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Pietro De Marco

Des jardins et des bateaux

mostra, 23 febbraio-15 marzo 2017, Immaginaria arti visive Gallery, via guelfa, 22/ar, Firenze

Mi si perdoni unautopresentazione. Non solo non ho voluto coinvolgere amici obbligandoli a presentare
oggetti che fino a pochi mesi erano riservati, poco visibili, ma ho avvertito il bisogno di chiarire come tutto
questo sia nato. Chi mi conosce avr unimmagine di me come persona di riflessione e di studio, magari
quella di saggista e di polemista. La insospettata dimensione artistica (se e in quanto vi ) appartiene agli
interstizi. Ma ha sorpreso anche me che queste sculture e non solo, diciamo questi collages polimaterici bi
e tridimensionali (per usare il gergo degli specialisti), cos come mi sono venuti, si siano naturalmente
collocati nel Novecento delle avanguardie e delle loro filiazioni.

Perch sorpreso? Perch dei novecentismi e delle avanguardie sono, sul piano della riflessione, molto
critico e da tempo. Il Novecento come progetto-utopia della irreversibile rottura e dellassoluta novit,
fallito su ogni fronte, su quello delle arti (dal teatro allarchitettura alla musica) non meno che su quello
delle rivoluzioni politiche. Il pensiero delle avanguardie si rivela essere, nella sostanza, una moderna gnosi;
teorizza e persegue unaltra realt, una trascendenza solo onirica, irraggiungibile perch im-possibile. Ma il
fare artistico effettivo resta operante, in noi, nel nesso estetico occhio-mano, quasi ci avesse penetrato di
s: deposito, contaminazione, nuova disposizione che sia. Cos quando certi momenti della mia vita hanno
cominciato a saturarsi di azioni affini a quelle artistiche, lo slittamento a cose astratte stato molto
rapido. Un Novecento ha subito prevalso e non basta a giustificar la cosa il deposito nella memoria di
decenni di attenzione allarte occidentale e al moderno.

Autodidatta. Da bambino facevo qualcosa di pi della comune creativit infantile. Da adolescente


disegnavo, volentieri anche dal vero (ricordo me stesso di fronte al Prseo in Piazza della Signoria; il
professore di disegno poi mi bistratt perch pensava avessi copiato da una cartolina). Ma ho anche molto
giocato col Meccano; so smontare e rimontare oggetti. La mia manualit assieme alla spontaneit della
visualizzazione grafica mi hanno reso attraente la lettura del disegno tecnico (macchinari, edifici) estraneo
ai miei studi. Che centra? Edificio e macchina sono in arte lossatura del Plastico, della Spazialit e del
Visionario: manierismo e barocco. Mi ero per fermato, attorno ai 15 anni, di fronte allostacolo delle
tecniche classiche di pittura, che avrebbero richiesto un maestro e molto tempo per recuperare il ritardo.
Preferii, senza incertezze, la scuola. Ho ripreso occasionalmente, con pause di decenni. Nel 1968, alcuni
disegni a china. Nei primi anni Novanta dei pastelli. Una diecina di anni dopo dei disegni col bianchetto (una
curiosit con piacevoli risultati) su cartoncino nero. Poi, dal 2011, nella pace della casa di vacanze in collina,
linizio degli smalti in chiave pittorica (piccole pitture col comune smalto per le unghie) e delle composizioni
tridimensionali, prima di memoria costruttivistica, poi sempre pi saldature (Krauss) polimateriche. Ma
non ho mai pensato di nobilitarmi cos. Mi divertivo, forse -e meglio- mi alleggerivo di una saturazione di
immagini. (Presento qui solo alcuni smalti astratti, riservando alla pittura unaltra mostra.)

Com avvenuto? Se si prescinde dalle teorizzazioni (manifesti, programmi) delle avanguardie, si capisce (
lho capito meglio su di me) che tutto nel loro Novecento essenzialmente sempre ricerca e cattura di
forme, nellesplorazione e nella cattura (materiale o figurale) del gi formato extra artistico, diciamo cos:
oggetti della ripetibilit tecnico-industriale, anzitutto, ma anche, e molto presto, forme estratte dai depositi
di oggetti, quali sono le nostre case, e di resti, di scarti che le nostre case espellono. Forme non altrimenti
accessibili e nemmeno pensabili. Non dimentichiamo che nuova oggettivit, una formula ritornante nel
Novecento, significa non oggettivit di sguardo in pittura ma, eversivamente, esibizione come pittura (o
scultura) di oggetti sussistenti, trouvs, ready made. Dunque dalla figurativit alla massa, al concreto, del
materiale stesso.

In effetti le composizioni o costruzioni, che io chiamo anche sculturine, nascono nel 2011-2012 nella
disponibilit di quei materiali che si accumulano facendo lavori in casa: ritagli di legno, filo elettrico,
ferramenta, congegni rotti o smontati, residui in plastica o polistirolo (imballaggi, che spesso mi
stupiscono). Ho una particolare vibrazione di fronte agli oggetti nati dal design e dalla pratica tecnica. Oltre
alla fascinazione delloggetto (parziale e/o scartato; il titolo di una lontana mostra viennese del 1980), va
sottolineato che nelle sculturine, come degli smalti, agisce la casualit. Uso quello che disponibile nel
momento dato, deliberatamente. Se non c un colore, un altro; se cerco una vite e trovo un bullone uso il
bullone; se manca il filo di zinco, dispongo diversamente i pezzi ecc. Le cose in legno dipesero da avanzi del
mio falegname di Tosi; a Firenze non li avr pi. Quello che a portata dunque vincolo e chance, la quota
di casualit che porge limprevisto e decide della tua decisione. Aggiungo: nelle mie cose iniziali le
memorie costruttivistiche (il polistirolo nero) sono evidenti. Nelle successive sono state mascherate, non so
se sostituite, dagli universi proliferanti e colorati dei giardini e dei battelli, dei totem e degli uccelli mitici,
variegate metamorfosi di oggetti comuni. Troppo pittoricismo, direte; troppi riconoscimenti di realt, con
ma anzitutto contro gli orientamenti e le pratiche dellArte povera, cui rinvio ogni tanto per semplicit. Un
costruttivismo perenne tra Arte povera e post-pop Art?

Certo per me, del tutto istintivamente, il modo di ri-proposizione della particella materiale che utilizzo un
riappaesamento. Per favorirlo, almeno dopo le chiatte e le minisculture sempre del 2011-2012, ho spesso
cancellato con tocchi di smalto lidentit del pezzo. Sintende che si tratta di una cancellazione simbolica
(meglio: segnaletica) che non vieta la ricerca della provenienza; un mio atto di possesso, lesercizio di un
diritto a disporre. Si coglier un momento dinfanzia in tale cannibalizzazione che vira sullestetico. Ma non
va troppo sottolineato. Sotto il segno del peccato originale ed anzi nella massima vicinanza ad esso (come
pensava Baudelaire con Agostino) il bambino rompe per curiosit, resta inappagato del giocatolo rotto,
sotto il peso dellassurdit del risultato. Diversamente ladulto.

Il colorato riappaesamento di pezzi dplacs avviene anche perch non uso ritagli, lacerti, per teorizzare la
spazzatura del Mondo. Nulla di pi estraneo al mio realismo metafisico cristiano: questo mondo non il
Male. Nellassemblare, gli scarti sono riscattati ad un godimento estetico, semplicemente, ovvero con un
tanto di artifizio. I risultati sono realt nuove come ogni produzione doggetto, ma non sono n
simbolizzano una nuova Realt o una contro-Realt. E non sono decostruzione. Il decostruzionismo procede
da una concezione della forma, di ogni forma data e accetta al senso comune, come patologia ontica.
Unarte che cresca in clima decostruzionistico vorr rendere palese quella patologia, aspirer a produrre
enti rigenerati, produrr mostri che non accetter essere tali.

Mi viene da pensare che lo sguardo che presiede alla cernita dei materiali sia simile allo sguardo del povero
[certo, anche dellavaro] che scruta quanto si pu conservare di quello che altri gettano (recipienti
abbandonati, scatolame aperto, vecchi oggetti forse ancora utilizzabili). Fu forse lo sguardo di Andy Warhol
vissuto a lungo in un quartiere degradato. A guidare lartista sono lanaloga avidit degli occhi e delle mani;
lemozione retinica che non piaceva a Duchamp (ne temeva lestetismo) e lestasi del mettere-insieme, del
dar corpo.

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[profilo biografico]

Pietro De Marco, nato a Genova nel 1941, si trasferito in Toscana nel 1949 e presto a Firenze. Ha
formazione prevalentemente fiorentina. Laureato in filosofia, ha sviluppato ricerche religionistiche, tra
filosofia e storia, etnologia e sociologia. Ha insegnato in diversi ruoli e su diverse discipline, storiche e
sociologiche, dal 1971 presso le Facolt di Lettere e Filosofia, di Magistero (poi Scienze della Formazione) e
di Scienze Politiche dellUniversit di Firenze e presso lISSR della Facolt Teologica fiorentina. Ha
collaborato, in sede accademica, con storici dellarte e ha esplorato da vicino la produzione di Quinto
Martini. E in pensione dal 2012. Svolge dal 2002 attivit di saggista e opinionista sulla stampa nazionale e su
siti specializzati, occupandosi anche di arte e architettura sacra contemporanea (critica e teoria). Ha
ripreso dal 2011 a sperimentare con continuit in ambito artistico. Parte della produzione 2011-2016
presentata, limitatamente alle sculture, in questa mostra Des jardins et des bateaux.

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