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Autogestione e potere/i

di Catherine Samary

Pubblichiamo di seguito il denso contributo inviatoci da Catherine Samary dell'Association pour


l'autogestion francese, per il dibattito sull'autogestione che apre venerd 19 settembre il
CommuniaFest.

Questo contributo sulle questioni dell'autogestione come modo di resistenza e progetto di societ
vuole partire da una tensione che attraversa molti dibattiti passati/presenti: quella che sembra
opporre diritti individuali e approcci complessivi - quindi questioni di potere. Partir da una
concezione dell'autogestione come principio o come diritto di base accordato a tutti i cittadini,
uomini e donne, nella loro diversit: il diritto di partecipare autonomamente ai processi di
produzione e di distribuzione delle ricchezze (beni e servizi) con i mezzi per controllarli
pienamente, cercando nelle varie parti affrontate di superare i falsi dilemmi. Proporr prima alcuni
principi generali, poi un modo per integrare il "passato/presente", e infine metter l'accento sulla
centralit di una riformulazione strategica delle lotte autogestionarie a partire dai "Beni Comuni".

I. Osservazioni generali e principi di base

1. Potere individuale e collettivo


a. Si tratta di un "potere" di decisione a monte e a valle del processo produttivo, che riguarda da un
lato il che cosa produrre e come - secondo quali priorit, quali rapporti umani, quali condizioni
sociali e ecologiche di produzione; ma anche il come questa produzione viene "appropriata" ossia
le condizioni della sua distribuzione.
L'evocazione qui degli aspetti a monte e a valle del processo produttivo indica che c' una verifica
dei risultati e che ci possono essere delle rettifiche necessarie, delle insoddisfazioni, tanto nelle
condizioni di produzione quanto rispetto alla soddisfazione dei bisogni nel senso pi ampio e
inclusivo. Si tratta dunque di aprire il dibattito sul "come" rispondere a disequilibri e insoddisfazioni
di tutti i tipi (materiali o pi qualitativi) senza modelli dogmatici sui mezzi. Gli obiettivi emancipatori,
autogestionari devono essere espliciti. Per fondamentale riconoscere subito come "normali" gli
scarti, le tensioni e i conflitti, cercando i mezzi per esprimerli e assorbirli, senza farsi illusioni sulla
possibilit immediata di realizzare una societ senza conflitti.
b. Il "potere" autogestionario - concepito come diritto di controllo e decisione su tutto ci che
riguarda l'individuo, di ogni tipo - "autonomo": innanzitutto individuale. L'emancipazione non ha
senso senza le libert e i mezzi individuali in grado di pesare su tutte le scelte combinate che
concernono l'individuo in questione. Ma ogni individuo ha lati diversi: oltre al suo genere, la sua
et, la sua cultura, la sua nazione di origine; anche implicato/a nella societ in attivit di studio, di
produzione, di consumo, di partecipazione democratica a vari livelli ecc.
Questa implicazione nella societ non "atomizzata" e puramente egoista - contrariamente a ci
che rappresenta l'homo-economicus individuale del modello neo-classico, anche se giusto
riflettere concretamente sugli "interessi" individuali che forgiano i comportamenti. Ma altrettanto
importante non idealizzarli (nella loro generosit) quanto il non sottovalutare le trasformazioni
profonde dei comportamenti associati ad una "prassi" sociale, che riguardano sia il tipo di
solidariet che si prova verso le diverse communit di appartenenza, sia l'allargamento degli
orizzonti di pensiero e di aspirazione associato all'esperienza, ai dibattiti pluralisti, all'incontro
delle/gli "altre/i" - alle lotte autonome.
c. La trasformazione (imprevedibile, complessa ma auspicabile) dei comportamenti in un senso
altruista solleva la questione degli "stimoli" (materiali e immateriali) adeguati a un progetto di
societ socialista, che rispetti pienamente sia l'autonomia individuale che la soddisfazione solidale
dei bisogni. Ho sottolineato precedentemente la necessit di pensare una tale societ come non
esente dai conflitti; ci significa che la risoluzione fondamentale di questi conflitti, coerente con le
finalit emancipatrici di tale societ, deve articolare "fini e mezzi" in modo che i fini stessi diventino
mezzi. In altre parole, i meccanismi di espressione e di superamento (provvisorio) dei conflitti
devono essere basati sui diritti autogestionari e sulle libert: la libert di esprimere individualmente
e collettivamente i bisogni non soddisfatti, le critiche sui rapporti di dominazione sottostimati o
imprevisti; questa libert un "mezzo" che influisce sulla percezione degli obiettivi, modifica la
coscienza individuale e collettiva e deve sfociare su procedure democratiche di gestione dei
problemi incontrati. I conflitti espressi e i dibattiti danno evidentemente un peso essenziale (fino al
diritto di veto) alle categorie sociali insoddisfatte o che si sentono oppresse - ma tocca all'insieme
della societ interessata trovare, a tastoni,(procedendo per rettifiche continue) le risposte.
Il potere autogestionario dunque insieme individuale e collettivo - l'emancipazione di ciascuna/o
sar la condizione dell'emancipazione di tutte/i, potremmo dire per prolungare il Manifesto
Comunista.

2. Niente "gerarchie" e rapporti di dominazione - ma responsabilit condivise


a) Dal momento che ci si allontana dalla dimensione individuale (e da quella locale) si corre il
rischio di cadere in una gerarchia nel senso di un rapporto di dominazione, di sfruttamento o anche
nel burocratismo. Ci sono allora nei diversi campi coloro che decidono e coloro che eseguono, ma
anche coloro che sono confinati nei compiti pi ingrati etc. Questi rapporti, sotto le loro diverse
forme - sfruttamento di classe, rapporti di oppressione nazionale, di genere, o altri rapporti di
dominazione burocratica - devono ovviamente essere combattuti in modo esplicito in quanto
contrastanti con le finalit e i diritti autogestionari. L'analisi concreta della comparsa e del
mantenimento di tali rapporti rinvia al punto precedente: la societ non sar mai perfetta e senza
conflitti. L'unico modo per garantire un senso (direzione e finalit) emancipatore all'organizzazione
sociale appunto da un lato garantire il diritto all'organizzazione e all'espressione pluralista dei
conflitti d'una parte; ma anche esplicitare - in modo "costituzionale" - queste finalit questi diritti,
per mettere al centro delle riflessioni i mezzi per "sorvegliare"e combattere ogni recrudescenza o
ricomparsa di rapporti di dominazione.
Per ogni divisione del lavoro se viene cristallizzata nel tempo, ogni specializzazione eccessiva,
ogni disuguaglianza culturale durevole, pu apparentarsi a una gerarchia; pu persino essere
valorizzata sul piano materiale o relazionale in vari modi. La rotazione e la condivisione dei compiti
(compresi quelli domestici), la revocabilit degli eletti, la formazione permanente per ridurre le
distinzioni tra lavoro manuale e intellettuale - la riduzione massiccia dell'orario di lavoro, che
dovrebbe liberare anche tempo per la partecipazione alle attivit di gestione democratica, nonch
un controllo collettivo dei criteri di remunerazione che valorizzi/compensi preferibilmente i compiti
ingrati: sono queste alcune misure che possono essere consapevolmente adottate per
ottemperare ai fini emancipatori e quindi democratici evocati.
Le differenze di reddito e i loro criteri devono far parte dell'analisi pubblica e delle scelte
concordate. Nelle imprese di beni e di servizi l'organizzazione del lavoro deve riflettere questi
obiettivi - con l'elezione dei responsabili sulla base delle competenze acquisite e anche delle
relazioni di fiducia, e con lo strumento della revocabilit e del controllo: i mandati decisi in
assemblea devono essere oggetto di bilanci e rettifiche.
b) Bisogna per distinguere "gerarchia" e "responsabilit" nel quadro di una riflessione
sull'organizzazione del lavoro e degli incentivi. Non tutte/i hanno voglia di essere "responsabili"
diretti. C chi pu aver voglia di concentrare la propria energia creatrice in attivit ludiche e "fuori
lavoro" - e contentarsi di un controllo da parte dei responsabili sotto forme e periodicit da
decidere collettivamente in funzione dei campi da gestire. L'assunzione di responsabilit , in s,
una fonte di difficolt, certo, ma anche di valorizzazione e di interesse personale per un lavoro
creativo. La remunerazione "a seconda del lavoro" non implica necessariamente di pagar meno un
"lavoro semplice" senza grande qualifica rispetto a quello di una persona qualificata che assicura
un'attivit responsabile di direzione di una impresa o un servizio. Si possono anzi giustificare
compensi per lavori ingrati che non si riescono a far sparire immediatamente.
Anche qui l'analisi concreta e collettiva - in evoluzione - necessaria: se da una parte la
formazione permanente, lo studio, sono assunti finanziariamente dalla collettivit, e dall'altra non
manca il personale qualificato, le differenze di remunerazione dovrebbero essere ridotte. Lo
stimolo alla responsabilit pu essere la responsabilit in s, con il prestigio sociale e conviviale
che comporta. Gli incentivi materiali dovrebbero essere associati agli sforzi collettivi, collegati alla
condivisione delle conoscenze e delle competenze, all'aiuto mutuo solidale e alla cooperazione - e
non alla competizione individuale - : i guadagni di produttivit cos acquisiti dovrebbero essere
associati ad una migliore soddisfazione dei bisogni e organizzazione del lavoro: la riduzione
dell'orario e la riorganizzazione del lavoro (e del tempo libero) pu essere pienamente integrata
nella riflessione sulle forme di incentivazione che hanno tali finalit (1).
c) "Osservatori" sulle disuguaglianze, di genere, di razza e altre, possono essere istituiti a diversi
livelli e messi al servizio di associazioni e istituzioni democratiche. Devono consentire non un
"appiattimento" delle differenze tra individui o una uniformazione dogmatica e normativa delle
scelte ma anzi una grande diversit e flessibilit. Lo scopo degli osservatori sulle disuguaglianze e
dei dibattiti pubblici di impedire che le differenze si traformino in disuguaglianze e in rapporti di
oppressione - in genere supportate da disequilibri materiali nell'accesso ai diritti riconosciuti).
Inchieste realizzate periodicamente, analisi pluridimensionali (quantitative e qualitative) delle
disuguaglianze, supportate da indicatori e sondaggi, devono essere pubbliche. Anche gli
osservatori devono essere accessibili e contestabili da tutte le associazioni o istituzioni per
esaminare un problema specifico.

3. Democrazia diretta e/o rappresentativa - istituzioni democratiche socializzate


Non bisogna escludere nessuna forma di rappresentanza ma correlare ognuna di esse a un
obiettivo, criteri espliciti e bilanci periodici. La critica concreta al parlamentarismo nelle societ
capitalistiche non pu essere separata dall'analisi dei rapporti di classe e delle disuguaglianze cos
come dall'analisi dei rapporti di produzione/distribuzione che condizionano e limitano la
democrazia politica rappresentativa. Una democrazia autogestionaria socialista non si ferma mai
alle porte delle imprese e si occupa di tutti gli aspetti di base della vita sociale. Le forme di
controllo diretto o quelle sociali specifiche (camere ad hoc dotate di diritti specifici di veto per
esempio) possono essere articolate in forme "parlamentari" di rappresentanza dei cittadini in
generale.
"La politica" deve assumere un senso pi ampio - associato alle grandi scelte di societ e ai mezzi
per soddisfarle - e non essere pi l'appannaggio di partiti o di un apparato di Stato separato dalla
societ; deve penetrare tutte le sfere pubbliche (e l'arrivo sulla scena pubblica di una questione
"privata" dipende dall'emergere di una insoddisfazione maggiore e condivisa, o di un rapporto di
oppressione, denunciato dalle/gli interessate/i).
Per bisogna approfondire il dibattito sulle istituzioni - in particolare con gli anarchici. La critica del
parlamentarismo non implica necessariamente che bisogna sopprimere i parlamenti; cos come la
critica del ruolo della moneta e dei rapporti mercantili dominanti nel capitalismo non significa che si
possa fare a meno di ogni forma di moneta o di mercato. Lo stesso vale per i partiti, i sindacati, le
associazioni e altre istituzioni che non sfuggono alla burocratizzazione: la lotta contro la
burocratizzazione passa per la soppressione di queste istituzioni? Le reti e la democrazia diretta
non sono esse stesse soggette ai rapporti di potere (non codificati e non controllabili)? Mentre non
impossibile combatterli coscientemente dentro i partiti, i sindacati, le associazioni. Infine,
possiamo trattare le istituzioni organicamente connesse alla difesa repressiva dell'ordine borghese
(l'esercito, la polizia, la Nato...) alla stessa stregua del le istituzioni di tipo parlamentare o l'ONU?
L'analisi critica necessaria di queste ultime nel contesto capitalista non implica necessariamente
che verranno abolite in futuro.
Insomma bisogna distinguere le istituzioni che dovranno sparire con l'ordine capitalista, quelle che
saranno radicalmente ricomposte e quelle che potranno essere inventate e messe al servizio della
democrazia diretta - che deve prevalere in ultima istanza. Affrontando il dibattito su "i mezzi e i fini"
in modo non dogmatico ma basato sull'esperienza, bisogner anche pensare al "deperimento dello
Stato" in quanto organo repressivo di classe, o al di sopra delle societ e del mercato, con una
combinazione delle trasformazioni radicali e di "socializzazione" (controllo sociale) di tutte le
istituzioni - ivi compreso il piano, il mercato, la moneta, cos come le diverse forme di propriet e di
associazione.

II. Superare i falsi dilemmi, incorporare i frutti dell'esperienza

1. Lotte autogestionarie nel/contro il capitalismo - e sistema autogestionario globale


Bisogna opporre le une all'altro? Si e no.
Si, perch la dimenticanza (o la sottostima) del potere capitalista reale nelle sue declinazioni
istituzionali e socio-economiche, come costrizione fondamentale che limita i diritti e i rapporti
autogestionari, conduce a delle impasse controproducenti. L'incorporazione dentro il capitalismo,
la perdita di sostanza dello "spirito" iniziale di certe cooperative, l'auto-sfruttamento dei lavoratori -
e parallelamente l'approccio negativo delle resistenze non autogestionarie considerate come non
sovversive - sono difetti o rischi reali. Gli stessi si possono ritrovare quando manca l'analisi critica
dei finanziamenti diretti verso le micro-imprese e le famiglie sfavorite, presentate eventualmente
dalla Banca mondiale come "soluzione alla povert" orientate al "workfare" e l'autoimpiego, ma che
sono delle trappole: tassi d'interessi da usurai e scivolamento in una povert e una dipendenza
senza fine.
L'autogestione nel capitalismo cos difficile da applicare che a volte pi pertinente rivendicare
(come l'hanno suggerito alcuni lavoratori argentini) la nazionalizzazione sotto controllo operaio. Se
no si rischia di concentrare l'attenzione su dei casi molto marginali o eccezionali e di rinunciare a
delle lotte che sono essenziali in difesa dei lavoratori e dei loro diritti ma che non possono
prendere forme autogestionarie o cooperative all'interno di certe imprese. (torner dopo su altre
potenzialit da non trascurare). Il capitalismo impone la sua coerenza di "diritto di propriet" e
esige di poter "vendere" i prodotti - di essere o autosufficiente o assistito per sopravvivere.
L'autogestione di territori e comuni agricoli, le piccole produzioni mercantili, i prodotti che hanno
una clientela popolare, sono degli esempi pi favorevoli a delle lotte autogestionarie/cooperative.
Ma le imprese multinazionali hanno imparato a compartimentare la loro produzione e a
delocalizzare "reparti" o a esternalizzarli, a spezzare la coerenza del processo di produzione
locale: vendere un pezzo di un motore non ha un "senso" autogestionario...
No, perch l'attesa del "Grande evento" della rivoluzione per esperimentare delle alternative
abbozzate sotto /contro il capitalismo sarebbe un altro suicidio; perch anche dei casi parziali
possono diventare popolari e dimostrare altre possibilit; perch infine la lotta contro la
burocratizzazione delle esperienze rivoluzionarie sar pi efficace se il nuovo potere si radica
dentro le esperienze di auto-organizzazione/autogestione pi possibili spinte in avanti. Si tratta
anche di una componente del rapporti di forza sociali e ideologici contro il capitalismo, una base di
contro-egemonia che contesti i criteri dominanti.
Per la coscienza dei limiti imposti dal capitalismo pu essere un fattore di radicalit
dell'esperienza: deve essere permanentemente esplicitata e sviluppata - per radicalizzare le
esigenze, per non accettare come "ideali" i rapporti sociali molto impregnati dalle logiche dei
rapporti monetari e di concorrenza mercantile, per cercare ad ogni costo i legami esterni-
territoriali, sociali, internazionali- - che aiutino a resistere e a pensare diversamente.

2. Il passato/presente
Bisogna certo reinventare il linguaggio delle lotte all'orizzonte delle esperienze attuali -
fortunatamente non necessario conoscere e condividere il bilancio delle esperienze passate per
combattere il sistema capitalista e impegnarsi a costruire un'alternativa. Eppure, lungi dal
denigrare l'esperienza passata globalmente presentata come fallimentare, anzi essenziale
incorporarne le lezioni come "nostre": l'atteggiamento di molti militanti e intellettuali antistalinisti
che rigettano in blocco il "socialismo reale" presenta il pericolo paradossale di fare il gioco di chi
rifiuta in blocco il comunismo, facendo del capitalismo l'unico orizzonte di pensiero e di esperienza
possibili.
Lo scarto tra il "socialismo reale" e gli ideali di emancipazione socialisti e autogestionari non deve
essere pensato come qualcosa di "esterno" all'esperienza anticapitalistica. Anzi: la cristallizzazione
burocratica staliniana certo "eccezionale" nella sua dimensione totalitaria e nel ruolo che lo
stalinismo ha avuto nel movimento operaio internazionale; ma il burocratismo un problema
"organico" del movimento operaio (politico, sindacale, associativo) durante il capitalismo e dopo la
presa del potere. Non comprenderlo vuol dire erigere a "nuova classe" o semplicemente a
"borghesia" (quindi esterna al movimento operaio) un problema innanzitutto endogeno, che
dobbiamo saper affrontare nei nostri propri ranghi... Un problema che minaccia ogni
organizzazione rivoluzionaria pur antistalinista o anarchica che sia.
Dire ci non significa che non si analizzi il processo burocratico che pu tendere verso la
cristallizzazione di una nuova classe o borghesia e che possa avere relazioni di interessi comuni (e
di conflitto) con la "borghesia realmente esistente" e il suo sistema. Per impone da un lato una pi
grande profondit autocritica del movimento rivoluzionario (ivi compreso il riferimento alla fase pre-
staliniana della rivoluzione russa), e sopratutto di analizzare tutta una serie di conflitti e di
contraddizioni come problemi "nostri", che qualsiasi esperienza rivoluzionaria dovr risolvere.
Questo approccio di riappropriazione dell'esperienza passata particolarmente importante per
quanto riguarda la rivoluzione yugoslava,: una rivoluzione sociale e politica in cui un partito
comunista (dopo la stalinizzazione dell'URSS) forza dirigente che induce l'autogestione
generalizzata per la prima volta nel mondo. L'approccio dogmatico verso questa esperienza
qualificata come "capitalismo di Stato" conduce al non analizzare come "problemi nostri" la
difficolt di organizzazione di un sistema di autogestione - e a rigettare come non interessanti le
elaborazioni delle correnti marxiste autogestionarie e critiche: non c' niente da imparare da tutto
ci poich si tratta di capitalismo (un capitalismo staliniano) e le critiche interne sono al meglio
delle coperture riformiste di un sistema che globalmente da rifiutare.
Contro questi comportamenti intellettuali e politici non possiamo naturalmente pensare che
l'esperienza yugoslava possa giocare oggi un ruolo diretto nella coscienza larga dei nuovi
movimenti sociali di resistenza al capitalismo - non pi tra l'altro della Rivoluzione d'ottobre o della
Comune di Parigi: sono ormai esperienze di un passato remoto. Per contano per la formazione e
la riflessione politica.

3. Alcuni contributi dell'esperienza yugoslava


I principali contributi della Scuola di Praxis (corrente marxista che ha condotto la battaglia nel
quadro del sistema autogestionario, criticandolo in nome degli ideali comunisti) avanzati contro le
riforme mercantili degli anni 1960:
a) Propriet sociale - contro il dilemma "propriet nazionale statalizzata o autogestione impresa
per impresa" (collegate tramite il mercato e con le banche che gestivano il surplus): la
socializzazione della propriet resiste sia all'alienazione dell'autogestione da parte dello Stato che
da parte del mercato. Trasfoma l'autogestione in diritto di gestione di questa propriet a una scala
di societ - e non solo di impresa. Certo essa "di tutti e di nessuno" (si dice a volte per criticare
l'assenza di criteri e di meccanismi precisi di gestione) - ma un soggetto aperto all'esperienza,
alla riflessione e al dibattito che riprender pi tardi a proposito della nozione dei "Commons" (o
Beni comuni). Le proposte espresse dalla corrente di Praxis e in parte riprese negli emendamenti
alla Costituzione del 1974, redatti da E. Kardej, sono passi in avanti nella risposta a questa
questione. Li riassumo nei punti seguenti.
b) Le "SIZ" (acronimo serbo croato) o "Comunit d'interesse autogestionarie" che associavano
produttori, utenti del prodotto o servizio dato: queste Comunit stabilite per la gestione dei servizi
di sanit, educazione, asili nido, trasporto pubblico, territoriale a vari livelli, autogestivano quindi un
bilancio comune e il modo in cui produrre un bene comune - in particolare un servizio. E' il
superamento necessario di un approccio puramente centrato sulla produzione e che permette agli
utenti di fare pressione sulla qualit e l'organizzazione del servizio, attraverso linterlocuzione con i
lavoratori di questo servizio. La SIZ poteva integrare anche rappresentanti dei poteri pubblici del
livello considerato e associazioni o sindacati.
c) Le camere di autogestione a diversi livelli territoriali. Queste camere ad hoc che furono
introdotte in pratica nella Costituzione del 1974 solamente a livello dei comuni e delle repubbliche,
avrebbero avuto una pertinenza importante sul piano federale per allargare l'orizzonte di gestione
in un approccio articolato dei bisogni di un determinato territorio. La composizione di queste
Camere doveva permettere i legami con i diversi centri di produzione di beni e servizi autogestiti
sul territorio; poteva combinare forme di delega dei lavoratori, degli utenti, sindacati, differenti
associazioni socio-economiche: possiamo immaginarci l'interesse di un approccio ecologico,
femminista ecc. Queste camere erano ovviamente articolate sull'ultimo aspetto della
"mutualizzazione" dei diritti autogestionari: la pianificazione.
d) la pianificazione autogestionaria; pu essere concepita a diversi livelli territoriali con modalit di
coordinamento. In essenza punta a realizzare pi dimensioni evocate riguardanti la natura dello
statuto/dei diritti autogestionari/o.
* I diritti individuali di decisione e controllo autogestionari non devono essere il frutto casuale di un
lavoro in una impresa o in un servizio particolare: tutti/e coloro che sono coinvolti/e nella
produzione e nella gestione di un bene o servizio possono pronunciarsi (priorit, ripartizione dei
finanziamenti, criteri, ecc): tutti i membri della societ possono essere implicati nelle procedure di
discussione della pianificazione autogestionaria - e si pu concepire un crogiuolo specifico di
riflessione e di elaborazione nel quadro delle Camere, basate sulle rappresentanze di collettivi,
anche se le grandi scelte vengono in seguito sottoposte ai cittadini.
* Reciprocamente, non giusto che i problemi incontrati in una impresa o in un settore particolare
sia solamente a carico delle/i lavoratrici/ori di questa impresa: queste/i ultime/i hanno la
responsabilit prima nelle scelte di gestione della loro impresa. Ma queste possono dipendere
dalle scelte della societ (produrre o no il nucleare, assicurare un equilibrio di lavoro e di attivit su
un piano regionale, assicurare la conversione ecologica dei trasporti, ecc..) e di un principio di
rifiuto della disoccupazione.
* Oggi va da s che la pianificazione autogestionaria deve incorporare i diritti sociali e allo stesso
tempo obiettivi di riconversione radicale della produzione in funzione di finalit ecologiche. (3)

4. I diritti sociali vanno in parte dissociati dal lavoro - ci pu essere fatto nel quadro di un
approccio transitorio anticapitalista verso una societ autogestionaria.
L'esperienza yugoslava autogestionaria si scontrata con una contraddizione e un fallimento
maggiori: l'incompatibilit di un sistema di diritti autogestionari legati al lavoro con le esigenze di
ristrutturazione del lavoro e del pieno impiego. La "disoccupazione socialista" che ha conosciuto la
Yugoslavia deve essere analizzata come tale e non con i concetti e i criteri di una societ
capitalista. E' di nuovo il "nostro problema", uno dei problemi essenziali da risolvere in una societ
socialista e non la prova che la Yugoslavia di Tito era capitalista.
Per risolvere questi problemi bisogna affermare simultaneamente: il diritto al lavoro (distinto da un
lavoro specifico) e la rimessa in discussione radicale del rapporto di dominio e (quindi dello statuto)
del salariato: quindi dei diritti associati allo statuto di autogestionario quindi al controllo dei mezzi di
produzione da parte dei lavoratori/utenti essi stessi. La rimessa in discussione del rapporto
salariale come rapporto di dominio della propriet capitalista non significa la fine del "reddito"
monetario (chiamato cos per distinguerlo dal salario) associato al lavoro; non significa neppure il
rifiuto della flessibilit necessaria nel lavoro (a condizione che sia ricercata dai lavoratori): si pu
voler cambiare il posto di lavoro e l'organizzazione del lavoro ma si pu anche desiderare la
permanenza del posto di lavoro. Ci riguarda sia scelte individuali che collettive: la
riorganizzazione del lavoro pu essere socialmente fondata o contestata come uno spreco o in
funzione di tale o tale aspetto negativo che implica delle riconversioni.
La compatibilit di questi obiettivi simultanei implica che le riconversioni vengono assunte
socialmente, collettivamente (quindi organizzate) e che i redditi e i diritti sociali di base (protezione
della salute, diritti alla formazione permanente su tutta la durata della vita, protezioni familiari, ecc)
non vadano persi quando si cambia attivit. Si pu anche pensare ad una nozione di lavoro
(sociale) o di attivit sociale nel senso ampio riconosciuto dalla societ che integri il tempo della
formazione (che pu essere distribuito lungo tutta la vita), il tempo necessario per le attivit
democratiche di gestione, il tempo consacrato alle attivit domestiche e di cura dei bambini, ecc. Il
reddito di base e i diritti sociali possono essere associati a questa "attivit sociale" che pu
passare da un lavoro all'altro - o a una formazione, o ancora ad un altro compito collettivamente
riconosciuto.
Questi problemi si pongono anche nelle lotte anticapitalistiche, contro la precariet imposta che
punta (dal punto di vista capitalistico) a ridurre i benefici sociali versati. Bisogna al contrario
elaborare un codice del lavoro (con i giuristi del lavoro) che sopprima lo "stimolo" capitalistico della
precariet: questa deve costare (in termini di protezione sociale) al padrone quanto un lavoro non
precario... La lotta anticapitalistica sul piano sociale e ideologico deve rimettere in discussione il
trattamento disumano dei lavoratori come merci scartabili (per comprimere i costi): un "diritto" di
propriet e uno statuto sociale alternativo deve essere abbozzato contro il diritto borghese, per
delegittimarlo. Per si tratta di una battaglia complessiva che si scontra con i pieni poteri
istituzionali, militari, giuridici, economici del capitale a vari livelli. Il "contratto" di lavoro
evidentemente profondamente distorto e disuguale rispetto a questi diritti di propriet giuridici e
reali del capitale. Bisogna contestare questi diritti. Dei passi in avanti sono possibili.
Per chiaro che una delle trasformazioni radicali che punta a permette la presa del potere
rivoluzionaria di stabilire una nuova Costituzione da parte di una assemblea costituente: questa
dovr cambiare "le regole del gioco", i diritti sociali di base, gli statuti degli esseri umani. E' li che
devono essere concretizzate e difese le finalit autogestionarie, nelle modalit in cui saranno state
abbozzate dalle esperienze parziali.

III. Riformulazioni strategiche della battaglia autogestionaria. I "Beni comuni" questione


strategica, dal locale al planetario...
1. Ogni periodo storico deve trovare i propri riferimenti e le proprie "parole" per dire i nuovi
progetti che si dissociano delle sconfitte passate senza spezzare i legami di continuit con le
grandi lotte emancipatrici e le utopie concrete. Il problema principale quello del rapporto di forza
in grado di stabilire una contro-egemonia rispetto a quella dominante, appoggiandosi su "blocchi
storici" di resistenza.
Non si possono pensare un'alternativa al mondo attuale, "comunista" nei fatti, e una strategia
autogestionaria, basandosi su quello che fu il "comunismo reale", che non un modello. Ma la
semplice accumulazione di esperienze parziali profondamente costrette e soffocate da un
ambiente circostante ostile porta ugualmente ad un'impasse, una via poco credibile in cui gli sforzi
militanti rischiano di esaurirsi rapidamente.
Non per questo bisogna rinunciare. Per non bisogna mettere in opposizione cammini multipli e
apparentemente contradditori (particolarmente difficili da riconciliare quando le forze sono poche).
A prescindere dalle difficolt, dobbiamo tenere insieme passato/presente, individuale/collettivo,
locale/planetario e agire di conseguenza cercando di padroneggiare queste tensioni.

2. La questione dei "Beni comuni" ci aiuta in ci - nella riformulazione, con parole "nuove", di
vecchie e durevoli utopie "comuniste" ma anche nella comprensione dei fallimenti passati.
Permette di allargare i terreni e i temi di mobilitazione, in un'ottica autogestionaria nel senso ampio
definito prima: utenti e produttori, a diversi livelli territoriali, e articolando esplicitamente un rifiuto di
statuti sociali disumani. Il tema dei "beni comuni" esprime l'esigenza del XXI secolo di diritti
sociali universali fondamentali integrandovi l'esigenza della co-propriet, la piena responsabilit
delle ricchezze umane prodotte, la co-solidarieet nella protezione dell'ambiente. Non si tratta di
astrazioni ma di questioni concrete.
La nozione dei "Commons" (in inglese) o "beni comuni" emerge sempre di pi sia nelle ricerche
teoriche (4) - come quella di Elinor Ostrom sulle comunit indigene - sia nelle esperienze orientate
alla gestione democratica dei beni naturali - come l'acqua o la terra - o dei beni (materiali o
immateriali) creati dall'attivit umana. Queste riflessioni che si diffondono attualmente su tutti i
continenti nei movimenti di resistenza si ergono contro le interpretazioni neoliberiste che hanno
cercato di dimostrare che solo la propriet privata dei beni genera una gestione efficace. La
"tragedia dei beni comuni",(5) articolo scritto da Garrett Hardin nel 1968, associava cos ad ogni
propriet collettiva una supposta inefficienza organica. Questa "tragedia" sarebbe dovuta alla
"deresponsabilizzazione" che ogni propriet sociale comporterebbe ("di tutti e di nessuno", come si
diceva in Yugoslavia) visto che ognuno rinvierebbe ad altri il compito di prendersi cura della
propriet comune. E molte critiche liberali dell'esperienza yugoslava, e pi in genere del
"socialismo reale", hanno messo l'accento sui comportamenti reali di spreco o di assenza di
manutenzione dei beni pubblici, illustrando in effetti questa "tragedia". Eppure non fatale e le sue
cause stanno al centro della riappropriazione che dobbiamo fare di un bilancio critico di questo
passato: l'assenza di responsabilit degli autogestionari, dei lavoratori e degli utenti della propriet
collettiva, teoricamente "proprietari" ma praticamente subordinati alla gestione da parte del
partito/Stato a nome dei lavoratori, alle loro spalle.
Ma non vi niente di fatale e le esperienze studiate da Elinor Ostrom consentono di estrapolare
criteri che entrano in sintonia con le osservazioni fatte prima: i comportamenti irresponsabili
possono essere padroneggiati se emergono quelle che si potrebbero chiamare, riprendendo il
vocabolario yugoslavo evocato prima, le "comunit d'interesse autogestionarie" che decidono i
criteri stessi della gestione e ne controllano l'applicazione. Questa idea generale pu estendersi a
vari livelli di applicazione. Implica che tutte le persone interessate nella gestione di un determinato
bene siano responsabilizzate nella determinazione delle scelte, nel loro controllo, nel loro
riaggiustamento a vari livelli territoriali.
Certo, c' bisogno di un'analisi concreta delle situazioni concrete. I problemi di gestione non sono
gli stessi se il bene da gestire "divisibile" e materiale (come una terra o delle risorse naturali di
acqua o di energia) e esauribile; o se diventa meno costoso produrlo a misura che tutte/i ne fanno
uso individuale - senza che ci ne impedisca l'uso collettivo: anzi la soddisfazione di ognuno/a
aumenta, per esempio con un software libero gestito collettivamente. Le caratteristiche della
"propriet intellettuale" sulle conoscenze scientifiche e mediche, o culturali, sottolineano che la
privatizzazione controproducente per l'interesse collettivo. Ma possiamo anche dimostrare
articolazioni positive tra l'interesse individuale e collettivo trovando stimoli e modi di gestione
adeguati alle imprese autogestite, ai servizi pubblici, o a una "comunit di societ" tutta intera (in
una regione, prima di prendere un potere ancora pi ampio..). Detto in altre parole la "gestione dei
Commons" consente anche di articolare la riflessione e l'azione delle lotte dentro e contro il
sistema capitalista, inventando concretamente altri "possibles" (potenzialit storiche) che non
possono trovare la loro coerenza e efficacia senza sollevare la "questione del potere" e quindi dei
diritti riconosciuti.

3. Cogliere il senso strategico delle privatizzazioni generalizzate del XXI secolo


L'esperienza del capitalismo attuale dimostra che nessun bene naturale, nessun prodotto, ma
neppure nessun essere umano o pezzo di essere umano di per s protetto dalle minacce di
appropriazione predatrice individuale del "brevettaggio" capitalistico. La privatizzazione attraverso
"l'esproprio" stata denunciata da David Harvey come nuova fase e moltiplicazione delle nuove
"enclosures" (evocando i recinti associati alla privatizzazione delle terre in Inghilterra nel 16 e 17
secolo). Questa nuova ondata predatrice che segna la fase neoliberista del capitalismo finanziario
dagli anni 1980, si estesa in tutte le sfere e le regioni del mondo articolandosi sulle caratteristiche
di base della "riproduzione allargata" del capitale in funzione del maggiore profitto.
Questa logica si imposta prima nel cuore stesso dei paesi imperialisti sotto lo slogan TINA
(There Is No Alternative) di Margaret Thatcher, con la distruzione dello Stato sociale e le ondate di
privatizzazioni: queste continuano contro le protezioni collettive del codice del lavoro e tutto ci che
non ancora stato privatizzato, in corrispondenza alle varie fasi della crisi, in particolare in Europa.
Questa distruzione sociale si appoggia in questo continente sulla distruzione del vecchio regime
del "Socialismo reale" attraverso la privatizzazione forzata di intere industrie e cooperative
agricole, accompagnata dalla trasformazione del ruolo della moneta e del mercato. Parallellamente
tutte le risorse naturali dei Paesi del Sud, che erano state nazionalizzate con la decolonizzazione,
sono diventate preda delle multinazionali sotto pressione del FMI e dell'OMC. C' quindi una posta
specifica e storica nelle privatizzazioni del XXI S. - con le sue dimensioni dogmatiche neoliberiste
appoggiate da istituzioni potenti, le cui dimensioni antisociali sono combinate con una crisi
ambientale maggiore: gli "espropri" combinati alla distruzione di ogni forma di protezione sociale
collettiva dei lavoratori sono una realt di questo capitalismo globalizzato a partire dalla svolta
neoliberista dell'ultimo quarto del secolo precedente. Rispondendo a una crisi del profitto e
dell'ordine mondiale capitalistico questo corso neoliberista stato accentuato radicalmente con il
ribaltamento del 1989-1991 dell'unificazione tedesca e con lo smantellamento dell'URSS. Questi
attori (politici, finanziari, ideologici) assumono oggi pi esplicitamente le caratteristiche dogmatiche
"dell'ordo-liberisme" che impone le sue regole attraverso istituzioni forti radicalmente contradditorie
con ogni democrazia, tanto gli effetti delle sue politiche sono distruttori dei diritti sociali e
dell'ambiente. La mondializzazione di queste logiche antisociali, antiambientali e antidemocratiche
accompagnata da rivoluzioni tecnologiche che trasformano le relazioni mondiali di produzione e
di distribuzione - ci che rende spesso impotenti le resistenze puramente locali.

4. Risposte autogestionarie in difesa dei Commons, dal locale al planetario


Per queste trasformazioni creano anche una mondializzazione dei legami e delle resistenze.
Certe questioni fondamentali sono diventate veramente planetarie - la crisi ecologica in primo
luogo; ma anche i problemi della fame, della povert, dell'accesso all'acqua o all'educazione, alla
sanit o alla casa - diritti fondamentali acquisiti con le lotte del XX S che sono rimessi in
discussione. E' per questo che bisogna intraprendere la battaglia per la delegittimazione politoco-
morale di questo processo di "esproprio", trasformare le rivolte in battaglie collettive ancorate nei
"beni comuni" associati ai diritti: il diritto all'acqua, alla casa, alla cultura, alla salute, all'educazione
- a un reddito e a uno statuto "degno".
Questi diritti si scontrano con la distruzione delle risorse fiscali degli Stati - un altro "bene comune"
cos come la moneta in quanto bene pubblico: la trasparenza dei conti e la subordinazione delle
finanze al controllo pubblico, sociale, devono essere imposti anche nella lotta contro il salvataggio
delle banche private da parte degli Stati sulle spalle dei contribuenti e in quella contro i crediti
tossici delle banche che intrappolano i Comuni impoveriti o le famiglie precarizzate. I diritti di base
si scontrano anche con le speculazioni finanziarie sulle materie prime, l'acqua, l'immobiliare, i
prodotti agricoli; si scontrano con i comportamenti e i discorsi supposti "responsabili" delle aziende
multinazionali ipocriti e tentacolari come Vivendi o Nestl, protetti da potenti istituzioni e accordi di
"libero scambio" mentre privano milioni di contadini poveri o di abitanti dei quartieri poveri
dall'accesso all'acqua.
La sensazione di urgenza della crisi sociale e ambientale, la rivolta contro l'ingiustizia, la
percezione crescente degli interessi sociali confliggenti , dal piano locale al mondiale, si sono
espressi in particolare nella conferenza Rio+20 durante la quale il termine "commons" diventato
un punto di raccordo, espresso nel titolo stesso del "Vertice dei popoli per la giustizia sociale e
ambientale in difesa dei beni comuni". I coordinamenti tra lotte sociali, nazionali, continentali e
planetari esistono anche nelle battaglie in corso contro gli accordi di libero scambio
transatlantici.(6) Una stessa logica presente nelle lotte che vogliono imporre la subordinazione
del diritto alla concorrenza difeso dall'OMC, dal FMI (o dalla Commissione europea,..) ai diritti etici
superiori riconosciuti nella Dichiarazione universale dei diritti umani che l'ONU dovrebbe difendere.
Certe battaglie sono state vittoriose contro il diritto alla concorrenza dentro l'Unesco in difesa dei
beni culturali, o ancora con l'Oms in difesa della salute contro l'OMC. Le sovvenzioni in difesa dei
diritti sociali e ambientali si oppongono a quelle che sostengono le aziende agro-esportatrici; questi
conflitti sono espressi dai Senza Terra brasiliani e portati avanti dalla Via Campesina in lotte
mondializzate che mettono oggi l'OMC in crisi - ma con il pericolo immediato di accordi bilaterali
distruttori.
Separare il locale dai problemi internazionali un impasse mentre tali accordi condizionano
strettamente ci che possono essere i diritti sociali delle imprese, i criteri di sovvenzione e i mezzi
di resistenza contro la predazione delle aziende multinazionali. Reciprocamente le lotte "globali"
avranno una portata e un peso solamente appoggiandosi sui rapporti di forza costruiti nelle
mobilitazioni di massa delle popolazioni locali, nazionali - stimolate da vittorie parziali, resistenze
multiformi che si collegano tra di loro. Nuovi "spazi pubblici" di contro-poteri, di contro-egemonia,
d'invenzione di nuovi diritti e di nuovi possibili scenari devono emergere dentro/contro il
capitalismo globalizzato, collegati dal locale al planetario, attraverso internet e gli incontri solidali.
La (ri)conquista dei"Beni comuni" si far allo stesso tempo contro i nuovi predatori e contro la
gestione tecnocratica o statale passata; la difesa della "dignit" come uno dei "Beni comuni"
associata ai diritti di base, deve implicare una pluralit di attori tra cui gli "esclusi" o precari del
mondo del lavoro. Questa questione, associata alla ricomposizione di un tessuto associativo e
della vita comune (lavoro, consumo, tempo libero, formazione,..) passa per la difesa dei diritti
umani e di uno statuto degli esseri umani in quanto co-gestionari delle ricchezze esistenti, oggi in
mano dall'1% che gestisce il pianeta.
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(1) All'inizio degli anni 1960 un "Grande dibattito" attraversava i Paesi dell'Est su quali riforme introdurre per
amigliorare la qualit e l'efficacia delle produzioni. Parecchi economisti difendevano l'ampliamento dei
meccanismi di mercato e dei stimoli monetari. Ci furono scambi di idee importanti a questo proposito tra Che
Guevara, Ernest Mandel (dirigente della 4a Internazionale) e Charles Bettelheim. Quest'ultimo difendeva
piuttosto le riforme di mercato, Che Guevara vi si opponeva, considerando che rischiavano di smantellare il
carattere solidale della produzione - ma si rivolgeva quindi verso la pianificazione di tipo sovietico. Ernest
Mandel, appogiandosi sui dibattiti in corso nella sinistra marxista yugoslava (dentro un'ottica di pianificazione
autogestionaria) preconizzava gli stimoli che spingevano alla cooperazione e non alla concorrenza
mercantile, convergendo su questo punto con l'ottica del Che, pur criticando l'esperienza sovietica .
http://www.ernestmandel.org/fr/ecrits/txt/1965/le_grand_debat_economique...
(2) Vedere la dialectique des fins et des moyens http://www.europe-solidaire.org/spip.php?article7509
(3) Vedere http://www.europe-solidaire.org/spip.php?article29445 : Des dgts du productivisme la
planification dmocratique autogestionnaire
(4) Vedere http://blog.mondediplo.net/2012-06-15-Elinor-Ostrom-ou-la-reinvention-de...
(5) The Tragedy of the Commons articolo di Garrett Hardin, "Science", 13 dicembre1968.
(6) Vedere i dossier di Le Monde Diplomatique http://www.monde-diplomatique.fr/2013/11/WALLACH/49803

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