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Antonio SOCCI, Roberto FONTOLAN

Tredici anni della nostra storia (prima puntata)


tratto da Il Sabato, 29.8.1987, n. 35

Addio alle leve. Il nuovo potere sale al trono.

Cento poltrone da occupare subito. Con questo titolo l'Espresso del 19 maggio 1974 apriva i suoi
servizi dedicati alla schiacciante vittoria divorzista. Che c'entrava il divorzio con le poltrone? Da una parte
c'era in gioco la questione di valori o di costume. Dall'altra una questione di nero potere. Eppure il
giornale che aveva tirato con spregiudicatezza la volata alla nuova vincente cultura laicista come prima
conseguenza del voto di qualche giorno prima chiamare in causa la questione dei posti di comando.

Da quella fatidica data del maggio 1974 il progetto che aveva colto allora il suo primo clamoroso
successo ha fatto molta strada. Per contro il cattolicesimo italiano ha vissuto un continuo arretramento.
Estromesso dalle grandi leve della finanza, dei mass-media, della magistratura stato ridotto a residuo
di culto, al volontariato assistenzialista. Com' accaduto tutto questo? E' ci che Il Sabato ha tentato di
ricostruire ripercorrendo la storia di questi tredici anni cruciali, inedita e provocatoria. La tesi che il
potere laicista si sia servito di un cavallo di Troia. Cio della forza di un pensiero non cattolico che poco
alla volta divenuto dominante proprio l'interno del mondo cattolico. Un pensiero che ha puntato sulla
separazione tra fede e vita, distruggendo cos la ragionevolezza della fede. Cos i cattolici sono diventati
paladini di valori, portatore di evidenze etiche, anime belle ormai incapace di credere e di annunciare. Ci
in cui si fonda ogni valore ed ogni evidenza. Questa la tesi. La storia che in questo numero comincia
porter tutte le prove e le connessioni.

E' finita. Ha vinto il nuovo potere! Lo spirito della classe dominante ha dilagato, constatava Pasolini
attorno al '74. Il nuovo potere completamente irreligioso; totalitario; violento; falsamente tollerante,
anzi pi repressivo che mai; corruttore; degradante. Il 1974 (l'anno del referendum sul divorzio) segna la
grande svolta preparata da decenni. L'anima del popolo italiano si scopre non pi cattolica, ma totalmente
stravolta, irriconoscibile.

Dove non erano riusciti a far breccia la Riforma protestante, il giacobinismo della Rivoluzione francese,
ed il leninismo della Rivoluzione bolscevica riuscito un nuovo potere. Bisogna partire da qui: dalla
disfatta e dalla sparizione dei cattolici e dalla contemporanea affermazione di un nuovo potere. Di solito le
storiografie tradizionali sul mondo cattolico macinano a vuoto tesi ed antitesi, piani pastorali, documenti e
congressi di associazione in una astorica sacrestia dove si discetta a non finire sulla ministerialit dei
laici, ma non si osa guardare alle domande vive e drammatiche dell'uomo. Gli italiani - ancora Pasolini
a denunciarlo attorno al '75- sono divenuti in pochi anni un popolo degenerato, ridicolo, mostruoso,
criminale.

Non un caso che l'episodio che incorona il nuovo potere sia il referendum sul divorzio. Scriveva
Umberto Eco: Il 12 maggio stata la vittoria delle masse popolari ormai a contatto con la cultura
moderna. E Pasolini: La tolleranza in campo sessuale ha allargato enormemente i mercati; perch
essa una componente essenziale della mentalit del consumo, in cui il soggetto deve essere moderno,
laico, quindi anche sessualmente libero. E' uno spunto per capire la natura particolare di quel nuovo
potere.

Da via Veneto al Palazzo

Nel febbraio '49 usciva il primo numero de Il Mondo. Nell'ottobre del '55 iniziava le pubblicazioni
L'Espresso. Attorno a queste riviste di bassa tiratura si trovano Mario Pannunzio, Ernesto Rossi, Arrigo
Benedetti, Leopoldo Piccardi, Augusto Guerriero, Alberto Moravia, Mino Maccari, Bruno Visentini, Vittorio
Gorresio, Guido Carli e altri giovanotti, fra cui Eugenio Scalfari (che sar fra i fondatori del Partito
radicale). I militi di questa pattuglia sono di provenienza fascista e antifascista, ma hanno in comune il
laicismo anticlericale vecchia maniera: Questa famiglia -racconta Scalfari- aveva per la vecchia destra
storica di Spaventa, di Sella e di Minghetti una vera reverenza e un'assoluta consonanza di sentire. Da
Gobetti assumono l'idea guida: La modernizzazione d'Italia coincide con la sua radicale laicizzazione.
Questa pattuglia stipul dunque un patto d'acciaio con la potente finanza, in cerca di una dimensione
politica e culturale che andasse al di l dei confini ormai angusti del Partito liberale e di Benedetto Croce.

Cos -come racconta Scalfari nella sua autobiografia di gruppo- L'Espresso fu il primo giornale italiano a
seguire sistematicamente e giornalisticamente i fatti dell'economia e della finanza. In realt fece molto di
pi. Vi si butt a capofitto. E mir infine a dare un'impronta economicista alla cultura politica italiana,

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giocando a tutto campo. Cos il nostro gruppo d'opinione -scrive l'Eugenio- ha adempiuto egregiamente
al ruolo di "laicizzare" la Chiesa comunista... incalzando il Pci non gi verso una riconversione in chiave
socialdemocratica, ma in chiave "liberale" (cio funzionale agli interessi della nuova borghesia).

Raffaele Mattioli, lo gnomo della Banca Commerciale fu lo stratega e il prototipo di questi grandi borghesi
sotto i cui auspici (insieme ai contratti pubblicitari della Fiat di Valletta, dell'Eni di Mattei, dell'Olivetti e
della Pirelli) iniziava l'avventura de L'Espresso & Co.

Ma chi era e donde veniva questa nuova razza padrona?

Dopo l'Unit d'Italia la borghesia massonica, conquistato il Palazzo della finanza, costella quegli anni di
decine di scandali e ruberie: la Banca Romana, la Banca di Sconto, la Societ di Credito Mobiliare, Banco
di Napoli, Bastogi.

Il vertice dell'establishment (Fiat, Pirelli, Orlando, Costa ecc.) decide che pi comodo disfarsi delle
banche affidandole in gestione allo Stato, creando, attraverso l'Iri, un apparato finanziario statale
funzionale all'impero delle famiglie. Affidano cos l'Iri nelle mani di Alberto Beneduce (membro della
Giunta esecutiva del Grande Oriente d'Italia) che colloca Raffaele Mattioli alla Banca Commerciale
(Comit) da dove si diramano i legami con la grande finanza Usa ed europea. Nessuno pu nulla contro
questa cupola. Beneduce (che non prender mai la tessera del Pnf, ma che il vero potente del
ventennio) con l'Iri controlla dunque le tre Banche di interesse nazionale (Comit, Credit e Banco di
Roma), l'Ina, la Bastogi, altre banche, grosse fette d'industria (dall'Ansaldo all'Italsider). Alla sua area
d'influenza appartiene anche la Tecnostruttura della Banca d'Italia con Azzolini, Menichella e poi Guido
Carli, cresciuto nel salotto di Mattioli. In questo celebre ufficio studi della Comit crescono infatti, a cavallo
del 1940, personaggi come Ugo La Malfa, Parri, Merzagora, Amendola, Malagodi, Rodano, Valiani, Carli,
Cuccia. Le tre Bin nel '46 fondano la banca d'affari Mediobanca, affidata al giovane Enrico Cuccia (che
aveva sposato la figlia di Beneduce, la signorina Ideasocialista). Mediobanca diviene il crocevia del
potere dal 1946 ad oggi: Da sempre -ha scritto Gianni Manghetti- il capitalismo nostrano stato un
capitalismo senza capitali... L'impegno delle grandi banche (pubbliche) si rivelato decisivo per salvare la
propriet di alcuni grandi capitalisti e per garantire lo sviluppo dei loro gruppi. Ecco perch Mediobanca
si trova in Gemina, Montedison, Pirelli, Generali, nel rilancio di Mondadori e di Rizzoli: che sarebbero gli
Agnelli, i Pirelli, i Bonomi, i Mondadori, gli Orlando (i De Bendetti ndr) senza Mediobanca? (Manghetti).
Questa dunque l'intuizione del giornalista-imprenditore Scalfari: saldare l'armata radicale al grande
capitale laicista.

Per questo motivo egli davvero il fondatore del giornalismo economico in Italia. Scalfari potr cos
confessare candidarnente: I rapporti con La Malfa, Visentini, Agnelli erano strutturali e non
dimentichiamo la simpatia per Carlo De Benedetti, Leopoldo Pirelli, Orlando, molti dei quali pregai di
entrare nella societ, alla fondazione di Repubblica... Questo giornale strutturalmente il portaparola
della Banca d'Italia... E' una platea rappresentativa di tutta la classe dirigente. Il nuovo potere vincente
quando riesce a chiudere il cerchio nel controllo delle leve del potere finanziario, giornalistico e industriale
(ancora una volta sar Pasolini a cogliere il nesso fra giornalismo di Palazzo de L'Espresso, di
Panorama, de Il Mondo e la nuova forma di potere economico laico che ha prodotto una rivoluzione
antropologica unica).

Potremmo disegnare oggi la geografia del nuovo potere. Nel 1974 la Fiat fu ad un passo dal tracollo e
dalla statalizzazione. Dai 34 miliardi di utili del 1968 era precipitata nel 1972 a 15 miliardi (e solo per una
integrazione di 20,4 miliardi provenienti dalle riserve). La produzione era crollata. La crisi era talmente
grave che la stessa Fiat a cercare di mascherarla scriveva Turani. Nel '74 la svolta.

Oggi la Fiat ha raggiunto un utile di 2.500 miliardi (dati '86). E' passata da un fatturato di 2.400 miliardi del
'74 a 34.000 miliardi dell'86.

In Borsa l'establishment composto da Agnelli, Ferruzzi, De Benedetti, Pirelli e Orlando controlla circa il
60% delle societ quotate (dati del Sole-24 ore 26-7-1987); il 21% delle Partecipazioni statali c' poi
l'impero comunista della Lega delle cooperative che ha raggiunto un fatturato di circa 26.000 miliardi e il
resto sono briciole. Questo dominio fa il paio con lo strapotere dei soliti noti nel mondo dell'informazione: i
big five controllano i maggiori quotidiani e settimanali italiani con le pi grosse agenzie pubblicitarie.
Confessa Giampaolo Pansa con le parole di Speroni nel suo Carte false: C' un establishment contro
cui i giornalisti non possono andare. E' una degenerazione che ormai ha travolto anche la satira politica
che sempre pi si trasforma da denuncia in soffietto. Si tratta di una delle pi grosse concentrazioni di
potere che la storia d'Italia ricordi; che si divorata fra l'altro quasi tutta la presenza cattolica nel mondo
industriale, finanziario e giornalistico.

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Grazie non solo ad un suicidio culturale senza precedenti, ma anche per la complicit di una generazione
di cattolici che ha perseguito sistematicamente un programma di smantellamento della presenza sociale
e di distruzione della Chiesa dall'interno (Paolo VI). E oggi sembra seriamente impegnata a
smantellare la presenza politica dei cattolici, visto che Scalfari spiegava il suo flirt con De Mita per il
progetto positivo di De Mita: quello di laicizzare al massimo la Dc.

Preludio di un suicidio

E' la storia di un tradimento esploso nel 1974. Ma per l'inizio bisogna andare al 1950. Infatti mentre il
gruppo di liberals scalfariano, fra via Veneto e la Comit di Mattioli, comincia la sua lunga marcia di
conquista, i cattolici assumono (per la prima volta) la guida politica della nazione. Gianni Baget Bozzo, un
protagonista della Dc di allora, nella sua storia del partito cristiano spiega: Pio XII svilupp nella sua
lunga attivit di magistero una sua concezione della dottrina tradizionale: quella dell'autonomia del popolo
rispetto allo Stato, dell'ordine etico rispetto alle istituzioni sociali e politiche... Il radiomessaggio natalizio
del 1944 afferm che la democrazia era possibile non semplicemente grazie alla presenza delle
istituzioni, ma soprattutto per la presenza e la partecipazione politica di un vero popolo. Pio XII rovesciava
cos il rapporto di causalit tra diritto naturale e diritto costituzionale... Il Papa si rivolgeva a tutti gli uomini,
non solo ai cristiani... Egli non vedeva nei partiti una dimensione originaria della libert civile. Questi infatti
appartenevano alla sfera dello Stato. Era importante, piuttosto, costituire strumenti che fossero intermedi
tra lo Stato e il popolo, che rappresentassero l'esercizio delle volont del popolo di difendersi dalle
falsificazioni e dalle adulterazioni dei poteri costituiti. Questa fu la linea di pensiero che presiedette
all'azione dei Comitati civici. Aggiunge don Gino Oliosi del Comitato di Collegamento fra i cattolici: Il
grande capolavoro di Pio XII sar la Costituzione italiana che -caso quasi unico- risolve l'annosa aporia
fra Stato teocratico e Stato laicista. E' la sola Costituzione che definisce l'Italia non uno Stato, ma una
Repubblica, dove agiscono questi soggetti: lo Stato, le Regioni, i Comuni, i partiti, i corpi intermedi, tutti a
pieno titolo. Era una vera rivoluzione. Ma il grande realizzatore di questa visione del Papa fu De Gasperi.
Pio XII aveva molto meditato la lezione leniniana: l'idea del partito come soggetto totale (una declinazione
della statolatria giacobina) apriva la strada ad un nuovo totalitarismo. Quale fu il contributo di De
Gasperi?

Egli realizz un partito che era s un soggetto politico, ma non un soggetto culturale; che cio si
riconosceva come espressione di una presenza sociale, e che aveva il suo spazio specifico di azione nel
confronto, nel compromesso, nella collaborazione, nella mediazione politica con gli altri partiti. Ma una
nuova cultura alle porte, destinata ad avere un enorme influsso sul cattolicesimo italiano: la lettura
italiana di Jacques Maritain (soprattutto di Umanesimo integrale).

La proposta di Maritain -scrive Scoppola- circol nei gruppi intellettuali di Azione cattolica, in particolare
ad opera di Giovan Battista Montini, ed ebbe perci particolare presa proprio negli ambienti nei quali si
formavano giovani destinati ad assumere notevoli responsabilit successivamente.

Il maritainismo italiano tuttavia una creatura strana (per di pi sconfessata dal filosofo francese).
Esiste un "uso ideologico" di Maritain scriveva Baget Bozzo nel '70, quando era ancora direttore di
Renovatio.

Quella riduzione italiana di Maritain a ideologia politica si affermata pian piano, con gli anni, con letture
parziali e superficiali. Si pu dire che le tesi di Lazzati -aggiungeva Baget Bozzo- definiscono quella che
sar la piattaforma dell'uso ideologico di Maritain in Italia.

Tutto comincia con il '45. Un gruppo di docenti della Cattolica (Lazzati, Dossetti, Fanfani, Saraceno,
Boldrini ecc.) fanno il loro ingresso nella leadership del partito cristiano come tecnici. L'autonomia della
tecnica giuridica, economica, politica ci introduce gi nel maritainismo. La dottrina sociale della Chiesa
come orizzonte politico superata per i nostri intellettuali dall'idea di nuova cristianit. Sarebbe la stessa
dinamica storica a condurre necessariarnente alla nuova cristianit che si incarnerebbe nei valori moderni
(della democrazia, della libert, della giustizia).

Per Lazzati diversa la sfera spirituale da quella della storia che governata da leggi tecniche verrebbe
resa sempre pi omogenea alla Chiesa. Compito del cristiano sarebbe -in questo contesto- l'uso
professionalmente competente di quelle tecniche che inverano i valori della nuova cristianit. I cristiani
dovrebbero dunque assecondare questo movimento della storia moderna; la Chiesa invece stata per
lungo tempo peccatrice contro il mondo moderno.

E' nell'opera del cardinal Suhard L'essor on dclin de l'Eglise (tradotto nel '48 da Turoldo proprio per

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l'editrice di Cronache sociali, la rivista del gruppo dossettiano) che per la prima volta si introduce la
contrapposizione fra integralisti e progressisti. Cos ad esempio il fascismo (che per Pio XII
un'espressione moderna dell'immanentismo laicista a compimento della statolatria risorgimentale) per i
nostri nuovi intellettuali un Fascio delle forze reazionarie.

Questa lettura del fascismo -non a caso- identica a quella azionista (la culla del nuovo laicismo
italiano). Cos, fatalmente per il gruppo cattolico-democratico l'antinomia dell'epoca moderna non sar fra
laicismo ed evento cristiano, ma fra progresso e reazione, dove il pericolo non sarebbe rappresentato dal
laicismo quanto dall'integralismo.

Si afferma cos una cultura che esalta sempre pi la modernit ed il suo motore, la nuova borghesia
sempre pi legittimata nella sua conquista. Il gruppo cattolico-democratico propugna una doppia riforma,
della Chiesa e dello Stato.

La riforma della Chiesa, per liberare la fede dai retaggi dell'epoca sacrale teocratica, doveva accentuare il
carattere interiore della Chiesa e della Grazia rispetto al mondo. La Chiesa -notava Baget Bozzo- non
poteva apparire sul piano della storia visibile se non con una presenza silenziosa ed interiore.

D'altro canto si attribuiva alla politica, quindi all'unico strumento ritenuto idoneo, il partito, con la sua
azione nello Stato, il compito di realizzare la nuova cristianit, non pi sacrale ma evangelica.
Nella nuova cristianit -spiega ancora lo storico genovese della Dc- la grazia era talmente presente nel
processo storico, cos immanente alla natura stessa che, senza riferimento diretto alle parole o ai simboli
cristiani e nemmeno a quelli religiosi, poteva nascere una cristianit. I valori stessi della nuova storia,
identificati nel pluralismo, nella libert politica, nel regime democratico, divenivano la realizzazione
visibile, politica e spirituale ad un tempo, del cristianesimo. Il partito cristiano si avvia cos a diventare la
levatrice del nuovo potere laicista. E' chiaro come questa ideologia tolga ogni legittimit a qualsiasi
intervento pubblico, storico della Chiesa e a tutte le forme di presenza popolare dei cattolici fuori del
partito.

Approdo all'utopia

Ma come si giustifica teologicamente una simile novit? E Lazzati che prendendo spunto dal capitolo
sulla distinzione dei piani di Umanesimo integrale tenta di fondare teologicamente una nuova
categoria, quella di laico (contrapposto al laicista e all'integralista), che opererebbe nella storia non come
cristiano, ma come uomo (fondamentale per questa concezione anche l'opera di Congar del '53, Jaons
pour une thologie d laicat). L'abisso fra la Chiesa e la storia si fa incolmabile. E la tecnica politica
(ovvero il partito) diventa lo spazio quasi esclusivo della testimonianza cristiana nella storia, e il
depositario di un'attesa utopica sostanzialmente estranea al pensiero della Chiesa, che al contrario aveva
sempre cercato di difendere gli uomini e la loro vita (personale o di gruppi) dallo Stato e dalla tentazione
totalizzante della politica.

Giustamente il cardinale Ratzinger ha scritto di recente: Quando la fede cristiana decade... insorge il
mito dello Stato divino, perch l'uomo non pu rinunciare alla totalit della speranza... Il rifiuto della
speranza che nella fede , al tempo stesso, un rifiuto al senso di misura della ragione politica... il primo
servizio che la fede fa alla politica dunque la liberazione dell'uomo dall'irrazionalit dei miti politici, che
sono il vero rischio del nostro tempo... Limitarsi al possibile sembra una rinuncia alla passione morale,
sembra il pragmatismo dei meschini.

Fu proprio questa la critica che il gruppo dossettiano mosse a De Gasperi. Ma la verit -riprende
Ratzinger- che la morale politica consiste precisamente nella resistenza alla seduzione delle grandi
parole con cui ci si fa gioco dell'umanit dell'uomo e delle sue possibilit (da Chiesa, ecumenismo e
politica, p. 143-144, Milano 1987).

Al loro sorgere invece i cattolici democratici sono affascinati dalle grandi parole: essi ritengono -al
contrario di De Gasperi- che il partito sia insieme soggetto culturale e politico, al contrario di Pio XII,
leggono il marxismo come eresia cristiana che pu essere depurata della sua metafisica ateista, anzich
come ateismo organico e sistematico (perci saranno continui i travasi e le commistioni fra il maritainismo
italiano e i catto-comunisti di Felice Balbo e Franco Rodano).

Come si realizz dunque quel maritainismo di Cronache sociali?

Nel 1953, sul primo numero di Terza Generazione, l'ex dossettiano Baget Bozzo firmer un'eloquente
autocritica: Abbiamo ridotto le istanze delle masse a bisogno di cibo, di alloggio, di vestiario, di

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divertimento: abbiamo largamente accettato in pratica le ideologie positiviste del riformismo
anglosassone; abbiamo considerato il comunismo come uno 'scisma' che sarebbe stato riassorbito se lo
Stato avesse compiuto una politica di 'audaci riforme sociali'. Di conseguenza non abbiamo visto altra
azione possibile che quella dell'efficiente amministrazione statale e quindi nessun altro possibile attivo
nostro intervento sociale se non quello offerto dalla politica... attraverso un allacciamento arbitrario e
pericoloso fra testimonianza cristiana e azione politica e statale.

Il primato del partito

Si aprivano cos due prospettive: la prima quella fanfaniana, la seconda, quella del gruppo di Base che
portava fino alle estreme conseguenze l'idea di pratica politica come tecnica autonoma, e del partito
come realt totalizzante.

Fanfani assume il controllo del partito nel '54. Crea l'ufficio attivit culturali, una casa editrice, promuove
convegni, centri di studio, riviste. Insomma crea il partito come apparato. Inoltre il suo Stato sociale
-attraverso un certo sistema assistenziale e previdenziale- avrebbe voluto mostrare l'attenzione dei
cattolici, attraverso lo Stato, per le attese della povera gente. Cominciava per anche l'occupazione dello
Stato e il primato del partito sulla presenza sociale cattolica.

Il figlio minore di Cronache sociali invece la Base. Ma una specie di trovatello per la cultura che
esprime. Nasce da un gruppo di dossettiani lombardi che non accettarono lo scioglimento della corrente
di Cronache sociali. Nasce nel settembre del '53.

Il punto di partenza la tecnica politica teorizzata da Lazzati. Al convegno costitutivo di Belgirate,


Capuani chiede di dedicare la propria intelligenza alla ricerca di un'ideologia politica adatta al nostro
tempo e la propria attivit alla realizzazione di tale tecnica in una concreta organizzazione. Orizzonte
ideologico dei basisti non pi l'idea di nuova cristianit (che gi aveva soppiantato l'uso della dottrina
sociale), ma il suo corrispondente storico, la democrazia. L'ideologia della democrazia -che un punto di
partenza davvero giacobino- si contrappone all'integralismo e alla borghesia reazionaria. Baget Bozzo,
che fu uno dei primi ideologi della Base, nota: Noi pi giovani, attraverso gli scritti su Cronache sociali,
elaborammo una teoria del partito che voleva una Dc plasmata sul modello leninista del Pci, una sorta di
partito etico. Roba da far inorridire generazioni di cattolici.

Niente di pi lontano da De Gasperi dunque della Base. Ebbe a dire il vecchio statista trentino a quei
giovani: La Democrazia cristiana non sarebbe stata quella che attualmente, se davanti ad essa non vi
fosse stato un secolo di esperienze del movimento sociale cristiano. La Dc, prima che come partito,
nata come movimento sociale ispirato al Magistero della Chiesa. Dobbiamo affermare che riconosciamo
questa paternit e questa origine. La tradizione del movimento sociale cristiano, guidata
dall'insegnamento della Chiesa, la fonte da cui dobbiamo sempre attingere. Del resto -
paradossalmente nota don Oliosi la Dc di De Gasperi, debole come apparato, aveva una enorme forza
di attrattive e di coalizione, mentre la Dc basista di De Mita tanto potente e ideologica quanto isolata e
sterile.

Baget Bozzo, che per un periodo diresse la rivista La base (come pure Ardig e Galloni), scriver negli
anni Settanta: Per Capuani l'autonomia della politica era assoluta. Egli non sembrava rendersi conto di
essere il portatore di una novit nella storia del movimento politico dei cattolici: nessuno aveva mai
sostenuto nella storia della Dc che la politica non avesse altre norme che quelle ad essa immanenti. La
corrente di Base nasceva con questa tesi culturale: l'autonomia assoluta della politica.

Anche Giuseppe Dossetti, ormai fuori del partito, nel '57 sembra avvertire drammaticamente la gravit di
questa prospettiva e infatti identifica il laicismo pi insidioso e pericoloso come quello contenuto in certe
tendenze democratico-cristiane... nel modo di pensare la politica... nel parlare equivocamente (questo,
secondo me, stato uno dei peccati pi grossi che abbiamo commesso) di tecnica politica, per attribuire
poi a questa pretesa tecnica una zona di autonomia dimenticando che la tecnica politica non esiste... Il
pericolo di una deflagrazione laicista in Italia pi nelle nostre mani che in quelle altrui. Accadeva
curiosamente che mentre il gruppo catto-comunista di Rodano, che propugnava un'egemonia del Pci, con
la rivista Il nuovo spettatore riconosceva ancora un ruolo alla Chiesa (la salvaguardia dell'umano nella
societ borghese), la rivista della Base -che sosteneva con forza l'idea di un'egemonia democristiana-
non riconosceva alla Chiesa alcuna funzione.

Era inevitabile che questo gruppo incontrasse fin dalla sua nascita l'entusiasmo della borghesia laicista,
impegnata nella sua marcia di conquista, che da decenni carezzava il sogno di una corrosione
protestante del cattolicesimo italiano per estromettere definitivamente la Chiesa dalla societ italiana

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(Gobetti).

I cattolici protestanti

Questa corrosione protestante del cattolicesimo politico ancora pi esplicita fra i cattolici intellettuali (fra
gli epigoni del gruppo di Cronache sociali) che dal '74 va sotto la definizione cattolici democratici.

Il un gruppo che va da Ardig, Pedrazzi e Alberigo di scuola dossettiana, al vecchio Lazzati, agli altri della
Lega Dmocratica (fra cui Scoppola, Bolgiani, Gaiotti), a padre Sorge con La Civilt Cattolica, alla Fuci e
il Meic che costituiscono anche la dirigenza dell'Ac, fino agli indipendenti di sinistra -gi cattolici-
Bassanini, La Valle, Pratesi, Gozzini, Brezzi e tutta la Dc basista con quell'area di tecnici che si
raggruppa attorno a De Mita: Andreatta, Prodi, Orfei ecc.

La democrazia come orizzonte storico l'ideologia di questo gruppo. E, in particolare, la democrazia


realizzata e compiuta come corrispondente storico di una Chiesa 'purificata' dalla storia e dal 'potere',
ridotta ad una fra le tante agenzie di senso (la formula fucina), o pulpito di morale. Il referendum sul
divorzio porter alla luce il partito catto-democratico. Il gruppo dirigente dei cattolici del No proviene dal
gruppo del Mulino: Scoppola, Pedrazzi, Prodi.

Il gruppo di giovani (cattolici e non) del Mulino fin dagli anni '50, del dibattito con Terza Generazione,
sostenevano l'inesistenza di una dimensione sociale autonoma dai partiti e dallo Stato. Mancini e
Matteucci, del Mulino, nel '54 chiedevano ai giovani democristiani di accettare l'illuminismo moderno e il
ruolo egemonico della cultura laica sullo Stato e dello Stato sulle masse. Non a caso le due menti
dell'attuale, discussa, riforma istituzionale, Pasquino (Sinistra indipendente) e Ruffilli (Dc), provengono
entrambi da Il Mulino (come anche Paolo Prodi, collaboratore di De Mita). Il cattolico Luigi Pedrazzi, al
tempo direttore della casa editrice Il Mulino, fu infine il pi attivo tra i cattolici del no.

Questi cattolici intellettuali spiegava dunque Scoppola hanno anticipato sul piano culturale quella
condizione di diaspora di cui in seguito si faranno interpreti e propagandisti, sul piano politico, anche
alcuni che erano allora saldamente inseriti nelle strutture organizzative e centralistiche del mondo
cattolico (da La nuova cristianit perduta, Studium Roma, 1985).

E' appunto quest'area intellettuale che compie la grande trahison des clercs. Nella primavera del '74,
ottantadue intellettuali cattolici, tra cui Scoppola, Pedrazzi, Alberigo, La Valle (gi direttore de Il Popolo e
poi nel '76 candidato con il Pci, insieme a Brezzi, Pratesi e Gozzini che era stato l'estensore del
catechismo della Cei), Orfei (oggi fra i pi ascoltati consiglieri di De Mita) Paolo Prodi (sopra citato) e
Nuccio Fava (gi dirigente della Fuci e oggi nominato direttore del Tg1) si schierano pubblicamente, nel
referendum sul divorzio, per il no all'abrogazione, contro l'indicazione delle gerarchie ecclesiastiche. E'
una vera tragedia per la Chiesa italiana. Comincia cosi una vera ecatombe: sono 1473 i preti che si
ribellano pubblicamente ai vescovi in tutta Italia (emblematico l'assistente della Fuci di Venezia, sospeso
da Luciani). L'Azione cattolica presieduta dell'attuale direttore dell'Osservatore romano Mario Agnes
(800mila iscritti) il 9 marzo vot un comunicato (36 favorevoli, 4 astenuti e 20 assenti) dove si sosteneva
che i cattolici avrebbero dovuto votare secondo coscienza. Paolo VI avvert come una disfatta personale il
tradimento di quel gruppo di intellettuali. Lo stesso Maritain aveva sconfessato pubblicamente questo
maritainismo italiano.

Il dolore di un Papa

Per questa vicenda insieme ai dilagare di disinvolte teologie e del pensiero marxista dentro la Chiesa
stessa, il Pontificato di Paolo VI prende contorni drammatici. Il vecchio Pontefice grida il suo dolore
perch da qualche parte il fumo di Satana entrato nel tempio di Dio. Accade che la confusione, la
disgregazione purtroppo entrata ora in non pochi ceti della Chiesa... L'apertura al mondo fu una vera
invasione del pensiero mondano nella Chiesa... Noi siamo stati forse troppo deboli e imprudenti (1973).
L'8 dicembre del '74, nell'esortazione Apostolica Paterna cum benevolentia, Paolo VI parla di coloro che
tentano di abbattere la Chiesa dal di dentro. Ma durante l'Anno Santo del '75 che ripete: Alcuni nostri
figli... permangono in posizione di incertezza dottrinale, quando non siano di critica distruttrice, di
diffidenza ostile, di convivenza con ideologie antitetiche al Vangelo e alla Chiesa... Alcuni hanno
trasformato la positiva testimonianza, che il Popolo di Dio si attendeva da loro, in arrogante funzione di
giudici e di critici della pur sempre Santa Chiesa di Dio (...). Cara nostra Chiesa! Ha prevalso in alcuni
l'opinione personale, e forse egoista, sul pensiero dichiarato della Chiesa.

In questo grido di dolore accanto a Paolo VI ritroviamo il vecchio Maritain, che nella sua ultima opera, Le
paysan de la Garonne, quasi un testamento spirituale, constata amaramente che la storia non ha affatto

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camminato verso la Chiesa, come egli aveva immaginato, e che anzi la Chiesa si inginocchiata
davanti al mondo. Ma, a dire il vero, gi da alcuni anni i segnali erano inequivocabili. Nell'estate del '69 il
quasi centenario Giuseppe Prezzolini scriveva per La Nazione un articolo profetico: La liqudazione della
Chiesa. Constatando la grande ansia di rinnovamento della Chiesa, il vecchio intellettuale agnostico
osservava (anche un po' dispiaciuto): Questa la strada per diventare come una delle tante sette
protestanti e da ultimo, nel tentativo di adeguarsi all'oggi, di creare un doppione della civilt moderna. Ma
di qualit inferiore all'originale.

Sseconda puntata
tratto da Il Sabato, 5.9.1987, n. 36

Divorzio e dintorni. La grande disfatta in nome di valori.

E' il maggio 1974. Una data fatidica. Al referendum per il divorzio l'Italia si spacca in due. Da una parte il
fronte del S all'abrogazione guidato da Fanfani, dall'altro quello del No guidato dall'Espresso. Ogni
pronostico viene sovvertito. I no vincono a valanga. Quello che Andreotti aveva temuto e in ogni modo
cercato scongiurare si avvera. All'indomani della vittoria l'Espresso chiede subito la resa dei conti, non in
termini di mutamenti di costume, ma di cambiamenti di potere. Ma come si era arrivati ad uno scontro
simile? In nome di che cosa i cattolici l'avevano voluto? E dove stava l'errore? Il Sabato con una
ricostruzione inedita e sotto certi profili clamorosa, verifica errori, miopie ed equivoci. La sentenza? Il
1974 fu la sconfitta di un cristianesimo arroccato in difesa dei valori e ormai rivitalizzato. Intanto il grande
potere laicista conquistava nuove poltrone e partiva all'assalto delle poltrone altrui. La guerra
all'Ambrosiano partiva in quei giorni...

Preludio del voto sul divorzio fu il cambio di guardia alla Confindustria. Lombardi, cattolico, venne
sostituito da Gianni Agnelli. Intanto l'Espresso, con Eco e Scalfari, inizia la sua offensiva contro alcuni
centri di potere economico. Nel suo obiettivo c'era anche l'Ambrosiano. Ispiratore era il misterioso Bancor,
che poi si cap essere Guido Carli.
Sul referendum sul divorzio si gioc una grande scommessa politica. Nella Dc dovette piegare invece la
cautela di Andreotti che sua Concretezza aveva sin dall'inizio capito quale conseguenza un eventuale
sconfitta avrebbe portato.. Andreotti propose anche una via di uscita con una riforma. Ma il fronte
antidivodista bocci il progetto. Cos si arriv alla prova di forza con esiti disastrosi ben noti.

Il 1 dicembre 1970 sanzionata la legge Fortuna-Baslini che introduce il divorzio in Italia.


Contemporaneamente un gruppo di 25 intellettuali (per lo pi cattolici) lancia una raccolta di firme per
l'indizione di un referendum abrogativo della legge.

Si moltiplicarono i contatti dei partiti laici (e del Pci) con la Dc per correggere la legge ed evitare cos il
referendum. Fra le varie proposte di revisione ve ne fu una di Giulio Andreotti.

Le conseguenze del referendum scriver Andreotti ci preoccupavano anche indipendentemente dal


risultato, per il fatto di veder parlare gomito a gomito alle folle, ed entrare nei salotti i comunisti e i liberali,
i socialisti, i socialdemocratici e gli amici di La Malfa.

Andreotti insomma temeva che un simile referendum finisse per provocare per la prima volta un
pericoloso patto d'acciaio anticattolico fra tutti i laici: un evento dalle conseguenze imprevedibili. Ed anche

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il Papa, con monsignor Bartoletti, aveva lo stesso timore.

Con un articolo su Concretezza dunque Andreotti proponeva un doppio statuto: l'indissolubilit per i
matrimoni concordatari (contratti cio in chiesa) e la dissolubilit per i matrimoni civili. Era una via d'uscita
realista e dignitosa.

Paradossalmente furono proprio i cattolici del Comitato per il referendum i pi ostili a quella proposta: Il
referendum s'ha da fare e si far risposero. E diffidarono la Dc dal tentare ulteriori modifiche per evitare
il referendum.

Anche i radicali e Fortuna, sull'altro fronte, erano per celebrare ad ogni costo il referendum. Cos, dopo
due anni di rinvii, la consultazione veniva messa in calendario per il 12 maggio '74.

Il risultato fu disastroso. Non solo per il numero dei Si (appena 13 milioni). Come temeva Andreotti si
present ai laici una ghiotta occasione, attesa da anni, per suonare la carica (l'espressione di
Scalfari).

Cos anche Moro, nel luglio '74, lamenter l'imprudenza di quei cattolici che, sia pure per generosa
passione, hanno portato ad una grande prova senza avere sufficiente consapevolezza della fragilit di
valori ideali calati nella realt di una societ in rapida evoluzione.

Ma chi erano dunque questi cattolici e quale fu la loro scommessa?

Gli equivoci del referendum

Fra i promotori del referendum c'erano anche uomini come Augusto Del Noce e Giorgio La Pira, cos
come c'erano Ada Alessandrini (gi dirigente nazionale dell'Udi) e Lina Merlin (senatrice socialista), ed i
vecchi geddiani.

Ma il nucleo dirigente del Comitato (quello che rifiut ogni proposta di modifica della legge) proveniva
proprio da quei cattolici intellettuali da cui emersero anche i cattolici del no (questi ultimi non senza
collegamento con settori dell'istituzione ecclesiastica ha scritto lo storico Andrea Riccardi su Il Regno).

Entrambi gli schieramenti scriver Scoppola alcuni anni dopo esprimevano elementi importanti di una
comune tradizione culturale. Ai convegni di Lucca del '67, di San Pellegrino del '63, alle settimane
sociali, si era elaborata un'analisi comune della secolarizzazione.

E' lo stesso Scoppola ad ammetterlo: Non era riconducibile semplicemente a un'idea di destra quella
che ispirava, nella sua originaria elaborazione, la proposta abrogativa... Nasceva anzi in taluno dei
proponenti da un'approfondita riflessione sul significato e sugli esiti ambigui... della "sfida tecnologica".
E' emblematico che all'interno della Cei il pi defilato fosse il cardinal Siri che -secondo Andreotti- non
firm la richiesta di referendum e disse ai preti e alle suore della diocesi di fare altrettanto.

Cos il Comitato si muove dentro le coordinate profilate da Lazzati con la sua nota distinzione dei piani:
critica la Cei rea di aver trasformato una battaglia civile in una guerra clericale; sostiene che le strutture
della societ civile hanno una loro logica naturale laica e l'indissolubilit del matrimonio un valore
squisitamente civile e laico; si oppongono sia agli integralisti laicisti... che agli integralisti cattolici che
non riescono mai a vedere la realt sociale come una realt che ha valori propri ed espressioni autonome
e quindi considerano problemi sociali sempre e soltanto in chiave strettamente religiosa (Cotta).

Del resto le stesse motivazioni del referendum sono prese "in blocco" dal Lazzati-pensiero. Nel novembre
del '48, un noto editoriale di Lazzati su Cronache sociali, dal titolo Azione cattolica e azione politica,
sanzionava due diversi tipi di azione del cristiano: Quello naturale e quello soprannaturale, cio quello
tecnico e quello spirituale... nel primo egli agisce in quanto uomo, nel secondo in quanto cristiano. E
guai alle commistioni. Lazzati tuttavia individuava delle res mixtae che potevano straordinariamente
chiedere ai cristiani di varcare la soglia "spirituale" per impegnarsi nella sfera sociale: una di queste
materie era appunto il matrimonio.

Si hanno cos due fazioni cattoliche (una per il si, l'altra per il no) allievi degli stessi maestri, che
ingaggiano su sponde opposte un'identica battaglia: quella dei valori. La divergenza era solo sui posti in
classifica: i primi ritenevano di dover salvaguardare innanzitutto il valore fondamentale della famiglia...
per bloccare la corsa della societ permissiva... e per una ripresa di seriet nella vita associata. I
secondi mettevano al primo posto i valori del pluralismo civile e della libert di coscienza.

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Per uno strano, inquietante fenomeno il mondo cattolico italiano si impregna di un positivismo
volgarizzato e diffuso, che inavvertitamente sostituisce Cristo, sorgente di una creatura nuova, con una
speranza vaga e impotente nei valori. I cattolici si riducono -secondo le parole di Feuerbach- a testimoni
di un'assenza, che vivono delle elemosine di secoli ormai trascorsi.

Dominava insomma la pia illusione che il tessuto morale del popolo italiano fosse accora impregnato di
un senso comune di derivazione cattolica (e che comunque questo bastasse, e definisse il volto del
cristiano nel mondo). Cos si diffusero sondaggi preelettorali che davano i s al 69%, e soprattutto si
dichiarava ai quattro venti che la base comunista avrebbe in massa votato s (secondo la vecchia
fissazione della scuola dossettiana per cui la classe operaia era l'unica oasi morale integra e non corrotta
dal borghesismo).

Si infilava cos la Chiesa nel cul de sac dei valori. L'errore sul quale erano fondate tali speranze per
dirla con Carl Schmitt paragonabile a quello del nobil cavaliere, il quale vede un riconoscimento del
suo cavallo ed una assicurazione della sua esistenza cavalleresca nel fatto che la tecnica moderna
calcola l'energia in cavalli vapore.

Cos i cattolici italiani (imbevuti di ideologia maritainista) convinti che i valori della pace, della
responsabilit, della libert rappresentassero la realizzazione storica della fede (o fossero la fede tout-
court) non erano neanche sfiorati dal dubbio sulla loro consistenza. E come il nobil cavaliere di Schmitt
non vollero capire che i cavalli-vapore hanno in comune con il noto quadrupede appena il nome.

Ecco perch Umberto Eco, esultando su L'Espresso per la vittoria dei no, poteva scrivere con disprezzo:
Di fronte c'era la disinformazione, il rifiuto ottuso di leggere i nuovi libri, la scrollata di spalle dello stupido
che assiste alla presa della Bastiglia e dice: 'ragazzate'.

E intanto i gesuiti...

Ragazzate infatti non erano. Per anni i cattolici avevano continuato a pascersi di vento illudendosi sulle
magnifiche sorti e progressive della fede, surrogata nel mondo moderno in una specie di religione dei
valori. Emblematico il caso de La Civilt Cattolica in quel 1974.

L'ordine dei gesuiti in Italia stava subendo in quegli anni un vero crollo (nel periodo 1900-1950 in media
40 giovani ogni anno entravano nei loro noviziati in Italia; nel periodo 1970-1975 la media era di 2 l'anno).
I gesuiti de La Civilt Cattolica erano fra i pi convinti assertori di una grande universale religione dei
valori fino alla sostanziale riabilitazione ecumenica della massoneria: Sul piano operativo scriveva la
rivista in quel 1974 esistono diversi punti di contatto: l'impegno in difesa della libert e dei diritti
dell'uomo, le opere di beneficienza, la posizione assunta nei confronti del materialismo.

Filantropia massonica e carit, per i padri gesuiti erano tutt'uno (in quegli anni peraltro la filantropia delle
grandi organizzazioni massoniche internazionali consisteva -come si sa- in colossali finanziamenti a piani
di sterilizzazione e aborto di massa nel Terzo Mondo).

Per padre Sorge i cattolici sale della terra devono guardarsi non tanto dal sale che diventa insipido
(come fa il Vangelo) ma dal trasformare il mondo in una saliera.

Per questo fin dal 1968 Giovanni Caprile s.j. era stato fra i promotori delle Conversazioni cattolico-
massoniche con dirigenti del Goi come Roberto Ascarelli e Augusto Comba (valdese). Nel luglio del '74,
rendendo pubblica una lettera del cardinal Seper (Prefetto della Sacra congregazione per la dottrina della
fede) al cardinal Krol, La Civilt Cattolica lascia presentire addirittura una caduta della secolare
scomunica: possa ci favorire quel dialogo scriveva la rivista a cui la Chiesa sempre disposta, nel
comune interesse di servire il mondo e di affrancarlo dal prevalere delle forze della materia, in nome dei
valori spirituali e di una fede, spesso comune, nell'unico vero Dio, al di sopra di ogni appellativo Padre di
tutti! (il corsivo nostro, ndr).

Era la prima volta, dopo due secoli e 450 documenti di condanna da parte della Chiesa, che una fonte
cattolica identificava il dio massonico con una fede comune nel Dio Padre di tutti (bisogner attendere
il 1981 perch una nuova Dichiarazione scritta della Sacra congregazione, tronchi ogni ambiguit
ribadendo da parte della Chiesa la condanna della massoneria e la scomunica per i suoi aderenti).

Ma impressionante collocare questo abbraccio sui valori comuni accanto al contemporaneo progetto di
potere della finanza laicista di quegli anni e alla devastazione umana che quel progetto doveva

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determinare: Le vittime principali di questo penitenziario sono i giovani ...che stanno pagando questa
falsit -il cinismo del nuovo potere che ha tutto distrutto- nel modo pi atroce scriveva Pasolini proprio in
quel 1974.

E' ancor pi impressionante ricordare che molti anni fa Comte auspicava nei gesuiti un mutamento che li
rendesse utili ausiliari che potranno aiutare a riorganizzare l'Occidente, purch riconoscano la normale
superiorit della religione positiva. Scriveva un suo discepolo: Comte non ha tentato la folle avventura
di sovvertire il quadro dei valori... egli oppone alla Buona Novella il Vangelo del buon senso
sistematizzato.

Ma, osservava il De Lubac, il buon senso non basta per portarci il Verbo della salvezza... Noi crediamo
che la minaccia positivista sia una di quelle che gravano pi pericolosamente sopra di noi... Essi (i
positivisti) seducono i credenti con formule equivoche, con lo scopo, secondo Comte, di meglio evacuare
lo spirito cristiano... Anche uomini di Chiesa troppo poco curanti del Vangelo aggiungeva De Lubac si
lasciano adescare... Essi sono seguiti da un periodo di assimilazione spontanea e la fede, che un tempo
fu adesione vitale al mistero del Cristo, ora si riduce a non essere altro che un attaccamento ad una
formula di ordine sociale, essa stessa falsata e sviata dal suo fine. Apparentemente senza crisi, sotto
esteriorit che sono talvolta il contrario di un'apostasia, questa fede si lentamente svuotata della sua
sostanza (da Il dramma dell'umanesimo ateo).

Di fronte ad un cristianesimo sempre pi minorato, semplificato, e ridotto in fine a teismo vago e


impotente (Comte), il profeta del positivismo pu proclamare ai suoi: Impadronitevi del potere... Non
bisogna dissimulare che i servitori della religione dell'Umanit oggi finiscono per eliminare radicalmente i
servitori di Dio da ogni posto direttivo degli affari pubblici... Quanto a quelli che vorrebbero invece
combinare Dio e l'umanit, la loro inferiorit mentale evidente, polche vogliono conciliare due regimi
totalmente incompatibili.

La notte dei valori

Quella dei valori una notte dove tutte le vacche sono nere. Cos lo stesso padre Caprile scorgeva nella
contestazione della Chiesa un segno dei tempi, cio un avvenimento attraverso il quale lo Spirito che
parla alla Chiesa stimola a riflettere sulle proprie responsabilit... raccogliere queste voci positive,
approfittare della contestazione per far maturare un nuovo stile pastorale (Concilium, 7, '71).

La riduzione del cattolicesimo alla grande religione dei valori, la riduzione della carit a filantropia, la
sostituzione del dogma con un vago umanitarismo, trasforma la Chiesa come dichiarava lo storico
Gianni Vannoni in una massoneria per il popolo. La religione dei valori semplicemente la fine della
Chiesa. La sconfitta degli antidivorzisti notava nel '74 un cattolico antidivorzista come Rodolfo Quadrelli
dovuta anche alla banalit giuridica e sentimentale con cui la battaglia stata condotta... Una Chiesa
sentimentale aggiungeva che si esprime in una prosa melensa, timida, euforica non pu opporsi al
divorzio. E infatti... poco tempo fa, il portavoce della Cei difendeva l'indissolubilit del matrimonio
adducendo la comune credenza dell'umanit, 'visibile perfino nelle canzonette', diceva. Il lettore capir
concludeva Quadrelli a cosa egli alludesse: all'amore romantico di due che si promettono fedelt eterna,
cio a quella nauseosa porcheria che pu essere sopportata soltanto da una plebe che non pi popolo,
che non ha pi dignit n grandezza, che tollera la propria condizione soltanto perch non possiede
niente di meglio.

Era gioco facile perci per Raniero La Valle (uno dei cattolici del No poi candidato nelle liste del Pci)
rovesciare l'accusa di 'secolarismo' sugli antidivorzisti: Quando dei cristiani riducono tutto il discorso ad
una dimensione puramente umana e giuridica dietro c' una teologia, ma la teologia della
secolarizzazione radicale, la teologia della morte di Dio (da Per una scelta di libert).

Fin dall'Unit d'Italia, scrivono due storici protestanti, Aurelio Penna e Sergio Ronchi (Protestantesimo,
editore Feltrinelli), si era avuta l'impressione che gli statisti italiani volessero dar mano libera al
protestantesimo come arma nella lotta contro la Chiesa cattolica. Con il '900 tra i nomi di maggiore
rilevanza c' Giuseppe Gangale, stretto collaboratore di Piero Gobetti, che fu l'animatore del cosiddetto
'neoprotestantesimo' verso il quale indirizzarono la propria attenzione anche... Lelio Basso, Ugo La Malfa
e Giorgio Amendola (che era poi l'entourage di Mattioli alla Comit). L'antico sogno laicista cominciava
dunque negli anni '70 ad avverarsi. Era una vittoria storica di portata enorme. Cos all'indomani del
referendum del 12 maggio in un editoriale L'Espresso scriveva: Sta di fatto che gli italiani devono essere
grati alla Dc, al suo capo, alla Cei e a quei leader cattolici che hanno voluto ed imposto al Paese una
prova assurda e tuttavia non inutile. Mai un test etico-politico, applicato ai nostri connazionali, era
approdato ad un risultato pi confortante.

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La sconfitta di Fanfani

Il vero sconfitto fu Fanfani. Il referendum innanzitutto la sconfitta di Fanfani, cio dell'ultimo


rappresentante dell'ambiguit dossettiana e post-dossettiana (Raffaele G. Longo, La sinistra cattolica in
Italia, Bari '75). Il segretario Dc aveva fatto una grossa scommessa politica sul referendum. Intendeva
coagulare attorno ad un progetto di repubblica presidenziale, e al potere economico delle Partecipazioni
statali (con Cefis), una grande opinione pubblica orientata sui valori tradizionali, verso una prospettiva di
tipo gollista.

Attraverso Cefis scriveva L'Espresso del 31 marzo '74 Fanfani si assicurato il saldo appoggio
dell'ala basista di Marcora e De Mita. E' curioso che proprio questa sinistra Dc, peraltro dichiaratamente
filo-divorzista, facesse blocco con il progetto di Fanfani.

Il risultato segn il tracollo definitivo del Fanfani-pensiero, ovvero dell'ultima traduzione politica
'dossettiana' (di l a poco anche Cefis uscir di scena).

Ma quel blocco d'alleanze significativo. Cosa poteva saldare Fanfani, i basisti e Cefis (sostenuto da
Cuccia e Carli)?

Si tratta di un episodio-chiave i cui antefatti meritano di essere raccontati. Era stato Enrico Mattei a volere
e finanziare la nascita della corrente di Base nel 1953, con 3 milioni affidati a Marcora (che fu vice di
Cefis nelle brigate partigiane) per finanziare una rivista politica. La corrente di Base serve a Mattei come
copertura politica per i suoi traffici e i suoi progetti nell'industria di Stato. Dove peraltro sar appoggiato
anche da Fanfani che vi intravede la possibilit di sottrarsi ai condizionamenti della Confindustria e di
realizzare una terza via dossettiana in economia. Mattei del resto si era formato alla scuola 'maritainiana'
della Cattolica dove, insieme a Dossetti, Lazzati e Fanfani insegnava Marcello Boldrini (il suo maestro,
che poi Mattei vorr alla presidenza dell'Agip), convinto assertore dell'intervento statale in economia (che
per Sturzo era come fumo negli occhi).

Questo gruppo di potere sar curiosamente riconosciuto e accettato dall'establishment della borghesia
laicista: grazie al finanziamento di Mattioli (la Comit sbors un miliardo) che Mattei (in odore di
massoneria come Mattioli) pose le fondamenta dell'Eni.

Cos anche l'Iri del Gran Maestro Beneduce accoglier una nuova classe dirigente: Marcello Glisenti (che
aveva diretto Cronache sociali di Dossetti), Felice Balbo e poi Pasquale Saraceno ('maritainiano' convinto
e dirigente dei Laureati cattolici).

Saraceno (che nel '74 sar fra i firmatari dell'appello dei cattolici del no con Scoppola, La Valle ecc.) con
la Svimez -il centro studi dell'Iri per il Mezzogiorno- il grande ispiratore della politica di programmazione
e di controllo pubblico dell'economia che porter alla nascita della Cassa per il Mezzogiorno.

Sulla sua posizione convergono sia la Base (Mattei intravedeva nella Programmazione una grossa
chance per la sua Eni) che Fanfani e Moro. I convegni di San Pellegrino del '62 e '63, non a caso,
vedranno in primo piano Saraceno, Andreatta e Ardig.

E' una politica che raccoglie l'appoggio entusiasta de L'Espresso di Scalfari e dei gruppi finanziari che
esso rappresenta, che fin dagli anni Trenta avevano capito i vantaggi dell'intervento statale in economia...
Sar lo stesso Scalfari nel suo 'memoriale' che ricorda fra coloro che dedicarono una vita a realizzare
quel progetto per tanti versi illuministico, oltre a La Malfa, a Lombardi e ad Antonio Giolitti, anche
Pasquale Saraceno, i democristiani della corrente di Base, il folto gruppo dei cosiddetti 'giovani
economisti' e cio Sylos Labini, Andreatta, Spaventa, Pedone, Lombardini, Forte... la Banca d'Italia, il cui
direttorio era allora composto da Carli, Ossola e Baffi. Nella medesima direzione osserva Scalfari si
muoveva lo staff della Comit, guidato da Mattioli, Bombieri e Cingano.

Scalfari parla e scrive con devozione di Mattei che peraltro contribu 'finanziariamente' alla nascita de
L'Espresso e che da questo sar sostenuto non poco. E' a Mattei che Scalfari confida per primo il
progetto di fondazione di un nuovo giornale: del resto il grosso della redazione de La Repubblica proverr
da Il Giorno di Mattei (ad esempio Giorgio Bocca e Mario Pirani, vice di Scalfari che era stato uno stretto
collaboratore di Mattei). Una curiosit. Proprio in quegli stessi anni all'ufficio studi dell'Eni sar assunto
-anche per le raccomandazioni de] professor Faleschini- il giovane Ciriaco De Mita, che fonder poi la
Base nel Meridione.

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Il successore di Mattei, Cefis, sar anch'egli nelle grazie di Scalfari, oltrech in quelle di Carli e Cuccia. E
del vecchio Mattioli, che dopo la morte di Mattei, confider a Giancarlo Galli: Adesso mi restano Agnelli
e Cefis e qualcosa di Cuccia. Del resto il gruppo di potere Mattei-Cefis aveva fatto blocco comune con
l'oligarchia laicista contro altri finanzieri o industriali legati all'area cattolica.

Questi antefatti spiegano perch nel '74 Cefis, insieme a Fanfani e la Base, goda ancora dei favori di
Carli e Cuccia. Ma l'inizio della fine. I 'privati' (Agnelli, Visentini, La Malfa e Pirelli) cominciano a rompere
l'alleanza con Cefis che tende a diventare sempre pi potente e ingombrante.

Nello stesso anno esce Razza padrona dei tamburini Scalfari e Turani: un attacco durissimo
all'industria di Stato di Cefis che pochi anni prima avevano osannato. E' la carica. Il referendum sul
divorzio deve decidere le sorti di questa guerra. Sta finendo il placet che la finanza laicista aveva
concesso a questi cattolici 'laicizzati' (Mattioli muore nel '73).

La carica de L'Espresso

Fu dunque un referendum politico. Fanfani era quasi certo di vincere. Forse anche per questo aveva
risposto picche al tentativo di Andreotti di evitare il referendum (Fanfani del resto aveva bisogno di un
pronunciamento plebiscitario dell'opinione pubblica per il suo progetto neo-gollista). Ma, come Andreotti
aveva previsto, il referendum innesc la grande riscossa laicista.

Infatti proprio con il 12 maggio che gli assetti del potere nazionale subiscono una svolta radicale, con
una escalation precipitosa e impressionante.

Il governatore della Banca d'Italia vola a New York in primavera e il New York Times scrive: A tenere in
pugno la soluzione della crisi italiana non sono gli uomini politici di Roma, ma le principali potenze
monetarie del mondo. L'asse Cuccia-Carli-La Malfa (a Mediobanca, alla Banca d'Italia e al governo) la
quinta colonna laicista nel Palazzo, ma il generale mister Fiat.

Il tamburino dell'esercito, Scalfari, lo scrive chiaramente su L'Espresso alla vigilia del referendum:
Agnelli il punto di raccolta oggettivo di tutte le forze che si opponevano all'avanzata di Fanfani e
Cefis... dai liberali ai comunisti... La presidenza della Confindustria assumeva in questo contesto il
significato di un messaggio in codice, una specie di squillo di tromba prima della carica.

Infatti in primavera era stato Umberto Agnelli, parlando al centro Il Mulino di Bologna, ad attaccare la
Confindustria del cattolico Lombardi.

Puntualmente di l a poco Renato Lombardi defenestrato, sostituito dallo stesso Giovanni Agnelli grazie
all'alleanza con Pirelli, Orlando e Visentini.

Ma per suonare la carica bisogna aspettare il 12 maggio. Non si tratta solo di sconfiggere Fanfani e Cefis
(antico alleato), ma anche di eliminare tutta la presenza cattolica nel mondo economico. Scalfari, su
L'Espresso, fa nomi e cognomi. Il 31 marzo scrive ad esempio un editoriale intitolato: Due, tre cose sul
Banco Ambrosiano. E vi sostiene: Il Banco Ambrosiano divenuto uno dei gruppi pi pericolosi della
finanza italiana. Guarda caso proprio in quel periodo hanno in corso grosse e delicate operazioni
finanziarie: la Centrale (Ambrosiano), la Invest (gruppo Bonomi), la Generale Immobiliare (gruppo
Sindona), Fingemina (Cefis), e Finambro (Sindona).

Carli e La Malfa riescono a prorogare per mesi le relative autorizzazioni. A sostenerli in questa condotta,
sull'Espresso oltre a Scalfari e Visentini, compare un misterioso collaboratore che si firma Bancor: si verr
a sapere alcuni anni dopo che si trattava (incredibilmente) dello stesso governatore della Banca d'Italia
Carli: in quell'occasione (la lotta contro Sindona) il gruppo, che s'era diviso nello scontro con Cefis, si
ricompatt scrive Scalfari perch dalla stessa parte si schieravano, oltre a noi (cio Agnelli, Visentini,
La Malfa e Pirelli), anche Carli e Cuccia. Il referendum segna la svolta decisiva di questo colossale
braccio di ferro.

Subito dopo il referendum L'Espresso (19 maggio) apre con un titolo rivelatore: Cento poltrone da
occupare subito. E per chi non avesse capito ancora pi chiaro il sottotitolo: Conclusa col voto di
domenica la battaglia per il divorzio, si apre quella per i posti di comando in alcuni settori chiave della vita
pubblica italiana: banche, potentati politici, Rai-Tv, quotidiani. Nelle prossime settimane il chi del potere
subir una vistosa revisione. E Scalfari personalmente commenta: Il voto del 12 maggio ha certamente
rafforzato l'ala 'laica' della Confindustria, della quale Agnelli, Pirelli e Visentini sono i naturali
rappresentanti.

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Una questiona di poltrone

Subito dopo il referendum si fa decisiva anche la guerra del nuovo potere (con Cuccia a Mediobanca e La
Malfa nel governo) contro un corpo estraneo, l'italo-americano Michele Sindona (che godeva la fiducia
delle banche cattoliche): il 27 settembre La Malfa impone la liquidazione coatta della Banca Privata
Italiana. Sindona sta crollando.

Il personaggio era strano e come tutti gli gnomi non era uno stinco di santo. Voleva a tutti i costi essere il
pi grande hanno scritto Panerai e De Luca. E aggiunge Giancarlo Galli: Il trionfo di Sindona avrebbe
significato per i nostri finanzieri la loro emarginazione. Per questo fu stritolato.

I tamburini del nuovo potere han ripetuto in mille lingue che Sindona fu fatto fuori perch era un corrotto:
ma c' da pensare piuttosto che si potesse dire peste e corna di lui proprio perch aveva perduto. E' la
legge degli gnomi.

Le alchimie finanziarie degli gnomi vincenti, infatti, in questi anni, hanno ben superato lo spregiudicato
Sindona. Non stato forse Merzagora (dunque uno di famiglia) a dichiarare a Panorama (8/2/87): E' lui
(Cuccia) che vuole Antonio Maccanico... alla presidenza. In Mediobanca e paraggi ci sono grossi grovigli
da dipanare, sarebbe un disastro se arrivasse gente troppo desiderosa, per un motivo o per l'altro, di
aprire gli armadi.... (A proposito di 'famiglia', non curioso che il nuovo presidente di Mediobanca,
Maccanico, sia il nipote di Adolfo Tino, quello che Scalfari definisce 'l'amico pi amico di Mattioli', quel
Tino che presieder anche il comitato dei garanti de L'Espresso?). Ma a chi vince si perdona tutto. Perci
per anni -dopo l'eliminazione di Sindona- si usata l'arma della delegittimazione morale per eliminare i
cattolici dal mondo finanziario e bancario. Il risultato? In questi anni -notava di recente uno studioso del
sistema bancario, Gianni Manghetti- un grande cambiamento nella storia del sistema bancario stata la
scomparsa pressoch totale della banca privata (in I soliti noti, Agnelli, Pirelli, De Benedetti e pochi altri,
editore Feltrinelli). A sparire pero stata soprattutto la presenza cattolica: il Banco Ambrosiano, la Banca
cattolica del Veneto con i relativi gruppi.

Spiega don Gino Oliosi del Comitato di collegamento dei cattolici: La finanza massonica inglese e
tedesca fu capace di spedire (con i suoi finanziamenti) Lenin a Mosca perch lo zar non si rassegnava a
porre il suo sistema bancario sotto il loro controllo; con molto meno, in Italia, hanno potuto eliminare
Banco Ambrosiano e Banca cattolica del Veneto.

Vittimismo cattolico? Fatto sta che oggi il gruppo 'Ambrosiano' (con la Cattolica del Veneto, e poi Toro
Assicurazioni, ecc.) controllato da Gemina (ovvero Agnelli e Mediobanca).

Fra i pi zelanti collaboratori alla liquidazione dell'Ambrosiano giusto ricordare Nino Andreatta, che a
suo tempo, come ministro del Tesoro, rifiutando un possibile salvataggio del Banco attraverso una grossa
banca americana, decret la liquidazione coatta.

Andreatta, che attraverso Il Mulino e l'Arel, oggi uno dei colonnelli di De Mita (che dall'83 ha assicurato
un seggio senatoriale anche a Guido Carli) stato un protagonista della battaglia contro lo Ior. Secondo
don Oliosi connaturato alla massoneria un progetto di controllo totale delle coscienze attraverso un
nuovo ordine tecnocratico nelle sue mani: ed essa sa che solo la presenza della Chiesa pu resistergli.

Per questo gli alfieri pi funzionali a quel progetto sono i cattolici dell'autodemolizione della Chiesa.
Politici, intellettuali, dirigenti di associazioni. Ma s, eccone qualche esempio fra i moralisti.

La Fuci, ad esempio, che gi nelle tesi del 40 Congresso nel 1969, chiedeva il superamento
dell'ideologia e della dottrina sociale e la rinunzia all'integralismo, l'abolizione del regime concordatario, il
distacco dal potere economico, essendo scandalo e compromesso per i poveri.

Sar proprio un ex presidente della Fuci 'maritainiana', l'onorevole Franco Bassanini, eletto nelle liste del
Pci, uno dei pi implacabili militi contro l'ora di religione nelle scuole, contro il Concordato e contro lo Ior.

E' l'altro lato della scelta religiosa. Nessuno pi vezzeggiato, adulato, applaudito dai giornali del nuovo
potere, quanto i cattolici moralizzatori, quelli della Chiesa povera, e quelli della Chiesa religiosa,
con l'annessa distinzione dei piani.

Pochi mesi dopo il referendum sul divorzio, l'autorevole The Economist cos disegnava la nuova
situazione italiana: A dirigere l'Italia ci sono adesso i supergrandi della finanza mondiale o delle

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multinazionali. Il massimo delle decisioni economiche che un governo pu ancora prendere quello di far
pressione sulla gente per indurla a consumare meno combustibile. Stando cos le cose penoso e
tragicomico rileggere il documento dei cattolici progressisti (le riviste: Com, Idoc, Il Regno, Il Tetto e
Testimonianze) a favore del divorzio: Per una societ nuova, autonoma, laica non pi controllata dal
potere economico n dalla Chiesa sua alleata.

Il 9 giugno del '74 Scalfari su L'Espresso delineava gi una prospettiva: Nello spazio di pochi giorni le
strutture economiche del Paese hanno registrato mutamenti di grande portata, dei quali sembra difficile
sottovalutare gli effetti prossimi e quelli remoti. La Banca d'Italia, la Confindustria e i sindacati operai
hanno preso quasi simultaneamente le distanze non solo dal governo, ma dalla classe politica nel suo
insieme.

Il capitale massonico decide di cavalcare la tigre rivoluzionaria per portare a compimento la conquista e
l'omologazione. E' l'inizio del grande conformismo. E degli anni di piombo.

Terza puntata
tratto da Il Sabato, 19.9.1987, n. 38

Il 1976, cattolici a convegno ma sono i giorni del buio.

"Credevamo che dopo il Concilio sarebbe tenuta una giornata di sole per la storia della Chiesa. E' venuta
invece una giornata di nuvole e di tempeste e di buio". Cos drammaticamente, Paolo VI commentava
dall'alto del soglio pontificio la stagione che cattolici stavano vivendo. Sono gli anni del grande accordo
tra capitale e PCI. La grande stampa osanna a Berlinguer, Agnelli vola a Mosca a stringere l'accordo con
Gheddafi. E sempre nel '76 prende il largo La Repubblica di Scalfari. I cattolici o annuiscono o sono fuori
scena. Intanto continua la stagione della violenza e delle intolleranze. Nelle scuole i libri di testo spesso
sono ridotti a piccoli manuali dell'eversione. I grandi intellettuali osannano. Nei confronti di Comunione e
Liberazione si arriva spesso al linciaggio. Sedi devastate, attacchi personali, campagne di stampa.
Intanto monsignor Bartoletti, voluto da Paolo VI alla segreteria della Cei, aveva ideato il Convegno su
evangelizzazione e promozione umana. Ma alla vigilia del convegno Bartoletti muore. Paolo VI chiede le
dimissioni del comitato preparatorio. Ma i membri non obbediscono. E il convegno decoll. La relazione
d'apertura venne pubblicata dall'Espresso...

In quegli anni la nuova borghesia italiana flirta con la sinistra. Con la benedizione dell'alta finanza
internazionale: Newsweek, fedele portavoce delle multinazionali americane, dedica alla copertina a
Berlinguer. Il 9 dicembre 76 Gianni Agnelli vola a Mosca e parla mezz'ora con Gheddafi. La Libia diventa
azionista della Fiat. Anche quella volta il grande tessitore dell'operazione fu Enrico Cuccia. Il progetto non
ha nulla di improvvisato: da mesi Agnelli e andava ripetendo che la Dc non pu pretendere il 80% del
potere. Cos la grande alleanza fra borghesia e classe operaia si compie. Nel silenzio compiacente di
gran parte del mondo cattolico.

Sono gi passati sei mesi da quel fatale 12 maggio. Il futuro direttore di La Repubblica dal suo ufficio di
via Po, fissando una Roma grigia e piovosa, poteva tirare le somme: Dunque vero; i no del 12 maggio
non erano un isolato scoppio di euforia libertaria. Erano -fu detto fin da allora- il segno di una svolta,
l'inizio di un'inversione di tendenza. Ora la tendenza si saldamente fissata... il partito democristiano...
entrato in grave crisi e sta cedendo... man mano che passano i mesi, il suo cedimento si accentua, lo
scricchiolio diventa una frana (L'Espresso, 24.11.74).

Gi Del Noce aveva avvertito: E' la vittoria di una nuova borghesia che ha coinciso con la negazione
dello spirito religioso.

Infatti con le elezioni del 15 giugno 1975 la frana diventa terremoto. La Dc crolla al 34%, il Pci balza al
32%, conquista le amministrazioni di tutte le maggiori citt italiane, con gli applausi (e i voti) della
borghesia illuminata. E' tutto un correre sul carro vincente.

La Dc isolata, screditata. Tutto sembra perduto (onore compreso). Il mondo cattolico ormai in rotta d
uno spettacolo vergognoso: molti si mimetizzano, i disertori si affollano alle uscite, c'e chi si arruola
nell'esercito nemico, i pi alzano bandiera bianca, si chiudono in cantina e vanno in letargo (ma qui dort,
din, dice un proverbio francese: chi dorme, mangia!).

I giornali del grande capitale bladiscono Berlinguer. La Malfa apre al Pci. Agnelli gi da mesi andava
dicendo che la Dc non pi pretendere l'80% del potere. Newsweek -fedele portaparola della grande
finanza Usa- dedicher una copertina a Berlinguer e spiegher che Nerone, se nascesse oggi, sarebbe

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democristiano. In compenso accredita il Pci come un partito democratico oche affascina per la sua
calma, l'immagine di stabilit che riesce a dare in un Paese dove isterismo, settarismo e vanit... hanno
caratterizzato i partiti al governo.

E poi la sequela degli incontri ravvicinati. Il 10 giugno '76 per esempio l'onorevole Peggio rivela di avere
buoni rapporti con il mondo della finanza internazionale e di essersi incontrato con altissimi dirigenti di
due delle maggiori banche americane.

L'onorevole Barca dichiara che con il Pci al governo le multinazionali non dovrebbero andarsene dal
Paese. Napolitano e Segre vengono invitati a parlare nel tempio della finanza liberal arnericana, il Council
of Foreign Relations.

Del resto l'alta finanza stava scommettendo grosso sul Pci di Berlinguer e sulla forza d'urto della sinistra
al potere; tali erano le esigenze del suo mercato (con questa pericolosa investitura solo un governo
presieduto da Andreotti terr legato il Pci alla difficile concretezza del governare, lontano dalla
demagogia, salvando il Paese da pericolose avventure di tipo 'portoghese'). Ma indubbiamente l'alta
finanza scommise sul Pci. Per esempio proprio fra '75 e '76 Agnelli realizza quell'operazione Gheddafi
che salver la Fiat dalla bancarotta e porr le basi dell'attuale impero. Il grande tessitore fu, anche quella
volta, Enrico Cuccia. Con l'interessarnento del Pci, Agnelli ottiene l'avallo di Mosca: Gianni Agnelli vola a
Mosca e parla mezz'ora con Gheddafi informa Il Messaggero del 10 dicembre '76.

E l'Economist, la settimana successiva, si chiede: Sar l'Urss il principale beneficiario dell'accordo,


ottenendo investimenti che diversamente la Fiat non avrebbe saputo come finanziare? (18. 12.76).

La roba

Ma il flirt della nuova borghesia italiana con la sinistra non fu un'improvvisazione. Scalfari attribuisce a
Mattioli la primogenitura di quel progetto.

Questa borghesia laicista si caratterizza per un complesso netto di superiorit derivante dalla
padronanza tecnica e culturale di quello che Raffaele Mattioli definiva la roba, cio il denaro come merce
da trafficare - spiega Scalfari. Per trafficare la roba -aggiunge il nostro- bisogna conoscere i misteri della
banca e della moneta... e in politica bisogna 'tenere insieme' l'establishment e l'opposizione. Il progetto di
alleanza tra la grande borghesia e la classe operaia prese corpo in quella stanza e part da quegli uomini.
Da don Raffaele soprattutto... l'alleanza tra grande borghesia e classe operaia era un'ipotesi elitaria e
prettamente laica.

Adesso il grande momento era arrivato; il progetto va sotto il nome di patto fra produttori (alla Fiat, che
presente da anni nei Paesi dell'Est, sapevano bene che con il Pc al potere gli operai lavorano molto,
guadagnano poco e non scioperano mai).

Fertilizzante cattolico

Lucidamente, qualche anno prima, don Milani aveva previsto: La classe che non ha esitato a scatenare
il fascismo, il razzismo, la guerra, la disoccupazione, se occorresse cambiare tutto perch non cambi
nulla non esiter ad abbracciare il comunismo.

Era stata moderata e filo-Dc fra gli anni '50 e '60, sar filo-Pci negli anni '70 strumentalizzando per il
proprio progetto impeti ed energie morali del residuo mondo cattolico, e esercitando un terrorismo
ideologico (Paolo VI), che giunge spesso alla violenza fisica, contro quei cattolici che non erano
funzionali a tale progetto.

Paolo VI avverte esattamente la radice di questa tragedia: C' un grande turbamento in questo
momento nel mondo e nella Chiesa, e ci che in questione la fede. Capita ora che mi ripeta la frase
oscura di Ges nel Vangelo di san Luca: Quando il Figlio dell'uomo torner, trover ancora la fede sopra
la terra? (in Jean Guitton, Paolo VI segreto). Ed ancora: Credevamo che dopo il Concilio sarebbe
venuta una giornata di sole per la storia della Chiesa. E venuta invece una giornata di nuvole e tempeste,
e di buio, e di ricerche e di incertezze, si fa fatica a dare la gioia della comunione (Omelia per la
solennit dei Santi Pietro e Paolo, 29 giugno 1972).

Ci che rende cos totalitario il potere laicista che si imbatte e strumentalizza un cristianesimo sempre
pi minorato, ridotto ad un teismo vago e impotente (De Lubac).

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Ci che mi colpisce quando considero il mondo cattolico, che all'interno del cattolicesimo sembra
talvolta predominare un pensiero di tipo non-cattolico, e pu avvenire che questo pensiero non cattolico
all'interno del cattolicesimo diventi domani il pi forte. Ma esso non rappresenter mai il pensiero della
Chiesa (in Jean Guitton, Paolo VI segreto).

Questo cristianesimo ridotto a spunto morale, a ricerca intellettuale, a scala di valori il pi prezioso
alleato del Potere.

Come notava acutamente il filosofo Kolakowskij, il 'supporto di valori' con cui i cristiani tentano di
'redimere' il comunismo o il capitalismo non ha altro significato che la disponibilit dei cristiani a fare da
fertilizzanti per una tirannia futura. Si potrebbe rilegger la storia dei cattolici in Italia, in questi decenni,
su questa tragica falsariga.

Facciamo un esempio. Giustamente Scoppola, tirando un bilancio del progetto 'maritainista' dei
dossettiani (tradotto poi dalla sinistra Dc nell'ideologia della democrazia), scrive: Dobbiamo registrare
una vistosa eterogenesi dei fini: quelle energie cattoliche che si erano poste in movimento per la
ricostruzione di una cristianit nuova, che si collocasse oltre la contrapposizione storica fra capitalismo e
comunismo, di fatto hanno agito in una diversa direzione: sono servite a creare le condizioni di una nuova
fase di compromesso tra capitalismo e democrazia e hanno perci reso possibile quello sviluppo
industriale che il Paese ha registrato, che -secondo Scoppola- ha prodotto il nemico vero, la societ
consumistica destinata a corrodere in profondit la fede del popolo italiano.

Scottati dall'esito della loro terza via, i cattolici negli anni '70 han preso a contestare i valori cristiano-
borghesi, propugnando valori cristiano-progressisti, svolte a sinistra e liquidazione di una presenza
sociale e politica in quanto cattolici: ancora una volta cos si trovavano ad offrire giustificazioni morali alle
nuove scelte del Potere, al nuovo conformismo.

Per questo Del Noce, a proposito della relazione di Bolgiani al Convegno "Evangelizzazione e
promozione umana" (Epu), definiva i 'maritainisti' della Lega democratica clerico-moderati di sinistra.
Singolare stata -in questa temperie- la nascita di Comunione e liberazione.

Cl nasce gi nel '54 come altro rispetto al conformismo culturale e sociale cattolico degli anni '50.

Nei primi anni '50 era ancora molto diffuso un costume cristiano ma si trattava in effetti di-un falso
equilibrio sostenuto solo dal rispetto formale di leggi e consuetudini in cui non si credeva pi, e che quindi
ben presto sarebbero state abbandonate... Il sopravvivere delle vecchie forme, attraverso il culto, le feste
popolari e la mobilitazione associazionistica cattolica-coprivano una situazione di crisi che per aveva gi
raggiunto il cuore del cattolicesimo italiano (Comunione e Liberazione, intervista a don Giussani, Jaca
Book).

Il cristianesimo non aveva pi nulla a che vedere con la vita, con tutte le sue urgenze pi significative;
con la concezione ed il sentimento del reale, con la necessit di giudicare, di rendersi ragione di tutto
quello che arricchisce e fa diventare l'uomo pi uomo.

Cos l'essenza del fatto cristiano non costituiva pi una proposta di vita. Ma qual questa essenza? E'
l'annuncio di Cristo, centro di tutta la vita dell'uomo e della storia. E questo si vive mettendosi insieme,
vivendo una vita di comunit, perch Cristo presente nella storia dentro il segno della grande comunit
che la Chiesa.

Ebbene, venti anni dopo, nel '74, con il referendum sul divorzio, sia coloro che vollero il referendum sia i
cattolici del no non si erano resi conto che il cristianesimo non aveva ormai pi nulla a che vedere con la
vita della gente. Oltre tutto, in quegli anni, il dilagante potere laicista aveva distrutto anche il fragile
costume cristiano degli anni '50. Solo nel 1984 -dieci anni dopo il referendum- anche i cattolici
democratici capiscono (sia pure superficialmente e quindi ancora moralisticamente) di essere stati
funzionali al nuovo potere. Luigi Pedrazzi (uno dei capi dei cattolici del no, gi dossettiano e direttore de Il
Mulino) scrive: Ci che feci allora non mi piace pi... penso che fummo pi che altro mosche cocchiere.
In fondo n i cattolici del s, n i cattolici del no hanno riconosciuto e accettato fino in fondo la sfida
portata al cattolicesimo da una secolarizzazione totalizzante.

Comunione e liberazione, nella tempesta del referendum sul divorzio, vota s e si impegna nella battaglia
referendaria per aderire al suggerimento dell'autorit della Chiesa. Anche questa obbedienza non
l'ultima testimonianza della novit che l'esperienza di Cl era nella Chiesa italiana. Ma venuta meno,
distrutta l'essenza dell'evento cristiano nella vita delle persone, demolito l'edificio della fede, la cattedrale,
il potere laicista ha buon gioco ad usare i singoli mattoni (i valori), forniti da zelanti cattolici, per costruire

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la sua citt di produttori-consumatori. E non serve ricordare che furono un tempo pietre della cattedrale...

L'ameba

C' un'operazione editoriale che sintetizza questa capacit di colonizzazione, per cui fra '75 e '76 si
costitu il triangolo Carli-Agnelli-Lama: la nascita de La Repubblica, costruita e finanziata dai salotti
dell'alta finanza per cucire insieme il capitale liberal della Confindustria, la tecnostruttura della Banca
d'Italia e la nomenclatura del Pci. Quella linea politica fece molto discutere racconta Scalfari e parve
strana, ma aveva la sua ragion d'essere nel nostro progetto di modernizzazione del Paese.

Il Pci del resto era perfettamente preparato a questa operazione: sia sul terreno culturale (Gramsci
insieme a Gobetti costituisce quella scuola torinese -come la chiama Noventa- che far da ponte fra
l'idealismo italiano di De Sanctis, Spaventa, Croce e Gentile ed il nuovo laicismo); sia per la sua
leadership (da Gramsci ad Amendola a Berlinguer e Napolitano, i contatti anche personali con la
massoneria e la finanza laicista sono innumerevoli).

Il Pci di Gramsci stato sempre ed pi laicista-massonico che marxista. Ed un cattolicesimo ridotto ad


impeto morale stato l'humus da cui ha succhiato parassitariamente tensioni ideali e militanti.

Quella di Repubblica una strategia trasversale: conquistare all'ideologia liberal tutte le leadership
(politiche ed intellettali) dei grandi partiti di massa, ovvero laicizzare tutte le chiese (Scalfari). Per
questo l'operazione fatta in quegli anni con Berlinguer la stessa realizzata negli anni successivi al
conformismo di sinistra con la segreteria Dc di De Mita: Un'operazione analoga a quella compiuta nel
Pci l'abbiamo fatta nella Dc... quella di De Mita infatti senz'altro una cultura liberal e non cattolico-
popolare (Scalfari).

E come allora una leadership cultrale del mondo cattolico, per favorire quell'operazione funzionale al
disegno laicista, ha teorizzato e praticato la diaspora e una riduttiva e ambigua interpretazione della
scelta religiosa, cos, con la stessa logica, oggi strumentalizza ideologicamente e partiticamente
l'autorevole indicazione all'unit anche in politica dei cattolici.

Oggi La Repubblica divenuto uno status symbol: simbolico del nuovo potere. Il nostro giornale diventa
interprete della classe dirigente liberal, compresi i liberal presenti nella Dc e nel Pci, espressione di quella
che potremo chiamare la parte intelligente del Paese... La Repubblica davvero il giornale di tutti i laici e
di tutti i liberals, dovunque essi siano (Scalfari in Nuova Antologia n. 2159).

Che oggi esista un Superpartito de La Repubblica (Intini l'ha chiamato una P3) funzionale a gigantesche
concentrazioni di potere chiaro anche agli sprovveduti. Ancora pi impressionante l'enorme potere di
manipolazione dell'opinione pubblica della stampa liberal (che davvero dominante).

E' uno scenario sociale che ricorda molto da vicino la cupa dittatura tecnocratica delineata gi da Comte:
Il positivismo -scriveva questi- riserva ai banchieri (e ad industriali illuminati) la supremazia temporale
dell'Occidente, ma necessario che degni ambiziosi siano chiamati ad organizzare una formidabile
opinione pubblica.

Dove cercare quei degni ambiziosi?

Alla corte dei Principi della finanza italiana fin dagli anni '50 i mandarini del gruppo di Scalfari fremevano
per ottenere l'investitura (e gli investimenti...). La grande omologazione degli anni '70 li vedr protagonisti.
Un cupo conformismo radical-marxista di colpo domina incontrastato in Italia.

Fa una certa impressione rileggere oggi un'intervista di Agnelli di quei mesi al Corriere della Sera diretto
da Ottone (oggi manager de La Repubblica): dovremo avere dei governi molto forti, che siano in grado
di far rispettare i piani cui avranno contribuito altre forze oltre quelle rappresentate in Parlamento;
probabilmente il potere si sposter dalle forze politiche tradizionali a quelle che gestiranno la macchina
economica; probabilmente i regimi tecnocratici di domani ridurranno lo spazio delle libert personali. Ma
non sempre tutto ci sar un male. La tecnologia metter a nostra disposizione un maggior numero di
beni e pi a buon mercato... (Corriere della Sera, 20.1.75).

Schiavi felici insomma. Produttori-consumatori con la benedizione degli gnomi e del Pci.

Da questa ubriacatura l'alta borghesia liberal si svegli solo col frastuono della P38 delle Br. Allora i

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benpensanti caddero dal settimo cielo: sembrava la calata degli Ichsos (le sedicenti Brigate rosse... si
scriveva con malizia).

Ma si trattava dei loro figli e allievi, che fino a ieri avevano bevuto la scienza rivoluzionaria dalle cattedre
universitarie e dalla carta stampata della borghesia illuminata.

Era comico notare lo sgomento e le preoccupazioni dei nostri saccenti in cerca di una risposta: da dove
sono venuti fuori i nichilisti? Da nessuna parte, sono sempre stati con noi, in noi e presso di noi (I
demoni). Coi scriveva gi Dostoevskij al primo apparire, in Russia, del terrorismo rivoluzionario, che i
salotti illuministi avevano suscitato e foraggiato.

Insieme alla strana acquiescenza dei cattolici e sorprende la rapida diffusione di Comunione e
Liberazione. Una realt che non soggiace al progetto laicista. E ne paga le conseguenze. Chi non
funzionale a quel progetto infatti subisce un odio ideologico che giunge spesso alla violenza fisica. Il 14
febbraio '76 La Stampa di Agnelli e Il Manifesto escono insieme con notizie che Cl finanziata dalla CIA.
Nelle universit, nelle scuole, nelle fabbriche l'attacco alla comunit di Cl gi consuetudine. La notizia
poi sapientemente amplificata, non fa altro che legittimare e intensificare un costume gi in atto. La
smentita arriver tre anni pi tardi il 17 giugno 79, dopo un procedimento giudiziario.

Cos molti anni dopo, in Italia, gli anni di piombo saranno figli dei tanti cattivi maestri che pontificavano dai
pulpiti della aristocrazia borghese. Alla devastazione umana prodotta negli anni del grande conformismo,
troppo presto dimenticato, anche i cattolici hanno dato un loro contributo.

Foto di gruppo con spranghe

La scuola. Per anni si avall e si giustific la dilagante, quotidiana e sistematica violenza di spranghe e
catene degli ultr. Ma ancora pi perniciosa fu la manipolazione e l'istigazione ideologica della stessa
scuola di Stato. C' da restare senza fiato, oggi, a rileggersi due memorabili volumetti (L. Lami, La scuola
del plagio e G.A. Mazzola, La scuola della resa, ed. Armando) che raccolgono un'antologia di un
centinaio di libri di testo circolanti in quegli anni nelle scuole statali.

Libri di lettura per le elementari, ad esempio, pieni di lettere di Gramsci, discorsi di Allende, fumetti su Il
Manifesto di Marx, racconti sull'attentato di Piazza Fontana, scritti di Che Guevara, ricerche con la
documentazione dei consigli di fabbrica fino a Marcuse, la Rossanda e Dario Fo.

Il mio fucile ammazzer tutti i tiranni si poteva apprendere nel sussidiario Devi sapere (ed. Atlas). Ed
ancora: I padroni tagliavano i fili della luce per vendere le candele (ed. Ottaviano). Il libro di lettura per
le elementari Uomo come (Fratelli Fabbri editore, attualmente del gruppo Agnelli) catechizzava con
Engels (le rivoluzioni sono una conseguenza necessaria...) e spiegava: E' necessario passare alla
lotta di classe... lotta che la prepotenza dei padroni rende necessariamente violenta.

Ma un capolavoro di sensibilit pedagogica fu l'enciclopedia scolastica Io e gli altri tutta volta a spiegare
che la polizia serve per spaccare le teste degli studenti e degli operai, che i bambini non nascono sotto i
cavoli, che il lavoro pu essere noioso e il capufficio imbecille... noi proponiamo una visione marxista del
mondo. Per questo testo i preti, gli insegnanti e gli uomini politici dovrebbero essere arrestati, giudicati
e condannati per plagio.

Quando nel '73 partirono alcune denunce da varie parti d'Italia per le mascalzonate contenute in
quell'enciclopedia, L'Espresso -subito seguito dal coro unanime di tutta la stampa- lancia una crociata
antifascista: E' certo una enciclopedia laica, e, se vogliamo, di sinistra, ma pi ancora una
enciclopedia moderna, che mette in gioco tutti i portati delle nuove scienze, dall'etologia all'antropologia
culturale... stata lodata perfino da Famiglia Cristiana (Anche Il Popolo ne tess le lodi!). Naturalmente
gli autori furono ampiamente prosciolti e celebrati come martiri antifascisti. Cos i ragazzi nelle scuole di
Stato poterono continuare ad apprendere che gli italiani per obbedire alla Chiesa e al Papa votano Dc
(da Un bel paese, edizioni Zanichelli), e che dobbiamo finirla con questa societ di merda (da Il Cile
non una favola edizioni piani Ottaviano). E studiare su antologie scolastiche come Armi improprie (si
noti il titolo) le cui sezioni erano: Giustificazione del delitto: l'assassino innocente. Virgilio, uno dei pi
sinistri rompiscatole. Censura (seguita dal finale di Ultimo tango a Parigi, scena di brutale assassinio).
Il guerrigliero: un riformatore sociale. La borghesia fa massacrare gli operai. Lessico marxista Anarchici e
ribelli nei canti del popolo. La classe operaia come potere esecutivo dello Stato.

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Era stato per palmo Umberto Eco, dalle colonne dell'Espresso a lanciare la crociata iconoclasta contro i
vecchi libri di testo. Per riconoscenza molte nuove antologie stamparono il suo celebre Elogio di Franti,
dove un Eco anarco-marxista tesseva le lodi del cattivo Franti che altri non sarebbe se non il grande
Gaetano Bresci!

I piccoli vizi della vilt sono pi distruttivi di quelli della ferocia diceva Vincenzo Cuoco, e il vergognoso
ottuso conformismo di cui fecero mostra gli audaci intellettuali italici (quasi tutti) in quegli anni ebbe
infatti i suoi perniciosi effetti.

Piombo di giornali

Ah, giornalismo obiettivo! Quante fregature abbiamo dato al lettore... confessa Giampaolo Pansa in un
capitolo di Carte false dedicato al conformismo rosso di quegli anni.

Ecco le confessioni di Bocca, inviato in Vietnam, che faceva allora grandi reportage rivoluzionari (che
mandavano in deliquio i nostri piccoli vietcong), spiegare oggi con candore che mi autocensuravo.

E cos Tiziano Terzani, uno dei pi autorevoli inviati in Indocina, che solo verso l'85 riconosce di non aver
profferito verbo sulla tirannia vietcong, sui massacri di Pol Pot, su milioni di vittime innocenti perch gli
occhiali dell'ideologia censuravano quelle immagini.

Una settimana dopo la sua drammatica confessione su La Repubblica del 29 marzo, arriva al giornale di
Scalfari una lettera che si pu ben definire storica.

E' firmata da una qualunque certa Fiorella Franceschini. Una fra milioni di giovani di una generazione
distrutta: Quella che vuol sembrare un'onesta autoaccusa scrive la Franceschini a Terzani in realt
un facile lavaggio di coscienza. Chi risarcisce tutta quella generazione che credette ai rapporti giornalistici
di chi era in prima fila sul posto, che ascolt i resoconti di guerra degli osservatori, le cui dichiarazioni
registrate furono fatte circolare in Italia anche in ambienti scolastici? Quella generazione di giovani non
poteva che dare fiducia a coloro che avevano avuto la possibilit di conoscere i 'governativi', i corrotti
governativi, i poveri Khmer rossi e gli eccidi dei civili di cui sembravano responsabili solo gli americani...
Ora scopro che impunemente si pu dire: ho sbagliato, ero l a vedere... Ho visto gli eccidi dei Khmer e li
ho giudicati strumentalmente camuffati dalla Cia... I giovani degli anni '70, signor Terzani, avrebbero
preferito sapere la verit allora.

Le mani sporche

Tuttavia Terzani ha almeno fatto la sua cocente autocritica. Caso pi unico che raro. Perch un esercito di
intellettuali, accademici e giornalisti, ieri maestri di sovversione (non dimentichiamolo: Pol Pot ha
conosciuto Marx a Parigi, alla Sorbona!) pontificano oggi -con qualche capello in meno, e pi spudorati
che mai- dalle stesse cattedre impartendo lezioni di tolleranza e di filoatlantismo.

Mister Scalfari che nel '68 plaudeva agli assalitori dell'editore Springer (L'Espresso, 21.4.68) ed esaltava
il gruppo di Scalzone (3.8.69) apriva un suo libro, L'autunno della repubblica, invitando a non disperare
della rivoluzione, spiegando ai suoi giovani lettori: La rivoluzione non si compie mai coi giorni dorati del
vino e delle rose, ma attraverso un lungo cammino per anni oscuri, confusi, fangosi e talvolta
sanguinosi.

Ieri incendiari, oggi pompieri, ma sempre sulla pelle altrui. E Bocca ancora confessa: Mi metto fra coloro
che hanno esagerato il pericolo di un golpe fascista... In parte notevole erano delle buffonate.

Per non dire degli scandali. Sar proprio Pansa a dover per primo denunciare il dilagare sulla stampa dei
giornalisti dimezzati: una connivente copertura garantita per anni ai ladrocini del Pci. Mentre con i
cattolici... Ricordate Gui e la Lockheed? Lo mettemmo in croce sulle prime e sulle ultime pagine...
ricordo che alla Camera si difendeva parlando con voce strozzata e piangeva. Risult innocente perch
era innocente (Pansa). Cos per Murmura, Cos per i vituperati Caltagirone (Quante fregature abbiamo
dato ai lettori... ammette Pansa). Ma intanto scripta manent e anque righe di assoluzione in ultima
pagina un anno dopo, non ripagano un linciaggio morale.

In pieno regime

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Con la Chiesa i conti sono ormai chiusi definitivamente (come dimostra l'infame, nota copertina
dell'Espresso con una donna incinta nuda crocifissa). Il potere l'ha (la Chiesa) cos cinicamente
abbandonata scriveva Pasolini progettando senza tante storie di ridurla a puro folklore. Ed ancora: I
nuovi industriali e i nuovi tecnici sono completamente laici, ma di una laicit che non si misura pi con la
religione. La religione sopravvive in quanto ancora prodotto naturale di enorme consumo e forma
folkloristica ancora sfruttabile (Scritti Corsari).

Ma insieme a questo disastroso sgretolamento del mondo cattolico assistiamo anche al rapido,
sorprendente diffondersi di Comuntone e liberazione. Questa realt di giovani a cui, per l'incontro con la
proposta cristiana, premeva prima di ogni altra cosa verificare se la fede valesse o no nella vita per
ubbidienza alla indicazione dei Vescovi, e ad un paterno suggerimento del segretario della Cei,
monsignor Bartoletti, si impegna nelle elezioni di quegli anni per favorire la Democrazia cristiana.

Scriveva Del Noce nel 1975: Cl ha un successo impressionante... e sono molti anche fra i laici coloro
che vi vedono l'unica forza che potr rigenerare la Dc.

In effetti la Dc, ormai ridotta allo stremo si vede offerta una insperata, sorprendente, energica ancora di
salvataggio: nelle elezioni (decisive) del 20 giugno '76, Zaccagnini quantificher -in un'intervista a
Famiglia Cristiana- in un milione i voti convogliati sulla Dc da questo movimento di giovani: quanto
basta perch il Pci, balzato al 33%, non vinca. Ma soprattutto naufraga un dogma laicista: Cristo ha oggi
pi che mai una forza d'attrazione per il cuore dell'uomo (e soprattutto per i giovani che si volevano
irregimentate) sconosciuta alla mentalit comune. Il Potere questo non pu permetterselo.

Il 14 febbraio del '76 una strana coppia, La Stampa dell'avvocato Agnelli e Il Manifesto escono insieme
con la notizia bomba: Cl finanziata dalla Cia. Naturalmente si accodano subito La Repubblica,
L'Espresso e Panorama, rincarando la dose. Di prove non c' neanche un'ombra, ma basta la parola. La
bomba esplode in una polveriera; l'attacco alle comunit di Cl una prassi ormai abituale in moltissime
universit, scuole e citt italiane. Anzi in un certo senso la notizia dei finanziamenti Cia sembra offrire
legittimit a quello stillicidio di violenze contro gente inerme. Vedete? abbiamo ragione sembrano
dire i katanga armati di spranghe, catene, coltelli e molotov: Comunione e corruzione, Cl e la Cia una
bella compagnia, ecco gli slogan coniati per l'occasione. Naturalmente, dopo la sparata dei giornali, la
caccia al ciellino si intensifica. Per alcuni sar questa la palestra delle P38 e delle future squadre Br.

Solo il 17 giugno '79 Il Manifesto e La Stampa, portati in tribunale da Cl, dovranno ritrattare. Con candida
semplicit La Stampa dedica cinque righe: Naturalmente si trattava di notizie che, per la loro stessa
fonte, non potevano sul momento essere oggetto di particolare controllo. Siamo perci ora lieti di poter
dare atto al movimento di Comunione e liberazione, cos come ai suoi dirigenti e aderenti tutti che essi
non hanno mai ricevuto sovvenzione alcuna dalla Cia.

Semplice no? Ma intanto erano state 150 le aggressioni in pochi mesi: sedi bruciate, ragazzi aggrediti e
sprangati, o schedati e banditi da universit e da interi quartieri.

Il cardinale Poletti, in un accorato intervento dopo l'aggressione di due studenti di Cl ridotti in fin di vita
diceva: Da parecchio tempo assistiamo ad un aumento allarmante di episodi efferati e non possiamo
restare indifferenti... E' veramente in pericolo la libert... il nome stesso 'cristiano' in ogni sua espressione
spesso contrastato come se fosse colpa sociale.

Il segreto di Cl

Ma dove stava dunque la forza cos originale di Cl? I vecchi arnesi del vocabolario politico si rivelano
impotenti a spiegare.

Nella Chiesa si apre una stagione densa di contrasti e tempeste. Il Convegno Evangelizzazione e
promozione umana manifesta tutti i segnii della crisi. N gli intendimenti di Monsignor Bartoletti, ideatore
del convegno assieme a Paolo VI, si doveva risvegliare con energia la Chiesa per un nuovo grande
annuncio di Cristo, redentore tutto l'uomo. Ma dopo l'improvvisa morte di Bartoletti il convegno viene
appaltato ai lumi della Lega democratica. Paolo VI chide invano le dimissioni del comitato preparatorio. Il
convegno legittim la pluralit delle opzioni politiche dei cattolici. Dalle colonne de Il Tempo Del Noce
critic spietatamente la relazione di apertura di Bolgiani.
Si consuma il suicidio della presenza sociale dei cattolici. Lo strumento l'abbandono della Dc. Per i
personaggi pi in vista di certo mondo cattolico lo scudo crociato non pi interprete delle loro istanze.
All'assemblea della Cei del 20 maggio '76, prima del convegno, Scoppola rimbecca i vescovi per essersi

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espressi sulle candidature di alcuni cattolici democratici nel Pci: interventi della Chiesa in campo politico
che si esprimono in termini di costrizione e di minaccia sono oggi rifiutati dalle coscienze dei cattolici.
Dello stesso parere era Orfei, oggi strenuo difensore della linea demitiana.

Innanzitutto proprio la fede era capace di cogliere un'attesa profonda e inespressa... Nel settembre del
'77 il quotidiano Lotta continua pubblica una lettera firmata un amico di Roberto, che dice: scrivo
queste righe perch un nostro compagno si suicidato. Purtroppo fatti come questi sono sempre pi
frequenti non fanno neanche notizia.... E concludeva: Tra i tanti motivi che ci spingono a modificare il
nostro comportamento politico e personale, c' anche il desiderio che nessun compagno sia costretto pi
ad andarsene cos; c' il desiderio che tra la nostra splendida teoria piena di futuri paesi delle meraviglie
e la nostra 'squallida' pratica quotidiana non si lasci pi aperto un varco cos grande dove un uomo possa
perdersi.

In un baratro di cinismo o di disperazione si stava infatti perdendo tutta una generazione. L'utopia
rivoluzionaria naufragava sotto la scure implacabile della vita quotidiana. Per quella generazione cantava
allora Francesco Guccini: Io dico sempre non voglio capire / ma come un vizio sottile e pi penso / pi
mi ritrovo questo vuoto immenso / e per rimedio soltanto il dormire. / E poi ogni giorno mi torno a
svegliare / e resto incredulo, non vorrei alzarmi / ma vivo ancora e son l ad aspettarmi / le mie domande,
il mio niente, il mio male.

Il quotidiano era questa sete di un significato qui e ora... Noi non siamo entrati nella scuola cercando un
progetto alternativo per la scuola; vi siamo entrati con la coscienza di portare ci che salva l'uomo anche
nella scuola, che rende vero l'uomo e autentica la ricerca del vero, cio Cristo nella nostra unit... La
nostra forza non un progetto sociale, culturale, politico... ma la coscienza del mistero che abbiamo
addosso (Incontro degli universitari di Cl, Riccione 1976).

E' quello che successo alla Chiesa primitiva che andata nel mondo non per cambiare la filosofia, ma
per rendere presente ci che essa era, per rendere presente Cristo, condividendo tutti e tutto, anche la
filosofia. E cos, con i secoli, si costituita nei monasteri, nelle scuole e nelle universit una nuova
filosofia e una nuova cultura.

Queste parole giudicavano anche la pericolosa tentazione ideologica che si era infiltrata fin dentro
Comunione e liberazione: Noi abbiamo vissuto questi ultimi dieci anni dentro una provocazione
imponente di tipo sociale e politico e questo ci ha fatto lentamente scivolare sulla china del riporre la
nostra speranza e la nostra dignit nel progetto generato da noi. E non si trattava di una nuova tesi
teologica. Singolare era la domanda che l'allora direttore di Renovatio Baget-Bozzo, pose nel '77 a don
Giussani: L'identit cristiana nella storia e principalmente un'identit dottrinale?

Nella risposta si affermava fra l'altro: Mi sembra semplicemente inadeguato. Per me l'identit Cristiana
nella storia principalmente un Fatto, il Fatto di ima realt rimuova, di una nuova creatura che la
Chiesa; e si richiamava il memorabile discorso di Paolo VI del 24 luglio '75: Dov' il Popolo di Dio, del
quale tanto si parlato e tanto si parla? Questa entit etnica sui generis... che tutto converge verso
Cristo.... (Il nostro tempo, n. 2, 1977). Insomma Cl riportava al centro l'avvenimento cristiano, nella
modalit con cui esso sempre si comunicato, a partire dalla Galilea, per 2000 anni: un incontro.

Un convegno equivoco

La leadership del mondo cattolico italiano fin dall'inizio non lesin ostilit e diffidenza. Ma si trattava -negli
anni '70- di un mondo cattolico ormai esistente perlopi nelle sacrestie e nelle liste del Pci.

Al contrario Paolo VI sembr quasi tirare un respiro di sollievo: E' questa la strada, vada avanti cos,
disse a don Giussani nel '75. Ed alcuni mesi dopo a degli studenti di Cl: Siamo molto attenti
all'affermazione del vostro programma che andate diffondendo, del vostro stile di vita, dell'adesione
giovanile e nuova rinnovata e rinnovatrice agli ideali cristiani... Vi benediciamo, e con voi benediciamo e
salutiamo il vostro fondatore, don Giussani. Vi diciamo grazie delle attestazioni coraggiose, forti e fedeli
che date in questo momento particolarmente agitato, un po' turbati per certe vessazioni e certe
incomprensioni da cui siete circondati.

Ad esempio Giuseppe Lazzati dubitava addirittura dell'ortodossia del movimento, e nei suoi 15 anni di
rettorato alla Cattolica di Milano, pur devastata dall'ideologia laicista, dalla violenza, da infiltrazioni
brigatiste, vedr in Cl l'ostacolo per un rinnovamento conciliare dell'Universit Cattolica (v. Corriere della
Sera, 2.3.85).

Si pu parlare di antitesi netta fra Paolo VI e i suoi allievi 'maritainisti'? L'esplodere della crisi scrive

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Scoppola crea una spaccatura fra i 'montiniani' e Montini stesso che il Papa. Una parte della cultura
cattolica si sente tradita da Montini.

Non a caso in quegli Anni il Papa aveva voluto alla segreteria della Cei un non-maritainiano come
monsignor Bartoletti. Il quale vedeva in Cl un vero 'segno': nessuna garanzia migliore della loro stessa
vita ripeteva a chi metteva in dubbio l'autenticit ecclesiale del movimento. E nella tempesta delle
aggressioni e delle violenze: La coraggiosa e chiara testimonianza cristiana che gli aderenti a Cl offrono
quotidianamente nella vita civile per noi motivo di attenta considerazione, di doveroso appoggio, di
sicura speranza... la nostra parola di conforto e di incoraggiamento e di apprezzamento vuole essere solo
un segno dell'immancabile aiuto del Signore per quanti vivono e soffrono, lietamente, per l'Avvento del
Suo Regno.

Bartoletti aveva di fronte un quadro drammatico. Nell'estate del '75, dopo le elezioni del 15 giugno,
annotava: Divisione nel mondo cattolico e nello stesso tessuto ecclesiale. Si potuto evitare
l'esplosione del dissenso, ma non l'azione sconsiderata di sacerdoti e di laici impegnati nelle associazioni
e nei movimenti (anche l'Azione cattolica italiana solo per merito della mediazione del presidente Agnes
non si schier apertamente a favore del divorzio).

Fu proprio monsignor Bartoletti l'ideatore del Convegno della Chiesa italiana Evangelizzazione e
promozione umana. Negli intendimenti suoi e di Paolo VI si doveva risvegliare con chiarezza ed energia
la Chiesa per un nuovo grande annuncio di Cristo, redentore di tutto l'uomo: istituita da Cristo scriveva la
Chiesa si presenta al mondo come segno efficace di salvezza, totale e trascendente, di integrale
liberazione... La salvezza compiuta nel Cristo e partecipata a tutti gli uomini costituisce il contenuto della
evangelizzazione. Ed ancora: In questo disegno di salvezza dell'uomo che l'evangelizzazione propone
compreso anche quello che intendiamo con parola promozione.

L'improvvisa morte di Bartoletti, il 5 marzo del '76 fa precipitare gli eventi. Monsignor Enrico Bartoletti
scriveva Andreotti alle prese con le conseguenze del referendum, che certamente avrebbe voluto
evitare, pu letteralmente dirsi che mor di crepacuore (Ad ogni morte di papa, pag. 121).

E' una morte che letta alla luce delle altre improvvise morti di Giovanni Paolo I (1978), dall'arcivescovo di
Firenze cardinal Benelli (1982), dell'arcivescovo di Bologna monsignor Manfredini (1983) non pu che
destare drammatiche domande.

Nella prima riunione del Comitato (dopo la morte di Bartoletti) Maverna (il successore) propose ai
partecipanti di 'rimettere il proprio mandato'. Lo faceva per suggerimento vaticano e invocava la
necessaria docilit ai responsabili pastorali. Il proseguimento dei lavori fu dovuto ad un escamotage
formale... e alla volont di Poma. Paolo VI ormai defilato. 'Per noi finita' aveva sussurrato davanti alla
salma di Bartoletti... Da allora non esercit pi una efficace direzione della Cei. La gestione del Convegno
veleggi in forme provvisorie fino all'esplosione della sua celebrazione (Il Regno, 12/87).

I principali componenti di quel Comitato erano padre Sorge e Lazzati (che sararmo i vice presidenti del
Convegno stesso), Scoppola, Bachelet, Ardig, Agnes, Rosati, De Rita, Gaiotti. Tutte le vicende del
Convegno rattristarono il Papa.

Senza Bartoletti il Convegno si avviava verso lidi ben diversi da quelli per cui fu pensato. Comunione e
liberazione vive il suo momento di massima emarginazione: si giunse persino ad assimilarla ai Cristiani
per il socialismo come un'antitetica, ma uguale 'deviazione'.

E' incredibile, ma il Convegno fu di fatto appaltato proprio a quella Lega democratica concepita dai
cattolici del no che appena due anni prima avevano rotto la comunione ecclesiale votando e facendo
votare a favore del divorzio.

In una relazione ufficiale, Bolgiani sostenne addirittura che gli anti-divorzisti furono l'ultimo rigurgito del
vecchio integralismio reazionario e che la provvidenziale sconfitta aveva fatto emergere i veri cattolici del
dialogo e del rinnovamento.

Paolo VI, celebrando in San Pietro la Messa di inizio, vedendo il cardinal Siri (che nel '75 aveva pensato
di riportare alla guida della Cei) gli si fa incontro e gli sussurra: Eminenza, sono molto preoccupato ma
se c' qui Lei mi sento pi tranquillo. Ed il Cardinale: Santit, bisognava far qualcosa prima, e poi io
star qui finch ci sar Lei, poi me ne andr.
Questo episodio inedito la dice lunga sul clima di quel Convegno.

Paolo VI vi terr dunque un'omelia memorabile (quanto inascoltata): La fede vivente una fede

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irradiante. La Chiesa credente Madre e Maestra, e con la dottrina del Concilio ci conferma e ci
ammonisce che quanti siamo suoi figli dobbiamo essere fieri del nome cristiano, e testimoni di quanto
questo nome significa e ci insegna.

Tanto diversa fu la strada percorsa dal Convegno che Paolo VI per tutto il resto del Suo pontificato non lo
citer mai. Ed un caso unico.

Il Consiglio Permanente della Cei dopo redasse una presentazione degli atti del Convegno che tentava
di correggerne in qualche modo gli eccessi. La relazione Bolgiani, ad esempio, fu una vergognosa
damnatio memoriae di Pio XII, presa in blocco dai testi del laicismo massonico-azionista, come dimostr,
senza peli sulla lingua, Del Noce su Il Tempo del 17 novembre.

La relazione Bolgiani fu pubblicata dall'Espresso, che peraltro due anm prima, in un servizio intitolato
Divorzio: lo salveranno le donne (e i preti), aveva scritto: In questa operazione l'altra chiesa in Italia
ha trovato il suo pi autorevole esponente nel cardinal Michele Pellegrino, di Torino (24.3.74)

L'idea di un'altra chiesa (progressista, dialogante, ecumenica) che avrebbe avuto il suo inizio con il
Concilio -secondo lo schema di Bolgiani- faceva emergere una innovazione improponibile, che pure stava
dilagando nella mentalit dei cattolici, minando le basi stesse della fede, la Tradizione e il Magistero. Gi
nel '72 Paolo VI aveva respinta con orrore: una falsa e abusiva interpretazione del Concilio, che
vorrebbe una rottura con la tradizione, anche dottrinale, giungendo al ripudio della Chiesa preconciliare, e
alla licenza di concepire una Chiesa 'nuova', quasi 'reinventata' dall'interno, nella costituzione, nel dogma,
nel costume, nel diritto (23.6.72).

Il cardinal De Lubac ha denunciato di recente questa stessa strisciante eresia: Quante volte ci stato
ripetuto che contrariamente all'antica concezione 'gerarchica' e 'sacrale' della Chiesa, il Concilio
inaugurava una sorta di 'nuova Chiesa' ponendo alla base... i laici... ma se apro la Costituzione conciliare
leggo: capitolo I: il Mistero della Chiesa; un richiamo decisivo dell'autentica tradizione, che sbarra la
strada a ogni tentativo di secolarizzazione, di politicizzazione, di democratizzazione....

Del resto, quella stessa relazione proponeva una cos acritica, puerile apertura alle nuove culture del
mondo da apparire grottesca, in quel clima di regime che soffocava la societ italiana.

Si voleva 'purificare' la Chiesa distruggendo tutta la fecondit di opere sociali del cattolicesimo popolare.
Eliminare la Chiesa che si appoggia su leggi e banche diceva Pedrazzi, collaboratore (nella Lega e ne
Il Mulino) di quell'Andreatta che ha -come ministro del Tesoro- liquidato il Banco ambrosiano (il Nuovo
ambrosiano finito poi nelle sapienti mani di Agnelli).

Strumento del suicidio della presenza sociale dei cattolici fu allora l'abbandono della Dc come partito dei
cattolici. Da Scoppola a Orfei a Sorge tutti acclamavano finalmente il pluralismo delle scelte. Anche un
dottor sottile come Sorge chiarissimo: Bisogna superare in linea di principio e nella pratica la vecchia
concezione che portava a vedere nella Dc la naturale proiezione politica del mondo cattolico... La Dc un
partito laico; non religioso, ma politico... esso chiede il consenso in base alle sue scelte, perci possono
non riconoscersi in esso coloro che non le condividono, anche se sono cattolici....

Bolgiani non ha dubbi e chiede alla Lega di realizzare un piano strategico per la messa in crisi e la
rottura del monolitismo di potere mafioso Dc. La Fuci gi nel '69 chiedeva la rinunzia alla dottrina
sociale, al Concordato, il distacco dal potere economico e la rinunzia ad avalli o preferenze verso forze
politiche con etichette cristiane.

Le Acli poi navigavano in questo mare di ambiguit. Ancora all'ultimo congresso Rosati sosteneva di non
credere alla negativit delle cose mondane che solo la presenza cristiana riuscirebbe a sanare. I
protagonisti della scissione che port alla nascita dell'Mcl intesero invece far chiarezza; la fede non
poteva essere un optional, un condimento nel mondo di cui si potrebbe anche fare a meno (M. Giraldi su
Traguardi sociali, gen./feb. '85).

Pietro Scoppola (cattolico del no e protagonista del Convegno) intervenendo all'assemblea della Cei del
20 maggio '76, rimbecc addirittura i vescovi per aver detto la loro sulle candidature di alcuni cattolici-
democratici nel Pci: Gli amici che si sono candidati nelle liste comuniste certamente hanno ritenuto di
muoversi in uno spazio di libert consentito al cattolico... Restava il dubbio nella loro coscienza che
l'intervento (dei vescovi) nei loro confronti fosse legato anche a motivazioni politiche. Sappiamo tutti che
la storia della Chiesa piena di esempi del genere. La loro scelta esprime la disperazione che ci
attanaglia tutti di fronte alle insufficienze, alle deviazioni del partito che fino a ieri ha rappresentato la
maggioranza dei cattolici italiani. Ed ancora, di l a poco: Vi sono verit di fatto, dure, che dobbiamo

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dire fino in fondo: interventi della Chiesa in campo politico, che si esprimono in termini di costrizione e di
minaccia sono oggi rifiutati dalle coscienze dei cattolici.

Quarta puntata
tratto da Il Sabato, 28.11.1987, n. 48

1978, la sfida ai partiti. Moro contro i liberal.

I grandi potentati contro le formazioni politiche. Quando iniziato lo scontro? E che sbocchi avr? Il
Sabato lancia il dibattito verso il prossimo congresso Dc. Quella ospitata in queste pagine la
ricostruzione accurata di un evento chiave per capire la storia politica che stiamo vivendo. Sono gli anni
tra il '76 e il '78. Il superpartito liberal vive il suo primo smacco, nella sua scalata politica. L'accoppiata
Moro-Andreotti blocca il tentativo dei potentati di mettere in gioco il Pci. Ecco come and.

Il PSI nell'estate del 76 ridotto al fantasma di se stesso. De Martino teorizza il suicidio politico del
partito. Scalfaro che sponsorizza Giolitti per la successione. Ma invece spunta Bettino Craxi, un uomo
che volevo garantire la sopravvivenza del partito piuttosto che i piani delle lobby.

Il nuovo vangelo dell'aristocrazia liberal

Alle idi di marzo del 1966, Il Mondo (tempio del pensiero liberal) cessava le pubblicazioni con questo
sconsolato commiato: Su un elettorato di trenta milioni di individui, ventidue milioni di voti vanno a partiti
-diciamo cos- indigeni, che ad esempio in Inghilterra, in America, in Scandinavia neppure esistono...
ideali e concezioni politiche, culturali e morali lontane... dal mondo moderno.

Il fastidio, il disprezzo per questo popolo italiano, cos vivo, ricco di culture, gruppi sociali, identit
politiche, cos poco anglosassone il tratto tipico dell'aristocrazia liberal.

Gli italiani sono un popolo profondamente corrotto scriveva un liberal della prima ora, Giaime Pintor
ma essi continuano ad esprimere minoranze rivoluzionarie di prim'ordine... L'Italia nata dal pensiero di
pochi intellettuali.

Questa idea aveva radici lontane. Dopo la guerra questa casta di eletti, illluminati, puri si raccolse nel
Partito d'Azione. Non avendo nessun seguito popolare, questa pattuglia and monopolizzando tutto il
mondo della cultura e dell'informazione.

Da quei pulpiti amplificarono la loro idea: innanzitutto la contrapposizione fra due Italie; quella della
politica e dei partiti, l'Italia arraffona, volgare, inetta, parolaia (che era lo specchio del popolo italiano...
fiacco, corrotto, popolo di africani e levantini) e quella rigorosa, efficiente, laica, calvinista della cultura
liberal (si trattasse dello storico Centro studi di Mattioli e della Mediobanca di Cuccia, del Grande Capitale
privato degli Agnelli, gli Orlando, i Pirelli, della tecnostruttura della Banca d'Italia o dei loro chiassosi
portaparola, L'Espresso, Il Mondo, Panorama...). Il contrario dell'Italia delle vongole -secondo Scalfari-
l'Italia di Amendola e di La Malfa, un'Italia pulita, rigorosa, in qualche modo ascetica (Epoca, 19.12.86).
L'antitaliano appunto il titolo della rubrica di Giorgio Bocca su L'Espresso. Ma cosa vogliono dunque?

Nel '65 uno dei signori dell'industria (di Torino), sotto pseudonimo, rilasciava a Elmire Zolla una
memorabile intervista (poi pubblicata sul Corriere della Sera del 27.1.75). E' il disegno di una Macchina
sociale -dice il nostro- in cui le opposizioni finiscono per armonizzarsi... Perch questa Macchina sociale
funzioni, occorre liberare la societ da certi pregiudizi che producono uno speciale attrito... La Macchina
sociale sar ultimata soltanto quando avremo eliminato tutto ci che non ne fa parte e perci la ostacola...
Si creer una nuova morale, che colpir come unico peccato l'estraneit al lavoro... Tutti saranno
sottoposti ad un processo di adattamento reciproco che eliminer ogni traccia di egoismo, in uno
psicodramma permanente... Il sistema sar tutto in tutti. Anarchico e pianificato. Non Orwell, n
Huxley. Storicamente l'ideologia della Grande Industria piemontese, che ha colonizzato l'Italia.

E' sorprendente l'analogia fra il progetto della Macchina sociale e questo passo di Gramsci: In Italia
nato il primo Soviet dei capitalisti, la Fiat di Giovanni Agnelli, piccolo Stato locale con polizia propria, con
un organo giudiziario proprio, con una legge generale propria.

Lo sviluppo ulteriore dir quale forza storica oggettiver permanentemente il sostantivo: capitalista o
proletario?

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Egualmente oggi Romiti come notava Italo Pietra un paladino dell'impresa vista come una specie di
cellula della societ, che in piccolo rappresenta tutto, e al centro di tutto ci sta lui.

In breve il messaggio era quello che poi volgarizzer Romiti: Gli interessi della Fiat sono gli interessi
dell'Italia. E' una pretesa antica questa.

La cultura e i giornali liberal hanno sempre trattato i partiti italiani come un coacervo di interessi di
bottega, piccole clientele, capi-cosca preoccupati solo di maneggiare e incapaci di una visione moderna,
che pensi al bene della nazione per portare l'Italia in Europa. Solo gli illuminati (tecnocrazia e Grande
industria) avrebbero invece a cuore i destini del Paese.

Il progetto liberal punta alla sparizione di tutte le culture, i gruppi sociali, culturali, i soggetti umani (il
nichilismo) per affermare la sola ideologia della produzione/consumo (la Macchina sociale). Per questo
destinato ad avere una tentazione golpista.

Nello Stato -mentre si elimina il retroterra sociale dei partiti, ridotti cos a meri gruppi di opinione- vuole
una progressiva bipolarizzazione (anche con misure di riforma istituzionale) per ridurre la dialettica fra
diversi partiti e diversi interessi al binomio innovazione-conservazione, funzionale al potere economico
esistente.

La Fiat e il suo mulino

Lo sforzo principale scriveva di recente Maurizio Blondet fu quello di deideologizzare i due partiti di
massa, per adattarli il pi possibile al modello del bipartitismo perfetto delle democrazie anglosassoni
(dominate dall'interscambiabilit fra democratici e repubblicani, conservatori e progressisti, gli uni non
meno degli altri iscritti nelle logiche neocapitalistiche). A questo tendeva soprattutto il celebre studio di
Galli, Il bipartitismo imperfetto, finanziato negli anni Sessanta da quel laboratorio tecnocratico che la
fondazione Il Mulino.

Va detto, in effetti, che in quest'opera di laicizzazione di Dc e Pci, Il Mulino di Bologna stata una think-
tank formidabile. Qui si ritrovano uniti i cattolici democratici di Scoppola, Pedrazzi, Ardig (che furono
anche i cattolici del no a favore del divorzio nel '74), che poi daranno vita alla Lega democratica, insieme
con quegli intellettuali che confluiranno poi nella Sinistra indipendente. Non a caso i due studiosi che nella
Dc e nel Pci si occuperanno dei progetti di Riforma istituzionale saranno proprio Roberto Ruffilli (Dc, Lega
democratica) e Gianfranco Pasquino (Pci, Sinistra indipendente). Entrambi provengono da Il Mulino, che
ha rapporti amorevoli con la Fiat di Giovanni Agnelli.

Nell'orbita de Il Mulino (e comunque ad esso collegati) gravitano anche altri centri bolognesi, come il
Cattaneo presieduto da Pedrazzi e l'Arel di Andreatta.

Dentro il mondo cattolico saranno soprattutto gesuiti, con padre Sorge, gi direttore de La Civilt
Cattolica, a scommettere su quest'area che va dalla Lega democratica alla Sinistra indipendente, con il
progetto del golpe istituzionale (l'esperimento palermitano, propiziato appunto da padre Sorge un
inquietante esempio di distruzione del sistema dei partiti...), chiamato democrazia compiuta.

Il golpe

Dunque nel 1966 il politologo di sinistra Giorgio Galli (oggi docente universitario e firma prestigiosa di
Panorama), direttore dal 1965 de Il Mulino, esce con un libro che far molto discutere, Il bipartitismo
imperfetto, e poi, nel 1974, Dal bipartitismo imperfetto alla possibile alternativa.

E' una ricerca di molti anni realizzata e finanziata grazie al Mulino, al Centro Cattaneo, alla Twentieth
Century Fund di New York, alla Fondazione Agnelli e all'Istituto Agostino Gemelli di Milano.

La tesi di Galli la seguente: La democrazia rappresentativa ha avuto una origine borghese... Le lite
economiche, politiche e culturali che si battevano per il trionfo delle istituzioni rappresentative erano o
protestanti o laico-illuministe....

In tutti i sistemi istituzionali moderni, come la Gran Bretagna o gli Usa, spiega Galli, il gioco democratico
garantito dalla dialettica di due partiti che si riconoscono entrambi, in sostanza, in quella cultura laico-
illuminista (questa la regola del gioco).

I due partiti possono cos competere per il governo alternandosi, secondo criteri della concorrenza del

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mercato.

Ma in Italia i tre maggiori partiti (cattolico, comunista e socialista), nella loro identit culturale, sono nati
proprio in contrasto con quella cultura borghese. Inoltre la galassia politica esprime una serie di altri
partitini, ognuno dei quali rappresentativo di gruppi sociali, economici, culturali particolari.

Fino dalla Costituente i cattolici si opposero all'ipotesi di una Repubblica presidenziale (proposta dagli
azionisti): la particolarit della democrazia italiana era proprio la ricca variet sociale e culturale del
Paese, che poteva essere protetta e valorizzata proprio da una composita articolazione di partiti. La
dottrina sociale cattolica aveva sempre sostenuto che il bene comune stava appunto nell'insieme di
quelle condizioni della vita sociale che permettono ai gruppi come ai singoli membri di raggiungere la
propria perfezione pi pienamente e pi speditamente (Vaticano II; Gaudium et spes, 26).

Galli applica per alla composita realt italiana lo schema liberal del bipolarismo anglosassone. Egli in
sostanza riduce il gioco ad una dialettica fra i due maggiori partiti, Dc e Pci. Poi osserva che il ricambio
fra questi due partiti non mai avvenuto (n potr facilmente avvenire) e ne conclude che proprio questo
bipolarismo imperfetto (incapace di garantire l'alternanza) blocca la democrazia precipitando il Paese nel
disastro.

Galli, a dire il vero, non nasconde affatto che quella dialettica bipolare anglosassone perfettamente
funzionale all'egemonia borghese nella societ. Quello che non dice che la sua attuazione in Italia
costituirebbe, per la societ, un vero golpe, cancellando di fatto, d'un colpo, tutta la sua multiforme
ricchezza. Questa la Seconda Repubblica -dichiarava Scalfari ad Epoca (19.12.86)-. Quella che io
immagino come Terza Repubblica una fase nella quale i partiti vengano ricacciati fuori dalle istituzioni.
Penso che Visentini la pensi come me. Lui non gollista, un Grande Borghese.

I liberal all'attacco

L'offensiva liberal ai partiti italiani stava ad esempio portando il Psi con De Martino al suicidio. Nel Pci, il
punto d'appoggio era rappresentato da Amendola. Nella Dc ci fu un esponente che in quel lontano 1966
fece suo quel disegno della borghesia liberal. Si chiama Ciriaco De Mita. Di lui -che riconosceva come
maestro Ugo La Malfa- scriver Scalfari: De Mita ha una cultura liberale, e non cattolico-popolare.

E l'unico leader dc ad avere affermato: Ho sempre pensato che la religiosit appartiene alla coscienza
singola. Bodrato dir di lui: Ha un'intelligenza crociana, sottovaluta i fenomeni sociali e l'importanza del
consenso, considera la politica come un contrasto fra i vertici.

De Mita sal alla ribalta intervenendo alla Camera il 14 marzo 1966, allorch chiese di puntare tutto su
una politica di adeguamento delle istituzioni come modo per garantire l'evoluzione politica e propose al
Pci una convergenza sulle riforme istituzionali per la creazione di nuove regole.

Era un vero e proprio proclama bipolarista. L'obiettivo dichiarato di De Mita: La vittoria storica della Dc
coincider con la vittoria elettorale del Pci (non a caso il laico Arrigo Levi, ammiratore di De Mita ha
scritto soddisfatto: De Mita non ama la Dc).

Scalfari, il grande sponsor del politico irpino, scriver: L'amicizia con De Mita nasce soprattutto su un
suo progetto positivo: quello di laicizzare al massimo la Democrazia cristiana, affrancandola dal vecchio
moderatismo, di scardinare il doroteismo. Insomma un partito borghese moderno, un partito
repubblicano di massa.

Ma come, perch e con quali sponsor questo politico, prima del tutto isolato nella Dc, ed a lei estraneo
culturalmente, ha potuto diventarne il padrone assoluto e incontrastato?

L'anno nero

La conferenza di Portorico del 1976 d l'Italia sull'orlo del baratro. La catastrofe economica sembra
imminente.

Incombe la disoccupazione (il numero degli occupati uguale a quello del 1960), l'inflazione arriva al
20%, comincia a farsi sentire il terrorismo. Per di pi a maggio si verifica un catastrofico terremoto in
Friuli, dopo qualche mese il disastro di Seveso (che viene strumentalizzato subito dall'Espresso per
lanciare una campagna di legalizzazione dell'aborto).

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Alle elezioni poi il Pci supera il 30%, per la prima volta nella storia d'Italia.

Kissinger chiede, in Italia l'avvento di facce nuove. Guido Carli, gi governatore della Banca d'Italia,
che si appresta ad essere designato da Agnelli suo successore alla presidenza della Confindustria,
chiede gi il 25 maggio, l'associazione del Pci alla conduzione politica del Paese.

Agnelli dichiara a Panorama che la Dc con il 38% non pu continuare a pretendere 1'80% del potere.

Umberto Agnelli e Amendola -sotto gli auspici de Il Mulino- concordano sulla necessit che il grande
capitale e le forze di sinistra svolgano una lotta comune contro le rendite parassitarie. Questa idea,
chiamata patto fra produttori, torner spesso negli anni successivi. E' un sofisticato tentativo della
borghesia liberal per un accordo diretto con il Pci per scavalcare totalmente (e delegittimare) la
rappresentanza dei partiti.

Per questo la Confindustria di Agnelli e Carli parrebbe intenzionata a scendere direttamente in campo per
costituire il polo borghese, riconoscendo al Pci il ruolo antagonista. Il golpe bipolare si delinea in una
storica intervista rilasciata da Agnelli a La Repubblica, alla vigilia delle elezioni del '76: Il potere politico
stava diventando sempre pi inefficiente e arrogante... Si parlato e scritto molto dell'arroganza del
potere. Credo che sia un fenomeno degenerativo quasi inevitabile quando il sistema non consente
alternative. E il sistema italiano non ha consentito alternative... E' un dato di fatto. Ma altrettanto un dato
di fatto che ad un certo punto c' stata una degenerazione ed il potere diventato arrogante.
Personalmente detesto l'arroganza (27.4.76).

Umberto Agnelli sottopone alla Confindustria il progetto di una entrata in politica, non gi con un illecito
sconfinamento nel campo dei partiti, ma con un incessante contributo d'idee....

La borghesia liberal sta dunque pensando di entrare direttamente in scena facendo un suo partito.
Giorgio Galli scrive: La borghesia faccia il suo partito e trovi finalmente un suo strumento politico. E
Massimo Riva, poi parlamentare della Sinistra indipendente, scrive sul Corriere della Sera di Ottone:
Confindustria facciamone un partito (7.9.75).

Alla fine si decide di giocare un'altra carta. Colonizzare il Pci portandolo su posizioni liberal (per questo
nasce nel '76 La Repubblica di Scalfari e Caracciolo, il cognato di Agnelli). E comprarsi la Dc (come fosse
in svendita) per farne un partito repubblicano di massa: i due poli.

Cos matura la candidatura di Umberto Agnelli nella Dc: Sar difficile eppure l'unica cosa che si pu
tentare cambiare la Dc. Si scatena un grande putiferio, con le elezioni del 20 giugno. Il Corriere della
Sera titola: Un Agnelli vuol rifondare la Dc. E Giovanni Galloni, leader della corrente di Base, afferma:
(questa candidatura) segnala la ripresa dell'antica vocazione della Dc come forza popolare.

I risultati del 20 giugno 1976 portano il Pci al 33,8% (la Dc al 38,9%). Ci sono dunque le condizioni per
realizzare quel patto fra produttori che assesterebbe un brutto colpo al sistema dei partiti. E la sua forma
non pu essere che quella di un accordo fra una Dc agnelliana e un Pci scalfarizzato. I giochi
sembrano ormai fatti. A far saltare il piano saranno Moro e Andreotti.

Andreotti il guastafeste

Moro, che la mente della Dc (e presidente del Consiglio in carica), capisce a questo punto che un
qualche coinvolgimento del Pci inevitabile. Del resto si tratta di uscire dal terribile incubo della
bancarotta e del crollo dell'economia nazionale. Ma Moro un cattolico buono (come lo definir Paolo
VI) e un vero democristiano. Pochi mesi prima, quando tutta la stampa liberal voleva linciare sulle
piazze la Dc per il caso Lockheed (criminalizzando Gui, che invece risult poi innocente) fu proprio lui,
Moro, con tutta la sua autorit morale, che in un memorabile discorso alla Camera prese le difese di Gui
e -con grande energia- del suo partito (non ci faremo processare nelle piazze...). (E degno di nota che,
in quel caso, chi non approv Moro fu Ciriaco De Mita).

Dunque Moro, in quel 1976, intu il pericolo mortale, per la Dc e per tutto il sistema dei partiti, se si fosse
realizzato il progetto liberal. Perci, nella sorpresa generale, egli sceglie Giulio Andreotti (che neanche
faceva parte della maggioranza del partito).

Evidentemente, per Moro, era l'unico che potesse tentare un approccio con il Pci senza schiacciare tutti
gli altri partiti e senza trasformare la Dc in un partito repubblicano di massa. Infatti Andreotti vara un
governo con l'astensione del Pci, ma senza nessun compromesso ideologico: Una forte dose di
pragmatismo antiemergenza ha scritto Andreotti ma con una precisa impostazione sui punti fermi della

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nostra collocazione internazionale: l'Alleanza atlantica e la Comunit europea. Se vi fossero dubbi in
proposito avrei restituito senza esitazioni il mandato.

Cos in tre anni di governo (con varie soluzioni) -dall'agosto '76 al giugno '79- l'Italia esce dal novero dei
Paesi destinati allo sfascio. Il presidente Andreotti annota sul suo diario i risultati: la bilancia dei
pagamenti da -2.300 a +5.000 miliardi di lire; la riserva valutaria da -1.000 miliardi a +15.549 miliardi di
lire; gli scioperi ridotti da 286 a 154 miliardi di ore; risparmio postale da 3.000 a 5.000 miliardi di lire e
quello bancario da 52.000 a 90.000 miliardi e l'inflazione dal 23% all'11,6% (novembre '78). Nel biennio
79-80 si ha in Italia un record d'investimenti e la crescita del Pnl inferiore solo a quella giapponese. Si
usciva dunque dal tunnel.

Purtroppo -osserva Andreotti nel 1981- la rottura di questa intesa di solidariet aveva fatto riprendere il
cammino inverso a quello al quale si era protesi (inflazione sotto il 10%) ed oggi siamo di nuovo
gradualmente arrivati ad un livello allarmante.

Il superpartito contro Andreotti

Appena varato il governo, il 4 settembre '76, L'Espresso di Scalfari esce con una copertina che promette
rivelazioni clamorose: il nuovo presidente Andreotti il fantomatico Antelope Cobbler del caso
Lockheed.

Mi domando -annota Andreotti nel Diario- se si tratta solo di una mascalzonata giornalistica o se dietro ci
sia una manovra per ottenere la caduta del governo....

Fatto sta che quei documenti, di provenienza americana, sono cos grossolanamente artefatti che la cosa
cade nel ridicolo (si noti che L'Espresso li ha soffiati a La Stampa che era anch'essa interessata
all'acquisto: sono gli stessi mesi in cui il giornale di Agnelli pubblica in esclusiva la notizia -anch'essa
spacciata per americana- di finanziamenti Cia a Cl!).

Comunque la sequenza e la provenienza degli attacchi impressionante. Dopo L'Espresso, il 13 ottobre


il momento di Guido Carli, il 18 ottobre La Malfa e Amendola, il 18 novembre Umberto Agnelli (che, con
un convegno all'Hilton, fonda nella Dc la sua corrente liberal e tecnocratica), il 20 novembre Fanfani e
Visentini, e poi sempre e comunque, La Repubblica...

E' emblematico che proprio i teorici del patto fra produttori attacchino il governo (anche facendo leva sugli
istinti anticomunisti della Dc moderata): evidentemente i guastafeste sono Moro e Andreotti, che sono
riusciti a far saltare il progetto laicista di scardinamento del sistema dei partiti, tenendo insieme una
coalizione di partiti cos diversi, per realizzare i provvedimenti urgenti richiesti dall'emergenza. Per il
Superpartito liberal era uno scacco gravissimo.

Nel frattempo arriva poi un altro guastafeste. Il Psi, nell'estate del '76, ridotto al fantasma di se stesso (il
9%). De Martino teorizza addirittura il suicidio politico del partito. Per questo Scalfari sponsorizzava
Giolitti, per la successione. Ma invece spunta Bettino Craxi, il tedesco del Psi (dice subito La
Repubblica). E' il giovane leader di una corrente dal nome significativo: Autonomia socialista. Insomma
un uomo di partito che vuol garantire la sopravvivenza del partito piuttosto che i piani delle lobby. Per i
liberal, che avevano assegnato al Psi il ruolo di mosca cocchiera del Pci, un vero disastro. Craxi non ci
sta, ed infatti si annuncia subito sparando a zero su Marx (contro cui rispolvera addirittura Proudhon).
Viva l'Italia diventa il suo programma. Proprio l'Italia viva e creativa disprezzata dai liberal: quella
Craxi vorrebbe rappresentare.

Gli amerikani nella Dc

Ma chi sono dunque i liberal che dentro la Dc si oppongono ad Andreotti, soffiando sul fuoco
dell'anticomunismo? Nel '77 riescono addirittura a coinvolgere certi ambienti d'Oltreoceano. Ad un
convegno negli Usa, con Enzo Bettiza interviene Massimo De Carolis che denunzia tanto il
machiavellismo di Moro e la realpolitik di Andreotti quanto l'ideologia baciapile di Comunione e
liberazione... Moro e Andreotti cercano di congelare la dialettica interna al partito, perch non credono
che forze nuove possano emergere.

De Carolis era un tecnocrate liberal, ma anticomunista (il suo nome comparve nell'elenco degli iscritti alla
P2 e lui sment. Peraltro fin dai primi documenti politici della loggia di Gelli l'avversario sempre
individuato nella minaccia del Pci e dei clericali...).

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Fino al 1980 le varie aree tecnocratiche si trovano coalizzate contro Moro e Andreotti. Nel 1980, dopo la
sconfitta di Andreotti, l'Italia in mano ai potentati economici e finanziari (i partiti sono impotenti e
sconfitti): si prepara il grande scontro interno al Palazzo, fra le varie fazioni...

Il caso Moro

Tuttavia ci che rese possibile questa vittoria stata la puntuale eliminazione di Moro da parte delle Br.
Il 1978 era cominciato con il solito tiro incrociato contro Andreotti. Da una parte il Pci, ben istigato, che
spingeva per entrare nel governo. Dall'altra, nella Dc, Rossi di Montelera (gruppo De Carolis) raccoglie
firme contro questa ipotesi e Donat-Cattin, in una intervista a La Repubblica, minacciava catastrofi per
quell'eventualit.

Tengono bordone -annota Andreotti- anche l'Avvenire, la Civilt Cattolica e l'Osservatore (ma quello della
domenica). Scrive ancora Andreotti: Qualche tentativo di bloccare il nostro difficile iter arriva perfino a
rivolgersi al Papa. La risposta secca: 'Ma quali garanzie hanno pi di Andreotti? Lo lascino lavorare'.

L'11 gennaio il capogruppo del Pci dice che se cade Andreotti verr La Malfa. Tre giorni dopo La Malfa in
una intervista indica Fanfani come il pi consapevole della situazione di emergenza e propone per tutti
i partiti (Pci compreso) un patto sociale come quello dei laburisti in Inghilterra. Il 22 gennaio anche
Amendola (avamposto liberal nel Pci) attacca Andreotti.

Ma Moro impone di nuovo il suo nome, e su Andreotti (oltre al solito Scalfari) spara adesso anche la
Confindustria (Carli il 22 febbraio su La Repubblica e Savona su Panorama del 28 febbraio).

E alla riunione dei gruppi parlamentari, il 28 febbraio '78, che Moro pronuncia il suo ultimo discorso, il suo
testamento politico. E' una difesa decisa del lavoro fatto con Andreotti contro l'attacco scatenato dal
gruppo dei Cento.

La Repubblica del 25 febbraio '78 sponsorizza questo gruppo che si apprestava a dar battaglia: E'
evidente l'incontro fra le loro idee e quelle neoliberiste di Guido Carli, quelle sul ruolo dell'impresa
sviluppate da Agnelli, quelle che animano le nuove leve imprenditoriali.

Come poi accadr al Congresso del 1980 costoro attaccano il governo Andreotti in apparenza
proponendo un ritorno al pentapartito (e quindi solleticando i moderati nella Dc), ma in realt con il
proposito di ridurre la scena al bipolarismo Dc/Pci.

Infatti proprio in quei giorni di febbraio del '78, un loro nume tutelare, Umberto Agnelli, dichiarer: Dopo
dovremo trovare una formula che differenzi molto la maggioranza dalla minoranza... Io non escluderei
che un partito (il Pci) che ha il 35% dell'elettorato possa essere una reale alternativa in Italia... Cos sia
pure nella profonda differenza fra noi e loro quella alternativa ci sar.

Ma in quel febbraio '78, per il Superpartito, Moro stava davvero diventando un ostacolo storico. Scalfari
cerca di istigare il Pci: Perci il momento di concludere arrivato per tutti. La strategia di Moro e della
Dc chiarissima: la carota della maggioranza e il bastone di un programma di parte. E' venuto il tempo di
rompere questo gioco (24.2.78).

Varato il nuovo governo Andreotti, dove il Pci fa parte della maggioranza, Moro diventa il naturale
successore di Leone alla presidenza della Repubblica. E per il Superpartito liberal una prospettiva
disastrosa.

Cos proprio per il 16 marzo, il giorno in cui il nuovo governo Andreotti/Moro doveva presentarsi alle
Camere, La Repubblica esce con una sparata tanto assurda quanto clamorosa: Moro sarebbe Antelope
Cobbler (la stessa sparata de L'Espresso contro Andreotti, nel '76).

Un tragico destino vuole che proprio quella stessa mattina le Br realizzino il pi radicale e perverso
attacco alla democrazia italiana: rapito Moro e uccisi gli uomini della scorta. La Repubblica viene
precipitosamente ritirata dalle edicole. La conclusione di questo dramma che sconvolge il Paese la
uccisione di Moro. Mille sono state le ipotesi su retroscena, protagonisti, coinvolgimenti, mandanti...

Il 20 settembre '78 sul Diario di Andreotti si legge: A New York una scritta: Moro = Andreotti segnalata
dai Servizi ai nostri. Il Sismi mi dice anche che fonte degna di fede anticipa attentati delle Br contro me e
Craxi.

Oggettivamente le Br, eliminando Moro, hanno fatto il gioco del Superpartito liberal. Del resto anche per i

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brigatisti rossi e neri il primo obiettivo era l'abbattimento del sistema dei partiti.

Uno strano testamento

Poi il 14 ottobre accade uno strano episodio (oggi dimenticato). Eugenio Scalfari da mesi stava istigando
il Pci contro Andreotti. Cos quel giorno esce La Repubblica con una rivelazione che lascia di sasso tutti
gli ambienti politici. Scalfari afferma di essere il depositario di una sorta di testamento morale e politico
che Moro gli avrebbe affidato il 18 febbraio 1978 con la raccomandazione di tacere, almeno per il
momento.

Come e perch Moro abbia deciso di confidarsi proprio con il suo pi acerrimo accusatore, Scalfari non lo
spiega (al tempo del processo alla Dc intentato dai liberal per il caso Lockheed, Scalfari aveva scritto:
Per tutte queste ragioni, onorevole Moro, lei ha cessato da tempo, per quanto mi riguarda, di essere
moralmente credibile).

Scalfari dice che dopo aver mantenuto la consegna del silenzio fino a quel momento se continuassi a
tenere per me quei pensieri e quelle parole mi sembrerebbe un tradimento. E' singolare che Scalfari
sfoderi questo sorprendente documento proprio alla vigilia di un dibattito parlamentare sul caso Moro, e
soprattutto alla vigilia di una importante verifica del presidente del Consiglio Andreotti con il Pci.

Ecco infatti le dichiarazioni postume di Moro: Il Pci pu fin d'ora essere associato al governo -avrebbe
detto a Scalfari- insieme a noi e alle altre forze democratiche. Questo possibile. Questo anzi
necessario... Di una cosa possiamo essere certi: non c' pi sicuro alleato del Pci per una politica di
distensione internazionale... e dopo la fase dell'emergenza si aprir quella dell'alternanza... Non affatto
un bene che il mio partito sia il pilastro essenziale di sostegno della democrazia italiana. Noi governiamo
da 30 anni questo Paese. Lo governiamo in stato di necessit perch non c' mai stata la possibilit di un
ricambio... Resta il fatto che la nostra democrazia zoppa fino a quando lo stato di necessit durer.

Era una vera bomba. Perch qui Moro si rivelava un bipolarista accanito proprio nei giorni (febbraio
'78) in cui tutta la stampa liberal -a partire da La Repubblica- lo accusava del contrario perch stava
tessendo fra i partiti la tela dell'accordo.

Peccato che Moro, essendo morto, non ha mai potuto n confermare n smentire le rivelazioni
scalfariane. D'altronde quelle espressioni non facevano parte del levigato lessico moroteo, mentre
emanano un deciso sapore scalfariano. Il bersaglio di quella intervista postuma era chiaramente
Andreotti, che veniva cos messo in difficolt con i comunisti.

D'altra parte restano delle perplessit inquietanti su questo episodio. Perch mai, ad esempio, solo sei
giorni dopo il presunto misterioso colloquio, che sarebbe avvenuto il 18 febbraio, Scalfari accusava
pesantemente Moro come se non avesse mai parlato con lui? (scriveva: Il momento di concludere
arrivato per tutti. La strategia di Moro e della Dc chiarissima: la carota della maggioranza e il bastone di
un programma di parte. E' venuto il tempo di rompere questo gioco). Claudio Mauri, in un suo libro
dedicato al pi temuto giornalista italiano (Il Cittadino Scalfari, editore Sugarco) pubblica anche due
articoli di Moro scritti esattamente nei giorni del presunto colloquio con Scalfari (e poi apparsi su Il Giorno
e L'Unit) in cui Moro sostiene l'esatto contrario.

Ma c' un altro sorprendente particolare che lascia di stucco. Scalfari, pubblicando l'intervista postuma il
14 ottobre '78 dice che il colloquio risale appunto al 18 febbraio e spiega: Non ci vedevamo da quando
nella primavera del '68.... Dieci anni dunque. Ma qualcosa non torna (quel 18 febbraio fra l'altro era il
giorno in cui mor la mamma di Scalfari). Proprio il 4 febbraio del '78, lo stesso Scalfari, sul suo giornale,
presentando una conversazione con Moro scrive: Qualche settimana fa l'ho incontrato, dopo un lungo
periodo di tempo....

Inutile poi dire che il contenuto di questa conversazione pubblicata con Moro ancora vivo, non contiene
nessuna delle clamorose affermazioni della confessione postuma. Ma piuttosto la vera grande intuizione
di Moro: Ho sempre avuto l'angoscia dei margini troppo stretti dell'area democratica.... Un'idea
esattasnente opposta a quella bipolare, l'idea della valorizzazione di tutti i partiti (che gi anni prima
aveva portato al centrosinistra).

"... certamente la P2 aveva tra i suoi scopi il far fuori la DC di Zaccagnini e di Moro..." (Tina Anselmi,
presidente della commissione parlamentare d'inchiesta sulla loggia massonica P2. Intervista rilasciata a
Panorama.

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"Tutti gli uomini chiave che dirigevano le operazioni di polizia giudiziaria nel rapimento Moro erano della
P2". Trasmissione Rai 2 Il testimone, mercoled 13 aprile 1988.

Ma dunque come si spiegano queste dimenticanze di Scalfari? Non si spiegano. Non a caso tutti i
partiti (soprattutto il Pci) accolgono le rivelazioni di Scalfari -che dovevano scatenare il finimondo- con
diffidenza e disagio. Nessuno volle parlarne. E Scalfari si guardato bene dal chiarire tutti gli inquietanti
interrogativi...

Si pu solo osservare che quelle dichiarazioni sembravano calibrate apposta per mettere in crisi il
governo Andreotti. E poi Scalfari arrivato a sostenere -nell'ultimo libro (La sera andavamo in via Veneto,
edizioni Mondadori, pag. 246)- che nel '77-'78 sia Moro che Andreotti aspiravano al Quirinale e dunque
che la sparizione di Moro sarebbe stata un terno al lotto per Andreotti. In verit i fatti dicono l'esatto
contrario: la sparizione di Moro fu ci che permise la sconfitta di Andreotti, e la vittoria del capitale laicista.
Del resto il libro di Scalfari contiene un altro elemento strano: un brano di quella intervista postuma. Ma
quel brano nell'intervista postuma del 14 ottobre '78 non c'!

Scalfari, infatti, riporta nel libro questa presunta citazione: Sono contrario al compromesso storico
vagheggiato da Berlinguer. I nostri sono due partiti alternativi e tali debbono restare. Ma la ricostruzione
dello Stato in termini moderni non pu che essere fatta insieme. La societ italiana non reggerebbe al
trauma di un'operazione di cos enorme portata se entrambe le due grandi forze popolari non fossero
associate all'impresa. Dopo, ciascuno riprender la sua strada. Io non mi dispero affatto che la Dc per
alcuni anni possa stare all'opposizione. Anzi me lo auguro, perch la Dc deve rigenerarsi.

Se l'intervista postuma del 14.10.78 sembrava fatta a puntino per dare addosso ad Andreotti, queste
dichiarazioni, pubblicate da Scalfari in un libro dell'85-'86 (facendo finta di averle gi pubblicate), sono
identiche a ci che, proprio fra l'85 e l'86, De Mita andava dicendo ai quattro venti, per mettere in difficolt
il governo Craxi: ovvero riforme istituzionali con il Pci (la ricostruzione dello Stato in termini moderni...)
e poi alternanza bipolare fra Dc e Pci (con gli altri partiti come mosche cocchiere di questa o quello).

16 marzo 1978. In via Fani un commando delle Brigate Rosse rapisce Aldo Moro. Il 9 maggio il cadavere
del presidente della DC verr fatto ritrovare in via Caetani. Nel febbraio di quell'anno Eugenio Scalfari
scriveva: "La strategia di Moro e della DC chiarissima, la carota della maggioranza e il bastone di un
programma di parte. E' venuto il momento di rompere questo gioco".

Fatto sta che, scomparso Moro, l'istigazione di Scalfari verso il Pci ebbe finalmente successo: Dal '79 in
poi racconta Scalfari la questione morale ha preso il posto del compromesso storico nell strategia
berlingueriana. Quella stata secondo me la svolta ti fondo, nella evoluzione del Pci... In questi dieci
anni conclude il nostro gruppo di opinione e soprattutto le testate giornalistiche che lo rappresentano,
La Repubblica, L'Espresso e Panorama, ha adempiuto egregiamente, per la sua parte, al ruolo di
'laicizzare' la chiesa comunista.

E' un brano rivelatore. Il grande cavallo di battaglia proprio lo spauracchio dello scandalismo: la
questione morale viene da loro contrabbandata come la degenerazione del sistema dei partiti, che va
dunque riforrnata. (Ma lungi da loro per esempio l'idea di 'moralizzare' la finanza o la Grande Industria).
Il tam tam si far assordante verso il 1980 grazie anche ai giornali del gruppo Rizzoli (controllato da
Gelli): la via d'uscita che questi indicavano doveva essere una sorta di golpe istituzionale che portasse al
governo dei tecnici (cos Visentini sul Corriere), o alla Repubblica presidenziale (il programma della P2),
tappe intermedie verso la costruzione del bipartitismo perfetto. (Il governo degli onesti vagheggiato dal
Pci con la svolta di Salerno d la misura del dominio ideologico che i liberal esercitavano sul Pci
dell'ultimo Berlinguer).

Nella primavera del '79 infatti -quando il Pci abbandona il governo Andreotti- si concentra la svolta.

La massoneria all'opera

Il 30 marzo '79 in Senato viene bocciato l'estremo tentativo di Andreotti (sarebbe il 5 governo), ma ci
che ha pi colpito gli ascoltatori secondo il cronista de La Repubblica stata l'assoluta differenza di
tono e di impostazione fra il discorso pronunciato dal capogruppo dei senatori dc, il fanfaniano
Bartolomei, e quello Successivo del presidente del Consiglio. Una prova palpabile della profonda frattura
che oggi percorre tutta la Dc.

Il 12 giugno, Giampaolo Pansa intervista uno stretto collaboratore di Zaccagnini. Non ne fa il nome,
perch costui va gi diro: C' un disegno che parte da lontano -spiega- e con due l'obbiettivi: quello

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immediato far fuori la segreteria Zaccagnini. Poi verr il tentativo pi grosso, distruggere la Dc come
partito popolare per trasformarla in un raggruppamento laico moderato....

Una congiura insomma -chiede Pansa- e di chi? Tanto per cominciare autorevoli personaggi del grande
capitale: per esempio, Umberto Agnelli. Poi la massoneria. Quindi certi palazzinari. E poi ancora Eugenio
Cefis... Si, proprio lui! E' stato in attivit per tutta la campagna elettorale a favore dei Cento, dei bisagliani,
dei fanfaniani duri, di tutti quelli che sono contro di noi. Del resto basta vedere quanto accaduto in
Confindustria prima del 3 giugno. Di solito, alla vigilia di ogni campagna, la Confindustria stabiliva di dare
dei contributi ai partiti democratici. Questa volta intervenuto Agnelli e ha detto: alt! Niente soldi alla Dc,
finanziamo solo i candidati che diciamo noi, liberali, bisagliani, destra dc (quelli che si erano opposti al
Moro-Andreotti, ndr)... Ma quello che demoralizza -prosegue l'esponente dc- il conformismo dei
giornali... Del resto la Sipra in mano ai fantasmi e Rizzoli sta con la grande destra (a quel tempo non si
sapeva ancora della P2: ma notevole registrare il concerto unanime della stampa, a partire da quella
'gelliana', per la liquidazione di Zaccagnini e Andreotti). Pochi mesi dopo, infatti, il 20 febbraio 1980, la Dc,
scaricato Andreotti, destituir anche Zaccagnini, cambiando maggioranza.

Venne eletto Piccoli solo perch poteva garantire l'unit del partito nella fase di transizione (Piccoli era
accettato anche da Zaccagnini, pi di Forlani che era stato proposto da Andreotti). Ma transizione verso
cosa?

La prospettiva -per quelle lobbies che vollero questa svolta nella Dc- era rappresentata da colui che fu
eletto vicesegretario di Piccoli, Ciriaco De Mita (non a caso, nella recente intervista a Panorama,
Andreotti sostiene che De Mita ha in mano la Dc da otto anni, cio proprio dal 1979). La stampa per
anni ha continuato a dire che il Congresso del preambolo (1980) fu una grave svolta moderata e uno stop
al rinnovamento. Ma non ha mai spiegato perch proprio da l cominci il processo che porter De Mita al
vertice della segreteria.

Non a caso proprio De Mita considera invece quel Congresso un momento in cui il rinnovamento
andato avanti... (anche se) la scelta di Piccoli pu essere apparsa contraddittoria rispetto al processo in
corso e anche se, nel 1980, vince lo schieramento contrapposto a quello guidato da Zaccagnini (cfr.
Intervista sulla Dc, a cura di Arrigo Levi, Laterza).

La segreteria Piccoli solo una fase di transizione, per preparare l'era De Mita (proprio in quei mesi del
resto Piccoli denuncer sotterranee manovre massoniche contro la Dc).

E' significativo che i due vincitori di quel Congresso, Donat Cattin (ideatore del preambolo) e Piccoli (che
ne usc segretario) siano oggi fra i pi decisi oppositori della segreteria De Mita.

Il ritorno al pentapartito, deciso al Congresso dell'80, stato infatti poi utilizzato da De Mita per affermare
il disegno bipolare. Del resto De Mita proprio nel gennaio 1980 (alla vigilia della sua elezione alla vice-
segreteria), con una serie di interviste a La Repubblica aveva rassicurato sui suoi programmi futuri i suoi
sponsor liberal: Bisogna trovare un accordo sui problemi (istituzionali) fra tutti i partiti costituzionali (cio
con il Pci, ndr). Una volta trovato l'accordo, il governo pu essere fatto o dalla Dc con i partiti laici e
socialisti, o dal Pci con i partiti laici e socialisti. Questo lascerebbe distinti i ruoli della Dc e del Pci nella
societ e preparerebbe l'alternanza ( la stessa idea di Umberto Agnelli...). In sostanza, rivisto in
prospettiva storica, tutta la maggioranza del preambolo lavor per il re di Prussia.

De Mita fu il vero architetto della strategia del 1980. Fu De Mita a convincere Piccoli a restare ancora
segretario, nell'81, perch gestisse, nel novembre, l'Assemblea degli esterni (ispirati da padre Sorge),
dove peraltro fu decisa la cancellazione delle correnti e l'elezione diretta del segretario (caldeggiata con
zelo dall'onorevole De Mita, che in forza di questa -negli anni della sua segreteria- compir un vero colpo
di mano, commissariando tutto il partito).

Finch arriva il De Mita-day salutato dall'entusiasmo di Scalfari. Quasi nessuno, dentro la Dc, si rese
conto che per la prima volta la Dc cadeva nelle mani di forze esterne alla Dc. E' stato proprio Scalfari a
raccontare a Epoca (19.12.86), compiaciuto e soddisfatto, come fin dai primi giorni dopo l'elezione, il
nuovo segretario De Mita, anche per nomine importanti, perfino per la vicesegreteria del partito
(Mazzotta) o la presidenza dell'Iri (Prodi), abbia consultato non i leader del partito, ma lui, Scalfari.

Del resto emblematico che negli stessi giorni del Congresso in cui doveva essere eletto segretario, il 5
maggio '82, De Mita si sia incontrato, in una villa attigua al palazzetto dove si svolgeva il Congresso, con
personaggi davvero sorprendenti: Carlo Caracciolo (editore de La Repubblica e de L'Espresso e cognato
di Gianni Agnelli), Flavio Carboni (inquisito per la sparizione di Roberto Calvi di cui era collaboratore,
nonch socio di Caracciolo ne La Nuova Sardegna e ne L'Espresso) e Armando Corona (il nuovo Gran

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Maestro della massoneria di Palazzo Giustiniani, la stessa che ha prima osannato e poi scaricato Licio
Gelli).

L'episodio raccontato per filo e per segno nel recentissime libro di Corona; il quale si giustificato
scrivendo che l'incontro serv per prendere un caff e scambiare brevi parole.

La svolta

Ma la vera svolta risale al '79, alla caduta di Andreotti. Il 1980 segna infatti il collasso dei partiti ed il
dilagare delle varie fazioni del potere finanziario laicista.

Il 5 ottobre '80 si verifica un episodio che al momento non fu compreso in tutta la sua portata. Il Corriere
della Sera pubblica in terza pagina una lunga intervista a tal Gelli Licio capo indiscusso della pi potente
loggia massonica denominata Propaganda 2, P2 (a Torino esisteva una loggia Propaganda 1, alla
quale come spiega Piazzesi si erano iscritti alcuni fra i personaggi pi eminenti di quella citt).

Gelli -guarda caso- nell'intervista in questione, realizzata da Maurizio Costanzo (iscritto alla P2) sul
giornale di Rizzoli, Di Bella e Tassan Din (anch'essi P2) spar a zero sui sindacati, contro lo Statuto dei
lavoratori, propose una completa revisione istituzionale, attaccando ferocemente tutti i partiti (e
dileggiando i politici) che sarebbero inetti, corrotti e meschini.

Per tutto il 1980 l'attacco ai partiti e alla politica come causa di sfacelo e corruzione cresce a dismisura.
Con il novembre 1980 la parola d'ordine assordante : questione morale.

Il Corriere della Sera (di Gelli) lancia ogni giorno dalla prima pagina clamorose denunce di corruzione dei
partiti, ma anche La Repubblica tiene il passo. (Sul fronte comunista e cattolico molti utili idioti, agitano
anch'essi la bandierina candida della questione morale).

Con il terremoto in Irpinia, il 22 novembre 1980, si scatena il pi grave attacco al sistema dei partiti,
accusati di totale inettitudine. I due giornali di Rizzoli e Scalfari riescono a portare il terremoto anche nella
Roma politica amplificando strumentalmente certe intemperanze di Pertini in visita in Irpinia (singolare,
alcuni anni dopo, questo passo di Scalfari: Pertini stato insomma un contropotere anzich il
coordinatore e il regolatore degli altri poteri... S' detto che, insieme al segretario generale Antonio
Maccanico, fossi io l'altro consigliere ascoltato dal presidente, buon suggeritore secondo alcuni, tessitore
di trame secondo altri. Naturalmente tutto radicalmente inventato).

Tenevano bordone a Pertini, Leo Valiani, Romano Prodi (attuale presidente Iri) e anche Alberto Cavallari
che arriva ad esaltare il presidenzialismo che di fatto si sarebbe realizzato con Pertini.

I1 3 dicembre il Corriere della Sera titola in prima pagina: Dc: oltre 100 deputati chiedono pulizia nel
partito. E l'articolo di Albergo Sensini, anch'egli nelle liste di Gelli (ma ha smentito) spiega che in
quell'appello compaiono alcuni peones che in piena segreteria Zaccagnini si batterono con coraggio per
spezzare le eterne oligarchie... vi compaiono poi alcuni degli hiltoniani, quelli che per una breve stagione
sognarono una Dc liberal-democratica e fecero capo a Umberto Agnelli e al gruppetto degli intellettuali
dell'Arel (Andreatta) ... quest'opera di moralizzazione un'iniziativa lodevole concludeva compiaciuto
Sensini.

Per fronteggiare l'emergenza economica e terroristica il Corriere della Sera e La Repubblica hanno un
piano, si chiama Bruno Visentini.

Per tutto il dicembre '80 un gran tam tam sulla sua proposta di un governo dei tecnici. Il 14 dicembre
ecco il Corriere in prima pagina: Per Visentini diventata soffocante la stretta dei partiti sullo Stato. Il
18 dicembre Sensini sviluppa la proposta Visentini sostenendo la necessit di un governo forte (quasi
'presidenziale'). Il 23 il Corriere dedica la prima pagina ad una intervista al leader dei liberal, al Grande
Borghese per eccellenza: Visentini: un governo di capaci con o senza tessera di partito.

In certi salotti politici comincia a prender quota la candidatura Visentini. In occasione della consegna di un
premio all'Accademia dei Lincei, secondo alcuni giornali, Visentini dice a Pertini Presidente, pensavo
che mi consegnasse qualche altra cosa e mi desse un incarico!.

La candidatura vivamente caldeggiata da Corriere e Repubblica che soffiano sul fuoco dell'emergenza
additando lo sfascio e la catastrofe imminente per colpa dei partiti. Ad alimentare questa feroce
campagna catastrofista, per tutto il 1980, si ha una spettacolare e sospetta escalation del terrorismo nero

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e rosso.

Il primo culmina nell'attentato alla stazione di Bologna, nell'agosto 1980. Il secondo nel sequestro del
giudice D'Urso, una vicenda che spaccher il Paese e far epoca. La polemica sul black-out nei confronti
dei proclami dei terroristi diventa incandescente c' in gioco la vita del magistrato. E nel caso egli venga
assassinato per il fronte della fermezza sarebbe il momento propizio per chiedere un 'governo forte'.

Sul fronte della fermezza sono schierati ovviamente con decisione, anche i liberal scalfariani (ma come si
sa con la liberazione di D'Urso si sgonfi l'armata della 'fermezza'...).

Il 1980 comunque vede venire alla luce quella convergenza tra i tre pi forti gruppi di potere: 1) la P2 di
Gelli, che controlla i giornali del gruppo Rizzoli, l'Ambrosiano con annessi e connessi, e alte sfere della
burocrazia dello Stato, dell'esercito e dei servizi segreti; 2) il gruppo Agnelli -la pi grossa concentrazione
di potere industriale e finanziario del Paese- con giornali, Confindustria, Mediobanca eccetera, 3) De
Benedetti, Caracciolo, Scalfari, con particolari agganci nella tecnostruttura di Bankitalia e altri importanti
centri finanziari. E fra 1977 e 1980 sono innumerevoli i patti, le liti, gli accordi stipulati per i comuni
interessi (vedi gli Atti della Commissione d'inchiesta sulla P2 per il patto Rizzoli-Scalfari-Caracciolo). Ma
queste tre grandi lobbies, che nel 1980 sono ormai padrone assolute della piazza, con i partiti ridotti a
fantasmi di se stessi (o 'burattini' di molti burattinai), stanno ormai per scatenare la guerra per l'egemonia.

Gelli dal Corriere, spara a zero contro i partiti

Perdente sar la fazione che non ha pi coperture internazionali, la P2, il cui Gran Maestro era stato fra i
pochi italiani invitati all'insediamento di Carter.

Si tratta di capire perch ha scritto Giorgio Galli dopo tante repliche trionfali sino all'inverno 1980, si
verifica il crollo del 17 marzo 1981 (la perquisizione della villa di Gelli ed il ritrovamento degli elenchi,
ndr)... Ancora una voltai spiega Galli la risposta va trovata negli Stati Uniti... Nel caso specifico si pu
supporre che nell'establishment statunitense vi sia preoccupazione per il traffico di armi e droga che
figura fra le altre attivit della P2.

Siano questi o altri i motivi certo che la P2 fatta fuori quando perde gli agganci Usa. Non a caso a
dare lo sfratto alla lobby di Gelli sar Spadolini, l'uomo politico italiano pi attento alle ragioni americane e
per di pi di casa nella tradizione massonica italiana.

Scrive appunto il Gran Maestro attuale, Armando Corona: Il fatto poi che quel provvedimento (lo
scioglimento della P2, ndr) fosse stato preso da un governo che, per la prima volta, era presieduto da un
laico, da un repubblicano, il segretario del partito che si richiamava storicamente al fondatore della
massoneria italiana, aveva aumentato le insinuazioni e le strumentalizzazioni.

Ma tanto lo zelo che prodigano in quell'operazione che riescono quasi a far dimenticare che si trattava
della loggia fiori all'occhiello di Palazzo Giustiniani, e non di una deviazione... Il capolavoro poi
consistito nell'essere riusciti a rovesciare sui partiti le responsabilit: si presentata la P2 come un
fenomeno di degenerazione del sistema dei partiti quando era l'esatto contrario. Craxi, i conte al bau-bau
delle fazioni vincenti, ha pi volte parlato di una guerra fra consanguinei, di un regolamento di conti nel
palazzo.

Un nuovo gruppo di potere scriveva L'Avanti reso arrogant dalla protezione giornalistica, lancia da
un'ala del Palazzo i suoi affondo contro un'altra ala dal Palazzo.

Basti vedere, del resto, dove sono finite le spoglie della fazione perdente a cominciare dall'Ambrosiano,
dal Corriere della Sera passati da una lobby all'altra ma sempre all'interno della stessa famiglia, e
senza spargimento di sangue.

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