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Il dialogo intorno alla nostra lingua di Niccol Machiavelli

Profa. Dra. Maria Cecilia Casini


Universidade de So Paulo
casini@usp.br

Thas Helena Cavalcanti


Mestranda - Universidade de So Paulo
thais.cavalcanti@usp.br

Recebido em: 14/02/2014


Aceito em: 31/05/2014

Sommario: Proponiamo in questo articolo unanalisi di uno dei testi fondamentali della Questione della
lingua, il Dialogo o Discorso intorno alla nostra lingua di Niccol Machiavelli. Il testo poco conosciuto
al grande pubblico propone una dimostrazione dellorigine fiorentina della lingua letteraria italiana,
dovuta, secondo lui, alla superiorit della lingua di Firenze rispetto a quella della altre citt italiane e
giustifica il fatto che la lingua comune dItalia debba essere chiamata fiorentina e non italiana.

Parole chiave: Machiavelli. Questione della Lingua. Lingua italiana.

Dialogue or Speech about our language by Niccol Machiavelli

Abstract: We propose in this article an analysis of one of the fundamental texts of Questione della
lingua, Niccol Machiavelli's Dialogue or Speech about our language. The text, unknown to the
general public, demonstrates the Florentine origin of literary Italian language, which he maintains is
due to the superiority of the language of Florence over that of other Italian cities and in which he
proposes that the common language of Italy should be called Florentine rather than Italian.

Keywords: Machiavelli. Questione della lingua. Italian Language.

In-Tradues, ISSN 2176-7904, Florianpolis, v. 6, n. 10, p. 53-62, jan./jun. 2014.


Fuori dallambito degli specialisti sono pochi a sapere che Niccol Machiavelli
(Firenze, 1469-1527), famoso internazionalmente per Il Principe (1513) e per altre
opere di storiografia politica, autore anche di un testo sulla questione della lingua
nellItalia dellepoca, conosciuto come Dialogo o Discorso intorno alla nostra lingua.
Si tratta di un breve libro in cui l'autore, a partire dalla dimostrazione dellorigine
fiorentina della lingua letteraria italiana, dovuta, secondo lui, alla superiorit della
lingua di Firenze rispetto a quella della altre citt italiane, giustifica il fatto che la
lingua comune dItalia debba essere chiamata "fiorentina" e non "italiana". Il Dialogo,
i
esposto in una lingua vivace e brillante e con unacutezza di ragionamento non
ii
comune agli altri linguai, particolarmente interessante perch offre al lettore un
quadro chiaro delle principali tendenze artistiche e letterarie della Firenze dellepoca,
offrendoci il destro di parlarne anche al pubblico non specializzato. Il punto di vista
dellautore su alcuni aspetti di un dibattito tanto complesso cos lucido e preciso
che rivitalizza i termini della questione, permettendoci di contestualizzarla in modo
particolarmente chiaro.
Lopera rimase sconosciuta fino al 1730, quanto venne ritrovata, adespota e
probabilmente anepigrafa, in un apografo di Giuliano de Ricci conservato presso la
Biblioteca Barberiniana di Roma. Lo scopritore, lerudito monsignore Giovanni
Bottari, la pubblic in appendice a LErcolano di Benedetto Varchi, senza indicarne
lautore; che tuttavia, fin dallinizio, fu riconosciuto in Machiavelli, per la presenza nel
testo di alcuni tratti stilistici distintivi, come il ragionamento argomentativo improntato
al metodo dilemmatico, loriginalit e il vigore concettuale del ragionamento, la
comprovata presenza della terminologia, della sintassi e della fraseologia
machiavelliana, attinta, qui come in altre opere, alla lingua parlata nella Firenze
contemporanea.
Il testo sarebbe stato scritto fra il 1508-1509 (data della prima rappresentazione
a Ferrara della commedia di Ludovico Ariosto, I Suppositi, citata nel Dialogo) e il
1527, lanno della morte di Machiavelli. Il periodo pi probabile quello compreso fra
il 1514 e il 1516, poich proprio in questi anni si sarebbe stretto particolarmente il
legame [...] tra quella scrittura e lo svolgimento del pensiero politico di Machiavelli,
iii
allinizio di una nuova fase della sua attivit di cittadino e di scrittore.

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Il testo, di carattere essenzialmente argomentativo, contiene una lunga parte in
forma di dialogo fra Machiavelli e niente meno che Dante Alighieri; essendo dunque
indifferentemente conosciuto col titolo di Dialogo o di Discorso, a seconda del genere
letterario al quale ogni studioso lha voluto associare. Personalmente preferiamo il
termine Dialogo, in diretto riferimento al modello privilegiato dagli umanisti per gli
scambi di opinioni e di esperienze reciproche, la conversazione fra pari, come
fondamento della vita civile nel Rinascimento. E anche per rendere giustizia alle
stesse parole dellautore, che, nella meravigliosa lettera a Francesco Vettori del 10
dicembre 1513, dice di non provare alcuna vergogna, cambiate le vesti sporche di
fango usate per lavorare la terra con panni reali e curiali, di [...] parlare con loro [i
iv
grandi uomini dellantichit] e interpellarli sulla ragione delle loro azioni.
E per quale motivo, dunque, Machiavelli non si sarebbe peritato di parlare
anche con Dante? Come risulta chiaro dalla lettura del testo, il Segretario fiorentino
non sembra minimamente intimidito nel discutere da pari a pari con il suo illustre
concittadino, impegnandolo in un dialogo lucido e veloce, pieno di effetti teatrali,
qualche volta francamente comico; n teme di metterlo alle corde, inchiodandolo con
la sua stringante argomentazione fino a fargli riconoscere di avere usato e come
soprattutto nella Commedia quella lingua fiorentina, cos perentoriamente
v
condannata nel De Vulgari Eloquentia. Perch, come si vedr pi avanti, era
appunto lopinione sfavorevole di Dante sul volgare di Firenze ad infiammare
particolarmente gli animi dei vari protagonisti della polemica linguistica dellepoca.
Allinizio del XVI secolo tutta lItalia era impegnata infatti in vivaci discussioni
linguistiche, strettamente connnesse al contesto contemporaneo e non prive di
vi
implicazioni politiche, tradizionalmente conosciute sotto il nome di Questione della
vii
lingua. Il dibattito verteva soprattutto sulla definizione del nome da attribuire alla
lingua comune dItalia; il che rivela che in questione era il [...] modo stesso di
viii
concepire la lingua, come bene comune o come patrimonio regionale. Le teorie
principali erano due: la prima, che possiamo chiamare "fiorentinista", affermava la
ix x
superiorit del fiorentino per motivi "naturali" e socio-culturali, che sarebbero stati la
causa diretta della sua superiorit storica e letteraria (innanzitutto, per lopera di
Dante, Petrarca e Boccaccio; ma anche per quella di tanti altri scrittori, come i

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cronisti e i mercanti del XIII e del XIV secolo, i poeti dello Stil Novo, gli autori del XV
secolo, sia i classicisti Alberti, Landino, Poliziano, Lorenzo il Magnifico, sia i pi
popolari Burchiello e Pulci, ecc.) e che avrebbero determinato la precoce
"fiorentinizzazione" di tutta la lingua italiana. La seconda teoria, detta "eclettica" o
"cortigiana", considerava la lingua esistente nellItalia del XVI secolo non (pi)
particolarmente fiorentina, dato che nella sua pratica letteraria e nelluso sociale che
se ne faceva, soprattutto nelle corti, si sarebbe arricchita di forme pi nobili ed
eleganti dovute al contributo dei vari volgari dItalia, depurati delle tracce idiomatiche
xi
pi crude. Partendo da premesse tanto diverse, le due correnti proponevano due
denominazioni diverse per la lingua di tutta la penisola: la prima, "fiorentino", o
xii
"toscano"; la seconda, "italiano", o "lingua comune", o "lingua cortigiana". Senza
che, apparentemente, le differenze apparissero in qualche modo conciliabili.
Nel 1525, con la pubblicazione delle Prose della volgar lingua, il cardinale
veneziano Pietro Bembo propone una composizione del dissidio, di tipo
fondamentalmente estetico-stilistico. Prendendo come punto di partenza la tradizione
letteraria toscana del XIV secolo, e seguendo lesempio del latino di epoca classica,
che indicava come autori di riferimento Virgilio e Cicerone, Bembo assume come
canonici due autori: Petrarca (quello del Canzoniere), per la poesia; Boccaccio
(quello della cornice del Decamerone), per la prosa (Dante viene scartato per aver
usato una lingua considerata troppo "barbara"). In poche parole, Bembo propone che
la lingua italiana si normativizzi, e giunga dunque a una sostanziale unit, a partire
da quella di questi due scrittori; solo cos sarebbe stato possibile, secondo lopinione
di Carlo Bembo, portavoce del fratello nelle Prose, raggiungere uneffettiva
omogeneizzazione e stabilizzazione della lingua italiana. Alla fine, la proposta
bembiana prevale sulle altre soprattutto per motivi di ordine pratico (lindiscutibile
superiorit dei modelli prescelti su qualsiasi altro scrittore dellepoca; la facilit della
divulgazione via stampa del canone prescelto, data la grande notoriet e diffusione in
tuttItalia delle opere dei classici toscani) e politico (la fine della libert italiana e il
clima di "normalizzazione" politica e culturale gi dominante).
A prima vista, la proposta bembiana pu sembrare in sintonia con la tesi
fiorentinista, e, dunque, con quella di Machiavelli. In realt, nonostante il conclamato
riconoscimento della superiorit della lingua di Firenze, che accomuna le due teorie,

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esse sono separate da profonde e irriducibili differenze: soprattutto perch per
Bembo, diversamente da Machiavelli, il criterio decisivo per l'assunzione di un
modello linguistico valido per tutta l'Italia quello della "letterariet" (cio, dell'"arte"),
xiii
e non quello del "naturalismo". La proposta fiorentino-arcaica di Bembo privilegiava
s la lingua fiorentina, ma quella letteraria di due secoli prima, che non aveva pi un
riscontro concreto, n parlato n scritto, nella vita della cinquecentesca Firenze;
dunque tale proposta era totalmente contraria alla tesi fiorentinista di Machiavelli,
che, sulla scia del progetto di egemonia politica fiorentina messo in atto nel XV
secolo da Lorenzo il Magnifico, aspirava allespansione del fiorentino
"contemporaneo" a lingua comune italiana. Al di l di tutte le comprensibili polemiche,
il fatto che adesso, pi di mezzo secolo dopo, in uno scenario politico completamente
mutato, prennunciante la fine della libert italiana (il Sacco di Roma del 1527;
lassedio di Firenze del 1530), gli italiani accettino, di fatto, la tesi bembiana,
rinunciando alla possibilit di adottare una lingua viva, concreta e strettamente
connessa alla propria contemporaneit, come ancora provava a essere la lingua
fiorentina dellinizio del XVI secolo, sembra simboleggiare anche la rinuncia alla
rivendicazione della propria autodeterminazione politica e culturale.
Ma verso i primi quindici o venti anni del XVI secolo, le contese sono ancora
ben vive e feroci. E Machiavelli, in particolare, scrive il Dialogo quasi in forma di
manifesto, o di pamphlet, per ribattere le ragioni della fazione linguistica opposta,
rafforzata allepoca dalla circolazione negli ambienti intellettuali del dantesco De
Vulgari Eloquentia.
Il trattato, scritto in latino, era stato scoperto dallumanista veneto Gian Giorgio
Trissino, che laveva tradotto in italiano appunto per consolidare la tesi
xiv
antifiorentinista. Nonostante fosse infatti opera di un autore fiorentino anzi, dal
pi grande autore fiorentino, il De Vulgari apparentemente si prestava ad essere
usato come arma contro la testi fiorentinista; ma unarma fragile, in verit, poich
Trissino si era sbagliato nel considerarlo chiave di lettura della Commedia (e ci non
sfugge a Machiavelli, che nel Dialogo dimostra aver Dante scritto il suo capolavoro in
lingua fiorentina).
Dante, nel De Vulgari Eloquentia, aveva realizzato una classifica dei vari volgari
dItalia, con lintento di verificare quale di essi offrisse le migliori condizioni per

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candidarsi ad essere il "volgare illustre" italiano: cio una lingua volgare di valore
unitario per tutta lItalia, originata dalluso naturale che ne faceva il popolo, ma
raffinata dalluso letterario. A tale proposito aveva aspramente criticato il fiorentino,
chiamandolo turpiloquio per la sua grossolanit, estromettendolo dalla disputa e
preferendogli altri volgari. Grazie dunque al De Vulgari Eloquentia, gli avversari di
Firenze potevano affermare che Dante in persona, fiorentino, si era dichiarato
contrario alla tesi della superiorit della sua stessa lingua, sostenendo anzi che la
lingua comune italiana doveva essere curiale, ossia legata a una corte ("curia")
linguisticamente rappresentativa di tutta lItalia. Trissino aveva presentato il libro alle
riunioni degli Orti Oricellari (i giardini della famiglia fiorentina Rucellai), durante le
quali giovani aristocratici di idee antimedicee si incontravano per dibattere questioni
legate alla storia della Roma repubblicana e in generale di storiografia latina.
Machiavelli frequentava assiduamente tali riunioni, essendovi anzi riconosciuto, in
quanto ex-Segretario della Seconda Cancelleria della Repubblica Fiorentina (1498-
1512), come una specie di eminenza grigia dai giovani ribelli.
In tale contesto, il Dialogo deve essere quindi visto come una ferma presa di
posizione, un atto dichiarato di impegno a favore e in difesa di Firenze da parte di
Machiavelli, che lo usa per rispondere polemicamente a Trissino (citato in modo
allusivo alla fine dellopera) e agli altri sostenitori della teoria cortigiana (Pierio
Valeriano, Mario Equicola, il Calmeta, Baldassare Castiglione, ecc). Cos si spiegano
lenergia dello stile del testo e la passione dellautore nel portare avanti il suo
ragionamento, profondamente interconnesse fra di loro. Col Dialogo, Machiavelli d il
suo contributo diretto al dibattito sulla questione della lingua in Italia, esponendosi in
prima persona, col prestigio di cui godeva, per portare avanti la tesi fiorentinista.
Tuttavia il testo non ebbe sulla questione uninfluenza storica allaltezza del suo
autore, visto che prima della sua pubblicazione, nel 1730, circol negli ambienti
letterari solo in forma clandestina. possibile che, nonostante la sua lucida difesa
della lingua fiorentina, a cui pi tardi si richiamarono vari autori della tesi fiorentinista
(Martelli, Tolomei, Gelli, Lenzoni, Varchi, Salviati) per suffragare le proprie
argomentazioni linguistiche, il Dialogo non abbia goduto di eccessive simpatie negli
ambienti fiorentini in generale, a causa del duro attacco a Dante. Nel XIX secolo
viene ignorato da Leopardi e da Foscolo nei loro scritti sulla lingua, ma viene citato

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da Manzoni per la decisa opposizione espressa contro i pregiudizi elitisti della cultura
accademica, per il favore accordato alla lingua viva e parlata, per le critiche
allAriosto commediografo.
Nel corso del XIX secolo, molti studiosi hanno dimostrato di apprezzare
xv
vivamente lanalisi linguistica condotta da Machiavelli nel Dialogo, e il testo citato
xvi
anche negli scritti sulla questione della lingua di autori stranieri, secondo i quali, a
partire da un concetto di unit linguistica specifica la sua stessa, la fiorentina,
Machiavelli rientrerebbe con questopera in quella linea di ragionamento a favore
xvii
della regolarit della lingua, che dallautore delle Regole Vaticane, passando per
Leonardo, Pulci, Fortunio, Bembo, Liburnio, arriva a Manzoni. Sarebbe nel Dialogo, e
non nelle Regole di Giovanni Francesco Fortunio, scritte nel 1516, che si sarebbe
realizzato per la prima volta un abbozzo di studio grammaticale della lingua italiana.
E Macchiaveli considerato un precursore appunto di Manzoni, per la sua difesa
della lingua viva e contemporanea, contro la preferenza bembesca per il fiorentino
arcaico.
Ma quali sono i principali punti linguistici discussi nel Dialogo? Possiamo
xviii
riconoscere in particolare i seguenti:

la nozione della distinzione fra lingua parlata e lingua letteraria, con


preferenza per il naturalismo linguistico (e, dunque, in favore della superiorit
del fiorentino, lingua "naturale", creazione comune e spontanea del popolo di
Firenze e della Toscana, contro lartificialit e lelitismo della lingua cortigiana);
laffermazione secondo cui, grazie alla prassi delle fiorentine tre corone
(Dante, Petrarca, Boccaccio), la lingua sarebbe passata al resto dellItalia,
"educando" linguisticamente e raffinando gli scrittori non fiorentini;
la critica alleccesso di astrazione della lingua cortigiana e alla eterogeneit
linguistica della corte romana;
il principio dellespandibilit del tosco-fiorentino a tutta lItalia (in linea con il
progetto mediceo del XV secolo, di imporre legemonia di Firenze a partire dalla
lingua e dalla cultura);
osservazioni interessanti sulla capacit assimilatrice delle lingue (come

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laffermazione secondo la quale lintroduzione in una determinata lingua di
vocaboli stranieri, anche molti, non ne danneggia il carattere pi proprio e
"autentico"; la lingua, anzi, ha la forza di integrare stabilmente nel proprio
patrimonio quegli stessi vocaboli);
il riconoscimento del carattere strutturante e identitario, per una lingua, della
sintassi;
limportanza attribuita alla fonetica, con particolare attenzione per la
pronuncia e gli accenti;
il fermo rifiuto allanti-fiorentinismo linguistico di Dante (come autore del De
Vulgari Eloquentia);
la censura a certi termi utilizzati da Dante;
la dimostrazione della fondamentale fiorentinit linguistica della Divina
Commedia, nonostante lostilit del suo autore per Firenze.

Speriamo, con questo breve scritto, di aver offerto il nostro contributo personale
ad una diffusione migliore e pi ampia, in Brasile, della complessa e affascinante
storia della lingua italiana.

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Referncias

BARON, Hans. Machiavelli in the eve of the Discourses: The date and place of his
Dialogo intorno alla nostra lingua. Bibliothque dHumanisme et Renaissance,
Travaux et Documents, XXIII, 1961, [s.p.].

JEANROY, Thrse Labande. La Question dela langue en Italie. Publications de la


Facult des Lettres de lUniversit de Strasbourg: Strasbourg, 1925.

MARAZZINI, Claudio. Le teorie. In: Luca Serianni e Pietro Trifone (Org.). Storia della
lingua italiana. Volume primo. I luoghi della codificazione. Torino: Einaudi, 1993,
[s.p.].

MARAZZINI, Claudio. Da Dante alla lingua selvaggia. Roma: Carocci, 1999

MACHIAVELLI, Niccol. Discorso o dialogo intorno alla nostra lingua. A cura di


Bortolo Tommaso Sozzi. Torino: Einaudi, 1976.

RIDOLFI, Roberto. Note sullattribuzione del Dialogo intorno alla nostra lingua. La
Bibliofilia, LXXIII, dicembre 1971, dispensa 3, [s.p.].

SERIANNI, Luca; Trifone, Pietro (Org.). Storia della lingua italiana. Volume primo. I
luoghi della codificazione. Torino: Einaudi, 1993

VITALE, Maurizio. La Questione della lingua. Palermo: Palumbo, 1960.

i
Claudio Marazzini, Le teorie; in Storia della lingua italiana. Volume primo. I luoghi della codificazione
(org. di Luca Serianni e Pietro Trifone), Torino, Einaudi, 1993, p. 256.
ii
Roberto Ridolfi, Note sullattribuzione del Dialogo intorno alla nostra lingua. La Bibliofilia, LXXIII,
dicembre 1971, dispensa 3, p. 261.
iii
Hans Baron, Machiavelli in the eve of the Discourses: The date and place of his Dialogo intorno alla
nostra lingua. Bibliothque dHumanisme et Renaissance, Travaux et Documents. XXIII, 1961, pp.
449-476.
iv
Riportiamo il brano integralmente: Venuta la sera, mi ritorno a casa ed entro nel mio scrittoio; e in
sull'uscio mi spoglio quella veste cotidiana, piena di fango e di loto, e mi metto panni reali e curiali; e
rivestito condecentemente, entro nelle antique corti delli antiqui huomini, dove, da loro ricevuto
amorevolmente, mi pasco di quel cibo che solum mio e chio nacqui per lui; dove io non mi vergogno
parlare con loro e domandarli della ragione delle loro azioni; e quelli per loro humanit mi rispondono;
e non sento per quattro hore di tempo alcuna noia, sdimentico ogni affanno, non temo la povert, non
mi sbigottisce la morte: tutto mi transferisco in loro. Si tratta della lettera nella quale Machiavelli,
esiliato nella casa di campagna dell'Albergaccio e lontano dallesercizio attivo della politica, dopo il
ritorno al potere dei Medici (1512), annuncia all'amico Vettori la composizione de Il Principe.

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v
Anche se Machiavelli sbaglia nellattribuire le critiche di Dante al fiorentino unicamente a motivi
psicologici e personali (la vendetta contro Firenze, che l'aveva esiliato), trascurando di riconoscere
loriginalit della lucida analisi teorico-linguistica del poeta.
vi
Per lintreccio fra situazione storica e questione linguistica nell'Italia dellepoca, per il contrasto fra
una societ aristocratica e conservatrice e una societ popolare e aperta alle novit, si vedano in
particolare gli studi di Eugenio Garin.
vii
Il testo sintesi dell'insieme delle teorie e delle polemiche linguistiche italiane dalle origini al XIX
secolo considerato La Questione della lingua, di Maurizio Vitale, Palermo: Palumbo, 1960.
viii
Claudio Marazzini, Da Dante alla lingua selvaggia. Roma: Carocci, 1999, p.54.
ix
Non nostra intenzione discutere qui le ragioni, storiche, linguistiche o culturali, sulle quali si
basava tale pretesa superiorit genetica del fiorentino. Limitiamoci a dire che alcuni studiosi
pensavano che la Toscana, essendo stata la regione d'Italia pi precocemente occupata dai Romani,
avrebbe ricevuto prima e pi profondamente l'influsso normativizzante della lingua latina.
x
Secondo la Nuova Cronica di Giovanni Villani (Firenze, 1276-1348), gi nel XIV secolo il Comune di
Firenze promuoveva politiche educative e di diffusione culturale molto avanzate, aprendo scuole di
abaco e di algarismo nelle quali, per la prima volta in Europa, si insegnava a leggere e a scrivere
direttamente in volgare, senza la mediazione del latino; il che avrebbe portato all'alfabetizzazione di
intere classi sociali della citt, anche di quelle popolari, raffinando la lingua e favorendo il sorgere di
una precoce pratica letteraria.
xi
La teoria cortigiana raccoglieva diverse varianti, che non possibile illustrare qui, il cui
denominatore comune era l'opposizione al fiorentinismo e al toscanismo.
xii
Esistono, nel dibattito linguistico rinascimentale, alcune differenze fra i fautori del fiorentino e quelli
del toscano. Machiavelli, quando parla di lingua toscana, si riferisce fondamentalmente al fiorentino.
xiii
L'opposizione arte/natura, con la dichiarata supremazia della natura, ricorrente negli scritti di
Machiavelli.
xiv
Anche se alcuni studiosi misero in dubbio la paternit dantesta del trattato, visto che Trissino non
divulg il testo originale ma solo la versione in volgare tradotta da lui. Machiavelli, comunque, non
dimostra dubbi nel ritenere Dante lautore del De Vulgari Eloquentia.
xv
In particolare, Pasquale Villari considera Machiavelli un predecessore di Friedrich Schlegel,
fondatore della filologia comparata. Fra gli studiosi che hanno apprezzato le qualit stilistiche e di
ragionamento linguistico del Machiavelli autore del Dialogo, segnaliamo, fra gli altri, Francesco De
Sanctis, Ruggero Bonghi, Pio Rajna, Luigi Morandi, Ciro Trabalza, Vincenzo Vivaldi, Roberto Ridolfi,
Hans Baron, Guido Mazzoni, Bortolo Tommaso Sozzi.
xvi
Si veda il testo di Thrse Labande Jeanroy, La Question de la langue en Italie, Publications de la
Facult des Lettres de lUniversit de Strasbourg, Strasbourg, 1925.
xvii
Scritte attorno al 1450, vengono attribuite all'umanista Leon Battista Alberti (1404-1472).
xviii
Per un'analisi pi dettagliata in proposito, rimandiamo all'Introduzione dell'edizione critica del
Discorso o dialogo intorno alla nostra lingua di Bortolo Tommaso Sozzi, Torino, Einaudi, 1976,
particolarmente alle pagine XXXIX e XL, alla quale ci siamo riferite per altro in tutto il testo.

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