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da
Caravaggio
di Ferdinando Bologna
Egli dice (...) che tutte le cose non sono che bagattelle,
fanciullaggini o baggianate, chiunque le abbia dipinte, se
non sono fatte e dipinte dal vero, e che non vi può esser
nulla di buono o di meglio che seguire la natura. Perciò egli
non dà un sol colpo di pennello senza attenersi stretta-
mente al modello vivo, che copia e dipinge.2
E principalmente:
rava però Lisippo al vulgo de gli scultori, che da essi venivano fatti gli
uomini quali si trovano in natura, ed egli gloriavasi di formarli quali
dovevano essere» (cfr. in Le vite de’ pittori, scultori e architetti moder-
ni, ed. cit. p. 16). Aggiungo per altro l’osservazione che il parere di
Lisippo, qui citato sintomaticamente a proposito del Caravaggio, è lo
stesso, tolto da Plinio, che, dopo Giulio Mancini, anche Federico Bor-
romeo aveva indirizzato nel De pictura sacra (1625) contro «I pittori
recenti» i quali, troppo inclini a dipingere i santi come si dipingereb-
be «uno ben pasciuto in un’osteria», «purtroppo non dipingono le
immagini né come furono né come dovrebbero essere», cfr. quanto ho
riferito e commentato in proposito nel paragrafo 3 del precedente cap.
3, pp. 124-25 e note relative; e si giudichi se dalla nuova coincidenza
non esca anche una conferma ulteriore della grande distanza in cui il
Borromeo dové trovarsi nei confronti del Caravaggio.
17. Giambattista Marino, La Galeria (…) distinta in Pittura e Scul-
tura, Milano 1620, p. 202; citata in Bellori, Le vite de’ pittori, scultori
e architetti moderni, ed. cit. p. 229.
18. Cfr. Susinno, Le vite de’ pittori messinesi cit., p. 107.
19. Replicando a questo passo, che figurava per intero e nella stes-
sa forma qui riproposta nella comunicazione fatta al colloquio linceo
del 1973 e poi stampata l’anno dopo (cfr. Il Caravaggio nella cultura e
nella società del suo tempo cit., p. 170), Giulio Carlo Argan affermò:
«Bologna insiste sul naturalismo caravaggesco, a cui, tuttavia, giusta-
mente riconosce un fondamento culturale e non empirico. Ma la stes-
sa natura, e lo ha dimostrato molto tempo fa Panofsky, si configura pur
sempre come un’iconografia» (cfr. negli stessi atti, p. 188). Ebbene, al
fine di «prevenire un equivoco», con quel che segue, è esattamente que-
sto che avevo inteso porre in evidenza; ma Argan o non se ne accorse,
o non volle darmene atto.
1. Per far solo un esempio, non si può non ricordare che proprio
all’uscita dal Medioevo l’assunto era stato ribadito dal Cennini, il
quale, certo in omaggio a Giotto e ai giotteschi, aveva proclamato che
«la più perfetta guida che possa avere e migliore timone, si è la trion-
fal porta del ritrarre di naturale»: cfr. Cennino Cennini, Il Libro del-
l’arte, nell’edizione curata da Gaetano e Carlo Milanesi, 1859, ripro-
posta da Fernando Tempesti, Milano 19 7 5, p. 44. Il capitolo in cui
questo passo ricorre, il xxviii, s’intitola: Come sopra i maestri, tu dèi
ritrarre sempre del naturale con continuo uso; e giusto in tali termini,
com’è notorio, il principio si ritrova in Leonardo.
2. Senza voler entrare nella questione con troppi particolari, si veda
loro gratissimo e familiare: che perciò vacando nel 1589 la cattedra delle
matematiche in Pisa, di proprio moto della medesima Serenissima
Altezza ne fu provvisto, correndo egli l’anno vigesimo sesto della sua
età». Per l’intervento del cardinal Francesco, cfr. Geymonat, Galileo
Galilei cit., p. 19. Per altri particolari desunti dai documenti di Anto-
nio Favaro, cfr. ancora Spezzaferro, La cultura del cardinal Del Monte
cit., pp. 73-74.
35. Cfr. di nuovo Viviani, Racconto istorico della vita di Galileo
Galilei, ed. cit. p. 35.
36. Cfr. Mia Cinotti, Vita del Caravaggio: novità 1983-1988, in
Caravaggio. Nuove riflessioni, «Quaderni di Palazzo Venezia», Roma
1989, 6, p. 82.
37. Cfr. Geymonat, Galileo Galilei cit., p. 15.
38. Cfr. ibid., p. 17.
39. Cfr. Viviani, Racconto istorico della vita di Galileo Galilei, ed.
cit. p. 60.
40. Cfr. ibid., p. 30. I corsivi sono miei
41. Cfr. Galilei, Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, ed.
cit. rispettivamente pp. 63 e 70.
42. Lettera di Galileo a Campanella: cfr. l’edizione nazionale delle
Opere di Galileo Galilei, IV, p. 738. Tolgo la citazione da Ferdinando
Flora, Il processo di Galileo, in appendice a Vincenzo Viviani, Vita di
Galileo cit., p. 117.
43. Lettera di Galileo a Federico Cesi, del 30 giugno 1612: cfr.
Opere cit., XI, pp. 344-45. Tolgo la citazione da Micheli e Tongiorgi
Tomasi, Galileo critico d’arte di Erwin Panofsky cit., p. 19.
44. Cfr. Gaffici, Il Saggiatore, ed. cit., p. 203.
45. Cfr. Robert Lenoble, Les origines de la pensée scientifique moder-
ne, Parigi 1957; trad. it. Le origini del pensiero scientifico moderno, Bari
1976, p. 36. Per un’analoga utilizzazione di questo giudizio di Leno-
ble nell’ambito della pittura seicentesca derivata dal Caravaggio, cfr.
Bologna, Ancora di Gaspare Traversi nell’Illuminismo cit., vol. II, p. 304.
46. Cfr. supra, p. 16o.
47. A prevenire obiezioni sempre possibili (e anche troppo facili,
per la verità) contro la proposta di tangenze galileiano-caravaggesche
elaborata nel testo, aggiungo che non dimentico né che Galilei ebbe
documentatamente interessi per le arti figurative, né che dalla prima-
vera del 1611 – e sia pure limitatamente a questioni astronomiche – fu
in rapporti con il teorico del classicismo carraccesco, monsignor Gio-
vanni Battista Agucchi, né che Erwin Panofsky ha dedicato un saggio
in due redazioni a Galileo quale critico d’arte (cfr. Galileo as a Critic
of the Arts, e Galileo as a Critic of the Arts. Aesthetic Attitude and Scien-
tific Thought cit.; su entrambi cfr. il saggio – con traduzione – di
Micheli e Tongiorgi Tomasi, Galileo critico d’arte di Erwin Panofsky
cit.). Ma chi ha letto gli scritti di Panofsky sa che essi riguardano prin-
cipalmente la posizione – indubbiamente di gran peso – assunta dallo
scienziato nella diatriba pittura-scultura risollevata dalla ben nota
inchiesta promossa da Benedetto Varchi; mentre resta indiscutibile che
(a parte quel che si potrebbe evincere dai rapporti con monsignor
Agucchi, però accertatamente posteriori al 1611) le preferenze di Gali-
leo in fatto di arti figurative non andavano oltre il Cigoli (il quale, non-
dimeno, ai piedi dell’Assunta di Santa Maria Maggiore a Roma ritras-
se la Luna con le asperità appena scoperte, così come le aveva schiz-
zate Galileo nel Sidereus Nuncius) ed erano di pretta marca fiorentina.
A proposito di quest’ultimo punto, richiamo anzi l’attenzione su un
passaggio notevole del sopra citato Racconto istorico della vita di Gali-
leo Galilei di Vincenzo Viviani, ed. cit. p. 28, in cui lo scienziato gio-
vinetto risulta tanto propenso al «disegnare» che «se in quell’età fosse
stato in poter suo l’eleggersi professione, avrebbe assolutamente fatto
elezione della pittura»; in oltre, vi è detto portatore, da adulto, di «tale
esquisitezza di gusto, che’ l giudizio ch’ei dava delle pitture e disegni
veniva preferito a quello de’ primi professori da’ professori medesimi,
come dal Cigoli, dal Bronzino [evidentemente, Alessandro Allori], dal
Passignano e dall’Empoli, e da altri famosi pittori de’ suoi tempi, ami-
cissimi suoi, i quali bene spesso lo richiedevano del parer suo nell’or-
dinazione dell’istorie, nella disposizione delle figure, nelle prospettive,
nel colorito, (...), onde ’l famosissimo Cigoli, reputato dal Galileo il
primo pittore de’ suoi tempi, attribuiva in gran parte quanto operava
di buono alli ottimi documenti del medesimo Galileo, e particolarmente
pregiavasi di poter dire che nelle prospettive egli solo gli era stato mae-
stro». Occorrerà perciò rassegnarsi: in un ruolino di marcia del gene-
re non v’è spazio alcuno per un’eventuale considerazione dell’opera del
Caravaggio, di cui pure Galileo non poté non aver notizia, sia presso
il granduca che ebbe abbastanza presto la Medusa, sia e specialmente
presso il cardinal Del Monte, in ogni caso a Roma, dopo la morte del
pittore, quando Galileo strinse ancora i rapporti con il detto cardina-
le. L’unica cosa che si può dire con fondamento è che con questo venia-
mo a trovarci di fronte a un altro caso di sfasatura e dissimmetria fra
i livelli d’un medesimo contesto, com’è del resto quello che Panofsky
s’è adoprato a illustrare fra Galileo stesso e Keplero: «tuttavia – e que-
sto è uno dei paradossi più stupefacenti della storia – laddove l’empi-
rismo “progressista” di Galileo gli impedì di differenziare forma idea-
le e azione meccanica e perciò servì a mantenere la sua teoria del moto
sotto “l’incantesimo della circolarità”, l’idealismo “conservatore” di
Keplero gli permise di operare tale differenziazione e liberò perciò la
sua teoria da tale ossessione» (cfr. Micheli e Tongiorgi Tomasi, Gali-
leo critico d’arte di Panofsky cit., p. 35).
48. Cfr. nel presente libro il n. 47 dell’Indice ragionato delle opere.
49. Cfr. Giovanni, 20, 25. Com’è noto, Giovanni (20, 24-29) è il
solo degli evangelisti canonici a riferire l’episodio, per altro con incon-
sueta ricchezza ed efficacia di particolari: «Gli dissero dunque gli altri
discepoli: “Abbiamo veduto il Signore!” Ma egli oppose loro: “Se non
vedo nelle sue mani il segno dei chiodi, e non metto il mio dito nel
posto dei chiodi, e non metto la mia mano nel suo costato, non cre-
derò”. Otto giorni dopo, i discepoli si trovavano di nuovo in casa, e
Tommaso era con essi. Venne Gesù a porte chiuse, stette in mezzo, e
disse: “La pace sia con voi!” Poi, dirigendosi a Tommaso: “Metti qua
il tuo dito, e guarda le mie mani. Avvicina la tua mano e mettila nel
mio costato, e non essere incredulo, ma credente” (...)».
50. Per la riproduzione cfr. Cinotti, Michelangelo Merisi detto il
Caravaggio cit., p. 603, fig. 1. Una riproduzione a colori dell’intero, più
recente e di discreta qualità (cfr. anche quella pubblicata sulla coper-
tina del presente libro), e una in bianco e nero del particolare in discor-
so, sono in Marini, Caravaggio cit., pp. 176-77, n. 36. Commentando
l’illustrazione in bianco e nero, Marini scrive giustamente: «Il dito di
Tommaso che affonda nella ferita sul costato di Cristo è un particola-
re di assoluta efficacia rappresentativa». Preferendo un approccio di
accentuato carattere spiritualistico, e anzi fideistico, Mia Cinotti,
Michelangelo Merisi detto il Caravaggio cit., p. 491, aveva invece sotto-
lineato il «tema dell’incredulità, tremendo limite umano, che sta per
trasformarsi in conquista di fede solo grazie a una verifica materiale».
Ma osservazioni del genere riguardano l’assunto della narrazione evan-
gelica, non la scelta e l’intento del Caravaggio.
del 162o. Altrove, p. 173, la Alpers cita quest’altro passo, tolto dalla
medesima opera: «Coloro i quali non si propongono di far congetture,
ma di scoprire e di sapere, avendo per scopo non di imitare gli spac-
ciatori di favole congegnate a imitazione dei mondi, ma di arrivare a
chiarire la vera essenza di questo nostro vero mondo, quasi analizzan-
dolo, devono trarre la materia dalle cose stesse».
39. Cfr. ibid., p. 179.
40- Cfr. ibid.; anche questa citazione è tolta dalla Instauratio magna,
ma occorre ricordare che Bacone aveva scritto nel 1605 Of Proficience
and Advancement of Learning, e nel 1607 Cogitata et visa.
41. Cfr. Alpers, Arte del descrivere cit., p. 148.
42. Cfr. ibid., p. 25.
43. Cfr. ibid., p. 35.
44. Cfr. ibid., p. 144
45- Cfr. ibid., p. 56. Ma occorre leggere per intero il capitolo ‘Ut
pictura ita visio’: il modello kepleriano dell’occhio e la natura del raffi-
gurare nell’Europa del Nord, pp. 44-8o, 137-41.
46. Per questo aspetto di Comenio, non ricordato dalla Alpers, cfr.
Adolfo Faggi, Il Galileo della pedagogia, Torino 1902, Oltre che di
Bacone, Comenio fu anche studioso di Campanella. Cfr. per tutto
l’ampia voce Komensky, Jan Amos di Giovanni Calò, in Enciclopedia Ita-
liana, vol. XX, Roma 193 5, pp. 248-5o.
47. Cfr. Alpers, Arte del descrivere cit., pp. 165-67, 393, nota
40, dove è anche indicata la letteratura più recente
48. Cfr. ibid., p. 166.
49. Cfr. ibid., p. 167.
50. Cfr. Jan Amos Komensky (Comenius), La grande didattica,
1657, in Opere a cura di M. Fattori, Torino 1974, p. 290: citato in
Alpers, Arte del descrivere cit., p. 167.
51. La familiarità di Sandrart col marchese Giustiniani è attestata
da Sandrart stesso, proprio nella «vita» del Caravaggio e in rapporto
a opere del Caravaggio: «Pro parte quoque artis nostrae marchione
justiniano Cupidinem pingebat [l’Amore vincitore ora a Berlino], viven-
tis magnitudinem quasi duodecennem globo terrae insidentem, arcu
dextra sublato variisque ad sinistram instrumentis mathematicis libri-
sque appositis, laurea coronatis: alis pullis aquilinis instructum, deli-
neatione emendatissima, colore vivido et exuberantia tanta ut viventi
sit simillimus. Hoc opus in pinacotheca centum et viginti operum
artificiosissimorum publice ante hac prostans, meo consilio velo obte-
gabatur ultimo spectandum, cum alias coetera omnia prae illo vilesce-
rent: unde me praesente quidam mille pistoletos pro eo offerens, hoc
a patrono, me internuncio, ferebat responsum: – Dite a questo cor-
teggio cavalier che se egli mi puol far acquistar un altro quadro de que-
sta sostanza, glie ne pagerò il doppia, cioè 2000 pistole – [in italiano
nel testo, inclusi gli errorucci, che non ho ritenuto di dover emenda-
re]. Et hoc opere mediante Caravagius salvum quoque iterum con-
ductum acquirebat». Cfr. Academia nobilissimae Artis pictoriae cit., p.
181. Non v’è bisogno di sottolineare l’importanza di questo brano
anche per quel che riguarda il perdurante e sempre altissimo interesse
di Giustiniani per il Caravaggio, come l’interesse analogo e di portata
non minore da parte del Sandrart medesimo.
52. Su Joachim von Sandrart, tutto sommato studiato assai poco
sia come pittore che come trattatista, si veda la buona voce dedicata-
gli da Hans Tietze in Enciclopedia Italiana, vol. XXX, 1936, p. 636, e
l’entry ad vocem di Nicolson, The International Caravaggesque Movement
cit., pp. 85-86 (2a ed. Caravaggism in Europe cit., vol. I, p. 168); oltre,
naturalmente, agli inserti sul trattatista nei noti lavori di Schlosser e
di Luigi Grassi. Per l’incontro con Galileo (non rilevato da altri, a quel
che mi risulta, né prima, né dopo), è fondamentale Roberto Longhi,
Le visite romane del Sandrart a Galileo nel 1633, in«Paragone», settem-
bre 1963, 165, pp. 64-65.
53. Tolgo la citazione dal saggio di Longhi indicato nella nota pre-
cedente, p. 64, dove si precisa che esso è tratto dalla «vita» di Galileo
inclusa nell’edizione latina della Academia nobilissimae Artis pictoriae,
1683, pp. 389-9o, ma non ancora nell’edizione tedesca del 1675-79. A
complemento di quel che si evince dal passo riferito a proposito di visi-
te di stranieri allo scienziato, aggiungo che nella biografia di Vincen-
zo Viviani, Racconto istorico della vita di Galileo Galilei, ed. cit. pp. 64-
67, s’incontra ripetuto il ricordo dei molti «franzesi, fiaminghi, boemi,
transilvani, inglesi, scozzesi e d’ogni altra nazione», che attratti dalle
«nuove e peregrine speculazioni e curiosissimi problemi che giornal-
mente venivano promossi e risoluti dal signor Galileo», procuravano
«di visitarlo (...) dov’egli fosse; e allora stimavano d’aver ben spesi i
lor lunghi viaggi, quando tornando nelle patrie loro, potevano dire d’a-
ver conosciuto un tant’uomo e avuto seco discorso».
Quanto al ritratto eseguito da Sandrart, sempre Longhi, Le visite
romane del Sandrart a Galileo cit., tav. 6o, lo ha indicato in quello, inci-
so da Kilian, che figura nella tavola anteposta alla «vita» or ora ricor-
data. Subito dopo la pubblicazione di Unghi, tale ritratto è stato ripro-
dotto in copertina nell’edizione feltrinelliana del Saggiatore cit., ma
senza alcuna parola di commento.
54. Cfr. l’ultimo capoverso del paragrafo precedente. Per il dipin-
to, per il suo passaggio dai Mattei al Giustiniani anteriormente al
16o6, e per l’episodio del riconoscimento della copia a Genova ricor-
dato nel testo, cfr. sempre nel presente libro il n. 47 dell’Indice ragio-
nato delle opere.
55. Cfr. Alpers, Arte del descrivere cit. p. 249. Il corsivo è mio.
56. Cfr. ibid., p. 162.