Vous êtes sur la page 1sur 238

QV S O M M A R I O 4/2016 Luglio Agosto

1
Americani, dittatori, terremoti Renzi cambia 47 articoli della
Quaderni Vicentini 3 Costituzione in un colpo solo
Fulvio Rebesani 119
A G O R Referendum: ANPI, CGIL,
Zagrebelsky, Rodot dicono NO
Tribunale colabrodo: leggi alle voci Fulvio Rebesani 126
Hllweck, Variati, Maltauro 5 Aldo Moro, centanni dalla nascita
Giorgio Marenghi Luomo che credeva nella politica
Fine della Fiera: matrimonio Mario Pavan 135
islamico con Rimini Luomo, la caccia, la cucina,
Pino Dato 13 la storia
Fiera, bilancio 2015: piccoli indizi Alfredo Pelle 139
di grande sofferenza La caccia oggi: inquinamento
Vittorio Cabe 18 da piombo?
Fiera:un esposto, tanti conflitti Gianni Padrin 149
dinteresse La caccia oggi: il bollettino di
Quaderni Vicentini 20 guerra
28 ottobre 2016: marcia su Rimini Gianni Padrin 150
di allegri vicentini per svenderla
Quaderni Vicentini 23 R A D I C I
La mafia a Vicenza. La cattura di
Madonia a Longare nel 1992 Addio a Dante Caneva: il pi
Giorgio Marenghi 27 vecchio dei Piccoli Maestri
Piddu a chiacchera, 24 anni Roberto Pellizzaro 153
di carcere, una cupola di cemento Storia di Boso Roi: lultimo
Giorgio Marenghi 39 mecenate, lultimo marchese
Bacino di Caldogno insufficiente. Carmelo Conti 155
Il rischio idraulico continua La dinastia delle cucine: i Fortuna
Giovanni Baldisserotto 44 Pino Contin 177
Pfas e i suoi fratelli: gli inquinatori Dopo un secolo di storia il divano
veneti e i loro protettori si mangia la cucina
Gianni Padrin 51 Pino Dato 194
Popolare. Lultimo boomerang Era il 17 Floral. Restano
di Zonin prima del disastro abolite le tasse
Quaderni Vicentini 60 Vittorio Cabe 196
Gli Americani a Vicenza. Ferruccio Manea e Ferrer Visentini
La giustizia filologica esiste due antifascisti della nostra storia
Pino Dato 69 Gianni Sartori 198
Trentanni senza Parise II
Il ritorno definitivo nel suo Veneto
Pino Dato
LAmerica e il Colosseo di plastica
73 M N E M O S I N E
Goffredo Parise 87
La tassa sui sentimenti Gino Rossi: il grande pittore
Vittorio Cabe che lItalia volle postumo
88
Giangiacomo Gabin 206
L y C E U M Cecilia Bartoli a Ginevra
Il sogno di Canova Alberto Milesi 215
Lucio Panozzo 90 I pontili galleggianti di Christo
Di sana pianta Keti Candotti 223
Beppa Rigoni 105 Cuba, Mercedes: fiera del mio Paese
Loic Seron, un francese Mario Pavan 225
innamorato dellAltopiano Metti, una sera al cinema estivo
Beppa Rigoni 109 sotto una volta di stelle
Sulla illegittima formulazione Toto Cacciato 229
del quesito referendario Gli americani lo fanno meglio?
Giuseppe DElia 113 Pino Dato 233
Quaderni Vicentini
2 Rivista bimestrale 4/2016. Numero di Luglio Agosto 2016
Registrazione del Tribunale di Vicenza n. 2154/13 del 9 settembre 2013
Stampa: ATENA NET - Grisignano (Vicenza).
Numero uscite per anno: 6 (sei).
Scadenze: 20 marzo (gennaio/febbraio), 20 maggio (marzo/aprile),
20 luglio (maggio/giugno), 20 settembre (luglio/agosto), 20 novembre
(settembre/ottobre), 20 gennaio (novembre/dicembre).
Prezzo di un fascicolo (Iva assolta): 12 (dodici) Euro.
Numeri arretrati il doppio.
Abbonamento annuale (6 numeri): 50 (cinquanta) Euro.
- Versamento tramite bonifico bancario.
IBAN IT92 X057 2811 8100 1057 0528 228 - beneficiario Dato Dedalus Libri
(specificare causale: Abbonamento Quaderni Vicentini). L'abbonamento partir
dal primo numero successivo al versamento. Specificare il proprio indirizzo.
Informazioni su abbonamenti con spedizione postale: telefono 3355483041,
email: redazione@quadernivicentini.it oppure pinodato@gmail.com
Distribuzione: librerie e principali edicole.
Editore: Dedalus Libri, contr Vittorio Veneto, 13 36100 Vicenza.
Direttore Responsabile: Pino Dato
Vice Direttori: Beppa Rigoni, Lucio Panozzo
Comitato tecnico-scientifico: Ciro ASPROSO, Daniele BERNARDINI,
Giovanni BERTACCHE, Adriano CANCELLARI, Carmelo CONTI,
Emilio FRANZINA, Giangiacomo GABIN, Alfredo PELLE,
Roberto PELLIZZARO, Fulvio REBESANI

Autori e Collaboratori
Franca ARDI Giovanni BALDISSEROTTO Federico BAUCE Sara BELPINA-
TI Giuseppe BERNARDINI Giuseppe BERTONCIN Valentina BOSCAGLIA
Vittorio CABE Toto CACCIATO Renato CAMURRI Gianfranco CANDIOLLO
Keti CANDOTTI Beppe CAROLLO Carmine CARRISI Fiorenza CONTI Pino
CONTIN Sonia DADAM Sandro DAL FIOR Franco DALLA POZZA Simo-
ne DATO Stefano DATO Giuseppe DELIA Simona DE SIMONI Valentina
DOVIGO Stefano FERRIO Giordano FRANCHINI Rino GENTILE Claudio
GIRARDI Elisa LO MONACO Antonio MANCINI Giorgio MARENGHI Paolo
MARINELLO Alberto MILESI Massimo NICOLI Matteo NICOLIN P. Ser-
gio M. PACHERA Gianni PADRIN Gaetano PALERMO Virgilio PANOZZO
Mario PAVAN Luigi POLETTO Carla PONCINA Giuseppe PUPILLO Ro-
berto RECH Sonia RESIDORI Sereno SALION Francesca SANSON Gianni
SARTORI Amanda SEPE Maria A. SERRA Ronny SPAGNOLO P. Giorgio
M. VASINA Antonio VIGO Andrea VOLLMAN

Progetto grafico: Dedalus Libri


Fotografie: Dedalus, Beppa Rigoni, Giorgio Marenghi.
In copertina: Foto di Giuseppe Piddu Madonia.

Pino Dato, Dedalus Libri


I manoscritti inviati non saranno resi e la redazione non risponde per la loro even-
tuale perdita. QUESTO NUMERO STATO CHIUSO il 3 settembre 2016.
ISBN 978-88-940851-9-8
Alla ricerca del significato delle cose
QV Quaderni Vicentini 4/2016
3

Americani, dittatori, terremoti


Nel momento in cui scrivo questo editoriale non so chi sar il
nuovo presidente degli Stati Uniti dAmerica mentre voi, cari lettori, quando
avrete in mano questa rivista, lo saprete. Il livello della competizione cui
abbiamo assistito a distanza non stato eccelso. Si sono fronteggiati due
soggetti che non rappresentano, comunque, il meglio dellAmerica, ma forse
neanche il peggio. Sono due soggetti come tanti altri, indifferenziabili da altri.
Il limite della democrazia e del gioco democratico, assistendo a questi duelli,
purtroppo evidente e altissimo. Non si fronteggiano la destra e la sinistra.
Se fosse cos, con tutti gli ulteriori limiti di questa ipotesi, il voto avrebbe un
senso, una direzione idealistica (o ideologica) e il vincitore potrebbe essere
riconosciuto come rappresentante di unidea degli stessi elettori.
Non si fronteggiano nemmeno i rappresentanti di due idee diverse di societ.
Si fronteggiano due soggetti, Trump e Clinton, che hanno molte cose in
comune (al di l del modo in cui le vivono e i concetti che esprimono) coorti
abbastanza simili di supporters, finanziatori quasi identici (nel senso della
provenienza sociale). Al di l delle bucce di banana dove, ora Trump ora
Hillary, sono scivolati, il dibattito non mai andato alla sostanza delle cose
che interessano gli americani e il resto del mondo. Entrambi hanno eluso
sempre la sostanza.
Affrontandola, avrebbero probabilmente reso ostili al proprio nome grandi
fasce di elettori, ora delluno ora dellaltra. La campagna elettorale, insomma,
stato uno show. Come tutti gli show ha avuto i suoi lustrini, i suoi fuochi
artificiali, le sue gaffes. Ma il mondo che strada prender?
Il presidente americano importante per tutti. Gli Usa sono la nazione pi
potente, che mantiene la vocazione di voler indirizzare i destini del mondo.
Obama, a mio avviso, stato un buon presidente. Con questo stato delle cose
non poteva fare di pi di quello che ha fatto. Ho limpressione che, comunque
vada, gli americani e il mondo rimpiangeranno Obama, il suo stile, la sua
onest, la sua cultura (senzaltro superiore a quella media di molti uomini
e donne che guidano vari paesi nel mondo).
Ho limpressione anche che da questa logica dello show, nel fare politi-

4
ca, non usciamo in Occidente: e penso anche al prossimo referendum
confermativo di una modifica costituzionale italiana voluta dal capo del
governo Renzi: una cosa che nessun paese del mondo avrebbe consentito.
Non si tratta qui di essere equanimi verso il s e verso il no. Il s alla riforma
un non-senso. Per il metodo e poi per il merito. Il s non ha ragioni che
si possano ammettere pur votando no. Mentre il no ha solidissime ragioni
che anche chi vota s deve ammettere. Il s un non-senso logico e politico.
Che ragioni pu avere un non-senso?

Due terremoti. La banca Popolare di Vicenza e il terremoto del Centro


Italia. Due prove difficili. Da assorbire entrambe nei tempi lunghi. Due non-
speranze? La ricostruzione in centro Italia ci sar, ma sperare che lItalia
diventi previdente dopo lennesimo terremoto da incoscienti. Nel settore
pubblico, collettivo, siamo incapaci di programmazione e di previdenza. Il
pubblico serve solo alle carriere dei privati. Il resto noia.
Il terremoto della Banca vicentina devastante. Lattuale amministratore
voluto da Atlante (che ha messo 1,5 miliardi di euro per salvare la banca dal
fallimento), Mion, ci dice che dovr licenziare 1500 persone. Sono chiamate
esuberi in termine tecnico. La devastazione della Popolare non ancora
terminata. La borghesia che domina Vicenza e lha dominata in tutti questi
ultimi ventanni silenziosa. Che dire? Ha sempre ammirato Zonin. Ha
ricevuto ampi benefici. Adesso cerca di dimenticare. Ma chi ha perso tutti i
risparmi non dimentica. La cosa che pi deve scandalizzare lassenza totale
della politica. Avete mai sentito Variati? E i giornali vicini a Zonin? Ogni
giorno una notizia (inutile). Serve ad attenuare, a far digerire meglio. Le
disgrazie meglio se sono offerte a spizzichi e bocconi. I depositi se ne sono
andati, il capitale non c, Atlante indecisa se mettere altri soldi e chiede
aiuto. La semestrale 2016 della banca chiude con una perdita di 795 milio-
ni. La Popolare, dice Stefano Righi sul Corriere, gi tecnicamente fallita.
Del resto: come fare lo sviluppo senza capitale sociale, che quello definito
di rischio? Il capitale che cera, che nessuno pensava di rischio, si volati-
lizzato. Dovrebbe arrivare il capitale di un folle, o di un dittatore. Non ci sono
proprio speranze: il dittatore lo avevamo gi e non ce ne eravamo accorti.
TRIBUNALE COLABRODO 5
LEGGI ALLE VOCI
HLLWECK, VARIATI
E MALTAURO
Il peccato originale del pasticcio di Borgo Berga fu dellex
sindaco Hllweck, che disse candidamente: Non abbiamo
avuto il tempo di guardare le virgole. Purtroppo le virgole
non le guard neanche il suo successore Variati, che anzi
peggior le cose, e gli effetti si vedono: il nuovo tribunale
un mostro ecologico che, oltre a tutto, non funziona. Il terzo
protagonista del peccato collettivo la societ costruttrice,
che fa capo al gruppo Maltauro, che tiene peraltro aperto
un contenzioso con il comune di Variati cui addebita la
responsabilit di una mancata obbligatoria manutenzione
ordinaria. Chi paga, e pagher in futuro, la citt di
Vicenza, amministrata malissimo, che ha perso un gioiello
urbano-ambientale come Borgo Berga ed a rischio
di declassamento dellUnesco
CIRO ASPROSO

I nfiltrazioni dacqua nei muri, crepe e cedimenti strut-


turali, impianti di raffreddamento
e riscaldamento mal funzionanti,
tubazioni occluse e stanze impra-
ticabili. No, non stiamo parlando
dei danni del terremoto, e grazie a
dio qui non si contano n vittime
n sfollati. Tuttavia la situazione in

I due sindaci, sulla terrazza...


Uno scorcio del nuovo Tribunale

6
di Vicenza, Borgo Berga. La
scorciatoia del Piruea ne fece
decollare il progetto contro
qualsiasi logica pianificatrice.
Arrivarono i soldi pubblici
e questo scaten la corsa degli
avidi e degli incoscienti
(pubblici)

cui versa il Tribunale di Vicenza (Borgo Berga) ha molto in comune


con gli effetti di un cataclisma, solo che le cause non erano del tutto
impreviste, e anzi le avvisaglie di quanto sarebbe successo in seguito
erano gi intuibili qualche anno fa.
Tutto ebbe inizio con i PIRUEA: Programmi integrati di riqua-
lificazione urbanistica, edilizia ed ambientale in attuazione. Essi
furono inseriti nella legislazione urbanistica del Veneto nel 1999 allo
scopo di imprimere una forte accelerazione (con apposite corsie
preferenziali) agli iter di approvazione delle Varianti ai Piani
Regolatori comunali per aree particolarmente degradate o siti in-
dustriali dismessi. Questo, a patto di stipulare degli specifici accordi
pubblico-privato per realizzare non solo nuove edificazioni, ma anche
opere di interesse pubblico, beneficiando dei capitali privati investiti
nellintera operazione.
Purtroppo, come spesso accade quando difettano letica e lamore
per il bene comune, si parte da una buona intenzione e ci si ritrova a
contare i danni delle cattive azioni.

Il piano Crocioni richiedeva prudenza ed equilibrio


per il trattamento di unarea delicata come Borgo Berga

Negli anni 2000, lamministrazione Hllweck affid incarico al prof.


Crocioni di redigere un Documento Programmatico Preliminare al
nuovo PRG, come strumento di pianificazione strategica e in consi-
derazione della necessit di fornire un nuovo assetto urbanistico a
una citt che si era sviluppata in maniera non sempre omogenea ed
equilibrata. Secondo Crocioni le aree dismesse e i siti ex industriali
avrebbero dovuto svolgere un ruolo importante nel disegno di rias-
setto urbano, essendo vocate a ospitare funzioni eccellenti a servizio 7
della citt e del suo hinterland.
Furono individuati 5 comparti di maggior spessore urbanistico:
Ferrotramvie Nuovo Teatro Zambon sud e Centrale del Latte ex
Marzotto ex Cotorossi e Fro Maltauro.
Lipotesi di insediare un nuovo Tribunale nellarea dellex Cotorossi
cominci a prendere corpo in quella fase, ma solo a livello di ipotesi,
tant che nel Documento Preliminare era esplicitamente dichiarato:
lidea viene qui avanzata in via di prima ipotesi, (Tribunale, ndr)
in quanto si tratta di un programma ancora in corso di definizione,
che vede il coinvolgimento del Ministero di Grazia e Giustizia e na-
turalmente del corpo dei Magistrati e degli Avvocati che operano
nel Tribunale di Vicenza .
unarea di grande suggestione, in ragione della presenza assai
significativa dei due corsi dacqua del Bacchiglione e del Retrone,
che qui convergono e di cui leggibile ancora oggi una relazione
mirata agli antichi usi industriali, che non dovr andare dispersa
nei nuovi assetti progettuali.
Il Comune orientato a trattare questa tematica, in rapporto
alle diverse possibili alternative (ampliamento del vecchio Tribuna-
le, trasferimento nella sede AIM, ndr), con prudenza e cautela, per
costruire le ragioni di un serio processo di convergenza e di reale
fattibilit
Insomma, pur con tutti i limiti, le criticit e le scelte non condivisibi-
li, il Documento Programmatico Preliminare collegava i vari
interventi di pianificazione in una visione dinsieme che teneva conto
dei cambiamenti avvenuti e tentava una riorganizzazione del territorio
in senso pi equilibrato, con lobiettivo di preparare il terreno a un
nuovo Piano Regolatore Generale.

Tutto cambi con il Piruea del 2003


(oggi prescritto)

La vera furbata fu adottare il Piano Crocioni al fine di ottenere una


legittimazione di carattere strategico, trasformando i comparti in
esso individuati in altrettanti PIRUEA (che sono la negazione della
filosofia pianificatoria), mantenendo tutte le previsioni del vecchio
PRG e riducendo il tutto a una mera mercificazione dei terreni.
8

Larea fra due fiumi, in bilico sul greto, stata sequestrata su disposizione della
Procura di Vicenza. Loperazione di sequestro (particolare significativo) stata
effettuata dalla Guardia Forestale. Latto conseguente allazione giudiziaria che
vede indagato, per abuso dufficio e per danno erariale a favore di privati conta-
bilizzato in 11 milioni di euro, il direttore generale del Comune di Vicenza, Anto-
nio Bortoli, a suo tempo direttore dellUrbanistica.

Per quanto riguarda il caso specifico di Borgo Berga, nel 2003 fu


prontamente approvato il PIRUEA ex Cotorossi che grazie alla pre-
visione del nuovo Tribunale riusc ad attrarre denaro pubblico e, in
questo modo, pot resuscitare anche i terreni del privato (FIN.VI
srl) ottenendo limmediato interesse del mercato immobiliare.
Scelta quanto mai infausta e paradossale se si pensa che il Comune
aveva molte aree di sua propriet cos dette aree doro - che finirono
per essere sfavorite da questa competizione col privato e permango-
no ancora oggi inutilizzate (anche a causa della sopraggiunta bolla
immobiliare), valendo ormai meno del bronzo.

Hllweck: le chiama virgole

Fu una corsa contro il tempo quella che port a Vicenza i 24 milioni


di euro di finanziamenti statali: un progetto estratto in tutta
fretta dai cassetti del Ministero, e una lunga serie di forzature a leg-
9
DICIOTTO
INDAGATI
Antonio Bortoli,
direttore generale del
Comune di Vicenza.
Dopo di lui la Procura
ha messo sotto inchiesta
altre 17 persone e le
ha iscritte nel registro
degli indagati. Rispon-
dono di lottizzazione
abusiva ex dirigenti
comunali, progettisti,
vertici della Maltauro e
di Sviluppo Cotorossi.

gi e regolamenti per condurre a termine loperazione. In occasione


dellinaugurazione ufficiale (dicembre 2012), Hllweck volle accre-
ditarsi il merito di aver dato a Vicenza il nuovo Tribunale, ma fu
costretto ad ammettere: non avemmo il tempo di guardare le
virgole. Appunto, e il risultato sotto gli occhi di tutti.
Questo fu il peccato originale, ma quelli che vennero dopo non furono
certo da meno e quanto a responsabilit davvero una bella gara.
Forse Variati non avrebbe potuto contraddire completamente gli
impegni presi dal centrodestra (come si aspettavano molti dei suoi
elettori), ma mettere un po di punteggiatura a quel Piano realizzato
senza virgole avrebbe consentito, se non altro, di evitare un bel po
di guai. Invece la nuova Amministrazione riuscita addirittura a
peggiorare le cose.

Tutti gli abusi e le furbizie dellimmane pastrocchio

Riprendo gli esiti del rapporto redatto da Sel e Mov. Cinquestelle per
ricordare sommariamente un po di questioni:
1) Il Piano dArea dei Monti Berici considerava il complesso industria-
le dellex Cotonificio Rossi manufatto di archeologia industriale
da conservare e tutelare, ma il primo PIRUEA fu adottato in contrasto
con tali norme.
2) Gli standard a verde pubblico previsti dal DM 1444/68 e dalle
Leggi Regionali 61/85 e 11/04 devono essere fruibili dai cittadini.
10

Vicenza, a causa dello scempio di Borgo Berga, ma non solo, nellocchio del ciclo-
ne a livello nazionale. Qui sopra un servizio di Repubblica.it

Mentre in questo caso la maggior parte della superficie verde quella


spondale (con inclinazione di 40) e quella destinata al maschera-
mento dei parcheggi interrati.
3) Il parere di compatibilit idraulica fornito dal Genio Civile si basa
su dati non corrispondenti a quelli forniti dal PIRUEA.
4) Il nuovo Tribunale e ladiacente Ipermercato risultano edificati a
una distanza inferiore ai 10 metri dal fiume.
5) Mancato versamento del contributo di costruzione.
6) Mancato svolgimento della Valutazione Ambientale Strategica.
Com noto (essendo prescritto il PIRUEA del 2003) la Magistratura
vicentina ha in seguito avviato unindagine nei confronti del Diret-
tore del settore urbanistica, Antonio Bortoli, con laccusa di aver
favorito i costruttori a danno del Comune e di non aver vigilato sulle
distanze dagli argini fluviali. La Variante approvata dal centrosinistra
nel 2009 avrebbe consentito modalit edificatorie illegittime atte-
stando anche in maniera falsata la proporzionalit delle prestazioni
corrispettive fra privato e Comune. Tradotto in parole povere vi sono
almeno 11 milioni di euro che il Comune avrebbe riconosciuto alla
nuova propriet (Sviluppo Cotorossi Maltauro) per opere e
corrispettivi mai forniti.
Insomma, un bel guazzabuglio politico-amministrativo, cui si aggiun-
ge la grana pi recente del Tribunale colabrodo.
Perch Variati non chiede i danni al costruttore?

Il Palazzo di Giustizia fu progettato dallarchitetto Michele Valen-


tini e realizzato dalla CODELFA S.p.A. (Azienda che era in societ 11
con la SVILUPPO COTOROSSI, ma che oggi non esiste pi, poich
assorbita dalla controllante ITINERA). Lultimazione dei lavori av-
venne nel 2009 e, come detto, linaugurazione nel dicembre 2012.
I primi problemi si presentarono gi nellestate dellanno seguente
quando ci si accorse che limpianto di condizionamento era insuffi-
ciente. Da allora fu tutto un calvario di problemi, dagli ascensori fuori
servizio alle pozzanghere negli uffici, dalle crepe nei muri ai cedimenti
strutturali, dai difetti di climatizzazione alle aule di giustizia senza
linea telefonica.
La reazione di Variati di fronte allo scandalo a dir poco sospetta.
Nei primi tempi, quando le magagne cominciavano a palesarsi con
una certa frequenza, egli non mancava occasione per esternare il suo
sconcerto e minacciare contromisure. Poi, via, via che si svolgevano
i sopralluoghi si passati dalle minacce alle prove dintesa.
Ma come, dir luomo della strada: sono trascorsi appena 4 anni
dallinaugurazione e gli effetti sono comparabili al passaggio di un
cataclisma. Perch non chiedere i danni alla societ costruttrice?
Bella domanda, sebbene le cose possano non essere esattamente
come sembrano.
Il collaudo finale di unopera pubblica deve avvenire entro 6 mesi dal
termine dei lavori, salvo casi particolari. Una volta redatto il certifi-
cato di collaudo, devono trascorrere 2 anni prima che questo abbia
valore definitivo ma, decorso tale termine, il collaudo si considera
tacitamente approvato.
Lappaltatore risponde per le difformit e i vizi dellopera, purch
denunciati dal soggetto appaltante prima che il certificato di collaudo
assuma carattere definitivo.

Codelfa dice: la causa di tutto lincuria


del Comune di Vicenza

La propriet del Tribunale del Ministero di Grazia e Giustizia, ma


secondo gli accordi le opere di ordinaria manutenzione sarebbero
toccate al Comune di Vicenza fino al settembre 2016.
Inizialmente, il Comune accusava Codelfa di non aver eseguito i
lavori a regola darte e addirittura di aver abbandonato sul tetto dei
materiali di costruzione che sarebbero la causa principale dei danni
Il sindaco di Vicenza,
Achille Variati: dalle

12
minacce (vaghe) alle prove
dintesa con i costruttori.
Mai nominati.
N dal sindaco n dal
quotidiano di riferimento.
Eppure Codelfa accusa il
comune di incuria

di ostruzione delle
tubature.
Codelfa si sempre
difesa dalle accuse so-
stenendo che la causa
di tutto lincuria del Comune e che, se per 6 anni non si sono mai
eseguite le manutenzioni, il minimo che possa accadere di osservare
delle criticit nella funzionalit degli impianti.

Appello ai docenti: Borgo Berga un caso da studiare

Il contenzioso ancora in corso di definizione e sar nostra cura


seguirne gli sviluppi, tuttavia dal nostro punto di osservazione il
giudizio politico a dir poco impietoso.
Il complesso di Borgo Berga assurto alle cronache nazionali come
una sorta di ecomostro in salsa berica. Anche a causa di questo ob-
brobrio architettonico la citt del Palladio corre il rischio di vedersi
revocato il marchio UNESCO. La Magistratura dovr stabilire even-
tuali illegittimit del Piano urbanistico e ha gi denunciato un danno
erariale a scapito dellEnte pubblico. Il Comune non ha eccepito
alcunch in fase di collaudo finale dellopera, ma a quanto sembra,
non si neppure preoccupato di svolgere le manutenzioni di propria
competenza.
Quanto basta per tracciare un quadro a tinte fosche dei nostri am-
ministratori, presenti e passati, e per indirizzare un suggerimento ai
docenti che hanno la responsabilit della formazione civica e culturale
dei nostri figli: assumete il caso Borgo Berga come materia di studio,
parlatene a scuola e cercate di capire come sia potuta accadere la
deturpazione di un sito cos pregevole e storicamente significativo.
Infine, provate a spiegare loro tutto ci che non andrebbe fatto per
assicurare la salvaguardia dellambiente e la tutela del bene comune.
A VICENZA Siamo AllA 13
FINE DELLA FIERA:
MATRIMONIO ISLAMICO
CON RIMINI,
SE NE VA ANCHE
LULTIMO GIOIELLO
Se proprio si ama la metafora delle nozze, si tratter di
nozze islamiche e il marito sar Rimini. Il conferimento
della Fiera di Vicenza nella struttura romagnola stato
approvato dal Consiglio comunale e sulla mitica fiera
delloro calato il Game Over: fine dei giochi. Variati e
Matteo Marzotto, il primo titolare della maggioranza, il
secondo presidente, hanno accettato una fusione che ha
tutte le caratteristiche di una resa storica. Oberata da
un debito complessivo troppo grande, Vicenza accetta
il dominio riminese: il futuro dei romagnoli e loro,
naturalmente, pagheranno il debito dissennato

PINO DATO

I l 10 ottobre 2016 una data che merita di essere ricor-


data, perch quella che ufficializza la fine della Fiera di Vicenza.
La Fiera di Vicenza come entit autonoma, non esiste pi. Lo hanno
deciso e certificato il comune di Vicenza e il suo Consiglio, sulla base
della comunicazione ufficiale del consiglio di amministrazione della ex
fiera di Vicenza, tramite il presidente pro tempore Matteo Marzotto,
che aveva gi siglato unintesa di fusione con laltro protagonista di
questa fine ingloriosa: la Fiera di Rimini.
Il Giornale di Vicenza, sempre molto generoso con il nome Marzotto
(a prescindere) ha intervistato il Matteo, che ha magnificato lopera-

14 zione come una sterzata decisa verso lo sviluppo e la crescita. Il gior-


nale ha condiviso linteressata testimonianza e ha definito in prima
pagina trionfalmente loperazione di fusione come nozze. Nozze?
Come gli stessi numeri (e le realt che i numeri sottendono) spiegano
a meraviglia, possiamo al massimo parlare di adozione. Oppure, se
proprio preferite le nozze come metafora, allora chiamiamole nozze
islamiche. Rimini il maschio padrone, Vicenza la moglie succube e
mite. Vediamo perch.

Nasce Italian Exhibition Group spa


che manterr VicenzaOro a Vicenza

Gi il documento approvato dal Comune smentisce le nozze laiche. Del


resto un documento approvato in consiglio comunale non pu scambia-
re il caviale con i fichi secchi. Deve approvare quello che . Vale a dire:
conferimento dellintera azienda di Fiera di Vicenza in Fiera di Rimini,
la quale cambier nome in Italian Exhibition Group S.p.A.
Il cambio del nome evidentemente una concessione di cortesia,
fatta dallestablishement di Rimini ai poveri vicentini: fosse rimasto
il nome Fiera di Rimini sarebbe stato un insulto alla storica nobilt
del marchio vicentino e una svalutazione indiretta, poco raccomanda-
bile, della sede secondaria di Vicenza del nuovo complesso fieristico.
Unaltra concessione hanno fatto i signori di Rimini agli umili vicen-
tini: il marchio pi prestigioso della Fiera di Vicenza, conosciuto in
tutto il mondo, VicenzaOro, rester, come da patti parasociali, a
Vicenza. Delle altre mostre vicentine non si parla: decider il nuovo
consiglio.
Il conferimento in Fiera di Rimini (che poi cambier nome) fa dunque
sparire Fiera di Vicenza. Altro che nozze (laiche o islamiche). Consiglio
comunale di Vicenza che approva. Senza fanfare. Senza discussioni.
Poi basta un titolo sul giornalone e siamo tutti contenti come prima.
Ma quali sono i termini della questione? Quali sono i numeri?

Dal fallimento della trattativa veronese


alladozione romagnola

Premessa. A volere ladozione/nozze islamiche stato il magico


Matteo (Marzotto). Fin da marzo 2016. Da quando cio era sparita
definitivamente dallagenda lipotesi di fusione, a lungo inseguita,
con la Fiera di Verona. Ed stata Verona a non starci, va ricordato.
Con una sincronia, che definirei quasi sospettabile di regia polemica:
proprio nel giorno in cui il consiglio comunale di Vicenza approvava
la fine della sua Fiera storica, Verona annunciava che la Regione Ve-
neto aveva dato lapprovazione alla sua richiesta di trasformazione 15
in S.p.A con obiettivo di discesa in borsa.
Perch era fallita lipotesi di fusione con Verona? Per un motivo molto
semplice: perch il bilancio che la vicentina portava in dote era, per
usare un eufemismo, complicato.
A pesare in quel bilancio erano acquisti semplicemente sbagliati, che
il Matteo anche oggi che ha trovato laccordo con Rimini continua a
giudicare investimenti produttivi: la costruzione di una struttura
espositiva ulteriore il cui peso finanziario ancora tutto l, pi
ingombrante che mai: 40 milioni di euro di mutuo (con la Banca
Popolare di Vicenza). Un investimento che non trover mai - nean-
che se la previsione la facessero Zonin o Breganze - ricavi correlati e
futuri. Dunque, una pura perdita. Da ammortizzare come Dio vuole
e mettersela via.
quel che successo nella trattativa del Matteo nostrano con i rimi-
nesi. Lui continuava a dire che quel mutuo rappresentava il futuro,
loro a rispondere che i ricavi corrispondenti non sarebbero mai ar-
rivati. Il fatturato ultimo delle due fiere non era poi cos sbilanciato,
come si pu credere, a favore di Rimini: 36 milioni di euro Vicenza,
80 milioni Rimini. Su questa base, se il bilancio vicentino non avesse
evidenziato problemi strutturali eccessivi, la quota riconosciuta a
Vicenza nella nuova societ sarebbe stata il 35% e per Rimini il 65%.
Invece Vicenza avr un misero 19% della nuova societ e Rimini l81%.
Unaltra storia. Nozze islamiche in piena regola, come vediamo.
Il capo Rimini, Vicenza si accontenta di ospitare (nelle magiche
strutture volute da dissennati consigli scelti solo dalla politica) Vi-
cenzaOro. Questo conveniva anche a Rimini. Ma se cade il consiglio
(ed caduto di fatto), cadono anche i direttori. I nuovi direttori di Vi-
cenzaOro, potete scommetterci, parleranno con laccento romagnolo.

Il mitico Achille Variati ha firmato sotto la parola fine

Speriamo almeno che sia femmina, direbbe un mio amico burlone.


Non questo il punto. La verit che qui c poco da scherzare.
I proprietari attuali del pacchetto societario chiamato Fiera di Vicenza
sono al 32% ciascuno il Comune, la Provincia, la Camera di Commer-
cio. Di Vicenza. Significa che sotto legida di quel mitico personaggio
della politica dellultimo decennio vicentino che si chiama Achille
Variati, c il controllo del 64% (essendo lui sia sindaco della citt
capoluogo che presidente della provincia). Inoltre c un 4% diviso
16

Lorenzo Cagnoni, a destra, presidente di Rimini Fiere da quasi ventanni


sar presidente anche della nuova struttura. Matteo Marzotto, a sinistra,
sar il vicepresidente.

fra Banca Popolare (che il maggior creditore per il mutuo) e altri


soci minori. Tutti soggetti che cerano con lobiettivo di contare
nella gestione. La loro partecipazione aveva un valore economico
reddituale uguale a zero, ma un alto valore in termini di clientele da
inserire, accontentare, assumere. Tutto questo sar spazzato via. Il
nuovo soggetto ha la sede a Rimini, il presidente sar uno di Rimini,
il vice sar il Matteo, pi un altro vicentino consigliere. Forze esigue.
Nella nuova societ Comune, Provincia e CCIIA vicentine avranno
ciascuna circa il 6 e qualcosa per cento. Nulla. A meno che Fiera di
Vicenza spa non rimanga formalmente in vita (sempre con lattuale
compagine societaria) e sia lei a diventare padrona di quellesiguo
19% di capitale della nuova Investment.
Sono alternative irrilevanti. La cosa che pi conta che i tre soci
pubblici che possedevano la Fiera di Vicenza ora hanno una quota
irrisoria in un organismo altro, con sede a Rimini. Prima contavano
(anche sbagliando) molto, se non tutto. Ora non conteranno nulla. I
vicentini non sono pi padroni della loro fiera. Esportiamo a Rimini
solo lo smagliante sorriso (e ci credo) del Matteo nostrano. Vien
da chiedersi con quale criterio sia stato accettato il principio che
unentit del valore della Fiera vicentina delloro, sia pur oberata da
inutili debiti, possa accettare di vedersi riconosciuta, a saldo della
sua esistenza sociale, una partecipazione di minoranza irrisoria in
unaltra entit. Chi stato il mago? Variati, socio di maggioranza, o
Matteo, presidente sorridente?
Fine del vecchio clientelismo in salsa berica

Non sono un sostenitore del clientelismo alla vicentina, i nostri lettori


lo possono testimoniare. La Fiera di Vicenza per stata per decenni 17
una sorgente inesauribile e inesausta di clientelismo berico. Capirono
tutto, nei primi anni 80, i dorotei (Pandolfo e Longhi) e quel falco
toscano che rispondeva al nome di Mariotti.
Mariotti e i dorotei insegnarono ai vicentini pi tonti come si fa. Da
allora la Fiera stata un bacino di redditi e prebende da far impal-
lidire la Banca Popolare (di allora). Tanti (sempre quelli, a dire il
vero) succhiavano il latte dalle tette della Fiera. Direttori e presidenti
si susseguivano in un vortice di emozioni, di parcelle sontuose e di
interviste al giornale della citt. Mi ricordo di quellamico piccolo
editore che ebbe la commessa della rivista della Fiera, che stampava
migliaia di copie che nessuno leggeva, con inserzionisti altisonanti
della fiera delloro, per decenni. Centinaia di milioni di fatturato. E i
paginoni multipli del Giornale di Vicenza. E TV A. Tutti a succhiare
il latte. Adesso i giochi cambieranno. La Fiera di Vicenza non esiste
pi. Il potere altrove.
Tutto questo aveva gi cominciato a tramontare con la crisi degli
ultimi anni. Le strutture edilizie volute da Matteo Marzotto (masto-
dontiche e inutili) hanno fatto il resto.
Con la tegola della Banca Popolare sulla testa, la pochezza di una
classe politica solo succube e incapace, una classe industriale com-
promessa con Zonin e in tuttaltre faccende affaccendata, la citt di
Vicenza non ha saputo trovare (con tutta la sua ricchezza nascosta)
una soluzione a quello che era il suo gioiello pi fulgido, la Fiera.
La si poteva criticare, ma non c dubbio che in questi decenni aveva
fatto passi da gigante ed era un marchio riconosciuto a livello mon-
diale. vero che, sempre recentemente, stava facendosi fagocitare
perfino dalla concorrenza di Arezzo, ma se la classe dirigente di questa
citt (i nomi ormai li sanno tutti, anche i bambini delle elementari)
avesse avuto una sana, autentica coscienza cittadina, lavrebbe salvata
e fatta davvero propria.
La cosiddetta vicentinit alla frutta. Un Matteo Marzotto sempre
sorridente ci ha annunciato di aver trovato, per lultimo gioiello ri-
masto, un protettore. Anzi, un marito islamico.
Comune di Vicenza, Provincia, CCIIA, non avranno pi la propriet
de La Fiera di Vicenza (che non esiste pi). Avranno ciascuno il 6 per
cento di un capitale che si chiama Italian Exhibition Group spa
(nome da fantasia renziana). Il debito vecchio (e qui Mion, presidente
della nuova BpV, sar contento) lo pagher la Italian Exhibition. Vi-
cenzaOro si continuer a fare in via dellOreficeria 16. Accontentatevi,
stavolta. Ma rispettate il marito, e sarete felici e contenti.
ALLA FINE DELLA FIERA

Bilancio 2015: piccoli indizi


18
di grande sofferenza
VITTORIO CABE

Il Presidente Matteo Marzotto, condannato in primo grado


per evasione fiscale e ciononostante recentemente riconfermato dal
sindaco di Vicenza, Achille Variati (oltre il 64% del capitale sociale), ha
dichiarato che il bilancio 2015 della Fiera di Vicenza il migliore della
storia della Fiera.
Da un punto di vista formale, cos. Peccato che non sia tutto cos roseo.
Risulterebbe infatti che alle manifestazioni orafe siano stati ammessi
espositori che in base alle politiche commerciali del passato, prudenti,
non sarebbero stati ammessi; espositori con debiti scaduti oppure con
dilazioni di pagamento inusuali. Prova ne sia il fortissimo aumento dei
crediti, quasi raddoppiati, passati da 1,7 milioni a 3,1 milioni (pagina
64 del bilancio).
Ma quello che maggiormente dovrebbe preoccupare linsostenibile
situazione finanziaria, squilibrata.
I debiti ammontano a 62,7 milioni dl euro, ex 60,7, quindi 2 milioni di
debiti in pi, in un anno; e verso banche sono 45, ex 40,6 (p. 73). Da
qualche anno la situazione in peggioramento, e con qualsiasi andamento
aziendale non potr essere risolta. Servono forti aumenti di capitale,
che gli enti pubblici non possono fare.
Forse per questo si cercata a lungo la strada della Borsa, ma una so-
ciet di questo tipo non certo attraente; sia per la scarsa marginalit
sia appunto per la forte esposizione finanziaria. Laumento di capitale
andrebbe alle banche, Banca Popolare di Vicenza in testa.
Curiosit: patti di non concorrenza per euro 150.955 spesato nel
2015, per chi ? (p. 71)
Costo derivati, non spesato (correttamente) pari a 5,3 milioni. Nei con-
fronti di Banca Popolare di Vicenza, c un derivato che la societ dichiara
essere a copertura del mutuo, ma lo stesso per riferito ad un capitale
di molto inferiore allimporto del mutuo. Ora, essendo di copertura, fino
al 2015 non si doveva spesare la differenza di valore. Il mark to market a
dicembre era appunto negativo per 5,3 milioni. Significa che se il derivato
fosse stato chiuso a dicembre, alla banca si dovevano dare 5,3 milioni. In
realt stata fatta unoperazione assurda, e lunica a guadagnarci stata
la BPVI. Ora, dal 2016 si dovr inserire la perdita tra le riserve,
con il segno negativo. In pratica, la Fiera si mangiata circa 5 milioni di
capitale. Nel silenzio generale. E nessuno ha chiesto di riconsiderare il
contratto a suo tempo stipulato, circa 3 o 4 anni fa. Certo bisogner vedere
19

la valutazione a fine anno. In ogni caso, il patrimonio sar ridotto, per


forza. Anche questo avr sicuramente inciso nella determinazione del
valore di conferimento alla Fiera di Rimini.
Posizione finanziaria netta meno 40,4 milioni ex 38,8 (p. 22), no-
nostante gli ottimi risultati.
Nuovo mutuo richiesto nellanno a Unicredit per euro 3 milioni (pag 51).
Le partecipazioni sono iscritte al costo, che superiore al valore del
patrimonio netto. Sono dunque sopravvalutate.
428.000 euro di costo del personale addebitato a Dubai (p. 21).

I NUMERI CHIAVE
DELLA DOTE DELLA FIERA DI VICENZA

- DEBITI VERSO BANCHE 45 mln di Euro


- ALTRI DEBITI 17,6
- IMMOBILIZZAZIONI MATERIALI
(Terreni, Fabbricati, Impianti) 63,4
- COSTO DERIVATI 5,3
(da contabilizzare)
ALLA FINE DELLA FIERA

Un esposto, tanti conflitti


20
dinteresse, il ruolo di BPVI,
due Rossi da Schio,
e troppi vicentini a Rimini
QUADERNI VICENTINI

N ellaffaire Rimini-Vicenza per lassorbimento della Fiera


vicentina, c un esposto che viene da Rimini. Lobiettivo il comune
riminese e il presidente della fiera, Lorenzo Cagnoni, ma alla fine si rivela
piuttosto insidioso anche per i vicentini. Viene da un ex Cinque stelle della
citt romagnola, Luigi Camporesi e da un altro consigliere riminese,
Andrea Bellucci. Lesposto diretto allANAC (Autorit Anti Corru-
zione) alla Corte dei Conti bolognese e a quella romana e prende di mira
le modalit tecniche e giuridiche dellintero progetto di incorporazione.
In realt lesposto mette in chiaro, prendendo per buone le parole pro-
nunciate ufficialmente dallassessore alle partecipate del Comune di
Rimini, Gianluca Brasini, che loperazione non affatto unoperazione
straordinaria di fusione, bens unoperazione di aumento di capitale in
natura da realizzarsi con emissione di nuove azioni da riservare a Fiera
di Vicenza Spa, che dovrebbe sottoscrivere le azioni a Rimini Fiera Spa
(che nel frattempo cambia nome, ndr) pagandole non in denaro bens
con lapporto dellazienda Fiera di Vicenza. Unincorporazione tramite
aumento di capitale. Altro che nozze. Neanche islamiche, forse.
Lesposto importante anche perch rivela alcuni particolari ignoti
(almeno a Vicenza) sulla nomina degli advisor scelti per loperazione.
Riportiamo direttamente, sul tema, interessante per i vicentini, un breve
estratto dellesposto:

Nella procedura esposta intervengono due advisor: 1) KPMG nominata


dalla controllante Rimini Congressi S.r.l. con una procedura pubblica;
2) Banca Popolare di Vicenza designata da Rimini Fiera S.p.a. In me-
rito agli advisor esiste la documentata situazione: a) Allepoca della
nomina delladvisor designato da Rimini Fiera S.p.a., il Presidente
Matteo Marzotto di Fiera di Vicenza S.p.a. era consigliere della Banca
Eugenia Rossi Da Schio, assessore al
comune di Rimini e, sotto,

21
Umberto Lago,quando era
assessore al bilancio, con Variati,
al comune di Vicenza

Popolare di Vicenza; b) La Banca


Popolare di Vicenza socia e credi-
trice al 31/12/2014 (ultimo bilancio
disponibile) per 40,6 milioni di
euro di Fiera di Vicenza S.p.a. c)
KPMG la societ di revisione del-
la Banca Popolare di Vicenza dal
24/04/2010. La suddetta situazione
pone seri dubbi sulla presenza dei
requisiti di obiettivit, imparzialit
e indipendenza. Infine, si aggiunge
che lattuale Assessore del Comune
di Rimini, Dott.ssa Eugenia Rossi
di Schio, figlia del Dott. Alvise
Rossi di Schio, amministratore
della Banca Popolare di Vicenza
dal 26/04/2014 al 13/02/2015
come esposto dallAssessore Brasini
il 16/08/2016 nella sua risposta
scritta allinterrogante Consiglie-
re Camporesi [Allegato 10] in
realt la cessazione della carica
del 18/03/2015, come da visura
camerale. In estrema sintesi non
accettabile che lallungamento della
catena societaria, predisposta per il ricorso allindebitamento bancario,
per di pi garantito dal Comune, dalla Provincia di Rimini e da Rimini
Holding S.p.a., permetta di escludere il Consiglio Comunale da ogni potere
decisionale. Il sottoscritto, grato per lattenzione, nel chiedere alle Istituzioni
in indirizzo adeguati interventi, espone: 1) Il danno erariale prodotto dalle
societ costituite dalla controllante Rimini Fiera S.p.a. (quale impresa
pubblica) nelle societ partecipate dirette e indirette; 2) La richiesta di
provvedimenti per assicurare la necessaria trasparenza delloperazione
esposta, anche per evitare di aggravare le ricadute negative sui cittadini
e senza alcun controllo del Consiglio Comunale di Rimini, come purtroppo
ripetutamente avvenuto. Gli esponenti rimangono a disposizione per
documentare quanto esposto.
Commento Vicenza side. singolare che per unoperazione di questo tipo
si chiamino due advisor, entrambi di nomina di una sola parte, la Fiera di

22 Rimini. Ragioniamo: ci vuole semplicemente dire che non ci sono due parti
che dialogano alla pari; la parte una, la societ incorporante, il marito
islamico. La Rimini Congressi S.r.L., socio di Rimini Fiere, controllata da
Provincia e Camera di Commercio di Rimini, chiama la KPMG, la Rimini
Fiere, casa madre, soggetto principale dellincorporazione, nomina come
advisor la Banca Popolare di Vicenza, la quale a sua volta socia e creditri-
ce (soprattutto creditrice) di Fiera di Vicenza per un grosso investimento
strutturale. Non solo: KPMG stata anche societ di revisione in BpVi. I
conflitti di interessi sono tanti ed evidenti. Che advisor uno che creditore
di 45 milioni di euro del soggetto in questione? Inoltre: cos autorevole
Banca Popolare di Vicenza come advisor?
Non basta: assessore della giunta del comune di Rimini Eugenia Rossi
di Schio, figlia di Alvise, in tempi recenti consigliere di amministrazione
di Banca Popolare di Vicenza, poi dimessosi.
Ancora: fino allanno scorso amministratore unico di Rimini Holding, la
finanziaria del comune di Rimini (socio, accanto a Rimini Congressi srl, di
Rimini Fiera), era un vicentino, Umberto Lago, poi dimessosi. Lago stato
a suo tempo assessore al bilancio del comune di Vicenza, ed considerato
un po larchitetto di questa operazione.
Tutti questi vicentini in campo sembrerebbero portare acqua al mulino di
Vicenza e della sua Fiera. solo apparenza. Certo, la denuncia di questi
intrecci fa pensare a qualcosa di poco chiaro e non spiegato. Ma la sostanza
delloperazione, al di l degli esposti e dei misteri, resta. Rimini si man-
giata Vicenza ad un prezzo conveniente (gli cede solo il 19% della nuova
compagine) e lo ha fatto utilizzando la leva del grosso debito che la fiera
vicentina si porta in dote.
Conflitti dinteresse a parte, la presenza di Banca Popolare di Vicenza,
in questi tempi bui, come creditore ed advisor di unoperazione cos delicata
(e perdente per la citt di Vicenza) fa pensare a come, a volte, sia grottesca
la vita.
ALLA FINE DELLA FIERA

28 ottobre 2016: la marcia


su Rimini di alcuni allegri 23
vicentini per svendere la Fiera
Il 28 ottobre 2016, pochi giorni fa, alcuni vicentini senzarmi,
nellanniversario della marcia su Roma (28 ottobre 1922), hanno fat-
to la marcia su Rimini, aderendo allaumento di capitale deciso dalla
societ Rimini Fiere con lapporto dellazienda Fiera di Vicenza. Lazien-
da Fiera di Vicenza stata apportata come corrispettivo in natura a sal-
do di un aumento di capitale di 9,92 milioni di euro deciso da Rimini,
che diventa il controvalore delle azioni della societ riminese detenuta
da Fiera di Vicenza spa.
Per fare lapporto c stato ovviamente bisogno di un perito, certo dottor
Antonio Gaiani di Bologna, il quale ha valutato lazienda Fiere di Vi-
cenza 22,6 milioni di euro. Ma Fiera di Vicenza spa non ha ricevuto 22,6
milioni di euro di capitale sociale della Rimini, bens solo 9,9 perch
nellapporto stato valutato il maggior valore di Rimini rispetto a Vicen-
za e i 12,7 milioni di differenza sono stati portati a fondo sovrapprezzo
azioni.
Al di l che sia un valore equo o meno, la citt di Vicenza (rappresenta-
ta da Comune, Provincia e CCIIA, cio da Marzotto e Variati) riceve in
cambio azioni della societ riminese per 9 milioni di euro (senza diritto
di opzione!) che corrispondono al 19% della stessa. Una minoranza as-
soluta. Uninezia. Una clamorosa svendita. Perch? Chi ha dato a Variati
e Marzotto lautorizzazione a svendere lunico bene di indubbio pregio
(al di l di politiche sbagliate e di pasticci vari e diversi) che aveva?
Qui sotto riprendiamo un breve estratto dellAtto redatto dal notaio
Aquilina di Rimini.
Nelle pagine successive copia di alcune pagine dello storico atto:

(...) La proposta di aumento di capitale del Consiglio di Amministrazione pre-


vede lutilizzo come valore di conferimento dellimporto di Euro 22.694.442,39
(...) valore capiente rispetto a quello di perizia del compendio aziendale, con
imputazione dellimporto di Euro 9.920.830,00 (novemilioninovecentoven-
timilaottocentotrenta virgola zero zero) a capitale e per la differenza di Euro
12.773.612,39 (dodicimilionisettecentosettantatremilaseicentododici virgola
trentanove) a riserva sovrapprezzo.
Si precisa che la valutazione effettuata nella perizia di stima e riferita alla data
del 30 (trenta) giugno 2016 (duemilasedici), data da cui pertanto decorre il
termine di sei mesi stabilito nellart. 2343 ter c.c., entro il quale il conferimento
deve essere eseguito.
Si propone infine di stabilire quale termine iniziale di efficacia del conferi-
mento, e dunque anche del contratto di sottoscrizione delle azioni di nuova
emissione, le ore 00.00 dell1 (uno) novembre 2016 (duemilasedici), pertanto
si propone come termine finale di sottoscrizione dellaumento la data del 2
(due) novembre 2016 (duemilasedici).
24
25
26
LA MAFIA A VICENZA 27
LA STRAORDINARIA
CATTURA
DI PIDDU MADONIA
A Longare NEL 1992
Siamo a fine estate 1992, sono assassinati in un breve
spazio temporale Falcone e Borsellino, giudici antimafia a
Palermo. Lo Stato colpito al cuore ma la polizia reagisce.
Il Servizio Centrale Operativo (S.C.O.) ha uninformazione
importante e invia una squadra di agenti a Vicenza sulle
tracce di uno strano telefono cellulare. Un infiltrato informa
che chi usa quel telefono frequenta una galleria nel
Vicentino. Piernicola Silvis, capo della Mobile vicentina del
tempo, parte da qui. Per la prima volta la polizia italiana
riuscir ad arrestare un esponente di primo piano della
Mafia siciliana, nientemeno che il numero due, Giuseppe
Madonia detto Piddu. Vediamo come
GIORGIO MARENGHI

T ra il 31 agosto e il 1 di settembre del 1992 alla questura


di Vicenza arriva una telefonata importante. Chi chiama cerca il
dirigente della squadra mobile, il dottor Piernicola Silvis, che in
vacanza sul Gargano. La telefonata arriva da Roma, dalla sede dello
SCO (Servizio Centrale Operativo) della Polizia, e per la precisione
dal suo dirigente il dottor Antonio Manganelli.
Il dottor Adamo Caruso, dirigente della DIGOS, e sostituto di Pier-
nicola Silvis alla guida della Squadra Mobile, si affretta a disturbare
lamico in vacanza con quattro parole che gli fanno capire subito
lurgenza, una urgenza strana, che sa di cose grosse.
Silvis, tornato a Vicenza, si precipita in Questura e qui Caruso lo

28 avvisa che ha chiamato Manganelli da Roma. Il messaggio lo lascia


preoccupato. Il giorno dopo infatti previsto larrivo di una squadra
di agenti dello SCO, guidata da un certo Gilberto Caldarozzi.
Non lo conosco, ma sentiremo cosa vogliono, dice il capo della
Mobile.

Unoperazione delicata in corso (da Roma)

Il giorno dopo Silvis incontra nel suo ufficio il dottor Caldarozzi dello
SCO che mette a conoscenza il collega vicentino che lo SCO in zona
per una cosa grossa. roba riservata. E comunque gli accertamenti
dobbiamo farli da soli.
Imbarazzo. Senza il nostro supporto?. Dopo un po di secondi che
sembravano uneternit Caldarozzi mette a conoscenza Piernicola
Silvis che in corso una operazione estremamente delicata, cos
delicata che ad un certo punto il nuovo venuto compone un numero
sul cellulare e chiama Manganelli a Roma.
Devo dirgli proprio tutto?
S, tutto.

Chi frequenta una galleria nel Vicentino?

Caldarozzi a questo punto si sbottona e profferisce dun fiato: C


una traccia che porta fino a questa provincia. Un cellulare si muove
in Veneto e un informatore ci ha detto che questa persona frequenta
una galleria del Vicentino.
Ma chi frequenta una galleria nel Vicentino? Silvis si stava spa-
zientendo. E poi chi questa persona che frequenta, questo cellulare
che si muove?
A questo punto Guglielmini, un altro agente dello SCO presente al
colloquio, spinge un po Caldarozzi: Glielo dica, dottore.
Le parole di Caldarozzi sono uniniezione di amfetamina nelle vene
di Silvis. Sembra che da queste parti si nasconda uno dei pezzi da
novanta di Cosa Nostra.
Chi? chiede Silvis.
Madonia, risponde il collega dello SCO.
Giuseppe Madonia? Piddu?
S, proprio lui.
Ma ne siamo certi?
Silvis comincia a non sta-
re pi nella pelle.
Dobbiamo fare degli ac- 29
certamenti. Ecco perch
siamo qua. Ma nessuno
deve sapere il perch e
cosa stiamo facendo.
Ovvio.
Massima riservatezza,
aggiunge il capo della
Mobile vicentina.
Non lo devono sapere
neanche il prefetto e il
questore. E neanche la
Criminalpol di Padova.
Certo che il questore biso-
gner informarlo pensa
Silvis ma ora pi im-
portante sapere cosa fare.
Dobbiamo individuare
dov e prenderlo prima di
luned. Tempo sei giorni e
sparisce, puntualizza Caldarozzi.
I ragazzi della Mobile di Vicenza non sarebbero in teoria i pi ben
accetti al responsabile dello SCO, che poi per allenta la presa e lascia
a Silvis la possibilit di scegliere i pi fidati.
Solo quattro, precisa.

Passi cauti...

Il giorno dopo questore e procuratore della Repubblica vengono


informati. Silvis d le consegne al suo agente Caruso dicendogli che
da quel momento sar impegnato coi colleghi di Roma.
Il lavoro di intelligence fatto anche di colloqui, di analisi di tutte
le tracce possibili che si sono potute trovare. E il termine galleria,
per di pi nel Vicentino, stava diventando un rompicapo per tutti gli
uomini dello SCO e soprattutto per il capo della Mobile vicentina.
La fonte ha detto anche che sta usando il cellulare di un tizio di
Piernicola Silvis, capo della Mobile vicentina nel 1992. La foto di Borracino.
Catania, chiarisce
Guglielmini.

30 E ora dov questo


cellulare? chiede Sil-
vis.
Per ora si sta muo-
vendo nel Veneto cen-
trale.
Gli uomini fidati di
Silvis intanto erano
stati informati e ave-
vano fatto le loro os-
servazioni. Per tutti
vigeva il segreto as-
soluto.
Lindagine comunque
era stata avviata e il
personale vicentino si stava dando da fare. Sei pattuglie si diressero
in citt, a Bassano, Thiene, Recoaro e Montecchio Maggiore per le
verifiche sulle gallerie della zona. Gallerie darte, di tutti i tipi, in-
somma quella maledetta parola galleria impegnava al massimo la
polizia vicentina.
Al rientro dai vari centri della provincia il risultato fu assai deludente.
Abbiamo verificato, solo gallerie darte o commerciali, ma di qualche
siciliano neanche lombra.

Manca il tempo e se ci scappa?

Mancano quattro giorni a domenica incalza Caldarozzi.


Il giorno dopo, venerd 4 settembre 1992, si trovarono tutti in
Questura per fare il punto della situazione. Il collega del capo della
Mobile vicentina, lagente Annarumma, aveva qualcosa da dire: Mi
sono ricordato che in Piazza dei Signori ci sta un siciliano con una
bancarella
Beh, controlliamolo, replica Caldarozzi.
S continua Annarumma, consapevole di essere in procinto di
offrire una svolta allindagine ma si chiama Galleria Salvatore....
In breve la trovata di Annarumma mobilita un po tutti, anagrafe,
schedari di questura, informazioni dalla Sicilia, ecc. Tutti si mobi-
litano. Tutto questo accade alle nove mezza di venerd 4 settembre,
con lansia di non farcela per quel maledetto luned, giorno della
possibile sparizione di Madonia dal territorio vicentino, come la
famosa fonte suggerisce.

31
La trovata di Annarumma...

Alluna e mezza seduta del gruppo con Caldarozzi, a cui vengono


portate le ultime informazioni:
Abbiamo accertato che Salvatore Galleria vive a Longare. Inol-
tre, la sorella di Salvatore Galleria sposata con un certo Saluzzo
Salvatore e che anche lui abita a Longare Silenzio. Poi Caldarozzi
si fa portare il fascicolo di Madonia. Passa un minuto, forse due, poi
Caldarozzi con calma spiega: La moglie di Madonia fa Saluzzo di
cognome. E il cognato di Galleria si chiama Saluzzo.
Dammi la Criminalpol di Catania per favore.
Pronto? Vorrei lo stato di famiglia della moglie di Giuseppe Mado-
nia.
Il silenzio cala nella stanza. Arriva la risposta. Caldarozzi calmo e
freddo, parlotta per un po al telefono, poi chiude la comunicazione
e guarda negli occhi i colleghi.
Ha un fratello, le parole di Caldarozzi sembrano rimbombare nella
stanza. Questo fratello della moglie di Madonia risiede in provincia
di Vicenza. A Longare.
lui. Le generalit sono quelle. Saluzzo Salvatore, il cognato di Gal-
leria, il fratello della moglie di Piddu. Quindi anche suo cognato.
Avviso Manganelli allo SCO poi andiamo a dirlo al questore.

La gioia del questore e lintercettazione


della casa di Longare...

Il questore controll la sua gioia ma si capiva che loperazione era


sul binario giusto. Tutti gli agenti della questura di Vicenza, esclusi i
quattro fidati di Piernicola Silvis, capo della Mobile, erano alloscuro
di tutto. Ora bisognava agire ed in fretta.
Venne contattato Tonino De Silvestri, sostituto procuratore del-
la Repubblica di Vicenza. La richiesta di intercettazione telefonica
dellutenza di Galleria Salvatore fu firmata senza perdite di tempo.
Alle cinque del pomeriggio di venerd 4 settembre lutenza sta per
essere intercettata, poich la SIP aveva immediatamente attivato le
operazioni tecniche di ascolto.
Alle ore otto di sera inizia lascolto. Vengono attivati i turni. Alle
sette e mezzo del mattino di sabato 5 settembre Piernicola Silvis e

32 Gilberto Caldarozzi fanno il punto della situazione. Il risultato una


voce di siciliano ma che non conosciuta come quella di Madonia o
di Galleria.
Caldarozzi decide di prendere informazioni sul posto: Andiamo a
vederenon possiamo fare irruzione questa sera perch ci sar una
festa a casa di Galleria...quindi.
Un rapido sopraluogo viene effettuato, con molta cautela, pena la
fuga di Giuseppe Madonia ed il fallimento delloperazione.

Lirruzione comunque rischiosa.


Ma manca poco alla scadenza e c voglia di intervenire...

Sabato 5 settembre, mattino. Silvis ordina ad Annarumma: Per oggi


pomeriggio alle tre convochi tutta la Mobile.
C il rischio che i ragazzi siano incazzati, hanno visto tutto questo
movimento e
La cosa troppo importantela verit solo a cose fatte.
Ormai tutta loperazione gira a velocit vorticosa. Adesso c il rischio
di non saper come fare lirruzione, quanta gente vi sia dentro
la casa di Longare, il pericolo che il guardaspalle, se ce n uno, sia
armato, e cos via. Gli uomini dello SCO sanno che dovranno inventare
sul momento la tecnica pi adatta, ma limprevisto la bestia nera.
Tutti ne sono consapevoli.
Vengono date le istruzioni per gli appostamenti intorno alla casa.
Alle sette e quaranta della sera di sabato 5 settembre vengono prese
le decisioni: Inutile aspettare ancora organizziamoci in pattuglie
da tre e cominciamo a muoverci. Un ispettore per auto.
A Longare, precisa Silvis.
Dopo un po anche Gilberto Caldarozzi precisa: Dovete essere in-
visibili.
Quanti siamo?
Quarantadue.
Quante auto?.
Quattordici.
Alle nove e mezza arriva una chiamata dalla sala di ascolto.
Ha parlato? Chi ha parlato?
Il siciliano in casa.
Entriamo?
S, o la va o la spacca!
33

Ma Caldarozzi raffredda gli animi: L dentro c una festa, ci sono


anche bambini, un rischio entrare..chiediamo a Manganelli che ci
mandi i NOCS, loro sanno come faresono addestrati per questo.
Trascorre un po di tempo, giusto per telefonare a Manganelli, ma la
risposta breve e tagliente.
Dovete sbrigarvela voi, non abbiamo tempo!
Con tutti questi dubbi arriva pure la mezzanotte che porta consiglio.
Lirruzione viene spostata al mattino della domenica 6 settembre.
C una soffiata che parla di un appuntamento in autostrada in pieno
giorno al casello di Vicenza ovest.
Lappuntamento con il torinese alle dieci.
Ok. Per le sei di domani dobbiamo essere operativi.
Chi il torinese? qualcuno con il quale Madonia si accordato
telefonicamente per un appuntamento: ore 10 del 6 settembre, Vi-
cenza ovest.

La giornata finale: domenica 6 settembre

Il mattino della domenica tutto ormai pronto. Gli appostamenti


intorno alla casa, la stanza dascolto della linea telefonica, il quartier

Sopra: Giuseppe Madonia al tempo dellarresto.


generale dello SCO nella questura di Vicenza. Le macchine delle pat-
tuglie pronte a partire. Quarantadue uomini mobilitati per catturare

34 Giuseppe Madonia, detto Piddu, il numero due di Cosa Nostra.


La giornata viene vissuta da tutti come storica. C la consapevolezza
che niente deve andare storto ma i poliziotti sanno per esperienza
che limprevedibile sempre da mettere nel conto.
In ogni caso siamo di fronte ad unoperazione record, anomala per
tempi di preparazione e per la fretta imposta da una scadenza, quella
di luned 7 settembre, che avrebbe tolto agli investigatori la possibilit
di acciuffare il boss.
Al mattino della domenica Caldarozzi prospetta le probabili mosse
di Madonia: Per andare allappuntamento al casello, alle dieci, do-
vr per forza uscire di casa alle nove e mezza. Prendete i giubbotti
antiproiettile e le armi lunghe. Le volanti lontane dal posto dellap-
puntamento. Una volante a Castegnero, una a Montegalda e una in
autostrada, direzione Verona.
Il canale radio viene tenuto riservato: Meno gente sente, meglio ,
commenta Annarumma.
I ragazzi della squadra mobile sono rassegnati, non sanno niente,
sono tenuti alloscuro di tutto, eppure sono mobilitati, a questo punto
in cui sono arrivate le cose ci si pu fidare della loro professionalit.

Via tutti verso Longare!

Alle cinque e mezzo di domenica 6 settembre in questura a Vicenza


sono gi tutti pronti i quarantadue uomini delloperazione. Nei cor-
ridoi chiacchierano fingendo di essere tranquilli, ma nessuno lo . Al
comando del capo della mobile poi si scende nel garage e ci si dirige
verso le auto. Senza sirene si imbocca viale DAlviano, destinazione
Longare.
Arrivate in zona le pattuglie si appostano in luoghi diversi. Si provano
gli apparati radio-trasmittenti e poi, completate tutte le prove, ci si
rassegna a dover aspettare.
Alle otto succede qualcosa. Guglielmini dello SCO parla alla radio:
Attenzione, arrivata la Mercedes di Saluzzo, alla guida c lui. Ha
parcheggiato vicino alla Dedra di Galleria.
Passa una buona mezzora e la radio improvvisamente gracchia:
Stanno uscendo dice Guglielmini.
Due macchine escono dalla casa di Longare, labitazione di Galleria
Salvatore, una Dedra con due uomini, dietro segue una Mercedes,
guidata da Saluzzo con unaltra persona accanto.
solo?
No, c un altro uomo con lui, ha i capelli bianchi, sembra pi an-
ziano, viso massiccio.
Gilberto Caldarozzi, vice capo dello SCO, d lordine: Seguiteli. 35
Ce li abbiamo davanti. Vanno verso la statale per Camisano.
Ma lautostrada dallaltra parte...cos ci spiazzano.., soggiunge
Piernicola Silvis.
Caldarozzi: Non stanno andando verso lautostrada, ma voi seguiteli
ugualmente.

Momenti di grande tensione...

Intanto la Dedra andava avanti veloce ed era evidente che il suo


compito era quello di fare da apripista: se cera un posto di blocco lo
avrebbe segnalato alla Mercedes in cui cera Madonia.
Dopo un po di strada le due macchine si fermano ad un autosalone.
Scende pure Madonia. E lo segue, scendendo anchesso dallauto,
Guglielmini. Il poliziotto dello SCO a pochi metri dal boss, lo guar-
da bene e riferisce poi risalendo in macchina: Potrebbe essere lui,
somiglia molto alla foto che abbiamo.
Stanno tornando alle autostategli dietro. Ma ormai il piano era
saltato, troppo lungo il tempo impiegato per seguire le due auto,
occorreva avere il cambio per proseguire linseguimento.
Vengono perci attivati i motociclisti, uno di essi riceve lordine di
andare a Camisano.
Si sono fermati di nuovo...c un bar, scendono tuttientrano.
Capo sussurra Mammoliti entro anchio con loro.
Manganelli da Roma in quel momento telefona. Poche parole, sar
avvisato a cose fatte.
Rientrano in macchina i due agenti dello SCO che hanno seguito
la comitiva dei mafiosi nel bar. Capo, lui! La foto che abbiamo
vecchia, ora ha i capelli bianchima gli occhi sono quelli!
Ripartono tutti. Ma il piano saltato, non c possibilit di avere il
cambio subito. E lappuntamento in autostrada a Vicenza ovest pare
cancellato. Ora bisogna solo seguire le macchine.
Silvis con Gilberto Caldarozzi, in collegamento via radio, si dirige
verso Camisano quando dalla radio si sente la voce di Guglielmini:
Capo, ma..questi tornano indietrovanno verso Longare!.
La macchina di Silvis subito dopo incrocia la Dedra, ma dov la
Mercedes? Guglielmini risponde per radio: Non lo so..la Mercedes ci
stava davanti..poi hanno girato per delle stradine e labbiamo persa.
Comunque la Dedra sempre davanti a noi.

36
Madonia nella Mercedes

Silvis a questo punto fa inversione di marcia e cerca di raggiungere la


macchina degli agenti dello SCO. Ma pochi secondi dopo aver conclu-
so il colloquio radio con i colleghi vede sullo specchietto retrovisore
la Mercedes.
Non vi girate per nessun motivo scandisce il capo della Mobile
vicentina. Abbiamo trovato la Mercedes.
Caldarozzi, capita la situazione, prende la radio e comunica la notizia:
la Dedra di Salvatore Galleria davanti, dietro ci sta la Renault dello
SCO, poi la Golf con Piernicola Silvis e Gilberto Caldarozzi e dietro
la Mercedes con Madonia.
La situazione era diventata rischiosa. La collega Odette fa finta di
scherzare con Silvis e Caldarozzi per fare scena e tranquillizzare i due
della Mercedes. Ma il rischio che le macchine rientrassero alla villetta
di Longare era ormai altissimo. Di qui la decisione finale.

O adesso o mai pi

Guglielmini (dalla Renault dietro alla Dedra): Capo, siamo vicini alla
villetta. Se non li fermiamo adesso non li becchiamo pi!
Caldarozzi (Golf guidata da Silvis con la Mercedes di Madonia dietro):
Ok. Allora si interviene.La Renault schizza in avanti, sgomma e
supera la Dedra. La Golf si blocca ma la Mercedes non tampona e si
ferma in tempo. Tutti fuori, polizia! Scendete con le mani alzate!
La collega dello Sco alla radio: Siamo intervenuti, abbiamo bloccato
le auto! Correte tutti, a Longare, a Longare tutti!
Fuori! Mani dietro la nuca!
Gli uomini scendono, sono tranquilli. Sono obbligati a stendersi per
terra. Intanto si sentono le sirene che urlano e le gomme che stridono
sullasfalto. Macchine e agenti riempiono la strada ma ormai non serve
pi brandire le armi. Vengono ammanettati tre uomini, la ragazza
che era assieme a Salvatore Galleria sulla Dedra viene lasciata stare.
Sia Silvis che Gilberto Caldarozzi si avvicinano e squadrano Madonia.
Un uomo massiccio, aspetto distinto, mostra una cinquantina danni,
guarda perplesso con unaria spaesata.
37

Domenica 6 settembre 1992, conferenza stampa in questura a Vicenza. Da sini-


stra il dirigente della squadra Mobile dottor Piernicola Silvis, il dottor Elio Roma-
no, questore di Vicenza, Achille Serra dirigente di polizia

Caleffo Mario, medico chirurgo

Pu darci un documento per favore? chiede Guglielmini. Il boss


estrae dalla tasca il documento, una carta didentit con su scritto
Caleffo Mario, professione medico chirurgo. E se lo SCO avesse sba-
gliato, se lindagine avesse portato ad un vicolo cieco con un clamoroso
errore di persona?
Il documento era perfetto, il problema che non cerano impronte
in archivio. Cera la possibilit di dover perdere un sacco di tempo
per stabilire lautenticit del documento e individuare la vera iden-
tit della persona. Ma sia lo SCO che il Capo della Mobile vicentina
vogliono il risultato subito.
Ci pensa Guglielmini che sbotta: Il gioco finito, signor Madonia.
Luomo infastidito chiede: Posso sedermi?
E poi aggiunge: Come avete fatto a trovarmi?.
Tutti tirano un respiro si sollievo, la caccia era finita, Madonia, Pid-
du era in trappola.
Manganelli viene avvisato, cos pure il questore di Vicenza. Parte della
squadra viene lasciata a Longare per una perquisizione approfondita.
Madonia viene invitato a salire sulla Golf di Silvis per andare veloce-
mente in questura a Vicenza.

38 Gli accertamenti fatti nella villetta danno la conferma che il boss aveva
alloggiato nella casa di Salvatore Galleria. Viene trovata una valigia
con effetti personali e quaranta milioni di lire e un telefono cellulare.
La Mercedes viene sequestrata e si appura che era intestata ad una
societ di leasing milanese. A Vicenza la notizia di dominio pubblico
e si raduna una folla di giornalisti di molte testate, locali e nazionali.

Una versione di comodo

Viene convocata una conferenza stampa e il dirigente di polizia Achille


Serra si consulta con Piernicola Silvis e Gilberto Caldarozzi su come
gestire il colloquio con i giornalisti. Viene deciso di essere reticenti e
di non rilasciare alcuna notizia sui dettagli delloperazione. Niente di
quellindagine doveva andare sui giornali. Quindi davanti alle teleca-
mere e ai taccuini dei giornalisti viene data la versione di comodo: la
villetta di Longare era stata individuata da mesi e la polizia la teneva
sotto controllo fin da ferragosto.
La verit invece quella che vi abbiamo raccontato, confortata in
pieno dalle pagine del libro autobiografico di Piernicola Silvis,
capo della Mobile vicentina, Lultimo indizio (Fazi editore).
Tutti i nomi e i dialoghi riportati in questo articolo sono autentici.
Pierluigi Silvis, Gilberto Caldarozzi, Guglielmini, Annarumma, e gli
agenti dello SCO e della questura di Vicenza sono stati i protagonisti
di uneccezionale operazione di polizia condotta in tempi ristretti ma
con coraggio e professionalit.
LA MAFIA A VICENZA

Una cupola di cemento


39
Piddu a chiacchiera
e i suoi 24 anni di carcere
GIORGIO MARENGHI

P iddu a chiacchiera, arrestato a Longare (Vicenza) il 7 settem-


bre 1992, da quellanno stato inghiottito dal sistema carcerario ed
sparito dalla circolazione. Figlio del fu Francesco Madonia, Giuseppe,
il boss che aveva un solido punto di appoggio nel Vicentino, sempre
stato un fedele alleato di Tot Riina fin dagli anni Novanta, quando
si consum una terribile guerra di mafia.
Il questore Achille Serra disse nelloccasione della cattura: Dopo
Liggio la prima volta che prendiamo un boss della Cupola.
Infatti, questo era Giuseppe Madonia, fermato in macchina a pochi
metri dalla villa di Longare dagli uomini dello Sco e della Mobile
vicentina diretti da Piernicola Silvis, ora questore di Foggia.
Madonia da quel giorno finito nel tritacarne del carcere duro, il fa-
moso 41 bis. Ma, nonostante tutte le traversie del sistema penitenzia-
rio, Piddu rimasto uno dei capi di Cosa Nostra. Senza alcun dubbio
comanda e ha comandato da dietro le sbarre la zona del Nisseno,
Caltanissetta e Gela.
La famiglia aiuta il capo che, anno dopo anno, invecchia ma non
demorde. Il bastone del comando ce lha ancora lui anche quando
gli arriva la condanna a vita per una serie impressionante di reati,
omicidi compresi.

La diga del Disueri, a Gela:


un malloppo da 220 miliardi

Tutto il sangue versato nella zona di Gela ebbe il suo motivo criminale
nei grossi interessi che giravano attorno alla costruzione della diga
del Disueri. Un malloppone di 220 miliardi che Piddu, arrivato in
un baleno con le sue aziende e con i suoi killer di professione, dovette
contendere agli Stiddari, mafiosi non organici a Cosa Nostra, ade-
renti alla Stidda, la Stella, una compagnia agguerrita e non meno
feroce di assassini.

40 Centodieci morti solo nella zona di Gela in poco meno di 21 mesi.


Un record. Piddu la spunta e si allarga (tramite i suoi luogotenenti,
ovviamente, lui, ricordiamocelo, sempre in carcere al 41 bis) anche
allAgrigentino. Il vuoto di mafia, vuoto di comando, viene subito
riempito dalla sua famiglia. Piddu va a comandare pure a Canicat-
t, Camastra, Ravanusa, a Palma di Montechiaro. Arriva a
comandare anche a Palermo.
La provincia per lui la vera base di potere.

Le stragi di Capaci e di via dAmelio

Il 18 settembre del 2008 Madonia viene condannato in via definitiva


allergastolo per la strage di Capaci e per quella di via dAmelio. Ac-
cumula pure altre condanne. Importante quella del 23 aprile 2013
per una serie di omicidi (quelli degli Stiddari e altri). Fa uccidere
anche un pastore che aveva rubato del bestiame ad un suo affiliato
che era protetto dalla famiglia Madonia.
Piddu comunque gestisce i suoi affari, nonostante la segregazione e
le misure di sicurezza. Tant vero che attraverso i colloqui in carcere
d ordini precisi che vengono subito eseguiti. Un ruolo di rilievo
affidato alla sorella Maria Stella Madonia e al cognato Giuseppe
Lombardo. I due sono in stretti rapporti con il reggente operativo,
Carmelo Barbieri.
Due societ che gestiscono sale scommesse a Gela e a Niscemi, e
una azienda per la produzione di calcestruzzi vengono sequestrate.
Piddu nel 2009 viene condannato anche per un omicidio donore,
per aver fatto ammazzare tale Giuseppe Ricottone, nel lontano 2
maggio del 1990, perch la vittima aveva denigrato Nino la Mattina,
boss di Campofranco, che gestiva un night club molto frequentato
dai mafiosi.
Poi, nel 2015, la Corte di Cassazione assolve Madonia e gli stessi
presunti affiliati a Cosa nostra di Campofranco, Domenico Mim
Vaccaro e Salvatore Giuvannuzzu Termini, anche loro condannati
nel 2009 per lomicidio Ricottone. Loriginalit della sentenza della
Cassazione fu che annull le tre condanne senza rinviare gli atti in
appello. Oltre agli avvocati difensori anche il procuratore generale
della Cassazione aveva chiesto lannullamento delle condanne.
41

Unimmagine
recente
di Giuseppe Madonia

Da Niscemi a Trissino (Vicenza)

Interessante lo squarcio aperto dalle indagini dei Carabinieri e della


DIA per quanto riguarda le tangenti e il pizzo che affluivano nelle
casse della famiglia Madonia.
Gli intermediari che si davano da fare per assicurare un gettito milio-
nario a Piddu provengono da diverse zone della Sicilia. Troviamo la fa-
miglia mafiosa di Niscemi, specializzata in subappalti e controllo delle
maestranze, delle forniture di calcestruzzi, ecc. Nel filone dellindagine
troviamo pure sei indagati e fermati nel 2006 a Trissino (Vicenza)
mentre tentavano il sequestro a scopo di rapina dei fratelli Bovo,
titolari di una ditta di metalli preziosi.
E sempre affiorava il famoso reggente Carmelo Barbieri, che
guidava, per conto della famiglia, tutti gli affari. Linchiesta dei Ca-
rabinieri porta in carcere la moglie di Piddu, Giovanna Santoro, la
sorella Maria Stella Madonia, il cognato ed altri 20 mafiosi.
La famiglia Madonia, pur se controllata dalla giustizia, nel 2012
trova comunque il tempo di passare le vacanze nella lussuosa villa di
propriet sul litorale di Santa Croce Camerina (Ragusa) anche se
limmobile era stato confiscato e trasferito al Comune che aveva trovato
una destinazione per bene: lEnte per la protezione degli animali. La
42 moglie di Piddu fa cambiare le serrature e porta allinterno della sua
villa figlia e genero di Piddu.

Isola di Bancali, a otto chilometri da Sassari


Un carcere speciale per detenuti molto speciali

Ma se i suoi familiari sono attivissimi e in qualche momento si danno


alla pazza gioia, cos non per lormai vecchio boss. Al momento del
suo arresto aveva detto: Non parlo, almeno per il momento. Sono
passati 24 anni da quel 7 settembre di Longare e Piddu Ma-
donia, sempre dietro le sbarre del 41 bis (isolamento in sistema di
sicurezza speciale), invecchia.
Nel 2015 Piddu, assieme a 90 altri superboss mafiosi viene trasferito
nellisola di Bancali, a otto chilometri da Sassari. Qui sorge un carcere
nuovo, una colata di cemento, esteso per decine di ettari e costruito con
criteri moderni per la reclusione di detenuti molto speciali. Padrini di
mafia, camorra e ndrangheta trovano qui una sistemazione definitiva.
Non per il 41 bis di Pianosa e dellAsinara. Il Bacchiddu ha per-
fezionato la struttura carceraria. Trionfa il moderno, spazi e celle
hanno dimensioni diverse rispetto agli angusti spazi delle vecchie
carceri speciali.
Le celle sono di dodici metri quadrati, e sono individuali, ovvia-
mente. Non ci sono pi i corridoi su cui si affacciavano le altre celle,
tutto stato progettato per ridurre al minimo i contatti tra i carcerati.
I contatti con lesterno sono quasi impossibili. Le celle sono divise in
blocchi su cui si affacciano solo 4 detenuti. Sono quelli che trascorrono
insieme lora daria in un piccolo cortile. Accanto ad ogni cella c una
stanza per i video-collegamenti con le aule dei tribunali.

Qualcosa Piddu, dalla Sardegna, comincia a dire...

Piddu e i suoi colleghi di sventura credevano che fosse un trasferi-


mento come tanti. E invece si sono trovati in un inferno di cemento.
Infatti la conseguenza dello smagliamento del 41 bis che col tempo
era diventato molto permeabile e non dava pi alcun affidamento.
Per lo Stato il 41 bis strategico perch deve portare alla disarticola-
zione del comando e dellorganizzazione mafiosa.
Per Piddu, abituato a girare per i corridoi e a ricevere gli omaggi dei
picciotti e degli altri capi di mafia stato un colpo durissimo. 43
Tanto vero che in video conferenza, per il processo Borsellino,
Giuseppe Madonia, nel gennaio di questanno, qualcosa comincia a
dire: Io sono stato assolto per la strage di via DAmelio e condannato
per la strage di Capaci. Ad accusarmi erano sempre gli stessi pentiti,
Ciro Vara e Leonardo Messina. Io pensavo che Vara, quando si
pent, iniziasse a dire la verit, invece si accodato a tutti gli altri e
diceva che sulle stragi del 92 non potevo non sapere. Ma lui sa la
verit, e sa che ero furioso quando venni a conoscenza di questi fatti,
circostanza che venne confermata anche da Calogero Rinaldi, un
pentito di San Cataldo.
Piddu dice la verit? una domanda oziosa. Un boss del suo calibro
ha una reputazione da difendere, sa che i suoi uomini aspettano da
lui ordini, decisioni, obiettivi. E il carisma, mediato da moglie, figli,
cognati, reggenti vari, deve continuare a funzionare.
Ora la modernit dellarchitettura penitenziaria si richiusa sul
vecchio omicida, i colloqui in codice con moglie e parenti sono un
ricordo lontano. Quante volte Piddu avr pensato e penser ancora
a quella maledetta giornata del settembre 1992 a Longare? E quando
ci racconter cosa rappresentavano Longare e Vicenza per un boss di
mafia come lui?
44 IL BACINO DI CALDOGNO
INSUFFICENTE
IL RISCHIO IDRAULICO
CONTINUA
4 novembre 1966-4 novembre 2016: Vicenza bassa
tuttora ad alto rischio idraulico. Sono trascorsi inutilmente
cinquantanni nella totale indifferenza (per colpe pubbliche)
di una citt che vive in letargo permanente effettivo. Le
alluvioni non arrivano ad ogni stagione. Arrivano di rado.
Ma una citt ha il dovere di premunirsi in tempo. un tema
culturale e politico, prima che idraulico. Ma Vicenza sempre
pi sorda e costruisce bacini, come quello di Caldogno,
senzaltro insufficenti a coprire il rischio. Le sorgenti del
Bacchiglione e il Sito del vecchio Bosco potranno essere
distrutti. Un danno erariale da 46 milioni. di euro. Per ora...

GIOVANNI BALDISSEROTTO

D ata fatidica, 13 settembre 2016: i lavori della cassa di monte


del Bacino di Caldogno (60% del volume, pari a circa mc. 2.300.000
capacitati in caso di piena straordinaria del torrente) sono ultimati. Da
quel giorno al 30 dicembre 2016 restano da eseguire i lavori di comple-
tamento della cassa di valle (restante 40%). Essa sar racchiusa da una
seconda diga in calcestruzzo realizzata esattamente uguale alla
prima che gi oggi separa le due casse permettendone lo sfioro in caso
di troppo-pieno (avete presente il vostro acquaio di casa?).

S.I.C e Z.P.S. : due acronimi da spiegare

Cosa significano questi due acronimi del tutto sconosciuti ai pi e si-


45

Dueville, bosco delle risorgive

curamente a tutti i vicentini sempre di corsa che pensano solamente ai


propri affanni ed affari quotidiani?
Ebbene: S.I.C. sta per Sito dImportanza Comunitaria. un luogo
al quale fin dal 2012 la U.E. ha attribuito fondamentale importanza ai
fini della protezione e conservazione di habitat naturali, ricchi di par-
ticolari specie arboree e/o prative-umide nonch popolati di una fauna
ittica selvatica di rara esistenza. Per quel che ci riguarda, il nostro SIC
codificato come IT- 3220040: Bosco di Dueville e risorgive limi-
trofe, il ch significa punti-sorgente esistenti anche al di fuori di esso,
come, per esempio, quelli disseminati un po ovunque sulle campagne
che formano i fondi-cassa dellintero Bacino, un Opera idraulica peri-
colosamente confinante ad est con il SIC europeo (distante circa 400
metri). Ho scritto ci riguarda perch, a proposito delle pi o meno recenti
vicende del nostro fiume cittadino (in piena) e secondo esperienza da
me vissuta su queste pagine fin dallaprile dello scorso anno, io dividerei
Quelli di Vicenza in quattro specie :
(i) - quelli ai quali il dio-fiume serve solamente per buttarci (di nasco-
sto e di notte) le scoasse-de-casa (e sono la stragrande maggioranza
silenziosa ed ambigua che non si sa mai cosa pensa, cosa fa e come vota);
(ii) - quelli ai quali, dopo lultima alluvione.....ricordate ? - postume ed
infinite rimostranze a parte -, interess pi che altro fare la cresta sui
conti dei danni subiti (reali o inventati) salvo poi protestare per non esse-
re stati interamente liquidati (specie antropologica non proprio esigua);
(iii) - quelli ai quali ,nonostante due miei articoli apparsi su questa
pubblicazione (aprile 2015 e maggio 2016) sullassoluta necessit di
proteggere il Teatro Patrimonio Unesco (da sei anni esposto ad
elevatissimo rischio idraulico) hanno preferito girare la testa dallaltra
parte compreso il Variati-Superstar, anchegli oramai sul Viale del
Tramonto, se nostra Signora del Colle ascolter le nostre invocazioni;

46 (iv) - quelli ai quali (criceti neri in mezzo a torme di criceti bianchi bel-
lissimi ma stupidi che credono di correre ed invece non sanno di essere
fermi perche il Sistema che fa girare la ruota) le future sorti
del Gioiello palladiano stanno veramente a cuore ( specie assai rara, al
di fuori del Mondo Accademico).

Un mare di acqua dolce appena sotto i piani campagna:


gli acquedotti di Vicenza, Padova, Rovigo

Z.P.S. significa Zona a Protezione Speciale.


una zona assai particolare che riveste una grandissima utilit pubbli-
ca e che viene segnalata da ogni singolo Paese alla U.E. per motivi non
propriamente ecologici. La Z.P.S. sempre inserita in un S.I.C.molto
pi esteso.
Un esempio nostrano? Il Parco-Oasi delle Sorgenti del Bacchi-
glione ove (come noto, spero) attingono gli acquedotti di Vicenza,
Padova e Rovigo (in parte). Esso si situa idro-orograficamente in quel
di Vivaro-Dueville, occupando circa 1/ 30 della superficie dellintero
Sito che si estende per circa 7 kmq (700 ettari), vale a dire circa 7 volte
larea dei fondi-cassa del mini Bacino di Caldogno. Alla popolatissima
specie umana dei Curiosi (che non prediligo) basti sapere che il SIC -IT
3220040 con i suoi 720 ettari nel suo genere il pi vasto d Europa.
Allaltra categoria umana (altrettanto di qualit) cio quella dei nozio-
nisti-tuttologi, ai quali interessa pi memorizzare che capire, segnalo
che la ZPS di cui stiamo parlando racchiusa entro il noto triangolo blu.
Un triangolo, grosso modo di forma equilatera, ai cui vertici si trovano
i Comuni di Villaverla, Dueville e Caldogno.
Perch triangolo blu? Perch da circa 50 cm al di sotto dei piani-di-
campagna (coltivati) fino a chiss quali profondit (variabili) esiste
da sempre un mare dacqua dolce. Tutti gli indigeni sanno, infatti,
che in quei luoghi benedetti basta infiggere una qualsiasi canna in un
qualsiasi punto per vedere apparire dimprovviso....quella cosa liquida
che si chiama Vita.
Questi terreni sono definiti dai geologi suoli-cavitati, ossia terre bu-
cherellate da infiniti punti-sorgente evidenti o latenti che possono
sparire qua per riemergere l (ove e quando nessun lo sa).
Ci chiarito, dallo scorso 13 settembre questi fragilissimi suoli
risultano caricati dal peso di circa 4 km di rilevati-arginali alti da
sei ad otto metri: quelli che racchiudono il Bacino di Caldogno, sor-
47

Parco - oasi sorgenti Bacchiglione

to cos dal nulla su unanonima e piatta campagna veneta in quel


di Capovilla (ex Palude Siberia di Caldogno fino al secolo XX).
Tali rilevati arginali di sbarramento che in idraulica si chiama-
no dighe, sono stati formati da strati sovrapposti di materiali sciolti
(terre) ognuno dello spessore finito di circa 30-35 cm, fortemente
compattati, in modo tale da risultare meno permeabili possibile ai
moti di filtrazione (peso specifico stimato? circa 2000 kg al mc.)
Esempio: un terrapieno alto 6 metri (come quello di chiusura del
Bacino lato est ossia verso il SIC) graver sui piani dimpostazione
dei suoli primitivi con un valore pressorio di circa kg / cmq 1.20.
Un numero che su quel genere di terre (limi molli e mobili)
non sar certo un dono fatto dallHomo Demens a Madre Natura.
La quale, per questo gentil pensiero potrebbe prossimamente anche
incazzarsi con tutti noi (anche con quelli no-demens) e farcela pure
pagare a carissimo prezzo.

Lapertura a cascata degli argini di contenimento

Ma la brutta storia del BdC non finisce mica qui....magari .


Perch? Perch Quelli di Caldogno e dintorni, tuttora immersi nel
buio pi profondo di unassoluta ignoranza in materia, non sanno che
il Bacino, una volta che sar colmato con circa 4.000.000 di metri cubi
di fango liquido, si aprir nello stesso identico modo con cui si squar-
ciarono i bacini di sedimentazione dei fanghi nella miniera di Prestavel
in Val di Stava (TN) nel luglio di 31 anni fa .
Causa scatenante di quella terribile catastrofe? Lapertura a cascata
degli argini di contenimento. Come dire che nel caso del BdC, una volta
pieno il sottobacino di monte, le limacciose acque del Timonchio in
piena straordinaria da 400 mc/s tracimeranno naturalmente in
48

Bacino di Caldogno: la prima vasca di laminazione

quello di valle. Una volta colmo anche questo (ossia solamente cinque
ore dopo lapertura delle paratoie) parte dei 3.800.000 mc. provvi-
soriamente trattenuti dovranno essere necessariamente sfiorati nell
alveo del torrente tramite una seconda diga in corso di costruzione a
circa un chilometro e mezzo a valle dellOpera di presa. Con il Torrente
in piena come ci sia possibile lo sanno solo quelli di Beta Studio,
sovrannaturali progettisti regionali (si legga la loro relazione digitando
Bacino di Caldogno).
A questo punto per capire cosa (prima o poi) succeder bisogna anzitutto
sapere che la piena del Timonchio in Caldogno-Capovilla nel novembre
del 2010 dur circa cinque giorni perch tanti furono quelli necessari
alla Impresa CO.I.MA chiamata durgenza dal locale Genio Civile per
chiudere la seconda rotta per far fronte alla potenza di una piena che
fu allora di 200 mc/s .
Logica vuole che, dato che nelle carte della Regione oggi prevista una
piena doppia di quella (mc/s 400=2x200) non possiamo che dedurre
che essa durer pi di cinque giorni, non vi pare? Il che significa che per
giorni allinterno del Bacino resteranno immagazzinati circa 4.000.000
di metri cubi dacqua non proprio limpida da scaricare solo dopo che
la piena sar sicuramente passata (evidenzio sicuramenteperch
potrebbe sopraggiungere una seconda ondata entro le successive 36-48
ore...ossia una flash-flood).
Dobbiamo chiederci: ma...in una simile situazione cosa potr accadere in
Capovilla? R: come rappresentato sullallegato avverr che sotto il peso
di una colonna liquida alta mediamente 6 metri si svilupperebbero
le seguenti forze :
(i) una spinta idrodinamica di kg 18000 per ogni metro lineare
di lunghezza (ton/ml) della diga est in direzione del Sito europeo
soggiacente immediatamente a valle. 49
(ii) una pressione idrostatica sui fondi cassa di kg/mq 6000
ovvero di kg/cmq 0.60 .... valore questo intollerabile per delle terre di
quel genere (limose e sature). Un genere di suoli estremamente delicati
che subirebbero dei cedimenti non certo modesti (fra laltro non
uniformemente distribuiti) causati dalla differenza tra i sovraccarichi sui
fondi-cassa compressi dalle acque invasate e quelli delle terre pressate
sotto il peso proprio dei rilevati arginali.
(iii) un valore differenziale di kg/mq (12.000 - 6000 ) che porrebbe
la linea teorica di deformazione al di fuori di ogni limite di sicurezza.
Conseguenze?
(iv) sicura formazione di tubi-di-flusso al di sotto delle dighe (in ger-
go sifonamenti) che naturalmente impaluderanno i piani sui quali
attualmente posano tutti i rilevati facendo esplodere (chiss dove)
dei fontanazzi: forse sulle stesse scarpate e/o forse nelle campagne
circostanti.
(v) in corso dopera essendo stati stesi su tali piani, per mezzo chilo-
metro quadrato di superficie, parecchi rotoli di geotessuto-stradale
su ordine del D.LL. della Regione (certo sig. Coccato Massimo di Beta
Studio), ordine prontamente eseguito da parte dellappaltatore (tale si-
gnor Schiavo Luigi, noto impresario edile) certo che tali strati, fatti
di materiale sintetico, diventino degli ottimi piani di separazione e
quindi di scivolamento sui sottostanti tubi di flusso. Per intenderci,
come se queste montagne di terra poggiassero su dei pattini-a-rotelle.

La differenza
fra Opere idrauliche generiche e Dighe

Circa due chilometri e duecento metri di rilevati (lati est e sudest della
Cassa di valle nellangolo dei due scarichi di fondo ) dapprima si fessure-
ranno indi collasseranno. Circa 4.000.000 di tonnellate di acqua-sporca
(1 mc di acqua pesa 1 tonnellata) se ne andranno per i fatti loro in tutte
le direzioni, naturalmente secondo gli incisi e lorografia delle campagne
circostanti. E per lintera capacit del Bacino perch probabile che lo
sbarramento che separa le due Casse non solo sar sormontato ma pure
scalzato perch stato costruito come fosse un rilevato arginale,
esattamente uguale agli altri, solo in un secondo tempo rivestito di
calcestruzzo (tra laltro di cemento non pozzolanico come prescrive la
norma per costruzioni di questo genere).
Si spiega tutto: le tre imprese esecutrici (Idrabuilding di Schiavo & C di

50 Vicenza + Medoacus di Padova + CO.VE.CO di Venezia) sono certificate


/ abilitate a realizzare esclusivamente Opere Idrauliche generiche
(cat. OG 8) ma NON DIGHE (cat. OG 5 ) come da art. 118 del D.Lgs
n. 163/2006.
Conclusione davvero finale: interi abitati come Vivaro, Cresole, Cal-
dogno, Rettorgole potrebbero venire sommersi. Non solo: sottacqua
finirebbe anche lattigua Base militare americana che per qualche
settimana diverr un lago con tanto di immissario (il Torrente Timon-
chio in piena) e di emissario (il fiume Bacchiglione altres in piena) cui si
aggiunger poco a valle anche il Torrente Orolo alle porte di Vicenza.
E poi tutti insieme questi nostri amici torrenti in piena si rivolgeranno
alla volta di Vicenza-bassa e, perche no?, anche contro il Gioiello pal-
ladiano .....come gi scrissi (Quaderni Vicentini 2/2016, p. 22 e segg.).
PFAS E I SUOI FRATELLI 51
GLI INQUINATORI
VENETI
E I LORO PROTETTORI
Il veleno da Pfas, cromo, coloranti, solventi, in ambiente
veneto ormai accertato. Tutta Italia, oggi, ne informata.
La trasmissione televisiva delle Jene, su Canale 5, ha
messo il dito sulla piaga con efficacia e completezza. Noi
lo avevamo gi abbondantemente scritto. Dobbiamo,
purtroppo, ripeterci. La terra veneta inquinata e i nostri
governanti, Giustizia compresa, ne sono i veri responsabili.
Che fare? La stampa segue (quasi) tutta
i loro dispacci. E le associazioni industriali? Non hanno
fatto il minimo intervento programmatico

GIANNI PADRIN

G i nel 2009 a Stoccolma si decise che i vari tipi di Pfas (Per-


fluoroalchilici) sono Interferenti Endocrini, quindi portatori di
tante malattie e attivatori di molte altre, cancri compresi. Non serve
che lo smentiscano persone pagate dalle multinazionali produttrici
di questi composti, tra cui lo Stato italiano (ricordo che Miteni
Mitsubishi pi Eni, quindi lo Stato italiano che ci ammazza con i
suoi dirigenti strapagati), n gli altri utilizzatori, tra cui i conciari di
Chiampo e dintorni (tutti amici delloste che dice che il suo vino
il migliore e non ha difetti), n fantomatici camici bianchi di Ulss e
ArpaV (spesso impoltronati dai politicanti), o presidenti di aziende
imbottigliatrici, che ci fanno morire a norma di legge (anche loro
spesso impoltronati dai politicanti!), quindi non credibili in quanto
in conflitto di interesse, anche se non palese.
Acque vicentine
inquinate

52
da idrocarburi

- Che non
fanno bene
lo sappiamo
benissimo or-
mai, e queste
tre brevi parole
indicano una
sola cosa: fan-
no malissimo
anche a bassis-
sime concentrazioni, visto che sono decenni che ce le mangiano e
beviamo!
Non siamo malati di Alzheimer (una delle tante malattie provocate
da quasi tutti i composti chimici non naturali): non c bisogno di
un dottore, per farci capire quanto male siamo messi.

Bandiza. Storie venete di confine: una denuncia perfetta

Morire sani sarebbe il massimo, ma morire in questi modi, per colpa


daltri, questo non ci va pi gi. Un buon parlatore in lingua veneta,
dopo aver visto il film Bandiza. Storie venete di confine, direbbe:
A x ora de finirla de torne pal dedrio e farne morir come cavie
da sperimento par veder che malattie vien fora da ste molecole
cancarose .
- Non c bisogno di far fare le analisi che costano milioni di euro a
nostre spese, per vedere quanto siamo inquinati. Lo sappia-
mo benissimo. Chi ha bevuto per tanti anni quellacqua che sapeva
di chimica, sia che fosse da pozzo o da acquedotto o ha mangiato
prodotti vegetali o animali e latticini degli agricoltori della zona
inquinata, dovr mettersela via.
probabile che non muoia di M.N. = Morte Naturale. Morir a
causa degli industriali/multinazionali/mafie avvelenatrici, con lim-
primatur dei politicanti provinciali, regionali e comunali di zona.
Non che i nostri vicini siano messi tanto meglio, visto che a macchia
di leopardo stato sversato di tutto in questo Nostro Pianeta. Ma
se in qualsiasi posto della pianura veneta si pianta un tubo, ne esce
solo acqua cancerosa e puzzolente, proveniente dalle discariche
percolanti, che le autorit di tutti questi decenni trascorsi dichiara-
vano impenetrabili al 100 %!

53
La nostra Giustizia? Sorda e muta

- 248 nanogrammi di perfluoroalchilici nel sangue al posto di


4, significa 62 volte il limite - disse la consigliera dopo aver visto le
sue analisi. Cos disse il capo sanitario Mantoan. Questi per non
denunciano i loro carnefici (e questo fa pensare molto male).
La DuPont, che negli Usa ha inquinato e ammazzato migliaia di
persone, ha gi pagato centinaia di milioni di dollari e chiuso im-
mediatamente la fabbrica, mentre il procuratore di Vicenza non ha
messo in gattabuia manco un topo (ad oggi!), come un precedente
procuratore che pare abbia insabbiato tutto nel 1977 (a detta di varie
figure che si occupano di questo caso e di altre vicende del malaffare
vicentino. Anche in quei vecchi casi, nessuno finito in galera). La
loro scusante : Mancano le leggi; sar anche vero dal punto di
vista dei cavilli burocratici, ma un po meno scusati si sentirebbero i
morti certi da inquinamento, legati direttamente allinquinante che
scendeva e scende da sopra. Non occorre andare tanto lontano, a
Tezze sul Brenta almeno una quindicina di morti li ha fatti il cromo
esavalente di una nota azienda. E in galera fino a che morte non li
separi dai lavori forzati? Neanche uno che sia uno!

Sette domande al direttore della Miteni, dottor Nardone

In comune a Montecchio due consiglieri comunali, su documenti


del Coordinamento Acqua Libera dai Pfas, porr al direttore
della Miteni, Nardone, queste domande :
1) Dottor Nardone, sul vostro sito avete risposto che le acque uti-
lizzate per il raffreddamento e di lavorazione, vengono depurate e
filtrate per renderle simili a quelle del gestore. Come fate a filtrare
le sostanze a 4 atomi se anche il gestore Acque Veronesi ha scritto
nel sito che queste sostanze non possono essere filtrate?
2) Dottor Nardone, state inquinando di nuovo la falda con queste
nuove sostanze e sostenete che fanno meno male di quelle a catena
lunga.Ma ci sono ben 200 scienziati che le hanno studiate e nella
carta di Madrid hanno scritto che sono anche peggiori di quelle a
catena lunga: se vanno a finire nellacqua ci restano per decine di
anni ed impossibile liberarcene.
Non avete paura di un nuovo enorme

54 disastro ambientale?
3) Dottor Nardone, nel mese di mag-
gio alcuni giornali riportarono la no-
tizia che la Miteni aveva predisposto
un progetto di bonifica che riguardava
larea della fabbrica, dal costo di ben
30 milioni di euro. A che punto
questo progetto? Si stanno ottenendo
dei risultati?
4) Dottor Nardone, i gestori degli
acquedotti stanno utilizzando ingenti
risorse per i filtri a carbone per far
rientrare lacqua nei limiti previsti per
le famiglie dei Pfas. Acque Veronesi
Antonio Nardone, AD Miteni
ha pure costruito una enorme vasca di
diluizione dal costo di 500.000 euro +
altrettanti per i filtri a carbone. Non crede che anche Miteni dovrebbe
perlomeno concorrere a queste spese e alle spese future anche del
biomonitoraggio su alimenti e umani in corso, visto che linquina-
mento da Pfas soprattutto legato alla produzione della ditta Miteni?
5) Dottor Nardone,il caso dellinquinamento Dupont, con lo studio
che dimostra la probabile correlazione tra presenza di Pfas e linsor-
genza di gravi patologie (studio che viene ripreso anche dallIstituto
Superiore di Sanit), va dal 2009 al 2012, ben prima che queste
sostanze fossero trovate nelle nostre acque: le chiedo quindi, come
produttori delle stesse sostanze della Dupont, perch avete atteso
cos a lungo per attuare un piano di contrasto alla diffusione di queste
sostanze nelle nostre fonti idriche?
6) Dottor Nardone, lo Studio Costa dimostra che nel sangue della
maggioranza dei vostri operai i Pfas sono di gran lunga pi presenti
rispetto ai non esposti; sappiamo anche che nel sangue di questi
stessi operai vi un aumento significativo del colesterolo, che oltre a
essere un sicuro fattore di rischio, in molti studi viene associato alla
presenza dei perfluoroalchilici nellorganismo. Dottor Nardone pu,
in tutta franchezza, esser certo che le sostanze prodotte e lavorate
dalla vostra azienda non presentino alcun tipo di rischio sanitario?
7) Dottor Nardone, nel 1977 lallora Rimar aveva inquinato le falde
di Creazzo e Sovizzo con i precursori degli attuali Pfas, costringen-
do i due comuni a cambiare le fonti di approvvigionamento degli
acquedotti pubblici: crede che i perfluoroalchilici presenti oggi in
falda e negli acquedotti di oltre 20 comuni siano meno pericolosi?
Sono domande molto semplici, vedremo se le risposte saranno cor-
rette, evasive o cialtronesche.
55
Loasi di Casale

- Il Comitato Oasi di Casale insieme al Movimento 5 Stelle riap-


pare nella stampa con domande elementari:
1) Sono stati fatti nuovi carotaggi a sud dellOasi di Casale, ex cava
e poi discarica, a vari livelli di altezza della falda e in posti diversi?
2) Chi ha dato le autorizzazioni alla discarica e non ha controllato?
3) Dove sono finiti quei 3.500 sacchi di cromo esavalente, visto
che hanno detto che non ci sono, ma erano stati fotografati?
4) Se il cromo non si trova disciolto, si gi disciolto nel 1 decennio,
in quanto molto idrofilo: dove sono i sacchi vuoti?
5) Circa i dati dei vecchi carotaggi fatti, dove sono finite le documen-
tazioni e a quali profondit sono stati fatti?
6) Chi doveva controllare la loro presenza/spostamento/fatture/
pagamento?
Sembrerebbe che qualsiasi caso grave che coinvolga industriali e
cattivi politicanti, sia protetto a vita da una giustizia che, con la
fattiva collaborazione degli stessi politicanti, lenta, ferragginosa,
contraddittoria e soprattutto ingiusta. La regione con a capo Zaia
vuol far fare ai direttori sanitari che lui stesso ha scelto, e approvare
dai media servi del Sistema, la prima cosa tra tutte: fare le analisi
ai cittadini, con i soldi dei cittadini! (Fiscalit regionale e statale).
Quale sar il risultato? Noi, che ormai conosciamo il marpione e i
suoi direttori yes-man a comando, sappiamo che sar: il Nulla di
fatto! Ci diranno cio che siamo inquinati e quindi probabilmente
moriremo maggiormente di certe malattie infide

Come faranno a dire che ci saranno pi morti,


visto che tutto inquinato?

Se tutto , pi o meno, inquinato, non ci saranno grandissime


differenze tra un inquinamento e laltro e di conseguenza grandi
differenze o novit per malattie e morti, gi oggi. Quindi, a cosa
servono le analisi?
Semplicissimo: 1) a deviare lattenzione; 2) guadagnare tempo; 3)
lasciare che gli avvelenatori si riempiano ancora le tasche e si sol-

56 lazzino ai Tropici con i nostri soldi e alla faccia della nostra salute!
La cosa principale da fare, invece, non si fa:
- chiudere per sempre le fabbriche che producono, direttamente o
indirettamente, gravi residui cancerogeni, come la Miteni. Fabbriche
di questo tipo
non producono
quei veleni che
servono per mi-
gliaia di tipolo-
gie di prodotti,
e anche per le
armi?
Come ho gi
scritto, ci sar
un aumen-
to di circa
10.000 mor-
ti nella fascia
inquinata dai
Pfas, come lo sar per altri 10.000 per il PCB di Brescia e 10.000 per
il CVM di Marghera, sempre che si chiudano le fabbriche assassine,
altrimenti saranno molti di pi in futuro.

Il Tubone assassino: il rilevatore a monte

E il Tubone Arica sar chiuso per linquinamento a valle, mettendo


in galera quelli che lhanno pensato? Chi ha inventato di mettere il
rilevatore ArpaV due metri a monte del tubone sar ringraziato o
sar messo in galera?
Saranno messi in galera quei conciari che hanno sversato e sversano
i cancerogeni?
Non sono questioni strane, giusto?
Sono domande normalissime che i comuni cittadini informati si fan-
no. Anche Sergio Gobbi si era posto queste domande, mangiando
roba da lui prodotta o prodotta dai suoi vicini, bevendo lacqua del
suo pozzo/acquedotto o respirando quei malefici odori puzzolenti
che il Gu ha emanato per almeno 30 anni, dalle sue sponde. Sergio
lo trovate nel film Bandiza, che alcuni nostri cittadini arrabbiatissimi
hanno fatto, ma lui morto di cancro.
Le acque arancioni del Gu e gli inquinatori seriali

Anchio ne sono testimone: passando sopra il ponte sul Gu per an-


dare a scuola, nei primi anni 80: acque arancioni e schiuma alta un 57
metro! Nessun politicante, sanitario o ArpaV se n accorto? Forse
aveva qualche mazzetta sugli occhi?
Anche agricoltori e veterinari non vedevano niente e tacevano, men-
tre vedevano nascere animali mostruosi?
Gli inquinanti cancerogeni prodotti a met valle dellAgno-Gu (i
Pfas della Miteni) e il resto prodotto un popi in basso dai conciari
di Chiampo e Arzignano (Pfas, cromo, coloranti, solventi), sono
stati scaricati direttamente in alveo da sempre. Quando le popola-
zioni rivierasche non ne hanno potuto pi di vedere lacqua nausea-
bonda ed irrespirabile oltre che tinta in base ai coloranti che in quei
momenti usavano per le pelli, gli inquinatori seriali, perfettamente
consapevoli di quello che facevano, si sono inventati di eliminare il
problema, intubando il tutto e portando la magica visione a quelli
che vivevano pi gi, in pianura. Questi abitanti furono molto pi
contenti di prima, visto che la situazione per loro era solo un
po pi di puzza! Questo tubone stato costruito in consorzio dagli
stessi inquinatori seriali, proprio per portare il problema lontano
dagli abitanti fra Chiampo-Montecchio e le zone di Lonigo, e lacro-
nimo nato proprio ARICA.
Nel frattempo, i sottostanti luscita dei veleni in Gu, si svegliavano
anche loro protestando. Ma fra gli inquinatori seriali sotto la pres-
sione delle popolazioni svegliate da tal dispregio dellambiente,
qualche sofista dellecologia alla rovescia si perfino inventato che:
Bisognava fare il depuratore!

Volevano fare il depuratore


ma per fortuna la gente si opposta

Per poter dare valore aggiunto a questa Verit Farlocca, quale


miglior modo se non inebetire la popolazione dormiente, con grandi
articoli pseudo giornalistici che esprimevano il falso?
Qualcuno potrebbe pensare: Ma come? Esiste una Falsa Verit?
Certo, solo questione di pubblicit e di quantit di informazioni
che arrivano ai cittadini, per far pensare che va tuto ben....
E allora il Giornalinodi VicenzaCheDorme, lArena e TvA: gi articoli
e interviste contrarie! Daltronde chi paga i giornali se non i loro
proprietari, cio gli inquinatori e/o gli appartenenti allAssociazione
industriali? Vuoi proprio che dicano il contrario di quel che devon

58 dire? Non verrebbero pagati e il giorno dopo sarebbero mandati a


casa, in mezzo a una strada; quindi, obbligati a dire il falso.
Esempio di come lavora il Sistema del Malaffare. La stampa locale
riportava la notizia Ulss che segue: La concentrazione di Pfas nelle
acque di Arcole (Vr) sarebbe cos bassa da non provocare danni
alla salute. Risponde il Coordinamento Acqua Libera dai Pfas: Se i
valori riportati risultassero veri, non ci sarebbe alcun motivo di tirare
un respiro di sollievole concentrazioni dei pozzi vengono espresse
in microgrammi, che se trasformati in nanogrammi porterebbero
valori tra 13.000 e 296.000, cio da togliere il fiato! Si ricorda che i
limiti sono 500 per tutti i Pfoa e 30 per Pfos
Cosa ha intenzione di fare lo Stato? Alzare i limiti, cos tutto
andr a posto, senza far fatica
Lacqua nelle falde deve avere gli stessi limiti degli acquedotti, visto
che le falde sono acquedotti sotterranei.
- Domanda: Quando mai un depuratore depura i canceroge-
ni? Infatti, quando dagli esami si sono accorti che dal depuratore
uscivano le stesse quantit di cancerogeni, cosa si sono inventati
questi geni? Linceneritore dei fanghi disseccati, provenienti
dal deposito di fondo delle vasche del depuratore!
Chi ha avallato queste menti da Nobel? TUTTI i nostri politicanti
migliori, di qualsiasi livello e partito.
Qualcuno potrebbe pensare: Ma coloro che hanno firmato lin-
firmabile, anche con i soldi pubblici, sapevano del trucco?
In tanti siamo costretti a pensare di s e quelli che non sapevano
non li hanno resi edotti, perch fra coloro che ignorano, poltronari
messi l apposta per firmare a comando o ad alzata di mano, senza
sapere cosa votano (cosa per loro normale, innumerevoli sono le
testimonianze a tutti i livelli del cancro nella mala politica, della
presenza degli yesman).
Per fortuna che linceneritore la popolazione locale non lo vuole e
quindi si opposta con striscioni lungo le strade e con varie assem-
blee, adducendo che i veleni umidi inceneriti diventano veleni aerei,
cio cambiano stato fisico, ma sempre veleni sono.

Perch i Veneti votano cos?

Svegliamoci! Solo una minima parte si svegliata e si data da


fare. La maggior parte ha continuato a dormire sonni profondi, tanto
che hanno votato sempre gli stessi (eccetto quelli che sono morti,
altrimenti avrebbero votato anche quelli): Panem et Circenses?
Orwell 1984?
Non vorrei sbagliarmi, ma Zaia al suo 3 mandato, in quanto 59
al primo, era il Vice del condannato, e per questo destituito dalla
sua carica di senatore della Repubblica: tale Galan, eletto, lodato,
pubblicato, adulato da tutta la stampa veneta. Come mai? Perch
i cittadini veneti votano cos? Cattiva informazione? Soggezione?
Sudditanza? E come mai Zaia, vice obbediente di Gaslan, stato
eletto ancora? Considerate che Zaia sta portando avanti esattamente
tutte le scelte di Galan e della sua combriccola (con 2 condanna-
ti incarcerati eccellenti, suoi assessori e collaboratori: Sartori - capo
progetti - e Chisso - esecutore -, scelti personalmente), pi almeno una
decina di falsi imprenditori e politicanti (e questo per una sola inchiesta:
il MOSE!). Pensate: cosa succederebbe se si aprissero veramente tutti i
Vasi di Pandora veneti!!!?

Hanno bloccato il Leb

Sar chiuso temporaneamente il flusso delle acque del


canale Leb, provenienti dallAdige, per lavori idraulici utili alla
costruzione della diga sullAdige stesso (autorizzato da Zaia) a Ze-
vio, nonostante i pareri negativi di sindaci e consorzi, per evidente
incompatibilit.
Il Consorzio Leb e il suo canale, serve a portare acqua agli agricol-
tori dallAdige, che se in secca non potr diluire le acque velenifere
dei Pfas e dei conciari. Lunione Europea lo vieta, ma la Banda Zaia
se ne frega altamente e si sono inventati il termine: Vivificazione,
sperando che qualcuno non se ne accorga che trasporta veleni.
Quindi, non si potranno diluire le acque cancerogene della
valle dellAgno-Gu!
Cosa succeder di conseguenza? Che decisioni prenderanno? Qual-
cuno finir ai Piombi? Come mai Zaia d priorit alla produ-
zione elettrica dei privati e non alle vere priorit? Forse
perch sono amici e amici degli amici?
Documenti - Banca Popolare
60
Lultima Comunicazione
Sociale del cavaliere
del lavoro Gianni Zonin
ai soci vicentini pochi mesi
prima del disastro
Pubblichiamo il testo di un documento originale che tutti i
soci della Popolare hanno ricevuto poco prima del Natale 2014 e
appena pochi mesi prima del disastro, iniziato il 22 settembre 2015
con la visita alla sede della banca della Guardia di Finanza e della
Guardia Valutaria, liscrizione nel registro degli indagati di Zonin e
altri, linizio della dbacle della banca con lannullamento pressoc-
ch totale del suo capitale sociale, essendo rapidamente e forzosa-
mente tagliato il prezzo dellazione, passato da euro 62,50 a euro
0,1. Oggi il capitale non pi detenuto da quei vicentini ai quali
Zonin si rivolgeva nella sua comunicazione ufficiale pre-natalizia.
Quei vicentini non hanno pi nulla. Il capitale in mano ad Atlante,
che ha versato, per il controllo dellistituto un miliardo e cinquecen-
to milioni di euro. Il documento che pubblichiamo significativo
perch lultima vera dichiarazione pubblica di Gianni Zonin, che
poi rimasto in silenzio e ha viaggiato, rifugiandosi in un suo eremo
friulano.
La comunicazione interessante perch tocca tutti i temi che hanno
costituito, o dovrebbero costituire, unipotetica istanza accusatoria
della Magistratura nei confronti di Zonin, del suo consiglio, dei
suoi organi di vigilanza, sindaci, revisori, Banca dItalia e Consob.
Abbiamo sottolineato le voci della Comunicazione zoniniana che
sono degne di una annotazione e a margine di questo significativo
documento i lettori troveranno le note e una premessa.

Vicenza, 4 dicembre 2014


Egregio Socio,
qualche settimana fa la Banca Centrale Europea ci ha promosso
in Europa tra i primi 13 pi importanti gruppi bancari italiani.
Per una Banca come la nostra Popolare di Vicenza, che 19 anti fa
aveva 100 sportelli e operava essenzialmente nella provincia di
Vicenza, questo un risultato di straordinario valore.
Dagli stress test a cui la BCE ha sottoposto i nostri bilanci sia-
61

Riproduzione della prima pagina della lettera inviata da Zonin ai soci


della Banca Popolare di Vicenza prima del Natale 2014.
mo risultati una Banca solida e fortemente patrimonializzata
(1) e che tale resterebbe anche di fronte a scenari macroeconomici

62 ancora pi avversi degli attuali.


La promozione europea ci rende orgogliosi tanto pi considerando
che i parametri di valutazione adottati dalla BCE riguardano pre-
valentemente i rischi connessi alla erogazione del credito.
La nostra Banca, anche in questi ultimi sei anni di recessione, ha
continuato a sostenere leconomia e le imprese del territorio a ritmi
ben pi alti della media del sistema bancario Italiano.
Vorrei quindi dire con orgoglio ai nostri Soci che se la colpa della
Popolare di Vicenza stata quella di aiutare le imprese sane a non
chiudere, di evitare la perdita di posti di lavoro, e forse perfino di
impedire il gusto disperato di qualche imprenditore (2), noi
siamo fieri di questo e proseguiremo anche in futuro nella politica di
sostegno creditizio ad aziende, famiglie e tessuto produttivo locale.
Oggi contiamo su 700 punti vendita sul territorio Nazionale e siamo
un punto di riferimento bancario indiscusso per il Veneto, il
Nord Est e per tutti i territori, dal Nord Ovest al Sud Italia (3), in
cui operiamo e dove contiamo di rendere presto angora pi incisiva
la nostra presenza.
Stiamo crescendo non solo in dimensioni ma anche in qualit ed
ampiezza di servizi. Rientra in questottica il rafforzamento della
nostra partecipazione in Cattolica Assicurazioni, una delle
pi importanti compagnie assicurative italiane, di cui oggi
siamo primo azionista (4). Grazie anche alla comune vocazione
popolare e cooperativa, le nostre reciproche sinergie nel campo della
banca-assicurazione costituiscono un vero valore aggiunto non solo
per i clienti ma anche per tutta leconomia reale.
A chi si preoccupa della flessione registrata dal valore delle azioni
Cattolica Assicurazioni, vorrei evidenziare che questo landamento
che caratterizza purtroppo tutto il mercato borsistico, e che il valore
di una societ quotata non si misura mai n al top dei valori di bor-
sa e neanche ai suoi minimi. Anche una decina di anni fa qualcuno
aveva guardato con preoccupazione un altro nostro investimento
importante e strategico: quello che ci port a divenire il primo azio-
nista Italiano di Banca Nazionale del Lavoro, investimento da cui
la Banca uscita con uno plusvalenza di quasi 300 milioni di euro.
Abbiamo sempre fatto il nostro dovere di Banca al servizio del
territorio nellinteresse dei nostri Soci e dei nostri Clienti, ma per
continuare lungo questa direttrice non dobbiamo farci distrarre n
da chiacchiere n da pettegolezzi.
Abbiamo bisogno solo di due cose.
63

Gianni Zonin

La prima riguarda il nostro Paese, ed lattuazione pi veloce pos-


sibile di politiche di governo, nazionali e comunitarie, che, a dispetto
dellausterit ostinatamente propugnata da qualcuno, facciano
ripartire al pi presto la nostra economia, mettendola sulla scia
virtuosa di quelle che, come negli Stati Uniti, Canada o Regno Unito,
hanno gi ricominciato a correre.
La seconda cosa, altrettanto importante, la fiducia dei Soci in
questa Banca che vuole aiutarli a proteggere i loro investimenti.
Abbiamo tutelato in questi anni il valore dellazione Banca Popolare
di Vicenza, evitando la quotazione in borsa del nostro titolo
anche quando tante lo consideravano conveniente (5). Ora,
dopo che negli ultimi dieci anni i titoli delle banche quotate hanno
perso in media il 60% del loro valore mentre quello della nostra
azione cresciuto del 33%, sappiamo che abbiamo avuto ragione e
che i nostri 110.000 Soci ce ne sono grati.
Mi ha detto di recente un conoscente: Nel 2007 avevo investito
100.000 euro in titoli quotati di una Banca e oggi mi ritrovo con

64 25.000 euro in mano. Se, pur di riavere intatto il mio capitale


iniziale, qualcuno mi proponesse di aspettare due anni per
vendere, gli risponderei che ne aspetto volentieri anche
cinque. (6)
So che qualche Socio lamenta che i tempi di vendita delle nostre
azioni si sono allungati (7). E vero, come vero che, con la crisi,
tutti i mercati sono rallentati e la domanda debole in ogni settore,
perfino quello immobiliare; a Cortina, per fare un esempio, fino a
qualche anno fa un appartamento restava sul mercato solo poche
ore, oggi ci sono centinaia di abitazioni in vendita, e i prezzi sono
tutti in discesa.
Gli scenari economici che abbiamo davanti non sono ancora incorag-
gianti ma siamo una Banca forte e sana (8) e non ci fermeremo
nel nostro percorso di crescita. Entro il primo trimestre del 2015
sar operativo un nuovo piano industriale triennale che avr come
obiettivo lulteriore sviluppo dellIstituto e la produzione di una buo-
na redditivit che, ne sono certo, sar di soddisfazione per tutti Voi.
Cari Soci, dobbiamo essere non solo fiduciosi nella Popolare di Vi-
cenza ma anche orgogliosi di questa Banca che fra poco compir 150
anni perch la sua presenza rappresenta un valore straordinario
che va a vantaggio di tutti.
Leconomia italiana e il Nord Est non sarebbero mai decollati se non
ci fossero state banche come la nostra che hanno dato aiuto, credito
e fiducia alle aziende del territorio.
Con questo pensiero rivolgo a tutti Voi e alle Vostre famiglie un
cordiale augurio di buon Natale e di serene festivit.

Il Presidente
Cav. Lav. Dott. Gianni Zonin

Il boomerang
Premessa
La lettura attenta di questa comunicazione sociale di Zonin ai soci
molto istruttiva. Infatti, a parte le singole osservazioni su fatti spe-
cifici che esaminiamo nelle note qui sotto, non pu sfuggire il tono
complessivo della comunicazione. Anche se il periodo non lo avreb-
be potuto n dovuto suggerire - essendo oggettivamente di chiara
difficolt per tutti e per la sua banca pi di tutti - il cavaliere del
lavoro Gianni Zonin non rinuncia al suo stile, che sostanzialmen-
te Quello di un approccio aggressivo di tipo trionfalistico. Non lo
ha inventato lui, questo stile. piuttosto tipico di una mentalit
marketing-oriented molto in voga fin dagli anni Novanta, che 65
spendeva lottimismo come volano per la vendita e, in estrema sin-
tesi, la crescita. Silvio Berlusconi stato un vate di questa filoso-
fia ma lui era un imprenditore e poi, da politico, ha tentato di appli-
care le stesse coordinate con alterni successi. Il banchiere-venditore
non era molto diffuso. Forse i furbetti del quartierino lo erano stati.
Zonin senzaltro un epigono del ruolo. Daltra parte, se chiama le
filiali e gli sportelli punti vendita e definisce lattivit della banca
unattivit di vendita una ragione (non so quanto freudiana) c. Del
resto, come i fatti e le indagini successive hanno dimostrato, Zonin
doveva vendere tre cose: 1. La fiducia nella banca, 2. Le azioni degli
aumenti di capitale, 3. Le obbligazioni. A qualunque costo. Per ven-
dere, doveva istillare ottimismo. Trionfalismo. Essere la tredicesima
banca in Italia era per lui un motivo di orgoglio e lo spendeva con
generosit verbale, questo orgoglio, verso i suoi clienti (li chiama lui
stesso cos). Da questa filosofia, seguita ostinatamente per raggiun-
gere gli obiettivi di crescita prefissati, nato il disastro. Una banca
non una salumeria. E neanche un beauty shop.

(1) LULTIMO TRIONFALISMO. Lo stress test a cui Zonin si ri-


feriva era quello verificato a novembre dello stesso anno, che evi-
denzi come la Banca Popolare di Vicenza, per rientrare nei para-
metri allora imposti dalla Bce, convert in fretta e furia e in extremis
(questione di ore) un prestito obbligazionario di 253 milioni
di euro in azioni. Una conversione che allora i controllori della ban-
ca europea non potevano verificare in dettaglio, per cui lo stress test
pass. Come fu fatta e con quali mezzi quella conversione si seppe
dopo. Il bilancio 2014 chiuse comunque con una perdita di 758,5
milioni di euro dopo svalutazioni per oltre 1,5 miliardi. Il trionfali-
smo nel caso era davvero fuori luogo.

(2) SUICIDI. Forse era meglio se Zonin evitava questo trionfali-


smo: solo un anno e qualche mese dopo Antonio Bedin, pensio-
nato di 69 anni, socio storico della banca, si sparato nella sua casa
di Montebello Vicentino per le rilevanti perdite subite dalla svaluta-
zione totale del suo patrimonio.

(3) ESUBERANZE. A distanza di poco pi che un anno solare la


realt completamente diversa. un lapsus freudiano chiamare gli
sportelli punti vendita come se la banca fosse una multinazionale di
cosmetici, ma in realt cos li ha sempre considerati il suo manage-

66 ment. Resta il fatto che i punti vendita si sono drasticamente ridotti


e nel tempo si ridurranno ancora e ad appena un anno di distanza la
banca non pi il punto di riferimento decantato a fine 2014 dal suo
presidente. Zonin, rileggendosi, deve ammettere che tutto ci non
pu essere solo colpa dei regolamenti della Bce e del destino cinico
e baro. La situazione decantata da lui allora si drammaticamente
rovesciata, non per fatti attribuibili alle iniziative successive degli
organi di controllo (sarebbe tecnicamente impossibile) ma per azio-
ni, prassi, valutazioni, politiche, degli anni che precedono. Gli anni
della sua esuberante presidenza.

(4) IL PASTICCIO CATTOLICA-POPOLARE. Le intese di reci-


procit che Zonin magnifica nella sua comunicazione sono state in
realt causa di una doppia tragedia finanziaria nei due istituti. La
reciprocit delle partecipazioni ha generato sfracelli. Ban-
ca Popolare il maggior socio di Cattolica Assicurazioni con il 15,7%
ma poich Cattolica ancora cooperativa il malloppo vale solo un
voto. Dunque, non strategica. Cattolica aveva una quota di Popo-
lare valutata al prezzo artificiale massimo (62,50) in 60 milioni, che
ha azzerato per la valutazione di 0,1 ad azione. Cattolica, in agosto,
ha esercitato anche il diritto di recesso. Questo comporta il diritto
di Cattolica a vendere le partecipazioni del 60% in Berica Vita,
Cattolica Life e Abc Assicura, operazioni collegate al compli-
cato contratto di interrelazioni fra le due istituzioni. Queste parte-
cipazioni hanno un prezzo: 175 milioni. Prezzo che dovrebbe essere
pagato da Popolare di Vicenza incamerando le corrispondenti azio-
ni. Oltre a tutto ci, il valore di Cattolica Assicurazioni in bilancio
di Popolare a 394,7 milioni dovrebbe essere svalutato a valore di
mercato che di due terzi in meno. Ci significa che Atlante per
Popolare dovrebbe svalutare oltre 250 milioni per la partecipazione
Cattolica e spendere 175 milioni per il riacquisto delle tre societ i
cui pacchetti Cattolica ha diritto di vendere. Un salasso di 425 mi-
lioni. C un terzo costo da mettere in preventivo. Le azioni della
Cattolica sono state date da BPV in pegno ad una non ben precisata
controparte di unoperazione finanziaria. Pegno che scade il 29 di-
cembre di questanno. Che succeder quel giorno? da presumere
che il pegno sia stato attivato al prezzo di acquisto, cio di bilancio.
Ma chi ha ricevuto il pegno si ritrover con un capitale svalutato per
oltre due terzi. Cosa chieder in cambio a BPV restituendo il pegno?
Da dove nata questa virtuosa alleanza fra la compagnia assicu-
rativa di Verona, guidata da Paolo Bedoni e la banca che fu feudo
incontrastato di Zonin per 20 anni? nata proprio dalla sintonia
affaristica e politica che i due presidenti hanno scoperto di avere
reciprocamente. Zonin, vinaiolo e agricoltore prestato alla finanza, 67
Bedoni presidente per un decennio, fino al 2007, della Coldiretti. La
radice l. Ben piantata nella terra.

(5) IL PREZZO SONO IO. Non stata una azzeccata scelta strate-
gica, ma una scelta di opportunit. Meglio valutarselo da soli il valo-
re del titolo che farlo valutare ad altri. Zonin non aveva ancora capito
che i tempi erano gi cambiati. La regoletta dellautodeterminazione
del prezzo su basi incontrollabili (cooperative) a questi livelli era
ormai insostenibile. Al primo vero controllo esterno (i controlli in-
terni, sindaci e revisori, non sono mai esistiti, il vero controller di se
stesso sempre stato Zonin) il castello di carte crollato. C da sor-
prendersi, a guardare le cose con occhi disincantati e aldil dei gravi
danni e drammi che ha procurato, che sia durato cos tanto tempo.

(6) IL CONOSCENTE HA PERSO TUTTO. Solo pochi mesi


dopo, altro che perdita del 25%. Il conoscente che cosa avr detto
al cavaliere del lavoro quando la sua azione si azzerata (-100%)?
Mancanza di umilt e di previdenza del presidente del maggiore isti-
tuto bancario vicentino: come mai le altre banche perdevano tutte
di valore e la Popolare invece cresceva e cresceva? Nessun dubbio?
La manipolazione dei conti non era evidente? Poich non esiste il bi-
lancio perfetto, non sarebbe stata utile un po di prudenza? Magari
quella del buon padre di famiglia cui il codice civile talvolta fa an-
cora riferimento? Una differenza: la altre banche avevano un valore
determinato dal mercato, la Popolare aveva un valore determinato,
anno dopo anno, da Zonin Gianni di Gambellara. Una differenza
non da poco. E i controllori? Il presidente del collegio sindacale? Il
vice presidente illustrissimo avvocato Breganze Marino, gi in corsa
per diventare sindaco di Vicenza? Tutti silenti? S, tutti interessati
e tutti silenti.

(7) ZIGLIOTTO E PAVAN. Questa ipocrisia. I tempi si sono al-


lungati? Per qualcuno erano infiniti. Per qualcun altro cortissimi.
Infatti: lex presidente degli industriali, Giuseppe Zigliotto, se ne
andato dalla banca e da consigliere di amministrazione, ha in carico
una chiamata a correo da verificare, ma non solo ha venduto le sue
azioni ma ha anche realizzato una bella plusvalenza. Un altro bene-
ficiato, Gianfranco Pavan, cognato di Gianni Zonin, ha venduto nel
68

Giuseppe Zigliotto, ex presidente di Confindustria Vicenza e gi consigliere di


amministrazione della Banca di Zonin.
Il 19 settembre 2016 stato dato molto risalto allUnione civile di Zigliotto con un
compagno convivente da molti anni, la prima celebrata a Vicenza davanti al sin-
daco Variati. Il quale ha dichiarato: Ho presieduto la cerimonia in sala Stucchi
per due ragioni spiega per prima cosa sono amico di Pippo e quando posso
celebro personalmente i matrimoni, e ora anche le unioni civili, di chi me lo chie-
de; secondo e fondamentale aspetto, questa stata la prima applicazione di una
legge dello Stato e considero un dovere del sindaco applicarla.

pieno della bufera 28 mila azioni percependo dal fondo riacquisto


azioni della banca un milione e 750 mila euro. Laggravante era che
Pavan, non solo era cognato di Zonin, ma soprattutto era presidente
della societ Immobiliare Stampa, posseduta da Banca Popolare. Un
benefico conflitto dinteressi. Macch conflitto: amore dinteressi.

(8) FORTI E SANI. Riassumiamo: il mercato va male ed poco in-


coraggiante, le altre banche continuano a perdere valore eppure la
Banca Popolare di Vicenza, a fine 2014, dichiarava di essere, attra-
verso la parola del suo deus, forte e sana. A parte tutti i fatti che
allepoca erano gi noti, il 2014 avrebbe chiuso con oltre 700 milioni
di perdita dopo aver svalutato il proprio attivo di 1,5 miliardi di euro.
Gli Americani a Vicenza
69
La giustizia filologica esiste.
Adelphi restituisce
a Vicenza e alla Bertoliana
la definitiva autenticit
del testo autografo di Parise
PINO DATO

L uscita, in queste settimane, della definitiva versione de Gli


Americani a Vicenza, da parte della casa editrice Adelphi e per la cura di
Domenico Scarpa rende finalmente giustizia (filologica) ad una que-
stioncella non da poco, iniziata nel 2001, quan-
do, per il trasloco di mia madre ottantaduenne
da quella che era stata la mia vecchia casa, nel
liberare una vecchia libreria, al suo interno ave-
vo recuperato una colpevole dimenticanza di
una quarantina danni: il manoscritto originale
con tanto di glosse a margine de Gli Americani
a Vicenza di Goffredo Parise.
Quel manoscritto mi era stato regalato da
Giorgio Lanza perch lo leggessi (a quel tem-
po parlavamo spesso di Goffredo e lui gli era
amico molto stretto). Poi la vita si incaric di
stendere un velo di oblio sulla vicenda (come
spesso accade). Quando lo afferrai, linvolucro
del manoscritto, da quellintercapedine della
libreria dove era stato per alcuni decenni, mi
sovvenni di tutto.
Era loriginale di un racconto lungo che per
Vicenza - la descrizione a met fantastica a met realistica, della calata
degli americani della Setaf nel 1955 era particolarmente importante.
Proprio in quei mesi mi ero iscritto, solo per amore della letteratura (una
piccola depravazione privata che non demorde), alla facolt di lettere
moderne Ca Foscari. Ottima facolt, dove tiene la cattedra di lette-
ratura italiana contemporanea, Ilaria Crotti, una parisiana convinta 1. Non
potevo avere di meglio a disposizione per una consulenza (gratuita).

70
Cortesia e competenza di Ilaria Crotti mi regalarono unopportunit che
non potevo mancare.
Mi disse: Il documento originale. E adesso lei non pu sottrarsi. Poich
ci sono delle varianti e lei deve laurearsi in lettere, studi il caso. E poi ci
rivediamo. Studiai il caso e feci la tesi sul manoscritto ritrovato del mio
amato concittadino Goffredo.
Nel frattempo decisi di donare il documento originale alla Biblioteca Ber-
toliana: mi sembrava il luogo naturale di conservazione di un documento
significativo del pi illustre vicentino della letteratura italiana del 900 (con
tutto il rispetto per gli altri: ma solo la mia opinione).
La vicenda, da semplice storia di filologia in movimento (come ce ne sono
tante) mont, perch informai del ritrovamento e della donazione Gian-
franco Candiollo, mio caro amico, allora capo redattore della cultura al
Giornale di Vicenza, il quale and subito, da buon giornalista, al nocciolo
della questione. Il documento non era solo un ottimo (e imperdibile) au-
tografo, era molto di pi. Perch conteneva alcune pagine interne, scritte e
corrette come tutte le altre da Parise, che avevano per in sovrimpressione
a matita, dei segni grossi in diagonale che indicavano evidentemente un
taglio, perch allinizio del primo di questi segni cera la scritta: riprende
con la cartella 31 (scritta per la quale non era usata la stessa macchina da
scrivere di Parise).
Il lavoro filologico fu lungo e mi costrinse a confrontare il documento ritro-
vato con altri due testi de Gli Americani a Vicenza editi molti anni prima,
da Illustrazione Italiana nel 1958 e da Scheiwiller in plaquette nel 1966 (il
libretto pi conosciuto).
Perch dico che la storia mont pubblicamente ben al di l del suo essere un
problema filologico? Perch siamo a Vicenza, piccola citt ai piedi dei Berici,
perch Parise a Vicenza poco letto ma molto conosciuto e fa sempre no-
tizia, e perch allepoca del ritrovamento e della pubblicazione del capitolo
tagliato (lo pubblicarono per intero Il Giornale di Vicenza e Il Giornale
di Feltri) tutti i vicentini che lo conobbero bene furono interpellati per
sentire qual era la loro opinione sulla vicenda.
La storia tenne banco per un po. Le opinioni furono le pi disparate e, come
scrissi, buffamente interessate. Ognuno pretendeva di saperne a suo modo
una pi del diavolo (che in questo caso ero io).
Il caso mont al punto che Ilaria Crotti un giorno mi chiam dopo una
sua lezione e mi disse: Senta, Dato, aumenti le pagine della tesi oltre il
massimo consentito. La autorizzo. Divida la tesi in due parti: nella prima

1
Citer solo i pi rilevanti dei suoi studi su Parise: - Ilaria CROTTI (2005),Wunderkammern. Il
Novecento di Comisso e Parise, Venezia, Marsilio - Ilaria CROTTI (1994),Tre voci sospette. Buz-
zati, Piovene, Parise, Milano, Mursia - Ilaria, CROTTI (2002),1955: Goffredo Parise reporter a
Parigi (con due racconti), Padova, Il Poligrafo. - Ilaria CROTTI I (2008),Ho un debole per le sem-
plificazioni fulminanti: Parise lettore di Zanzottoin QUADERNI VENETI, vol. 47-48, pp. 299-
318.- Ilaria, CROTTI (2015),Dalla prima lettera dei Sillabari di Goffredo Parise: le voci alterne
della poesia,. Studi in onore di Giancarlo Quiriconi, Firenze, Franco Cesati Editore, pp. 289-303
faccia la cronaca delle reazioni ricevute, nella seconda il lavoro filologico sui
testi. Cos pi completa.

71
Aveva ragione. Le due parti erano interdipendenti. E cos feci. Alla fine la
pubblicai in un libro al quale diedi un titolo che mi parve corretto, Vicen-
tinit, con un sottotitolo lungo Il manoscritto ritrovato, Goffredo Parise,
gli americani a Vicenza.
Il ritrovamento del dattiloscritto, con lepisodio dellamericano innamora-
to di un seminarista, della Chevrolet, del Seminario vescovile, era la cosa
pi importante del mio lavoro (troppo bello quel capitolo 7 per restare nel
chiuso di un cassetto) e il libro lo nobilitava, credo. Ma le reazioni ricevute
dallillustre vicentinit erano un prologo ineludibile. Si sarebbe divertito
anche Goffredo a leggerle.

Parise ha voluto il capitolo 7,


la Chevrolet, e il seminario vescovile

F ernando Bandini disse: Se taglio c stato lindicazione non po-


teva essere data che dallo stesso Parise. E poi aggiunse: Non ho mai saputo
che Giorgetto Lanza frequentasse Pino Dato. Forse Dato, che considero uomo
rispettabile, non intende rivelare le sue fonti. Mi accusava, insomma, di
essere bugiardo due volte: la prima per aver dichiarato una frequentazione,
con Lanza, che a lui non risultava, la seconda per
la notizia di aver ricevuto il documento da lui.
Pino Dato Walter Stefani fece una digressione sullepi-
sodio della Chevrolet, che non considerava di
Vicentinit alto valore e poi, da buon memorialista, caric
la dose: E misterioso il modo con cui il mano-
scritto stato acquisito. Che rapporto poteva mai
esserci fra Giorgio Lanza e Pino Dato? Non ricor-
do di averli mai visti insieme. Dichiarazioni che
allepoca ho definito ghiotte. E che anche oggi
non necessitano di commenti ulteriori. Ma sono
importanti per rivelare un clima, unattitudine.
Il manoscritto ritrovato La vicentinit, appunto.
Goffredo Parise Cesare Garboli, che Candiollo conosceva
gli Americani a Vicenza personalmente da tempo, e che fu interpellato
DEDALUS
perch nel 1987 aveva curato unedizione mon-
dadoriana de Gli Americani a Vicenza insieme
ad altri racconti di Parise che nulla modificava
rispetto a quella classica, disse: Una pagina deliziosa. Vi individu lo stile
precipuo e netto di Goffredo Parise.
Il pi attento e preciso fu Virgilio Scapin, certamente, fra tutti, il pi intimo
di Goffredo. Esult: Rodriguez! Il nome di quel religioso glielo avevo dato
io a Goffredo quando mi aveva interrogato su certe modalit seminariali, dal
momento che sapeva che io avevo studiato in seminario da piccolo e poteva
prendere alcuni appunti, che effettivamente prese, dalle mie esperienze.

72
Quando usc il libro da Scheiwiller gli chiesi che fine avevano fatto quegli
appunti ma fu evasivo alquanto.

L episodio tagliato, il famoso capitolo 7, attir negli anni successivi


altre attenzioni di tipo professionale. Il Sole 24 Ore, per iniziativa di uno stu-
dioso milanese di Parise, il professor Dario Borso, che cit correttamente
genesi e vicende relative al documento ritrovato, pubblic un paio di estati fa
lintero capitolo. Borso si faceva alcune corrette domande di tipo filologico
e storico, legate alla vicenda narrata da Parise e verific alcuni riscontri di
date ma la questione conservava un sapore vagamente accademico.
Oggi, con la pubblicazione completa del testo autografo posseduto dalla
Biblioteca Bertoliana da parte di Adelphi con la cura di Domenico Scarpa
il cerchio si chiuso. Il testo autografo considerato espressione dellultima
volont dellautore, Goffredo Parise.
Perch? Cosa successo nel frattempo per muovere le montagne in questa
direzione? Molto semplice. Il professor Scarpa ha verificato che nel 1970 in
unAntologia del Campiello, edita a Venezia in poche copie numerate, e in
edizione di lusso, nella quale fu pubblicato il lungo racconto, Parise forn la
copia completa del capitolo 7, della Chevrolet e del Seminario Vescovile. In
filologia questa decisione corrisponde alla volont ultima dellautore, che
sancisce, dellopera, la sua stesura definitiva.
Non ce ne sono state altre, in seguito. Questa dunque la versione vera,
definitiva, de Gli Americani a Vicenza.
Il professor Scarpa merita i ringraziamenti miei e della Biblioteca Bertolia-
na. Ma anche lui, credo, deve un po ringraziare noi. Con quel dattiloscritto
ritrovato per il trasloco di una madre, e con la pubblicazione di Vicentinit
gli abbiamo indicato una certa strada. Che lui ha seguito, con rispetto, cul-
tura e attenzione. Fino allesito finale che ci deve ritrovare, per una volta,
tutti contenti.
1986-2016

TRENTANNI SENZA PARISE 73


DAL FANTASMA
DELLA VICENTINIT
AL RITORNO (DEFINITIVO)
NEL SUO VENETO
Da Vicenza a Ponte di Piave, passando per Roma e cercando
la vera realizzazione della sua poetica nella scrittura, fra
il fantastico e il realistico, dei Sillabari (molto veneti). La
seconda parte della vita di Goffredo Parise non ansiosa e
frenetica come la prima. I viaggi continuano. Ovunque. Ma
c lo spartiacque della vicentinit e la scoperta di un nuovo
rasserenante amore.
PINO DATO

2*
I l manifesto di Goffredo Parise sulla vicentinit e la visio-
ne della Vicenza palladiana come un fondale - dopo la straordinaria
esternazione del maggio 1963 nella nuova libreria del caro amico Vir-
gilio Scapin per presentare il libro dellaltro grande amico vicentino
Guido Piovene, Le Furie si precisano entrambi meglio (manife-
sto e visione) nel corso degli anni successivi e ricevono nutrimento,
dopo essersi affermati in quel contesto fantastico-razionalistico mai
smentito, da alcune situazioni e circostanze precise della sua vita:
- Levoluzione di uno stato di salute personale pi precario;
- Una scelta decisa della sua poetica verso il sentimento, la semplicit,
il mistero (I Sillabari);
- Il desiderio di ritornare nel Veneto con la scoperta di Ponte di Piave
e di Salgareda.

* La prima parte uscita nel numero 3/2016, p. 36.


Maggio 1963, Vicenza, Libre-
ria Galleria Due Ruote. Parise

74
presenta Le Furie. alla sua destra
lautore Guido Piovene, alla sua
sinistra un giovanissimo Bandini

Nel 1970, come ricorda bene


Nico Naldini1, aveva acqui-
stato la casetta di Salgareda,
scoperta andando a caccia sul
greto del fiume Piave.
Il primo infarto lo ebbe nellagosto del 1979. Da questi fatti, da queste cir-
costanze, indubbiamente qualcosa mut. Un sentimento, un sentore, una
nuova, pi precisa, predisposizione danimo. Lui, cittadino del mondo,
residente a Roma (mai amata) metteva in controluce Vicenza, la propria
contraddizione biologica vivente, la propria Vicenza animistica, intellet-
tualistica e palladiana, e riscopriva il Veneto, i luoghi e la spiritualit nei
quali decise di ritrovare una pi fluida, naturale identit.

La riscoperta del suo Veneto

Negli anni Ottanta il suo atteggiamento verso i luoghi delle radici


riconoscibili pi olfattivo, pi dolce, pi elastico. Scrisse un articolo
che sarebbe diventato una pietra miliare di questa finale costruzione
etico-estetica, Il mio Veneto, nel 1982, sul Corriere2, il cui esordio
gi una dichiarazione damore:

Il Veneto la mia Patria. Do alla parola Patria lo stesso significato


che si dava durante la prima guerra mondiale allItalia: ma lItalia
non la mia patria e sono profondamente convinto che la parola e
il sentimento di Patria rappresentato fisicamente dalla terra, dalla
regione dove uno nato.

un passo deciso verso la conversione in corsa dal sentimento di


sofferta appartenenza a vicentinit e contesto palladiano a quello di
cittadino del Veneto, quello di muschi e nebbie, delle nuvole rosa, del
Piave e di Salgareda. Tuttavia, Parise non dimentica Vicenza e anzi
la riscoperta del suo Veneto gli consente di precisare ancora alcuni
aspetti di quello storico manifesto sulla vicentinit del maggio 1963:
1
Nico Naldini, Il solo fratello. Ritratto di Goffredo Parise, Rosellina Archinto Editore, Mila-
no, 1989, p. 54.
2
Goffredo Parise, Il mio Veneto, Il Corriere della Sera, 7 febbraio 1982.
Sono nato a Vicenza, una citt di pietra grigiastra dalle colonne
spropositate, che in molti punti sembra finta, fatta di magnifiche

75
quinte teatrali che si riassumono infatti meravigliosamente nel Teatro
Olimpico di Andrea Palladio, che per di legno ed un teatro. Anche
Vicenza lo , e non stata per me una citt ma appunto un teatro senza
nome, in tutte le sue vie, grandi e piccole, grigie, umide e leggermen-
te muschiose. In questo teatro ho ambientato cinque miei romanzi,
senza mai far riconoscere direttamente la citt perch appunto la
vedevo e la ricordo come un teatro in cui si pu cambiare commedia
ma non scenografia. fatta di scorci, di angoli, di improvvise colonne
bianco-grigie, lievemente funerarie e grosse come alberi tropicali. Non
gentile, graziosa e fantastica come Venezia, ma sempre fitta e alle
volte solenne come appunto le foreste tropicali. Il resto, la parte per
cos dire umile, invece campagnola.

quanto si legge in Veneto barbaro di muschi e nebbie3, pubblicato


con questo bel titolo in un volume curato da Nico Naldini con altri
scritti ma che fu, in origine, un articolo piuttosto lungo apparso sul
Corriere della Sera dell1 luglio 1984.

Un piccolo Eden profumato di sambuco

Sono anni difficili per Goffredo, gi costretto ad una dialisi improba


e sofferente, e in questo articolo spiega le ragioni che, ad un certo
momento della sua vita, lo avevano spinto a ritornare nel Veneto, a
Salgareda (Treviso). Racconta come fu affascinato dal luogo, come e
perch decise di comprare la casetta del Piave, circondata da quellat-
mosfera strana e felice, un piccolo Eden profumato di sambuco, dove
il vento leggero e gi fresco volteggiava insieme ai molti uccelli: merli,
passeri e improvvisamente un cuculo e un picchio.
Ed qui che Parise sente di dovere una risposta a Moravia che gli
aveva chiesto: Se ti senti tanto profondamente veneto, perch non
torni nella tua citt? (Vicenza, ndr).
Parise non si sottrae. Ecco la risposta:

Riflettendo, spiegai a me stesso il non difficile quesito. Non avevo


parenti in quella citt e per di pi lavevo, per cos dire, sfruttata,
in quattro miei libri (lascia fuori dal conto Gli Americani a Vicenza,
ndr) Ora la ricordavo esattamente come si ricorda un sogno (Un so-
gno improbabile?, ndr). Le grigie colonne palladiane () la piazza, il
passato. La guerra soprattutto, e attimi potenti di emozioni: il grigio
3
Veneto barbaro di muschi e nebbie, con fotografie di L. Cappellini, scritti di Nico Naldini e
Alberto Moravia, Bologna, Nuova Alfa Editoriale, 1987.
76

New York, 1961. Goffredo Parise in una fotografia di Auro Roselli


funerale di gennaio sul grigio delle colonne di un capo della Brigata
Nera, undici fucilati accanto ad un ponte tra cui un ragazzo con le dita

77
bruciate di nicotina, i bombardamenti, la potente solidariet umana fra
disgraziati (lo eravamo tutti), la povert, la fame, il primo carro armato
americano con stella e il dopo, il lungo dopo che si protrae ancor oggi.
Linutile sarabanda del dopo.

Dunque, nel momento stesso in cui egli lascia definitivamente (fisica-


mente) la sua Vicenza neoclassica per Ponte di Piave e lascia gli alberi
solenni della foresta tropicale vicentin-palladiana per sostituirli con
quellalbero di more, quelle nebbie, quel fiume, Goffredo ripopola
improvvisamente, e in modo inedito, il sogno vicentino di uomini,
ragazzi, funerali, colori, storie, posse. E ricordi autentici, non le quinte
sfumate di un sogno. Le quinte palladiane finalmente si popolano.
E il sogno continua.

Roma, il souk barocco del Medioriente italiano

Dallaprile 1960, data del suo trasferimento a Roma con la moglie


Mariola al maggio 1963, data dello storico incontro vicentino in Con-
tr Do Rode con Piovene e Scapin, avviene nella vita di Goffredo una
svolta assoluta, fisica e spirituale. In quel breve spazio di tempo egli
vive vicende decisive e straordinarie. Il contatto con Roma, non
facile. Dopo un primo periodo in affitto in un piccolo appartamento
in via S. Salvatore in Lauro, compra, su consiglio di Carlo Emilio
Gadda, al quale si era legato di vera amicizia, un appartamento in
via della Camilluccia 201, Monte Mario, non lontano dallabi-
tazione dello stesso Gadda. 4
Il passaggio da Milano a Roma (che definir nel 70, il souk barocco
del Medioriente italiano5) non poteva essere semplice. In questo periodo
Parise scrive solo pochi elzeviri per i quotidiani (Corriere dInformazione,
Corriere della Sera) e soprattutto collabora alla redazione di sceneg-
giature di film, avendo iniziato a frequentare il mondo del Cinecitt (si
legher ad amicizia con lo sceneggiatore Luciano Vincenzoni, lavorer
soprattutto con Bolognini, Agostino, Senilit, e con Ferreri per LApe
Regina). Prima di trasferirsi consegna la stesura definitiva dellatto uni-
co teatrale La moglie a cavallo, in parte ispirato al suo sempre difficile
4
uscito, a testimonianza dellamicizia con Gadda, nel 2015, per Adelphi, un bellissimo epi-
stolario Gadda-Parise, dal titolo Se mi vede Cecchi sono fritto, Piccola Biblioteca Adelphi,
Milano, a cura di Domenico Scarpa. La frase che d il titolo alla raccolta di Gadda, che in
quei giorni era trascinato dal giovane amico vicentino Goffredo (poco pi che trentenne) a
scorazzare per Roma in uno spyder rosso (MG).
5
Goffredo Parise, Su Palladio, Il Corriere della Sera, 23 aprile 1970
rapporto con Mariola e che utilizzer anche per il film di Ferreri. Latto
unico sar rappresentato a Milano.

78 Il primo vero film in cui cura la sceneggiatura insieme a Rodolfo So-


nego, un film oggi scomparso, Il carro armato dell8 settembre, di
Gianni Puccini, che fu presentato a Parise da Pier Paolo Pasolini6.
Tra il 1961 e il 1962 avviene tutto in turbine. Intraprende a marzo
un viaggio in America insieme al regista Gianluigi Polidoro per la
costruzione di una sceneggiatura americana, su commissione del
produttore De Laurentis (e input di Vincenzoni). Il viaggio and male
dal punto di vista cinematografico perch il film idealizzato non si
far. Servir per a Parise per catturare immagini, impressioni, idee
sullAmerica che trasferir in otto lettere inviate allamico Vittorio
Bonicelli, altro uomo di cinema, collaboratore di De Laurentis.
Le lettere, pi altri appunti reperibili nellarchivio di Ponte di Piave
in Casa Parise delineano un racconto americano personalissimo e a
suo modo straordinario. Il percorso sar completato da una visita pi
ufficiale e pi professorale (solo New York) che dar completamento
alla visione americana di Goffredo (originale, molto critica, razionale
e poetica insieme).

La scoperta di Treviso e la separazione da Mariola

Nel 1962 la madre Ida Wanda Bertoli si trasferisce a Treviso e qui


inizier il rapporto che poi diverr privilegiato ed esclusivo di Goffredo
con quella provincia. Gi era molto amico di Giovanni Comisso
(suo testimone di nozze nel 1957) e di Nico Naldini, suo inseparabile
collega alla Longanesi. La provincia trevigiana divenne quasi per na-
turale assuefazione morale e fisica il suo definitivo luogo di elezione.
Il trasferimento della madre (alla quale era legatissimo) lo spinge a
stare per buoni periodi a Treviso, dove, oltre a Comisso e Naldini,
incontra altri amici.
Lamicizia pi significativa la stringe con una donna, Gianna Polizzi,
con la quale per molti anni intratterr una proficua bellissima corri-
spondenza epistolare. Il 1960-63, tempo contrastato e interiormente
conflittuale, arriva ad un epilogo (la data virtuale la visita a Scapin
e Piovene) che sar anche un nuovo inizio: la separazione da Mariola
Sperotti, lincontro con Giosetta Fioroni e linizio della stesura de Il
Padrone (e contemporanea lite con Garzanti, che legge nel romanzo
il suo ritratto) che completer nel 1964.
6
Cfr. Pino Dato, Lultimo anti-americano, Goffredo Parise e gli Usa: dal mito al rifiuto,
Aracne Editore, Roma, 2009, p. 52.
Significativo questo estratto di una lettera che scrive proprio in quel
decisivo 1963 (data 8 dicembre 1963) allamica Polizzi7 in cui si legge
tra laltro: Sono impiegato in una serie di impegni, storie, pasticci,
che mi obbligano a spendere un mucchio di soldi, non so nemmeno 79
io perch. Ho a mio carico: una moglie lontana, governante, autista,
portiere, tutta una serie di mani tese che sbucano fuori da sotto il letto
perfino la notte oltrech nei sogni in vesti di carabinieri. E sono un
povero diavolo senza soldi, non so dove li tirer fuori.

Scheiwiller pubblica Gli Americani a Vicenza


La morte di Giovanni Comisso

Durante il 1964 incontrer Giosetta Fioroni, pittrice romana, che


diventer la compagna della sua vita e sua erede universale. Luscita
de Il Padrone nel 1965 con Feltrinelli accelerer un percorso pi im-
pegnato della sua poetica. Vince, con il romanzo, il premio Viareggio.
Continuer la collaborazione importante e prestigiosa con Il Corriere
della Sera e nel 1966 leditore Scheiwiller pubblicher in plaquette
Gli Americani a Vicenza, gi uscito in una versione leggermente
diversa ne LIllustrazione Italiana del 1958. Produrr ancora per
il teatro lAssoluto Naturale con Feltrinelli nel 1967, comincer la
collaborazione allEspresso di Scalfari e inizier la lunga teoria di
viaggi in aree di guerra e di rivoluzioni: Thailandia, Cambogia,
Vietnam, Cina, Biafra. I viaggi e i relativi articoli gli procureranno
materiale utile alla pubblicazione di alcuni libri sui temi pi delicati
della politica e della storia del mondo di quegli anni. 8
Nel gennaio 1969 muore Giovanni Comisso, altra scadenza dolo-
rosa per lui. I reportages sui molti paesi che visita (Mosca, Praga,
lAlbania, il Vietnam) saranno pubblicati da LEspresso mentre Il
crematorio di Vienna uscir, sempre per Feltrinelli, alla fine del
1969 (raccolta di elzeviri e racconti usciti sul Corriere della Sera
per alcuni anni).
Sar nel 1970 - dopo un impegnativo viaggio in Cambogia tra i rivo-
luzionari del Pathet Lao, unico scrittore-giornalista ammesso (per
interessamento dellUnione degli Scrittori Sovietici e dellambasciata
del Vietnam del Nord a Roma) in quella infuocata prima linea che
decider di comprare quella casetta sul greto del Piave a Salgareda
in occasione di una delle tante visite trevigiane.
7
Riportata anche da Bruno Callegher in Goffredo Parise, Opere, Mondadori, Milano, 1987.
Cronologia, p. LII.
8
Su tutti: Goffredo Parise, Guerre politiche, Torino, Einaudi, 1976.
Alla fine dellanno invitato in Svezia a tenere una serie di conferenze
sul tema del Padrone, un libro che allestero ha avuto indubbiamente

80 pi successo (e pi edizioni) che in Italia.


Il 1970 , dopo il 1963, un altro anno chiave.
Prepara in quei giorni, dopo lacquisto della casa sul Piave, la sua rac-
colta pi bella, i racconti che costituiranno la struttura di Sillabario
n. 1 e n. 2. Dopo una lunga parentesi politica e di inchieste giornali-
stiche, Goffredo torna alla letteratura con la L maiuscola. Torna alla
poesia, quel terreno che, secondo il suo mntore vicentino antico,
Neri Pozza, il suo pi fertile e prolifico.

La poesia dei Sillabari

La prima voce del Sillabario parisiano ovviamente Amore: il rac-


conto uscir nel 1971 sul Corriere. I racconti che costituiranno la
struttura del Sillabario sono sollecitati da Spadolini, allora direttore
del Corriere e suo grande estimatore.
Altri viaggi (e malattie parallele, broncopolmonite e morbillo) in
Unione Sovietica, Mongolia, Siberia, rallentano la produzione dei
racconti. Finalmente nel 1972 uscir, per Einaudi, con cui firm un
contratto di esclusiva, il Sillabario n. 1.
Nel 1973 muore Gadda, suo grande amico, un altro momento dolo-
roso, ma non come per Comisso, pi fratello che amico.
il periodo della cultura e della retorica dellimpegno in lettera-
tura. Parise si isola, non accetta certi diktat e certi luoghi comuni. La
poesia dei Sillabari in quel periodo la sua croce e la sua delizia. In
una delle frequenti malattie rilegge tutto Tolstoi, soprattutto Anna
Karenina e Guerra e Pace. Considera lo scrittore russo il pi grande
dopo Omero.9

Torna Atti impuri


La morte di Guido Piovene

Tutti gli altri scrittori, scrive mi annoiano da morire.


Resta un isolato ma non effimero nobile (e vero) scrittore. Pur ne-
gando il proprio appoggio a certe posizioni definite davanguardia,
non rompe con lambiente letterario. Ogni tanto torna a Cortina,
dove aveva comprato un piccolo appartamento e si riporta ad una sua
9
Da una lettera a Omaira Rorato citata da Bruno Callegher in Cronologia, Goffredo Parise,
Opere, Mondadori, Milano, 1987.
vecchia passione giovanile, lo sci. Soprattutto torna a Ponte di Piave.
Nel 1973 esce da Einaudi Atti impuri, edizione riveduta del primige-
nio Amore e fervore (il titolo originale quello einaudiano, allepoca
era stato Garzanti a suggerire, pudicamente, il cambio del titolo). 81
Nel 1974 muore Guido Piovene. Parise scrive un bellarticolo sull
Espresso: Era un italiano non italiano.
Nel 1975 visita New York con Giosetta Fioroni. Produrr otto lunghi
articoli per il Corriere della Sera. Il primo volume che li raccoglier
sar per le Edizioni del Ruzante, di Treviso. Poi usciranno, insieme
alle lettere del 1961, per Rizzoli e per Mondadori post mortem.

Goffredo si innamora di Omaira Rorato


La lettera del 1978 a Neri Pozza

Il 1977 lanno in cui si innamorer di una bella giovane di Ponte di


Piave, Omaira Rorato. Questo rapporto non turber quello, solido
e imperituro, con Giosetta Fioroni. Il rapporto con Omaira sar a sua
volta indistruttibile e si esprimer anche attraverso una generosa,
sincera corrispondenza. Vince il premio Flaiano per lelzeviro Il fon-
dale di Vicenza dietro Guido Piovene.
Nel luglio del 1978 scrive a Neri Pozza una lettera in cui il senti-
mento e la poesia sembrano gli stessi di quelli riscontrabili nei pi
bei racconti dei Sillabari:

Non mi piace stare a Roma e sono unanima in pena, molto pi che un


tempo. Vorrei una casa con qualche rumore di gocce di pioggia, qual-
che difetto legato alle intemperie, una donna o una moglie vagamente
elastica nella pelle [] magari chiss anche un figlio, meglio una figlia.
Che ci fosse carenza di ombrelli nella casa e fosse qualche volta un po
fredda dinverno (ma da poter rimediare). Che potesse dare senso di
regressione come dicono oggi, di memoria o ricordo come si diceva ieri
[] Dove per si potesse respirare il senso del tempo, sia atmosferico
che psichico. E cos, ma senza troppe scosse, diventare vecchi e morire
in una giornata di vento au plus tard!

Evidentemente la vita romana, in quel periodo (vita con Giosetta


Fioroni compresa) non era al diapason. Quella casetta era forse pi
facile immaginarla ispirata dal greto del fiume Piave e il ritratto
di quella donna (o moglie) poteva sembrare pi quello di Omaira
che della pi dinamica, effervescente, romana Giosetta. Sono tutte
ingenue illazioni, naturalmente. Tuttavia Bruno Callegher, che
Ponte di Piave. Parise,

82
Omaira Rorato
e Ida Wanda Bertoli,
madre di Parise

dellarea trevigiana
molto sapeva, scrive
sulla sua cronologia10:
Le tensioni prodotte
dalla nuova esperienza
sentimentale, e dai con-
tinui spostamenti fra Roma e Salgareda, intaccano ulteriormente la
sua fibra: emergono gravi problemi circolatori e coronarici.
Ancora una volta, i sentimenti e la salute lo posseggono fino a rischiare
di distruggerlo. Nel luglio 1979 ricoverato allOspedale Gemelli
di Roma dove colpito da un infarto acuto. Lo tengono per un mese
nellunit coronarica. Attorno a lui, scrive Callegher, due persone: Gio-
setta Fioroni e Omaira Rorato. Si delinea cos quella che diventer
la sua famiglia Il virgolettato di famiglia dello stesso Callegher.

Una passione giapponese


e il contratto con Mondadori

Superata la crisi, va in Oriente, Giappone e Singapore. Intrattiene ot-


timi rapporti con le istituzioni nipponiche. Il viaggio lo trova, stavolta,
pi preparato e scrive belle lettere sia a Romaira che a Giosetta. Il
Giappone (siamo gi nel 1981) lo entusiasma. Scrive ad Alcide Paoli-
ni, che da qualche anno lo corteggiava per portarlo alla Mondadori:
Il Giappone spettacoloso, il paese di gran lunga pi interessante
che ho visto nella mia vita. Raccoglier i testi giapponesi in un
pamphlet dal titolo sibillino: Leleganza frigida (ricever il premio
Comisso nel 1983).
Sempre nel 1981 la salute non gli dar requie. Si sottopone ad un
intervento delicato: a Padova gli vengono applicati quattro by pass
coronarici. Nel 1981 firma un contratto con Mondadori. Nel 1982 esce,
ora con Mondadori, Sillabario N. 2, che vince il premio Strega.
Nessuno scrittore, come lui, ha percorso tutti i sentieri pi presti-
10
Bruno Callegher, Cronologia, Goffredo Parise, Opere, cit. p. LXI.
Roma.
Goffredo
Parise
83
(1929-1986)
e Alberto
Moravia
(1907-1990)

giosi della grande editoria italiana: a vario titolo e livello ha scritto e colla-
borato con Longanesi, Garzanti, Feltrinelli, Einaudi, Mondadori.
Segno di instabilit ma anche di estremo successo. Come ho scritto altre
volte, stato un alieno conteso e corteggiato da tutti.

La casa Parise. Finalmente una home

Dal 1983 costretto a sottoporsi a dialisi tre volte la settimana e


questo lo indurr a rimanere a lungo a Ponte di Piave, dove acquister
un piccolo appartamento e vender la casa sul fiume, a lungo amata.
Andrea Zanzotto, trevigiano doc, grande poeta e suo grande amico,
gli dedicher un lungo saggio critico su Nuovi Argomenti.
Accentua la sua identit trevigiana acquistando una casa con giardino
in centro a Ponte di Piave. Sar la casa ove riposeranno le sue ceneri
e ove lascer i suoi libri preferiti: sar donata al comune di Ponte di
Piave perch ne faccia il museo Parise. Ci andr ad abitare nella
primavera del 1984 e la definir la prima vera casa, o home della mia
vita. In agosto va a Parigi, con Giosetta e Omaira, la sua famiglia.
La salute sembra reggere.

Petote, Arsenico, la laurea di Padova

Nel 1985 diminuiscono i suoi viaggi per difficolt pratiche legate ai


suoi obblighi terapeutici. Gli ragalano un cucciolo di fox terrier e lui
lo chiamer Petote, un nome delle origini vicentine. Il nonno chia-
mava scherzosamente cos un suo garzone (petote era un aggettivo

84 sostantivato dialettale che indica ingenuit, malaccortezza, imperizia


o qualcosa di simile).
L8 febbraio 1986 Marcello Cresti, rettore dellUniversit di Padova,
conferisce a Goffredo Parise la laurea honoris causa. Il testo in cui lui
ringrazia lUniversit per lonore conferitogli Quando la fantasia
ballava il boogie ed pubblicato dal Corriere della Sera.
Fra le altre cose un testo di commiato di Goffredo dalla vita e dallar-
te. Ad un certo punto egli dice:
Forse il momento venuto che anche la mia opera di risibile scrit-
tore venga infilata in uno scaffale, in quel millimetrico ossario che
le compete.
In febbraio d alle stampe Arsenico, per le edizioni del Becco Giallo,
una piccola casa editrice trevigiana, definito un inizio di romanzo.
In agosto viene a trovarlo a Ponte di Piave Alberto Moravia e lul-
tima recensione di Goffredo pubblicata dal Corriere su Gli asiatici
di Prokosch.
Alla fine di agosto ricoverato allospedale di Treviso per un improv-
viso peggioramento. Ischemia cerebrale. Morir alle 9 del mattino
del 31 agosto 1986.
OPERE E SCRITTI FONDAMENTALI
DI GOFFREDO PARISE
(IN ORDINE CRONOLOGICO) 85
- Il ragazzo morto e le comete, Venezia, Neri Pozza, 1951; Milano, Feltrinel-
li, 1965; Torino, Einaudi, 1972; Mondadori, Milano, 1985; Oscar Mondadori,
Milano 1992; Adelphi, Milano, 2006.

- Una vecchia vicino ai morti, apparso ne Il Giornale di Vicenza, 27 dicem-


bre 1952; poi riproposto in Gli Americani a Vicenza e altri racconti, Milano,
Mondadori, 1987 e in Opere, I, Milano, Mondadori, 1987-1989.

- Aceto sulle ferite, Il Borghese, a. IV, n. 20, 15 ottobre 1953, pp. 620-621.
Poi confluito in Gli Americani a Vicenza, Milano, Adelphi, 2015.

- La grande vacanza, Venezia, Neri Pozza, 1953; Milano, Feltrinelli, 1968;


Torino, Einaudi, 1974; Milano, Oscar Mondadori, 1992 (con Il Fidanzamento
e Atti Impuri).

- Il prete bello, Milano, Garzanti, 1954; Torino, Einaudi, 1975; Milano, Mon-
dadori, 1983; Milano, Oscar Mondadori, 1992; Milano, Adelphi, 2010.

- Il fidanzamento, Milano, Garzanti, 1956; Torino, Einaudi, 1975; Milano,


Mondadori, 1983; Oscar Mondadori, Milano, 1993 (con La grande vacanza
e Atti impuri).

- Amore e fervore, Milano, Garzanti, 1959; Torino, Einaudi, 1973.

- La moglie a cavallo, Roma, Copisteria Attilia, novembre 1959. Ora in Opere,


I, Mondadori, 1987-1989, pp. 1361-1392.

- Questa la Russia di Kruscev. Allaeroporto di Mosca incontro Tarass Bul-


ba con un transistor, Settimo Giorno, a. XIII, n. 11, Milano, 10 marzo 1960,
pp. 28-31. Anche in Opere, I, cit. pp. 1457-1466.

- Un sogno improbabile, Vicenza, Libreria Due Ruote, luglio 1963. Poi confluito in
Un sogno improbabile: Comisso, Gadda, Piovene, Milano Scheiwiller, 1991.

- Il Padrone, Milano, Feltrinelli, 1965; Torino, Einaudi, 1971; Milano, Oscar


Mondadori, 1992; Milano, Adelphi, 2011.

- Gli Americani a Vicenza, Milano, Scheiwiller, 1966. Poi riproposto in Gli


Americani a Vicenza e altri racconti, Milano, Mondadori, 1987 (prefazione di
Cesare Garboli); infine in Gli Americani a Vicenza, Milano, Adelphi, 2015 (a
cura di Domenico Scarpa).

- Cara Cina, Milano, Longanesi, 1966; Torino, Einaudi, 1972; Milano, Oscar
Mondadori, 1992.

- Due o tre cose sul Vietnam, Milano, Feltrinelli, 1967.


OPERE E SCRITTI FONDAMENTALI DI G. PARISE (segue)

86 - LAssoluto Naturale, Feltrinelli, Milano, 1967; Mondadori, Milano, 1982.

- Biafra, Milano, Feltrinelli, 1968.

- Il crematorio di Vienna, Milano, Feltrinelli, 1969; Torino, Einaudi, 1972; Mi-


lano, Oscar Mondadori, 1993.

- La piccola voragine del latinorum, Libri Nuovi, Luglio 1971.

- Sillabario N. 1, Torino, Einaudi, 1972; Milano, Mondadori, 1982. Poi ripropo-


sto e confluito in Sillabari, Milano, Oscar Mondadori, 1984; Milano, Adelphi,
2003-2009.

- Era un italiano non italiano, LEspresso, a. XX, n. 47, Roma, 24 novembre


1974, p. 82. Confluito in Opere, vol. II, Mondadori, cit. , pp. 1392-1395.

- Guerre politiche. Vietnam, Biafra, Laos, Cile. Torino, Einaudi, 1976; Milano,
Oscar Mondadori, 1992; Milano, Adelphi, 2007.

- Il fondale di Vicenza dietro Guido Piovene, Corriere della Sera, 19 dicembre 1976.

- New York, Venezia, Edizioni del Ruzante, 1977. Poi riproposto in Odore
dAmerica, Milano, Mondadori, 1990; e infine in New York (a cura di Silvio
Perrella), Milano, Rizzoli, 2001.

- Leleganza frigida, Milano, Mondadori, 1982 (prefazione di Natalia Ginzburg).


Milano, Adelphi, 2008.

- Sillabario n. 2, Milano, Mondadori, 1982 (prefazione di Natalia Ginzburg). Poi


riproposto e confluito in Sillabari, Milano, Oscar Mondadori, 1984; Milano,
Adelphi, 2003-2009.

- Il mio Veneto, Corriere della Sera, 7 febbraio 1982. Poi confluito in Veneto barba-
ro di muschi e nebbie, a cura di Nico Naldini, Nuova alfa Editoriale, Bologna, 1987.

- Arsenico, Treviso, Edizioni il Becco Giallo, 1986.

- Atti impuri (con La grande vacanza e Il fidanzamento), Milano, Oscar Mon-


dadori, 1993.

- Lodore del sangue, a cura di Cesare Garboli e Giacomo Magrini, prefazione di


C. Garboli, Milano, Rizzoli, 1997.

- Lontano (a cura di Silvio Perrella), Cava dei Tirreni, Avagliano Editore, 2002;
Milano, Piccola Biblioteca Adelphi, 2015.

- Quando la fantasia ballava il boogie, Milano, Adelphi, 2016.


TRENTANNI SENZA PARISE

Un testo dimenticato e sempre attuale

LAmerica 87
e il Colosseo di plastica
GOFFREDO PARISE

A tratti, viaggiando, lAmerica ti sembra piena di frastuo-


no, assordante. Poi, come se il suono scomparisse, si trasforma in un
paesaggio attonito, muto, lucente, con dei silenzi da disperazione, che
durano finch riprende il fracasso da luna park. un mondo spettaco-
lare, fatto di oggetti grandiosi: ricordo gli alberghi a forma di piramide
o di pasci accovacciato, a Miami Beach, e una citt atomica del New
Mexico, tutta dalluminio, coperta da un nugolo di elicotteri simili a
zanzare; e la rclame di un uovo fritto, nel deserto dellArizona, grande
come una piazza. La pop-art la vera arte
del nostro tempo, e lAmerica la vera
immagine del mondo moderno.
Come lItalia, una societ materialista;
ma da noi c cinismo, tragedia, culto del
denaro e delloggetto utile. In America
tutto questo riscattato dalla fantasia: si
crede nelloggetto, ma anche nella possi-
bilit della bellezza e della stravaganza.
C in America unidentificazione fra
persona e oggetto. Non solo il luogo
comune della standardizzazione, della
civilt di massa. C una chimica interna che identica per tutti. una
legge scientifica: tendiamo allindifferenziazione. Le specie vittoriose
si rafforzano, si dispongono a nuove avventure, ma nellinterno della
specie gli individui che la compongono si somigliano sempre di pi.
Tutto questo in America chiarto, e appare in una forma spettacolare
e grandiosa. una realt disperante, ma quella del mondo moderno,
non si pu rinnegarla o respingerla. E io avevo bisogno di indossare
un camice, di comprare un microscopio, e di guardare la realt.

(Questo testo tratto da unintervista raccolta da Andrea Barbato e pubblicata


con il titolo Il Colosseo di plastica in LEspresso, 11 aprile 1965. Poi ripreso
nel volume curato da De Luca Edizioni dArte, a margine della mostra Gof-
fredo Parise (1929-1986) esposta al Centre Georges Pompidou di Parigi dal
26 settembre al 30 ottobre 1989).
88 La tassa sui sentimenti
VITTORIO CABE

I l debito pubblico dello Stato Italiano ha raggiunto, e superato,


limiti inimmaginabili; prossimamente, a dispetto dei proclami del mini-
stro Padoan, raggiunger limporto di 2.300 miliardi di euro.
Per rendersi conto di quanto possa essere elevato tale importo, basti
pensare che solo per contarlo servirebbero decine di persone che per tutta
la loro vita, giorno e notte, contassero il denaro, senza dormire e senza
mangiare, mai. E quando fossero arrivate alla fine, non ce la farebbero
pi a contare il maggior debito nel frattempo raggiunto. Praticamente
si tratta di un importo nel vero senso della parola incalcolabile. Si
tratta della nostra eredit; ai nostri figli, gi sottopagati o addirittura
senza lavoro, lasciamo anche il debito, oltre che ovviamente tutte le altre
cose, belle e brutte.
In questa situazione i vari governi fanno cassa tassando di tutto e tutti,
prendendosela, un po come sempre accade, con i pi deboli o i meno
rappresentati, il che poi lo stesso.
Nel passato le odiose tasse sul macinato, che tanta gente ha affamato.
Ora abbiamo la tassa sui sacchetti di plastica, abbiamo la taglia sullesi-
stenza della societ, abbiamo lobolo alle Camere di Commercio, abbiamo
la tassa sui telefonini, sulla benzina, e non dimentichiamoci lIVA, che
colpisce ogni consumo e in definitiva ogni nostra attivit, e cos via. Si
parla gi di una tassa su internet, sui PC, sui tablet, sugli smartphone. Le
cose sono tutte gi tassate, tutte quante, e quindi non c pi spazio per
nuove misure. Urge cambiare impostazione.
La prossima tassa potrebbe allora essere una tassa sui sentimenti.
Finalmente aria nuova nel settore tributario, e chiare disposizioni di legge
regolamenteranno questa nuova tassa.
Ognuno sar tassato sui sentimenti, quelli propri, ben sintende, ch
quelli degli altri non possibile conoscere. Chi pi estroverso pagher
ovviamente di pi, chi introverso pagher poco o nulla; chi costante-
mente depresso, avr diritto allesenzione decennale o venticinquennale,
in funzione del grado di depressione e della sua et.
Chi si innamora pagher una tassa proporzionale allet e al grado di
innamoramento, chi pianger una tassa per ogni lacrima, chi si adirer
una tassa per ogni arrabbiatura. Chi sar accidioso pagher una tassa
per ogni cosa non fatta. Chi si lasciasse morire dinedia, pagherebbe una
tassa una tantum, ovvio.
Ma subito si obietter: ma come dichiararli, e soprattutto, come accertarli,
i sentimenti?
Nessun problema. Sar sufficiente un buon SENTIMOMETRO, stru-
mento matematico predisposto, come per gli studi di settore, dagli 89
Esperti dellAmministrazione Finanziaria, un po come stato fatto per i
coefficienti presuntivi, e tutto sar sistemato.
Utilizzando la regressione (di chi?) lineare multipla si redigeranno ap-
posite tabelle, suddivise per et del soggetto, per sesso, per Regione, per
stato civile.
Ad ognuno gli si daranno dei coefficienti specifici, e ad ogni evento della
sua vita si calcoler il giusto grado, medio, di sentimento. Ad ogni grado
di sentimento, poi, corrisponder unimposta. Chi non effettuer dichia-
razioni veritiere sar soggetto ad accertamenti automatici, sulla base delle
liste, proprio come accade con i coefficienti presuntivi. Meglio di cos!
Certo, servir una bella legge anti-elusione, altrimenti i sentimenti, gi
oggi cos poco manifesti, saranno ancor pi camuffati, in futuro, e sarem-
mo destinati a divenire ancor pi un popolo di refrattari.
Comunque, esibiamoli senza tema, i sentimenti, fin che si pu. Se poi
arrivasse una tassa in pi, a rovinarceli, cosa ci potr importare? Ci sa-
remo gi sfogati.

POESIA DEL CONTRIBUENTE ITALIANO

Siam stanchi di gabelle,


di soprusi e di tabelle;
vorrem pagare il giusto
e lo farem con gusto,
ma paghiam tutti quanti,
belli, brutti e santi.

Joseph (nom de plume)


90 IL SOGNO
DI ANTONIO CANOVA
Lartista che pi di ogni altro ha lasciato segni indelebili a
eterna memoria della bellezza e dellamore stato in credito
perenne dellamore vero? Ne stato perennemente frustrato
e deluso? Lamore per lui stato solo un sogno irrealizzato?
Ed forse per questo che si rifugiato nello splendente
amore virtuale delle sue creature di marmo?
Ripercorrendone la vita, forse,
qualcosa riusciamo a scoprire

LUCIO PANOZZO
PREMESSA

Q

uando, piccolino in et scolare, la mamma mi mandava a
comperare il latte con un bidoncino pi grande di me,
pesantissimo (a quel tempo il latte veniva venduto sfuso, ci si portava da
casa la bottiglia o, appunto, nel nostro caso di famiglia numerosa, un bidon-
cino in alluminio, leggero di per s, ma provate ad alzarlo quando pieno
e avete solo sette anni), mi attardavo per la strada attratto dalle curiosit
che possono affascinare a quellet, buone o cattive che fossero. Lattardarsi
consentiva anche di posare quel peso che trascinava verso terra ora il braccio
sinistro, ora il destro, in unalternanza che mi permetteva di riequilibrare
la muscolatura della schiena che poi, dopo tanti anni, mi trad ugualmente
nonostante questi miei piccoli accorgimenti inconsapevoli. Incontravo gli
amici, i compagni di scuola, il cappellano, una volta anche il mio maestro
Antonio Novello (detto il Picchiatore), il quale volle provare di persona
a portare il bidoncino, caso mai fosse stato troppo pesante per me. Mi lasci
non prima di aver verificato mediante un pizzicotto al mio maglione se fossi
coperto a sufficienza, dato che sera dinverno, e anche verso il tramonto.
Fu proprio in una di quelle occasioni che decisi di non tornare attraverso
la Porta di Santa Lucia, ma di proseguire per via Zambeccari fino al borgo
Scroffa (abitavo alle Fontanelle, e la latteria si trovava appunto in via Zam-
beccari). Traversai e mi trovai dinnanzi alla bottega del lapicida Cingano
(parente dellaltro Cingano, scultore, che aveva villa e laboratorio in corso
Padova, dove adesso, dopo aver demolito la villa e utilizzando il parco, hanno
costruito dei condomini con negozi, in puro stile palladiano).

91
Unocchiata dentro al portone e allantro che cera oltre, la davo sempre
volentieri. Forse presagio del fascino che esercita su di me oggi la scultura
in genere. Ma questa non era vera e propria scultura, pi che altro in quella
bottega venivano squadrate le lapidi, che poi ricevevano le scritte in bei
caratteri secondo le ordinazioni dei clienti, per finire poi a far compagnia
ai defunti e abbellirne le tombe. Per vedere uno scultore vero non dovevo
far altro che proseguire per via IV Novembre e fermarmi un po prima del
collegio Farina, dove, dietro un altro grande portone, aveva sede il laborato-
rio di Aldo Giaretta, il quale volentieri mi parlava di arte, ma anche della
caccia (qualche anno dopo, durante le gite in montagna con la compagnia che
frequentavo assieme alle sue figlie, ebbe modo di dirmi che a caccia andava
ancora e anche col fucile, ma ci andava solo per sentire il cinguettio degli
uccellini; non mi sarei aspettato di meno, da un artista amante della natura).
Cera anche unaltra bottega darte scultorea, in zona, quella di Giuseppe
Giordani, pap del mio amico Paolo, a un tiro di schioppo da casa mia, in
viale Ferdinando Rodolfi.
Ma torniamo a Cingano. Mi incuriosiva il fatto, raccontatomi dalla mamma,
delle sue avventure matrimoniali: sposato tre volte e tre volte vedovo. Dopo
la terza volta aveva tentato ancora (provaci ancora, Cingano!), ma in tempi
di superstizione non aveva trovato nessuna donna disposta ad arrischiare
una morte precoce, anche se oramai a quellet che aveva lui, uneventuale
lei avrebbe potuto essere pi di l che di qua. Ma in generale lamore per la
vita pi saldo quando la morte pi vicina. Quindi il nostro aveva dovuto
arrivare al termine della sua vita con la scritta stato civile vedovo sulla
carta didentit.

Vidi un uomo steso a terra, con tanto sangue sparso

Dunque, arrivato davanti al laboratorio di Cingano, dovevo riattraversare


e poi attraversare ancora per poter infilare contr Mure Porta S. Lucia e
quindi contr delle Fontanelle. Il giro poteva essere accorciato, ma avevo
voglia di bighellonare. Proprio sul punto in cui dovevo attraversare notai da
lontano un capannello di persone e un uomo steso a terra, con abbondan-
za di sangue sparso. Mi avvicinai e guardai anchio. Era Otello Canova,
vecchia conoscenza, quasi unistituzione a Vicenza. Il suo motorino era a
terra, poco lontano. Rientrai a casa colpito dal fatto e anche dalla vista di
un uomo morto, evento abbastanza raro per me che ero nato a guerra fini-
ta, anche se avevo rischiato le mie, prima di nascere, verso la fine di quella
sporca guerra, avendo partecipato assieme al mio contenitore (mamma) a
momenti di grande pericolo. Il pap era gi arrivato a casa, e io gli raccon-
tai subito quanto avevo visto. Ribatt che avrei fatto meglio a tirar dritto
senza guardare. Io gli risposi fiero che a certe cose mi dovevo comunque
abituare. Siccome gli avevo anche detto chi era il morto, si dilung qualche
po a raccontarmi che spesso laveva visto rischiare la vita proprio con quel
motorino uscendo da Porta Santa Lucia senza fare attenzione al traffico e

92
gridando: anca stavolta ghe la go fata!.
Anche se di traffico ce nera poco, rischia oggi, rischia domani, il fatto pur-
troppo era accaduto, e pochissimo lontano da Porta S. Lucia, per giunta. Mi
raccont ancora, il pap, anzi ci raccont, perch ci eravamo nel frattempo
messi a tavola, della particolare abilit manuale di Otello, il quale portava
sempre in tasca un gran blocco di stucco e di questo si serviva per meravi-
gliare bambini o donne o altri passanti, modellandolo velocissimamente con
le sembianze del duce, del re o di qualche altro personaggio conosciuto. In
questo caso il pap dette anche una spiegazione di questa abilit: la paren-
tela col grande scultore Antonio Canova di Possagno. Non potendo
verificare storicamente la cosa, noi ragazzi la digerimmo cos, un po supi-
namente. Comunque ero stato testimone anchio, alcune volte, dellabilit
di Otello. Era veramente stupefacente la sua manualit.

Quella Canova suocera di mia sorella

Passati gli anni, una mia sorella si spos, e sua suocera si chiamava Canova,
perch era sorella di Otello. Ebbene, mia sorella, dopo la visita alla mostra
sul Canova del 2004 a Bassano del Grappa, sostiene molto seriamente che
i vari ritratti dello scultore Antonio somigliano sorprendentemente alle fat-
tezze della sua defunta suocera (a me, che ho la mania delle somiglianze, non
sembra proprio, per pu darsi che mia sorella sia un tantino condizionata).
Ora noi sappiamo che il povero Canova non pot godere le gioie del santo
matrimonio e quindi sappiamo anche, e con certezza, che non ebbe figli,
almeno legittimi. E allora dove possiamo noi cercare una parentela con
Otello e sua sorella? Mission impossible, secondo me, a meno che non en-
triamo nel campo delle ipotesi. Per esempio si potrebbe pensare al padre
di Antonio, Pietro e al nonno Pasino, entrambi lapicidi e scultori. Siccome
Antonio era figlio unico, poteva avere altri figli Pasino? Facile che s. Ecco
che allora unipotesi possibile potrebbe prendere forma: il sangue non
acqua, e quando trapassa da una generazione allaltra pu portare con s il
buono e il cattivo in eredit (sono testimone della bont di mio cognato e
di sua mamma. Lui ha dalla sua di avermi insegnato ad usare il computer,
operazione piuttosto difficoltosa, ma niente in confronto allo spirito di
sopportazione per aver sposato mia sorella, per il quale sacrificio gli porter
eterna riconoscenza, e fra molti anni ricever il premio eterno mia sorella
non so).
Niente di pi facile che, attraverso e per mezzo dei cromosomi, Otello abbia
avuto in dono la facolt di dar forma alla materia. Chiss cosa poteva venirne
fuori se, ben consigliato negli studi e ben seguito dagli insegnanti, avesse
potuto sviluppare e migliorare le sue qualit. Non voglio accarezzare ipotesi
di tipo reincarnatorio, faccio gi fatica a credere nella vita eterna lass e a
sopportare una vita sola quaggi...
Di questo passo potrei azzardare una parentela acquisita, lontana quanto
si vuole, ma reale, col grande Antonio: parente di parenti di parenti di pa-

93
renti... Perch non finita con i contatti tra la mia famiglia e i Canova. Il
nonno di mio nonno paterno (cio mio trisavolo), Giovanni detto Camparo,
di Bortolo quondam Giovanni e di Santa quondam Francesco Zanini, nato
a Vicenza in parrocchia di S. Lucia
in Araceli l11 dicembre 1797 ad ore
9 circa di mattina e morto a Vicenza
in parrocchia di S. Pietro Apostolo il
2 febbraio 1873, calzolaio, vetturale
(sui certificati vitturale) e infine
fabbricatore di zolfanelli, sposa in
primo voto Anna Canova, morta
il 2 luglio 1834. Nellatto del se-
condo matrimonio (ce ne fu anche
un terzo! A quei tempi gli uomini
consumavano le donne, ai nostri
tempi purtroppo le parti si sono
invertite, bont loro), celebrato a
S. Lucia in Araceli in data 21 giugno
1835 con Anna Dessen di Pietro e
della fu Bortola Piazzon, nata in parrocchia dei Carmini il 27 gennaio 1809,
fra i testimoni appare un Giuseppe Canova fu Pietro di S. Lucia (sempre
in parrocchia di Araceli). Parente della prima moglie? Possibilissimo. Pos-
sibile anche la mia parentela con Antonio? Possibilit flebile, considerando
la diffusione del cognome Canova1 che, si badi bene, un cognome che ha
senzaltro origini diverse, sicuramente non di uno stesso ceppo. Canova
si origina sicuramente da Ca Nova, casa nuova. Pu essere appioppato a
chiunque si faccia una casa nuova, dando origine cos a infiniti ceppi non
collegati tra di loro. Se ci fossero i collegamenti di cui ho parlato, sarebbe
un caso paragonabile alla vincita del Jackpot da 200 milioni di euro al
Superenalotto in quanto a probabilit. Ma per quello di cui voglio parlare
assolutamente ininfluente che Antonio ed io siamo parenti. Ma gli porto
molta simpatia, penso che questo si sia gi capito.

Vita artistica e sentimentale di Antonio Canova

Antonio Canova nasce a Possagno da Pietro e da Angela Zardo l1 novem-


bre 1757 e muore a Venezia il 13 ottobre 1822. A quattro anni rimane orfano
del padre, poco dopo viene affidato (meglio: abbandonato) al nonno paterno
Pasino dalla madre che convola a nuove nozze con Francesco Sartori. Il non-
no, lapicida e scultore, non ha un carattere facile, e la vita di Antonio resta
1
1439 famiglie Canova appaiono in Italia, sparse in quasi tutte le regioni, secondo uno dei
siti specializzati.
Sopra: Autoritratto di Antonio Canova
Canova e Bernini si rifanno al
classicismo greco. Qui accanto

94
Daphne e Apollo, capolavoro di
Gianlorenzo Bernini

per sempre segnata dalla mancanza di


affetto. Solo dopo molti anni trover una
parvenza di affetto familiare nel fratel-
lastro Giovanni Battista Sartori, che
aveva intrapreso la carriera ecclesiastica
con un certo successo, tanto da diventa-
re vescovo. Ebbe la cattedra di Mira in
Asia Minore, dove probabilmente non
mise mai piede. A quel tempo si poteva
delegare un vescovo povero, a cui veniva
data parte della prebenda, godendo della
differenza. Noi diremmo: tempi felici,
ma i vescovi da sempre fanno parte di
una categoria privilegiata, e per loro i
tempi difficili o infelici non esistono.
Dunque Antonio, nella bottega del non-
no, comincia il suo iter artistico. Impara
facilmente, finch il nonno decide di
mandarlo a Venezia affidandolo alle botteghe degli scultori lagunari di sua
conoscenza. Quando si sente padrone dellarte scultoria e in grado di cam-
minare da solo, apre una propria bottega a Venezia, e la sua fama comincia
ad espandersi anche nelle regioni vicine. Non gli basta ancora e, nel 1779,
passa definitivamente a Roma, dove un artista promettente pu aspirare
alla fama universale che non tarda ad arrivare, con commesse importanti.
Il suo stile affonda le radici nel mondo greco (per questo qualcuno lo chia-
mer il nuovo Fidia), ma si rif anche, e abbondantemente, al neoclas-
sicismo di Bernini.
Dallinizio del periodo romano parte la nostra storia, meglio dire il racconto
di alcuni episodi della vita del grande artista, significativi per capire il suo
carattere e il suo rapporto negativo con lamore.

Spionaggio amoroso

Non ho avuto modo di vedere le opere cinematografiche di Leni Riefen-


stahl (Berlino 22 agosto 1902 - Pecking 8 settembre 2003, attrice, foto-
grafa, regista), colei che fu genio della regia (che poi qualcuno la definisca
genio maledetto per la sua fede in Adolph, per me e per quanto devo dire,
assolutamente ininfluente), ma solo qualche spezzone. Uno di questi
mi rimasto impresso nella mente e mi permise di giudicarla maga della
rega cinematografica. Il mio problema al momento questo: come posso
trasformare in arte cinematografica la parte iniziale di questo capitolo. Mi
si chieder il motivo del mio capriccio, ma io credo che la risposta possa
stare nel giudizio dei lettori che siano andati a vedersi lo spezzone di cui

95
parlo e che cercher di illustrare in poche parole. Se qualcuno ne sente il
desiderio, pu anche andarsi a vedere i vari artisti che, nelluso della propria
arte, mettono in evidenza forti richiami di unarte che non la loro: esempio
principe, il Cristo morto del Mantegna, dipinto che conserva struttural-
mente unevidenza scultorea. Spero di
essermi spiegato (il grande artista
aveva avuto una prima formazione
come scultore e probabilmente aveva
voluto sottolineare questa sua qualit
nellopera immortale citata).
Il film di cui parliamo (non ricordo il
titolo, si tratta comunque di un reso-
conto di uno dei tanti oceanici raduni
ai quali il Fhrer partecipava in questa
o quella citt della Germania) comin-
cia con uninquadratura quanto mai
inusuale. La ripresa viene effettuata
dalla cabina di guida dellaereo presi-
denziale (meglio dire dittatoriale) con
in primo piano la nuca del Fhrer.
Eccellente panorama quello che si pu
ammirare attraverso i vetri: una citt
con relativi cattedrale e monumenti
vari, il tutto a tratti nascosto dalle
nubi, probabilmente sovrapposte artificialmente. Lo spettatore non siede in
poltrona al cinema, ma si trova in cabina di guida, in volo, a osservare il pa-
norama con sotto gli occhi, in modo da non poterla evitare, la testa di Hitler.
Il capolavoro della Riefenstahl in questa scena il silenzio. Infatti tutta la
lunga scena girata in muto. Leffetto non si pu spiegare, bisogna vedere.
Io ci provo, ma non posso presentare la scena completamente muta. Il
lettore (in questo caso spettatore) avvertir un respiro pesante, ansimante,
affaticato, ritmato sul passo di una persona che stia sopportando una fatica
quasi superiore alle sue forze. La scena che vedremo sar una strada della
Roma ottocentesca, ma osservata attraverso una fessura. Il tutto sar in
movimento altalenante, misurato sui passi del fornaio che sta portando
Antonio Canova nella gerla appesa alle sue spalle, la gerla del pane. Locchio
vigile dellartista, in questo momento solo uomo, e anche un po disperato,
cerca tra i rari passanti di quellora mattutina la figura della sua fidanzata
fedifraga, che lo tradisce con un altro uomo: dramma della gelosia. Noi
siamo dietro di lui, e la sua nuca occupa una buona met del nostro campo
visuale, che non ampio, a forma di mezzaluna tra il coperchio che va su e
gi e il bordo della gerla.

Sopra: una bella immagine di Helena Bertha Amalie Riefenstahl, detta Leni.
Non si sa come and a finire lepisodio di legittimo spionaggio, si sa solo che
il fidanzamento non funzion e fin in nulla. Domenica Volpato, figlia del

96
suo amico Giovanni2, incisore, non fu mai sua moglie.

Il periodo romano

A Roma Antonio Canova lavor parecchi anni, ma sempre con la sua


Possagno nel cuore, tanto vero che, per lasciare un segno di s e un
dono al suo poco pi che villaggio natale, fece costruire il famoso Tempietto,
realizzato su suo disegno. Oltre che scultore, fu pittore e, in questo unico
caso, architetto, ma solo in quanto autore dellidea.
Non fidandosi di questa sua inusuale competenza, fece fare i disegni del
progetto su sue indicazioni di massima a Pietro Bosio e poi chiese con-
siglio ed eventuali correzioni allamico architetto Giannantonio Selva
(Venezia 02/09/1751 ivi 22/01/1819), che noi ben conosciamo per essere
stato il progettista di Villa Ambellicopoli, ora museo del Risorgimento e della
Resistenza. Alla morte del Selva, che dirigeva i lavori, il compito di continuare
venne affidato ad Antonio Diedo. Allinterno del Tempietto si pu ammirare
uno dei rari quadri di Antonio Canova: un olio su tela che campeggia sopra laltar
maggiore. Davanti alla facciata della casa dove nacque inizia la strada in forte
salita che raggiunge il Tempietto sul colle: collegamento delluomo con la sua
opera, un po la sua piramide a ricordo eterno.
Nel suo laboratorio di Roma Canova comp le opere maggiori e anche le
pi importanti, su commissione di re, papi e imperatori. Resta ad esempio
della sua schiettezza, ma anche delle sue convinzioni di artista, un passo
della lettera inviata in risposta allImperatore dAustria che gli aveva
commissionato un busto celebrativo di se stesso, corredandola per di troppi
consigli, per esempio il busto lo voleva rappresentato in alta uniforme. An-
tonio, che seguiva gli stilemi del suo tempo rifacendosi allarte somma del
Bernini, propose invece la realizzazione idealizzata sugli esempi classici,
con limperatore vestito da romano. Fu cos che cond con linguaggio fiorito
il suo diniego ai consigli dellimperatore e la sua volont di non accettare
consigli: Non diciamo coglionate, per favore.
Ci fu una lunga collaborazione con Napoleone, al quale scolp alcuni ritratti,
compreso quello, troppo grande, rifiutato dallImperatore e finito in casa
di Arthur Wellesley, duca di Wellington, eroe e vincitore della battaglia
di Waterloo.

2
Giovanni Trevisan detto Volpato (cognome della nonna), nasce ad Angarano
nel 1735 ca. e muore a Roma nel 1803. Grande collezionista di antichit (finanzia-
va gli scavi archeologici) e commerciante, ebbe unimportante bottega di cerami-
che (arte importata da Nove). Frequent un elevato livello di societ, fu amico di
Canova, il quale fu in grado di fare conoscenze importanti grazie a lui, frequentan-
do la sua casa.

Il Tempio Canoviano
di Possagno,

97
detto il Tempietto

Canova, lamore
e Paolina Bonaparte

La collaborazione con Paolina Bonaparte, invece, mi sta pi a cuore, in


quanto mi permette di esprimere alcuni sospetti che non da ora mi tarlano i
timpani, permettendomi anche di ritornare sul tema di Canova e lamore:
fu sempre teorico o scese anche a livello umano?
Paolina Bonaparte uno dei ritratti pi belli: giace su di un letto, molle-
mente stesa, sostenuta dal braccio che poggia sul cuscino, il capo sostenuto
dalla mano. Quel cuscino nessuno crede che sia di marmo, ognuno vorrebbe
appoggiarci la testa per godere della sua morbidezza. Per c il seno nudo,
e qui si apre un capitolo sulla storia che stiamo raccontando.
In primis le domande: ma perch gli innumerevoli seni scolpiti da Antonio sono
in realt seni teorici? Perch non se ne avverte la morbidezza con le mani della
fantasia? Perch la forma sempre minima, quasi solo accennata? Perch non
sono evidenti i capezzoli? Domande a vanvera proposte da chi evidentemente
poco sa della scultura, soprattutto della scultura di quel tempo. Idealizzazione
forse il termine pi adatto: non la forma, ma la sua essenza.
Se mi si permette, non i seni, ma la senit. Pensiamo a questuomo vissuto
sempre solo, ripensiamo alla delusione dovuta al tradimento di Domenica
Volpato. possibile pensare che quella delusione abbia segnato la sua vita
tanto da non poter affrontare largomento neanche con lo scalpello?
Ma quello che non tutti sanno che lo scultore in genere si serve moltissimo
della mano, e ci specialmente Canova, che il marmo lo toccava solo per fare
la pelle della statua. Prima veniva il disegno, poi la creta (trattata a lungo
con le mani), poi il calco in gesso, poi il riempimento del calco con altro
gesso, finch si raggiungeva la forma esatta della statua fatta interamente
in gesso. Nei punti chiave venivano piantati dei chiodini a testa cava che
fuoriuscivano di un millimetro dal corpo dellopera, per permettere agli
aiutanti sgrossatori di puntare lo strumento simile al compasso che misura
la distanza esatta tra punto e punto e permetteva loro di formare la statua
98

Paolina Borghese Bonaparte

allultimo stadio prima della finitura, esattamente un millimetro in pi su


tutta la superficie, ovviamente grezza. Allora subentrava Antonio, il quale,
mediante scalpelli sottili e abrasivi vari, dava la definitiva impronta, a volte
lucidandola con lacqua di rota3 per dare un lieve colore antichizzante. Era
proprio in questa fase di lavoro che la mano valeva pi di ogni altro stru-
mento, perch la statua va rifinita in ogni particolare, guidando gli strumenti
con locchio e con la mano, che incessantemente carezza e sente le forme.
Quanti seni, quanti visi, quante cosce venivano carezzate allinfinito! Quante
natiche (pensiamo alle Tre Grazie!)! Questo poteva bastare al Grande?
Non ebbe mai altro che questo?

Amore e Psiche giacenti: le due copie

Per la risposta alla mia domanda di fondo, torniamo a Paolina Bonaparte.


Pensare che questa donna, avvezza allamore quantaltre mai, libera di pen-
siero e dazione, venisse a trovarsi nuda davanti allo scultore, adagiata sul let-

3
Lacqua di rota quella che si raccoglie in una bacinella che sta sotto alla rota (cio ruota) di
gres che serve per affilare gli scalpelli. La ruota deve sempre e essere bagnata da un continuo
sgocciolare. I finissimi residui di ferro finiscono per colorare lacqua di ruggine, ed questo
colore che rimane sul marmo dopo che ne viene spruzzato e massaggiato ripetutamente.

Amore e Psiche
giacenti, particolare

99
drammatico. Il bacio
mai dato.

to, senza nemmeno


un pensiero un po
birichino, proprio
non ci credo. Penso
che almeno ci abbia
provato. Antonio
non era brutto, un
viso regolare, di-
stinto, tratti nobili,
poi anche famoso,
perch non provarci? Non avremo mai la risposta, ma forse possiamo ri-
sponderci da soli osservando questa opera, ma anche le altre. Sceglier tra
tutte Amore e Psiche giacenti, esemplificativa di quanto sostengo.
Ne esistono due copie, una al Louvre di Parigi e laltra allErmitage di S.
Pietroburgo (io ne ho scoperta una terza nella incredibilmente bella Villa
Margon alle porte di Trento, sulle pendici del Monte Bondone: pi piccola,
forse il 25% della grandezza degli originali).
unopera assoluta, a mio modestissimo parere la migliore della sua produ-
zione e la pi consona a spiegare la sofferenza del suo animo. La posizione
dei due protagonisti inusuale: Amore abbraccia Psiche distesa, giun-
gendole alle spalle, volando con le grandi ali, lei alza il capo per raggiungere
il viso dellamato. Labbra frementi che stanno per raggiungersi, bloccate in
eterno in questo atto di desiderio non appagato. La mano di Amore sfiora,
sfiora soltanto, un seno di Psiche, e manterr in eterno questa posizione.
una condanna eterna comminata da Antonio, la condanna peggiore che
ci sia. Ma diretta alle sue creature o a se stesso? Non forse tutta qui la
storia della sua vita? Il successo, la ricchezza, il rispetto dei potenti, cos
tutto questo in confronto alla condanna? Il bacio mai dato, i seni di pietra,
sognati, la pelle fredda del marmo. Senza amore gli rimane solo il marmo, il
marmo freddo della sua tomba a S. Maria Gloriosa dei Frari di Vene-
zia, dove riposa il suo cuore, che per tutti simbolo damore. E nel sonno
della morte forse il sogno di un amore accompagner per sempre il grande
Canova nel suo viaggio verso leterno o verso il grande nulla, chi pu sapere?

La cultura di Antonio Canova

Non avendo potuto seguire studi regolari, la parte di cultura al di fuori della
sua arte riusc a farsela sfruttando ingegnosamente le ore di lavoro. Essen-
do gran lavoratore, riusciva a dedicarsi alla sua arte dalle 12 alle 14 ore al
giorno. Aveva capito che usare mani e occhi non escludeva di poter usare
le orecchie per ascoltare un aiutante culturale che gli leggesse i classici,
oppure gli insegnasse una lingua, o altro. Si scelse i suoi lettori, tra cui ri-

100
cordiamo il fratellastro Sartori. Per un uomo della sua levatura, in contatto
con le cancellerie di tutta Europa, era essenziale presentarsi come uomo
di cultura, oltrech come artista. Penso per che questa sua scelta, oltre a
tornare utile per i suoi rapporti, dipendesse anche dalla sua inclinazione,
dalla sua volont di allargare gli orizzonti. Fu anche manager di se stesso,
istituendo uno show room di tutto rispetto e unorganizzazione di marketing
da fare invidia ai dirigenti di vendita dei nostri tempi. Inviava cataloghi coi
disegni delle sue opere in tutta Europa e, per chi visitava il suo studio,
aveva provveduto ad una piattaforma girevole perch le sue opere potessero
essere ammirate da tutti i punti di vista.

Lemballeur

Dopo la caduta di Napoleone e la relativa restaurazione, la Francia re-


stitu allItalia parte delle opere darte trafugate durante le operazioni
belliche4 mediante i buoni uffici di Wellington, leroe di Waterloo.
Non credo che lo facesse per bont danimo, forse voleva solo ulteriormente
umiliare la Francia. Rimanevano per molte opere del Vaticano, il quale,
attraverso il cardinale Ettore Consalvi, confer lincarico del recupero
a Canova. Il quale, scortato da un nutrito contingente militare austro-
prussiano, si accinse alla bisogna. La Francia e i Francesi erano fortemente
contrari alla restituzione, e sono convinto che, senza laiuto dellImperatore
dAustria, non sarebbero tornate in Italia neanche le croste pi grossolane.
Invece loperazione ebbe successo, e tornarono se non tutte (magari), ma
una buona parte.
Degno di nota lepisodio del recupero dei cavalli di bronzo di Venezia,
avvenuto davanti ad una folla ostile, tenuta a bada dal grosso reparto di guar-
die austro-prussiane, col moschetto puntato e la baionetta inastata. Quello
che interessa a noi un altro episodio, che riguarda direttamente il Nostro:
Dominique Vivant, barone di Denon, al tempo direttore del Louvre, era il
pi acceso sostenitore del diritto di propriet delle opere darte da parte della
Francia. Non gli parve vero di avere loccasione vigliacca di umiliare il grande
4
Non esatto attribuire il ruolo di ladro a Napoleone, perch il diritto consuetudinario pre-
vede fin dagli albori dellumanit bottino e stupro durante le guerre (anche se i popoli, che
sono quelli che subiscono i maggiori danni, non sono e non saranno mai daccordo su questo).
E poi, perch a Napoleone si attribuisce il ruolo di ladro e agli altri no? Semplice: ai vinti
vanno tutte le colpe. Vae victis, ci tramanda la saggezza romana. Chi vince non ha torti. Che
dire delle guerre moderne che si combattono esplicitamente da parte delle democrazie occi-
dentali per il petrolio, i diamanti, i metalli rari, contrabbandate come guerre che portano la
democrazia agli stati canaglia che hanno la sfortuna di nascere sopra i giacimenti? Dobbia-
mo essere meno ipocriti, secondo me, e giudicare senza farsi condizionare dalle balle (ripeto:
balle, sono tutte balle!!!) di alcuni storici. Anche Napoleone ci portava i famosi alberi della
libert, come anche Berlusconi, ai giorni nostri, voleva trasformare litaliano nel Popolo
delle libert, e sappiamo come (e adesso critica il pur criticabilissimo referendum di Renzi:
da che pulpito, diomio). Balle! E, tornando a Napoleone, perch prendersela solo per le opere
darte? Ci aveva portato via lItalia intera.

Unimmagine di Dominique Vivant,
barone di Denon, primo direttore

101
del Louvre

Antonio Canova, quando questi si presen-


t come ambasciatore incaricato dal Va-
ticano del recupero: Bonjour, monsieur
le directeur, je suis lambassadeur.
Fu subito interrotto dal Denon, al quale
aveva dato il destro per un feroce gioco di
parole: Quoi? Vous dites ambassadeur?
Non, monsieur, vous tes seulement un
emballeur5.
La risata che si concesse il direttore del
Louvre fin per distruggere moralmente
il nostro eroe dallanimo delicato, il quale
abbozz e port a termine il suo incarico
con scienza, coscienza e molta competenza. Alla fine il vincitore fu lui, perch
tornarono in Italia delle meravigliose opere darte.

Il testamento nuncupativo

Una brutta storia fu scritta dal fratellastro Giovanni Battista Sartori,


vescovo di Santa Romana Chiesa. Dice Antonio dEste, scultore e autore
di un libro di memorie sul suo amico Canova (i due si conoscevano fin dallin-
fanzia), che le volont testamentarie di Antonio erano gi note. Tra laltro
prevedevano anche dei lasciti proprio al dEste. Le cronache ci informano
che al momento della morte di Canova, il fratellastro avesse gi preparato
notaio e testimoni per un testamento che venne definito nuncupativo.
In questi casi si tratta di testamento orale, eseguito di fronte a testimoni
e scritto dal notaio. I sospetti che questo sia avvenuto a cadavere ancora
caldo sono molti.
Fortunatamente il Nostro non seppe mai che il prelato fratellastro Giovan-
ni Battista Sartori era risultato erede universale. Un inganno inaspettato,
ancorch non conosciuto, perch i morti, liberi dalle miserie umane, nulla
sanno di ci che fanno i vivi, e anche se lo sapessero, se ne infischierebbero
beatamente.

Lunica opera di Canova a Vicenza

Non c notizia di altre opere del Canova sul nostro territorio, a meno che
qualcosa non si trovi nei caveau segreti di qualche nababbo. Si tratta della
stele che orna il sepolcro di Ottavio Trento presso lIstituto fondato a sue
spese, dove ebbe il permesso di essere sepolto. In questo modo si venne meno
5
Come? Voi dite ambasciatore? No, signore, voi siete solo un imballatore

Il conte Ottavio Trento

102 ai decreti napoleonici in merito alle


sepolture, che dovevano avvenire nei
cimiteri e non in chiesa o in case private.
Ma i nababbi riescono sempre a farla
franca, perch abbiamo notizia di tante
eccezioni. Una di queste mi risulta essere
quella di Berlusconi (scusate se continuo
a nominare linnominabile politico e se-
dicente statista italiano), che ha deciso
di farsi ricoverare, quando dio, nella sua
infinita bont, ce lo far mancare, in un
sepolcro hollywoodiano in quel di Arcore
assieme alle sue ricchezze e un cellulare,
caso mai Giovanni Verga direbbe: Roba mia, vientene con me.
Va detto che Trento era veramente un nababbo, ma, tra gli altri meriti, aveva
scucito di sua tasca i denari occorrenti a costruire e dotare lIstituto intitolato
al suo nome, quindi uneccezione se la meritava. In una stampa depoca, lo
stesso Napoleone eccita il Trento alla benefica donazione. Questo ci ricorda
che le parole cambiano di significato col tempo che passa, perch al giorno
doggi eccitare ha un altro significato.

Cosha a che fare Canova


con Salgari e i Thugs dellIndia?

Chi ha avuto la fortuna di allietare let scolare con letture davventura, non
pu non aver conosciuto le opere di Emilio Salgari. Ovviamente parlo dei
nati verso la met del secolo scorso, pi o meno. Tra gli episodi del grande
romanziere risalta la storia dei Thugs indiani. Terribili assassini, facevano

Il sepolcro di Antonio
Canova ai Frari di
Venezia, dove sepolto
solo il cuore, il resto del
corpo giace a Possagno.
E stato realizzato dagli
allievi seguendo un vec-
chio progetto di Canova
per la tomba di Tiziano
mai realizzata. Si tratta
di unopera che riporta
molti simboli massonici
(Canova Massone? Niente
di pi facile)
parte di una setta che aveva come riferimento la multibrachiale dea Kal.
Questi assassini avevano varie tecniche per ammazzare le loro vittime, tra

103
le quali le pi sfortunate venivano solo fatte
prigioniere e in seguito sacrificate alla san-
guinaria e sedicente dea allinterno dei templi
a lei dedicati. La tecnica preferita era quella
di avvolgere al collo delle vittime un grande
fazzoletto e strangolarle. Per fare questo,
tenevano in mano un capo del fazzoletto,
mentre allaltro capo si attaccava qualcosa
di pesante perch loperazione di avvolgere
il collo avvenisse pi velocemente. Bene, la
notizia proprio questa, anche se priva di
spiegazione. Un ricercatore o collezionista di
medaglie ne ha trovato una commemorativa
di Canova, che veniva utilizzata per questo
macabro scopo. un mistero, ma cos. Dal-
tra parte ogni oggetto destinato a cambiare
di mano, quindi se la medaglia con leffige
di Canova era stata coniata in varie copie, La dea Kal
avr avuto anche un suo commercio. E, come si sa, la sede del commercio
il mondo, perch il mondo stesso si dice che sia met da vendere e met
da comprare.

Le tre (dis)Grazie di Antonio Canova

Vorrei concludere elencando le disgrazie del nostro povero protagonista,


quelle che lo indussero alla vita di privazioni amorose di cui abbiamo
parlato pi sopra. Ovviamente sono state pi di tre, ma io ho voluto celiare
accostando il tutto alla sua opera immortale che rester nei millenni a ce-
lebrare lideale della bellezza:
1. La morte del padre a quattro anni
2. Labbandono da parte della madre, che prefer le gioie del matrimonio
allimpegno di allevare il figlio.
3. Laffidamento al nonno Pasino Canova, che non si rivel un uomo affet-
tuoso e di buone maniere, e dal quale ricevette, oltre ai primi insegnamenti,
anche non poche umiliazioni. Per dobbiamo anche ricordare, a parziale
discolpa del vecchio, che fu lui a fornire i denari ricavati dalla vendita di un
terreno che permisero ad Antonio di affrancarsi parzialmente dalla posizio-
ne di allievo e aiutante di bottega di Giuseppe Bernardi detto il Torretti
(forse in quel momento, a causa della morte del Bernardi, la bottega era gi
passata in propriet del nipote Giovanni Ferrari), amico del nonno, permet-
tendogli cos di lavorare solo mezza giornata e occupare la seconda parte
frequentando la scuola del nudo che era stata istituita al Fontegheto de
Le famose Tre Grazie,
inno alla bellezza femminile

104 la Farina. Va ricordato che


il nonno, dopo avergli dato
i primi rudimenti, laveva
messo a bottega proprio dal
Torretti, ma nella bottega di
Pagnano, vicino a Possagno
dovera la sua. Antonio era
passato in un secondo tempo
nella bottega di Venezia.
4. La pena damore che gli
aveva provocato la perdita
della sua innamorata Dome-
nica Volpato, amica e quasi fi-
danzata (presunta fedifraga),
pena damore e delusione,
due colpi che lo stroncarono.
5. Lumiliazione inferta dal di-
rettore del Louvre Vivant De-
non, nobilmente sopportata.
6. Questa sesta disgrazia forse gli fu risparmiata, in quanto il testamento
nuncupativo pu in effetti essersi celebrato dopo la morte. Ma chi pu dire
che non fosse ancora vivo e che gli siano state messe in bocca le parole da
balbettare in uno stato di agonia davanti al notaio? Noi speriamo vivamente
che fosse gi morto al momento del fattaccio che non ha reso certo onore a
chi laveva tramato.
Vorrei concludere con i titoli di coda, tanto per ricollegarmi alla prima
parte dove ho tentato di mutare il mio scritto in uno spezzone di film. Mi si
permetta in questo caso di usare unespressione non certo da gentiluomo,
ma molto usata dai giovani studenti:
Ma si pu essere pi sfigati di cos?
L'ALTOPIANO cos VICINO, COS LONTANO 105
DI SANA PIANTA
Il contatto con la natura che pulsa nel bosco un contatto
di solitudine relativa. In realt c sempre qualcuno che ti
segue. Il silenzio assordante. Lo spirito del luogo vibra. Il
tempo cammina. Gli alberi ti guardano, severi. La maest
della natura sullAltopiano lo specchio delle nostre vite:
presenti e future. I reperti infatti lo dicono: nulla muore
davvero nel bosco

BEPPA RIGONI

M ai riesco ad individuare con precisione, nel silenzio


e nel vuoto, quella percezione sottile di sentirmi osservata. Non una
sensazione minacciosa, uno stato di solitudine relativa. Bevendo
con lo sguardo lorizzonte - seppur concentrata nella fatica di anda-
re - percepisco con un colpo docchio un qualcosa, un movimento,
un refolo daria, un niente. cos da sempre. Guardo sconsolata le
pedule usurate, buone finalmente quando ora di cambiarle: ne ho
macinati di chilometri accompagnata dalla netta sensazione di esser
tenuta docchio e seguita a vista.
Non temo la componente umana - per questa mia idea che chi scarpina
non ha ubbie per la testa e gi di per s sano - temo limpondera-
bile...forse lo spero! Lincrocio con un ungulato, improvviso, fa
sobbalzare me e balzar via la bestia. E io, sempre in caccia, conosco
ormai i posti che ogni incontro conferma.
Lalzarsi in volo di un volatile di stazza, quello s coglie di soprassalto:
come un rotore che allimprovviso sollecita le pale. capitato da poco
proprio con un cedrone. La cincia, invece, con un trillo dali decide di
scappare, in un gioco di ruolo. Perfino il rospo nellombra umida ha
da dir la sua. C tanto, ma tanto di quello spazio intorno...
Grazie a tanti autori di storia ho imparato che luoghi sono stati oc-
106
Con un palmo
di naso

Il gufo
nascosto

Il coccodrillo appisolato
cupati e lasciati, che genti han coltivato e abbandonato, che soldati
han combattuto e son morti. Continuo a trovarne i segni.

107
Mitragliatrici italiane, incisioni austro-ungariche

In localit Tagliata a inizio Valdassa, ad alberi spogli, ho intravisto


una postazione da mitragliatrice quasi integra e compreso il significato
dello sbarramento italiano in quel punto preciso.
E testimonianze, continue: incisioni austroungariche su pietra, una
croce via laltra in una teoria che si perde nella vegetazione, ben
chiara se, intercettata, intendi seguirla, come grani di un rosario in
una muta preghiera di redenzione.
Un muro a secco diroccato, semisepolto da muschio e mughi, che
porta ancora lusta di chi vi ha abitato; vecchie assi marcite di un
baraccamento (forse un ospedaletto da campo) e reperti bellici, tanti,
ancora Incredibile, dopo 100 anni! Come vorrei che per un mo-
mento la vegetazione sparisse e io in volo radente, farmi il quadro
degli insediamenti perduti, dotata di un radar per il materiale bellico
sepolto - fatale attrazione per i fulmini - non per asportarlo beninte-
so, ma per individuarlo e capire appieno i fatti. Gli indizi che hai in
solitaria ti bombardano, il silenzio provvede ad acuirli.
Ed cos che ho cominciato a vedere - meglio - a fotografare in scan-
sione, i frames del documentario che gi dentro la mia testa. Vedo lo
stentato avvento della primavera che non arriva mai, il lento disgelo,
il faticoso affacciarsi alla vita delle prime sparute gemme, dei primi
steli, dei rari uccelli in cerca di un luogo per nidificare. Verso estate,
un tripudio di aromi che ti droga e a novembre il primo odor di neve:
lo sguardo a spaziare sul bianco uniforme. A marzo un sentore del
manto che scongela, di erba che riappare, di terra che riaffiora alfine.
E la vita riprende.

Umili e alteri, pazienti e temprati: gli alberi

E poi ritorni ancora e c una chiazza verde dovera il ghiaccio, affio-


rano i tunnel dei topolini e appaiono le impronte di tutti gli animali,
impresse nel fango che ancora ieri era neve. Chiudo gli occhi e ri-
percorro mentalmente i sentieri, focalizzo i luoghi e torno ancora e
ancora per sovrapporre allimmagine archiviata, quella vera. Loro,
sempre l, umili e alteri, pazienti e temprati a sopportare i rigori, le
tempeste, i metri di neve: gli alberi, creature del mondo vegetale che
amo sopra ogni cosa. Non faccio un distinguo fra abete, cirmolo o
faggio: li apprezzo tutti in egual misura.

108 Giro naso allaria per la maggior parte del tempo senza meta, a gusta-
re il diaframma fra vetta e cielo, ma accade a volte di guardare dove
metto i piedi, cos ho cominciato ad osservare, oltre a rami, pigne e
squarci di cielo, le radici nella loro multiforme contorsione, cos affini
ad altre forme viventi: animali, vegetali, umane.
una sorta di reincanazione, di passaggio ad un livello superiore?
Chiss...

La scalinata
di radici
L'ALTOPIANO cos VICINO, COS LONTANO 109
LOIC SERON:
UN FRANCESE
INNAMORATO
DELLALTOPIANO
Un lavoro straordinario, quello di Loic Seron, unispirazione
che sposa mirabilmente arte fotografica e letteratura.
Amore dellopera di Mario Rigoni Stern, il suo, al quale il
fotografo francese ha dedicato molteplici attenzioni e la sua
splendida poesia per immagini, fotografando i luoghi di
unaltra poesia, quella di Mario. Ne uscito un libro e una
mostra, Altipiano, memorabile: nella suggestiva cornice
delle carceri di Asiago, che chiuder solo a fine novembre
BEPPA RIGONI

E per colpa, no, per merito di Mario Rigoni Stern, che un


altro suo appassionato lettore (dopo Giuseppe Mendicino, che ha
appena dato alle stampe la sua biografia), decide di scrivere di lui.
Un francese! Un francese che scrive di Mario come lo avrebbe fatto
lui di se stesso, e del suo mondo! Sono rimasta basita, leggendo il
suo piccolo gioiello: Altipiano. Escursioni nellopera e nel paesaggio
di Mario Rigoni Stern, in vendita, tra laltro, nelle migliori librerie
della provincia.
In una prima fase, Loic Seron partito fotografando il territorio,
perch questa la sua professione, ma la letteratura che unisce
indissolubilmente entrambe le figure al grande scrittore asiaghese:
Mendicino leggendo tutta la sua produzione letteraria in italiano;
Seron, leggendola in francese (per la traduzione di Marie-Hlne
Angelini). Entrambi con un percorso comune, inesorabilmente
catturati dal nostro grande
autore attraverso i suoi libri,

110 non hanno resistito: dove-


vano conoscerlo!
Mendicino gi intorno al
2000, Seron solo a giugno
del 2007.
Alla fine anche i due non
potevano non incrociare i
loro destini - gi segnati - di-
ventando a loro volta amici.

...un giorno a Malga


Fiaretta

Camminavo lungo uno dei


miei sentieri preferiti, ar-
mata della mia al tempo
nuova di zecca e per me
misteriosa fotocamera Ni-
kon, fra Malga Fiaretta e il
fontanello degli alpini - in quella piana erbosa, isolata e silente, che
fa da interspazio fra i due luoghi - guardandomi intorno, stupita di
tanta bellezza, sempre nuova. In realt cercavo di trarre ispirazione
in un habitat per me abituale, per esercitarmi col nuovo giocattolo.
Scatto in sequenza, guardo il risultato sul display, resetto, metto a
fuoco, scatto di nuovo, con lamara consapevolezza che fotografare
non sar mai la mia specialit.
Come due spadaccini che si sfidano, inquadro un...fotografo, che in-
quadra me! Lo guardo: un uomo giovane, esile, unaria da ragazzo,
sulla schiena uno zaino enorme - macchina fotografica e obiettivi che
penzolano da tutte le parti. Ci siamo solo noi, limbrunire e il silenzio:
io resto incerta, non mi aspettavo qualcuno a violare i miei posti, lui
sorride con gli occhi, come sempre, rilevo.
Ciao, gli dico; ciao risponde e avvicinandosi si presenta, in francese.
Dun botto spariscono dal mio glossario tutte le parole in quella lingua
che conosco o credo di conoscere. E allora scappa la risata.
Lavevo beccato nel suo peregrinare autunnale a fare scatti ambientali
del territorio: pi volte, mi racconta, era giunto fin qui dalla Norman-
dia, per produrre materiale fotografico sullAltopiano, virato in tutte
le stagioni. Daltronde cosa poteva fare uno, dopo aver letto Le sta-
gioni di Gia-
como, Arbo-
reto salvatico,
o Stagioni di 111
Rigoni Stern?
Cos, rifacen-
do il sentiero
a ritroso fino
a Campomu-
lo, gli offro un
passaggio che
accetta vo-
lentieri lui
sempre a pie-
di mentre
mi racconta a
cosa stava la-
vorando. Quel
che descrive un progetto bellissimo, che richieder tempo, scarpi-
nate, viaggi...

...Un giorno al Museo

Ci si era rivisti negli anni, si era rimasti in contatto...fino alla telefo-


nata in cui mi invitava al vernissage.
Quel che vedo, il giorno dellinaugurazione (presso il Museo Le carce-
ri di Asiago) della sua mostra non solo fotografica, bens corredata
di testi suoi oltre che di Rigoni Stern un miracolo di espressivit,
di arte pura, magia!
Loic Seron, per loccasione, ha dovuto parlare in pubblico, lui cos
riservato, traendo spunto da un foglietto che cincischiava tra le mani,
ogni tanto sbuffando, ogni tanto abbassando lo sguardo e arrossen-
do...ma esprimendosi in perfetto italiano! Non conosceva una parola,
prima. Era emozionato lui, ma ha commosso gli astanti: quanto amore
per Stern, nelle sue parole! Quanta profonda conoscenza della sua
opera: un testa a testa con Mendicino! Infatti oggi sono grandi ami-
ci, non competitors, tant che questultimo ha curato la prefazione
della sua pubblicazione.
In quelloccasione rimasi colpita anche dalle parole di Alberico,

Sopra: Loic Seron e Alberico Rigoni Stern


il figlio maggiore di Mario Rigoni Stern, perch esprimevano esatta-
mente il mio pensiero: nessuno meglio di Seron era riuscito a cogliere

112 attraverso immagini e parole, la poetica del padre, nessuno gli si era
avvicinato tanto nel sentire, nel vedere, nellesprimere.

Altipiano:
escursioni nellopera e nel paesaggio
di Mario Rigoni Stern

La pubblicazione un libello, una raccolta di quanto esposto al


Museo e - come doverosamente definiva Rigoni Stern il territorio
(altipiano, non altopiano) - cos Seron titola mostra e libro. Dopo
aver apprezzato lesposizione museale, ho letto il libro a corredo tutto
dun fiato, commuovendomi profondamente quando Loic descrive il
paese disabitato delle Alpi francesi in cui ogni estate con i genitori
(insegnanti) e la sorella maggiore trascorreva le vacanze e afferma
di aver trovato molte analogie con lo stile di vita dei nostri antichi
abitatori, alla loro ospitale e gentile rudezza, tuttora presente (a suo
direma lui un puro!) e mi sono non poco inorgoglita, quando fra
i ringraziamenti, ho letto il mio nome: non mi era mai accaduto, n
mai accadr! Grazie Loic...
Leggendo lintera opera di Rigoni Stern, Loic tornato bambino,
ritrovando nelle sue descrizioni, quellhabitat e quellambiente uma-
no che ogni autunno, per tornare a scuola, lasciava con rimpianto,
o regret, che qui suona meglio. Due figure lontane fra loro di et,
lontane fisicamente, ma accumunate da un unico sentire, da una
sensibilit condivisa, quasi avessero una familiare affinit nel dna.
Leggi un brano di Rigoni Stern, vedi una foto del territorio scattata da
Seron e sembrano prodotti con la carta carbonesingolare, davvero!
Ma basta spendere parole: la mostra chiude a fine novembre. Chi sta
leggendo, ha tutto il tempo per programmare una visita.
Allora capir da s
(www.loicseron.com)
SULLA ILLEGITTIMA 113
FORMULAZIONE DEL
QUESITO REFERENDARIO
DI APPROVAZIONE
DELLA RIFORMA
RENZI-BOSCHI
La decisione del TAR del Lazio di respingere il ricorso
contro lerronea formulazione del quesito referendario
relativo allapprovazione della riforma Renzi-Boschi lascia
perplessi. Ci perch il quesito referendario, in violazione
dellart. 138 Cost. e dellart. 16 della legge n. 352 del 1970,
propone agli elettori un quesito costruito sul titolo della legge,
dal tenore volutamente propagandistico, suggestivo
e, nel merito, inveridico
GIUSEPPE DELIA *

1. Un diritto costituzionale privo di tutela giurisdizionale?

Con sentenza del 20.10.2016, n. 10445, il Tar del Lazio ha dichiarato inam-
missibile per difetto assoluto di giurisdizione un ricorso proposto per
limpugnazione del D.P.R. 27 settembre 2016 di convocazione dei comizi re-
ferendari per il prossimo 4 dicembre 2016, nella parte in cui formula in modo
erroneo il quesito concernente lapprovazione della riforma Renzi-Boschi.
La decisione lascia perplessi per due ragioni: perche priva di tutela giurisdi-
zionale il diritto di voto nelle procedure di revisione costituzionale; e perche,
implicitamente, ammette che la procedura posta dagli organi coinvolti (Uf-
ficio centrale per il referendum, Presidente della Repubblica e Governo) si

* Per gentile concessione del periodico ilcaso.it. Giuseppe DElia Patrocinante in Cassazio-
ne e professore di ruolo in Diritto Pubblico allUniversit degli Studi dellInsubria.
sarebbe svolta in modo regolare, quindi trascurando levidente violazione
degli artt. 3 e 16 della legge 25 maggio 1970, n. 352.

114
2. La legge di revisione della Costituzione
non e una qualunque altra legge costituzionale.

I ricorrenti, cittadini elettori, lamentavano lerronea formulazione del que-


sito, in violazione dallart. 16 della legge n. 352 del1970, e il conseguente
effetto suggestivo per lelettore: dunque, identificavano puntualmente il
vizio di legge e linteresse a ricorrere in quanto cittadini elettori convocati
al comizio referendario.
Se, infatti, il quesito referendario e non solo erroneo, ma altresi suggestivo,
con cio e leso direttamente lart. 48, comma 2, Cost., a tenore letterale del
quale Il voto e personale ed eguale, libero e segreto. Laddove, tanto la
liberta, intesa come consapevolezza del voto, quanto leguaglianza, intesa
come pari partecipazione al voto, ne escono gravemente compromesse.
In effetti, la distinzione e posta dallo stesso art. 138 Cost., e, conseguente-
mente, dal cit. art. 16 della legge n. 352 del 1970, che prevedono due diverse
formulazioni del quesito referendario, secondo che ad oggetto abbia una
legge costituzionale ovvero una legge di revisione della Costituzione.
La differenza tra le due formule e letterale, e in claris non fit interpretatio:
Il quesito da sottoporre a referendum consiste nella formula seguente:
Approvate il testo della legge di revisione dellarticolo... (o degli
articoli...) della Costituzione, concernente... (o concernenti...), appro-
vato dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale numero... del... ?;
ovvero: Approvate il testo della legge costituzionale.. concernente...
approvato dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale numero...
del... ? (cit. art. 16).
Mentre, il quesito emanato con il cit. D.P.R. 27 settembre 2016, benche
abbia ad oggetto una legge di revisione della Costituzione, suona cosi: Ap-
provate il testo della legge costituzionale concernente Disposizioni per il
superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei
parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni,
la soppressione del CNEL e la revisione del titolo V della parte II della Co-
stituzione approvato dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale
n. 88 del 15 aprile 2016?.
E solo con inusuale imperizia puo dubitarsi che quella oggetto del referen-
dum del prossimo 4 dicembre sia una legge di revisione della Costituzio-
ne. Basti, tra laltro, osservarsi, in proposito, come essa abbia levidente
struttura e i contenuti tipici di una legge di revisione della Costituzione:
Capo I: Modifiche al titolo I della parte II della Costituzione. Capo II:
Modifiche al titolo II della parte II della Costituzione. Capo III: Modifiche
al titolo III della parte II della Costituzione. Capo IV: Modifiche al titolo V
della parte II della Costituzione. Capo V: Modifiche al titolo VI della parte
II della Costituzione. Capo VI: Disposizioni finali. 115
Insomma, il quesito referendario, in violazione dellart. 138 Cost. e dellart.
16 della legge n. 352 del 1970, propone agli elettori un quesito costruito sul
titolo della legge, dal tenore volutamente propagandistico, suggestivo e, nel
merito, inveridico.
Non e questa, pero, la sede per dimostrare linveridicita del titolo della legge;
qui e sufficiente osservare come il quesito, emanato col D.P.R. 27 settembre
2016, violi lart. 16 della legge n. 352 del 1970, e, in quanto suggestivo, altresi
gli artt. 48 e 138 della Costituzione.

3. Sulla competenza a formulare il quesito referendario.


Il ragionamento seguito dal Tribunale per negare tutto cio e piuttosto
semplice:
(1) le richieste di consultazione referendaria sono state formulate
dai relativi promotori in base allart. 4 della legge n. 352 del 1970;
(2) le richieste cosi formulate sono state vagliate dallUfficio
Centrale per il Referendum presso la Corte di Cassazione, ai sensi dellart.
12 della citata legge n. 352 del 1970, con le ordinanze del 6 maggio 2016 e
dell8 agosto 2016;
(3) il Consiglio dei ministri, con delibera del 26 settembre 2016, ha
proposto la data di indizione del referendum;
(4) il Presidente della Repubblica, con limpugnato decreto del 27
settembre 2016, ha indetto i comizi con il medesimo quesito contenuto
nelle predette ordinanze, ai sensi dellart. 15 della legge n. 352 del 1970;
(5) risulta, quindi, evidente (...) come il quesito contenuto nel
gravato decreto presidenziale sia il medesimo di quello indicato nelle or-
dinanze adottate dallUfficio Centrale per il Referendum;
(6) le ordinanze dellUfficio Centrale per il Referendum sono non
impugnabili con gli ordinari mezzi giurisdizionali;
(7) non puo, pertanto, riconoscersi la possibilita di sottoporre a
sindacato giurisdizionale il D.P.R. 27 settembre 2016 quanto alla formula-
zione del quesito, perche meramente recettivo delle ordinanze dellUfficio
Centrale per il Referendum.
La ricostruzione cronologica dei fatti appare senzaltro veritiera, ma non
altrettanto esatta e la sua qualificazione giuridica.
I promotori del referendum costituzionale, infatti, richiedono bensi la con-
sultazione popolare ma non formulano il relativo quesito.
E quanto emerge, ancora letteralmente, dallart. 4 della legge n. 352 del 1970:
La richiesta di referendum di cui allarticolo 138 della Costituzione
deve contenere lindicazione della legge di revisione della Costituzione o
della legge costituzionale che si intende sottoporre alla votazione popolare,

116 e deve altresi citare la data della sua approvazione finale da parte delle
Camere, la data e il numero della Gazzetta Ufficiale nella quale e stata
pubblicata.
A sua volta, lUfficio Centrale per il Referendum, ai sensi dellart. 12 della
citata legge n. 352 del 1970, verifica che la richiesta di referendum sia
conforme alle norme dellart. 138 della Costituzione e della legge: ancora
una volta, la richiesta e non il quesito.
Nei citati artt. 4 e 12 non ce una parola con riguardo al quesito referendario,
ne come onere di formulazione da parte dei richiedenti ne come competenza
dellUfficio Centrale per il Referendum.
Sembrerebbe, piuttosto, che il Tribunale abbia confuso il referendum costi-
tuzionale con quello abrogativo. Infatti, e solo per questultimo che spetta ai
promotori, secondo lart. 27 della legge n. 352 del 1970, la formulazione del
quesito: Al fine di raccogliere le firme dei 500.000 elettori necessari per il
referendum previsto dallarticolo 75 della Costituzione, nei fogli vidimati
dal funzionario, di cui allarticolo 7, si devono indicare i termini del
quesito che si intende sottoporre alla votazione popolare, e la legge o latto
avente forza di legge dei quali si propone labrogazione, completando la
formula volete che sia abrogata ... con la data, il numero e il titolo della
legge o dellatto avente valore di legge sul quale il referendum sia richiesto;
indicazione ripetuta nel successivo art. 29 per la richiesta di referendum
abrogativo proveniente dai cinque consigli regionali.
Ancora. Lart. 35 della legge n. 352 del 1970, nel prescrivere la scheda per il
referendum abrogativo, al comma 2, afferma: Esse contengono il quesito
formulato nella richiesta di referendum, letteralmente riprodotto a
caratteri chiaramente leggibili. Mentre, le schede per il referendum costi-
tuzionale sono disciplinate dallart. 20, comma 2, della legge n. 352 del 1970,
che non rinvia al quesito formulato nella richiesta di referendum, ma
prescrive che Esse contengono il quesito formulato a termini dellar-
ticolo 16, letteralmente riprodotto a caratteri chiaramente leggibili.
Nel referendum costituzionale, dunque, il quesito e formulato, ai sensi
dellart. 16 della legge n. 352 del 1970, con lo stesso decreto del Presidente
della Repubblica di indizione dei comizi, adottato, su deliberazione del
Consiglio dei Ministri, ai sensi dellart. 15 della legge n. 352 del 1970.
Un atto, dunque, senzaltro soggetto alla giurisdizione (almeno) del giudice
amministrativo, secondo la giurisprudenza del Consiglio di Stato (sez. V, ord.
19 aprile 2011, n. 1736, che cita una inedita sez. VI, ord. 19 maggio 2000, n.
2413), conforme ad un orientamento del giudice delle leggi, secondo cui: il
sindacato giurisdizionale sugli atti immediatamente lesivi relativi al proce-
dimento preparatorio alle elezioni rappresenta una garanzia fondamentale
per tutti i cittadini. In un ordinamento democratico, infatti, la regola di
diritto deve essere applicata anche a tali procedimenti e, a questo fine, e
essenziale assicurare una tutela giurisdizionale piena e tempestiva, nel
rispetto degli artt. 24 e 113 Cost. (Corte cost., sent. 7 luglio 2010, n. 236). 117
Daltro canto, anche con riguardo agli atti e provvedimenti emanati dal
Governo nellesercizio del potere politico (cfr. art. 7 c.p.a.), per i quali e
storicamente avvertito un bisogno di insindacabilita, e altresi pacifico che
cio nondimeno, gli spazi della discrezionalita politica trovano i loro
confini nei principi di natura giuridica posti dallordinamento, tanto a
livello costituzionale quanto a livello legislativo; e quando il legislatore
predetermina canoni di legalita, ad essi la politica deve attenersi, in os-
sequio ai fondamentali princpi dello Stato di diritto. Nella misura in cui
lambito di estensione del potere discrezionale, anche quello amplissimo
che connota unazione di governo, e circoscritto da vincoli posti da norme
giuridiche che ne segnano i confini o ne indirizzano lesercizio, il rispetto
di tali vincoli costituisce un requisito di legittimita e di validita dellatto,
sindacabile nelle sedi appropriate (Corte cost., sent. 5 aprile 2012, n. 81).

4. Sul titolo del disegno di legge costituzionale


in pendenza della procedura referendaria.

Inoltre, il Tribunale avrebbe potuto notare benche, a quanto consta dalla


lettura del provvedimento, non rilevato dai ricorrenti come il Ministro
della Giustizia, nel pubblicare (il testo del disegno del) la legge costituzionale
nella Gazzetta Ufficiale, ai fini dellapertura della procedura referendaria,
abbia formulato il titolo in violazione dellart. 3 della legge n. 352 del 1970.
Infatti, secondo il cit. art. 3, ... il Ministro per la grazia e la giustizia
deve provvedere alla immediata pubblicazione della legge nella Gazzetta
Ufficiale con il titolo Testo di legge costituzionale approvato in
seconda votazione a maggioranza assoluta, ma inferiore ai due
terzi dei membri di ciascuna Camera, completato dalla data della
sua approvazione finale da parte delle Camere .... Mentre, nella Gazzetta
Ufficiale 15.4.2016, n. 88, la legge e stata pubblicata con il titolo Testo di
legge costituzionale approvato in seconda votazione a maggioranza asso-
luta, ma inferiore ai due terzi dei membri di ciascuna Camera, recante:
Disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario,
la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei
costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del CNEL
e la revisione del titolo V della parte II della Costituzione,
aggiungendo, quindi, proprio quel periodo opinabile che fondatamente i
ricorrenti contestano come idoneo, quando inserito nel quesito referendario,
a suggestionare gli elettori.
Ed e questo il fatto generatore del vizio giunto fino ad intaccare la corretta

118 formulazione del quesito referendario.


Il legislatore del 1970, con commendevole lungimiranza, aveva previsto che
il titolo della legge costituzionale, in pendenza della procedura referendaria,
avrebbe potuto essere strumentalizzato per somministrare agli elettori que-
siti referendari suggestivi; e ha imposto, pertanto, un titolo neutrale; del
resto, non ve alcuna ragione di arricchire di valutazioni personali il titolo (e,
per suo tramite, il quesito) della legge costituzionale da sottoporre al giudizio
degli elettori se non, appunto, per indirizzare il voto verso un determinato
risultato, contravvenendo cosi, non solo alla legge, ma anche alla lealta che
le istituzioni democratiche devono ai cittadini elettori.
Circostanza, questa, del tutto ignorata dal Tar Lazio, il quale, invece, afferma
che eventuali questioni di illegittimita costituzionale della legge n. 352 del
1970 in ipotesi riconducibili alla predeterminazione del quesito in base
alla auto-qualificazione della legge, in termini di revisione costituzionale o
quale mera legge costituzionale indipendentemente dal contenuto effettivo
e sostanziale della stessa (la cui scelta e rimessa alle determinazioni del
proponente e della maggioranza parlamentare), e del titolo della stessa
(...) sono da ritenere rimesse al vaglio dellUfficio Centrale per il Refe-
rendum in sede di applicazione di tale normativa, essendo stata ammessa
la sua legittimazione a sollevare questioni incidentali di costituzionalita.
Invece, non ve alcun vizio di illegittimita costituzionale della legge n. 352
del 1970, almeno per questi profili, ma ripetuti vizi di violazione della legge
n. 352 del 1970 ad opera della presente procedura referendaria, che il Tar
Lazio non ha voluto rilevare.
REFERENDUM COSTITUZIONALE

Renzi cambia 47 articoli


119
della Costituzione
in un colpo solo: la logica
democratica dice No
FULVIO REBESANI

Q

ualcuno potr criticarmi per la mia posizione sul Referendum
costituzionale dinizio dicembre favorevole al No, perch
dovrei essere un po di qua ed un po di l: dovrei cio in teoria esporre
sia le ragioni del No che quelle del S.
Come chiunque scrive su questa rivista, espongo il mio modo di vedere.
Per non si pu ignorare che le ragioni del S hanno abbondante pro-
pagazione attraverso i giornali allapparenza indipendenti, e soprattutto
grazie alla Rai nella quale, addirittura, si sono sostituiti in tempo utile
giornalisti di alta professionalit ma non di fede renziana. Mi riferisco ad
episodi noti, che bene ricordare: la sostituzione di Bianca Berlinguer
nella direzione del TG3 e la rimozione di Massimo Giannini (gi vice
direttore di Repubblica) dalla conduzione di Ballar (sempre Rete 3
della Rai).
bene dire che la AgCom1 si sta rifiutando di consegnare ai parlamentari
i dati di accesso dei vari personaggi nelle trasmissioni Rai; forse perch
risulterebbe la presenza del presidente del Consiglio preponderante in
modo imbarazzante nelle principali trasmissioni. Presenza nella quale,
a prescindere dal luogo o dalle ragioni, lo stesso non si fa scrupolo di
parlare del referendum.
La mia voce dunque un modesto tentativo di far sentire la ragioni del
No che, in una democrazia compiuta, avrebbero i medesimi spazi ed
orari di quelle del S in tutte le trasmissioni della Tv di Stato ovunque
si affrontasse largomento.
In questo articolo riferisco di questioni precedentemente non trattate circa
il sistema di elezione del nuovo Senato e la concessione dellimmunit.
Quindi, riprendo alcune prese di posizione autorevoli e qualificate per in-

1
Autorit per la Garanzia nelle Comunicazioni unautorit italiana di regolazione e
garanzia,con il compito di assicurare la corretta competizione degli operatori sul mercato
e di tutelare il pluralismo e le libert fondamentali dei cittadini nel settore delle comunica-
zioni, delleditoria, dei mezzi di comunicazione, delle poste.
120 Bianca Berlinguer, direttore
del TG3 da sette anni, epurata
da Renzi in persona a pochi mesi
dal referendum.
Il suo telegiornale era
criticato dai renziani di ferro e
dal premier in particolare.
Andandosene, disse: Me ne
vado con la malinconia tipica di
ogni separazione dolorosa.

tegrare il mio precedente scritto di natura informativa e tecnico-giuridica


con valutazioni di carattere pi generale sulla democrazia e la politica.

Come si diventer senatori


secondo questa strana controriforma costituzionale?

Il popolo italiano, titolare unico della


sovranit (art. 1, co. 2 della Costitu-
zione), viene escluso dalla elezione dei
membri del nuovo Senato.
una ferita grave alla nostra democra-
zia per la quale Camera e Senato deten-
gono soltanto la sovranit, ma non
ne sono i titolari. In forza di questa
delega da parte del popolo sovrano, e
solo per essa, Camera e Senato operano
legittimamente.
Il nuovo art. 55, comma uno, pre- Massimo Giannini, gi vice direttore
vede: Il Parlamento si compone della di Repubblica e conduttore di Ballar.
Camera dei deputati e del Senato della Epurato anche lui da Renzi e dai renzia-
ni assisi in Rai in vista del Referendum
Repubblica. mentre il nuovo art.
70. comma uno, stabilisce: La funzione
legislativa esercitata collettivamente dalle due Camere per le leggi di
revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali.
Sono solo alcune delle affermazioni, qua e l sparse, che attribuiscono
anche al Senato lesercizio della sovranit popolare. Nel nostro sistema
democratico lattribuzione/delega di tale esercizio avviene solo attraverso le
elezioni con le quali il popolo si spoglia dfella sovranit a favore dellorgano
eletto e dei suoi componenti.
Secondo il costituzionalista Alessandro Pace2 ci sarebbero motivi di illegitti-
mit costituzionale nella nuova formulazione dellart.57 della Costituzione,

121
in considerazione del grave vizio di costituzionalit di escludere i cittadini
dallelezione dei senatori, nonostante che, come ha sottolineato la Corte
Costituzionale nella sentenza sul Porcellum (n.1/2014): il voto costituisca
il principale strumento di manifestazione della sovranit popolare.
Aggiunge Pace che si tratta di un principio desumibile dallart.1 della nostra
Costituzione che pacificamente costituisce dei principi costituzionali supre-
mi che nemmeno una legge di revisione pu modificare. Potrebbe dunque
essere considerata incostituzionale qualsiasi legge approvata da un Senato
eletto da soggetti (i consiglieri regionali, provinciali per Valle dAosta e
Trentino A.A.) che secondo la Costituzione non avrebbero potuto farlo.

Un Senato bifronte e bizzarro: nomina e non elezione

Nel nostro sistema si eletti, oppure nominati. Nel primo caso lo fa il po-
polo che sceglie la persona e il partito. Elezioni che esprimono la sovranit
popolare. In sede di discussione parlamentare sul DdL di controriforma
costituzionale la maggioranza respinse un emendamento che stabiliva
lelezione diretta e popolare del nuovo Senato. Perch?
mia opinione che il progetto di depotenziare il nuovo Senato sia incom-
patibile con una investitura popolare, come la Camera. Inoltre, laggancio
della Camera Alta al territorio rende poco agevole lapplicazione del nuovo
sistema elettorale maggioritario (Italicum) e quindi per gli ideatori della
controriforma si sarebbe potuto non avere la netta prevalenza in entrambe le
Camere. Non mi sembra sostenibile che la scelta dei futuri senatori da parte
dei consiglieri regionali possa qualificarsi come elezione, in quanto i primi
non sarebbero titolari della sovranit popolare ma solo delegati ad esercitarla
in un ambito ben circoscritto: una determinata Regione e i relativi problemi.
Invece la sovranit ha respiro nazionale come territorio e problematiche ed
la medesima quando si eleggono le Camere, le Regioni, i Comuni.
Appare piuttosto contraddittorio che soggetti (consiglieri regionali/sindaci)
eletti con mandato circoscritto alle questioni di un ben delimitato territorio
(Regione/comune) possano nominare dei senatori i cui poteri spaziano
sia nella legislazione nazionale, che nella modifica costituzionale, che nei
trattati internazionali e nelle disposizioni e provvedimenti UE.

Come verrebbero nominati i senatori


nella nuova Costituzione

Il nuovo art. 57 stabilisce, fra laltro, al comma sei, che con legge appro-
vata da entrambe le Camere sono regolate le modalit di attribuzione dei
2
(Lanciano, 1935), cattedra di diritto pubblico alla Sapienza di Roma (Scienze Politiche),
autore di oltre 200 pubblicazioni.
seggi e di elezione dei membri del Senato della Repubblica tra i consiglieri
e i sindaci, nonch quelle per la loro sostituzione, in caso di cessazione dalla

122
carica elettiva regionale o locale. I seggi sono attribuiti in ragione dei voti
espressi e della composizione di ciascun Consiglio.
In attesa della approvazione di una legge apposita per la elezione (meglio,
la nomina) dei futuri senatori, per la quale non prevista una tempistica
certa, vige la normativa provvisoria, in specie il nuovo art. 39 (disposizioni
transitorie) che, in estrema sintesi, prevede:
1 formazione di singole liste di consiglieri regionali e sindaci;
2 la singola lista pu non riflettere il colore politico dei gruppi consiliari;
3 la nomina dei senatori avviene con criteri proporzionali, sulla base dei
voti espressi dai consiglieri regionali per le singole liste.

In una cosa i nuovi senatori sono parificati


ai futuri deputati: limmunit

Il testo originario del disegno di legge di controriforma costituzionale esclu-


deva - allart. 6 - la concessione dellimmunit per questo tipo di senatori.
Perben diciotto senatori ne proposero la soppressione. Gli emendamenti
erano tre: uno di senatori di FI, un secondo del solo sen. Minzolini (FI), un
terzo solo di senatori del M5S. Lelenco dei senatori presentanti fu pubbli-
cato dal senatore Francesco Russo (Pd) sulla base dei documenti agli atti
di palazzo Madama.
Riproduco la lista dei proponenti affinch si sappia a chi dobbiamo lattri-
buzione di tale privilegio, oggi ingiustificato:
Paolo Romani (FI) capogruppo; Anna Maria Bernini (FI); Franco Bruno
(Alleanza liberale popolare autonomia ALA; il gruppo costituito da Denis
Verdini), Claudio Fazzone (FI); Pierantonio Zanettin (FI); Paolo Galim-
berti (FI); Augusto Minzolini (FI); Elena Fattori (M5S); Ornella Bertorotta
(M5S); Laura Bottici (M5S); Maurizio Buccarella (M5S) capogruppo; Elisa
Bulgarelli (M5S); Daniela Donno (M5S); Michela Montevecchi (M5S); Bar-
bara Lezzi (M5S); Giovanna Mangili (M5S); Carlo Martelli (M5S); Manuela
Serra (M5S).
Per intenderci, parliamo dellautorizzazione necessaria del Senato per arre-
sti, perquisizioni e intercettazioni. Dunque, verrebbero ad esistere in Italia
95 consiglieri regionali e sindaci per cui a differenza di tutti gli altri loro
omologhi qualsiasi indagine della magistratura sarebbe molto difficile, di
fatto impossibile, o comunque assoggettata al giudizio dei pari.
La radice del problema nellavere scelto di imbottire il nuovo Senato di ceto
politico regionale e locale nel tempo del Mose, dellExpo, degli assurdi rimborsi
spesi a danno del pubblico erario. Le inchieste hanno scoperto un verminaio,
mostrando a tutti quel che i pi avveduti gi sapevano: che la politica regionale
e locale oggi in larga misura il ventre molle del sistema Italia.
Il cosiddetto parco buoi

La controriforma della Charta riguarda 47 articoli: pi di un terzo della


sua stesura. Le materie, per di pi, sono eterogenee e vanno dalla istituzione 123
di un nuovo Senato, alla Corte Costituzionale, dalla abolizione del CNEL
alla sottrazione di poteri alle Regioni per concentrarli nel Governo, alla
attribuzione a questa Istituzione del potere di fissare tempi e metodi, al
Parlamento e molto altro. Ed allora come posso dire un S od un No a tali
molteplici materie? Se fossi favorevole alle modifiche del Senato ma con-
trario a quelle sulla Corte Costituzionale o sulle Regioni come dovrei votare?
Una maggioranza mossa dalla volont di ampliare gli spazi di democrazia
avrebbe dovuto indire pi referendum, uno per ogni materia omogenea.
Invece si puntato alla concentrazione dei poteri, allefficientismo anche in
alternativa alla democrazia, al colpo grosso, cio ad unadesione fideistica
o quasi, per cui si oltrepassa il merito della riforma per dare un voto di ben
altro segno, ad ...un uomo solo al comando.... Il No rifiuta questo metodo
da parco buoi3 di affrontare uno dei pi profondi cambiamenti della
nostra Costituzione oggetto del referendum.

Italicum o morte

Per la prima volta nella storia parlamentare italiana la legge elettorale stata
approvata con un voto di fiducia. Ci significa che il Governo non era
disposto ad accettare alcuna modifica del suo testo, nemmeno se proveniente
dallinterno del Pd, e che esso riteneva quella proposta essenziale per s.
Come credere alle promesse di modifiche fatte da Renzi in ottobre 2016?
Sembrano pi che altro strumentali per togliere argomenti alle tesi del No.
Comunque, nel caso di vittoria del S ragionevole ritenere che non ci sar
alcun cambiamento.

Per una Costituzione di tutti

La nostra Costituzione fu approvata dalla Assemblea Costituente a larghis-


sima maggioranza con 453 voti favorevoli e solo 62 contrari. La Dc (De
Gasperi) ed il Pci (Togliatti), il Psi (Nenni) approvarono la Costituzione
anche se fra questi partiti sussistevano vivaci contrasti. Nel 1947 venne
approvata la Costituzione (22 dicembre 1947 Ass. Costituente) quando De
Gasperi aveva gi estromesso il Pci ed il Psi dal Governo (13 maggio 1947
scioglimento del governo unitario).

3
Il termine parco buoi di uso nelle borse ed indica un insieme molto vasto di investitori
principianti e non preparati sufficientemente in materia. Senza saperlo, essi fanno felici gli
speculatori pi esperti, quelli che da anni operano nel settore e la sanno lunga su quali mer-
cati prendere in considerazione.
Tuttavia si trovarono le mediazioni giuste anche con le altre forze - in pri-
mis il PSI ed i partiti cosiddetti laici - per accompagnare la nuova e prima

124
Costituzione repubblicana ed antifascista con il massimo di unit, anche
per farla sentire propria dagli italiani.
Oggi invece non si partiti da un testo parlamentare, come fu nel 19464,
ma da una proposta del Governo, che di per s esprime una parte politica.
Nelliter approvativo non si cercato seriamente di trovare - attraverso le
necessarie mediazioni e modifiche - un testo di ampia condivisione. Nem-
meno allinterno del Pd, come stiamo vedendo quasi ogni giorno, fu trovata
unintesa sostanziale oltre quella di facciata per cui si vota pi per disciplina
di partito che per convinzione.
Se la Costituzione non sentita come un bene basilare di tutti gli italiani
possibile che una maggioranza diversa da quella attuale cerchi di mutarla
facendola cos diventare ostaggio delle forze politiche contrapposte e non
la legge fondamentale e fondante per tutti.

La chiamata dellarme forestiere

Come nel XVI e XVII secolo anche oggi i governanti italiani hanno bisogno
di essere supportati dalle forze straniere. Ovviamente non si tratta di eser-
citi che valicano le Alpi ma di interventi autorevoli che, attraverso i mezzi
di comunicazione, superano ogni confine e giungono a tutti i cittadini. Nel
numero precedente di QV ho informato sulla pesante intromissione della
finanza internazionale; ora abbiamo linterferenza dei governi forestieri.
La prima met di settembre, quando se ne ignorava la data, vi fu uno scatena-
mento di interventi forestieri sul referendum costituzionale: tutti per il S.
Come cinque secoli fa lavvio viene dallItalia: Renzi magnifica la
riforma costituzionale nel corso della riunione dei G20 a Hangzou (Cina)
allinizio di settembre per provocare il consenso altrui.
A margine dellincontro gli addetti stampa della Casa Bianca lasciano tra-
pelare lidea che anche Obama ritenga negativa la vittoria del No perch
metterebbe in crisi non solo la politica italiana ma addirittura quella europea
creando instabilit politica.
Lambasciatore USA in Italia (evidentemente ritenuta il giardino di casa)
se ne era uscito un paio di giorni prima affermando che uneventuale vittoria
del No rappresenterebbe un passo indietro e un rischio per gli investi-
menti stranieri in Italia. Dagli Stati Uniti, ha aggiunto Phillips nel corso di
un convegno, si sta seguendo con attenzione la campagna elettorale in vista
della consultazione e, ha spiegato, in molti sperano che la riforma passi,
perch lItalia deve garantire di avere una stabilit di governo in quanto
63 governi in 63 anni non danno garanzie.
Questo argomento dei 63 governi fa parte della propaganda renziana
che, evidentemente, ha istruito adeguatasmente il diplomatico. Per di pi si

4
Elezione dellAssemblea Costituente 2 giugno 1946.
tratta di un dato tendenzioso perch negli ultimi quindici anni vi sono stati
cinque Presidenti del Consiglio. La durata breve dei Governi appartiene a

125
tempi lontani.
In quel contesto si fa sentire anche la Merkel: ovviamente non spetta al
governo tedesco esprimersi su referendum che si tengono in altri Paesi,
ammette il portavoce del governo tedesco Steffen Seibert Ma Angela Mer-
kel appoggia Matteo Renzi nelle sue diverse attivit di politica interna e le
riforme che il premier ha avviato. Come tedeschi abbiamo un forte interesse
per unItalia prospera economicamente, che possa essere una forte parte
dellEuropa. Per questo, come governo federale, appoggiamo le riforme
che il presidente del Consiglio Renzi ha avviato in questa direzione, ad
esempio nel mercato del lavoro.
Meno male che abbiamo un Presidente della Repubblica. Egli con poche
parole ma di alta autorevolezza - parlando da Sofia dovera in visita di Stato
- ricord agli stranieri che la sovranit degli elettori.
Con questa presa di posizione gli interventi forestieri avrebbero dovuto
cessare venendo rimandati ai rispettivi mittenti. Per larbitrio di libera
caccia in Italia stato consentito per troppi anni. Cos, allinizio di ottobre il
Wall Street Journal si schiera con il No ed il commissario UE alleconomia
Pierre Moscovici - con contorcimenti diplomatici - per il S.
Credo che la vittoria del No sar anche laffermazione dellindipendenza e
libert dellItalia da quanti presumono di poter intromettersi nelle nostre
questioni interne.
REFERENDUM COSTITUZIONALE

Il renzismo spezza e allontana


126
cultura e politica di sinistra:
Anpi, Cgil, Zagrebelsky,
Ciotti, Rodot, Carlassare
e tanti altri dicono No
FULVIO REBESANI

1 - Perch lANPI per il No


Riproduciamo unampia sintesi del documento del Comitato nazionale
ANPI del 25 gennaio 2016 e del successivo testo di precisazioni e conferma
(pubblicato anche a causa di pesanti contestazioni di vari esponenti del S)

ASSOCIAZIONE NAZIONALE PARTIGIANI DITALIA


A.N.P.I. - COMITATO NAZIONALE
- vista la campagna condotta da alcuni organi di stampa sulla cosiddetta
spaccatura allinterno dellANPI per svalutare lintera Associazione;
- visti i tentativi, da varie parti, di provocare o intimidire lANPI con
dichiarazioni quanto meno improvvide mettendo perfino in dubbio la
rilevante eredit morale di cui portatrice e il dovere statutario di difen-
dere la Costituzione da ogni stravolgimento;
- visto che la decisione di aderire alla Campagna referendaria per il NO
stata adottata dal Comitato Nazionale del 21 gennaio u.s., con una netta
e precisa maggioranza (venti voti a favore e tre astensioni),
- visto che tale decisione stata ribadita praticamente in tutti i Congressi
provinciali e sezionali dellANPI, con rarissime eccezioni;
- visto che la conferma definitiva venuta dallinequivocabile voto conclu-
sivo (con solo tre astensioni) del Congresso sui documenti congressuali,
compresa la relazione generale del Presidente, analoga nella sostanza
alle decisioni precedenti;
LANPI ritiene:
- che assolutamente lecito e normale che vi siano, allANPI, anche opi-
nioni dissenzienti (...) essendo la nostra unAssociazione pluralista. Altra
cosa, per, sono i comportamenti. Ovviamente, non sar punito nessuno
per aver disobbedito, ma lecito chiedere, pretendere, comportamenti che
non danneggino lANPI e che cerchino di conciliare il dovere di rispettare
le decisioni con la libert di opinione.
Pertanto ribadisce:
- di intensificare la Campagna per il NO alla riforma del Senato e per il S alla

127
correzione di parti della Legge elettorale Italicum in tutti i luoghi in cui
lANPI ha una sede, dintesa con lARCI e con le altre Associazioni che hanno
aderito ai Comitati per il NO alla Riforma del Senato e per la correzione
della Legge elettorale, adottando tutte le misure necessarie perch la raccolta
delle firme si concluda tempestivamente e con esito positivo, invitando tutti
gli iscritti a dedicare ogni impegno affinch si realizzi unampia e completa
informazione di tutti i cittadini sulle ragioni del NO e sui contenuti della
riforma in discussione;
- di non accettare provocazioni e dunque di non intervenire in dibattiti e
polemiche che non riguardino i contenuti dei referendum;
- deplorando la inaccettabile campagna introdotta contro lANPI, perfino
tentando discriminazioni fra i partigiani e respingendo altrettanto vergo-
gnosi avvicinamenti ad organizzazioni di stampo fascista, di invitare tutti,
Governo, Partiti, Associazioni, cittadini, a mantenere la campagna referen-
daria nei confini della democrazia e della correttezza, dando assoluto ed
esclusivo primato ai contenuti;
- invita la stampa a dar conto di tutte le posizioni, senza preferenze n di-
stinzioni ed, in particolare, radio e televisione ad aprire spazi adeguati anche
ai sostenitori del NO, come finora non avvenuto;
- richiama lattenzione del Garante delle Comunicazioni a fare il possibile
per garantire che linformazione nella campagna referendaria sia ampia
ed equilibrata, si abbassino i toni, si privilegino le discussioni pacate e le
riflessioni. Il referendum un diritto dei cittadini e delle cittadine ed uno
strumento di democrazia (...). LANPI tutta impegnata a garantire che
questo importante esercizio di democrazia si svolga con estrema correttezza
e parit di condizioni, in modo che davvero la parola sia libera.
25 gennaio 2016
[Approvato con venti voti a favore e tre astensioni]

Anpi: confermata la posizione sui referendum e rilanciata la


campagna firme (24 Maggio 2016)
Il Comitato nazionale dellANPI, vista la campagna condotta da alcuni organi
di stampa sulla cosiddetta spaccatura allinterno dellANPI per svalutare
lintera Associazione; visti i tentativi, da varie parti, di provocare o intimi-
dire lANPI con dichiarazioni quanto meno improvvide mettendo perfino in
dubbio la rilevante eredit morale di cui portatrice e il dovere statutario
di difendere la Costituzione da ogni stravolgimento;
ribadisce: che la decisione di aderire alla Campagna referendaria per il NO
stata adottata dal Comitato Nazionale del 21 gennaio u.s., con una netta e
precisa maggioranza (venti voti a favore e tre astensioni), che tale decisione
stata ribadita praticamente in tutti i Congressi provinciali e sezionali dellAN-
PI, con rarissime eccezioni; che la conferma definitiva venuta dallinequivo-
cabile voto conclusivo (con solo tre astensioni) del Congresso sui documenti
congressuali, compresa la relazione generale del Presidente, analoga nella
Gustavo

128
Zagrebelsky

sostanza alle
decisioni pre-
cedenti; che
assolutamente
lecito e norma-
le che vi siano,
allANPI, anche
opinioni dis-
senzienti, ma
che il dissen-
so deve essere
mantenuto nei
limiti della circolare del 5 marzo 2016 (...),
Decide:
- di intensificare la Campagna per il NO alla riforma del Senato e per il S
alla correzione di parti della Legge elettorale Italicum in tutti i luoghi in
cui lANPI ha una sede, dintesa con lARCI e con le altre Associazioni che
hanno aderito ai Comitati per il NO alla Riforma del Senato e per la corre-
zione della Legge elettorale (...);
- di non accettare provocazioni e dunque di non intervenire in di-
battiti e polemiche che non riguardino i contenuti dei referendum;
- deplorando la inaccettabile campagna introdotta contro lANPI, perfino
tentando discriminazioni fra i partigiani e respingendo altrettanto vergo-
gnosi avvicinamenti ad organizzazioni di stampo fascista (...);
- invita la stampa a dar conto di tutte le posizioni (...);
- richiama lattenzione del Garante delle Comunicazioni (...). LANPI tutta
impegnata a garantire che questo importante esercizio di democrazia si
svolga con estrema correttezza e parit di condizioni, in modo che davvero
la parola conclusiva spetti al popolo.
Roma, 24 maggio 2016

2 - Lintervista di Zagrebelsky: Allarme, non golpe


Su Repubblica del 26 maggio 2016 particolarmente ampia e significativa
lintervista di Ezio Mauro al professor Gustavo Zagrebelsky, gi pre-
sidente della Corte Costituzionale, insigne giurista.
Pur evitando il termine golpe, usato da alcuni esponenti del NO per
giudicare loperazine Italicum/controriforma costituzionale, Zagrebelsky
afferma: Contesto la parola golpe, non lallarme. Come si fa a non vedere
che il potere va concentrandosi e allontanandosi dai cittadini comuni? Non
basta per preoccuparsi?.
Il professore guarda agli effetti di questa riforma nei tempi lunghi e lancia un
messaggio che deve far riflettere: Vedo un progressivo svuotamento della

129
democrazia a vantaggio di ristrette oligarchie. Per ora le forme della de-
mocrazia reggono, ma si svuotano. Si parla di post-democrazia e, se suben-
tra lautoritarismo, di democratura. Ripeto: non c da preoccuparsi?.
I problemi di fondo, obietta lintervistatore, vanno oltre il referendum. Sono
in discussione lo stato sociale, leconomia sociale di mercato. Il profesore
daccordo e rileva che al di l del Referendum/Italicum, troviamo ...Il
sogno di ogni oligarchia: lumiliazione della politica a favore di un misto
di interessi che trovano i loro equilibri non nei Parlamenti, ma nelle tecno-
crazie burocratiche. La conseguenza che viviamo in un continuo presente.
Il motto non ci sono alternative, e cos il pensiero messo fuori gioco.
Zagrebelsky vede nella democrazia, non nella tecnica economica la
strada per uscire dalle attuali difficolt con ... un grande discorso
democratico, franco, sincero, che non nasconda le difficolt e chia-
mi tutti a uno sforzo di responsabilit, ciascuno secondo le proprie
possibilit, mobilitando le energie civili del Paese e recuperando so-
vranit, non condannando i deboli allimpotenza e allirrilevanza.
Tornando alla controriforma costituzionale lo Zagrebelsky costituziona-
lista, la giudica scritta malissimo, illeggibile, talora incomprensibile.
E non questione di forma ... perch una costituzione democratica ha
innanzitutto lobbligo della chiarezza. Il linguaggio dei riformatori
rivela due difetti: semplificazione e radicalit, brutalit e ingenuit.
Fondamentale il concetto espresso che il cambiamento della Costituzione
non pu essere accompagnato dallo slogan per cui...la sera delle elezioni
si sapr chi ha vinto. Ci non rivela una mentalit al tempo stesso sbri-
gativa e ingenua? In quel giorno ci saranno vincitori e vinti e vae victis!
(guai ai vinti! NdR).

Renzi e la creazione del nemico


Ma i governi passano e le istituzioni restano

Certo, va bene un rimedio al trasformismo e alla tentazione di consociati-


vosmo, a patto di non considerare la vittoria come ununzione sacra che
permette di insultare chi non daccordo: sindacati, professori, magistrati,
pubblici amministratori, con lidea che siano avversari da spegnere. Un
governante saggio non dovrebbe crearsi il nemico perch, appena le cose
incominceranno ad andare male, sar chiamato a pagare un conto salato.
La democrazia non acquisita una volta per tutte ed il tiranno pu presen-
tarsi sotto forme varie ed imprevedibili. Ecco le riflessioni di Zagrebelsky:
Si parlato della Costituzione vigente come il frutto ormai superato della
paura del tiranno. Il tiranno, nel senso del fascismo, oggi non c pi. Ma
il vento che tira in Europa e nel mondo non ci rende avvertiti di altri, nuovi
pericoli? Tanto pi che le istituzioni che saranno sottoposte a referendum
varranno per il futuro e non sappiamo chi potr avvalersene...Oggi c Ren-
zi, domani pu venire chiunque. I governi passano, le istituzioni restano.

130
Ancora: Un tempo cera una garanzia: i partiti e una legge elettorale
proporzionale con le preferenze ed i cittadini il cui voto pesava totalmen-
te. Oggi i partiti sono dei monoliti, col solo compito di sostenere il Capo.
E, di nuovo, tutto si tiene: con la legge elettorale vigente in Parlamento
siederanno i fedelissimi.
Zagrebelsky premette che anchegli per il superamento del bicameralismo,
ma in modo verace, non in questo modo.

Il guazzabuglio del nuovo Senato

Ridurre procedure e costi positivo. Ma tutto ci non va cavalcato in termini


anti-parlamentari, perch saremmo allanti-politica. Di un Parlamento vita-
le si ha sempre bisogno. Anzi avremmo bisogno che rappresentasse il meglio
del Paese, come si diceva una volta: ridotto nel numero e pi competente.
Il pasticcio del nuovo Senato: Il Senato ridotto, ma non abolito. Il bi-
cameralismo rimane per una serie di materie che possono innescare seri
conflitti. previsto che siano risolti dalla trattativa tra i due presidenti.
Ma lecito patteggiare sul rispetto delle regole? Le incongruenze tecniche
sono molte. Non invidio chi dovr scrivere la nuova legge elettorale del
Senato. Non si capisce da chi saranno scelti i nuovi senatori: se sono de-
signati dagli elettori non possono essere eletti dai Consigli regionali. Sa
cosa le dico? Non mi dispiace non insegnare pi il diritto costituzionale il
prossimo anno, perch non saprei come spiegare ai miei studenti non una
materia, ma un guazzabuglio.
Nessun pregiudizio verso il governo Renzi, cui Zagrebelsky riconosce molte
buone cose fatte: Sono buone le unioni civili, lautonomia dai vescovi, la
prudenza sulla Libia, il rifiuto della politica del a casa nostra verso
i migranti. Ma non mi piace che una discussione sulla Costituzione si
trasformi in un plebiscito sul governo. La Costituzione non a favore n
contro qualcuno, non si vince in questa materia e non si perde. Nessuno
si gioca tutto sulla Carta, tutti ci giochiamo qualcosa e forse molto.
E a proposito della logica della rottamazione e della Costituzione intangibile
Zagrebelsky cos osserva: C traccia di futurismo nella rottamazione. I
giovani hanno sempre ragione, i vecchi devono tacere. Sono battute, dice
qualcuno. Ma vede: cos si smarrisce il sentimento del passaggio genera-
zionale, la trasmissione dellesperienza. Si vuole rompere la tradizione in
nome di un presunto Anno Zero. Certo, leccesso di tradizione spegne. Ma
tagliare ogni radice per il peso della memoria espone al vento e cio al:
vivi nelloggi e improvvisa.
3. Il documento di giuristi, sindacalisti, don Ciotti
Giuristi, sindacalisti, don Ciotti firmano un documento nel quale ci rinnovano
il senso universale dei valori della nostra Charta, il suo essere costruita dalla
parte giusta e il suo equilibrio interno, da conservare, fra prima e seconda 131
parte che sono tuttuno a formare la nostra Costituzione Repubblicana.

La via maestra
Il documento in difesa della Costituzione firmato da Lorenza Carlassare,
Don Luigi Ciotti, Maurizio Landini, Stefano Rodot, GustavoZagrebelsky.

1. Di fronte alle miserie, alle ambizioni personali e alle rivalit di gruppi


spacciate per affari di Stato, invitiamo i cittadini a non farsi distrarre. Li
invitiamo a interrogarsi sui grandi problemi della nostra societ e a risco-
prire la politica e la sua bussola: la Costituzione. La dignit delle persone,
la giustizia sociale e la solidariet verso i deboli e gli emarginati, la legalit
e labolizione dei privilegi, lequit nella distribuzione dei pesi e dei sacrifici
imposti dalla crisi economica, la speranza di libert, lavoro e cultura per le
giovani generazioni, la giustizia e la democrazia in Europa, la pace: questo
sta nella Costituzione. La difesa della Costituzione non uno stanco richiamo
a un testo scritto tanti anni fa. Non un assurdo atteggiamento conserva-
tore, superato dai tempi. Non abbiamo forse, oggi pi che mai, nella vita
dogni giorno di tante persone, bisogno di dignit, legalit, giustizia, libert?
Non abbiamo bisogno di politica orientata alla Costituzione? Non abbiamo
bisogno duna profonda
rigenerazione bonifican-
te nel nome dei principi
e della partecipazione
democratica che essa
sancisce?
Invece, si fatta strada,
non per caso e non inno-
centemente, lidea che
questa Costituzione sia
superata; che essa impe-
disca lammodernamen-
to del nostro Paese; che
i diritti individuali e col-
lettivi siano un freno allo
sviluppo economico; che
la solidariet sia parola
vuota; che i drammi e la
disperazione di individui
e famiglie siano un prez-

Lorenza Carlassare
Stefano Rodot

132 zo inevitabile da pagare;


che la partecipazione po-
litica e il Parlamento siano
ostacoli; che il governo
debba essere solo efficienza
della politica economica al
servizio degli investitori;
che la vera costituzione
sia, dunque, unaltra: sia il
Diktat dei mercati al quale
tutto il resto deve subordinarsi. In una parola: s fatta strada lidea che la
democrazia abbia fatto il suo tempo e che si sia ormai in un tempo post-
democratico: il tempo della sostituzione del governo della tecnica econo-
mico-finanziaria al governo della politica democratica. Cos, si spiegano
le ineludibili riforme come sono state definite ineludibili per passare
da una costituzione allaltra.
La difesa della Costituzione dunque innanzitutto la promozione di unidea
di societ, divergente da quella di coloro che hanno operato finora tacita-
mente per svuotarla e, ora, operano per manometterla formalmente. un
impegno, al tempo stesso, culturale e politico che richiede sia messa in
chiaro la natura della posta in gioco e che si riuniscano quante pi forze
possibile raggiungere e mobilitare. Non la difesa dun passato che non pu
ritornare, ma un programma per un futuro da costruire in Italia e in Europa.
2. In breve: mentre lo spazio pubblico ufficiale si perdeva in un gioco di
potere sempre pi insensato e si svuotava di senso costituzionale, ad esso
venuto affiancandosi uno spazio pubblico informale pi largo, occupato da
forze spontanee. Strade e piazze hanno offerto straordinarie opportunit
dincontro e di riconoscimento reciproco. Devono continuare ad esserlo,
perch l la novit politica ha assunto forza e capacit di comunicazione;
l si sono superati, per qualche momento, lisolamento e la solitudine; l
si immaginata una societ
diversa. L, la parola della Co-
stituzione risuonata del tutto
naturalmente.
3. C dunque una grande
forza politica e civile, laten-
te nella nostra societ. La sua
caratteristica stata, finora, la

Don Luigi Ciotti,


fondatore di Libera
(Contro tutte le mafie)
sua dispersione in tanti rivoli e momenti che non ha consentito di farsi va-
lere come avrebbe potuto, sulle politiche ufficiali. Si pone oggi con urgenza,

133
tanto maggiore quanto pi procede il tentativo di cambiare la Costituzione
in senso meramente efficientistico-aziendalistico (il presidenzialismo di
fatto la punta delliceberg!), lesigenza di raccogliere, coordinare e po-
tenziare il bisogno e la volont di Costituzione che sono diffusi, consape-
volmente e, spesso, inconsapevolmente, nel nostro Paese, alle prese con la
crisi politica ed economica e con la devastazione sociale che ne consegue.
Anche noi abbiamo le nostre ineludibili riforme. Ma, sono quelle che
servono per attuare la Costituzione, non per cambiarla.

4. Perch la Cgil vota No


La Cgil ha pubblicato un documento in cui ha spiegato i motivi della celta di
votare No al referendum costituzionale, approvato dall Assemblea gene-
rale (massimo organismo statutario) il giorno 8 settembre 2016:

La Cgil partita da una discussione tutta di merito delle modifiche co-


stituzionali, proposte volute dal Governo, approvate dal Parlamento e
che saranno sottoposte al Referendum costituzionale non volendo
essere rinchiusa in una logica di schieramento o pregiudiziale. In tal senso
andava lordine del giorno approvato dal Direttivo nazionale della Cgil il
24 maggio scorso.
In questi mesi, a partire da quellordine del giorno, abbiamo organizzato
centinaia di iniziative di confronto e approfondimento che hanno riscon-
trato anche posizioni diverse ma un consenso nei confronti dei giudizi
espressi dalla Cgil. Per la nostra organizzazione, infatti, lauspicabile
obiettivo di superare il bicameralismo perfetto, che anche la Cgil richiede
da tempo, istituendo una seconda camera rappresentativa delle Regioni e
delle Autonomie locali, e di correggere le criticit della riforma del 2001, si
tradotto in uneccessiva centralizzazione dei poteri allo Stato e al Governo.
Il nuovo Senato, per composizione e funzioni, avr difficolt a svolgere lauspi-
cato e necessario ruolo di luogo istituzionale di coordinamento fra Regioni e
Stato, essenziale a conciliare le esigenze di decentramento con quelle unitarie.
Al Senato , infatti, non attribuita congrua facolt legisla -
tiva in tutte le materie che hanno ricadute sulle istituzioni ter-
ritoriali e la sua stessa composizione non garantisce ladegua-
ta rappresentanza e rappresentativit di Regioni e autonomie.
Pur condividendo lintenzione di cambiare lequilibrio dei poteri tra Regioni
e Stato, definito dalla modifica costituzionale del titolo V nel 2001, lesito
finale sbagliato: si passa da un eccesso di materie concorrenti ad una
riduzione drastica della facoltativo legislativa autonoma delle Regioni.
La previsione, inoltre, che sia lo Stato a dettare le disposizioni generali e
comuni su molte materie cruciali, potrebbe tradursi in una omologazione
normativa, non necessariamente in positivo, che non lascia spazio a pro-
cessi dinnovazione e sperimentazione che possono scaturire da un sistema
plurale e che meglio possono rispondere alle esigenze del singolo territorio.
La possibilit, poi, per il Governo di attivare una corsia preferenziale, per i
provvedimenti ritenuti essenziali per lattuazione del programma, in assenza

134
di limiti quantitativi e qualitativi (salvo lesclusione di alcune materie), attri-
buisce al Governo un eccesso di potere in materia legislativa compensato
solo parzialmente dallintroduzione di limitazioni alla decretazione durgenza
e dalla previsione della determinazione di diritti per le minoranze e di uno
statuto delle opposizioni, la cui definizione, per, rinviata, senza alcuna
certezza, al Regolamento della Camera stessa.
Tale eccesso di potere non trova compensazione nelle disposizio-
ni relative agli altri livelli istituzionali la cui capacit di incide-
re nel procedimento legislativo limitata, ne nella parteci-
pazione diretta dei cittadini ne in quella delle formazioni sociali.
La semplificazione del procedimento legislativo che si voleva otte-
nere, con il superamento del bicameralismo perfetto, vanificata
dalla moltiplicazione dei procedimenti previsti a seconda della natu-
ra del provvedimento in esame. Una moltiplicazione che richiedera
il consolidamento di una prassi e rischia di rendere lo stesso iter
delle leggi oggetto di contenzioso davanti la Corte costituzionale.
I nuovi criteri, infine, per lelezione degli organi di garanzia Pre-
sidente della Repubblica, Giudici della Corte costituzionale di nomina
parlamentare, componenti laici del CSM rischiano di essere subor-
dinati alla legge elettorale, facendo cos venir meno la certezza del
bilanciamento dei poteri di cui la Costituzione deve essere garante, con
la possibilita di determinare un restringimento del pluralismo e della
rappresentanza delle minoranze.
La Cgil, dunque, valuta la modifica costituzionale da una parte unoccasione
persa per introdurre quei necessari cambiamenti atti a semplificare, raffor-
zandole, le istituzioni. E, dallaltra, giudica negativamente quanto dispo-
sto da tale modifica perch introduce, senza migliorare la governabilit ne
il processo democratico, un rischio evidente di concentrazione dei po-
teri e delle decisioni: dal Parlamento al Governo, dalle Regioni allo Stato
centrale. Ferma restando la liberta di posizioni individuali diverse di iscritti e
dirigenti, trattandosi di questioni costituzionali, dopo questi mesi di discus-
sione sul merito della riforma, lAssemblea generale della Cgil invita a
votare NO in occasione del prossimo Referendum costituzionale.
LAssemblea generale impegna tutte le strutture a diffondere queste va-
lutazioni. La CGIL e tutte le sue Strutture, nel preservare la propria auto-
nomia, non aderiscono ad alcun Comitato e considerano, come sempre,
fondamentale la partecipazione al voto e sono impegnate a promuoverla e
favorirla tra le lavoratrici e i lavoratori, le pensionate e i pensionati, i giovani
e i cittadini tutti.
QV ANNIVERSARI 135
ALDO MORO, CENTANNI
DALLA NASCITA:
LUOMO CHE CREDEVA
NELLA POLITICA
Nel 1996 usciva un libretto bianco della Locusta del
grande vicentino Rienzo Colla su Aldo Moro, con scritti
del poeta Mario Luzi e del teologo Italo Mancini. una
testimonianza, pi pregnante di qualunque saggio, sulla
vita esemplare di Aldo Moro e sul significato dei tragici
misteri che lhanno accompagnata

MARIO PAVAN

M ariano Rumor lanno scorso avrebbe compiuto


cento anni e questanno, il 23 settembre, stato lanniversario del
centenario della nascita di un altro presidente della storia italiana del
Novecento: Aldo Moro, il punto di forza di una Democrazia Cristiana
che propugnava la scelta politica di un dialogo a tutto campo. Una
novit per una visione politica di confronto aperto con gli altri partiti
(oggi sono liquidati con il nome di partiti della Prima Repubblica) e
in particolare con il Partito Comunista Italiano, il partito antagonista
per definizione della Dc.
Moro parlava, con il suo linguaggio calssico, di convergenze paralle-
le riguardo ai grandi problemi interni e internazionali che dovevano
essere affrontati dal governo del nostro Paese e che, in particolare,
coinvolgevano direttamente ed in primis proprio i democristiani e i
comunisti: perch partiti maggioritari e popolari.
Formatosi alla scuola della FUCI ( la federazione degli studenti uni-
136
Aldo Moro stato due volte
Presidente del Consiglio dei mi-
nistri, Segretario politico e pre-
sidente del consiglio nazionale
della Democrazia Cristiana. Era
nato a Maglie il 23 settembre
1916. stato assassinato il 9
maggio 1978, a Roma.
Ha scritto, fra gli altri testi (era
docente universitario di materie
giuridiche): La democrazia in-
compiuta: attori e questioni del-
la politica italiana: 1943-1978.

Rienzo Colla stato il fondatore


dellinimitabile casa editrice La
Locusta, creata su ispirazione
di don Primo Mazzolari e punto
di riferimento del cattolicesimo riformista. Tra gli autori pubblicati vi furono
Gandhi, Martin Luther King, Giovanni XXIII, Carlo Bo, David Maria Turoldo,
Primo Mazzolari, Bernanos, La Pira, Maritain, Weil e altri eponenti del mondo
della cultura della pace e dell'integrazione sociale. Rienzo Colla (1921-2009) ha
lasciato la sua collezione di 15 mila volumi alla Biblioteca Bertoliana di Vicenza.

versitari cattolici italiani) di un allora giovane don Giovanni Battista


Montini (il futuro papa Paolo VI), Aldo Moro, pugliese di Maglie, si
iscrisse fin da subito alla Dc, ricoprendo, con tenacia e coerenza delle
sue idee, ruoli di primo piano, non solo a livello di partito ma pure
di governo.
Conobbe, in anni di altalenanti e forzate fasi,alcuni momenti bui, di
difficolt, che egli ben descrisse in articoli puntuali apparsi su testate
nazionali e definiti da lui stesso pause di riflessione.
Da buon professore di scienze giuridiche e paziente politico non ba-
dava alle difficolt e alle incomprensioni che dovette subire allinterno
della stessa Dc per le sue aperture di un confronto leale prima con i
socialisti e poi al comunisti. Incomprensioni durate fino alla fine dei
suoi tragici giorni, prima di essere rapito con un sequestro ancora
oggi incomprensibile e con cento zone dombra (?) nelluccisione
bestiale della sua scorta.
Ma pure fino al suo esecrabile e ignobile assassinio in quegli anni 137
di piombo di un 1978 (periodo storico ancora tutto da studiare e
riprendere a fondo anche da parte della gente comune!). Quella
coerenza fu la sua caratteristica fondamentale, espressa in posizioni
politiche sempre proclamate con fermezza e in ogni sede autorevole.
Tale merito gli sar riconosciuto da molti (a parte la stupida eccezio-
ne di qualche politico non degno di tale termine e purtroppo suo
collega allinterno della stessa Dc), anche da coloro che spesso gli
avevano remato contro quando era stato presidente del consiglio
della Repubblica.

Pietas laica delluomo Moro


e sua enorme spiritualit

Per ri-pensare alluomo Aldo Moro, per sentirlo vicino, sentendone


la mancanza in un periodo della societ sempre pi travagliata e
difficile, senza pi quella sua sete di confronto leale e per cercare di
capire limportanza della sua presenza nella storia politica del nostro
Paese (ma anche in Europa e a livello mondiale), pu forse venire
in aiuto, tra i tanti libri gi apparsi finora, un libretto bianco della
Locusta. In molti ricorderanno questa piccola - grande casa editri-
ce vicentina essenziale per capire i cambiamenti politici e sociali
degli Anni Sessanta in poi. Anima e ideatore della Locusta stato,
per tutta la sua vita, il dottor Rienzo Colla. Ebbene, proprio leditore
Rienzo Colla, nel 1996, a diciotto anni dal rapimento di Moro di quel
16 marzo 1978 in Via Fani e poi del ritrovamento del suo cadavere
il 9 maggio in Via Caetani a Roma, faceva uscire una preziosa e rara
testimonianza. Si tratta di due note, la prima di Italo Mancini,
(scomparso nel 1993), teologo e studioso della filosofia della religio-
ne e di una poesia di Mario Luzi, testo che fa pensare, comera nel
contenuto di tutti i versi di questo grande poeta che avrebbe meritato
lOscar per la letteratura.
Italo Mancini insiste efficacemente su due valori essenziali e incarnati
in tutta la vita dallo statista pugliese e dalla sua famiglia. Il primo
si sofferma sulla pietas laica delluomo e del professore e il secondo
sulla sua intensa spiritualit. A completare il testo, che conta una
trentina di pagine (la maggior parte dei libretti de La Locusta erano
volutamente sottili ma tutti assai efficaci e pungenti!) si leggono due
preghiere.

138 La prima opera di papa Paolo VI, che port con s, fino alla tomba,
il tormento interiore per il suo discepolo e amico Aldo e la secon-
da, quella gridata (alla maniera di un salmo dellantico testamento)
dalla moglie Eleonora, ai funerali dellamato marito e tenutisi nella
basilica pontificia di San Giovanni in Laterano, l11 maggio del 1978.

Luomo che seppe leggere il segno dei tempi

A Vicenza Aldo Moro lasci veri eredi? difficile dirlo oggi in un mo-
mento di coma profondo dei partiti e della scomparsa del gusto
per una vera Politica. arduo tentare di stendere un bilancio serio
guardando indietro ad unepoca in cui la Dc era soprattutto una conta
numerica e di potere tra vecchi dorotei(quelli di Mariano Rumor e
anche dello stesso Aldo Moro, allinizio della sua militanza politica) e
la componente dei cosiddetti nuovi dorotei di Antonio Bisaglia, che
stava emergendo a colpi di tessere (pi o meno gonfiate) e iscritti
dellultima ora.
Questa, purtroppo, unaltra storia. Ci che resta lesempio di Aldo
Moro. Al di l di tutto: di esaltazioni o celebrazioni. Egli resta un po-
litico lungimirante nelle sue prospettive: un uomo serio, preparato e
che studiava i segni dei tempi. E che, prima di tutto, stato un
marito amorevole, un padre orgoglioso dei suoi figli e un
nonno affettuoso, come si evince anche dalle sue ultime lettere dal
covo dovera segregato e scritte prima della sua bestiale esecuzione.
questo, infatti, crediamo, il primo distintivo che dovrebbe carat-
terizzare chi dice (donna o uomo che sia) di mettersi al servizio del
Paese.
LUOMO, LA CACCIA, 139
LA CUCINA, LA STORIA
Gli australopitechi erano vegetariani. Ma dallHomo
erectus fino alla Rivoluzione Francese la caccia stata una
fonte di sopravvivenza, alimentazione, potere.
Dal Medioevo stata uno strumento di potere in mano
alla classe egemone, i nobili, che lhanno trasformata in un
gioco (sempre di potere). Con la Rivoluzione francese la
caccia passata in mano pi ampie: della borghesia alta
e media. Fino ai nostri giorni: oggi la civilt industriale e
urbana occidentale non lama. Tuttavia...

ALFREDO PELLE

P ermettetemi, carissimi amici, prima di entrare nellargomento


della caccia, di leggervi il pensiero di un grande della gastronomia, Carme:
Quando non c pi cucina nel mondo non ci sono pi lettere, non c pi
intelligenza raffinata ed intuitiva, non c pi ispirazione, non ci sono pi
relazioni sociali, non c pi unit sociale.
Ho scritto questo pensiero perch intendo sottolineare come le nostre as-
sociazioni gastronomiche compiano un lavoro che ben pi importante di
quanto non si creda. Si pu pensare che sia, la nostra in specie, unattivit
ludica; in realt va a cogliere i valori di una cultura e la sua evoluzione.
Infatti il cibo, per ogni essere umano, questione di identit individuale e
sociale, nella misura in cui mangiare vuol dire sempre delimitare il proprio
gruppo di appartenenza, e, viceversa, escludere chi non si nutre allo stesso
modo e dello stesso tipo di sostanza; ma vuol anche, a livello di percezione
popolare, assimilare in un certo senso le medesime caratteristiche attri-
buite da parte del gruppo di appartenenza al cibo assunto dallindividuo
in questione.
Da ci ne consegue la peculiarit del cibo e la sua importanza e la ragione
per la quale, quando si cerca di stabilire le caratteristiche sociali di una nuova
identit (borghese o meno) diventa importante definire quanto, cosa e come
ciascun membro della societ debba mangiare.
Insomma, per sintetizzare, vien da dire ci che Feuerbach sintetizz in un
pensiero, oggi non pi valido: Luomo ci che mangia.
Voglio leggere due pezzi di letteratura
per definire uno stato contrapposto

140 nellanimo di ciascuno verso la caccia.


Il primo di Mario Rigoni Stern:

Il paese s addormentato ed apparen-


temente dorme. Solo i segugi tirano
le catene nel cortile, ogni qual tanto
alzano la testa ed abbaiano contro le
stelle; non hanno letto il calendario
pure, da tante cose hanno capito che il
momento arrivato. I cani da ferma,
setter, pointer, bracchi, si agitano nel
sonno che non sonno, ma sogno della
giornata che si preannuncia e uggio-
lano e brontolano e fremono le narici
e le labbra.
I boschi, le valli, le case, gli uomini, i Trilussa
selvatici sono come avvolti in unaria misteriosa ed insolita. Qualcosa di
nuovo accadr certamente domani. Molti uccelli avranno stroncato il volo,
molti quadrupedi la corsa. Sar morte per tante creature, sar la fine di
canti, di danze, di fame, di gelo. Un colpo: unala che si stira, una zampa
che si rattrappisce: poi nulla.
No, non nulla. Dallaltra parte ci sar un uomo che raccogliere non soltanto
il capo di selvaggina, ma anche tutto quello che questo era da vivo: libert,
sole, spazi, tempeste. Alluomo, inconsciamente, servir dopo, quando ri-
prender il lavoro di tutti i giorni e pi ancora quando sar vecchio e sar
lui ad aspettare la morte. (Da Il bosco degli urogalli - Vigilia di caccia).
Questa poesia, a contrasto del pensiero di Rigoni Stern, di Trilussa:

Caccia inutile
Er vecchio cacciatore co lo schioppo
Guarda per aria e vede un usignolo
Che gorgheggia un asslo
Tra li rami dun pioppo.
tutta quanta unarmonia damore
Imbevuta de sole e de turchino
Che d la pace e timbandiera er core
Come lo chiameremo un cacciatore
Che spara su quel povero piumino?

C unemozione misteriosa e primordiale che lega la vita al dare la morte.


C una lunghissima storia ed universalit, c una valutazione culturale
in cui le societ si rappresentano con le loro contraddizioni, riflettono sui
modi di pensare delluomo con la natura ed il mondo animale. C, in questo
mondo, un basso profilo gerarchico fra i cacciatori per una eguaglianza che
non parte dalla scala sociale. Ma, da secoli, la storia della caccia un grande
racconto, inizialmente legato alla ricerca del cibo, alla paziente tensione degli

141
appostamenti, la furia e la concitazione degli attacchi alla preda, lemozione
e lorgoglio della vittoria, la presenza della morte, la gioia del pasto comune
a festeggiare la vittoria. questo un frammento del racconto della storia
delluomo che va avvicinato con rispetto.

LHomo Erectus, progenitore della caccia


Partiamo in queste brevi considerazioni da molto vicino: dal medioevo.
Lasciamo tutta la parte relativa ad una domanda di francescana semplicit:
lumanit nasce cacciatrice?
Dobbiamo, in primis chiederci: chi scegliamo come primo uomo?
Gli australopitechi erano vegetariani. pur vero che gli australopitechi
non sono considerati, in toto, esseri umani a pieno titolo. E questo perch
non costruivano strumenti, cio manufatti ripetuti con tecnica costante.
Ricordo che i primi strumenti delluomo furono i chioppers, pietre tonde
con la punta scheggiata in modo da renderla tagliente. I pi antichi, ritrovati
in Africa (Etiopia, Kenia, Tanzania) si fanno risalire a 2,5 milioni di anni e
sono stati fatti dallHomo habilis, che mangiava carne di animali morti.
Dopo di lui venne lHomo erectus, probabilmente il progenitore della
caccia perch fece strumenti di una certa complessit e domin il fuoco.
Il ritrovamento nei siti archeologici preistorici di animali della glaciazione
(ad esempio resti di stambecchi in pianura) ci permettono di datare linizio
della caccia, o meglio linizio della ricerca di carne da animali morti per cause
naturali o abbandonati da altri animali che li avevano uccisi.
Solo 500.000 anni or sono inzia la vera caccia, con abbattimento di cervi,
cavalli, elefanti, bisonti e addirittura ippopotami nei periodi pi caldi e umi-
di. La cacciagione ai volatili, sembra, qui, aver avuto un peso trascurabile.
Le cose migliorano sensibilmente con larrivo dellHomo sapiens che
rende la caccia unattivit di gruppo usando il fuoco per dirigere gli animali
dove poteva abbatterli, usando armi quali lasta appuntita, pietre e trappole.
Stranamente si cacciavano solo grandi animali e questo si pu capire pensan-
do alla minore velocit del selvatico, le armi di scarsa precisione su animali
veloci, la caccia ai dominanti e la maggiore produttivit che si aveva nel
cacciare un animale di grosse dimensioni rispetto alle piccole prede.
Superiamo tuti i periodi successivi (Neanderthal, il paleolitico, il mesolitico,
il neolitico nei quali si affina la caccia) e ricordiamo come larte rupestre,
quella parietale, abbia avuto grandissima diffusione.
Ora passiamo dalla preistoria, superando il mondo romano e greco, allAlto
medioevo per avvicinarci al nostro tema.
Dobbiamo concordare sul fatto che leconomia di quel periodo in buona
parte basata sullo sfruttamento dei boschi e degli spazi incolti (liberi a tutti
come fonti di sussistenza) nei quali la caccia, la pesca, la raccolta di frutti
spontanei era fonte di vita. questa uneconomia silvo-pastorale in un
mondo nel quale il paesaggio era composto da brughiere, foreste, paludi.
Questo fa mettere in dubbio le teorie fino ad ora asseverate di unalimenta-

142
zione basata principalmente sui cereali, mentre appare sempre pi evidente
che la parte orticola e luso delle terre incolte aveva una funzione importan-
tissima. Di conseguenza la caccia era parte essenziale per lalimentazione,
non fosse altro perch risolveva il bisogno di proteine.

Chi mangia molto domina gli altri


La carne: fonte di energia e di potenza sessuale
Certamente mancano statistiche precise e bisogna accontentarsi di indizi
sparsi e, per la maggior parte, indiretti. In questa societ, guidata da guerrieri
e che ha il mito della forza fisica, i livelli di reddito si manifestano a tavola:
il potente mangia a saziet e chi mangia molto domina gli altri.
Nellimmaginario collettivo dellepoca il nutrimento abbondante e, soprat-
tutto, la quantit di carne disponibile, restano simboli del potere, fonte
dellenergia fisica e della potenza sessuale e rappresentano una delle prin-
cipali manifestazioni della gioia di vivere. Da qui inizia una differenziazione
della caccia fra la nobilt ed il popolo e si hanno diverse prove scritte di
quale fosse la vera natura della caccia per la nobilt.
...due uri sollevarono con le corna me ed il mio cavallo, una volta un cervo
mi colp con le corna, un orso mi azzann un ginocchio, una belva mi abbatt
da cavallo e Dio mi conserv incolume. Queste sono parole attribuite a
Monomach, re dalla antica Russia nel secolo XII, e, per quanto esagerate,
sono comunque significative.
A conferma di queste sbruffonate i documenti dellepoca abbondano di
riferimenti di incidenti di caccia, anche mortali. E le cacce dovevano essere
rischiose perch esse non erano, come si potrebbe pensare, soltanto il di-
vertimento per una nobilt rude e propensa alla violenza. Erano, in parte, il
riposo del guerriero: ma un riposo che non cessava di essere, con intensit
variabile, un momento di guerra.
Era, la caccia, un momento di valore psicologico e politico. Psicologico perch
ne veniva esaltata lidentit individuale, politico perch lesercizio del potere
non poteva assolutamente prescindere dallefficienza e dallintegrit fisica.
Non si cacciava mai da soli e il luogo della caccia diventava una scena (cos
scrive Paolo Galloni nel suo interessantissimo libro Storia e cultura della
caccia) dove i protagonisti esibivano le loro qualit davanti ad un pubblico
composto in gran parte da colleghi che condividevano gli stessi valori e
soprattutto agivano insieme a lui.

Perch la caccia dei nobili inizi in autunno


Il falco, il cavallo, il levriero, la spada

Una copiosa letteratura parla della caccia dei nobili e di come fosse incon-
cepibile ed indecoroso che un servo potesse cacciare meglio del padrone. Il ch
obbligava il nobile a cercare le prede pi difficili da cacciare, in quanto la prova

143
di valore nello stanare e nellaffrontare rendevano la caccia pi esaltante.
Si arriv, nei paesi nordici, a preferire la caccia in autunno perch i
selvatici (cinghiale in primis) sono nella stagione degli amori e perci pi
aggressivi e violenti, e i terreni, a causa delle prime piogge, erano pi diffi-
coltosi e rischiosi, il che sbilanciava al massimo la caccia verso la dimensione
guerriera. Nella caccia, pertanto, il signore aveva loccasione di dispiegare
abilit, coraggio, potenza, magnificenza, con il banchetto che seguiva, e infine
ospitalit e generosit. Da qui ne derivava il fatto che la caccia da singolo
era pochissimo praticata e la caccia con larco allontanava da quei valori
ricercati perch non esponeva al rischio del combattimento.
Fra i selvatici, di grande importanza era il cinghiale, aggressivo, tenace, diffi-
cile da vincere, armato di zanne assimilabili alla spada e si credeva dotato, in
una parte del corpo, di una protezione assimilabile allo scudo del guerriero.
I contadini, per contro, cacciavano con reti e trappole. Gli scavi archeolo-
gici condotti in abitazioni rurali medievali hanno portato alla luce antiche
punte di freccia e coltelli anche se le fonti scritte (pensate per un pubblico
aristocratico) parlavano di contadini che impugnano bastoni.
E il giudizio si faceva ancor pi pesante se rapportato alle ragioni per cui i
contadini uccidevano i selvatici: per alimentarsene!
Inoltre la caccia dei nobili, come dicevamo, era rivolta ad animali feroci ed
aggressivi, cosa completamente ignorata dal volgoe contemplava queste
componenti per un cacciatore: il falco, il cavallo, il levriero, la spada.
Al tempo di Roma la caccia era res nullius, esclusa cio dal diritto privato
e la selvaggina apparteneva a chi la trovava. La caccia era libera come la
raccolta dei prodotti selvatici.
Levoluzione del diritto venatorio medievale limit la libert di caccia
escludendo le propriet regie ed obbligando a segnalare (nelle leggi ger-
maniche) la presenza di trappole, fossi, lacci,archi automatici, tagliuole. Si
arriv successivamente allappropriazione dei privilegi venatori da parte
della nobilt. La caccia, attivit come dicevamo assai diffusa tra i contadini
dellAltomedioevo, si riduce lentamente a partire dal 1100 a causa del pro-
gredire dei dissodamenti e della conseguente diminuzione dellincolto nei
secoli successivi. Nacquero cos i parchi signorili.
I contadini riducono il consumo di conigli selvatici, lepri e pernici, uccella-
gione minuta e beccacce via via che il fuoco e la scure distruggono le foreste.
Al restringimento delle aree boschive segue, logicamente, la progressiva
privatizzazione dei diritti duso sulle stesse e questo determina, per i con-
tadini una minore incidenza nel bilancio familiare di tutte le componenti in
qualche modo legate al libero sfruttamento delle terre comuni.

Proibire la caccia ai contadini?

da qui che parte un minor consumo di carne, per la diminuzione della


144

Guglielmo I ed Aroldo II d'Inghilterra a caccia insieme con cani e falconi


Arazzo di Bayeux (post 1066)

pratica allevatizia in conseguenza dellarretramento degli incolti e delle


foreste. Si origina da qui una contrazione destinata a produrre mutamenti
importanti nel sistema alimentare.
Poich la caccia una pratica che distoglie i contadini dal lavoro bene
proibiglierla nellinteresse loro e della comunit tutta.
Frasi come questa, che incominciano ad apparire nelle ordinanze legislative
soprattutto in Francia a partire dal secolo XVI, segnano lesclusione,
talora definitiva, del mondo contadino dallattivit venatoria, divenuta,
allora, appannaggio pressoch esclusivo delle classi nobili.
In tutto il medioevo le limitazioni poste ai contadini sulla caccia si infitti-
scono e sappesantiscono, via via privandoli di una fonte dalimentazione a
suo tempo fiorentissima.
Cos, preoccupazioni naturalistiche (mai disgiunte dai privilegi di classe) si
riflettono anche negli statuti cittadini: la difesa della selvaggina diventa ora
lobiettivo primario. Quanto diverso questo periodo dallAlto Medioevo nel
quale la caccia era del tutto libera negli spazi incolti e, previo un pagamento
di un canone, anche in quelli di propriet signorile.
Era talmente comune, la caccia, che quando nel 789 Carlo Magno la vie-
tava di domenica in ottemperanza alle prescrizioni religiose, lesercizio dei
lavori manuali (opera servilia) alla domenica vi includeva anche la caccia,
allo stesso titolo della coltivazione dellorto.
Una particolarit: la caccia di gran prestigio era quella con la falconeria
che non era esclusa neppure ai contadini, almeno fino a che il possesso di
un uccello da preda non fu sentito come un privilegio di classe.
La caccia di pertinenza dei rustici e dei contadini era, tuttavia, legata alla
selvaggina minore ed era fatta con larco, in primis, a volte con frecce avve-
lenate, il che rendeva obbligatorio incidere la carne dellanimale attorno al
punto colpito, per evitare avvelenamenti.
Si usavano trappole, fossi, lacci di ogni genere e, per la caccia notturna, lan-
terne per abbagliare la preda e prenderla con reti o per colpirla con spiedi

145
ed altri attrezzi. E non erano sconosciuti neppure i richiami, vivi o artificiali
o, in alcuni casi , i recinti.

Il retaggio conservatore della caccia

Una piccola considerazione: la selvaggina di piccola taglia era rappresentata


da un nugolo di piccoli animali diffusi ovunque con unabbondanza che noi
oggi non riusciamo neppure a concepire: da un secolo a questa parte gli squi-
libri geologici causati dallaumento della popolazione umana e dal processo
di industrializzazione hanno mutato radicalmente il quadro faunistico.
Tutto questo permetteva un apporto alimentare rilevante e regolare sulla
tavola dei contadini.
Diffusissimo era il coniglio selvatico, molto pi apprezzato della lepre,
che veniva considerata dolciastra e secca: pernici rosse e grigie, quaglie
e fagiani, tortore e colombacci e fra gli animali di lusso il pavone erano fra
gli animali di frequente uso alimentare.
Con linizio delle grandi spedizioni transoceaniche la caccia ebbe, anches-
sa, qualche modifica, ma non di rilievo: la caccia mantenne il suo retaggio
conservatore. Bisogna arrivare, per rilevare grandi variabili, al tempo della
Rivoluzione francese quando la caccia, come privilegio di sovrani e della
nobilt, sub un colpo decisivo.
Fino ad allora il privilegio della nobilt rest intatto e col tempo, tra
laltro, si ebbe un fenomeno evidente, per le necessit di una deforestazione
sempre maggiore (che toglieva spazio alla caccia) per il legname.
Di tale importanza era il privilegio, che in Francia il Sovrano, nel giorno di
S. Uberto, protettore dei cacciatori, autorizzava la caccia aperta a tutti e,
fra laltro, veniva fatto obbligo di tenere i cani alla catena...
Necessit per il riscaldamento, necessit per il legname da costruzione,
necessit per il legname per le costruzioni di navi, riducevano sempre pi
i terreni di caccia portando alla scomparsa di alcune specie animali, quali
il cervo. Norme restrittive pesanti per i bracconieri da parte della nobilt si
ebbero anche in Italia, con carcere, sequestro dei beni, divieto di mantenere,
da parte dei contadini, cani da caccia.
Nel 1549 Cosimo de Medici emise un bando che restrinse drasticamente
i diritti dei cittadini e dei contadini, fondati su consuetudini secolari. Era
vietato a chiunque entrare nelle riserve con balestre, frugnuoli, lacci o reti da
lepri, capri, fagiani,francolini, starne, cotornici o colombi domestici o altro
strumento o ordigno simile atto a pigliare detti animali e uccelli proibiti.
Questo lascia intuire che da parte dei ceti poveri vi era una resistenza pi o
meno sommessa allesclusione completa delle risorse forestali.
I Medici furono grandi cacciatori e le loro cacce facevano parte del sistema di
corte come feste e banchetti. Lorenzo il Magnifico ci fa conoscere il nome di
9 dei suoi 18 cavalli e fra i doni della nobilt vi erano anche cani, falconi ma
146

I falconieri e Federico II (opera di ignoto)

anche cacce. Tutta la Toscana diviene una enorme riserva di caccia per ospiti,
tanto che Boniforte di Abbiate, stambecchiere del duca di Milano nelle
campagne pisane, cacci un centinaio di cervi per il suo signore: era il 1474.
I Medici stessi erano validissimi ed accaniti cacciatori, anche i cardinali
come Ferdinando I o Carlo dei Medici ci hanno lasciato testimonianze scritte
delle loro gesta.
Con il finire della dinastia si ebbero molte revoche delle riserve e suona come
una beffa che, a fronte del disinteresse dellultimo Granduca Gian Gastone,
la moglie, Anna Maria Francesca di Sassonia, passasse la giornata a tirare
alle lepri e la sorella Anna Maria Luisa, appassionata cacciatrice di cervi, si
facesse riprendere in tenuta di amazzone, con i cani!
Del resto la presenza di donne alla caccia non era formale. Si hanno regine o
dame importanti che cacciano, anchesse per manifestare il potere. Caterina
de Medici ebbe una concorrente in Diana de Poitiers, Elisabetta I cacciava con
passione e cos era Anna di Danimarca, moglie di Giacomo I dInghilterra.
La regina di Sassonia e Polonia, alla fine del Settecento, nella riserva di
Bialowiecza spar a venti visoni ed anche Isabella dEste divideva la passione
per la caccia. A Napoli nel 1739 la principessa Maria Luisa Caracciolo era
cacciatrice valente.

Larrivo decisivo della Rivoluzione Francese


Lintroduzione della licenza

Allinizio del Settecento, nel Nord Europa, era abitudine dei cacciatori
presentarsi alle dame con il coltello sporco di sangue usato per sgozzare i
cervi. Ma non vi era ritrosia verso il sangue, tanto che le dame ritenevano
che bagnarsi le mani con il sangue della selvaggina contribuisse a tenere la
pelle bianca (non dimentichiamo che labbronzatura era cosa da bifolchi).
Arriviamo alla fine del Settecento: in Francia la rivoluzione diede vita ad
una serie di cambiamenti epocali in molti settori della vita, compreso quello
venatorio.

147
Lintroduzione della licenza di caccia democratizz la pratica venatoria,
subordinandola per al pagamento di una tassa. Sostanzialmente il potere
modific i propri diritti sulla caccia, conservandolo per come un privilegio
dato ai cacciatori. Si registr un incremento enorme del numero dei caccia-
tori, e fu linizio della fine delle cacce reali. Ma la caccia di frodo rimase viva
e se le cacce aristocratiche andarono scemando (assieme a molti selvatici
quali il cervo, lorso, il lupo) la ricca borghesia venne ad occupare gli spazi
lasciati liberi dalla decadente aristocrazia.
I poveri continuarono a pensare alla caccia come ad un prelievo festoso
in opposizione ai tempi e ai luoghi del lavoro produttivo.
Nel frattempo si modific anche il modo di cacciare: fucile e cani e non pi
cavallo e poca caccia di postazione con i selvatici portati al tiro.
Rest la caccia alla volpe con cavallo e cani e, a dimostrazione di uno status
sociale elevato, si inaugur la caccia in luoghi lontani. Fu cos che zanne
delefante, corna di rinoceronte, teste di antilopi e tigri cominciarono a fare
bella mostra sulle pareti di casa.
Nell800 la cucina di caccia era entrata nel mondo della borghesia ed in
Toscana, in particolare, in quel mondo di campagnoli, cos radicati nel
paesaggio agrario, era divenuta un fulcro della tavola. Cos fattorie con
paretai o ragnaie per catturare uccelli, in un habitat ideale per starne, qua-
glie e lepri, con un mondo, dalle coste marine alle paludi maremmane, agli
acquitrini, diventato il regno degli acquatici di passo.
E nacque anche lallevamento di uccelletti da fare allo spiedo e a Firenze i
mercati cittadini avevano una straordinaria abbondanza di selvaggina, anzi
di uccelli, come si pu rilevare dal fatto che i dazi che il Comune ne ricavava
erano molto consistenti
Basta pensare allarrivo di migliaia di famiglie con Sirene come capitale:
politici, giornalisti, portaborse, segretari e tutta la compagnia di giro diven-
nero utenti importantissimi : di questo periodo la lepre in dolce e forte.

La civilt industriale e urbana di oggi


respinge la caccia, ma...

La civilt industriale e urbana uccide pi animali di tutte le altre, ma pare


respingere progressivamente la caccia nellangolo delle robe vecchie, per
non dire delle sopravvivenze di un passato immorale.
Partiamo da un presupposto: ad oggi la caccia permette labbattimento di
migliaia di capi al giorno. Ma, parallelamente, da qualche tempo queste
stesse leggi e giudizi morali hanno iniziato a sanzionare le violenze contro
gli animali da compagnia. E le leggi da una parte hanno alti livelli di perce-
zione delle violenze inflitte agli animali, dallaltra lasciano tranquillamente
fare mattanze perch vi grande distanza dalla sfera affettiva delluomo.
pur vero che in tutta Europa la caccia e i raccolti del sottobosco sono
sempre meno attivit produttiva e sempre pi piacere e passione. Questo
fa s che la caccia possa essere percepita come una discutibile miscela di

148
violenza e superfluo e quindi essere considerata una stortura del sistema
di civilt occidentale.
C un atteggiamento inevitabilmente contraddittorio, in questi tempi, e
stridente fra la pratica venatoria e le problematiche ecologiche delle associa-
zioni di cacciatori. Le riviste di caccia pubblicano con regolarit articoli nei
quali si sottolinea la perfetta compatibilit fra caccia ed ecologia. Si rileva,
sia pure sotto traccia, una certa tensione fra inviti a rispettare le sempre
pi limitate norme legislative e la nostalgia del tempo nel quale la caccia si
chiudeva da sola.
Ma questo argomento esula dal mio intervento e lo lasciamo al dibattito
che seguir.

Bibliografia

Paolo Galloni
Storia e cultura della caccia
Editori Laterza 2000

Massimo Montanari
Lalimentazione contadina
Nellalto Medioevo
Liguori Editore 1979

Boroni Bossini
Brescia e la civilt dello spiedo
Massetti Rodella editori 2002

A cura di Zeffiro Ciuffoletti


Artusi e la selvaggina in tavola
Editoriale Olimpia 2002

A cura Regione del Veneto


La selvaggina del veneto nel piatto
Terra ferma Editore 2009
La caccia oggi: 149
inquinamento da piombo?
GIANNI PADRIN

L a stagione dei cacciatori sta finendo. Secondo lEurispes 8


italiani su 10 sono contrari alla caccia, favorevole solo un quinto
della popolazione (21,2%), contro il 24,4% dello scorso anno. Preoc-
cupa il bollettino di guerra : 17 morti e 65 feriti, tra cui tre minori, da
settembre scorso a gennaio.Dei feriti un quarto sono persone estranee
che passavano nelle vicinanze degli sparatori; dal 2007 a dicembre 2015
sono stati uccisi 12 minori, 23 i bambini feriti. Ogni anno quindi la caccia
sempre meno riconosciuta come una nobile attivit umana, cosa che
da prima del neolitico era non solo normale, ma un bisogno alimentare.
La mancata necessit ha cambiato anche la natura della caccia oggi e
lidentit sociale dei cacciatori; per questo i cacciatori sono sempre
pi in diminuzione, perch la mentalit cambiata. I cacciatori sono
ormai equivalenti ad ancestrali cacciatori neolitici?
Proiettando i dati del numero massimo di animali che possono essere
uccisi ogni anno in Veneto, Lombardia, Sicilia e Toscana si arriva a 154
milioni di esseri viventi. Una cifra calcolata per difetto visto che i
cacciatori improbabile rispettino collettivamente il numero massimo
di animali da uccidere e i vari arresti lo mettono in mostra. Quindi ad
occhio e croce, in un anno questi neolitici hanno comprato o lavorato
fra proiettili e cartuccie perse e tiri sbagliati, almeno 250-300 milioni di
pezzi di piombo velenoso sparsi nellambiente, pi quelli nel resto dIta-
lia. In realt secondo un calcolo basato sul numero medio di colpi esplosi
annualmente da ciascun cacciatore, si stimato che nel 1980 in Italia ve-
nissero utilizzate 1.100.000.000 cartucce, scese a circa 700.000.000 alla
fine degli anni 80 a seguito della diminuzione del numero delle licenze;
sulla base di questi conteggi, la caccia regala al nostro paese qualcosa
come 25mila tonnellate di piombo. Sarebbero 500 milioni le cartucce
sparate in un anno, e a raccoglierle tutte se ne farebbe un mucchio di
11mila metri cubi. Numerose ricerche hanno dimostrato come la caccia
rappresenti una fonte grande di inquinamento da piombo, in grado
di avvelenare gli uccelli selvatici, contaminare il terreno e determinare
un rischio sanitario per luomo. Il piombo avvelena il terreno e le acque,
facendo ammalare di saturnismo gli animali. E non solo. Sar meglio
cominciare a ragionarci un po di pi su questo problema. Poi se il Tigg
ti mostra che un padre cade e parte un colpo a Bovolenta, uccidendo il
figlio e cos tante altre volte analoghe, forse anche i cacciatori e le loro
ricche associazioni potrebbero fare un vero esame di coscienza?
150 La caccia oggi:
il bollettino di guerra
GIANNI PADRIN

L Associazione vittime della caccia rende noto:


- Il numero dei morti a causa cacciatori tipico di uno Stato che preveda
la pena di morte con fucilazione:
- stagione venatoria 2007/2008: 30 morti e 79 feriti. Tra i morti,
4 non erano cacciatori (tra questi un minore). Tra i feriti, 20 non erano
cacciatori (tra questi 3 minori). Mentre nellarco dellintero anno solare
2007 risultano 47 morti (1 minore) e 81 feriti per armi da caccia;
- stagione venatoria 2008/2009: 42 morti e 94 feriti. Tra i morti, 17
non erano cacciatori. Tra i feriti, 27 non erano cacciatori. Minori coinvolti
12. Non conteggiato un bimbo di dodici anni, residente a Torreano di
Cividale (UD) che sviene ed e soccorso allospedale per una crisi dansia
provocatagli da uno sparo partito a distanza ravvicinata dal fucile di un
cacciatore (Il Messaggero Veneto, Udine, 9 Ottobre 2008);
- stagione venatoria 2009/2010: 31 morti e 86 feriti. Di questi,
in ambito venatorio (durante le battute di caccia) 18 feriti e 1 morto (1
bambino morto per emulare i cacciatori) non erano cacciatori. Invece in
ambito extra-venatorio (armi da caccia che provocano vittime al di fuori
dellattivit venatoria) 12 feriti e 6 morti non erano cacciatori. 1 minore
(sedicenne) morto per imperizia nel maneggiare larma incustodita dal
padre cacciatore;
- stagione venatoria 2010/2011: nel solo ambito venatorio 25 morti
(1 non era cacciatore) e 75 feriti (16 non cacciatori). Includendo anche
lambito extra-venatorio la conta delle vittime per armi da caccia sale a
53 morti e 88 feriti totali;
- stagione venatoria 2011/2012: vittime per armi da caccia in ambito
venatorio 11 morti (1 non era cacciatore) e 75 feriti (13 non cacciatori).
Prendendo in considerazione lambito extra-venatorio (riconducibile
comunque allattivit venatoria) dobbiamo aggiungere 16 morti (12 non
cacciatori) e 7 feriti (5 non cacciatori);
- stagione venatoria 2012/2013: 21 morti e 97 feriti nel solo
ambito venatorio. Di questi 3 morti e 16 feriti non erano cacciatori e, in
particolare, 2 morti e 1 ferito erano minori. Considerando anche lambito
extra-venatorio dobbiamo aggiungere 11 morti e 22 feriti, di cui 8 morti
e 16 feriti non cacciatori, e tra questi sono 6 i minori vittime: 3 morti e 3
feriti. Sommando ambito venatorio ed extra-venatorio sono 9 i minori
vittime: 5 morti e 4 feriti;
Un bambino 151
impara larte
(foto Life
Gate)

- stagione venatoria 2013/2014 : 13 morti e 69 feriti nel solo ambito


venatorio. Di questi, 1 morto e 19 feriti non erano cacciatori. 12 morti e 11
feriti in ambito extra-venatorio. Di questi, 10 morti e 9 feriti non erano
cacciatori. Totale 25 morti e 80 feriti, di cui 11 morti e 28 feriti non erano
cacciatori;
- stagione venatoria 2014/2015: 88 casi di vittime per armi da caccia.
In particolare 22 morti e 66 feriti. Di questi, 4 morti e 21 feriti (3 bambini)
non erano cacciatori;
- stagione venatoria 2015/2016: 84 persone fucilate 17 i morti e 67
i feriti ma 1 morto (minore) e 15 feriti (di cui 3 minori) sono le vittime
estranee allattivit venatoria.

La regione che pi lascia i suoi abitanti in bala


dei cacciatori questa volta pare essere il Veneto

Nel Dossier del 2002, Se la caccia fosse un lavoro, F. Schillaci calcol


che si muore di caccia almeno 6.4 volte pi frequentemente che sul lavoro.
Inoltre, la probabilit che un incidente di caccia abbia esito mortale 297
volte maggiore che negli incidenti sul lavoro.
Con gli stessi principi dello studio di Schillaci, M.Tettamanti, chimico
ambientale e criminologo forense, nella sua ricerca Armi da fuoco: tendenze
e contraddizioni italiane, confront i morti di caccia con i morti in incidenti
stradali, arrivando ai seguenti risultati:
- caccia: un incidente mortale ogni 544.183 giornate di caccia;
- strada: un incidente mortale ogni 634.658 giornate di guida.
Considerato il numero di praticanti (autisti o cacciatori) e il numero di ore
destinate allattivit, si muore di pi di caccia che di incidenti stradali.
In unintervista del 5 gennaio 2013, Daniela Casprini, Presidente
dellAssociazione Vittime della Caccia, riferiva: Abbiamo chiesto al
Ministero dellInterno i numeri delle morti per caccia e ci hanno risposto
che non li hanno quantificati perch i loro dati includono tutti i tipi di
armi e non solo quelle ad uso caccia. E ancora: Le vittime della caccia o i
familiari attendono anche 7-8 anni prima di vedersi riconosciuto il danno.

152
Le assicurazioni cercano sempre mille appigli per non pagare e ci sono
cause che vanno avanti davvero per troppo tempo, con costi da sostenere e
anticipare, e a discapito di chi gi ha avuto una disgrazia e stress enormi.
Questa una vera ingiustizia.
E allora, di cosa ci meravigliamo? Che sia morto lennesimo ragazzo
innocente, questa volta nellopulento, laborioso e onesto Nord Est invece
che in qualche sventurato e arretrato paesino del Sud Italia, di cui non ce
ne frega niente?
N.B. : i cacciatori oltre che sparare alle persone che hanno attorno, sono
Veleniferi verso lambiente e quindi verso gli uomini, in quanto sparano
piombo, un elemento notoriamente considerato veleno. Ce lo ritroviamo
nelle colture agricole, nellacqua dellacquedotto, nelle sorgenti, nelle falde,
nei pozzi. Poi quando troviamo del piombo nellacqua, improvvisamente
qualche intelligente si sorprende, poi nellarticolo dei giornalini quotidiani
si legge: I tecnici dicono che il quantitativo di fondo, dovuto alle rocce
di queste montagne. Peccato che per loro tutte le montagne siano uguali,
mentre geologicamente sono diversissime.
Un articolo del Giornale di Vicenza di 10 anni fa riportava che un abitante
pedemontano, ogni anno doveva con la sessola (paletta a sezione
tondeggiante per farine) fare il giro delle grondaie di casa, per raccogliere
alcuni kg di pallini di piombo che centinaia di sparatori rilasciavano
nellambiente. La foto dimostrava la veridicit della denuncia. Questo
piombo entra direttamente nelle falde profonde.
Una direttiva dellUnione Europea nel prossimo anno vieter luso di
pallini di piombo, mentre da vari anni molti paesi europei si sono gi
adeguati alluso del ferro. Noi sempre come il terzo mondo. Anzi si pu ben
dire che mentre i Cacciatori Raccoglitori Sapiens e neolitici, usavano la caccia
per vivere, oggi si sfogano per i loro problemi psicosociali; peccato per che
tirino sempre dentro nelle loro angosce esistenziali anche altri abitanti di
questo pianeta inquinato.

Riferimenti:
[1] Michele Favaron http://www.vittimedellacaccia.org
[2] http://www.vittimedellacaccia.org/component/content/article/42-dossier/3036-i-
dossiers-vittime-della-caccia-i-dati.html
[3] http://www.vittimedellacaccia.org/ultimissime/3150-csvittime-caccia-84-persone-fucilate-
a-veneto-e-lombardia-la-maglia-nera.html
[4] http://www.ambientediritto.it/Dossier/2002/Caccia_Lavoro.htm
[5] http://www.carloconsiglio.it/divietodicaccia.htm
[6] http://www.faunalibera.it/approfondimenti/caccia_uccide_uomini.pdf
[7] art. 7, comma 5 3-bis e 3-ter Legge 28/12/2015 n 221, G.U. 18/01/2016 Collegato
ambientale alla Legge di Stabilit 2016: le nuove norme sulla green economy http://www.
altalex.com/documents/news/2016/01/07/collegato-ambientale-approvato-dalla-camera
Addio a Dante Caneva, 153
il pi vecchio
dei Piccoli Maestri
ROBERTO PELLIZZARO

N ellultimo numero di Quaderni Vicentini (3/2016) ter-


minavo il mio articolo (p.190) sul giovane partigiano Pino Thiella
annunciando la recente scomparsa di Disma Martin, che era stato
come Thiella al fianco di Toni Giuriolo e dei Piccoli Maestri a Malga
Fossetta. Concludevo larticolo cos: ora rimangono in vita Dante Cane-
va e Renzo Ghiotto. Il 10 ottobre anche Dante Caneva, il pi vecchio
dei Piccoli Maestri, se ne andato allet di 95 anni, essendo nato il
29 maggio del 1921. Era da anni malato e negli ultimi tempi la sua era
divenuta una non-vita. Vicentino purosangue, quinto di sei fratelli,
tre maschi e tre femmine, proveniva da famiglia modesta: mamma
casalinga, pap capo tecnico nelle FF.SS. Diplomatosi al Rossi come
perito costruttore aeronautico, fu subito assunto alla Savoia-Marchetti
di Sesto Calende. Chiamato al servizio militare, ricopr il ruolo di
sergente degli Alpini e fu mandato in zona operativa ad Aidussina in
Slovenia.
L8 settembre 1943 lo colse attivo a Sesto Calende ad occuparsi di
aereoplani. Dante non ci pens un momento: insofferente al fascismo
fin da giovanissimo, si dette alla macchia e nel maggio del 1944 fece la
scelta partigiana di cui andr orgoglioso per sempre: accompagnato
dalla staffetta Maria Setti, la Marta dei Piccoli Maestri, si aggreg
in Altipiano a Toni Giuriolo e al suo gruppo di studenti.
Dopo i micidiali rastrellamenti del 5 e 10 giugno in cui persero la vita
6 compagni, il gruppo, guidato ora da Dante (in quanto Giuriolo dopo
il 5 giugno era scomparso per riapparire qualche giorno dopo a Cam-
pogrosso: non si ricongiunger pi ai suoi ragazzi), si stanzi a Bosco
Nero nei pressi di Granezza; a parte Renzo Ghiotto, passato alla Briga-
ta Pino che operava nella zona di Tresch Conca.
Nel pieno dellestate i Piccoli Maestri (meglio, quel che rimaneva dei
Piccoli Maestri), scesero a Torreselle. Qui si uniranno a loro, tra gli al-
tri, Gigi Ghirotti, Severino Severini e Mario Mirri. Dopo Torre-
selle, con lincipienza dellautunno, la bandetta si sposta sui colli Berici
154

per sciogliersi con linverno. Bene Galla vicecomandante della Divisione


Vicenza, Meneghello e Mirri agiscono clandestinamente a Padova;
Mirri verr arrestato e torturato. Dante con Enrico Melen e Marion
Sommacal vivr nascondendosi nelle cantine della citt mantenendo i
contatti con la Resistenza.
Dopo la guerra accadde un fatto curioso a confermare quanto i Piccoli
Maestri fossero legati. Dante convinse Meneghello, Spanevello, Galla, Me-
len a unirsi a lui nel fondare la For Ever, una piccola azienda meccanica
con sede a Montecchio Maggiore, che doveva collaborare con la vicina
prestigiosa Pellizzari di Arzignano, industria leader nel campo dei motori
elettrici. Lesperienza dur poco. Nel 1948 Dante fonda la Danteca-Neva,
azienda specializzata nelle forniture galvaniche per il trattamento dei me-
talli preziosi. Scelta lungimirante, in una Vicenza in cui stava esplodendo
il boom delle imprese orafe ed affini. In particolare il fiore allocchiello
di Dante era la collaborazione con la Luxottica di Agordo: del patron
Leonardo Del Vecchio divent amico.
Oggi dei Piccoli Maestri rimangono Renzo Ghiotto - 11 novembre 1924
- e Mario Mirri - 1 gennaio 1925 - (che, ri-sottolineo, non partecip alle
vicende altipianesi). Gli eventi partigiani segnarono moltissimo la vita di
Dante Caneva. Il prossimo numero di QV sar motivo per tornarci sopra.
STORIA DI BOSO, 155
ILLUMINATO, MARCHESE
FILANTROPO,
LULTIMO DEI ROI
Vita, morte, miracoli dellultimo esponente di una classe
elitaria di successo tipicamente vicentina e che nel XXI
secolo pu dirsi decisamente estinta. Una vita costellata
di opere, iniziative e, in fondo, molti successi.
Ma anche di qualche inevitabile delusione

CARMELO CONTI

S e per prima la citt di Vicenza, se comuni come Bassano, Mon-


tegalda, Tonezza del Cimone, Isola Vicentina, Cavazzale, solo per citarne al-
cuni, piansero la morte del nobile Giuseppe Roi, lo stesso ha fatto la Valsolda
il 4 giugno del 2009 alla notizia delle sua scomparsa. Da quando Teresa,
detta Gina, primogenita dello scrittore Antonio Fogazzaro spos Giuseppe,
il capostipite della famiglia Roi del Novecento, anche i marchesi vicentini
presero a frequentare la villa di Ceresio, uno degli angoli pi suggestivi
di Oria sul lago di Lugano. Buon ultimo, un trasporto tutto particolare per
quei luoghi lo aveva dimostrato anche
Giuseppe, nipote di quellAntonio Roi
che nel corso del 1946, donando una co-
spicua somma di denaro, aveva permesso
lampliamento dellospedale locale, per
decenni prezioso presidio del territorio.
Del resto, in quel comune gi lasilo era
stato sostenuto per svariati decenni dai
marchesi Roi: saldavano non solo le
spese delle manutenzioni ordinaria e
straordinaria, ma coprivano anche quelle
della gestione quotidiana. Per molte altre
elargizioni effettuate anche dallultimo
dei Roi, Giuseppe, il sindaco Alberto De
Un mecenate daltri tempi
156
Una vita intensa, ricca di assilli, presenze, idee, organizzazioni,
presidenze, lasciti. A leggere le tappe fondanti della ricca vita (ricca
in tutti i sensi) del marchese Giuseppe Roi da Vicenza, detto
Boso (scomparso nel 2009 allet di 85 anni), si resta storditi per
la continuit, la perseveranza e, non si pu negare, lambizione
dimostrate sempre e ovunque, con una pervicacia degna davvero
della miglior causa.
Ha goduto indubbiamente di un vantaggio il marchese Giuseppe
Roi, detto Boso: la ricchezza inesauribile, quasi impossibile da
inventariare, che la sua famiglia secolare di imprenditori della
canapa gli ha lasciato.
Le sue iniziative sono state intelligenti e proficue. stato generoso
e provvidenziale verso la comunit vicentina. Ma lesponente
classico di un mondo che non c pi e che appartiene solo alla storia.
Gli incidenti di percorso? Ci sono stati. Dalla chiusura obbligata (e
pesante per chi la subiva) dello storico canapificio di Cavazzale alle
vicende della recente Fondazione che porta il suo nome, fondata
nel 1988, e affidata in toto alla Banca Popolare e soprattutto al
suo presidente Gianni Zonin, verso il quale il marchese ebbe una
considerazione di fatto eccessiva.
Per valutare quanto fosse rilevante il patrimonio Roi baster pensare
che solo alla Fondazione, a parte i titoli e beni immobili, Boso Roi
lasci una liquidit di 18 milioni di euro.
Il titolo di marchese, con trasmissione primogeniale mascolina, fu
concesso al nonno di Boso, anche lui di nome Giuseppe, da papa
Leone XIII il 6 marzo 1901. Il titolo fu autorizzato nel Regno con
D.R. 24 dicembre 1925 e riconosciuto con D.P. 3 ottobre 1927 per la
successione al figlio Giuseppe (padre di Boso).

Maria ricordava che lamministrazione da oltre un anno aveva gi predispo-


sto di assegnargli la cittadinanza onoraria: solo a causa della sua salute quel
conferimento non era stato celebrato. Dopo il gemellaggio con il comune
vicentino di Montegalda, dove c la prima residenza amata dal Fogazzaro
e successivamente dai Roi, quellatto avrebbe costituito il segno tangibile
di una riconoscenza e di una amicizia fra comunit di stampo culturale.

In contr San Marco, nel palazzo del XVI secolo


che fu dei Thiene

Lultimo dei marchesi Roi, Giuseppe, soprannominato Boso. Il professor


Remo Schiavo, nel 2011, a due anni dalla sua scomparsa, scrisse: Alla fine
157

Ledificio oggi sede della Fondazione Roi



Villa - Roi - Fogazzaro Colbachini, Montegalda (Vicenza)
Progetto di riforma della villa (1846) dell'architetto Antonio Caregaro Negrin.


1910, FORNI DI TONEZZA DEL CIMONE(m.1030), Colonia Alpina Umberto I.
La sede estiva della Colonia Alpina Umberto I nei primi anni di funzionamento, tutta
dipinta a righe verticali rosse e bianche. Era presieduta dal senatore Co. Guardino Colleoni e
ospitava fanciulli poveri del comune di Vicenza per cura climatica.
La colonia sar ampliata negli anni trenta dal presidente march. Gino Giuseppe Roi.
degli anni cinquanta, quando lo vidi per la prima volta, il marchese dottor
Giuseppe Roi era un mito e lo sarebbe stato per oltre mezzo secolo. Spon-

158
taneo e naturale chiedersi: Perch tanta riconoscenza e tanta riverenza?
Il marchese, figlio secondogenito di Giuseppe Gino ed Antonia Lonigo di
San Martino, nasce l11 febbraio 1924 in contr San Marco nel palazzo
del XVI secolo gi dei Thiene (civ. 35 e 37), dallarchitettura ben lontana
dallo stile palladiano e decisamente lombarda nellimpostazione dei fori di
facciata, delle decorazioni e delle coloriture di fondo. Ledificio era attiguo
alla chiesa di S. Marco, una delle sette cappelle di citt, consacrata nel 1119
e demolita nel 1814 in quanto, prossima al fiume Bacchiglione e soggetta a
frequenti allagamenti, era diventata inagibile e inadatta sia alle celebrazio-
ni quotidiane sia a quelle solenni che la citt effettuava qui per celebrare
levangelista Marco patrono della Serenissima Repubblica Veneta.
Mentre la parrocchia veniva trasferita nellattuale chiesa di San Girolamo
degli Scalzi, edificata dai Carmelitani su precedente chiesa dei Gesuiti, la vec-
chia chiesa di S. Marco veniva venduta per 2.670 lire e, una volta acquistata,
subito abbattuta: altari e statue vennero ceduti ad altre chiese, mentre una
consistente parte del materiale lapideo and riutilizzata nella costruzione
di un edificio di fronte. Il sedime liberato fu acquistato dalle contesse Ot-
tavia e Valeria Scroffa, perch non venisse adoperato ad uso profano; lo
tengono fino al 1839, quindi per testamento Ottavia lo lascia, assieme alla
casa, ai Padri Filippini; infine questi nel 1866 vendono immobile e terreno a
Giuseppe Roi, che trasforma il tutto in giardino e boschetto a godimento
del suo palazzo. Lattigua piazzetta San Marco, un tempo camposanto della
cappella, oggi area di parcheggio.

Un santo protettore di vaglia per un giovane imprenditore

Un dettaglio di non poco conto rende importante il palazzo e certo orgogliosa


la casata Roi che lo abita: nella facciata principale, dal portale dingresso
riquadrato e modestamente modanato, scandita da forature regolari ad arco
alternate a campiture decorate a rilievo, tra due finestrature del primo piano
campeggia una targa, voluta nel 1800, per ricordare un grande vicentino,
lapostolo della carit San Gaetano di Thiene. Secondo alcuni storici era
nato (ottobre del 1480) in una casa presso il Ponte Furo, secondo altri, forse
con interessi mirati, invece sarebbe nato a Ponte Pusterla in contr S.
Marco proprio nella casa che fu dei marchesi Roi ed ancora oggi sede della
Fondazione omonima. Sta scritto: Nel secolo XV Gaetano Thiene grande
uomo e grande Santo nacque fra queste mura. Osanna in cielo e in terra.
Ma vero che Gaetano Thiene nacque l?
Assistito anche da tanta santa protezione, il nostro marchesino si prepara
alla vita di giovane imprenditore la famiglia ha una secolare tradizione
imprenditoriale tessile, partita con un mitico canapificio prendendo
lindirizzo umanistico, passaggio obbligato dei figli della classe dirigente, e
frequenta il liceo classico Pigafetta. Non dovendo poi anticipare lingresso
nelle aziende di famiglia, come era toccato agli zii Giuseppe e Gaetano,
figli del fondatore della ditta, non avr difficolt a laurearsi in giurisprudenza

159
alluniversit di Ferrara, la pi frequentata tra le libere universit italiane.

Il marchesino viaggia, impara, conosce antiquari,


diventa collezionista darte

Prima gli studi e poi le frequentazioni alte vissute in famiglia, i viaggi in
Italia e nelle diverse citt europee che gli era consentito di fare assieme al
padre e allo zio, le permanenze a Roma (qui nel periodo 1918 - 19 il padre
Giuseppe, senatore del regno, aveva acquistato un lotto di terreno in zona
Prati e fatto costruire un palazzo che usava come sede di rappresentanza),
a Milano e in varie citt straniere, alla fine lo formarono pi come attento
conoscitore delle diverse culture e forme darte che come imprenditore
tessile, conoscitore di macchine e macchinari, di materie prime e prodotti
finiti, di orari di lavoro e di paghe.
Divenne piuttosto assiduo ed accorto cliente degli antiquari e collezionista
appassionato di preziosit e curiosit varie, opere che poi passava a conser-
vare in modo religioso nelle sue tante dimore.
Entrando in rapporto con le persone si manifestava subito quale uomo
che prediligeva i contegni semplici ma garbati. Dava e pretendeva rispetto,
franchezza, precisione e puntualit; esercitava una cultura aperta alle pi
svariate manifestazioni, inquadrava il suo agire con poche regole, certo
non consuete, come bene sottoline Giorgio Sala che da sindaco ebbe
parecchie occasioni - ufficiali e non - di incontrarlo: non voler apparire
mai in prima persona; non voler mai godere in via personale privilegi di
alcun genere; voleva poter vivere da uomo comune, aperto verso il sociale
e disposto a condividere le diverse condizioni di vita. Secondo lo stile dei
suoi avi, aveva uno spiccato spirito di accoglienza.
Nella lunga e certo faticosa partecipazione alle vicende affrontate dalla citt
nel secondo dopoguerra, dagli uomini e dai patrimoni architettonici ed ar-
tistici, non pens mai di sottrarsi ai compiti maturati dagli eventi, bens di
accettarli, analizzarli e risolverli. Affrontava le situazioni in un solo modo:
cercando sempre di rendere partecipe nelle sue azioni di natura sociale e
culturale - involontariamente anche politica - che si andavano maturando,
il maggior numero possibile di cittadini.
Forte della preparazione acquisita e dei fondi finanziari di cui poteva disporre
in veste di ultimo erede dei marchesi Roi, pu concludere che i dominii
gestiti dal bisnonno marchese Giuseppe furono veramente numerosi e tutti
ugualmente importanti: di certo, la maggior parte non potr apparire in nes-
sun profilo perch mai dichiarati per specifica volont e per la riservatezza
che hanno sempre distinto luomo.
Le soglie dei suoi canapifici e il baldacchino
del nuovo vescovo Carlo Zinato
160 Stando ai documenti pubblici analizzati si pu dedurre che il nostro Boso
(soprannome datogli dal padre) entra nei solchi tracciati dal bisnonno e dal
nonno e poi tenuti aperti e produttivi dallo zio e dal padre, quindi varca le
soglie dei suoi canapifici e delle sue propriet, in veste di erede diretto, a
valere dagli anni 40 del secolo scorso. Ma di questi passaggi la cronaca cit-
tadina ha parlato sempre poco mentre ha preso buona nota dei suoi diffusi
e provvidenziali apporti alle varie forme di associazionismo cittadino.
Siamo all8 settembre 1943: secondo i ricordi di Walter Stefani Vicenza
vive quella giornata in modo anomalo. Il Giornale di Vicenza, diretto da
Antonio Barolini, si ferma sulle curiosit come: Le nere divise (quelle dei
fascisti, sintende) potrebbero fornire panni per i sinistrati, Lapertura
della fiera in Campo Marzo con la novit dellautocircuito, Nobilt della
polenta, un piatto da Re!. A sua volta Neri Pozza scriveva allo scrittore
vicentino, e direttore, Antonio Barolini suggerendo di effettuare la protezione
delle opere darte con lo stendere lenzuola bianche e segni immensi sulla
Basilica, Loggia del Capitanio, Teatro Olimpico, che coprano il tetto dei fab-
bricati in modo da segnalarli e proteggerli da eventuali incursioni aeree.
In effetti, cera da riferire su due fatti importanti: larresto di numerosi gerar-
chi, tra questi Arturo Novello, ex direttore di Vedetta Fascista, poi larrivo
in citt e linsediamento del nuovo vescovo, mons. Carlo Zinato. I cittadini
lo accolgono per le strade con acclamazioni mentre nella chiesa dei Servi
ricevuto dal podest Angelo Lampertico. Quando viene accompagnato
in Duomo per il Te Deum, percorrendo il corso Principe Umberto, piazza
del Castello e contr Vescovado, a sorreggere le aste del fastoso baldacchino
vescovile sono schierati sei baldi giovani: il nobile Uberto Breganze, il
marchese Giuseppe Roi, i conti Antonio Piovene e Angelo Valma-
rana, Leonardo Pagello e il dott. Giorgio Pototschnig. Evidentemente
la citt e le autorit conoscono e stimano quei giovani se li vogliono vedere
al fianco del neo nominato Vescovo.

Con Neri Pozza Boso era stato arrestato


per collaborazionismo anti fascista
Non si parla invece del fatto che nel complesso conventuale di San Nicola,
occupato dallarma dei Carabinieri come caserma e prigione cittadina, sem-
pre nel 43, assieme ad altri contestatori vennero rinchiusi anche Neri Pozza
e Giuseppe Boso Roi, arrestati per presunto collaborazionismo sentenziato
dal Tribunale Speciale del Fascismo. Pagina di storia da colmare.
Dieci, cento, mille frequentazioni di un uomo solare

La carrellata sul personaggio che riportiamo, mentre riserver ad altra


puntata tutti i risvolti e le connessioni con le vicende dei Canapifici Roi, 161
vuole solo mettere in chiaro la lunga serie di presidenze gestite da un uomo
libero e definito solare, attento ai particolari ed abile decisionista, sempre
spinto dalla voce potere, da lui usata come verbo e mai come sostantivo.
Di certo non si mai seduto dalla parte pi prestigiosa e privilegiata della
scrivania solo per fare comode e facili firme bens per suggerire opportunit,
dare impulsi e assicurare soluzioni.
Partendo dalla sua maturit non aspettavamo altro se non di trovare qualche
notizia sulla giovinezza di Boso ed ecco che i ricordi di Paola Marzotto,
figlia di Marta, tracciano bene sia la figura, sia il quadro di certa vita con-
dotta dai nobili tra gli anni 50 e 60, sia delle loro attivit imprenditoriali,
degli impegni salottieri e dei modi di condurli tra i palazzi di citt, le ville
di campagna e le residenze di montagna.
Ha lasciato scritto dei Marzotto e dei suoi ospiti in villa: Personalmente li
ricordo in quel di Valdagno come un grande clan alla guida di un fanta-
stico paese autonomo, o paese delle meraviglie, che includeva fabbriche,
sistemi agricoli allavanguardia, case, asili, scuole, ospedali e se non erro
perfino un sistema monetario interno, grazie al quale gli 11.000 impiegati
spendevano in loco i loro soldi facendoli cos riciclare nella stessa azienda.
( ) Ma a Valdagno cerano molte curiose esperienze che si fissarono nella
mia memoria. Alcune interessanti, come la visita alle novit agricole ed
alla vaccheria dove centinaia di mucche venivano munte al ritmo di val-
zer, musica che usciva da grandi altoparlanti. Dicevano che alle mucche
piaceva e davano meglio il latte. Altre erano sciocchine, come labitudine
di mandare noi ragazze a fare la siesta pomeridiana dopo il pranzo ed
eravamo costrette a stenderci su una spianata di materassi stesi in terra al
primo piano. ( ) Detestavo quella costrizione e con me allora cera anche
Giovannella Emo Capodilista (Padova, 1928-1979) pi anziana di me,
ma spesso sdraiata accanto a me, la quale smaniava per raggiungere i
ragazzi tra i quali luomo che la faceva sospirare e si chiamava Boso Roi,
un gran bel ragazzo, che nel tempo diventato un mecenate dellarte sia a
Vicenza che a Milano. In effetti tutto somigliava alle prime scene del film
Via col vento e non sono certa che i Marzotto non si siano addirittura
ispirati al film per organizzare ugualmente i loro ricevimenti diurni. (in
Olgopinions Friday, 9 November 2012 - Via col vento).
Giuseppe Boso alla fine degli anni 50, da giovane nobile e ben dotato qual
, ha modi e tempi per essere socio e frequentatore dei circoli pi prestigiosi
dItalia, si tratta di punti dincontro privilegiati dove fare sport e politica,
vivere in amicizia e mondanit. certo che a Roma ha frequentato in riva al
Tevere gli storici circoli canottieri, il Reale Circolo Canottieri Tevere Remo
o la Canottieri Aniene, circolo men only. Qui i giovani virgulti nobili e alto
borghesi misuravano le proprie capacit pensando di mettersi a ricostruire
lItalia. A Milano ha frequentato il club Bonacossa, sede e impianti fiore
allocchiello della citt bene, progettati dallarch. Giovanni Muzio e costru-
iti nel 1923 dal conte Bonacossa. Tra i frequentatori avr certo incontrato

162
il barone Uberto de Morpurgo, il marchese Gilberto Porro Lambertenghi e
il conte Alberto Bonacossa. A Torino, ospite degli Agnelli, nella tenuta
La Mandria poteva incontrare imprenditori e professionisti che, con idee
innovatrici, si apprestavano a programmare il rilancio delle citt. Quando
rientrava a Vicenza le figure di riferimento e confronto che poteva incon-
trare, in villa, erano sempre i fratelli Marzotto, i Valmarana, i Rossi.
Negli anni 60 il marchese, indole particolarmente insoddisfatta, cerca nuovi
orizzonti fino a desiderare la conoscenza delle civilt pi lontane, quelle eso-
tiche. Per questo affronta viaggi importanti: nel 1962 va in Egitto, nel 1966
visita la Libia; nel 67 e nel 72 in Russia e a Mosca; si porta in Afghanistan
nel 68. Visita prima Hong Kong e poi Cancn nel 1985.
Ovviamente ogni viaggio sar contrassegnato dallacquisto di opere
darte che andranno ora nel suo arredamento personale ora in apprezzati
regali. Oltre a questo, fin da ventenne aveva preso a frequentare le pi im-
portanti gallerie darte, quelle italiane: dalla Galleria dellObelisco di Roma
al Naviglio di Milano, al Cavallino di Venezia e quelle straniere: francesi,
svizzere ed inglesi. In alcuni casi non manc di acquistare direttamente alla
Biennale di Venezia.

Quando labito faceva il monaco e il sarto era di casa


Il matrimonio della sorella con Federico Ceschi a Santacroce

Il marchese Roi era solito marcare la sua nobilt legandola anche alla
unicit degli abiti, che per indossava senza ostentazione, con lo stile di chi
ama assecondare i propri gusti e scegliere quello che li valorizza fino in fondo.
Dal canto suo il signor Federico Ceschi a Santa Croce gestisce a Milano
una sartoria per gentlemen con la presunzione che La vera eleganza non
si vede, ma si sa che c, per cui nel secolo scorso e fino agli anni 60, in-
dossare un completo firmato N.H Sartoria, dove le lettere N e H stanno per
Nobil Homo, significava prediligere uno stile; perseguire lunicit dellabito
confezionato a mano e su misura significava voler dare completezza alla
vera nobilt. Chi poi per i propri abiti si adoperava nella ricerca di tessuti
pregiati o di dettagli, anche nascosti, esaltava se stesso, assecondava la
propria personalit e i modi di pensare e di agire.
Bene, agevolato dal fatto di avere un tale sarto proprio in famiglia, infatti
era consanguineo di Leonida Leopoldo conte Ceschi a Santa Croce
(Haasberg, 1918 - Vicenza, 2010) che nel 1950 a Montegalda aveva sposato
la marchesa Maria Teresa (Mimina) Roi sorella di Boso, di certo il
nostro marchese, andando a Milano, non tralasci di frequentare tale sar-
toria. Avviene cos che il sarto asseconda il marchese e questi viene subito
definito il dandy vicentino. Per molti anni sar pure indicato tra gli uomini
pi eleganti dItalia. La convinzione che Leleganza non farsi vedere ma
farsi ricordare, dettata in tempi recenti dallo stilista Armani, lui laveva
gi fatta sua e con risultati sorprendenti e indiscutibili.

Amalia ed Eugenio di Baviera, Barbara Hutton,


163
la regina madre di Inghilterra, Margaret e lord Snowdon

Sarebbe impossibile narrare tutte le pi importanti frequentazioni avute dal
marchese Giuseppe Roi nel corso della sua vita, anche se abbiamo alcune
immagini (come le fotografie esposte nelle sale a lui dedicate nel museo di
palazzo Chiericati) che lo fissano in atteggiamenti amichevoli ora con
Amalia ed Eugenio di Baviera, ora con lereditiera Barbara Hutton, con la
regina madre dInghilterra, con sportivi come il calciatore Pel ed altre con
ambasciatori, politici, industriali ed amministratori vari.
accanto alla principessa Margaret dInghilterra e lord Snowdon ospitati
tra l1 e il 5 settembre 1964 nella villa di Montegalda; mentre nel caratteri-
stico divanetto del suo salotto sedettero ospiti famosi come Carla Fracci,
Grard Philippe, Giovanni Spadolini e Somerset Maugham.
Un momento, per, della sua vita ci sembra essere particolarmente importan-
te rispetto a tanti altri, e quindi doveroso riportarlo: ci riferiamo allincontro
del marchese Roi con la regina Elisabetta II dInghilterra.

1984, H.M.Y. (Her Majestys Yacht) Britannia,


il panfilo della corona dInghilterra

Parliamo di un palazzo reale galleggiante, realizzato ed arredato


secondo i gusti personali dei reali dInghilterra, dove a bordo si contavano
trecento persone tra personale di servizio e membri dellequipaggio. Una
nave il cui salone dei ricevimenti conteneva almeno duecento persone e la
sala da pranzo era famosa soprattutto per il cerimoniale particolarmente
rigido adottato nellallestirla: solo la preparazione dei tavoli richiedeva al-
meno tre ore, e per determinare la distanza tra le diverse posate, che doveva
essere la stessa, si utilizzava un righello.
Complicazione questa normalmente adottata anche in casa dei marchesi
Roi. Ebbene, nei giornali regionali del 26 ottobre 1984 spicca una notizia:
( ) Proveniente da Ancona e dopo un assenza di 25 anni, la regina
madre dInghilterra, sua maest Queen Elizabeth, torna a Venezia, vuole
visitare alcuni monumenti della citt ed inaugurare, insieme al presidente
del Senato Francesco Cossiga, loratorio dei Crociferi da poco restaurato
in forza di finanziamenti concessi da numerosi comitati stranieri fra cui
l inglese Venice in Peril Fund di cui la stessa regina presidente. L
arrivo della regina madre, ( ) ha fatto salire in citt uninsolita febbre
e ha scatenato una caccia frenetica ai biglietti d invito. Non solo per le
manifestazioni culturali, ( ) ma anche per l esclusivo party di sabato
sera a bordo del Britannia ancorato alla riva dei Sette Martiri.
Quel giorno e quella sera tra gli italiani che salirono a bordo del panfilo reale
cera anche il marchese Giuseppe Roi, espressamente invitato come cultore

164
darte e protettore dei beni culturali, anchegli partecipe alle operazioni di
quellimportante recupero architettonico in particolare e alle lotte per la
salvaguardia di Venezia in generale.

Il dopoguerra vicentino di Boso Roi:


associazionismo (cattolico) e proselitismo di palazzo
Il marchese Boso era ben consapevole che anche la sua Vicenza era chia-
mata ad affrontare un dopoguerra carico di problemi: quello della ricostru-
zione prima e quello della crescita dopo, problemi che andavano risolti con
urgenza e decisione! Ma avverte pure che la citt non dispone di squadre
di uomini preparati ad agire nei diversi campi e nei modi pi appropriati.
Agevolato certo dallesperienza dellassociazionismo cattolico sempre vivo
in citt, gli viene particolarmente facile agire esercitando azioni di convin-
cimento e di proselitismo.
Inizia dai campi che lui coltiva con particolare predisposizione, e sono:
larchitettura, la scultura, la pittura, la musica, il teatro, la danza, il colle-
zionismo di varia natura. Si adopera nellaggregare i nobili pari suo dando
ricevimenti ora nel palazzo di contr San Marco, ora in villa a Monte-
galda, o nel palazzo di Roma e nella residenza sul lago di Lugano!
E non sappiamo poi in quante altre localit. Tra una danza ed un calice di
buon vino si adoperer nel presentare le sue idee e le sue proposte di crescita
in favore della citt, quindi a raccogliere sostenitori.
Dopo gli amici passer ad incontrare, nelle sedi pi opportune, sempre con
chiarezza di idee, convinzione ed entusiasmo, i conoscenti, le organizzazioni
e le associazioni di cittadini di buona volont e dove le associazioni non ci
sono ancora, lui, decisionista, le fonder, le diriger e, quando necessario,
le finanzier.
Poich dicevano di lui: che quello che toccava diventava oro risulta
interessante seguire allora, in ordine di tempo, dove ha agito con successo,
quando ha ottenuto risultati sorprendenti; dove firmava come presidente,
certo solo dopo aver pensato e programmato, quindi deciso, come concitta-
dino di una citt, la direzione che avrebbe dovuto prendere una comunit,
in cammino.

La Societ del Quartetto (presidenza 1953-1960)


Lapertura alla musica delle chiese di Vicenza

Alcune premesse significative: il fondatore dellassociazione, nel 1910, fu


Antonio Fogazzaro, bisnonno di Boso Roi; a sua volta il nonno, on.
Giuseppe, ne fu presidente fino agli inizi della Grande Guerra; infine lo zio
Antonio, fra gli anni Venti e Trenta, fece parte di quel Consiglio direttivo.
Risulta scontato, allora, che quando nel 1953 gli fu chiesto di assumere la

165
guida della societ il giovane Boso, neppure trentenne, non si sia rifiuta-
to, dal momento che, fra le passioni culturali da lui coltivate, quella per la
musica era la pi sentita.
Tale presenza, condotta come presidente fino alla stagione 1959-60 e pro-
trattasi fino al 1970 come consigliere, costitu il periodo pi importante
dellassociazione, malgrado le difficolt vissute dalla citt nellallestire
concerti, dal momento che il conflitto mondiale aveva distrutto i pochi spazi
teatrali esistenti.
Alla sua direzione resta legata la chiamata in citt di molte delle star
internazionali del momento: Kempff, Grumiaux, Clara Haskil, Isaac
Stern, Geza Anda, Friedrich Gulda, Milstein, Rubinstein, Pierre
Fournier, Szeryng. Con il passare degli anni e delle esigenze seppe trasfe-
rire in modo coerente listituzione dalle presidenze culturali (come quella
del fondatore), o nobili (come la sua) fino alle presidenze imprenditoriali
degli ultimi anni: quella dei Trivellato, Caoduro e Pigato. Promosse
pure la fusione della gloriosa associazione con la pi giovane Amici della
Musica e questo aiut a mantenere vicino alla cultura musicale cittadina
un Boso Roi sempre deciso.
Filippo Lovato ricordando i cento anni della Societ del Quartetto scrive:
( ) E forse neanche Antonio Fogazzaro, Filippo Sacchi e tutti quelli
che fondarono la Societ del Quartetto di Vicenza avrebbero scommesso
che una piccola associazione musicale di una citt di provincia avrebbe
festeggiato un secolo di vita.( ) E anche se sono scoppiate due guerre
mondiali e due bombe atomiche, ( ), gli amanti della musica classica
hanno continuato a rinnovare labbonamento e ad assistere ai concerti,
lo Stato e i privati a offrire contributi.
A sua volta Cesare Galla, rifacendo la storia del sodalizio, puntualizza: Gli
anni Cinquanta videro una crescita molto rapida dellattivit del Quar-
tetto, presieduto prima da Angelo Lampertico e poi, a partire dalla met
del decennio, dal nemmeno trentenne Giuseppe Roi, che avrebbe guidato
il sodalizio fino ai primi anni 60, partecipando poi alla sua vita (come
consigliere) fino al 70.
Nellanno 1935 per celebrare il venticinquennale la Societ del Quartetto
ospit uno dei pianisti sacri del XX secolo, Wilhelm Backhaus, allapice
della carriera. Per il cinquantenario, nel 1960, il presidente Boso Roi invit
il Quartetto di Budapest, mito della musica da camera, mai prima (n
dopo) a Vicenza. Per festeggiare i cento anni del Quartetto si volle un concerto
insieme simbolico e beneaugurante, legato alla tradizione ma pure rivolto al
futuro: la riproposizione dello storico concerto del 20 gennaio 1910.
Unaltra conquista musicaledel marchese Roi: convinto dei valori di bel-
lezza e di utilit resi possibili utilizzando i patrimoni costituiti dalle chiese
cittadine, nel 1957 affronta il raffinato vescovo Carlo Zinato per chiedere
il nullaosta a tenere il primo concerto nella basilica dei santi Felice e For-
tunato: doveva risuonare musica dedicata a Lorenzo Pergolesi diretta
dallascetico mons. Giuseppe Biella. Dopo un garbato ma fermo braccio
di ferro Boso riusc a convincere il prelato, che partecip pure come ospite

166
donore e nei preamboli di presentazione, con rispetto, lo chiam Signor
Marchese.
Grazie a quella breccia, ormai da decenni si danno concerti nelle chiese
e nelle basiliche della citt; da allora, con successi crescenti, quelli offerti
alla citt dalla Societ del Quartetto e Amici della Musica sono stati ben 71.
Come ci ricordava ancora Giorgio Sala: In citt, erano registrati e resi
indimenticabili i dopo-teatro gestiti dal Marchese in occasione delle prime
degli spettacoli classici allOlimpico e pure al teatro Canneti: quando le
automobili accostavano ai portoni prelevavano i maestri e gli attori e li
portavano in villa a Montegalda. Attorno la gente: cera chi applaudiva
ma anche chi fischiava, chiss perch!
Ma, a parte la nobile sensibilit, qualche visibile perch cera senzaltro.

Lannoso, complicato dibattito sulla Basilica.


1949, Amici dei Monumenti, dei Musei, del Paesaggio

Alla fine del conflitto mondiale, dal 1945 in avanti, gli edifici che formavano
le quinte della citt presentavano danni ingenti e le strade principali erano
segnate dalle buche delle bombe e dei cingoli dei carri armati. Nella piazza
grande lo spazio, gi mutilato negli anni 30 dalle demolizioni delle case Ore-
fice a lato della loggia Bernarda, risultava inesorabilmente colpito anche sul
lato est dove, al posto del palazzo dei Tribunali, cerano cumuli di macerie.
Nel marzo del 1948 sulle pagine del Il Giornale di Vicenza il professor
Renato Cevese lancia la proposta di portare il loggiato della Basilica
palladiana alla condizione descritta nei Quattro Libri1, dove limpianto
rappresentato su un piedestallo di tre gradini. In effetti il Palazzo era rialzato
di un solo gradone.
Da quel momento per Vicenza i tre gradini della Basilica diverranno un
problema non facilmente risolvibile e largomento coinvolger lo stesso
Consiglio Comunale (seduta del 25 ottobre 1948). Mentre la proposta di
mettere il monumento nelle condizioni ideate da Palladio viene messa in
discussione dai risultati di alcuni sondaggi, largomento susciter interes-
samenti nazionali: a favore dello stilobate2 saranno gli studiosi di Palladio
e gli organi di tutela (Soprintendenza, Direzione Generale delle Antichit e
Belle Arti e Commissione dOrnato); contraria per lo pi la gente capeggiata
dal sindaco, il notaio Giuseppe Zampieri, e dallo storico e studioso del
Palladio G. Zorzi. Anche alla posizione di Mariano Rumor poco pre-
parato nel campo dellarchitettura che addirittura proponeva di portare a
cinque il numero dei gradini per dare pi maest al monumento, si oppone

1 I Quattro libri dellArchitettura sono un trattato in quattro tomi pubblicato nel 1570 dallarchi-
tetto Andrea Palladio (1508-1580). Il trattato ispir lo stile detto palladianesimo.
2
Nellarchitettura greca, i blocchi che costituiscono il basamento delle colonne; estens., tutta
la gradinata dei templi.
in maniera esplicita il sindaco. Dopo mesi di trattative e due sedute (il 31
gennaio e il 12 febbraio 1949) il Consiglio Comunale con un solo voto di

167
differenza deliber il mantenimento dello status quo.
Ma oltre alla pavimentazione, era in gioco la completa riconfigurazione della
Piazza dei Signori e larea relativa al distrutto Palazzo dei Tribunali, per la cui
ricostruzione i Ministeri delle Opere Pubbliche e dellIstruzione e lo stesso
Comune avevano avanzato la proposta di indire un concorso. In particolare
il sindaco, per accelerare i lavori e per motivi di sicurezza pubblica, aveva
fatto demolire le poche parti della fabbrica non collassate. Ancora una volta
fu il Soprintendente Forlati ad assumere la posizione contraria per la
riconfigurazione della piazza; si pose in sintonia con quanto affermato da
De Angelis dOssat e dallo stesso Pane: cos neg la possibilit di avviare
nel cuore della citt nuove avventure edilizie.
La riconfigurazione da dare al centro della citt senzaltro uno degli argo-
menti che la gente vorrebbe dibattere assieme ai nuovi strumenti urbanistici
e sociali. Le richieste che gli uomini di cultura pongono ai personaggi politici
che vanno a gestire la rinascita sono chiare: Quali valori monumentali de-
vono continuare a contraddistingue Vicenza e la piazza dei Signori? Quale
relazione dovrebbe esserci tra tale spazio e ledificio dominante, il Palazzo
della Ragione? Come affrontare la realizzazione di un moderno selciato di
piazza? Quale ricostruzione effettuare del palazzo dei Tribunali?
Possiamo dire che i tutori di questi impegni, i veri protagonisti furono prin-
cipalmente due: il prof. Renato Cevese ed il marchese Giuseppe Roi.
Entrambi affrontano e vivono le problematiche della ricostruzione e della
rifondazione della citt schierandosi in prima linea, affiancando e spesso
sostituendosi ai soprintendenti delle Belle Arti in trasferta da Venezia.
Entrambi concentrano i propri interventi sulla tutela di due entit chiave:
prima i patrimoni monumentali e quelli minori di citt e provincia; dopo
le ville venete.
Avvertita per la necessit di affrontare tali problemi avendo al seguito
anche i cittadini, nel 1949 il prof. Renato Cevese e lavv. Antonio Bardella
promuovono la costituzione della Associazione degli Amici dei Monumenti
dei Musei e del Paesaggio per la citt e la provincia di Vicenza e tengono
il primo Consiglio Direttivo l11 giugno 1949. Il primo Presidente sar il
principe don Carlos Gonzaga, il secondo lavv. Bardella, terzo il prof. Cevese
ed il quarto il marchese Giuseppe Roi, che da subito aveva dettato le finalit
e condiviso la necessit di agire.
Nellanno 1948, in occasione del IV centenario dallavvio del cantiere delle
Logge palladiane, Vicenza, grazie a quei signori, aveva gi dato vita ad una
serie di importanti eventi culturali: nel salone del restituito Palazzo della
Ragione era stata allestita la Mostra del Restauro, una prima carrellata su
quanto gi risanato nelle Tre Venezie, mentre nelle stanze del Museo Civico
veniva esposto per la prima volta un nucleo di disegni palladiani conservati
al Royal Institute of British Architects.
A settembre si era svolto il IV Congresso Nazionale di Storia dellArchitettu-
ra, con la partecipazione di molti studiosi di spicco nel panorama culturale
nazionale, dove si avanz la proposta di creare un organismo specifico per la
valorizzazione delle architetture venete, quello che nel volgere di un decennio

168
si concretizzer con il Centro Internazionale di Studi di Architettura
Andrea Palladio (CISA).

Cevese, Roi e le Ville venete

Sulle situazioni di degrado in cui versavano le ville venete e sullimpe-


gnativo processo di ricostruzione, lazione pi decisa risult essere quella
esercitata dallinfaticabile Renato Cevese: curer lui la mostra allestita nel
1952 relativa al patrimonio della provincia vicentina, concentrando latten-
zione generale sulle condizioni in cui esse versavano mediante una nutrita
e scioccante serie di fotografie: antiche dimore totalmente abbandonate o
con ambienti maldestramente usati come depositi di attrezzi e macchine
agricole, lavanderie e stenditoi, spesso pollai, porcilaie e legnaie.
Per Cevese e per lassociazione la riqualificazione di cotanto patrimonio
poteva e doveva costituire occasione di sviluppo dellintero territorio. Il
consenso e la solidariet gli arrivarono calorosi dai rappresentanti della
cultura: Giangiorgio Zorzi, Guido Piovene, Neri Pozza e sempre da Giu-
seppe Roi. Parteciparono pure gli storici dellarte e dellarchitettura, quali
Anthony Blunt, Andr Chastel, Giuseppe Fiocco, Ludwing Heydenreich,
Roberto Pane, Bruno Zevi e Rudolf Wittkower. Non mancano i funzionari
degli organi tutori: Fausto Franco, Ispettore Centrale del Ministero della
Pubblica Istruzione ed i Soprintendenti di Venezia e Verona, Antonino
Rusconi e Piero Gazzola.

1964 / 1965 - 1969, Italia Nostra a Vicenza

Tra gli anni 50 e 60 il marchese Roi, sempre in viaggio per lItalia, quando
soggiorna a Roma non pu non prestare attenzione allo slogan che l ser-
peggiava da tempo: affrettatevi a visitare lItalia, prima che gli italiani
labbiano distrutta . Del resto, condividendo gi il pensiero e le azioni che le
nobildonne veneziane e amiche, Anna Maria Cicogna e Teresa Foscari,
avevano intrapreso a salvaguardia di Venezia e della sua laguna, non fatica
ad orientare meglio i suoi intendimenti avvicinando nella capitale uomini
e studiosi come Zanotti-Bianco, Caracciolo, Bagatti Valsecchi, Pasolini
dallOnda e Bassani, che nel 1955 avevano fondato lassociazione nazionale
Italia Nostra con il fermo presupposto di tutelare il patrimonio storico
romano prima e quello nazionale dopo.
Di certo, nel 1965, se non qualche anno prima, Roi si fa socio e viene subito
eletto in quel Consiglio Direttivo con votazione plebiscitaria (ottenne un
voto meno di Giorgio Bassani che poi venne nominato presidente). Convinto
dellimportanza dellazione intrapresa a Roma, tra il 1964 ed i primi mesi del
65 vuole riproporla anche a Vicenza, per cui assieme al prof. Cevese ed agli
iscritti allassociazione Amici dei Monumenti chiede al direttivo romano di
Italia Nostra di poter fondare la sezione vicentina. Lassenso gli garantito

169
e la delibera del riconoscimento porta la data 18 maggio 1965. Effettuata
la prima elezione, la prima presidenza poteva andare solo al promotore, il
marchese Giuseppe Roi, a cui venne confermata fino al 1969; vice presi-
dente fu nominato Renato Cevese e Remo Schiavo segretario.
Gli atti e le delibere della gestione associativa sono tutti da studiare, ma
significativo il ricordo del professor Remo Schiavo, che inizi a seguire Boso
Roi ora nella sede della associazione (la prima in piazza Duomo presso lEnte
Provinciale del Turismo), ora in villa a Montegalda, ora nel palazzo Roi di
San Marco. Il suo giudizio sulla persona chiaro: Come presidente di Italia
Nostra era decisionista perfetto ed intransigente. Con lui arrivammo a ben
seicento soci, una sezione tra le pi numerose dItalia. ( ) Memorabili le
visite concesse ai soci alla villa di Montegalda e ad Oria ( ). I soci di Italia
Nostra non avevano il blasone culturale di quelli del CISA ma il marchese
era superiore a queste piccole cose: tutta la servit delle varie case era a
disposizione degli ospiti per il ricevimento e la visita in giardino.
A proposito di Boso c unaltra annotazione di Remo Schiavo in merito
allinvito da lui ricevuto nella residenza di San Marco espressamente per
proporgli di dargli del tu. Grande il suo imbarazzo nelliniziare un discorso:
() Pi difficile era invece come chiamarlo. Pensavo a marchese, dottore
o altri titoli fino a signor Giuseppe: meglio, disse lui, Boso. Il nome che
era usato dalle persone che onorava con la sua amicizia.

1954, Marostica rinnova la partita a scacchi


con personaggi viventi

Caldeggiata dal marchese Roi nel 1954 a Marostica si riprende a rappre-
sentare la famosa partita a scacchi con personaggi viventi. Affida la regia
allautore Mirko Vucetich, trasferitosi a Vicenza, che lassolver fino al 1975
scrivendo le sceneggiature e disegnandone scene e costumi degli oltre 600
figuranti. Il direttore Roi, promotore, dopo la rappresentazione riport un
gratificante riconoscimento internazionale trionfando nella prima edizione
del Festival Internazionale di Bruxelles.
Da quel 1954, la partita a scacchi di Marostica costituir una manifestazione
biennale in continua ascesa e notevoli saranno i benefici riportati dal turi-
smo a Vicenza e provincia. Dimostrando in queste occasioni tutta la squisita
ospitalit ed accogliendo i pi bei nomi del mondo dellarte e della nobilt
in ricevimenti memorabili nella sua villa di Montegalda, seppe inserire la
citt e il territorio, di diritto, nel nuovo circuito turistico del dopoguerra.
1956 - 1973, Ente Provinciale
per il Turismo di Vicenza (E.P.T.)
170 Dal 1956 al 1973 il dott. Giuseppe Roi viene nominato alla direzione dellEnte
Provinciale per il Turismo (EPT) di Vicenza, istituzione chiamata a svolgere
attivit di tutela, conservazione e valorizzazione dei patrimoni culturali dei
comuni e della provincia, facilitando gli sviluppi turistici. Il suo impegno, nel
corso dellintera gestione, si concretizz di anno in anno con unimponente
numero di avvenimenti e di manifestazioni a carattere storico, culturale e
sportivo che attraversarono indistintamente tutte le realt territoriali. Vale
citare alcuni eventi per capire su quanti e quali interessi chiedeva ed otteneva
limpegno e la partecipazione di tutti!

1957, Vicenza, Carnet del Turista

LEnte Provinciale per il Turismo, su mandati del Direttore Giuseppe Roi,


assistito dai pi quotati studiosi della citt, redige e pubblica tra il 1957 e il
1976 un periodico mensile con lo scopo di approfondire i diversi periodi
storici delle architetture cittadine e provinciali. La diffusione di tale guida
tascabile a beneficio dei turisti risulter gradita e ricercata.

Anni 60, il concorso Citt Fiorita


Contro il grigiore della pietra

Negli anni 50 60, cogliendo le sensazioni provate dai cittadini e pure lui
- il marchese giustamente disturbato dal diffuso grigiore delle pietre
di Piovene e della pietra tenera che, con continuit, marcava le facciate dei
palazzi cittadini mai restaurati, non esit a proporre, sul modello di molte
citt europee, il concorso Citt fiorita, studiato per ingentilire le archi-
tetture con scorci pi gradevoli.
La manifestazione, oggigiorno sovvenzionata dalla Fondazione che porta il
nome Roi, per il 2016 prevede di premiare tre classi di concorso: abitazioni
private, esercizi pubblici e la via pi fiorita.

1961, primo raid internazionale delle ville vicentine

Negli anni 60 il Direttore Roi, volendo dare nuovi impulsi anche alle ville
venete minori, quelle presenti nella feconda campagna vicentina, programma
un Raid Internazionale delle Ville Vicentine da effettuarsi annual-
mente con auto depoca prevedendo relative soste e feste nelle residenze
punti di tappa. La manifestazione ottiene subito il dovuto successo, da allora
viene ripetuta annualmente e soprattutto sar ripresa da molte altre citt
italiane e straniere.

171
1980, i Concerti in Villa

Ancora Boso Roi. Trasportato dal desiderio di associare le architetture e le


pitture delle ville venete alla musica, sentiva e voleva far sentire che l le
tre arti riunite davano vita ad emozioni mai provate. Ad iniziare dal 1980 il
marchese promuove ed organizza nelle ville palladiane cicli di concerti per
queste due categorie. Si tratt subito e si tratta ancora oggi di appuntamenti
altamente suggestivi anche per gli stessi artisti invitati. Da allora risulta
essere la rassegna di musica classica pi longeva in ambito vicentino.
Sempre da Remo Schiavo, a lungo suo segretario, viene una puntualizzazione
sulla squisitezza dellanfitrione: ( ) Il Presidente era presente ad ogni con-
certo e riceveva ogni abbonato nella sala daspetto con un complimento ed una
parola gentile.( ) . E a fine serata porgeva a tutti larrivederci. Nelle ville la
sua ospitalit assumeva contorni ancora pi raffinati e cordiali, anche se doveva
porgere il saluto o fare il baciamano a molte centinaia di persone.
Sempre nello stile del marchese, particolarmente curato, risult il pro-
gramma Concerti in Villa dellanno 2011 (trentunesimo anno) allestito
per raccontare il centenario della morte di Antonio Fogazzaro in modo
appropriato, e questo lo ottenne tenendo concerti nei luoghi dallo scrittore
vissuti e narrati, come villa Valmarana ai Nani di Vicenza, villa La Monta-
nina di Velo dAstico e villa Fogazzaro di Montegalda, nonch lAbbazia di
Praglia, che era stata ripristinata su interessamento dello scrittore quandera
stato senatore del Regno.

Anni 40, salvaguardia delle Ville Venete

La generosa, quanto conclamata, battaglia in difesa delle Ville Venete il


marchese Giuseppe Roi linizi sul finire degli anni 40 assecondando e diri-
gendo le iniziativa promosse da alcuni uomini di cultura come gli amici Bepi
Mazzotti, Renato Cevese e Giovanni Comisso, e quindi con lapporto
di enti e associazioni locali alle quali era costretto a rivolgersi con insistenza
e decisione. Mise in campo tutte le risorse e le idee proponibili, privilegiando
linformazione a mezzo stampa e poi lanciando nel 1953 una grande mostra
denuncia nella prestigiosa Villa Contarini Simes di Piazzola sul Brenta,
che da allora interess per anni tutte le principali citt dEuropa e dAmerica.

1960 - 1970, Ente Ville Venete (1958)

Certo sulla spinta di unopinione pubblica mondiale sensibilizzata sullargo-


mento a tutti i livelli, con legge 6 marzo 1958, n. 243, venne istituito lEnte
per le Ville Venete, organismo consortile tra le amministrazioni provin-

172
ciali delle province di Belluno, Padova, Rovigo, Treviso, Udine, Verona,
Venezia, Vicenza. Da quel momento allente andarono i compiti specifici sia
di tutela con lintervento economico (concessione di mutui e contributi), sia
di competenza, come la salvaguardia delle propriet e dei luoghi.
A Giuseppe Roi, suo primo e insostituibile sostenitore assieme al prof. Re-
nato Cevese, fu assegnata la prima presidenza, la pi impegnativa date le
situazioni allora incombenti sullintero patrimonio. Lincarico and dal 1960
al 1970. Nel 1978, anno di scadenza naturale dellente, per non interrom-
pere la continuit delle attivit conservative e degli impegni promozionali
programmati, venne trasformato in Istituto Regionale delle Ville Venete
con sede istituzionale in Villa Contarini a Piazzola sul Brenta.

1963, Europa Nostra,


statuto adottato a Taormina nel giugno del 2009

LAssociazione Europa Nostra venne fondata nel 1963, su iniziativa della se-
zione romana di Italia Nostra, con sede a Parigi presso il Consiglio dEuropa.
La prima intenzione era quella di portare la problematica della salvaguardia
di Venezia a livello mondiale. Nel 1991 si un con l Associazione Istituto
Internazionale dei Castelli, nato nel 1949.
Un breve quadro dei compiti e degli interventi affrontati da Europa Nostra
negli anni:
1983 - riceve il premio Olympia dalla Onassis Foundation in Atene
1987-1988 - invitata dalla Commissione Europea ad organizzare un pre-
mio, per lAnno europeo dellambiente (EYE), si auspica la conservazione
dei regimi e delle autorit locali in Europa.
1989 - partecipa attivamente al 6 simposio delle citt storiche.
2000 - tiene il suo congresso del Millennio nel cuore dellEuropa a Praga.
2002 lancia il premio europeo della cultura.
2003 - celebra il 40 anniversario al Palazzo dEuropa a Strasburgo.
2004 - esprime costernazione per la distruzione dei beni culturali in Kosovo.
2009 - durante il congresso annuale, tenuto a Tarmina, Europa Nostra in
collaborazione con Italia Nostra organizza un foro per la salvaguardia delle
piccole citt, dei villaggi storici e dei paesaggi dellEuropa e adotta la dichia-
razione dintenti Saving Europes Memory and Identity.
I Presidenti di Europa Nostra: 1969 - Lord Duncan Sandys (UK);
1990 - HRH the Prince Consort di Danimarca; 1984 - Hans de Koster (NL);
1992 - Daniel Cardon de Lichtbuer (B), 2006 -Dr. Andrea H. Schuler (CH);
2007 - HRH The Infanta Doa Pilar de Borbn; 2009 dopo una profonda
riforma dello Statuto eletto Presidente Denis de Kergorlay (F) e Vice-
President John Sell, CBE (UK); 2010, il 9 giugno viene eletto Presidente,
per acclamazione, il maestro Plcido Domingo.
Il marchese Giuseppe Roi, in forza del suo prestigio e delle capacit ope-
rative, ricopr la carica esecutiva di vicepresidente dal 1991 e fino
allanno 2006. Di certo molti degli interventi elencati e delle risoluzioni

173
adottate, specialmente per quanto riguarda lItalia, sono stati frutto del suo
lavoro creativo ed organizzativo.

1965, Accademia Olimpica

Si pu dire che il marchese Roi sia stato una delle colonne portanti dellAc-
cademia Olimpica dove venne iscritto nel 1965 come Accademico Olimpico
alla Classe di Diritto ed Economia per passare successivamente alla Classe
di Lettere ed Arti. Fu Accademico Olimpico fino allanno 2007 e, mentre era
in vita e pure nelle proprie disposizioni testamentarie, volle concretizzare il
suo riconoscimento e lattaccamento verso il mondo culturale costituito in
associazione attraverso la donazione a quella Biblioteca di una importante
serie di opere di carattere teatrale. Si tratta di testi, studi e rassegne critiche,
che una volta catalogati saranno patrimonio vivo degli studiosi.

1979, Istituto Regionale Ville Venete

Nel 1979 la Regione Veneto e la Regione Friuli Venezia Giulia diedero vita
allIstituto Regionale che, da allora, risulta impegnato nella promozione
della conoscenza e del miglior utilizzo della Villa Veneta.
Fra laltro sono stati catalogati ben 4.238 edifici, di cui 3.803 in Veneto e
435 in Friuli Venezia Giulia. Il 14% delle ville di propriet pubblica o di
enti ecclesiastici e l86% di propriet privata

1994, il riconoscimento Unesco

Consapevole dei valori culturali di cui era custode Vicenza in forza dei
suoi palazzi e delle ville palladiane, il marchese Giuseppe Roi sale subito a
capofila dei cittadini disposti a chiedere allUNESCO il riconoscimento di
patrimonio della umanit: lo considera il massimo onore per la citt e
per i suoi cittadini ma ne avverte e ne segnala anche il peso. Infatti ecco come
il marchese usava ricordare ai notabili ed ai politici che lo interrogavano in
quel periodo: ( ) Attenti perch cos come entrata pu anche uscirne,
se non cura il suo patrimonio.
A dicembre del 1994, la citt di Vicenza viene inserita nella World Heritage
List (Lista Patrimonio Mondiale) dellUNESCO. Saranno fautori convinti e
decisi: il marchese Giuseppe Roi, come Presidente del Comitato, il sindaco
di Vicenza Achille Variati, il commissario straordinario dellAzienda di
Promozione Turistica Vladimiro Riva e poi tutti i componenti il consiglio
scientifico che formalizzarono la schedatura di 23 palazzi palladiani inseriti
174

Cavazzale.
Il canapificio
Roi
in aperta
campagna

Cavazzale.
Operaie del
canapificio Roi.
Il 75% della
forza lavoro
era costituito
da donne.

Cavazzale, scuola di lavoro per le figlie delle operaie fondata


nel 1910: si insegnava cucito,
ricamo e la cucitura a macchina della canapa
nel centro storico di Vicenza e delle prime 3 ville, sempre opere del Palladio.

1957, il marchese deve liquidare 175


i canapifici e i patrimoni di famiglia

Sono passati oltre 150 anni dal giorno in cui la famiglia Roi, proveniente
dalla Carnia, si era insediata prima a Bassano e poi a Sandrigo, dove Giu-
seppe senior avviava unattivit di commercio della canapa. Progredendo,
nel 1855 era arrivato a Vicenza, dove nella cosiddetta casa del Palladio
aveva avviato un altro negozio sempre con lavorazione della canapa e poi
nel 1857 il suo primo impianto industriale negli ex molini delle Chioare,
in contr San Marco. Sono ormai lontani gli anni 1871, quando inaugura-
va il canapificio per la tessitura in quel di Vivaro, e il 1875 quando faceva
partire le macchine nellimpianto di Cavazzale ed ancora il 1884 quando
completava lo stabilimento di filatura a Debba.
Ebbene, anche per i canapifici Roi, che fino alla met del 900 avevano visto
il numero di operai aumentare vertiginosamente (dai 270 del 1890 erano
passati a 1.200 nel 1940) nei primi anni 50, causa la produzione e il
diffuso impiego delle fibre sintetiche, si materializz la caduta degli ordini
e di conseguenza delle produzioni. Tanto che nel 55 le maestranze risul-
tavano essere di sole 800 unit, e gli stabilimenti in parte chiusi, in parte
impegnati in altre produzioni.
Se tale e tanta riduzione di posti di lavoro fu un collasso per quella classe
operaia non fu certo indolore per lultimo dei marchesi Roi, Boso, che
di giorno in giorno fu impegnato e costretto a gestirla. Magari con capacit
imprenditoriali non sempre lucide, accorte e allaltezza delle situazioni,
quanto invece erano quelle umane (purtroppo insufficienti per risolvere
una situazione economica cos complicata).

1955, Monticello Conte Otto: la polizia assedia


il canapificio Roi occupato dagli operai

Arrivano i giorni delle battute finali. I giornali del 12 settembre 1955 pub-
blicavano: ( ) A Cavazzale di Monticello Conte Otto (Vicenza), ingenti
forze di polizia assediano il canapificio Roi presidiato dai lavoratori in
lotta contro 339 licenziamenti e respingono familiari ed amici che cercano
di portare loro del cibo. Nella notte la polizia irrompe nello stabilimento
e lo sgombera. La popolazione solidale con i lavoratori e la direzione
sar costretta ad aprire una trattativa che porter ad una riduzione dei
licenziamenti programmati. ( )
Mentre le trattative fra operai, sindacati, amministratori comunali e proprie-
tario Roi si conducevano senza risultati, per cui lopificio nel 1957 dovette
fermare definitivamente le macchine e chiudere i portoni, nel campo opposto
i 191 lavoratori che nel settembre 1955 a Cavazzale avevano occupato il ca-
napificio erano stati messi sotto processo e mandati al giudizio del tribunale.

176
E quando venne celebrato quel processo fece epoca per svariati motivi.

La Basilica palladiana sede di tribunale


per il processo agli operai del canapificio Roi

Un periodo particolarmente angosciante nellesistenza del nostro marchese
saranno state certo le tre vicende che lo coinvolsero tra il 1955 ed il 57:
1)la dismissione dei suoi canapifici; 2) la Basilica dellarchitetto Palladio,
da lui tanto amata e decantata, occupata come aula di tribunale; 3) proprio
in quellaula una corte di giudici furono chiamati a celebrare un processo e
formulare una sentenza, e proprio contro i suoi operai.
Il motivo per cui venne scelta proprio la Basilica chiaro. Dovendo dar corso
al processo dei 191 lavoratori che il 12 settembre 1955 avevano occupato
il Canapificio di Cavazzale, dal momento che il numero degli imputati era
altissimo e che tanta gente sarebbe accorsa, unaula di tribunale non poteva
bastare. Ecco, dunque, lidea di riunire tutti in Basilica. Una consolazione
per i giornalisti presenti: La canicola fortunatamente non si fatta sentire
in quei giorni - annota il puntuale Cengarle - ed stata una vera fortuna
ch altrimenti, con il suo cupolone di rame, avrebbe fatto ricordare a tutti
i... piombi di Venezia.
Come and a finire? Il periodico sindacale Il lavoratore vicentino il 20
luglio 1957 titolava: Tutti assolti gli imputati di Cavazzale. Il pezzo era
di Onorio Cengarle, segretario allepoca della Cisl e pure lui imputato
per loccupazione del canapificio (due foto firmate Sandrini jr illustrano il
processo tenuto nel salone della Basilica).


QV IMPRESE 177

LA DINASTIA
DELLE CUCINE: I FORTUNA
Radicata a Caldogno, terra ideale per gli insediamenti
industriali, la dinastia dei Fortuna ha creato, in un secolo,
un marchio che tra i pi conosciuti in Europa e nel mondo
nel settore delle cucine e dellarredamento componibile
di alta gamma. I Fortuna hanno fondato un modus
riconoscibile di produzione e uno stile.
Il loro marchio, Arc Linea, ha fatto storia.

PINO CONTIN

T racciare anche solo per sommi capi la storia di unazien-


da importante, quale quella della famiglia Fortuna, che ha compiuto lo
scorso anno i novantanni, non compito semplice. Ma non si pu, tra gli
argomenti rilevanti concernenti il Novecento in provincia di Vicenza, e in
particolare a Caldogno, tralasciare quello che, forse, fra i pi considerevoli
per comprendere lo sviluppo economico che ha coinvolto il Paese Italia a
partire almeno dagli anni Settanta del secolo scorso.
Tutti gli indicatori statistici, infatti, ci attestano ampiamente che quello
il decennio di svolta nel passaggio da una realt statica, prevalentemente
agricola, con qualche attivit artigianale, ad un assetto socio-economico di
decisa trasformazione in senso moderno, con una maggiore presenza tra i
residenti di occupati nellindustria e nel terziario.
Un decisivo impulso, in tal senso, si deve senza dubbio riconoscere proprio
alla forte crescita, in quella fase, dellARC Linea, cui si affiancher poco
dopo, la felice esperienza dei Fratelli Zanella nel settore dellabbigliamen-
to. Pertanto, con una metodologia basata su documentazione aziendale e di
altra provenienza (come lArchivio storico comunale, quello della Parrocchia
di S. Giovanni Battista, insieme a studi e pubblicazioni della Camera di
Commercio di Vicenza) e integrata da interviste a protagonisti delle vicende
considerate, ci siamo avviati verso questa impegnativa ricerca. Premettiamo
che lindagine che presentiamo termina con gli anni Ottanta, per mettere
Silvio Fortuna
(1888-1965)

178 una doverosa di-


stanza dagli eventi
e consentire cos di
perseguire pi age-
volmente una certa
obiettivit di rico-
struzione.
La caratterizzazione
familiare dellazien-
da ci facilita, ad ogni
modo, nella scelta
del punto da cui ini-
ziare la narrazione
della straordinaria
vicenda dei Fortu-
na, tuttora leader
mondiali nella pro-
duzione di cucine e arredamenti per la casa.

La famiglia Fortuna
Silvio Fortuna, fondatore dellomonima falegnameria nel 1925, non
aveva avuto allinizio una vita facile: orfano di madre a cinque anni, aveva
presto dovuto affrontare il problema del lavoro. Per imparare il mestiere di
falegname, allora, si recava assieme al fratello Angelo in un laboratorio di
Calstelnovo, a piedi dal paese, e, inoltre, la domenica frequentava in citt
la Scuola dArte e Mestieri per apprendere il disegno.
Un anno dopo il matrimonio con Leonilda Trevisan, celebrato nel 1911,
emigra in Svizzera dove trova occupazione in una falegnameria del Canton
di San Gallo, nelle vicinanze del Lago di Costanza; per dovr rientrare in
patria nel 1915, espulso a causa dellentrata in guerra dellItalia nel Primo
conflitto mondiale.
Inviati al fronte, sia Silvio che Angelo Fortuna prenderanno parte ad azioni
belliche e in una di queste Angelo, che aveva rimpiazzato il proprio capitano
morto in battaglia, rimarr ucciso durante un assalto nellagosto del 1917:
verr insignito di medaglia dargento al valore e il comune di Caldogno gli
dedicher la piazza antistante il Municipio.
In questi anni il loro padre, Bortolo, gestiva con la famiglia la Trattoria
Alla Vittoria di via Roma mentre la moglie di Silvio conduceva quella
denominata Osteria nova in localit Pozzetto.
A guerra finita Silvio rientra a Caldogno dove si fa apprezzare per la sua abi-
lit di cuoco. Contemporaneamente, si presta per lavori in legno, serramenti
e mobili, da effettuare direttamente nelle abitazioni delle famiglie dei clienti.
Lattivit economica principale della famiglia rimaneva, comunque, quella
della trattoria, che i Bosco (soprannome con cui erano conosciuti in loco)

179
sapevano gestire bene disponendo anche di una corte da bocce. A quel tempo
era certamente un ritrovo molto frequentato: la gente usava uscire la sera
per andare a giocare a carte e non erano pochi gli avventori che provenivano
dalle frazioni e, specie per il gioco delle bocce, anche dai paesi vicini come
Castelnovo e Isola Vicentina.

Il contesto paesano, il conte Pagello


e la contessa Valmarana
Per valutare in maniera appropriata liniziativa che porter Silvio ad avviare
la nuova attivit nellambito della lavorazione del legno, occorre riferire
succintamente la situazione economica di Caldogno negli anni Venti. Non
va dimenticato, tuttavia, che questa attivit artigianale aveva lontane radici
familiari essendo stato un suo antenato, Angelo, fra gli espositori in Basilica
palladiana, gi nel 1816, di lavori in legno definiti dagli organizzatori della
rassegna di nuova ed elegante invenzione e costruzione esattissima: ma
non era stata unesperienza di lunga durata.
Naturalmente lagricoltura faceva la parte del leone, tra i settori economici,
ma solo pochi agricoltori erano proprietari mentre molti di loro erano piccoli
fittavoli; la propriet terriera era poi sostanzialmente in mano al conte Pa-
gello e alla contessa Valmarana, espressioni dellantica nobilt vicentina.
Erano totalmente assenti le aziende industriali, che pure nel Vicentino al
tempo occupavano gi il 29% della popolazione attiva.
Oltre agli artigiani, che conducevano i lavori tradizionali (sarti, calzolai, car-
rettieri, fornai ecc.), qualche merciaio, negoziante di animali, salumiere e oste,
esistevano nel territorio, secondo una segnalazione del comune di Caldogno alla
Camera di Commercio di Vicenza, ben 9 mulini, 3 caseifici, 1 fornace e 1 segheria.
Pertanto, il veterinario del Consorzio di Isola Vicentina, che comprendeva
Caldogno, affermava, correttamente, in una relazione consuntiva di quel
periodo, che lagricoltura e la zootecnia erano le due uniche sorgenti di
ricchezza da cui i nostri comuni ritraggono tutti i loro proventi. Tuttavia
egli sottolineava pure la necessit che i comuni consorziati si sforzassero di
contribuire allistruzione di questa gente... convincendola ad adottare tutti i
mezzi suggeriti dai moderni progressi, in quanto era palpabile linadegua-
tezza della preparazione degli operatori agricoli.
Infine, occorre ricordare, funzionava da tempo la Banca Agricola Coo-
perativa di Caldogno, sorta nel 1885 a sostegno degli agricoltori e della
locale Latteria, che contava nel 1922 il ragguardevole numero di 500 soci,
su una popolazione residente di circa 4.000 persone.
Se questa era la struttura socio-economica del paese si comprende facilmente
come piuttosto elevato fosse il numero di coloro che espatriavano diretti
verso le Americhe o i paesi pi ricchi dEuropa, dove speravano di trovare
lavoro come braccianti e manovali.
Dunque, in generale cera molta povert, cosa che ancora per qualche de-
cennio avrebbe caratterizzato la vita di questa gente.

180 Lavvio dellimpresa


Risale al 1925 liscrizione alla Camera di Commercio del piccolo laborato-
rio per la costruzione di serramenti e mobili, denominato Ditta Silvio
Fortuna, lavorazione meccanica del legno, che ha la sua sede in via
Fogazzaro. La scelta sembra essere azzeccata poich, dopo la Grande Guerra,
c una generale ripresa di attivit anche in questo settore legato alledilizia.
Ma a pochi anni dallinizio di questa impresa, nel 1929, il laboratorio viene
distrutto completamente da un incendio: Silvio a terra, ha perso tutto e
dovr ripartire da zero.
Egli ha un carattere forte, determinato, che non si arrende davanti alle sven-
ture. Decide, allora, di impiegarsi presso unimpresa edile senza accantonare
definitivamente, per, la speranza di diventare prima o poi un imprenditore.
Due anni di duro lavoro e di sacrifici gli consentono di raggiungere lobiet-
tivo. Infatti, nel 1931, in grado di riaprire il laboratorio, affittando dei
locali questa volta in via Dante, non lontano dalle Scuole elementari. Ora il
suo impegno prevalente si svolge in azienda mentre la moglie prosegue la
gestione della trattoria.
Un evento favorevole, poco dopo, accade in paese: per volont del professor
Nordera, primario del reparto di psichiatria a Vicenza, viene costi-
tuito un ospedale per bambini disabili negli edifici annessi alla palladiana
Villa Caldogno, attorniata da spazi adeguati.
Alla Ditta Silvio Fortuna vengono affidati lavori di trasformazione dei locali
per la nuova destinazione e la produzione dei relativi serramenti.
Quindi il lavoro comincia ad essere gravoso, essendo pochi gli operai alle
dipendenze, anche per i tempi di consegna piuttosto stretti. Silvio intuisce,
nondimeno, che questa la volta buona: del resto in paese la concorrenza
quasi inesistente, lunico laboratorio di dimensioni discrete quello dei
Fratelli Contin, che non si occupa di serramenti, e qualche altro falegna-
me, quanto agli addetti, non va oltre la cerchia familiare, come Florindo e
Giuseppe Giuriato, Antonio Montagna e Giovanni Todesco.

Gli anni Trenta e la Guerra


In questo decennio, comunque, la situazione economica a Caldogno si
mantiene alquanto stagnante e il tenore di vita della gente rimane molto
basso, come attestato da alcuni dati che sintetizzano aspetti importanti
della popolazione.
Cos, nel periodo compreso tra il 1931 e il 1939, ben 229 sono le persone
che emigrano, cui devono aggiungersi i 49 operai che nel 1936 partirono
per lAfrica Orientale. Inoltre, in media 170 persone lanno lasciavano il
paese per cercare lavoro e sistemazione in altri centri della provincia e nelle
localit pi progredite dellAlta Italia, puntando in particolare alle regioni
della Lombardia, del Piemonte e della Liguria.

181
Infine, lelenco dei poveri del 1936, conservato nellArchivio comunale,
riporta 301 nominativi di capifamiglia per un totale di 1.467 persone consi-
derate bisognose: ci significa che il 37% della popolazione complessiva
versava in condizioni tali da dover ricorrere allassistenza pubblica.
I dati, insomma, parlano da soli...

Leredit della moglie


Ma la vita sociale, bisogna dire, era in ogni caso abbastanza viva, come
appariva dallosservatorio privilegiato della trattoria Alla Vittoria,
costante crocevia di incontri e serate animate fra clienti e appassionati
giocatori di carte.
Per un solo esempio sufficientemente indicativo, crediamo, del livello
medio di sviluppo che connotava il paese in quel periodo. Lena Fortuna,
ad un certo punto della sua testimonianza, mi indica un apparecchio radio,
posto in bella evidenza in una mensola del suo soggiorno: mi riferisce che
del 1933 quando, oltre alla loro famiglia, solo il Podest, Luigi Dal Toso,
ne possedeva unaltra.
Dunque, in concomitanza di avvenimenti importanti per il regime fascista,
come i discorsi del Duce o in occasione di grandi manifestazioni sportive
o, magari, per un discorso del Papa, suo padre Silvio spostava la radio sul
davanzale della finestra, rivolta allesterno, affinch tutti i convenuti e i
passanti potessero seguire la magica voce diffusa dallEIAR.
Lazienda, che nel frattempo ha mutato nome in Fortuna Silvio. Fale-
gnameria, mobili, serramenti, procedeva con difficolt, appesantita
da debiti; per beneficia inaspettatamente di un aiuto economico: leredit
della moglie, conseguente alla morte del fratello avvenuta nel 1937, viene
investita da Silvio nella ditta, che cos riprende slancio.
Unindagine della Camera di Commercio vicentina fotografava la situazione della
struttura produttiva provinciale nella fase immediatamente precedente lo scoppio
della Seconda guerra mondiale. Cos veniamo a sapere che, nellarco di tempo
che va dal 1937 al 1940, le ditte che operano nel settore del legno rappresentano
solo poco pi del 2% del totale di quelle a carattere industriale impiegando in
totale 1.212 addetti. Per importanza vengono dopo il settore tessile, con 29.420
occupati e a notevole distanza anche da quello meccanico (6.102 addetti), edilizio
(5.507 addetti), alimentare (4.885 addetti).
Appare decisamente diversa, per, la distribuzione dei settori economici se
si guarda agli esercizi artigiani, tra i quali quelli del legno figurano al terzo
posto, con il 17% degli occupati (2.163), seguendo solo quelli dellabbiglia-
mento (2.502) e quelli meccanici (2.307).
La scena tratteggiata dunque attesta il rilievo che ancora riveste il comparto
del legno; senonch le numerose piccole falegnamerie e mobilifici dissemi-
nati in provincia subiscono, di l a poco, la decisione del governo italiano di
entrare in guerra a fianco della Germania.
182
La prima
cucina
realizzata
interamente
in legno

Proseguendo nella linea di contrasto alle sanzioni economiche decise


dalla Societ delle Nazioni, intrapresa a partire dal 1935, il regime fascista
cerca di sviluppare e rendere possibile la sostituzione dei prodotti stranieri
con quelli nazionali attuando una serie di restrizioni che riguardano anche
limportazione di legnami esteri. Inoltre, il sensibile mutamento nellecono-
mia nazionale, che chiamata a sostenere il pesante sforzo bellico, provoca
riflessi negativi nei consumi e ci mette in crisi la produzione di mobili, sia
di lusso che di tipo corrente, per i quali le richieste sono ora limitate.
Daltra parte, le forniture militari non sono sufficienti a compensare il calo
generale della domanda.
Anche Silvio, per sopravvivere, deve modificare programmi e tipo di attivit.
Cos, riesce ad ottenere delle commesse dal Corpo dArmata di stanza a Man-
tova e lavora a Verona per le ferrovie, effettuando, in questo caso, il trasporto
da Caldogno dei materiali impiegati con carri trainati da cavalli.
Grazie al suo eccezionale spirito di adattamento alle mutate condizioni am-
bientali, che lo porta ad accettare i lavori pi diversi (come, ad esempio la
costruzione di bare per i militari deceduti in ospedale) pur di sopravvivere,
il laboratorio, che di l a poco vedr accresciuto il suo potenziale con linseri-
mento dei tre figli, Lino, Angelo e Almerino, supera indenne gli anni di
guerra. E si dispone con coraggio ad affrontare i nuovi scenari che si apriranno
per le pressanti esigenze di ricostruzione in Vicenza e nel suo territorio, dove
la Falegnameria di Silvio Fortuna ormai bene inserita e apprezzata.

Nella Ricostruzione: un trend positivo


Nel 1959 le prime cucine componibili

I bombardamenti e le asportazioni da parte delle truppe tedesche avevano


causato danni consistenti alle industrie del legno, come del resto a quelle
tessili, chimiche, ecc. in tutta la provincia tanto che nel 1946 la ripresa
consente solo di raggiungere in media un ritmo di lavoro pari a circa il
70% del livello pre-bellico. Secondo i dati forniti dalla locale Camera di

183
Commercio, inoltre, lindustria delle costruzioni edilizie non ha registrato
uneffettiva crescita a causa dellelevato costo dei materiali da costruzione
e della mano dopera e ci continuer anche nel biennio successivo.
Tuttavia, nel 1948, grazie anche agli aiuti americani con il piano ERP, le
attivit industriali sono molto cresciute tanto che in quello stesso anno il loro
ritmo di lavoro sar ormai pari al 90% circa del livello antecedente la guerra.
In questa fase di intensa ripresa economica, in ogni caso, la ditta Fortuna
ottiene importanti commesse dalla Provincia e dal Genio Civile e procede,
pertanto, a nuove assunzioni di personale. Nel medesimo tempo, si orienta
progressivamente alla produzione di mobili darredo tralasciando quella di
serramenti, che era stata fino allora lattivit principale.
Il trend positivo si conferma pure nei primi anni Cinquanta attestato, tra
laltro, dalla crescita delle iscrizioni al Registro delle Ditte della Camera
nello stesso ramo del legno.
Cos, una relazione sullandamento delleconomia vicentina del 1953 affer-
ma che ledilizia, privata e pubblica, ha segnato ancora un considerevole
incremento ed ha fatto partecipare al suo moto tutte le varie attivit ad essa
collegate: calce, cemento, laterizi, carpenteria, falegnameria, ecc..
Ma occorre far presente che sono questi ancora anni in cui in paese scarseg-
giano alquanto le opportunit di lavoro per cui, oltre allattivit agricola, che
pure richiedeva mano dopera in prevalenza in certi periodi, altri impieghi
venivano cercati dai lavoratori in citt e nei paesi vicini. Per le donne, poi, la
situazione era ancora peggiore: alcune andavano a servizio presso famiglie
benestanti del paese o a Vicenza; qualche altra si occupava nelle filande di
Malo o nel Canapificio Roi di Cavazzale.
Al riguardo, provvidenziale era stata la costituzione del Laboratorio Tessile,
per opera dellArciprete don Emilio Menegazzo nel 1946, che assicurava
in quel periodo a pi di duecento di loro unentrata con cui arrotondare il
reddito familiare spesso assai modesto. Ci nonostante, i Fortuna sono pie-
namente inseriti nel processo di ricostruzione, ottengono lavori nei nuovi
edifici di viale Milano (i grattacieli di Vicenza) e cominciano a pensare a
qualcosa che li faccia progredire ulteriormente.
Pertanto nel 1959, deciso il passaggio dallartigianato allindustria, realizzano le
prime cucine componibili in legno laccato a mano, appunto per i palazzi di
viale Milano in unepoca in cui erano le cucine di ferro ad andare di moda. Ne
vengono, per, richieste alcune da unazienda americana e ci d lopportunit
ad Almerino Fortuna di studiare i cataloghi americani: intuisce, insieme ai
fratelli, che arrivato il momento di puntare, per i materiali, decisamente su
legno, poliestere e formica (il laminato plastico odierno). Conseguentemente,
essi cominciano a produrre e a vendere in proprio tali tipi di cucine, lanciano
la prima in teak, Thea, anche se il mercato non ancora aperto al nuovo e
nemmeno gli architetti consultati esprimono entusiasmo per tali scelte.
184 Almerino
Fortuna ritira
a Roma un
prestigioso
premio

Gli anni Sessanta: il decollo


Il 1960 un anno speciale nella vita dellazienda, per una serie di ragioni.
Innanzitutto lazienda assume il nome di Arc Linea (abbreviazione di Arre-
damenti razionali componibili) e comincia la fruttuosa collaborazione, per
la dimensione creativa, con Giuliano Albanello e con lagenzia pubblici-
taria Rossi Molinari di Vicenza, che disegna, tra laltro, il nuovo marchio.
Silvio, avanti negli anni, pur continuando a seguire da vicino i lavori, ormai
ha affidato in pieno la direzione dellimpresa, che vanta un organico com-
plessivo di 25 dipendenti, ai tre figli, Angelo, Almerino e Lena mentre Lino,
il primogenito, da qualche anno, non sentendosi pi in sintonia con le scelte
strategiche dei fratelli, era uscito dalla societ familiare avviando a Motta
di Costabissara un proprio mobilificio.
Ma il trampolino di lancio per laffermazione nel mercato nazionale rappre-
sentato dalla Fiera del Mobile di Padova, che si tiene in giugno, dove Arc
Linea si presenta per la prima volta con un suo stand esponendo le proprie
cucine fornite di lavello in acciaio. Hanno tutte un nome femminile: sono,
infatti, dopo Thea, Patrizia (in poliestere) e Flora (in formica),
che colpiscono per la loro novit anche esperti svedesi, gi fornitori della
prestigiosa Rinascente di Milano.
Non solo. Il medesimo anno costituisce un significativo punto di svolta
per lacquisizione di alcuni importanti clienti come i Chave di Torino e
lItalcasa di Prato, che ampliano la sfera di penetrazione dei Fortuna nel
territorio nazionale.
Ad ogni modo, i titolari si rendono conto dellopportunit di procedere con
una certa gradualit nei cambiamenti dellattivit aziendale per cui, assie-
me ai nuovi prodotti in legno, i modelli in poliestere e in laminato plastico
continuano a far parte della gamma dellofferta di Arc Linea.
Al 1963 risale laccordo, destinato a durare a lungo, con la ditta svizzera
Franke per la fornitura di elettrodomestici in acciaio, che verr seguito poi
da quello con la Smalvic, azienda di Montecchio Precalcino, per la produ-

185
zione dei nuovi fornelli a gas da incassare nelle cucine: la cosa tuttaltro
che semplice dal punto di vista tecnico, tanto che alcune importanti case
produttrici di elettrodomestici non accolgono lofferta di collaborazione. Si
tratta, cio, di adattare il piano del fornello per renderlo funzionale al nuovo
modello di cucina e lo stesso Almerino si applicher con impegno al progetto.
Ne uscir il modello Claudia, che ha incorporato anche il frigo, la cui
porta rivestita con lo stesso legno della cucina: presentata al Salone del
Mobile di Milano, ottiene un grande successo rendendo famosa Arc Linea
e rappresentando unottima base per il suo successivo sviluppo. in effetti
la prima cucina del genere prodotta in Italia.
Ci incoraggia i fratelli Fortuna a proiettarsi su una scala pi vasta ma i
loro progetti non trovano, sulle prime, il necessario sostegno dal sistema
bancario locale. Senonch, proprio durante la Fiera milanese, avviene un
fatto decisivo: dei delegati della Rinascente propongono di creare per loro
un modello di cucina in esclusiva. Da qui nascer Giorgia, frutto appunto
di alcune modifiche richieste espressamente dalla committente.
Lena, riandando a questi momenti esaltanti, riferisce che, in previsione
dellaffare, si precipit felice di corsa al telefono, situato lontano dallo stand
che conduceva, intimando ad Almerino: Corri subito a Milano, abbiamo
fatto bingo!.

Una nuova filosofia di vendita:i negozi Arc Linea


Una grossa commessa giunge, dunque, dalla capitale economico-finanziaria
che costituir la garanzia per lottenimento di un indispensabile mutuo
dalla Banca Popolare di Vicenza onde poter avviare la realizzazione dei
programmi di sviluppo.
Ed ecco, nel 1965, iniziare i lavori per la costruzione dei nuovi stabilimenti
che si svilupperanno attorno al capannone esistente, e continueranno a
stralci per diversi anni. Cos limpianto giunger, nel 1969, ad occupare una
superficie di 20.000 metri quadrati coperti.
Lazienda va bene, i profitti vengono sistematicamente reinvestiti in mac-
chinari di alto livello, spesso importati dalla Germania e nellassunzione di
altri dipendenti. questa la fase in cui Arc Linea adotta una precisa filosofia
di vendita, cui si atterr nel futuro: le cucine, oramai affermate e divenute
status symbol per il loro elevato profilo di design e moderna razionalit,
verranno esposte in negozi che conterranno esclusivamente i vari modelli che
escono dal proprio stabilimento di Caldogno, i cosiddetti spazi monomarca.
Nel 1965 muore Silvio, il fondatore dellazienda. Laffermazione clamorosa
(laggettivo di Lena) del nuovo modello, chiamato Silvia in onore del
padre, rafforza le gi rosee prospettive ed vissuta come la conferma del
valore e della solidit di ci che lui aveva creato dal nulla con straordinario
impegno, determinazione e non minore capacit quarantanni prima.
Verso la fine del decennio esce Novia, di dimensioni inferiori e pi
186 Da sinistra
i fratelli
Almerino,
Lena e Angelo
Fortuna

economica delle altre ma sempre della stessa qualit per quanto attiene ai
materiali e alle finiture: si cerca con tale modello di interessare nuove fasce di
mercato, con minori disponibilit economiche, specie giovani, ma desiderose
di entrare a pieno titolo nel nuovo modo di intendere e di vivere la cucina.
Un prestigioso riconoscimento, intanto, era giunto nel 1969 con lassegna-
zione del premio europeo Mercurio doro ad Arc Linea per leccellenza
dei propri prodotti, tra le aziende del made in Italy.

Struttura aziendale e organizzazione produttiva


I risultati nelle aziende sono frutto, come noto, di molteplici fattori. Finora
abbiamo scorso le diverse tipologie di modelli del prodotto che diventa, per
parecchio tempo, lunico in produzione, cio la cucina moderna, razionale,
completa di elettrodomestici incorporati, la cosiddetta americana, nel
linguaggio comune del tempo.
Ora ci addentriamo, per tratti generali, nella organizzazione e nel funziona-
mento della struttura aziendale di Arc Linea, la cui sede, posta lungo viale
Pasubio in un terreno acquistato da Rinaldini, destinata ad espandersi
lungo tutto il decennio, che vedr sorgere ulteriori capannoni per la lavo-
razione e un edificio di una decina di piani per gli uffici.
Ci guida nella descrizione Ampelio Menara, entrato nel 1945 a 12 anni in
azienda, diventato in seguito il braccio destro di Almerino e arrivato ad
essere il responsabile della falegnameria dello stabilimento, dove ha prestato
servizio per ben 46 anni, essendo andato in pensione nel 1991.
I reparti produttivi, ci racconta, erano i seguenti: veniva, innanzitutto, la
prima lavorazione, che consisteva nel collocare il legno entrato in azienda
nellessicatoio, per fargli acquisire la temperatura ambiente; seguiva poi
la lavorazione completa dei mobili. Il processo si completava con i reparti
dedicati alle rifiniture, alla lucidatura e, infine, al montaggio.
Tra coloro che per molti anni diressero i vari settori in fabbrica, vanno

187
ricordati Giuseppe Spigolon, per la prima fase, appunto Menara per la
lavorazione vera e propria, Bruno Saugo per la lucidatura, Franco Pe-
savento per il montaggio, ultimo passaggio. Altro dipendente storico fu
pure Antonio Cor, che seguiva la impiallacciatura assieme a Rino Biasi.
Per lintelligente impegno nonch la forte dedizione allazienda, bisogna
citare inoltre Daniele Scalabrin, assunto a 15 anni quando, per poter
lavorare alle presse, doveva salire su uno sgabello; dopo varie esperienze
arriver a dirigere il reparto fuori serie, che produceva cio cucine su
disegno per soddisfare le particolari esigenze della clientela.
Il numero complessivo dei dipendenti, che si aggirava sulla sessantina
allinizio degli anni Sessanta and progressivamente crescendo in relazione
allespansione dellazienda, raggiungendo nel 1968 le 130 unit e, nello stesso
periodo, gli uffici impiegavano non pi di 4/5 persone, quasi tutte donne. Il
personale femminile, al riguardo, costituiva circa il 20% del totale venendo
utilizzato soprattutto nellimballaggio, nella verniciatura e, in misura mi-
nore, nelle linee di produzione. Molto nota era Renata Meneguzzo, che,
per il suo ruolo di centralinista, era conosciuta da clienti e fornitori.
A capo dellazienda familiare erano collocati, come detto, i tre figli di Silvio
che si erano ripartite, in base alle loro propensioni, le diverse funzioni stra-
tegiche, che cerchiamo di tratteggiare di seguito.
Almerino, persona geniale, piuttosto impulsivo nel carattere, impostava
i lavori, si occupava della gestione, interveniva attivamente nella proget-
tazione dei modelli. Si era formato nel laboratorio paterno facendo anche
tesoro di alcune visite a importanti stabilimenti italiani ed esteri del settore.
Con terminologia sportiva, si potrebbe dire che aveva un ruolo universale.
Angelo, maggiore di qualche anno, calmo, affabile, dirigeva lo stabilimento
e sovrintendeva al buon funzionamento della produzione, tenendo quindi i
rapporti con gli operai. Aveva alle spalle alcuni anni di frequenza allIstituto
Rossi di Vicenza quindi era il referente, sul piano tecnico, per tutti i problemi
che potevano sorgere nelle linee.
Lena, la pi giovane, era responsabile del settore commerciale, per cui trat-
tava con la clientela, teneva i rapporti con i rappresentanti e inoltre curava la
pubblicit. In sostanza la si potrebbe definire la personificazione dellimma-
gine dellArc Linea allesterno, che per dava pure un significativo apporto
nelle scelte di stile dei prodotti, come ad esempio la decisione dei colori da
usare per i vari modelli di cucine, che venivano proposte nelle varie Fiere.
Tenendo presente che le donne, allora, nelle aziende italiane non avevano
in generale compiti molto rilevanti, si pu senzaltro affermare che Lena
Fortuna abbia rappresentato in modo eccellente una rottura con la tradi-
zione ricoprendo, con competenza, creativit e il necessario carattere, un
ruolo decisamente di grande responsabilit nellaffermazione dellazienda.
Le relazioni che i titolari intrattenevano con i dipendenti erano senza
dubbio buone, quasi fraterne secondo una testimonianza, cosicch essi
riuscivano sempre ad ottenere la loro pi ampia disponibilit ad impegni
straordinari, magari anche in giornate festive, quando bisognava ultimare
certe consegne o prestarsi per incombenze non rinviabili. Poi, a volte, si
andava tutti a cena insieme...

188
Il sindacato, in tale situazione, non trovava terreno favorevole e solo molto
pi avanti si registrer una qualche adesione tra i lavoratori allinterno
dellazienda.
Vi era, in effetti, un certo orgoglio nel prestare il proprio servizio in una
realt imprenditoriale allavanguardia, divenuta un modello invidiato nel
suo comparto, che cresceva di anno in anno, ampliando la propria quota
di mercato anche verso lestero e il cui marchio era sinonimo di affidabilit
e qualit. Del resto era riconosciuta lattenzione dellazienda ad assicurare
condizioni di lavoro confortevoli, in relazione ai tempi, dimostrata anche
dallessere stata tra le prime, in Italia, ad attrezzare pi avanti i propri sta-
bilimenti con limpianto di aria condizionata.
Un accenno va fatto sulla modalit di consegna delle cucine che uscivano
dalla fabbrica. Negli anni iniziali della fase industriale erano, in genere, gli
stessi clienti che provvedevano a ritirare direttamente o tramite autotra-
sportatori incaricati i propri acquisti.
In seguito, essendosi diffusa la clientela su gran parte del territorio nazio-
nale e creata progressivamente la rete dei rivenditori esclusivi, Arc Linea
si attrezz con dei propri camion per il trasporto delle cucine. Per si serv
spesso di autisti, divenuti collaboratori fissi, cui forniva il mezzo di trasporto
per fidelizzarli.

Gli anni Settanta: consolidamento e sviluppo


Il prestigio dellazienda si rafforza in tutto il decennio seguente, Arc Linea
non si accontenta di mantenere la quota di mercato acquisita e mira a pro-
gettare delle soluzioni per la cucina rispondenti alle nuove esigenze, inno-
vando nei modelli capaci anche di orientare il gusto delle generazioni pi
giovani, che hanno accresciuto nel frattempo le proprie capacit di reddito
e di consumo.
Linizio di questo periodo, tuttavia, segnato da un gravissimo incidente
stradale in cui Lena rischia di perdere la vita: riuscir per a farcela e, dopo
una lunga e dolorosa assenza per cure a Bologna, riprender il suo posto
nella stanza dei bottoni dellazienda, commossa per laccoglienza affet-
tuosa riservatale dai dipendenti al rientro.
Del 1972 la cucina Gamma 30, che si connota per la dimensione dei
componenti pensili che possono giungere ora fino al soffitto della stanza e
per il tocco di leggerezza derivante dalleliminazione delle maniglie. Essa
segna un nuovo modo di vivere e abitare lo spazio, che risponde alle pi
svariate esigenze familiari.
Lanno dopo la volta di Novia color, modello che debutta a Torino,
nellimportante rassegna Eurodomus, che sbaraglia i concorrenti per le
forti tinte dei suoi laminati. Abituati al tradizionale bianco, come colore
fondamentale, larancione, il fucsia, il blu pavone, utilizzati in cucina, per
unidea di Lena, lasciano il segno e sono un altro tratto distintivo dellArc
Linea style. Sempre nel 1973, lindustria, ormai affermata come marchio
autorevole nel comparto dellarredo di lusso, individua unulteriore op-

189
portunit di sviluppo lanciandosi in uninedita avventura. Lobiettivo
trasformare Marilleva, piccolo centro del Trentino, in Val di Sole, in un
centro turistico davanguardia. Assieme ad altre societ immobiliari e ad
alcuni architetti rinomati, si progetta cos un grosso complesso disegnato
secondo i concetti dellarchitettura razionale, che tende ad armonizzare
lestetica con la funzionalit. Per seguire i lavori di costruzione, Almerino si
trasferir l con la moglie per tre anni: tutte le cucine e larredamento, con
moquette Lanerossi, sono prodotti a Caldogno.
Linaugurazione avviene a fine 1977 e un paio di mesi dopo viene organizzato
un grande convegno, che accoglier alcune centinaia di ospiti, tra clienti e
giornalisti. Liniziativa pubblicitaria ha un significativo successo ed ac-
compagnata, su ispirazione di Lena, dalla pubblicazione di un particolare
ricettario: un insieme di piatti, che rappresentano i gusti e i sapori della
tradizionale cucina italiana, proposti dagli stessi partecipanti.
Mario Soldati, famoso intellettuale e scrittore, scrive la prefazione al
manuale Cucina in cucina, che verr accolto con molto favore dal pubblico.
Il meeting vede la partecipazione di un gruppo di relatori assai noti nei
loro settori come larchitetto Achille Castiglioni e lo psicologo Antonio
Miotto. il caso, forse, di osservare che la matrice famigliare (la trattoria,
le rinomate cene...) continua ad alimentare, per nuove strade, la creativit
dei Fortuna.
Questi sono anche gli anni del precoce ingresso in azienda di Silvio, studente
universitario, figlio di Angelo, che affiancher gradualmente la zia, trovatasi
gravata di nuove incombenze per la forzata lontananza di Almerino, nella
gestione delle problematiche aziendali .
Alla fine del decennio, intanto, inizia la collaborazione di Arc Linea con
prestigiosi nomi del design italiano per la realizzazione di modelli al passo,
e spesso anticipatori, delle nuove tendenze socio-culturali, che si registrano
nella societ dei consumi, la affluent society, teorizzata dalleconomista
americano John K. Galbraith e che aveva avuto nel sociologo Francesco Al-
beroni uno dei pi attenti studiosi delle trasformazioni italiane. Tra di loro
vanno ricordati Lucci e Orlandini, Carlo Bartoli e Roberto Pamio.
Va detto, per completezza, che i lusinghieri risultati raggiunti dallazienda,
nella fase appena delineata, sono in netta controtendenza rispetto a quanto
avviene a livello, ad esempio, provinciale, per il quale la Camera di Commer-
cio annotava una situazione di crisi nellindustria, iniziata a met degli anni
Settanta, e che per il comparto delledilizia, del legno e del mobilio si sono
registrate situazioni non favorevoli che si protrarranno almeno fino al 1985.

Fornitori, clienti, agenti


La qualit dei prodotti dipende, certo in misura non lieve, dalla bont dei
materiali impiegati e, nello specifico, dal livello degli elettrodomestici impie-
gati, per cui un giusto posto nelle affermazioni deve essere attribuito anche ai
Lena Fortuna,
a sinistra, con lo

190
scrittore Mario Soldati
nel 1977
a Marilleva

numerosi fornitori che,


nel tempo, sono stati
dei partners affidabili
per il successo dei vari
modelli di cucine.
Il sistema di vendita era
basato su agenti regio-
nali e rivenditori che dovevano riservare uno spazio dedicato appositamente
alle cucine Arc Linea. Per questo delicato aspetto della strategia dimpresa,
che faceva capo direttamente a Lena, si organizz, col tempo, una formazione
ad hoc per personale da assegnare a tale compito, con periodi di permanenza
in azienda e nel negozio di vendita di Vicenza, sito nella centralissima
zona di Piazza Matteotti.
Per lexport, che and aumentando sempre pi di peso nei fatturati, gi a
met degli anni Sessanta cucine Arc Linea prendevano, sia pure sporadica-
mente, la via della Spagna (Isole Canarie specie) e di Londra ma, ventanni
dopo, agenti estero operavano in Grecia, Messico, Stati Uniti, Finlandia,
Francia, Germania, Spagna e Olanda.
Nel medesimo periodo, la forza commerciale che operava in Italia era costi-
tuita da una quarantina di agenti per le linee Arc Linea e Aiko.
Naturalmente una tale espansione comporta un forte processo di potenzia-
mento della struttura aziendale, la cui componente impiegatizia arriver ad
un centinaio di elementi negli anni del massimo sviluppo: verranno infatti
assunti dipendenti da destinare al settore amministrativo ma molte altre
saranno le nuove figure necessarie per il funzionamento di una macchina
complessa di tali dimensioni.
Si trattava, cio, di tecnici come ingegneri, geometri, progettisti, disegnatori
e ricercatori, che troveranno posto nella palazzina degli uffici.
Questa era quasi una scelta obbligata se si voleva combattere ad armi pari
con la pi agguerrita concorrenza, rappresentata allora dalla lombarda Boffi
e da marchi come Salvarani, Patriarca, Schiffini e Snaidero, per citare le pi
reclamizzate tra le italiane.

Gli anni Ottanta: il massimo sviluppo


Larchitetto Pamio disegna nel 1980 il modello Gres, che sar per tutto il
decennio il cavallo di battaglia di Arc Linea: il successo registrato in Italia
come allestero va senzaltro attribuito, insieme alla forma, al particolare
colore, grigio antracite, che la riveste, alluso della ceramica per i banchi e
al mensoluce rosso che la contraddistingue.
Occorre riferire, a questo punto, la nuova mossa che consentir allazienda
di spingere ancora il proprio livello produttivo verso obiettivi ambiziosi,

191
con conseguenti fatturati impensabili per la fase piuttosto difficile che ca-
ratterizzava leconomia.
Viene creato il marchio Aiko, che avr di mira la classe media e i potenziali
clienti giovani con minori possibilit di spesa: si occuper di produrre cucine
di dimensioni pi contenute ma ugualmente complete di tutto e con finiture
della consueta e rinomata qualit. In questi anni, intanto, entusiasmo e nuove
energie entrano in azienda con la terza generazione Fortuna in quanto
a Silvio si aggiungono dapprima Marilina, figlia di Almerino, e di seguito
Walter, fratello pi giovane di Silvio con suo cugino Gianni.
Ancora, Arc Linea si lega nel 1985 ad uno dei pi noti architetti italiani,
Antonio Citterio, il quale dopo aver lavorato inizialmente per la linea Aiko,
disegner lanno seguente la cucina Italia pensata per per la gamma alta,
trasferendo in ambiente domestico i concetti e la funzionalit della cucina
professionale. Il modello, che negli anni sar oggetto di alcune evoluzioni
per assecondare i mutamenti nel gusto dei consumatori, avr un ottimo
ritorno commerciale e costituir per molto tempo la base per lespansione
a livello internazionale dellazienda.

Lingresso degli uomini in cucina


Non bisogna dimenticare, al riguardo, che ormai la donna italiana sempre
pi occupata nel lavoro esterno, sta modernizzando il suo stile di vita e gli
uomini cominciano, pur con una certa cautela, a erodere lesclusiva femmini-
le per lambiente pi caratterizzante e vivo della famiglia: c meno tempo a
disposizione e non di rado sono loro a doversi cimentare con la preparazione
di cibi quotidiani, in un ambiente sovente pi piccolo di un tempo ma che
deve essere nondimeno piacevole e pratico.
Particolare cura viene pertanto rivolta al marketing nella duplice forma dello
studio dei cambiamenti in atto nei costumi e nei gusti e nel conseguente
adeguamento dellimmagine dei nuovi modelli, sempre pi accattivante per
catturare i potenziali consumatori.
Ma fondamentale, poi, ai fini dellacquisizione di nuove quote di mercato,
la partecipazione alle Fiere di Milano, Torino, Monza, Padova, Bologna,
Roma e Bari (oltre ad altre minori) che testimonia lobiettivo di coprire
pressoch tutto il territorio nazionale.
Lungo il decennio un altro fortunato progetto posto in essere: si tratta di
Punto & Linea.
La grossa esperienza accumulata nel settore specialistico delle cucine il
retroterra per organizzare in modo creativo anche altri spazi della casa. Nella
fattispecie, cio, non ci si limita a realizzare i grandi ambienti pranzo-cucina
ma si progettano arredamenti complessi e soluzioni articolate grazie a
risposte inedite a particolari problemi quali la sostituzione di pareti o la
delimitazione di zone dellabitazione.
Ed ecco che leconomia comincia finalmente ad invertire la tendenza: la
disoccupazione preoccupa sempre, avendo raggiunto la percentuale del
13% della forza lavoro, ma aumentano le aziende che si quotano in Borsa

192
e linflazione registra un discreto calo. Altri eventi che, nella seconda met
del periodo, segnalano un indubbio miglioramento sono, ad esempio, il
riacquisto da parte della Fiat della quota azionaria in possesso della Libia
e il ritorno allattivo dellIRI, che cede allazienda automobilistica torinese
lAlfa Romeo. Ora anche Ciampi, Governatore della banca dItalia, esprime
ottimismo per il futuro. Arc Linea Spa, che ha saputo inserirsi positivamen-
te nellonda favorevole, pu dunque esprimere comprensibilmente la sua
soddisfazione festeggiando nel 1990 i trentanni di qualit forte anche nei
rapporti umani, orgogliosa di sentirsi nella piena maturit di unazienda
che diventata leader nel settore dellarredamento della cucina e della casa.
I dipendenti assommano a 213, cui vanno aggiunti gli architetti-designers,
gli agenti Italia ed estero e, inoltre, altre figure di collaboratori come i com-
ponenti le squadre di montaggio e gli autisti.

Lemigrazione, il sostegno familiare


Caldogno ha avuto in sorte la provvidenziale circostanza di ospitare nel
Novecento, tra le sue famiglie, due nuclei parentali di eccezionale interesse
per gli studiosi di storia economica contemporanea: i Fortuna, residenti
nella parte vecchia del paese (il Sesto) e gli Zanella, spostatisi presto nella
localit periferica della Siberia.
Per entrambe lesperienza dellemigrazione del capo famiglia in Svizzera,
per Silvio Fortuna e in Australia, per Giuseppe Benedetto Zanella, seppure
in periodi diversi, ha costituito una fase della vita che ha molto contribuito
a forgiarne i caratteri oltre che, nel caso di Zanella, precostituire la base
economica necessaria allavvio dellattivit industriale dei figli. Per quanto
riguarda i Fortuna laver mantenuto nel tempo un forte rapporto di collabo-
razione convinta e di reciproca fiducia ha assicurato una notevole sinergia
nello svolgimento dei rispettivi ruoli in azienda e rappresentato il punto di
forza decisivo nella competizione aperta con la concorrenza.
Almerino, da quanto ci parso di cogliere, non poteva operare senza lap-
poggio di Lena, come Angelo non poteva condurre la propria funzione senza
i consigli e la condivisione dei due fratelli.
Il valore dei vincoli familiari, anche per la riuscita delle iniziative economi-
che, del resto uno dei punti su cui Lena ritorna spesso nella sua testimo-
nianza rivolta ai nipoti della terza e quarta generazione Fortuna.
Una delle caratteristiche, comunque, riscontrabile nella lunga e vincente
avventura di Arc Linea la determinazione con cui i fratelli hanno avviato
e portato a felice conclusione innumerevoli iniziative in un campo spesso
non ancora dissodato, sapendolo poi coltivare al meglio.
Ma altre doti naturali, alla base certamente dei loro successi, sono lintelli-
genza e la rapidit di cogliere le opportunit del mercato. Pure labitudine
di affidarsi ad esperti e tecnici di valore nellanalisi dei gusti e dei bisogni
dei consumatori e nellelaborazione delle proposte con cui attrarre la clien-
tela potenziale ha costituito un aspetto costante nella loro esperienza che
si avvia con fiducia verso il traguardo del secolo. Dalla nostra ricostruzione

193
della storia dei primi sessantanni di vita dellazienda, si sar intuita la sua
grande importanza per la crescita complessiva di Caldogno e si compren-
der, credo, il senso di sincera riconoscenza che tuttora molte persone in
paese provano per coloro che lhanno creata e guidata pure tra difficolt che,
successivamente al periodo considerato, non sono mancate.
Oggi, si deve riconoscere che il marchio Arc Linea dovunque sinonimo di
alta qualit, di tecnologie davanguardia, eleganza di stile e funzionalit. E
che, pertanto, lazienda della famiglia Fortuna, la cui produzione collocata
per il 70% circa allestero (specialmente in America e Asia) inserita a pieno
titolo tra quelle che meglio esprimono il made in Italy, su cui puntata
gran parte delle speranze di sviluppo del nostro Paese.

Fonti
Arc linea di S. Fortuna & C. snc, Premio europeo Mercurio doro 1969, s.d.
Arc linea, come e perch, Caldogno, 1980
Arclinea, Lazienda oggi, brochure s.d.
L. Fortuna, La Storia di Arclinea dagli inizi agli anni 80, Vicenza, 2014
Arclinea magazine, anno 7, n. 8, 2015
In cucina come in salotto in Il Corriere della Sera, 25.5.1969
Una lunga storia di cucine. Dal legno alla tecnologia in Il Corriere della Sera,
31.1.2012
Scompare lindustriale Fortuna in Il Giornale di Vicenza, 11.8.2012
1960.90 Arc linea. Trentanni di qualit forte. Anche nella qualit dei rapporti
umani, ultima pagina di Nuova Vicenza, 29/9/1990
Giovanni L. Fontana (a cura di), Lindustria vicentina dal Medioevo a oggi, Vicenza 2004
Cons. Prov. dellEconomia Corporativa, Lattivit economica in Provincia di Vicenza
nellanno 1936, Vicenza, 1936
Relazioni della Camera di Comm. Ind. e Artigianato di Vicenza sulleconomia pro-
vinciale relative al decennio 1937-46, al biennio 1947-48 e allanno 1953.
Dati e commenti della Camera di Comm. Ind. Artig. e Agricoltura di Vicenza sulleco-
nomia provinciale riguardanti i periodi 1964-69 e 1966-1971.
Camera di Comm. Ind. Artig. e Agricoltura di Vicenza, Relazione sullo stato delleco-
nomia vicentina nel 2000. Confronto 1995-2000, Vicenza, 2001
Interviste a Lena Fortuna, febbraio 2015, e a Silvio Fortuna, aprile 2015
Interviste ad alcuni dipendenti storici di Arclinea, febbraio-marzo 2015
ACQUISIZIONI & MODERNIT

194 Dopo un secolo di storia


il divano si mangia la cucina
la B&B compra Arclinea
PINO DATO

G

li articoli, con poche differenze semantiche, sono pressoch tutti
uguali. Non possono, ovviamente, raccontare una storia per
unaltra. I titoli, invece,
cambiano. Mutamenti
sottili, a volte perfino
grossolani, che stanno
a indicare i sentimen-
ti diversi di chi scrive
e vogliono indicare, a
chi legge, una verit che
pu apparire soft, hard,
o semplicemente asciutta.
Noi abbiamo scelto il titolo pi asciutto, come vedete, con qualche con-
cessione alle metafore (che nellanalisi giornalistica pagano sempre). Ma
vediamo gli altri.
Sul sito di B&B Italia si legge: B&B Italia socio di maggioranza
di Arclinea. Merita loscar dellasciuttezza. Vi si legge tutto. Soprat-
tutto: chi comander da domani in Arclinea? Il socio di maggioranza:
cio B&B. Non servono altre
illustrazioni.
Sul sito di Arclinea si legge:
Arclinea annuncia la
partnership strategica
con B&B Italia. Si proteg-
ge la radice. Non una bugia,
anche perch Silvio Fortuna
rester amministratore de-
legato della societ (come
logico). Ma la partnership
strategica la vuole e la fa Sopra: una recente creazione B&B, la
B&B, che ha 500 dipendenti, poltrona Husk, e una creazione Arclinea
7 flagship store nelle capitali del mondo e ben 40 monobrand. B&B che
distribuir da oggi Arclinea nel mondo. Da sola Arclinea non ce lavrebbe
fatta. E B&B non aveva, tra i suoi brand, una divisione come Arclinea.
Il Sole 24 Ore titola: Shopping nel Made in Italy. A B&B Italia il 195
70% di Arclinea.
La chiave tutta l: la maggioranza ampia di Arclinea stata venduta dalla
famiglia Fortuna a Investindustrial, un fondo dinvestimento che fa capo
ad Andrea Bonomi e che possiede B&B Italia. Il prezzo, scrive Il Sole,
non stato comunicato.
un prezzo finale. Lo scopo dellim-
presa, dice la cultura della gestione
capitalistica, rendere liquido il pa-
trimonio. Paradossalmente, limpre-
sa non ha una vita infinita. Produce
reddito, che si accumula e diventa
patrimonio netto. Alla fine chi de-
tiene le leve del comando (nel caso
Arclinea la famiglia Fortuna) rende
liquido il patrimonio accumulato
che il valore cartaceo delle azioni
Silvio Fortuna, AD di Arclinea non rappresenta. Incassa lesito su-
premo di un secolo di lavoro e di
accumulazione. Paga Investindustrial di Bonomi. Quanto? Affari privati.
Quel che conta che Arclinea, diretta ancora formalmente da Silvio For-
tuna ma capitalisticamente da Giorgio Busnelli, amministratore delegato
di B&B Italia, continuer la sua vita. Probabilmente (ma nulla sicuro nel
capitalismo) rester a Caldogno. Probabilmente accrescer la mano dopera.
Aumenter il fatturato perch potr contare su un parquet distributivo nel
mondo di eccellenza e molto pi grande di quello attuale.
Tutti ci hanno guadagnato, stavolta. La B&B perch apprezza la tecnologia
e la professionalit Arclinea, Arclinea stessa perch aumenter il volume
daffari, e la famiglia Fortuna perch ha reso liquidi il lavoro, i sacrifici, il
capitalismo familiare dimpresa di un intero secolo (e perch, sia pure in
minoranza, continueranno a vivere professionalmente allinterno della loro
creatura).
Una soluzione da manuale. Ora la parola va al mercato, dio laico di tutti
(credenti e non credenti).
Perle rare di buona amministrazione vicentina
196 Restano abolite le tasse
VITTORIO CABE

L a municipalit di Vicenza cos ha deliberato:


Cittadini, sollevatevi; lenerga della vostra industria non ha pi ostacoli
che la inceppino; ella pu estendersi, rinvigorirsi, seguir tutti gli slancj
del genio, della libert, del giusto interesse, del regolato amor proprio.
La coltivazion del Tabacco, e la vendita libera di questo divenuto un
diritto di tutti. Il Dazio Oglio pure abolito, e il libero commercio di que-
sto genere interessante apre a tutti un campo per rendersi con proprio
vantaggio anche benemeriti della Patria. Labolizion finalmente del Dazio
sopra lIstromenti, Testamenti, ed altri Atti, con cui si gravavano per fino
i Contratti, deve rendervi sicuri, che la vostra Municipalit, seguendo i
principj sacri della Libert, pensa a toglier, per quanto le circostanze lo
permettono, ogni ostacolo alla libera circolazione del Soldo, e dei Fondi,
onde animar lindustria, e fare scorrere in tutti senza impedimenti i mezzi
dalla Nazionale Felicit.
Per tal fine la Municipalit venuta in determinazione di abolir ancora
tutti li Dazj seguenti, e toglier le Privative infrascritte.
I. Resta abolito il Dazio Pestrino, che cadeva sul Pane vendibile, e ci
tanto nella Citt, Borghi, e Colture, quanto nel Territorio; quindi ognuno
sar in libert di fare, e vender Pane. In grazia dellabolizione di questo
Dazio, e della Diminuzion del Dazio Macina ne succeder lingrandi-
mento del Pane: invigiler perci a chi spetta, affinch un oggetto s
interessante il bene del Popolo non manchi desecuzione.
II. Resta abolita la Tassa dIndustria, e Traffico, cadente sopra le Arti
Liberali, e Meccaniche, Ruote dEdifizj tanto da terra, che da acqua, e
Mulini: restando pure abolita la Tassa del Ducato effettivo sopra ogni
Fornello da Seta.
III. Resta abolito il Dazio Cappelli, che cadeva sopra ogni Banco da Follo.
IV. Resta abolito il Dazio Ducato per Carro sopra il Fieno.
V. Resta abolito il Dazio Miniere, che cadeva sopra le Cave di Pietra
di qualunque genere, ed altri Minerali, Sabbione, Calcare di Calcina,
Fornase di Cotto: salvi sempre li diritti de Proprietarj de Fondi.
VI. Ognuno potr comprar, e vender Carte da Giuoco ovunque gli piac-
cia; ed ognuno potr liberamente fabbricarne.
VII. Similmente ognuno potr comprar, e vender Vetri, e Cristalli ovun-
que gli piaccia, non che erigere a suo talento Fabbriche di tali generi.
VIII. Ognuno potr imbianchir Cere dette di Compimento.
IX. Finalmente ognuno potr non solo fabbricar Acquevite, e Rosolj, ma
ancora venderne allingrosso, ed al Minuto a suo piacere. 197
Tutti gli altri Dazj di qualunque sorte dovranno sussistere nel solito piede
fino a nuove deliberazioni.
Restando eccitati tutti li Debitori delli Dazj a soddisfar sollecitamente ogni
loro residuo debito tanto verso la Cassa Nazionale, come ad ogni altro
Posto, o Casello a ci destinato.
Chi lo trascurer, sar riguardato come nemico del ben della Patria.

Era il 17 floral (6 maggio 1797) anno V della Repubblica Francese e


primo della Lombardia.
Sono passati pi di due secoli, ma i concetti espressi sono sempre attuali.
Succeder qualcosa con la tanto auspicata riforma? Siamo curiosi, anche
se le necessit di cassa lasciano poche speranze.

Prima della Rivoluzione francese e lapplicazione bonapartista in area italiana di


alcuni suoi princpi, vigeva, come si legge nelleditto vicentino del 17 Floral, addi-
rittura il dazio sui cappelli. Ecco una riproduzione del documento.
198 QV TESTIMONIANZE
FERRUCCIO MANEA
E FERRER VISENTINI:
DUE ANTIFASCISTI
DELLA NOSTRA STORIA
Di famiglie di tradizione socialista entrambi, ma
con vite vissute parallele e forse, involontariamente,
complementari. Figlio della grande tradizione operaia
comunista scledense, il primo; valoroso protagonista della
guerra civile spagnola il secondo. Hanno entrambi concluso
la loro vita nel Vicentino, conservando la coerenza e
lorgoglio per le battaglie condotte tutta la vita per principi
di libert ai quali credettero senza piegarsi mai

Q
GIANNI SARTORI

uindici anni fa, quasi nello stesso giorno (rispettivamente


9 e 11 febbraio 2001), se ne andavano due tra i maggiori
esponenti dellantifascismo militante nel Vicentino. Il Tar, Ferruccio
Manea, a 86 anni; Ferrer Visentini a 90 anni.
Quella della morte quasi sincronica non stata lunica coincidenza. Le loro
vite in qualche modo si erano gi incrociate.
Nato a Trieste, Ferrer Visentini (il nome gli era stato dato in memoria del
pedagogista libertario fucilato a Barcellona nel 1909) mi aveva raccontato
con partecipazione, direi anche con orgoglio, di aver conosciuto il fratello
maggiore del Tar, Ismene Manea, destinato a perire tragicamente nel 1944
per mano dei nazisti. Avevano combattuto fianco a fianco come volontari
internazionali in difesa della Repubblica contro i franchisti (fronte di Caspe e
battaglia dellEbro). Sia Ferruccio che Ferrer parteciparono attivamente alla
Resistenza, ma in seguito i loro destini personali erano stati diversi: il Tar
quasi emarginato per il suo estremismo (tacciato a volte di anarchismo),
Visentini rispettato militante del Pci e consigliere comunale dal 1956 al 1970.
Il saluto al Tar lo avevano dato gli antifascisti
dellAlto Vicentino al Circolo Operaio di Ma-

199
gr di Schio mentre Ferrer Visentini era stato
ricordato nella storica Loggia del Capitanio, in
piazza dei Signori. Le note dellInternazionale
e di Bella ciao avevano accompagnato lultimo
viaggio di entrambi.

Ferruccio Manea,
nome di battaglia TAR

Del comandante della Brigata Ismene (citato


ripetutamente dal compaesano Luigi Mene-
ghello, sia in Libera nos a Malo che in I Piccoli
Maestri 1) conservo una serie di ricordi personali,
un collage di incontri e conversazioni, a volte casuali, altre pi approfonditi.
E tante immagini fugaci di iniziative a cui entrambi abbiamo partecipato.
Sia le manifestazioni organizzate a Schio da Lotta Continua (in particolare
quelle contro il golpe cileno) che le riunioni nella sede del Gruppo anarchico
operaio (GAO) di Marano Vicentino tra il 1973 e il 1974.
Nel 1974 tocc al Tar tenere lorazione funebre per il Borela, un vecchio
antifascista che egli considerava suo maestro. Personalmente avevo potuto
incontrare questo anarchico scledense soltanto pochi mesi prima, allospizio
di Schio, dove regolarmente i giovani anarchici dellAlto Vicentino si reca-
vano a visitarlo. Ricordo che anche lultima volta, ormai costretto a letto,
si preoccupava di devolvere una parte cospicua della sua esigua pensione
a qualche prigioniero politico (in particolare a Giovanni Marini) e a sostegno
di Umanit Nova, giornale anarchico fondato da Errico Malatesta nel 1920.
Arrivai appena in tempo per raccogliere qualche testimonianza, poi ampliata
dallo stesso Tar, sui precedenti libertari in zona: la visita di Pietro Gori (lautore
di Addio Lugano Bella) per linaugurazione della prima Camera del Lavoro nel
Vicentino di ispirazione anarcosindacalista; le barricate sulla strada che collega
Vicenza con Schio per sbarrare il passo ai fascisti messi poi in fuga da un gruppo
di Arditi del Popolo (tra cui il Borela); la partenza forzata per lAustralia di una
decina di famiglie di noti militanti anarchici dopo che per loro era ormai diventato
impossibile trovare lavoro negli stabilimenti della zona.
Il corteo che accompagn, a piedi, il Borela dalla camera ardente dellospizio
verso il cimitero era composto, oltre che dai familiari, da una cinquantina di
compagni: partigiani delle Brigate Garemi, esponenti dellANPI, anarchici
1
...c una societ da smontare, pensavo, e forse questa la volta buona...La societ non
stata smontata, per: dopo la guerra luomo col berretto di pelo torn in prigione, e io dico
che una bella vergogna.
(Luigi Meneghello, I Piccoli Maestri)

Sopra: copertina della biografia dedicata a Ferruccio Manea
da Patrizia Greco, con la prefazione di Mario Isnenghi
da tutta la provincia, qualche militante di Lotta Continua e di Lotta comu-
nista. Numerose le bandiere nere (con lA cerchiata rossa) e quelle rosse e

200
nere (tipo CNT e USI). Ne sventolava anche una in odor deresia: rossa con
lA cerchiata nera. Ferma nella memoria lespressione intensa del Tar, col
volto tirato, livido. Conclusa lorazione funebre per il Borela, nel silenzio
totale pronunciava quasi un ordine: Saluto, compagni!. E decine di pugni
chiusi si alzarono, ecumenicamente, senza distinzioni ideologiche, mentre
la bara del vecchio Ardito del popolo scendeva nella terra.
Un altro ricordo, risalente al marzo 1985: il Tar al corteo di Padova indetto
per protestare contro luccisione a Trieste di un esponente dellAutonomia
padovana (Pedro a cui venne poi intitolato uno dei pi noti Centri sociali del
nord-est). In seguito lo incontrai a Bassano (dove avevo portato una mostra
contro lapartheid, mi pare nel 1987) in occasione dellincontro-dibattito
con un responsabile in esilio del Pan African Congress (PAC, organizzazione
dei Neri del Sudafrica, seconda solo a quella di Mandela, lAfrican National
Congress, ANC). Da qualche parte dovrei conservare ancora i negativi delle
foto che immortalavano il vecchio combattente antifascista insieme a due
esponenti della lotta contro il razzismo istituzionalizzato di Pretoria, non a
caso denominato Quarto Reich. Una continuit e un passaggio del testi-
mone non soltanto ideali. Lo rividi ancora, sempre nel 1987, ai funerali del
partigiano Alberto Sartori, Carlo. Una scena che non avrebbe sfigurato
nella Piazza Rossa, tra decine di bandiere rosse mentre cadeva la neve im-
biancando sia la bara che il colbacco del Tar. In seguito mi ero ripromesso
di tornare a intervistarlo, di telefonargli, ma come spesso accade, rinviai la
cosa di mese in mese, di anno in anno e non lo rividi pi.

La Val dAssa di Pedescala e Forni

Invece nei primi anni Settanta capitavo spesso a casa sua (e solitamente
senza preavviso, forse anche in modo inopportuno, ma mai che mi abbia
mandato a quel paese). Prima a Malo, poi nella casa colonica in aperta
campagna dove si era trasferito. Passavo in bici, talvolta in moto, magari
dopo unarrampicata in Pasubio o unescursione in Val dAstico, Rio Freddo,
Posina. Sempre ospitale, davanti a un bicchiere di rosso, se interpellato il
Tar riandava volentieri alle sue avventure partigiane tra gli stessi monti. Del
Pasubio mi resta la intensa descrizione di un cruento scontro a fuoco tra il
Palon e il Dente austriaco. Ma soprattutto il fatto che Ferruccio, a guerra
finita, fosse ritornato decine di volte tra quelle pietraie sfregiate dalle trincee
per ritrovare e recuperare i corpi dei compagni caduti.
Altre volte ci avvinceva descrivendo in dettaglio i mille espedienti messi
in atto per sopravvivere durante le gelide notti, soprattutto quelle passate
in gran parte alladdiaccio durante il primo inverno. Con una tecnica che
ricordava il film Corvo Rosso non avrai il mio scalpo (Jeremy Johnson) met-
tevano grosse pietre a riscaldare sul fuoco e poi le seppellivano ricoprendole
con uno strato di terra. Si stendevano quindi a dormire e, se il lavoro era
stato ben eseguito, potevano sperare di dormire fino al mattino successivo
mentre le pietre rilasciavano lentamente il calore accumulato. Accadeva

201
talora che lo strato di terra fosse troppo sottile e in questo caso rischiavano
bruciature, ustioni o un principio di combustione degli abiti. Se invece lo
strato era troppo spesso, il calore finiva rapidamente e ci si risvegliava in-
dolenziti e tremanti per il freddo nel cuore della notte.
Questo avveniva per esempio in Val dAssa, destinata a diventare tristemente
celebre per leccidio di Pedescala e di Forni, operato dai nazifascisti nel 45.
Sempre in Val dAssa (sinistra orografica della Val dAstico) si svolse un
episodio che il Tar ricordava con rabbia. Si trovava in ricognizione con altri
due partigiani e si era allontanato da solo per controllare un sentiero quando
il silenzio del bosco venne infranto da grida e lamenti. Provenivano dalla
radura dove aveva lasciato i compagni. Arrivato sul posto trov uno dei due
agonizzante; rantolando pronunci le sue ultime parole: Tar, tradimento!
e indic la direzione verso cui laltro (evidentemente una spia, un infiltrato)
si era dileguato. Ferruccio si pose allinseguimento e, ormai allo sbocco della
valle, scorse il fuggitivo in lontananza. Forse fu il dolore per il compagno
vilmente assassinato, forse il desiderio di vendicarlo (sembra che Tar,
nome conferitogli da Alberto Sartori, significasse proprio Vendetta),
fatto sta che nonostante la distanza, riusc a colpire, ma solo con il secondo
colpo, linfame. Dopo questo fatto, temendo di essere stati ormai indivi-
duati, il gruppo decise di trasferirsi verso Posina (destra orografica della
Val dAstico). Si accinsero quindi ad attraversare nottetempo la vallata che
separa le pendici dellAltopiano dei 7 Comuni da quello di Tonezza, dal Pria
for, dal Summano...Nonostante ogni accorgimento, i loro movimenti non
sfuggirono ai numerosi cani presenti nelle contrade tra Cogollo e Arsiero e
nella notte si levarono ripetutamente ululati e latrati che avrebbero potuto
mettere sullavviso i fascisti. Riuscirono comunque ad arrivare (a passo di
marcia) indenni prima dellalba a Castana e da qui a Posina.

Il grande rastrellamento del 1944. Malga Zonta

Anche se la storiografia non vi ha dedicato molte pagine, si pu legittima-


mente sostenere che in queste valli, per qualche mese, si organizz una vera e
propria Repubblica partigiana, stroncata soltanto dal grande rastrellamento
del 1944. Proprio sopra Posina e Laghi (separate da un rilievo di modeste
dimensioni) si erge il Monte Maggio, da cui ben riconoscibile Malga
Zonta dove un folto gruppo di partigiani (tra cui Bruno Viola, il marinaio)
venne fucilato dai tedeschi dopo che avevano strenuamente combattuto
fino allesaurimento delle munizioni. A Laghi invece stato recentemente
restaurata la lapide, posta vicino ad un capitello, per il partigiano Vitella,
morto in difesa del popolo durante lo stesso rastrellamento; curiosamente
la scritta sia in italiano che in latino. Tutte queste vittime del nazifascismo
erano state compagni di lotta del Tar che, anche a distanza di tanti anni, li
ricordava con sincera commozione. Ricordava anche, con gratitudine, il cane
che gli era stato vicino in tutte le vicissitudini della Resistenza e a cui, diceva,
doveva anche la vita per tutte le volte che lo aveva avvisato anticipatamente

202
di un possibile pericolo.
La vita non era mai stata tenera con il Tar, un operaio autodidatta che aveva
cominciato a lavorare duramente in tenera et. Fu perseguitato dal fascismo
e perse il fratello maggiore, Ismene, in circostanze drammatiche.
Ismene Manea, muratore comunista emigrato in Francia, aveva combat-
tuto in Spagna con le Brigate Internazionali fin dal 1936, prima nella forma-
zione Picelli e poi nella Garibaldi. Venne fatto prigioniero dai franchisti
nella battaglia dellEbro (settembre 1938) e da questi consegnato alla
polizia italiana. Inviato al confino a Ventotene, dopo la caduta del fascismo
dallautunno 1943 partecip attivamente allorganizzazione del movimen-
to partigiano nel Veneto. Il 6 luglio 1944 venne catturato da un gruppo di
ucraini al servizio dei tedeschi. Torturato in maniera orribile, sar fucilato
il 12 luglio insieme a Giovanni Penazzato.
Esistono le immagini, riprese coraggiosamente da un improvvisato opera-
tore nascosto nel palazzo di fronte, del trasferimento dalla Caserma Cella
di Schio al luogo dellesecuzione. Appena saputo della cattura di Ismene, il
Tar cerc invano di organizzare una formazione abbastanza numerosa da
poter assalire la caserma dove il fratello era rinchiuso. Purtroppo era ap-
pena arrivato lordine di sganciarsi e di trasferirsi altrove in piccoli gruppi;
quindi, la maggior parte dei partigiani scledensi si trovava nellimpossibilit
di essere allertata. La formazione fu in grado di ricostituirsi soltanto dopo
alcuni giorni, troppo tardi per liberare i prigionieri.
Successivamente la Brigata del Tar venne denominata Brigata Ismene.
A questo dolore si aggiunse, proprio nei giorni della Liberazione, la morte
prematura del figlio. Un solo rimpianto: non aver preso il mitra per procu-
rarsi, armi alla mano, le indispensabili medicine dove si trovavano in abbon-
danza, nellinfermeria dellesercito statunitense a cui si era rivolto invano.2
2
ah la liberazione: fu un giorno tremendo.Non potendo comprare la penicellina mio fi-
glio lho visto morire mentre chi aveva il denaro quelli hanno sopravvissuto, mentre mio
figlio venuto a morire, il mio primo figlio, che aveva gi sofferto scappando qua e l. Mai
potr perdonare questa infame societio, ero pieno di miseria, tanto vero che quando
morto mio figlio alla Liberazione non avevo neanche quelle 20 mila lire da prendere la
penicellina che veniva venduta al mercato nero, cos chi che gavea denaro, i figli dei ricchi
oppure anche i vecchi che oramai avevano fatto una esistenza, avevano la possibilit di
prendere la penicellina e hanno protratto la loro vita ancora per altri mesi o qualche anno,
mio figlio invece che era nel fiore della vita perch non avevo una manciata di vile denaro
da comprare questa penicellina, mi morto proprio alla Liberazione, subito dopo, quando
tutti inneggiavano alla libert ed erano tutti felici,alla vittoria insomma, io purtroppo ho
conosciuto una delle pi grandi amarezze, per non avere questo denaro per comprare la
penicellina. Cos voglio dire che non perdoner mai a questa societ.
(dai ricordi del Tar registrati da A. Galeotto)

Purtroppo solo la somministrazione di penicillina, venduta allora al mercato nero avreb-


be potuto strapparlo alla mortema noi non disponevamo di tanto denaro. E pensare che
appena una decina di giorni prima mio marito, che aveva nomea di ladro di galline, alla
testa di un reparto della Brigata da lui comandata aveva ritrovato a Longa di Schiavon ci
che molti cercavano in quelle ore: il tesoro della sinagoga di Firenze trafugato dai nazisti in
ritirata. Si trattava di una quarantina di casse ricolme di opere darte di inestimabile valo-
re, che mio marito avrebbe potuto dichiarare preda bellica ma che prefer invece restituire
immediatamente alla comunit ebraica.
(Alessia Giustina, moglie del Tar)

203

Spagna, 1996: Ferrer


Visentini riceve lonorificen-
za della nazionalit
spagnola, insieme a Leo
Valiani, uno dei padri
della patria.

Nonostante tutte queste amarezze, negli anni successivi il Tar fu sempre


lucidamente a fianco dei movimenti di lotta e contestazione, stimato e amato
da varie e successive generazioni di giovani antagonisti.
Lo ricordano ancora tutti coloro che in momenti e con metodi diversi han-
no lottato contro lo stato di cose presente (e magari anche futuro): dalla
Resistenza al 68, dalla breve estate dellAutonomia ai Centri sociali...E lo
ricordano con le immagini fortunosamente riprese durante la battaglia di
Schio, mentre corre attraverso una faggeta, piegato in avanti, colbacco ben
calcato, pistola nella destra e arma automatica a tracolla...allassalto del cielo.

Ferrer Visentini, in Spagna per la Libert

Ferrer Visentini era nato a Trieste nel 1910. Il padre Ulderico, un calzolaio
prima socialista e poi tra i fondatori del Partito comunista a Trieste, venne
assassinato dai fascisti nel 1922. Gli aveva dato questo nome in memoria di
Francisco Ferrer i Guardia, famoso pedagogista anarchico catalano fucilato
lanno prima, il 13 ottobre 1909 a Barcellona. Nativo di Trieste, si considerava
ormai pienamente vicentino avendo vissuto nella nostra citt per molti anni
in qualit di membro dirigente del Pci prima e del Pds poi.
In anni ormai lontani lo avevo intravisto nellantica sede comunista vicen-
tina (anche insieme a Sartori Antonio, altro operaio comunista volontario
in Spagna) e poi meglio conosciuto alla presentazione di una sua preziosa
pubblicazione sui volontari vicentini nella Guerra civile spagnola (In Spagna
per la libert, Ed. ANPI , Vicenza). Fu in quella occasione che parlammo di
Ismene Manea la cui foto segnaletica riprodotta a pagina 48.
Tra i partecipanti, il poeta Fernando Bandini, autore della prefazione,
Eugenio Magri, giovanissimo gappista durante la Resistenza, Gino
Morellato che dopo aver combattuto nelle Brigate internazionali parte-
cip alla Resistenza francese raggiungendo il grado di capitano dei F.T.P.
(Francs-tireurs et partisans, il movimento di resistenza interna francese
creato ancora nel 1941 dal PCF).
Lo reincontrai un paio di volte verso la met degli anni Novanta riportandone

204
questa intervista. Troppo breve per riassumere in modo esauriente una
vita tanto avventurosa, ma forse in grado di delineare la personalit di un
rivoluzionario di professione del secolo scorso.

Innanzitutto qualche cenno biografico...


- Provengo da una famiglia di socialisti, mio padre, un calzolaio con la terza
elementare, fu uno dei fondatori del Partito Comunista dItalia a Trieste.
Mi chiam Ferrer per un motivo ben preciso, un mio fratello fu chiamato
Darwin, un altro Giordano Bruno...Nel 1926 mi iscrissi alla giovent comu-
nista cominciando molto presto a svolgere attivit clandestina. Diffondevo
materiale propagandistico in citt e nei cantieri navali. Nellottobre del
1930 venni chiamato dalla direzione nazionale giovanile a dirigere lattivit
clandestina in Lombardia. Per questo sfuggi allarresto al momento della
caduta dellorganizzazione giovanile a Trieste e, sempre nel 30, venni in-
serito tra i latitanti ricercati dalla polizia politica. A Milano, con documenti
falsi, resistetti pochi mesi. Venni arrestato il 21 gennaio 1931 in seguito a
una retata a Sesto San Giovanni.

Cosa successo poi? Il carcere, il confino...?


- Il carcere di sicuro. Sono stato processato dal Tribunale speciale e condan-
nato a nove anni di reclusione per ricostituzione del partito Comunista. Fui
inviato prima a Lucca, dove rimasi dal 31 allestate del 33 e poi a Civitavecchia,
dove vennero concentrati i politici. Venni amnistiato nellottobre del 34 per la
nascita del figlio del Re. Ritornai a Trieste, mesi in libert vigilata e nel maggio
35 scappai, riprendendo lattivit clandestina. Ma mi and male, venni ripreso e
inviato al confino per due anni, dal 35 al 37, a Ponza. Il 24 maggio 1937 espatriai
clandestinamente con un passaporto falso fornitomi dal partito e arrivai a Parigi
il 27 maggio. Un ricordo direi sconvolgente risale allultima domenica di maggio
quando partecipai alla grande manifestazione in memoria dei trentamila comu-
nardi trucidati nel maggio 1871. Un milione di persone percorse i boulevards
inneggiando alla memoria della Comune e in difesa della Repubblica spagnola.
A Parigi collaborai con Ruggero Grieco (segretario del partito comunista)
alla redazione di Lo Stato Operaio. Io avrei voluto andare subito in Spagna
dove era gi in corso lo scontro armato tra i repubblicani e i franchisti, ma il
partito non era daccordo. Raggiunsi ugualmente la Spagna nel dicembre 1937
con Giuseppe Boretti che avevo conosciuto a Ponza e che era riuscito a fuggire
dalla compagnia militare di disciplina di stanza a Ponza, riparando a Parigi.
Questo compagno mor durante la battaglia dellEbro. Dopo un periodo di
addestramento militare che mi fu molto utile poich non avevo fatto il soldato
in Italia, a Quintenar de la Republica, venni assegnato al IV Battaglione della
Brigata Garibaldi. Qui svolsi mansioni di responsabilit del partito.

Quel periodo segn il ripiegamento dei repubblicani...


- I franchisti, grazie al consistente aiuto di fascisti e nazisti, erano alloffensiva
su tutti i fronti. Ruppero il fronte a Caspe e avanzarono fino al mare, taglian-
do in due parti il territorio della Repubblica. Il nostro comando dispose il

205
trasporto immediato verso la Catalogna di tutti gli organici dei centri di ad-
destramento delle formazioni internazionali che si trovavano nella provincia
di Albacete. Ci ricongiungemmo con le rispettive unit militari ed assieme
ad altre unit spagnole prendemmo posizione lungo lEbro. La situazione
era molto grave: lesercito repubblicano era diviso in due tronconi. Inoltre
eravamo nettamente inferiori nellaviazione, nellartiglieria pesante e leggera
e nei carri armati; potevamo competere solo nellarmamento leggero. Fu una
battaglia durissima. Noi della Brigata Garibaldi entrammo in azione il
3 settembre, prendendo posizione sulla Sierra Caballs3 dove rimanemmo
fino al 24 settembre. Furono 24 giorni di duri e continui combattimenti con
gravissime perdite che raggiunsero lottanta per cento degli effettivi. Com-
plessivamente la battaglia dellEbro dur tre mesi e mezzo, dal 25 luglio al
16 novembre con perdite complessive, calcolando entrambi gli schieramenti,
di oltre 250 mila tra morti, dispersi e feriti.

E dopo la Spagna, lItalia?


- Non subito, ovviamente. Nel dicembre del 38 con Italo Nicoletto rientrai
in Francia. A Parigi continuai a lavorare nellorganizzazione dei volontari
antifascisti di Spagna e collaborai al quotidiano Voce degli Italiani. Ma lo
scoppio della guerra e linvasione del territorio francese da parte dei tedeschi
mi costrinsero a rientrare nella clandestinit. Svolsi il mio lavoro politico tra
i migranti con il PCF 4. Nel giugno del 1941 venni arrestato dalla Gestapo e
inviato al campo di sterminio KZ delle SS a Compiegna dove rimasi fino
allagosto del 44. Con lavanzata alleata, durante il trasferimento degli in-
ternati in Germania, riuscimmo a evadere con laiuto dei partigiani francesi.
Dei quattromila che eravamo, solo trecento erano riusciti a sopravvivere.
Rientrai poi in Italia giusto in tempo per partecipare alla fase finale della
lotta di liberazione a Torino. In seguito la vita e gli incarichi mi portarono
stabilmente a Vicenza.

3
Sierra Caballs e Pandols, una catena collinare, costituirono quel fronte di Gandesa ricorda-
to in una versione della famosa canzone repubblicana:
Si me quieres escribir
ya sabes mi paradero:
en el frente de Gandesa,
primera lnea de fuego

4
Da ricerche successive fatte penso di poter affermare che Visentini ebbe modo di collabora-
re con il MOI (Main-doeuvre immigre, organizzazione sindacale dei lavoratori immigrati
della CGTU - Confdration gnral du travail unitaire) che aveva attivamente sostenuto la
Repubblica spagnola (anche con la partecipazione di suoi membri alle Brigate Intenazionali)
e forse anche con il primo FTP-MOI (Francs-tireurs et partisans-Main-doeuvre immigre)
sorto nel 1941. Del FTP-MOI nota la vicenda dellAffiche rouge, un manifesto stampato
dai nazisti nel 1943 con le foto di 23 membri del FTP-MOI poi fucilati. Il gruppo era quello
guidato dal poeta armeno Missak Manouchian. I nazisti cercavano, peraltro invano, di
alimentare lostilit dei francesi nei confronti della Resistenza mostrando come a questa par-
tecipassero molti stranieri immigrati (italiani, spagnoli, armeni...) e molti ebrei.
206 QV LARTE, LA STORIA
GINO ROSSI: VITA
E OPERE DI UN GRANDE
PITTORE CHE LITALIA
VOLLE POSTUMO

C
GIANGIACOMO GABIN

orreva lanno 1974. Mi piace molto questa espressione, che in ge-


nere prelude al racconto di grandi eventi. Per quanto mi riguarda ci che
accadde nella mia vita, in quel settembre 1974, fu veramente un grande e
significativo evento perch ebbi una folgorazione (non sulla via di Damasco
come notoriamente accadde a San Paolo) ma molto pi modestamente in
via Canova a Treviso nel complesso monumentale di Casa da Noal dove
campeggiava un grande manifesto relativo alla mostra di Gino Rossi.
Allora avevo parecchi anni in meno sul groppone. Amavo larte, ma assillato
dalla necessit di fare uno straccio di carriera nellattivit lavorativa, per
portare a casa qualche soldino in pi, lArte in genere, e in particolare la
pittura - che nel corso del tempo si sarebbero installate prepotentemente
nella mia vita - non erano ancora al centro del mio mondo.
Ricordo di aver letto da qualche parte che lamore per la pittura, quando
la si esercita seriamente senza ricercare la visibilit a tutti i costi, come
quello dedicato ad unamante meravigliosa, ma possessiva al punto da
essere crudele perch non accetta alcuna interferenza. Ahim si tratta del
mio caso e vi assicuro che non una bella situazione per chi ti circonda, a
cominciare dagli affetti - come quelli familiari - che nella vita dovrebbero
essere sempre privilegiati.

Grande, anzi grandissimo

Da quando Quaderni Vicentini mi ha dato la possibilit di esprimermi


con la scrittura, solo in qualche rara eccezione, come quella sulla mostra su
Hayez a Milano, mi sono sempre defilato dai grandi temi che riguardassero
Gino Rossi

207
Un ritratto

pittori di fama, per-


ch su certi argomenti
non si pu scrivere
con animo leggero e
magari con un po di
ironia: senza contare
che nel caso di Gino
Rossi la faccenda
anche maledettamen-
te complicata. Come
spesso accade alle per-
sone innamorate c
il pudore di svelare
ad altri i sentimenti
pi profondi che ogni
innamoramento porta
e comporta e si tende
quindi a trattenerli
nellanimo. Questa
volta per ho deciso
di correre il rischio e
di scrivere su un grande, anzi grandissimo pittore che ha segnato
profondamente e forse in modo definitivo la mia visione dellArte.
Lo scoglio stato superato grazie ad una recente mostra segnalatami da
Franco Dalla Pozza, animo sensibile oltre che fraterno amico, amante
come chi scrive, dellArte, e anche, il caso di dirlo, valido pittore.
Si tratta della mostra I Nabis Gauguin e la pittura italiana davanguardia
da non perdere assolutamente perch rimarr aperta sino al 14 febbraio 2017
negli spazi espositivi di Palazzo Roverella di Rovigo.
In questa esposizione ho ritrovato e rivisto con la solita commozione Gino
Rossi felicemente - o forse meglio dire: tragicamente - accostato a Paul
Gauguin come si legge sul libretto introduttivo della mostra stessa che
ritengo opportuno, qui di seguito, trascrivere: Gauguin e Rossi, due storie
lontanissime eppure vicine: il primo conquistato, catturato e tragicamente
sedotto dai paradisi tahitiani, il secondo scivolato in un fulminante itine-
rario sin dentro i gironi dinferno di un manicomio di provincia. Eppure
capaci, entrambi di una pittura dove la semplicit purezza primigenia
e insieme ingenuit, affinamento alchemico e traduzione di un pensiero
filosofico cristiano, lucido e tragicamente fragile.
Ma ritorniamo a quel lontano 1974 quando mi trovai, lo ricordo bene, come
ho scritto allinizio di questo racconto, di fronte al manifesto della mostra.
Impossibile dimenticare quella splendida immagine riproducente il faccione
tondo del pescatore dal berretto verde dipinto da Gino Rossi nel 1913.
Prima di scrivere sulla vita del pittore desidero togliermi un groppo allo

208
stomaco, per cercare di mitigare, andando poi avanti con il racconto, la
tristezza che mi assale ogni qualvolta mi viene in mente quanto sto per
scrivere. Siamo alla fine della vicenda terrena di Gino Rossi.

Un artista muore, anzi un santo...


il 16 dicembre del 1947, Rossi muore per un collasso.
Un critico e letterato di grande valore, Silvio Branzi, cos scrive il giorno
del funerale celebrato nella Chiesa di Santa Maria Maggiore a Treviso (Gino
Rossi 2004, Linea dombra, a cura di Marco Goldin): Era una mattinata
gelida e nebbiosa, tanto che il freddo ci pungeva [] La Chiesa era vasta ma
sembrava vuota. Quattro candele ardevano ai lati del catafalco, dalle pietre
nude del pavimento sentivamo il freddo salire per le gambe fino a morderci
lo stomaco, di tanto in tanto qualcuno di noi batteva i piedi per riscaldarli
[] . Dun tratto una candela si spense sul lato sinistro del cataletto ed un
chierico corse a riaccenderla, ma appena egli fece latto di andarsene la
candela torn a spegnersi, di nuovo il chierico la riaccese. Il prete celebrava
svelto, quando si volgeva verso di noi vedevamo il suo fiato fumare nellaria.
Da qualche parte ho letto a proposito di questo funerale che il chierichetto
tent pi volte di riaccendere quella benedetta candela ma il prete, che si-
curamente conosceva bene il Vangelo ma probabilmente poco lArte, invit
bruscamente il chierichetto a lasciar perdere senza sapere, poveretto, che
stava officiando le onoranze funebri di un santo. Proprio cos, cari lettori,
nessuno si scandalizzi per questo mio convincimento. Basta rivisitare la
vita di Gino Rossi, alle rarissime gioie contrapposte al dolore che la vita gli
ha riservato, alla grandezza e spiritualit della sua Arte, per affermare che
non sono poi tanto lontano dalla verit. Daltra parte lArte, come afferma
Papa Francesco nel suo bel libro La mia Idea di Arte (a cura di Tiziana Lupi
Edizioni Musei Vaticani Mondadori), evangelizzazione. Che non sia
il caso di segnalare il caso al Papa? Chiss, potrebbe, vista la sensibilit del
Pontefice verso le sofferenze umane, prendere in considerazione almeno la
sua canonizzazione.
Ma chi era Gino Rossi? Provo a raccontare la sua storia. Luigi Rossi, detto
Gino, nasce a Venezia nel 1884 a San Samuele da Teresa Vianello e Sta-
nislao Rossi. Poche sono le informazioni sulla sua infanzia, si sa della sua
formazione classica agli Scolopi di Firenze ed al Foscarini di Venezia. Si
sa inoltre che non comp studi artistici regolari e che la sua formazione fu
essenzialmente quella di un autodidatta. Lunico suo maestro fu il pittore
russo Schereschewsky.
209

Giovanni Comisso (a destra) conversa con Gino Rossi (con il berretto


bianco) ospite allOspedale psichiatrico di Mogliano (Venezia).

A Parigi con Arturo Martini


ma ladorata moglie lo lascia
Dopo la prematura scomparsa del padre, si sposa, diciannovenne, con
Bice Levi Minzi, pittrice, ma di scarso valore. Sono gli anni che lo vedono
viaggiare in Francia e nei Paesi Bassi, avvicinandosi al primitivismo ed ai
pittori fauves. Tornato in Italia, ottiene uno studio a Palazzo Pesaro, grazie
al lascito della duchessa Felicita Bevilacqua La Masa. Partecip alla mostra
della Bevilacqua del 1910 con il muto, case di Burano e soprattutto con
la fanciulla del fiore, quadro, questultimo, come dir pi avanti, entrato
magicamente nella mia vita.
Nel 1912 torna a Parigi con lo scultore Arturo Martini e con lui espose al
Salon dAutomne. Rientrato in Italia, fu abbandonato dalla moglie che lo
prefer allo scultore, peraltro modesto, Licudis.
Questa vicenda determin un periodo di completa prostrazione che gli
imped di dipingere.
Quando ci si sposa, pur innamorati, bisogna sempre mettere in conto che
le mogli, come i mariti ovviamente, possono anche andarsene. Tanto vale
abituarsi subito allidea per non soffrire troppo quando levento accade. Per
fortuna nel 1913, anno cruciale per lartista, conosce la sua nuova compagna:
Giovanna Bialetto, creatura molto buona, dotata di grande cuore e di
molte intuizioni (Lettere di Gino Rossi a cura di Luigina Rossi Bortolatto
Neri Pozza Editore). Questa creatura (spesso le donne innamorate sanno
essere eroiche) gli rimarr sempre vicino, anche nei momenti pi bui.

210
Nel 1916 viene richiamato alle armi ed assegnato dapprima ad Arzignano
nell VIII Reggimento Bersaglieri e successivamente trasferito a San Pietro
Incariano di Verona. Del passaggio di Gino Rossi nel nostro territorio re-
stano alcune tracce. In particolare ha del sensazionale (ma gli studi vanno
approfonditi) lintuizione del pittore siciliano Alessandro Finocchiaro
nell aver individuato, nelle sbiadite tracce di pittura affioranti in una delle
pareti della sagrestia della Chiesa di San Silvestro a Vicenza niente meno che
la mano di Gino Rossi (Il Giornale di Vicenza dell11.3.2014: San Silvestro,
Gino Rossi dipinse qui).
Vale quindi la pena entrare nella Chiesa di San Silvestro, farsi il segno della
croce, che fa sempre bene, girare in fondo a destra, entrare quindi nella
sagrestia ed ammirare questo affresco, credo ahim in precarie condizioni.
Ma ritorniamo alla vita del nostro pittore.

Lamicizia di Giovanni Comisso

Nel 1917 parte per il fronte e viene fatto prigioniero. Soffre la fame pi nera
e gli vengono affidati i compiti pi duri ed umilianti per una persona dalla
superiore sensibilit come la sua. Racconta Giovanni Comisso nel roman-
zo I due compagni ispirato in parte alla vita di Rossi: Gli diedero del colore
nero, un pennello ed una lunghissima lista di nomi ogni giorno. Le bianche
croci di legno fresco riempivano il magazzino. Prese la prima volta tra le
dita il pennello e la mano gli trem: egli era quello che una volta dipingeva
quadri accolto da giovani con entusiasmo. Laspro comando di un soldato
di guardia che gli imponeva di mettersi al lavoro gli scacci langoscia che lo
premeva. Nel 1918 torna dalla prigionia. Dopo varie vicissitudini dolorose
si rifugia sulle colline asolane dove, pur vivendo in completa ed assoluta
povert, dipinger quadri bellissimi.
C una lettera nel 1925 del pittore a Giovanna Bialetto che riassume e
concentra tutto il suo dolore: Giovanna mia questa vita non finisce pi,
mi par di essere uno straccio e tante volte mi par dimpazzire. Cammino
attraverso i campi, sento suonare le ore e i grilli cantare, dov Ciano? E la
nostra casa? Quando la sera tornavo col cavalletto ed il telaio dal lavoro
e la cena era pronta e intanto scherzavo con Maria. Come sono lontani
quei giorni e quanto ho sofferto e soffrir ancora maggiormente! C un
merlo che fischia. Mi par di vedere il giro del Piave, l, vicino alla casa
con lo sfondo dei monti. Questo il paesaggio che vedo qui adesso (Gino
Rossi - mostra a cura di Marco Goldin Linea dombra - 2004).
Quel mi pare dimpazzire sembra essere il triste presagio del tempo che
seguir. Nel giugno del 1926, infatti, su segnalazione del medico condotto
di Crocetta del Montello dove Rossi viveva da anni in completa ed isolata
povert, venne ricoverato in Ospedale Psichiatrico, dapprima a Venezia,
San Servolo, successivamente a Mogliano e infine a Treviso S. Artemio, dove
211

Riproduzione in bianco e nero de La Fanciulla del fiore di Gino Rossi

morir il 16 dicembre del 1947.

La fanciulla del fiore

Certo, la mia esposizione sulla vita di Gino Rossi apparir agli esperti in-
completa e lacunosa ma il mio intento era solo quello di proporre una traccia
lasciando a chi vuole approfondire largomento consultare le fonti opportune.
Ma veniamo finalmente a quel magico incontro cui accennavo allinizio:
lincontro con la fanciulla del fiore.

212
Mi trovavo, era la fine di ottobre del 2006, quale infiltrato, non avendo
alcun titolo per esserci, allallestimento di una mostra indimenticabile:
Venezia 900 da Boccioni a Vedova, allinterno della Casa dei Carraresi
di Treviso e, per puro caso entro nella stanza dove, di l a poco, si sarebbe
verificato il miracolo. Arrivarono quindi gli inservienti, muniti di guanti
bianchi, con una cassa che aprirono con estrema cura. Da quellinvolucro
usc il quadro di Gino Rossi la fanciulla del fiore. Venne appeso alla parete,
nella giusta collocazione. Poi i tecnici delle luci proseguirono ed ultimarono
il loro prezioso lavoro. Io ero l, per mia fortuna, ignorato da tutti. Poi rimasi
solo nella stanza, io e la fanciulla del fiore. La guardai intensamente con
tutto il candido e puro amore che una persona non pi giovane pu sentire
per una fanciulla.
Adesso qualcuno, leggendo queste righe penser che chi le scrive sia un pazzo
ed probabile che abbia colto nel segno ma vi assicuro che la fanciulla in
questione non resse al mio sguardo ed arross. Allora feci finta di andarmene
ma sbirciando dalla porta socchiusa osservai che il rossore delle sue guance si
era attenuato ma appena mi riaffacciai nella stanza il rossore torn evidente.
Questa situazione and avanti per qualche minuto e poi decisi di andarmene
per non turbare lanimo di quella fanciulla. Il mio era colmo di gioia.
Ho raccontato ad alcune persone questa vicenda; i pi hanno scosso la te-
sta lasciandomi intuire il loro pensiero, altri, quelli pi generosi, mi hanno
riferito di certi giochi cromatici dovuti alle luci che potrebbero aver deter-
minato le mie impressioni. Io comunque preferisco pensare che la fanciulla
sia veramente arrossita per la mia presenza. Dimenticavo di dire che mentre
me ne stavo andando incrociai una gentile signora che mi chiese se il quadro
mi fosse piaciuto e se ne conoscevo lautore. Di fronte al mio entusiastico
fervore, credo si sia commossa dicendo: Deve sapere che io sono la pro-
prietaria di quel quadro. Vi lascio immaginare il mio stupore e la mia gioia
per quella inaspettata conoscenza che poi, nel corso degli anni diventata
preziosa e sincera amicizia. Ma la cosa stupefacente fu che la signora in
questione, proprietaria fra laltro di altri quadri importanti, appreso il fatto
che anche io dipingevo, volle mettermi alla prova commissionandomi un
quadro per il figlio che ricordasse il nome del figlio stesso. Dipinsi quindi un
grande quadro dal titolo: il martin pescatore che pesca una stella. Lidea
mi venne in mente durante il mio abituale girovagare, allimbrunire, sulle
sponde del nostro bel laghetto di Fimon che, per chi ha lo sguardo attento,
offre sempre ed in ogni stagione delle belle sorprese.
Mi capit in una di queste occasioni di vedere un martin pescatore che, prima
di raggiungere il nido, avendo ancora un po di fame, decise di tuffarsi per
agguantare lultimo pesciolino. Pensai allora che il martin pescatore fosse
ingannato dal riflesso di una stella e rimase quindi a becco asciutto. Si
trattava indubbiamente di una immagine poetica ma di non facile realizza-
zione. Non vi dico la fatica: secondo una prima stesura, il martin pescatore
sembrava pi un fagiano colpito in volo da una fucilata e non rendeva certo
Una lettera
Caro Barbantini, non ho una stufa per
riscaldarmi, non ho vestiti, non ho denaro... 213
Nino Eugenio Barbantini fu un critico
darte di altissimo valore, che a Venezia
lanci Ca Pesaro, collabor alla Biennale,
lanci molti giovani pittori, fra i quali Gino
Rossi. Nel secondo dopoguerra organizz
a Ca Pesaro una retrospettiva delle opere
di Gino Rossi. Pubblichiamo questa lettera
(peraltro non molto nota) del pittore a
Barbantini perch ci pare particolarmente
significativa.

Caro Barbantini, speravo di venire a


Venezia e poi non ho potuto, non ti ho scritto perch per quanto cara mi sia la
tua presenza e di sprone e conforto in questi momenti, non voglio darti spet-
tacolo della mia miseria. Ti parlo sinceramente e senza fronzoli: qui non ho
una stufa per riscaldarmi, non ho vestiti, non ho danaro per comprarmi qual-
che libro del quale sento tante volte il bisogno: ho la soddisfazione di vivere
in un paese magnifico, ma questa soddisfazione la pago caramente. Qualche
volta mi trovo al 20 del mese senza un soldo, Ti dico tutte queste cose perch
mi sei amico affezionato e con te non c da vergognarsi e poi perch la signo-
ra Gianna (che condivide con tanto cotraggio questa situazione) te ne avr
parlato. Dal Gian ti avr portato quelle due o tre cose mie fatte molto tempo
fa. Non valgono un granch, lo so, allinfuori di quella piccola marina bretone
dove vibra molto la mia sensibilit. Se tu potrai venderle a qualche tuo amico,
per poco, pochissimo, sar contento, Anche dieci lire hanno un valore, anche
cinque, e non mi offendo di niente quanto dato da te e per mezzo tuo.

lidea. Poi finalmente dipinsi una traccia luminosa ed il problema fu risolto.


Ma la cosa pi stupefacente fu che il mio quadro venne appeso per qualche
tempo in una stanza di fronte a quello di Gino Rossi. Poi le strade si divisero:
la fanciulla del fiore pare abbia trovato un po di riposo al Guggenheim di
Venezia ed il mio quadro in un appartamento di Milano. Mi piace pensare
che i due quadri, luno di fronte allaltro, abbiano colloquiato, ma temo che
la fanciulla del fiore in tale occasione arross davvero per essere posta di
fronte ad un modesto quadro dipinto da uno sconosciuto.

La scoperta postuma di una grande arte

Al di l delle mie vicende personali penso sia opportuno parlare di questo


benedetto quadro definito dallo stesso Gino Rossi la mia pi bella poesia
e riproporre quanto scrisse Nico Stringa sul catalogo della mostra dove
avvenne il mio magico incontro: il dipinto con cui, secondo una celebre
ma retrospettiva affermazione di Barbantini, si present la staffetta della
giovent alle esposizioni capesarine, iniziate nel 1908 ma solo nelledizione
del 1910 divenute il centro motore dellarte davanguardia giovanile vene-

214
ziana e veneta. Dopo essere stato presente con dipinti difficili da identificare
alle precedenti edizioni della Fondazione Bevilacqua, a palazzo Pesaro, Gino
Rossi dichiarava esplicitamente, con il dipinto qui in esame - unanimemente
considerato il capolavoro giovanile e il simbolo della Secessione capesari-
na - la sua adesione ai canoni estetici del postimpressionismo francese di
ascendenza gauguiniana e serusieriana: campiture plat, forme sigillate ,co-
stumi esotici sono ingredienti e modi del tutto nuovi nella Venezia (e Italia)
del tempo, che ebbero di conseguenza difficolt ad essere riconosciutiLa
fortuna critica dellopera tutta postuma, nessuno nella stampa veneziana
si accorse del dipinto nellaprile 1910 quando fu esposto per la prima volta.

Gino Rossi? Chi era costui?

Ma venuto il tempo di concludere con un recente ricordo per la verit, in


linea con questa storia, velato di tristezza. Ero stato invitato di recente ad
una festosa cena in occasione del compleanno di una mia generosa e gentile
amica. Dalla grande finestra di casa sua, proprio ai piedi della collina di Asolo,
guardavo la Rocca pensando al museo dove sono custoditi alcuni capolavori
di Gino Rossi e alle colline l attorno dove visse dolorosamente il pittore.
Mi ero quindi estraniato dalla pur gradevolissima compagnia quando una
bella signora, dagli occhi lucenti che mi sedeva accanto not il mio atteggia-
mento e mi chiese Perch continua a guardare dalla finestra?
Pensavo al pittore Gino Rossi risposi.
Gino Rossi? replic lei, Ma chi era? aggiunse.
Certo, non tutti sono obbligati a conoscere Gino Rossi e forse gli altri
commensali sapevano chi era ma la penombra della notte stava oscurando
con dolce malinconia la Rocca di Asolo. Ed anche nel mio animo scese una
lieve tristezza.
QV LOPERA 215

CECILIA BARTOLI
A LUCERNA
Una delle pi suggestive citt della Svizzera - Paese
straordinario e non sempre apprezzato per le sue molte
qualit - giustifica un viaggio per andare a sentire una
parimenti straordinaria Cecilia Bartoli impegnata in un
concerto che un anno fa fu costretta ad annullare a Milano.
Loccasione ci permette di rivisitare le virt di una cantante
che come il Paese che la ospita: adorata e ostacolata,
apprezzata e discussa. Comunque grande

ALBERTO MILESI

V ero che la Svizzera fatta soprattutto di svizzeri, ma come non amare


un territorio cos complesso, che stato domato dallintelligenza delluomo
senza ricorrere alla poetica dello stucchevole e del lezioso? Da ogni dettaglio
o dalla pi casuale associazione di idee provocata pi che da una madeleine,
da una cioccolata calda (magari da Hanselmann come nello struggente ro-
manzo di Rosetta Loy1) o da unocchiata allorologio a cuc (irrilevante che
sia di marca Anton Schneider piuttosto che Engstler o, se proprio si vuole
un rapporto qualit prezzo molto favorevole di Hubert Herre), si ricavano
le infinite potenzialit di chiunque voglia impegnarsi perbene nella vita, con
ragione e sentimento.
Sfatiamo tuttavia una credenza . Gli specialistici brand sopracitati non sono
svizzeri, ma vanno associati al manifatturiero ad alto valore aggiunto tede-
sco. Sbaglia pertanto Orson Welles, al minuto 67 del film Il Terzo Uomo, a
ricordare a Joseph Cotten cosa diceva quel tale. Cio che in Italia sotto
i Borgia, per trentanni, hanno avuto assassinii, guerre, terrore e massacri,
ma hanno prodotto Michelangelo, Leonardo da Vinci e il Rinascimento. In
Svizzera hanno avuto amore fraterno, cinquecento anni di pace e democrazia,

1
Rosetta Loy, Cioccolata da Hanselmann, Einaudi Editore, Torino.
Cecilia Bartoli
(Roma, 1966)

216
un mezzosopra-
no italiano
naturalizzato
svizzero. Ha
lavorato con
importanti
direttori
dorchestra,
tra i quali
Giovanni
Antonini,
Herbert von
Karajan, Daniel
Barenboim,
Nikolaus
Harnoncourt
e presso le pi
importanti sale
da concerto
e teatri del
mondo

e hanno prodotto solamente gli orologi a cuc!


Se questo tentativo di revisione potrebbe avere successo, diverso il caso
di un altro luogo comune difficile da sfatare. In Svizzera piove troppo. Un
viandante di livello medio, come potrei essere io, per vedere il Cervino senza
nubi ha dovuto andare tre volte a Zermatt.
A Lucerna, invece, il viandante di cui sopra ha sempre trovato cattivo tempo,
tanto che di questa elvetica icona, pi del ricordo delle sue suggestioni, resta
il compiacimento per i complimenti che il barboncino Pepe ha ricevuto in
passato da gente di tutte le nazionalit, per il suo distinto impermeabilino,
nero come lui, da cui sbucava come la barra di un timone la sua coda da
irascibile bestiola.
Saputo sul sito ufficiale che Cecilia Bartoli avrebbe cantato a Lucerna lo
stesso concerto che, circa un anno prima, aveva cancellato a Milano, prenotai
con almeno sei mesi danticipo due biglietti volendo andarci con un caro
amico (curioso di sentirla dal vivo) con cui sono sempre riuscito a litigare
prima delle rare esibizioni della grande virtuosa romana.
Per tutto il mese di settembre, nonostante la meta fosse Lucerna, si avuto
tempo magnifico e il giorno della partenza, sul parabrise della Terios color
titanio (quindi identico a quello della Terios della Francesca), brillava la
vignetta che autorizza laccesso alla rete autostradale, ed era opportuno
sfruttare sino alla sua annuale scadenza, dal proprietario di questo piccolo
SUV ideale, per affrontare quello che sarebbe stato il completamento della
gita oltre confine. Cio il ritorno nei mitici luoghi che ospitarono la saga di
James Bond a me tanto cara. In particolare le strade, i passi e pure il distri-
butore di benzina che fecero da contorno nella vicenda in cui il nostro Sean
Connery si trov a fronteggiare linsidioso Goldfinger.
217
I gorgheggi della Bartoli e la pubblicit della Coop

Cera tempo magnifico e tutte le richieste di altri amici per avere il secondo
biglietto erano state respinte perch con Paoletto stranamente non ero riu-
scito a polemizzare su almeno una delle infinite cose che compongono due
visioni del mondo assolutamente agli antipodi. Questo essere umano che
molti miei lettori conoscono non solo per la sua incredibile ossessivit, ma
anche per la sua impermeabilit a qualsiasi suggestione di carattere cultu-
rale, non si sa perch, apprezza molto gli strabilianti gorgheggi della Bartoli,
metabolizzati soprattutto durante la pubblicit della Coop. Pur dotato di
una fascia gessata dovuta ad uno strappo al muscolo gemello rimediato
al tennis che lo costringeva alluso delle stampelle, egli volle essere della
partita anche perch gli fu promesso che il vitto avrebbe previsto generose
porzioni di fonduta allEmmentaler; in subordine al Kirsch; in estremo
subordine di raclette al Gruviera.
Pepe invece, per accompagnare me e linfortunato, pretese, come ha sentito
dire una volta da un garbato relatore di non ricordo quale convegno solo
un albergo onorevole vista lago e unadeguata scorta delle sue tradizionali
crocchette della Royal Canin.
Dunque, caricato a fatica Paoletto sulla Terios (invero Pepe nonostante
le sua quattro zampe motrici poteva far poco per alleviare i problemi di
mobilit dellamico) il viaggio poteva incominciare sulla colonna sonora
del CD che venne realizzato durante il recital che Cecilia Bartoli tenne nel
rovente giugno del 1998 a Vicenza, nato dal desiderio di esibirsi in uno dei
pi importanti monumenti italiani: il Teatro Olimpico, monumento in cui
secondo Sir Nikolaus Pevsner, la gravitas di Roma si sposa con la solare
liberalit dellItalia settentrionale, con una facilit originalissima, inegua-
gliata nei suoi contemporanei.
La casa discografica Decca prov per settimane la ripresa e il montaggio
delle due performance gemelle da cui venne tratto appunto Live in Italy,
CD tuttora facilmente reperibile al pari del DVD (visibile su youtube) che
documenta anche lincredibile Mi Bemolle (nota sopracuta da soprano leg-
gero) che Cecilia emette a conclusione dellaria rossiniana Riedi al soglio.
Sar interessante constatare il trionfo che laccaldato pubblico vicentino
decret allartista romana, dopo il suo cavallo di battaglia Agitata dai due
venti dalla Griselda di Vivaldi, che scaten fragorosi applausi e ovazioni
interminabili tanto che la direzione del teatro propag, attraverso il grac-
chiante impianto di amplificazione, un memorabile quanto insolito annun-
cio: Siamo lieti del vostro apprezzamento, ma per favore non battete anche
i piedi altrimenti farete scattare lallarme!

218
Dieci milioni di dischi venduti nel mondo

Cecilia Bartoli, grande diva della lirica mondiale, ha venduto in un settore


piuttosto agonizzante come quello della musica classica, pi di dieci milioni
di dischi, in pratica quanto una vedette della musica pop. Qualche inten-
ditore, insieme agli invidiosi, non vede la cosa di buon occhio e considera,
la Nostra, una sorta di invenzione commerciale delle cosiddette major.
Prendendo spunto dal suo limitato volume, la relegano a fenomeno disco-
grafico o ad esempio preclaro dello star system farlocco, ma in realt Cecilia
Bartoli, oggi cinquantenne, non ha bisogno di nessuno, quasi pi ricca della
Svizzera, di cui ha acquisito la cittadinanza avendovi trovato biondo marito,
ed anche unoriginale operatrice culturale alla quale, da un lustro, stata
affidata la direzione a Salisburgo del festival di Pentecoste.
Dopo aver ricordato lo straordinario concerto giovanile della Bartoli, cele-
bratosi proprio a Vicenza, giusto ricordarne un altro assai pi recente e da
taluni osteggiato, celebratosi nel dicembre del 2012 al Teatro alla Scala. Se
parte della platea del tempio milanese ha sempre sofferto di presenzialismo,
parte del loggione ha sempre sofferto di protagonismo e a quellesibizione
le venne tesa unimboscata degna di quelle che afflissero Gioacchino
Rossini alla prima del Barbiere di Siviglia o Giacomo Puccini a quella
di Madama Butterfly.
Loccasione era ghiotta perch Cecilia Bartoli presentava un programma dove
aveva inserito, nella prima parte, Haendel e Mozart, mentre nella seconda
Rossini. Lorchestra era la Filarmonica della Scala diretta dalla prestigiosa
bacchetta di Daniel Barenboim.
Io ringrazier per tutta la vita il signor Felice, colui il quale, favorito dallaver
raggiunto la pensione e aver cos maggiore agio nel fare code e file di ogni
sorta, mi offr un ingresso per assistervi, perch quella volta sarebbe stato
veramente difficile esser presente. Ebbene, giunti alla fine del concerto, dopo
larduo rond dalla Cenerentola di Rossini, nel pieno di fragorosi applausi
e richieste di bis, un gruppetto di esperti incominci a buare la virtuosa,
spostandosi anche dallala destra a quella sinistra del loggione per creare
effetto stereofonico, suscitando addirittura le ire di Barenboim che ordin a
tutto il pubblico (lui ebreo, ma con piglio da nazista) di fare silenzio e lasciare
che la cantante eseguisse il bis richiestole. Anche di questo magic moment
resiste su Youtube a imperitura memoria il documento visivo. Basta inserire
nel motore di ricerca Cecilia Bartoli HUSHES and MOCKS booers
at LaScala with her singing e avrete sicuramente modo di divertirvi.
Lonore (condiviso) di essere fischiata alla Scala

Cecilia Bartoli, il giorno dopo, si disse onorata di essere stata fischiata alla
Scala giacch lo furono per esempio la Callas, la Caball, la Scotto o Pavarotti 219
e Bergonzi, ma probabile che non abbia apprezzato il comportamento di
quella minoranza di falchi in un contesto di colombe vestite di gala, cos
che alla successiva occasione, nellottobre del 2015, al concerto di chiusura
dellExpo, si diede indisposta e, causa limprovviso forfait, lasci a bocca
asciutta tutti i tipi di pennuti che si erano dati appuntamento per celebrare
la fine dellesposizione universale milanese.
Ma torniamo al presente: esaurito il mio bonus di ri-ascolto bartoliano, i
cantanti che fecero da colonna sonora al granito delle montagne, al bianco
dei ghiacciai e al verde di pascoli e pini cembri furono, Emma Marrone, i
Negramaro e, peggio ancora (ma meglio del Volo) i Mod. Il viaggio fu senza
intoppi e tra la ricerca dellalbergo sulla collina dellHimmelrich e qualche
formalit burocratica, vi fu il tempo per un riposino e per le opportune
cure tese ad evitare lamputazione dellarto inferiore sinistro al compagno
di viaggio. Non il tempo per un bidet giacch, come negli altri venticinque
cantoni, quasi tutti gli alberghi ne sono sprovvisti.
Venne finalmente il momento di scendere al KKL (acronimo di Kultur-
Kongress-Luzern), dove inserita la Concert Hall, unimmenso auditorium
progettato in riva al lago dallarchitetto Jean Nouvel (lautore, per inten-
derci, della torre senza fine parigina o del chilometro rosso a lato del
tratto autostradale Bergamo-Milano), che evoca spargimento di modernit
e tecnologia ad alto peso specifico e la possibilit di lasciare comodamente
un piccolo grande invalido sulla soglia dellingresso prima della discesa nel
parcheggio sotterraneo.
Restava ancora il tempo di sbagliare trancio di torta e tipo di caff per lamico
immobilizzato e di subire i brontolii del barboncino che, scocciato per la
lunga attesa del padrone, mi rimproverava di non intendermene di code,
per ritrovare la Bartoli in perfetta forma, una volta raggiunte in ascensore
le due comode poltroncine al quarto piano.

Organo vocale prezioso, piccolo ma buono


Voce anfibia, difficilmente catalogabile

La sua parsimonia nellesibirsi (da quindici anni una decina di recite operi-
stiche allanno e una trentina di recital) le ha ad oggi consentito di mantenere
in perfetto stato il suo prezioso organo vocale. Prezioso e piccolo come le
contestano in tanti (ma spesso il vino buono non sta nelle botti grandi) ma
talmente flessibile e pirotecnico capace, a mio avviso, di evocare lepopea
220

Una suggestiva immagine del Kultur Kongress Concert di Lucerna

dei grandi castrati che parteciparono alle prime opere di Monteverdi e


spopolavano allepoca di Handel, Hasse e Vivaldi, e pure ai tempi di
Mozart, di Gluck e del primo Rossini che, per tutta la vita, rimpianse la
fine di questi cantanti (con lunit dItalia la castrazione venne ufficialmente
dichiarata illegale).
Cantanti, i castrati, che suggestionavano i propri ascoltatori esibendo pi
che una voce estesa (quindi formidabile nel registro acuto) infinite capacit
coloristiche, dinamiche e virtuosistiche nella zona centrale della voce. Erano
pochi, idolatrati e pagati come oggi lo sono i calciatori: magari in uno dei
prossimi numeri vi racconter qualcosa di pi di questo magico periodo che
possiamo solo immaginare, perch lunico documento sonoro tramandato ai
posteri riguarda il sopranista Alessandro Moreschi (1855-1922), evirato
cantore del Coro pontificio presso la Cappella Sistina dove sopravvissero
gli ultimi castrati. Il Moreschi incise in due sessioni del 1902 e del 1904,
alcuni pezzi sacri che hanno tuttavia mero valore di curiosit perch ripro-
ducono la voce di un cantante in et per lepoca avanzata e comunque in
pieno declino.
Cecilia Bartoli si dichiara mezzo soprano ma per me voce anfibia dif-
ficilmente catalogabile. I suoi sconfinamenti nel repertorio sopranile (per
tutti la fosforescente Cleopatra nel Giulio Cesare di Haendel prodotto a
Salisburgo) sono innumerevoli e baciati dalla fortuna di pubblico e critica.
Voce piegata ad arte nei pi funambolici passaggi

Il programma presentato a Lucerna nel gigantesco auditorium spaziava


da Vivaldi a Raupach ed era dedicato a quel secolo e mezzo di produzione 221
musicale definito barocco dove tutto era improntato allirrealt e allidealiz-
zazione, in cui trovava cittadinanza ogni cosa che poteva stupire lascoltatore,
come passaggi di grande virtuosismo vocale e la profonda conoscenza dellar-
te dellimprovvisazione, che dava spazio alla fantasia di questi straordinari
istrionici interpreti.
Il pubblico di Lucerna, che effettivamente ha dovuto tirare le orecchie, per-
ch la vastit dellambiente penalizzava la cantante, ha potuto riascoltare
come terzo brano eseguito magistralmente, laria della Griselda di cui ho
parlato pocanzi e da l ha avuto modo di scaldarsi e appassionarsi a questa
leonessa che, a un orecchio inesperto come Paoletto, risultata avere pi
personalit che voce.
Voce che tuttavia, oltre ad essere musicale quanto quella di una Callas o di
una Berganza (cio intonatissima) viene piegata ad arte nei pi funambolici
passaggi nelle arie di baule, come si diceva nel Settecento per caratterizzare
i cavalli di battaglia in grado di galvanizzare il pubblico, ovvero di risultare
soave e sfumata, ma quello che pi conta non noiosa, nelle lunghissime arie
a carattere patetico o languoroso di cui il repertorio settecentesco abbonda.
Certo, rispetto a quello che dovevano essere, non dico i veri castrati, ma
pure i mezzosoprani prettamente belcantistici del recente passato, quali
lamericana Marilyn Horne, la padovana Lucia Valentini Terrani, la
francese Martine Dupuy, manca alla Bartoli un po di peso specifico che
tuttavia rispetto alle colleghe compensa con una superiore versatilit che le
ha consentito di eseguire, come ho gi scritto, ruoli da primadonna anche
nel repertorio sopranile che, alle predette, risultava inibito.
Lesito della serata, complici anche gli atteggiamenti da commediante e i tre
cambi dabito, stato trionfale e ha reso meno amaro il ritorno anticipato in
Italia giacch ogni tensione turistica, ovvero commemorativa della vicende
dellagente segreto pi famoso del mondo, erano risultate frustrate dalle
difficolt di un viaggio dandata in cui fu pi facile portare Pepe a far la pip
piuttosto che al malandato Paoletto. Inoltre, complice una fredda nottata
che aveva annientato la batteria della Terios (in realt vorrei chiamarla pila,
viste le microscopiche dimensioni) si ritenne opportuno rientrare senza
indugio nel Belpaese.
E cos, superati di slancio il Grimsel e il Susten, anche il passo della Furka
venne doppiato con una certa indifferenza, anche perch lalbergo Belvedere
(dove si sarebbe dovuto consumare unoverdose di fondue) era mestamente
chiuso o forse in restauro e il ghiacciaio prospiciente presentava inquietanti
segni di arretramento rispetto al mio ultimo passaggio di pochi anni fa. Solo
a Meiringen (paese di 4.740 abitanti, teatro dello scontro fra Sherlock
Holmes e il prof. Moriarty) si volle fare una sosta, ma lidea di bere suc-

222 co di mela non fu delle migliori e provoc ai corpi dei viandanti (non del
quadrupede, che si astenne dal consumarlo) una situazione paragonabile a
quella poco prima vissuta dalla batteria della Terios.
Al distributore di Andermatt il serbatoio della benzina era ancora mezzo
pieno e si soprassedette ad ogni tipo di sosta per imboccare al pi presto la
galleria del Gottardo. Galleria che leccellenza italiana di cui vi ho raccontato,
presto la Bartoli percorrer per tornare in Italia. Il 27 gennaio prossimo
previsto infatti un concerto a Roma nella sala Santa Cecilia della Casa della
Musica ideata da Renzo Piano, che pure non favorisce lascolto di una voce
soave e delicata, ancorch agilissima, come quella della Bartoli. Non tutto
il male viene per per nuocere, e proprio grazie alle dimensioni dellaudi-
torium ancora possibile trovare qualche biglietto per chi fosse interessato
al suo ascolto dal vivo.
The Floating Piers
223
I pontili galleggianti
di Christo
KETI CANDOTTI

D al 18 giugno al 3 luglio 2016 il lago dIseo diventato il


centro del mondo grazie allopera visionaria e incredibile realizzata
da Christo, artista bulgaro fra i maggiori rappresentanti della land
1
art e realizzatore di opere su grande scala.
The Floating Piers stato
concepito da Christo e
dallamatissima moglie
Jeanne-Claude nel 1970,
e nel 2014 Christo ha
deciso che il Lago di Iseo
avrebbe offerto lambien-
tazione pi suggestiva per
il progetto.
Lintervento di Christo
sul lago dIseo una delle
maggiori opere contemporanee mai realizzate al mondo. E non
solo come dimensione, ma per il significato e il coinvolgimento
popolare che essa ha comportato.
Un milione e duecentomila persone hanno potuto camminare libe-
ramente al centro del Lago dIseo, su una passerella-stuoia che ha
permesso di raggiungere a piedi Monte Isola, e poi lisola privata
di S. Paolo. Isole raggiungibili, normalmente, solo con barche,
battelli o elicotteri. Il percorso completo, largo 16 metri, era lungo
4500 metri, dei quali 3000 sullacqua e 1500 in percorsi pedonali.
2
Unimportante caratteristica dellopera stata la temporaneit.

1
Alcuni progetti furono rifiutati per anni prima che gli artisti (Christo e la moglie Jeanne
Claude) potessero vederli realizzati: 32 anni per Wrapped Trees (1966-1998), 26 anni per
The Gates (1979-2005), 24 anni per Wrapped Reichstag (1971-1995), dieci anni per The
Pont Neuf Wrapped (1975-1985), cinque per Running Fence (1972-1976), ecc.
2
Dopo il 3 luglio lintera struttura di The Floating Piers stata smontata e riciclata attra-
verso un processo industriale
Christo coltiva un sogno immateriale, rendendolo praticabile solo
per alcune settimane. Poi tutto, allapparenza, torna come prima.

224 Il sogno ha un inizio e una fine. Non crea legami e impatti durevoli.
Christo chiede al visitatore di abbandonare ogni pensiero razionale e
utilitaristico. Le passerelle sono inutili e impossibili, a livello di razio-
nalit urbanistica, e ciporta allirrazionalit onirica e alla necessit
della partecipazione fisica del pubblico che entra nellopera e diviene
esso stesso opera in simbiosi con lacqua, il vento, il sole. Ogni scelta
di Christo finalizzata a realizzare un progetto di bellezza, a partire
dalle dimensioni e dalle lunghezze della passerelle, per giungere poi
al modo in cui si snodano sulla superficie del lago, fino alla scelta
del colore giallo oro-arancio, che muta con la luce e con lacqua. E di
questa espressione di bellezza ciascuno diventa parte e protagonista.
Dal punto di vista economico e finanziario Christo a sostenere
totalmente i costi relativi alla realizzazione di The Floating Piers,
come di tutte le sue opere, a partire dalla richiesta dei permessi, per
poi continuare con la costruzione, linstallazione e lo smontaggio del
progetto. Con un investimento personale elevatissimo - 15 milioni di
dollari tutto viene pagato con i proventi della vendita degli studi
preparatori e di altre opere degli anni 1950 e 1960. LArtista non
accetta finanziamenti o sponsorizzazioni di nessun genere, come
pure non accetta che i visitatori paghino il biglietto per accedere al
progetto, non mette in vendita n cartoline, n manifesti o fotografie
e non incassa i diritti dautore sulla vendita di tale materiale, n sui
libri o sui filmati che riguardano i progetti suoi e di Jeanne-Claude.
Christo fermamente convinto che rifiutare contributi in denaro
gli consente di lavorare in totale libert e di non dover rispondere a
nessuno (a parte i numerosi vincoli imposti dalle Soprintendenze o
3
dagli enti preposti alla sicurezza).
Di contro, si stima che lopera di Christo abbia prodotto nellimme-
diato una ricchezza di circa 80 milioni di euro e il lancio definitivo del
lago dIseo. Lopera darte ha moltiplicato il lavoro e il guadagno per
decine di migliaia di persone, e investimenti, legati allaccoglienza,
sono stati compiuti da moltissimi operatori locali, dimostrando che
larte non solo fondamentale per la crescita culturale e umana, ma
pu essere unoccasione di economia virtuosa.
Niente male per una semplice passeggiata.*
3
Diceva Jeanne-Claude: Tutti i nostri progetti sono decisi da noi, vengono dal nostro cuore
e dalla nostra testa. Non accettiamo commissioni. Vogliamo lavorare in totale libert; fare ci
che desideriamo, come e quando lo vogliamo. Questo il motivo per cui rifiutiamo gli sponsor.
Abbiamo autofinanziato tutte le nostre opere darte. I nostri soldi provengono dai disegni pre-
paratori e dai collage che vendiamo a collezionisti privati, galleristi e musei del mondo intero.

* Copyright Il Commercialista Veneto, Quaderni Vicentini


QV VIAGGI 225

MERCEDES AVREU GARCIA:


FIERA DEL MIO PAESE
Incontro con una ex deputata cubana, che non riceve il
vitalizio come i nostri politici.
Lonore pi grande ci dice quello di aver potuto
rendermi utile in un Parlamento accanto a Fidel Castro e a
coloro che si sono impegnati per Cuba

A
MARIO PAVAN

l barrio Dino Pogolotti, presso lHabana, la leggendaria


capitale di Cuba (e forse la citt meno cubana di tutte), una realt edilizia e
abitativa messa in piedi proprio dal piemontese Dino Pogolotti nei primi
decenni del 1900 subito dopo la guerra dindipendenza del Paese dellAme-
rica Centrale, tutto un grande fervore di lavoro comunitario.
Donne volonterose e decise, accanto ad intellettuali e scrittrici, si danno da
fare per tanti bambini delle scuole del quartiere, oppure sono attive al centro
di lavoro artigianale, o nella casa di assistenza agli anziani. Il villaggio Po-
golotti si inserisce in un piano urbanistico tra le vie di un quartiere abitato
da cubani in prevalenza dalla pelle nera, eredi della loro fiera originaria
cultura africana.
Tra le varie persone che vi collaborano in una dimensione che continua
sotto ogni profilo umano e culturale, opera unex deputata al parlamento
di Cuba, la signora Mercedes Avreu Garcia, dal sorriso che contagia e
da due occhi nerissimi che brillano, in continuazione.
Parla con disinvoltura, in uno spagnolo comprensibile, agli ospiti e ai vi-
sitatori del Pogolotti. Enumera le varie attivit che vi si svolgono, con
entusiasmo si sofferma sullo spirito di collaborazione che qui si percepisce,
una volta varcata la porta dingresso di questa realt.
Mi chiamo Mercedes Avreu Garcia dice opero come volontaria in
questo centro e mi occupo delleducazione femminile, a tutto campo, sotto
il profilo sociale e culturale. Qui a Cuba e al Pogolotti emergono la neces-
sit di informazione,
la sete di cultura e

226 la spinta di respon-


sabilizzazione della
donna, a cominciare
dalla pi giovane et.
Cuba guarda necessa-
riamente al domani,
terra del futuro, qui ci
sono molti giovani ed
per questo che biso-
gna preparare anche
le nostre future ge-
nerazioni a capire, a
crescere, a imparare
a vivere in comunit.
Lonorevole Mercedes
parla con entusiasmo,
rispecchia chi crede
fermamente in quello
che ha scelto di fare
in un impegno quoti-
diano. Il suo sguardo
riflette quel sano otti-
mismo (che da noi for-
se ancora assente),
mentre compie anche
i servizi pi umili, qui,
al centro Dino Pogo-
lotti. Con tatto gentile
e umano mette a loro
agio i visitatori e gli
interlocutori che vogliono saperne davvero di pi di questisola, forse ancora
misteriosa (almeno lhanno resa tale per troppo tempo i mass media del
nostro mondo occidentale). Scambia volentieri quattro parole e subito passa
ed esige il tunel discorrere.

- Di che cosa ti occupavi, Mercedes, prima di essere una volontaria


a tempo pieno in questa realt?
Sono stata impegnata in politica, partendo dal basso, eletta nei vari seder,

Mario Pavan con Mercedes Avreu Garcia al barrio Pogolotti de lAvana


com la legge qui da noi, dove si viene eletti direttamente dalla gente, a
cominciare dai rappresentanti di caseggiato, di quartiere, di provincia
fino ad arrivare al Parlamento nazionale . E sono arrivata anche ad essere
eletta deputato. Pensa: essere in Parlamento accanto a Fidel , a Raul Ca- 227
stro, a tanti altri che hanno cercato di fare molto, in diversi decenni della
loro vita, per il nostro Paese ero fiera di poter partecipare alle riunioni,
nelle varie sedute parlamentari, facendomi portavoce di chi rappresen-
tavo, la gente con tante giuste esigenze. E oggi sono contenta perch tutti
possono curarsi gratis e i giovani possono frequentare la scuola fino al
conseguimento del diploma della maturit senza oneri per le loro famiglie.
Certo c molto da fare ancora ma credo che siamo sulla strada buona.

-E adesso percepisci un vitalizio da parte dello Stato?


Che cos il vitalizio? Ah, mi sembra di essere stata informata da qual-
cuno che viene qui a Cuba che si tratta di un assegno piuttosto elevato
che il vostro governo elargisce a chi, a fine mandato, al di l della durata,
ha svolto cariche politiche o amministrative di una certa responsabilit.
Macch vitalizio! Durante il mandato i deputati ricevono i rimborsi rela-
tivi alle spese di trasporto nei giorni delle varie sedute. Su tutto il resto,
prevalgono soprattutto lonore e la responsabilit importante di servire
davvero il Paese, al di l di tutto e prima di tutto.
Sconvolgente, sentire parlare cos. In maniera del tutto positiva, si riceve
una speranza possibile e da realizzare per un futuro (sarebbe giusto anche
un presente) migliore. Questa lex deputata signora Mercedes Avreu
Garcia che ha dato unalta lezione di educazione civicavissuta . Specie per
i nostri politici e per tanti di noi.
Certo, Cuba non stata il paradiso terrestre e non lo nemmeno ora, ha
vissuto per periodi ingiusti e duri di embargo e di emarginazione mondiale,
stata abbandonata dopo il crollo del regime sovietico da cui riceveva aiuti
finanziari. Ha patito tutto il popolo per queste misure, ma bisogna dare
atto di una coerenza con principi irrinunciabili, sorti da una rivoluzione di
speranza e di solidariet. Adesso che il novantenne leader maximo Fidel
Castro (che preferisce essere definito semplice compaero) ha lasciato il
potere, si intravvede una nuova luce. Sotto il profilo economico (con laper-
tura al turismo delle case particulares private per i turisti in alternativa agli
alberghi). La si avverte pure in campo religioso, con la frequenza della gente
nelle chiese dopo la visita degli ultimi papi, da Giovanni Paolo II, Benedetto
XVI e papa Francesco, ma soprattutto si respira unesigenza di libert, di
conoscenza di novit, portate anche dai cubani che ritornano in famiglia
dallestero, in occasione delle ferie.
Questo stato, definito ultimo vero baluardo di quel comunismo (sarebbe
meglio definirlo socialismo) vero e che ha conosciuto, nella sua storia,
diverse colonizzazioni, situazioni di sfruttamento e un periodo dove il par-
228

tito ha fatto da unico punto di riferimento decisionale, si sta confrontando


seriamente con la realt globalizzata. Un augurio: che non ne resti vittima!
Vale ancora il motto sincero, forse duro e che a molti ha dato e d ancora
fastidio: Hasta la victoria sempre, comandante! La vittoria della giustizia
e degli ideali della rivoluzione francese: libert, fraternit e uguaglianza,
che sono alla base pure della sua rivoluzione fin dalla sua lotta per lindi-
pendenza sulla scia di quel Jos Mart che troneggia in busti di gesso nei
cortiletti dingresso di moltissime case.
Mart, ispiratore dei rivoluzionari della mitica imbarcazione Granma, che
contava, tra i soli ottantadue guerriglieri a bordo, i fratelli Fidel e Raul Castro,
Ernesto Che Guevara, Camilo Cienfuegos, e il nostro Gino Don Paro di
Callalta del Trevigiano, morto a Sandon di Piave, in provincia di Venezia.
Unico italiano di quello sbarco.
Auguri, Cuba del Caribe!

Sopra: la cattedrale di Santiago di Cuba


QV MEMORIA 229
METTI, UNA SERA
AL CINEMA ESTIVO
UN FILM AMERICANO
SOTTO UNA VOLTA
DI STELLE
TOTO CACCIATO

I l Cinema estivo, allaperto, nei profondi anni 50, era un luogo


di bellezza, di fantasia e di sogno; la platea era distesa in una vasta area
tra palazzi o giardini di periferia. Nella frescura della sera tutta la platea
veniva appena rischiarata, a tratti, da quel singolare baluginio chiaroscurale
della pellicola che ronzava nel proiettore rumoroso; gli astanti, allucinati,
seguivano con proprie smorfie quelle dei recitanti sullo schermo.
Il cinema narrava lAmerica, che nel dopoguerra era il sogno di tutti, unAme-
rica tutta cinematografica, da sogno appunto, alla quale destinare i nostri
desideri e tutto il nostro immaginario fantastico.
Il prodotto cinematografico americano, che finalmente giungeva al grande
pubblico italiano, come non era stato possibile, in parte, negli ultimi anni
del Ventennio, appariva, nelle storie e negli eventi, democratico, giusto,
legittimo, fantasioso e spettacolare.
Il protagonista, a cui toccava la vittoria finale, era spesso una figura di
antieroe, testardo e solitario, vincitore, solo, contro tutti.
Tutti volevamo sapere tutto di quella societ, del costume, dei fatti e dei
personaggi americani, e tutto quello che vedevamo era bello e piacevole: le
vie, le piazze, i giardini, i palazzi, larredamento colorato delle case ameri-
cane, gli uffici con i vasti piani delle scrivanie e alle spalle grandi finestre
con veduta sui grattacieli della citt. E ancora, si ammiravano nei film i
colori e le fogge dei vestiti, le sgargianti giacche da pomeriggio di Walter
Dallalto al basso:

230
Gary Cooper, Hedy Lamarr,
Tyrone Power

Pidgeon, i cappelli a falde larghe di


James Stewart e Cary Grant, i ve-
stiti di seta di Hedy Lamarr e quelli
leggeri come una nuvola di Ginger
Rogers danzante con Fred Astaire
in smoking bianco o nero.
Si svelava intanto luso dei cosmetici,
finanche il suono del telefono era affa-
scinante: cupo e vellutato. I personaggi
erano forti, dolci, belli, comunicativi e
affascinanti; erano cowboy, ballerini,
cantanti, avventurieri, uomini daffari,
militari, politici, e pur nella loro diver-
sit di storie e avventure piacevano a
tutti e tutti vi trovavano aspetti morali,
esempi di vita nobili e divertenti.

Duello al sole,
Sangue e Arena

Si godevano i favolosi film di Hol-


lywood, tante storie e vicende ame-
ricane nelle sorprendenti pianure
dellArkansas e dallArizona, quelle
senza vegetazione e con grossi cactus
solitari; intorno i picchi e le pareti
scoscese delle montagne, come quelle
del leggendario western Duello al Sole,
estrema sfida a pistolettate tre due baldi
cowboy inerpicati nelle pieghe di quei canyon, per lamore di una passionale
amante meticcia. Anche Sangue e Arena un film da ricordare: la fantastica
Siviglia, il patio acciottolato nel verde ombroso di palmizi, e poi la tragica
arena, gialla e polverosa, il volto bello di uno dei pi belli di Hollywood, e
la sensualit prorompente, enorme, di una diva, non per niente chiamata
lAtomica.
Silvana Mangano, mondina di

231
Riso amaro (1949), di Giuseppe
De Santis, nella straordinaria
immagine rimasta nella storia del
cinema mondiale: icona sexy in
tempi di oscurantismo clericale.
La Chiesa di Pio XII cerc in tutti i
modi, ma per fortuna inutilmente,
di fermare il film.

I film che il fascismo non


ci aveva lasciato vedere

Passano, anche, i film prodotti


negli anni Quaranta in America
che a causa della guerra non
avevamo visto: Ombre Rosse
di John Ford, Quarto potere di
Orson Welles e passano anche
volti dei divi di Hollywood, le
commedie di Spencer Tracy,
i western di Gary Cooper, e
con questi i drammoni italiani
di Amedeo Nazzari, i film in
costume di Gino Cervi.
Poi passer sugli schermi la
nuova cinematografia italiana
del dopoguerra, il neorealismo,
scarno ed essenziale, di Zavat-
tini e De Sica. Nuovi film arri-
vano un po alla volta nelle sale
cinematografiche, film che testimoniano lItalia in guerra e nel dopoguerra
e la virtuosa speranza di rinascita, come Sciusci di Vittorio De Sica del
45, Roma citt aperta di Roberto Rossellini del 45, Ladri di biciclette
del 49 e Miracolo a Milano del 50, di De Sica.
Film del dopoguerra, e saranno, per i loro contenuti, la base culturale dei
giovani degli anni Cinquanta e Sessanta.
Visti oggi, quei film ci appaiono come lezioni di cinema, anche di storia e
di costume.
Cinema e societ

232 Insieme al Neorealismo passavano anche i film di ispirazione sociale, un mo-


dello di commedia popolare, meno tragica e un po divertente e sentimentale.
Un cinema senza orpelli, certamente pi libero e pi diretto, senza schemi
complessi ma cinema sociale, di sentimenti semplici, lamore innanzi tutto,
la poesia delle piccole cose, come in Domenica dagosto di Luciano Em-
mer del 50, e poi Riso amaro di De Santis, 49, con lavvenente Silvana
Mangano, In nome della legge di Pietro Germi del 49, poi, pi avanti
negli anni La provinciale, da un bel racconto di Moravia, Il ferroviere di
Pietro Germi, nel 57.
Film intensi che con pochi altri rimarranno nella memoria collettiva.

La scomparsa delle arene estive

Il cinema allaperto era un sito magico e costituisce uno dei pi bei ricordi
di quegli anni Cinquanta, molti cinema poi sono scomparsi per fare posto
ai palazzoni delledilizia speculativa, portatrice di malaffare e di stupidit.
La scomparsa delle arene estive stata come una ferita nei quartieri e pe-
riferie delle citt, perch venuta meno lazione culturale e ricreativa, un
apporto alla formazione e alla visione del mondo contemporaneo.
Il cinema stato, anche, un luogo di bellezza immaginativa, dinamica, ricco
di quel fascino e del mistero che nasce dal fantastico sortilegio del virtuale
sullo schermo, e che svanisce di colpo con la parola fine.
La parola fine mandava tutti a casa, e al sonoro cinematografico si alternava
di colpo il silenzio della notte nel chiarore vago della volta stellata sulla
citt. La luna gi alta navigava nel cielo di cobalto. Riaprivamo gli occhi
sulla realt. Ma anche il sogno le apparteneva ormai.

.
CINEMA, IMMAGINI, MATERIA, MODUS

Perch gli americani 233


lo fanno meglio?
PINO DATO

T oto Cacciato fa alcune riflessioni, nel suo articolo, molto


pregnanti, che stimolano infatti la mia immaginazione e la mia ansia
di capire le ragioni profonde di una realt che tuttoggi viviamo: la
preponderanza assoluta del cinema americano e di tutto quello
che il cinema americano esprime: societ, moda, modi di vivere, stili di
vita, vezzi, prodotti di consumo.
Lamico Toto dice: Tutti volevamo sapere tutto di quella societ,
del costume, dei fatti e dei personaggi americani, e tutto quello che
vedevamo era bello e piacevole: le vie, le piazze, i giardini, i palazzi,
larredamento colorato delle case americane, gli uffici con i vasti piani
delle scrivanie e alle spalle grandi finestre con veduta sui grattacieli
della citt. E ancora, si ammiravano nei film i colori e le fogge dei vestiti,
le sgargianti giacche.
Non poteva essere pi incisivo, Toto, in questa rassegna, materiale e
spirituale insieme. Materiale, in primis. Attenzione: ho scritto materiale,
non materialista. Questa materialit, diciamo cos, eccellente,
del cinema americano e dei suoi prodotti seriali pi moderni, come le
grandi serie televisive, eccetera, esiste tuttora. E tuttora afferra, senza
che molti di noi lo sappiano probabilmente, le nostre pi profonde
attenzioni.
Le afferra, le prende, le conquista, le fa proprie. Perch il cinema
americano e non quello italiano, che potrebbe, bello o brutto che sia,
esserci pi vicino e quindi assorbire la nostra vorace attenzione e la
nostra propensione imitativa, la nostra sensibilit e il nostro appetito di
astanti consumatori (in senso lato, non commerciale stretto)?
Alla risposta da dare a questa domanda ho pensato a lungo. Non ho
ancora una risposta definitiva, ne ho di parziali. Forse significative,
forse no.
Uno dice: bella forza, il cinema americano espressione di una societ
egemone. Di una societ padrona. Attrezzata per esserlo e continuare
a restarlo. Militarista. Capitalista. Ricca. Capace di diffondere i
propri prodotti, cio le proprie immagini, in tutto il mondo.
la prima idea che pu venire in mente. tuttaltro che sbagliata.
Attenzione: la questione prescinde da qualsiasi valutazione di merito
artistico. I film di Hollywood possono essere belli o brutti (e sono pi
234
New York, skyline
downtown

spesso brutti sul piano estetico). Il problema non questo. In ogni caso
sono portatori di una materialit frontale che riguarda gli stili di vita dei
personaggi, i loro vestiti, il loro modo di muoversi, le cose che comprano,
che guardano, che usano, le case che costruiscono, gli arredamenti dinterni
che prediligono (spesso e volentieri italiani). Il modo in cui parlano.
Attenzione: noi assistiamo a questi modus, impariamo questi vezzi,
ammirati. Loro sanno esprimerli e trasformarli in immagini che restano
stampate sulla rtina. Noi, no. Non creiamo alcuna concorrenza materiale
e frontale con i nostri film, i nostri modus, i nostri personaggi. Non siamo
neanche capaci, anche volendolo, di imitarli. Creiamo i Boldi, i De Sica,
nel migliore dei casi Montalbano, Checco Zalone, Lino Banfi. Onesti
professionisti, onesti personaggi, onesti rappresentanti di italianit (la
migliore, la peggiore?). Ma restano l. Non trasmettono una materialit
immediatamente percepibile e quindi da assorbire. Non attirano imitazioni.
Se gli arredamenti dinterni dei film americani sono di designer italiani,
loro (i designer) sono contenti che li diffondano gli americani. Cos entrano
nei cervelli, si stampano sulle rtine, fanno cultura.
solo perch lAmerica potente, il suo capitalismo effervescente e
dominante, Wall Street pi forte e pi grande di Piazza Affari?

Al cinema New York batte Roma dieci a zero

Risposte parziali, dicevo. Ne ho alcune (ripeto, parziali).


Gli americani hanno una cinematografia pi professionale, prima risposta.
Guardiamo come fanno un film. In linea di massima partono da una
sceneggiatura impeccabile. Non bella o brutta (questo un altro terreno).
Ripeto: impeccabile. Nulla lasciato al caso. Il montaggio perfetto. I
dialoghi sono (fin troppo) sincronici con le immagini. Le carrellate dallalto
delle citt sono accattivanti. Io penso che Roma sia pi bella di New York,
ma il modo in cui i cineasti americani da un secolo a questa parte ci
mostrano New York molto pi accattivante e, stavolta diciamolo: pi
convincente e bello di come il cinema italiano ci ha fatto vedere Roma.
Gli americani danno allesteriorit di cose e persone un valore pi

235
profondo di quello che diamo noi. Non significa che loro siano materialisti
e noi spiritualisti. Loro pensano che le apparenze siano la proiezione
dellinteriorit di ciascuno. Sono intimamente impregnati dello spirito del
protestantesimo anche se sono cattolici o quaccheri o ebraici. Inoltre,
essendo il cinema unindustria potente e redditizia, la simbiosi con la societ
civile totale. Il cinema proiezione della societ civile, anche (e soprattutto)
con tutte le sue falsit e le sue deviazioni morali. Tra cinema americano e
societ americana persiste un sistema di vasi comunicanti eccellente.
Tutto ci non esiste nel cinema italiano, perch abbiamo una sconfinata
fiducia nel nostro provincialismo (sud, nord, Toscana, Napoli, eccetera)
anche se le vicende della storia lo hanno impoverito e ridotto ai minimi
termini estetici e morali. Questo si traduce in povert di simboli e di
immagini da anni e decenni. Ed tuttora verificabile.
Ultima questione (ma questa unidea mia, forse sbagliata, ma da
approfondire): in Italia c una decadenza sotto gli occhi di tutti, quella
della borghesia (media o alta che sia). La decadenza una brutta bestia.
Non ti riconosci pi, non hai pi simboli da esibire. Che film di attualit,
che sia una testimonianza durevole, vai a fare con questa borghesia delle
banche e dei Mose, e dellExpo? Non manca solo lestetica, manca proprio
lo spirito. Gli anni 60, di Rocco, di Riso amaro, della Dolce Vita (borghesia
riconoscibile) non tornano pi.

Marcello Mastroianni e Anita Ekberg ne La Dolce Vita (1960) di Fellini.


NOTIZIE SUGLI AUTORI
236 CIRO ASPROSO. Responsabile commerciale e della sicurezza in unimportante azienda del
Vicentino. Ha una lunga esperienza politica legata a Vicenza e ai suoi problermi alle spalle.
Consigliere di Circoscrizione dal 1985 al 1990 e dal 1990 al 1992. stato presidente della cir-
coscrizione 5 dal 1992 al 1995 e consigliere comunale di Vicenza, per i Verdi, dal 1995 al 2008.
Nella sua attivit politica ha sempre approfondito temi connessi alla salvaguardia dellambiente,
del territorio e alla qualit della vita.

GIOVANNI BALDISSEROTTO. Gi Ufficiale di polizia idraulica presso il Magistrato alle


acque di Venezia, uf cio idrogra co. Uf ciale di polizia idraulica Genio Civile Lavori Pubblici. Dal
1985 ha lavorato in Africa (Sierra Leone, Guinea, Somalia, Mozambico, Zambia) come esperto
cooperante in pozzi e acquedotti, al servizio di Ong de lUnione Europea. Portavoce responsabile
del Comitato civico di Vicenza contro le alluvioni e gli allagamenti urbani.

KETI CANDOTTI, nata a Latisana (UD) e residente a Portogruaro. Titolare di uno studio di
Dottore Commercialista e Revisore dei Conti a San Michele in Tagliamento. Componente di di-
verse commissioni di studio nazionali dellUnione Giovani Dottori Commercialisti. Collabora da
alcuni anni a Il Commercialista Veneto. E amante dellArte, di Antiquariato, di Collezionismo.

VITTORIO CABE. Economista, revisore legale e contabile, libero professionista. Ha scritto


numerosi libri su fisco, economia e finanza presso i maggiori editori europei. Alterna la propria
residenza fra Vicenza, Venezia e Londra.

Toto Cacciato nato ad Agrigento, dove attualmente vive, ha vissuto oltre trentanni
a Vicenza, dove ha insegnato materie artistiche. Giornalista pubblicista, ha collaborato con
quotidiani e riviste a tiratura e distribuzione nazionali. Si dedica alla pittura praticamente
da sempre. La sua attivit espositiva ha acquistato rilevanza dagli anni 70, con allestimenti
in personali e in qualificate collettive e pubbliche istituzioni. Periodicamente ritorna alla
fotografia: sua la mostra Architettura e Paesaggio nella Valle dei Templi. Attualmente si
dedica alla video-arte e ai documentari Pirandello di Girgenti.

Carmelo Conti. Architetto, libero professionista. Promotore della ricerca, del rilievo e
del restauro delle Edicole Religiose del centro storico per conto del Comune di Vicenza. Rilievi
cinta muraria e bastioni di Verona, rilievo Arche scaligere di Verona, rilievi mastio e ponte diga
visconteo di Valeggio sul Mincio per conto della Sopr. BB. AA. AA. di Verona. Rilievo, inter-
venti salvaguardia e definizione sito archeologico (pareti graffite) Val dAssa, per conto della
Sopr. Archeologica per il Veneto, Padova. Pubblicazioni: Edicole religiose nel centro storico di
Vicenza. Comune di Vicenza, 1990; Chiesa di San Pietro Apostolo in Vicenza. Storia Fede Arte.
AA.VV. Vicenza,1996; Chiesa di San Giacomo Maggiore detta dei Carmini in Vicenza, AA.VV.
Vicenza, 2007. Il Giardino Salvi di Vicenza. Il patrimonio scultoreo del Giardino Valmarana-
Salvi, AA.VV. Comune di Vicenza, 2013. In elaborazione (p.c. Associazione Industriali Vicenza,
sez. Edili): Storia delledilizia e degli edili vicentini dal 1500 ad oggi.

PINO CONTIN, (Caldogno, 1948) vive a Vicenza. Ha pubblicato nel 1992 la ricerca su Realt
cattolica e Democrazia Cristiana. Vicenza 1960-1970. Recentemente ha svolto alcune indagini
archivistiche su avvenimenti contemporanei, pubblicate su periodici vicentini. Nel 2007 ha
curato la ricostruzione storica della di don Emilio Menegazzo (1876-1957), importante Arciprete
della Diocesi Vicentina nella fase preconciliare. Nel 2008 la Biblioteca Bertoliana ha pubblicato
la sua ricerca Democristiani a Vicenza. Il partito cattolico in area berica (1944-1953). Nel
2009 uscito Tracce di comunit. Caldogno 1955-1970. Nel 2011 ha pubblicato La Democrazia
Cristiana vicentina dopo De Gasperi (1954-1968). Il partito di M. Rumor.

Pino Dato. laureato in economia, lettere, filologia e letteratura italiana, a Ca' Foscari.
Pubblicista dal 1973, ha fondato e diretto per oltre 35 anni "Il Sospiro del Tifoso". Ha pub-
blicato molti libri, fra i quali Dimenticare Vicenza? (due edizioni, 1983, 2011), Un laccio al
cuore (romanzo), Quasi erotica (poesie), Onisto, un vescovo pastore nella sacrestia dItalia
(con Fulvio Rebesani), Vicenza, la citt incompiuta (con Fulvio Rebesani), Vicentinit (il ma-
noscritto ritrovato), Lultimo antiamericano (Goffredo Parise e gli Usa, dal mito al conflitto).
GIUSEPPE DELIA un giurista, professore associato di Diritto pubblico, presso il Dipar-

237
timento di economia dellUniversit degli Studi dellInsubria (Varese-Como), e avvocato cas-
sazionista iscritto nellAlbo di Milano.
autore di diverse pubblicazioni, nel campo del diritto pubblico e privato, in riviste di settore
e dei seguenti volumi: Statuti ordinari e legge regionale. Contributo allo studio del giusto
procedimento legislativo (con L. Panzeri), FrancoAngeli 2012; Diritto costituzionale (con M.
DAmico), FrancoAngeli 2012; Teoria e pratica delle fonti del diritto (con A. Renteria Diaz),
Carocci 2008; Magistratura, polizia giudiziaria e Costituzione, Giuffr 2002.

Giangiacomo Gabin, nato a Precenicco (UD) nel 1939, riceve i primi insegnamenti
di tecnica pittorica dal Maestro Otello De Maria nei primi anni settanta. Prosegue poi la sua
formazione artistica frequentando i corsi di pittura allAccademia di Belle Arti G.B. Cignaroli
di Verona tenuti dal Maestro Silvio Lacasella e quelli della Scuola Libera del Nudo allAcca-
demia di Belle Arti di Venezia. Predilige la pittura en plein air dopo il fortunato incontro
con il Maestro Romano Lotto. Nel suo studio invece dipinge i suoi sogni sempre ispirati alla
natura. Esercita inoltre lattivit di scultura frequentando lo Studio del Maestro Ceramista
Cesare Sartori di Nove. Vive a lavora a Vicenza.

GIORGIO MARENGHI. Nato a Vicenza nel 1948. Laureato in scienze Politiche, indirizzo
storico. Dopo il 1968 e relative importanti, movimentate esperienze, ha scelto la strada del gior-
nalismo. Attualmente cura il sito www.storiavicentina.it con un occhio di riguardo alle inchieste
sul terrorismo veneto e alla politica americana nella citt del Palladio e di Mariano Rumor.

Alberto Milesi ha due passioni: lOpera e Vicenza; proprio per questo stato felice di
scrivere per QV la cronaca di qualche evento che cadenza la sua intensa vita teatrale. Anche
se nato nelle Prealpi lombarde in un paese equidistante da Bergamo e Brescia, dal 1986
risiede a Vicenza, dove arriv per far pratica legale nello studio di un leggendario avvocato
vicentino. Innamorato appunto di Vicenza, a cui ritiene di essere debitore della sua fortuna
professionale, intrattiene intensi contatti con il mondo artistico e culturale vicentino al quale
riconosce un respiro tuttaltro che provinciale seppure poco valorizzato rispetto alle risorse
economiche del territorio. Laureato in giurisprudenza a Pavia. orgogliosamente un ex ufficiale
di complemento degli Alpini.

GIANNI PADRIN. Vive a Marola. Esperto di geologia e idrografia antica e recente. Si oc-
cupa da molti anni, anche a livello politico-amministrativo, di problemi idrografici e di falde,
inquinamento, alluvioni.

Lucio Panozzo. Ha al suo attivo molte pubblicazioni (ricordi, racconti, romanzi), tra le
quali spicca, per qualit e impegno Saga Longobarda, una fiaba a sfondo storico verosimile, e
documentato. Ha collaborato a Il Sospiro del Tifoso. Attivo nel mondo dellassociazionismo
vicentino (Italia Nostra, UAAR, Cenacolo dei Poeti dialettali, Compagnia degli Autori Vicen-
tini, CAI). La sua formazione culturale nel solco dei Lumi e del Darwinismo. Altre opere: Il
venticinquesimo libro dellOdissea, Azoto liquido, Anni dargento.

Mario Pavan, vicentino (1951), docente in quiescenza, giornalista pubblicista, ex ammini-


stratore comunale per tre mandati e gi presidente del Consiglio Scolastico Provinciale, collabora
a diverse testate giornalitische locali e nazionali. direttore responsabile di alcuni periodici.
Conferenziere, ideatore di premi letterari, ha al suo attivo una ventina di libri. poeta sia in
lingua italiana che in dialetto.

ALFREDO PELLE, nato a Firenze, residente a Vicenza, giornalista pubblicista, lavora per
LEspresso e collabora a Guida ai ristoranti come coordinatore regionale. Per molti anni
direttore di banca alla Comit e poi alla Popolare di Vicenza. Esperto riconosciuto di gastronomia.
Accademico italiano della cucina, membro della Venerabile Confraternita del Bacal e della
Fraglia del Torcolato di Breganze. Come Accademico segretario del Centro Studi Nazionale
Franco Marenghi e Direttore Territoriale del Centro Studi di Toscana. Tiene corsi di Storia
della Gastronomia per lAIS (Associazione Italiana Sommelier) nel Veneto. Insegna Storia della
Gastronomia ed evoluzione della cucina allIstituto Alberghiero di Stato di Recoaro. Scrive
per riviste specializzate (Taste Vin, Convivium 2000. Zafferano, Progetto Nord-Est) dopo
aver scritto per molti anni per Il Giornale di Vicenza. Autore di un volume sulle Tradizioni
sulla tavola delle comunit delle valli del Chiampo, Agno, Leogra, Posina e Astico e tre volumi
sul fagiolo, sulla patata, sul formaggio (editore Terranova). Coautore di Cucina di bordo per

238
lAccademia Navale di Livorno.

ROBERTO PELLIZZARO. Laureato in lettere antiche allUniversit di Padova, docente di


materie umanistiche. Gi General Manager della A.S. Vicenza femminile di basket, del Du.CA
basket Dueville e della Pallacanestro Vicenza maschile.Opere: Pigafettavimus - Storie vicentine
degli anni Sessanta, Il sorriso del DAnnunzio, Vicenza, della palla al cesto e altre storie, Toara
(con Tommaso Cevese), Il letto era lerba (storie di Piccoli Maestri).

FULVIO REBESANI. Laureato in Giurisprudenza, ha fatto parte della Pastorale Diocesana


del Lavoro dal 1978 al 1989. E stato consigliere di circoscrizione a Vicenza per il Pci e membro
del Comitato cittadino e consigliere comunale per il Pds. Segretario di alcune categorie e della
segreteria confederale della CGIL. Attualmente segretario provinciale del SUNIA e milita nel
Comitato Anti Abusi e nel Comitato Pi Democrazia di Vicenza.

Beppa Rigoni. Altopianese. Gi insegnante di Scuola Primaria. stata socia di unazienda


nel settore della stampa, quindi titolare di uno Studio di Comunicazione Aziendale. Giornalista
pubblicista, ha scritto per varie testate e ha pubblicato una guida di itinerari turistici dellAl-
topiano. Appassionata di sport, storia, ambiente, volontariato (Lega ambiente e Accademia
nazionale di Mtb), accompagnatore territoriale e guida di M.bike.

Gianni Sartori nato nel 1951, giornalista pubblicista, ha collaborato con varie testate,
sia a livello locale (Nuova Vicenza, La Voce dei Berici...) che nazionale (Umana Avventura,
Etnie, Frigidaire, Narcomafie, Senza Confini...) realizzando interviste, reportage, servizi foto-
grafici riguardanti la tutela dei Diritti Umani, la difesa delle minoranze, i Diritti dei popoli e
la salvaguardia dellambiente.

Vous aimerez peut-être aussi