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La vita di coppia

Per impostare un “discorso” sulla coppia e sulla vita di coppia, credo non possa e non
debba essere trascurato quel moto interno, forse anche manifestato tante volte verso
l’esterno, che, in sintesi, chiede: “ancora?”. Siamo ancora qui a parlare di coppia, di
vita di coppia, di convivenza felice e di questioni di matrimonio? Dai manuali per
fanciulle bene educate ai testi con pretese scientifiche (garantite dai disegni
“anatomici”), dal galateo della corretta convivenza coniugale ai dissacranti libri delle
donne rivolti alle donne, alle esperienze di comunità, ad un ampliarsi e diversificarsi
della dimensione gay o più genericamente non eterosessuale, fino ai più recenti testi
che promettono inattinte delizie originate da una nuova cultura ed informazione
sessuale in un clima di progredita libertà, sembra che il campo sia stato ampiamente
dissodato e coltivato: come può esservi ancora posto, che cosa d’altro può
collocarvisi? Ci sono delle novità che ancora non sono state codificate o decodificate?
Forse non è una novità, ma certamente la coppia resta tuttora una realtà pienamente
attuale; una considerazione banale che contiene, mi sembra, almeno un aspetto
interessante: la coppia può essere attaccata o difesa, possono essere versati i classici
fiumi di inchiostro indirizzati ad una pronta demolizione oppure ad una esaltazione
della coppia intesa come un bene prezioso che barbari o lupi possono distruggere ma,
difesa ed attacco, santificazione o disprezzo, risultano, in fondo, condividere la
medesima convinzione che può essere possibile che la coppia venga distrutta. In altri
termini, si difende a spada tratta, investendo intelletto ed emozioni, un bene che
viene percepito importante e, contemporaneamente, in pericolo: si parla di ecologia e
di riconquista del rapporto con la natura quando si avverte la minaccia che un tale
bene possa essere cancellato definitivamente. Certamente, nella dimensione rurale è
assai ridotto lo spazio dedicato alla contemplazione assorta della crescita della
pianticella, sentita l’ultimo simbolo e baluardo prima e contro un mondo futuro fatto di
un intreccio di macchine e di costruzioni, di ferro e di sostanze fredde ed ostili.
Analogamente, mi sembra, non è in città che ci si rallegra della disponibilità offerta
dalla corrente elettrica, entrata oramai a costituire e caratterizzare lo stile stesso di
una convivenza moderna (insieme, ovviamente, a fattori di pari o superiore rilevanza).
Voglio, cioè, dire che, a seconda dell’ambiente in cui si svolge quotidianamente la
nostra vita, alcuni aspetti consueti non hanno più la capacità di stimolare interesse e
sorpresa mentre questo interesse e questa capacità di sorprendersi e coinvolgersi
emotivamente vengono assorbiti dagli aspetti meno abituali e che vengono percepiti,
se non sempre in pericolo, quanto meno in movimento, in trasformazione. Nessuno

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degli aspetti, anche abituali, d’altronde, è costretto all’immobilismo o, sotto un altro
punto di vista, garantito da possibili trasformazioni o stravolgimenti: sembra
piuttosto, che una delle leggi della convivenza, come forse della storia di qualunque
individuo, sia che vengano affrontati, in ogni periodo storico, alcuni problemi e che
questi siano oggetto di discussioni appassionate e di schieramenti di truppe; gli altri
problemi, invece, vengono concordemente disinvestiti di interesse e di passione e
utilizzati come connettivo della vita quotidiana, connettivo stabilizzante che permette,
appunto, di sospendere la stabilità in quegli aspetti che si conviene di considerare e di
trattare come problematici. In un certo senso, è un tipo di procedimento simile a
quello con cui si rimette a nuovo una casa; un pezzo per volta si abbandona al lavoro
di riammordernamento mentre la vita quotidiana si restringe nei locali
temporaneamente esenti dai lavori. Restaurati i primi, saranno questi ad essere
interessati da un’opera di restauro in un andamento circolare che, gradualmente, va a
toccare ogni ambito ma, insieme, in ogni momento, presenta dei locali in cui si vive
così come sono ed altri su cui si investe, si progetta, altri, insomma, che sono
“guardati” e scoperti con interesse. Oppure, ci si può trasferire temporaneamente in
un’altra casa: il discorso non cambia, una casa è luogo ed ambito della vita
quotidiana, l’altra è quella che dovrà accogliere e scandire la futura vita quotidiana.
Progettare, dunque, il restauro comporta necessariamente progettare una nuova vita
quotidiana; più il locale è invecchiato con noi, più ci sembra di conoscerlo in tutte le
sue macchie (testimonianze di eventi trascorsi, da ricordare e da cancellare) più si
avvicina il tempo del restauro, il tempo di stabilire un nuovo rapporto con quel locale,
di entrarvi, quando è tutto pulito, ad avviare un nuovo ciclo di cui, ancora, non
conosciamo le macchie che lo segneranno.
D’altronde, per restaurare un locale e rinnovarlo, va smontato e distrutto almeno il
rivestimento, ma per sostituirlo con un altro che si adatti meglio allo stesso involucro;
riprogettare comporta un distruggere in vista di una ricostruzione ma, certamente, c’è
sempre un momento di panico, quando l’usuale è ormai cancellato ed il nuovo è
ancora così lontano e sembra, d’improvviso, così insensato. Ci si domanda, allora, che
cosa abbiamo fatto, perché spendere dei soldi, in fondo andava ancora bene, ci
eravamo abituati, chissà ora, con questi colori, questa tappezzeria! Poi, la camera, la
casa sono terminate, si entra e si annusa l’odore di nuovo, si sfiora la parete con i
nuovi colori; c’è il primo segno, si è dispiaciuti e insieme assai rassicurati perché
l’incanto è rotto e si può veramente ricominciare ad abitarvi, senza più tensione.
In una sequenza simile, dunque, possono essere tante le definizioni e le descrizioni a
seconda del momento e del punto di vista dal quale ci si colloca. C’è il momento del

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rifiuto del consueto in cui va privilegiato l’esame di ciò che non va e sembra
impossibile che si possa continuare a vivere così; questo momento permette l’esame
di ciò che si vorrebbe, la progettazione del nuovo che risulta svincolato dal presente,
tutto teso a ricominciare e reinventare. Incalza, allora, il momento operativo dello
smantellamento, l’intervallo in cui il vecchio non c’è più ed il nuovo ancora è da
venire, la ricostruzione e l’adattamento del progetto alla vecchia struttura. Poi,
ricomincia a scorrere la vita quotidiana: dapprincipio esitanti e come intimoriti da
questo nuovo così estraneo, ci aggiriamo nel locale e nella casa rinnovati, per
sistemarvi le nostre cose, i nostri mobili ed i nostri oggetti, difendiamo di nuovo le
nostre abitudini e le inseriamo nel nuovo ambiente affinché vi trovino una collocazione
nuova ed insieme consueta. Ma tutta questa sequenza ha avuto uno scopo
complessivo che non si esaurisce nei singoli obiettivi perseguiti nei vari momenti; lo
scopo globale risulta, appunto, permettere di nuovo una convivenza soddisfacente,
sconvolgere tutto perché sia possibile, alla fine, non perdere nulla del nostro
patrimonio più importante. Si potrebbe, dunque, affermare che la casa viene
rinnovata e temporaneamente distrutta affinché risulti ancora possibile viverci dentro,
per non doverla abbandonare. Sarebbe, allora, miope leggere ed interpretare il
momento della critica e della distruzione dell’assetto del locale, della casa o della vita
di coppia come un attacco al locale od alla coppia: l’obiettivo, infatti, appare la
possibilità di mantenere in vita, attraverso la ricostruzione, la coppia, di permetterle di
trasformarsi in modo che possa continuare a sussistere. Ed è, allora, inadeguata la
difesa dell’esistente perché non è messa, in definitiva, in discussione l’esistenza della
coppia ma l’attualità del suo stile di esistenza affinché possa esistere in modo più
adatto e funzionale.
In questo senso, dunque, il tema della vita di coppia è e rimane attuale e le
elaborazioni critiche, come le difese del principio della validità della coppia, mi
appaiano momenti funzionalmente intrecciati cui la realtà ha risposto affermando una
trasformazione della vita della coppia che ha acquisito le notazioni dell’una e dell’altra
posizione integrandole in un superamento che le comprende ambedue; che né dell’una
né dell’altra si è dimostrato un gregario riduttivo. D’altronde, il tema della vita di
coppia risulta una cerniera ed un perno assai rilevanti del vivere quotidiano. Un po’
come dire che per poter discutere di come strutturare un ambito sociale occorre che ci
si possa incontrare per commentare un ambito cui tutti partecipano o almeno sono
interessati a partecipare. La dimensione della coppia, del primo embrione di vita
associata mi sembra un test fondamentale in cui, un po’ in provetta, un po’ nella vita
vissuta, passano e sono esaminati gli aspetti maggiormente significativi della

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socializzazione più globale. Per ritornare alla metafora della casa, è come se nella
designazione degli spazi che la coppia attribuisce ai locali della sua abitazione fossero
riecheggiati e ripresi, in piccolo, tutti i grandi temi dell’intera società. Certamente, non
è indifferente per la vita quotidiana e per il rapporto della coppia con il mondo esterno
il tipo di strutturazione che la coppia opera nella sua casa, se l’unica ad essere
compiutamente arredata è la camera da letto od il soggiorno il centro della casa,
inserendovi in un angolo un letto a scomparsa che ospiti la coppia; sono scelte assai
significative che certamente riflettono le posizioni ideologiche e le scelte sociali dei
partners e che si inseriscono a comporre il grande quadro del rapporto fra il pubblico
ed il privato con una notazione precisa.
Nella coppia, nel suo modo di impostare un bilancio familiare, nella scelta della coppia
aperta piuttosto che della più convinta monogamia, nella scansione dei tempi del
lavoro e dello stare in casa, dei reciproci ambiti di autonomia e della corresponsabilità
della vita in comune, dell’uso del tempo libero come del rapporto con le famiglie
d’origine, viene attuata una serie di scelte che, appunto, nell’ambito sociale,
costituiscono aspetti problematici di relazioni sociali i cui indirizzi andranno ad
interagire con le scelte singole delle coppie e da queste, ancora, trarranno indicazioni.
Viva la coppia, dunque? Più semplicemente, mi sembra si possa trarre da queste
considerazioni su aspetti quotidiani la convinzione che tuttora la dimensione di coppia
è un tassello importante ed insieme uno specchio fedele del nostro assetto sociale,
che della coppia si continua a discutere per trovarci risposte ed orientamenti utili
anche ben al di là del ristretto problema se due persone è bene che convivano o si
separino e su quante volte alla settimana debbano fare l’amore piuttosto che se è
giusto che la donna lavori e che cosa succede ai suoi figli. Di nuovo, sarebbe insensato
affermare l’inconsistenza di questi problemi come fossero trascurabili e, in definitiva,
apparissero irrilevanti di fronte alla fame nel mondo od al pericolo di una nuova guerra
mondiale: mi sembra, invece, che proprio affrontando queste scelte nel microcosmo
della coppia sia possibile investigare il mondo più ampio e più complesso andando a
ricercare attraverso la guida delle esperienze a tutti comuni il filo del ragionamento
che permetta a tutti di comprendere una dimensione cui tutti partecipano ma di cui
nessuno ha il controllo esclusivo. E, certamente, una delle esperienze a tutti comuni è
stato il porsi il problema se vivere da soli o accoppiati, in famiglia o fuori (disponibilità
di case permettendo!), in una comunità di amici, cosa farne del problema della
fedeltà, dei rapporti sessuali, del lavoro e del tempo libero non solo nei propri
confronti ma anche in quelli del proprio compagno. Non perché tutti noi si sia scelta la
vita di coppia ma perché a tutti noi si è posto il problema e l’intersecarsi delle singole

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scelte richiama quelle di ciascuno ed in nessuna si esaurisce: il coniugato e chi si è
votato alla castità, la donna che vive sola, la separata, la divorziata, quella rimasta in
casa con i genitori, le comunità di amici e quelle costituite per raggiungere insieme un
ideale od un obiettivo comune, il genitore che vive con i figli senza il partner e quello
che conduce un nuovo partner a dividere la vita sua e dei figli, questi e molti altri
hanno in comune con chi vive in coppia la problematica del che cosa fare della propria
vita sociale e personale di rapporto, come essere sé stessi, come risolvere
l’impossibilità di una libertà incondizionata con l’esigenza di una libertà cui non si può
rinunciare, come mettere assieme l’importanza di un legame d’amore e l’insofferenza
di sentirsi legati. Ognuno di noi, dunque, ha scelto di privilegiare un ambito in cui
investire: chi mantiene la convivenza sembra aver puntato sulla vita di coppia come
scelta (almeno temporaneamente) non messa in discussione e si trova a dover
sbrogliare ogni giorno il nodo delle sue esigenze personali per comprendere cosa fare
di quelle che la vita di coppia non satura e come integrarle con quelle, invece,
saturate. Chi ha scelto di non formare coppia, ha definito una sua esigenza di libertà e
di autonomia ma quotidianamente valuta la praticabilità di allacciare comunque
rapporti che saturino la sua dimensione relazionale.*** In qualche modo, comunque
avvenga la scelta e qualunque configurazione essa assuma, risulta una scelta che,
personale, si collega a quelle di altri e degli altri, ad esse riferendosi se non altro per
contrapporvisi e per negarle. Oggi, in un certo senso, è permessa e garantita la scelta
di chi vive in coppia proprio ed anche dalla critica che alla coppia è stata fatta,
teoricamente e praticamente, da chi dalla coppia ha preso le distanze: se altri
esplorano le possibilità ancora così sconosciute di un vita che escluda la coppia, è
possibile vivendo la coppia esplorarne i limiti interni ed esterni. Se tutti vivessimo in
coppia, come tutti ci nutriamo, la discussione ed il confronto fra di noi potrebbe
riguardare solo il modo di mangiare ma non l’interrogativo se mangiare o meno;
potremmo confrontare i nostri differenti modi di vivere in coppia ma non discutere
compiutamente come una nostra scelta personale quella che costituirebbe la tappa
obbligata di un’evoluzione. Probabilmente lo è sempre stato, anche se sotto forme
differenti, ma a me sembra che oggi la scelta di vivere in coppia abbia un significato
particolarmente importante per chi ci vive e per chi non ci vive. Oggi, che la coppia è
stata messa in discussione con molta serietà e con molta ampiezza, oggi che ancora
sembra che non si possa fare a meno della coppia, come componente di quella realtà
di tutti che tutti contribuiscono a configurare anche se tutti, poi, scelgono e non tutte
le scelte si sovrappongono o si confermano, oggi mi sembra appunto che la coppia si
proponga di nuovo come un campo da esplorare. Dopo che la si è data per scontata e

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criticata, dopo che si è temuto (o gioito) per la sua esistenza in pericolo, ecco che
ancora ci si affianca nella vita sociale e quotidiana una dimensione di coppia, parallela
od intersecatesi con e nostre scelte, oggi, allora, in modo diverso che in altri tempi,
possiamo riguardare alla vita di coppia come una scelta ineliminabile ed indagare al
suo interno non per difenderla o per attaccarla ma piuttosto, invece, per chiederle
qual è il suo segreto, perché non farne a meno. Forse, accostandoci con simpatia ala
realtà ormai dimostratasi indiscutibile della validità del permanere della coppia oggi
nel nostro mondo, con formulazioni variegate che nulla tolgono a suo imporsi come
realtà, possiamo comprenderne un poco meglio il significato per tutti noi. Per questo,
ancora una volta ci accingiamo a smontare ed osservare il meccanismo della vita di
coppia per come oggi si presenta, per questo torneremo ad entrare in tematiche ed
ambiti già studiati ed esaminati mille volte, a riflettere una volta di più sulle
componenti grandi e piccole, banalmente quotidiane e scontate ma che ancora hanno
il potere e la capacità di farci soffrire e di appagarsi, in un antico gioco di rapporti e di
equilibri con cui torniamo quotidianamente ad impegnarci ed a scommettere la nostra
esistenza. Un po’ insomma ad interrogarci su Adamo ed Eva ma anche su come noi,
gente del ventesimo secolo, in questa epoca di computers rinnoviamo la loro storia e
ce la raccontiamo ancora l’un l’altro come non potessimo dimenticarla. Un antico
racconto, certamente, ma che ancora racchiude ed esprime tanta parte della nostra
esistenza.

Il formarsi della coppia


Proviamo, dunque, a ripercorrere il cammino di questo essere in coppia che ritroviamo
lungo lo svolgersi dei secoli. Una prima notazione che colpisce è che il formarsi di una
coppia ha molto spesso la caratteristica di un viraggio improvviso, di un salto di
qualità che sembra assai poco conseguente con il momento che l’ha preceduto. Voglio,
cioè, dire che il formarsi di una coppia può essere descritto dopo che la coppia si è
formata ma che non appare la logica conseguenza di un processo vitale, prevedibile,
dunque, prima che avvenga. Nel racconto della Bibbia, ad esempio, si dice che” Dio
creò l’uomo a sua immagine, a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò”.
Sembra, insomma, che l’uomo sia stato creato in coppia. Più oltre, viene descritto
meglio come “Jahve Dio disse: ‘Non è bene che l’uomo sia solo: gli voglio fare un
aiuto che sia simile a lui”. E, poiché fra tutto il bestiame, tutti i volatili del cielo e tutte
le bestie selvatiche “per l’uomo non trovò un aiuto che fosse simile a lui. Allora Jahve
Dio fece cadere un sonno profondo sull’uomo che si addormentò, poi gli tolse una
delle costole e richiuse la carne al suo posto. E Jahve Dio costruì la costola che aveva

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tolto all’uomo e ne formò una donna e la condusse all’uomo. Allora l’uomo disse:
‘questa volta è osso delle mie ossa e carne della mia carne! Costei si chiamerà donna,
perché dall’uomo fu tratta costei’. Perciò l’uomo abbandona il padre e la madre e si
unisce alla sua donna e i due diventano una sola carne.”
In qualche modo, insomma, l’uomo si addormenta da solo e si risveglia già
accoppiato. E la coppia umana viene costruita da Jahve Dio con una cura del tutto
sconosciuta ed assente durante la creazione degli altri esseri viventi: ma, appunto,
non viene creato il genere umano e provvisto degli strumenti per riprodursi come ogni
genere vivente, viene creata la coppia umana e i due esseri coinvolti nella coppia vi si
ritrovano immersi e definiti senza possibilità veridica di scelta. Mi interessava, qui,
rilevare non tanto le implicazioni sociali, ideologiche o religiose di questo racconto,
quanto, piuttosto l’ovvietà con cui si afferma contemporaneamente la necessità
dell’uomo di avere un aiuto, che l’aiuto fosse simile a lui e la necessità che l’uomo
dormisse durante il suo diventar doppio. La “conoscenza” biblica, il far l’amore con
Eva da parte di Adamo è tutto un altro discorso, la coppia ormai e già formata e si può
parlare di ciò che avviene nella vita di coppia. Credo che sia superfluo chiarire come
non sia stato ricordato questo racconto allo scopo di ribadire la sottomissione della
donna all’uomo, né per confermare che il racconto è descrizione di eventi reali, né
tanto meno per avviarne una critica minimamente seria e ponderata. Lo scopo era di
riprendere in mano uno dei racconti più noti e più ripetuti della nostra cultura, così
noto da trovarsi frammischiato praticamente ad ogni bagaglio culturale e ad ogni ceto
sociale. Prendere, dunque, in mano questo racconto per riconoscere quanto sarebbe
ancora descrizione attuale di una realtà odierna e, se non lo è più, come mai resta uno
dei punti di riferimento stabili cui ci si raccorda, se non altro per smentirli o per
prenderne le distanze.
D’altronde, analogamente, anche nelle favole, sembra assolutamente sottinteso che ci
debba essere una coppia, da cui si snoda o nella quale si conclude il racconto fiabesco.
E, se risulta apparentemente logico che nella vita di un bambino non rientri la messa
in discussione della coppia dei suoi genitore, né che abbia presenziato al suo formarsi
stesso di coppia, se, quindi, comprensibilmente l’inizio delle fiabe ci riecheggia
“c’erano una volta un re ed una regina…”, un po’ meno ovvio appare il finale. Perché i
protagonisti, anzi il protagonista ed il suo sposo, destinati a vivere insieme felici e
contenti, percorrono lunghi ed avventurosi cammini, passano attraverso prove terribili
ed inusitate, tutto verso l’incontro e la confluenza delle loro strade. Ma, anche qui,
assai spesso l’incontro vero e proprio, la scelta l’uno dell’altro, l’accoppiamento
insomma, accade in condizioni tali che almeno uno dei due non sia presente,

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cosciente, consenziente; oppure, in altra forma, che non appaia nella sua realtà
quotidiana. Biancaneve, ad esempio, dopo che la regina matrigna le ebbe fatto
mangiare la mela avvelenata, “rimase molto, molto tempo nella bara, ma non
imputridì: sembrava che dormisse, perché era bianca come la neve, rossa come il
sangue e nera come l’ebano. Ma un bel giorno capitò nel bosco un principe e andò a
pernottare nella casa dei nani. Vide la bara sul monte e la bella Biancaneve e lesse
quel che era scritto a lettere d’oro. Allora disse ai nani: -Lasciatemi la bara; in
compenso vi darò quel che volete-. Ma i nani risposero: -Non la cediamo per tutto
l’oro del mondo. –Regalatemela, allora, -egli disse, -non posso vivere senza
Biancaneve: voglio onorarla ed esaltarla come la cosa che mi è più cara al mondo-.
A sentirlo i buoni nani s’impietosirono e gli donarono la bara. Il principe ordinò ai suoi
servi di portarla sulle spalle. Ora avvenne che essi inciamparono in uno sterpo e per l
scossa quel pezzo di mela avvelenata, che Biancaneve aveva trangugiato, le uscì dalla
gola. E poco dopo, ella aprì gli occhi, sollevò il coperchio e si rizzò nella bara: era
tornata in vita. – Ah Dio, dove sono? – gridò. Il principe disse, pieno di gioia: - Sei con
me, - e le raccontò quel che era avvenuto, aggiungendo: - Ti amo sopra ogni cosa al
mondo; vieni con me nel castello di mio padre, sarai la mia sposa -. Biancaneve
acconsentì e andò con lui, e furono ordinate le nozze con gran pompa e splendore.”
Anche per Cenerentola, andò a nozze. Ma le sorelle e la matrigna non la riconobbero e
credevano che fosse una principessa sconosciuta, tant’era bella nell’abito d’oro. A
Cenerentola non pensarono affatto e credevano se ne stesse a casa nel sudiciume a
raccoglier lenticchie dalla cenere. Il principe le venne incontro, la prese per mano e
ballò con lei. E non volle ballare con nessun’altra; non le lasciò mai la mano, e se un
altro la invitava, diceva:- E’ la mia ballerina. “Sembrerebbe che, stavolta, tutto sia in
regola: Cenerentola è andata la ballo con la veste d’oro regalatale dalla madre morta,
il principe è alla festa per scegliersi una sposa, l’incontro avviene con le volontà
congiunte di ambedue. Ma, con l’episodio della triplice fuga (“il principe era ricorso a
un’astuzia e aveva fatto spalmare tutta la scala di pece: quando la fanciulla corse via,
la sua scarpetta sinistra vi rimase appiccicata”) deve rimanere al principe una
scarpetta perché lui possa riconoscere la sua sposa.
Infatti, “il principe la raccolse: era piccola, elegante e tutta d’oro. La mattina dopo
andò dal padre di Cenerentola “( precedentemente il principe insegue Cenerentola fino
alla colombaia ed al pero della casa di suo padre dove Cenerentola, nascondendosi, gli
sfugge le prime due volte)” e disse: -Sarà mia sposa soltanto colei che potrà calzare
questa scarpa d’oro-. Allora le due sorelle si rallegrarono, perché avevano un bel
piedino”. E fanno bene a rallegrarsi perché prima l’una e poi l’altra, tagliandosi il dito

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grosso ed il calcagno, riescono a infilare la scarpetta, tornano dal principe che ognuna
“mette sul cavallo come sua sposa per partire con lei” verso il castello. Saranno le
colombelle sul cespuglio di nocciolo piantato sulla tomba della madre di Cenerentola
che grideranno: “Volgiti, volgiti, guarda:
c’è sangue nella scarpa.
Strettina è la scarpetta.
La vera sposa è ancora nella casetta” .
Allora il principe le guardò il piede e ne vide sgorgare il sangue. Voltò il cavallo, riportò
a casa la falsa fidanzata, e disse che non era quella vera e che l’altra sorella provasse
ad infilare la scarpa.” Provato anche l’altra sorella, finalmente ottiene dal padre di
Cenerentola di provare anche con la sua ultima figlia; quando la scarpetta le va “a
pennello” e Cenerentola si alza, il re la “guardò in viso, egli riconobbe la bella fanciulla
con cui aveva danzato e gridò: Questa è la vera sposa!”. Ma, ancora una volta,
saranno le due colombelle e dare l’ultima conferma:
“Volgiti, volgiti, guarda:
non c’è sangue nella scarpa,
che non è troppo piccina.
Porti a casa la vera sposina.”

Così anche per Rosaspina, la bella addormentata, il principe la raggiunse “ si chinò e


le diede un bacio. E a quel bacio, Rosaspina aprì gli occhi, si svegliò e lo guardò tutta
ridente. Allora scesero insieme …e furono celebrate con gran pompa le nozze del
principe e di Rosaspina, che vissero felici fino alla morte”.
E, in “Fratellino e sorellina” è possibile, alla strega, “ prendere sua figlia, ficcarle in
testa una cuffia e metterla a letto, al posto della regina”. Quando la vera regina torna
di notte dal figlioletto appena nato ed il re veglia per vederla, il re sembra
riconoscerla: “corse a lei e disse: - Tu non puoi essere che la mia cara sposa -. “La
sposa confermerà di essere la vera regina e denuncerà l’imbroglio operato ai danni del
re che non si era accorto di nulla. E così in un’infinità di situazioni analoghe, in cui le
spose vengono sottratte e scambiate con altre senza che i principi sposi se ne
accorgano oppure in cui gli sposi vengono rifiutati per come sono e costringono le
principesse ad amarli in condizioni assai più misere delle reali per poi manifestarsi nel
loro fulgore, come ad esempio in “Bazza di tordo” o ne “Il principe ranocchio”.

Ora, sono stati impostati studi ed analisi imponenti sulla simbologia delle fiabe, sul
loro significato manifesto e nascosto, sull’universalità di alcuni temi e motivi ricorrenti.

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Qui, i brevi brani riportati da fiabe notissime volevano solo sottolineare come spesso
venga evocata la situazione di non riconoscimento della propria sposa, pur amata e
prescelta oppure di un accoppiamento in cui la sposa non è compiutamente in sé; non
per questo, d’altronde, l’accoppiamento non le risulta gradito, andando, invece, a
collocarsi, il principe, nel ruolo per lui predisposto e da lungo tempo di essere da lui
ricoperto. Lasciamo, dunque, ad altri ambiti la discussione di simboli e contenuti
fiabeschi, del come ne esca l’immagine di una donna poco femminista, piuttosto che
del come venga ribadito l’odio mortale della madre-matrigna nei confronti della figlia
nel fiore della bellezza della gioventù. Tentiamo, invece, di ritrovare quali aspetti ci
accompagnano ancora nel formarsi delle coppie nel nostro mondo quotidiano.
A me sembra, appunto, che un aspetto realmente presente nel formarsi di una coppia
sia questo elemento improvviso e sorprendente, in alcun modo collegato con la
situazione precedente sul piano logico pur se nella situazione precedente trova innesto
e collocazione.
Voglio, cioè, dire che mi sembra che l’inserimento dell’elemento magico o divino,
soprannaturale comunque, richiami assai da vicino quell’esperienza di stupore che
trasforma il compagno di giochi, consueto e noiosamente conosciuto nel principe
azzurro da tanto atteso, che fa identificare in una sola occhiata, nella sala piena di
gente, l’unica persona interessante, che fa si che negli incontri in paese ci si riconosca
al volo, a chiunque poi sia affidata l’iniziativa come le convenienze impongono.
Il “colpo di fulmine”, insomma, mi sembra che in qualche forma segni sempre di sé e
caratterizzi il formarsi di una coppia, talvolta più in modo evidente e manifesto, altre
volte in modo più sommesso. Certo, si è detto per secoli che l’innamoramento è un
fatto misterioso, che la freccia di Cupido colpisce all’improvviso le persone
inconsapevoli o che i filtri d’amore agiscono di nascosto ma mi domando quale sia la
funzione, nella vita di una coppia, che il suo inizio sia così consuetamente,
abitualmente segreto e perché debba sfuggire alla comprensione dei suoi stessi
protagonisti. Non si tratta, infatti, di una comprensione che sfugge agli altri, estranei
alla coppia: ai nani di Biancaneve che hanno cercato anche loro, prima del principe, di
ridare vita alla loro principessa (“la sollevarono, cercarono se mai ci fosse qualcosa di
velenoso, le slacciarono le vesti, le pettinarono i capelli, la lavarono con acqua e vino”)
fa da contrappunto il sorriso di tanti, amici e compagni di scuola che sanno già che la
coppia si è formata, che ‘la scintilla è scoccata’, ben prima che i diretti interessati lo
sappiano, quando, anzi, magari negano convinti. Quante cotte, nostre e non nostre,
negli anni di scuola, nelle compagnie di adolescenti hanno seguito questo cammino,

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quante volte c’è capitato di stupirci e di lasciarci sfuggire un “ma davvero? Si sono
sposati sul serio?” oppure un saputo “Te l’avevo detto!”.

Sembra, dunque, che si possa affermare che, affinché la coppia possa formarsi, è
necessario che l’evento accada coinvolgendo i protagonisti addormentati. Gli altri,
possono dormire anch’essi come il re, la regina ed i castellani di Rosaspina e
risvegliarsi per partecipare alla festa di nozze, possono contrastare o favorire ma
palesemente non è il loro l’intervento decisivo.
Ma perché questo incontro deve permanere avvolto nel mistero? Un incontro così
rilevante da segnare di sé tanti anni e tanta parte della vita, come mai deve
mantenersi inconoscibile? Perché, poi, subito dopo o nel tempo successivo possiamo
riconoscerlo e valutarlo, possiamo “risvegliarci” e leggerne i collegamenti con la nostra
storia precedente. Un po’ come il principe di Cenerentola che l’ha conosciuta al ballo
nella sua vera identità, non sepolta e nascosta dal sudiciume, che l’ha seguita ed ha
visto dove abitava, che ne ha identificato il padre e che, una volta giunto alla meta, ha
bisogno di un segno esterno che gli restituisca la sua donna, quella scarpetta traditrice
che per ben due volte consente a che il principe porti via sul suo cavallo come sposa
un’altra fanciulla. Avvenuto l’incanto, egli può riconoscere Cenerentola ed esclamare
“questa è la vera sposa”, ritrovando in lei la sposa amata che cercava a tastoni fino a
che i suoi occhi si aprono. Come Adamo che può riconoscere che Eva è carne della sua
carne ma solo dopo aver mangiato il frutto proibito può “conoscerla” cosicché Eva,
partorendo, conquisti pienamente il suo nome di “madre dei viventi”.
In qualche modo, stupisce di meno che siano i famigliari a non poter riconoscere: è
consueto che, vestiti in altro modo, muovendoci in un contesto nuovo, ci
“rinnoviamo”, distaccandoci dalla nostra immagine quotidiana. Ma il principe, come
può confondere la sua sposa credendo di averla trovata in un’altra?
Come si collegano, in altri termini, i nostri sogni ed i nostri progetti sul futuro con
l’incontro? Dopo che è avvenuto, che la coppia si è formata, possiamo (e,
normalmente lo facciamo tutti) rileggerlo e spiegarlo, un po’ come il senno del poi.
Possiamo certamente identificare alcune componenti presenti, alcuni obiettivi che con
il formarsi della coppia hanno trovato una conclusione: ci si è messi in coppia per
poter uscire dalla famiglia, per avere un rapporto esclusivo d’amore, per poter
riversare in un contenitore nuovo ma stabile affetti, speranze ed emozioni perché vi
trovino espressione migliore, perché eravamo soli ed è meglio stare in due, perché dà
sicurezza, perché aspettavamo un bambino (questa spiegazione, piuttosto frequente,
sa molto di costruito a posteriori: come mai è avvenuto quel concepimento e proprio

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fra quelle due persone? Perché in effetti, non tutte le coppie che fanno l’amore
aspettano un figlio e non tutte le gravidanze comportano un legame di coppia. Ma
torneremo in un secondo momento a toccare l’argomento figli, sessualità e
procreazione). Dicevamo, dunque, che molte sono le spiegazioni possibili del formarsi
di questo legame, spiegazioni tutte sensate e credibili, spiegazioni che, vere,
sembrano capaci di sottrarre quell’elemento di magia e di improvviso incantamento.
Resta, quanto meno, l’esigenza di ricondurre nei binari della norma quotidiana un
evento che sembrava esserle sfuggito e non trova ugualmente risposta la domanda
del perché sia necessario che questi obiettivi vangano raggiunti da “addormentati”,
senza poter essere pienamente presenti e partecipanti. D’altronde anche alcune
spiegazione di carattere psicanalitico, sociologico piuttosto che antropologico,
appaiono assai più farraginose, più complesse ma anche più discutibili, inscritte come
sono in un sistema logico scientifico con regole ed ipotesi precise, dell’abbagliante e
disarmante fatto fiabesco, che si impone con forza di convinzione anche per l’ovvia
semplicità del racconto che non chiede né dà giustificazioni.
Si può, forse, affermare che uno dei motivi per cui ci presentiamo addormentati ad
una tappa importante della nostra vita risiede proprio nella grande rilevanza di questa
tappa che si stacca con autorità dal tessuto quotidiano e che si permette di
riassumerlo, sia pure per un breve periodo, in sé. In altri termini, se la dimensione di
coppia è quella dimensione in cui si riflettono e si riferiscono tanti fili dell’esistenza, se
quell’ambito in cui si impostano logiche ed esigenze diverse, se è lì che mettiamo alla
prova e sperimentiamo la possibilità di essere insieme senza che nessuno venga
cancellato nella sua individualità, l’impossibile attuazione di essere due e poi uno e poi
ancora due in un circolo incalzante di vita immersa in una realtà di tanti, forse, allora,
quando ci arriviamo la nostra storia precedente non può farci da guida perché si è
esaurita nel raggiungimento dell’altro da sé. Mi sembra, cioè, che l’accoppiamento si
collochi come la meta finale di quella parte di storia che, fino ad allora
sostanzialmente individuale, lì si conclude. Conosciamo, dunque, il nostro passato e le
sue regole ma ci avventuriamo in un altro terreno dove il nostro viaggio ci ha portato
e questo ci appare radicalmente diverso, il nostro bagaglio di esperienza lì non sembra
avere più valore. Lo poggiamo, allora, in terra e prevale, sul ricordo che fa da guida,
la novità delle prime impressioni che quel mondo nuovo ci rimanda, lo stupore di una
contemplazione incantata in cui tutto il resto sembra perdere di consistenza e di
importanza. Il tempo, si arresta, sembra riassorbire in sé la nostra e la sua storia e,
solo dopo esserne impregnato ricomincia a scorrere, a dipanarsi.

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Si comprende, allora, che non era poi così vero che il nostro cammino non
racchiudesse già in sé tante indicazioni che portavano a quella meta, tanti progetti
abbozzati che questo nuovo ambito contiene, non è che fossimo poi così
assolutamente soli da identificare solo in quell’altro un possibile compagno, come
Adamo nell’Eden.
Ma, appunto, emergono e si svolgono considerazioni in un tempo di natura diversa, in
un tempo di coppia quando l’accoppiamento è già avvenuto. Si può anche dire che
certamente i nostri rapporti familiari di amicizia, di scuola avevano già garantito una
forte dimensione sociale nella nostra vita ma a me il formarsi di una coppia appare
connotato e segnato da caratteristiche di assoluta gratuità che sfuggono, senza
necessariamente contraddirle, alle regole logiche consuete e che in alcun modo
sembra prevedibile, prima che avvenga.
Si potrebbe, anche, commentare con un po’ di malignità e di cinismo che, se l’evento
permettesse degli occhi bene aperti, beh non accadrebbe. Il vecchio adagio del
matrimonio come tomba dell’amore, sembra affermare qualcosa di molto simile e
spiegare il continuo formarsi di nuove coppie come una sfida giovanile che crede e
pretende di uscire da una sorte in gran parte già segnata in modo irrevocabile.
Chissà che anche per questo le matrigne delle fiabe non intralcino la sorte nuziale
delle belle, buone e dolci protagoniste, dimostrandosi, in questo atteggiamento, assai
più materne che matrigne! Perché centinaia di madri hanno predetto alla figlia un
destino matrimoniale squallidamente scontato ma non per questo le figlie non si sono
sposate né le madri si sono trattenute dal piangere commosse dalla felicità della loro
bambina!
Sembra, così, che il progetto dell’accoppiamento non possa risultare concluso
nell’accoppiamento stesso, lasciando il passo alla progettualità di una coppia che
stabilisce le regole della sua convivenza.

Il contratto di coppia
E questa convivenza, questa vita in due, rispetta un contratto fra i due partners che
assai poco può fondersi sul contratto precedente. Fino a questo punto, infatti,
l’accordo fra i due era orientato a che la coppia si formasse ed ognuno aveva guadato
i suoi fiumi, lottato con i suoi orchi e con i suoi draghi, superato le sue prove ed i suoi
boschi impenetrabili per giungere puntuale all’appuntamento. Non è un caso, infatti,
che nelle fiabe venga narrato il percorso di un solo protagonista, maschio o femmina
che sia, per raggiungere il compagno che sta lì ad aspettarlo o che arriva
miracolosamente a congiungere la sua storia. Eva, non ha storia prima

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dell’accoppiamento ma Adamo sì, Cenerentola ha la sua storia ma del principe e della
sua infanzia non è dato sapere nulla.
E’ credibile che anche lui abbia avuto una sua esistenza precedente ma è importante
questa solo perché gli permette di esistere al momento giusto. Analogamente, nulla
più segue che vada o passa essere narrato, dopo il congiungimento ma le fiabe si
chiudono su di un orizzonte di felicità (tranne alcune aggiunge sostanzialmente
relative all’eliminazione di personaggi negativi in occasione della nascita dei figli della
coppia).
Sembra, in qualche modo, che le fiabe ci raccontino quello che necessariamente
accade a chiunque, l’evoluzione di un mondo bambino verso l’identità e l’autonomia,
conducano questa evoluzione fino al suo culmine, l’accoppiamento, in cui mondi
coetanei vengono intrecciati e lì cessino di narrare diventando, il seguito, storia
particolare di quei due e non più partecipabile agli altri attraverso degli schemi e dei
momenti noti che inevitabilmente si proliferanno all’orizzonte dell’esistenza. Ma,
anche, sembra che venga affermata l’insensatezza del pensare che la vita della coppia
dipenderà da come la coppia si è formata. Come se dicessimo che la storia della
formazione di un governo fornisce il canovaccio su cui verrà tessuto l’operato del
governo: gli intrighi di palazzo o gli accordi fra i partiti si muovono verso la
costituzione di un governo che non c’è, quando il governo inizia ad esistere le
manovre precedenti vengono tutt’al più ricordate come quelle che il presente hanno
reso possibile. Il contratto di una coppia, dunque, non appartiene più ai due
protagonisti che se lo spartiscono ma appartiene alla coppia ed i due componenti la
coppia lo attuano; non c’è più la possibilità, mi sembra, che il comportamento o il
gesto dell’uno trovi riferimento e spiegazione solo nella persona che quel
comportamento ha tenuto o quel gesto compiuto. Comunque, il movimento dell’uno e
dell’altro si troveranno inserite in un legame di coppia e come attacchi o difese dello
stesso legame andranno valutati. Non c’è più spazio, allora, per la persona singola?
Dove va finire la propria individualità? Un senso di claustrofobia, di soffocamento
sembra stringerci tutto a un tratto, insorge un desiderio fortissimo di evasione da ogni
legame, il sogno dell’isola deserta e della felice solitudine riappare seducente, senza
casa, moglie o figli, senza lavoro né denaro.
Io credo che il contratto della vita di coppia sia sostanzialmente un forte patto di
alleanza fra due persone per attuare insieme l’impossibile conciliazione fra il sogno e
la realtà quotidiana, fra le pantofole ed il principe azzurro, fra la propria crescita
personale e la partecipazione al mondo dell’altro, verso un orientamento non solitario
nella dimensione sociale. Ognuno dei due protagonisti, cioè, giunge a far parte di una

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coppia dopo un lungo cammino in cui il sogno della propria realizzazione, della felicità,
insomma, era un compagno costante del suo andare avanti ma non appariva mai
fondersi con lo scorrere della vita quotidiana. Gli auguri di ogni felicità che si
formulano in occasione di matrimoni sono una riedizione più significativa degli auguri
ai compleanni, stando, appunto, a simboleggiare la nascita avvenuta di un rapporto
assolutamente nuovo e, come tale, anche assolutamente sconosciuto. Ma si augura
che sia felice, che ambedue vi trovino felicità. Non credo che sia solamente una
convenzione sociale, anche se può risultarne oggi assai superata la forma, è l’augurio
che si verifichi un rapporto felice che, quindi, non ha più le caratteristiche di un sogno,
può accadere realmente. E, spesso, questo non accade; l’esperienza dei presenti ad
un matrimonio certamente è variegata ma probabilmente risulterebbe
percentualmente basso il numero di persone “felici” o che si definirebbero tali. Ma
anche da parte dei più cinici o disillusi c’è questo moto affettivo verso gli sposi, magari
immediatamente corretto da considerazioni critiche o da previsioni deprimenti di
drammi, difficoltà o noia. Credo che questo movimento si possa verificare abbastanza
in ogni tipo di matrimonio, qualunque ne sia la forma, sia la sposa illibata o incinta,
sia rosea o terrificante la situazione economica, sia il matrimonio la conclusione di un
“fidanzamento” brevissimo o segua una convivenza già di molti anni. Credo, cioè, che
se il matrimonio in quanto tale si è assai trasformato come cerimonia sociale e come
significatività, andando a perdere delle valenze romantiche che oggi ci fanno
sorridere, non per questo sia caduta la capacità di sperare che, almeno ai quei due,
sia reso possibile accedere alla felicità. In questo senso, mi sembra che il continuo
formarsi di coppie sia un’esigenza sociale, non solamente un fatto privato, proprio
mentre stiamo verificando che della coppia ancora non si può fare a meno. Come se il
continuo nascere della coppia andasse a garantire un continuo rinascere della
speranza di un mondo felice. Si potrebbe obiettare che per questo tanti matrimoni
vanno a picco, perché si è voluto illudere gli sposi che nel matrimonio avrebbero
trovato la felicità, quando sappiamo bene che il matrimonio è una sola fila di roba da
lavare e da stirare, di conti da far quadrare, di esigenze sempre insoddisfatte, di litigi
e di musi reciproci, di rivendicazioni e di rancore. Ma, se è così, perché tante migliaia
di persone convivono e continuamente si formano nuove convivenze? Se l’unico
messaggio da dare agli sposi giovani ed ignari è un minaccioso “vedrai!”, perché
manteniamo ancora questo modo di vivere e questa forma menzognera?

Io penso che non si debba attribuire valore di verità solo al momento della speranza o
a quello della disillusione, ritengo che siano egualmente veri ma anche che si

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completino a vicenda, non che si escludano. Mi sembra, cioè, che non vada negata la
sincerità dell’augurio né quella dei piatti sporchi ma che vadano lette insieme in
relazione alla dimensione di coppia. Certamente, in ogni coppia che si forma, per
quanto esitante, è presente la sfida al mondo intero che la felicità c’è e può essere
raggiunta: è su questa sfida che si innesta l’augurio e la commozione, che si
dimenticano sia pure solo per un attimo le tristi strettoie della vita quotidiana. Il
sorriso degli sposi cui si risponde non è solo romanticismo da letteratura rosa o da
fotoromanzo ma un’esigenza che qualcuno trovi finalmente questa introvabile felicità,
che anche noi abbiamo cercato e cerchiamo ma di cui ci sembra di aver perduto le
tracce. La coppia si presenta ancora come l’ambito migliore in cui si può decidere della
propria vita e contare, avere un peso rilevante, quando molte speranze della
costituzione di un mondo migliore sono state incanalate in vincoli che si sono rilevati
ciechi o hanno sperimentato strade nuove in fondo alle quali troppo spesso abbiamo
dovuto incontrare un’importanza paralizzante. La coppia, di nuovo, viene investita
della speranza di un rinnovamento perché nel suo ambito è ancora possibile decidere
senza negare i limiti di un legame o la fatica del non essere soli, è ancora possibile
una prima socializzazione che segnerà di sé il rapporto con il mondo più ampio. Il
contratto della vita di coppia non potrà, dunque, essere che un progetto impreciso che
troverà identificazione e definizione solo man mano che viene costruito ed attuato. Ed
è ben presente a tutti che i legami antichi o precedenti non saranno necessariamente
recisi né necessariamente mantenuti in vita ma che necessariamente, invece, saranno
modificati nel loro essere riassunti in una dimensione di coppia. Tutti i legami,
nessuno escluso, comprendendovi, dunque, anche il legame fra i due partners di cui,
nel momento del matrimonio, viene celebrata la dissoluzione e lo scioglimento per dar
vita ad un nuovo progetto di legame, in cui il sogno possa confrontarsi con il
quotidiano e questo con il sogno affinché possano trovare un’integrazione e non un
cammino parallelo come finora. In questo senso, l’incontrare il principe azzurro è un
immettere il sogno nella realtà ed il legame d’amore confonde i lineamenti consueti
della nostra giornata; ma mi sembra che non vada assimilato, questo fenomeno, ad
un’ubriacatura quanto, piuttosto, valutato come una capacità di non seguire in modo
uniforme ed acritico quella descrizione che della realtà siamo abituati a dare. Il sogno
che avvera i nostri desideri può costituirsi come un’evasione dalla realtà cui sottrae
interesse e capacità di attrazione oppure come l’obiettivo verso cui condurre la realtà.
E’ diverso, in altri termini, sognare una situazione di benessere qualsivoglia e poi
riscuotersi ripiombando dolorosamente nella realtà impietosa oppure immergersi in un
sogno, identificarlo come una nostra esigenza importante ad organizzare l’andamento

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quotidiano verso la soddisfazione di questa esigenza. Certo, è pur vero che volere
non sempre è potere ma a me sembra il sogno di una felicità sia troppo importante
per essere confinato nei territori impalpabili dell’irreale. E’, forse, troppo rapidamente
analizziamo le nostre possibilità per decidere sconfortati che è solo un sogno che non
può essere raggiunto.
La nuova coppia, dunque, si forma mescolando assieme in una miscela magica la
realtà di due persone e il progetto di un sogno. Certamente, è facile che al ritorno del
quotidiano, sia pur in una casa nuova o nell’inaugurazione di una nuova convivenza
faccia apparire improvvisamente folle quel progetto, irrealizzabile e lontanissimo.
Forse, insorge il timore di una delusione troppo forte, di essersi persi in un terreno
troppo lontano dalle proprie possibilità, le prime difficoltà sembrano confermare
questo timore. Si può, allora, rinunciare al progetto, riprendersi la propria parte di
sogni impoverendone la vita quotidiana e riservandola ad altri momenti, fuori dalla
coppia.
Si può, invece, continuare a pretendere, l’uno dall’altro, e ambedue dall’essere in
coppia, la fedeltà alla sfida iniziale e costringere testardamente la realtà a modificarsi
secondo i nostri desideri. Quello, però, che mi sembra chiaro, è che non si può
rinunciare né a sognare né a vivere, pur se si può rinunciare a costringere il sogno
nella realtà e la vita quotidiana ad accogliere il sogno. Proviamo a scorrere
rapidamente alcuni dei temi di una vita di coppia, identificando volta volta quali
conseguenze comporta una scelta o l’altra e come il sogno della felicità debba
modificarsi proprio per trovare attuazione nella realtà ed essa accoglierlo.

La famiglia d’origine
Un primo campo significativo è quello dei rapporti con le rispettive famiglie d’origine.
Non a caso, forse, gran parte delle barzellette o dei proverbi commenta, dandone per
contata l’inevitabilità, i pessimi rapporti con i genitori di lui e di lei, i famosi e
famigerati suoceri, facendone, insieme all’usura dei rapporti quotidiani, uno dei
principali nemici di una vita di coppia. Ma, quanto c’è di vero o, meglio, in quali ambiti
sorgono più facilmente i conflitti?
Ovviamente, i due che si uniscono portano nella vita di coppia le loro abitudini, la
cultura spicciola di alcune consuetudini, stili di impostazione dei problemi e risoluzioni
ormai collaudato. Cosa farne di questa storia passata, fino a che punto è ancora
attuale e come integrare la storia dell’uno con le abitudini dell’altro? Una delle prime
difficoltà risiede proprio nel fatto che abitudini, essendo tali, consuetamente presenti
nella nostra giornata, in gran parte ci restano sconosciute. Non costituendo, allora,

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una nostra scelta consapevole ma essendo nel tempo diventate dei punti di
riferimento trascurabili in u quadro conosciuto come è quello del proprio ambiente
familiare, non siamo in grado di vederle né, tanto meno, di commentarne la validità
fino a che un estraneo non vi punta su il dito sorridendo interrogativo. “Perché chiudi
le persiani?” può sembrare una domanda innocente, di curiosità, ma se a casa nostra
le persiano sono sempre state accostate di notte, la nostra risposta, un po’
sconcertata, sarà del tipo: “ma, perché è notte!” Resta il fastidio di una domanda un
po’ sciocca, tutto sommato, potremmo chiudere là l’episodio ma, anche rilanciare la
domanda: “perché, tu non le chiudi?” L’altro, allora, può irridere a questa cautela ed
affermare con chiarezza che a casa sua non si sono mai chiuse le persiane, non se ne
è mai visto il motivo. Comunque, ora, le persiane sono diventate l’occasione di una
scelta su cui la coppia non può evitare di confrontarsi: la gestioni delle persiane nella
nuova coppia porterà il seno di una famiglia o di quell’altra? Può facilmente accadere
che uno dei due ceda subito, accondiscendendo a quello che crede il desiderio
dell’altro: “ma se ti fa piacere, le lasciamo aperte”, spostando l’accento sul bene che
passa fra di loro e su come per lui sia importante che l’altro si senta a casa sua e vi
possa mantenere le sue abitudini. Può anche accadere che, invece, le posizioni si
irrigidiscano ed i due partners si trovino a difendere, anche con una certa asprezza, il
valore e la giustezza della loro abitudine, ingaggiando in modo forse non esplicito ma
non per questo meno pungente un confronto di cui protagoniste risultano in realtà le
due famiglie e non la coppia. La conseguenza, nel primo caso, è che il partner
magnanimo ha un credito nei confronti dell’altro, avendo fatto un dono d’amore ed i
crediti, prima o poi, vanno compensati da debitore; nel secondo caso, invece, i due si
sentono sospinti ognuno verso la propria famiglia d’origine di cui sono stati eletti, o si
sono autoeletti fa lo stesso, paladini. La discussione, scherzosa, all’inizio, può
prendere rapidamente una piega conflittuale, di litigio aperto in cui vengono
rispolverati tensioni, incomprensioni o rancori antichi che, essendo rivolti a persone
assenti non possono trovare soddisfazione o soluzione ma che possono rendere nemici
i due, contendenti per interposta persona. Magari, poi, si conclude tutto con rinnovate
rassicurazioni d’amore e con la promessa di non litigare più ma il problema non è
stato affrontato nei limiti della coppia e può riproporsi immutato in relazione al
rubinetto del gas o del tappo del dentifricio. Si poteva, anche, fermarsi all’inizio in un
più attento commento alla realtà limitata alla coppia, ammettendo il nostro stupore e
la nostra incapacità di motivare su due piedi un’abitudine che non siamo stati noi a
costruire o a stabilire ed insieme a confrontare altre abitudini che altri hanno stabilito.
Nell’esiguità di importanza apparente del problema, può esserci per la coppia la

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possibilità di comprendere meglio, attraverso le abitudini decennali, chi ci sta accanto
da così poco tempo, di utilizzarle, cioè, non come arma ma come strumento di
comprensione e come tassello di mosaico che ha finora formato lo schema di lettura
della realtà dell’altro. La coppia inizia, infatti, da subito a costruire le proprie abitudini,
il proprio quadro di vita ed è importante poterne commentare insieme il sorgere e lo
stabilirsi di questi. Non voglio certo dire che per il sale da mettere nell’acqua della
pasta sia necessario un ritiro di sei giorni per mettere a punto un confronto
soddisfacente, solo mi sembra che in ogni caso non sia possibile alla coppia non
riferire ad una realtà di due qualunque movimento di ciascuno. D’altronde, nella lite
sulle persiane, il timore sottostante è di aver perso l’altro, che non sappia bene di aver
ormai cambiato vita, che non sta più a casa con i suoi. L’altro, risponde con angoscia
sullo stesso tema e sia che venga incontro per amor di pace sia che si arrocchi sulla
difesa della sua famiglia, gli è precluso, ed è precluso ad ambedue, il diritto di poter
rassicurare il partner sul suo vero timore di essere abbandonato. Le risposte del tipo:
“non saprei, lo facevano sempre i miei a casa” non fa salire di livello la tensione e
contemporaneamente rassicura che si è ben consci di stare in un’altra casa.
E’ assai facile, dunque, che le famiglie d’origine intervengano immediatamente a
segnare di sé i rapporti fra i coniugi, non è così facile rendersene conto né per le
famiglie stesse né per i due. Certe volte ci si rivolge non al proprio partner ma al figlio
o alla figlia dei suoceri ma, poiché questo non è esplicitamente chiaro, l’altro neanche
lui se ne rende conto e risponde sempre più confondendosi con i suoi e con loro
mimetizzandosi. Se poi arriva l’accusa: “Parli come tua madre!”, non c’è più altra
possibilità che sentirsi offesi, affermare che la madre non c’entra nulla e passare,
probabilmente ad un gelido: “tu di mia madre non capisci nulla”. E tutto questo in
perfetta buona fede, perché, se fosse stato possibile accorgersene in tempo, si
sarebbe litigato sul vero punto di frizione e, magari, si sarebbe potuto risolvere.
Le famiglie d’origine vengono introdotte nel gioco dei rapporti di coppia spesso nel
tentativo di evitare uno scontro diretto con il partner. In qualche modo, si sa bene di
essere molto innamorati dell’altro e sembra ingeneroso nei suoi confronti irritarsi per
quella stupida banalità; attaccare la sua famiglia, però, non è ferire di meno ma
diventa in pratica attaccare la sua storia passata e mettere in dubbio la bontà stessa
della scelta di quel partner per il progetto di coppia. All’inizio di un rapporto di
convivenza, infatti ognuno non può che portare l’eredità della sua storia come suo
contributo alla coppia ma la porta perché venga trasformata non perché gli ritorni
indietro come un capo d’accusa. La propria famiglia d’origine racchiude gran parte
della storia personale di ciascuno; decidere di trasformare la propria storia in una

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storia a due vuol dire insieme ricominciare tutto da capo ed anche proseguire la
propria storia. Per questo credo che sia così delicato il rapporto con le famiglie
d’origine perché ogni volta può trasformarsi in un attacco alla vita di coppia oppure
alla propria esistenza passata, quella stessa esistenza che con vicende complicate e
lunghe deviazioni ha condotto proprio all’incontro di coppia. Nessuno di questi due
attacchi è incruento, ambedue feriscono profondamente e minano la sicurezza nelle
proprie capacità ma anche, di riflesso, nella attuabilità dello stesso progetto comune.
Paradossalmente, sarà l’attacco a comportare la difesa di un patrimonio di esperienza
e, di conseguenza, a rendere motivato il dubbio non esposto chiaramente alla
persona. Mi sembra, infatti, incontestabile che e persone non riescano ad esprimersi
pienamente in un’atmosfera di sfiducia o di dubbio ma che questo sia reso molto più
agevole in un clima di fiducia e di incoraggiamento. Così, può anche essere possibile
domandare con affetto: “spiegami come mai una persona interessante ed autonoma
come te quando parla di questo argomento si limita a riferire le parole di sua madre”,
confermando propria incondizionata alleanza verso il partner ed insieme aiutandolo a
rendersi conto di una ripetitività antica di cui forse non si era mai accorto, evitando,
insomma, che un dubbio o anche una critica si stravolgano in un attacco.
E questo, perché effettivamente non è l’attacco l’obiettivo che si vuole raggiungere.
L’attacco, infatti, non può che comportare come risposta una difesa, molto
difficilmente una chiarificazione. Se la domanda che non si è potuta esprimere è del
tipo: “mi sento nuovo e inesperto in questa vita con te, ha solo un bagaglio di
esperienza passata e non so bene come usarla, se ti piacerà o se tu mi chiederai di
abbandonarlo”, è una domanda di aiuto e di amore che richiede comprensione e
magnanimità, che chiede di potere essere accettati prima di tutto per poter cambiare
adeguandosi ad una realtà sconosciuta. Un equivoco frequente è la convinzione, da
parte di ambedue, che l’altro sia esente da questo dubbio, che non sia ugualmente
spaventato ed incerto ma che si trasformi in un giudice del nostro passato. Credo che
solo la consuetudine di una vita assieme possa permettere di esporsi per come si è o
per come si crede di essere ma credo anche che un’abitudine fin dall’inizio a
interrogarsi sul significato preciso di un appunto critico che si riceve o dell’evoluzione
in litigio di una discussione possa permettere una salvaguardia migliore di ambedue i
partners. La forma, infatti, di un’interrogazione o di una critica non è affatto
svincolabile dalla sua interpretazione e, almeno all’inizio, ciascuno ripeterà la forma
che ha utilizzato per anni e per decenni. Un’abitudine all’ironia od al sarcasmo portata
dall’uno può facilmente ferire profondamente l’altro che, uso ad un diverso stile,
penserà di “essere preso in giro” e non compreso. Si difenderà, allora, goffamente e la

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sua pretesa serietà costituirà ulteriore materia di sarcasmo e di ironia. Oppure, un
intervento teso a chiarire un nodo importante del rapporto reciproco può scontrarsi
con l’incapacità dell’altro ad adeguarvisi, dato che nella sua famiglia vigeva la legge
non scritta che delle cose serie non si deve parlare seriamente, preferendo, invece,
una leggerezza superficiale che eviti il conflitto aperto. Sarà complesso, allora,
convincere se stessi e l’altro che non si voleva sfuggire al problema ma che si è
trattato solo di una forma di relazionarsi inconsueta e che magari può essere appresa:
può accadere che l’accusa “siete sempre stati superficiali in famiglia tua” arrivi prima e
cancelli il “uno dei motivi per cui ti ho amato e ti amo è questa tua chiarezza nel
definire le cose”.
Fin qui abbiamo tratteggiato alcune interferenze delle famiglie di origine in cui queste
venivano tratte in ballo senza che l’attenzione fosse realmente puntata su di loro
oppure senza la loro presenza reale all’interno della coppia. Vi sono, però, occasioni in
cui le famiglie attivamente operano nei riguardi degli sposi oppure in cui si attua una
sovrapposizione di competenze come nel caso di una convivenza in casa dei suoceri o
di un consistente aiuto economico alla coppia. Situazioni come il consiglio materno sul
come preparare un certo piatto o il parere paterno sulle spese che sembrano invadere
apertamente un campo riservato. Vale la pena di soffermarsi un attimo sul punto di
vista delle famiglie “anziane”, sul tipo di richieste che viene loro posto dalla coppia e
sul tipo si progetto che era stato da loro predisposto per la vita di coppia della loro
bambina o del figlio, ancora così “ragazzo”. Mi sembra, infatti, che negare un diritto di
programmazione alle famiglie d’origine sulla coppia vada palesemente a scontrarsi
contro una realtà profondamente ancorata e sperimentata in una larghissima
percentuale di casi. In qualche modo, infatti, quale che sia la collocazione sociale o la
scelta politica e ideologica di una famiglia, il progetto sui figli si collega strettamente
allo svolgersi della vita quotidiana ed i figli ricevono segnali ben precisi di come si stia
investendo su di loro e di come verrà loro richiesta una attuazione soddisfacente di
alcune promesse per quanto queste assumano veste e caratteristiche diverse a
seconda dei diversi ambiti familiari. Non voglio certo dire che i figli sono, pertanto,
tenuti a conformare le loro espressioni di vita a quelle che la famiglia richiederebbe
loro, semplicemente non mi sembra saggio far finta che certe richieste non diano
pervenute affatto o che sia possibile cancellare con un solo colpo di spugna speranze
decennali che, talvolta, sono diventate uno dei più forti motivi di esistenza da parte
dei genitori. Anche, magari, come speranza che il proprio figlio riesca lì dove noi
abbiamo fallito e che ci dimostri che il nostro fallimento è stato il seme da cui può
nascere la sua vittoria.

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La nascita di una nuova coppia è certamente motivo di speranza ma anche di timore:
timore di essere esclusi, di aver concluso definitivamente un tratto di strada con il
proprio figlio, di essere improvvisamente relegati nel ruolo dei vecchi, di perdere
questo contatto, talvolta aspro ma così coinvolgente, con la generazione successiva,
questa gioventù che si ama nella sua vitalità e che si vorrebbe preservare intatta, non
usurata da errori e da delusioni. L’offerta della propria esperienza da parte della
generazione più anziana tende contemporaneamente a fornire degli strumenti in più a
quella più giovane ed a far sì che non vada persa una lunga vita costellata di tanti
momenti significativi, che non vada sprecato un patrimonio di affetti e di scoperte che
hanno intessuto e segnato di sé un tratto di storia così denso. Ma anche, io credo, a
non perdere il bandolo della vita , a seguire da vicino, passo passo la generazione più
giovane perché con essa è la vita ed il futuro e non è tollerabile esserne esclusi,
tagliati fuori da un circuito vitale in cui giovinezza, bellezza e felicità sembrano
compiacersi di sé in un mondo di sogno che sempre più si allontana dalla realtà
quotidiana. E’ allora che la vittoria della nuova coppia viene presentata e temuta come
una maledizione ed una sconfitta per i più vecchi, è allora che la forza vitale della
gioventù e della speranza si torcono in sfacciata provocazione a chi la gioventù l’ha già
posseduta un tempo e dispera di poterla mai più ritrovare.
E’ allora, dunque, che più facilmente affiora alle labbra il commento cattivo sui tempi
moderni che sono troppo facili, su questa gioventù che crede di potersi permettere
tutto perché non si è mai conquistato nulla con fatica, perché ricerca il piacere anziché
piegarsi sotto il dovere. Allora insorge l’invadenza distruttiva che critica i timidi
tentativi di “fare diverso” della coppia giovane; e se questa dipinge di bianco le pareti
della casa, si ribatte che si sporcheranno, se le fa colorate ci si domanda a che serve
tutta questa originalità, se ripete la tinta della casa paterna è proprio per mancanza di
fantasia. Costretta nel vicolo cieco della difesa, la coppia reagirà in modo secco e
conciliante, lottando per sostenere i suoi diritti di autonomia e cedendo per amor di
pace ma, una volta di più, la domanda inespressa non è l’accordo su di un colore
quanto la richiesta di una garanzia di poter partecipare alla vita rinata nella nuova
coppia per potere non morire. Si ripropone il dilemma angoscioso di ogni nascita,
quando sempre arriva il momento in cui si teme che la vita dell’uno sia la morte
dell’altro, che se la madre muore il figlio avrà vita ma se la madre dovesse per la
propria vita il figlio potrebbe non sopravvivere. Credo che sia questa una componente
dell’angoscia del travaglio e del parto, nel momento in cui una nuova vita si impone si
teme per la propria, un momento terribile di panico di fronte ad una scelta
impossibile. Dare la vita ad un bambino, cosa comporta per la propria, di vita? E come

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può una madre che ha custodito dentro di sé un figlio negargli la vita? ma, pure, come
può morire? anche simbolicamente, mi sembra che la grande effusione di sangue
durante un parto superi il puro significato fisiologico andando a rappresentare
un’emorragia di vita che troppo facilmente può diventare uno sfinimento mortale,
troppo simile appare ad un dissanguamento della madre, di cui questa rischia di non
potersi più riprendere. Non stiamo parlando, ovviamente, delle condizioni sanitarie in
cui avvengono i parti oggi né, tanto meno, negando la necessità di un’assistenza
migliore alle gestanti ed alle puerpere; piuttosto, l’interrogativo è se l’angoscia del
parto, terribilmente confermata dalla miriade di casi in cui la madre od il bambino ne
escono gravemente danneggiati, non sia legata anche a questa scelta di chi sia più
giusto che usufruisca del diritto a vivere e se questa si mantenga una dimensione
costante se pur larvata del rapporto genitoriale con i propri figli.
Se, dunque, in ultima analisi, il costituirsi della nuova coppia nel suo stesso affermare
l’evento di una nascita non contenga una valenza assai minacciosa per l’esistenza
della coppia anziana, più che alla famiglia nel suo insieme. Ben difficilmente, infatti,
saranno i fratelli i protagonisti del conflitto se non quando siano divenuti gli emissari
dei genitori, sottoposti, cioè, ad una scelta di campo.
D’altra parte, è spesso la tenerezza che nasce dalla palese inesperienza dei più giovani
il veicolo di un rapporto d’ansia che può poi sconfinare nell’invadenza. L’ambivalenza,
cioè, di un rapporto in cui si vorrebbero vedere i propri figli “adulti” già capaci di
vivere pienamente la loro vita ed insieme si vorrebbe aiutarli, condurli per mano verso
quegli obiettivi che noi così chiaramente intravediamo e che loro sembrano non
scorgere affatto, lontano da quegli ostacoli contro cui abbiamo così dolorosamente
cozzato e verso i quali loro sembrano avviarsi così inconsciamente. E, sottostante, il
dubbio: se avessero ragione loro? Sarebbe possibile che noi non abbiamo avuto torto?
Che non abbiamo sbagliato tutto? È possibile che abbiamo ragione ambedue, che da
questo confronto possiamo uscire tutti vincitori?
In modo assolutamente speculare, i più giovani si muovono nelle loro scelte
maneggiando pensierosi l’esperienza di una vita familiare che fino a pochissimo tempo
fa era la loro ma che oggi debbono riconsiderare: e il dubbio è il medesimo. Ma,
proprio per una legge di vita, lo stacco deve avvenire ed il cordone ombelicale deve
essere tagliato: se questo non avviene per timore de l’uno o l’altro muoia, l’evento
della nascita non può concludersi. E, come in altre situazioni, si taglia il legame solo
quando si è sicuri che ambedue sopravvivranno e che, divisi, potranno riannodare un
legame diverso. La madre che partorisce, per far nascere definitivamente suo figlio,
ha bisogno di avere la certezza di aver messo a mondo un bambino vitale, capace di

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sopravvivere anche fuori di lei, capace di sopravvivere anche nelle mani di altri che
non siano le sue. Solo così potrà ritornare a pensare a sé stessa, affidandosi ad
un’assistenza che si prenda cura di lei non più solamente come portatrice di quel
bambino ma come donna che ha partorito: solo così potrà inventare un legame nuovo
con il suo bambino, avendone concluso uno antico, dopo aver ripreso possesso di sé.
Altrimenti l’allattamento, anziché struttura prima di un profondissimo rapporto di due
esseri viventi verso una vita da ambedue partecipata, si fa nostalgia di un rapporto
ormai perduto che si rivolge al passato d in esso si confonde, quasi la realtà della
nascita sfumasse verso una lenta cancellazione. Analogamente, la certezza che
sopravviveremo senza i nostri figli e che essi sopravviveranno senza di noi permette
più facilmente di gettare le basi di un rapporto fra la nuova coppia e l’antica. Potrà,
così, accadere che l’immagine di nostra figlia si sovrapponga a quella della moglie di
nostro genero e che le due immagini talora si confondano, talora invece prenda il
sopravvento l’una o l’altra. E può anche accadere che ci si ritrovi a trattare più
facilmente con la moglie del genero che con la figlia, quando ci si sente alleati con una
nuova realtà per aumentarne la sicurezza e la stabilità, non per garantirne le basi. Il
rapporto con i figli, infatti, è stato lungamente intriso di preoccupazione di cura
attenta a preservare una vita che si evolve, con un rilevantissimo investimento di
energie affettive e non solamente affettive: perché non può essere lecito anche il
passare la mano, rilassarsi con gioia lasciandosi andare verso un inconsueto riposo
dopo un così lungo periodo di attenzione vibrante? Un po’ come accade quando i figli
piccolissimi cominciano a trascorrere notti sempre più tranquille, gradualmente
ininterrotte: non ci si addormenta più con l’orecchio sempre teso al primo rumore, si
sperimenta il rinnovato piacere del possesso del sonno e non per questo non si resta
pronti e disponibili ad essere svegliati da un incubo, da una sete improvvisa, da una
pipì intempestiva o da una voglia di coccole alle tre di notte. Ma un ciclo è finito,
esistono ora due sonni da preservare non più solamente il sonno del bambino ed il
sonno dei genitori come interruzione fra un momento e l’altro dell’accudimento dei
figli.
Analogamente, mi sembra, si può anche respirare di sollievo quando un figlio nella sua
nuova coppia si definisce come un adulto: ma, appunto, occorre che da ambedue le
parti si concordi che lo stacco può avvenire perché nessuno ne morirà. Occorre,
dunque, che ambedue le parti possano garantire all’altra, reciprocamente, che la loro
vita si avvierà in un’altra direzione, diversa o forse anche migliore, che non si
riavvolgerà su se stessa in un cerchio di nostalgia del passato coltivandosi di
aspettative deluse o del ricordo di ciò che ancora poteva servirci di quel rapporto, che

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abbiamo, irrimediabilmente perso perché un altro rapporto si è instaurato ed ha
cancellato la nostra esistenza dal circuito vitale.
Anche da parte della coppia più giovane può insorgere la pretesa di avere l’esclusiva
sul filo della vita, che il nuovo rapporto debba soprattutto trovare fondamenti nel
confronto con la vita passata per distruggerne le tracce con accanita perseveranza.
Che, in qualche modo, ci sia spazio solo per una coppia, per una sola verità e che si
possa affermare la propria negando quella più antica. Ma, di nuovo, quella verità
antica è parte consistente del patrimonio della coppia e dei singoli individui: quanto si
rischia di perdere della propria identità negando il diritto all’esistenza di chi con noi
l’ha condivisa per tutta la durata della nostra esistenza, come si fa poi a conservare sé
stessi nella pretesa di abolire da noi tutti quei tratti che ci caratterizzano solamente
perché non li abbiamo disegnati da soli? Un rapporto esclusivo come quello di coppia
per sopravvivere deve essere comunque costretto a negare gli altri rapporti esclusivi
precedenti o può anche conservarli per basare su di questi la sua stessa credibilità, la
sua stessa scommessa di successo? E come attuare questa compresenza di rapporti
esclusivi senza che entrino in conflitto, senza che si apra una lotta che può prevedere
un solo vincitore? Sembrano interrogativi assai difficili e complessi ma non più
insuperabili, credo, dell’imparare a camminare quando l’indagine verso l’approvazione
personale del mondo esterno non impedisce il ritorno nelle braccia materne: la
crescita già tante volte ci ha insegnato che si può procedere oltre senza perdere ciò
che già possedevamo. Senza perderlo ma lo conserveremo, e l’abbiamo conservato,
trasformato: non assoggettarsi alla logica della scelta di un rapporto contro l’altro non
comporta, infatti, la garanzia che ambedue rimarranno immutati. In alcun modo potrà
essere “come prima” il rapporto fra i genitori ed i figli: al timore dei genitori di
perdere i figli se questi si proclamano adulti, non più così bisognosi delle loro cure per
sopravvivere, fa eco e riscontro il timore dei figli che questa loro autonomia non potrà
essere loro perdonata ma si trasformerà inevitabilmente in indifferenza, magari
cortese ma troppo fredda per poterla tollerare. La tenerezza verso i genitori può
contenere in sé una venatura di riparazione per un danno fatto, inevitabile ma non
per questo meno angoscioso. E questo atteggiamento di scusa facilmente evocherà
nei genitori un appello a non essere lasciati soli cui questi potranno rispondere
rinnovando una loro piena disponibilità all’aiuto; basta una sfumatura di troppo perché
questo aiuto si faccia invadenza pesante od almeno così venga percepito. Assistiamo,
allora, ad un ritrarsi della coppia che risulta incomprensibile, gratuitamente offensivo
e che farà concludere ai genitori, con un amaro scuotimento di testa, che sono proprio
dei ragazzi, infantili e superficiali, e che ancora non è finito il compito dell’accudimento

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dei figli. I giovani, dal canto loro, tireranno a loro modo le somme e possono rifugiarsi
nella coppia con un doloroso senso di perdita oppure inseguire i genitori per
riconfermare la validità profonda del loro rapporto. Ogni scelta di questo tipo può
comportare conseguenze che si incalzano l’una con l’altra e che possono spingere tutti
i partecipanti in una situazione di sfinimento e di insoddisfazione in cui sembra
impossibile ritrovare un po’ di chiarezza. L’intervento di chiunque, infatti, risulta
distorto: il partner che tenta di riportare nella dimensione di coppia il baricentro
dell’attenzione può essere accusato di incomprensione o di essere il principale
responsabile di tanta sofferenza, il padre che offre il regalo potrà sentirsi rispondere
che non è con i doni che si comprano i figli, la madre che porta un piatto pronto
diventa un’accusa esplicita di incompetenza nella gestione della casa. I rapporti si
confondono e si disturbano reciprocamente e non sembra più possibile ritrovare quel
primo gesto d’amore e di alleanza che tutti avevano espresso e che tutti credono di
ritrovarsi rivolto contro di loro come imputazione. Spesso sono momenti da cui si
riemerge con un senso di “come è potuto succedere?”, altre volte diventano cicli
sempre più riavvicinati che ad un certo punto si strutturano in una stabilità perversa
che tutti collaborano, inconsapevolmente, a mantenere. E che tutti pagano con un
impressionante dispendio di sofferenza perché il sogno è stato definitivamente espulso
dalla realtà, la felicità ancora una volta si è dimostrata un’illusione maligna: c’è un
solo spazio per la vendetta reciproca per non aver saputo conservare e preservare il
sogno, la delusione incattivita per essersi fidati degli altri ed aver loro affidato una
propria parte cara che hanno rovinato irrimediabilmente. Ognuno si riprende la sua
parte di sogno, un po’ ammaccata e gualcita e se la coltiva in sé, infeconda perché
quel sogno non si può sognare ed attuare da soli.
Ma, allora, si sbaglia comunque? Se si è affettuosi, si diventa invadenti, se si lascia la
coppia alla sua vita credendo di rispettarla si è indifferenti e crudeli, se si esce con la
mamma si è infantili e spose bambine, se ci si appoggia al padre non si è virili, se si fa
da soli si esclude dalla propria vita chi potrebbe trarne gioia e che ne avrebbe pieno
diritto… sembra un bel guaio in ogni caso!
Credo che queste considerazioni possano, invece, essere rilette in un quadro meno
disastroso se ci diventa possibile districare nel conflitto dei rapporti quel movimento
primario d’amore e di amicizia che, per quanto confusamente, è sempre presente,
quella richiesta che tutti ci rivolgiamo di non deludere le aspettative non perché si sia
uno giudice ed esaminatore dell’altro ma perché ognuno ha consegnato agli altri dei
propri oggetti preziosi e non vuole gli siano restituiti ma vuole che vengano conservati
e protetti. Nel complicato equilibrio di ogni momento fra affetti così importanti e che

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sembrano così terribilmente volti alla lotta, è sempre possibile riaffermare ciecamente
la nostra certezza ed il nostro bisogno che questi rapporti non vadano rovinati, che
nonostante quel che appare non si accetta neppure l’ipotesi che l’altro sia contro di
noi, che c’è sempre una spiegazione che non conosciamo. Che, in ultima analisi a
nessuno verrà permesso di rompere un legame perché questo ha due capi e da parte
nostra non ci sarà collusione perché questo avvenga con il nostro assenso. Questo
gioco difficile può, allora, trasformarsi in un’avventura emotivamente assai
coinvolgente ma anche interessante in cui ognuno si dichiara nuovo all’esperienza ma
tutti partecipano al presupposto comune che l’obiettivo è che nessuno ne esca
sconfitto od avvilito.

Autonomia e dipendenza nella vita di coppia

Il campo dei rapporti con i genitori, propri o dell’altro, è uno degli ambiti in cui la
coppia si trova ad affrontare il difficile problema del rapporto fra autonomia reciproca
ed instaurazione di una relazione sempre più profonda che diffusamente segnerà di sé
ed in sé riassumerà ogni aspetto della vita. Ci si domanda da subito se lo stare
insieme dovrà prevedere comunque una unanimità di vedute o se potrà sopportare il
dissenso ed in quali campi questo potrà essere confinato senza che divenga punto di
frattura. Ci si domanda cosa fare della gestione degli spazi comuni e se potranno
essere salvaguardate delle aree riservate, personali, se questo non comporterà
esclusione; come affrontare la decisione sul tipo di stile dell’abitazione, del rapporto
con gli amici, il denaro, il mondo del lavoro.
Come, dunque, trascrivere nella vita in comune quelle caratteristiche personali intrise
di affetti e consuetudine, come trasformarle, difendendole ma non facendo di esse
un’ancora verso il passato, contro il presente ed il futuro. Facilmente, si strutturerà fra
i due partners un accordo anche non esplicitato ma valevole per ambedue di affidare a
quello che ne risulti più esperto l’impostazione degli ambiti comuni: quello dei due, ad
esempio, che manifesterà più piacere ed interesse nel gettare le basi di un’abitazione
confortevole, potrà assumere la guida trainante in questo campo mentre l’altro potrà
rivendicare una sua competenza migliore nel porre i fondamenti di un bilancio
casalingo, di un primo quadro di riferimento in cui collocare i capitoli di entrate e di
spese. Ma una simile spartizione può anche non risultare così ovvia, così priva di
scogli da aggirare con precauzione. Certo, in una casa occorre che siano garantite le
funzioni fondamentali e può sembrare che non ci sia poi tanto da discutere ma in
realtà l’impostazione di una casa condizionerà, con il suo stesso porsi come

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contenitore, il carattere di tanti scambi vitali: non è irrilevante lo spazio riservato in
essa agli amici, se il tono che si vuole dare privilegia una comodità informale o se
sottolinea l’evento del ricevere in casa come un fatto da rispettare e verso il quale
bisogna garantire un certo galateo. Si può mangiare in cucina, anche se si è più di
due, ma in altri casi si può invece preferire dare importanza al ricevere in casa e
considerarlo incompatibile con i piatti sporchi che si ammucchiano e con l’odore di
cucina. Banalità, certamente, almeno a prima vista, ma che vanno poi a costruire una
costellazione precisa di rapporti. Se si privilegia il piacere di poter avere a tavola con
sé all’improvviso l’amico che è venuto a trovarci, offrendogli di fermarsi a mangiare
con noi, difficilmente ci sarà spazio per un pranzo elaborato che gli faccia festa, se non
onore; può accadere che uno dei due ne soffra, si senta a disagio perché la sua
tradizione familiare prevedeva la casa in ordine, pulita a specchio. L’altro potrà
manifestare impazienza per degli “stupidi formalismi” e costringere in modo
impalpabile la situazione così che gradualmente sarà sempre più sua la casa aperta e
suoi gli amici che vi entrano. Insensibilmente quella bella caratteristica di un
temperamento aperto e socievole può, per contrasto, rendere sempre più orso il
partner che, ospite in casa sua, tenderà ad abbandonare il campo con una resistenza
passiva di non partecipazione ad incontri con gente che non sono più amici della
coppia ma amici dell’uno, tollerati dall’altro. Magari questo può ritorcersi contro il
membro socievole della coppia che, preoccupato di socializzare poiché questo incarico
gli è stato affidato per conto della coppia, non comprenderà questa sensazione
fastidiosa di freno che gli proviene dall’altro. Frasi come “sono amici tuoi, lo facevo per
te” inizialmente corrette possono veicolare anche il messaggio “io non ne avrei
bisogno, ho sempre amici intorno a me” come se si fosse diventati la governante di un
tipo un po’ introverso e sempre insoddisfatto. Allora, diventa difficile dividersi il peso
degli amici dentro casa, il costo del vitto aumentato o i locali da rimetter in ordine:
un’occasione di gioia si trasforma in una rivendicazione astiosa in cui vengono
noiosamente elencati tutti i punti di fatica e di scomodo come fossero un conto da
pagare e per di più, con che risultato? Tanto, l’altro è comunque scontento, non gli va
bene nulla. Gli amici possono anche essere chiamati a testimoniare di questo sforzo
così deprimente per i suoi risultati ed inserirsi nella dinamica di coppia come alleati
dell’uno contro l’altro, inevitabilmente ampliando il terreno di conflitto ed allontanando
l’incontro chiarificatore fra i due protagonisti.
Ormai dimenticato quel primo punto di frizione non espresso con chiarezza o non
affrontato, il far venire amici in casa diventa un problema che si ripete in una rigidità
di sequenze obbligate.

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E spesso, dispettosamente, non si vuole più neanche esprimere ciò che si vorrebbe
per poter stare bene, ci si limita ad un atteggiamento scontroso che si richiama e
trova giustificazione in un’offerta antica che è inutile esporre più, “tanto tu non
capiresti”.
Analogamente può diventare occasione di cordiale fusione e di affetto l’inserimento di
un mobile o di un oggetto proveniente da una delle famiglie d’origine come
testimonianza attenta di una continuità ben inserita nella trasformazione della vita e di
un passaggio del testimone da un nucleo antico ad uno appena costituito. Può
diventare l’oggetto importante della casa su cui sintonizzare il resto dell’arredamento
o inserirsi senza parere e senza dare nell’occhio. In un momento di contrasto, può
invece testimoniare di una presenza estranea ed in qualche modo invadente che
impedisce un pieno possesso della propria casa. Anche in questo caso sembra facile
prevedere che tipo di reazione a catena si può innescare nei rapporti fra nuclei
familiari ed all’interno della coppia.
Così nella gestione del denaro, la primogenitura di un membro della coppia può
risultare un risparmio di energie per ambedue verso un’economia complessivamente
migliore ma sarà necessario un ascolto attento ad ogni eco dissonante per non
ritrovarsi costretti nella spirale di accuse reciproche di avarizia e di eccessiva
prodigalità in un bilancio tentennante o di essersi appropriati del bilancio familiare per
investirlo esclusivamente nell’interesse personale e non di coppia, sia questo
l’arredamento della casa, l’abbigliamento, i libri od il vino troppo costoso. Come nella
scelta del letto matrimoniale o dei letti gemelli, il fondo comune ed i conti separati
costituiscono ben più che delle opzioni organizzative. Un letto matrimoniale che
privilegia una vicinanza affettuosa e che permette di addormentarsi uno a fianco
dell’altro, può avere un esito di impaccio reciproco nel momento del litigio o, più
banalmente, nell’annosa questione del diritto di leggere a letto; un conto corrente in
comune sottolinea l’unione anche economica per una gestione affiancata della vita
quotidiana ma costringe più facilmente a sottoporsi ad un controllo reciproco che
talvolta può pesare come anche rende assai più complesso il piacere di offrire all’altro
un dono.
Analogamente, conti correnti separati nel permettere di rinnovare spesso la scelta di
investire per una spesa non personale ma di coppia, possono inasprire in certe
occasioni una contabilità che dal piano economico si sposta su quello affettivo o che
da questo viene coinvolto come i letti gemelli (o le camere separate, possibilità assai
rara date le dimensioni consuete delle nostre abitazioni) offrono una possibilità di
ricercare l’intimità dell’altro esplicitamente e di rendere sempre attuale una richiesta

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ed un’offerta d’amore ma, insieme, possono legittimare una lontananza più che fisica
da cui non si è costretti ad uscire o che non si è costretti ad affrontare.
Scelte, dunque, apparentemente innocue, spesso sottovalutate nell’entusiasmo della
nuova progettazione in comune ma che possono costituire un notevole impaccio se
non è più lecito ridiscuterle quando si siano rivelate non confacenti o quando si
desideri un cambiamento. E non è più lecito discuterne, non perché non sia in pieno
possesso della coppia il diritto di una revisione ma perché spesso, sottovalutandone il
condizionamento, non ci è più possibile considerarle nel loro peso. Quando questo
accade, quando si può insieme decidere di nuovo, allora è un momento della vita di
coppia assai ricco ed interessante, occasione preziosa di confrontare come si è evoluto
nella dimensione della convivenza di coppia quel progetto impreciso iniziale, di
rileggere una storia e di scoprire con stupore intenerito che ci sono dei ricordi comuni,
non più come al principio, dei ricordi solo personali. E, forse, è occasione anche di
capire come ognuno dei due membri elabora e codifica i suoi ricordi, di come uno
racconta un fatto avvenuto sottolineandone degli aspetti che nel racconto dell’altro
sarebbero andati perduti e di come da ricordi custoditi dentro di sé possa avere
origine un ricordo comune che si fa retroterra partecipato e non più isolamento.
Un aspetto importante del rapporto di coppia è, poi, il mondo del lavoro: anche in
questo campo ritroviamo dei nodi relazionali che assumono un significato per l’uno e
per l’altro e per i due assieme coinvolgendo una necessità di gestire in comune il
tempo, il denaro, l’espansione personale in una attività ed i rapporti che si instaurano
in un ambito lavorativo. Il tempo di lavoro, infatti, è strettamente collegato con il
tempo libero in una scansione reciproca e questa componente non resta confinata in
una scelta obbligata. Il perché si lavora sembra prevedere la sola risposta ovvia
“perché è necessario” ma a me sembra che nella realtà di oggi si siano aggiunte e
sovrapposte altre componenti che richiamano il rapporto uomo-donna in una nuova
rilettura sia del diritto-dovere di una reciproca autonomia economica, mentale ed
affettiva, sia in una redistribuzione del carico casalingo, sia in ordine al problema della
cura dei figli. Di fatto, oggi sono molte le donne che lavorano o, più precisamente,
spesso accade di incontrare situazioni di coppia in cui ambedue i membri hanno un
lavoro: è, infatti, relativamente rara la situazione della donna che lavora con un
partner “casalingo”.
Si dice che questo accade perché un solo stipendio non basta più ma, una tale
affermazione implica frequentemente un’idea delle esigenze di una coppia ben
distante dalla sopravvivenza pura; in altri termini, è un definire che non basta più che
solamente un partner assicuri una quotidianità garantita ma, invece, si tende ad una

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migliore qualità della vita che da ambedue venga originata e mantenuta. Un bilancio
più alto, dunque, ma anche, forse soprattutto, un bilancio tale da richiedere la
partecipazione di ambedue. La dimensione economica si fa canale e veicolo di altre
redistribuzioni, di una precisa esigenza di compartecipazione che il denaro guadagnato
ancora saldamente nella realtà visibile e sperimentabile. Il lavoro della donna accanto
al lavoro dell’uomo stabilisce una responsabilità affiancata verso le esigenze
quotidiane e straordinarie che nel denaro trova una definizione concreta,
richiamandone e specificando diversi e più impalpabili ambiti. La parità dell’uomo e
della donna entra, così, ad acquisire gradualmente una ovvietà che si diffonde in
campi più vasti senza, magari, che lì sia riconosciuta con la stessa evidenza.
La situazione in cui il marito lavorava e portava a casa la busta paga cconsegnandola
alla moglie perché provvedesse alle necessità della casa, con tutto il contorno di mogli
spendaccione e fatue che le barzellette ci hanno abituato a considerare un commento
adeguato della realtà, diventa progressivamente più priva di senso lasciando il posto
ad un equilibrio differente in cui moglie e marito si chinano insieme a valutare le loro
necessità ed a studiare le situazioni più adeguate. Non per questo, certamente, si è
superata completamente un’esperienza che attraverso il corso di un tempo così lungo
è divenuta parte di un nostro patrimonio culturale cui non possiamo che fare
riferimento per impostare una lettura della realtà sociale. Frasi come l’interrogativo sul
chi porta i pantaloni in casa, ad esempio conservano ancora il potere di offendere o
quanto meno di turbare un equilibrio affettivo come fosse tuttora inscindibile
l’immagine di una virilità fatta di autorità e di comando legata a provvedere
autonomamente alla propria donna. Talvolta sembra meno diminutivo della dignità
maschile dipendere economicamente dai propri genitori che dalla moglie e privilegiare
l’accollarsi un secondo lavoro mantenendo una moglie casalinga. Ovviamente, la
scelta del lavoro femminile qualunque sia la forma che assume, non può che costituire
una scelta comune di ambedue; andranno, piuttosto, ricercati i motivi più rilevanti che
accomunano i due partners nella decisione. La donna che lavora, infatti, significa
un’esposizione più aperta a tutta una serie di problematiche e di sollecitazioni esterne
con cui la coppia è costretta a fare i conti; può anche accadere che la coppia è
costretta a fare i conti; può anche accadere che la coppia valuti eccessivamente
dinamica per la sua stabilità questa invasione esterna e che questo costituisca motivo
determinante di una soluzione operativa che vede la moglie a casa. Non si tratta,
ancora una volta, di decidere una volta per tutte quale sia la soluzione ottimale per le
coppie in genere ma di calibrare in ogni singola situazione una espansione della coppia
commisurata ad una difesa della sua stabilità. Una moglie casalinga può sembrare una

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soluzione che preserva una consuetudine tranquillizzante ma una moglie che non
lavora “perché mio marito non vuole” facilmente alimenta nell’ambito di coppia una
dinamica di rivendicazioni e di rancore in cui chi si è posto come capo famiglia si trova
ad essere responsabile di ogni evento significativo (dalla difficoltà di un bilancio
economico ai litigi del condominio) in una progressione insensibile ma vincolante quasi
il percorso logico fosse: se tu sei il capo, dimostrami di sapermi fare da scudo in ogni
circostanza, altrimenti il dubbio che sia meglio lo faccia io il capo potrebbe consolidarsi
fino a legittimare una tua esautorazione. Gradualmente una posizione di predominio si
può trasformare in una posizione di fragilità, sottoposta ad un ricatto continuo cui non
è lecito sottrarsi salvo perdere tutto il patrimonio conquistato; ed è difficilmente
stabilire, in definitiva, se risulta più forte chi è responsabile ed insignito del comando o
chi può continuamente, da sottoposto, sottoporre a verifica il potere costituito. O che
può farlo pagare in moneta di altro corso, con irrisione svalutativa o con un
disinteresse infastidito che, nell’affermare la supremazia, le nega validità come si
concede ad un bambino di avere ragione per non averlo più intorno. D’altronde, la
ragione si è concessa e non è più lecito chiederne ancora conferma: il capofamiglia
autoritario si trova, ad un certo punto, capo per farsa in un’operetta ridicola in cui solo
a lui non è concesso divertirsi.
Anche perché, in questa sequenza, l’interesse e l’attenzione sono attirate dall’utile che
trae il capofamiglia da questo suo ruolo, restando assolutamente in ombra ed
imprecisato il guadagno del partner. Capovolgendo la situazione, si può indirizzare il
cono di luce dell’attenzione sulla protezione della moglie e sul salvaguardarla dai
tormenti esterni che ne inaridirebbero il carattere sensibile e la moglie,
suadentemente collocata in questo ruolo delicato, difficilmente potrà discostarsene se
non attraverso comportamenti di rottura che confermeranno, in ultima analisi, la
primitiva diagnosi “è così sensibile, non può avventurarsi nel mondo infido”.
Credo che molte nevrosi da casalinghe (ed i numerosi casi di alcolismo ne confermano
il preoccupante diffondersi) contengano in sé la disperazione di un ruolo in cui si è
confinati e che sembra indistruttibile anche perché l’adesione di entrambi i partners ne
ha segnato l’avvio.
Come un gioco iniziale che sembrava indolore si fosse trasformato in una spirale
infernale in cui ogni tentativo di interromperla si risolve in una sua ulteriore
conservazione. La paralisi impotente che ne deriva offusca anche la ricerca di un
senso della vita, quasi ogni energia venisse assorbita nell’attacco a questo circuito che
da ogni attacco viene rinnovato e confermato, appunto perché non è un circuito
imposto dall’esterno ma un andamento che raccoglie in sé istanze esterne ed interne,

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desideri affettività e paure mescolate in un composto che non si può allontanare da
sé, ancorché velenoso, pena la perdita di tante sostanze proprie che lì si trovano
confusamente presenti.
L’esito della scelta iniziale può risultare meno dannoso quando sia stata mantenuta la
possibilità, assieme al diritto di usufruirne, per ambedue i partners di accedere al
mondo dell’altro come una ricchezza che aumenta la propria anziché svalutarla in un
confronto competitivo. In altri termini, quando il patrimonio personale dell’altro,
percepito come una ricchezza comune cui ambedue possono attingere e di cui
ambedue hanno bisogno, può essere sviluppato ed aumentato, arricchito, non a spese
del proprio patrimonio che, all’opposto, ne risulta confermato; un’immagine di
confluenza di due capitali da cui liberamente si preleva e che, nell’assommarsi,
permettono investimenti migliori e differenziati. Allora, il lavoro dell’uno anziché
sottolineare l’inferiorità dell’altro, ne può facilitare una espressione più libera che
ritorna ad equilibrare la fatica ed il peso del lavoro stesso dell’uno in un ambito di
coppia. Credo che l’immagine della casalinga frustrata troppo facilmente condizioni la
capacità di usufruire pienamente e gioiosamente di una condizione non costretta da
vincoli di orario e di rapporti gerarchici. In qualche modo, avviene troppo spesso la
riduzione fino ad una progressiva eliminazione di un rapporto di gratitudine reciproca
che non si trasformi immediatamente in una rivendicazione aspra e sterile. Queste
considerazioni, ovviamente, non intendono affatto proclamare un inno alla condizione
della donna casalinga ma, piuttosto, andarne a riscoprire una valenza che a me
sembra assai rilevante, la valenza della gratitudine e dell’alleanza reciproca. Nella
situazione della donna che lavora, infatti, assieme ad un’indubbia potenzialità di
trasformazioni dinamiche e di sollecitazioni esterne che facilitano una evoluzione
personale di ambedue i membri della coppia, va difesa la possibilità della dipendenza
gioiosa del partner, dipendenza, appunto, che ha in sé la gratitudine per un appoggio
stabile di cui è pur bello dichiarare l’esigenza. Di nuovo, il lavoro di ambedue può
trasformarsi in una pienezza reciproca di cui ambedue sono possessori oppure, invece,
ridursi in un accumulo di patrimoni personali di cui si controlla il livello raffrontandolo
a quello dell’altro. La situazione lavorativa può confluire all’interno della coppia per
allargarne il respiro vitale attraverso l’ingresso del mondo esterno o può impoverirne
l’ambito esportando all’esterno la ricchezza destinata alla coppia. Ad esempio,
l’interesse verso il proprio lavoro può costituire un’abitudine a riscoprire l’interesse
anche nei gesti e nei piccoli eventi quotidiani o può svilirne la portata, quasi si
temesse di disperdere la propria capacità di concentrazione e di fantasia in una
banalità quotidiana. La capacità di risolvere un problema complicato di lavoro

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escogitando una soluzione inconsueta o lo studio di un percorso lavorativo che risulti
più economico e meno faticoso possono accrescere il rinnovamento quotidiano a far
tralasciare degli aspetti ormai ripetitivi o, per contrasto, aumentarne la noia e la
consuetudine immota in un circolo che conduce sempre più ad investire sul lavoro
come principale fonte di interesse, salvo, immediatamente dopo, ritrovare sempre più
insoddisfacente l’ambito familiare dell’investimento portato all’esterno ad avere
un’ulteriore conferma che solo l’ambito lavorativo va curato con interesse perché solo
quello può rispondere in modo gratificante. Se per ambedue i partners accade in
contemporanea questo stesso percorso, possono assestarsi in una situazione di
cordiale convivenza, accostati ma non fusi in un progetto comune; o, più
precisamente, alleati per uno svuotamento emotivo della dimensione familiare ridotta
ad una gestione fra soci di cui il buon rapporto è condizione perché la ditta non
affondi. Ma le esigenze di un rapporto emotivo coinvolgente, di un legame d’amore,
sottratte da ambedue al rapporto comune perché non ne venisse intralciato il campo
di lavoro, non possono essere annullate come mai esistite o decorazioni superficiali:
possono rivolgersi a rifondare di nuovo la coppia quando uno dei due sia capace di
dichiarare il proprio bisogno dell’altro rinunciando a questo innaturale equilibrio
oppure, temendo ambedue di essere irrisi dall’altro se domandassero ciò che viene
concesso di richiedere solo ai ragazzi ed agli inguaribili romantici, possono indirizzarsi
ad altri rapporti esterni che difficilmente vivificheranno la coppia, incapace ormai di
contenerli e di riassumerli in sé. Il sogno della felicità comune, disancorato, viene
riassunto da ciascuno in una nuova speranza amareggiata dalla sconfitta o permane
latente come strumento di rivendicazione incattivita di una speranza delusa che si
continua ad alimentare non perché possa trovare uno sbocco di realizzazione ma
perché possa rinnovare costantemente la possibilità di una messa in mora reciproca
sempre più astiosa.
Quando, invece, l’attività lavorativa di ambedue confluisce ad alimentare un
sentimento di dipendenza grata, confermata e giustificata proprio dall’autonomia che il
lavoro dà e che sottolinea la sempre maggiore gratuità del rapporto d’amore, quando,
insomma, il lavoro permette di liberare il rapporto d’amore del bisogno di
sopravvivenza che può trascinare ambedue a fondo nel terrore di affogare senza
l’altro, la coppia ha un ingresso nel mondo esterno che le garantisce un libero scambio
ed un adeguamento costante alle richieste di una trasformazione permanente per
conservare la sua stessa esistenza.
Tempo libero, svaghi ed interessi, a loro volta, ripropongono ai partners degli spazi di
incontro in cui stabilire i reciproci confini di autonomia e di partecipazione. Il bricolage,

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ad esempio, significa per alcune coppie il volgersi assieme alla cura della propria casa,
alla gioia di costruirne realmente e non solo in senso simbolico mobili ed accessori che
esprimano una più precisa identità della coppia ne facilitino una convivenza in cui
riconoscersi ed in cui accogliere anche gli altri. Non è necessario che ambedue i
membri della coppia partecipano fisicamente alla realizzazione perché divenga un
evento comune né il lavorare affiancati è di per sé garanzia che non insorgano
conflitti di competenza sul tipo di vita da scegliere o sullo smalto per riverniciare; sarà
piuttosto un tassello nuovo su cui costruire un accordo che ambedue contribuiranno a
far sì che non divenga un ostacolo difficile da rielaborare. Perché il lagnarsi dei trucioli
dappertutto o dell’eternità che occorre attendere per poter finalmente collocare quella
credenza o quella libreria può esprimere uno scherzoso commento ad un’inesperienza
riguardata con affetto e tenerezza come una constatazione di incapacità dal cui peso
può risultare assai faticoso liberarsi. L’atteggiamento di fronte all’insuccesso nel
bricolage o nel lavoro professionale può manifestare una fiducia del prossimo successo
pur non negando l’insuccesso presente oppure costituire il primo indizio di una
tendenza al fallimento temuta ed ora irrimediabilmente verificata. Così la reazione di
fronte al dito schiacciato dal martello o alle maniche ridicolmente sproporzionate del
maglione può riecheggiare il disprezzo dell’ultima scenata in ufficio o della situazione
di lavoro nero e malpagato: “non sei capace, cosa ti metti a fare queste cose?” oppure
il fatidico “te l’avevo detto!” con tutto il seguito obbligato di un’esasperazione che fa
ribollire il sangue. Può risultare ugualmente irritante, d’altronde, l’atteggiamento del
partner che minimizza sempre e comunque: il dito guarirà, i rapporti con il capoufficio
miglioreranno senz’altro, perché preoccuparsi? se non hai lavoro oggi lo troverai …
L’atteggiamento di chi è superiore a queste umane miserie e che addita l’obiettivo
luminoso a chi si confonde di fronte a delle piccolezze che svaniscono alla presenza
dell’eternità. Il protagonista dell’insuccesso, infatti, non potrà trarne altro
insegnamento che è effettivamente colpa sua se non sa vivere e che non gli è
concesso neppure il diritto di manifestare la sua difficoltà e la sua confusione. Ancora
diverso è il caso dei due affiancati nella difficoltà che non la negano ma trovano l’uno
nell’altro conforto ed occasione di speranza.
L’insuccesso o l’incapacità dell’uno può, allora, realmente divenire un’esperienza
preziosa dell’importanza di essere in due: se l’altro mette a disposizione il suo innato
ottimismo per lo sconforto del suo compagno o il suo lavoro garantito per il suo
licenziamento o è capace di subentrare con abilità a concludere una attività giunta ad
un punto morto, l’equilibrio della coppia si può rinnovare su di un perno di solidarietà
di fronte all’esterno. L’inserimento nella vita dell’uno di un piacere musicale

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sconosciuto potrà, così, evitare di ridursi al piatto commento offensivo del tipo “ma
come hai potuto diventar grande senza la musica?” e offrire, invece, un nuovo ambito
di scambio in cui l’esperienza dell’altro si fa dote e ricchezza da godere assieme.
Spesso, infatti, può accadere che per un falsato concetto di rispetto dell’altro e per la
presunzione di conoscerne i limiti invalicabili, si rinunci ad un proprio interesse
addebitandone la perdita all’altro che non ha avuto neppure il tempo o il modo di
interloquire. L’atteggiamento virtuoso della rinuncia per amore si trasforma
rapidamente in un credito oppressivo che l’altro non può estinguere perché magari
non ne è neppure a conoscenza. Questi eventi di lettura del pensiero costituiscono
assai di frequente un punto di frizione incandescente proprio perché non permettono il
confronto evitando ogni possibilità di discussione o di mutamento. Tanto più se accade
che il vero motivo della rinunzia ad un proprio campo di interesse sia in realtà una
insofferenza personale ad un ambito che ci sembrava così affascinante e
culturalmente significativo ma di cui ci siamo accorti che non comprendiamo quasi
nulla: quale migliore occasione di liberarsi di un peso scomodo senza dover
ammettere l’errore ma anzi ritrovandovi un vantaggio supplementare nel rendere
l’altro debitore nei nostri confronti? Quante volte, infatti, la casalinga abbandona il
piatto che richiede ore di lavoro e che non le piace neanche un po’ ma che era un
trofeo della sua corona di regina della casa o, all’opposto, la donna abbandona il
lavoro per restare a casa raccontando a sé ed agli altri che l’abbandono è stata una
scelta d’amore e negando anche il ricordo della fatica e della noia di un impiego che
non conservava più nessun aspetto di soddisfazione? Quanti uomini rinunciano ad una
attività propria fino ad allora coltivate, sia essa lo sport, il bricolage od un impegno
politico “perché mia moglie si lamentava sempre” e ne traggono un senso di
liberazione che si guardano bene dal comunicare o dal far trapelare tra le righe?
Talvolta, invece, l’abbandono nasce da una reale richiesta del partner e può andare ad
ingrossare il fiume della rivendicazione o il corso di una vita sempre più comune di cui
l’abbandono ad un proprio interesse è un prezzo significativo ma non preponderante
perché riequilibrato da una maggiore unità che protegge e qualifica la vita quotidiana.
La lettura del pensiero arbitraria si fa, in questo caso, interpretazione del desiderio
dell’altro legittimata da un’indagine affettuosa dei suoi bisogni e del suo piacere
appena accennati ma non per questo trascurati. Si fa, dunque, dono gratuito in
cambio del quale si riceve gratitudine e non legame di debito, una migliore
comprensione ed attenzione reciproche e non una sopraffazione indiscriminata che
presume di conoscere l’altra meglio ancora di come lui stesso si conosca, non per
migliorare la sua conoscenza ma per sottolineare la sua insipienza.

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La sessualità della coppia
Anche l’argomento dei rapporti sessuali nella coppia ha fatto scorrere i classici fiumi
d’inchiostro ed in ogni campo e da ogni parte si è sempre stati prodighi di consigli ed
esortazioni, di informazioni piccanti appena temperate da una veste scientifica o di
proposte di stili, moderni, riesumati nell’antichità, di alcune tribù “selvagge” o risultati
da nuovissime ricerche. Sembra quasi che sia l’evento fondamentale della vita di una
coppia, quello su cui si gioca l’intera partita della felicità e che fa piangere di
commozione e di paura le madri ansiose che “lui sia buono” con la loro bambina o che
fa tremare nel timore di un’impotenza maschile che sancirebbe in modo definitivo il
fallimento. Non a caso preferisco parlarne solo dopo aver un po’ vagabondato nella
vita quotidiana e nei piccoli eventi della vita di coppia per restituire alla dimensione
sessuale una collocazione senz’altro rilevante nel rapporto amoroso ma certamente
non esclusiva né, mi sembra, da stabilire con assoluta sicurezza come la più
interessante in sé. Credo, invece, che uno dei motivi per cui si attribuisce al rapporto
sessuale una così ovvia predominanza rispetto a qualunque altro campo della vita
quotidiana sia costituito dal tipo stesso di linguaggio che il rapporto sessuale usa per
esprimersi un linguaggio in cui molto difficilmente si può barare o mentire, in cui le
convenzioni e le convinzioni personali si trovano immediatamente a confronto ed in cui
aspetti complessi e delicati confluiscono in un momento unificante. Voglio, cioè, dire
che il linguaggio sessuale, del rapporto sessuale di coppia, non della pornografia del
turpiloquio, è un linguaggio magicamente esplicito che immediatamente denuncia il
disaccordo e che il potere di sanarlo o di approfondirne il divario, che esprime la gioia
intensa dell’essere in due pur ritrovando la propria identità personale. In questo
senso, mi sembra certamente un linguaggio fondamentale che va appreso e coltivato
ma non considerandolo un evento a sé, un campo riservato che non tollera influenza e
che prosegue un suo percorso autonomo. La dimensione sessuale si costituisce, allora,
come il momento di una relazione profonda in cui i partners si immergono insieme per
riscoprirne ogni volta il significato più loro che li descrive più pienamente l’uno
attraverso l’altro. Fare l’amore significa, nel suo senso più profondo e più letterale,
costruire un rapporto d’amore incontrandosi sessualmente per verificarne la portata e
per ritrovare nell’abbandono quell’entusiasmo e quel piacere reciproco che in altri
momenti della giornata abbiamo colto offuscato o che si è manifestato nella sua
pienezza. Il rapporto sessuale è, allora, gratitudine, affetto, timore ed emozione,
dolore di un senso di perdita o gioia estasiata del ritrovamento, tenerezza infantile e
dimensione adulta, timidezza ed esposizione di sé in una mescolanza complessa che

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ne costituisce il fascino ed il rinnovamento. Credo che sia impossibile far l’amore due
volte nello stesso modo, con la stessa costellazione di affetti e di emozioni:ogni volta
la ripetizione di gesti così apparentemente sempre gli stessi evoca dei significati
diversi che si inseguono a raccontare un momento particolare e che rimangono a
segnare una storia del rapporto a due che appartiene a ciascuno in quanto è anche
dell’altro. Ed ogni volta, dopo aver fatto l’amore in una sintonia che attraverso
l’espressione fisica rinsalda ed esprime una sintonia anche di situazioni affettive, si
prova lo stupore che un evento così consueto possa trasformarsi così profondamente,
andando a cogliere sentimenti appena accennati insieme a dichiarazioni esplicite e
fondendoli in un momento unico di cui, appena concluso, si ha nostalgia e, forse,
timore che non si ripeta mai più, che non si sappia ritrovarlo. Timore, anche, che il
parlarne ne rovini la spontaneità, che si sciupi a contatto con la realtà quotidiana,
insieme al desiderio di rievocarlo e farlo proprio anche dopo. Dalla consultazione di
manuali e di riviste, singola o in coppia, al silenzio sull’argomento quasi avesse una
dignità di mistero, si snoda tutta una gamma di momenti e di situazioni in cui i
partners scelgono il loro personale linguaggio di coppia per parlare il linguaggio del
fare l’amore. Come nell’evento del formarsi della coppia, anche il linguaggio sessuale
ha una codifica ed una storia personale per ciascuno dei due che affonda nel passato e
vi si intreccia: parlarlo assieme comporta un mettere in comune le regole e la sintassi
per inventare una lingua nuova ed utilizzarla per esprimere quel particolare rapporto
di coppia fra quei due particolari individui.
Analogamente ad altre situazioni, si potrà verificare una grande distanza fra i due
linguaggi per come sono stati appresi nell’infanzia e nell’adolescenza: un’abitudine ad
un parlare esplicito potrà risultare offensiva e dissacrante per chi ne ha sempre inteso
parlare in termini allusivi, tra le righe. Una gestualità liberamente priva di momenti e
di spazi segreti può far irrigidire un atteggiamento più inibito ma, insieme, più
segreto. Specularmente, nell’irridare uno stupore od un impaccio imbarazzato, si può
rischiare di sciupare, non cogliendola, una sensazione di mistero che spesso si
mescola al fascino stesso dell’atto sessuale; esporre in termini volutamente
dissacranti un’emozione od un sentimento profondamente coinvolgenti può provocare
un moto di fastidio e di insofferenza che amplifica quel primo ritrarsi e lo rende
innegabile, una volta concretizzato. Ma, anche, lo rende definito in una attuazione che
non è affatto detto fosse quella voluta e desiderata, quanto, piuttosto, una reazione
imprevista ad un moto sconosciuto. Dopo, è molto più difficile ritrovare una propria
spontaneità che non sia comunque da quella reazione condizionata e segnata. La
scoperta, ad esempio, del proprio corpo come oggetto d’amore e come trasmissione

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d’amore è spesso una scoperta che non risulta commisurabile e comprensibile con i
consueti schemi di lettura della realtà che si sono venuti costituendo nella propria
storia personale. Guardarsi e vedersi attraverso gli occhi di un altro è assolutamente
diverso dal confrontare il proprio parere o l’idea che si ha di sé stessi con quella dei
genitori, dei fratelli, degli amici o degli insegnanti. Prima, infatti, il confronto era
comunque collocato in una situazione di attesa, di crescita, di obiettivi da
raggiungere; nella scoperta di sé in una dimensione di coppia, il tempo inizia a
scorrere come presente, in una realtà adulta che mantiene ancora tutte le fattezze
precedenti eppure inesplicabilmente se ne differenzia. Scoprire il proprio corpo di
giovane adulto, in un tempo che è stato appena avviato è ben diverso dal come lo si è
seguito nelle sue trasformazioni, di come ne abbiamo imparato a conoscere i difetti e
gli aspetti più gradevoli in una lunga sequenza di crescita. Il corpo dell’altro, finito e
compiuto per come ci si presenta, ci rimanda un’immagine del nostro che riassume in
sé e conclude questo lungo periodo, rendendo possibile incontrare sé stessi
sconosciuti nell’incontro di un altro da conoscere. E, certamente, il gesto d’amore
dell’altro che risveglia e rende attuali forze e pulsioni inusitate, ci immerge in una
realtà profonda che da soli, anche se così nostra, non ci era stato possibile cogliere. In
questa lue, non cambia moltissimo l’aver avuto o meno esperienze precedenti, anche
se indubbiamente l’approccio iniziale ne sarà caratterizzato. Che si sia ancora in una
situazione di verginità o che sia stato possibile costruirsi un’esperienza sessuale
precedente, comunque in quel primo periodo di rapporto sessuale con il partner
avviene una riscoperta particolarissima che, nel dono dell’altro a noi, permette
reciprocamente di donare se stessi all’altro ed a sé. Timidezza, goffaggine o un voluto
atteggiamento disincantato costituiranno dei messaggi che ci si invia e che solo la
risposta dell’altro potrà compiutamente definire e confermare, o correggere. Il tempo
che scorre presente è fatto di due tempi da accordare, forse non ancora sintonizzati
ma che può esser bello adeguare insieme. Come in altre situazioni di vita di coppia ,
può risultare pieno e gratificante il seguire il tempo dell’altro solo se questo non fa
temere la perdita del proprio: si può venire incontro verso un’effusione amorosa più
distesa se non è presente il dubbio di seguire una qualsivoglia violenza, si può
rallentare la propria corsa verso il piacere per attendere l’altro se non si ha la
sensazione di essere frenati ma, invece, il piacere di poter adattare il proprio tempo.
L’intimità richiesta dall’uno può risultare impensabile all’altro, abituato, ad esempio,
ad una gestione rigorosamente separata fra maschi e femmine in casa sua: una
riservatezza che può ritrovarsi in un uso separato del bagno, in un far finta di
accorgersi se l’altro è nervoso, nel richiedere la luce spenta quando si fa l’amore o nel

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permettersi di dire con franchezza che un regalo non è stato indovinato. L’intimità
sessuale richiama tutto uno stile di vita e può risultare sconcertante una richiesta di
un’espansività più aperta per chi, nella vita quotidiana, si sente apprezzato proprio per
una discrezione delicata. Sarà allora un districare insieme i fili di un comportamento
unitario per liberare una maggiore spontaneità nell’atto sessuale che non vada a
distruggere una riservatezza abituale ma che sottolinei la possibilità di darsi e ricevere
piacere in un ambito privatissimo. L’altro si fa, dunque, contenitore protettivo
dell’evoluzione di un aprirsi all’esperienza del piacere, curando che la sua maggiore
facilità nell’esprimersi sia uno strumento in più di rassicurazione senza che si rivolga
ad un’irrisione della goffaggine imbarazzata propria di ogni primo approccio ad un
campo nuovo. La costruzione del loro linguaggio sessuale impegna i due partners con
la stessa intensità sia che si trovino ambedue ugualmente inesperti sia che uno o
l’altro abbia una storia personale con altri partners, sia che si accostino per intrecciare
delle esperienze già vissute per comporre un disegno nuovo sulla trama del loro
essere coppia. Mi sembra, cioè, che non possa essere privilegiato un comportamento
sull’altro: arrivare vergini al primo atto sessuale di coppia offre la possibilità di
avventurarsi insieme in un campo che risulta nuovo per ambedue ma questo può
permettere di ridere insieme dei primi tentativi inesperti e di ripensarvi, in seguito,
con tenerezza commossa come può diventare un ostacolo in più ad un amalgamarsi
difficile e strutturare dei primi blocchi relazionali che possono segnare anche
pesantemente l’avvio della vita di coppia.
L’atto sessuale può trasformarsi in un problema, talvolta nel problema più grave di
un’intera convivenza, sottraendo energie ed interesse ad altri ambiti importanti in cui,
magari, i due potrebbero facilmente trovare un accordo; gradatamente, l’incubo di
rapporti sessuali non soddisfacenti può offuscare la gioia di altri momenti, quasi questi
dovessero attendere, per una loro piena espressione, che quel problema trovi
soluzione. Proprio se particolarmente investito di urgenza e di timore di fallimento, il
rapporto sessuale non potrà, allora, utilizzare degli altri ambiti di incontro che,
venendo svalutati nella loro significatività, perderanno di valore. Può succedere che
non si sia più capaci di godere di una buona convivenza perché l’incubo di un rapporto
sessuale insoddisfacente si allarga a deformare i consueti atti di coppia; se il pranzo
viene particolarmente curato, lo si potrà leggere come un tentativo di scusa per non
essere capaci di fare l’amore, un dono gradito o a proposta di uscire insieme potrà
rievocare la triste imponenza della notte. Si struttura, allora, un rapporto del tipo
“come sarebbe bello stare insieme se riuscissimo a fare l’amore bene” che aumenta
sempre più l’angoscia dell’insuccesso ed, inevitabilmente, lo provoca. Diversamente la

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relazione potrebbe strutturarsi in una conferma reciproca del tipo “mi piacerebbe
molto saper fare l’amore con te ed attendo che questo arrivi perché con te sto molto
bene”. Fare l’amore in modo soddisfacente per entrambi diventa, così un obiettivo da
raggiungere insieme che non si sposta nell’utopia di una soluzione magica ma si
inserisce come nodo problematico di una realtà sfaccettata in larga parte rassicurante.
Spesso, poi, il successo mancato del rapporto sessuale non viene commisurato alle
reali esigenze dei partners ma vi si sovrappone una concezione di successo derivante
dalla realtà esterna. Se la società esterna prescrive come condizione indispensabile
per un atto sessuale che si rispetti, ad esempio, che ambedue raggiungano
contemporaneamente l’orgasmo, la coppia avrà maggiore difficoltà a riconoscere come
valido per la sua realtà personale uno sfalsamento di tempi, che può darle, invece, la
ricchezza di un’esperienza del dare piacere all’altro e del riceverne in una
individuazione singola. L’attenzione a che l’altro stia bene può essere uno stile di
coppia che riecheggia molti aspetti della vita quotidiana e che li riassume attraverso
un linguaggio pregnante; il ricevere l’analoga attenzione, a proprio volta, può far
sentire quanto profondamente l’altro ci è stato vicino ed ha colto la nostra persona.
L’atto d’amore soddisfacente, allora, è l’atto che per ambedue costituisce un incontro
nel piacere reciproco, privo di moralismo esterno ma inscritto in un’etica di coppia che
solamente i due partners possono stabilire e riconoscere come propria.
Nel caso di precedenti esperienze, l’indubbia facilitazione del conoscere già alcuni
particolari di reazione che hanno messo in luce esigenze altrimenti nascoste, può
trovare un contrasto nella difficoltà di identificare il percorso dell’altro, come si
trattasse di una strada già nota di cui si perde l’originalità. Un gesto troppo
precipitoso, troppo anticipato rispetto all’emergere del desiderio dell’altro, può
provocare una reazione di rifiuto, forse anche di offesa se prevale la sensazione che
quel gesto non sia stato rivolto a noi ma faccia, invece, parte di un repertorio
scontato.
Anche la spinta proveniente dall’esterno che decreta che dei rapporti sessuali i due
debbano parlare liberamente, va dosata nei tempi personali di una coppia che si va
costruendo un suo proprio linguaggio. Non credo che sia corretto affermare che, come
si chiede abitualmente di poter mangiare l’uovo ben cotto, così sia ovvia una analoga
libertà nel manifestare le proprie esigenze sessuali. Credo, senz’altro, che si debba
poter parlare assieme di un evento così rilevante della propria intimità come credo che
vada indagato con attenzione quando il pudore portato a scusante non sia, invece, la
copertura di un non volere partecipare i propri sentimenti e le proprie sensazioni,

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costringendo l’altro ad indovinarli senza mai esporsi ad un insuccesso, poiché è l’altro
che conduce il gioco.
Non mi sembra più consono alo stile di vita odierno una ritrosia verginale che collochi
l’altro nello scomodo ruolo del satiro che “pensa sempre a quelle cose”. Non mi
sembra, però, che ne discenda la necessità ovvia che tutte le coppie debbano proporsi
di trattare i loro rapporti sessuali senza imbarazzo, sportivamente. Alcune coppie
potranno volersi riservare uno spazio protetto in cui affrontare le loro relazioni
sessuali e de desiderano parlarne a luce spenta perché li imbarazzerebbe il viso
illuminato, non mi sembra che questo debba essere definito una colpa o una carenza.
Altre preferiranno affrontare le proprie esigenze ed i propri desideri magari
consumando la colazione o davanti ad un programma televisivo, altri ancora ne
parleranno con amici e parenti cercando il confronto di diverse esperienze. Per
ciascuna coppia, la dimensione sessuale sarà uno spazio particolarmente significativo
della loro relazione ed ogni coppia rispetterà i suoi tempi di costruzione e di attesa,
permettendo che il rapporto sessuale si modifichi nel tempo, in sintonia con gli altri
momenti della convivenza o sfalsato in certi aspetti, alcuni più avanzati, altri ancora
da elaborare. L’esperienza di una possibilità di mentire o di stemperare una delusione
nell’atto sessuale può riflettersi in altri momenti della vita quotidiana inserendovi una
nota che corregge un malinteso galateo di cortesia e che facilita una franca
dichiarazione di difficoltà come, anche, rende più fluido un moto di affetto o
l’espressione di una richiesta. L’abbandono all’altro verso una esperienza
profondamente comune può insegnare una dipendenza reciproca in cui, come in un
puzzle, ognuno dei due possiede dei tasselli che solamente insieme a quelli dell’altro
trovano una configurazione ed un senso. La dipendenza, allora, da vincolo di pesante
sottomissione, caratterizzato da una carenza, da un bisogno, si fa possibilità di
collaborazione e di vedere moltiplicare le proprie potenzialità nel loro intrecciarsi con
le potenzialità dell’altro. La coscienza di una propria individualità autonoma,
identificata e difesa, può originare il timore di perderla in un affidarsi profondo al
rapporto di due che sembrano confondersi in un tutto indistinto; all’opposto, può
permettere u abbandono più lieto e più grato che chiama l’altro ad un’esperienza di
fusione, significativa e quanto mai ricca proprio perché nata non da un bisogno da
colmare ma da un piacere da soddisfare di cui volentieri si apprezza la reciproca
dipendenza. Questa, allora, non diventa un vincolo opprimente ma un tenere i due
capi di un legame che possono essere intrecciati ogni volta in modo diverso ed, ogni
volta, restituite a ciascuno dei due partners. L’atto sessuale cui ci si accosta in due per
fondersi in uno e poi sciogliersi ancora in due persone e due realtà distinte contiene,

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così, in sé tutta una potenzialità di espressione e di manifestazione simbolica che,
nella sua concretizzazione fisica, intride lo scorrere più unitario della giornata. Un
aspetto del fare l’amore è, infatti, anche il suo avere un inizio ed una conclusione, una
pronta, dunque, possibilità di verifica della reciproca soddisfazione. Oltre a costituire,
allora, un livello particolarmente profondo e, nello stesso tempo, particolarmente
concreto e leggibile di un rapporto di coppia così impalpabile nel suo insieme
(composto com’è da una miriade di piccoli atti ed eventi, nessuno dei quali, preso
singolarmente, risulta essenziale o sufficiente, ma la cui costellazione appare
indecifrabile eppure così precisamente definita), l’atto sessuale struttura una
dimensione di momento concluso in sé che, ogni volta, può indicare un nuovo inizio,
una nuova riconferma di una realtà soddisfacente o il cambiamento di un aspetto
sgradevole.
Come se nel continuo di un tempo quotidiano in cui si è immersi, si inserisse una
clessidra che, per il periodo del suo scorrere e della sua consumazione, permettesse di
riassumere un passato e di programmare un futuro. L’avvicinarsi singolo all’atto
sessuale, il fondersi in una realtà che nessun dei due padroneggia da solo ma che ad
ambedue si apre solamente se anche l’altro è presente, vede un riemergere dei due
partners alla loro realtà individuale come rinnovati e trasformati, un po’ come il
risvegliarsi da un sonno fondo che ci aveva preso completamente: la realtà circostante
appare nei primi momenti confusa, va riadattato lo sguardo per vederla di nuovo, in
bilico fra il desiderio nostalgico ed un’esigenza di riappropriarsi della quotidianità. Non
si tratta di privilegiare un’immagine edulcorata della vita di coppia inserendovi un fare
l’amore fiabesco che tutto spiega e tutto risolve, dalle difficoltà economiche agli
scontri per un’autonomia alla noia del sempre rinnovato dover riassettare la casa e
lavare i calzini; non si tratta, cioè, di inventare un momento magico che stride
fortemente con una realtà, tanto più ostile nelle sue difficoltà proprio per il confronto
con un mondo di fiaba. Mi sembra, invece, che possa trattarsi di un fare proprio l’atto
sessuale da parte dei membri della coppia per possederne la vitalità e distillarla
insieme. Considerare l’atto d’amore come un patrimonio comune cui attingere e da
reinvestire nella sua interezza in ogni ambito della convivenza, costringendo due poli
opposti a scambiarsi, nell’incontro, vitalità e forza: l’evento circoscritto dell’atto
sessuale ed il fluido comporsi del quotidiano, il sogno e le esigenze reali, l’individualità
di ciascuno e il loro essere coppia, la consapevolezza e l’emotività più abbandonata, il
dare ed il ricevere in una partita doppia in cui il prezzo pagato si trasforma in un utile
per ambedue. L’atto sessuale, che racchiude in sé una così vasta e variegata
complessità, può risultare il volano di un percorso dinamico che scorre attraverso più

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livelli, di ciascuno impossessandosi e da nessuno concluso. Il rapporto di coppia può
portare nell’ambito sessuale storia e richieste, indicazioni per programma e
rassicurazioni su dei dubbi, elementi di novità e stupore di riscoperte in un andamento
fantasioso di cui il concreto manifestarsi della sessualità costituirà non un freno
pratico ma anzi un supporto reale di stabilità e di rinnovamento.
La coppia in crisi e le crisi di coppia
E, poi, ci sono i momenti di crisi. Quei momenti in cui tutto sembra perdere di
significato ed appiattirsi in una logora monotonia e quelli in cui si inveisce contro
l’altro, momenti di rabbia furibonda e di delusione amara o di una noia svogliata e
intorpidita. La saggezza di chi ci ha preceduto ci ripete che sono temporali estivi che
lasciano dietro di loro un’atmosfera più tersa, che si litiga per potere fare la pace; è
indubbio, però, che queste previsioni non solo non sono capaci di alleviare la
sofferenza del momento ma vi inseriscono la sensazione fastidiosa di stare
ripercorrendo una strada già battuta e nota agli altri, l’incomprensione della quale
aumenta il disagio e lo smarrimento. Sembra impossibile, infatti, che si possa soffrire
così intensamente a causa di chi, solo pochissimo tempo prima, era il depositario ed il
garante della nostra gioia; una sensazione di tradimento e di frode si diffonde ad
oscurare e svilire le scelte passate, la costruzione stessa di un rapporto di coppia che,
come nella torre di Babele, sembra impossibile continuare per una sopravvenuta ed
incomprensibile incapacità di comunicare. Sono i momenti in cui si ricordano i timori
esterni che insinuavano dubbi scettici nell’entusiasmo di avverare un sogno, ci
riecheggiano vibranti alcune critiche sentite ma trascurate, allora, sul nostro partner e
su di noi, riaffiorano antiche sconfitte e miti famigliari della nostra infanzia che
bollavano la nostra inettitudine, sembra di essere sommersi da un’acqua ferma di
disperazione che copre anche il lamento e che ci rende impotenti. L’altro si fa nemico,
un estraneo ostile cui, insensatamente, si era affidata tanta parte della propria vita
ed, affannosamente quanto inutilmente, si tenta di recuperare come in un naufragio i
propri oggetti più cari per ritrovarli segnati dalla convivenza ed ormai assai differenti
da come il ricordo li aveva conservati immutati. Ma, soprattutto, credo, questo
terribile sentimento di inutilità, di annichilimento di un progetto, quasi ci ritrovassimo
all’improvviso ad aprire gli occhi su di un sogno finto che nascondeva la realtà.
Nascono, così, le frasi cattive e pungenti, il gusto di usare la conoscenza acquisita
dell’altro per poterlo ferire con maggior precisione, lo stupore sentirci colpire con una
crudezza inaspettata da chi ci aveva tenuto nelle sue braccia e che nelle nostre aveva
chiesto e trovato conforto. L’esito dei litigi coniugali, ovviamente, non potrà che
rispettare il momento storico della vita di coppia ed a questo adeguare il suo

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svolgimento ma, come altri eventi propri della convivenza, chiamerà in campo
ambedue i partners per una decisione comune. Anche in questo momento non potrà
non avvenire un confronto di stile relazionale personale, di linguaggi individuali da
accordare. Un membro della coppia può avere appreso l’utilità di una franchezza al
confine della brutalità che permette l’esplosione chiarificatrice e che sfrutta la rabbia
del momento per veicolare insoddisfazioni e rancori che non erano riusciti a trovare
altrove una manifestazione; l’alzare la voce e gridare le proprie ragioni permette, in
seguito, di assaporare un senso di liberazione e di poter riconoscere l’esiguità delle
ragioni stesse che, gonfiate e rese caricaturali dall’emotività incalzante, risultano
grottesche ed esagerate pur se contengono il classico nocciolo della verità. Se lo stile
della sceneggiata roboante è partecipato da ambedue i partners potremo trovarci
coinvolti in conflitti grandiosi in cui magari volano i piatti insieme ad insulti terrificanti
ma che, facilmente una volta esaurito lo slancio, si estinguono in un sorriso s di sé e
sull’altro per sederi a parlare insieme di come combinare le ridimensionate ragioni
dell’uno e dell’altro. Il partner che assiste per la prima volta all’esplosione, invece, può
avere un patrimonio di esperienze che gli hanno insegnato un controllo anche nei
conflitti; può sentire come una violenza sconcertante quel fiume di parole e, non
essendovi abituato, prenderle sul serio al di là di quanto sia il caso. Costretto a
fronteggiare un’emotività aperta che risveglia un identico moto di violenza dentro di
sé, può ritrarsi con paura e conservare un’impressione di pericolo duratura che spesso
può trasformarsi in rancore. Rancore non solamente per la paura provata ma per aver
dovuto riconoscere dentro di sé la fonte della stessa violenza esternamente
disapprovata e da cui si riteneva gloriosamente esente. Può, allora tentare di risanare
l’immagine incrinata di sé stesso pacifico e non volgarmente coinvolgibile in un litigio
aperto ritrovando in sé e nel suo passato familiare una identità rassicurante, ben
lontana da queste manifestazioni temibili; decidere, dunque, di sopportare, ad
esempio, la rissosità congenita del partner limitandosi a non aumentare il livello del
conflitto. Ma questa risoluzione, all’inizio magari in perfetta buona fede, innalzerà
necessariamente la tensione emotiva del partner che, vedendosi sopportato con
paziente rassegnazione, sarà costretto ad aumentare il volume delle sue ragioni
perché finalmente trovino ascolto; tanto più, inevitabilmente, confermerà nell’altro la
prima impressione di una violenza non contenibile ed un ulteriore ritrarsi. Andrà, così,
perduta per entrambi, la possibilità di apprendere i vantaggi l’uno dello stile dell’altro
e inoltre sempre più difficoltosamente si potrà individuare un’area di confronto per
aspetti problematici della vita in comune. Oltre ad essere un’occasione rilevante per
un reciproco arricchimento della propria gamma relazionale, infatti, il litigio o

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comunque lo scontro di due opinioni, cruento o meno che sia, costituisce un utilissimo
strumento per verificare ed eventualmente riadattare delle norme di comportamento o
delle posizioni culturali appartenenti alla convivenza. I partners, infatti, possono
ambedue permettersi di mettere in caricatura, coperti dalla spinta emotiva, dei nodi
che, probabilmente, esposti in termini consueti e piani provocherebbero una frattura
od un irrigidimento: Non mi sembra un caso cha in tutte le coppie si presenti l’evento
litigio e che assai spesso venga conservato nei ricordi cari; potremmo limitarci a
considerarlo un evento inevitabile data la imperfezione dei protagonisti e, dunque,
inquadrarlo come una scivolata al di fuori del dover essere, di cui vergognarsi per
promettersi reciprocamente che non avverrà mai più. Potremmo, anche, dato il suo
carattere di costanza in ogni convivenza, guardarlo come uno strumento che i
partners utilizzano in funzione di un adeguamento costante del loro essere coppia alla
rispettiva modificazione personale. In questo senso, penso che la crisi di coppia,
adombrata dal litigio formato minuscolo o allargata ad un considerevole periodo di
tempo o ad un’ampia serie di ambiti relazionali, sia un necessario momento di
passaggio che denuncia un percorso concluso e che si avventura in un terreno
successivo, ancora sconosciuto. L’ansia ed il timore si assommano alla spinta verso il
nuovo e costituiscono un contenitore privilegiato in cui ad ambedue i partners è
permesso osservare il proprio bagaglio esperienziale per selezionare gli utensili
necessari ed ancora attuali dividendoli da quelli che ormai hanno fatto il loro corso.
L’emotività accesa fa sì che l’esame di ambedue possa solamente nella definizione
congiunta essere stabilito in modo compiuto poiché ambedue, nel momento stesso in
cui si affacciano verso una nuova fase, hanno diritto al riconoscimento del loro essere
giunti fin lì e, contemporaneamente, sono sguarniti di esperienza che indichi loro il
tracciato del nuovo cammino. In altri termini, si riforma ogni volta una nuova coppia e
solo alcuni aspetti della precedente vanno conservati e tesaurizzati ma non per questo
gli aspetti non più attuali possono essere giudicati negativi anche per il passato,
solamente perché non sono più adeguati ad un immediato futuro. Come, appunto, due
percorsi individuali hanno condotto ambedue ad un incontro che dà origine ad una
realtà svincolata dalle regole precedenti, come il formarsi della coppia impone tutta
una diversa costellazione di norme relazionali cui ambedue debbono confrontare il
patrimonio fin lì conquistato, così in ogni crisi di coppia c’è una scommessa di
rinnovamento che la coppia richiede per una sua evoluzione ma che trova
necessariamente impreparata la coppia stessa. Di nuovo, allora, ci si separa in due
componenti la coppia per stabilire un diverso contratto per il tempo a venire.
L’offuscamento della consapevolezza quotidiana che ci faceva incontrare i due assopiti

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nel momento in cui la coppia veniva formata, viene in questo caso sostituito
dell’emotività che, nell’affermare la necessità urgente di un cambiamento, permette
che non venga dato un giudizio pienamente negativo sulla coppia che guarda al di là
di un limite raggiunto. L’esperienza di quanti ricordano come è stato bello fare la pace
e ritrovarsi ancora uniti mi sembra conferma che, attraverso il litigio, si è vissuta una
dinamica fondamentale e che si è molto temuto che, nel fronteggiarsi come individui,
perdessimo la capacità di formare di nuovo coppia; chiunque sia passato attraverso
questo momento credo non abbia bisogno di ulteriori commenti per confermare come
l’accoppiamento dopo la crisi sia risultato nettamente diverso dal precedente ed assai
più rassicurante.
Si potrebbe obiettare che sembra un discorso un po’ tanto complesso per analizzare
delle liti che, magari, vertevano all’inizio sul lasciare le luci accese o sulla monotonia
dell’alimentazione ma a me sembra che gli eventi quotidiani costituiscano, ognuno, un
punto si equilibrio in cui ambedue i partners hanno investito energie, emotività e
fantasia e, d’altronde, sono ben poche le crisi di coppia che si innestano su grandi
temi d’importanza mondiale: mi sembra assai più frequente che una coppia litighi
ferocemente su una cosiddetta “banalità” e che, una volta risolta la crisi, sopravvenga
lo stupore del come un argomento così piccolo ed irrilevante abbia avuto la capacità di
un sovvertimento di rapporti talmente impegnativo. Se litighiamo e se gli argomenti,
dopo, non ne sembrano degni, probabilmente è sopravvenuto un cambiamento
importante nel contesto stesso di coppia: l’argomento, dunque, può apparire
irrilevante dopo ma, se non eravamo allucinati o fuori di noi per cause esterne,
evidentemente prima ha avuto il potere di coinvolgerci fortemente. Potremmo, allora,
riguardare con maggior cordialità questi nostri eventi, non sommergendone
l’importanza con un sorriso indulgente ma riconoscendone la nostra paternità a pieno
titolo ed accettandone la nuova definizione che ce ne deriva, per noi e per la nostra
coppia. Certamente è profondamente onesta la promessa di “non farlo mai più” ma
proprio perché un nuovo ciclo si è appena avviato e non ci è possibile, prima che si
esaurisca, immaginare quale imprevedibile forma potrà assumere una nuova esigenza
di trasformazione.
Un punto, invece, non trascurabile è il coinvolgimento, nelle crisi di coppia, degli
estranei, intendendo con questo termine riferirci ai genitori, parenti, amici cari
piuttosto che ad un terapeuta. Di nuovo, si tratterà di diversi stili di coppia, ma non è
irrilevante per l’esito della crisi che vi abbiano assistito o partecipato anche degli
esterni. La presenza di un esterno, infatti, può costituire una valvola di sfogo che
permette di canalizzare verso l’esterno un’emotività aggressiva che la coppia sente

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come troppo pericolosa. Può certamente accadere, cioè, che i due valutino troppo
elevata la tensione esistente e preferiscano diluirla con il coinvolgimento di un altro
che dovrebbe apportare un contributo di maggiore serenità. Indubbiamente la
presenza di un terzo preserva spesso da un precipitare della situazione da cui i
partners vogliono difendersi; ma l’inserimento di un testimone ha una rilevanza affatto
differente a seconda che lo si chiami testimone di una difficoltà di coppia e gli si
chieda di fornire un supporto di chiarificazione ai due o che, invece, venga coinvolto, o
divenga in seguito, alleato dell’uno contro l’altro. Parlarne con i propri genitori, in
effetti, può essere un confronto di coppia giovane con una più anziana per
commentare insieme un evento che le accomuna perché da tutti partecipato e vissuto
o può trasformarsi in una sorta di “torna da tua madre” in cui vengono attivate
antiche nostalgie e timori di perdita di un rapporto genitoriale che, facilmente,
possono sommergere la dimensione di coppia della crisi. La separazione dei due
membri, orientata alla ricostruzione di un più funzionale rapporto di coppia, diventa,
invece, una separazione attuata pienamente, non un momento di sospensione per
riprendere meglio il possesso di un tempo di coppia ma l’inizio di un tempo individuale
che scorre per l’uno e per l’altro separatamente. Penso che questo sia uno dei modi di
tradire l’alleanza di coppia, anche se non è contemplato abitualmente nella voce
“tradimento” o “infedeltà” che tradizionalmente rivestono sempre dei caratteri più
specificatamente sessuali. Come dicevamo, la sessualità è un linguaggio
particolarmente esplicito ed immediato per parlare di un rapporto di coppia ma non è
l’unico linguaggio. Il mettere in campo rapporti significativi come quello con i genitori
può squilibrare l’esito di una crisi di coppia, attraendo uno o l’altro verso un polo
affettivo alternativo proprio quando la dimensione di coppia, sospesa, ha forza minore.
Anche il rivolgersi ad un terapeuta può costituire un ottimo strumento di
chiarificazione e non è detto affatto che un lavoro personale non possa essere
reimmesso in una dimensione di coppia per farsi patrimonio comune. Può pure
accadere, però, che vada ad assumere il significato di sostituzione del partner con cui
il rapporto, in quel momento, risulta insoddisfacente, facendo sì che la maggior facilità
di ragionamento e di comprensione della propria realtà porti a privilegiare una strada
individuale sul deludente percorso di coppia. Ora, certamente non è che una coppia in
crisi debba necessariamente evolvere in un nuovo e più consolidato rapporto di
coppia: le crisi sono anche le prime avvisaglie di insoddisfazione e della percezione di
nuove esigenze non saturate ed è realtà di tutti i giorni l’esperienza di coppie che si
sciolgono, dichiarando conclusa la loro storia e non più praticabile. Solamente, anche
nelle situazioni di crisi esiti differenti in gran parte sono relazionati agli strumenti che

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si sono scelti per affrontare il problema e gli strumenti sono fati per essere usati dalla
coppia non perché questa ne venga modellata secondo disegni a lei estranei. Come
una terapia individuale può portare progressivamente ad un nuovo equilibrio di
coppia, così una terapia può condurre i due partners a dichiarare disciolto il loro
legame ed a permettere ad ambedue di riappropriarsi di un patrimonio comune.
Semplicemente, non si può dire che una coppia in crisi faccia bene a gestirsi in privato
questo suo momento rinunciando ad un aiuto esterno né che coinvolgere degli
estranei necessariamente implichi una perdita dal rapporto privato: come in tutti i
rapporti umani, il gioco non è mai nelle mani di uno solo ed il moltiplicarsi delle
soluzioni personali è un arricchimento per tutti.
La coppia e la procreazione
La coppia con dei figli è, più precisamente, una famiglia e le problematiche appaiono
nettamente differenziate. E’, però, della coppia il progettare di mettere o meno al
mondo dei figli come, senza dubbio, permane una condizione ed una dimensione di
coppia qualunque sia l’entità della prole. L’antichissimo problema di quando e quanti
figli mettere al mondo, se sia più giusto averne subito perché risulta più in evoluzione
e dunque più duttile lo stile della convivenza, se invece sia meglio aspettare che la
coppia si sia consolidata per potersi permettere una nuova trasformazione da
assorbire in modo non traumatico, se sia vero che il figlio unico è sempre un po’
diverso o che averne più di uno impedisca un prendersi cura pienamente di ciascuno,
permane come un interrogativo obbligato che ogni coppia prima o poi deve prendere
in esame. Anche, magari, per decidere che figli non ne vuole, perché non è il
momento di averne e questo momento non si affaccia mai all’orizzonte della vita di
una coppia. Uno degli aspetti concreti, intanto, è quello della contraccezione: non
porsi il problema di usare un contraccettivo è già aver deciso che i figli si possono
avere ma tuttora mi sembra che permanga nella nostra cultura l’imbarazzo di mettere
assieme soluzioni concrete, oggetti come la pillola, la spirale, il diaframma od il
preservativo con una dimensione così importante ed impegnativa come è l’atto
sessuale. Fare l’amore con un contraccettivo, può comportare per i due una libertà di
dare e ricevere amore non turbato dall’incubo di un bambino indesiderato ma, in
qualche modo, non può sfuggire ad un’ assunzione precisa della sessualità da parte
della coppia che la governa e la gestione secondo scelte definite. Per alcuni, può
risultare un carico troppo forte emotivo, quasi si avesse il dubbio, inserendovi un
elemento artificiale di decisionalità, che la spontaneità stessa dell’atto sessuale ne
rimanga compressa ed avvilita. Assumere dei contraccettivi, nell’ipotesi che non ci
siano evidenti e gravi pericoli in una gravidanza, ha l’obiettivo di permettere una

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migliore e più libera espressione del rapporto d’amore: se la sessualità ne viene
turbata divenendo insoddisfacente, i due potranno interrogarsi su quale sia l’elemento
di disturbo. Può accadere, infatti, che la decisione di non avere figli, presa un tempo di
comune accordo, sia divenuta pesante per uno dei due partners e che, quindi si possa
riesaminare serenamente se è ancora attuale per la coppia o se debba essere mutata.
Ma può anche accadere che si sia sottovalutata l’importanza di un elemento esterno al
rapporto più intimo e che la soluzione vada orientata non verso una procreazione ma
verso una maggiore capacità di intimità reciproca che un bambino, magari, turberebbe
anziché risolvere. La scelta del metodo anticoncezionale è una scelta delicata che deve
valutare le garanzie di efficacia tecnica ma che deve inserirsi profondamente nel
rapporto di coppia, su questo modellandosi o di questo rispettando le esigenze. Può
essere necessario un certo periodo di assestamento perché la coppia non si senta più
espropriata dal rapporto sessuale e ne riconquisti una padronanza non turbata;
possono entrarvi antiche convinzioni familiari, senso morale o religioso ma anche una
insofferenza a dover sentire come ridotto e condizionato un atto così privato.
L’impazienza di un partner può offendere profondamente chi denuncia la sua difficoltà,
quasi ci dovesse essere una norma che impone la gratuità emotiva di una scelta
razionale o ponderata con attenzione. Se in una coppia che ha deciso di non avere
figli, uno o l’altro o ambedue si trovano in difficoltà, questa va considerata seriamente
nella sua effettiva rilevanza cercando altri ambiti di coppia in cui l’intimità felice può
diffondersi a vitalizzare anche il campo sessuale od in cui si manifestino analoghe
difficoltà. Proprio per la sua peculiarità, il linguaggio sessuale racconta ben di più che
la storia del fare l’amore e può, in questo caso, richiedere una maggiore attenzione in
un campo trascurato, o sottovalutato come non importante, come può rivolgersi ad un
quotidiano appagante per apprenderne la lingua. E, come in altri momenti della
convivenza, si può indagare se l’elemento estraneo del contraccettivo non rimandi ad
una norma estranea contraria non devitalizzata nonostante la si sia sbrigativamente
tentato si cancellare; come, pure, una norma estranea assunta con troppa facilità nel
nome di una maggiore libertà di pensiero e di un progresso culturale che risulta,
invece, ostica se inserita nella realtà quotidiana. Comunque, mi sembra che si possa
affermare che nessuno può decidere su argomenti così delicati se non la coppia stessa
ma, anche, mi sembra che vada preservato con fermezza il diritto della coppia a non
saper tollerare una decisione presa, per quanto sua apparisse, o a dichiarare una sua
incapacità a far propria intimamente una posizione culturale razionalmente accettata e
difesa. Può, talvolta, costituire una buona risposta alle difficoltà l’uso alternato di
contraccettivi che permetta non solo di ripartirsi un carico scomodo ma, soprattutto, di

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approdare ad una migliore comprensione reciproca. L’uso di un contraccettivo
maschile può risultare di grave impaccio e, contemporaneamente, non vedersi la
possibilità di un contraccettivo femminile che non dia disturbi. Alternare, può
permettere di recuperare una maggior padronanza da parte della coppia che può
contemporaneamente sperimentare la difficoltà di comprendere l’imbarazzo dell’altro e
trovare una strada comune per superarla per entrambi. Non nel segno, dunque, di
“prova tu, se credi che sia così facile” ma in quel di “aiutami, provando la mia stessa
difficoltà a risolverla”.
Anche in questa occasione, l’intervento di altri, estranei alla coppia, può fornire un
interessante possibilità di confronto e l’offerta di soluzioni o di atteggiamenti che
possono entrare ad aumentare il patrimonio esperienziale della coppia, se questi non
vengono utilizzati per banalizzare la difficoltà o irriderne la fragilità o la poca maturità.
Tante gravidanze inaspettate si pongono come decisioni della coppia di rompere una
situazione troppo involuta nella sua complicazione inestricabile come anche dei
bambini troppo programmati possono inserirsi mirabilmente in una situazione che
attende solo loro per essere completa o far sorgere, invece, il desiderio nostalgico di
un’attesa mensile interrogativa ed incerta. Il programmare, infatti, la propria fertilità
di coppia può esaltare la dimensione creativa e felicemente espressiva di entrambi o
ritorcersi in una sensazione di appiattimento triste dove si invoca l’imprevisto
apportatore di novità e di entusiasmo.
Governare la propria capacità di creare, originare un essere nuovo che esprima, fuori
della coppia, ciò che la coppia ha prodotto nel suo ambito, vuole anche significare una
imponente testimonianza del come un rapporto di due persone supera i limiti dei due
partecipanti, di come può essere vero che non si riduce ad una sommatoria dell’uno e
dell’altro patrimonio esperienziale, affettivo, mentale ed emotivo ma si trasforma,
magicamente o miracolosamente, in una realtà assolutamente diversa che i due
patrimoni utilizza ma che possiede una sua propria vitalità autonoma. L’evento
straordinario della procreazione ogni volta riafferma che il rapporto fra due persone,
questa conciliazione dei diversi e degli opposti, genera vita nuova rigenerando anche
integralmente i due protagonisti. Gravidanza, parto e puerperio, oltre alla significanza
di un rapportarsi ad una creatura attesa, nata, accolta, simbolicamente ripetono e
concretizzano quel tema costante dell’essere due per divenire uno e poi ancora
relazionare in due. La gravidanza di un bambino, consegna alla donna la
conservazione e lo sviluppo della generazione dell’uomo e della donna perché, poi, la
donna possa restituirlo alla coppia dell’uomo e della donna. In modo
inequivocabilmente reale, viene rappresentata l’intera costellazione del rapporto di

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coppia, con una vita nuova cui ci si può rapportare fisicamente ed affettivamente,
ognuno in modo differente dall’altro, in un’autonomia armoniosa che glorifica la
differenza dell’individualità singola e non la rende individualismo. La donna resa
madre sperimenta una risposta del suo corpo a questa vita in formazione che ospita,
risposta che solo in parte è lecito controllare ma cui si può armonizzare la sua
risposta intellettuale ed affettiva, di donna, di membro di una coppia, su cui può
sintonizzare speranze ed aspettative ancora triplici per sé, per il bambino, per la
coppia, in un intersecarsi di tutti questi rapporti che ad ognuno restituisce nuova luce.
Analogamente, per l’uomo reso padre, l’essere esterno al suo corpo dell’evento
gestazionale, permette un diverso accoglimento di una donna invasa da una realtà di
coppia che doppiamente gli appartiene ed insieme doppiamente gli sfugge, orientato
ad una restituzione di una donna e di un bambino ambedue nuovi ad uno che, da
uomo e da compagno, si è trasformato anche in padre. Gestazione, dunque,
partecipata da ambedue così che ciascuno possa impersonarne un livello e trovarne
rispecchiato nell’altro uni diverso e mutevole, che corregge e completa il proprio.
Gestazione che, grazie a questo profondissimo dinamismo relazionale, in ogni attimo
richiede un nuovo equilibrio e nell’attimo successivo teme e rischia di perderlo: come
in altre occasioni, tanto più in questa così pregnante, la coppia in perenne
trasformazione scioglie continuamente il suo rapporto e lo reinventa, alternando
l’essere due e l’essere uno. In ogni momento la donna è sollecitate ad impadronirsi
della generazione di ambedue, spinta dalla indubbia realtà di un solo corpo, il suo, che
conserva e custodisce l’evoluzione vitale, in ogni momento può preferire di fermarsi
stabilmente ad esplorare il suo rapporto con il bambino escludendone il padre anziché
rinnovare l’andamento circolare di un moto che dalla coppia si divide nei due
protagonisti andando ad abbracciare il bambino e di nuovo alla coppia ritornando. Il
tema antico del timore di non poter riservare contemporaneamente più di un rapporto
esclusivo e vitale si riaffaccia a pretendere una soluzione più complessa e più matura
che più facilmente, dunque, può venire disattesa e mancata. In un gioco relazionale
così amplificato in cui vengono coinvolti tutti i livelli finora raggiunti ed a cui
partecipano tutte le figure significative della propria storia, genitori, fratelli, ed amici
dei due partners ognuno chiede una sua nuova definizione ed ognuno teme di essere
escluso. Il tema fisiologico della gravidanza mette alla prova tutti i tempi personali dei
protagonisti che, ora come non mai, richiedono di essere accordati e sintonizzati
perché ognuno possa essere presente assieme al presente di un bambino che nasce.
Passato e futuro vanno, così, ancora una volta riassunti ed elaborati da parte di
ciascuno perché ognuno possiede un tassello del tempo dell’altro confuso nel proprio

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ed è il momento di sperimentare un’ulteriore manifestazione della propria ed altrui
capacità di restituire senza perdere ma recuperando tutti. Il bambino che nasce dopo
aver utilizzato il corpo materno per la sua stessa esistenza, potrà, allora,
sperimentarne l’allontanamento non come morte e non più salvaguardia della sua vita
ma come evoluzione di un rapporto perché nessuno muoia. La certezza della coppia e
dell’intero complesso di rapporti che le fanno da coro e da contrappunto permetterà al
bambino di accostarsi ad una vita autonoma fiducioso che non lo si lascerà solo né che
ci si unirà di nuovo a lui come se non fosse mai nato; solamente con un bambino nato
ed esistente fuori di noi ci si può separare ed accostare ancora, prenderlo in braccio e
affidarlo ad altre braccia per poi ancora riprenderlo con noi. Un bambino sempre
dentro di noi non può essere accarezzato e cullato, non può essere riconosciuto per i
tratti nostri che porta su di sé, non può destare il nostro stupore intenerito per come
meravigliosamente li ha mescolati per trarne fattezze completamente nuove. L’evento
della nascita si colloca, così, a concludere un importante ciclo della vita di coppia,
permettendo ai due partners di abbandonarlo senza rimpianti e senza nostalgie perché
anche il sogno dell’immortalità si è inserito nella realtà quotidiana se per immortalità
intendiamo l’eterno rigenerarsi ogni volta in un mondo nuovo sconosciuto. La perenne
crescita e trasformazione della coppia e dei due protagonisti viene, dunque, riassunto
e confermata in una modificazione che porta il segno esplicito della creazione e della
vita invitando a sempre rinnovati scambi di affetti in una cerchia che si è fatta
famiglia. Il progetto di una vita di coppia, allora, dovrà trovare una sua altra
dimensione che affianchi la cura dei figli ma che non si esaurisca in essa. Per certi
aspetti, analogamente al loro primo approccio alla convivenza, i partners si troveranno
ad affrontare ancora, in relazione alla presenza dei figli, gli antichi problemi di
autonomia e di reciproca dipendenza che riecheggeranno le soluzioni date un tempo. I
gesti con cui viene cambiato un bambino, le discussioni sul tipo di allattamento o sul
come reagire al suo pianto nella culla vedranno muoversi i due partners accostati o
l’uno spettatore dell’agire dell’altro, li vedranno impegnati a rievocare ognuno gli
stessi riti dell’allevamento che un tempo hanno espresso nelle loro famiglie oppure
ambedue sorridere indulgenti di fronte al nonno che non resiste a sentir piangere il
nipotino. La scommessa di un gioco di vita in cui si può vincere tutti si propone con
una posta più alta ancora in presenza dei figli; così, anche, può ripresentarsi una
tensione maggiorata nei rapporti con le famiglie d’origine in cui l’ansia di non essere
esclusi dal circuito della vita chiede una ulteriore, più rassicurante conferma. I
genitori, divenuti nonni, interloquiranno con gli sposi divenuti genitori con uno
spessore più intenso che esige una disponibilità al dialogo assai più aperta. Può essere

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che si sia tollerato senza traumi, un tempo, la pesante interferenza materna e che
questa, assimilata allora, permetta una più cordiale capacità di trattativa sul golfino da
mettere al piccolo; in altri casi un’insistenza testarda da parte della madre più giovane
che afferma che il suo bambino non ha sete mentre la madre di lei ripete che almeno
un cucchiaio d’acqua gli potrebbe essere dato può rappresentare la rievocazione di un
timore non quietato a sufficienza sulla capacità di sopravvivenza da adulta di una figlia
percepita ancora come tanto piccolina. Il desiderio di esprimere l’affetto verso il
bambino appena nato sfiora il confine di un conflitto cruento per il suo possesso:
l’esperienza adulta che afferma di conoscere le esigenze dei bambini rischia di negare,
fra le righe, la novità assoluta di quel bambino. Frasi del tipo “ne ho tirati su tanti, ti
ho cresciuto io, saprò bene quel che si deve fare per un bambino!” possono andare a
significare che quell’incredibile evento della nascita di un proprio figlio non è poi così
magico e così commovente, costringendo la madre novella a rinchiudersi in una difesa
serrata della sua posizione appena conquistata. Diversamente, l’atteggiamento di una
nonna che afferma “dimmi bene come vuoi che te lo tenga, mentre tu sei assente”
facilmente evocherà nella madre del bambino risposte emotive che confermeranno la
maggiore esperienza dell’altra cui volentieri si affida il proprio bambino per riprenderlo
poi con sé vestito del golfino che si è preparato per lui. Il padre che ha strutturato
con la sua compagna un rapporto di reciproca confidenza, più facilmente si accosterà
a suo figlio senza nascondere l’incertezza dell’inesperienza ma chiedendo aiuto a fare
meglio. La moglie-madre che ha sperimentato la fiducia di un’alleanza protettiva in cui
le è stato permesso di sbagliare e di provare il dubbio senza riceverne una
diminuzione di stima e d’affetto, volentieri fascerà lentamente il bambino sotto gli
occhi del padre, guidando, poi, i suoi movimenti imbarazzati ed esortandolo ad
appropriarsi di suo figlio. La casalinga costretta in un ruolo di sudditanza, invece,
trarrà spunto da una sua capacità per riequilibrare il suo svantaggio e, se il padre
insiste, lascerà che faccia, attendendo l’errore per costruirvi la dimostrazione
lampante che del bambino è meglio si occupi lei; salvo, in altri momenti, dimostrarsi
affranta dal peso tutto sulle sue spalle e convoca il marito ai suoi doveri di padre, non
quando lui ne ha desiderio ma quando lei decide che vada bene per il bambino.
All’inverso, il padre che si è sempre gloriato di una sua superiorità derivatagli da un
suo non essere coinvolto in “faccende di donne”, che si è vantato con gli amici di non
aver mai lavato i piatti e di non sapere come si tiene il ferro da stiro, può trovarsi a
dover chiedere aiuto alla moglie per poter accedere a suo figlio; alcuni padri riescono,
in queste occasioni a bonificare la divisione di un tempo riaccostandosi alla moglie in
un rapporto più rispettoso e di stima, sempre che ci sia stato lo spazio affettivo

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nell’ambito di coppia per un desiderio di unione che superi la vendetta. Altri, invece,
continuano ad inscrivere nel mondo femminile, e come tale svalutato, anche la nuova
esistenza del figlio, rimanendone al di fuori, e pagando un prezzo altissimo di
esclusione che viene, magari, negato con progetti grandiosi sul figlio quando “sarà
grande”.
La richiesta di un rapporto di coppia da conservare anche in presenza di una nuova
esistenza, si colorirà, così, della dimensione conflittuale che porta ad esigere il debito
coniugale o della dimensione cordiale di un nuovo essere umano che reciprocamente
ci si è donati e che fa sorgere il desiderio di incontrarsi per darsi amore e per
esprimere conferma e gratitudine. Il figlio, può costituirsi come un ampliamento della
coppia che liberamente passa da una situazione di due ad una di tre per poi accedere
ancora a quella di due come può divenire un accordo tacito per i due partners di
mantenere in vita il loro essere genitori spostando sul figlio un progetto di felicità e
lasciando che lentamente l’ambito di coppia si svuoti del suo significato e si restringa
fino ad estinguersi.
Un gioco difficile, la vita di coppia! Ma, avanti, signori, la scommessa è sempre aperta.

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