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Io sono – dice Dio – Padrone delle tre Virtù.

La fede è una sposa fedele.


La carità è una madre ardente.
Ma la speranza è una bimba piccina.

Io sono – dice Dio – il Padrone delle virtù.

La fede è quella che tiene duro nei secoli dei secoli.


La carità è quella che dà se stessa nei secoli dei secoli.
Ma la piccola speranza è quella che si leva tutte le mattine.

Io sono – dice Dio – il Signore delle virtù.

La fede è quella che è tesa nei secoli dei secoli.


La carità è quella che si distende nei secoli dei secoli.
Ma la mia piccola speranza
È quella che tutte le mattine ci dà il buongiorno.

Io sono – dice Dio – il Signore delle virtù.

La fede è un soldato, è un capitano che difende una fortezza,


una città del re.
La carità è un medico, è una piccola suora dei poveri,
che cura i malati, che cura i feriti,
i poveri del re.
Ma la mia piccola speranza è quella
Che dice buon giorno al povero e all’orfano.

Io sono – dice Dio – il Signore delle virtù.

La fede è una chiesa, è una cattedrale radicata nel suolo di Francia.


La carità è un ospedale, un ricovero che raccoglie tutte le miserie del mondo.
Ma senza la speranza, tutto questo non sarebbe che un cimitero.

Io sono – dice Dio – il Signore delle virtù.

La fede è quella che veglia nei secoli dei secoli.


La carità è quella che veglia nei secoli dei secoli.
Ma la mia piccola speranza è quella che si corica tutte le sere
e si leva tutte le mattine e passa veramente delle buonissime notti.

Io sono – dice Dio – il Signore di quella virtù lì.


La mia piccola speranza è quella che si addormenta tutte le sere,
nel suo letto di bimba, dopo aver detto bene la sua preghiera,
e che tutte le mattine si risveglia e si leva
e dice la sua preghiera con uno sguardo nuovo.
Io sono – dice Dio – Signore delle tre virtù.

La fede è un grande albero, è una quercia radicata nel cuore della Francia.
E sotto le ali di quest’albero la carità, mia figlia la carità
Ripara tutte le desolazioni del mondo.
E la mia piccola speranza non è altro che quella piccola promessa di gemma
Che si annuncia proprio all’inizio d’aprile.

E quando si vede l’albero, quando guardate la quercia,


quella rude scorza della quercia tredici e quattordici volte e diciotto volte centenaria,
e che sarà centenaria e secolare nei secoli dei secoli,
quella rude scorza rugosa e quei rami che sono come una accozzaglia di braccia enormi,
quando vedete tanta forza e tanta rudezza la piccola gemma tenera non sembra proprio più
nulla.
E’ lei che ha l’aria di essere parassita dell’albero, di mangiare alla tavola dell’albero.
Come un vischio, come un fungo.
Eppure è da lei che tutto viene invece. Senza una gemma che viene una volta, l’albero non
sarebbe.
Ogni vita viene dalla tenerezza. Ogni vita viene da quella tenera, da quella fine gemma
d’aprile…
Il più duro uomo di guerra è stato un tenero bimbo nutrito di latte; e il più rude martire, il
martire più duro sul cavalletto, il martire dalla scorza più rude, dalla pelle più rugosa, il
martire più resistente ai raffi e agli artigli di ferro è stato un tenero bambino latteo.
Senza quella gemma, che ha l’aria di non essere nulla, che non sembra nulla, tutto questo non
sarebbe che del legno morto.
E il legno morto sarà gettato nel fuoco.

… la gemma non resiste sotto le dita e con un colpo d’unghia il primo venuto vi fa saltare via
una gemma;
che sviluppata di farebbe un ramo più grosso della vostra coscia.
Perché è più facile – dice Dio – rovinare che fondare;
e far morire che far nascere;
e dare la morte che dare la vita.

Ora io ve lo dico – dice Dio – senza questo germogliare della fine di aprile, senza quelle
migliaia, senza quell’unico piccolo germogliare della speranza, che evidentemente chiunque può
spezzare, senza quella tenera gemma cotonosa, che il primo venuto può far saltare con
l’unghia, tutta la mia creazione non sarebbe che del legno morto.
E il legno morto sarà gettato nel fuoco.
E tutta la mia creazione non sarebbe che un immenso cimitero.

(da Il mistero dei Santi Innocenti di Charles Péguy)

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