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A parte ∙ Pubblicato da derridiilgambo il o៛�obre 5, 2013 ∙ Lascia un commento
L’altro ieri questo paese celebrava il lu៛�o nazionale per la morte di un numero ancora imprecisato di
migranti davanti alle proprie coste. Come se non ne morissero quasi ogni giorno e della legi៛�imità
della parola tragedia si decidesse in base a un calcolo numerico. Quale soglia numerica fa diventare
una disgrazia una tragedia? Abbiamo bisogno di una certa abbondanza ormai per commuoverci e
indignarci, per poter dichiarare, nominare, determinare, ufficializzare e istituzionalizzare il lu៛�o,
perché non si tra៛�i solo di un fa៛�o di routine che disturba appena la nostra cena.
Ma che significa un lu៛�o nazionale per la morte di un‑numero‑ancora‑imprecisato‑di‑morti –
abbondanza imprecisata, pesca di cadaveri che valuta il volume che gonfia la rete, escludendo a
priori la singolarità di quei corpi – che chiamiamo stranieri ed extracomunitari? Addiri៛�ura clandestini,
irregolari, perché non solo non sono ci៛�adini italiani, ma il loro valicare i confini nazionali implica già
un reato penale? Chi, a nome di chi e cosa, celebra per chi il lu៛�o? Lo Stato Italiano celebra il lu៛�o per la
morte di un‑numero‑ancora‑imprecisato di stranieri in fuga da nazioni lontane annegati nel tentativo
di compiere un crimine, e lo celebra in nome dei diri៛�i e della dignità umana?
Non è questa una sequenza di contraddizioni che me៛�erebbe in imbarazzo anche il più so៛�ile dei
logici?
Allora diciamoci subito che questa non è una tragedia, ma un crimine. E non tanto un crimine contro
l’Umanità, perché Umanità è proprio quell’astrazione che perme៛�e che le singole esistenze trapassino
continuamente da persone a cose, da vite che devono essere difese a vite la cui sopravvivenza è
indifferente quando non dannosa agli interessi delle prime. Ma vi៛�ime di guerra. Di quella guerra
razzista planetaria che non si giustifica con delegi៛�imate teorie razziali, ma con un impasto di
differenzialismo culturale, tutela del mercato del lavoro e invasione demografica, che nasconde la
necessità di mantenere in condizione di soggezione e dominio tre quarti del pianeta agli interessi
economici occidentali.
Commozione, sdegno, lacrime sono una pornografica sequela d’ipocrisia da parte di una classe
dirigente europea e nazionale che ha creato tu៛�e le condizioni perché centinaia di migliaia di esistenti
siano costre៛�e da più di vent’anni ad a៛�raversare deserti, sostare in prigioni illegali, venire derubati,
umiliati, picchiati e violentati, e infine a៛�raversare il mare in viaggi di giorni su barconi fatiscenti, la
cui tenuta sembra più l’eccezione che la regola, ge៛�ati in mare prima di raggiungere le coste. Per poi
cui tenuta sembra più l’eccezione che la regola, ge៛�ati in mare prima di raggiungere le coste. Per poi
finire nei lager “democratici” d’Europa, con le sole possibilità di una prigionia a tempo indefinito
(bisognerà pure identificarli), di essere rispediti al punto di partenza, o di infilarsi nelle falle dei
reticolati o della burocrazia per vivere vite da fuggiaschi.
Criminale è il Tra៛�ato di Schengen, che aprendo le frontiere interne dell’Europa, rende al tempo
stesso sempre più complicato o៛�enere visti per i per sempre ba៛�ezzati extracomunitari. Ratifica di
un’opera di comunità chiusa, dai bordi ripiegati verso l’esterno che fanno delle frontiere non luoghi
di passaggio (se non per le merci) ma muraglie di una fortezza che si pensa paranoicamente assediata
(notiamo di passaggio che questa stessa comunità ha le sue gerarchie, che chi è più ricco e forte conta
di più e comanda sugli altri: fino alla sospensione del tra៛�ato per impedire la concentrazione del
dissenso dal basso, come a Genova 2001, o alle proposte di regolamentazione della circolazione
interna quando dalla Romania, si disse, si spargevano per l’Europa criminali in cerca di legislazioni
più tolleranti verso la delinquenza).
Ancora più criminale è la legge Bossi‑Fini, che ha trasformato la migrazione in clandestinità e reato:
secondo il potenziamento parossistico della logica della ci៛�adinanza (per cui è umano e va tra៛�ato
come tale chi calca il suo suolo d’origine, secondo quel dispositivo giuridico che è l’iscrizione della
nascita nella nazione, oppure si riduce a schiavo obbediente del miracolo della piccola impresa
all’italiana o al caporalato, senza mai sme៛�ere di pagare il dazio per la sua colpa di non essere nato in
occidente); e secondo l’equazione paranoico‑securitaria migrante=clandestino=criminale (nel senso di
delinquente abituale) che alla fine degli anni ’90 fu legi៛�imata dall’intero arco parlamentare: tanto
che la prima legge anti‑migranti portava i nomi di Turco e Napolitano, legge che istituì i precursori di
questi lager che sono i CIE (Centri d’Identificazione ed Espulsione), cioè i più democratici e umanitari
CPT (Centri di Prima Accoglienza). Oggi entrambi i personaggi si scatenano a sfoggiare commozione
e strazio, lo ripetiamo, ipocriti e pornografici. Da Turco‑Napolitano a Bossi‑Fini non si è fa៛�o altro
che stabilizzare quell’equazione infame, in modo tale da rendere il migrante criminale a priori per
legge.
Ricordiamo qui anche un bel ragionamento dell’allora Ministro della Giustizia Oliviero Diliberto
(Partito dei Comunisti Italiani, lo stesso che fondò i Gom per reprimere le rivolte carcerarie, i quali
diedero poi quella leggendaria lezione di democrazia a Bolzaneto), che ci dà un bell’esempio del
modo di ragionare della sinistra istituzionale (anche più radicale): non esiste un’emergenza sicurezza,
ma noi siamo una forza popolare. E se il popolo percepisce un’emergenza sicurezza, noi dobbiamo
agire come se ci fosse. A parte il coraggio per la contorsione logica, a colpire qui è l’oscenità del
contenuto del ragionamento, il suo arrampicarsi sugli specchi per giustificare la deriva rovinosa della
cultura della sinistra italiana: l’unico modo per rendere servizio al nostro ele៛�orato, presunto come
“popolare” (il bello e puro proletariato di una volta, verrebbe da chiosare) è colpire gli stranieri, i
migranti. Tacitare cioè l’insicurezza materiale causata da una riorganizzazione socio‑economica
globale scatenando la classica guerra fra poveri. Oggi che la crisi economica è una realtà voraginosa,
tanto che la stessa parola “crisi”, ripetuta fino alla consunzione, non significa più nulla, in una
disgiunzione fra linguaggio e realtà che consegna il primo al mutismo insieme alla capacità di
pensare fuori dalla ripetizione dei medesimi discorsi pietrificati, l’equazione stessa
migrante=criminale è tanto scontata e ovvia da far digerire ogni cosa. I morti che si sono accumulati
sulle nostre spiagge negli ultimi mesi sono parte di un meccanismo normalizzato, che non
scandalizza quasi più nessuno. In questo meccanismo ognuno realizza la normalità della sua parte
assegnata, comprese le associazioni umanitarie che offrono i primi soccorsi alle vi៛�ime dei vari
naufragi.
Dunque il lu៛�o pubblico di due giorni fa, celebrato e festeggiato da una nazione che considera gli
stranieri ogge៛�i o merce avariata da scaricare in mare, è un gigantesco lavacro per un’infinita catena
di sciagurate azioni, pubbliche o privatem ma pur sempre politiche (forse anche per la mai
menzionata, come fosse svanita nell’oblio, Kater I Rades, nave albanese speronata nel ’96 da una
vede៛�a della sempre generosa Guardia di Finanza, che colò a picco insieme a 108 extracomunitari: un
numero forse non sufficiente per dichiarare il lu៛�o). Ma non illudiamoci che si tra៛�i di lavare colpe,
consce o inconsce. Si tra៛�a di presentarsi ripuliti alla legi៛�imazione di un diverso regime di discorso,
forse dal tono un po’ più umanitario, ma proprio per questo più insidioso, perché riproducente le
forse dal tono un po’ più umanitario, ma proprio per questo più insidioso, perché riproducente le
stesse logiche, gli stessi meccanismi di esclusione a priori dietro a una verniciata di buonismo. Come
al solito si sono additati scafisti e trafficanti di uomini, la Comunità Europea che ci lascia soli. Si sono
perfino additati i pescherecci che non sarebbero accorsi ad aiutare i migranti (senza sapere se abbiano
o meno visto e riconosciuto il segnale), ma si sono iscri៛�i nel registro degli indagati i pescatori che
sono accorsi per violazione della Bossi‑Fini. Si è evocata la solita vulgata neocoloniale del “aiutiamoli
nei loro paesi”, ma si è aggiunta la finzione di un’autocolpevolizzazione colle៛�iva per i mancati
interventi laddove la guerra me៛�e in fuga i disperati della terra. Più diplomazia, più interventi
umanitari o più bombe, ancora non è chiaro. Quel che è chiaro è che ancora si ba៛�e sulla distinzione
fra profughi e semplici migranti, come se a៛�raversare le frontiere richiedesse la legi៛�imazione, il
dazio, dell’orrore subito sul proprio corpo e quello di amici e parenti, della disperazione, del terrore.
Vuoi passare le frontiere europee? Fa៛�i torturare. Questa legge dell’espiazione anticipata non può
occultare, anzi potenzia, l’evidenza del paradigma umanista che separa e gerarchizza l’umano
insieme all’interezza dei viventi dietro allo specchie៛�o per le allodole delle Dichiarazioni Universali
dei Diri៛�i Umani (e dei manifesti della “coscienza animale”: d’altra parta anche i non umani vengono
“ascoltati” solo laddove la loro condizione reale supera ogni orrore immaginabile), vergate a partire
dall’idealtipo dell’Uomo Autentico: occidentale, bianco, maschio, civilizzato, razionale, ci៛�adino.
L’inclusione del resto degli umani nel Diri៛�o avviene sempre in modo gerarchico, ratificando i
rapporti di forza materiali, economici, simbolici (così come avviene per l’inclusione di alcuni non
umani, più vicini all’uomo, a៛�raverso leggi protezioniste). La differenziazione fra rifugiati e semplici
migranti è l’ennesimo taglio gerarchico che perme៛�e la tenuta dell’intero impianto di
gerarchizzazione e insieme di moltiplicarlo.
Questo meccanismo è ovviamente anche l’ideologia giustificazionista per mantenere in stato di
soggezione neocoloniale i tre quarti del pianeta, che vivano fuori o dentro le nostre frontiere, e di
saccheggiarne vite e risorse (d’altra parte la vita, nel biocapitalismo, non è risorsa umana e più in
generale biologica? A ribadirlo sono i discorsi osceni che si mostrano favorevoli a un’immigrazione
controllata come antidoto alla denatalità degli italiani autoctoni: ci vuole gente che lavori, paghi le
pensioni, incrementi il Pil di questo paese).
Le lagnose promesse della Boldrini e di Napolitano sono esemplari di questo umanismo ormai
rido៛�o a tragica pagliacciata, che trova appiglio in un’opinione pubblica a cui è stato scippato da
decenni ogni pensiero critico e ogni possibilità anche solo di concepire una politica partecipata che
immagini un mondo altro (e chi ha tentato di riappropriarsene è stato ripagato col terrore dei
manganelli e delle torture, e una volta annichilito dall’esercizio più brutale del potere riassorbito
dalle retoriche dello scontro di civiltà, della crisi, del pareggio di bilancio e dalla materialità di un
impoverimento economico che induce dovunque immiserimento sociale).
Un minimo di pensiero critico ci dovrebbe invece trascinare fuori dalle logiche istituzionali e
smontare le retoriche umaniste‑umanitarie in direzione del riconoscimento della singolarità
irripetibile di ogni esistenza che eccede le categorie dell’etnia, della cultura, della nazionalità (e della
specie). Non sarebbe allora difficile rendersi conto che il doppio registro del discorso sui migranti
(dobbiamo respingerli, ma tutelare i loro diri៛�i; benvenuto a chi rispe៛�a le regole, chi non le rispe៛�a
torni a casa sua; regoliamo i flussi, ma aiutiamoli a casa loro) è il dispositivo a៛�o a creare quella
dissonanza cognitiva che c’impedisce di riconoscere lo sfru៛�amento globale dei non occidentali al di
là e al di qua delle frontiere. Che le frontiere (interne ed esterne) sono finzioni costruite al fine di
proteggere ad oltranza l’Occidente dalla fine della sua sovranità planetaria, e non a proteggere la
democrazia, l’identità culturale (altra ridicola finzione mitica e mitopoietica, dal momento che
esistono solo passaggi e contaminazioni, e ogni presunta identità è talmente incrinata al suo interno
da frammentarsi da sé in infinite differenze e alterità), la sicurezza dei ci៛�adini (la retorica paranoico‑
securitaria che perme៛�e di governare trasformando la paura in sentimento fondamentale e primario).
Che “aiutarli a casa loro” con i prestiti delle istituzioni economiche sovranazionali e gli interventi (di
nuovo, non a caso, “umanitari”) delle Ong serve solo a perpetuare, malcelandolo, il saccheggio delle
loro risorse e della loro vita, inchiodandoli ancora di più alla loro impotenza indo៛�a, per di più
loro risorse e della loro vita, inchiodandoli ancora di più alla loro impotenza indo៛�a, per di più
indebitandoli (economicamente e simbolicamente) infinitamente verso di noi, creando così un
groviglio di dipendenze indipanabile.
Vomitare fuori le retoriche che ci avvelenano, insieme al paradigma umanista. Riconoscere che
questo pianeta è (in ogni senso) un luogo di passaggio e che non serve l’elargizione di diri៛�i da parte
di alcuno per percorrerlo in ogni direzione secondo gli infiniti desideri singolari. Che non serve
aiutare nessuno, ma solo cessare di saccheggiare, estorcere, opprimere – in genere a៛�raverso
prestanomi che ci perme៛�ono di rovesciare le “nostre” colpe su di “loro” – bombardare (anche con la
scusa di liberare – da che, se non dalla schiavitù imposta dall’occidente, e per poter imporre schiavitù
nuove e più insidiose?). Infrangere le frontiere, a partire da quella che distingue noi da loro. Per
riconoscerci come le infinite differenze di un unico mondo che è sempre un altro mondo, abitato da un
noi altri il cui accento cade sul secondo termine, che infrange il primo (tu៛�i quanti noi, altri agli altri,
altri con gli altri, senza un noi colle៛�ivo che ci sussuma e fonda). Aprendo un mondo di altri singolari
che non possono più, grazie a frontiere e confini, eludere l’incontro e la relazione. Esistenziale (ma
senza esistenzialismo, prego), etica, e politica.
Sono forse questi i primi passi per uscire dalla nostra fortezza materiale e simbolica e cominciare a
camminare per davvero, viaggiare, trasgredendo in tu៛�i sensi i confini. E cominciare a resistere, a
lo៛�are contro i crimini della guerra planetaria occidentale.
Senza più fare differenza fra specie.
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