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SCOTO ERIUGENA
Author(s): Rodolfo Rini
Source: Rivista di Filosofia Neo-Scolastica, Vol. 62, No. 1/2 (GENNAIO-APRILE 1970), pp.
101-132
Published by: Vita e Pensiero Pubblicazioni dellUniversit Cattolica del Sacro Cuore
Stable URL: http://www.jstor.org/stable/43068972
Accessed: 17-03-2017 16:25 UTC
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Rodolfo Rini
Il problema
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102 R. Rini
l'Uno - necessitat
compromesso col d
il concetto cristian
^ superamento dell
Nel pensiero di S
vare una formulaz
il concetto di crea
tonica dell'exitus
di far valere tutt
definitivo la liber
di Dio. attorno a
renti alla metafis
mere dilemmaticam
le cause primordia
non doveva essere
cessitata, e che re
Verbo e quindi an
cose non sono che
mordiali); o, ima v
col Verbo, doveva
dere nella volont divina la causa delle cose che sono state fatte su
quei modelli eterni.
La posizione dell'Eriugena riguardo alle cause primordiali
invece estremamente ambigua. Talvolta sembra considerarle modelli
eterni della creazione, accettando la correzione che Agostino aveva
portato nel neoplatonismo; talvolta le considera come esistenza ipe-
ruranica da cui sarebbe venuta quella empirica come effetto del pec-
cato originale. Restano gi anticipate cos le fondamentali difficolt
ermeneutiche relative al pensiero di Scoto Eriugena. Ed eccole ora
esposte nell'ordine che loro compete: 1) In che rapporto stanno le
cause primordiali con Dio? Si tratta, nel loro caso, di creazione vo-
lontaria o di generazione intellettuale? Nel primo caso il teismo gi
guadagnato in radice; nel secondo caso il suo riconoscimento legato
alla risposta che ci si sentir autorizzati a dare al secondo interro-
gativo, cio: 2) In che rapporto stanno le cause primordiali con il
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Dio essentia omnium in Scoto Eriugena 103
Ragione e rivelazione
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104 R. Rini
tutta la speculazion
sapienziale del cri
zione4 e il modo m
era ad un tempo a
dai filosofi greci
in un primo temp
assertore del valor
coincidere l'esplici
stianesimo stesso c
di quel complesso
secoli (e che pure e
presentava come vere.
In tale atteggiamento Scoto Eriugena aveva avuto del resto illu-
stri predecessori in Oriente come in Occidente: Giustino, Taziano e
pi chiaramente Lattanzio, Clemente Alessandrino, Origene, S. Agosti-
no, implicitamente con tutta la loro speculazione, ed esplicitamente
in vari passi, hanno inteso mostrare il cristianesimo come un com-
plesso dottrinale che era non solo la somma delle verit parziali sco-
perte dai filosofi, ma anche il discorso nel quale soltanto ogni seme
(oitQfia) o parte ((io) del Logos, della verit, trovava il proprio
senso6. Le loro decise affermazioni dell'unicit del vero e dunque
anche della presenza nel cristianesimo di verit filosofiche erano su-
scettibili di prova solo a patto di enucleare in un corpo organico il
fede in Ges Cristo a pi forte ragione possedere la sapienza, in questo senso almeno,
che, dal punto di vista della salvezza, la fede ci dispensa realmente e totalmente dalla
filosofia... perch chi possiede la religione, possiede anche, nella loro verit essen-
ziale, la scienza, l'arte e la filosofa, discipline stimabili, ma che non possono servire
se non di magra consolazione a chi non possiede la religione. Solo, se vero che pos-
sedere la religione avere tutto i resto, bisogna dimostrarlo. Un apostolo come
S. Paolo pu contentarsi di predicarlo, un filosofo vorr assicurarsene .
4 Cfr. in proposito, per es., De praedestinatione, PL CXXII, 357 C - 358 A.
5 Ci sembrano convincenti a questo proposito, gli argomenti addotti da M. Jacquin,
Le noplatonisme de Jean Scot , Revue des sciences philosophiques et thologiques ,
I, 1907, pp. 674-685. certo per che gi al tempo del De praed. Scoto aveva una
certa conoscenza del greco (infatti cita S. Paolo in greco alle coli. 431-432 e nel
cap. XVIII precisa che l'errata interpretazione della predestinazione dipende dall'igno-
ranza della lingua greca) e forse anche dello pseudo-Dionigi: la concezione del male
che Scoto vi esprime richiama spesso la lunga digressione ( 18-35) del IV cap. dei
Nomi divini.
6 "Oca oftv na jraiv xodc eiQT)Tcu, fjficv xqk*xm*vcv oxiv , aveva affermat
S. Giustino (II Apologia, cap. XIII); e Lattanzio ( Divinae Institutiones, VII, 7) espri-
meva lo stesso concetto: Si extitisset aliquis qui veritatem sparsam per singulos per
sectasque diffusam colligeret in unum ac redigerei in corpus, is profecto non dissenti-
rei a nobis. Sed hoc nemo facere nisi veri peritus ac sciens potest; verum autem scire
non nisi eius est qui sit doctus a Deo .
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Dio essentia omnium in Scoto Eriugena 105
7 U. Moricca, Storia della letteratura latina cristiana , Torino 1923, vol. I, p. 189.
Cfr. anche M. Pohlenz, La Stoa, storia di un movimento spirituale, trad, it., Firenze
1967, vol. II, pp. 193 ss.
8 Per un chiarimento di questo concetto si veda I. Mancini, Linguaggio e sal-
vezza , Milano 1964, pp. 233 ss.
9 Nulla itaque auctoritas te terreat ab his, quae rectae contemplationis ratio-
nabilis suasio edocet. Vera enim auctoritas rectae rationi non obsistit, eque recta
ratio verae auctoritati. Ambo siquidem ex uno fonte, divina videlicet sapientia, manare
dubium non est (De divisione naturae, PL CXXII, 511 B. Per semplificare, in seguito
citeremo l'opera soltanto con l'indicazione della colonna e della lettera).
10 Utendum igitur est, ut opinor, ratione et auctoritate, ut haec ad purum
dignoscere valeas. His enim duobus tota virtus inveniendae rerum veritatis consti-
tuitur (499 B).
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106 R. Rini
rivelazione, non ne
intento la ragione
non mai con quella
na, dunque anche a
tanto dalle ragioni c
Il problema che a
rarsi risolto con il
11 Ecco un passo in cui l'Eriugena esprime una chiara prospettazione del ruolo
della speculazione teologica: Una quidem ( seil, divina auctoritas) de natura incom-
prehensibili ineffabilique pie quaerentibus multa concessit ac tradidit et cogitare et
dicere, ne verae religionis studium in omnibus sileat, ut et rudes adhuc in fidei
simplicitate doctrina nutriat et catholicae fidei aemulis instructa armataque, divinis
propugnaculis munita respondeat. Altera vero {seil, ratio), ut simplices adhuc in
cunabulis ecclesiae nutritos pie casteque corrigat, ne quid indignum de Deo vel credant,
vel aestiment, nec omnia quae sacrae Scripturae auctoritas de causa omnium praedicat,
proprie praedicari examinent, sive gloriosissima et summa omnium sint, ut vita,
virtus ceterarumque virtutum nomina (511 BC). Cfr. anche 508 B - 509 A; 510 BC;
512 BC; 518 BC. La necessit di interpretazione della Scrittura - afferma P. Maz-
zarella in II pensiero di G. S. Eriugena, Padova 1957, p. 29 - stabilisce in maniera
perentoria la sua superiorit. Se infatti non fosse stato ammesso in precedenza l'asso-
luto valore della Scrittura, allora piuttosto che interpretare e cercare di chiarire
l'esatto significato dei termini scritturali, che a prima vista sembrano sottrarsi alla
ragione, questa dovrebbe senz'altro respingere tutto ci che con essa non collima.
La stessa idea espressa dal Cappuyns in J. S. E ., sa vie, son oeuvre , sa pense (Lou-
vain-Paris 1933, p. 296) : Le rapport que Jean Scot tablit entre la simplicit de la foi,
simplicitas fidei , et l'intelligence spirituelle de l'criture, est un rapport de subordi-
nation et de cause effet: per fidem... inchoat intelligi .
12 II pensiero di Scoto in proposito inequivocabile: l'autorit della Scrittura
non mai messa in discussione ( Sacrae siquidem Scripturae in omnibus sequenda
est auctoritas, quoniam in ea, veluti quibusdam suis secretis sedibus Veritas possidet ,
509 A), anzi dalla Scrittura che si devono prendere le mosse nella ricerca della
verit: ratiocinationis exordium ex divinis eloquiis assumendum esse aestimo... Nil
convenientius: ex ea enim omnem veritatis inquisitionem initium sumere necessarium
est (545 B; cfr. anche 510 B). E poich anche la ragione, illuminata da Dio (cfr. 449
D ; 650 AB; 668 C), pu raggiungere il vero, va seguita con fiducia: nobis ratio se-
quenda est, quae rerum veritatem investigai, nullaque auctoritate opprimitur, nullo
modo impeditur ne ea, quae et studiose ratiocinantium ambitus inquirit, et laboriose
invenit, publice aperiat atque pronuntiet (508 D - 509 A). Alla ragione Scoto riconosce
il diritto di mettere in discussione la stessa autorit dei Padri. Quando il discepolo
chiede al Maestro di corroborare le proprie ragioni con l'autorit dei Padri ( sed
auctoritate sanctorum Patrum aliquod munimen ad haec roboranda vellem inseras ),
il Maestro risponde: non ignoras, ut opinor, majoris dignitatis esse, quod prius est
natura, quam quod prius est tempore... Rationem priorem esse natura, auctoritatem
vero tempore didicimus... Disc. Et hoc ipsa ratio edocet. Auctoritas siquidem ex
vera ratione processit, ratio vero nequaquam ex auctoritate. Omnis enim auctoritas ,
quae vera ratione non approbatur, infirma videtur esse. Vera autem ratio, quoniam
suis virtutibus rata atque immutabilis munitur, nullius auctoritatis astipulatione
roborari indiget. Nihil enim aliud mihi videtur esse vera auctoritas, nisi rationis vir-
tute reperta Veritas, et a sanctis Patribus ad posteritatis utilitatem litteris commen-
data... Ideoque prius ratione utendum est in his, quae nunc instant, ac deinde aucto-
ritate (513 AC). chiaro che in questo testo la priorit della ragione viene affermata
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Dio essentia omnium in Scoto Eriugena 107
nei confronti di qualsiasi autorit umana, sia pure quella dei Padri, non nei con-
fronti dell'autorit divina. Si veda in proposito M. Jacquin, Le rationalisme de Jean
Scot, in Revue des sciences philosophiques et thologiques , II, 1908, pp. 747-748,
ed anche E. Gilson, La philosophie au Moyen ge , Paris 1962 2, p. 205.
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108 R. Rini
Le premesse filosofiche
DELLA SPECULAZIONE ERIUGENIANA
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Dio essentia omnium in Scoto Eriugena 109
3 Enti., VI, 8, 21; trad. it. di V. Cilento, Bari 1949, vol. III, parte I, p. 416.
14 De divinis nominibus, IV, PG III, 693 B (trad, nostra).
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110 R. Rini
porterebbe una c
non est atque coe
Disc. Aliud praet
enim omnia sunt
temere dederim.
tibus quaedam co
poteva che condu
quam omnia facer
si ei accideret om
Moveret enim se
praecederet action
terna. Coaeternum
quaedam sunt Deus
atque individuum
est Deo esse et al
questo un pass
quindi occorrer
eriugeniano per co
immediata che su
dei rapporti etern
affermazione dell
pi evidente sull'
siderazione di Dio
so Prima della cr
il tempo il marc
la creatura; il tem
finita, in quanto
ha bisogno di svi
voglia precisare m
niano, ci si accor
oscillazioni macro
siero agostiniano.
citate documenta
517 AB.
16 517 D - 518 A {sottolineatura nostra). Cfr. anche 639 AC; 667 B'D; 908 C - 909 B
556 A -557 B.
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Dio essentia omnium in Scoto Eriugena 111
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112 R. Rini
nica, di un concett
a Scoto di consider
re cause esemplari e
formale della realt
neoplatonico in qu
mordiali agli esser
semplice esigenza n
delle cause primor
concezione realistic
Il sintomo pi clam
gena , a questo pr
causa del passaggio
elusa, non superata
surdo che il castig
l'assurdo appunto
dal monismo neopl
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Dio essentia omnium in Scoto Eriugena 113
24 512 A. Cfr. anche 541 C - 542 A; 512 C; 480 B; 574 AB; 456 A; 446 BC; 447
458 C; 459 AC, in particolare questo brano: Ea quippe, quae a seipsis discrepant,
na esse non possunt. Si enim aeterna essent, a se invicem non discreparent. Aetern
enim sui similis est, et tota per totum, in seipsa una simplex individuaque subsist
Si gitur praedicta divina nomina opposita e regione sibi alia nomina respiciunt,
necessario etiam res, quae proprie eis significantur, oppositas sibi contrarietates obti-
nere intelliguntur, ac per hoc de Deo, cui nihil oppositum... proprie praedicari non
possunt .
25 518 D - 519 A.
26 458 B. Cfr. anche 463 BC e 510 D.
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114 R. Rini
27 Afferma Scoto: Cu
clare considerabis, haec d
opponi, dum circa divina
consentiunt (461 BC). La teologia negativa per superiore a quella affermativa,
in quanto coglie, sia pure negativamente, ci che proprio di Dio ed elimina ogni
tentativo di misurarlo con concetti il cui valore rigidamente circoscritto alla realt
finita: verius per negationem de Deo aliquid praedicare possumus, quam per affr-
mationem <525 A. Sul primato della teologia negativa si vedano anche 592 AB e
758 A). Anche la teologia superlativa non costituisce un abbandono di quella negativa,
ma al contrario il suo inveramento in quanto in questo ambito le due teologie agi-
scono sinergicamente e il discorso teologico non si disgiunge dalla consapevolezza dei
propri limiti. Il Vernet ( Eriugne , in Dictionnaire de thologie catholique, vol. V,
1913, coll. 401434) enuncia una singolare tesi interpretativa, che potremmo sintetizzare
cos: 1) La teologia negativa pone nel disvalore quella affermativa e rappresenta
l'unico atteggiamento possibile nella ricerca teologica. 2) Tale agnosticismo fondato
sulla totale alterit di Dio rispetto al mondo, cio sulla mancanza del concetto di
analogia. 3) Il discorso teologico ha un valore semplicemente metaforico e pratico
e quindi teoreticamente irrilevante: questo determinerebbe in Scoto una sorta di
indifferentismo dogmatico che lo disporrebbe alle pi esuberanti allegorizzazioni.
Di qui verrebbero tutti gli errori teologici di Scoto. A nostro modo di vedere non
si poteva dire nulla che fosse pi estraneo all'atteggiamento dell'Eriugena, come ci
sembra risultare da quanto veniamo dicendo.
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Dio essentia omnium in Scoto Eriugena 115
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116 R. Rini
dine: la trascende
questo tipo comp
dell'Assoluto. Tale
Scoto ha della co
se stesso.
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Dio essentia omnium in Scoto Eriugena 117
sono conoscere nessuna realt che sia loro superiore; anzi non
sono conoscere neppure se stessi, poich, dice Scoto, la definizi
una realt, in quanto comprensione di questa realt stessa, m
giore di essa e non pu quindi esserne compresa: maius enim es
dfinit, quam quod definitur 32. Per poter conoscere se stesso
rito dovrebbe uscire da s per comprendersi, ci che assurdo 33
Ancora una volta la variet delle fonti del pensiero eriuge
lascia una traccia ben visibile: la prospettiva empiristica di or
stoica nella considerazione della conoscenza presupponeva una m
fisica almeno tendenzialmente materialistica, che era l'antitesi
di quella concezione del corpo come risultato dell'incontro di va
menti spirituali che l'Eriugena mutua da Gregorio di Nissa.
Resta accertato intanto che, sulla base di queste consideraz
era gi esclusa la possibilit di affermare che Dio si conosce. La
chia dell'essere anche gerarchia del conoscere; ogni realt pu
nire solo ci che le inferiore, non quindi se stessa. Dio non f
zione alla regola. Egli comprende tutto poich tutto sovrasta
causa universale, ma non pu a sua volta essere circoscritto,
s, n da altro: sive enim ab intellectuali creatura, sive a seip
aliqua definita essentia intelligatur divina natura, non omnin
infinita et incircumscripta
Ci pare di avere ormai evidenziato a sufficienza il fondam
della tesi dell'ignoranza divina: esso non consiste nella avvertit
cessit di supporre in Dio un modo di conoscenza totalmente
rispetto al nostro conoscere (nel qual caso affermare l'ignora
Dio significherebbe solo porre in Lui un modo di conoscenza
lente), ma, al contrario, consiste nell'estensione a Dio di una
certa concezione del conoscere, che desunta (per lo meno pretende
di esserlo) dall'effettivo procedere della conoscenza umana. L'atteg-
giamento eriugeniano dunque tutt'altro che apofatico e la teologia
negativa resta inoperante nella trattazione di questo argomento. Anche
quando Scoto afferma: ipsius... ignorantia ineffabilis est intelligen-
tia 35, vuol dire qualcosa di diverso da quello che suppone il Cap-
puyns, secondo il quale l'ignoranza di Dio sarebbe una ignorance
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118 R. Rini
transcendante, releva
pu sapere di Dio c
sito un'ignoranza c
vale anche per Dio,
sapienza dell'Assolut
pria inconoscibilit37
Ma c' di pi: Scoto
creare e dell'ignoran
profondimento della
attraverso le creatur
Quando il discepolo
lui alcuni testi patri
creato (creatur), Sc
etimologica del term
{Scopai (vedo) e ft<
videns e curren
videns interpretatur.
nihil extra seipsum
a verbo ftco, fte c
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Dio essentia omnium in Scoto Eriugena 119
M 452 CD.
3 452 B.
io 455 AB.
41 454 A.
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120 R. Rini
454 CD.
43 Fieri ergo dicitur in omnibus divina natura, quae nihil aliud est, nisi divina
voluntas. Non enim aliud in ea est esse et velie, sed unum ddemque velie et esse
in condendis omnibus, quae facienda visa sunt (453 D).
44 Non enim essentia divina Deus solummodo dicitur, sed etiam modus ille, quo
se quodammodo intellectuali et rationali creaturae, prout est capacitas uniuscuiusque,
ostendit, Deus saepe a sacra Scriptura vocitatur. Qui modus a Graecis theophania,
hoc est, Dei apparitio solet appellali (446 BD).
45 689 B (sottolineature nostre). Ritorna in questo testo la concezione eriuge-
niana del conoscere; Dio rimane sconosciuto perch non una realt finita (che possa
essere conosciuta-compresa da un'altra realt finita occupante un posto pi alto
nella gerarchia dell'essere (cfr. 589 C). Dio cio non una realt finita (non est quid),
ma la finitezza condizione di conoscibilit: non enim suades, Deum sepsum
ignorare, sed solummodo ignorare, quid sit. Et merito, quia non est quid; infinitus
quippe est et sibi ipsi, et omnibus quae ab eo sunt (590 CD).
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Dio essentia omnium in Scoto Eriugena 121
sam, nec a seipsa nec ab aliquo inveniri potest, quid sit; in suis
theophaniis quodammodo cognoscitur *.
In conclusione: la semplicit di Dio comporta la sua inconosc
lit alle creature e la necessit della creazione, che viene prese
come il veicolo della stessa conoscenza, non mai completa, che
ha di se stesso. Ma Scoto ha precisato che solo la creazione delle
primordiali eterna e necessaria. La risposta al problema del pa
smo eriugeniano dunque rimandata cio condizionata alla del
zione dei rapporti tra le cause primordiali e la realt spazio-te
rale. Si tratta di uno dei problemi pi importanti ai fini della r
struzione del pensiero eriugeniano. anche troppo evidente, inf
che le tesi della necessit della creazione e dell'impossibilit div
di prender coscienza di s se non manifestandosi assumono signi
ben diversi in relazione alle varie possibili prospettazioni dei rap
tra le cause primordiali (identificate con Dio) e le realt spazio-
porali. Scoto ha affermato l'eternit-necessit della creazione d
cause primordiali; ma poich esse sono Dio stesso ovvio che l
cessit della creazione non comporta per s la negazione della tra
denza. La quale peraltro entrerebbe in crisi per un motivo div
se la seconda natura fosse presentata come causa formale della r
empirica.
La metafisica di Scoto
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122 R. Rini
eriugeniana della
il punto di magg
ponate. Le strade
quando si passa d
delineazione dei r
Agostino sono in
giungere anche ef
cause primordiali
sa. La dottrina de
Plotino, di Giamb
gerato all'interno
causa formale e c
estrinseca, propr
supporre - come
tate sit in cogno
cognito m. Una
e realt, le idee div
formale della rea
enigmatico, si era
prospettando le p
di Afrodisia e que
aver precisato ne
non possono esser
era venuto accost
bracciarla: numero differentiam accidentium varitas facit M.
Tale realismo boeziano-platonico agisce scopertamente nella ri-
cerca eriugeniana51, operando - in quanto premessa filosofica non
sufficientemente vagliata - quello svuotamento dei concetti cristiani
di creazione e di partecipazione di cui si parlato solo come possibile
esito all'inizio di questa ricerca. Una ricostruzione del pensiero eriu-
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Dio essentia omnium in Scoto Eriugena 123
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124 R. Rini
535 C.
57 597 A.
58 638 A. Cunctae quidem essentiae in ratione unum sunt , sensu vero in es-
sentiels diffrentes discernuntur. Omnium itaque essentiarum ex suorum principiorum
simplicssima unitate per intellectum descendentem simplicissimam cognitionem ratio
percipit; sed sensus ipsam simplicitatem per differentias segregat (578 A, sottoli-
neatura nostra).
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Dio essentia omnium in Scoto Eriugena 125
59 472 C. Cfr. anche 489 D - 490 A e 492 AC. Molto significativo questo testo:
At vero ovcra, quamvis sola ratione in genera sua speciesque et numros divi-
datur, sua tamen naturali virtute individua permanet, ac nullo actu seu operatione
visibili segregatur. Tota enim simul et semper in suis subdivisionibus, aeternaliter
et incommutabiliter subsistit, omnesque subdivisiones sui simul ac semper in seipsa
unum inseparabile sunt (492 C).
60 Cfr. 778 D -779 D.
443 B.
62 502 A. L'argomento addotto da Scoto a sostegno di questa concezione preso
da Gregorio di Nissa e riflette una certa tendenza a coseizzare gli universali: i fattori
la cui essenza determina lo scomparire del corpo - dice Scoto - sono quelli che
10 costituiscono ( Consequens erit, quorum absentiam solutionis corporis causam
invenimus, horm concursum materialem naturam creare assumere, 502 CD); ora,
se noi sottraiamo tutti gli accidenti (realisticamente intesi come accidenti dell'unica
sostanza), non rimane nulla; dunque il corpo non che il risultato del loro affa-
stellarsi (cfr. 503 AB e 507 AB). L'immane divenire del mondo non per Scoto che
11 risultato del vario coagularsi degli accidenti dell'unica essenza (cfr. 479 e coli. 501-
503): la sostanzialit di alcuni fenomeni del mondo empirico solo apparente e
relativa alla conoscenza sensibile.
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126 R. Rini
491 A.
64 768 AB. esemplare per la sua chiarezza tutto il brano. Si veda 768 A - 779 D.
65 Verissima et probatissima definitio hominis est ista; et non solum hominis
verum etiam omnium, quae in divina sapientia facta sunt. Nec vereor, eos qui definiunt
hominem, non secundum quod intelligitur esse, sed ex his, quae circa eum intelli-
guntur, dicentes, homo est animal rationale, mortale, sensus et disciplinae capax,
et quod est mirabilius hanc defini tionem usiadem vocant, dum non sit substantialis,
sed circa substantiam, ex his quae per generationem substantiae accidunt, extrinsecus
assumpta. Notio namque hominis in mente divina nihil horum est. Ibi siquidem
simplex est, nec hoc nec illud dici potest, omnem definitionem et collectionem partium
superans, dum de ea esse tantum praedicatur, non autem quid sit. Sola etenim ac
vera usiadis definitio est, quae solummodo affirmat esse, et negat quid esse (768 BC).
66 qui particolarmente evidente l'influsso del pensiero di Boezio, che viene
esplicitamente citato: quid ergo mirum aut rationi contrarium, si similiter acci-
piamus, magnificum Boethium non aliud aliquid variabilem rem intellexisse, nisi
corpus materiale, quod ex concursu earum rerum, quae vere sunt, ut ait ipse, consti-
tutor? (503 BC).
67 Quid ergo mirum si rerum notio, quam mens humana possidet, dum in ea
creata est, ipsarum rerum, quarum notio est, substantia intelligatur, ad similitudinem
videlicet mentis divinae, in qua notio universitatis conditae, ipsius universitatis incom-
municabilis substantia est...? (769 A)
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Dio essentia omnium in Scoto Eriugena 127
630 D.
69 779 BC. Cfr. anche 773 D - 774 A; 760 A e 779 AB. In proposito sono chiarifi-
catrici alcune precisazioni di B. Stock in The philosophical anthropology of Johannes
Scottus Eriugena (Studi Medievali, 1967, pp. 1-57). La posizione di centralit che
Scoto riconosce all'uomo diviene ancor pi esplicita quando egli afferma che in un
certo senso il paradiso la natura umana stessa quale essa era prima del peccato
(cfr. 822 A).
to In dem System des Eriugena - afferma K. Eswein, art. cit., pp. 191-192 -
ist alles Leben und Bewegung, wenn diese auch trotz der Betonung des "creare" keine
schpferische Bewegung, sondern mehr ein stufenweises Emanieren im Sinne des
Neuplatonismus und besonders seiner ersten Urhebers, des Plotin ist, dem zwar die
schpferische Ttigkeit der Ureinen, seines Gottes, ber alles geht (ja Gott ist fr
ihn reines Schaffen), fr den sich aber dieses Schaffen in unpersnliche Emanation
und knstlerische Bilder auflsen muss, da doch eigentlich nur Persnlichkeiten
handelnd auftreten knnen, weshalb das schpferische Prinzip im Pantheismus sozu-
sagen keinen Platz hat .
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128 R. Rini
La creazione per
cessaria del divino.
pea metafisica i m
caduta, redenzione - era cos destinato al fallimento.
Cedendo a suggestioni gnostiche e neoplatoniche, egli vede nel
peccato la causa della decadenza del mondo ideale nel mondo empi-
rico, presentando cos quest'ultimo come una degenerazione del primo
e quindi come posto in situazione di continuit sostanziale con esso.
Il procedere della discussione eriugeniana sul peccato originale e sulle
sue conseguenze invero singolare. Punto di partenza la discussione
del pensiero agostiniano in proposito, cio della tesi che l'uomo stato
creato nella sua interezza - anima e corpo - prima del peccato.
La preferenza di Scoto va per a Gregorio di Nissa, il quale sosteneva
invece che il corpo era una conseguenza del peccato. L'accordo che
Scoto propone tra le due auctoritates consiste nel ritenere che l'uomo
fu veramente creato in anima e corpo (con Agostino), ma che il
corpo era stato nondimeno aggiunto - exterius adjectum , super-
additum 71 - in conseguenza del peccato, previsto infallibilmente
da Dio72. Infatti, dice Scoto, Dio ha creato tutte le cose insieme:
omnia siquidem, quae temporum intervallis in mundo nascuntur, si-
mul et semel et ante mundum et cum mundo facta sunt, quamvis
non simul per divinae providentiae administrationem mundum sensi-
biliter adimpleant, sed ratione temporum 73. Ne seguiva che Dio ha
creato tutte le cose future e quindi anche le conseguenze di un pec-
cato che doveva ancora accadere. Certo, essendo il corpo umano una
conseguenza del peccato, nella sua creazione la volont divina solo
permitiente; ma il problema che restava da affrontare era quello
relativo alla possibilit del discorso eriugeniano di lasciar sussistere
l'autonomia metafisica della natura come condizione del peccato stesso.
La singolarit di cui si diceva consiste proprio nella mancata avver-
tenza della difficolt di inserire queste considerazioni sul peso del
peccato nella vicenda cosmica tracciata da Scoto: anche a prescin-
dere dal loro valore infatti esse presuppongono una giustificazione
dell'alterit dell'uomo rispetto a Dio; lo si gi detto: il peccato sup-
pone l'alterit, non la pone. Scoto vede solo la difficolt di concepire
una pena precedente la colpa e la risolve ricorrendo alla tesi agosti-
niana della sovratemporalit divina. Ma l'aporia fondamentale del suo
pensiero, quella del sorgere dell'alterit, rimane insoluta in quanto
71 804 D e 803 A.
Cfr. 803 B; 807 A.
" 807 B.
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Dio essentia omnium in Scoto Eriugena 129
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130 R. Rini
" 866 C.
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Dio essentia omnium in Scoto Eriugena 131
Conclusione
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132 R. Rini
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