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2.

Dal costo storico al Fair Value


Spesso, il termine IAS, evoca la convinzione che con l’introduzione dei principi contabili
internazionali, tutte le imprese dovranno valutare i titoli finanziari detenuti in bilancio
adottando il criterio del Fair Value. Al contrario, i principi contabili internazionali non
impongono di valutare tutte le attività e le passività dello stato patrimoniale al Fair Value,
né impongono valutazioni di mercato per i beni aziendali: come si specificherà nel corso
della trattazione, solo alcune aree di bilancio possono e devono essere valutate al Fair
Value, ma a condizione che la quotazione possa essere attendibilmente quantificata e
verificabile.

a. Il Principio del costo storico


Questo primo strumento di valutazione si basa sulla misurazione del costo di acquisizione
di un’attività, o di sottoscrizione di una passività. Tale costo rappresenta l’entrata
monetaria o l’esborso necessari per l’acquisizione o la sottoscrizione. In pratica, il criterio
del costo storico impone che si possa iscrivere in bilancio un’attività o una passività
all’importo monetario pagato o Fair Value del corrispettivo versato per acquisire l’attività
stessa e di iscrivere una passività all’importo del corrispettivo ricevuto in cambio di tale
obbligazione. Tuttavia, il metodo del costo storico impone un disinteresse totale verso
modificazioni che possono intervenire durante la vita dell’attività o della passività, a meno
che non si verifichino delle perdite in valore.
Solo nel caso delle attività immobilizzate, il criterio del costo storico subisce
l’ammortamento per far partecipare le attività utilizzate per più periodi amministrativi e si
denomina “costo storico ammortizzato”. I valori espressi in bilancio in base al metodo del
costo storico sono valori molto attendibili e documentabili, ma si tratta di valori “passati”,
che non tengono conto dei plusvalori che nel tempo hanno maturato nonostante l’utilizzo o
l’obsolescenza[3].

b. Il principio del Fair Value


Questo secondo metodo di valutazione si basa sul presupposto che i valori espressi in
bilancio riflettano il loro valore di scambio sul mercato. Alla data di acquisizione di un
determinato bene il Fair Value ed il costo storico coincidono, mentre nei periodi successivi
il valore delle attività e delle passività cambia. Pertanto, i valori esposti secondo il criterio
del Fair Value sono valori correnti, che potrebbero corrispondere al valore di una vendita
di un’attività. Per questo motivo sono valori molto utili ai fini di lettura del bilancio perché
consentono di valutare il capitale dell’impresa ai valori correnti e, quindi, consentono di
valutare il “capitale economico dell’impresa”.
Lo IAS 39 precisa la “gerarchia” delle fonti per la determinazione del Fair Value e ribadisce
che la migliore indicazione dello stesso è l’esistenza di quotazioni nei mercati attivi.

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