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Funzione tutoria e gruppi verticali di bambini in et prescolare

Sperimentazione in una scuola comunale per l'infanzia di Correggio (RE)

Leonardo Angelini

1. Note critiche al modello - sezione

La sezione non lunica forma possibile di educazione e di socializzazione pluricentrica.


Questa considerazione eterodossa che alcuni di noi facevano gi da anni (e che era solo il
frutto della percezione di un disagio, anzi di un doppio disagio: del bambino e
dell'educatrice) fu chiaramente rievocata in molti di noi quando nel seminario del Settembre
'77 la dott.ssa Barbieri ci parl degli studi sulla funzione tutoria dei bambini pi grandi nei
confronti dei pi piccoli.
Allora cominci a diventar chiaro che tutta una serie di considerazioni in negativo sul
modello "sezione" poteva trovare una risposta in positivo in qualcosa che partisse dalla
funzione tutoria.

1.1 - Il disagio del bambino.


In primo luogo la programmazione educativa: la stessa osservazione nella sezione viene
impostata a partire delle esigenze di insieme di tutti i bambini, pi che dai singoli bambini.
La non individualizzazione del rapporto viene, diremmo, quasi esibita: da una giusta critica
al rapporto vischioso, ingenerante dipendenza, si giunge a propagandare una specie di
anestesia del rapporto individualizzato ed a privilegiare nettamente il pi impersonale
rapporto con la sezione. Una spia di questo modo di fare ad esempio nel fatto che quando
le due operatrici devono dividere per una qualsiasi ragione i bambini della sezione in due
gruppi lo fanno sempre in maniera improvvisata.
Proprio perch il punto di partenza questo impersonale agglomerato di bambini che la
sezione, alla non individualizzazione del rapporto si accompagna la instabilit dei punti di
riferimento: non si sa mai bene chi delle due operatrici della sezione autorizzata a parlare
con "quel" genitore; non si analizza mai perch "quell'altro" genitore preferisca parlare di pi
con una che con l'altra operatrice (contribuendo cos a consolidare stratificazioni indebite e
dannose tra le operatrici, come vedremo meglio in seguito); in molte situazioni (anche nei
Nidi) si arriva a cambiare gli abbinamenti tra le operatrici delle varie sezioni ogni anno.
Mancanza di stabilit dei punti di riferimento del bambino, rapporto non individualizzato
rendono distante il rapporto adulto-bambino instaurando nel bambino un rapporto con
l'autorit simile a quello che Mitscherlich riscontra nelle famiglie nucleari in crisi dei grandi
agglomerati urbani.
In secondo luogo il termine "programmazione" viene usato in termini molto riduttivi: quasi
sempre si intende per programmazione l'organizzazione di quell'ora e mezza circa della
mattinata che le operatrici chiamano correntemente "le attivit": cos la maggior parte della
vita quotidiana del bambino viene pericolosamente data una volta per tutte e, anche quando
viene riconsiderata in termini critici, ci che spinge le operatrici quasi sempre discende da
considerazioni che non comprendono le esigenze del bambino. Avviene cos che il disagio
del bambino nelle residue (!) 8-9 ore di sua permanenza nell'istituzione venga anch'esso
considerato come dato indiscutibile ed immutabile, cos come dati indiscutibili ed immutabili
sono considerati tutti quei momenti "residui" che vanno al di l dell'ora e mezzo di attivit.
In terzo luogo le stesse attivit, se non inducono disagio nel bambino, essendo strutturate
a partire dalla riduzione del gruppo di pari a gruppo di pari et, spesso rimangono imbrigliate
nella dimensione cronologica propria della sezione. Cos, calcando troppo la mano sulle
tappe dello sviluppo, molto probabile ipostatizzare in maniera unidimensionale le esigenze
dello sviluppo intellettivo del bambino a scapito delle esigenze di piacere del bambino
stesso, soprattutto ove si tenga conto della acriticit con cui viene vissuto spesso da parte
del collettivo tutto il "residuo" tempo di permanenza del bambino nell'istituzione.
Infine la struttura-sezione non prevede, se non incidentalmente nuove immissioni nel gruppo
di bambini nell'arco dei 3 anni. Questa pietrificazione del gruppo implica anche una
pietrificazione delle dinamiche presenti in esso per cui ad esempio il bambino che a 3 anni
si impone come leader resta tale nei due anni successivi, il gregario resta gregario, l'isolato
o il respinto stentano a trovare in una struttura cos cristallizzata punti di appoggio che
permettano loro una integrazione nel gruppo, malgrado le sollecitudini delle educatrici.
Nella pratica pedagogica delle scuole per l'infanzia che hanno come struttura di base la
sezione, si cerca di ovviare a questa indubbia rigidit attraverso l'intersezione.
In molte situazioni per l'intersezione viene intesa come grande gruppo che utilizza un
grande spazio, per lo pi scarsamente strutturato, per compiere attivit in cui tutti i bambini
dell'istituzione sono coinvolti contemporaneamente. In questo modo l'intersezione, lungi dal
proporsi come momento di comunicazione e di interscambio, diventa un momento di puro e
semplice scarico delle tensioni, di sopraffazione del pi piccolo da parte del pi grande, del
pi aggressivo sugli altri, e, parzialmente di presa di possesso o di disorientamento.
Fortunatamente a Correggio questo tipo di impostazione della attivit di intersezione stato
posto in discussione negli anni scorsi ed stato sostituito da attivit che si strutturano
intorno a piccoli gruppi di bambini di varie et con un rapporto con l'adulto molto pi
ravvicinato di quello implicito del modello precedente (ed anche a partire da queste ultime
esperienze che abbiamo impostato i gruppi verticali).

1.2 - Il disagio delle operatrici.

Anche questo di varia natura:


- In primo luogo esiste un disagio specifico, diverso da operatrice ad operatrice. C' chi in
crisi nel momento delle attivit, chi lo di pi nei vari momenti di routine e:
a) nelle attivit vi chi pi a disagio nei momenti che implicano una competenza verbale,
chi invece pi a disagio in altri momenti (drammatizzazione, o giochi di movimento o...etc.);
b) nei vari momenti di routine la non individualizzazione del rapporto e la instabilit dello
stesso implicano una pesantezza ed una lentezza nell'apprendimento delle competenze
(sarebbe meglio a dire forse dell'adattamento delle soglie personali di tolleranza al rumore)
che per alcune operatrici diventano insopportabili.
La strutturazione in sezioni cio implica: a) una non differenziazione delle competenze delle
singole operatrici nel momento delle attivit e b) un vissuto altrettanto spersonalizzato e
frustrante che per il bambino nei momenti di routine.

- In secondo luogo il lavoro di coppia, tipico della sezione, intanto associandosi all'instabilit
ed alla non individualizzazione del rapporto coi bambini implica una approssimazione,
colmata solo da particolari predisposizioni a questo genere di lavoro, nell'osservazione e
nel rapporto educativo col singolo bambino che nel medio periodo conduce alla
standardizzazione delle proposte educative. Ma, oltre che a questo gi grave pericolo,
conduce anche spesso ad un doppio handicap non solo per l'operatrice, ma anche per la
vita quotidiana del bambino nell'istituzione: e cio da una parte spinge a volte una delle due
partner (soprattutto se pi giovane, pi inesperta, pi insicura, o a contatto con una partner
pi esperta, o...etc.) a limitare progressivamente la propria attivit educativa fino a ridurla
ad una mera attivit vicaria dell'altra collega nei momenti di maggiore pesantezza del lavoro
(come in famiglia l'accudimento viene cos "vicariato" al partner pi debole che, a volte,
proprio come in famiglia, a causa della vicinanza che implicita nell'accudimento, viene
perci ad essere pi amato dai bambini, mentre la partner pi forte, proprio come in famiglia
diventa "la legge").
Dall'altra parte la coppia a volte si chiude a riccio nella sezione e mal sopporta il rapporto
col resto del collettivo che alla fine appare come la sommatoria di un insieme di coppie.

2. Lipotesi di lavoro

Lipotesi di lavoro che abbiamo fatto, in positivo, discende da un insieme di considerazioni


sulla nostra attivit, fatte all'interno dell'aggiornamento ed ordinate intorno a quattro cardini:
1) l'esperienza di intersezione fatta negli ultimi tempi nella materna "Ghidoni Vecchio" che
parte dalla formazione di piccoli gruppi verticali che svolgono attivit programmate intorno
a centri di interesse proposti dalle educatrici.
2) L'estensione del senso dato al termine "gruppo di pari" che stato da noi inteso, sulla
scorta delle indicazioni forniteci dalla dott.ssa Barbieri, come gruppo non rigidamente diviso
per fasce di et in cui possibile recuperare la funzione tutoria del bambino pi grande nei
confronti del bambino pi piccolo.
3) L'importanza di un rapporto pi stabile e pi individualizzato col bambino non solo nel
momento delle "attivit", ma anche negli altri momenti pi routinari della giornata e quindi
l'esigenza di una riconsiderazione del rapporto, fra bisogno di conoscenza e bisogno di
piacere del bambino nei vari momenti.
4) Un'analisi pi puntuale delle dinamiche di gruppo, delle gerarchie, delle comprensioni e
delle esclusioni: a livello del gruppo dei bambini cercando di individuare una forma
organizzativa che aiuti a contrastare la tendenza alla cristallizzazione di ruoli e di potere e
proponendo giochi, attivit, modi di approccio ai vari momenti della giornata del bambino
che comprendono tutto il gruppo in maniera differenziata a seconda delle competenze dei
singoli bambini.

La differenziazione delle competenze anche alla base della ristrutturazione del gruppo
degli adulti. In pi l'ipotesi della rottura della coppia, oltre che per facilitare un rapporto pi
stabile e pi affettuoso col bambino (vedi punto 3), era stata prevista per evitare il formarsi
di rapporti squilibrati (leader-gregario) e quindi permettere a ciascuna operatrice
l'acquisizione pi motivata di sempre nuove competenze.
Il modello che intendevamo mettere in discussione, la sezione, ben conosciuto da operatrici
e genitori, nell'arco dei tre anni si dispiega in questo modo:

il modello che intendevamo sperimentare questo:


Cosicch alla fine delle attivit programmate (festa di chiusura del 3 luglio) abbiamo
proposto sotto forma di gioco ai bambini delle tre sezioni una riaggregazione che era stata
attentamente preparata nel mese precedente mediante la preparazione di test sociometrici,
che si rendevano necessari laddove si consideri che la cristallizzazione dei ruoli, degli
interscambi all'interno di ogni sezione aveva ovviamente agito creando delle dinamiche la
cui scomposizione poteva comportare degli squilibri nei singoli bambini e all'interno dei
nuovi gruppi.

Abbiamo cos formato 6 gruppi: non 7 poich da una parte vi era una diminuzione del
numero dei bambini dovuta al calo estivo, dall'altra pur trovandoci di fronte alla piena
disponibilit della atelierista a fare l'esperienza, in un gruppo vi erano dei problemi di
recupero di ore straordinarie, che si cumulavano normalmente in quel periodo dell'anno, che
non permettevano la formazione di un settimo gruppo: in ogni caso la numerosit dei
bambini in ogni gruppo non ha mai superato gli 11/12 bambini.
In ogni gruppo erano presenti bambini di 3, 4 e 5 anni, distribuiti in base ai risultati dei test
sociometrici e di una lunga e laboriosa discussione con tutte le operatrici che comprendeva
anche considerazioni sull'attaccamento (e sul tipo di attaccamento) dimostrato dai bambini
verso gli adulti.

Si cercato cio: a) di evitare la compresenza di leader antagonistici nello stesso gruppo;


b) di salvaguardare preferenze fra pari non esclusive di escludenti; c) di distribuire
oculatamente ed equamente nei vari gruppi gli isolati; d) di evitare la formazione di gruppi
"sessisti"; e) di prendere in considerazione i legami vischiosi di alcuni bambini con l'adulto
a partire dalla limitatezza dell'esperienza che stavamo per fare; f) di non troncare anche
dove era possibile (e soprattutto per i pi piccoli) forme di attaccamento non particolarmente
dipendente; g) e, per i bambini che "andavano a stare" con operatrici di altre sezioni, di
ordinarli a partire da ricordi di forme di attaccamento che si erano gi manifestate nella
precedente esperienza di intersezione.

Abbiamo fissato che i gruppi fossero rigidi in ogni momento della giornata al fine di porre in
evidenza il tratto per noi pi importante in quel momento: l'estrinsecarsi della funzione
tutoria. E' chiaro, ed era chiaro a noi fin dall'inizio, che una materna che parta da gruppi
verticali non pu andare avanti per compartimenti stagni e che anzi soprattutto nelle attivit
deve prevedere il formarsi di poli di aggregazione programmati dall'adulto in modo tale da
comportare un interscambio, una diversa aggregazione dei gruppi e dei singoli bambini, ma
un'esperienza cos limitata nel tempo difficilmente avrebbe retto se non ci fosse stata una
"esasperazione" nel senso della rigidit del rapporto adulto-gruppo , dati soprattutto i
recentissimi ricordi dell'esperienza di sezione. E' per questo che proprio per sottolineare
questa rigidit abbiamo posto per ogni bimbo un contrassegno di gruppo (una fascetta di
diverso colore al braccio) ed abbiamo alimentato, nei primi giorni soprattutto, il formarsi di
una identit di gruppo in termini espliciti.

Abbiamo poi fatto un'analisi delle competenze delle singole operatrici in maniera tale da
incentrare le "attivit" dei singoli gruppi intorno ad un programma limitato che partisse dalla
valorizzazione di tali competenze (chiaramente, in una prospettiva pi ampia, tali attivit
vanno viste in maniera coordinata, all'interno di una programmazione che si articoli su
scadenze pi lunghe, e soprattutto, come dicevamo prima, rispetto a gruppi pi dinamici,
pi articolati di bambini).
Si sono cos formati:
- 2 gruppi che incentravano la loro attivit su giochi che comprendevano prioritariamente
una forma di comunicazione verbale;
- 1 gruppo sul linguaggio plastico;
- 1 gruppo sul linguaggio musicale;
- 1 gruppo sulle attivit di esplorazione;
- 1 gruppo sulla drammatizzazione.
Questa distinzione non stata fatta tanto per determinare strettamente le attivit (la famosa
ora e mezza di attivit) dei singoli gruppi, quanto per fissare alcuni elementi distinti di
osservazione, vicini alle competenze attuali delle singole operatrici.

Ma abbiamo detto che intendevamo ampliare il concetto di programmazione estendendolo


a tutte le fasi della vita del bambino nella materna. Perci abbiamo ridefinito i tempi e gli
spazi interni ed esterni, sempre a partire dai quattro principi su riassunti.
Abbiamo cos rianalizzato i vari momenti pi routinari:
- entrata
- organizzazione del lavoro di gruppo
- (attivit)
- preparazione al pasto
- pasto
- dopo-pasto
- addormentamento
- sonno pomeridiano
- preparazione all'uscita
- uscita,
ed abbiamo concluso che:
a) in tutti i momenti andava riproposto lo schema di gruppo verticale;
b) erano esclusi per ragioni inerenti gli orari delle operatrici solo i momenti dell'entrata (che
per vedeva gi le operatrici presenti impegnate nel porre i contrassegni di gruppo ai vari
bambini), del dopo pasto e dell'uscita;
c) che nel momento del pasto era previsto un intervento delle inservienti in alcuni gruppi (ci
era dovuto non solo a presunte particolari "pesantezze" di quei gruppi, ma essenzialmente
al fatto che in un precedente lavoro fatto all'interno dell'aggiornamento sul momento del
pasto c'era stata un'ottima partecipazione delle inservienti nell'osservazione e nella
discussione;
d) che in ogni momento era compito delle operatrici osservare ed intervenire nel gruppo e
coi singoli bambini con lo stesso stile fissato per le attivit;
e) che pi in particolare nei momenti di routine era importante instaurare un rapporto
affettivo, ravvicinato, stabile col gruppo e coi singoli bambini;
f) che occorreva tener presente in ogni momento le competenze di ciascun bambino per
poterlo effettivamente comprendere, non escludere (divisione dei compiti);
g) che, come nelle attivit anche nei momenti di routine c'era da aspettarsi che sono le
competenze verbali dei singoli bambini quelle che cristallizzano i livelli di centralit e di
marginalit nel gruppo e che compito delle educatrici in ogni momento era quello di
attenuare l'influenza cristallizzante della competenza verbale, senz'altro pi influente in un
gruppo verticale che in una sezione, e di valorizzare invece le possibilit di trasmissione di
questa competenza, soprattutto da parte dell'adulto.

Una importante discussione vi stata infine sull'uso degli spazi. Il Ghidoni Vecchio una
"vecchia" struttura che si sviluppa su due piani con ambienti insufficienti rispetto al numero
dei bambini normalmente presenti (una ottantina). Il fatto che l'esperienza sia avvenuta
d'estate ha permesso il suo svolgimento non solo per la diminuzione dei bambini presenti,
ma anche per la possibilit di un uso pi intenso degli spazi esterni: il gruppo che basava la
propria attivit sull'esplorazione addirittura stato assente dalla struttura-base anche
durante il momento del pasto.

Abbiamo cos distribuito i bambini tra i due piani durante tutti i momenti della giornata, meno
quello del pasto, attribuendo a ciascun gruppo un proprio spazio definito che per non
doveva immobilizzare il gruppo, ma semplicemente favorire l'acquisizione da parte di tutti i
bambini di una propria identit, di una propria collocazione spaziale.

Durante il pasto, nell'impossibilit di portare al piano superiore le vivande, abbiamo


distribuito i singoli gruppi negli spazi inferiori utilizzando parzialmente gli spazi esterni. In
secondo luogo, in base alle osservazioni precedentemente fatte sul pasto in refettorio 1
abbiamo predisposto una modalit (per noi) nuova di approccio al pasto da parte dell'adulto:
il mangiare sedute al tavolo col proprio gruppo predisponendo una divisione dei compiti che
(con l'esclusione del primo momento dell'apparecchiare che stato ancora svolto dalle
inservienti da sole) prevedeva l'autogestione da parte del gruppo del proprio tavolo.

1
Cfr il capitolo "Dal pasto nel refettorio al pranzo in sezione", sempre nel testo Il bambino che in noi, pp.
109-114
3. Considerazioni sui risultati dellesperienza

Le considerazioni che seguono sono state fatte a partire essenzialmente dal centro del
problema: l'estrinsecarsi della funzione tutoria dei gruppi verticali, nonch l'analisi dei
momenti di crisi del rapporto bambino pi grande - bambino pi piccolo. E' quindi evidente
che alcuni lati dell'esperienza in questa esposizione rimarranno un po' in ombra: ci
riserviamo in seguito di entrare pi nel merito di taluni problemi sollevati da questa
esperienza (pensiamo ad esempio ai problemi logistici ed organizzativi).
Ma prima di enucleare punto per punto le considerazioni da noi fatte giornalmente
sull'esperienza che stavamo facendo occorre fare una doverosa specificazione: come
traspare da vari aspetti del paragrafo precedente, l'atteggiamento dell'adulto sulla funzione
tutoria, soprattutto nei primissimi giorni, stato esplicito.
Ogni operatrice, con il suo esempio e con parole appropriate, spiegava ai bambini che in
questi nuovi gruppi che per gioco venivano loro proposti ci si attendeva l'instaurarsi di
un'atmosfera di cooperazione tra pi grandi e pi piccoli.
L'esplicitazione di tale aspettativa, ha evidentemente "inquinato" i risultati dell'esperienza in
quanto che legittimamente ipotizzabile che, in una certa misura, vi sia stato un
adeguamento conformistico da parte dei pi grandi alle aspettative degli adulti, ma d'altro
canto pensiamo che questa impostazione non sia molto lontana da quella che normalmente
un adulto mette in atto o dovrebbe mettere in atto in quei momenti in cui bambini pi grandi
stanno insieme a bambini pi piccoli (vedi intersezione), altrimenti il risultato quello del
disorientamento, della presa di possesso, dalla marginalizzazione del pi debole etc., come
dicevamo prima.

3.1 La competenza verbale.


Nei due gruppi incentrati sulla proposizione e l'analisi di giochi che fossero incentrati sulla
competenza verbale abbiamo notato innanzitutto una minore distanza di quella presunta
dalle operatrici fra bambini pi grandi e bambini pi piccoli. Soprattutto quando il bambino
parla immediatamente dopo una azione la distanza fra pi grandi e pi piccoli sembra
essere minore di quella che si verifica quando il bambino parla a seguito di una evocazione
solamente verbale operata da parte dell'adulto su un avvenimento accaduto molto tempo
prima, o di una storia, etc..

Ci sembrato cio che, la competenza verbale dei bambini pi piccoli sia stimolata dalla
immediatezza e dalla concretezza di una azione che l'abbia preceduta e che, quindi, si
possa legittimamente ipotizzare che le esigenze di comprensione dei pi piccoli in un gruppo
verticale siano tanto pi tenute presenti quanto pi i giochi che presuppongono una
competenza verbale siano articolati in maniera tale che all'azione segua immediatamente
della stessa evocazione verbale da parte dell'adulto (altrimenti si va verso la non
comprensione, l'esclusione di una parte del gruppo).

In secondo luogo ci sembrato che un atteggiamento esibizionistico da parte del bambino


pi grande implichi una compressione delle capacit verbali del pi piccolo e, come
corollario di questo secondo punto, che quando l'adulto richiede al pi piccolo una esibizione
della sua competenza verbale nel gruppo verticale, la risposta spesso una chiusura a
riccio.
Il bambino pi piccolo cio ci sembra che soffra l'esibizione della competenza verbale da
parte dei pi grandi nel gruppo, che la viva come una oggettiva emarginazione dei meno
competenti (dei pi piccoli).
Un atteggiamento di stimolazione e di richiesta pi individualizzato (preceduto sempre da
una evocazione in gruppo da parte dell'adulto) fa emergere meglio la competenza verbale
del pi piccolo, non comprime la competenza del pi grande e ne inibisce gli aspetti di
esibizione che imbarazzano i pi piccoli.
E' chiaro per che la disabitudine dell'adulto a trattare gruppi verticali ha svolto in questo
caso un ruolo decisivo nel determinare solo questo tipo di uscita dai momenti di crisi.
Probabilmente il rapporto individualizzato che segue l'evocazione in gruppo non l'unica
via per superare questo senso di inadeguatezza, di esclusione del bambino pi piccolo in
queste fasi: pensiamo che l'adulto debba cercare anche di acquistare abilit di moderazione
che stimolino la comprensione di tutti anche in gruppo, ma non sappiamo in che cosa debba
consistere tale abilit dell'adulto.
Del resto tutte le operatrici concordavano nel dire che anche in sezione le attivit che sono
incentrate intorno alla competenza verbale selezionano i bambini, per cui quelli che
effettivamente seguono sono una minoranza, o in tutti i casi vi sono sempre degli esclusi:
questo anzi viene vissuto come un fatto sempre frustrante da parte delle operatrici (e
soprattutto da quelle cui piace parlare coi bambini).
In tutti i casi durante questa attivit non si mai manifestato un aiuto esplicito da parte del
pi grande nei confronti del pi piccolo nel senso che la comprensione del pi piccolo
stata sempre ed esclusivamente una preoccupazione dell'educatrice.

3.2 La drammatizzazione, la musica ed il linguaggio plastico.

In questi gruppi si notato l'instaurarsi facilmente di un clima di cooperazione tra pi grandi


e pi piccoli: c' sembrato cio, facendo il paragone con i due gruppi centrati sulla
competenza verbale (che perci, come vedremo meglio dopo, sono stati subito trasformati),
le attivit che non implicano, se non in termini complementari, la competenza verbale siano
pi adatte alla cooperazione.

La forma principale secondo la quale si manifestata tale cooperazione stata la spontanea


formazione di vari sottogruppi verticali in cui la funzione tutoria consisteva essenzialmente
nel compito che il pi grande (o i pi grandi) si attribuivano di mantenere, di prolungare
l'impegno, la coesione del sottogruppo ed a volte di differenziare le competenze al suo
interno (tu fai questo, tu quest'altro, io quest'altro ancora). Tale compito era oggettivamente,
pi che soggettivamente, delegato dall'adulto per il semplice fatto che, la divisione in
sottogruppi implicava una scansione di rapporto adulto-sottogruppo che di volta in volta
privilegiava un sottogruppo a scapito degli altri. La delega dei poteri perci non stata quasi
mai fatta in maniera diretta ed individualizzata.

Abbiamo notato anche che i pi piccoli manifestano pi facilmente la propria competenza


verbale (e quindi "si allineano" di pi sull'uso della stessa) proprio quando questa non viene
esplicitamente richiesta, ma quando connessa ad una funzione legata all'azione ed alla
cooperazione. Ci significa, a nostro avviso che non solo sembra vero quanto dicevamo
prima sul rapporto fra attivit non prevalentemente verbali ed atmosfera di cooperazione,
ma anche che proprio le attivit in cui l'aspetto verbale complementare (e non essenziale,
unico, prevalente), stimolano di pi, allenano di pi i pi piccoli nell'esercizio della propria
competenza verbale.

Un altro aspetto emerso in questi gruppi che ha sbalordito le operatrici una competenza
nell'azione da parte dei pi piccoli quasi sempre di molto superiore alle aspettative. Ci
probabilmente dovuto a due fattori: in primo luogo l'esser compresi e non esclusi o derisi,
o oppressi dai pi grandi ha spinto i pi piccoli sulla strada dell'emulazione; in secondo luogo
per pu avere influito ad ingigantire troppo il fenomeno proprio il fatto che era variato il
punto di osservazione dell'adulto, per cui determinate competenze che i bambini hanno in
un contesto pi ampio e distante come la sezione possono passare inosservate, mentre in
un contesto pi ristretto e ravvicinato possono emergere all'improvviso agli occhi dell'adulto
che perci tende a sopravvalutarle.

In questi contesti quindi si sono manifestati spesse volte episodi di aiuto esplicito e non
stimolato dall'adulto (con la precisazione che abbiamo fatto all'inizio di questo paragrafo)
dei bambini pi grandi nei confronti dei bambini pi piccoli.
- Infine vi stato un gruppo all'interno del quale il ritorno di un vecchio leader di sezione nel
gruppo (dopo alcuni giorni di assenza) ha creato delle tensioni con un nuovo leader che in
sua assenza era emerso nel nuovo gruppo.

Queste tensioni si sono manifestate attraverso lo spostamento nei momenti di crisi


dell'orientamento del gruppo dai compiti decisi in mattinata alle gare di competizione fra i
due rivali.
Non siamo stati in grado di mettere a fuoco il discorso del mascheramento delle strategie
dei singoli e soprattutto dei leader che in base alle nostre letture sociometriche ci si sarebbe
dovuti attendere
.
3.3 Il gruppo che ha svolto attivit di tipo esplorativo.

Questo gruppo ha svolto attivit fuori dalla scuola materna, usando come base di partenza
un cascinale lontano 500 mt. dall'istituzione. Qui i bambini passavano tutta la loro giornata:
qui mangiavano, qui si adattavano nella soddisfazione di tutti i loro bisogni (compresi quelli
corporali) fino all'ora del sonnellino pomeridiano, momento in cui tornavano in scuola a piedi,
come se ne erano allontanati alle h. 9,30.

In questo gruppo stato osservato il delinearsi della funzione tutoria prima di tutto durante
i momenti di spostamento ed stato notato che la funzione tutoria in questi momenti di
deambulazione appare con maggiore evidenza e pi spontaneamente.
Varia per l'atteggiamento del gruppo a seconda delle caratteristiche del luogo in cui si
cammina:
a) quando ci si sposta in luoghi che possono presentare dei pericoli (es. strada asfaltata) il
pi grande attende i pi piccoli e li aiuta spontaneamente;
b) quando ci si trova in luoghi meno soggetti alla possibilit di pericolo (es. nei campi) il pi
grande va avanti e gli altri seguono "come i pulcini seguono la chioccia".
Non stato possibile appurare per non aver mai potuto osservare dall'esterno la scena, fino
a quel punto e con quali modalit l'atteggiamento del gruppo fosse determinato
dall'atteggiamento dell'adulto in esso presente.
Anche in questo gruppo il ritorno di un leader ha messo in crisi un nuovo leader emergente
con degli effetti sul gruppo simili a quelli sopra descritti a proposito dell'altro gruppo.

E' stato notato inoltre che i bambini pi piccoli fanno una selezione dei livelli di difficolt, per
cui, oltre una certa soglia, cessano di rivolgersi al pi grande che in quel momento li guida
e si rivolgono direttamente all'adulto. Pensiamo che questa soglia sia determinata in base
alle difficolt effettive, all'esperienza precedente, al vissuto di ogni bambino (vedi diverse
paure degli animali in chi era disabituato alla permanenza in un ambiente rurale), ma anche
all'atteggiamento dell'adulto.
Anche in questo caso vi stata una sorpresa per l'educatrice coinvolta: stata da lei notata
infatti una capacit insospettata di catalogazione da parte di tutti i bambini: si trattava di
catalogare le foglie, gli animaletti, etc. che sono stati ordinati in maniera scientifica per
ampiezza, lunghezza, forma, etc., colmando addirittura le lacune sui nomi inventando l per
l nomi nuovi da dare alle foglie, agli animaletti sconosciuti.

Infine in questo gruppo come in quello della drammatizzazione stato notato un enorme
spirito di gruppo. Ora, siccome questo ultimo gruppo, come quello della drammatizzazione,
aveva una localizzazione pi precisa e distinta di quella degli altri gruppi, siamo stati portati
a pensare che il dato della spazialit sia un fattore importante nella determinazione di una
identit (non solo spaziale) del gruppo.

Ci significa che, qualora nella nuova localizzazione del Ghidoni Vecchio si scelga di
prendere questo modello di programmazione e di organizzazione pedagogico-didattica,
occorre prevedere (anche) una scansione dei vani del tutto diversa da quella che
normalmente vediamo approntata per la sezione, non solo, ma anche un tipo di materiale e
di arredo che preveda la dimensione-gruppo e non la dimensione-sezione.

3.4 Il pasto

Come abbiamo detto prima il pasto veniva effettuato a partire dal concetto di autogestione
del gruppo e di divisione dei compiti al proprio interno, da una parte, e di una maggiore
vicinanza e affettuosit dell'adulto col bambino dall'altra, per cui l'adulto sedeva al tavolo col
proprio gruppo e mangiava coi bambini, invece di accudire ai bambini in piedi e di mangiare
"in loco segreto" ed in un altro momento come accade di frequente nelle materne.

Le inservienti hanno partecipato attivamente alla elaborazione di questa modalit di pasto,


dato che erano state coinvolte nelle analisi delle osservazioni che avevamo fatto durante
l'inverno, anche se si sono dette scettiche sulla possibilit di continuare l'esperienza
d'inverno nei vecchi locali poich gli spazi esterni non possono pi essere usati in quella
stagione, come invece avevamo fatto d'estate.

Durante il pasto abbiamo notato:


- un enorme aumento della comunicazione verbale direzionata, individualizzata sia nel
gruppo dei pari, sia con l'adulto, o gli adulti (vedi inservienti) presenti. Si trattato a parere
unanime delle operatrici della formazione di un clima quasi familiare incentrato
sull'affettivit. Tale impressione confermata dai frequenti lapsus dei bambini che
chiamavano "mamma" l'operatrice presente (e "pap" lo psicologo).
- C' stata soprattutto nei primi giorni una tendenza all'emergere, all'esibirsi da parte dei
vecchi e dei nuovi leader attraverso l'uso aggressivo, prevaricatore della propria
competenza verbale. Ma in questa occasione i pi piccoli manifestavano l'accettazione di
questi atti, ridendo e ripetendo le parole pi buffe dei leader: l'atteggiamento dell'adulto
stato quello della moderazione di questi episodi e del tentativo di spostamento dell'asse
della centralit dal pi grande al pi piccolo, dalla verbalit all'azione, dall'aggressivit
all'affettivit.
- La divisione dei ruoli, mediata dall'adulto, stata accettata dai pi piccoli con palesi
manifestazioni di contentezza. Anche i pi grandi (cui erano affidati compiti pi difficili)
eseguivano tali compiti con precisione e buona disposizione.
- Evidente rispetto all'esperienza precedente (tutti nel piccolo refettorio - stile direttivo da
parte dell'adulto) la cessazione del rumore (ah!).
- Alla soddisfazione dei bambini corrisponde una soddisfazione degli adulti che, entrati in
un rapporto pi ravvicinato coi bambini, ne scorgono immediatamente l'importanza, in
generale, per il consolidamento del loro rapporto col gruppo e coi singoli.
- Vi un allungamento dei tempi del pasto: si tratta pi che di un raddoppio (dai 20-25 minuti
di prima si passa all'ora circa). Ci un segno indubbio di maggiore soddisfazione nel
mangiare (la dimensione del piacere!), infatti spariscono, con stupore quasi tutti i problemi
connessi col mangiare, spariscono i veri e propri "casi" che avevamo analizzato in
precedenza (fra l'altro concludendo che fra i "casi" e i cosiddetti "normali nel magiare" non
vi erano grosse differenze nel comportamento e che l'inadeguatezza della modalit di pasto
era un dato percepito dai pi).
- Alcuni bambini infine hanno verbalizzato la propria soddisfazione!

3.5 L'addormentamento

Anche l'addormentamento avvenuto mantenendo la scansione per gruppi. Anche qui


(dimenticavamo di dirlo prima) vi stata una discussione con le inservienti ed una
commistione dei ruoli: praticamente, con l'aiuto delle inservienti, ogni gruppo riorganizzava
gli spazi (mentre i bambini erano fuori in cortile) a partire dall'autogestione degli stessi.

A livello dell'addormentamento abbiamo notato:


- un accorciamento notevole dei tempi di addormentamento, che soprattutto per alcune
operatrici in passato erano stati vissuti in maniera angosciosamente lunga.
- Un disorientamento iniziale dei pi piccoli che noi abbiamo attribuito in primo luogo alla
nuova disposizione degli spazi e negli spazi che evidentemente ha creato dei problemi di
vero e proprio disorientamento spaziale, in secondo luogo alla non perfetta conoscenza
delle modalit di addormentamento dei singoli bambini da parte di quelle educatrici che non
avevano operato nella prima sezione durante l'anno.
Tuttavia la velocit di acquisizione da parte di queste "nuove" operatrici delle singole
modalit dei bambini piccoli loro affidati ha permesso un rapido superamento di questa
prima fase di impasse, dovuto secondo noi al fatto che operando in un universo pi piccolo
l'educatrice portata solo per questo ad una pi precisa osservazione e catalogazione delle
singole esigenze dei bambini.
- Tant' vero che tutte le educatrici hanno affermato alla fine di aver parlato molto di pi con
i singoli bambini di quanto facessero precedentemente.
Quest'aumento del rapporto individualizzato nel momento dell'addormentamento ha avuto
un duplice effetto: sul bambino come abbiamo gi visto, ma anche sull'adulto, per cui le
operatrici che avevano in passato mostrato meno adeguatezza in questo momento si sono
trovate molto pi a loro agio.
- Infine la vicinanza coi pi grandi ha spinto i pi piccoli ad autonomizzarsi di pi nella fase
della svestizione (la stessa cosa accaduta nell'unica esperienza in piscina fatta durante
questo periodo).

Alcune considerazioni finali ora, sul "ricordo" recente dei gruppi verticali negli altri momenti
della vita di quei giorni dei vari bambini.
A volte sono stati notati gruppi che spontaneamente si riformavano in cortile dopopranzo e
si organizzavano da soli in una attivit di gioco.
Quasi tutti i bambini "cercavano" le nuove educatrici.
A casa alcuni bambini sono andati a letto con la fascetta al braccio, contentissimi della
nuova esperienza.

3.6 La trasformazione dei gruppi originariamente centrati sulla competenza verbale

Dopo alcuni giorni molti bambini dei due gruppi centrati sulla competenza verbale hanno
mostrato segni di disinteresse nei confronti di una attivit che trascurava altri bisogni, altre
esigenze, altre possibilit che soprattutto nel periodo estivo si presentano al bambino.
Abbiamo deciso cos di incentrare le attivit di questi due gruppi su giochi di gruppo che
prevedessero livelli di difficolt crescenti, onde poter vedere fino a che punto i pi piccoli
fossero compresi all'interno delle attivit da parte dei pi grandi e quali giochi fossero pi
adatti ai gruppi verticali.
Abbiamo definito le difficolt a partire dal numero e dalla complessit delle regole che sono
inerenti ad ogni gioco, facendo cos una specie di graduatoria di difficolt che partendo da
"mosca cieca", "nascondino"...arrivava a giochi come "la bandiera", etc.
Abbiamo notato prima di tutto una pi sollecita partecipazione dei pi piccoli rispetto alle
attivit svolte nei giorni precedenti dai due gruppi.
Ci ha confermato le nostre ipotesi sulle attivit incentrate troppo sulla competenza verbale:
abbiamo cio riscontrato che lo stesso gruppo che stentava a comprendere il pi piccolo
nel momento che prevedeva l'uso prevalente della competenza verbale vede il pi piccolo
in posizione meno marginale quando la attivit si sposta sollecitando altri tipi di competenze.
In secondo luogo abbiamo notato una tendenza da parte dei pi grandi ad escludere, anche
consciamente ed in maniera verbalizzata, i pi piccoli di fronte ai giochi pi difficili. Si pu
avanzare l'ipotesi che esiste un rapporto direttamente proporzionale tra difficolt del gioco
e livelli di tolleranza della presenza dei pi piccoli in essi.

Fino ad un certo punto l'atteggiamento del pi grande di disponibilit alla spiegazione, al


prolungamento dei tempi di svolgimento del gioco. Oltre quel punto l'atteggiamento tende a
mutare radicalmente fino a diventare richiesta esplicita di allontanamento dal gioco.
Una particolare difficolt stata notata nei giochi che implicano lo spostamento, secondo
determinate regole, nello spazio di gioco: qui vi stata spesso la tendenza da parte dei pi
piccoli a "non muoversi pi" una volta "conquistata" una determinata posizione. Ci, a parere
delle educatrici, non avvenuto poich i pi piccoli non conoscevano le regole del gioco,
ma perch sembravano aver timore nell'abbandonare il posto che faticosamente, nel
rispetto delle regole del gioco, avevano conquistato.

Infine una cura particolare stata intrapresa dall'adulto in pi occasioni nei giochi che si
articolavano intorno a due gruppi in competizione: la tendenza spontanea spesso qui era
infatti lo spostamento dei due gruppi dai fini del gioco, dalla ottemperanza alle regole del
gioco, alla competizione.

Bibliografia:
- Camaioni L., Conversazione bambino-adulto e bambino-bambino: un approccio interazionale, in Camaioni
L. (a cura di), Sviluppo del linguaggio e interazione sociale, Il Mulino, Bologna 1978.
- Mantovani S., Esperienze al nido, atteggiamenti delle educatrici e sviluppo linguistico, in Mantovani S. (a
cura di), Asili nido: psicologia e pedagogia, F. Angeli, Milano 1976.
- Mitscherlich A., Verso una societ senza padre, Feltrinelli, Milano 1970.

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