non piut
tosto la felicit nostra aspettiamo nel corso lunghis

simo e sempiterno dell altra ? Come se uno dovendo


vivere centomila anni ponesse ogni opera e si stu
diasse con ogni argomento d esser felice per un mi
nuto di tempo , nulla curando del restante. Ed pu
re la presente vita assai men che un minuto a ri
spetto della vastissima eternit. E certo questa ragion
seguendo , difcil cosa contenersi di non trascor

rere in quelle altissime speranze platoniche che mi


fanno spesso venir voglia di abbandonar del tutto la
breve felicit di questa vita e lasciarla ai Peripatetici.

CAPITOLO XVIII.
Della felicit.
Non sar fuor di proposito che sul nire di questo
compendio ritorniamo l donde partimmo, ritoccando
e compiendo quella immagine ovvero forma di feli
cit che gi adombrammo in sul principio. E cosi
pur fece Aristotele ne suoi dieci libri. Sia dunque la.

erfetta felicit il cumulo di tuttii beni, cosi che non


l; manchi n scienza , n sanit , n robustezza , n
bellezza, n grazia, n potenza, n ricchezza, n no
bilt , n onori ;e fra tutti questi beni si segga , e
tutti li regga e governi quasi signora e imperatrice la
virt. Ma questa felicit piuttosto pu ngersi e de

siderarsi che ottenersi; imperocch n tutte le virt


possono sempre esercitarsi in sommo grado; ed al

cuna ve n ha che non s adopera senza i beni della


fortuna , come la liberalit ; ed altre hanno bisogno

Dl ALCUNE QUALITA DELUANlMO

i157

de mali per essere adoperate , come la tolleranza e


la fortezza, tanto che pare sieno proprie solamente

degl infelici. Gli altri beni poi si d animo si di cor


po, come la memoria e lo ingegno e la sanit e la
bellezza e la grazia; vengono quasi in tutto dalla

natura , che rade volte li unisce e li raccoglie in

un solo ; e chi da essa non li ebbe non pu sperare


gran fatto di procacciarseli. Che diremo de beni ester
ni, della potenza, della ricchezza, degli onori , della
nobilt, delle amicizie, ne quali se in altra cosa mai
regna e domina la fortuna cosi incerta ed incostante
che non chi debba darsene, o possa. E se vogliam

riguardare non solo alle comuni vicende dei fatti pre


senti e che abbiam sotto gli occhi, ma riandando su

per le antiche memorie cercar con diligenza le pre


terite avventure degli uomini, troveremo onde lagnar
ci molto della fortuna e sperarne assai poco. Per la
qual cosa chiunque si mettesse in pensiero di voler
conseguire in questa vita la perfetta felicit, male spen
derebbe le sue diligenze, e avrebbe sempre bisogno
di essere grandemente raccomandato ed oltre modo
caro alla fortuna.
Per bene e saviamente hanno fatto i Peripatetici,

che avendo locato la perfetta felicitin un cosi alto


luogo , ove niuno aspirar pu , hanno posto sotto di
essa alcuni altri gradi di felicit imperfetta , a quali
aspirar si possa con maggiore speranza. Ma perch
questa istessa imperfetta felicit potrebbe essere in
tesa in pi maniere, e molti potrebbero ingannarvisi
prendendo per felicit imperfetta ci che pur non
merita il nome della felicit, per a bene descriver
ne brevemeute "la forma, acciocch in essa riguardan
'do possiamo pi facilmente distinguere quali sieno
_i felici e quali no. Io dico dunque, che a questa im
perfetta felicit, di qualunque forma ella sia, tre co
se si richieggono e non pi; prima, che l uomo sia
virtuoso; appresso, che sia contento; e in terzo luo

go, che niuna grave sciagura gli soprastia. N io vo


glio qui che troppo sottilmente si esamini una tal par
tizione, perch se ad alcuno parr che le sopraddet

te tre cose possano ridursi a due parendogli per

i48

PARTE QUINTA

avventura che la contentezza rinchiudasi nella virt ,


o la virt nella contentezza, io non gli contraster
punto; ma intanto le considerer come tre.

Ricercasi dunque alla felicit , qual che ella siasi ,


in primo luogo la virt; e ci per pi ragioni. Pri
mamente non alcuno che per nome di felicit non
intenda uno stato nobile, eccelso e preclaro e de

gno di laude e meritevole dessere desiderato e vo


luto; e tale non pu esser lo stato d un malvagio;

perch chi sarebbe quello che stimasse degno di laude


e meritevole di esser voluto lo stato di un assassino,
foss egli anche signore di tutta lAsia? E noi veggia
mo che i menzogneri, e gli spergiuri, e i ladroni, e
gli usurpatori s ingegnano , quanto possono, di non
parer tali, conoscendo esser degno di grandissimo vi
tuperio lo stato loro. Che stato felice dunque que
sto, il qual si vuol nascondere con tanta cura per la
vergogna?
Non diremo dunque felice, n stimeremo degno di
si bel nome in niun modo colui che non sia virtuo
so. E molto meno il diremo se considereremo che a
quella felicit che ora descriviamo, qual che ella sia
si, dopo la virt massimamente si richiede la conten
tezza, la quale appena pare che possa stare senza vir
t; Iaonde anche per ci richiedesi alla felicit la vir
t. Ma questa parte della contentezza si vuol spiega
re alquanto diligentemente, pereiocch di essa si van

tano talora anche i malvagi.

Contento dunque si dir esser quello che posse


dendo alquanti beni vuole che questi gli bastino, n
si aligge del desiderio degli altri beni che nonpos
siede; i quali intanto solo desidera, in quanto volen

tieri li piglierebbe se alcuno glieli recasse; n per si


turba del non averli. Io voglio dunque che egli pos
segga alquanti beni, e certamente quelli la cui man
canza non potrebbe egli se non difcilmente e con
fatica sostenere; perciocch ben suppongo che a que
sto felice imperfetto che noi ora immaginiamo non
voglia concedersi una virt perfetlissima. Ora se luo
mo contento dee possedere alquanti beni, n deside
rarne altri gran fatto, qual diremo noi esser quel bene

Dl ALCUNE QUALITA DELUANlMO

i49

che pi gli convenga di possedere, e per cui deb

ba maggiormente contentarsi, se non se quello che


essendo lodevolissimo e gloriosissimo, anche soa
vissimo e pieno di giocondit; ed tutto nelle mani
di colui che l ha, non potendogli esser tolto n dul

le insidie degli uomini, n dalla temerit della for


tuna? Certo che se fra tutti i beni dovesse alcuno
sceglierne un solo e di esso essere pago e contento ,
dovrebbe sceglierne uno tale. Or chi non vede che
tale si la virt? La quale non solo per se stessa
nobile e magnica, ma riempie l animo d un piacer
puro e durevole e che non induce saziet, come il
pi degli altri beni far suole, che o non si sentono ,
poich si sono per qualche spazio goduti, o vengono
a noia ed a fastidio; il che veggiamo per esperienza
nei giuochi, nei balli , nelle feste, nei conviti e ne
gli altri passatempi. E la sanit stessa non pu sen
tirsi quanto piaccia e sia dolce, se non si perde. Quan
to poi vaglia la virt a raffrenare la cupidigia dei pia
ceri, il che sommamente alla contentezza richiedesi ,
non bisogno di dimostrare; sapendo ognuno che la
virt di sua natura moderatrice delle passioni, e
per cosi dire briglia del desiderio. Ma 1 intemperante,
l avaro il su P erbo l invidioso , il violento difficil
mente POSSODO tenersi che DOi} TESCOITHDO sempre coi1

le ingorde lor voglie a nuovi piaceri, essendo il vi


zio per suo natural costume insaziabile. Tanto pi
che i piaceri di costoro sono cosi vili ed imperfetti
che prestamente si guastano e divengono noia ed in
comodo. ll perch poca contentezza pu sperarsi dal
vizio; ma moltissima dalla virt; e certo spesse volte
pi contento il virtuoso del poco che non il vizioso
del molto. Oltre a ci se l uomo dee esser contento
di certi beni, senza desiderar pi innanzi, bisogna
che egli stimi e creda che questi gli bastino e gli paia
di stare assai bene con essi soli. La qual cosa dif
cilmente pu parere al vizioso; perciocch essendo i

piaceri di lui caduchi e manchevoli, e potendogli dora


in ora esser tolti dalla fortuna , non pu cosi di leg
gieri persuadersi di star assai bene e di essere abba

stanza felice con quelli soli; e non avendo altri beni

i50

PARTE QUINTA

che quelli che sono in mano della fortuna, bisogna


che desideri che la fortuna li serbi sempre al piacer
di lui; il che desiderar l impossibile. Al contrario
il virtuoso, avendo posto principalmente la sua felicit
nella virt e nel piacere che da essa deriva, tiene in

minor conto gli altri beni, e non ha tanto bisogno


(lella fortuna, la qual se gli toglie la sanit, le ric
chezze, gli onori, non pu per togliergli la virt ,

con cui egli possa soffrire pazientemente tante e cosi


gravi percosse.
Ed anche questo grandemente si ricerca a essere
in qualche modo felice che niuna grave sciagura ne
sovrastia; perch quand anche fosse uno ornato di
molte virt , e fosse giusto e temperante e magnani

mo e valoroso , ed oltre a ci avesse tanti piaceri


che gli bastassero , cosi che nulla pi desiderasse; se

perinoi sapessimo dover lui tra poco perdere tutti i


piaceri che ha, e dover cadere in povert, in prigio
nia , in obbrobri e in dolori lunghissimi ed atrocis
simi, chi sarebbe colui che ardisse di annoverarlo tra
i felici? Anzi chi sarebbe che nol chiamasse infelicis
simo? Essendo una certa maniera di infelicit il do
ver essere infelice una volta. Ben vero che se la
stessa sciagura sovrast al virtuoso ed al vizioso, non
cosi gran male verso di quello come verso di que
sto. Perciocch il virtuoso ha due grandissimi ed ec
cellentissimi beni, che sono la virt e il piacer vir
tuoso, che niuna sagura gli pu togliere; e confon
tandosi con questi eni sostiene con minor turbamen
to la perdita degli altri. Ma il vizioso privo di un
tal conforto, e perdendo i piaceri, di cui gli fu cor
tese a qualche tempo la fortuna, perde ogni cosa;
sicch minor male sovrast al virtuoso che al vizioso,
quand anche all uno ed ali altro sovrastia la stessa
sciagura; e se veggiamo talora il virtuoso dolersi del

la malattia o d altra tale sventura e turbarsene pi


che il vizioso, ci avviene perch n quegli virtuo

so, n questi vizioso abbastanza. E come al virtuoso,


di cui parliamo, (ch non parliamo noi qui ora di un
virtuoso perfetto , il qual di nulla si dorrerebbe; ma
d un virtuoso imperfetto ed ordinario ) come, dico ,

DI ALCUNE QUALlTA DELL AN 110

i5v

al virtuoso rimangono ancora alcuni impeti della pas


sione , cosi al vizioso rimangono ancora alcune scin
tille della virt, delle quali egli fa uso talvolta, e al
lora maggiormente quando percosso dalle gravis
sime avversit sforzandosi alluopo di fare azione vir
tuosa e da forte, bench non la faccia virtuosamen
te; con che mostra quanto la virt gli sia necessaria.

E in simil modo il virtuoso che si turba soverchia


mente dell avversit mostra che gli sarebbe necessav
ria maggior virt.

E se cosi che a questa imperfetta felicit, alla qua


le aspirar possiamo con qualche maggiore speranza ,
le tre sopraddetle cose si ricerchino, cio la virt in
primo luogo, poi la contentezza che appena pu es
sere senza virt, e nalmente che niuna grave scia
gura ne soprastia, egli ben chiaro non potersi niun
uomo chiamarsi pienamente felice n pure di questa
cosi corta e cosi ristretta felicit. Perch posto ancora
che uno abbia molta virt e sia contento dici che
ha, n pi desideri, chi pu sapere se niuna grave
sciagura gli soprastia? Quanti si credetter felici la mat
tina che furono infelici la sera; e dovendo essere iu
felici la sera , lo erano ancor la mattina, ma non se
ne accorgevano? Quanti vinser la causa e ottennero
la maestratura e Yimperio con grande allegrezza, che
poi se ne pentirono? E quante feste e quante congra

tulazioni si perdono nei rnaritagg che in poco dora


divengono noiosi, talvolta ancora luttuosi e funesti ?
Perch la fortuna si prende giuoco degli uomini e ri
de della loro felicit. Chi non avrebbe detto felicissi
mo GiulioCesare quella mattina, che fu poi per lui

l ultima , quando giovane e sano e glorioso e si


gnore del mondo entr in senato , ove fu indi a po
co da suoi pi cari trucidato?
E questa cosi trista e cosi malinconiosa considera
zione, da cui non posson del tutto distoglier lanimo

se non gl insensati, guastar dovrebbe e corrompere la


felicit ancor deipi saggi; pereiocch chi che pos
sa esser contento di vivere in tanto pericolo? ll per

ch molti si hanno formata nell animo un altra im

niagine di felicit imperfetta essa pure, ma per molto

ISQ

'

PARTE QUINTA

pi allegra e pi animosa e pi ardita, come quella


che molto meno soggetta allimperio della fortuna.
La quale descriveremo ora brevemente per non trala
sciar nulla di ci che pu consolar gli uomini ed ani
marli alla virt.
Pensando questi adunque alrinnita sapienza della
natura, la quale in ogni quantunque minima parte
dell universo risplende e traluce , si hanno posto ed
altamente piantato nellanimo che debba essere a qual
che tempo punito il vizio, e la virt degnamente ri
compensata attribuendo cosi alla natura insieme col
sapere e con la potenza una rettissima infallibil giu
stizia; senza cui sarebbe odiosa la potenza, e vano e
spregevole il sapere. Imperocch, che gran sapienza
sarebbe mai quella che sapesse apprestare il cibo agli
uccelli e formar la tana alle ere, e non sapesse poi

come regger gli uomini e governarli giustamente? E


se questo fa la natura, come veggiamo che fa tante
altre cose, ed oltre a ci pu farlo, come crederemo

noi che nol faccia? Che se rade volte veggiamo in


questo mondo punito il vizio e ricompensata la virt
(che in vero lo veggiamo di rado ), non per questo
da conchiudersi che sia stolida o impotente o ingiu
sta la natura ; ma piuttosto da dire che un altro

mondo ci aspetti pi comodo e migliore, in cui abiti


la giustizia e la verit, ed ove debba il vizioso esser

punito e il virtuoso ricompensato. Ed tanto grande


l opinione che si ha in questa losoa della sapienza
e della bont della natura, che non si crede possa
farsi azione alcuna dagli uomini, quantunque piccola,

che non debba a qualche tempo esser punita dalla


natura se malvagia, o ricompensata se virtuosa. E

perci credesi che i malvagi in questo mondo sie


no assai volte fortunati, ed al contrario oppressi i vir
tuosi , potendo gli uni con qualche onesta e virtuosa
azione aver meritato qualche breve felicit; e gli altsi
con qualche leggier difetto aver meritato una breve
miseria e passeggiera. '
.
E certo seguendo una tale opinione che tanto con
da nella bont della natura, non da aspettarsi nel
la presente vita alcuna vera e compiuta felicit; ma

Dl ALCUNE QUALIT DELUANHIO

|53

piuttosto da sperarsi in un altra, dove il piacere


sar pi puro e perfetto, e dove all esercizio faticoso
delle virt succeder la quiete d una tranquillissinia
contemplazione; o sia che lanima del virtuoso in
quella nuova vita passi duno in altro vero; o sia che

tutti i veri discopra in uno solo , il qual comprenda


in se stesso ogni forma di bene e di belt: illustre e

nobile ricompensa dei virtuosi e degna della magni


cenza della natura.
Poste le quali cose non pu negarsi che il virtuoso
non sia tanto felice in questa vita quanto esser si pu.
Cosi che quando ancora tutti gli altri beni di questo
mondo e ricchezze ed onori ed imperi e bellezza e sa
nit e scienza a lui niancassero , pur felicissimo tra
gli uomini chiamar si dovrebbe solo che ritenesse la
virt. Imperocch siccome infelice colui, anzi infe
licissimo, a cui sovrast unasomma miseria, cosi fe
lice chiamar si pu, anzi pur felicissimo , quello cui
sovrast una grandissima e somma beatitudine. E que
sto bastar potrebbe in verit, perch lo stato del vir
tuoso fosse da desiderarsi e da volersi sopra ogni al
tra cosa. Ma non consiste per tutta la presente feli
cit di lui nella soprastante beatitudine; essendo egli
felice per pi altre ragioni ancora; prima perch spe

rando uua tal beatitudine comincia gi da ora in


certo modo agoderne; poi perch virtuoso; e

nalmente perch sente il piacere della virt. Ed ecco


un altra forma di felicit molto nobile e molto ma
gnica, che essendo posta nella virt e in quel pia
cere e in quella speranza che non mai l abbandona
no , sottrae l uomo all imperio della fortuna e al
Yinsolenza del caso. Imperocch chi sar colui che

sentendo in se stesso il piacere della virt , ed aspi


rando al riposo d un eterna ed immutabile tranquil
lit, non tenga per nulla tutti ibeni di questa terra,
e non si ricla della fortuna che li dispensa? E qual
sar la sciagura che a lui paia grave, solo che in essa
esercitar possa la virt? E qual male creder egli che
sia male, se non la colpa? Anzi le avversit per cui si

adopera la pazienza, e i pericoli che aprono largo

campo alla fortezza, e l esiglio e il disonore e la ma

,54

PARTE QUINTA

lattia e la mendicit, in cui risplendono Pintrepideza


za e il valore, dovranno parergli piuttosto doni che in
giurie della fortuna, la qual disponendogli questi ac
cidenti che gli uomini chiaman sventure, gli appresta
i mezzi di usar virt e conseguire una eccellentissima
e squisitissima felicit. E con questo animo sar il
virtuoso prontissimo e speditissimo a tutti gli ufci
della temperanza e della giustizia, nulla potendo in
lui tutti gli altri beni a petto della virt; i quali n
pure giudicher beni, n li stimer pur degni di de
siderio. Cosi, ristretto e raccolto tutto nella virt, sprez
zer i colpi della fortuna , e sar d animo eccelso e
imperturhabile , e non avr che invidiare al fasto ed

all orgoglio degli Stoici. Il perch molto mi maravi


glio che alcuno dubiti di abbracciare questa losoa
cosi animosa.
Ma molti sono i quali temono di accostarsi a Pla
tone , parendo loro che quella contemplativa felicit
possa e debba render felice l animo delluomo, ma
non il corpo; ed essi vorrebbero pure che fosse feli
ce anche il corpo; perch avendosi posto in mente
che l uomo sia composto d anima e di corpo, sem
bra loro che se il corpo non felice esso pure,_ non
sia l uomo, n debba dirsi felice che per met. E an
che un altro timore che ritrae gli uomini e gli allontana

da Platone, perch invitandoli questo losofo a sprez


zar tutti i beni di questa vita, fuori che la virt ; e
ci in grazia di un piacere eterno ed immutabile chei
ne promette in un altra, quantunque egli tutto que
sto assai bene e con belle ragioni dimostri, ad ogni
modo non se ne dano; e parendo loro che i beni
di questa vita sieno troppo pi stimabili che non so
no, temono di avventurar troppo se li abhandonino

seguendo la speranza che lor vien data dall opinion


d un losofo. E che sarebbe se Platone, come tanti
altri, fosse ingannato? Se questa astrnsa felicit che

abita e sta tra le idee, non fosse altro che un vago e


dolce sogno? E noi intanto per amor dessa perduto
avessimo quanto di bene qua gi? Cosi dicono i
pnsillanimi, e non dandosi di Platone si dano della
fortuna , e corrono dietro agli onori, alle ricchezze ,

DELLE VIRTU lNTELLETTUALl

i 55

alle dignit e a tutti i beni di questa vita che lor si


moqtrano in minor lontananza, e che essi, non so per

ch, si persuadono di dover conseguire una volta; quasi


fossero pi sicuri di dover vivere fra dieci anni in
questo mondo che fra duemila in un altro. Cosi com
mettono la loro felicit alla temerit della fortuna,
non volendo commetterla alla ragione d un losofo.
E questi tali che non si dano di Platone, n ab
bastanza si assicurano d un altra vita , n di quella
sovrana incomparabil felicit, vorrebber forse, a quel
ch io mi credo, che lor venisse dal cielo un qualche Id

dio e li assicurasse. E certo se egli venisse a loro que


sto cortese Iddio, e gl instruisse, farebber gran sen
no a volger le spalle ai loso, e lui solo ascoltare

e non altri. Chi sa che egli non mostrasse loro un al


tra nuova e maravigliosa ed inaudita forma di feli
cit , non ancora caduta in mente a verun uomo, la
qual per, qualunque fossesi, par certo che non do
vesse poter conseguirsi se non per virt , e dovesse

essere ad altra vita riserbata. E quel medesimo Iddio


che avesse preso tanta cura di noi , e fosse venuto
di cielo in terra per dare lezione agli uomini e farsi
maestro di felicit, ci direbbe forse se l anima sia
tutto l uomo, cosi che il corpo a lui nulla apparten
ga ; il che se fosse , essendo felice l anima , sarebbe
felice altresi tutto l uomo: o piuttosto chi sa che
questo divin maestro, svelandoci un nuovo e non pi
udito ordin di cose , non ci mostrasse un qualche ri
sorgimento, per cui dovessero le anime separate riu

nirsi una volta ai corpi loro per cosi fatta maniera


che essendo essi felici, lo fossero anche i corpi, e ve
nisse l uomo in tal modo ad esser tutto felice , ed
ogni parte di lui e quanto in lui, e anima e cor
po e sentimenti e potenze, tutto fosse pieno e ri
colmo d una purissima ed altissima felicit? Io po
trei dire, senza timor dingannarmi, che questo cor
tese Iddio gi venuto, ed ha mostrata agli uomini
la loro vera felicit; n potrei contenermi di non isde
gnarmi con tutti coloro che non l ascoltano. Ma egli
mi converrebbe di entrare in quella divina losoa

che io non son degno di esporre; per restringendo

|56

PARTE QUINTA

mi dentro allumana, e standomi tra gli angusti con

fini della natural ragione, io dico che egli mi,par


chiaro che debba l uomo ocontentarsi di quella mi

' sera felicit che Aristotele ci propose in questa vita,


o aspettar quella pi lieta che in altra vita ci hanno
promessa con tanto fasto i Platonici; o dir bisogna

che tutta questa losoca beatitudine altro non sia che


un nome vano.

Fine della parte quinta.

MANUALE
DI

EPITTETO
CON LA TAVOLA
DI

CEBETE TEBANO. _

MANUALE
DI

EPITTETO

Di quante cose vi sono al mondo certune da noi di


pendono, cert altre no; dipendenti da noi sono lopi

nione , l appetenza , il desiderio , l avversione , e in


somma tutte quelle che sono opere nostre. Non di
pendenti da noi sono il corpo, laroba , gli onori , le

dignit e tutto ci in ne che non opera nostra.


z.
Le cose che abbiamo in nostro potere di lor natu
ra son libere , poderose , a niuno ostacolo o impedi

mento soggette; ma quelle che non abbiamo in poter


nostro, sono deboli , schiave, sottoposte a impedimen
ti, straniere.
3.
Avverti dunque che se tu prendi per libere quelle
cose che di natura sono schiave, e le straniere per
proprie, ti sentirai impedito, afflitto, turbato, accuserai
gli Dei e gli uomini; ma se terrai solamente per tuo
ci che tuo , e ci che straniero per istraniero ,
com egli realmente, nessuno ti far mai violenza,
nessuno faratti ostacolo, non avrai a riprendere od

incolpare veruno, nulla farai contra tua voglia : nes


suno ti nuocer , non avrai nemico alcuno; percioc

ch niuna cosa nocevole ti avverr.


4.
Or se tu aspiri a conseguir tali cose, pensa che tu
non dei al loro possesso determinarti con moto lento
e rimesso. Delle altre cose parte convienti abbando
narle del tutto, parte lasciarle star di presente, e pi
gliar cura principalmente di te medesimo. Che se desi
deri queste ancora, non vo dire le dignit, le ricchezze,
forse non ti avverr di ottenerle pel desiderio che in

i60

MANUALE DI EPITTETO

te pur senti di conseguire ancora le prime, ma as


solutamente ti rimarrai senza di quelle , per cui sole
s acquista la libert e la felicit della vita.
5.
'
A ogni obbietto disgustoso che ti s affaccia , pro
cura tosto di contrappor questo detto: Tu non sei
altro che un apparenza, e non gi quello che map

parisci. Fanne di poi l esame e il cimento a tenor


delle regole che tu hai. La prima e principale sia
questa: s egli riguarda cose che sieno in poter no
stro, o non sieno. E se appartiene a qualcuna del
le seconde, d prontamente. Ci nulla non ha a che
fare con me.

6
Sovvengati che lintento del desiderio il consegui
re ci che tu brami; 1 intento dell avversione il non

cadere in ci che tu schivi. Chi non adempie il suo


desiderio malavventurato ; chi urta in quello che egli
ha a schifo , sciagurato. Se dunque abborri le sole
cose che sono contrarie alla natura di ci che trovasi
in tuo potere , tu in nulla di ci che abborri t ab
batterai. Ma se tu prendi avversione alla malattia, alla
morte, alla povert, sarai sciagurato.

Distogli dunque 1 avversione tua da tutto ci che


non dipende da noi, e trasferiscila alle cose che son
contrarie alla natura di quello che da noi stessi di
pende. E quanto al presente sbandisci ogni sorta di
desiderio; poich se questo rivolto a qualcuna di

quelle cose che in poter nostro non sono, tu non


potrai se non avere disfavorevole la fortuna: rispetto

poi alle cose che sono in nostro potere , tu 'non per


anche discerni quali stia bene desiderare. Tu puoi sol
tanto destare o rattenere i primi moti dell appetito,

ma leggermente e con ristrva e lentezza.


A ciascuna di quelle cose che danno diletto od utile,
o son da te amate , ti sovvenga di dire: Che cosa
questa? incominciando dalle meno importanti. Se ami

un vaso di terra; un vaso di terra quello che amo;

e cosi s egli si rompe , non ne sarai sconcertato. Se

MANUALE DI EPITTETO.

i6

accarezzi un tuo glioletto o la moglie: lo accarezzo


un mortale. E perci se ti muore , non ne sarai stur
bato.

_
g.
Allorch ti vuoimettere a qualche azione, fra be
medesimo pensa di che natura ella sia. Se vai al ba

gno, ti rappresenta quello che vi si fa; chi getta del


lacqua, chi urta, chi dice delle ingiurie , chi ruba;
e tu v andrai con maggior sicurezza se prontamente
dirai: Io vo lavarmi, e vopur anco serbare quel na
turale contegno a cui mi sono appigliato. In simil mo

do ti disporrai a qualsivoglia altra azione. Il perch


se tu incontri qualche contrasto a bagnarti, spedita
mente dirai : Io non voleva soltanto questo , ma vo
leva serbare ancora quel naturale contegno, a cui mi
sono appigliato , n io lo serberei se mi crucciassi di
quello che qui accade.
'

io.
Non son le cose che disturbano gli uomini, ma si
bene le opinioni che se ne formano. La morte per
esempio non orribile; altrimenti sarebbe comparsa
tale anche a Socrate. Ma l opinione che della morte,
come di cosa orribile ci formiamo, quella si ch or
ribile. Cosi quando proviamo ostacoli o turbamenti
o tristezze, non abbiamo a incolparne gli altri, ma noi
medesimi, vale a dire le nostre proprie opinioni. E
cosa da ignorante l accagionare altruidelle sciagure
sue; chi ha cominciato a istruirsi ne accagiona se stes
so; e chi ben istrutto , n gli altri, n se medesimo.

I i.
Non levarti in orgoglio per niuna prerogativa stra
niera. Se un cavallo con baldanza dicesse: Io son bel
lo, ci sarebbe anco da comportarsi. Ma quando con
arroganza tu dici: Ho un bel cavallo: sappi che tu
ti vanti d un pregio ch proprio del cavallo. Che
dunque havvi di tuo? L uso che fai di cosi fatte ap

parenze. Or quando nel fai uso di queste ti regoli su


la norma della natura, ben puoi allora vantarti , per
ch ti vanti meritamente d un bene che proprio tuo.

12. se, quando lainave ha


Siccome andando per mare,

i63

MANUALE DI EPITTETO

preso porto. tu n esci fuori per fare provvisione di

acqua , puoi bene per accessorio del tuo viaggio ric


cogliere qualche chiocciola o qualche picciolo bulbo,
ma di tenerla mente alla nave, e l rivolgerti di
continuo per vedere se il piloto ti chiama, e se chia
ma tu dei lasciare andare ogni cosa ; perch, non abbi

a dovere essere legato e cacciato come una pecora


nella nave; cosi anche nel corso della vita se in cam
bio d una chiocciola e (lun bulbo ti vien data una
donnetta ed un bambolo , nulla ti vieta il prenderli.
Ma se il piloto chiama, corri alla nave, lascia andar
tutto senza voltarti indietro. Di pi ancora, se tu sei

vecchio non discostarti dalla nave gran fatto per non


mancare quand egli chiama.

i3.
Non pretendere che le cose succedano come vuoi,
ma di volere che ogni cosa succeda appunto come
succede , e tutto correr bene per te. La malattia
un impedimento del corpo non della volont, se pur
questa non vi consenta. Lo zoppicare un impaccio

della gamba, non della volont. Fa lo stesso discorso


di qualsivoglia altra cosa che ne intervenga, e tro
verai esser quella un impedimento per qualche altro,
ma non per te.

i4.
In ciascheduna occorrenza che si presenti, racco
gliti entro te stesso per ricercare qual forza tu abbi

per farne uso. Se vedi un belluomo, una bella donna,


troverai che ha forza incontro a loro la continenza;

se trattasi di fatiche , la tolleranza; se d ingiurie , la


pazienza. E a questo modo avanzandoti non sarai dalle
apparenze stravolto.
5
i .
Giammai non dire d alcuna cosa. lo l ho perduta;
ma l ho restituita. T morto un gliuolo? E stato

restituito. T morta la moglie? E stata restituita. Ti


stato tolto un podere? Dunque stato anche questo
restituito. Ma un tristo colui che me l ha tolto. E
che timporta, se quegli che te lo diede per mezzo

d uno o duu altro te lha richiesto? Intanto che que


ste cose ti son lasciate di curarle come straniere, in
quella guisa che i viandanti fanno d una locanda.

MANUALE Dl

EPITTETO

N53

i6.

Se brami dapprottarti, lascia da banda cotali ra


gionamenti : Sio non ho cura de miei affari, non avr
da mangiare; se non castigo il mio schiavo , verr
cattivo. Torna meglio morir di fame senza tristezza e
timore, che vivere sconcertato in mezzo dellabbondan

za. Meglio che uno schiavo sia cattivo che tu in


felice.
i7.

Comincia dunque dalle piccole cose. Ti s versato


un po d olio? Ti fu rubato del vino? D: che a tal
prezzo si vende l acquietamento dell animo , l esen
zione da travagli. Senza nulla non si ottien nulla. Quan

do chiami il tuo schiavo, pensa ch egli pu non udir


ti, e udendoti pu non far cosa alcuna di quel che
vuoi. Ma questo non torna bene per lui. Torna per
altro bene sicuramente per te , allmch non dipenda
da esso lui che tu rimanga tgrbato.
I .

Se vuoi fare protto, soffri d essere tenuto stolido


e mentcccato pel tuo disprezzo delle cose esteriori ;
n far mostra con altri di saper nulla; e se a certi

uni tu sembri da qualche cosa, difda di te medesi


mo. E sappi che non facile governare tua volont a
norma della natura , e il curar tutt insieme le cose
esterne , ma giuoco forza che se tu abbracci l uno
de due partiti, riuti l altro.
I .

Se brami che i tuoi gligoli e la consorte e gli ami


ci vivano sempre, tu sei un pazzo. Quest un volere
che dipenda da te quel che da te non dipende, che
sia tuo quel ch straniero. Medesimamente se tu pre
tendi che il tuo servo non pecchi, tu sei un balordo.
Quest un volere che la malizia non sia malizia , ma
sia qualch altra cosa. Ma se non vuoi restar deluso
nelle tue brame , tu il puoi. Or dunque t applica a

quello che tu puoi fare.


2o.

Padrone di ciascheduno colui che di quanto da


lui si vuole onon vuole, ha in sua mano il fornirnelo
o il dispogliarnelo. Chi dunque brama di viver libero,

i64

MANUXLE D1 EPTTETO

n cerchi , n fugga quello ch in potere d altruir


Altrimenti egli costretto a servire.

2i.
Pensa che ti convien governarti non altrimenti che

in un convito. Qualche vivanda che va intorno s ac


costa a te? Stendi la mano e prendine con modestia.
Va ella innanzi? Non trattenerla. Non viene ancora?

Fa che il tuo desiderio non trascorra lontano, ma


aspetta nch ella sia dinanzi a te. Cosi di fare per

rispetto a ligiiuoli e alla moglie e alle ricchezze e agli


onori. In tal

guisa ti farai degno di stare a mensa

co Numi. E se quando ti sono offerte si fatte cose ,


tu non le prendi, ma le riuti, non solamente sarai
a parte del convito de Numi , ma eziandio della lor

podest. Cosi operando Diogene ed Eraclito ed altri


simili ad essi giustamente si tennero e furono ap
pellati divini.
'

22.

Se vedi alcuno addolorato e piangente o per l as


senza oper la morte dun glio, o per la perdita del
le proprie sostanze, guarda di non lasciarti dallap
parenza travolgere, come s egli nelle sciagure si ri
trovasse per queste cose esteriori: ma teco stesso fa
distinzione subitamente, e di pure: Quel che affligge
costui non il caso accaduto, poich questo non af

fligge alcun altro, ma l opinione ch egli se n for


mata. Tu per altro non di esser ritroso a uniformarti
con lui, almeno in parole, e se bisogna, ancor a pian
gere insieme; ma guarda ben di non piangere inte

riormente.
23.

Rammentati che qui sei rappresentante d una sce


nica azione tal quale piace al direttor del teatro; breve,
se la vuol breve, lunga, se la vuol lunga. S egli vuole
che tu il povero rappresenti, fallo con buona grazia;

e cosi pure , se lo zoppo, se il principe, se il privato.


A te s aspetta il far bene la parte che t assegnata,
il farne la scelta ad un altro.
24.

Se mai un corbo va crocidando con augurio sini


stro , non lasciati portar via dalla immaginazione, ma

MANUALE DI EPITTETO

r65

sii pronto a distinguere fra te stesso le cose di tal


maniera: Nessun di questi presagi riguarda me, ma il
mio misero corpo , le mie mesehine sostanze, la mia

piccola gloria, i miei giiuoli, o la moglie. Per me,


se il voglio, ogni augurio felice, conciossiach qua
lunque di queste cose intervenga, a me sta il ritrarue
qualche vantaggio.

25.
Tu puoi essere invitto , se non t esponi a verun

combattimento , la cui vittoria in tuo potere non sia.


26.
Al vedere talun salito in grande onore o potenza ,
o in altra guisa distinto , guarda bene che tu rapito

dalle apparenze nol reputi fortunato. Di fatto se il


ben reale consiste in cose dipendenti da noi, non da

rai luogo n ad invidia n a gelosia: n dovrai tu


voler essere n capitano, n senatore, n consolo, ma
uom libero. Or l unica strada per arrivarvi il di
sprezzo di quelle cose che non sono in nostra balia.
a7.
Ricordati che lingiuria non vien da chi strapazza
opercuote, ma dall opinione che hassi di tali fatti
come ingiuriosi. Se dunque alcuno firriter, sappi
che la tua propria opinione t ha irritato. Or dunque

sovra ogni cosa ti studia di non lasciarti rapire dal


l apparenza; perciocch se una volta guadagni tempo
e dilazione, pi facilmente sarai padrone di te stesso.
28.
La morte e lesilio e tutte l altre cose che ne ap
paiono formidabili, continuamente ti stiano davanti
agli occhi, e la morte principalmente: e allora nes

suno abbietto pensiero nella tua mente avr luogo,


n tu sarai troppo bramoso di cosa alcuna.

a .
Brami tu forse d esseie losofo? Preparati n
dadesso a dover essere deriso e proverhiato dal volgo

che andr dicendo: Ecco un losofo a noi venuto di


esco: e donde mai quel sopracciglio orgoglioso? Tu
per altro non aver nulla d orgoglio, e tienti saldo a
ci che stimi il migliore, come persona a tal posto da
Dio medesimo deputata. Di pi rietti che se stai

i66

MANUALE Dl EPlTfETO

fermo nel tuo proponimento , quelli che da principio


ti deridevano , in appresso t ammireranno: ma se da
essi ti lasci smuovere, tu darai loro doppia materia.
di derisione.
'
3o.
Se mai t avviene di dissiparti al di fuori per com
piacere a qualcuno, assicurati che hai perduto il tuo

grado. Perci ti basti in tutto e per tutto l esser lo


sofo. E se vuoi anche parerlo, fa di parerlo solo ate

stesso, e sar questo abbastanza.


3i.
Non ti cruciare con si fatti ragionamenti: Io vivr
senza onori, e sar uomo da nulla. Perciocch se il
vivere senza onori un male , tu non puoi per opra

altrui nulla pi incorrere in un male che in una infa


mia. Or forse in tua mano il conseguire un coman
do, o lessere ammesso a un consiglio, a un banchet
to? No certamente. E come dunque da tali cose ne
pu venir disonore? E come sarai uomo da nulla tu
ch esser non di da qualche cosa , se non in quello
che dipende da te, e in ci puoi essere di grandissimo
merito? Mai tuoi amici si rimarranno senza aiuto.
Ch di tu senza aiuto ? Non avranno da te danaio: non
li farai cittadini romani. E chi tha detto, che queste
cose da noi dipendono, e non da altri? E chi mai pu
dare altrui quel chei non ha? E tu fanne acquisto,
dicon essi, perch ne abbiamo anche noi. Sio posso
far tale acquisto col mantenermi ben costumato e fe
delee magnanimo , voi mostratene a me Il modo e

farollo. Ma se chiedete che io rimanga privo de pro


pri beni, afnch voi acquistiate cotali cose che non
son beni, voi ben vedete quanto indiscreti e irragio
nevoli siate. E che amate voi pi, l avere del danaio
o lavere un amico fedele e ben costumato? Datemi
dunque voi piuttosto mano a tal ne , e non cercate

chio faccia cose per cui privo rimanga di questo pre


gio. Ma sio seguito il tuo consiglio, e se le cose este
riori come straniere disprezzo, la patria, dicon essi,

da te non avr alcun giovamento. Ed io soggiungo:


Qual giovamento? Non avr per mio mezzo n portici

n bagni. E che t: questo? Neppur essa ha calzari da

MANUALE DI EPITTETO
i67
un ferraio, n armature da un calzolaio. Egli suf

ciente che ciascheduno il proprio ufcio eseguisca.


Che se tu formi alla patria un qualche altro cittadino
di buon costume e fedele , forse non le sei utile in
cosa alcuna? anzi tu il sei. Dunque neppur tu stesso
a lei saresti inutile essendo tale. E qual posto avr
io nella citt? Quello che puoi avere col mantenerti
onesto e fedele. Che se volendo giovare ad essa di
tali pregi ti spogli, qual giovamentopotrai recarle ,

quando pi non avrai naonoratezza n buona fede I


2. '
> E stato taluno a te preferito in un banchetto, o in
una visita, o nell essere stato preso a consiglio? Se que
ste cose son buone, tu dei rallegrarti che quegli l ab

bia ottenute. Se son cattive, non ti dia pena l esserne


stato esente. Rietti ancora che tu non facendo le stes
se cose che quegli fa per potere acquistare ci che non
in man nostra, non puoi degno mostrarti di conse
guire altrettanto. E nel vero chi non frequenta di qual
cheduno la casa, non lo corteggia, nol loda, come pu

essere trattato al par di colui che la sua casa frequen


ta, che lo corteggia, che il loda? Sarebbe dunque una
ingiustizia la tua, e un insaziabile presunzione, se non

pagando quel prezzo, a cui si vendono queste cose ,

tu le volessi gratuitamente ottenere. Su via quanto si


vende un mazzo di lattuga? Poniamo il caso che va
glia un obolo. Se alcuno spendendo l obolo prendesi.
la lattuga, e tu non lo spendendo non te la prendi,

non di pensare daver meno di quello che se lha pre


sa. Poich siccome quegli ha la lattuga , cosi tu hai
l? obolo, il quale non ispendesti. Cosi va la bisogna nel
caso nostro. Tu non se stato da qualcheduno invitato
a un convito ? Ma tu pagato non gli hai quant egli
vende il suo pranzo. Egli lo vende a prezzo di lode, a
prezzo dossequio. Pagane dunque il prezzo, segli ti

torna conto. Ma se pretendi d averci parte senza pa


game il prezzo, tu sei un avido, un indiscreto. E tu

non hai nulla invece di questo pranzo? Si, qualche co


sa tu hai. Tu non lodasti colui che non volevi; tu non

soffristi alla sua porta verun affronto.

i68

MANUALE DI EPITTETO
33.

Uintendimento della natura a noi palese si rende per


quelle cose, nelle quali non abbiamo interesse. Se per
esempio lo schiavo d un tuo vicino ha rotto un bic

chiero o qualche altra cosa, abbiamo tosto alla bocca:


Queste sono cose che succedono. Or sappi che quan
do ancor ti si rompe qualche cosa del tuo , tale ap
punto
simil detto
esser vuolsi
di quale
applicare
fosti nel
a cose
caso di pi
quellrilievo.
altro. Se
muore a un altro un gliuolo o la moglie , nessuno
v che non dica: Cosi_ vanno le cose umane. Ma se
a taluno di costoro avviene lo stesso , grida subitamen
te: Meschino a me! Che disgrazia! Dobbiamo ramme
morarci qual sensazione ci fece lo stesso caso, quando
ludimmo ad altri avvenuto.

34.
Siccome un bersaglio non si mette per isfallirio,
cosi il male di sua natura non ha nel mondo esisten
za. Se taluno desse il tuo corpo in balia a chiunque
se gli presenta, ti sdegneresti sicuramente; e tu espo

nendo a qualsivoglia persona la propria mente, cosic


ch se costui ti fa oltraggio, ella si turbi e confonda,
tu di ci punto non ti vergogni? In qualsivoglia azio
ne considera i suoi progressi e le sue conseguenze, e
poi ad essa ti accingi. Altrimenti con grande ardore
la imprenderai senza pensare a quello che viene ap

ppesso:hposcia scoprendo in essa qualche cosa di turpe


n avrai rossore.
35.
Vuoi tu essere vincitore ne giuochi olimpici? Per

mia fevorrei esserlo anch io, essendo questa una co


sa che fa onore. Ma poni mente alle circostanze che li
accompagnano e che li seguono; indi ti metti allim
presa. Tu di stare in gran regola, mangiare contra tua
voglia, astenerti da cibi delicati, esercitarti forzata
mente al tempo prescritto, al caldo e al freddo, non be
re acqua fresca, n vino, come suol farsi. In somma
tu di come ad un medico darti in mano al diretto

re degli esercizi; poi voltolare larena dentro la lizza;


ove interviene di accarsi un braccio, di stravolgersi
un calcagno, dfingoiar molta polvere; e talor dessere

MANUALE Dl EPXTTETC

i69

vergheggiato, e dietro a tutte queste cose rimanere


vinto. Dopo fatte tutte queste osservazioni entra pure,
s egli ti piace, in tenzone. Se non le hai fatte, tu qua
e l rivolgendo t andrai come i fanciulli che fanno ora
la parte di lottatori, ora d atleti, ora di gladiatori,
quando a sonare la tromba e quando a recitare tra
gedie. E tu pur anco ora sarai atleta, ora gladiatore,
poscia oratore, e nalmente losofo; ma con tutto

lanimo tuo non sarai nulla. A foggia di scimia an


drai imitando tutto quello che vedrai fare, or l una
cosa, or l altra ti piacer; perciocch non sei mosso
afar nulla con avvertenza e con esatta circospezione,
ma si a caso e con languido desiderio. In tal maniera
certuni riguardano un losofo, e udendo dire da qual
cheduno, oh come parla Etifrate l e veramente chi pu
si ben favellare come fa egli? vogliono anch essi farsi
loso.

36.
/
O mmo, considera dapprima la qualit dell azione,

e poi esamina la tua propria natura, se capace di


ben condurla. Vuoi tu essere atleta di tutte e cinque
le prove, o semplice lottatore? Osserva ben le tue brac
cia, i anchi e le rene. Ciascuna cosa naturalmente
a un proprio ne diretta. Credi tu di potere, a tal
mestiero attendendo , ugualmente mangiare e bere ,

ugualmente fare lo schizzinoso? T d uopo vegghia


re, atfaticarti, da tuoi domestici separarti, esser mes
so in dispregio da un valletto, restare in ogni cosa al
di sotto, negli onori, nelle cariche , netribunali, in
qualsivoglia negozio. Osserva, s egli ti piace con que
ste cose cambiare una vita tranquilla, libera, imper

turbabile. Se no, pon mente di non fare, come i fan


ciulli, ora il losofo, poscia il gabelliere, in appres
so l oratore , e nalmente il commessario di Cesare.

Queste cose in fra di lor non s accordano. Un uomo


solo ti convien essere , o buono o cattivo. Coltivar ti

bisogna o il razional discernimento, o le cose che


sono fuori di te; impiegare il tuo studio intorno alle
cose interne, ovvero inforno alle esterne; vale a dire
o tenere il carattere di losofo, o d uom plebeo.
i5

'

,70

MANUALE ll EPITTETO_

7.
I doveri nostri generalmente vogliono misurarsi dal
le scambievoli relazioni. E questi un padre? T or

dinato d averne cura , di cedergli in ogni cosa , di


tollerare i suoi oltraggi, le sue percosse. Ma mio pa

dre cattivo. La natura t ha forse collegato con un


padre buono? Mai no , ma con un padre. Un tuo
fratello ti fa ingiuria? E tu serba il rapporto che hai
con essolui , e senza badare a ci che fa esso, ti stu
dia di operare in quel modo che conforme a det
tami della natura. Di fatto nessun altro ti far danno
se tu nol vuoi; allora solo danneggiato sarai, quando

sospetti d esserlo. Per tal modo avvezzandoti a me


ditare le vicendevoli relazioni tu troverai qual il do
vere d un vicino verso un vicino, d un cittadino ver
so dun cittadino, d un capitano verso d un capitano.
3 .
Sappi che il principal fondamento del culto dovu
to agli Iddii Yavere buone opinioni di essi, come di
quelli che esistono , e che rettamente e saggiamente
governano l universo, e il credere te medesimo desti

nato a dover loro ubbidire, e sottometterti a tutti gli


avvenimenti, secondandoli di buon grado, come pro
dotti da una perfettissima intelligenza. Quindi mai
non avverr che tu incolpi o biasimi gli Dei, qual se
tu fossi da esso lortrascurato. Ma questo non pos
sibile in alcun modo, se non che rinunziando alle co
se che in poter nostro non sono, e il bene e il male

costituendo in quelle soltanto che sono in nostro po


tere. Che se alcuna di quelle prime tu stimi buona o
cattiva; allor quando non ottieni ci che vorresti , o
cadi in quello che non vorresti, necessario assoluta

mente che tu vituperi ed abbi in odio coloro i quali


ne son cagione. Couciossiach ogni animale natural
mente portato a fuggire e abbominar quelle cose che
nocive gli sembrano, e le loro cagioni n pi n me
no; al contrario le cose utili e le cagioni di quelle son
da esso seguite e con trasporto abbracciate. Non
dunque possibile, che quegli, il quale s avvisa desse
re danneggiato, si compiaccia di ci che stima danno
so, siccome non possibile che alcuno si compiaccia

MANUALE Dl EPITTETO

del proprio danno. Di qui avviene che il padre sia dal


gliuolo strapazzato, quando esso non gli fa parte
di quelle cose che son tenute per buone. E Polinice

ed Eteocle hattagliarono ina di loro per la opinione


concepita che la sovranit fosse un bene. Per tal ca
gione fa insulto agli Dei l agricoltore , il marinaio ,
il mercante, e chi privo rimane della moglie e dei
gli. Di fatto dove si trova l utilit, ivi pur anche
ha luogo la religione. Laonde chiunque si prende cu

ra di regolare l appetito e lavversione come convie


ne, egli pur anche del culto religioso si prende cura.
Conviene poi a ciascuno far libazioni, sagricare ed
offerire le primizie giusta le patrie costumanze con
purit, con decenza, con esattezza , senza tenacit ,
e senza oltrepassar le sue forze.
39.
Quando ricorri all oracolo pensa che tu non sai
quello che sia per avvenire, ma vai per risaperlo dal
l indovino. Tu per altro, se sei losofo, prima di

andarvi sai la qualit dell evento. Perciocch se si


tratta di cosa non dipendente da noi, ella sicuramen
te non n un bene n un male. Non recar dunque
a casa dellindovino n desiderio n avversione, altri

menti non puoi ad esso accostarti se non tremando.


Ma persuaditi che qualunque cosa sia per succedere,
indifferente, ed a te nulla appartiene; e qualunque

ella sia , dipende da te il farne buon uso senza che


alcuno te l impedisca. Ricorri dunque con animo co
raggioso agli Dei, come per domandar consiglio; e
poi se qualche consiglio ti sar dato, pensa quali
prendesti per consiglieri, e quali sei per dispregiaw:
se ad essi non ubbidisci. Ma cosi vuolsi loracolo con
sultare come voleva Socrate, vale a dire su quelle co
se , l esame delle quali al loro evento si riferisce, n

per mezzo di raziocinio n d arte alcuna si pu di


esso contezza avere, cosicch quando occorra di en
trare a parte de pericoli d un amico o della patria ,
non si vuol chiedere all indovino , se questo si deb
ba fare. Perciocch qualor esso ti presagisse che le
interiora sono state di tristo augurio, chiaro che ti

viene pronosticata o la morte, o il troncamento di

i72

MANUALE Dl EPITTETO

uno de tuoi membri, o lesilio; tuttavolta la ragion


persuade che ad onta di tutto questo tu dei soccor
rere lamico, ed esporti ad ogni pericolo per la patria.
Perci d mente all avviso d un profeta maggiore ,

che cApolliue Pitio, il quale cacci dal tempio co


lui che non soccorse l amico in un rischio d essere
ucciso.

4o.
Prescrivi a te di presente una forma e regola di

vita da osservare, e quando tu sarai solo e quando


sarai con altri.

4i.
Per lo pi noi dobbiamo tener silenzio, o dir cose
necessarie, e queste in poche parole. Pur qualche
rara volta, richiedendolo il tempo , ci faremo a par
lare distesamente, ma non di cose ordinarie, come sa
rebbe di gladiatori, di corse di cavalli, di giostratori,

di cibi, di bevande, come si fa da per tutto. Sopra


ogni cosa convien guardarsi di parlare degli uomini
o per biasimarli , o per lodarli, o per metterli in pa
ragone tra loro.
42.
i
Col tuo parlar riconduci, se t possibile, i discorsi
de familiari tuoi alla decenza; che se ti trovi attor

niato da gente estranea statti cheto.

4a.
Non rider molto, n di molte cose , n smodata
mente.

44.
Riuta sempre, se t possibile, il giuramento , e

se non altro quel pi che puoi.


4 .
Schiva d andar fuori di casa a conviti delle per
sone volgari. Che se talor l occasione ti ci conduce ,
sta ben attento per non isdrucciolare nelle maniere
plebee. E sappi che quando il compagno imbrat
tato, non pu a men d imbrattarsi chi se gli acco

sta, per quanto netto egli sia.

46.
Delle cose spettanti al corpo si faccia uso quanto

richiede il semplice bisogno; tali sono il mangiare, il

MANUALE DI EPITTETO

173

bere, il vestire, l abitazione, la servit. Quel poi che


solo torna a ostentazione o delicatezza , tutto si tol
ga via.

47
Serbati puro, per quanto puoi, da corporali di
letti prima del matrimonio. Che se gustarli ti piace,
fallo in quel modo che dalle leggi permesso. Non
di per mostrarti severo ed aspro verso coloro che

ne fanno uso, n da per tutto vantarti che tu da quelli


t astieni.

'

48.

Se t_ noticato che talun parla malamente dite,


non fare le tue discolpe , ma rispondi: colui non sa
peva gli altri difetti miei; se no, non avrebbe di que
sti solo parlato. '
4

Necessario non l andar sovente a teatri. Che se

la occasione vi ti conduce , mostra di non aver impe


gno per altro che per te solo; cio desidera che suc
ceda soltanto quel che succede, e che sia vincitore
quegli appunto che . In tal modo non proverai ve
run contrasto. Del tutto ancora ti guarda di schia
mazzare , di deridere, di scomporti. E dopo che sei
tornato, non far lunghi discorsi su le cose avvenute,
ch nulla giovano al tuo miglioramento. Altrimenti

darai a divedere dessere stato ammiratore dello spet


tacol.
5o.

>

Non andar di leggiero e senza giusto motivo a udi


re le dicerie pubbliche di certuni. E qualora tu ci va
da, serba un contegno grave e decente senza recar
molestia a veruno.

5i.
Dovendo far conferenza con qualcheduno, e di
quelli singolarmente che sono in grado elevato, met
titi in mente quello che fatto avrebbe o Socrate o Ze
none in una simile circostanza : n tu allora irreso
luto sarai sul regolarti come conviene in qualsivoglia

accidente.

_
f
52.
Se ti rechi a far visita a un qualche personaggio

'174

MANUALE DI EPlTTETO

di gran aare, pensa da prima che tu in casa nol


troverai, che star chiuso , che ti saranno battute in

faccia le imposte, che egli non far caso di te. E se ad


onta di tutto questo ti convien pure andarvi, va e
sopporta quanto ti avviene, n stare a dir fra te stes

so: Non meritava la pena. Perocch questo da no


mo plebeo e perduto diegr; alle cose esteriori.
Ne famigliari congressi
e prolissa ricordanza delle
coli a te corsi. Perciocch
conda il rimembrare i tuoi

ti guarda _di far frequente


tue operazioni e de peri
s ella cosa per te gio
prcteriti rischi, non pur

anco dilettevole agli altri l udir le tue avventure.

54
Sta lontano dal far ridere altrui. Perocch questo
vezzo fa sdrucciolar facilmente nelle vilt plebee, e ha
forza ancora di rallentare ne tuoi familiari il rispetto
verso di te.

55.
E cosa pericolosa eziandio l entrare in turpi di
scorsi. Or quando questo intervenga e l occasione il
consenta, riprendi quello che vi entrato; o se non

altro, col tuo silenzio, con l arrossire e con un volto


severo d a divedere cheSqEuel parlar ti dispiace.
Se accogli in mente la immaginazione d un qualJ
che piacere, sta in guardia contra di essa ugualmen
te che contra dogni altra, per non essere trasportato
fuori di strada. Fa che l azione aspetti le tue risolu
zioni , e tu prenditi tempo per diiferirle. In appresso
rappresenta al tuo pensiero due tempi, quello del go
dimento e quello del pentimento e del rimprovero che
a te stesso farai dopo goduto il piacere. Opponi a que
sti la gioia che proverai e le lodi che a te stesso da
rai , qualora tu te ne sia astenuto. Che se ti sembra
l occasione opportuna per farne uso, procura di non
lasciar soverchiarti dalle sue dolci e lusinghiere at
trattive, e in opposito fa ragione, quanto sia cdsa
migliore il ripensar teco stesso, che tu hai riportata
una cotale vittoria.

MANUALE Dl EPYTTETO

i75

57.
Quandhai giudicato che una qualche cosa si debba
fare e la fai, non riutare che altri ti veggia farla ,
quantunque il volgo sia per formarne un giudizio ben
differente dal tuo. Di fatto se l azione cattiva , tu
non dei farla; se poi buona, perch temere che
altri te ne dia biasimo ingiustamente?
58.
Siccome queste proposizioni, egli giorno, egli
notte, corrono molto bene se son divise , ma corron
male se vanno unite; cosi in un convito il pigliarsi una

parte maggiore che gli altri, rispetto al corpo torna


assai bene; ma torna male rapporto a quella ugua
glianza che vuole usarsi tra convitati. Perci quando
tu pranzi in casa d un altro, pon mente non solo a
quello che si conviene al tuo corpo tra le apprestate
vivande , ma a quello ancora che si conviene a colui
che t invit.
'
59.
Se t assumi di sostenere un personaggio maggiore
delle tue forze, tntfinseme ti farai disonore con que
sto, e quello trascurerai che tu avresti potuto ben so
stenere.

6o.
Siccome nel camminare tu stai attento per non andar
sopra un chiodo e per non torcerti un piede; cosi
sta attento per non recar pregiudizio alla tua retta ra

gione. Se avremo questa avvertenza in ciascuna delle


nostre azioni, noi potremo tutto intraprendere con mag
gior sicurezza.

6i.
Il corpo per ogni uomo la misura del suo pos
sedmento, come il piede la misura della scarpa.
Se a quello ti conformi, tu serberai i termini conve
nienti. Ma se passi pi innanzi, tu dovrai rovinare co

me dallalto dun precipizio. Siccome avvien nella scar


pa; che se non ti limiti a volerla ben adattata al tuo
piede, la farai coperta d oro, e poi di porpora e

nalmente tutta ricamata. Poich quand altri va una


volta fuor di misura, pi non ritrova termine_ alcuno.

176

MANUALE DI EPlTTETO

62.

Le fanciulle appena son giunte al quartodecimo


anno che dagli uomini son chiamate col nome di pa

drone. Perci veggendo che a se stesse null altro in


combe che lacquistarsi un marito, cominciano ad ab

bellirsi pomposamente, ed in ci hanno riposte tutte


le loro speranze. Egli dunque ben fatto il renderle

uvvisate che in altro modo non possono farsi credito


se non che col mostrarsi modeste e vereconde.

63.
Segno d indole ottusa limpiegare continuamente
le sue premure dintorno al corpo; com nel fare
molto esercizio, nel lungo mangiare e bere, nello stare
per molto spazio allagiamento e nel letto. Cotali cose
si debbon far di passaggio, e tutta la cura sha da ri

volgere intorno allanimo.


64.
Se alcuno ti tratta male, o parla male di te , sov
vengati chegli crede a s conveniente di cosi fare o
parlare, Ora non possibile ch egli segua piuttosto
il tuo parere che il suo. Laonde s ei giudica mala
mente , il danno cade sovra di lui perch singanna.
Di fatto se altri reputa falsit una verit complicata,
questa non ne riceve alcun danno, ma si colui che
s ingann. Or se tu prendi le mosse da cosi fatti prin
cipi, userai moderazione con chi t oltraggia, e ad ogni
incontro dirai. Tal la sua opinione.

65.
Ogni cosa pu prendersi da due parti: l una di
esse portabile, l altra no. Se un fratello t oltraggia

non prenderlo dalla parte dell oltraggio; perocch que


eta parte non portabile; ma prendilo dalla parte che
ti mostra un fiatello, una persona teco educata; e il

prenderai da quella parte che pu portarsi.


Questi discorsi non sono fra loro coerenti: Io sono

di te pi ricco; dunque sono miglior di te: Io sono


pi eloquente dite: dunque sono di te migliore. Que
sti altri sono pi coerenti: Io sono pi ricco di te ;

dunque la mia azienda migliore della tua. Io sono


pi eloquente di te ; dunque il mio discorso miglio

re del tuo. Ma tu non sei n l azienda n il discorso.

MANUALE ll EPITTETO

i77

7.
Taluno si bagna in fretta? Non dire che egli si
bagna male , ma che in fretta. Tal altro bee di molto

vino? Non dire chei bee malamente, ma che bee


di molto. Di fatto prima d avere accertata lopinion

tua, come puoi dire che fanno male? Se in tal modo


procedi, non t avverr di dare assenso a idee diverse
da quelle che tu avrai conssicurezza afferrate.

6 .
' Non dire in nessun luogo che se losofo, n par
lar dordinario tra persone volgari di massime loso
che; ma fa quello che insegnano queste massime. A
cagione desempio, non dire in un convito come con
vien mangiare, ma bensi mangia come conviene. E

rammentati che anche Socrate-da s lungi teneva sem


pre l ostentazione. Venivano a lui di quelli che lo
pregavano di raccomandarli a un qualche losofo;
ed esso ve li guidava. Tanto soffriva egli d essere tra
scurato.

69.
Per la qual cosa se s introduce discorso di qualche
massima tra persone idiote, serba silenzio quanto pi
puoi, essendo cosa di gran pericolo il vomitar di re

.pente ci che non s digerito. E se alcuno ti dice che


non sai nulla, e il suo parlar non ti punge, sappi che
tu hai dato principio allopera. Di fattoanche le pecore
apastoii non mostran l erba che hanno mangiata coi

rigettarla, ma dopo averla entro di s smaltita met


tono fuori la lana e il latte. Tu similmente al volgo
non palesare le dotte massime, ma il tuo operare pro
vegnente da esse ben digerito.

7o.
Qualor tu abbia assuefatto il tuo corpo alla fruga
lit, guardati bene di farne pompa. E se tu bevi sol
tanto acqua, non dire ad ogni incontro: Io non bevo

che acqua. Se vuoi accostumarti alla fatica ed alla


tolleranza, fallo per uso tuo, non per mostrarlo al di
fuori. Non andar dunque ad abbracciare le statue. Se
Patlsci gran sete, prendi in bocca dell acqua esca ,
e poi la getta fuori senza dirlo a persona.

'78

MANUALE Dl EPlTTETO

7i.
Stato e carattere di persona ignorante: Ella non mai
aspetta da s medesima n il bene n il male , ma
dalle cose esteriori. Stato e carattere del losofo: Que
sti aspetta tutto il suo bene e il suo male da s me
desimo.

72.

Ecco i segni di quello che fa protto: Egli non


biasima, non loda, non riprende, non accusa veruno :
nulla parla di se, quasi fosse da qualche cosa o qual
che cosa sapesse. Segli incontra pertanto alcun osta
colo o impedimento , a s stesso ne d la colpa. Se
lodare si sente, in se stesso si ride del lodatore ; se

censurare, non si difende. Va intorno come i malsa


ni osservando di non dar urto alle sue deboli forze
prima che prendano consistenza. Da se rimuove ogni
sorta di desiderio, layversione trasporta solo alle cose
contrarie alla natura di ci che in nostro potere,

modera in tutto il naturale appetito; s egli tenuto


per folle, per ignorante , non se ne prende pensiero.
In una parola, si guarda da s medesimo , come da
un nemico insidioso.
73.
Se taluno si vanta d intendere e di sapere inter
pretare i libri di Crisippo , di teco stesso che se Cri
sippo non avesse oscuramente scritto, costui non
avrebbe di che vantarsi. Ma io che pretendo? Cono
scere la natura e seguirla. Perci ricerco chi me la
spieghi. E udito chegli Crisippo, io me ne vado
per esso , ma non capisco i suoi scritti. Cerco dunque
chi me li spieghi. Inno a qui nulla ho fatto di sin
golare. Quando ho trovato chi me li interpreta, resta
oh io metta in pratica i suoi precetti. Questa poi
la sola cosa che importa. Ma s io m appago d am
mirare una tale interpretazione, che altro son divenuto
fuorch un grammatico invece di un losofo? Con
questa differenza che in luogo d Omero interpreto
Crisippo. Se dunque da alcuno mi sar detto: Leggi
mi Crisippo, ho piuttosto motivo d arrossire, quando

io non possa mostrare i fatti alle parole rassomiglianti


e concordi.

MANUALE Dl EPITTETO

i79

74
Tienti saldo a questi insegnamenti come a tante
leggi, e quasi fosse empiet il trasgredirne pur uno.

Ghecch altri di te si dicano, tu non volgerti pure in


dietro, non essendo in tua mano il chiuder loro la

bocca.
75.
Fino a quando indugerai a fornirti d ottime qua
lit , e non trasgredire in niuna cosa il retto discer
nimento della ragione? Tu hai inteso le massime che
abbracciarti conviene , e gi le abbracciasti. Qual pre
cettore pur anco aspetti per rimettere ad esso la emen
dazione della tua vita? Tu non sepi giovincello, ma
uomo fatto. Se dunque vivi nella indolenza e nellozio
e sempre aggiungi dilazione a dilazione, proponimento
a proponimento, e rimandi da un giorno all altro lat
tendere a te medesimo, tu non t accorgerai di rimane

re senza protto, e ignorante durerai per tutta la vita


tua sino alla morte. Su dunque, ti determina a vivere

come uomo maturoe che di gi fa progressiTi sia legge


non preteribile tutto quello che ti rassembra migliore.
Se ti s affaccia qualche fatica, o diletto , gloria o di
sonore , pensa che se allora nella tenzone , che t
aperta la carriera olimpica, e pi non lice indugiare.
Con un sol atto di coraggio o di vilt si mette in
salvo , o si perde tutto il protto. Socrate giunse a
quella sua perfezione col prottar d ogni cosa, e col
dar solamente alla ragione ascolto. Tu , quantunque

non sii pur anche un Socrate , dei vivere appunto


come se aspirassi ad essere un Socrate.

76.
Il primo e pi importante trattato della losoa
su l uso delle dottrine, per esempio, sul non mentire.
Il secondo su le prove, esempligrazia , perch non
dee mentirsi. Il terzo quello che rinforza e distin
gue si fatte prove; a cagiou d esempio , d onde av
viene che una tal cosa sia provai? Che cosa una
prova? una conseguenza i una ripugnanza? una ve
rit? una falsit? Laonde il terzo trattato neces
sario pel secondo , e il secondo pel primo. Ma il pri
mo quello che pi importa e a cui dobbiamo atte

i80

MANUALE DI EPITTETO

nerc. Ma noi facciamo tutto altrimenti. Ci arrestia

mo nel terzo , e intorno ad esso spendiamo tutto In


studio senza pigliarci pensiero alcuno del primo. Di

qua viene che noi mentiamo, e tuttavolta abbiamo in


pronto il come provare che non bisogna mentire.
77
In ogni circostanza si vuol fai uso di questi detti:
O Giove e o Fato, alla prescritta meta
Siatemi scorte. Io seguirovvi pronto.

Ch s io ricuso, diverr malvagio.


E nullamen sar a seguirti astretto.

78.
Saggio conosctor delle divine

Cose colui che ben s adatta al Fato.


79
Aggungasi questo terzo: O Critone, se cosi piace
agl lddi, cosi sia fatto. Anito e Melito a me possono
tor la vita, ma non recare alcun danno.

LA TAVOLA
Dl

CEBETE TEBANO

Passeggiavamo a caso con parecchi amici nel tem


pio di Saturno, dove in mezzo a buon numero di of
ferte al nume suddetto vedemmo una tavola, sulla qua
le era

una

pittura peregrina rappresentante diverse

cose straordinarie a segno, che nessuno di noi arri


vava a capire che cosa signicassero. Non si poteva
da noi distinguere, se ivi fosse dipinta citt o castello,
bench vedessimo un contorno di mura che due altri

ricinti comprendeva, uno pi angusto dellaltro. Ve


devamo bensi nel pi capace contorno di mura anzi
detto disegnata una porta , davanti alla quale stava

affollato un gran numero di persone , e al di dentro


della porta del primo ricinto si vedeva una moltitu

dine di donne; sulla porta medesima poi stava un


certo vecchio che parea comandasse qualche cosa alle
persone che per la porta se ne entravano. Noi c in
terrogavamo I un l altro intorno al signicato delle

cose che in quelle pitture vedevamo , senza che al


cuno ne rimanesse pago; anzi dubbiosi tutti lungo
tempo col ci saremmo ancora trattenuti, se verso

di noi avanzato non si fosse un uomo grave e per


l et e per l aspetto nominato Sofronimo , il qua
le dagli atteggiamenti nostri instrutto dei dubbi ,
0nd erano le menti nostre agitate , con molta corte

sia si addoss di scioglierli e d illuminarci favellan

do cosi: Non istupisco punto, o signori, che confuso


resti ognuno di voi considerando questa pittura,
sapendola interpretare, perch sono pochissimi gli abi
tatori stessi di questo paese che sieno capaci d inter
pretarlaf Non fu gi paesano, ma forestiere colui che

in questo tempio la tavola appese, gi sono scorsi


molti anni; era un uomo di gran prudenza e d alta

sapienza fornito; uomo di poche , ma sugose parole


i6

82

TAVOLA

e d opere savie ed illibate, seguace , per quello che


spetta al tenor di vita, di Pittagora e di Parmenide.
_ Giacch voi avete veduto un uomo di cosi rare
qualit , l avreste forse anche particolarmente cono
sciuto e trattato?-Non con molta familiarit, perch

allora io era ancora fanciullo , ma ebbi pi volte mo

tivo di maravigliarmi del di lui sapere , ascoltando


parecchie dispute di cose molto alte, e tenendo a
memoria tutto quello che intorno a questa tavola pi
volte gli ho udito a ripetere. - Dehl se altra pi se
ria occupazione ora non avete , non potreste, o signo

re, spiegarla anche a noi, che con tanta avidit bra

miamo dintenderlal - Molto volentieri. Ma prima


debbo avvisarvi che ludirne l interpretazione per
voi di non leggier pericolo. - E come mai ? - Cosi
; perch se voi ascoltando le cose che sono per dir
vi impiegherete tutta l attenzione vostra a segno di
imprimervele ben a fondo nellanima, e di valervene
all oecorrenza, diverrete prudenti e sarete felici; se
al contrario , miseri voil tutto il corso del futuro vi
ver vostro sar una perpetua follia, un cumulo di ca
lamit e di disgrazie, una confusione d ignoranza e

d ogni male. - L interpretazione di questa tavola


dunque simile agli enimmi della Snge? - Ap
punto ; e siccome chi scioglieva lenimma della Sfm
ge salvo se ne andava , invece che chi interpretare
nol sapea miseramente era tratto a morte; cosi acca

de a chi dalla spiegazione di questa tavola non sa ri


cavar lume onde passare franco per le tenebre della
vita mortale. In questa vedrete schierato davanti agli
occhi della mente vostra tutto ci che bene, tutto

ci che male , e tutto quello che non n bene


n male nella vita, di modo che se Yinsensatezza vo
stra non ve lo lascer discernere, voi ne sarete la

vittima. N sventura cosi deplorabile sar momenta


nea per voi, come era pei miseri viandanti l essere

divorati dalla Snge per non averne saputo interpre


tare lo enimma, ma durer tanto tempo quanto sulla

terra vivrcte a tormentarvi , come quelli che a per


petui supplici sono condannati: che se l accennato

lume cavar ne saprete, certa a la vostra salute, per

_.

Dl CEBETE TEBANO

183

ch abbattuta ne sar la insensatezza , e tutta la vo


stra vita sar beata e felice. Sicchdunque favorite
mi di tutta la vostra attenzione , e ascoltatemi con
quanta diligenza potete. -Con un tal premio a fron
te e chi di noi sar disattento nell udire la vostra in

terpretazione? Eccovi ognuno di noi tutt orecchie per


ricevere le vostre voci, e tutt avidi occhi per tener

dietro al moto di quella verga, colla quale accennate


di volerci indicare tutte le parti di questo mirabile
oggetto della comune curiosit. - Eccomi a compia
cervi. Vedete voi questo ricinto? - Si lo vediamo.
- Sappiate dunque prima dogni altra cosa che que
sto si nomina Vita ; e tutta quella turba che davanti

alla porta del ricinto vedete, comprende tutti coloro


che una volta poi nella Vita entreranno. Quel vecchio
che vedete col sulla soglia, nella mano sinistra del

quale spiegato mirasi un foglio, e colla destra accen


na un non so che , quegli nominasi Genio. Accenna

egli a tutti coloro che entrano quello che debbono


fare per introdursi nella vita e per quale strada in
camminar si debbano, acciocch della salute degni si
rendano. - Per qual via gli indirizza egli? e in qual
maniera? - Voi vedete vicino a quella porta, per la
quale entra limmensa turba, un solio , sul quale sta
assisa una donna di soavi maniere, di fattezze in ap
parenza leggiadre, che tiene un calice in mano. Quel
la la Lusinga che seduce ed inganna tutti i mor
tali , i quali appena respirano le prime aure di vita ,
e sono gi dalla medesima indotti a bere in quel ca

licc l errore e l ignoranza, ond pieno. Trangugiata


si velenosa bevanda entrano nella vita. -E non evvi
alcuno che vada esente dal berne-Nessuno. E vero
per che alcuni ne beono pi, altri meno. Ora os
servate col nel ricinto appena oltrepassata la porta
quella moltitudine di donne meretrici d aspetto di
verso. Quelle si chiamano Opinioni, Cupidigie, Sen
sualit , e a misura che uno entra gli si avventano

tosto alla vita, lo abbracciano , e fatteglisi guida lo


conducono via con esse. -E dove? - Ognuna pro
mette di guidar gli uomini alla felicit, alla vita bea

ta , ma il maggior numero di esse gli inganna per

i84

TAVOLA

trucidarli ; e questi inebbriati dall ignoranza e dal


lerrore che nel calice della seduttrice Lusinga hanno
bevuto, non sapendo qual sia la vera strada da bat
tersi nella vita, qua e l come pecore smarrite vanno

errando ed inoltrandosi per quei sentieri che dalle don


ne accennate loro furono indicati. - Di fatto si ve
dono molti che sembrano entrati nel ricinto aggirar
visi a caso. Ma chi di grazia quella donna che co
me cieca e pazza movendo si va su quella pietra glo
bosa! - Fortuna essa nominata; n solo cieca

e pazza, ma anche sorda. - Quali ne sono gli of


ci? - ll cieco e disordinato imperio di un tal mo
stro esteso per tutto il mondo abitato, dove a chi

ruba le facolt, a chi prodigamente le getta in seno


forse per rapirgliele quanto prima, il tutto sempre con
instabilit e indiscrezione sorprendente; n piccolo in

dizio ci d del di lei carattere il vederla collocata su


quell instabile globo di pietra. - Senza dubbio, e

pare anzi doversi quindi ricavare i doni della For


Iuna essere troppo incerti e caduchi , n doversene
dare chi non vuol cadere in gravissime calamit e in
profonda miseria. Ma, cortesissimo Sofronimo , chi
son coloro che affollati la circondano? e cosa mai ne
pretendono? - Sono altrettanti sconsigliati, dei quali
non ve n ha pur uno che non cerchi dalla Fortuna
qualche cosa da gettar via e da scialacquare. - E

perch sono tanto diversi d aspetto , mentre pochi


son lieti, ed altri hanno mestissima faccia colle brac
cia tese verso di lei I - Tutti coloro che qui si ve

dono ridere e rallegrarsi, sono di quelli che dalla


Fortuna hanno ricevuto qualche favore; e da questi
essa detta buona. Quegli altri che piangono e a lei
alzano le mani, o nulla ne ottennero , o furono loro

dalla medesima involate le cose proprie dopo daver


le ricevute, da questi la Fortuna detta cattiva. h

Dobbiamo noi forse credere preziosissime quelle cose


per l acquisto delle quali certuni cotanto si rallegra
no, e certi altri per la perdita si rattristano? - Non
lo crediate , no , sebbene tali cose dal pi degli uo
mini vengano stimate Beni. _ Che mai sono quei

beni? _ Le ricchezze, la gloria, la nobilt, la prole,

Dl CEBETE TEBANO

n85

i regni , e altre cose di questo genere. -- Ma non


sono elleno veri Beni queste? - Ne disputeremo a
suo tempo: per ora non interrompasi la spiegazione
della pittura. Osservate il secondo ricinto pi in alto,
e vedete voi quelle donne fuori del medesimo collo
cate, distinte pei loro cortigianeschi adornamenti? Si, le vediamo. -Ebbene fra le altre , questa si no
mina Incontinenza, e le altre sono di lei compagne,
stanno tutte adocchiando coloro che dalla Fortuna
hanno ricevuto qualche cosa per tosto presentarsi da
vanti ai medesimi, accarezzarli, abbracciarli e adu
landoli far si che con esse loro si trattengano; a tal
ne giurano di far loro passare una vita giocondis
sima , scevera d ogni fatica, dogni incomodo, dogni
noia. Soave a dir vero in sulle prime sembra la con
versazione di tali femmine, nch dura negli uomini
il solletico e in quelle il fascino ammaliatore ; ma tutto

alla ne si cangia, e luomo nalmente ritornando in


se medesimo, al dissiparsi della ebriet capisce di non
averne ricavato tanto diletto quanto danno reale; anzi

si avvede che per cagione di quelle infami ei cadde in


disprezzo e in contumelia, seppure non furono prime
esse a vituperarlo e a deriderlo. _Che crudelt! Ma
e quando l uomo con quelle indegne ha dissipato
tutto quello che dalla Fortuna aveva ricevuto? - Al
lora egli non solamente condannato a servir le sue
tiranne medesime, e in grazia loro a soffrire quanto
di vergognoso , di brutto e di pernicioso mai si pu
dare , ma ad abbandonarsi ai ladronecci, ai sacrilegi,

allo spergiuro, ai tradimenti, alle prepotenze e ad


ogni altra simile infamia, insinattautoch, mancan- _
dogli ogni cosa, ad un giustissimo castigo venga con

dannato.- Certo che se il castigo sar proporziona


to allinsania e alle ree operazioni non sar leggiero.
-- Voi v apponeste. Ecco impertanto dietro a quel

le gure un angusta porticella che mena a quell an


tro tenebroso e stretto abitato da quelle orride, sozze
e cenciose femminelle, fra le quali distinguere si pu

la Punizione per la sferza che tiene in mano, la Me


stizia che tiene il capo piegato n tra le ginocchia ,
la Collera che si svelle rabbiosamente i capelli. -

i86

TAVOLA

Cos mai quello spettro cosi difforme, macilento e


nudo che se ne sta rannicchiato vicino alle furie che
ora nominaste, e quella brutta squallida Arpia, che
tanto a colui si rassomiglia? - Quello il Duolo;
laltra lAizione di lui sorella. Cacciato luomo in
sensato in quell antro, condannato a conversare
sempre con essi, e ad esserne perpetuamente tormen

tato , nch venga precipitato nell avello dell infeli


cit, dond sbandito ogni bene e raccolto ogni male
atto ad amareggiarne con ogni miseria tutto il resto
della vita. - N v ha speranza di risorgimento per
quell infelice? - No , salvo ch egli si rifuggisse nel
l albergo della Penilenza e del salutare Penlimento.
- Potrebbegli allora sperare qualche sollievo ? Se l adito dell albergo loro essi gli aprissero, lo sot
trarrebbero alle indicate disgrazie, e imprimendogli
nel cuore un altra opinione , e infondendogli nuovi
desideri , condotto ei ne sarebbe alla vera Disciplina

del pari che alla falsa. - A che farvi? -- Acciocch


ove gli riesca di abbracciar quella Opinione che gui
da alla vera Disciplina ei ne sia lavato e purgato , e
fatto crede della Salute, della Beatitudine e della Fe

licit perpetua. - Se poi di nuovo dalla falsa Opi


nione ei si lasciasse ingannare e persuadere ? _ Oh
cielol quanto mai grave per l uomo questo nuovo
pericolo! - Ma ci vorreste voi per cortesia insegnare
qual sia quella che nominaste falsa Disciplina? _

Osservate fuori di quel terzo ricinto, sulla soglia della


porta che vi d ingresso, quella donna che si pavo
neggia tutta ricascante di vezzi , affettata nella puli
_ zia e nella costanza de suoi atteggiamenti; questa

appunto la falsa Disciplina, che dalla maggior parte


degli uomini, e particolarmente dal vulgo presa in
iscambio della vera. A quella se ne vengono coloro

che pur hanno desio d esser salvi, e d arrivare alla


vera Disciplina. Non havvi egli per avventura altra
strada che alla vera Disciplina conduca'l_Si che v.
-Costoro poi che pel ricinto se ne vanno allontanando

dalla dritta strada , chi sono eglino mai? - Uomini


ingannati dai vezzi della falsa Disciplina, ed inna

morati di quella a segno che si danno a credere di

Dl CEBETE TEBANO

i87

essere fra le braccia della vera. -- Qual nome han


no essi? - poeti, oratori, dialettici, musici, arit
metici, geometri, astrologi, _libidinosi, peripatetici ,
critici , e con essi vi sono tutti coloro che al corpo
piuttosto che alla coltura dell animo tengono rivolto
il pensiero. - Che signicano mai quelle femmine

che correndo sembra si aggirino d intorno a tutti i


da voi nominati, simili a quelle, fra le quali avevate
indicata l Incontinenza? - Sono le medesime ap

punto che avete gi nell altro ricinto vedute, e seco


portano lo stesso signicato. - Entrano dunque an
cora qui? _ Senza fallo. Non v luogo , non et,
non condizione, cui gli stessi vizi non si presentino;
n alcuno fra i viventi dalla insensatezza , dalla opi
nione , n dagli altri mali si vedr libero, se prima
non avr ripudiata la falsa Disciplina, non sar eu
trato nel vero dritto calle, non si sar renduto amico
delle virt purgative, e non avr sbandito dall ani

mo tutti i vizi ond era allacciato, le opinioni, ligno


ranza ed ogni altra bruttura. -Riportata vittoria di
tanti nemici, sar allora salvo luomo ed illibato?Si, lo sar; anzi qualunque commercio sia egli per ave

re colla falsa Disciplina, pi non gli recher danno


veruno, come gli studi poco fa mentovati non gli sa
ranno pi di pregiudicia-Qual la strada che con
duce alla vera Disciplina?_Vedete voi colass quel
l ampio luogo , nel quale sembra che non vi sieno
abitatori? _ lo veggiamo; e veggiamo altresi quella
piccola porticella; cui fa capo quella via poco battuta

per essere in apparenza erta e sassosa. - Ora bene:


osservate quellalto giogo, su pel quale la salita tanto
angusta, da tuttedue le parti costeggiata da frequenti

profondissimi precipizi; questa la via che mena alla


vera Disciplina.-Oh quanto sembra alpestre ed orri
da l - Veramente una tale prospettiva atterrisce chiun
que non ancora ben risoluto con pi vacillante vi si

incammina. Osservate ora verso la sommit del giogo


quell alta, grande, scoscesa rupe, sulla quale folgo
reggiano quelle due cosi brillanti matrone belle e ben
formate, le quali con faccia ridente e modesta, e con

meravigliosa prontezza porgono le mani a chi tenta

i58

TAVOLA

di salir colass , sempre coi gesti e colle voci inco


raggiandovelo. - Che maestosi aspetti! che nobile
incantatrice dolcezza! Ma chi sono esse mai? - Una
la continenza, laltra la Costanza di lei sorella;
esortano, com io gi vi dicea, i virtuosi a star di
buon animo e a continuare intrepidi nella loro salita

ripetendo sovente con soavissimo sorriso che poco pi


loro resta ad affaticarsi, a soffrire , e che ben presto
esse medesime ad una dolcissima e lietissima vita li
condurranno. w Arrivato l uomo al pi di quella rw
pe inaccessibile come far egli mai per sollevarsene
alla vetta? noi non ci vediamo sentier veruno. -Al
lora quelle due umanissime Dee si lanciano dalla ru
pe, e preso l uomo fra le braccia loro il trasportano
colass alto, gli comandano di riposarsi e di prenf
dere ristoro; indi gl infondono tanto ardir generoso

e tanta forza nell animo quanto giudicano essergli


necessaria , perch arrivi al possesso della vera Di
sciplina, alla quale esse hanno per costume il guidar
tutti: di fatto lo accompagnano esse medesime per

quella strada che vedete col si amena, si piana e spa


ziosa, e s: lontana da ogni pericolo. --. Aif che sem
bra quale voi la indicate. Ora piacciavi di spiegarci
che cosa signica quel luogo si vago, cui prato non
v ha che si agguagli per lamenit , e che di tanta
luce adorno, vicino a quell ombroso boschetto
E
quellaltro ricinto pur luminoso che si vede nel mezzo
del prato ridente, dov spalancata quella porta, che
cosa rappresenta egli mai E - Quello il soggiorno
dei Beati; sta in esso con tutte le Virtudi la medesima

Felicit. - Che amenit! che bellezzal che serenit

di sitol-Dehl cagliavi piuttosto di osservare quella


bella e maestosa donna col vicino alla porta del sog
giorno dei Beati, la quale pare di mezza et, e di veste
semplice e uniforme, pulitissima e adorna , e preme
colle sue piante non gi un sasso rotondo, ma si posa
stabile e sicura sopra di quella pietra quadrata. -- Ap
punto, e paie che a suoi anchi elrabba due fanciulle
quasi che fossero sue glie-Quella che sta nel mem
zo la Vera Disciplina, ed accompagnata dalla
Verit e dalla Persuasione. - La vera Disciplina

Dl CEBETE TEBANO

i89

stassene ferma sopra duna pietra quadratal e perch


mai? - Afnch tutti coloro che ad essa arrivano
sieno persuasi di non aver da vacillare pi mai, n
da doversi veder privi dei doni dalla medesima rice
vuti. - E quali sono qua doni? - Li riempie di
ducia, e ne discaccia dal cuore ogni timor servile. E non ricevono altro, che ducia e coraggio? Loro d inoltre la scienza, per mezzo della quale
vengono assicurati che in vita nulla soffiiranno mai
pi di grave n di molesto. -- Oh preziosissimi do
ni! Or diteci per qual ragione la vera Disciplina cosi
fuori del ricinto se ne sta. - Per poter accogliere
pi prontamente con amore tutti coloro che le si pre
sentano, e infondere nell animo loro tali rimedi che
purgare li possano dalle qualit velenose bevute nel
calice della Lusinga , onde liberi affatto dalle mede
sime riescale pi agevole cosa il dirigerli verso le
Virt. - Non capisco in che maniera? - Lo capi
rete riflettendo all esempio che sono per addurvi. Es

sendo voi da qualche grave malattia assalito fate che


venga un medico, il quale prudente e dotto con op
portuni medicamenti si sforzi di liberare il corpo vo
stro da tutte le cagioni della malattia, onde siete op

presso; in tal guisa coll aiuto del medico riacqustate


a sanit. Ma se ostinato alle ordinazioni del medico
non obbediste, sdegnatosi, e con ragione, il medesi
mo al vostro infelice stato vi abbandonerebbe, e dal

la malattia verreste ucciso. - Fin qui la intendo.


Nella stessa maniera l uomo che alla vera Disciplina
si afda ne vien curato a dovere, e per virt della
medesima libero quanto prima da tutti i mali, onde
era nel presentarsele circondato ed infetto. -- Da
quali mali? - Occorr egli ch io ve lo ripeta ? Dal
l ignoranza, dall errore, dall arroganza , dalla cupi
digia , dalla incontinenza, dall ira, dall avarizia , e
da ogni altra di quelle ree passioni, dalle quali nel
primo ricinto era stato allacciato. - Libero_ cosi da
tali passioni dov egli poscia condotto l L: Fra le

Virt al possesso della Scienza. _ Fra quali Virt?


- Eccovi oltre la porta un adunanza di donne tutte
di buona indole e ben costumate all aspetto, l abito

i90

TAVOLA

semplice e modesto delle quali d a divedere che nui


fhanno in s di affettato, nulla di ricercato. La prima e
rincipale tra queste la Scienza, e le altre di lei sorel
i; sono la Fortezza , la Giustizia, la Probit , la
Temperanza _. la Modeslia , la Liberalit , la Conti

nenza, la Mansuetudine. - Che amabile, che nobi


le, che santa comitiva! Quanto d essa maia spera
re all uomo che vi ammesso! - Raddoppiate la
vostra attenzione, e procurate d imprimervi ben nel
lanimo le cose che ora udirete, perch sono di gran
dissima importanza. -Non dubitate, che useremo ogni
diligenza per non lasciarne sluggir parola. - E voi
cosi facendo la salute vostra ne riceverete. - Diteci

di grazia , quando luomo ammesso fra quelle vir


t dove lo guidano esse? -_ Dalla madre loro. - E
chi mai l avventurata madre di donnecos1 belle?
-- La Beatitudine altrimenti detta Felicit. -- Non
potreste voi farcela vedere? - Non vedete voi quel
la strada che mette alla sommit di quel monticello
che attorniato da tutti i descritti ricinti, come for
te rocca da suoi baloardi? Osservate adesso quella
donna dimpareggiabile bellezza, che in quella splen
dente magione sta a sedere su quel trono eminente ,
con tanta propriet, e senza affettazione vestita, ed

in maniera cosi vezzosa adorna il capo di quella si


orida corona. -- Essa la Felicit. Che cosa succe
de poi all uomo di cosi nobile e vaga donna condot
to al cospetto? Giuliva ess accoglie quel fortunato, e
V colla propria mano gli pone sul capo una corona, per
virt della quale infuse gli vengono le sue divine qua.
lit; indi da tutte le virtudi sorelle circondato viene

condotto in trionfo, come i gloriosi vincitori nei pi


pericolosi combattimenti giustamente lo sono. - Ma
in quali battaglie stato egli vittorioso? - E vi par
poco l essersi egli affrontato con quegli orridi mostri
che prima se non lo divoravano, almeno lo tormentava
no, e lo tenevano in obbrobriosa schiavit? Eili vinse, e
molto lunga da sli conn; anzi con si generoso vigore

ei super s stesso, che schiavi si rese quei mostri mede


Simi, dei quali prima era prigioniero.-Di quali mostri

intendete voi di parlare? -- ln primo luogo dellIg1i0-_


\

Dl CEBETE -I"EBANO

i9i

mnza e delYrrore, dei quali non vha mostro n pi

schifoso, n pi diicile a debellarsi. Seguono la Mi


seria, la Tristizia, l Avarizia, la Dissoliztezza, ed
ogni altra malvagit e corruttela, alle quali tutte egli
non solo pi non serve come prima; anzi al suo im
pero le assoggett, e le tiene schiave. - Oh impresa
grande e magnanimal oh bellissima e gloriosissima
vittoria! Sovvienmi intanto della corona che sul capo
di un tale uomo si mette dalla Scienza: di grazia avreb
bella qualche nome particolare, qualche straordina

ria virt? - Beati/ica ella nominata, perch chiun


que ne porta adorna la fronte felice e beato, n in
altra cosa ripone la speranza della beatitudine sua che
nella salute dellanima-Incoronato l uomo che fa?
dove portasi egli? -- Fra le braccia loro sollevandolo
le virt lo portano nel luogo medesimo, dal quale egli
ha incominciato il suo faticoso cammino,e col gli ad
ditano le vessazioni cui sono esposti i malvagi, le loro
perde azioni, e la vita infelicissima che menano: gli
mostrano quanti naufragi sorono, in quanti errori
cadono, e quanto lunga schiavit sotto l aspro domi
nio d innumerabili nemici sia loro riserbata. Alcuni
sono schiavi della Incontinenza, altri delVArroganza,
altri della Vanagloria; e di mille altre passioni e vizi

a segno di non potersi mai liberare dalle miserie nelle


quali giacciono incatenati , e di non potere giammai
calcar la via che alla Scienza conduce, onde la vita
loro una continua perpetua serie di turbolenze e di
mali appunto perch non si curarono daderire ai con
sigli, n dubhidire ai precetti dal Genio nell ingres
so del primo ricinto ricevuti. - Parmi che il vostro
ragionamento sia giusto; restami per ancora qualche
dubbio intorno alla cagione, per la quale dalle virt
siano gli uomini alla felicit gi pervenuti, ricondotti

a quel luogo , dal quale hanno incominciata la loro


carriera._Quando gli uomini si presentano alla porta
del pi amplo ricinto ignorano affatto quello che l
dentro saranno per fare , non avendo ancora assapo- _
rato salvo lfgnoranz-a e PErrore; quindi che ambi

gui stimano buono quello che realmente non lo , e


reputano cattivo quello che cattivo non pureMaravi
n

i92
TAVOLA
glia dunque non sessi vivono male come il mag
gior numero di coloro che vi fanno dimora. Ma non
si tosto dalla Scienza vengono iucoronati , che cono

scono quanto pu esser utile,onesto e decente, e


merc della medesima godono una tranquillissima vita
ed a proprio vantaggio contemplano per odiarle e
schivare tutte le pessime azioni de malviventi. _ Sup
pongasi che luomo felice abbia contemplato il tutto;

che pro ne ricava egli? che cosa intraprende? e dove


rivolger i suoi passi? - Nissuno pi libero d un
uomo ai vizi, allerrore non pi soggetto; ei va dove
pi gli aggrada, sicuro come se renduto padrone si
fosse dell Antro coricio; dovunque egli arriva colla

stessa retta ragione ci vive senza verun disturbo, an


zi tutti gli altri uomini con piacere inesprimibile a s

lo chiamano, come gli infermi il medico. Sicch non


temer pi nemmeno glinsulti, n le insidie di quelle
femmine, che come altrettanti mostri da voi ci sono
state additate. -Ben lunge dal temerne qualche dan
no ei le calpester col suo piede, non essendovi pi
n fizione, n Mestizia, n Intemperanza, n Ava
rizia, n Povert dalle quali ei possa ricever_incomo

do. Comanda a tutte , e sono sue schiave sebbene pri


ma schiavo foss egli delle medesime, ed appunto
come si dice di coloro che una ata sono stati morsi

dalla vipera; tutte le ere che agli altri sono morti


fere o dannose, quelli soltanto non possono danneg
giare , il veleno fdella vipera servendo contra quello
delle altre ere d antidoto. Di fatto, alluomo dalla
Scienza incoronatoi danni sofferti o tenuti dalle pas
sioni, dalle quali si liber, servono d antidoto dei vi

z] e delle altre miserie umane, onde nulla mai pi

non gli pu nuocere. - Siamo convinti pienamente


della verit dei vostri detti; ma chi sono mai coloro,

che da quell altra parte del colle par che discendano,


alcuni dei quali colla corona in capo appariscono molto

lieti, mentre che gli altri privi di corona sembra che


per disperazione si svelgano i capelli, e si grafno le
carni, tuttoch da certe femmine vengano trattenuti?
-- Glineoronati sono quelli che sani e salvi essendo
arrivati a conseguire la vera Disciplina portano in

m CEBETE TEBANO

i9a

faccia i segni della contentezza del cuor loro. Quelli


che han nudo il capo sono alcuni che disperando di
poter salire tanto alto si riducono a menare una mi
sera vita. Altri,_poich non ostante d aver fatto pi
volte ricorso dalla Costanza, pure nel dritto calle non
hanno saputo perseverare, ed altri che dal timor der
rare invasi, o dalrasprezza e dalla lunghezza del cam
mino atterriti hanno desistito dallimpresa, se ne van
no qua e l vagando incerti per istorte vie lungi dal
la vera meta conducenti. -(ihi sono quelle femmine
che li vanno seguendo ed arrestandone i passi ?-So
no le Tstezze, le Moleslie, le Ansiet, le Ignomi.

nie e le Ignoranze. Tutti i mali dunque tengono die


tro a costoro? - Tutti, e quando_ nel primo ricinto
si fanno seguaci della Dissolutezza e delrlncontinen
za, non accusano s stessi duna cosi manifesta paz
zia, ma con calunnie tentano rovesciarne la colpa ad
dosso alla Disciplina e ai seguaci della medesima;
tanto sono disgraziati coloro che da questa si allon
tanano! Di fatto la loro vita una continua miseria;

n mai possono godere alcuno dei beni ch essa dis

pensa. -- Per allontanarsene per convien dire che


altronde quegli infelici sieno allettati , e che conside
rino come beni cose che realmente non sono. - Pur

troppo cosi! Tengono essi in conto di beni la lus


suria, l infemperanza, i bagordi, le crapule, e il
menar la vita fra le meretici; in somma fanno consi

stere il Sommo Bene in una vita da bestie... - Di


teci per cortesia, chi sono quelle donne che ridendo
e festeggiando si avanzano da quella parte? - Sono
le Opinioni che guidano allalbergo della Disriplina
coloro che si dimostrano affezionati alle Virt. Voi
le vedete qua e l ad allontanarsi un cotal poco dal
dritto sentiero, e lo fanno per incamminarvene altri,

i quali traviano, danno loro avviso quei che per l ad


dietro esse avevano guidato , aver gi conseguita la

_felicit. - Come adunque? Le Opinioni hanno an


chesse adito presso delle Virt? - Non lecito al

le Opinioni di convivere colla Scienza; solamente


oflicio loro di consegnar nelle mani della Disciplina

gli uomini chesse dirigono, il che fatto se ne ritor


I7

rgi;

TAVOLA

nano addietro per invitarvene e dirgervene altri, nel


la stessa foggia che le navi deposte le mercatanzie ,
ond erano cariche in un porto , se ne ritornano ad

dietro per essere di nuovo d altre merci caricate. In


tendiamo pienamente quanto voi degnato vi siete di

spiegarci, e speriamo che favorirete ancora di esporci


che cosa venga comandata dal Genio a chi per en
trare' nella Vita. - La vostra curiosit e la pazienza

che dimostrate mi fanno sperare che dalla presente no


stra conversazione siate per ricavare grandissimo pro
tto. State per di buon animo, e non dubitate che
tutto vi verr esposto, e non mi dimenticher nulla

affatto di quello che a questa pittura relativo. Ve ne rendiamo cordialissime grazie, e vi ascoltiamo.
- Rivolgete ora di nuovo lo sguardo a quella cieca,

la quale sembra aver i piedi su quel sasso globoso,


e che v ho detto poco fa nominarsi Fortuna." Ec
coci attenti a rimirarla. -_ Sappiate or dunque che

il Genio comanda che a colei non si presti fede; an

zi che non si creda stabile, n sicura, n propria qua


lunque cosa da lei venga ricevuta , perciocch niente
si oppone alla medesima, quando le salti il capriccio

di levarle da chi le ha ricevute primiero per gettarle


in seno ad altri, siccome ella_ha costume frequente

mente di fare. Per la qual cosa gli uomini sono av


visati seriamente dal Genio a non aver in considera-
zione veruna neppure quei doni, che da lei loro sa

ranno regalati, a non rallegrarsi ricevendoli , n a


rattristarsi vedendoseli tolti. Aggiunge inoltre, che la
Fortuna mai non si dee laudare, n biasimare, tutte
le operazioni della medesima essendo fatte a caso, n
mai concorrendovi ombra di ragione , n di consiglio;
onde ancorch talvolta grandiose e belle appariscano
ei raccomanda loro che non se ne maraviglino punto,
n si sdegnino, perch vili e scellerate loro sembrino;

altrimenti loro bene starebbe lessere paragonati a quei


banchieri, i quali ricevendo danaro se ne rallegrano
quasi che fosse cosa propria, ma quando loro viene
ridomandato, se lhanno per male e si credono dal pa
drone di quello ingiuriati e maltrattati quasi dimen
tichi d averlo ricevuto in deposito a condizione di

Dl CEBETE TEBANO
'i95
restituirlo nel tempo convenuto a chi loro lo ha conse
gnato. La Fortuna suole altrui levare il gi conceduto
e riconcedergli talora ben presto assai pi di quello
Onde l avea privato; suole altresi non solamente spo
gliare gli uomini di quanto loro essa aveva accordato,
ma di tutto quello non meno che altronde avevano

conseguito; sicch conclude il Genio non se ne di


sprezzino i doni, ma non si amino troppo; n troppo

tenacemente si tengano abbracciati, perch se l ul


timo partito biasimevole e dannoso , lodevolissimo
il primo, come quello che migliora ed amplica i
mezzi onde avanzarci verso la Felicita, dopo d esserci
colla Disciplina istrutti e risanati. -Dee luomo adun
que accettar i doni della Fortuna come altrettanti
mezzi per conseguire gli stabili ed immarcescibili, che
dalla Disciplina pu ricevere. -- Appunto perch ne

abbiamo ricavata la salute. - Che cosa intendete voi


per salute in questo caso? - La vera scienza delle
cose utili ; che un dono stabile , certissimo , im
mutabile ; perci il Genio comanda anche a tutti gli
uomini di ricorrere da questa Scienza; e quando sa
ranno costretti di passar vicino a quelle altre femmine
gi mentovate, come sono la Dissolutezza e llnconti

nenza, vuole che immantinente rivolgano i passi altro


ve, n diano alle medesime ascolto nch arrivati non
sieno alle soglie della falsa Disciplina. - Da questa
comander altresiil Genio che immediatamente luomo
sen fugga. - No: anzi gli raccomanda al contrario

che si trattenga e eonversi con essa alquanto per ri


cavarne tutto quel che ha di buono, giacch prodigar

lo suole a chi seco lei fa qualche dimora. Di tali acqui


sti gli uomini si serviranno come dun ottima prov
visione pel lungo viaggio che resta loro da fare g il che

eseguito debbono per consiglio del Genio abbando


nar la falsa Disciplina, e salire per la pi corta al
ricinto della vera. Eccovi, o Signori, quanto dal Ge
nio viene agli uomini in sul nascere loro prescritto.
Felice chi ubhidiscel ma altrettanto infelice poi chi
opera a rovescio, o non si cura deseguirne gli ordini
con diligenza e con puntualit. Dopo d aver questi

ultimi trascinata. miseramente una disgraziatissima vita,

I96

TAVOLA

fra le calamit pi vergognose e pi terribili se ne mor


ranno.- Da quel che vedo siamo arrivati felicemente
voi colla dimostrazione e col saggio discorso, noi col
lattenzione e con utile e piacer grandissimo al ter
mine della interpretazione delle pitture in questa ma
ravigliosa tavola contenute , del che non occorre che
per noi vi si dica quanto mai tenuti vi siamo; con
tutto ci maggiormente paghi e contenti ce ne parti

remo, se vi degnerete di sgombrar la mente nostra


d alcuni dubbi , di dissipare alcune leggerissime nu

bi che ci lascerebbero in qualche oscurit. - Mel


recher a gloria , n v asconder punto di quel che

io mi sappia ove continuar vogliate ad ascoltarmi, e i


dubbi vostri proponiate.-- Il Genio comanda agli uo

mini di conversare collafalsa Disciplina per far qual


che acquisto , e che cosa mai di buono si pu acqui
stare da colei? - Le lettere , le belle arti, e le ma
tematiche , studi lodati da Socrate e da Platone (uo
mini amendue quasi divini pel saper loro) perch so
no come altrettanti freni onde i giovinetti vengono te
nuti per lo dritto sentiero , e loro si toglie l agio di
darsi ad altre occupazioni perniciose. - Sono poi tan
to assolutamente necessari tali acquisti , che luomo
senza dei medesimi non debba sperar darrivare alla
vera Disciplina! - Tale assoluta necessit non evvi;

per altro riescon utili sebbene poco o nulla contribui


scano a renderci migliori. _ Parmi che qui voi vi
contraddiciate. Se sono utili, e come mai non contribui

scono a renderci migliori? - Senza lettere gli uomi


ni possono riuscir ottimi, ond chiaro che non sono

indispensabili per chi ottimo vuol divenire, sebbene


recar possano qualche utilit, siccome pi evidente

mente io dimostrer con un esempio. Perch da noi


si sappiano certe cose, se non possediamo la lingua
nella quale sono scritte, pu esserci utile uno che oc le
interpreti ; che se gi le sapessimo pi non abbisogne

remmo d interprete per discorrerne a nostro talento.


Cosi delle lettere e delle matematiche: sono inter
preti di certe cose che non sappiamo; ma riescono
inutili rispetto a quelle che di gi possediamo; dun

que a renderci migliori possono essere inutili. -- Sem

Dl CEBETE TEBANO

ig;

brami per che i letterati e i_ matematici debbano

essere pi atti degli altri uomini a renderci migliori.


- E perch mai vi saranno essi pi atti? Non li vo
diamo noi forse soggetti ad ingannarsi nella cognizio

ne del bene e del male? Sono forse meno infangati


nei vizi i matematici che verun altra specie di perso
ne ? Nulla vieta all erudito, al letterato, al dotto lin
nebriarsi, l esser intemperante, avaro, ingiusto , tra
ditore; il che equivale ad essere sciocco ed insensato.

-- Convien confessare che non pochi letterati sono


quali pur ora voi diceste. - Convien dunque confes

sare pur anco poter non darsi che a cagione della


letteratura gli uomini diventino migliori. _ Ma spie

gatecene pi chiaramente la cagione; mentre che nel


quadro noi li vediamo collocati nel secondo ricinto
come uomini che si accostano alla vera Disciplina. _

E qual pro ricavano essi da tal cosa? Non vediamo noi


altresi molti dal primo ricinto a passare tosto nel ten
zo, cio di mezzo alla Dissolutezza, e a tutti i vizi spic
carsi e volar in braccio alla vera Disciplina? Co sto
ro si lasciano pur dietro alle spalle i matematici? _

Possiamo per eccettuarne gli zotici, e gli affatto in


docili ed ostinati come sono i matematici stessi che alla
vera Disciplina mai non arrivano , perch coloro che

sono nel primo ricinto hanno sopra dei letterati il


vantaggio di non dissimulare che ignorano quello che
non sanno, in vece che nel secondo ricinto non si sa
certamente quello che pur si presume di sapere; e in

nattanto che costoro non abbiano deposta una si ri


dicola ed ingiusta presunzione, caso non v che pos
sano mai essere promossi al consorzio della vera Di
sciplina. Voi sapete oltracci che anche le Opinioni
passano dal primo ricinto liberamente nel secondo con
essi; quindi che i letterati non sono punto migliori

degli altri uomini, salvo che si pentano e si persua


dano di non aver ancora abbracciata la vera, ma sol

tanto lafalsa Disciplina che gl inganna. -- Se la cosa


cosi, i letterati senza la condizione da voi indicata
non possono arrivare alla Felicit. --- Ben v appone
te. Ora, signori miei, fate in maniera che dalle cose

n qui divisate ognuno di voi ricavi il dovuto pro

ms

TAVOLA

tto, n mai pi le lasci svanire dalla memoria, anzi


del continuo le vada meditando. -- Adopreremo ogni
diligenza in quello che da voi inculcato ci viene; ma

di grazia non ci abbandonate nch non sappiamo da


voi perch non siano beni quelle cose che gli uomi
ni ricevono dalla Fortuna, come per esempio la vita ,
la sanit, le ricchezze, la gloria, la prole, le vil

torie, e le altre cose simili; di poi perch non sieno


mali le opposte alle anzidette , come il biasimo, le
malattie, la povert, la morte. Al corto mio intendi
mento ci sembra cosa troppo assurda, stravagante,

incredibile. -- Eccomi pronto a compiacervi, pnrch


rispondiate alle mie interrogazioni esponendo con tut
ta schiettezza il vostro parere. Vedendosi da voi un
uomo a viver male, giudicate che per quel tale la vi
ta sia un bene? -A dir vero ei sembra per esso un
male. - E come mai sar dunque un bene il vive
re? La vita dunque un male per se medesima, po
sto che sia un male per colui che vive male. - Ma il
viver bene sembra pure un bene? _. Ecco in qual
maniera la vita dicesi da voi bene e male. - So pe
r che una cosa medesima non pu essere bene e
male ad un tempo, altrimenti cosi essendo l utile sa
rebbe dannoso, e le cose da fuggirsi sarebbero le stes
se che quelle da seguirsi. Ma in che guisa mai non

male il vivere a colui che vive male? --- Non par egli
a voi che il vivere e il male considerare si debbano

come due cose distinte? - A me sembra veramente


cos-Sicch la vita non un male, perch se fos

se un male il sarebbe anche senza dubbio per coloro


che vivono bene. Dappoich essi avrebbero una cosa
per s medesima cattiva che la vita. _ Ionon sa
prei trovar replica a quello che voi dite. - Conclu
diamo adunque che siccome tocca di vivere tanto a

coloro che vivono bene, quanto a chi vive male, cosi


il vivere si dee considerare come ne bene m: male nella

stessa maniera che si considera come n morboso, n


salubre il taglio e la cauterizzazione in pro degli infer

mi. Ma passiamo ad un altra quistione. Che cosa si


bramerebbe da voi maggiormente? viver male, oppnr
cautamente e gloriosamente morire? - Piuttosto mo

Dl CEBETE TEBANO

igg

lire gloriosamenle. - Sicch neppur il morire un ma.


le, giacch per lo pi scegliere si dovrebbe piuttosto il
morire che il vivere. Ora applichiamo lo stesso ragio
namento alla malattiae alla sanit, tantopi che pi
sovente meglio non esser sano/; applichiamolo alle

ricchezze posto che veggiamo innumerabili carichi di


ogni beni di fortuna vivere malissimamente. - Pur
troppo vero che di questi il numero grandissimo.
- Dunque le ricchezze non contribuiscono punto al
ben viveredi costoro, mentre che sono malvagi, dun
que non sono le ricchezze che rendono buoni e ben

costumat gli uomini, ma bensi la Disciplina. - Tale


anche il mio parere, giacch le ricchezze non sono
capaci di render migliori coloro che le posseggono.
lnnurnerabili uomini poi dovrebbero pel megho loro
non aver ricchezze , posto che non se ne sanno ser

vire; il che essendo cosi giudicheremo noi essere un


bene quello che sarebbe assai meglio che non fosse

dal maggior numero posseduto? - No; ma non mi


negherete nemmeno che bene e felicemente vivr
chiunque sapr servirsi bene, opportunamente e con
prudenza delle ricchezze, come vivr male chi non
sapr servirsene bene. - Nonio negher , ma questo
ci condurr a concludere , come gi pi volte abbia
mo fatto , le ricchezze non doversi desiderare avida
mente come un bene, n interamente disprezzare e
fuggire come un male, quantunque non vi sia nulla

che tanto perturbi, inquieti e pregiudichi quanto il


credere chela felicit consista nelle ricchezze e ne
gli onori che da queste procedono. Gli uomini in tal
caso dannosi a credere non doversi ricusar di com
mettere qualunque sceleraggne , qualunque empiet
per conseguire le ricchezze e gli onori appunto , per

ch ignorano cos il vero bene, e non sanno che que


sto non pu risultare dal male. _ Pur troppo veggia
mo pieno il mondo di persone opulentissime arrivate_

a tal condizione col mezzo delle pi sozze e vergognose


operazioni, come sono i tradimenti, le ruberie , gli

omicidi , le calunnie, le prepotenze, le frodi, ed altre


cose di tempra ugualmente cattiva. - Se dal nostro
dire s ricavato che dal male non proviene il bene,

300

TAVOLA Dl CEBETE TEBNO

e se le ricchezze sonu parte delle sceleraggini, neces


sariamente le ricchezze non sono il vero bene. _ Il v0
stro argomento convince. - D altra parte col mezzo di
malvage operazioni acquistai non si possono m: la
giustizia, n la sapienza, come non si pu cadere me

diante le buone operazioni n nella ingiustizia, n


meno nella stolidezza, stante che le nominate qualit
virt e vizi non possono star insieme uniti; onde nul

la dee importare che un uomo sia opulento, che ri


poiti la vittoria contra dei propri nemici, che venga

onorato , e che simili altre cose possegga, sebbene egli

sia di mal costume ed empio , avendo noi concluso


che tali cose non sono n bene n male: importare ci
dee bensi di sapere che la sola sapienza bene , e
la sola ignoranza r) male. - Il tuo saggio favella
re , o Sofronimo, abbastanza ci ha su questa mara
vigliosa pittura ammaestrati , ed tempo ormai che

paghi e a te in perpetuo obbligati in pace ti la


sciamo.

PENSIERI
DI ALTRI PITAGORICI
S l.
Idea fondamentale della losoa morale pitagoriea

( da Ipotamo di Turrio)

a Fra gli animali altri sono capaci di beatitudine,


ed altri nol sono. Ne sono capaci quelli che trovan
si dotati di ragione, perocch la beatitudine non pu
sussistere senza la virt: ma la virt non si rav
visa se non in un soggetto dotato' di ragione. Gli ani

mali poi incapaci di beatitudine son quelli che man


cano di ragione. Nella stessa guisa che colui il quale
manca della vista non pu essere capace alle opere
che richieggono questo senso, cosi i soggetti privi di
ragione non possono compiere le opere che richieg
gono l esercizio della virt.

Nellanimale ragionevole la beatitudine forma


l opera, ossia il frutto della medesima; la virt poi '
serve come arte o mezzo a compiere quest opera.

a Nei soggetti dotati di ragione altri hanno una


perfezione assoluta, e diconsi perfetti in se stessi, ed
altri non hanno che una perfezione relativa. Il primo
genere di perfezione compete a colui che non abbi
sogna di veruna cosa esterna tanto per esistere, quan
to per esister bene. Tale Dio. li secondo genere poi
di perfezione si verica in colui che pu bensi essere
beato, ma che abbisogna delle cose esterne, come ap

punto l uomo.
Fra i. soggetti capaci di perfezione relativa, altri
sono dotati di capacit naturale, e questi sono co

lorqche sortirono un buon naturale ed un retto con


(i) Collezione degh Opuseula mithologica physica et etlii
ca graece et latine seriem eJrum - ASLlUdalDl, apud

Heuricum Wetsteuiuui i688 pagina 658 alla 665

20a
DELLA MORALE PITAGORICA
siglio. Essi abbisognano dei sussidi esterni oltre i pm

pri: ipropri sono il buon naturale ediil buon criterio;


gli esterni consistono nella convivenza sotto un retto
ordinamento di leggi e nella compagnia di uomini
probi. 1

Altri poi mancano o dell uno o dell altro sussi

dio , o di amendue. Cosi un uomo di pravo ingegno


manca di virt e di capacit propria. Colla mancanza

poi delle buone leggi e della buona convivenza man


ca degli esterni sussidi. Gli uomini perfetti altri lo
sono per natura, ed altri lo sono per il loro modo di
vivere. Per natura sono coloro che sortirono un buon

naturale e possono
locch nella natura
la perfezione della
dellocchio consiste

dirsi dotati di capacit virtuosa ;


originaria di chiunque costituisce
sua capacit. Cosi la perfezione
nella natura o temperamento del

medesimo. Nella stessa guisa la perfezione delruoino

consiste in questo buon naturale , ossia in questa ca


pacit di originaria disposizione.
f Gli uomini poi perfetti per la loro vita sono co
loro che non solamente sono nati con un buon na
turale, ma eziandio che riescono ad essere effettiva

mente beati, perocch la armi-nomi: COSTITUISCE LA Pn


rnziom: DELLA VITA uunu. n
i
c La vita altro non che il complesso e lordine
delle azioni: il giugnere al ne delle medesime for
ma la beatitudine, e per ci si fa colla virt e colla
felicit : quella per l uso, questa per il successo. n
Ma Dio non renduto beato n per alcuna virt

appresa da chi che sia, n per una felicit da si fatta


esterna virt derivante. Imperocch egli per natura
sua del pari buono che beato; e sempre fu e sar

tale ; e tale non cesser mai di essere perch perire


non pu.Luomo per lo contrario per natura sua pro
pria non pu essere buono e beato , ma egli abbiso

gna della disciplina e della buona fortuna: la prima


formante le virt, perch sia buono : la seconda per
potere ottenere la felicit e divenir beato. Per la qual
cosa la beatitudine umana viene costituita e da altri
giudicata col lodare la virt e col predicare la felicit.
La virt viene acquistata per dono divino, e la feli
cit per la fortuna umana. n

DELLA MORALE PlTAC-ORlCA

203

c: Le cose divine e celesti differiscono tanto dalle

cose mortali e terrene, quanto le cose migliori diffe


riscono dalle peggiori. Per la qual cosa chi segue gli
Dei divien beato; chi segue i mortali diventa misero.
i All uomo dotato di prudenza la felicit cosa
conveniente ed utile: conveniente perch conosce co

me agir si debba, utile perch pone la cognizione in


atto coi fatti da lui praticati. Bello dunque il vive

ne quando la prudenza si congiugne colla felicit, pe


rocch ivi l uomo prendendo la virt di mira come
stella polare, c condotto da prospero vento , pone in
opera questa virt. Cosi facendo egli non solamente se
guir Dio, ma anche unir il bene umano col divino.
La differenza del bene o del mal vivere deriva
eziandio dalle affezioni e dalla pratica delle opere.
Ogni affezione onesta o turpe: parimente ogni ope
ra produce o bene o male. Uaffezione onesta quel

la che partecipa della virt, laffezione turpe quella


che partecipa del vizio.Quanto alle opere, quelle sono
buone le quali riscontransi nella felicit; le cattive poi
sono quelle in cui incontransi infelicit Le buone so->
no compiute dalla ragione che conseguisce il suo

ne , le cattive non lo conseguiscono. n


f Per la qual cosa la virt non solamente deve es
sere imparata, ma eziandio posseduta ed applicata

alla sicurezza ed al miglioramento delle famiglie e delle


repubbliche, e soprattutto alle utili riforme. Delle co
se preclare non solo il possesso, ma anche l uso se

guir dobbiamo. Le quali cose avverranno se a taluno


tocchi in sorte di vivere in una repubblica bene co

stituita, locch io chiamo in certa guisa il corno di


Amaltea. Solamente nel retto ordinamento delle leggi

sta il tutto: fuori di questo ordinamento ogni bene del


l umana natura n si pu acquistare , ed acquistato

non si pub mantenere. Questo ordinamento contiene


in se stesso tanto la virt quanto la via stessa alla

virt. Gio si dimostra pensando che in tale ordina


mento da una parte vengono prodotti uomini di buo
na indole , dall altra i buoni costumi, i buoni studi,
le acconce leggi, e per regnano la piet ed il vivere _

perfetto. Per la qual cosa onde vivere internamente

ao

DELLA MORALE PITAGORICA

tranquillo ed esternamente felice riesce necessario di


vivere e morire in una ben ordinata repubblica.
6 La ragione di questa conclusione vien renduta ma

nifesta pensando che l uomo forma parte della so


ciet, e per questa ragione egli vien renduto perfetto
non solamente collessere semplice socio; ma col mo
strarsi socio probo. Alcune cose si trovano nei pi e

non nell uno; alcune nell uno e non nei pi: alcune
poi si nei pi che nell uno, e per conseguenza si
trovano nell uno perch si trovano nei pi. Larmo
nia di fatto, il concento, il numero si riscontrano nel
la pluralit , imperocch niuna parte di tutte queste
cose pu costituire il tutto.

'

L eccellenza della vista e delludito, lavelocit


dei piedi esistono nell uno; ma la tranquillit e la
potenza dell animo si ravvisa sia nell uno , sia nei

pi, sia nel tutto , sia nell universo; e per tali beni
sono nell uno , perch sono nei pi, e sono poi nei
pi perch derivano dal tutto e dalluniverso.
La costituzione della natura del tutto costitui

sce le singole parti, e la costituzione dei singoli com


pie la costituzione del tutto e quindi dell universo. Ci

vien fatto perch per se stessa la natura bensi un


tutto particolareggiato, ma non parte di questo tutto.
Se di fatto non esistesse il mondo, non esisterebbero
n il sole n la luna, n le stelle sse o erranti. Da
che poi il mondo esiste, tutte queste cose singolari vi
si riscontrano. Nella stessa natura degli animali si ve

rica questa condizione, perocch se lanimale non esi


stesse non apparirebbero n l occhio, n la bocca, n
le orecchie; ma dopo che lanimale esiste, tutte e sin
gole queste cose si ravvisanoCome dunque il tutto ha
relazione attiva colle parti , cosi la potenza del tutto
ha relazione colla potenza della parte.
E siccome senza l armonia e la divina cura del
mondo le cose esistenti non potrebbero durare nel 10
ro stato, cosi senza il retto ordinamento delle leggi
nella citt niun cittadino riuscir potrebbe buono o
beato. Lo stesso accade nella vita animale , perocch
senza della salute dell animale n il piede n la mano
potrebbero goder vigore e sanit. E come la possanza

DELLA MORALE PlTAGORlCA

2o5

tale del mondo risulta dalrarmonia, cosi la sanit


ed il vigore della citt risulta dal buono ordinamento
delle leggLLe parli poi di ogni particolare complesso
si riferiscono al tutto ed all universo: e come la forte

dell occhio si riferisce al complesso di tutto il corpo,


cosi le diverse parti del gran tutto si riferiscono alla

gran causa dall universo.

g II.
Schiarimento di Eurizmo (I).
x La vita perfetta delluomo siccome sta al disotto

a Dio, perch in se stessa non perfetta, cosi sta sopra


ai bruti, perocch partecipe della virt e della bea
titudine. Dio non abbisogna di verun sussidio esterno,
perocch per natura sua buono, beato, per se per

fetto. Cosi pure al bruto non occorre il sussidio della


ragione: mancando i bruti di ragione, essi mancano

della scienza delle loro azioni.


Ma luomo si regge in parte colproprio consiglio,
ed in parte egli abbisogna del divino soccorso. Es
sendo dotato di ragione egli pu conoscere le cose
oneste e turpi, pu ricevere le ispirazioni del cielo e
comprendere gliDei altissimi, e cosi essere divinamente

aiutato. Perch poi egli dotato di volont e di con


siglio, per cui pu praticare la virt o i vizi, venerare
o essere avverso agli Dei, egli si considera dotato di
libert. Da ci ne viene che egli pu conseguire tan
to la lode e lonore, quanto il vituperio e lignominia
a>misura che egli pratica o la virt od il vizio. 1)
Niun fatto vi ha che possa essere piidegno ed ac
cetto al mondo ed agli Dci quanto la composizione di
una citt bene ordinata e la _formazione delle buone
leggi e della buona repubblica. Imperocch ogni uo,
mo essendo individualmente impotente a dare a se
stesso un ottimo vivere, cinonostante egli fu renduto
altissimo a costituire un intera e perfetta societ. La
vita umana simile ad una lira in ogni parte perfetta
ed accurata: e siccome una lira ricerca tre cose, cio
(r) Detta collezione, pag. 665, 669.

i8

206

DELLA MORALE PITAGORICA

lapparato, la composizione edil tocco musicale, cos


la vita umana abbisogna di queste tre cose. Collappa

rato s intende il complesso di tutte le parti compo


nenti, come le corde e gli altri pezzi, per sostenere e
far rendere il suono; colla composizione si intende la

mutua proporzione degli accordi. Colla pulsazione


nalmente sintende il moto impresso a tutto lo stro
mento. Parlando dell uomo, lapparato consiste nel
giusto numero delle cose necessarie alla vita. Neces
sarie poi alla vita sono la sanit corporale, le ricchez

ze, gli amici, la gloria. La composizione poi consiste


nel temperamento di tutte queste cose secondo l or
dine della virt e delle buone leggi. La pulsazione
nalmente, ossia il movimento di queste parti, consi
ste nello scambievole commercio fatto in modo che
a guisa di vento propizio la virt cammina al suo ne
senza incontrare avversit.

a La beatitudine non consiste nel fare astenere luo


mo dalla meta liberamente proposta, ma bensi nel
conseguirla.
L'uomo vien renduto perfetto parte collopera sua e
parte collopera altrui, e ci o per natura o per la

propria condotta. Per natura se nacque buono; per


la propria condotta, se egli divenga beato. La beati

tudine costituisce la somma e la perfezione de beni


umani; donde ne viene che le due parti della vita

"engono costituite dalla virt e dalla felicit corpo


rale, ed amendue unite formano il complesso animale.

Volere le cose oneste e sopportare le gravi proprio


della virt, cosi il desiderato compimento dei consi
gli e il ne delle operazioni posto nella felicit.
Siccome un duce vince col valore e colla fortuna , e
siccome un nocchiere felicemente naviga collarte e
col vento propizio; siccome locchio ben "ede e colla
propria facolt e colla luce prestata, cosi eccellentissi
ma vicn reuduta la vita umana colla virt e colla fe
licit

DELLA MORALE PITAGORICA

207

g III.
Delle affezioni e delle passioni (da Iparco)
Siccome brevissimo il tempo della vita umana
paragonato colleternit, cosi una bellissima peregri
nazione stabiliranno gli uomini se si proporranno di
vivere colla tranquillit dell animo. Ci conseguiran
no se soprattutto conosceranno bene se stessi come

mortali e fatti di carne e dotati di un corpo soggetto

ad offese ed a morte , e se stessi esposti a mali gra


vissimi no al ato estremo.
Incominciamo pertanto a parlare delle cose che

riguardano il corpo. Queste sono le pleuritidi , mala


lattie de polmoni, enitidi , podagre , mali di vesci
ca , dissenterie, letarghi, epilessie, ulceri putredinose
ed altri inniti morbi. Ma all animo molto maggiori
e gravi cose accadono. Tutto ci che vi ha di scelle

rato, di vizio , di peccato e di empiet nella vita de


gli nomini tutto trae il suo principio dalle perturba

zioni dell animo. Imperocch per immoderate e da


natura aliene cupidigie molti in isfrenali impeti cad

dero, n poterono raffrenare o nelle glie o nelle ma


dri turpissime libidni. Che pi? Molti genitori non
istrozzarono forse i loro propri gli?

c Riferir io forse le calamit che daltronde deri


vano , come i diluv], le siccit, i cocenti calori, lin
clemenza del freddo e talvolta la peste nata dallo squi
librio dell aria , le fami e i vari casi per cui intere

citt vengono desolate? Tutte queste cose conosciamo


essere incerte ed instabili, e quindi nel mondo non
trovarsi nella sorte umana niente di fermo, di perpe
tuo e di immobile.

Le quali cose ponderando e assai bene entro


noi stessi pensando che le cose date a noi non pos
sono essere durevoli, noi con buon animo viveremo
e fortemente sopporteremo i casi che accadono. n

Taluni ngendosi migliori e durevoli le cose com

partite o dalla natura o dalla fortuna, e non quali


(I) Pag. 66g.

208

DELLA MORALE PlTAGORlCA

realmente sono, trovandosi subitaneamente privati di


tali pegni , si gettano in gravi e turpi costernazioni di
modo che vivono in un modo acerbissimo e miserissi
mo. Ci si vede o nella perdita delle ricchezze, o nel<

la morte degli amici e dei gli, o nella perdita di al


tre cose che tenevansi assai care. Allora piangendo
ed esclamando , se stessi soltanto proclamano infelici
e miserissmi , dimenticando che altri moiti incontra
rono sventure simili a quelle da loro provate, n pen
sando alla vita degli uomini di tempi andati ed a
quante calamit e miserie molti sono andati soggetti,
ed anche prcsentcmente soggiacciono alle medesime.
Per la qual cosa noi ci ridurremo a tranquillit
se dalla storia a noi pervenuta considereremo che
molti, perdute le ricchezze , rimasero salvi quando
caddero per loro motivo in mano dei ladroni o di un
tiranno, molti eziandio essere stati odiati da quelli

stessi che furono da loro amati: n pochi da gli e


da amici carissimi essere stati uccisi: in breve, se la

nostra vita paragoneremo colla altrui assai pi infe


lice, _e considereremo tutte le umane sventure vive
remo assai pi tranquilli.
Al certo quello che si sente uomo non deve so
lamente pensare che gli altrui mali siano sopporta
bili, ma deve considerare egualmente i suoi del pari
sopportabili , perocch tutta la vita si vede piena di
disgrazie. Ma coloro che smodatamente piangono e
gridano, oltrech non ricuperano le cose perdute, n
a vita richiamano il morto, gettano il loro animo in
maggiori perturbazioni.
Tutte queste cose considerandqnoi dobbiamo con
tutti i nostri sforzi avvezzare l animo nostro e pur

garlo dalle macchie inveterate , e colla losoca dot


trina sgombrarlo dalle male opinioni. Ci ne verr
fatto se porremo in pratica la prudenza e la tem
peranza , e la presente fortuna sopporteremo di buon
animo, e pi cose non disidereremo. Imperocch co
loro che assai cose abbracciano non pensano mai di
dover nire la vita. E perch ci non avvenga, go
diamo dei beni che ci stanno cotto la mano, e per

mezzo della losoca gravit ci libereremo dalla smo


data cupidigia delle turpi cose.

DELLA MORALE PITAGOPJCA

209

S IV.
continuazione (da Teage )
u Lanimo umano costituito in modo che una par
te di lui si la ragione. Un altra si liracondia, la
terza il desiderio. La ragione presiede alla cognizione;
l ira alla forza esterna; nalmente il desiderio al vo

lere
Allorch dunque queste tre facolt in un sol
complesso vengono rattemperate, allora nascono la
virt e la concordia. Per lo contrario quando fra se
vengono disgiunte nascono il vizio e la discordia.
Ed in vero tre cose sono necessarie alla virt, cio
la ragione, il potere operare ed una buona delibera
zione. Colla prudenza viene ben ordinata la ragione,
perocch si contrae l abitudine del giudizio e della
contemplazione. Lira acquista il carattere di fortezza,
la quale nasce dallabitudine di resistere e di soppor
tare le cose gravi. Al desiderio vien prestata la tem
peranza , la quale consiste in una certa moderazione
degli appetiti corporali. In complesso nalmente ne
sorge la giustizia intera dellanimo.
Malvagi poi vengono resi gli uomini, o per la ma
lizia , o per l intemperanza , o per la ferocia. Oltre
ci ingiustamente agiscono o per causa di lucro, o
per causa di volutt, o per causa di gloria. La mali

zia si riferisce alla ragione,parte prevalente dellani


mo: e siccome la prudenza viene paragonata ad una
arte buona, cosi la malizia vien paragonata ad una
arte cattiva, e ci perch va macchinando inganni in
giuriosi ad altri. Cosi pure l iutemperanza viene ri
ferita al desiderio, perocch il suo opposto , cio la
continenza, consiste nel moderare gli appetiti, e nrl
non moderarli consiste lincontinenza. Finalmente la
ferocia si riferisce all ira, perocch quando taluno

reca un male non a guisa di uomo, ma a guisa di


fiera , tale maniera dicesi ferocia.
(i) Pag 68| 68/.
(a) Il nasce velle et poste distinti dal celebre Vico, e che
formano tutto intero l uomo, sono qui annotati e distinti
anche da Teagene pitagorico.

210

DELLA MRLE PlTAGORlCA

Da tutte queste affezioni nascono molti effetti e


ni conseguenti; e siccome l avarizia glia della
malizia, cosi alla ragione, prevalente parte dellanimo,
si riferisce la malizia, nella stessa guisa come allira ,
ossia allavversione o allodio appartiene lambizione;
cosi lira, quando resa eccessiva, pi oducc la ferocia.
Finalmente siccome il desiderio delle cose corporali
appartiene alla facolt di desiderare in generale, cosi
quando eccessiva partorisce l intemperanza. Per la
qual cosa siccome per queste cause operiamo ingiu
stamente quando oltrepassano certi limiti, cosi pure

opereremo giustamente quando questi limiti saranno


rispettati. u

Di fatto egli proprio della virt di benecare e


di giovare; del vizio di mal fare edi nuocere. E sic

come altra delle parti dell animo comanda ed altra


serve, e rispettivamente in questo comando ed in que

sta obbedienza si riscontrano i vizi e le virt, cosi ne


segue che le virt possono essere in parte imperanti,
in parte obbedienti, e cosi in parte divengono miste.
La prudenza comanda, e la fortezza e la tempe
ranza obbediscono. Finalmente la giustizia risulta dal
la mistura e dal complesso di queste virt. La ma
teria, ossia il soggetto sul quale agiscono le virt ,
sono le affezioni naturali dell uomo. Di queste effe

zioni o perturbazioni altre sono deliberate ed altre


no ; altre sono abbracciate dalla volont , e con lei

congiunte, ed altre sono respinte ed avverse. ll pia

cere congiunto, ossia abbracciato dalla volont, il


dolore disgiunto e respinto. Su queste leggi gli uo
mini civili adattano le loro regole in modo che venga
esercitata una giusta libert. n
Ma la mente, collocata in cima come in una spe
cula da ogni parte trasparente , va investigando la
scienza delle cose che sono, e ci fa onde potere dopo

l investigazione e l acquisto far uso di sempre mi


gliori e pi eminenti prerogative. Perocch la cogni
zione delle cose divine e delle altre eminentissime ,
forma il principio, la causa e la norma della vita
beata.

DELLA MORALE PITAGORCA

g| g

g V.
Delle virt e dei vizj (da Teage) (t).
Lanimo umano cosi costituito che una parte di
lui sta nella ragione, la seconda nell amore , la terza
nell odio. La ragione presiede alla cognizione, Podio
al vigore , l amore all appetito Quando queste tre
cose vengono fra loro composte e regolate in unistes
sa azione, allora si producono la concordia e la virt

nell'animo: Per lo contrario , quando fra loro si di


sciolgono e si pongono in contrasto, nascono il vizio
e la discordia. i
Alla virt poi sono necessarie tre cose, vale adire

la ragione, la facolt di operare e la deliberazione. La

cognizione quella facolt colla quale contempliamo


le cose e giudichiamo. La forza esecutrice risulta dal
vigore e dalle cagioni per le quali noi ci portiamo ed
operiamo sulle cose ed in quelle dimoriamo. Final
mente la deliberazione sta. a guisa di mani dellanima

per le quali aerriamo le cose.


Allorch lintelletto modera le parti dellanimo pri
ve di ragione si producono la tolleranza e la continenza;
quella regola la fatica, questa raffrena i piaceri. Per
lo contrario quando le parti prive di ragione coman
dano all intelletto, ne nascono la mollezza e Vincenti
nenza: quella fugge le fatiche: questa vinta dai
piaceri. Ma allorch la parte migliore deIlanima pre
siede e comanda , e la deteriore ubbidisce e segue,
e se tra loro sono consentanee , allora tutto il bene
per tutto l animo esiste.
c: Lamor del piacere quando segue la ragione fa
nascere la temperanza, lodio al dolore nellistessa gui
sa fa nascere la fortezza: allorch poi le parti tutte
seguono la ragione, nasce la giustizia. Con questa si
distinguono tutte le virt e tutti ivizi dell animo. La
virt perfetta e suprema risultada un certo ordinato
tessuto di tutte le parti dell animo , e siccome in que-_

sto esistono tutti i beni delfanimo , cosi senza di lai


ti) Detta collezione pag. 68| 684.

1|3

DELLA MORALE PlTAGORICR

esistere non possono. Per la qual cosa la giustizia frali Dei e fra gli uomini ottiene una grande possanza.
Questa virt contiene la comunione del tutto e del

luniverso si fra gli uomini che fra gli Dei.


a Fra i celesti essa la Temide; fra gli inferfessa

la Dice: fra gli uomini poi assume il nome di legge.


Tutte queste cose indicano che la giustizia costitui
sce la suprema virt.
Allorch poi la virt si occupa nel deliberare sa
viamente , assume il nome di prudenza. Allorch poi

impiegata nel sopportare le gravi cose assume il no


me di fortezzmQuando essa modera i piaceri si chia
ma temperanza. Quando si esercita nel non lucrare
indebitamente e nel non recare altrui ingiuria, assu
me il nome di giustizia. n
'
Il conseguire una cosa o secondo la retta ragione
od oltre la retta ragione , forma le azioni decenti o
indecenti, ossia il conveniente o lo sconveniente. Dello
sconveniente esistono due specie, le quali consistono

nel troppo o nel poco; ma la virt porta labitudine


della convenienza, per la qual cosa contiene il sommo
ed il mezzo delle azioni umane.
La virt dei costumi si esercita nelle mozioni del.
lanimo: le supreme vengono ridotte al piacere e al
dolore. La virt non consiste nello spegnere nellani
mo le passioni, ma bensi nell acconciamente ordinarie.
Imperocch la sanit che consiste nel buono contem
peramento delle corporali facolt non esige che il
freddo, il caldo, lumido ed il secco vengano tolti di

mezzo, ma bensi che la loro azione venga mescolata


emoderata. Cosi pure nella musica essa non nasce
se venga tolto il grave e lacuto, ma bensi se ac
conciamente vengano frammisti, perocch si toglie la
discordia delle voci e nasce il concento. Similmente
fiammezzando acconciamente il caldo ed il freddo i,
l umido ed il secco , nasce la sanit ed il morbo pe
riscc. Nella stessa guisa l amore e l odio rettamente
composti tolgono i vizi, e danno Tessere alle virt ed

ai buoni costumi. r

K Egli sommamente proprio dei costumi virtuosi


l ufcio che viene nelle cose oneste prestato dalle

DELLA MORALE PlTAGORlCA

2i3

deliberazioni. Si pu usare della ragione e della forza


senza la virt, ma usare non se ne pu senza del con
siglio, perocch il consiglio indica la dignit dei co
stumi. Colla forza dellanimo si comanda all odio, con
quella della ragione si comanda all amore, con ci

si producono la continenza e la tolleranza. Per lo con


trario in chi manca di ragione lenergia sospinta degli
stimoli produce lincontinenza e la mollezza. Tah af
fezioni dell animo per altro sono imperfette virt ed
imperfetti vizi, e siccome la ragione per se stessa
cosa sana, cosi le parti dellanimo prive di ragione
sono ammalate. 3a

In generale la composizione delle parti dellanimo


non appartenenti alla ragione, colla stessa ragione co
stituisce la virt. Quando poi il piacere ed il dolore
vengono regolati colla norma della convenienza, essa
virt viene posta in opera. Imperocch la vera virt
altronon che l abitudine della convenienza, la quale
posta fra il troppo e il poco. Il decoro e lindecoro,
ossia il conveniente e lo sconveniente stanno f a loro
come l eguale e l ineguale, il regolato ed il confuso.
Leguale ed il regolato sono niti; lincguale ed il con
fuso sono inniti. Le parti delle cose ineguali si riferi
scono al mezzo e non iscambievolmente luna allaltra.

Imperocch ottuso si dice langolo che maggiore del


retto, e acuto si dice quello che ne minore.
Cosi pure maggiore quella linea retta che su
pera l altra che condotta dal centro; parimente pi

lungo il giorno quando supera quello prestato dal


lequinozio.
a Le malattie pure nascono o per eccesso di caldo o
per eccesso di freddo del corpo umano; e perci col

sorpassare il giusto temperamento di mezzo. Ci che


dicesi di tutte queste cose siche si verica anche nel
le cose dell animo e particolarmente nella proporzione
delle sue affezioni.
>

Cosi nel sopportare le cose gravi, siccome Panda


cia va al di l di quel che conviene, cosi pure Vigna
via sta al disotto e pecca nel meno. E siccome la

prodigalit va al di l di quel che conviene nello spen


dere, cosi la non liberalit sta nel meno e nel disotto

m4
DELLA MORLE PlTGORlCA
della giusta misura. E siccome nellimpeto della collera
lira naturale oltrepassa la conveniente misura, cosi

la stupidit sta al disotto. Simile il rapporto di


tutte le altre affezioni fra loro opposte. Parlando della
virt, siccome si detto che essa consiste nellabitu
dine di ci che conviene, ossia nella convenienza e nel

giusto mezzo delle passioni, cosi non deve essere n


stupida n smodatamente appassionata; imperocch
lo stupore, siccome rende lanimo immoto e languido
a ben operare, cosi la smoderata passione lo rende con
fuso ed imperito. Per la qual cosa la passione nella
virt deve transitoriamente trasparire come l ombra
e la linea nella pittura. Dai buoni colori deve risultare
ci che vivo e tenero e che esprime il vero naturale.

Nella stessa guisa le passioni dell animo vengono ani


mate dallimpeto e dallistinto della virt naturale,
imperocch la virt, siccome sorge dal vigore delle
passioni dentro certi limiti, cosi quando nata si con
giunge con esse nella stessa guisa che dal grave e
dall\acuto nasce il concento, dal caldo e dal freddo
la temperatura, e dal grave e dal leggero nasce lequi
librio. Non si debbono dunque torre dall animo le

passioni, perocch ci va contra allo scopo e con


duce all inazione i ma bensi nell uomo dotato di ra
gione conviene acconciamente comporre queste pas

sioni giusta la convenienza e la mediocrit.


S VI.
Della sapienza (da Archita )

a Tanto la sapienza a tutte le umane cose sovrasta,


anto la vista ai sensi corporei, quanto la mente alle
altre facolt dellanima, quanto agli astri il sole. Come

col vedere abbracciare si possono molte e svariate cose


anche poste da lontano, le quali dagli altri sensi non
possono essere raggiunte, cosi la mente collappren
dere e col ragionare giudicando del perch delle cose
viene costituita come veduta epossanza di cose pre
_ (I) _U-.-tia collezione, pag. 732.735 Questo frammento non
Entigite da Stobeo, una da Giamblico e tradotto da Giovanni
ort .

DELLA MORALE PlTAGORCA


2i5
ziosissime. Cosi rassomiglia al sole, che vien appellato

occhio ed anima dei viventi : peroccli per lui tutte


cose si veggono , si generano, si radicano, e dopo
che sono nate , si alimentano , si ingrandiscono e si
iistorano. e

Fra tutti gli animali luomo fu creato sapientis


siino. Imperocch egli contemplar pu le cose esisten
ti , e da tutte ritrarre scienza e ordinamento. Oltrac

ci Dio stamp e infuse in lui tanto il sistema dellor


dinamento, secondo il quale tutte le specie delle esi

stenti cose si diramano, quanto le signicazioni delle


cose e delle parole (i), imperocch fu assegnato un
luogo particolare per formare il suono delle voci, e
questo consiste nella gola, nella bocca e nel naso. E

siccome l uomo formato quale stromento delle voci


per cui i nomi e le cose vengono espresse , cosi egli
pure stromento delle nozioni che si ritraggono dal
le cose esistenti. Quest ultima opera di sapienza
quella a cui parmi che l uomo sia nato e costituito,

e per la quale egli ricevette da Dio le facolt e gli


stromenti, ossia i mezzi onde esercitarle
iinyavoi ti naif Jruyiis siyinws

L uomo nato e costituito in modo che possa nel

l universo contemplare l ordine della natura. Per lo


che se la ragione delluomo contempla nelluniverso la
ragion della natura, e la sapienza delluomo considera e
va squittinando le vie e i mezzi delle cose esistenti,

ne viene per chiara conseguenza essere la ragione


(i) Ecco 1idea delluomo Microcosmo ossia Mondo in pic

colo. sulla quale furono fabbricati tanti sistemi in molte scien


I-G- L unico lo ragionevole sta nel pensare che in cifra idea
le del mondo intanto simboleggia l uomo in quanto essa
investita della personalit di una stessa mente che contempla

in se stessa e per speculum et in enigfmaie i segui reali delle


cose esteriori. Siccome poi quello stesso fiato che soffia en
tro stromenti diversi prende diverse specie di voci in con
seguenza dei rapporti reali che passano fra le qualit dello
stromento e la natura e la forza del1aria, siccome quegli stes
si raggi di luce che cadono su specchi piani, convessi, con

cavi, cilindrici presentano le immagini degli stessi oggitti sot


to cento gnise diverse, cosi si deduce la diversit delle cose
dalla diversit delle

concezioni esterne , scnzach si possa

concludere una reale diversit sostanziale corrispondente alle


pluralit apparenti.

:|6

DELLA MORALE PlTAGORlCA

delluomo parte di quella ragione dotata di mente che


riscontrasi nell universo. n

4 La sapienza non versa solamente su di uno o di


altro particolare delle cose , ma bensi assolutamente
sopra tutte quelle che esistono. Non deve dunque di

ogni cosa speciale indagare dapprima i principi; ma


quelli che sono comuni alle cose tutte. Officio della
sapienza si prendere di mira e contemplare quelle
cose che accadono in generale; e per la sapienza ri
trova i principi delle cose tutte.
Chiunque pertanto pu risolvere tutti igeneri che
vengono formati da uno ed identico principio, e quin
di di nuovo comporre e compaginare col numero,
quello a me pare sapientissimo e sopra modo vera
cissimo. Allora dir si pu aver trovato una bellissima
specula dalla quale pu contemplar Dio e le altre co
se tutte da lui separate nella loro serie e nel loro or
dine. Entrato in questa via larghissima diritto cam
miner coll animo e raggiunger la meta , perocch
chiaramente cogliendo e concatenando i principi coi
loro ni verr in chiaro essere Dio principio, mezzo
e ne delle cose tutte, le quali si effettuano secondo
la giustizia e la retta ragione.

S VII.
Della cultura della mente (dallo stesso Archita) (i).
f Tu devi renderti perito o coll imparare dagli altri
o col ritrovare tu stesso le cose di cui puoi aver co
gnizione. Se tu impari da altri, tu acquisti da altrui

ed aliena la tua cognizione. Se poi ritrovi tu stesso,


la cognizione tutta tua.
Se tu saprai ricercare, facile sar il ritrovare; se
ricercare non sai, difcile sar il ritrovare.
Coll inventare si rintuzzano le dissidenze e si au
menta la concordia, imperocch siccome in questa do
mina leguaglianza, cosi si allontana liniquit, e me

diante di lei si compongono i contratti. Merc di lei


i poveri ricevono dai ricchi, e i ricchi concedono ai
(i) Detta collezione, pag. 702.

DELLA MORALE PITAGORICA

2i7

poveri, dopo che credono gli uni e gli altri di con


seguire equi partiti.
Colla vista della equit si ottiene una norma per
conoscere gli uomini che recano ingiuria ossia danno
ingiusto, e per serve di freno a coloro che sono in
strutti e prima di recar danno, lo previene. Perocch
essi ben sanno di non poter nascondere il danno re
cato allorch si venga all effetto: quanto poi agli
imperiti, dimostrandosi il misfatto nella cosa stessa ,
essi vengono rattenuti dallirigiuriare

g VIII.
Della giustizia ( da Polo pitagorico )
o lo stimo doversi dire la giustizia madre e nutrice
di tutte le altre virt, perocch senza di lei niun uomo
pu essere n temperante, n forte, n prudente. Ci
si vede considerando che la giustizia altro non che
un acconcia pace ed armonia.
t La dignit di lei viene resa vieppi' manifesta se
le altre abitudini umane noi considereremo. Quelle si
riferiscono a particolari; ma questa riguarda si la

moltitudine, che interi consorzi.


Limpero che regge il mondo tutto viene appellato
Provvidenza, e Dice per decreto di certi Dei. Quanto
poi alle citt, essa viene chiamata e posta nella pace
e nel retto ordinamento delle leggi. Nella famiglia
questa giustizia si verica nella concordia del marito
colla moglie, nella benevolenza dei servitori verso i
padroni e nella cura dei padroni verso dei servitori.
Nel corpo la sanit ed il prospero vigore, cose caris
(i) Da questo brano di Are/iita viene stabilita la neces
sit della istruzione morale, e raccomandata specialmente,
in chi pu_ la cura di formare se stessi colla dottrina , trat

tandosi soprattutto di porre a confliito l amor proprio co


gli interessi altrui. Se una coscienza sia male informata per

I mancanza appunto di istruzione, essa facilmente trascorre ad


atti inginsti verso altrui, e nello stesso tempo non poten

dosi dagli ignoranti stabilire un tribunale di opinione me


diante una concorde ed illuminata coscienza, si toglie un
freno a tulti coloro che non temono di essere vituperati pel
loro malatto.
(2) Delta collezione , pag. 70a . 703.
I9

2i8

DELLA MORALE PlTAGORlCA

sme ad ogni animale, risultano dalla stessa giusta ar


monia: nalmente nellanimo la sapienza, la quale fra
gli uomini deriva dalla scienza e dalla giustizia, risulta
da questa stessa armonia.

c Per la qual cosa s essa cosi costruisce e conser


va le parti ed il tutto, ed effettua fra loro la compo
sizione, come mai non si dovr tenere come madre e

nutrice nel giudizio di tutti?


S IX.
Della prudenza (da Arehita)

c: Luomo che brama di divenir prudente deve pra


ticare le seguenti cose, cio: In primo luogo se egli
abbia sortito dalla natura un ingegno ed una memo

ria capaci di cultura e di fatica, egli esercitar si deve


assiduamente n da fanciullo a ragionare, ad un vi
vere corretto per conseguire una retta losoa.
In secondo luogo deve procurarsi l esperienza
delle cose religiose e l esperienza dei vari modi di
vivere degli uomini. Imperocch la prudenza vien col
locata in due cose: la prima che l uomo abbia la

cognizione e labitudine del retto vivere, e la seconda


che molte cose abbia veduto ed in parte trattate egli
stesso, ed in parte ne abbia notizia per esempio altrui.

Non acquister al certo prudenza colui che n da


fanciullo non Si sar esercitato a ben ragionare, al
vivere corretto, ed in accurate contemplazioni, quan.

do anche avesse udito molti esempi e trattato molte


cose. - Lo stesso avviene a colui che si rattiene sol
tanto nella speculazione. Come colla mera pratica dei
particolari si accieca la mente non considerando an
che il tutto, cosi pure col considerare il solo tutto
senza discendere ai particolari dell esperienza non si
acquista il lume necessario. Nella stessa guisa che co
lui che pose insieme le parti di un conteggio pu for
marsi l idea della somma totale, cosi negli affari la
ragione illuminata pu delineare la totalit della cosa,
e l esperienza giudicare delle particolarit.
(i) Detta collezione, pag. joi.

DELLA MORALE PlTAGORlCA

2|9

S X.
Del matrimonio (di Ocello Lucano)
Io credo conveniente, dice il nominato Filosofo (a),
il dire qualche cosa intorno le generazioni degli uo

mini, e di dimostrare come e per quali leggi debbono


essere adempiute.
w Egli duopo a prima giunta di accordare che noi
non dobbiamo avvicinarci alle donne prendendo per

iscopo il piacere: ma bensi la generazion dei gli. Egli


certo che le potenze, gli organi e i desideri che fu
rono dati agli uomini dalla Divinit non furono loro
accordati per il piacere , ma per la durevole conser
vazione della stirpe umana, e per perpetuarla inde
nitamente. Siccome era impossibile che luomo nato
mortale avesse parte ad una vita divina, perch lim

mortalit non poteva essere il retaggio dell umanit;

cosi Dio ha stabilita questa immortalit rendendo con


tinua e perenne la generazione. E dunque d uopo s

sare da principio che la propagazione non stata sta


bilita per il piacere

Oltracci necessario di considerare che luomo


nell ordine delle cose che lo riguardano ha un rap
porto diretto coll ordine dell universo, e per, for

mando parte d una famiglia , d una citt , egli deve


supplire a quello che ivi va mancando s egli non
vuole operare contro la societ , la politica, la divi
nit
La gente dabbene crede esser buona cosa che
non solamente le famiglie, ma eziandio le pi grandi
citt della terra sieno popolate, specialmente di buoni
cittadini, perch l uomo l animale il pi dolcee il
migliore di tutti.
li)
(a)
o sia
(3)

Detta collezione, pag. 645 e seguenti.


OCBLLO LUCANO. nel libro intitolato spiTo avvii,
dell Universo. Cap. iv.
Ma bensl il piacere fu stabilito per la generazione. ll

bisogno dlllil fame ed il piacere del mangiare, del dormire,

cc, il mezzo, col quale la natura spinge la specie umana


alla eonservazion del1individuo. ll bisogno ed il piacer del
1amore il mezzo, col quale la natura spinge il genere umi
no alla cousrrvazioue della specie.

220

DELLA MORALE PITAGRICA

Collosservare la modestia e la piet nella genera


zione , gli uomini abiteranno citt ben regolate: essi
non faranno stolte spese: essi assisteranno i loro con
cittadini e i loro amici nel governo dello Stato, e in
tutti gli affari politici. E non solamente somministre
ranno una gran moltitudine di abitanti, ma contri

buiranno eziandio alla loro perfezione. n


Parecchi fanno matrimoni senza aver riguardo al
la gloria e alla utilit pubblica. Essi non considerano
che le ricchezze e la nobilt della stirpe. In vece di
prendere una giovine e bella moglie, ne prendono
una attempata: o in vece di sposare una persona , il

carattere della quale rassomigli al loro , essi si uni


scono ad una donna illustre per la sua nascita , e
ricca assai; ma indi ben presto disputando su la pre
minenza della loro nobilt, in vece di vivere in con
cordia ed unione, vivono nella discordia e nella di
sunione. La moglie avendo pi ricchezza , nobilt ed
amici pretende di comandare a suo marito contra la
legge della natura; ed il marito giustamente combat

tendo, e volendo essere in casa sua non il secondo,


ma il primo , non pu ottenere il primato. Da tutte
queste dispute ne segue che non solamente le fami
glie particolari, ma le citt sono rese infelici; percioc
che le famiglie formano parte delle citt, e queste
medesime parti entrano nella composizione del tutto,
0 sia del mondo: ora troppo naturale che un tutto
composto di parti riesca tale, quali sono le sue parti.
Nella stessa guisa che la costruzione delle prime
parti contribuisce assaissimo o alla perfezione , o al

diletto di un opera; e cosi, per esempio, la posi


zione del fondamento in un edicio , la chiglia nella
costruzione di un vascello, il rilasciamento della voce

nell armonia e nella melodia: cosi pure la disposi


zione e l ordine delle famiglie contribuiscono assais
simo a rendere un governo ben regolato, o male or
ganizzato. 2;'
Coloro che pensano ad aver gli debbono praticare
questi precetti. E di mestieriinoltre clfessi schivino
accuratamente tutto quello che imperfetto: perch

fra le piante e gli animali le cose imperfetto non sono

DELLA MORALE PITAGORICA

n2i

feconde. Avvi un certo tempo ssato dalla natura alla


produzione dei frutti, afnch questi frutti e i loro
semi sieno prodotti da corpi forticati e perfezionati.
Per questa ragione necessario allevare i fanciulli e
le fanciulle in esercizi adattati e continui, e dar loro
una educazione conveniente ad una vita laboriosa ,
savia e costante nella virt.
Parecchie cose v ha nella vita umana , intorno

le quali una tarda cognizione la migliore. Conviene


allevare la giovent a non ricercar l uso dei piaceri
amorosi prima dell et di ventanni : e fa duopo av
vezzarli , allorch ne fanno uso, a servirsene di rado.
Seglino seguiranno queste massime, ed osserveranno
una lodevole continenza, essi si formeranno un ec.
cellente temperamento.

Mediante i precetti che dannosi alla giovent nella


sua infanzia debb essere proibito nelle citt greche (li
giacere colla propriamadre, colla propria glia e
colla propria sorella. E duopo inoltre che non sia

permesso di usare nelle pubbliche piazze; perch egli


bello ed utile che gli ostacoli a questo piacere sieno
in grandissimo numero. i)

Coloro che vogliono procrear la prole debbono ave


re dellantivedenza su questo punto. La precauzione
pi necessaria a colui che intende dar lessere ad un
glio un regime casto e sano, ed una savia ritenu

> tezza nella quantit degli alimenti, ed un attenzione


intorno al tempo, nel quale questi alimenti debbono
esser presi. E d uopo pur anche di schivare l ubria
chezza e tutti i turbamenti, dai quali le abitudini
del corpo ne riportano detrimento. Ma quello che so

prattutto necessario di ossersiare si di por mente


che nellistante della generazione abbiasi lo spirito
tranquillo; perciocch i principi generanti sono resi
cattivi dalle affezioni sregolate, incostauti e sover
chiamante focose.
u Non saprebbesi pertanto impiegare abbastanza di
diligenza e di applicazione ad oggetto d aver gli ben

nati, e quindi bene allevati. Se quelli che amanoi


cavalli, i cani, gli uccelli , hanno cura della genera
zione di questi animali, ed osservano come, in qual

222

DELLA MORALE PITAGORICA

tempo e per quale animale convenga farli procreare


afnch la razza non venga a deferiorare, non ella
forse cosa vergognosa che gli uomini non facciano al
cun conto de loro gli , che li generino a caso , ed

abbiano pochissima cura del nutrimento loro e della


loro educazione? La negligenza intorno a queste cose
cagione della malizia e della malvagit umana , e
col nire nel far degenerare la specie degli uomini ,
la si rende simile a quella delle bestie. n
SENTENZE MORALI PITAGORICHE
(Da Sesto losofo )
Sentenze risgzmrclanti se stesso.
I. Tu hai in te stesso qualche cosa simile a Dio ;

e per usa di te stesso come di un tempio di Dio.


z. Tempio santo a Dio si la mente dell uomo
pio; ed ottimo altare si un cuor mondo e senza
peccato. Avvezza l anima tua a sentir dopo Dio lec

cellenza di se stessa. La ragione che sta in te luce


della tua vita.

3. Incontaminato custodisci il tuo corpo, come se


avessi ricevuto un vestimento da Dio. Luomo che si

lascia vincere dal ventre assomiglia alla bestia.


4. Coltiva ci che sta dentro di te, n voler recar
gli oltraggio colle libidini corporali. Le ricchezze del

saggio stanno nella continenza. L uomo libidinoso


inutile a tutto.
5. L uomo che conosce Dio non adopera molta
ambizione. Turpe ritieni il lodar te stesso. Il millan
tatore non sapiente.
6. Non prestare orecchio a tutti.
7. Prepara te stesso e rassegnati alle tribolazioni,
e viverai lieto. Se vuoi vivere lietamente non imba

razzarti di molte cose, perocch non potrai bastare


a tutte.

8. Chi desidera di essere instrutto diviene operatore


di verit.
(i) Detta collezione, pag 645 e seguenti.

DELLA MORALE PITAGRICA

2:3

9. Quando il tiranno ti minaccia ricordati chi sei.

Sul corpo solo del sapiente il leone ed il tiranno pos


sono aver dominio.

IO. Non voler provocare l odio della moltitudine.

Sopportare gli sdegni domestici da sapiente.


I I. Il timor della morte contrista luomo a motivo
dell imperizia dell animo. Non voler per altro tu stes
so dar causa alla tua morte.

i2. Ottimo non peccare; ma torna meglio cono


scere chi pecca, che ignorarlo.
i3. Il soverchio riso indica un animo trascurato:
non voler dunque abbandonarti cotantoda stemprar
ti nel riso.

i4. Delle cose che ignori non parlare: di quelle poi


di cui sei certo parla opportunamente. Indizio d im
perizia si una diffusa narrazione. Le parole insulse
sono di obbrobrio.
'

i5. Delle cose mondane fa solamente uso secondo


il bisogno. Si approssima a Dio colui che si sottrae
da bisogni non necessari. L amor del danaro indica
l amore delle cose carnali.
i6. Pernicioso servire ai vizi; perch quanti vizi

ha un anima, essa ha altrettanti padroni. Sia dunque


contento della mediocrit. Studia di essere magnanimo.

i7. Qpera cose grandi senza prometterle prima.


i8. Il sapiente opera in_\modo da non perdere il
tempo.

Sentenze nisguarzlanti altrui.


t. Lostia sola accetta a Dio si il benecare al
trui con ragione. Se sarai benigno verso gl indigenti
sarai grande presso Dio.

a. Se tu vieti l uomo ingiusto dall operare ingiu


stamente , tu lo punisci secondo Dio.
3. Quale vuoi l uomo convivente con te, tale sia
tu verso ognuno di essi. Grande empiet si commette

contro Dio coll aliggere l uomo. Ama qualunque


di natura simile a te. Non fare ci che sotfrir non
vorresti da altri.

4. un
Meglio
esser vinto da 'chi dice il i vero, che vin
cere
bugiardo.

324

DELLA MORALE PITAGORICA

5. Turpissima cosa comandare ad altri ci che


per te sarebbe turpe il fare.
6. Quando presiedi agli uomini pensa che Dio pre
siede a te.
7. Maggiore il pericolo di chi giudica, che di co
lui che giudicato.

8. Venera il sapiente come immagine del Dio vi


vente.

9. Non istimare assai un uomo perch abbonda di


danaro e di ricchezze.

IO. Usa di tutti gli uomini come se dopo Dio fo


sti loro curatore. Chi abusa degli uomini abusa di se

stesso. Onorando il sapiente onorerai te stesso.


i i. Sono empi coloro che avendo lo stesso Dio pa
dre comune non pongono in comune gli aiuti ed i

sussidi. Bello anche il digiunare per soccorrere il


povero.
n. Chi presta un benecio e lo rinfaccia reca pi
un oltraggio che un bene.

DELINEAZIONE
DELLA

FILoSoFIA MORALE
Dl

JACOPO STELLINI (I).


Egli manifesto che l unico ne della morale
non e che lacquisto dellumana felicit naturale.
w Lacquisto di questa felicit dipende dalluso retto
(i) Estratto dalla Galleria dei Letterati ed Artisti delle

province veneziane nel secolo decimoitavo. -- Volumi 2. Ve


nezia Tipograa Alvisopoli i824
Jacopo Stellini -- Friulano - Cividal di
scere da un povero sarto questo sapientissimo
Vesti labito della religione somasca in et
pass poco dopo a Venezia dove fu maestro

Friuli vide na
uomo nel i699.
di i8 anni, e
di rettorica. L0

trasse di buon ora fuori del chiostro la afdatagli educa.


zione di duefratelli patrizi, ultimo rampollo della grandezza
dl nome veneziano Angelo Emo ammiraglio celebratissimo,

Alvise Emo illustre per politica dottrina e per mascbis elo


quenza. Padova vide lo Stellini salire alla cattedra di Etica
Dfb i139, e videlo sostenerla con gloria per oltre trentanni,

eioe sino al compiere desuoi giorni nel i770. Non solo tutto
ci che la losoa ha di pi raro ed estruso gli fu famigliare,
ma spazi ne vasti campi delle umane discipline, riuscendo

sommo in alcune, grande in parecchie, non mezzatw ii! INS


suna. Lev si alto grido il suo libro de ortu et PTOSPGSJIL
Iripriim che si divulg la fama del suo nome presso gli stru
Ufl, e il Beccaria non cessava di leggerlo e di ammirarlo.
Le sue lezioni di Etica pubblicate postume, e poi ridotte in
succo nelle furbile lettere stellininane del cavaliere Luigi
Mflbil: icihtano oggidi ad ognuno la cognizione di quella
Scleja Non era lo Strllini punto vago di pubblicare isuoi

scritti, e ne saremmo molto al digiuno senza la diligenza del


dotto P. Evsngeli . il quale diverse opere diede alle stampe
traendolc da schede molto avviluppate e confuse. Brutto nel

gnere della bruttezza di Socrate, e come Socrate precettore


dl costumi fu di animo pacato. innocente nei piaceri, tenero
nelle amicizie , memore dei beneci, nemico delladulazione,
delralterigia , dellimpostura , quell esemplare in somma che

nelle sue opere morali erasi magistralmente delineato.

226

DELlNEAZlONE

delle facolt dell uomo naturali relativamente agli


oggetti loro.

Luso retto di queste facolt dipende dallo stabi


limento degli ufzi che la natura ha prescritti ad esse,
e delimiti entro i quali ciascuna dee contenersi. Sta

bilire gli uici lo stesso che ssare a quali cose


debba determinarsi luso di ciascheduna, e stabilire
i limiti lo stesso che determinare lino a qual punto

l uso loro possa portarsi.

i: Dallo stabilimento degli tiici e de limiti nasce requi


librio e larmonia che dee mantenersi tra tutte le facolt
umane, perch luso dell una non sia dall uso dellaltra
turbato, n soverchiandosi smoderatamente si rendano
l una l altra inutili ; ma tutte insieme s accordino a

fare un tutto ben ordinato ed unito, e contribuisca

no ognuna quella parte che loro conviene a bisogni


della vita umana: onde l uomo sia capace delle fun
zioni tutte, per le quali stato fatto, e di tutti i be
ni che 1 autore della natura ha ad esso con atta pro
porzione accomodati. D,

Ma come l uomo non solitario, ma congiunto


con altri uomini ad esso simili, e delle stesse facolt
proweduti; cosi l uso delle sue facolt determinar

non si deve relativamente ad esso solo, ma anche ri


ardo agli altri coi quali la natura ba voluto che egli

abbia della congiunzione: e questo pure dee propor


zionarsi in modo, che di molti tutti particolari, ognu
no in se stesso ben ordinato, possa formarsi un tutto

universale perfettamente quanto possibile simmettriz


zato. Per la qual cosa necessario che niuno porti
luso delle sue facolt no al segno che potrebbero
portarsi, se si considerasse chi le possiede riguardo
solo a se stesso; ma dee temperarlo in modo, che

non impedisca luso convenevole anche delle facolt

di coloro che gli sono vicini; e li privi per conse


guenza de beni che loro egualmente appartengono.
Quindi luso delle facolt umane,perch sia retto,
deedeterminarsi, e riguardo all uomo che le possie
de, e riguardo agli altri, sovra le facolt de quali
elle possono avere qualche inuenza reciproca. Da
questo uso cosi ssato dipende la perfezione dell uomo
quanto al ben essere proprio, o relativo alla societ.

DELLA FILOSOFIA MORALE

227

Uesercizio delle facolt nostre convenevole alluso


retto gi stabilito sono gli atti virtuosi; e la costante

determinazione di tenere le facolt medesime dentro


gli ufci e limiti rettamente determinati, la virt

generale che deve chiamarsi la vera forza dello spirito


umano.

Lultima conseguenza di questa perfezione in chi


la possiede una soddisfazione pura, solida e costante,
quanto la natura delle cose umane lo pu permettere,
ed in tutta la societ l acquisto e possedimento dei

massimi beni, di cui la vita umana capace , quali


sono la tranquillit, la sicurezza e l abbondanza di
tutte le cose che possono rendere la vita amabile.
Posto ci, tratteremo prima delle facolt delluo
mo naturali, delle quali sono tutti a partein qualche
grado, degli usi che se ne fanno comunemente, e de
gli effetti che ne risultano. In secondo luogo, delluso

retto di ciascheduna, considerando l uomo in uno


stato assoluto. In terzo luogo, dell uso retto di cia

scheduna, considerando l uomo in uno stato relativo


agli altri uomini. In quarto luogo, si applicheranno i
principi stabiliti alle diverse situazioni, in cui sogliono
trovarsi gli uomini nel corso comune della vita. Fi
nalmente, in ultimo luogo si faranno delle considera
zioni sovra il sistema che ne risulta dalle leggi so
praddette, e sovra la felicit alla quale un uomo pu
aspirare in questa vita, dove si esamineranno i sen

timenti de loso sovra questo punto.


Questo il piano chio mi sono proposto per non
allontanarmi dal sistema di Aristotele , che non ha

preso a considerare altra felicit che la puramente


umana , indipendentemente da qualunque relazio
ne alla vita futura; non avendo egli in mira che di

formare de buoni cittadini, ed atti a costituire una


ottima repubblica. Quindi viene comunemente accu
sato d essere un losofo troppo materiale e pochis
simo religioso. Se questa fosse un accusa legittima ,
essa tanto pi dovrebbe valere in un losofo cristiano,

che dalla fede illuminato dee dirigere tutte le opera


zioni sue all altra vita. Ma credo che per essere in
questo proposito esente da ogni giusta imputazione,

928

DELNEAZIONE

basti che i principi, che si stabiliscono per la felicit


della vita presente, non siano incompatibili con quella
della vita avvenire. Questo l ultimo grado , a cui
possa arrivare la _ragione umana pura, che non voglia
far uso della rivelazione ; essendo ci riservato inte

ramente alla Teologia , colla quale Aristotele , ch io


ho lobbligo di spiegare , non ha relazione alcuna.
Tutto quello che si trova dalla legge divina proi
bito , si trover qui parimente contrario alla rettitu
dine che la ragione prescrive allumana facolt; ben

ch tutto quello che lEvangelio consiglia di fare per


agevolarci la strada alla beatitudine eterna, e levarci
di mezzo gli ostacoli che ci si attraversino , non si
trovi qui proposto; anzi la presente felicit qualche
volta dimandi che si faccia il contrario , e questa

la massima difcolt che si possa opporre al metodo


nostro. i,

Ma se si prende a considerare la cosa pi dappres


so , si vedr prima che le cose dall_Evangelio consi
gliatc di fuggire non lo sono perch sieno in se stesse
cattive , ma perch servono solamente d intoppo ad
un bene maggiore, e per l abuso che l uomo ne suol
fare comunemente. Onde l abbracciarle come parti
della nostra felicit presente non fallo d altra spe-i
zie che d imprudenza e di presunzione. In secondo
luogo, esaminando il nostro sistema si trover che
anche in questa parte ei non molto lontano dai con
sigli evangelici; non potendosi ottenere quell armo
ziia che si prescrive nelle facolt umane e nell uso
degli oggetti loro, senza essere obbligati a fare dei
sacrizii di quelle cose, che prese assolutamente po
trebbero senza colpa godersi. Onde quand anche non
si segui la strada che dalla vita presente , per li me
desimi passi pu tendersi alla futura , quando vi si
aggiungano i lumi e le mozioni necessarie. (i)
(il Taluno essendosi permesso di censurare lo spiriin del
sistema dello Siellin. egli rispose colla seguente lettera:
,, Vi sono tenuto sommamente per molti capi , ma prin
Cipulrnente per la bont che avete avuto di pensare favore
volmente di me, finterpretari: beiiignaniente i miei sentimen
ti, e di procurare che la vostra interpretazione sia ricevuta

da quella persona, che prendendo forse occasione dalla man

DELLA FILOSOFIA MORALE


229
ranza rfespressioni o di metodo ha sostituito nel piccolo saggio
che avete letto, ci che la fecondit della sua fantasia, o la
esuberanza della sua dottrina le ha presentato alla mente. Quel
la parte in cui pi facilmente poteva darsi luogo a qualche
equivoco 1ho letta, prima di darla fuori, ad un uomo dotto,

ed in materia di religione scrupoloso piuttosto che dilicato;


ed avendolo interrogato su questo punto non ho veduto chei vi
facesse alcuna difficolt. Di fatto io la fo alla neutoniana: po.
ste alcune leggi per esperienza note, ne deduco le conseguenze,
senza n indagare n determinare la ragione delle leggi stesso.
La legge nel nostro caso , che la natura umana dotata
di varie facolt per operare-I che queste facolt non sono tut
te egualmente' facili a mettersi in atto, n hanno tutte la stes

sa forza. Altre non han bisogno che del1applicazione del


l oggetto e dell organizzazione e temperatura del corpo, per
essere nella massima disposizione a fare le funzioni loro :
altre non hanno la consistenza ed attivit necessaria che do
po una lunga cultura ed un esercizio lahoriosml sensi e le
passioni varie di vigore secondo la variet delle costituzioni
cor lliaro
oraliforza.
non han
bisogno echela doccasione
esercitare
tutta
la
L intelletto
volont nonperhanno
molto
di
robustezza, se non sono con diligenza coltivate. Questo di
fatto, e gi spiegato a lungo da me nella storia che ho
fatto' delle facolt umane, e della loro forza diversa, per po
ter a ciascuna determinarei limiti convenevoli da quali na
scono le virt. Donde poi sia nata la diversit della forza,

e delragevolczza o diicolt che s incontra nel1esercizio di


queste facolt non tocca a me n cercare, n stabilire. Epi

curo lo attribuiva alla matura delluomo che non pu essere di


versa da quello che . Platone alla malignit della materia ,
che impedisce la mente. Noi cattolici, dalla fede illuminati,
dal peccato originale lo riconosciamo. Quanto alla parola di
Sviluppo lascio la libert di cangiarla a chi vuole, mentre
non mi sono servito di essa che come d un termine metafo
rico , su cui non ho appoggiato altro che delle altre metafore
nate in conseguenza della prima, per trasportare la cosa dalla
mente alla fantasia. Per altro lasciando la metafora non v0
dir altro in sostanza, se non che gli uomini credono bene
quello che si trova per accidente accomodato a ciascuno, e
quello ognuno stima accomodato se, che si riferisce pi alla
facolt che lo domina. Donde poi queste facolt nascano,

come agiscano, tanto difficile da assegnarsi, quanto la


natura del1animo da cui nascono, e dell organizzazione

delle pi minute parti del corpo da cui dipendono in qual


che parte. Ma io considero tutte queste cose come fenomeni,
posti i uali possono spiegarsene molti altri con quella evi
denza, c e pu aversi nelle cose composte di molti elementi

l uno coll altro in innite maniere e proporzioni contempe


rati. Quanto allo Spinosismo, s egli si trova dentro , VI si
trova come lo Stoicismo e lo Epicureismo, e tutte le altre
stravaganze de losofi. Ma dovrebbe chiamarsi piuttosto Par
memdzsmo, per la stessa ragione per cui non si chiama lo

n30 DELINEAZIONE DELLA FlLOSOFlA MORALE


Epicureismo, Lucrezianismo, erch Lucrezio lha professato
dopo. Perch denominare da pinosa sentenze nate tanti se
coli prima di lui? quando non fosse per conciliare del1orrore
alla sentenza del nome di un autore esoso, Sed non erat hic

locus; come neppure lo era perch voi perdeste la vostra dol


cezza naturale su questo punto. A censure di questa sorte si

risponde con un sorriso. Mal amor vostro vi faceva temere


qualche cosa di peggio , sentendo un accusa fatta per da

uno che se ha cervello , o qualche opinione di se, non aveva


letto quello che accusava. ,,

FINE

INDICE

"

DELLE COSE CONTENUTE IN QUESTO TOMO.

Ragione dellopera . . . . . . . . Pag. >m


Prefazione dell autore al sig. marchese Lucre
zio Pepol. . . . . . . . . . . n
Lalosoa morale secondo l opinione dei Pe
ripdtetici ridotta in compendio - Divisione
dellalosofia in cinque parti

i3

PARTE PRIMA
Della Felicit,

CAr.

I. Come dicsi la felicit essere ilne


ultimo.
. .' . . . . . n i5
Cm. II. In che consista la felicit . . . 'i6
Cn. III. La felicit non posta nel solo pia
cere

Cu.

IV. La licit non posta nella sola

Cn.

V. Come dicasi la felicit esser posta

virt .

i7

"i8
i;

i9

CM. VI. Lafelicit posta nella somma di tutti


i beni che convengono alla natura. n
C". VII. La felicit civile posta principal

nella contemplazione di un idea .

22.

24

C41. VIII. Se possa uno essere pi felice di Il!

mente nell esercizio della virt

'

Cu.

altro..........26
IX. Delle varie maniere di beni . . o 28
PARTE SECONDA
Della virl morale in generale.

Cu.
CAI.

I. Dell onest.
II. Delle lfggl

_.

3o

33

a e;

riti'
a"
_ G

INDICE
r.
i Car.

III.
Dell azione
IV.D.ell
azione virtuosa
volontaria.

Pag.
.

Gin.

V. DelPazione liber . .

.,_ .

CM.

VI. Che cosa siala virt .

34"
36

v _38

[lo

Car. "VII. Qual sia il soggetto della virttc

a,

4|

CAr. VIII. Della materia della virt . . .


Cari ;IX. Se le passioni sieno (attive di lor

di alcune propriet di essa.

43

natura.........

46

X. Se la virt sia posta in un certo mcz


zo tra l eccesso e.il difetto. . . n

48

Cu.

. .

Car. ' XI. Di qual maniera sia il mezzo in cui


sta la virt, e come sieno cattivi gli
"estremi......'...

CAr. XII. Se possa essere un azione indiffe


rente.'.........v

PARTETERZA
Delle virt morali in particolare.
Cn. _

Car. _ II. Delle denizioni delle virt .


Cu. III. Della fortezza . . . . .

I. Dellgz divisione delle virt .

.
.

Car. IV. Della temperanza ' . ' . _ .


Car. V. Della liberalit . . . .

.
.

.
.'

Car.

VIvDcllarizagngcenza . ' .

Car.

VII. Della magnanimit .

Ca. VIII. Della modestia '.

Car.
CAr.

IX. Della mansuetitdine


X. Della verit . . .

.
.

.
.

.
.

.
.

C.

XI. Della gentilezza .

Car. XII. Della piacevolezza .

Car. XIII. Della giustizia . . . . . .


CAr. XIV. Se avendosi una virt fabbiano tutte

GAI.

XV. Delle colpe e de vizj .

PARTE QUARTA
Delle virt intellettuali.

Car.

1. Che cosa sia virt intellettuale, c

quale il soggetto di essa, e qual la ma


teria..........

8:

INDICE

CAr.

II. Che la virt intellettuale

necessdria

CAr.

alla felicit . .' . _. . . . Pag.


III. Divisione della virtl intellettuale _ I} 82

(In.
CAr.

IV. Dell intelletto .


V. Della scienza.

.
.

.
.

.'
.

.
.

_.

Csr.
VLDella prudenza .
CAr. VILDelParte . . .
CM. "III. Della sapienza .

.
.
.

.
.
.

.
.

.
.

a
3

PARTE QUINTA
Di alcune qualit delpanimo
che non sono n vizj ,' n virt.
C.

I. Nota delle qualit di cui vuol trat


' tarsi

GAI.
Cu.
C.
(In.
GAY.
CAr.
CAr.
Csr.
CM.
(Dar.

Sentenza prima
Sentenza .seconda .
Sentenza terza . .
Sentenza quarta .

Cn.

ioo

II. Della virt eroica . . . . . io!


III. Della continenza . . ._..._::'
IV. Della tolleranza . . . . . . n 1o6
V. Della verecondia
'. . . . . u io7
' VI. Dello sdegno . . . . . . . u m8
VII. Dell amicizia. . . . . . . n '09
VIII. Delamicizia che nasce dallutilit n n12
IX. Dc/Pamicizizz che nasce dal piacere N H3
X. Delamicizia che nasce dalla virt H5
XI. D alcune sentenze intorno all ami
cizia . . . . . . . . . . x ib
.
.
.

.
.
.

.
.
.

.
.
.

I i7

.
.
.

1
.

I i8
[X9
[20

XII. _D alcune quistioni intorno all ami


czzza . . . . . . . . . - I mi

Quistione prima .

.' .

Quistione seconda .

Quistione terza. . .
Quistione quarta . .
Quistione quinta . .
Czr. XIII. Di alcune qualit

.'

. .
. .
. .
che si

alla natura dell'amicizia

Della benevolenza.
Dell amore. . .

.
.

.
.

.
.

ivi
ma
i23
ivi

. . .
. . .
. . . w
accostano
.

.
.

.
.

ivi'
l 25
u IVI

llc

INDICE

234 V

11 Della concordia .

.' _ . .

Della benecenza .

. .

i27

Della gratitudine .

,, i28

' . Pag. i26

Dell amor di se stesso . ' . . . . ivi


C11. XIV. Del piacere . . .
.
. i32
CIr.' XV. Se il piacere siaperse stesso un. bene i34

C11. XVI. Se il piacere sia' l ultimo ne

1,

C21. XVII. Del desiderio della felicit.


CALXVIII. Della felicit . . . . .

.
.

.
.

s, i3g
,, i46

Manuale di Epitteto ' .

i36

,,

Tavola di Cebete Tebano

,, i8i

i5g

Pensieri di altri pitagorici.

I. Ideafondamentale
dellalosoa
morale,,
pitagorica (da Ipotamo
di Turrio)
20i

II. Schiarimento di Eunfamo. . . . ,, 205


III. Delle aezioni edellepassioni(da Iparco) 207
IV. continuazione ( da Teage) . .
V. Delle virt e dei vizj (da Teage)
VI. Della sapienza ( da Archita
.

.
.
.

,, 209
,, 21 i
n 2i4

VII. Della cultura della mente (dallo stesso


Archita). . . . . . . . . 2i6
VIII. Della gittstiza ( da Polo pitagorco) n 2i7

IX. Della prudenza (da Archita

,, 2i8

X. Del matrimonio (di Ocello Lucano;

y2

2i9

SENTENZE MORALI PITAGORICHE

(Da Sesto iosofo)

Sentenze risguardanti se stesso .


Sentenze risguardanti altrui . .

.
.

.
.

.
.

.
.

222
)3

223
225
23i

Delineazione della losoa morale di Jacopo


Stellini .
Indice .

III!

La presente edizione posta sotto la tutela dei v1

genti regolamenti, aluale effetto si adempiuto


a quanto essi PFCSCTWOIZO.

f
,

4'

...__. _____ _.J

Ostorrolchlscho Natlonalblbliothek

I I I I I I I I I I I I I Il
I

+z1sso31so1

Vous aimerez peut-être aussi