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All'ingresso nel IV Cerchio (/iv-cerchio.html) i due poeti incontrano Pluto (/pluto.html), custode di quella zona infernale. Il mostro, che
ha sembianze di lupo, inveisce contro di loro pronunciando parole incomprensibili, ma Virgilio rassicura Dante (/virgilio.html) del fatto
che non potr impedire il loro cammino, quindi rimprovera il demone e lo zittisce ricordandogli la sconfitta subita da Lucifero
(/lucifero.html) ad opera dell'arcangelo Michele (/arcangelo-michele.html). A questo punto Pluto cade a terra prostrato e i due poeti
possono proseguire.
Dante e Virgilio entrano nel IV Cerchio, dove sono stipate moltissime anime. I dannati
spingono faticosamente enormi macigni, divisi in due schiere che procedono lungo il
Cerchio in senso opposto. Quando cozzano gli uni contro gli altri, si gridano a vicenda:
Perch tieni stretto il masso? e Perch lo fai rotolare?, quindi si girano indietro e
riprendono la loro bizzarra giostra.
Dante, sopraffatto dall'angoscia, chiede a Virgilio chi siano quei dannati e in particolare
se le anime che vede con la tonsura siano effettivamente tutti chierici. Il maestro
spiega che tutti loro in vita non spesero il denaro con giusta misura, peccando gli uni di
avarizia e gli altri di prodigalit. Le anime con la tonsura furono effettivamente chierici,
tutti peccatori di avarizia e fra loro ci sono anche papi e cardinali. Dante si stupisce di G. Dor, Avari e prodighi
non riconoscere nessuno di loro, ma Virgilio chiarisce che il carattere immondo del loro
peccato ora li rende del tutto irriconoscibili. Per l'eternit le due schiere di dannati si scontreranno nei due punti del Cerchio, finch il
giorno del Giudizio gli avari risorgeranno col pugno chiuso e i prodighi coi capelli tagliati. Virgilio conclude dicendo che i beni terreni,
affidati alla fortuna, sono effimeri e tutto l'oro del mondo sarebbe insufficiente a placare queste anime afflitte.
La teoria della Fortuna (67-99)
Dante colto da un dubbio e chiede a Virgilio cosa sia questa Fortuna (/fortuna.html), che
sembra avere i beni materiali tra i suoi artigli. Il poeta latino dapprima biasima l'ignoranza del
mondo, quindi spiega che Dio ha disposto varie intelligenze angeliche a governare i vari Cieli,
e allo stesso modo ha creato un'intelligenza che amministri i beni terreni. Essa, la Fortuna,
stabilisce quando le ricchezze debbano cambiare di mano e quali genti debbano prosperare
o decadere, secondo l'imperscrutabile giudizio divino. La saggezza umana non pu
contrastare le sue decisioni ed inevitabile che i mutamenti siano rapidi. Molti sciocchi la
maledicono, mentre dovrebbero lodarla e ringraziarla: essa non sente neppure queste
lamentele, gira la sua ruota e opera serenamente insieme agli altri angeli. A questo punto
Virgilio invita Dante a proseguire il cammino, poich sono gi passate dodici ore da quando
ha lasciato il Limbo (/limbo.html)su invito di Beatrice (/beatrice.html).
Interpretazione complessiva
Il Canto in gran parte dedicato al peccato di avarizia, che come gi visto nel Canto I (/inferno-canto-i.html) considerato da Dante
la radice di tutti i mali del mondo e la causa prima del disordine politico e morale rappresentato dalla selva oscura (/selva-
oscura.html) del paesaggio iniziale: simbolo di tale peccato, nonch guardiano demoniaco del IV Cerchio, Pluto, il cui aspetto
animalesco rimanda alla lupa (/lupa.html) dalla quale Dante era stato soccorso da Virgilio, per quanto non sia possibile stabilire da
dove Dante abbia tratto questa curiosa trasformazione del dio classico (problema analogo si visto nel caso di Minosse
(/minosse.html), mentre per Pluto si aggiunge la difficolt di stabilire con precisione se si tratti del dio greco delle ricchezze Pluto o di
Ade-Plutone, sposo di Proserpina (/proserpina.html)). Secondo uno schema narrativo ricorrente nel corso della Cantica, anche Pluto
tenta vanamente di opporsi al passaggio di Dante e anche in questo caso l'ostacolo superato da Virgilio, che sembra afferrare il
senso delle sue misteriose parole e lo mette a tacere con la solita formula che rammenta l'ineluttabilit del viaggio dantesco, anche
col riferimento all'arcangelo Michele che aveva punito Lucifero di cui, forse, Pluto figura come Cerbero (/cerbero.html) e le altre
divinit classiche demonizzate. Sta di fatto che Pluto si acquieta non diversamente dal cane trifauce, simile alle vele di una nave che
cadono a terra quando non sono pi gonfiate dal vento, a signifcare forse l'inconsistenza della sua minaccia.
Protagonisti della parte centrale del Canto sono poi avari e prodighi, il cui numero in questo Cerchio tale da suscitare la pi viva
sorpresa da parte di Dante: la loro pena ha qualcosa di grottesco ed infatti descritta con toni fortemente comico-realistici, in quanto
questi dannati sono costretti a voltolare dei massi, come in una assurda giostra, dicendosi parole ingiuriose che alludono
reciprocamente ai loro peccati. Questo l'unico Cerchio infernale in cui detto chiaramente che ad essere puniti sono due peccati
opposti, secondo il principio aristotelico in medio stat virtus, per cui tanto gli avari quanto i prodighi non hanno saputo osservare una
giusta misura nelle loro spese e i primi sono stati troppo stretti, i secondi troppo larghi: non sappiamo se ci valga anche per le altre
zone, o se sia un caso unico nella topografia morale dell'Inferno, mentre evidente che il peccato commesso dai prodighi diverso
da quello degli scialacquatori (/suicidi-e-scialacquatori.html), che non si sono limitati a spendere troppo ma hanno sperperato in
maniera dissennata tutto il loro patrimonio, per cui li troveremo tra i peccatori di violenza del VII Cerchio (/vii-cerchio.html).
Distinzione analoga tra avari e prodighi ci sar anche nella V Cornice (/v-cornice.html) del Purgatorio, anche in quel caso col dubbio
se essa sia riservata a quel luogo o da estendere a tutto il secondo regno (le parole del poeta in proposito non sono esaustive
nemmeno in quella circostanza). Quel che certo che qui Dante vuole condannare soprattutto l'avarizia e, attraverso di essa,
rivolgere un'aspra critica alla corruzione ecclesiastica: infatti tra le anime degli avari il poeta vede moltissimi chierici (riconoscibili per il
fatto di avere la tonsura) e Virgilio non tarda a spiegargli che tra loro ci sono papi e cardinali, dichiarando dunque che la corruzione
largamente diffusa nelle alte gerarchie della Chiesa dato l'elevato numero di dannati stipati dalla giustizia di Dio in questo Cerchio.
Per la prima e unica volta Dante omette di fare i nomi di anime dannate, adducendo come motivo il loro aspetto irriconoscibile per via
del peccato, in maniera analoga per certi versi a quanto gi detto per Ciacco (/ciacco.html); c' chi ha pensato a una naturale
prudenza da parte dell'autore, trattandosi del delicato tema della responsabilit degli alti vertici della Chiesa, ma nel Canto XIX
(/inferno-canto-xix.html) Dante non esiter a porre tra i papi simoniaci Niccol III (/niccolograve-iii.html) e a fargli predire addirittura la
dannazione di due papi futuri, Bonifacio VIII (/bonifacio-viii.html) e Clemente V (/clemente-v.html), mentre in altri momenti del poema
egli rivolger aspre invettive sia contro papa Bonifacio, in carica al momento dell'immaginario viaggio, sia contro Giovanni XXII
(/giovanni-xxii.html), che invece era pontefice quando venivano composti gli ultimi Canti della Commedia (durissimo il suo attacco
contro di lui in Par., XVIII (/paradiso-canto-xviii.html), 130-136). Virgilio qui si limita a condannare la cieca cupidigia di queste anime e
a ricordare il loro destino dopo il Giudizio finale, quando gli avari risorgeranno col pugno chiuso e i prodighi coi crin mozzi, a
simboleggiare per l'eternit il loro peccato e ad affermare che l'attaccamento alle ricchezze terrene le ha escluse irrimediabilmente
dalla salvezza, mentre tutto l'oro del mondo adesso diventa inutile ai loro occhi. Va aggiunto che tutta questa descrizione
sottolineata da suoni aspri e rime difficili, come -erci, -erchio, -ozzi, -ulcro, -uffa, -anche (in cui abbondano le consonanti gutturali e c'
ampio uso di metafore animalesche e termini rari), mentre nel successivo discorso di Virgilio sulla Fortuna il tono si far pi disteso e
i suoni assai pi morbidi, forse per creare un voluto contrasto con la materia trattata in precedenza.
Gli antichi interpretavano la Fortuna come una dea capricciosa e volubile, che teneva tra branche (tra gli artigli) i beni terreni, come
una creatura animalesca, e dispensava e toglieva le ricchezze agli uni e agli altri in modo del tutto casuale e senza alcuna
considerazione razionale: Dante ha ben presente questa concezione e ne chiede conto a Virgilio, la cui risposta smentisce
decisamente a lume di filosofia i luoghi comuni che nel Medioevo ancora esistevano su questa divinit. Virgilio chiarisce che essa in
realt un'intelligenza angelica, ministra ed esecutrice della volont divina, che trasmuta le ricchezze di mano in mano secondo il suo
giudizio inconoscibile agli uomini che, evidente, si conforma a quello di Dio: tale visione propria della cultura medievale,
profondamente diversa dalla concezione classica e umanistica che riconduceva la fortuna al caso e quindi la subordinava alla virt
umana (Virgilio spiega invece che la prudenza umana non pu nulla contro il volere della Fortuna, il cui giudizio occulto come in
erba l'angue); se gli uni si arricchiscono e gli altri si impoveriscono ci non dovuto al caso o al capriccio della dea, ma al disegno
provvidenziale di Dio in cui tutto ha un senso e nulla avviene per caso, anche se ci non immediatamente comprensibile agli uomini
il cui intelletto non pu penetrare nell'abisso della saggezza divina. Ci ribadisce la scarsa importanza delle ricchezze materiali, in cui
carattere transitorio dimostra che ben poco peso devono avere nella vicenda degli uomini sulla Terra e nulla possono determinare
quanto alla salvezza ultraterrena che dipende da ben altro, per cui l'eccessivo confidare nella Fortuna rischia di portare alla
dannazione come capitato alle anime di questo Cerchio.
L'ultima parte del Canto introduce gli iracondi immersi nella palude Stigia che circonda la citt di Dite: tra di essi vi sono gli
accidiosi, ovvero gli iracondi che covarono a lungo il risentimento e meditarono vendetta, posti sott'acqua e intenti a pronunciare
parole che fanno ripullulare la superficie della palude, con cui ammettono la loro colpa e il fatto di essere stati tristi nella vita felice. Da
scartare l'ipotesi che Dante intendesse con questi i peccatori di accidia, il quarto peccato capitale, e ancor pi l'opinione che nello
Stige sarebbero immersi anche superbi e invidiosi, per completare il quadro dei peccati di eccesso puniti nei primi sei Cerchi. Questo
anche il primo Canto dell'Inferno in cui la conclusione non coincide con la visione di un determinato luogo e tutto viene lasciato in
sospeso, creando un'atmosfera di attesa che verr sciolta all'inizio dell'episodio seguente: nel Canto VIII (/inferno-canto-viii.html)
verr infatti mostrata con ulteriori dettagli la pena degli altri iracondi, e verr in parte spiegata anche la funzione della torre che
indicata alla fine di questo Canto, con la segnalazione luminosa che (forse) sar il richiamo convenuto per Flegis (/flegias.html), il
demone col compito di traghettare le anime attraverso la palude (bench su questa figura, come gi per Pluto, vi sia pi di
un'incertezza tra gli interpreti).
Nel Canto VII dell'Inferno Dante descrive la fortuna come un'intelligenza angelica, una specie
di ministra incaricata di trasmutare le ricchezze materiali da un individuo all'altro e da una
famiglia all'altra in base al giudizio divino imperscrutabile all'uomo: questa la visione della
cultura teocentrica del Medioevo che trova ampia espressione nel poema dantesco, ma gi
pochi decenni pi tardi nel Decameron di G. Boccaccio la fortuna verr rappresentata come il
semplice caso, che interviene nelle vicende umane senza alcun disegno preordinato e a cui
l'uomo in grado di opporsi grazie al ricorso all'industria, ovvero l'insieme delle virt del
mercante e di chi in grado di costruirsi il proprio destino. Tale visione anticipa per molti
aspetti quella che sar elaborata pi tardi in et umanistico-rinascimentale, in cui il
teocentrismo del Due-Trecento verr sostituito dal cosiddetto antropocentrismo e si
riconoscer all'uomo l'effettiva capacit di forgiare la propria sorte, senza essere per forza
S. di Tito, Ritratto di N. Machiavelli subordinato al volere divino che, pur non essendo negato, viene tuttavia ridimensionato e
posto all'esterno delle vicende umane. ovvio che il tema della fortuna era destinato ad
essere affrontato in una luce nuova, e tra i molti scrittori del Cinquecento che si occuparono a vario titolo della questione spicca N.
Machiavelli (1469-1527), il fondatore della politica come scienza disgiunta dalla morale e autore del trattato pi importante dell'et
rinascimentale, il Principe: nel cap. XXV lo scrittore fiorentino parla proprio della fortuna e parte dalla considerazione che grande
sembra essere il suo peso nelle vicende storiche, specie guardando all'Italia e alla grave crisi politica che il Paese attraversa all'inizio
del XVI sec., anche se Machiavelli convinto che la fortuna sia arbitra della met delle azioni nostre, mentre l'altra met ricade nel
libero arbitrio dell'uomo e dunque questi in grado, con opportuni accorgimenti, di opporsi ai rovesci della malasorte. L'azione della
fortuna paragonata a quella rovinosa di un fiume in piena che esonda e distrugge campi e coltivazioni, ma i cui danni possono
essere limitati da opere quali ripari e argini, per cui la fortuna dimostra la sua potenzia dove non ordinata virt a resisterle (l'Italia
nel primo Cinquecento dimostra questo assunto, poich essa appare allo scrittore come una campagna senza argini ed esposta alle
invasioni straniere, diversamente da Francia, Germania, Spagna). chiaro che nella visione di Machiavelli la fortuna lontanissima
dalla visione dantesca dell'intelligenza angelica ed assimilata al caso che scombina i progetti degli uomini, come del resto dimostra
l'esempio del duca Valentino (Cesare Borgia) proposto nel cap. VII: il nobile era riuscito a creare dal nulla un vasto dominio grazie a
un'azione politica spregiudicata e all'appoggio di papa Alessandro VI, di cui era figlio naturale, ma l'improvvisa e inattesa morte di
questi lo colse di sorpresa e ne caus la rovina, poich il Valentino non si era premunito ottenendo l'elezione di un nuovo papa a lui
favorevole. La fortuna vista allora come il mutare inopinato delle circostanze in cui agisce l'uomo politico, che deve essere
preparato a ogni evenienza ed essere pronto ad adattare il suo modus operandi al cambiamento di situazione, anche se Machiavelli
giudica che una condotta impetuosa e irruenta sia comunque da preferire ad una eccessivamente cauta e guardinga: ne un felice
esempio papa Giulio II che, agendo d'impulso, ebbe sempre successo nei suoi progetti politici, per cui lo scrittore pu concludere
dicendo che la fortuna donna: ed necessario, volendola tenere sotto, battere e urtarla... come donna, amica de' giovani, perch
sono meno respettivi [riflessivi, cauti], pi feroci, e con pi audacia la comandano. appena il caso di osservare quanto tale
descrizione della fortuna sia distante da quella dantesca, poich la mentalit di Machiavelli ormai saldamente ancorata in quel
sistema di pensiero che costituisce la modernit e che, fatte salve le debite differenze, assai pi vicino al nostro di quanto non lo
fosse quello in cui nacque la Commedia.
Il v. 1 stato variamente interpretato, dando luogo a una vera e propria letteratura critica. Da scartare l'ipotesi che le parole di Pluto
siano senza senso, mentre pi probabilmente si tratta di una invocazione a Satana-Lucifero di cui forse lo stesso Pluto figura
allegorica (la frase vorrebbe dire pressappoco: Oh, Satana, oh, Satana, re dell'Inferno, in cui gli studiosi hanno visto analogie col
francese, col greco, con l'ebraico e persino con l'arabo). Virgilio zittisce Pluto con una formula simile a quelle gi usate per Caronte
(/caronte.html) e Minosse (/minosse.html).
I vv. 11-12 alludono alla punizione di Lucifero e degli altri angeli ribelli ad opera dell'arcangelo Michele (strupo metatesi per
stupro, nel senso di ribellione).
Al v. 14 fiacca vuol dire si spezza e ha come soggetto l'albero; altri pensano invece che soggetto sia il vento e che il verbo abbia
significato transitivo.
Al v. 16 lacca termine raro per china, discesa.
I vv. 22-24 indicano che le due schiere di dannati riddano, ballano cio la ridda (una danza che procedeva in tondo a un ritmo
frenetico), come le onde tra Scilla e Cariddi presso lo Stretto di Messina si infrangono l'una contro l'altra.
Al v. 28 pur l rima composta e si legge prli (cfr. XXVIII (/inferno-canto-xxviii.html), 123; XXX (/inferno-canto-xxx.html), 87, ecc.).
Il verbo burlare (v. 30) significa far rotolare, quindi per estensione spendere, buttare via il denaro (forse lo stesso significato spiega
anche il contrappasso, qui meno chiaro che altrove).
Al v. 33 anche avverbio (ancora).
Al v. 58 mondo pulcro metafora per indicare il Paradiso. Appulcro (v. 61) neologismo dantesco, dal lat. pulcher, bello (non
aggiungo belle parole).
Nel v. 61 buffa pu significare vento, soffio, instabilit, ma anche beffa come in Inf., XXII (/inferno-canto-xxii.html), 133.
I vv. 64-66 possono indicare che tutto l'oro del mondo non avrebbe soddisfatto le brame di questi dannati quand'erano in vita, ma
anche che ora non potrebbe alleviare la loro pena (sembra preferibile la seconda ipotesi).
Al v. 84 angue lat. per serpente (cfr. Virgilio, Egl., III, 96: latet anguis in herba).
Al v. 85 contasto lectio difficilior per contrasto.
La spera del v. 96 pu essere il Cielo che, metaforicamente, la Fortuna deve governare, ma anche la ruota che fa parte
dell'iconografia classica della divinit pagana.
evidente il contrappasso degli iracondi, intenti a lacerarsi l'un l'altro come nella vita terrena (vv. 109 ss.), mentre non molto chiaro
il rapporto con il fiume Stige che nel libro VI dell'Eneide circonda con nove giri le anime di coloro che morirono suicidi.
Al v. 128 mzzo significa bagnato.
Testo Parafrasi
Pape Satn, pape Satn aleppe!, Oh, Satana, oh, Satana, re dell'Inferno! cominci a dire Pluto
cominci Pluto con la voce chioccia; con la voce roca; e quel nobile saggio che seppe ogni cosa, per
e quel savio gentil, che tutto seppe, 3 confortarmi disse: Non farti sopraffare dalla paura, poich, per
potere che abbia questo demone, non ci impedir di scendere
disse per confortarmi: Non ti noccia questa roccia.
la tua paura; ch, poder chelli abbia,
non ci torr lo scender questa roccia. 6
Poi si rivolse a quella nfiata labbia, Poi si rivolse a quel volto gonfio d'ira e disse: Taci, maledetto
e disse: Taci, maladetto lupo! lupo! consuma dentro di te con la tua rabbia.
consuma dentro te con la tua rabbia. 9
Non sanza cagion landare al cupo: Non senza ragione il nostro viaggio verso il fondo dell'Inferno:
vuolsi ne lalto, l dove Michele si vuole cos in Cielo, dove l'arcangelo Michele vendic il
f la vendetta del superbo strupo. 12 supremo peccato di Lucifero.
Quali dal vento le gonfiate vele Come le vele gonfiate dal vento cadono ravvolte, se l'albero
caggiono avvolte, poi che lalber fiacca, della nave si spezza, cos cadde a terra la belva crudele.
tal cadde a terra la fiera crudele. 15
Cos scendemmo ne la quarta lacca Allora scendemmo nel IV Cerchio, procedendo pi in basso in
pigliando pi de la dolente ripa quella dolorosa voragine che contiene tutto il male del mondo.
che l mal de luniverso tutto insacca. 18
Ahi giustizia di Dio! tante chi stipa Ahim, giustizia divina, chi mai ammassa tante pene e tormenti
nove travaglie e pene quantio viddi? quanti ne vidi io in quel luogo? e perch la nostra colpa ci
e perch nostra colpa s ne scipa? 21 strazia in tal modo?
Come fa londa l sovra Cariddi, Come fa l'onda presso Cariddi, quando si infrange con quella
che si frange con quella in cui sintoppa, che proviene da Scilla, cos quei dannati devono danzare la
cos convien che qui la gente riddi. 24 ridda.
Lacqua era buia assai pi che persa; Noi attraversammo il Cerchio fino all'argine opposto, sopra una
e noi, in compagnia de londe bige, sorgente che ribolle e si riversa lungo un fossato che inizia da
intrammo gi per una via diversa. 105 essa.