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ARTICOLO

LA DIGNIT DELLUOMO
Riflessioni alla luce del pensiero di I. Kant

Georg Sans S.I.

La Dichiarazione del Concilio Vaticano II sulla libert religiosa


ha il titolo significativo Dignitatis humanae. Secondo la concezio-
ne del Concilio, la dignit della persona umana costituisce il fon-
damento del diritto alla libert religiosa. I padri conciliari si sono
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occupati di questo argomento con particolare ampiezza. I dibattiti
sulla libert religiosa si sono prolungati per tutte le quattro sessio-
ni. Nellautunno 1965 il testo stato approvato dallassemblea ple-
naria dei vescovi a stragrande maggioranza ed stato promulgato
da Papa Paolo VI. Le riflessioni che seguono, che si collocano in
una prospettiva filosofica, riguardano non tanto la libert religio-
sa quanto ci che vi sta alla base, cio la dignit delluomo quale
lhanno fatta conoscere la parola di Dio rivelata e la stessa ragione1.
Il punto di partenza dato dalle affermazioni iniziali del do-
cumento, che assumono un carattere programmatico: Nellet
contemporanea gli esseri umani divengono sempre pi consapevoli
della propria dignit di persone e cresce il numero di coloro che esi-
gono di agire di loro iniziativa, esercitando la propria responsabile
libert, mossi dalla coscienza del dovere e non pressati da misure
coercitive2.
In queste affermazioni il discorso sulla dignit della persona
umana si riferisce dunque in generale allautodeterminazione re-
sponsabile e, pi in particolare, al libero esercizio della religione. Al-
tri esempi di un agire responsabile sarebbero lo sviluppo di attivit
economiche o la partecipazione alla vita politica. Ma, nello stesso
tempo, con il diritto allautodeterminazione si coglie soltanto un

1. Concilio Vaticano II, Dichiarazione Dignitatis humanae, n. 2.


2. Ivi, n. 1.

La Civilt Cattolica 2015 I 440-450 | 3953 (7 marzo 2015)


LA DIGNIT DELLUOMO

aspetto parziale di ci che si deve intendere per dignit delluomo.


Perch si possa esercitare correttamente il proprio diritto allautode-
terminazione occorre soddisfare ad altri requisiti. Se ai cittadini di
un determinato Paese manca ci che strettamente necessario
cibo, vestiti, abitazione, cure mediche , non si pu parlare di vita
dignitosa.
In una nota in calce, relativa alla prima frase della Dichiarazio-
ne Dignitatis humanae, i padri conciliari citano lenciclica Pacem in
terris di Giovanni XXIII, che era stata pubblicata due anni e mezzo
prima. In piena guerra fredda, il Papa invitava alla pace e ricordava
la dignit della persona che doveva caratterizzare ogni ordinamento
umano. Inoltre egli si richiamava al fatto che i vari diritti alla libert,
nonch la responsabilit e i doveri della singola persona, come pure
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della societ, hanno come loro base il diritto allesistenza e a un te-
nore di vita dignitoso3. Chi non possiede i mezzi necessari per man-
tenersi in vita viene leso anche nellesercizio degli altri suoi diritti.
Il concetto di dignit della persona racchiude perci due com-
ponenti. Da un lato, questa dignit esige che si proteggano il corpo
e la vita di ognuno. In questo senso, essa si manifesta nellassistenza
che ciascuno riceve dagli altri, dalla societ e dallo Stato. Daltro
lato, il concetto di dignit si pone in relazione con la capacit che
ognuno possiede allautodeterminazione. La dignit della persona
pertanto non consiste soltanto in ci che fanno gli altri per proteg-
gere la propria vita e garantire i propri diritti, ma essenzialmente
anche nelluso che ognuno fa della propria capacit di giudizio e
della propria libert di decisione. In questa prospettiva, rappresenta
senza dubbio un progresso il fatto che aumenta il numero di coloro
che, consapevoli della propria capacit di autodeterminazione, esi-
gono che i loro diritti alla libert vengano riconosciuti e non siano
delimitati da misure coercitive.

Da Cicerone fino a Kant

Per chiarire ulteriormente la relazione che intercorre tra le due


componenti che abbiamo menzionato la libera autodetermina-

3. Cfr Giovanni XXIII, s., Enciclica Pacem in terris, n. 6.


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zione e la responsabilit verso gli altri , bisogna risalire alla storia


del concetto di dignit delluomo. Merita di essere presa in conside-
razione soprattutto la filosofia di Immanuel Kant, che ha collega-
to espressamente lautonomia del soggetto con la concezione della
dignit assoluta della persona. Secondo questo filosofo, lautonomia
il fondamento della dignit della natura umana e di ogni natura
razionale4. Lasciamo da parte la questione di quali siano gli esseri
razionali, al di fuori delluomo, ai quali si potrebbe applicare il con-
cetto kantiano di autonomia. Resta chiaro comunque che Kant non
attribuisce mai a un animale la capacit di autodeterminazione, ma
intende la dignit come un tratto caratteristico delluomo.
Con questa sua concezione della preminenza delluomo Kant
si pone in una lunga scia di pensatori che si pu far risalire allan-
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tichit. Gi Cicerone nel suo trattato De officiis (Sui doveri) sotto-
lineava la superiorit delluomo nei confronti della bestia e degli
altri animali. Mentre questi ultimi provano soltanto piacere e si la-
sciano guidare dai loro istinti, lo spirito delluomo progredisce con
la riflessione, e la ragione pone un limite al godimento dei sensi.
Tenendo conto delleccellenza e della dignit della nostra natura,
intenderemo come sia vergognoso guazzare nel lusso e vivere con
ogni raffinata mollezza, e quanto onesta invece sia una vita frugale,
moderata, continente, severa e sobria5.
Nella tradizione giudaico-cristiana, si sempre collegata la di-
gnit della persona allidea che luomo immagine di Dio, come si
afferma nel racconto di creazione. Creando luomo a sua immagi-
ne e somiglianza6, Dio lo ha collocato in una posizione particolare
nei confronti di tutte le altre creature. Questa situazione singola-
re delluomo non influisce per nulla sulla sua fragilit. Il raccon-
to biblico del peccato originale ne una testimonianza eloquente.
Diversamente dagli animali, che si evolvono pi o meno secondo
quanto insito nella loro natura, luomo ha la possibilit di oscurare
limmagine di Dio e di stravolgere la propria natura.

4. I. Kant, Fondazione della metafisica dei costumi, Roma Bari, Laterza,


1997, 105.
5. Cicerone, Opere politiche e filosofiche, vol. I, Torino, Utet, 1974, 647.
6. Cfr Gen 1,26.
LA DIGNIT DELLUOMO

A seconda dei punti di vista, la libert delluomo allautodeter-


minazione pu essere considerata un privilegio singolare oppure
una debolezza. Mentre verso la fine del Medioevo si dato rilievo
alla miseria delluomo, con linizio del Rinascimento si cambiato
registro. Il contributo pi famoso a questa tematica costituito dal
discorso di Giovanni Pico della Mirandola sulla dignit delluomo,
pubblicato nel 1496 con il titolo di Oratio. Ma prima di lui dobbia-
mo menzionare il trattato De dignitate et excellentia hominis (Sul-
la dignit ed eccellenza delluomo) di Giannozzo Manetti, del 1452.
Dopo aver descritto ampiamente la perfezione del corpo e dello spi-
rito umano, questo autore esalta la dignit delluomo integrale, che
nellarte e nella tecnica imita lattivit creatrice di Dio.
Rispetto a questa affermazione, la novit del discorso di Pico della
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Mirandola consiste nel fatto che il ruolo delluomo non pi fissato
fin dallinizio nella creazione. In un ipotetico discorso di Dio ad Ada-
mo, si dice: Non ti creammo n celeste n terreno, n mortale n
immortale, in modo tale che tu, quasi volontario e onorario scultore
e modellatore di te stesso, possa foggiarti nella forma che preferirai7.
In questa apertura verso la propria determinazione sta il con-
trassegno dellumanit. Alluomo non vengono posti limiti, ma egli
stesso deve sviluppare la propria natura. Egli proprio come un ca-
maleonte, che da un lato pu degenerare negli esseri inferiori, ossia
negli animali bruti, e dallaltro, secondo la sua volont, pu essere
rigenerato negli esseri superiori, ossia nelle creature divine8. Come
dice espressamente questultima frase, lidea di arbitrio o di capriccio
del tutto estranea a Pico. Per lui, ovviamente, auspicabile che non
ci trasformiamo in bestie, ma ci eleviamo verso Dio. Come via pi
appropriata per raggiungere questo scopo egli indica la filosofia.
Tuttavia nel discorso di Pico della Mirandola si cercherebbe in-
vano la parola dignit. Nonostante luso frequente del termine,
soprattutto nel Cinquecento, doveva essere Immanuel Kant a defi-
nire il senso preciso della parola: Ci che non ha prezzo, e dunque
non ammette alcun equivalente, ha una dignit9. Con questa affer-

7. G. Pico della Mirandola, Discorso sulla dignit delluomo, Parma,


Guanda, 2003, 11.
8. Ivi.
9. I. Kant, Fondazione della metafisica dei costumi, cit., 103.
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mazione egli si riferisce chiaramente allopposizione tra la dignit


della persona e la logica del mercato. Fin tanto che qualcosa ha un
determinato prezzo, il suo valore relativo. Pu essere scambiato
sempre con unaltra cosa che ha un valore uguale o superiore al suo.
Tutto ci di cui esiste un equivalente in linea di principio venale.
Ci che al di sopra di ogni prezzo si sottrae invece alla logica del
mercato. Poich possiede un valore non relativo, ma assoluto, non
n commerciabile n negoziabile. In questo ragionamento risiede
lorigine dellidea della dignit delluomo. Come si pu giustificare
tale concezione?

Luomo fine a se stesso


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Per Kant, il concetto della dignit assoluta delluomo deriva dal-
la natura vincolante della legge morale. Il filosofo tedesco anzitutto
non intende la dignit come un dato di fatto da cui si possa far de-
rivare il dovere morale di proteggere la vita e di rispettare la dignit
della persona. Nel secondo capitolo della Fondazione della metafisica
dei costumi egli procede invece in una direzione opposta. Si chiede
anzitutto quali siano i princpi della morale e poi vi collega il con-
cetto della dignit delluomo, intesa come una realt che sta sotto la
legge morale.
Si scritto e discusso molto sul fondamento delletica di Kant e
sul cosiddetto imperativo categorico. Se per si legge il testo in
maniera non prevenuta, non vi pu essere dubbio che il filosofo si
preoccupa anzitutto di chiarire in che cosa consista la consapevolez-
za del dovere morale, cio la voce della coscienza, che ci induce con
vigore irrefrenabile a fare determinate cose e a tralasciarne altre.
Kant era convinto che un simile senso del dovere abbia una sua
giustificazione soltanto se non dipende da un qualsiasi fattore ca-
suale. Il sapere se qualcosa sia moralmente buono o cattivo non pu
essere naturalmente una questione che riguarda la societ, leduca-
zione, le circostanze particolari, le credenze religiose, le preferenze
personali o i geni, ma deve seguire norme assolutamente universali
e necessarie, che possono provenire soltanto dalla ragione. Questa
considerazione ha condotto Kant a ritenere che dietro ogni precetto
morale e dietro tutti i giudizi morali vi sia un principio unico. Poi-
LA DIGNIT DELLUOMO

ch la legge pratica non descrive semplicemente una realt di fatto,


ma la norma suprema di quello che dobbiamo fare, egli definisce
questo principio un imperativo; poich la sua validit non dipende
da altri fattori e non legata ad alcun condizionamento restrittivo,
egli parla di un imperativo categorico.
Kant si sforza di ricercare quale sia la formula giusta con cui
esprimere la legge fondamentale della morale. La sua risposta in
ultima analisi non del tutto unitaria, ma elenca diversi modi con
cui si pu intendere limperativo categorico. La formula pi calzan-
te per quello di cui stiamo parlando suona cos: Agisci in modo
da trattare lumanit, cos nella tua persona come nella persona di
ogni altro, sempre insieme come fine, mai semplicemente come
mezzo10.
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Per capire il senso del precetto, ci dobbiamo chiedere che cosa
significhi servirsi di un uomo come di un mezzo oppure come di
un fine. Cominciamo con il primo significato. Supponiamo che per
il fine settimana io progetti di andare in macchina al mare, ma la
mia auto sia rotta; il raggiungimento del mio intento dipende allora
essenzialmente dal fatto di trovare qualcuno che ripari la mia auto.
Se non sono in grado di farlo io stesso e porto lauto in unofficina,
ho bisogno del meccanico per realizzare il mio scopo. Normalmen-
te non c nulla da ridire per questo, perch il meccanico si fa pagare
per la sua riparazione, per cui anche nel suo interesse aiutarmi.
Se offro a qualcuno la possibilit di fare qualcosa che egli stesso fa
volentieri o che risponde alle sue intenzioni, me ne servo insieme
come mezzo e come fine. Come mostra lesempio del meccanico,
in questo non c nessun problema, e anzi questa dovrebbe essere la
situazione normale. La nostra convivenza sociale si fonda sul fatto
che ci aiutiamo a vicenda come mezzi per raggiungere i fini gli uni
degli altri. I medici curano i malati, gli insegnanti educano i bam-
bini, i muratori costruiscono case e i contadini producono grano,
senza che nessuno di loro ritenga di essere sfruttato o strumentaliz-
zato. In sostanza, considerare un uomo tanto come mezzo quanto
come fine la situazione meno rilevante, che non pone difficolt sul
piano morale.

10. Ivi, 91.


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Pu per accadere che si venga trattati in una maniera tale che


non tenga conto dei nostri desideri e dei nostri progetti. Se uno ha
in mente soltanto il conseguimento dei propri interessi, ha bisogno
di un altro semplicemente come mezzo e non insieme come fine.
Esempi significativi al riguardo sono i lavori forzati e la schiavi-
t, labuso sessuale, la presa in ostaggio e il ricatto. In tutti questi
casi la libera autodeterminazione della vittima non ha alcun ruolo;
la persona in questione, al contrario, serve soltanto come mezzo
per conseguire gli intenti egoistici del malfattore. Meno chiaro, ma
analogo, il caso della mancanza di rispetto nei riguardi degli altri.
Chi, ad esempio, considera gli addetti ai servizi pubblici o i dipen-
denti di unimpresa di pulizie semplicemente come fornitori di una
prestazione, senza tener conto del fatto che sono persone, si serve
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di costoro certo non come fine e agisce perci contro limperativo
kantiano.
Servirsi di qualcuno come fine significa dunque riconoscere
la capacit della persona di autodeterminarsi liberamente e respon-
sabilmente. Di un essere che possiede la capacit di determinare i
propri fini Kant dice anche che fine a se stesso. La persona delluo-
mo, afferma Kant nella Metafisica dei costumi, va valutata come fine
a se stessa. In altri termini, egli possiede una dignit (un valore
interiore assoluto), con la quale egli costringe tutti gli altri esseri
razionali ad avere rispetto per lui, e grazie alla quale pu misurarsi
con ognuno di loro su un piano di parit11.

Lumanit nella persona di ciascuno

Nella formula dellimperativo categorico luguaglianza di tutti


si esprime con queste parole: lumanit, cos nella tua persona come
nella persona di ogni altro. Ma perch Kant sceglie questa espres-
sione piuttosto complicata e non dice semplicemente ogni uomo,
oppure tutte le persone? Qual la differenza tra lumanit e la
persona di ognuno? Mentre, sin dalla tarda antichit, il concetto
di persona indica lindividuo nella sua unicit e insostituibilit, il
concetto di uomo designa il genere. Al genere umano appartiene

11. I. Kant, Metafisica dei costumi, Milano, Bompiani, 2006, 485.


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essenzialmente lunit di corpo e anima, oppure di corpo e spirito.


Luomo non pu esistere senza il suo organismo. Invece, per quan-
to riguarda le persone, pu anche trattarsi semplicemente di realt
spirituali, come mostra lesempio della Santissima Trinit. Quando
Kant parla dellumanit nella persona di qualcuno, si riferisce chia-
ramente allopposizione tra individuo e genere e tra corpo e spirito.
Secondo il filosofo francese Paul Ricur, Kant, usando la parola
umanit, intende dire che non vi contraddizione tra lidea di
autonomia del soggetto e quella della diversit delle persone12. La
legge morale stabilisce una connessione tra la volont dellindividuo
e la comunit di tutti, in quanto comanda di considerare lumanit
nella persona di ciascuno sempre insieme come fine. Ricur ricor-
da inoltre che la saggezza popolare esprime unesigenza analoga,
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quando nella regola doro raccomanda di non fare a nessuno ci
che non piace a te13. Per sapere se una determinata azione mo-
ralmente buona o cattiva, spesso basta soltanto chiedersi se si vuole
essere trattati nella stessa maniera. Proprio come la regola doro,
limperativo categorico tende a stabilire la reciprocit laddove re-
gna la mancanza di reciprocit14.
Tuttavia si fraintenderebbe limperativo categorico, se lo si in-
tendesse soltanto nel senso che tutti gli uomini debbano trattarsi
lun laltro alla stessa maniera. La reciprocit di cui parla Ricur
riguarda non tanto le azioni concrete quanto il riconoscimento del-
la dignit di ogni persona. Luguaglianza della dignit pu com-
portare talvolta un trattamento del tutto diverso. Consideriamo, ad
esempio, il caso di una persona che, apparentemente senza propria
colpa, caduta in una situazione di necessit dalla quale non pu
tirarsi fuori con le sole sue forze. Supponiamo che io veda uno che
cade in un fiume da un ponte. Proprio l vicino a me appeso un
salvagente, che devo solo gettare in acqua per salvare quelluomo
dallannegamento. Il dovere di prestare aiuto a chi nel bisogno
non deriva in questo caso dal fatto che io mi attendo di essere aiuta-
to se un giorno mi venissi a trovare in unanaloga situazione critica.

12. Cfr P. Ricur, S come un altro, Milano, Jaca Book, 1993, 324.
13. Tb 4,15.
14. P. Ricur, S come un altro, cit., 326.
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E neppure pu avere un suo ruolo il calcolo, e cio che il salvato,


o chiunque altro, potrebbe essermi riconoscente in qualche modo
per la mia buona azione. Al contrario, io sono obbligato ad aiutare
anche quando non si prevede affatto che laltra persona mi sia utile
nel conseguire i miei propri fini.
Colui che senza secondi fini o intenzioni recondite salva un
altro dallannegare, in certo modo tratta la persona semplicemen-
te come fine, non come mezzo. Ci avviene nonostante, o anzi,
proprio perch laltro, nella situazione concreta di bisogno in cui si
trova, non in grado di servirsi della propria capacit di autodeter-
minazione. Questultima sarebbe infatti la condizione per cui potrei
trattare laltro sia come mezzo sia come fine. Poich qui tale possi-
bilit viene meno, e il servirsi di una persona semplicemente come
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mezzo va contro limperativo categorico, questo il caso che rap-
presenta nel modo migliore il trattamento della persona come fine.
Gerold Prauss, in una sua acuta analisi della formula kantiana,
si richiama al Samaritano che si prende cura delluomo che sulla via
da Gerusalemme a Gerico si imbattuto nei briganti. Se cio
assolutamente necessario considerare un soggetto fine a se stesso, lo
anche quando non pi possibile considerare un soggetto anche
come mezzo e quindi solo anche come fine a se stesso, ma quando
unicamente possibile considerare un soggetto semplicemente come
fine a se stesso, come quel ferito mezzo morto della parabola del
buon Samaritano nella Bibbia15. Il comandamento dellamore del
prossimo, di cui parla Ges nel Vangelo, non fa distinzione di perso-
na, ma riguarda quel ferito nella sua situazione concreta di bisogno.
Si capisce cos come sia fondato il discorso di Kant, quando par-
la di umanit nella persona di ciascuno. Il motivo immediato per
cui il Samaritano si rivolge al bisognoso che si tratta di un uomo
che necessita del suo aiuto. In quel momento il Samaritano non si
chiede se quel malcapitato voglia essere aiutato, o se magari non
meriti il suo aiuto. Il sentimento che lo induce ad assistere laltro gli
sorge, per cos dire, spontaneo. come se fosse sufficiente guardare
un individuo del genere uomo per vedere in lui un fine a se stesso.

15. G. Prauss, Moral und Recht im Staat nach Kant und Hegel, Freiburg
Mnchen, Alber, 2008, 70. Cfr Lc 10,29-37.
LA DIGNIT DELLUOMO

Tuttavia, Kant non riconduce semplicemente il dovere morale al


dato biologico secondo cui la persona appartiene al genere umano.
Egli sottolinea invece che solo la moralit e lumanit in quanto sia
capace di essa costituiscono ci che ha dignit16. Il fondamento per
cui le persone non possono mai essere utilizzate come mezzi la
capacit delluomo di essere morale, cio di porre a se stesso dei fini
e di assumersi la responsabilit delle proprie azioni.
Poich il dovere morale si riferisce allumanit nella persona di
ciascuno, dallimperativo categorico kantiano non si pu dedur-
re che la dignit delluomo si possa restringere a un determinato
gruppo di persone. In particolare, sarebbe errato negare la dignit
a tutti coloro che non sono capaci di moralit, perch, ad esempio,
non sono nel pieno possesso delle loro facolt fisiche e spirituali.
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Una simile delimitazione della dignit sarebbe gi contraddittoria
per il fatto che, come abbiamo visto, il dovere morale di aiutare si
riferisce proprio a quegli individui che, trovandosi in una situazione
di bisogno, sono impediti del tutto o in parte nella loro capacit di
autodeterminarsi. Kant parla intenzionalmente della capacit del-
la moralit non della persona, ma dellumanit. Poich lumanit
capace di moralit, devo trattarla nella persona di ciascuno mai
semplicemente come mezzo, ma sempre insieme come fine.
La dignit dipende dunque dallappartenenza della persona
allumanit, da un lato, e dalla capacit di moralit da parte dellu-
manit, dallaltro. La dignit delluomo non si delimita quando la
singola persona non possiede un discernimento morale sufficiente,
come nel caso dei bambini piccoli o di coloro che sono mentalmen-
te impediti. Anche quando lindividuo non consapevole del suo
dovere e non riconosce ci che bene, la sua appartenenza alluma-
nit e la capacit di moralit da parte dellumanit garantiscono la
dignit di tale persona. Con lespressione lumanit, cos nella tua
persona come nella persona di ogni altro, che a prima vista sem-
bra alquanto oscura, Kant pone sullo stesso piano luniversalit della
dignit umana che si applica a ogni singolo membro del genere
uomo e il suo fondamento nella natura spirituale delluomo la

16. I. Kant, Fondazione della metafisica dei costumi, cit., 103.


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dignit si fonda sulla coscienza del dovere e sulla capacit di porre


a se stesso dei fini.
Se si elimina questa tensione e si pone come assoluto uno solo
dei due fattori, viene meno la natura particolare della dignit uma-
na. Da un lato, si tiene conto soltanto della natura razionale della
persona e si nega la dignit a tutti gli individui che, per via delle-
t, della malattia e di qualunque altro motivo, non sono nel pieno
possesso della ragione; e allora, ad esempio, le persone anziane o
impedite potrebbero, ad arbitrio, essere utilizzate semplicemente
come mezzo, o essere messe da parte, perch ormai non servono
pi a nulla. Daltro lato, si riconduce la dignit alla semplice appar-
tenenza biologica al genere e si lascia cadere la capacit delluomo di
autodeterminarsi; e allora la vita umana conserva certamente quel
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suo valore che la pone al di sopra di ogni altra cosa, ma lattenzione
che si presta alla vita non ha pi nulla a che fare con la capacit di
moralit e con il libero sviluppo della persona.
Se la dignit fosse soltanto una questione che riguarda la pro-
tezione della vita fisica, il Concilio Vaticano II non avrebbe potuto
fondare il suo diritto alla libert religiosa richiamandosi alla dignit
della persona umana. Per il Concilio, la dignit spetta a ogni indi-
viduo, e ognuno possiede la libert di gestire responsabilmente le
proprie opinioni e le proprie azioni.

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