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Capra (prima).

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Il Filarete
Collana di studi e testi

Università degli Studi di Milano


Pubblicazioni della Facoltà di Lettere e Filosofia
CXCVII

Sezione di filologia classica


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Andrea Capra

Il «Protagora» di Platone
tra eristica e commedia
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Capra, Andrea
Agon logon : il Protagora di Platone tra eristica e commedia / Andrea Capra. -
Milano, LED, 2001. - 238 p. ; 24 cm.
(Il Filarete : Pubblicazioni della Facoltà di Lettere e Filosofia
dell’Università degli Studi di Milano ; 197)
I. Capra, Andrea
1. FILOSOFIA ANTICA
2. PLATONE. PROTAGORA - STUDIO CRITICO
3. FILOLOGIA CLASSICA
ISBN 88-7916-149-0

Copyright 2001
LED - Edizioni Universitarie di Lettere Economia Diritto
Via Cervignano 4 - 20137 Milano
Catalogo: www.lededizioni.it - E-mail: led@lededizioni.it

ISBN 88-7916-149-0

I diritti di riproduzione, memorizzazione elettronica e pubblicazione


con qualsiasi mezzo analogico o digitale
(comprese le copie fotostatiche e l’inserimento in banche dati)
e i diritti di traduzione e di adattamento totale o parziale
sono riservati per tutti i paesi.

Progetto grafico della copertina: Studio Origoni Steiner


Videoimpaginazione e redazione grafica: Paola Mignanego
Stampa: Arti Grafiche Bianca & Volta
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TESTATINA FITTIZIA DA ELIMINARE 5

SOMMARIO

Presentazione 9
Premessa: Come leggere il Protagora? 13
1. Le difficoltà del Protagora e la forma dialogica (p. 13) – 2. I dialoghi
e la funzione protrettica (p. 16) – 3. Il problema della verità (p. 20) –
4. Dialoghi e persuasione (p. 23) – 5. Persuasione ed elaborazione lette-
raria (p. 28) – 6. Persuasione duplice: Platone e il suo pubblico, Socrate
e i sofisti (p. 32)

PARTE PRIMA
Commedia e Dialogo: l’autore e il destinatario
Platone ‘persuade’ il suo pubblico

I. Da un genere letterario all’altro: dialogo e commedia 37


1. Teatro e dialogo (p. 37) – 2. In casa di Callia: la commedia di un catti-
vo simposio (p. 40) – 3. Il Protagora e la commedia (p. 43) – 4. Narrazio-
ne indiretta: una distanza critica (p. 48) – 5. L’umorismo platonico (p. 52)
– 6. Lo sfondo storico: ironia dell’ambientazione (p. 54) – 7. Conclusio-
ne (p. 57)
II. Strategie comiche nel Protagora 59
1. Il Protagora e la commedia: orizzonti d’attesa (p. 59) – 2. Il cambia-
mento di scena (p. 63) – 3. La scena comica del superamento della soglia
(p. 67) – 4. L’«agone» (p. 71) – 5. Il Protagora e le Nuvole: apologia
‘dottrinale’ di Socrate (p. 76) – 6. Apologia ‘sociale’ di Socrate (p. 79) –
7. La metamorfosi: i due volti di Socrate (p. 83) – 8. Conclusioni: un gio-
co serio (p. 84)
III. Forma e contenuto 87
1. La struttura comica (p. 87) – 2. La rarefazione dell’elemento comico
(p. 91) – 3. Eristica e commedia (p. 93)
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6 SOMMARIO

PARTE SECONDA
Eristica e Dialogo: l’‘eroe’ e gli antagonisti
Socrate ‘persuade’ i sofisti

IV. Un agone di discorsi: il Protagora e l’eristica 99


1. L’agonismo del Protagora (p. 100) – 2. Criteri per un’analisi delle ar-
gomentazioni (p. 102) – 3. Quali argomentazioni? (p. 106) – 4. I risultati
dell’analisi (p. 108) – 5. Il Protagora come agone di discorsi (p. 114) –
6. La struttura dell’agone (p. 116) – 7. Alcuni problemi irrisolti (p. 120)
V. L’eristica e la missione del filosofo 123
1. Socrate erista? Il problema nella letteratura critica (p. 123) – 2. L’Apo-
logia: la missione del confutare (p. 127) – 3. La testimonianza del Sofista
(p. 128) – 4. La casa di Callia, la casa di Cefalo, la caverna (p. 131) –
5. L’eristica nella caverna (p. 135) – 6. I Topici: Protagora come interlo-
cutore «difficile» (p. 138) – 7. Conclusione: una filosofia militante (p. 143)
VI. Socrate nella caverna: perdita e riconquista
dei presupposti della dialettica 147
1. Confutazione socratica ed eristica (p. 147) – 2. Le ‘gambe’ dell’elen-
chos (p. 149) – 3. Lo smarrimento dei presupposti dell’elenchos (p. 153)
– 4. La manipolazione del consenso (p. 158) – 5. I sofisti e il giudizio del
pubblico (p. 161) – 6. L’uscita dalla caverna (p. 166) – 7. Conclusione
(p. 168)
VII. Figurazione drammatica: alla ricerca dell’unità 169
1. Gioco letterario e vicenda comica (p. 169) – 2. Esempi di prefigura-
zione drammatica (p. 171) – 3. Conclusioni (p. 173)

Appendici 179
1. Santità e giustizia (p. 180) – 2. Sapienza e saggezza (p. 182) – 3. L’in-
terpretazione socratica dell’Encomio a Scopas (p. 187) – 4. Coraggio e sa-
pienza (I) (p. 192) – 5. Bene e piacere (p. 194) – 6. La confutazione dei
«molti» (edonismo) (p. 196) – 7. Coraggio e sapienza (II) (p. 200)

Riferimenti bibliografici 205


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TESTATINA FITTIZIA DA ELIMINARE 7

«Credo abbia davvero ragione Omero» – osserva Socrate – «quando dice: ‘se
due procedono insieme, uno può vedere prima dell’altro’. In questo modo, in-
fatti, noi uomini siamo tutti un po’ più bravi nel progredire in qualunque im-
presa, discorso e ragionamento. Chi poi ‘in solitudine concepisca un pensiero’
subito se ne va in giro alla ricerca, finché non si imbatte in qualcuno cui mostra-
re quel pensiero, per svilupparlo insieme a lui».
Sono anni e anni che studio Platone, e ormai è abbastanza grande il nume-
ro dei compagni di strada in cui mi sono imbattuto: penso con affetto a tutte le
persone che mi hanno aiutato – più o meno direttamente – con amore, allegria,
idee, soldi, consigli, rimproveri, incoraggiamenti eccetera. Ad alcuni, poi, ho
anche inflitto i miei dattiloscritti: ricordo con piacere Franco Trabattoni, Lù Ri-
naldo, Mauro Bonazzi, Mauro Tulli, Michela Sassi, Nikos Charalabopoulos,
Pier Luigi Donini, Roberto Barreca, Stefano Martinelli Tempesta.
Il libro è una revisione della tesi di dottorato. Un ringraziamento duplice
– non solo per la disponibilità personale ma anche per l’impegno istituzionale –
va dunque al mio tutor Dario Del Corno, per l’affettuoso sostegno con cui mi ha
accompagnato in ogni passo della ricerca, a Luigi Lehnus, gentilissimo coordi-
natore del corso di dottorato, a Fernanda Caizzi, per il prezioso aiuto offertomi
nella revisione fino all’accoglimento del libro nella collana da lei diretta.
Ultimi ma non ultimi i miei genitori, cui dedico il libro.
A tutti grazie per l’aiuto e per la compagnia.
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8 SOMMARIO

0
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TESTATINA FITTIZIA DA ELIMINARE 9

PRESENTAZIONE

La presente ricerca si articola in due parti, che indagano, rispettivamen-


te, la comunicazione fra Platone e il destinatario e quella fra Socrate e gli
altri personaggi. Oggetto dell’indagine saranno quindi la forma letteraria
scelta per presentare il confronto fra Socrate e Protagora (Parte Prima),
il metodo dialettico impiegato dagli interlocutori del dialogo e i problemi
filosofici che rendono il confronto aspro e difficile (Parte Seconda). La
ricerca si avvale quindi di metodologie diverse: commento letterario (in-
dividuazione di spunti comici ed esame della struttura narrativa), esteti-
ca della ricezione e teoria dei generi (rapporto intertestuale fra dialogo e
commedia), analisi delle argomentazioni (il carattere eristico del con-
fronto fra Socrate e Protagora), storia delle idee (la dialettica da Prota-
gora ad Aristotele), delucidazione dei presupposti filosofici (conflitto ir-
riducibile fra l’epistemologia socratica e quella protagorea). La natura
sfuggente e l’ambiguo statuto letterario dei dialoghi platonici reclamano
una presa di posizione, anche per la straordinaria proliferazione di stra-
tegie interpretative – spesso implicite – che caratterizza l’odierno pano-
rama degli studi platonici. Senza pretese dimostrative, la Premessa di-
chiara la strategia adottata nel corso della ricerca. Il lettore poco interes-
sato alla teoria può comunque passare direttamente al capitolo primo.
La varietà di approcci interpretativi vorrebbe essere sempre funzio-
nale alla soluzione di problemi concreti e a una comprensione unitaria
del Protagora come luogo di comunicazione. Invece, il lettore non sempre
troverà un esame approfondito dei contenuti che il confronto dialettico
assume, perché il contenuto delle argomentazioni è qui studiato solo nel-
la misura in cui contribuisce a chiarire la natura e il significato del con-
flitto dialettico che oppone Socrate a Protagora. È chiaro insomma che
la prospettiva adottata non rende piena giustizia alla ricchezza del dialo-
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10 PRESENTAZIONE

go; in particolare, il mito di Protagora e la dottrina edonistica delineata


nella parte conclusiva dell’opera richiederebbero approfondimenti teo-
retici e storici che esulano dagli scopi della presente ricerca 1. Spero tut-
tavia di avere colto il motivo animatore del dialogo, che espongo qui in
povera e rapidissima sintesi.
Il Protagora nasce da un problema filosofico: l’irriducibilità della po-
sizione di Protagora alla prospettiva della dialettica platonica. La confu-
tazione socratica poggia su presupposti – il paradigma epistemologico
delle technai e, a monte, la convinzione che vi sia un ordine oggettivo fra
gli enti – che il relativista Protagora, nemico delle technai, non è dispo-
sto a concedere. Questo problema determina la difficoltà del confronto
dialettico fra Socrate e Protagora, che degenera inevitabilmente in un
conflitto eristico, governato dal consenso dei presenti; è una sterile con-
trapposizione di tesi che si rovesciano l’una nell’altra, in un duello che
incarna nel vivo dell’azione drammatica problemi cui il Teeteto dedica
un approfondito esame teoretico. Il carattere triviale e grottesco che Pla-
tone vedeva nei conflitti eristici, cui tuttavia il filosofo che torna nella ca-
verna ha il dovere di sottoporsi, reclama un trattamento comico; di qui il
ricorso a moduli caratteristici della commedia antica. L’agone eristico
diviene l’agone comico che troviamo nelle commedie di Aristofane, e il
Protagora risponde alle Nuvole: con un’inversione di ruoli, Socrate lascia
a Protagora i panni dell’antagonista sapiente e corruttore che egli stesso
vestiva nelle Nuvole, per indossare invece quelli dell’eroe comico o pro-
tagonista, per il quale il fine giustifica i mezzi (spesso un po’ spicci). I
problemi filosofici determinano dunque il metodo dialettico, che a sua
volta è responsabile dell’aspetto più vistoso del dialogo: la particolare
forma letteraria, elaboratissima e reminiscente della commedia 2. La ri-
cerca ripercorrerà questa catena causale a ritroso, cominciando proprio

1
Mi consola in parte il pensiero che proprio queste sono fra le parti più studiate
del dialogo. Per il mito di Protagora rimando in particolare agli ottimi studi di Lami
1975 e Cambiano 19912. Per un’analisi strutturale del mito, cfr. Brisson 1975; per la
contrapposizione fra l’idea di educazione che emerge dal mito e quella implicita nella tesi
edonistica, cfr. per esempio Scolnicov 1988, p. 21 ss. Per un’introduzione chiara ai pro-
blemi posti dalla tesi edonistica e alla massiccia bibliografia sull’argomento, cfr. Gian-
nantoni 1994. Ho cercato di trovare una soluzione a questi problemi in Capra 1997, un
lavoro che contiene anche una ricostruzione del background storico della dottrina edo-
nistica (Antifonte e altre posizioni della sofistica). Per un lucido esame teoretico della
dottrina edonistica, vd. per esempio le pagine dedicate al Protagora in Irwin 1977 e 1995.
2
La semplicità di questo schema è turbata dal fatto che l’adozione del punto di vi-
sta della commedia è sì determinata dalla materia rappresentata, ma permette anche a
Platone di perseguire un sottile intento apologetico attraverso il gioco intertestuale con
le Nuvole (vd. infra, II). Per dirla con Aristotele, a una causa efficiente si sovrappone
una causa finale.
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PRESENTAZIONE 11

dalla forma: nel Protagora Platone, per così dire, pensa in termini dram-
matici e teatrali.
Chiudo con un’avvertenza. La ricerca nasce direttamente dalla mia
tesi di dottorato, discussa nel gennaio 2000. Nel corso del lavoro di revi-
sione non ho ritenuto saggio inoltrarmi fino in fondo nella giungla della
più recente ricerca platonica; a eccezione di alcuni studi che ho avuto
modo di conoscere in anteprima, le segnalazioni bibliografiche non van-
no quindi oltre il 1999.
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TESTATINA FITTIZIA DA ELIMINARE 13

PREMESSA

COME LEGGERE IL «PROTAGORA»?

1. LE DIFFICOLTÀ DEL «PROTAGORA»


E LA FORMA DIALOGICA

Strane sorprese accompagnano la lettura del Protagora: un’ambientazio-


ne che richiama un’antica commedia di Eupoli, un mito raccontato da
un sofista, uno stupefacente duello esegetico intorno a un’ode di Simo-
nide, una tesi edonistica che appare estranea al pensiero platonico … di
tutto questo non c’è traccia in nessun altro dialogo di Platone 1. Inoltre,
le argomentazioni sembrano deboli se non sofistiche, e hanno spesso crea-
to imbarazzo nei lettori, che si trovano di fronte un’immagine sconcer-
tante di Socrate 2.
L’approccio a simili problemi è inevitabilmente condizionato da una
serie di assunti che ogni lettore dei dialoghi in modo più o meno consa-
pevole porta con sé. Se è vero che ogni grande pensatore genera diverse
scuole di interpretazione, nel caso di Platone il dissenso fra gli interpreti
è più radicale, «non si limita a differenze di giudizio o valutazione ma
concerne l’essenza stessa del Platonismo» 3. Come leggere uno scrittore

1
Per l’ambientazione ‘comica’, vd. in part. infra, I.2. I dialoghi di Platone abbon-
dano di miti, ma nessun altro è pronunciato da un sofista (cfr. p.e. la rassegna offerta in
Moors 1982, p. 59 ss.). Sull’argomentazione edonistica (Prot. 351b ss.) si è scritto mol-
tissimo (vd. p.e. Giannantoni 1994, con bibliografia). Non meno strana è apparsa l’ese-
gesi socratica dell’Encomio a Scopa di Simonide, interpretata per lo più come un’ironica
imitazione dei metodi sofistici (vd. infra, Appendici, 3).
2
Per il carattere ‘eristico’ dell’interrogare socratico nel Protagora, vd. infra, III,
IV e V.
3
Tigerstedt 1977, p. 13.
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14 COME LEGGERE IL «PROTAGORA»?

elusivo e proteiforme come Platone 4, che non parla mai in prima perso-
na 5, critica l’uso della scrittura, si ‘nasconde’ dietro alla mitografia, non
esita a contraddirsi e a confutare le sue proprie dottrine 6? Platone fu o-
stile all’interpretazione dei testi scritti, e la sua opposizione stroncò sul
nascere l’ermeneutica greca, che per opera dei sofisti muoveva allora i
primi passi 7; eppure, per ironia della sorte, proprio i dialoghi pongono
un problema formidabile di interpretazione, tanto che la storia dell’er-
meneutica – si pensi a Schleiermacher e Gadamer – ha trovato nell’opera
di Platone un termine di confronto fondamentale 8.
Che cos’è un dialogo platonico? Quali sono i suoi intenti? Quali i
destinatari? Queste domande, che già stimolarono i commentatori anti-
chi 9, sono tanto più attuali perché l’abitudine inveterata di leggere i dia-
loghi di Platone alla stregua di trattati è oggetto di critiche sempre più
radicali 10. Il problema è formidabile, e rischia di condurre lontano da
quella concretezza cui dovrebbe tendere un saggio di interpretazione de-
dicato a un singolo dialogo. Mi limiterò dunque ad alcune considerazio-
ni, il cui scopo principale sarà quello di chiarire con quali pregiudizi mi
accosto all’opera platonica, di offrire una rappresentazione per quanto
possibile icastica e viva dei principi che hanno guidato la ricerca 11.

4
Platone è definito polÚfwnoj da Ario Didimo (in Stob. Ecl. 55.5 ss.), uno spunto
che Annas 1999 sviluppa nell’ipotesi che «Plato might write in different ways for diffe-
rent audiences» (p. 17).
5
Se non nelle Lettere, Platone si serve della mediazione «opaca» del dialogo lette-
rario (cfr. p.e. Kahn 1981). Ciò non esclude, naturalmente, che talora Platone si rivolga
direttamente al lettore fra le righe dei dialoghi (cfr. p.e. Sedley 1995, pp. 4-8).
6
Un ottimo orientamento su questi problemi offre Merlan 1947.
7
Cfr. in proposito Most 1986.
8
Cfr. le osservazioni di Szlezák 1991, p. 24 ss. L’importanza di Platone è fonda-
mentale sia per l’ermeneutica filosofica in senso stretto, sia per l’ermeneutica filologica
(per questa distinzione, cfr. Palmer 1981). Più in generale, è anche attraverso Platone
che Heidegger, Gadamer, Leo Strauss, Derrida e altri si sono interrogati sul significato
della filosofia (oggi si parla perfino di un Platone ‘postmoderno’, qualunque cosa ciò
voglia dire; cfr. Shankman 1994 e Zuckert 1996).
9
Ecco l’incipit della E„sagwg¾ e„j toÝj Pl£twnoj dialÒgouj di Albino (IV sec. d.C.):
“Oti tù mšllonti ™nteÚxesqai to‹j Pl£twnoj dialÒgoij pros»kei prÒteron ™p…stasqai aÙtÕ
toàto, t… potš ™stin Ð di£logoj (in Hermann 1938, I, p. 147).
10
Si pensi solo agli esoterici di Tubinga, agli oralisti che, sulle orme di E. Have-
lock, inquadrano Platone nel passaggio epocale fra oralità e scrittura, o ancora ai fauto-
ri di un Platone problematico e aperto, nelle cui opere, come disse Cicerone, nihil ad-
firmatur et in utramque partem multa disseruntur (Academica, 1.46; sull’interpretazione
scettica, e le sue radici nell’Accademia di Arcesilao, cfr. p.e. Annas 1992).
11
Che si vorrebbe però ‘oggettiva’: la speranza è che gli esiti non risultino prede-
terminati, e che principi e pregiudizi agiscano piuttosto come ipotesi produttive, che la
ricerca deve mettere alla prova. Cfr. Brandt 1984, trad. it. 1998, p. 84.
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LE DIFFICOLTÀ DEL «PROTAGORA» E LA FORMA DIALOGICA 15

Secondo una graziosa e antica tradizione, in punto di morte Platone


sognò di mutarsi in un cigno, che volando e fuggendo faceva impazzire i
suoi esegeti-cacciatori 12. La storia delle interpretazioni che si muovono
lungo paradigmi ermeneutici ‘globali’ – dai Neoplatonici fino ai giorni
nostri – somiglia proprio a una caccia e costituisce un monito severo
contro l’«errore teleologico», che consiste «nel postulare l’esistenza sin
dagli inizi del tempo, per così dire, dei valori di chi scrive […] e nell’esa-
minare poi i pensieri e le azioni di chi ci ha preceduto come se essi si
muovessero, o avrebbero dovuto muoversi, nella direzione della realizza-
zione di tali valori» 13. Certo, questa considerazione è perfino benevola:
nel caso di Platone si assiste ancora oggi al dispiegarsi di vere e proprie
«strategie di appropriazione» 14 da parte di cacciatori bramosi di ghermi-
re il cigno, imbalsamarlo e infine esporlo nella bacheca dei precursori il-
lustri o alla gogna dei nemici storici. Nel Protagora, tuttavia, Platone
stesso sembra deprecare questa forma di appropriazione. La furibonda
discussione intorno al carme di Simonide offre un ironico esempio di
proiezione sul passato di concetti moderni: se il linguista Prodico, con a-
damantina sicumera, dipinge Simonide come un esperto di problemi lin-
guistici (341c), Socrate stesso, prima di bocciare come arbitraria qualun-
que pratica esegetica, non esita a fare del poeta un convinto assertore dei
propri paradossi etici (in part. 345d-e) 15.
Platone, proprio perché completamente alieno da qualunque preoc-
cupazione di fedeltà storica 16, conosceva bene l’«errore teleologico», ed
è certamente anche per questo che non compose trattati e scelse, come
scrittore, l’anonimità, ben consapevole della sorte cui vanno incontro i
documenti muti, gli scritti che presumono di comunicare conoscenze,
ma vanno poi soggetti a interpretazioni sempre diverse e mai verificabili
(cfr. Prot. 347c ss.) 17. Ci si può quindi chiedere quale statuto comunica-

12
Olympiod. In Alcib. II 1566.
13
Finley 1980, trad. it. 1981, p. 12. Si sono avvicendati nel tempo «le Platon
hégélien de Bosanquet, le Platon néo-kantien de Natorp, le Platon husserlien de Ritter,
le Platon phénoménologue de Gadamer, le Platon existentialiste de Friedländer […] le
Platon analyste de Gosling» (Lafrance 1986, p. 286). E la lista è tutt’altro che completa.
14
Berti 1989, p. 289.
15
Come osserva Sier 1998, «Die Gefahren des hermeneutischen Zirkels – in platoni-
scher Sicht das subjektive Pendant der Schriftlichkeit und Unflexibilität des Rezeptions-
objekts – werden in der Antike kaum je so entschieden problematisiert wie hier» (p. 41).
16
Se «la storiografia greca afferma se stessa attraverso il chiarimento della propria
distanza dal mito» (Canfora 1991, p. 5), per Platone, al contrario, questa distanza ten-
denzialmente non esiste. Cfr. Gaiser 1988 e Arrighetti 1991. Sull’impossibilità di trac-
ciare un confine netto fra mythos e logos in Platone, vd. Segal 1978, Murray 1999 e
Rowe 1999.
17
L’importanza ermeneutica dell’esegesi simonidea è sottolineata da Most 1995.
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16 COME LEGGERE IL «PROTAGORA»?

tivo avessero i dialoghi di Platone, nati in una temperie culturale e lette-


raria – la «teatrocrazia» ateniese (Leg. 701a) e il proliferare dei logoi so-
kratikoi – in gran parte perduta e difficile da ricostruire 18.

2. I DIALOGHI E LA FUNZIONE PROTRETTICA

Le scuole esegetiche dell’opera platonica possono essere classificate in


modi vari; diversi studiosi sono però d’accordo sul fatto che le correnti
di interpretazione si collocano da una parte o dall’altra di uno spartiac-
que fondamentale che le discrimina virtualmente tutte 19: i ‘dogmatici’ ri-
tengono di poter trarre dai dialoghi un corpus di dottrine positive e coe-
renti, almeno per grandi fasce cronologiche; gli ‘scettici’ negano questa
possibilità. In generale, se un approccio dogmatico difficilmente può
spiegare elementi importanti dei dialoghi come miti e cornice dialogica,
chi adotta un punto di vista scettico è poi costretto a minimizzare gli a-
spetti costruttivi e latamente filosofici dell’opera platonica. Che Platone
avesse un suo pensiero, e che questo traspaia in qualche misura dai dia-
loghi, è ben difficile negarlo. Il Protagora, mi pare, illustra particolar-
mente bene questa aporia: è, con il Simposio e il Fedro, il dialogo più ela-
borato dal punto di vista letterario e abbonda di discussioni, scene e de-
scrizioni che in nessun modo possono essere ridotte a una collezione di
tesi filosofiche. Al tempo stesso, però, il Protagora è la fonte principale di
conoscenza della più importante dottrina socratica, la celebre ‘unità del-
le virtù’. Per questo dialogo è dunque più che mai necessario trovare
una «terza via» 20, un filo di Arianna capace di condurre il lettore fuori
dal dilemma esegetico in cui rischia di perdersi.
Un importante punto di riferimento ho trovato nei saggi ermeneutici
di Konrad Gaiser, l’anima filologica di Tubinga 21. Nella prima delle re-
lazioni raccolte nel volume Platone come scrittore filosofico, Gaiser osser-
va che, nella storia degli studi platonici, è stata quasi sempre trascurata
l’«estetica della ricezione», ossia un approccio secondo il quale «gli scrit-

18
Cfr. infra, I e II.
19
Cfr. per esempio l’introduzione e la bibliografia in Gonzalez 1995, Corlett 1997,
oppure Tigerstedt 1977, p. 102 ss., ma vd. già Schleiermacher 1804, trad. it. 1994, p. 49.
20
Come suona il titolo di una recente collezione di studi platonici (Gonzalez 1995;
sul problema lo studioso è tornato nell’introduzione di Gonzalez 1998).
21
Egli, tuttavia, si occupò del Protagora solo in Gaiser 1959 (cfr. l’indice dei passi
commentati a p. 229). In Gaiser 1963, si trova invece solo un breve commento al mito
del Protagora. Per la posizione di Gaiser all’interno della scuola di Tubinga, cfr. de Vogel
1990, p. 78 ss.
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I DIALOGHI E LA FUNZIONE PROTRETTICA 17

ti di Platone non sono soltanto il prodotto dei suoi problemi e delle sue
conoscenze filosofiche, ma anche della sua intenzione di comunicarle e
di renderle efficaci» 22. Si sottolinea così il carattere essenzialmente pro-
trettico e stimolante dei dialoghi, opere destinate a un pubblico vasto e
a una lettura non sistematica. Secondo Gaiser, «nei primi dialoghi So-
crate discute con sofisti ed altri avversari e si rivolge ad ascoltatori inte-
ressati a problemi relativi all’educazione. Egli alletta giovani e padri che
vogliono educare bene i loro figli. Si ha quindi l’impressione che qui Pla-
tone voglia attirare l’attenzione sulla sua paideia filosofica» 23. Il Protago-
ra, che apparve a Werner Jaeger come «la lotta di due mondi opposti
per il primato nell’educazione» 24, può essere letto come una tenzone per
l’anima di Ippocrate, il giovane che Socrate cerca di strappare all’inse-
gnamento sofistico: tutto il dialogo è costruito sull’opposizione fra il mo-
dello di virtù socratica, improntato al paradigma delle technai, e l’educa-
zione protagorea, figlia della paideia tradizionale 25. Particolarmente
interessante è poi il tentativo di Gaiser di desumere dall’opera platonica
una teoria del dialogo letterario sulla scorta di alcuni passi in cui Platone
sembra alludere ai propri scritti (le ‘autotestimonianze’). La caratterizza-
zione nel Simposio dei logoi sokratikoi (ossia – dice Gaiser – dei dialoghi
stessi) come incantamento, discorso esteriormente ridicolo ma capace di
aprire sublimi profondità (221d ss.); l’affermazione contenuta nel Fedro
che lo scritto è un gioco bello e piacevole, consistente – come la poesia –
nel muqologe‹n e nel persuadere (per esempio 276b ss.); l’idea, palese
nelle Leggi, che i dialoghi filosofici siano in concorrenza con la poesia
tradizionale (811c ss.; 817b) 26: tutti questi elementi suggeriscono che
Platone vedeva nei suoi scritti qualcosa di ben diverso da un’esposizione
dottrinale 27.

22
Gaiser 1984, p. 40. Per l’applicazione ai classici di approcci di studio che privile-
giano il destinatario, cfr. il volume preparato dalla rivista «Arethusa» (Pedrick - Rabi-
nowitz 1986).
23
Ivi, p. 43.
24
Jaeger 1944, trad. it. 19983, II, p. 179.
25
A prima vista, presenta grandi difficoltà la proposta di considerare il Protagora
come un’opera protrettica, per la luce non sempre buona in cui Socrate è posto. Ma cfr.
infra, II.5-7.
26
Idea espressa in modo esplicito soltanto nelle Leggi ma, secondo Gaiser, implici-
ta anche nella precedente produzione platonica fin dallo Ione.
27
Le indicazioni di Gaiser possono poi essere integrate con l’osservazione che nel
Timeo e nel Crizia Platone si presenta implicitamente come l’erede di Solone, un poeta
che, secondo le indicazioni di Tim. 21b-d, era potenzialmente superiore a Omero ed E-
siodo. Su tutto questo, vd. Tulli 1994. Anche il tema della ™pJd» nel Carmide può es-
sere una riflessione di Platone sui dialoghi come espressione letteraria, una «poesia
nuova»: vd. Tulli 1998.
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18 COME LEGGERE IL «PROTAGORA»?

Dopo aver letto il Gorgia, un contadino di Corinto – narra un aned-


doto – si precipitò ad Atene per conoscere Platone e si fece membro del-
l’Accademia 28. Forse questa storiella, nella sua semplicità, indica come
Platone voleva fossero letti i dialoghi (in particolare quelli giovanili): essi
devono innescare quel processo di ‘conversione’ dell’anima che è l’es-
senza della filosofia, come suggerisce l’allegoria della caverna 29. Il sapere
– dice Socrate – non si trasmette come un liquido da un recipiente pieno
a uno vuoto 30, e la lettura dei dialoghi (almeno di quelli socratici) non
deve tanto comunicare una serie di dottrine, quanto favorire, anche at-
traverso il trauma dell’aporia 31, un cambiamento di vita, un nuovo b…oj;
questo è in perfetto accordo con quanto Platone dice nella VII lettera:
nel cosiddetto excursus filosofico, la filosofia è fatta consistere non in
una serie di dottrine scritte ma nel dialogo fecondo fra discepoli, che ac-
cende la scintilla della verità (344b-c) 32.
Socrate, naturalmente, è a un tempo «il maestro, il paradigma e l’in-
carnazione della propria filosofia» 33. In proposito, vorrei ricordare che
non c’è in Platone il termine «filosofia morale», ma ricorre spesso l’in-
terrogativo socratico: come bisogna vivere (pîj biwtšon)? L’unità di vita
e filosofia aiuta a capire la scelta della forma dialogica, che permette di
rendere visibili i riflessi esistenziali dei pensieri. Nei dialoghi socratici si
cercherebbe invano la nozione di metodo (mšqodoj compare solo a parti-
re dai dialoghi della maturità), perché il metodo coincide con il dialoga-
re stesso, con la confutazione socratica 34.
A proposito dei dialoghi, Mario Vegetti ha parlato di «apparato per-
suasivo», in un allestimento letterario capace di raggiungere «livelli di
complessità e di raffinatezza che sono pari soltanto alla smisurata ambi-
zione di cui è posto al servizio, e non risultano ancora pienamente esplo-
rati» 35. Se lo scopo dei dialoghi è ‘convertire’ il destinatario a una nuova
vita, uno studio letterario dei dialoghi, in particolare di quelli ‘socratici’,

28
Themistius, Or. 23.295c-d. Cfr. Diog. Laert. 2.125 (una simile esperienza è qui
attribuita a un soldato di Megara che abbandonò la milizia).
29
Cfr. tutta l’introduzione di Gordon 1999. Il libro offre tra l’altro una fenomeno-
logia della lettura dei dialoghi, per mostrare in che modo il lettore sia chiamato alla filo-
sofia.
30
Symp. 175c-d. Sulla rilevanza di questo passo rispetto alla forma dialogica del-
l’opera platonica richiama l’attenzione Sprague 1967, p. 567.
31
Vd. in proposito Rudebush 1989 (e cfr. infra, I.1).
32
E più in generale con l’idea antica di filosofia: essere filosofo significava soprat-
tutto condurre una vita particolare (cfr. p.e. Cambiano 1996).
33
Versényi 1963, p. 147.
34
Cfr. le osservazioni di Vlastos 1983. Che i dialoghi platonici costituiscano lezioni
di metodo ha sostenuto Untersteiner 1965.
35
Vegetti 1979, pp. 79-80.
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I DIALOGHI E LA FUNZIONE PROTRETTICA 19

non avrà per oggetto una questione marginale o di poco conto, ma co-
glierà il cuore dell’opera platonica 36. Questo non equivale a dire che
Platone è letterato e non filosofo, come per rinfocolare quell’«antica con-
tesa fra poesia e filosofia» di cui si parla nella Repubblica 37. Significa
piuttosto che lo studio delle strategie di comunicazione dei dialoghi è
una via d’accesso privilegiata alla loro comprensione 38, perché – come
affermava il padre dei moderni studi platonici – l’elaborazione letteraria
dei dialoghi «non mira soltanto a presentare vivacemente agli altri la
propria mente ma anche a sollecitare vivamente e ad elevare, proprio in
questo modo, la loro» 39.
Per Platone gli scritti – e dunque anche i dialoghi – sono un gioco,
una paidià (Phdr. 276d; 277c), e nella Repubblica Socrate qualifica la di-
scussione sulla politeia appunto come gioco (536c; 545e); ma come la
paidià è un elemento fondamentale della paideia (Resp. 424e, 536d ss.;
Leg. 797a ss.), così il carattere giocoso della Repubblica è in piena armo-
nia con l’importanza delle questioni trattate 40. Il nesso platonico paidià-
paideia è un antidoto contro il pericolo di sottovalutare l’impegno filoso-
fico dei dialoghi, che, alla luce di un’interpretazione in chiave letteraria,
rischiano di apparire poco più che drammi in prosa 41. Occorre, anche
nel quadro di un’interpretazione letteraria di Platone, salvarne la filoso-
fia: in fondo, non sarà un caso se il Protagora ha attirato l’attenzione di
molti filosofi 42, ed è comunemente considerato «il primo grande dialogo
filosofico di Platone» (Guido Calogero) 43.

36
Cfr. in proposito Dalfen 1989.
37
Resp. 607b: palai¦ mšn tij diafor¦ filosof…v te kaˆ poihtikÍ.
38
Cfr. Gordon 1999, p. 8.
39
Schleiermacher 1804, trad. it. 1994, p. 55 (lievemente modificata). Una stimolan-
te versione contemporanea di questo approccio è costituita dagli studi di C.H. Kahn, i
cui frutti sono ora raccolti in un’ampia monografia (Kahn 1996).
40
Cfr. Krentz 1983, p. 43. Per la connessione fra gioco ed educazione filosofica, vd.
Ardley 1967.
41
Un caso limite è stato quello di considerare il grandioso edificio della Repubblica
come uno scherzo non diverso, nella sostanza, dalle divagazioni sul comunismo sessua-
le nelle Ecclesiazuse di Aristofane. Vd. Saxonhouse 1978. Cfr. anche l’interpretazione dei
dialoghi come ‘gioco’ di Freydberg 1997 e di Fendt - Rozema 1998 (dietro al velo del gio-
co, la Repubblica sarebbe un manifesto anarchico). Le Ecclesiazuse, comunque, effettiva-
mente mostrano analogie con la Repubblica. È questo «One of the most famous puzzles in
classical Greek literature» (Murray 1947, pp. 36-38), che fra l’altro ha gettato lo scompi-
glio fra i gender studies, con un Platone ora femminista (p.e. Duvergès Blair 1996 e Ramos
Jurado 1999) ora maschilista (p.e. Buchan 1999). Vd. la raccolta di studi in Tuana 1994.
42
Gli anglosassoni tendono a vedervi un precorrimento di certe tesi di J.S. Mill e di
J. Bentham. Cfr. per esempio gli elogi di G. Grote, che fece parte dell’entourage di Mill
(Grote 1867, p. 78 ss.).
43
Calogero 1937, p. 262.
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20 COME LEGGERE IL «PROTAGORA»?

3 . IL PROBLEMA DELLA VERITÀ

Una via per ‘salvare’ Platone filosofo passa attraverso un confronto posi-
tivo con gli studi sistematici, nel tentativo di applicare quella che Gaiser
definisce «interpretazione dialettica» dei dialoghi 44. Per esempio, gli studi
di matrice analitica sono di grande utilità sia, in generale, nel momento
di isolare e chiarire i problemi proposti dal Protagora, sia per affrontare i
nodi teoretici più spinosi, come lo statuto della techne socratica. Il para-
digma delle technai è parte integrante della dialettica socratica e si pre-
senta con caratteri costanti nei dialoghi giovanili, di modo che è possibi-
le trarne un disegno coerente. La dialettica socratica, nei dialoghi giova-
nili, ha dunque come quadro di riferimento la verità (si basa cioè su pre-
supposti epistemologici tratti dalle technai), a dispetto delle moderne in-
terpretazioni scettiche e problematiche dell’opera di Platone, che trova-
no un terreno apparentemente privilegiato nei dialoghi aporetici (si po-
trebbe infatti essere tentati di credere, con Jaspers, che essi si limitino ad
affermare «la necessità di trovare il cammino» 45). Con la nozione di «in-
terpretazione dialettica» si tocca però anche il nodo più spinoso: come
dosare esegesi ‘scettica’ ed esegesi ‘dottrinaria’? Se l’interprete dialettico
di Platone vuol davvero portare la barca in salvo, la navigazione fra la
«Scilla dello scetticismo e la Cariddi del dogmatismo» 46 non può ridursi
a un compromesso fra le due contrapposte correnti interpretative.
Questo problema fu colto in tutta la sua gravità da Luigi Stefanini,
secondo il quale la filosofia platonica è un inesausto approssimarsi alla
verità (una verità oggettiva, che esiste indipendentemente dal soggetto
conoscente), continuamente condizionato dai limiti dell’uomo:
Rimane sempre una sproporzione tra la scienza umana e il suo oggetto,
col quale si stabilisce un rapporto – irriducibile a quello delle moderne
dottrine della conoscenza – che, pur non esprimendo equazione, non
ha affatto un significato agnostico: rapporto di verosimiglianza. 47

Rimane però da capire come mai i diversi elementi di verosimiglianza of-


ferti dai dialoghi siano così difformi e talora contraddittori. La verosimi-
glianza di cui parla Stefanini – se è lecito spingersi un po’ oltre i suoi in-
tendimenti – può essere interpretata così: i dialoghi sono esempi di co-
municazioni filosofiche, che recano in sé immagini simili al vero, ma
condizionate sempre dalla materia cangiante nella quale si iscrivono, os-

44
Gaiser 1984, p. 37.
45
Jaspers 1957, p. 310.
46
Tigerstedt 1977, p. 103.
47
Stefanini 1949, p. XLVII dell’introduzione.
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IL PROBLEMA DELLA VERITÀ 21

sia le anime degli interlocutori 48. Platone non vedeva una vera e propria
cesura fra la sua filosofia e quella socratica, che si era espressa nel dialo-
go quotidiano per le strade e le piazze di Atene, e anzi le ultime parole
di Socrate nel Fedone – l’enigmatico gallo dedicato ad Asclepio – rap-
presentano forse per Platone il segno di una investitura diretta da parte
del maestro 49; la formazione di Platone, inoltre, risente indubbiamente
della frattura epocale prodotta dalla sofistica, la quale, nell’affermare
una filosofia antropocentrica che ha il suo luogo naturale nel linguaggio
e nella comunicazione, aveva definitivamente messo fuori campo la pre-
tesa eleatica di una conoscenza immediata e noetica dell’essere, l’idea
che il soggetto possa abbracciare l’intelligibile con l’occhio della mente.
Si poneva dunque a Platone il problema della «sottrazione dell’intelligi-
bilità dell’essere alla sua mistica solitudine noetica», ossia di una conci-
liazione fra il logos interpersonale di Socrate e dei sofisti «non più vergo-
gnoso della sua origine antropo-linguistica» e il logos «noetico e trans-
linguistico» degli eleati 50:
Platone, convertendo l’idea socratica di una funzione meramente rego-
lativa della misura oggettiva del logos dialettico in quella di un fonda-
mento eidetico strutturale della ricerca, porrà le condizioni di quella
teoria del discorso apofantico, ontologicamente disciplinata e control-
lata, che nell’Organon aristotelico troverà la sua codificazione e giustifi-
cazione terminale. (Sainati, p. 83)
Vittorio Sainati ripercorre così il processo che, dalla concezione arcaica
secondo la quale la verità è una prerogativa degli oggetti (la verità è per
Parmenide attributo esclusivo dell’essere), conduce alla posizione tra-
mandata da Aristotele ai moderni: la verità (o la falsità) risiede nei di-
scorsi, e non nelle cose. In mezzo si trova Platone, che opera una sintesi
fra Parmenide e Protagora, e riesce così a intravedere la ‘terra promessa’
della logica aristotelica, senza tuttavia potervi entrare 51. Ma qual è la sua
reale posizione? Dove risiede per lui la verità 52?

48
Cfr. in proposito le osservazioni di H. Gundert, nella sua monografia dedicata al dia-
logo platonico (Gundert 1968, p. 28 ss.), e il modo in cui egli spiega il giudizio, apparen-
temente contraddittorio, che Socrate esprime nei confronti dei grandi retori (p. 39 ss.).
49
118a: tù ’Asklhpiù Ñfe…lomen ¢lektrÚona: ¢ll¦ ¢pÒdote kaˆ m¾ ¢mel»shte. Secon-
do Most 1993, il gallo donato ad Asclepio è il ringraziamento per la guarigione di Pla-
tone, assente per malattia dal carcere dove si consumò l’ultimo giorno della vita del mae-
stro. Socrate, con la preveggenza caratteristica dei morenti, avrebbe previsto la guari-
gione di Platone, e quest’ultimo avrebbe inteso le sue parole – riportate correttamente
sul piano letterale – come una sorta di investitura.
50
Sainati 1965.
51
Traggo la metafora da Most 1999, che se ne serve in un diverso contesto (p. 29).
52
Il problema, molto complesso, del concetto di verità in Platone è stato vagliato di
recente da Szaif 1996. Anche da uno studio degli usi di ¢lhq»j e affini e da un esame
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22 COME LEGGERE IL «PROTAGORA»?

Secondo Martin Heidegger, come è noto, Platone ha commesso il


peccato originale di voltare le spalle all’essere 53, perché ha contaminato
l’immacolata verità parmenidea con il soggettivismo socratico e sofistico,
e ha così condotto l’uomo fuori da quella specie di Eden ontologico che
Heidegger chiama per esempio, in un corso universitario dedicato a Par-
menide, «esperienza Greca dell’Essere» 54: nella Repubblica si trovereb-
bero ancora le tracce della visione arcaica della verità (che Heidegger
descrive, con una delle sue etimologie, nei termini di automanifestazione
e svelamento: ¢l»qeia = Unverborgenheit), ma proprio l’allegoria della
caverna, nel porre aletheia «sotto il giogo dell’idea» (ossia del vedere,
„de‹n, del soggetto), introdurrebbe la nuova, deleteria concezione della
verità che ha segnato il corso del pensiero occidentale 55. L’intuizione e-
timologica di Heidegger trova, pur con qualche precisazione, autorevoli
riscontri filologici 56; ma la posizione di Platone nella storia della verità è
proprio quella che il filosofo tedesco gli attribuisce 57?
Sainati e Heidegger descrivono il medesimo fenomeno da due ango-
lazioni contrapposte, ma esprimono una posizione per molti versi analo-

approfondito dei diversi problemi legati alla ¢l»qeia in Platone sembra difficile giunge-
re a conclusioni univoche.
53
Cfr. in proposito Di Giovanni 1982. L’interpretazione heideggeriana di Platone
è però un fenomeno assai controverso (questa linea interpretativa è p.e. contestata da
Bosio 1987). Oltre a ciò, la posizione di Heidegger rispetto al concetto di verità in Pla-
tone e Aristotele è mutata considerevolmente nel tempo, di modo che le osservazioni
che qui faccio non soltanto comportano una inevitabile semplificazione, ma si riferisco-
no solo agli anni immediatamente successivi alla famosa Kehre di Heidegger. In propo-
sito, si può vedere il denso e circostanziato studio di Berti 1990. La difficoltà della que-
stione è dovuta anche al fatto che non solo – quasi certamente – Heidegger fraintende
alcuni luoghi della Metafisica sui quali basa la sua interpretazione, ma alcuni altri di
questi luoghi sono tuttora controversi e di difficile lettura. Cfr. anche Doz 1990.
54
Heidegger 1982, trad. it. 1999.
55
Heidegger 1947. Nel corso su Parmenide, Heidegger riassume così la storia della
verità: «[…] l’essenza della verità […] partendo dalla ¢l»qeia e passando per la veritas
romana giunge alla adaequatio, alla rectitudo e alla iustitia medievali e dunque alla certi-
tudo dell’età moderna, cioè alla verità come certezza e validità di sicurezza» (Heidegger
1982, trad. it. 1999, p. 118). Nel corso su Parmenide emerge ancora la posizione ibrida
di Platone, da un altro punto di vista: Heidegger sostiene che i miti di Platone, mentre
inaugurano la deleteria metafisica occidentale, tuttavia conservano traccia del «pensie-
ro primordiale». Per una critica alle vistose lacune e censure che caratterizzano la storia
heideggeriana della metafisica, cfr. Cambiano 1988, in part. p. 28 ss.
56
Cfr. per esempio Heitsch 1962 e Germani 1988 (con ulteriore bibliografia).
57
Il problema è così intricato che qualcuno è giunto a vedere nei dialoghi un precor-
rimento di Heidegger, il quale però avrebbe sfortunatamente misconosciuto la propria
affinità con Platone formulando critiche dirette «not against the Plato which emerges
from a careful analysis of the dialogues, but against the Plato of the Platonists» (Wolz
1981, p. 13).
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DIALOGHI E PERSUASIONE 23

ga: per il primo l’opera di Platone rappresenta il felice travaglio da cui


nasce la logica aristotelica, per il secondo la posizione platonica è un i-
brido che annuncia un processo di decadenza e alienazione. Entrambi,
però, sembrano d’accordo su due punti: 1 fra le due concezioni della ve-
rità tertium non datur; 2 Platone è più vicino ad Aristotele, può essere in-
terpretato in prospettiva aristotelica 58. Sono questi due radicati luoghi
comuni, trasversalmente diffusi presso interpreti per altri versi ben lon-
tani fra loro. Ma se Platone riteneva che la verità potesse risiedere nei di-
scorsi, perché ha criticato tanto duramente la scrittura? Perché ha mo-
strato un così scarso interesse per la logica formale? Perché ha descritto
il pensiero come un dialogo interiore 59?

4. DIALOGHI E PERSUASIONE

Nei termini della contemporanea semiologia, la caratteristica della co-


municazione scritta (e più in generale di qualunque discorso prefissato
benché orale 60: quell’attività che Platone chiama makrologia) consiste
nel fatto «che la comunicazione è a senso unico; che non è possibile, co-
me nella conversazione, né il controllo della comprensione del destinata-
rio (feedback) né l’aggiustamento della comunicazione in rapporto con le
sue reazioni […] il destinatario non può chiedere chiarimenti all’emit-
tente, influenzare il seguito della sua emissione; anche perché l’emitten-
te, una volta perfezionato il messaggio, è di fronte ad esso nella stessa si-
tuazione di qualsiasi destinatario» 61. Sono parole che riecheggiano famo-
si luoghi platonici 62; proprio questo carattere della comunicazione ‘cri-
stallizzata’, del resto, pare cruciale per comprendere la forma dei dialo-
ghi e i modi in cui, per Platone, la verità è accessibile.

58
Cfr. Heidegger 1982, trad. it. 1999, secondo il quale in Platone e soprattutto in
Aristotele si compierebbe una trasformazione del concetto di verità. Ancora in Aristo-
tele, d’altra parte, ¢l»qeia conserva parte della sua forza, cosa che Heidegger esprime
nella maniera più chiara nell’analisi del De interpretatione. Vd. su questo l’analisi di
Bertuzzi 1991, p. 169 ss. Con il passare degli anni, tuttavia, Heidegger riconosce in
Aristotele un ruolo sempre più modesto del concetto «ontologico» di verità (cfr. Ber-
ti 1990).
59
Tht. 189e-190; Soph. 263e. Interrogativi come questi sono alla base delle ricor-
renti e ormai frequenti interpretazioni non dottrinali di Platone. Per una breve storia,
cfr. Press 1997.
60
Che la critica di Platone investa non il discorso scritto in contrapposizione a
quello orale ma il discorso fisso (orale o scritto) di contro all’oralità dialettica, mostra
per esempio Tulli 1989, pp. 19-23.
61
Segre 1985, pp. 6 e 35.
62
Per esempio Prot. 329a; Phdr. 275d-e.
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24 COME LEGGERE IL «PROTAGORA»?

Schleiermacher, in un passo illuminante della sua introduzione ai


dialoghi, affermava che tutta la filosofia e l’insegnamento di Platone so-
no sempre stati «un metodo socratico», basato sul «continuo e ininter-
rotto scambio reciproco e la più profonda penetrazione nell’animo del-
l’ascoltatore» 63. In effetti la risposta più convincente agli interrogativi e-
sposti qui sopra è contenuta nel celebre excursus filosofico della VII let-
tera. Il filosofo parla della «debolezza del linguaggio» 64: «nome» e «de-
finizione», al pari di «immagine» e «conoscenza», non sono in grado di
esprimere l’intelligibile, perché, all’anima che ne cerca l’essenza (tÕ Ôn,
tÕ t…), offrono sempre «la qualità» (tÕ poiÒn). La verità non può risiede-
re in nessuno di questi elementi, ma scaturisce piuttosto da una loro ten-
sione reciproca, in uno «sfregamento» (trib») che altro non è se non la
dialettica, il dialogo vivo fra due persone:
Quando questi singoli elementi vengono faticosamente sfregati gli uni
contro gli altri (nomi, definizioni, visioni, sensazioni), e vengono di-
scussi con domande e risposte in discussioni benevole e senza odio, ri-
luce d’un tratto comprensione e intelligenza intorno a ciascuna cosa,
chi si sforzi quanto è possibile nei limiti delle capacità umane. (344b)

Questo è il processo della umana conoscenza, e qui sta il nucleo della fi-
losofia platonica, come appare chiaro dalla ripresa – evidente in questo
passo – della famosa metafora della scintilla, che Platone adotta per de-
scrivere il raggiungimento dei vertici del sapere filosofico:
Non esiste nessun mio scritto sull’argomento; né mai esisterà. Non si
tratta assolutamente di un insegnamento esprimibile a parole (·htÒn)
come gli altri; solo dopo una lunga frequentazione (sunous…a) e convi-
venza (suzÁn) intorno alla cosa all’improvviso, come la luce che d’un
tratto s’accende da una scintilla di fuoco, nasce nell’anima e si nutre
poi di se stesso. (341c-d)

I diversi gradi di penetrazione di cui parla Schleiermacher – se posso an-


cora una volta sovrainterpretare in qualche misura le parole citate – sono
un’approssimazione alla verità, sono passi che preparano l’«incendio»
delle anime; la verità infatti non può essere espressa in quanto tale dal
discorso, e la luce che risplende nelle anime non può che essere l’adesio-
ne dell’anima a una verità che non ha il carattere di una corposa dottrina
ma «consta di piccolissime cose» (™n bracut£toij ke‹tai); è una verità
semplice che non può tuttavia essere racchiusa da alcuna formula (scrit-

63
Schleiermacher 1804, trad. it. 1994, p. 57.
64
Per il nesso fra l’excursus filosofico della VII lettera e la scelta della forma dialo-
gica, cfr. l’equilibrato saggio di Sayre 1988.
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DIALOGHI E PERSUASIONE 25

ta oppure orale), ma nasce e vive soltanto, grazie all’azione dei logoi, nel-
l’anima delle persone. Perciò si può affermare, con Kent Moors, che «Pla-
tone si sentì obbligato a scrivere dialoghi perché è soltanto attraverso
l’interazione dovuta alla discussione che l’anima dell’uomo si rende ma-
nifesta. La persuasione che così si determina è persuasione dell’anima
dell’interlocutore, della sua essenza» 65. La filosofia non può essere tra-
smessa, come le technai, da uno scritto sistematico 66. Si tratta dunque,
come ha argomentato di recente Franco Trabattoni 67, di una forma di
persuasione delle anime: il contraddittorio mondo delle apparenze trova
una spiegazione soltanto nell’ipotesi metafisica delle idee, una convinzio-
ne dell’anima preliminare a qualunque approfondimento di dottrina.
La rigida alternativa fra un Platone metafisico e dogmatico e il carat-
tere aperto della discussione socratica è superabile se si ammette che,
per i limiti della natura terrena, la verità non può essere colta diretta-
mente (ossia noeticamente: è questo un sapere che Platone attribuisce ai
soli dei) dall’uomo, ma, attraverso una continua opera di persuasione fi-
losofica (la dialettica), può riemergere, sotto forma di persuasione indivi-
duale e dunque in una forma (una luce) sempre originale e diversa, da o-
gni singola anima, che serba in sé il ricordo lontano del mondo intelligi-
bile: «l’infinita aggiornabilità del procedimento e il carattere inguaribil-
mente polivalente della teoria, cioè i motivi che sconsigliano al filosofo
di fissare per iscritto le sue dottrine, sono il prezzo che la verità deve pa-
gare quando si presenta nella storia» 68. E la «storia» è fatta di individui
che continuamente, in modo sempre nuovo, devono essere persuasi dal
filosofo, attraverso un discorso ‘erotico’, ossia personale e sempre diver-
so 69. È questa la ragione filosofica per cui Platone ha scritto dialoghi e
non trattati: sulla terra, la verità esiste solo come persuasione individua-
le, nasce nell’anima grazie alla dialettica, che aderisce alla particolare a-
nima dell’interlocutore. I dialoghi scritti sono immagini ben fatte del
processo dialettico da cui, come scintilla, scaturisce questa persuasione,
e comunicano con il lettore solo in modo indiretto, mostrandogli quali
risultati sono stati raggiunti da due o più persone che hanno preso parte

65
Moors 1978, p. 78. Buxton 1982, nel suo studio dedicato alla peiqè, giunge ad af-
fermare che i dialoghi di Platone «are nothing if not attempts to arrive at philosophical
truth by peitho, one character endeavouring to convince another and, by extension,
Plato’s audience too» (p. 150).
66
Moors 1978, pp. 78-79.
67
Vd. Trabattoni 1994, alla cui interpretazione mi rifaccio da vicino nel presente
paragrafo.
68
Ivi, p. 97.
69
Ovvero basato sulla conoscenza diretta dell’anima del discente; il filosofo infatti
– ed è questa la più importante lezione del Fedro – è al tempo stesso dialettico e retore.
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26 COME LEGGERE IL «PROTAGORA»?

a un’indagine dialettica. Della verità stessa, tuttavia, ossia di quella luce


interiore e individuale di cui parla Platone, nulla può trasparire in un
dialogo scritto.
La trasformazione epocale del concetto di verità recupera il suo a-
nello centrale: per Platone, diversamente da Parmenide ma anche da A-
ristotele, il luogo della verità non sono gli oggetti né i discorsi «immobi-
li»; la verità, grazie allo «sfregamento» dei logoi dialettici, cioè attraverso
la comunicazione amorosa fra maestro e allievo, si accende e germoglia
(riprendo le metafore – rispettivamente – della VII lettera e del Fedro)
nell’anima umana, capace così di cogliere indirettamente il vero. Non bi-
sognerà dunque pensare alla noesi parmenidea. Platone non è un «cam-
pione di contemplazioni solitarie» 70: cogliere la verità non significa apri-
re l’occhio dell’intelletto al mondo metafisico, ma persuadersi, al termi-
ne del processo dialettico interpersonale, che quel mondo esiste, è il fon-
damento del mondo sensibile e dovrebbe essere la bussola dell’agire mo-
rale 71. I dialoghi, dunque, inscenano il processo di adesione che deve
portare allo sprigionamento di una persuasione interiore, ma questa è
possibile soltanto nel dialogo vivo: il contadino di Corinto ricordato so-
pra non cercò di procurarsi altri libri di Platone, ma si precipitò senz’al-
tro ad Atene per conoscere direttamente il maestro 72.
Naturalmente, il riconoscimento del carattere persuasivo dei dialo-
ghi (nella comunicazione diretta fra Socrate e l’interlocutore e nella co-
municazione indiretta fra Platone e i lettori) non deve indurre a negare i
contenuti dottrinali delle opere di Platone; tuttavia – come afferma Ga-
damer in un contesto interpretativo in parte diverso – non bisogna mai
dimenticare che i dialoghi sono «una rappresentazione protrettica di un
particolare modo di essere del filosofare, che […] nell’attuazione rap-
presentante e rappresentata solo indirettamente comprende qualcosa di
simile a un contenuto dottrinale» 73. Dalle conversazioni inscenate nei
dialoghi, legate alla natura particolare degli interlocutori che vi prendo-
no parte, è certo possibile, come in un complicato gioco di specchi, risa-

70
Cavarero 1999, p. 327. L’autrice parla di una metafisica «in opposizione alla vo-
ce» (ibidem). Ma il ricorso platonico a metafore visive non deve ingannare. Come osser-
va Scolnicov 1990, «no sensible metaphors can fully explain non-sensible realities. Ac-
cordingly, one finds that Plato shifts his metaphors and analogies, thus forcing us to re-
cognise the insufficiency of any description of ideal realities in sensible terms» (p. 12).
71
Vd. Trabattoni 1994, in part. p. 225 ss.
72
La non conclusività delle argomentazioni e i «passi di omissione» studiati da Szle-
zák, in quest’ottica, sono un continuo avvertimento che per ogni singolo lettore è possi-
bile, attraverso un contatto diretto e personale con il filosofo, una diversa forma di per-
suasione dialettica. Vd. Trabattoni 1994.
73
Gadamer 1931, trad. it. 1983, pp. 8-9 (lievemente modificata).
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DIALOGHI E PERSUASIONE 27

lire a uno stampo, ossia ricostruire posizioni storicamente sostenute da


Platone: certe opere dottrinali, come gli studi sulla filosofia morale pla-
tonica di Terence Irwin, compiono questo lavoro con mirabile rigore 74. È
tuttavia possibile che la loro interpretazione non esaurisca la questione,
e anzi, probabilmente, non ne tocchi il cuore 75. Astraendo dal contesto
dialettico e protrettico da cui traspaiono le dottrine di Platone, costoro
ne propongono una proiezione sul piano dottrinale che, come ogni proie-
zione che pretenda di ridurre a piatta figura un corpo vivo 76, comporta
necessariamente una deformazione; ma, quel che è peggio, l’immagine che
così si ricava, al pari di una fotografia, ‘ruba l’anima’ al dialogo platoni-
co, perché gli sottrae il suo innato carattere di comunicazione individua-
le, sovrapponendogli un concetto di verità profondamente estraneo 77.
Quali siano le conseguenze di questi assunti per l’interpretazione del
Protagora, si vedrà nel corso della ricerca. Per ora basti dire che i contenuti
dottrinali del dialogo dovranno essere presi in esame soltanto in subor-
dine all’aspetto persuasivo e protrettico del dialogo. Platone, da opposte
sponde ideologiche, è stato spesso dipinto come un uomo della tradizio-
ne oligarchica rivolto al passato, che sogna una città ideale per difendere
i privilegi della sua classe dalle minacce della democrazia radicale 78. Ma
i dialoghi socratici sono piuttosto uno strumento di lotta e di trasforma-
zione del mondo 79. Le due domande fondamentali che occorre porsi sa-

74
Vd. soprattutto Irwin 1977 e 1995. Il metodo di Irwin, naturalmente, corre il ri-
schio di ogni interpretazione sistematica: larghe porzioni del testo platonico sono la-
sciate da parte, perché considerate non significative (cfr. in proposito p.e. Roochnik
1988).
75
Lo stesso Irwin, recentemente, ha mostrato una certa apertura nei confronti di
approcci ‘letterari’ a Platone. Vd. Irwin 1996, dove è recensita la monografia platonica
di R.B. Rutherford, intitolata, significativamente, The art of Plato (Rutherford 1995).
76
Gadamer 1931, trad. it. 1983, p. 10. Il primo a operare questa proiezione è stato
naturalmente proprio Aristotele, impegnato in uno smontaggio del sapere platonico
che ne salva quasi tutti i materiali ma ne tradisce quasi tutte le intenzioni. Vd. le belle
pagine di Vegetti 1979, p. 81 ss.
77
Szlezák 1999 impiega l’immagine in un diverso contesto interpretativo: il dialogo
platonico stesso è come una fotografia: «Dreidimensionales kann sie zwar abbilden, als
Bild ist sie selbst aber notwendig zweidimensional» (p. 262).
78
Nella prima metà del secolo, in una temperie engelsiana, molti studiosi marxisti
(p.e. Winspear 1940, e cfr. Tschudow 1994 sul Platone ‘sovietico’) dimenticarono –
malgrado le precisazioni di Lukács 1922 – la specificità del mondo antico, che Marx
(p.e. 1867, trad. it. 1965, p. 83 nota 33) individua nell’assenza del capitalismo e nel pri-
mato della politica, e interpretarono Platone alla luce di un incongruo conflitto di clas-
se (su tutto ciò, vd. Lanza - Vegetti 1975, Vegetti 1977, Rose 1992). È un Platone che
per certi versi ricorda il Platone reazionario caro a Leo Strauss e ai suoi allievi (su cui
vd. p.e. Burnyeat 1985 e Ferrari 1997).
79
Cfr. per esempio Sini 1994, p. 55. Nietzsche, in un suo corso universitario, addi-
rittura definì Platone un «agitatore politico, che vuole sovvertire il mondo intero e che,
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28 COME LEGGERE IL «PROTAGORA»?

ranno dunque: «In che modo Socrate cerca di persuadere Protagora?»;


«In che modo Platone cerca di convertire il lettore alla filosofia?».

5. PERSUASIONE ED ELABORAZIONE LETTERARIA

Nei dialoghi giovanili Socrate si confronta in modo diretto e talora vio-


lento con le diverse forme della cultura tradizionale e sofistica, nel tenta-
tivo di purificare le anime degli interlocutori da una paideia che Platone
riteneva esiziale 80. L’ambientazione del dialogo nel mondo corrotto del-
la polis è un aspetto fondamentale per l’interpretazione, come può forse
chiarire un’altra metafora platonica, quella del Glauco marino nella Re-
pubblica. Dopo aver sottolineato che la vita umana è breve di fronte alla
difficoltà di un logos che affronta l’immortalità dell’anima (608c), Socra-
te sviluppa un argomento volto a mostrare che l’anima è imperitura (608d-
611b) 81. Egli dice poi che questo e altri logoi costringono ad ammettere
l’immortalità dell’anima, ma rileva anche – e sembra riferirsi a tutti i lo-
goi che formano la Repubblica – che la ricerca sin qui condotta ha preso
in esame l’anima soltanto nella sua condizione terrena, mentre essa ap-
parirebbe nella sua luce vera soltanto se contemplata nella sua purezza
(kaqarÒn, 611c); Socrate dice ancora:

Ora, intorno ad essa, abbiamo detto cose vere, come nel momento pre-
sente ci sono sembrate; ma certo l’abbiamo vista in una condizione di
degrado, come quelli che, guardando il Glauco marino, non più facil-
mente ne scorgerebbero l’originaria natura, perché le antiche membra
del suo corpo in parte sono spezzate, in parte consunte e nell’insieme so-
no deturpate dai flutti, e corpi estranei vi sono cresciuti sopra: ostriche,
alghe e pietre; così, ben lontano dalla sua originaria natura, assomiglia
piuttosto a una qualche strana bestia. Allo stesso modo, anche la nostra
anima ci appare deturpata da innumerevoli mali. (611c-d)

tra l’altro e sempre in vista di questo scopo, si serve della scrittura» (Nietzsche 1871-
1872, trad. it. 1991, p. 41).
80
Ogni dialogo esplora e mette alla prova un certo milieu culturale. Cfr. Buccellato
1963, pp. 527-560. Un’analisi simile è in seguito applicata al Lachete e al Liside (Buccel-
lato 1967 e 1968). In generale, lo sfondo storico pare decisivo per l’interpretazione dei
dialoghi giovanili (cfr. p.e. De Romilly 1980, soprattutto per il Lachete).
81
Questo passo è valorizzato da Erler 1987, trad. it. 1991, per mostrare come le a-
porie della ricerca – e fra queste soprattutto quelle dei dialoghi giovanili – siano risolvi-
bili solo se, rivolgendo gli occhi alle Idee, si abbandona la prospettiva mondana degli
interlocutori di Socrate (vd. p. 409 ss.).
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PERSUASIONE ED ELABORAZIONE LETTERARIA 29

Le difficoltà della ricerca appaiono strettamente connesse alla condizio-


ne di decadimento dell’anima umana, e sono le difficoltà stesse della fi-
losofia: nel prosieguo del passo, Socrate ricorda che, per quanto è stato
possibile, si sono messe in luce soltanto le «affezioni e le forme» che l’a-
nima assume «nella vita umana» (612a), cosa che ricorda da vicino i limi-
ti della ricerca di cui Platone parla nella Lettera VII. La verità indubbia-
mente esiste, ma in questa vita l’uomo, creatura effimera, può coglierne
la luce solo di lontano, rifratta nei mille specchi deformanti che formano
il mondo sensibile (fra cui – mediazione necessaria – il linguaggio), può
solo persuadersi che il contraddittorio mondo sensibile richiede una spie-
gazione metafisica.
L’idea delle incrostazioni di salsedine ha una particolare importanza
nell’immaginario platonico: nel Fedone l’impurità dell’acqua di mare (cfr.
il ricorrere di kaqarÒj e derivati, 109b ss.) simboleggia proprio il mondo
visibile e impuro in contrapposizione a quello puro, invisibile e noetico,
secondo un rapporto analogico che prelude all’allegoria della caverna 82.
Come la luce del sole non si manifesta ai nostri sensi nello spazio vuoto,
ma solo quando attraversa un corpo, così la verità può rendersi manife-
sta solo attraverso queste impurità, o meglio attraverso il confronto fra
l’interlocutore e Socrate che, come il filosofo che torna nella caverna, in
queste impurità si cala per combatterle: lo scopo dell’elenchos socratico,
secondo quanto emerge nel Sofista, è proprio quello di «purificare» (ka-
qa…rein), per quanto è possibile, l’interlocutore 83. Ecco allora che nel Fe-
dro, quando si accinge a confutare la falsità dei valori che hanno ispirato
i primi due discorsi enunciati nel dialogo, Socrate desidera «lavare con
un discorso d’acqua dolce la fama (o l’udito, a seconda di come si inten-
da ¢ko») incrostata di salsedine» 84. Nessuno stupore, dunque, che il
confronto dialettico sia spesso raffigurato come una difficile traversata
marina (talora con una assimilazione fra mare e aporia) 85, che la condi-
zione di decadimento dell’anima umana, oppressa dal corpo materiale,
sia paragonata nel Fedro alla vita di un’ostrica incatenata al guscio e pri-
va della «luce pura» (kaqar£, 250c) o che, nel Timeo, le creature marine
occupino gradi più bassi dell’essere, giacché «la quarta specie, l’acquati-

82
I sistemi metaforici dell’Ade e del mare hanno una funzione analoga. La cosa e-
merge nel modo più chiaro in Phdo. 109a-d, dove i due sistemi si sovrappongono. Cfr.
in proposito Gaiser 1985.
83
È la «sofistica nobile» (230c ss.), che adombra il metodo socratico (cfr. infra, V.3).
84
243d. Questa e alcune altre metafore marine di Platone sono menzionate in
Kofman 1983, la cui lettura, ispirata a Derrida 1972, non è sempre perspicua. Si veda
anche Etienne 1993.
85
Cfr. per esempio Resp. 453d-e e Phdo. 85d ss. Per l’assimilazione mare-aporia,
cfr. Kofman 1983, pp. 11-13.
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30 COME LEGGERE IL «PROTAGORA»?

ca, deriva dai più stolti e più ignoranti di tutti, che gli dèi […] non cre-
dettero nemmeno degni della respirazione pura (kaqar£)» (92a-b) 86.
La particolare elaborazione letteraria del Protagora e in generale di tut-
ti i dialoghi socratici, che offrono al lettore ricchi quadri della vita materia-
le e spirituale di Atene, è dovuta a questo: è rappresentata plasticamente
la «salsedine» della polis nel momento in cui Socrate cerca di rimuover-
la, di operare la catarsi elenctica 87. La dialettica socratica – come del re-
sto la retorica filosofica delineata nel Fedro – muove sempre dalla sogget-
tività degli interlocutori, ossia dalla «impurità» (ricorda Ernst Cassirer che
«in Platone l’espressione kaqarÒn ha sempre il significato sistematico di
delimitare l’essenza oggettiva di contro alla parvenza meramente soggetti-
va») 88. L’inferno pulsante e grottesco della polis e della doxa, tramite la
purificazione dall’errore, è il punto di partenza, il primo gradino del per-
corso dialettico, la «via che porta in alto» 89; persuadere è purificare, nel-
la consapevolezza, però, che su questa terra la verità si manifesta solo in-
direttamente nel dialogo, nelle «cose vere» – come dice il passo della Re-
pubblica citato sopra – «come nel momento presente ci sono sembrate» 90.

86
Traduzione di C. Giarratano, lievemente modificata. Nelle Leggi, infine, la vici-
nanza del mare è detta «veramente salata e amara» (705a ss.): Platone propone una vera
e propria «messa sotto accusa della navigazione» (Momigliano 1987, p. 134). Osserva-
zioni simili si trovano in Luccioni 1959. È stato anche giustamente osservato che la rap-
presentazione luciferina di Atlantide deve molto alla vocazione imperialistica di Atene
(Brumbaugh 1989, p. 117).
87
«Was diese Dialoge bestimmt, ist der Kampf in allen Spielformen, von der
Feindschaft bis zum liebenden Ringen, die erste Stufe des Weges also, noch ganz in der
Welt der Doxa, dort wo Sokrates allemal erst anfängt. Kein Wunder, dass dort die Sze-
nerie am reichsten, die Elenktik, Ironie und Aporie am provozierendsten ist, kein
Wunder auch, dass die Wahrheit, auf die doch jeder Dialog verweist, in der Aporie
verborgen bleibt und nur dort offen zutage tritt, wo es nicht um das immer fragliche
Was sondern um die immer eindeutige Lebensentscheidung geht» (Gundert 1968, p.
44). Cfr. anche Müller 1988: l’ambientazione dei dialoghi, dai giovanili a quelli della
maturità e poi della vecchiaia, segna un progressivo allontanamento dalla polis, con un
percorso che, dal tribunale di Atene (Apologia) e dai luoghi più caratteristici della polis
(ginnasi, la casa di Callia, quella di Cefalo, l’agorà) finisce nelle campagne di Creta (Leggi)
e nei luoghi indefiniti dei grandi dialoghi dialettici (vd. in part. lo schema di p. 408).
88
Cassirer 1924, trad. it. 1998. Sia la dialettica che la retorica filosofica sembrano
avere il compito di indirizzare l’interlocutore all’idea, di indurlo alla purificazione e alla
reminiscenza.
89
Resp. 621c: tÁj ¥nw Ðdoà ¢eˆ ˜xÒmeqa. Credo che questa immagine presuponga la
‘strada’ imboccata da Parmenide e da Pindaro, che si caratterizza proprio per la purez-
za (kšleuqoj kaqar£ in Pind. Ol. 6.23; Isth. 5.22; cfr. Parm. 1.27). Cfr., su Parmenide e
Pindaro, D’Alessio 1995 (e su kaqarÒj la nota 33, con bibliografia).
90
L’aporeticità dei dialoghi giovanili, come ha sostenuto M. Erler, sembra con-
nessa proprio con l’incapacità degli interlocutori di adottare una prospettiva noetica,
extra-sensibile, e quindi di staccarsi dall’universo instabile e cangiante della polis.
Cfr. Erler 1994.
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PERSUASIONE ED ELABORAZIONE LETTERARIA 31

Ma «la via che porta in alto» è anzitutto interdetta dai sofisti, talvol-
ta paragonati a mostri acquatici: nell’Eutidemo sono menzionati Proteo,
l’Idra e Carcino, il gambero gigante, nel Simposio Gorgia, con un gioco
di parole, è assimilato a una Gorgone 91. Il primo compito di Socrate,
nell’Oceano impuro della polis, è quello di neutralizzare i mostri che vi
sguazzano (e questo potrebbe spiegare la celebre immagine del Menone,
dove l’allievo di Gorgia paragona Socrate a una murena) 92. Sul filo di
questa pervasiva metafora marina, si può allora osservare che nel Prota-
gora, attraverso una serie di allusioni omeriche, Socrate è paragonato a
Odisseo 93. Di Odisseo, questo Socrate conserva un tratto particolare,
quello di «mettere alla prova» (peir©sqai), con accorte menzogne, chi
gli sta di fronte 94; l’abilità nel «mettere alla prova» gli interlocutori – la
cosa emerge facilmente da un esame delle occorrenze platoniche – è un
habitus dialettico che il Socrate del Protagora condivide con i sofisti 95.
Questo Socrate odissiaco è molto lontano dall’immagine del filosofo con-
templante che cade nel pozzo. Nel Sofista, come accennavo, Platone
stesso definisce parzialmente il metodo socratico una «nobile sofistica»;
si vedrà come questo aspetto dell’agire socratico sia funzionale alla puri-
ficazione dalla più tenace salsedine, quella del massimo teorico della ‘ca-
verna’ democratica: il sofista Protagora. A mo’ di conclusione, ricordo,
con Senofonte, che Socrate «otteneva il consenso degli ascoltatori in mi-
sura molto maggiore di chiunque altro […]. Diceva anche che Omero

91
Euthd. 288d, 297c-d; Symp. 198c. Le Gorgoni, tradizionalmente, erano collocate
nell’isola Sarpedone dell’Oceano (Kypria, fr. 23; Ferecide, FGrH 3 F11), e il loro lega-
me con il mare emerge per esempio da un frammento di Sofocle (TrGF 163). Esiodo le
pone oltre l’Oceano (Theog. 274 ss.), e Medusa, la Gorgone mortale, «mates with Posei-
don (assuming that Kyanochaites is here, as elsewhere, an epithet of the sea god)»
(Gantz 1993, p. 20). A Proteo vengono assimilati anche Eutifrone (Euthphr. 15d) e Io-
ne (Ion, 541e).
92
Il carattere preliminare di questo compito è evidente nella Repubblica, con la ce-
sura fra I e II libro (cfr. Gill 1996, p. 289).
93
Od. 11.601 e 582, citati in 315b-c. Questa eroizzazione di Socrate non è sorpren-
dente: anche i poeti – si pensi a Pindaro e Aristofane – tendevano a presentare se stessi
come eroi al servizio della comunità. Cfr. in generale Lefkowitz 1978 e, per Aristofane,
Mastromarco 1989: nelle parabasi delle Vespe e della Pace il poeta presenta se stesso
come un Eracle che, per il bene della città, combatte un sudicio mostro (Cleone).
94
Cfr. Od. 24.216, 238, 240. In 23.181 è Penelope che mette alla prova Odisseo. Su
questo tema nell’Odissea, cfr. per esempio Havelock 1978, p. 164 ss.
95
La pratica di «mettere alla prova» (¢popeir©sqai) l’interlocutore, nei dialoghi, è
attribuita, a quanto pare, ai sofisti, nonché alla squallida figura di Meleto (Tht. 154e;
Apol. 27e; il passo del Teeteto sottolinea molto chiaramente come il «mettere alla pro-
va» gli interlocutori rifletta le abitudini non di Socrate ma dei sofisti). Nel Protagora è
invece Socrate a mettere alla prova l’interlocutore (Prot. 311b; 341d) e a ritenerne am-
missibile la pratica (349c).
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32 COME LEGGERE IL «PROTAGORA»?

aveva attribuito ad Odisseo la qualifica di retore infallibile perché era in


grado di condurre i discorsi attraverso le opinioni degli uomini» (Mem.
4.6.15). La confutazione di Protagora si concluderà però nel segno di
una «tecnica di misurazione», dunque nel segno della matematica, che si
caratterizza, agli occhi di Platone, proprio per la «purezza» e per la ca-
pacità di trarre l’«occhio dell’anima» fuori dal «fango barbarico» della
polis corrotta 96.

6. PERSUASIONE DUPLICE: PLATONE E IL SUO PUBBLICO,


SOCRATE E I SOFISTI

«La lieve colomba mentre nel suo facile volo fende l’aria, di cui sente la
resistenza, potrebbe figurarsi di riuscire a ciò molto meglio ancora nello
spazio privo di aria». Questa splendida similitudine condensa la critica
di Kant – pur temperata da grande ammirazione – alla filosofia platoni-
ca, colpevole di aver abbandonato «il mondo dei sensi» in favore di un
folle volo «nello spazio vuoto dell’intelletto puro» 97. La presente ricerca
muoverà invece dal presupposto che la filosofia di Platone e la dialettica
socratica – forse non per caso simboleggiate dal meno aereo cigno piut-
tosto che dalla «lieve colomba» – non lascino mai del tutto il mondo
sensibile. L’Iperuranio e le Idee sono preclusi all’uomo incarnato, e fun-
gono piuttosto da idea limite, da punto di riferimento etico per l’uomo
buono; questi, attraverso la lettura dei dialoghi e soprattutto con la pra-
tica viva della dialettica, deve persuadersi dell’esistenza di un mondo ul-
trasensibile per intraprendere un cammino di purificazione – adombrato
nei dialoghi – che solo l’anima disincarnata potrà veramente concludere.
Come leggere dunque il Protagora? La considerazione del dialogo pla-
tonico come luogo e strumento di persuasione e purificazione richiede
che l’attenzione sia rivolta anzitutto ai modi della comunicazione fra au-
tore e destinatario («In che modo Platone cerca di persuadere il lettore
alla filosofia?»), e poi fra il protagonista e gli altri personaggi («In che
modo Socrate cerca di persuadere Protagora?»). La ricerca prenderà
dunque le mosse da un’analisi letteraria del dialogo per poi risalire –
lungo la via di purificazione segnata da Socrate – fino ai problemi filoso-
fici che stanno a monte del dialogo. Cercherò così di confermare l’acu-
tezza del famoso giudizio di Schleiermacher: nei dialoghi «forma e con-

96
Vd. rispettivamente Phil. 55c ss. (dove ricorrono più volte kaqarÒj e derivati) e
Resp. 533c-d, con le osservazioni svolte infra, VI.6.
97
Kant 17872, par. 3 della Einleitung.
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PLATONE E IL SUO PUBBLICO, SOCRATE E I SOFISTI 33

tenuto sono inseparabili e ogni asserzione deve essere compresa solo nel-
la sua collocazione, con i legami e le limitazioni in cui Platone l’ha espo-
sta» 98.

98
Schleiermacher 1804, trad. it. 1994, p. 55. Schleiermacher, come rileva Krämer
1982, pp. 35-36, lasciò questo programma largamente incompiuto.
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TESTATINA FITTIZIA DA ELIMINARE 35

Parte Prima

COMMEDIA E DIALOGO:
L’AUTORE E IL DESTINATARIO
PLATONE ‘PERSUADE’ IL SUO PUBBLICO
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36 DIALOGO E COMMEDIA
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TESTATINA FITTIZIA DA ELIMINARE 37

DA UN GENERE LETTERARIO ALL’ALTRO:


DIALOGO E COMMEDIA

1. TEATRO E DIALOGO

Nella Premessa ho ricordato brevemente le più importanti ragioni filoso-


fiche che indussero Platone a prediligere, quale forma di espressione, il
dialogo letterario. Questa scelta, d’altra parte, era senz’altro suggerita
anche da altre considerazioni: l’abitudine dei discepoli di studiare a fon-
do o di trascrivere le conversazioni di Socrate 1; il desiderio, legato pro-
babilmente a diverse motivazioni, di mantenere una sorta di anonimità 2;
l’atmosfera ‘drammatica’ di un’epoca in cui il dialogo permeava di sé o-
gni aspetto della vita 3; e, non ultimo, l’influsso potente del teatro attico
che, come tramite privilegiato per la trasmissione di messaggi pedagogi-
ci, fu per Platone oggetto di severe critiche ma anche, presumibilmente,
di emulazione 4.

1
Vd. Symp. 172a ss.; Tht. 143a ss.; Diog. Laert. 2.48 e 122 ss.; cfr. Hirzel 1895, I,
p. 85 nota 1. La tradizione aneddotica, inoltre, suggerisce che Platone abbia scritto dia-
loghi socratici prima della morte del maestro. Cfr. in proposito Sider 1980a.
2
Krentz 1983. Il ‘silenzio’ di Platone suggerisce che egli non considerasse di prima-
ria importanza la presentazione inequivoca delle proprie tesi (p. 33). Edelstein 1962 trova
un precedente dell’anonimità platonica nella scuola pitagorica, i cui discepoli erano usi
attribuire ogni loro opera al maestro; oltre a ciò, ritiene che la scelta dialogica rifletta
una presa di posizione contro il principio di autorità (per questo sono scelti l’‘ignorante’
Socrate e, nei dialoghi tardi, personaggi anonimi). Cfr. anche Arrighetti 1989 e Plass 1964.
3
Hirzel 1895, I, p. 204 ss. Questa stessa atmosfera drammatica può essere alla
base del dialogo fra Meli e Ateniesi in Tucidide, forse un precedente del dialogo socra-
tico (cfr. Macleod 1974).
4
Gaiser 1984, Arrighetti 1983 e 1989 (dove l’autore afferma che Platone «non ab-
bia saputo immaginare forme di comunicazione diverse da quelle che tutti conoscevano e
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38 DIALOGO E COMMEDIA

I messaggi drammatici scaturivano spesso dal conflitto fra due per-


sonaggi, portatori di visioni del mondo inconciliabili; ad esempio Anti-
gone e Creonte. Seppure in una forma attenuata se non antitragica 5, il
conflitto è un motivo ricorrente anche nei dialoghi platonici: si pensi solo
al concetto platonico di paideia (nella Repubblica la contraddizione, che
induce perplessità, è il primo passo verso la riflessione critica 6), oppure
a certi duelli, a un tempo personali e ideologici, che ricorrono spesso nei
dialoghi socratici 7: il generale Lachete, per esempio, impersona nel
dialogo omonimo la concezione del coraggio innato, e si scontra perciò
– verbalmente – con il collega Nicia, incarnazione del coraggio intellet-
tuale 8.
Sottolineare una certa affinità tra il dialogo platonico e il teatro atti-
co è oggi un atteggiamento critico abbastanza comune 9, e c’è perfino chi
sostiene che i dialoghi siano drammi tout court, in tutto e per tutto simili

accettavano», p. 136). Cfr. anche Gundert 1968, p. 13. Non interessa qui il problema,
oggetto di numerose trattazioni fin dall’antichità, se e fino a che punto i dialoghi di Pla-
tone vadano soggetti alle critiche che egli stesso rivolge alla poesia. In proposito, cfr.
per esempio Müller 1986. Per quanto riguarda la preistoria del dialogo, ossia i possibili
antecedenti letterari, una buona esposizione è in Rutherford 1995, p. 10 ss.
5
È famosa la posizione di Nietzsche: «[…] la virtù è il sapere; si pecca solo per
ignoranza; il virtuoso è felice. In queste tre forme fondamentali di ottimismo sta la mor-
te della tragedia» (Nietzsche 1872, trad. it. 199717, p. 96). In effetti «le théâtre tragique
présente les personnages dans leur incapacité à s’entendre» mentre «les Dialogues philo-
sophiques de Platon proposent un espoir d’arriver à s’entendre sur les valeurs, en par-
lant ensemble» (Meron 1996, p. 62).
6
Per esempio Resp. 523a ss. Per la verità, qui il conflitto e la conseguente aporia si
producono nell’ambito della sensazione, ma il principio si lascia facilmente generalizza-
re, giacché l’aporia, anche in altri ambiti, è per Platone il primo passo nella filosofia
(cfr. p.e. Men. 84a ss., Phdr. 251d ss., la trattazione di Robin 1968, trad. it. 1988 e, re-
centemente, Matthews 1997). Sansone 1996, pp. 59-61, propone un paragone fra l’apo-
ria dei dialoghi giovanili e l’aporia in certe tragedie di Euripide. Irwin 1988 mostra co-
me Platone avesse riflettuto a fondo sul conflitto tragico.
7
Cfr. Wolz 1963.
8
Vd. De Romilly 1980. H.D.F. Kitto ha osservato che la conclusione implicita del
Protagora (non c’è una morale dell’autore; il lettore è chiamato a trarre le conclusioni) è
un procedimento caratteristico della tragedia, per esempio nell’Aiace, nelle Trachinie,
nelle Troiane e nell’Ecuba (Kitto 1966, p. 245).
9
Nell’antichità, i dialoghi erano sovente suddivisi in trilogie o tetralogie come le
pièces teatrali (cfr. p.e. Laborderie 1978, p. 58), e una tradizione nota da un papiro
(P.Oxy. 3219, vd. Haslam 1972) istituisce un curioso confronto fra il numero di attori
nella tragedia e le partizioni della filosofia platonica (vd. il cap. III di Tarrant 1993). In
tempi moderni, si è cercato talvolta di suddividere i dialoghi in atti. Per un tentativo del
genere applicato al Protagora, cfr. Thiersch 1837. Cfr. anche Rudberg 1939. Sul lin-
guaggio teatrale nei dialoghi e su un confronto fra lunghezza dei dialoghi e delle opere
teatrali, vd. Charalabopoulos 2000 e Tarrant 1955a. Per un tentativo recente di acco-
stamento strutturale fra dialoghi e tragedie di Euripide, cfr. Sansone 1996.
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TEATRO E DIALOGO 39

alle opere teatrali 10. Il carattere drammatico e mimetico, il ricorso alla


mitografia 11, i conflitti ideali, la presenza di protagonisti e antagonisti:
queste e altre considerazioni permettono di inquadrare bene la celebre
notizia, tramandata da Diogene Laerzio, secondo cui Platone, prima di
dedicare tutto se stesso alla musa della filosofia, fu poeta in gioventù e
autore di tragedie 12. Socrate poi, nella scena conclusiva del Simposio, so-
stiene che lo stesso poeta deve saper comporre commedie e tragedie
(223d), e in questa affermazione si è vista, oltre che una dichiarazione di
poetica, un’allusione ai dialoghi stessi: Platone soltanto sarebbe un au-
tentico poeta, in possesso di quella piena arte drammatica che si esprime
nel carattere a un tempo comico e tragico delle sue opere 13.
La genesi del dialogo platonico sembra dunque connessa all’influsso
del dramma attico da un lato, dall’altro alla figura e alla filosofia di So-
crate 14, l’unico pensatore così influente da «prestare il proprio nome a
un genere letterario che consiste nella mimesi della filosofia», ossia quei
sokratikoi logoi cui si dedicarono, oltre a Platone, anche Senofonte, E-
schine, Critone e tanti altri 15. Nel Protagora il rapporto con il teatro ap-
pare evidente se non altro perché l’ambientazione del dialogo – la casa
di Callia stipata di sofisti – ricalca quella dei Parassiti di Eupoli 16: nel

10
Arieti 1992, che ha poi ispirato una riduzione di alcuni dialoghi per il teatro
(Emery 1995).
11
Cerri 1991, per esempio, vede nei miti escatologici di Platone «la nuova Nekyia»
dei Greci (p. 70). Per Arrighetti 1991, la formazione ‘drammatica’ di Platone rende
quasi inevitabile il ricorso al mito.
12
La notizia è attribuita a Dicearco, allievo di Aristotele, in Diog. Laert. 3.4. ss. Di-
verse altre fonti, comunque, alludono all’attività letteraria del giovane Platone. Vd.
Platthy 1990, p. 40 ss.
13
Cfr. per esempio Mader 1977: «Die Herleitung des Symposion-Schlusses aus
dem Dialogganzen hat ergeben, dass das Entscheidende an der platonischen Dialogfi-
gur Sokrates, dem daimon, die Überwindung und Vermittlung der Gegensätze geloion/
spoudaion, paidia/spoude, doxa/aletheia ist» (p. 78). «Die Identität von Tragödie und
Komödie erweist sich an den platonischen Schriften, und zwar in dem Sinne, dass diese
beide zugleich sind ‘Antitragödie’ und ‘Metakomödie’» (p. 79). Vd. anche Gaiser 1984,
Patterson 1982, Clay 1975b e Segoloni 1994 (cap. III).
14
Questi due elementi, peraltro, possono avere agito simultaneamente: Segoloni
1994 osserva che «la commedia antica in tanto, propriamente, ha fornito il modello e lo
spunto a Platone e agli altri autori di lògoi Sokratikòi, in quanto ha direttamente rap-
presentato o comunque attaccato e messo alla berlina quel Socrate che, proprio anche
allo scopo di rispondere a tali rappresentazioni e attacchi, verrà introdotto da Platone e
dagli altri scrittori socratici come protagonista delle loro opere» (p. 180). Cfr. anche
Clay 1994, p. 37 ss.
15
L’arguta osservazione citata si deve a Clay 1994, p. 24.
16
L’ambientazione comune era rilevata, a quanto si può arguire, già da Ateneo
(11.506, cfr. Wolfsdorf 1998, p. 129) e in tempi moderni per esempio da Wilamowitz
1919, p. 138, da Edmonds 1957, I, p. 370, e da Dalfen 1979. Esplicitamente dedicati al
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40 DIALOGO E COMMEDIA

frammento più lungo di questa commedia un parassita vanta la sua arte


adulatoria, in un contesto di profumi, etere e banchetti luculliani, alla
presenza di Protagora e probabilmente di Socrate 17.

2. I N CASA DI CALLIA: LA COMMEDIA DI UN CATTIVO SIMPOSIO

Callia, che Eliano e Ateneo dipingeranno come un famoso crapulone 18,


è una figura ben nota alla commedia antica, dove è preso di mira come
un vizioso scialacquatore dissanguato dai sofisti (negli Uccelli, per esem-
pio, Callia è un volatile spennato da femmine e sicofanti 19). L’ambienta-
zione della commedia di Eupoli, del resto, inscenava probabilmente un
volgare banchetto dominato dalla lussuria e dalla gozzoviglia: «Nella ca-
sa di questo Callia» – si legge in un frammento superstite – «c’è sempre
giocondità; qui trovi lepri, qui trovi razze, qui trovi gamberi; qui trovi
femmine tortiligambe» 20. Anche in un’altra commedia, l’Autolico, Eupo-
li attaccava Callia, giacché «l’occasione da cui il poeta aveva tratto lo
spunto, come attesta Ateneo (5.216c-d), era un grandioso banchetto che
il munifico padrone di casa aveva imbandito in suo onore in occasione di
una sua vittoria nel pancrazio alle Panatenee del 422» 21.
Ora, questa caratterizzazione della figura di Callia trapassa integral-
mente nella letteratura socratica. Eschine di Sfetto intitolò a Callia un
dialogo socratico, in cui il ricco ateniese era forse paragonato a fagiani e

rapporto del Protagora con la commedia di Eupoli sono invece Dorati 1995 e Pawlak
1996.
17
Cfr. per esempio Patzer 1994, p. 71: «Wenn wir des weiteren erfahren, dass auch
Chairephon (fr. 180 PCG) als kÒlax erwähnt wurde, so schwindet vollends jeder Zwei-
fel, dass in diesem Stücke auch von Sokrates die Rede gewesen ist». Anche per ragioni
metriche, Patzer propone di attribuire ai Parassiti il fr. 516 PCG (Socrate ruba una
brocca).
18
Ael. Var. Hist. 4.16; Ath. 12.536a.
19
284 ss. Vd. Dunbar 1995, ad loc. Cfr. anche Eccl. 810; Ran. 432 ss.; Cratino, 81
PCG e le osservazioni di Wolfsdorf 1998, p. 128 ss.
20
174 PCG, trad. Romagnoli 1953, p. 165 (lievemente modificata). Le donne «tor-
tiligambe» (e„l…podej) saranno delle etere, anche se probabilmente l’aggettivo non ha
un significato osceno, ma allude alla danza (vd. Beta 1995).
21
Corsini 1998, p. 479. La testimonianza di Ateneo non sembra però del tutto
chiara e univoca. Corsini suggerisce la possibilità «che anche nell’Autolico, come già
negli Adulatori, il poeta individuasse nell’ambiente di Callia, in cui si ritrovavano per-
sonaggi moralmente e politicamente ambigui, un pericolo per la linea di conservatori-
smo moderato rappresentata da Nicia, di cui Eupoli appare, per molti aspetti, un soste-
nitore» (ivi, p. 479). Anche le Capre e gli Amici di Eupoli contenevano forse attacchi a
Callia (vd. ivi, p. 480).
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LA COMMEDIA DI UN CATTIVO SIMPOSIO 41

pavoni, emblema di lussuria e dissipatezza 22. Callia, inoltre, appariva


probabilmente come un ricco gaudente, incline al piacere passivo, sem-
pre pronto a foraggiare parassiti e attorniato da donnine di piacere. Il
dialogo di Eschine doveva avere una certa verve comica, perché il para-
gone ornitologico prendeva forse lo spunto da un combattimento di gal-
li, che faceva da ambientazione al dialogo, e i combattimenti di uccelli
rientravano appieno nella tradizione della commedia attica (nella prima
versione delle Nuvole, a quanto pare, i due rivali dell’agone comico era-
no portati in scena dentro due gabbie come galletti 23).
Culto dei piaceri, profumi, donnine e giochi si trovano anche in un’al-
tra opera socratica, il Simposio di Senofonte, ambientato, come il Pro-
tagora e i Parassiti, nella casa di Callia. Senofonte esordisce significativa-
mente dicendo che «degli uomini eccellenti sono degne di memoria non
solo le azioni compiute in tutta serietà, ma anche quelle scherzose», e in-
dubbiamente il Simposio ha un’intonazione giocosa, anche perché, come
è stato suggerito, prende lo spunto dall’Autolico di Eupoli (e forse dagli
stessi Parassiti) 24.
Nel rapporto fra dialogo e commedia, Callia appare dunque come
una figura chiave: lo stesso Ateneo, che preserva la trama del Callia e ri-
ferisce di altri attacchi portati da Eschine al ricco Ateniese, introduce
l’argomento con una reprimenda ai filosofi, la cui maldicenza supera
perfino quella dei commediografi 25. Si aggiunga poi che, secondo la te-
stimonianza di Ermogene, esisteva un peculiare genere letterario dei
«simposi socratici» 26, nel quale si intrecciavano «cose serie, cose ridico-
le, personaggi e azioni»; questo genere, evidentemente affine ai logoi so-
kratikoi, lascia però una ricca e autonoma eredità 27. L’ambientazione
simposiale, insomma, poteva caratterizzare tanto il dialogo quanto la
commedia; entrambi i generi potevano così colorarsi di quel misto di
spensieratezza e serietà che costituiva la regola di ogni simposio, come
testimonia, per esempio, un frammento elegiaco adespota, la cui data di

22
Qui e più avanti seguo la ricostruzione di Allmann 1972.
23
La notizia, riportata nello scolio a Nub. 889, trova una conferma in un vaso che
raffigura due attori travestiti da uccelli che si affrontano in duello. Vd. Taplin 1987a,
1987b e Fowler 1989. Argomenti forti contro l’interpretazione rivale, secondo cui i gal-
li del vaso alluderebbero al coro degli Uccelli (vd. Green 1985), sono offerti in Csapo
1993.
24
Cfr. Segoloni 1994, p. 177.
25
5.220a: PefÚkasi d’ oƒ ple‹stoi tîn filosÒfwn tîn komikîn kak»goroi m©llon e!-
nai, e‡ ge kaˆ A„sc…nhj Ð SwkratikÒj …
26
Ermogene, Perˆ meqÒdou deinÒthtoj. Anche Plutarco (Quaest. Conv. 6.686b-c ss.)
parla dei Simposi di Platone e Senofonte come di un genere quasi indipendente. Cfr. su
questo Laborderie 1978, p. 19 ss.
27
Vd. Segoloni 1994, p. 183 ss.
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42 DIALOGO E COMMEDIA

composizione è con ogni probabilità molto vicina a quella del Protago-


ra 28: il poeta da un lato prescrive ai simposiasti di «scherzare e ridere
con virtù, godere della compagnia, parlare con leggerezza, prendersi in
giro così da suscitare il riso», dall’altro afferma l’opportunità che allo
scherzo «segua la serietà in cui, a turno, si parla e si ascolta» 29. In questo
modo, si può credere, l’ambientazione simposiale, quasi come un ponte
fra i due generi, permetteva di trasfondere nel dialogo alcuni tratti tipici
della commedia.
Tornando ora al Protagora, si può concludere che l’ambientazione
nella casa di Callia è un preciso segnale indicante il registro comico del
dialogo. Inoltre, c’è un passo del Protagora che acquista un particolare
significato alla luce di queste considerazioni: Socrate paragona lunga-
mente la discussione su Simonide a un cattivo banchetto, in cui i convi-
tati, per incapacità di parlare direttamente fra loro, si riempiono le orec-
chie di voci estranee intrattenendosi con flautiste, danzatrici e citariste;
la discussione dovrebbe invece imitare i buoni simposi, in cui gli invitati,
mentre bevono, parlano a turno con la propria voce senza bisogno di i-
nutili diversivi (Prot. 347b ss., molto affine al frammento elegiaco ricor-
dato sopra 30). In questo modo, tutta la conversazione che si svolge nella
casa di Callia è di fatto equiparata a un simposio 31; è un paragone di for-
te pregnanza, perché i lettori di Platone sapevano benissimo – per tradi-
zione letteraria se non per esperienza diretta – che la crapula era di
prammatica in casa di Callia.
Questa simposialità implicita spiega anche una serie di strane analo-
gie, molto evidenti, fra il Protagora e il Simposio (di Platone). Tutti gli in-
terlocutori del Simposio, tranne Aristofane, sono presenti nel Protago-
ra 32. In entrambi i dialoghi Socrate si reca con un giovane in una casa
privata, e, prima di entrare, si ferma sulla soglia per portare a termine
un’indagine intellettuale. Nel Protagora Ippocrate trascina Socrate da

28
27 W. (P.Berol. 13270). Secondo Vetta 1983, «è un testo che rivela una cronolo-
gia non anteriore al IV secolo o, al più, all’ultima parte del V» (p. XXXVII).
29
ca…rete sumpÒtai ¥ndrej Ðm[ . . . . . . : ™]x ¢gaqoà g¦r / ¢rx£menoj telšw tÕn lÒgon [e]„j
¢ga[qÒ]n. / cr¾ d’, Ótan e„j toioàto sunšlqwmen f…loi ¥ndrej / pr©gma, gel©n pa…zein crh-
samšnouj ¢retÍ, / ¼desqa… te sunÒntaj ™j ¢ll»louj te f[l]uare‹n / kaˆ skèptein toiaàq’
oŒa gšlwta fšrein. / ¹ dþ spoud¾ ˜pšsqw, ¢koÚwmšn [te l]egÒntwn / ™n mšrei: ¼d’ ¢ret¾ toà
sumpos…ou pšletai. / toà dþ potarcoàntoj peiqèmeqa: taàta g£r ™stin / ›rg’ ¢ndrîn ¢ga-
qîn, eÙlog…an te fšrein.
30
Cfr. in part. 347d: aÙtoÝj aØto‹j ƒkanoÝj Ôntaj sune‹nai ¥neu tîn l»rwn te kaˆ
paidiîn toÚtwn di¦ tÁj aØtîn fwnÁj, lšgont£j te kaˆ ¢koÚontaj ™n mšrei ˜autîn kosm…wj.
31
Cfr. Dorati 1995, p. 89, che mette questo passo in relazione con gli Adulatori di
Eupoli.
32
Il dato è considerato intenzionale e significativo nelle interpretazioni di Goldberg
1982, p. 329 ss., e Frede 1986.
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IL «PROTAGORA» E LA COMMEDIA 43

Callia, mentre nel Simposio è Socrate a convincere l’amico a seguirlo da


Agatone; se la casa di Callia è sbarrata, e l’ingresso si rivela piuttosto dif-
ficoltoso, nel Simposio la porta è invece spalancata, e Socrate è più volte
invitato a entrare. Le analogie segnano dunque un’opposizione: la casa
di Callia, al contrario di quella di Agatone, appare subito come un luogo
ostile, dove Socrate si reca malvolentieri. Inoltre, la discussione ‘erotica’
del Simposio comincia proprio con quel congedo della flautista, accom-
pagnato dalla lode della buona convivialità, che Socrate invoca tardiva-
mente nel Protagora 33. Con un gioco di parole, il convito di Agatone è
detto «banchetto di uomini buoni», agathon. L’opposizione fra i due
dialoghi ricalca dunque la tradizionale antitesi fra simposi felici (caratte-
rizzati da pace, armonia, pacate conversazioni) e banchetti barbarici
(chiasso, musica eccessiva, litigi, impossibilità di comunicazione) 34. Il
simposio greco presupponeva un clima agonale, ma non di rado veniva
espresso il timore che la naturale competizione potesse scadere in rissosa
contesa (œrij) 35, come di fatto avviene nella casa di Callia 36.

3. IL «PROTAGORA» E LA COMMEDIA

Fin dall’antichità, anche il Simposio platonico è stato sovente paragonato


a una commedia; inoltre, secondo una interessante e persuasiva proposta
avanzata di recente, è anch’esso ‘figlio’ di una commedia, i Banchettanti

33
I due passi sono molto simili, anche nei dettagli lessicali. Cfr. in part. Symp. 176e:
¹m©j dþ di¦ lÒgwn ¢ll»loij sune‹nai tÕ t»meron Prot. 347d: di¦ tÁj ™ke…nwn fwnÁj ¢ll»-
loij sÚneisin. È da osservare che la nozione del sune‹nai ¢ll»loij, che nel Protagora ri-
corre anche in 336b e 347d, non compare in nessun’altra opera di Platone (TLG Canon).
34
Tale contrapposizione emerge da numerose testimonianze, che vanno dall’arcai-
smo fino all’Atene classica. Vd. in proposito Bielohlawek 1983.
35
Per l’agonalità del Simposio, cfr. Sider 1980b, il quale mostra fra l’altro che «the
speechmakers of the Symposium are engaged in a contest, in which only Socrates could
be declared the victor – as in effect he is by Alcibiades» (p. 41). Le testimonianze anti-
che sul carattere agonale del simposio greco e sui rischi di degenerazione sono discussi
in Pellizer 1983 (più di recente, Colesanti 1998 ha individuato un agone simposiale in
Theogn. 993 ss.). Il termine œrij, in contesto simposiale, compare per esempio in Theogn.
494, dove viene criticamente contrapposto all’eâ muqe‹sqai. Platone stesso ha in seguito
riflettutto con profondità sulla portata educativa e sui modi dell’organizzazione di un
simposio (Leg. 637 ss.).
36
Prodico, per esempio, rimprovera Socrate e Protagora di aver ingaggiato un duello
eristico (™r…zein, 337b). Sternfeld e Zyskind 1986 (p. 143 ss.) paragonano per contrasto
la casa di Callia nel Protagora, dominata da confusione, vanità e scontro verbale, alla ca-
sa di Pitodoro, che ospita la conversazione del Parmenide: qui regnano invece la calma
e la concordia.
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44 DIALOGO E COMMEDIA

di Aristofane 37. Il cerchio si chiude: il simposio appare davvero come un


ponte fra i due generi letterari 38. Ma quali affinità ci sono fra dialogo pla-
tonico e commedia?
Platone, nella sua città ideale e soprattutto nelle Leggi, impone alla
commedia restrizioni sensibilmente più lievi che alla tragedia 39, e la tra-
dizione aneddotica insiste sull’ammirazione di Platone per il genio di A-
ristofane 40: i suoi libri sarebbero stati sempre sotto il cuscino del filoso-
fo 41. Platone, in onore del commediografo, avrebbe addirittura compo-
sto un epigramma, spesso ricordato:

Un tempio che non crolla cercavano le Grazie:


lo spirito trovaron di Aristofane 42

Questi versi, autentici oppure no, riflettono certamente la grazia aerea di


cui Platone ha saputo soffondere il discorso di Aristofane nel Simpo-
sio 43. Presumibilmente, Platone vedeva nella commedia di Aristofane –
raffigurato nel Simposio con molta più simpatia rispetto al tragediografo

37
Vd. tutto il capitolo II di Segoloni 1984. La casa di Agatone, naturalmente, è an-
che il luogo di un’esilarante scena delle Tesmoforiazuse.
38
Il rapporto fra dialogo e commedia sembra dunque un terreno di indagine fecon-
do oltre che non molto esplorato, e su questo cercherò di insistere, piuttosto che su
possibili analogie con la tragedia. Su queste ultime, cfr. per esempio Kuhn 1941. Il Fe-
done in particolare, a partire da Schlegel, è stato spesso paragonato a una tragedia, o a
una tragedia antitragica. Cfr. per esempio Egger 1897-1898, Schaerer 1938, p. 218 ss.,
Moulinier 1967, Halliwell 1984, p. 54 ss. (che riconosce un interessante nesso fra le
concezioni sulla poesia espresse in Resp. 393a-c e la composizione del Fedone). Solo del
rapporto con la tragedia si occupa anche Ardley 1967 (cfr. p. 241 ss.).
39
Vd. in part. Leg. 816d-817d, 935d-936b; cfr. Brock 1990, p. 39, e soprattutto Ni-
ghtingale 1995, p. 173 ss.
40
La questione del giudizio di Platone su Aristofane è difficile, perché all’apparen-
te ostilità dell’Apologia fa seguito il ritratto benevolo del Simposio. Una terza variabile è
costituita dalle enigmatiche analogie fra Ecclesiazuse e Repubblica. I termini del proble-
ma non sono cambiati in modo radicale dopo l’equilibrato lavoro di Huit 1888 (in Ita-
lia, dedicato all’argomento è Zuccante 1929, che propende per la dipendenza di Aristo-
fane da Platone). Cercare in Platone il ‘vero’ rapporto fra Socrate e Aristofane appare
difficile e probabilmente fuorviante, legato com’è a un bisogno di coerenza tipicamente
moderno (cfr. Del Corno 1985, p. XXIV).
41
Vd. Riginos 1976, p. 176 ss.
42
Aƒ C£ritej tšmenÒj ti labe‹n, Óper oÙcˆ pese‹tai / zhtoàsai, yuc¾n eáron ’Aristof£-
nouj. L’epigramma è riportato da Olimpiodoro nella sua Vita di Platone.
43
Nel quale «vibra, inconsciamente forse, una simpatia artistica» (Stella 1932, p.
460). Micalella 1998 ravvisa nel discorso di Aristofane punti di contatto con quello di
Diotima e con il secondo discorso di Socrate nel Fedro. Nel discorso vi sono echi aristo-
fanei: vd. per esempio Bonanno 1975-1977, p. 106 ss. (Symp. 190b-d ~ Pax 403-422;
cfr. Lys. 115-116), e Ludwig 1996, che richiama per esempio Eq. 423-428; 1240-1243.
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IL «PROTAGORA» E LA COMMEDIA 45

Agatone 44 – «una via controcorrente verso il fantastico superamento


della realtà che anche il filosofo deve percorrere» 45.
Senza dubbio molti dialoghi di Platone sono divertenti 46, ma biso-
gna usare la cautela di chiamare comici solo quei tratti che rinviano chia-
ramente alla commedia attica 47. Anche a questa condizione, i dialoghi
mostrano tuttavia diversi spunti comici, segnalati del resto in alcuni buo-
ni regesti (si tratta di particolarità linguistiche, allusioni specifiche, rie-
cheggiamenti … 48). Ci sono inoltre alcune importanti caratteristiche che
accomunano dialogo e commedia. Anzitutto, entrambi i generi permet-
tono di rappresentare e mettere in ridicolo personaggi contemporanei
attraverso ritratti a tutto tondo, caricature, parodie 49 (e come caricature
alcuni dialoghi platonici erano intesi nell’antichità, un elemento, questo,
che li distingueva da quelli di Aristotele e di Teofrasto 50). I dialoghi of-
frono diversi esempi di pastiche letterario, mostrano cioè la capacità di o-
spitare al loro interno altri generi (il caso più eclatante è forse l’orazione
funebre contenuta nel Menesseno) 51: non diversamente, nelle commedie

44
Agatone, a differenza di Aristofane, appare nel Protagora fra i seguaci dei sofisti
(315d8).
45
Beltrametti 1991, p. 145. Un’impostazione simile si riconosce in Burnyeat 1992.
46
Contro l’immagine stereotipa di Platone come ¢gšlastoj, cfr. l’equilibrato studio
di Rankin 1967. Per i giochi di parole platonici, cfr. Plass 1969 (che applica un approc-
cio freudiano all’Eutidemo) e Sprague 1994. La leggenda che nessuno avesse mai visto
ridere Platone, nata probabilmente da passi quali Resp. 388d-e e Leg. 935c-e, è riporta-
ta in Diog. Laert. 3.26. Cfr. Fernández 1997, p. 35.
47
Il Protagora è ritenuto comico in senso generico per esempio da Green 1920, Ca-
pizzi 1991, p. XX, Jäkel 1992, Reale 1998, p. XX. Cfr., per converso, le osservazioni di
Schaerer 1938, che, per la distinzione fra commedia e tragedia, cita opportunamente
Aristot. Poet. 1448a16.
48
Vd. Brock 1990 e Nightingale 1995, ma soprattutto Stella 1932. Cfr. anche, per il
Simposio, Wilson 1982, pp. 161-163, per la Repubblica Saxonhouse 1978, per l’Ippia
Maggiore, Woodruff 1982, p. 100 ss. Punti di contatto si possono poi trovare con i
frammenti di Epicarmo (che, secondo Diog. Laert. 3.10 fu utilizzato da Platone); cfr.
Laborderie 1978, p. 20 ss. Aristotele, come è noto, paragona i dialoghi ai mimi di So-
frone (Poet. 1447a28 ss., su cui cfr. Reich 1903, p. 380 ss. e Demann 1942, p. 26 ss.);
l’innocente osservazione di Aristotele è alla base di una tradizione che sottolineava for-
temente il debito di Platone nei confronti di Sofrone (vd. Laborderie 1978, p. 23 ss).
Sull’influsso di Sofrone e Alessameno di Teo, vd. le testimonianze in Haslam 1972.
49
Cfr. Hoffmann 1947-1948 (i dialoghi giovanili sarebbero commedie in prosa).
50
In Ateneo (11.505d-e) si trova la notizia che Gorgia, dopo aver letto l’omonimo
dialogo, avrebbe affermato: «Come sa ben schernire („amb…zein) Platone!» paragonan-
dolo poi ad Archiloco. Secondo Angeli Bernardini - Veneri 1981, l’aneddoto inquadra
bene il carattere deformante del dialogo platonico. Per l’affinità fra giambo e comme-
dia, cfr. ora Degani 1993. Per la differenza fra i dialoghi di Platone e quelli di Aristotele
e Teofrasto, cfr. Basilio, Ep. 135.1.20-32.
51
Cfr. Nightingale 1995, pp. 190-192. Il Menesseno, inoltre, combina il genere del-
l’orazione funebre con evidenti riprese dalla commedia (cfr. Capra 1998).
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46 DIALOGO E COMMEDIA

di Aristofane si trovano moltissimi esempi di situazioni paratragiche, di


canzoncine, lunghe citazioni, parodie … come diversi studi recenti han-
no sottolineato, la commedia era un genere tipicamente intertestuale 52.
A differenza della tragedia, che può alludere ad altre opere letterarie so-
lo in modo molto indiretto 53, dialogo e commedia sono dunque generi
aperti e capaci di una gamma mimetica molto ampia: non è un caso se
Bachtin individua nel dialogo socratico le scaturigini del polifonismo ro-
manzesco 54.
Queste possibilità sono sfruttate appieno nel Protagora, direi più che
in qualunque altro dialogo, ad eccezione forse del Simposio. Vi troviamo
infatti un carme quasi completo di Simonide (339b ss.), nonché l’unico
esempio platonico di mito sofistico (nel cosiddetto grande discorso di
Protagora, 320c ss.) 55. Inoltre il Protagora, fra i dialoghi di Platone, offre
senza dubbio il più vasto e icastico affresco dell’universo dei sofisti. In
particolare, la descrizione della casa di Callia stipata di proseliti della
nuova educazione (314c-316a) è ricchissima di spunti che – nell’irrisione
dei sofisti vanagloriosi – richiamano immediatamente la commedia 56.
Non deve dunque stupire il giudizio di Ateneo: «il bel Protagora […]
riesce a inscenare (™kqeatr…zw) la vita di Callia più che non gli Adulatori
di Eupoli» (11.506f); si tratta infatti – come riconobbe Wilamowitz – del
più teatrale fra i dialoghi platonici 57.
Colpisce nel Protagora l’altissimo numero di personaggi, un tratto
che il dialogo condivide, oltre che con il Simposio 58, con la commedia
antica. Socrate, Ippocrate, il portinaio, Protagora, Prodico, Ippia, Callia,

52
Cfr. i titoli dei recenti libri di Hubbard 1991 e Slater - Zimmermann 1993.
53
Cfr. la sunkrisis proposta in Taplin 1986. La tragedia è attenta a presentare il
passato eroico secondo certe regole, evitando con cura anacronismi grossolani (vd. Eas-
terling 1985).
54
Come osserva Bachtin 1963 (pp. 141-142), il dialogo socratico presenta le carat-
teristiche generali del serio-comico (contemporaneità dell’oggetto della rappresentazio-
ne, atteggiamento critico nei confronti della tradizione, rifiuto del monostilismo).
55
Molto dibattuto – e probabilmente insolubile – è il problema dell’autenticità di
questo mito. Si tratta a di un’invenzione platonica, b di un rifacimento platonico da un
originale protagoreo c della trascrizione di un’opera di Protagora? Per un inquadra-
mento del problema, cfr. Cambiano 19912 (pp. 8-13).
56
Gli spunti comici contenuti in questa scena descrittiva sono numerosissimi. Al-
cuni di essi saranno richiamati nelle pagine che seguono, nel capitolo II e in particolare
nel capitolo III.
57
«Vom Drama kam Platon, am Drama hatte er gelernt. Man muss sagen, dass er
ihm hier am nächsten steht» (Wilamowitz 1919, p. 139).
58
E in parte con il Liside e con il Fedone. Quest’ultimo dialogo riferisce di un gran-
de numero di persone che assistono al dialogo (59b ss.), e tuttavia la maggior parte
di esse sono personae mutae, mentre è ridotto il numero di interlocutori cui è concesso
un ruolo di rilievo.
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IL «PROTAGORA» E LA COMMEDIA 47

Crizia, Alcibiade, la figura fittizia dei «molti»: ognuno è ritratto con una
caratterizzazione individuale, in parte attraverso descrizioni (molto ab-
bondanti nel Protagora grazie alla forma della narrazione indiretta), ma
soprattutto mediante la mimesi di diversi e personali stili linguistici 59. In
secondo luogo, nel Protagora c’è una discreta azione drammatica: l’irru-
zione di Ippocrate nella casa di Socrate, il suo brancolare al buio finché
non trova posto vicino al letto di Socrate, l’andirivieni di Socrate e Ippo-
crate nel cortile, la camminata per raggiungere la casa di Callia, il contra-
sto con il portinaio che apre e poi sbatte la porta, il passeggio ‘peripateti-
co’ di Protagora che – simile a un pifferaio magico – si tira dietro due
schiere ordinate di seguaci adoranti, l’ingresso di Crizia e Alcibiade, lo
spostamento delle sedie per riunire i presenti, l’arrivo di Callia e Alcibia-
de che han fatto alzare da letto Prodico, gli applausi scroscianti, il finto
tentativo di fuga di Socrate trattenuto per il mantello da Callia … tutto
questo, insieme alle ricche descrizioni (che rivelano la presenza di diver-
se personae mutae), conferisce al Protagora, nel quadro della produzione
platonica, un movimento davvero eccezionale, che lo avvicina alla com-
media.
Nel Protagora infine, al di là delle indubbie allusioni specifiche, sono
ripresi e rifunzionalizzati alcuni tratti strutturali della commedia, come
la scena tipica della ‘porta chiusa’ e l’agone. Questo rapporto strutturale
fra il Protagora e la commedia sarà l’oggetto del prossimo capitolo, men-
tre vorrei qui concludere il discorso con alcune considerazioni, di carat-
tere più generale, sul rapporto fra la commedia e il dialogo, sempre con
un occhio di particolare riguardo per il Protagora 60.

59
Cfr. l’analisi stilistica, per la verità un po’ scarna, di Thesleff 1967, p. 127 ss., e le
osservazioni di Tarrant 1996. L’intenzione di riprodurre le cadenze della parlata orale è
rivelata dall’uso delle particelle. Osserva Cook 1996 che «their frequency and range is
so remarkable in his [scil. Plato’s] work, that more than a quarter of all the references
in Denniston’s Greek Particles […] are from his work» (p. 141) e che «the particles
structured the intonational pattern; and thereby they would heighten the fiction that an
oral conversation is being reproduced» (p. 142). Curiosamente, fino ad oggi «si è dedi-
cata un’attenzione molto marginale ai tratti peculiari della ‘scrittura platonica’» (Nied-
du 1992). Per qualche osservazione sul rapporto fra stile e pensiero, cfr. comunque
Tarrant 1948.
60
Naturalmente tutte queste analogie non dovranno nascondere le profonde diffe-
renze. Dal punto di vista della lingua, nonostante alcuni punti di contatto con la com-
media, i dialoghi si caratterizzano – e in questo il Protagora non fa eccezione – per la
completa assenza del turpiloquio. Tale aspetto peraltro, come è noto, tende ad atte-
nuarsi nelle ultime commedie di Aristofane, che anticipano così i caratteri della com-
media nuova: nel mezzo di certe considerazioni morali che abbondano nel Pluto, non è
difficile credere per qualche battuta di leggere un dialogo di Platone. Secondo Orazio,
poi, la commedia di Menandro era affine al dialogo platonico (vd. Sat. 2.3.11 ss. e il
commento di Lasserre 1986, p. 53).
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48 DIALOGO E COMMEDIA

4. NARRAZIONE INDIRETTA: UNA DISTANZA CRITICA

In un passo famoso del dialogo (316d ss.), Protagora presenta la sofi-


stica come diretta continuazione dell’attività e dell’insegnamento dei
poeti: Omero, Esiodo, Simonide e Orfeo erano grandi sofisti che però,
per non essere smascherati, occultavano la loro professione dietro l’ar-
te poetica. Platone, come è noto, tende a presentare l’incantamento
della retorica sofistica e la dolcezza della poesia come due aspetti di
uno stesso fenomeno, quella fascinazione acritica indotta dalla parola
ornata che costituisce in certo modo il fondamento della polis demo-
cratica. Da questo punto di vista, la scena del cortile colmo di sofisti e
discepoli adoranti e in particolare lo stato di trance in cui versano i se-
guaci di Protagora, assimilato a un Orfeo incantatore, sono un simbolo
trasparente del pericolo insito nell’arte della parola. A prima vista, po-
trebbe stupire una critica così severa in un dialogo che concede così
ampio spazio alla letteratura; si vedrà però che il Protagora, nel mostra-
re senza veli la propria dipendenza dalla tradizione comica, mira a in-
durre nel lettore una fruizione critica e per l’appunto ‘disincantata’
della letteratura.
Vorrei anzitutto attirare l’attenzione su un paradosso legato alla cir-
costanza che i dialoghi non erano probabilmente destinati alla rappre-
sentazione in un teatro 61: la coloritura scenica (descrizioni, movimenti,
personae mutae, mimica dei personaggi … tutti elementi che restituisco-
no, nella scrittura, ciò che il teatro mostra direttamente e che in un testo
teatrale – al più – confluisce nelle didascalie) 62 è possibile solo nella mi-
sura in cui viene introdotta dal punto di vista superiore del narratore
(quando c’è: molti dialoghi sono in forma drammatica pura) 63. In altre
parole: un dialogo può avere un carattere drammatico solo a condizione
di non essere, propriamente, drammatico 64. Tale paradosso, direi, non
deve essere inteso solo nel senso che Platone, quando ha cercato di con-
ferire un colorito scenico a uno dei suoi dialoghi, è stato costretto a ser-

61
Ma i dialoghi si prestano all rappresentazione: il Simposio, per esempio, è stato
portato in teatro, e se ne è tratto addirittura un film (M. Ferreri, Il Simposio di Platone,
1989). Per quanto riguarda l’antichità, non si possono escludere forme di recitazione,
se non di rappresentazione.
62
È peraltro molto dubbio che i drammaturgi classici inserissero didascalie nel te-
sto. Vd. per esempio Taplin 1977a, trad. it. 1994.
63
Per alcune osservazioni sull’uso della narrazione indiretta nel Protagora, cfr. Dal-
fen 1979.
64
Il rapporto fra dialogo e narrazione è un fenomeno complesso, che in anni recen-
ti ha attirato l’attenzione di letterati, filosofi e narratologi. Per un orientamento recente,
cfr. per esempio Mecke 1990.
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NARRAZIONE INDIRETTA 49

virsi del racconto indiretto per necessità narrative 65, ma anche nel senso
inverso: nel dare un carattere teatrale alle sue opere, Platone ha voluto
contemporaneamente prendere le distanze da questa stessa operazione,
disinnescando così i pericoli di fascinazione acritica connaturati, secon-
do Platone 66, alla forma drammatica pura, responsabile del carattere mi-
metico e illusionistico del teatro ateniese 67.
In questa prospettiva, è di grande interesse la trattazione della mime-
sis nel terzo libro della Repubblica. L’uomo per bene – dice fra l’altro
Socrate – consentirà a imitare soltanto caratteri onesti, mentre, per ver-
gogna, si rifiuterà di «rendersi simile sul serio (spoudÍ)» a chi è peggiore
di lui, perché si tratta di un comportamento che nel suo pensiero egli
spregia, a meno che non si tratti di adottarlo per gioco (e„ m¾ paidi©j c£-
rin)» (396d-e). In questi casi, però, «ricorrerà alla narrazione indiretta»
(dihg»sei cr»setai), limitando la mimesis (396e), e vi ricorrerà tanto più,
quanto meno degna è la realtà rappresentata (397e).
Dunque: Platone ammette una rappresentazione giocosa di realtà po-
co degne, con un impiego della narrazione indiretta direttamente propor-
zionale alla bassezza della materia. Queste considerazioni si possono ora
applicare a un dialogo ‘comico’ come il Protagora, in cui l’impiego della
narrazione indiretta sembra effettivamente legato al carattere colorito e
grottesco della realtà rappresentata. Sarà allora del tutto comprensibile
perché il Protagora e il Simposio, i due dialoghi di cui è probabile una di-
pendenza dalla commedia, sono i soli, insieme all’Eutidemo (un dialogo
con intenti caricaturali, anch’esso paragonato sovente a una comme-

65
Tali necessità si facevano sentire forse anche per il numero dei personaggi, che
nei dialoghi in forma drammatica pura non è mai elevato, e questo, probabilmente, per
la buona ragione che i dialoghi venivano letti ad alta voce (che questa fosse la modalità
normale di lettura è suggerito p.e. da Tht. 143b-c, benché la nota tesi che gli antichi
non praticassero la lettura silenziosa e solitaria sia oggi contestata; vd. Gavrilov 1997 e
Burnyeat 1997); infatti, un numero alto di personaggi avrebbe creato confusione. Fra
l’altro, probabilmente non esisteva l’uso degli editori moderni di preporre ad ogni bat-
tuta il nome di chi la pronunciava. Per questi problemi, cfr. Untersteiner 1980 (il capi-
tolo dedicato al dialogo, pp. 59-65).
66
Un’ottima rassegna della copiosa letteratura critica relativa alla posizione plato-
nica nei confronti della poesia e del teatro è in Isnardi Parente 1974. Una messa a pun-
to più recente si può trovare in Ferrari 1989 e in Janaway 1995.
67
Anche perché ai tempi di Platone la commedia, come già la tragedia, tendeva ad
abbandonare quelle rotture dell’illusione drammatica così frequenti nel teatro di Ari-
stofane. Per un elenco di probabili passi aristofanei che comportavano rottura dell’illu-
sione, vd. Chapman 1983. Il concetto di illusione drammatica, applicato al teatro classi-
co, è controverso, ma concordo con Taplin 1986 nel ritenere che lo «spell-binding» è
un tratto peculiare della tragedia classica (vd. in part. p. 164 ss.). Il progressivo affer-
marsi dell’illusione nella commedia di mezzo è analizzato in Slater 1995.
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50 DIALOGO E COMMEDIA

dia) 68 e al Fedone (un caso del tutto particolare, perché vi è descritta la


morte di Socrate 69) ad essere introdotti da un dialogo-cornice, in cui un
personaggio racconta a un altro il dialogo vero e proprio 70. Il Simposio,
addirittura, inscena il racconto di Apollodoro a un compagno; Apollo-
doro non era tuttavia presente al convito, ma riferisce la narrazione di A-
ristodemo che si era recato a casa di Agatone insieme a Socrate (questo
comporta l’impiego di formule – peraltro non sempre rispettate – come
«disse che quegli disse che») 71. Questa complessa scelta narrativa finisce
per creare un certo spaesamento nel lettore, che è portato di tanto in
tanto a chiedersi chi stia veramente parlando e dunque a riflettere criti-
camente sul carattere mimetico di un dialogo dal fascino pericoloso e
coinvolgente come il Simposio 72. L’adozione – in alcuni, particolari dia-
loghi – della narrazione indiretta inserita in una cornice dialogica si rive-

68
L’Eutidemo non solo si presta a essere descritto come «ein philosphischer Mi-
mus» (Reich 1903, p. 400), ma è articolato in cinque parti, che richiamano i cinque atti
della commedia nuova. Di recente, si è sostenuto che la partizione è già in Aristofane
(Sommerstein 1984 e Hamilton 1991, contra Park Poe 1999).
69
È ovviamente impensabile mettere in bocca a Socrate il racconto della propria
morte (cfr. Bonzon 1986). D’altra parte Platone non ha voluto impiegare la forma
drammatica pura perché uno degli scopi del dialogo è la descrizione della serenità della
morte di Socrate (p.e. Socrate attanagliato dal veleno, ormai incapace di parlare; cfr.
Gill 1973).
70
I dialoghi possono essere così classificati: drammatici puri, narrati, introdotti da
una cornice (il Teeteto è un caso particolare: è introdotto da una cornice, ma poi il dia-
logo principale è in forma drammatica pura; vd. Carlini 1994, con ulteriore biografia).
Una diversa classificazione è adottata da Clay 1992, che definisce «frame-dialogues» i
dialoghi riportati da un narratore diverso da Socrate (Parmenide, Fedone, Teeteto e
Simposio). Clay 1992 propone acute riflessioni sulle prime battute di Fedone e Repub-
blica, ma dichiara però di avere «little to say in this essay about Plato’s motives in choo-
sing one kind of dialogue over another» (p. 119). Cfr. anche Johnson 1998, la cui biz-
zarra tesi è che «the elaborate indirectness of the dramatic frame means to reflect […]
the remove between perceptible and Ideal world as suggested in Plato’s vision of the
Ideas» (p. 577).
71
Si tratta qui di un «tour-de-force of oblique narration» (Tarrant 1955b, p. 222).
Formule simili ricorrono – sporadicamente – anche nell’Economico di Senofonte (p.e.
7.23; 7.30; 9.18; sulla complessa struttura narrativa di quest’opera, vd. le osservazioni
di Natali 1988, p. 14 ss.), ma il narratore principale è qui Senofonte stesso. Sull’uso
dell’oratio obliqua, cfr. le osservazioni di Euclide in Tht. 143c-d, il quale dice di avere
trascritto il racconto di Socrate omettendo le formule di narrazione indiretta ma ripor-
tando il dialogo in forma drammatica pura. Al Simposio è dedicato il saggio di Halperin
1992, secondo il quale le strutture narrative sono connesse – un po’ oscuramente, per la
verità – con la dottrina erotica di Diotima.
72
Riguardo alla narrazione indiretta, motivazioni in generale estrinseche e poco or-
ganiche sono addotte da Laborderie 1978, p. 385 ss. (p.e. l’idea che la narrazione indi-
retta debba garantire la veridicità del racconto, p. 392). Secondo altri, la cornice crea
un senso di distanza temporale (p.e. Clay 1992) o sottolinea la natura fittizia del rac-
conto (p.e. Dover 1980, p. 9).
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NARRAZIONE INDIRETTA 51

la dunque pienamente comprensibile e coerente con le teorie espresse


nella Repubblica: è probabilmente questo lo strumento più efficace cui
Platone poteva ricorrere per stabilire una distanza rispetto alla materia
trattata.
Nel Protagora i fatti narrati, pur rivelando apertamente la loro matri-
ce teatrale, non rivivono sul momento attraverso la forma drammatica
pura, ma vengono relegati nel passato, filtrati dal racconto 73. L’opera-
zione compiuta da Platone può essere forse accostata – se il paragone
non sembra troppo ardito – alla rivoluzione cercata nel teatro da Bertold
Brecht, che, non diversamente da Platone 74, si espresse con vigore con-
tro il deleterio effetto di acritica immedesimazione (Einfühlung) che il
teatro tradizionale produce nello spettatore, e progettò per questo un tea-
tro dotato – sono parole di Roland Barthes – di una «potenza maieuti-
ca» 75, una forma di spettacolo in cui «il palcoscenico e la platea siano
depurati da ogni elemento magico e non si determini nessun campo ip-
notico» 76. Basti qui ricordare, per la sua sintetica efficacia, una delle an-
titesi contenute nella celebre tavola di confronto fra il tradizionale teatro
«drammatico» e il nuovo teatro «epico»: la forma drammatica «incarna»
(verkörpert) un avvenimento, mentre la seconda lo «racconta» (erzählt) 77.
La narrazione indiretta del Protagora, infine, offre una sorta di con-
trocanto all’immagine che i personaggi cercano di accreditare; così, le
parole condiscendenti di Protagora, che cerca in tutti i modi di mostrarsi
tranquillo e alieno da qualunque spirito agonistico, sono più volte smen-
tite dalla narrazione di Socrate, che ne rivelano invece comicamente l’in-
quietudine e il nervosismo, e in un caso è Socrate stesso a confessare a
posteriori, nel racconto, il proprio effettivo stato d’animo 78. Questi ri-
mandi contribuiscono alla rappresentazione umoristica dei personaggi: è
questo, come si vedrà ora, un altro strumento di distanziazione.

73
Tarrant 1996 osserva che soprattutto i dialoghi narrati, e in particolare l’Eutide-
mo, il Protagora e il Simposio, ricorrono a procedimenti caratteristici della composizio-
ne orale.
74
Sul concetto di Einfühlung e sulla posizione a riguardo di Brecht, vd. per esem-
pio Molinari 1996, p. 90 ss. Secondo Thiele 1991, «Brecht ist durchaus nicht der erste,
der auf dem Wege einer radikalen Negation der Katharsis politische Zielsetzungen ver-
folgte. Eine noch wesentlich umfassendere Verneinung des Phänomens in Dichtung
und Theater findet sich schon bei Platon» (p. 35). Ma lo studioso – che si concentra
peraltro quasi solo sulla catarsi – non spinge oltre il paragone.
75
Barthes 1964, p. 51, citato in Carlson 1984, trad. it. 19972, p. 447.
76
Chiarini 1961, p. 18.
77
Brecht anzi, nella Linea di Condotta, sperimentò forme di narrazione inserite in
una cornice dialogica come nel Protagora: gli attori-narratori si rivolgono a una sorta di
pubblico astratto e gli espongono fatti passati cui hanno preso parte.
78
Cfr. per esempio Prot. 333d; 339e; 348c.
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52 DIALOGO E COMMEDIA

5. L’UMORISMO PLATONICO

Una differenza ovvia fra il dialogo e la commedia aristofanea consiste


proprio nella diversa natura dell’umorismo platonico 79; quest’ultimo,
come osserva uno studioso del riso in Platone, è «decisamente troppo
lieve per ipotizzare una forte influenza della commedia antica; troppo
morbido per credere che possa essere stato ispirato dal mimo 80. È piut-
tosto l’arguto modo di vedere le cose di un virtuoso dello stile, con un
prodigioso talento per la caratterizzazione» 81. Come agisce questo talento?
Anzitutto, molte delle arguzie platoniche manifestano l’ethos di un
personaggio: il carattere impetuoso di Cherefonte si rivela per esempio
nel buffo slancio con cui, all’inizio del Carmide, salta al collo di Socra-
te 82. Per questo tipo di caratterizzazione umoristica, che si esprime at-
traverso i movimenti, la narrazione indiretta ha un ruolo fondamentale:
per esempio la foga ridicola con cui Ippocrate, tutto eccitato per l’arrivo
ad Atene di Protagora, irrompe in casa di Socrate, difficilmente avrebbe
potuto essere rappresentata altrettanto bene attraverso la forma dram-
matica pura. La narrazione indiretta è lo strumento atto a riprodurre
movimenti che il teatro avrebbe mostrato direttamente, ma al tempo
stesso permette a Platone di esprimere un umorismo più sottile e, se così
si può dire, didattico, perché i movimenti sono accompagnati da osser-
vazioni di carattere psicologico del narratore. Queste osservazioni sono
particolarmente frequenti nelle prime pagine del dialogo: ad esempio,
l’irruzione di Ippocrate è commentata con queste parole: «[…] io, cono-
scendo il suo ardore e la sua impetuosità […]», 310d 83. In questo modo,
Platone mette in pratica e forse inventa una caratteristica della prosa
d’arte moderna: i caratteri e le idee – dice Tzvetan Todorov – sono «sim-

79
Nonostante il giudizio di Cicerone, De off. 1.29.104: … duplex omnino est iocan-
di genus, unum inliberale, petulans, flagitiosum, obscaenum, alterum elegans, urbanum,
ingeniosum, facetum, quo genere non modo Plautus noster et Atticorum antiqua comoe-
dia, sed etiam philosophorum Socraticorum libri referti sunt. Sull’umorismo platonico, è
interessante lo studio di Apelt 1907, che si occupa però quasi esclusivamente dei dialo-
ghi della vecchiaia.
80
Queste differenze, almeno in parte, possono anche essere legate a un generale
cambiamento della società ateniese, che produsse – si è sostenuto – un graduale «ta-
ming of buffonery and laughter» (Bremmer 1997, p. 18 ss.).
81
Rankin 1967, p. 197. Al contrario, «on the whole Aristophanic characters achieve
uniqueness more by their situation than by their language» (Henderson 1995, p. 183).
In Aristofane la caratterizzazione stilistica dei personaggi è saltuaria e intermittente,
benché ci siano diverse scene in cui costituisce un elemento comico molto importante
(cfr. Del Corno 1997).
82
Charm. 153b; è un esempio citato da Rankin 1967, p. 199.
83
Un elenco di alcuni di questi passi, ma niente di più, è offerto in Murley 1954.
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L’UMORISMO PLATONICO 53

bolizzate mediante le azioni, ma possono essere ugualmente significa-


te» 84. La «significazione», nel Protagora come in molti romanzi moderni,
si concentra soprattutto nella prima parte dell’opera, giacché «è suffi-
ciente che l’autore ci insegni, per qualche tempo, a interpretare gli eventi
che egli evoca» 85.
Accanto alla ‘significazione’, che si accompagna alle azioni ‘simboli-
che’ dei personaggi, l’umorismo platonico prende corpo nella ‘stilizza-
zione’ del linguaggio dei personaggi, una tecnica di cui Platone è mae-
stro, se è vero – come asserisce un noto teorico della letteratura – che e-
gli «fu capace, come forse nessun altro fino a Balzac, Dickens e Proust,
di individualizzare (anche per mezzo di imitazioni letterarie) i discorsi
dei suoi personaggi» 86. Si pensi alla retorica condiscendente e un po’
vaga di Protagora, alla magniloquenza vacua di Ippia, alle argomentazio-
ni spesso capziose di Socrate, o all’ossessiva diairesis semantica degli in-
terventi di Prodico: il Protagora rappresenta uno degli esempi più bril-
lanti di questo talento stilistico, come del resto già gli antichi riconosce-
vano 87. Il lettore impara così a conoscere i personaggi, con le loro idio-
sincrasie espressive. Nei termini di Michail Bachtin, «nella stilizzazione
la parola diviene convenzionale, non è più detta sul serio, come nella
imitazione: l’autore prende distanza da essa, non la prende più sul serio,
non si identifica con essa», ed è proprio questo l’elemento discriminante
fra i generi ‘seri’ come l’epica e quelli comici 88.
Sia la ‘significazione’ sia la ‘stilizzazione’, ingredienti dell’umorismo
platonico, inducono il lettore a prendere le distanze dai personaggi. Gra-
zie a questi accorgimenti – credo – è favorita una fruizione sorvegliata
della comicità, e l’umorismo costituisce un ulteriore strumento atto a di-

84
Todorov 1971, trad. it. 19952, p. 196.
85
Ibidem. Todorov trae qui qualche esempio dall’Adolphe di Benjamin Constant.
Egli afferma che la «significazione» guida l’interpretazione del lettore, di modo che
«dopo aver stabilito qualche interpretazione deterministica, Constant può evitare di
nominare la causa di un avvenimento; abbiamo imparato la lezione e continueremo a
interpretare come ci ha insegnato. In questo modo, il lettore è introdotto al ‘sistema di
interpretazione’ che sarà quello dell’autore per tutto il suo testo». Si osservi però che
nel Protagora colui che guida l’interpretazione è Socrate, ossia un personaggio che par-
tecipa all’azione.
86
Genette 1982, trad. it. 1997, p. 107. Sulla caratterizzazione degli interlocutori
platonici, relativamente ai temi trattati e agli intendimenti dei singoli dialoghi, alcune
buone osservazioni si possono trovare in Coventry 1990.
87
Cfr. DK 80 A2 = Philostr. Vit. Sophist. 1.10: gnoÝj dþ tÕn PrwtagÒran Ð Pl£twn
semnîj mþn ˜rmhneÚonta, ™nupti£zonta dþ tÍ semnÒthti ka… pou makrologèteron toà summš-
trou, t¾n „dšan aÙtoà mÚqJ makrù ™carakt»risen. Come osserva Ausland 1997, «in anti-
quity Plato’s dialogues were known for their characterization (t¾n ºqopoi…an t¾n qrul-
loumšnhn, S Aristid. 671.6-7 Dind.)».
88
Ponzio 1992, pp. 72-73.
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54 DIALOGO E COMMEDIA

sinnescare la fascinazione mimetica del dramma 89. Si realizza perciò quel-


la forma di imitazione giocosa o – diremmo noi – umoristica che permet-
te, secondo il passo della Repubblica ricordato sopra, di rappresentare
anche realtà poco degne.

6. LO SFONDO STORICO: IRONIA DELL’AMBIENTAZIONE

Il motivo della prodigalità di Callia, che la letteratura socratica eredita


dalla commedia, è riconoscibile anche nel Protagora, dietro un’osserva-
zione di Socrate a prima vista del tutto innocente: Prodico – racconta
Socrate – «alloggiava in una camera che prima Ipponico adibiva a ‘teso-
reria’ (tamieion) ed ora Callia, dato il gran numero di persone piombate-
gli in casa, aveva vuotato e preparato come alloggio per gli ospiti» (315d).
Qui Platone riprende un motivo probabilmente già trattato nei Parassiti
di Eupoli: i sofisti e gli adulatori sono tanto invadenti e numerosi da ri-
chiedere una ristrutturazione degli ambienti 90. Ma la narrazione indiret-
ta suggerisce di passaggio che il motivo della ristrutturazione può essere
un altro: nel tamieion, il luogo dove ad Atene si conservava il denaro 91,
Callia non aveva più niente da mettere perché i sofisti, notoriamente, si
erano mangiati tutti i soldi di suo padre Ipponico 92. È un’ironia feroce,
sottile e ambigua, che difficilmente la forma drammatica pura, legata alla
necessaria urbanitas dei personaggi platonici, avrebbe permesso 93.

89
Si pensi in proposito allo scritto brechtiano Humor ist Distanzgefühl, in cui il
senso della distanza viene identificato con l’umorismo.
90
Cfr. 167 PCG. La commedia di Eupoli trattava forse anche di una spartizione fra
i parassiti del mobilio di Callia (161 PCG). Nel fr. 162, poi, si dice che [i parassiti] fo-
roàsin, ¡rp£zousin ™k tÁj o„k…aj / tÕ crus…on, t¢rgÚria porqe‹tai.
91
Cfr. Resp. 550d.
92
Con analogo sarcasmo Andocide, nell’orazione Sui Misteri, ricorda la rovina del-
la fortuna di Ipponico ad opera del figlio Callia. Secondo una voce diffusa: =IppÒnikoj ™n
tÍ o„k…v ¢lit»rion [scil. Callia] tršfei, Öj aÙtoà t¾n tr£pezan ¢natršpei … pîj oân ¹ f»mh
¹ tÒte doke‹ Øm‹n ¢pobÁnai; o„Òmenoj g¦r =IppÒnikoj uƒÕn tršfein ¢lit»rion aØtù œtrefen, Öj
¢natštrofen ™ke…nou tÕn ploàton, t¾n swfrosÚnhn, tÕn ¥llon b…on ¤panta (130-131). Callia,
dunque «rovescia il banco» del padre, «with a play on tr£peza meaning a ‘bank’» (Maid-
ment 1953, p. 437). Secondo Cox 1996, l’immagine ha anche una connotazione religio-
sa, giacché Callia era un sacerdote, e tr£peza può indicare la tavola sacrificale, mentre
la vicinanza fonica fra tršfw e tršpw può alludere al fatto che Callia ha divorato i sa-
crifici.
93
Tale necessità emerge per esempio dal comportamento di Aristofane nel Simpo-
sio, la cui aggressività nei confronti di Agatone (cfr. Thesm. 97 ss.) è trasformata in una
«bland cattiness» (Dover 1966, p. 45).
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IRONIA DELL’AMBIENTAZIONE 55

Questa ironia implicita, forse influenzata anche dalle forme allusive


che la commedia assunse al tempo di Platone 94, è dovuta in gran parte
alla cura con cui l’ambientazione – attraverso la narrazione indiretta – è
costruita. Il dialogo contiene un mito pronunciato da Protagora in cui
l’esaltazione della democrazia si traduce in una teoria che individua nella
giustizia (d…kh) e nel pudore (a„dèj) i fondamenti della civiltà. Ora, qua-
le credibilità può avere questo discorso, se a esporlo è qualcuno che –
come le prime battute del dialogo chiariscono – trascorre quasi tutta la
propria giornata nella malfamata casa di Callia 95? Nel 399, ossia non
molti anni prima della composizione del Protagora, Andocide aveva pro-
nunciato un’orazione – la celebre Sui Misteri – che contiene un ritratto
raccapricciante e indimenticabile del ricco ateniese (124 ss.). Andocide
insiste in particolare sullo spaventoso ménage di Callia 96. Egli dapprima
prese come concubina la madre della moglie, e ne ebbe un figlio che non
volle riconoscere. In seguito, dopo che la moglie fu buttata fuori casa
dalla propria madre, si stancò anche di quest’ultima, salvo poi, in preda
a un ritorno di fiamma, riprenderla con sé e riconoscerne il figlio. Infine,
cercò di fare sua anche la figlia della moglie ripudiata (senza peraltro ri-
nunciare alla nonna), così che il figlio di Callia – disgraziato emulo di E-
dipo – si sarebbe ritrovato figlio, fratello e zio di ciascuna delle tre signo-
re di casa 97. Questo stile di vita, alla lunga, doveva pesare sulle pur co-
spicue finanze di Callia, tanto che nelle Thrattai di Cratino egli era chia-
mato «il tatuato», uno stigma che alludeva all’ipoteca gravante sulla sua
casa 98. Niente male se si considera che Callia è il più zelante fra gli allie-
vi di Protagora, sedicente maestro di virtù, capace di insegnare «la buo-

94
Su questo possibile sviluppo della commedia di mezzo, vd. Perusino 1986. Peru-
sino ricorda che secondo Platonio – la cui testimonianza viene rivalutata – dopo i Bat-
tezzatori di Eupoli la commedia «passò dallo scherzo palese e dall’attacco scoperto
(skîmma ¢parak£lupton, fanerÒn) ad una comicità di tipo allusivo con attacchi oppor-
tunamente attenuati (kwmJde‹n ™schmatismšnwj kaˆ m¾ prod»lwj, sumbolikîj, a„nigmatw-
dîj): già Aristotele nel passo citato dell’Etica a Nicomaco [4.8.1128a6] aveva contrap-
posto la ØpÒnoia della commedia del suo tempo alla a„scrolog…a della commedia anti-
ca» (Perusino 1986, pp. 79-80). Ma la componente critica non era certo assente (cfr.
p.e. Nesselrath 1997).
95
Per tre volte, in 310e-311a, Socrate ribadisce che Protagora si trova usualmente
in casa di Callia, œndon. Trascorrere gran parte del proprio tempo in casa era considera-
to cosa vergognosa, come emerge per esempio dall’Economico di Senofonte (7.2; 7.30;
11.14).
96
Le parole di Andocide tendono a comunicare il senso di una vita mostruosa, al di
fuori di ogni parametro umano: skeyèmeqa e„ pèpote ™n to‹j “Ellhsi pr©gma toioàto ™ge-
neto … (123).
97
Per una ricostruzione delle complicate vicende matrimoniali di Callia, vd. Davies
1971, p. 263 ss.
98
Fr. 81 PCG.
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56 DIALOGO E COMMEDIA

na deliberazione negli affari domestici – in che modo si debba gestire al


meglio la propria casa» (318e-319a) 99. Che dire poi della discussa argo-
mentazione edonistica che occupa le pagine finali del Protagora? Socra-
te, sorprendentemente, delinea una tecnica di misurazione che consente
all’esperto di incrementare i piaceri corporei; ma non si dimentichi che il
dialogo è ambientato in un famoso palazzo di delizie 100. I lettori del Pro-
tagora sapevano benissimo che i piaceri del sesso e della buona tavola, di
cui tratta l’argomentazione edonistica, erano le attività favorite dell’en-
tourage di Callia.
Una luce maliziosa e dissacrante si proietta dunque anche sulle parti
del dialogo che si caratterizzano per un forte impegno concettuale. C’è
da credere che questa tecnica rientrasse appieno nelle potenzialità della
letteratura socratica, specialmente (ma non solo) per il tramite di un per-
sonaggio ‘comico-simposiale’ come Callia: Ateneo riferisce che il Callia
di Eschine conteneva «il dissidio fra Callia e suo padre e il dileggio dei
sofisti Prodico e Anassagora». Eschine – prosegue Ateneo – «dice che
Prodico perfezionò negli studi Teramene, mentre l’altro [Anassagora] i-
struì Filosseno, il figlio di Erissi, e Arifrade, fratello del citaredo Arigno-
to» (5.220b-c). L’intenzione di Eschine è quella di «mostrare, attraverso
il vizio e la depravazione di questi personaggi, la pochezza dell’insegna-
mento dei maestri» (5.220c). Antistene – ricorda ancora Ateneo – aveva
aggredito diversi demagoghi, nonché «Santippo e Paralo, i figli di Peri-
cle», partecipi di un demi-monde di buffoneria e piccola prostituzione
(5.220c-d).
Pur da queste labili notizie, sembra di capire che in alcuni scritti so-
cratici l’irrisione degli allievi, che nel tempo mostrarono la loro inettitu-
dine, fosse funzionale alla critica dei nuovi educatori: era probabilmente
questo un modo di replicare alle accuse di Policrate, che nel suo libello,
sul finire degli anni ’90, aveva rinfacciato a Socrate l’immoralità di due

99
Che la figura di Callia e la presenza di numerosi personaggi di dubbia moralità
costituisca una tacita ma severa smentita delle ambizioni di Protagora come insegnante
di virtù, è la tesi di Wolfsdorf 1998. Egli nota poi giustamente un notevole contrasto fra
i personaggi del Protagora e quelli del Fedone, ossia gli amici intimi di Socrate: «In fact,
of the nineteen personae mentioned as present at Callias’ house in the Protagoras – the
largest collection of personae in a Platonic dialogue – none is present in the cell at So-
crates’ bedside in the Phaedo, the second largest collection of personae» (p. 130).
100
Cfr., fra l’altro, PCG s.v. Eupolis, KÒlakej iv. Max Tyr. 14.7 (p. 179.10 Hob.):
Kall…an mþn ™n Dionus…oij ™kwmódei EÜpolij „dièthn ¥ndra ™n sumpos…oij kolakeuÒmenon,
Ópou tÁj kolake…aj tÕ «qlon Ãn kÚlikej kaˆ ˜ta‹rai kaˆ ¥llai tapeinaˆ kaˆ ¢ndrapodèdeij
¹dona…. Callia, peraltro, si diede da fare anche fuori dalle mura di casa: sorpreso in fla-
grante adulterio, dovette spendere una fortuna per evitare il conseguente processo (Cra-
tino, 81 PCG).
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CONCLUSIONE 57

suoi presunti allievi, Crizia e Alcibiade 101. Costoro appaiono invece nel
Protagora come frequentatori della casa di Callia, e inoltre il codazzo dei
seguaci fanatici del sofista di Abdera comprende proprio Paralo, Santip-
po e Callia, nonché un certo Antimero di Mende, «il più famoso degli al-
lievi di Protagora» (315a). Ma questo Antimero non dovette lasciare
gran traccia di sé, giacché nulla si sa di lui oltre ai pochi dati ricavabili
dal dialogo, e le notizie relative agli altri allievi non sono certo incorag-
gianti. Che razza di maestro è dunque Protagora?
La tragedia, confinata nel passato mitico, può alludere solo in modo
molto indiretto a quel presente storico di cui la commedia, per converso,
è completamente imbevuta. Anche da questo punto di vista il dialogo
platonico, in accordo con le indicazioni del Simposio, sembra operare
una sintesi: se la tragedia è poesia di un passato remoto e indefinito, e la
commedia opera nel presente, il campo d’azione del dialogo platonico è
invece il passato prossimo, ossia un passato i cui effetti sulla realtà pre-
sente sono ancora ben visibili. Nei decenni che separano la data dram-
matica del dialogo dal presente in cui scrive Platone si consumò la rovi-
na personale di molti personaggi del Protagora, e l’Atene di Pericle, ben
rappresentata da Callia e dai suoi ospiti, conobbe la disfatta 102. È questa
la dimostrazione più chiara del fallimento delle ambizioni educative dei
sofisti: l’ironia di Platone invita il lettore, ancora una volta, a non pren-
dere sul serio le parole dei suoi personaggi.

7. CONCLUSIONE

Secondo Aristotele, il teatro «è imitazione non di uomini ma di azioni e


di vita; non si agisce dunque per imitare i caratteri, ma si assumono i ca-
ratteri a motivo delle azioni» 103; Platone, nella misura in cui il Protagora
rivela l’influsso del dramma attico, ha costruito una sorta di commedia
non drammatica, in cui il rapporto di subordinazione e funzionalità fra
azione ed ethos risulta capovolto. Si può cogliere qui un aspetto di quel
processo per cui Platone, con le belle parole di Benedetto Croce, «men-

101
Questa accusa di Policrate è riferita e lungamente commentata da Senofonte: vd.
Mem. 1.2.12 ss. Sull’interpretazione di questi passi e sulla datazione del libello di Poli-
crate, cfr. Chroust 1957, p. 69 ss.
102
Per maggiori dettagli sui fallimenti cui andarono incontro molti personaggi del
Protagora, vd. infra, V.4.
103
Poet. 1450a15-22, traduzione tratta da Lanza 1987. Aristotele parla naturalmente
della tragedia.
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58 DIALOGO E COMMEDIA

tre scacciava la poesia dalle ben costituite repubbliche, trepidava nel di-
scacciamento, e creava egli stesso, in quell’atto, una nuova e sublime
poesia» 104. Ma questa novità – come si è visto – era probabilmente detta-
ta da chiare riflessioni e da precisi intenti piuttosto che da una trepida
nostalgia della grazia poetica, come buona parte della critica, ieri come
oggi, si ostina ad affermare, nella convinzione che Platone sia poeta mal-
grado se stesso 105.
I dialoghi, come si è detto nella Premessa, sono opere protrettiche,
destinate a convertire i lettori alla filosofia e a stimolarne le facoltà criti-
ca; per questo, anche quando un dialogo si pone nel solco del teatro an-
tico, l’attenzione critica del lettore deve essere mantenuta desta attraver-
so quegli strumenti di distanziamento che si sono visti: la narrazione, l’u-
morismo e l’ironia. Come affermò Brecht, nel criticare proprio la conce-
zione del teatro aristotelica, «anche nella drammatica si deve introdurre
la nota a piè di pagina e il confronto fatto sfogliando. Il vedere in modo
complesso richiede esercizio» 106. Il Protagora, a mio avviso, può ben es-
sere considerato una forma di teatro che chiede di essere «sfogliata» e
vagliata criticamente. E la letterarietà dei dialoghi – lungi dall’essere una
qualità accidentale, rigurgito involontario di un amore represso per la
poesia – è uno strumento pienamente soggetto al controllo del suo auto-
re, che vedeva i limiti (e forse comprese la crisi storica) del teatro atenie-
se, e, pur di spodestare la cultura tradizionale, progettò una letteratura
completamente nuova. Come immaginosamente ebbe a dire Nietzsche, il
dialogo platonico «prodotto dalla mescolanza di tutti gli stili» e «sospeso
a metà […] fra prosa e poesia […] fu come la scialuppa su cui l’antica
poesia, naufraga, si salvò con tutte le sue creature: pigiate in uno stretto
spazio, ansiosamente soggette al pilota Socrate, navigavano verso un
mondo nuovo, che non sapeva saziarsi di contemplare il fantastico aspet-
to di questo corteo» 107.

104
Croce 1913, 197418, p. 13.
105
Hegel affermò perentoriamente che la forma dialogica è d’ostacolo alla precisa
comprensione della filosofia di Platone (Hegel 1928, trad. it. 1932, p. 163). Havelock
1983, p. 158 ss., vede nell’influsso del teatro sull’opera platonica il retaggio, duro a mo-
rire, di un modo di comporre caratteristico di una cultura orale. Spesso simili giudizi
vengono connessi a contraddizioni – vere o presunte – insite nell’‘estetica’ platonica.
J. Annas, per esempio, afferma che «whithin the Republic […] Plato’s attitude is split,
and he is not like the socialist realists, or Tolstoy, who think that it is both possible and
necessary to throw out ephemeral, entertainment art and to promote deep, truth-pro-
moting art» (Annas 1982, p. 290).
106
Brecht 1975, II, p. 96.
107
Nietzsche 1872a, trad. it. 199717, p. 95 (con modifiche). Si noti che anche
Nietzsche, come poi Bachtin, vede nel dialogo socratico il vero precursore del romanzo.
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TESTATINA FITTIZIA DA ELIMINARE 59

II

STRATEGIE COMICHE NEL «PROTAGORA»

1. IL «PROTAGORA» E LA COMMEDIA: ORIZZONTI D’ATTESA

«Platone fu essenzialmente un poeta: non si potrebbero concepire più


intense verità, né splendore di immagini, o melodia della lingua»; i suoi
dialoghi «offrono prove irrefutabili che può esservi poesia altissima sen-
za metro». Accade ormai di rado, almeno nella letteratura scientifica, di
leggere affermazioni come queste di Shelley e Coleridge 1; e tuttavia non
bisogna dimenticare che i dialoghi di Platone nascono come opere lette-
rarie 2. Misura della letterarietà di un dialogo come il Protagora, che a Wi-
lamowitz parve in certo modo il più bello di Platone 3, è anzitutto la nar-
razione in prima persona della vicenda; l’opera dunque – per sfoderare
qualche categoria narratologica – è una «Ich Erzählsituation» ovvero un
racconto «omodiegetico», offerto da un «first-person narrator-partici-
pant» 4. L’interesse del lettore, di conseguenza, è almeno parzialmente

1
Questi giudizi sono riportati in Hartland-Swann 1951, p. 8.
2
Cfr. le osservazioni svolte supra, nel capitolo I, sui rapporti fra dialogo e teatro.
Platone, inoltre, può essere considerato l’inventore o perlomeno il precursore della fic-
tion: la storia di Atlantide contenuta nel Crizia, per certi aspetti, rientra in questa cate-
goria (cfr. Gill 1979).
3
«In dem Dialog Protagoras hat der junge Platon sein Meisterstück gemacht […]
Es hat lange gedauert, bis er sich schrifstellerisch wieder ein so hohes Ziel setzte, und
in gewissem Sinne kann man sagen, dass ihm gleich etwas so gelungen ist, wie er es nie
wieder erreicht hat» (Wilamowitz 1919, p. 137).
4
«Ich Erzählsituation» è l’espressione impiegata da Stanzel 1955, mentre di rac-
conto omodiegetico ha parlato Genette 1982, trad. it. 1997. «First-person narrator-par-
ticipant» è una categoria impiegata da Leaska 1996, p. 165 ss. Per una breve rassegna
degli studi sul punto di vista rivolta al mondo degli studi classici, cfr. Segre 1981. Per
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60 STRATEGIE COMICHE NEL «PROTAGORA»

disviato dai contenuti dottrinali del discorso alla forma narrativa in sé,
che assume così un interesse e una valenza autonomi 5. Con altri dialoghi
socratici, inoltre, il Protagora condivide un tratto che richiama la produ-
zione drammatica: il racconto di Socrate non consiste in un’esposizione
dottrinale, ma rappresenta un conflitto di opinioni. Infine, la letterarietà
di questo dialogo consiste nella sua – per così dire – dichiarazione di ap-
partenenza al genere comico, che emerge anzitutto dall’ambientazione
nella casa di Callia: è un’indicazione di registro inequivocabile. Nelle pa-
gine che seguono cercherò di mostrare come questa indicazione sia pie-
namente confermata dallo svolgimento del dialogo; molte delle leggi del
genere comico sono infatti puntualmente rispettate nel Protagora 6. L’af-
finità con la commedia si rivelerà così di ordine strutturale, decisiva per
l’interpretazione del dialogo 7.

una bibliografia riguardo all’applicazione di approcci narratologici agli autori classici,


cfr. De Jong - Sullivan 1994, p. 281 ss.
5
La mediazione di un narratore caratterizzato (di solito Socrate) o l’adozione della
forma drammatica pura vogliono forse sottolineare il carattere fittizio dei dialoghi: Pla-
tone non intende assumersi la responsibilità di una ‘dottrina platonica’ (cfr. Ep. VII
341c). Come ha mostrato D. Clay, nelle teorie letterarie dell’antichità – e, almeno fino a
Catullo e Petronio (su quest’ultimo vd. Conte 1997, dal significativo titolo L’autore na-
scosto), anche nella pratica poetica e prosastica – manca il concetto di un narratore di-
stinto dall’autore reale, o di una «literary persona […] of the poet» (Clay 1998, p. 9).
Né esisteva il concetto di «autore implicito», distinto sia dall’autore reale che dal narra-
tore anonimo (così Booth 1961, pp. 70-71). La narrazione diretta, secondo un approc-
cio paradossalmente vicino all’estetica romantica, era sentita come espressione diretta
dell’autore reale, che si rivolge al suo pubblico senza mediazioni. La via imboccata da
Platone, deciso a declinare ogni responsabilità autoriale, è dunque in certo modo ob-
bligata.
6
Per quanto lo consente la trasposizione in prosa che Platone deve necessaria-
mente operare. Questa trasposizione, peraltro, in una prospettiva platonica non è così
rilevante, perché molti passi dei dialoghi suggeriscono che Platone non ritenesse parti-
colarmente importante la distinzione fra prosa e poesia. Vd. per esempio Gorg. 502c,
Phdr. 236d (Lisia è definito poiht»j), Leg. 811, e cfr. le osservazioni di De Hoz 1985.
Anche Aristotele, secondo Diog. Laert. 3.37, considerava i dialoghi platonici vicini alla
poesia. Come osserva R. Barthes (1953, trad. it. 1960), «La poesia classica era semplice-
mente sentita come una variazione ornamentale della prosa, il frutto di un’arte (cioè di
una tecnica), mai come un linguaggio diverso o come il prodotto di una sensibiità parti-
colare» (p. 55).
7
Con «struttura» mi riferisco a una serie di elementi e partizioni interne, relativa-
mente invarianti, proprie della commedia antica. Per questo senso ‘debole’ di struttura,
cfr. Segre 1985, p. 42 ss. Per la ‘struttura’ della commedia antica, analizzata in base a
presupposti teorici tratti da Aristotele (il màqoj della Poetica, sulla cui valenza narrato-
logica e funzionale vd. p.e. Fusillo 1986) e da V. Propp, vd. Thiercy 1986, p. 305 ss., e
Sifakis 1992. Si può parlare anche di «organizzazione interna», come suona il titolo di
uno studio di B. Zimmermann (1987).
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ORIZZONTI D’ATTESA 61

Che cosa poteva significare, per i lettori del Protagora, questa sorta
di adesione al genere comico? Nella letteratura antica, e in particolare
nella Grecia arcaica e classica, il genere è una solida istituzione, è il me-
dium necessario e strettamente codificato (malgrado l’assenza o scarsità
di elaborazioni teoriche e scritte) attraverso il quale l’autore entra in
contatto con il suo pubblico 8. Il genere letterario, ancora in età classica,
è connesso a occasioni pubbliche ed eventi di grande portata sociale, e
questo determina la formazione di una cultura e di una pratica letteraria
fortemente condivise, che legano solidalmente autore e destinatario in
una misura sconosciuta alle letterature moderne 9. Il genere può dunque
essere definito come «il luogo delle attese istituzionalizzate», che ha la
funzione di orientare la ricezione e la comprensione di un’opera 10. In
questo quadro, si può cercare di ricostruire l’unico punto di vista che
Platone poteva prevedere per i suoi lettori/auditori, ossia quello del de-
stinatario.
Virtualmente tutti i destinatari dei dialoghi platonici erano avvezzi,
come spettatori o ascoltatori, alla recitazione di opere letterarie salda-
mente inserite in una tradizione codificata che determinava precisi oriz-
zonti di attesa. In uno stato fortemente dominato dalla dimensione pub-
blica, in particolare, ogni cittadino libero aveva una larghissima espe-
rienza del teatro (l’Ateniese delle Leggi, addirittura, parla di una «teatro-
crazia») 11; dunque i potenziali lettori dei dialoghi erano addestrati a o-

8
In proposito, cfr. per esempio Rossi 1971: il condizionamento che un genere o-
pera sull’autore è, con apparente paradosso, inversamente proporzionale al grado di
codificazione scritta delle sue leggi. Proprio la riflessione teorica e scritta sui generi, in-
sieme alla decadenza delle ricorrenze sociali cui i generi antichi erano legati, porta in
età alessandrina all’infrazione di quelle leggi. Per l’idea, caratteristica di Bachtin, secon-
do la quale la stilistica dei generi deve integrarsi nella sociologia, cfr. Todorov 1981,
trad. it. 1990, in part. p. 110 ss.
9
La circolazione dei primi libri, infatti, non era legata a una fruizione individuale
della letteratura, perché nella scrittura si vedeva soprattutto uno strumento per accumu-
lare informazioni, come avveniva nel caso delle technai o manuali scientifici. Cfr. in pro-
posito Turner 1952 e, con particolare riferimento a Platone, Erler 1987, trad. it. 1991, p.
92 ss. Usener 1994 esamina con cura tutti i passi relativi alla lettura in Isocrate e Platone.
10
Conte 19852, p. 71. La definizione vale a maggior ragione per l’Atene classica,
dominata da una cultura ‘orale’. La distinzione fra civiltà ‘orali’ e ‘letterate’ è peraltro
insidiosa e controversa. Mi riferisco qui a una fruizione prevalentemente orale della let-
teratura. Su questi problemi, cfr. l’introduzione di Thomas 1992, secondo cui nell’Ate-
ne classica era diffusa la capacità di leggere semplici e brevi testi, però «the written texts
of poetry and literary prose had a reading audience confined to the highly educated
and wealthy elites, and their secretaries» (p. 11).
11
Leg. 701a. Per la verità l’Ateniese parla di teatrocrazia nella musica, ma il discor-
so, nelle pagine seguenti, viene rapidamente esteso alla moralità della polis nel suo com-
plesso.
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62 STRATEGIE COMICHE NEL «PROTAGORA»

rientarsi agevolmente nelle trame comiche, ed erano perciò capaci di pre-


vederne gli sviluppi e recepirne le implicazioni ideologiche 12. Il genere
non è infatti un’entità astratta e formale, ma tende a privilegiare, storica-
mente, una certa visione del mondo, una «norma», come la definisce Gian
Biagio Conte, che si trasmette di autore in autore:
La norma, proprio perché modello già strutturato, possiede le caratte-
ristiche di una visione del mondo coerente e significativa, comparteci-
pata da gruppi di individui o al limite da tutta la società, oppure da una
classe in quanto parte di una collettività differenziata al suo interno.
Ma questo quadro del mondo che interpreta e trasmette determinate
possibilità del codice, altro non è che l’aspetto di un linguaggio parzia-
le, sistema di unità culturali già orientate, e quindi di valori specificati:
realtà già segmentata, carica di una sua natura ideologica. 13

I generi insomma, come «invenzioni umane di lunga durata […] avviano


il messaggio […] in una certa direzione» 14, anche perché «l’artista deve
imparare a vedere la realtà con gli occhi del genere» 15.
La commedia antica ha un’impostazione tendenzialmente regressiva:
l’eroe comico si fa sovente paladino nostalgico dell’antica paideia, del so-
spetto per ogni nuova moda culturale, di un moralismo condito di buon
senso contadino 16. In questo quadro si inseriva il frequente attacco ai so-
fisti e a Socrate, che con essi era facilmente accomunato 17. Nell’atto stes-

12
Secondo T. Gelzer, Aristofane «makes use of expectations which he does not
have to foster, but which the audience has as a result of its knowledge of the structure,
forms and methods of expression of Old Comedy» (Gelzer 1976, 1996, p. 213). Lo stu-
dioso osserva ancora che Aristofane poteva contare su di un «Publikum von Kennern»
(Gelzer 1991, p. 89) e che «das Publikum die festen strukturellen Elemente und ihre
Einsatzmöglichkeiten kennt» (ivi, p. 87).
13
Conte 1984, p. 57.
14
Corti 1976, p. 153.
15
Medvedev 1928, trad. it. 1978, p. 291.
16
Il protagonista stabilisce «una solidarietà fin dall’inizio» con gli spettatori, che
poggia su una «sperimentata connotazione»: egli è «piuttosto vecchio che giovane, piut-
tosto villico e rozzo che cittadino raffinato, piuttosto furbo che intelligente» (Lanza 1989,
pp. 300-301). Per le Nuvole in particolare, di cui maggiormente mi occuperò, Lanza os-
serva che il meccanismo della scena del pensatoio «è molto semplice: una forte diffe-
renziazione dei personaggi: l’uno, lo scolaro e poi Socrate, saputo e sussiegoso, l’altro
becero e ignorante. I discorsi del primo avviati sempre su un registro linguistico relati-
vamente alto, vengono puntualmente travisati dal secondo. Ma i discorsi difficili, anzi
incomprensibili, sono in realtà vuoti di significato […] e l’incomprensione dello scioc-
co agisce perciò come demistificazione liberatoria» (p. 299).
17
Per una presentazione concisa della figura di Socrate nella commedia, cfr. Pascal
1923 (solo per le opere frammentarie), Guthrie 1971, trad. it. 1986, p. 69 ss. Le testi-
monianze sono raccolte da Giannantoni 1990, I, p. 3 ss. Per un esame critico di queste
testimonianze, vd. Gallo 1992, p. 127 ss., e Patzer 1994.
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IL CAMBIAMENTO DI SCENA 63

so di esibire la sua matrice comica, dunque, il Protagora in qualche misu-


ra deve recepire tale norma ideologica, interpretando in quest’ottica un
fenomeno storico scottante, ossia la reciproca frequentazione di Socrate
con i sofisti. Al genere comico, che aveva di fatto accomunato il maestro
ai sofisti (si pensi ai Parassiti di Eupoli, alle Nuvole, forse ai Banchettan-
ti), Platone oppone una risposta squisitamente letteraria; cercherò infatti
di mostrare come Socrate, nel quadro dell’antitesi tipicamente comica
fra nuovi e vecchi valori, venga parzialmente ricollocato dalla parte di
questi ultimi attraverso un raffinato gioco letterario che coinvolge le tra-
dizionali strutture comiche e mette in discussione le categorie stesse di
vecchio e di nuovo. Le categorie formali e ideologiche della commedia
antica vengono così scompaginate, poiché proprio Socrate, in un sottile
gioco di oppositio in imitando fra il Protagora e le Nuvole aristofanee, ve-
ste in qualche misura i panni inusitati dell’eroe ‘tradizionalista’ 18.

2. I L CAMBIAMENTO DI SCENA

Il Protagora è l’unica opera di Platone in cui si assiste a un ‘cambiamento


di scena’. Il dialogo ospita due conversazioni autonome che si sviluppa-
no in luoghi lontani e ben distinti: la povera casa di Socrate e la sontuosa
dimora di Callia 19.
L’abitazione di Socrate è lo sfondo di un dialogo fra il padrone di
casa e il giovane Ippocrate (310a-314c). Dapprima (310a-312a), Socrate
mette a dura prova le ambizioni del giovane: la sua smania di diventare
sapiente altro non è che mal celata brama di divenire egli stesso sofista;
Ippocrate prova vergogna e arrossisce. In un secondo momento (312a ss.),
Socrate interroga il giovane intorno alla natura del sapere sofistico, nel

18
Capizzi 1991, p. XX, giustamente dice che il dialogo «della commedia ha l’anda-
mento», ma poi non precisa ulteriormente questa affermazione.
19
La casa di Socrate, pare, valeva appena cinque mine (Xenoph. Oec. 2.3). La casa
di Callia era invece celebre per il lusso (cfr. in proposito Pesando 1987, p. 29 ss., che ne
ricostruisce addirittura la pianta). Notevole anche la presenza di un portinaio (qurwrÒj,
314c). Nell’antichità ben poche case, le più ricche (per la modestia delle abitazioni ate-
niesi, cfr. per esempio Flacelière 1959, trad. it. 19924, p. 41 ss.) dovevano essere dotate
di un qurwrÒj, forse più simile a un guardiano che non a un moderno portinaio. Benché
talora siano menzionati pa‹dej cui gli ospiti chiedono di essere annunciati (p.e. Symp.
212c-d; Ar. Ach. 396 ss.), non si ha forse notizia, per l’Atene classica, di altri qurwro…
addetti a case private. Cfr. per contrasto 310b: dopo la bussata di Ippocrate, la porta del-
la casa di Socrate vien subito aperta da «qualcuno» (tij), sebbene sia notte fonda (an-
che nelle Nuvole, del resto, il pensatoio ha caratteri esteriormente umili: è un o„k…skon,
92; cfr. Karavites 1973-1974).
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64 STRATEGIE COMICHE NEL «PROTAGORA»

tentativo di circoscriverne la competenza sulla base di una serie di paral-


leli con le tecniche artigianali. Poiché Ippocrate non sa definire con pre-
cisione il sapere del sofista, Socrate avanza in prima persona alcune ipo-
tesi: piuttosto che a un medico dell’anima, il sofista potrebbe assomiglia-
re a un mercante di nozioni, ignorante degli effetti che la sua merce in-
duce nell’animo degli acquirenti.
Il motivo della vergogna ricorda l’Alcibiade I, dove il giovane Alcmeo-
nide è portato a vergognarsi della sua ignoranza e delle sue ambizioni;
l’impossibilità di circoscrivere e definire il sapere dei sofisti richiama in-
vece dialoghi come lo Ione e il Gorgia, nei quali le presunte conoscenze
dei sofisti sono misurate con il metro della competenza artigianale. In
nuce, sono dunque riconoscibili due temi fondamentali dei dialoghi so-
cratici, e con l’aporia di Ippocrate il discorso potrebbe perfino chiudersi:
nell’insieme la conversazione in casa di Socrate presenta chiare analogie
con il breve dialogo Teage 20. Invece la scena cambia: i due amici si recano
da Callia, dove Socrate si misura con i sofisti. Quivi giunto, Socrate rias-
sume brevemente i motivi che spingono Ippocrate a cercare il magistero
di Protagora; si potrebbe così leggere direttamente la seconda parte del
dialogo senza pregiudizio della comprensione. Il dialogo che si sviluppa
in casa di Callia è dunque del tutto autonomo, ma il suo svolgimento
presenta quelle anomalie ‘agonistiche’ che fanno la particolarità del Pro-
tagora: varcata la soglia, Socrate «indossa il mantello del sofista» 21.
Il ‘cambiamento di scena’ del Protagora, se appare eccezionale a con-
fronto degli altri dialoghi, richiama però una struttura usuale nella com-
media antica: in opere come le Nuvole, la Pace o le Rane, si assiste al pas-
saggio da uno spazio all’altro (le battute iniziali della Pace, per esempio,
si svolgono attorno alla casa di Trigeo, ma poi quest’ultimo, a bordo di
un immane coleottero, ascende alla dimora degli dei) 22. Secondo uno
svolgimento che richiama per certi versi la morfologia della fiaba descrit-
ta da Vladimir Propp, per altri quella che può essere definita una ‘strut-

20
Di questo dialogo è stata recentemente rivendicata l’autenticità sia sul piano for-
male (Cobb 1992) sia su quello filosofico (Trabattoni 1998b). Ulteriore bibliografia sul
dialogo in Centrone 1997, che ritiene il dialogo spurio pur accogliendo alcuni argo-
menti dei fautori dell’autenticità. Diversamente da quanto avviene nel Protagora, Socra-
te, nel Teage, riesce a dissuadere il giovane Demodoco dalla frequentazione dei sofisti,
e dunque il dialogo, logicamente, si conclude.
21
Melling 1987, trad. it. 1994, p. 48. Per l’atteggiamento eristico di Socrate, cui si è
accennato nella Premessa, vd. infra, IV, V e Appendici.
22
Nel parlare di «passaggio» mi riferisco semplicemente alla trama delle commedie,
non alla loro messa in scena, che era probabilmente molto semplice. Si può anzi parlare
di «scenografia verbale», come nel caso di Shakespeare (Del Corno 1986, p. 208 ss.):
l’eroe comico «dà vita ad una serie di spazi che non esistono concretamente sulla scena,
ma sono solo affidati alla fantasia degli spettatori» (Roncoroni 1994, pp. 75 e 79).
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IL CAMBIAMENTO DI SCENA 65

tura iniziatica’ 23, il protagonista, ossia l’eroe comico, muove talora da un


contesto familiare, tendenzialmente realistico (p.e. la casa di Trigeo nella
Pace, la casa di Strepsiade nelle Nuvole) 24, per poi confrontarsi con un
mondo altro, situato in uno spazio diverso e ben delimitato da una soglia
(nei tre esempi citati sopra si tratta, rispettivamente, del pensatoio socra-
tico, del mondo degli dei e del regno degli inferi) 25. Queste commedie
sono dunque strutturate in modo da creare un senso di attesa, che si ri-
solve nel momento in cui il mondo nascosto oltre la soglia viene rivelato
agli spettatori 26, chiamati a identificarsi con il protagonista alla scoperta
di mondi nuovi 27. Ora, un tratto peculiare del Protagora è proprio la pre-
senza di questa struttura del disvelamento: Socrate lascia la sua casa alla
scoperta e alla conquista dell’universo dei sofisti, situato spazialmente
nella dimora di Callia. Nel quadro di tale affinità strutturale, particolar-
mente interessante appare poi un confronto con le Nuvole, non soltanto
perché entrambe le opere affrontano lo spinoso problema della nuova e-
ducazione, ma, più specificamente, perché l’articolazione di questo mo-
tivo nel dialogo e nella commedia presenta analogie sorprendenti.
Nelle Nuvole lo spazio scenico si identifica proprio con le dimore
dei due personaggi principali, Strepsiade e Socrate 28; non diversamente,
le abitazioni di Callia e Socrate costituiscono i due poli del nostro dialo-

23
Vd. Thiercy 1986, p. 305 ss. Egli articola la struttura iniziatica in preparazione,
viaggio nell’‘altrove’ e rinascenza, e osserva che «ce scénario d’initiation se retrouve
[…] dans la majorité des comédies d’Aristophane» (p. 307). Questa visione, che ha co-
me lontano antecedente il famoso libro di F.M. Cornford (1914) sull’origine della com-
media attica (sotto la superficie delle diverse commedie, si cela un identico rituale di
fertilità), è ulteriormente sviluppata, con un taglio più marcatamente antropologico, nel
recente libro di A.M. Bowie (1993).
24
«While Aristophanes is not troubled by verisimilitude, he nevertheless starts
with a keen observation of the details of daily life (ledgers, thick-wicked lamps, house-
hold icons etc.), which he then subjects to fantastic distortion» (Griffith 1993, p. 136).
25
Per queste caratteristiche della vicenda comica, cfr. Sifakis 1992.
26
È possibile che lo stupore di questa rivelazione fosse acuito dall’impiego dell’™g-
kÚklhma, che mostrava d’improvviso le scene ambientate nell’interno della casa. Sul
possibile impiego nella commedia dell’™gkÚklhma, vd. Thiercy 1986, p. 85 ss.
27
Cfr. per esempio l’analisi condotta sugli Uccelli da Gelzer 1976.
28
Su questa particolarità delle Nuvole si è soffermato Russo 19842, p. 171 ss. Egli
osserva che «primaria caratteristica scenica delle Nuvole sono le due case del fondale in
vigore dal principio alla fine come dimore dei due principali personaggi Strepsiade e
Socrate. In altre commedie la coesistenza nella facciata scenica di due o più ambienti è
estemporanea ovvero è temporanea: nelle Donne a parlamento, ove è perpetua fuorché
nell’ultima parte della commedia, le due case vengono via via attribuite a nuovi perso-
naggi […]. Una perpetua coesistenza scenica di due ambienti, singolare caratteristica
delle Nuvole, sarà in Menandro usuale. E, nelle Nuvole […] i due ambienti avvicinati
sono distanti nella realtà ateniese, ché le persone non vengono concepite, diciamo così,
come vicine di casa […]» (pp. 171-172).
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66 STRATEGIE COMICHE NEL «PROTAGORA»

go. Le Nuvole si aprono, come il Protagora, all’interno della prima ca-


sa 29, con una conversazione a due sul far dell’alba (Strepsiade è a letto,
come il Socrate platonico) 30. Oggetto del discorso è un motivo che ritro-
viamo nel nostro dialogo: l’opportunità che un giovane di buona fami-
glia (il particolare è sottolineato sia a proposito di Fidippide che di Ip-
pocrate, cfr. Nub. 59 ss. e Prot. 316b-c) si rechi ad una scuola di sapien-
za 31, ossia che frequenti i sofisti, naturalmente in cambio di un adeguato
esborso di denaro (Nub. 98: ¢rgÚrion ½n tij didù Prot. 310d: ¨n … di-
dùj ¢rgÚrion) 32. In entrambe le opere queste considerazioni sollevano
una domanda: chi sono questi maestri (Nub. 99: e„sin dþ t…nej Prot. 312c:
t… ¹gÍ e!nai tÕn sofist»n)? Il quesito dapprima coglie l’interlocutore
impreparato: né Strepsiade né Ippocrate sanno dire chi siano questi sa-
pienti, e rispondono in modo generico e insoddisfacente (Nub. 100-101:
oÙk o!d’ ¢kribîj toÜnoma. merimnofrontistaˆ kalo… te k¢gaqo… Prot. 312c:
ésper toÙnoma lšgei … tÕn tîn sofîn ™pist»mona). In un secondo mo-
mento la questione, in entrambi i casi, finisce per investire la dottrina dei
filosofi-sofisti: in che cosa consiste il loro insegnamento (Nub. 112: t… soi
maq»somai Prot. 312d: Ð dþ sofist»j tîn t… sofîn ™stin)? Questa do-
manda trova una prima risposta nella definizione di sofistica come reto-
rica (Nub. 113: e!nai par’ aÙto‹j fasˆn ¥mfw të lÒgw Prot. 312d: T… ¨n
e‡poimen aÙtÕn e!nai, ð Sèkratej, À ™pist£thn toà poiÁsai deinÕn lš-
gein). Sia nelle Nuvole che nel Protagora, inoltre, viene toccato lo scot-
tante problema della disapprovazione sociale: Fidippide rifiuta inizial-
mente di entrare nel pensatoio socratico perché poi non avrebbe più il
coraggio di guardare in faccia i cavalieri di Atene (119-120), e Ippocrate,
di fronte alla prospettiva di farsi sofista, prima arrossisce e poi ammette
di provare vergogna nel presentarsi ai Greci come tale (312a).

29
Sulla scia di Dover 1968, p. 92, Griffith 1993 osserva, a proposito del prologo
delle Nuvole, che «during the summer, men might sleep outside to stay cool, but they
would not then be wrapped in five blankets (cf. 10) like Pheidippides, so we must sup-
pose that the season portrayed is that of the performance, March. This detail proves
that we are witnessing that rarity in Old Comedy, an indoor scene» (p. 135).
30
Diverse commedie di Aristofane principiano fra la notte e il giorno, ma soltanto
nelle Nuvole – come nel Protagora – questa circostanza non è determinata dall’incomben-
te convocazione di assemblee ed eventi pubblici. Cfr., su questa peculiarità delle Nuvo-
le, Del Corno 1991, che parla di una «dimensione prevalentemente psicologica» (p. 277).
31
Si noti anche l’affinità, forse non casuale, dei due nomi di sapore aristocratico,
Ippocrate e Fidippide: proprio nelle Nuvole, Strepsiade lamenta che la moglie, di nobi-
le famiglia, voleva per il figlio un nome con la parola «cavallo»: ¹ mþn g¦r †ppon proset…-
qei prÕj toÜnoma, X£nqippon À C£rippon À Kallipp…dhn (63-64).
32
Cfr. Goldberg 1983, p. 329 ss. Egli rileva qualche analogia nella trama di Nuvole
e Protagora; i paralleli «enrich the texture of the Protagoras by an addiction of superfi-
cial allusive irony» (p. 333).
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LA SCENA COMICA DEL SUPERAMENTO DELLA SOGLIA 67

3 . LA SCENA COMICA DEL SUPERAMENTO DELLA SOGLIA

La scoperta di un universo bizzarro e variegato è dunque la meta del-


l’eroe comico, nonché del Socrate platonico. Ora, l’accesso a questo
‘mondo altro’ è una sorta di scena tipica della commedia, in cui il prota-
gonista deve oltrepassare una soglia presidiata da un guardiano ostile e
scorbutico (ad esempio Hermes a difesa del mondo degli dei, Cherefon-
te all’ingresso del pensatoio socratico). Nel Protagora, l’insolito e diver-
tente battibecco fra Socrate, che bussa, e il portinaio eunuco, che cerca
di ostacolarne l’ingresso e gli sbatte la porta in faccia, ha una parentela
evidente con le scene comiche di ‘superamento della soglia’, e non per
caso rappresenta un unicum nei dialoghi 33.
L’Ade è forse l’universo dell’alterità per eccellenza, e per questo si
presta in modo particolare a rappresentare il mondo oltre la soglia: ac-
canto all’esempio delle Rane si ha notizia di evocazioni spiritiche o cata-
basi in diverse commedie perdute 34. La forza simbolica del mondo infe-
ro come segno di alterità si manifesta anche nel Protagora; infatti, per de-
scrivere la scena che si schiude agli occhi di Socrate oltre la soglia, Plato-
ne evoca l’Ade omerico attraverso due citazioni dall’Odissea che suggeri-
scono un confronto ricco di implicazioni fra i tre maggiori sofisti allog-
giati presso Callia (Protagora, Ippia e Prodico) e tre celebri ospiti di Ade
(Sisifo, Eracle e Tantalo) 35, mentre Socrate appare come un novello O-

33
Che questa scena del Protagora sia influenzata dalla commedia, è opportunamen-
te segnalato in Dorati 1993, pp. 173-174 nota 13. Il bussare alla porta ha un importante
precedente tragico in Aesch. Ch. 653 ss. Come osserva Taplin 1977b, p. 340, «while
common in comedy, knocking at the door is hardly used again in surviving tragedy des-
pite this precedent». Manca inoltre, nella scena delle Coefore, quella ‘struttura del di-
svelamento’ cui si accennava sopra.
34
Per esempio Tagenistai di Aristofane, Metalles di Ferecrate, Demi di Eupoli, Chi-
roni di Cratino.
35
315b: tÕn dþ met’ e„senÒhsa = Hom. Od. 11.601; 315c: T£ntalÒn ge e„se‹don =
Hom. Od. 11.582. Sisifo è un personaggio noto per la scaltrezza ed empietà (cfr. p.e.
Pherec. FGrH 3 F119; Xenoph. Hell. 3.1.8; Ar. Ach. 391; vd. in proposito Sourvinou-
Inwood 1986, p. 47 ss.), e compare in Gorg. 525e fra i grandi peccatori. Si può pensare
a un nesso con il processo per empietà forse subito da Protagora (cfr. infra, V.6). Di E-
racle, in considerazione del tono comico della scena, si dovranno tener presenti anche
gli aspetti più triviali: per Aristofane il leggendario ghiottone della farsa dorica è un in-
saziabile ingordo, disposto a tutto pur di mangiare (Av. 1574 ss.; Ran. 549 ss.; Ve. 58-
60; Lys. 929). È una caratterizzazione particolarmente adatta a questa scena la cui am-
bientazione doveva immediatamente richiamare i Parassiti di Eupoli (qui i sofisti mo-
strano un’ossessione culinaria analoga a quella dell’Eracle aristofaneo, cfr. in part. 172
PCM). L’accostamento di Ippia con Eracle è appropriato anche perché il sofista si pre-
sentava come un invincibile atleta della parola, frequentatore dei giochi olimpici, forse
anche perché orgininario di Elide (Hipp. Min. 363c ss.; su Eracle atleta e protettore di
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68 STRATEGIE COMICHE NEL «PROTAGORA»

disseo 36. Del tutto congruente con questo intento rappresentativo è poi
la menzione di Orfeo, un altro personaggio legato al mondo infero 37. La
casa di Callia, dunque, è un ben difeso luogo infernale 38 : il Protagora, ol-
tre alla scena tipica del superamento della soglia, riprende dalla commedia
anche i modi della rappresentazione del mondo nascosto dietro la porta.
La casa di Callia, tuttavia, non è propriamente un inferno, perché la
suggestione catabatica rimane tale. Proprio per questo, un possibile mo-
dello comico andrà individuato non tanto nella catabasi ‘reale’ delle Ra-
ne o di altre commedie perdute, quanto in quella implicita delle Nuvo-
le 39; in questa commedia il pallore mortale dei socratici, macerati da stu-
di assidui quanto assurdi, suggerisce più volte un’identificazione fra il
pensatoio e il mondo degli inferi 40. La scuola di Socrate è infatti popola-
ta da «spiriti» e «semimorti», ed entrarvi equivale a «scendere» (kata-
ba…nein) nell’antro di Trofonio (v. 508) 41.
L’atmosfera straniata del pensatoio è dovuta anche al mistero che
grava sulle attività della scuola socratica. L’ingresso di Strepsiade nel
pensatoio socratico «avviene nel quadro di un paradossale – ma fallito –

atleti nel dramma attico, vd. p.e. Angeli Bernardini 1998). Per quanto riguarda Tanta-
lo, vd. Willink 1983 e cfr. infra, III.2.
36
Socrate allude a Odisseo forse già in 309b1 (= Hom. Od. 10.279 / Il. 24.248). Di
Odisseo, Platone ama sottolineare alcune qualità, come la sopportazione e l’accortezza,
che lo accomunano a Socrate (nel mito di Er, Resp. 620c-d, l’eroe presenta tratti socra-
tici; vd. Eisner 1982).
37
Platone ricorda la catabasi di Orfeo in Symp. 179b-d, ed era celebre la Nekyia di
Polignoto descritta da Pausania (10.30.6), in cui Orfeo appariva come ospite dell’Ade.
La menzione platonica è del resto una delle prime, preceduta con certezza solo da Eur.
Alc. 357 ss., anche se «it seems reasonable to suppose that some account of Orpheus
descending to Hades was known to fifth-century initiates of Orphism» (Lee 1964, p. 402).
38
E Callia, il ricco padrone di casa, è un novello Plutone (Aristofane gioca su
PloÚtwn-ploàtoj nel fr. 504 dei Tagenistai, dove probabilmente il ricco re dell’Ade of-
friva un lauto banchetto).
39
Un accenno a un confronto fra Nuvole e Protagora è in Adkins 1970, p. 19.
40
«The Phrontisterion […] is strongly characterised as chtonic: it is the haunt of
‘souls’, like Hades (94); their pallid complexions are quite unlike those of normal
healthy young men such as the Hippeis (103, 119 f.), and recall the half-dead Spartan
prisoners from Sphacteria (186); their concerns are with the things beneath the earth
(188, 192), whence they are said to have sprung, as gegeneis (853). The fact that they
live permanently inside the school and cannot stay long in the open air (198) contrasts
with the daily journey to school and gymnastic training of normal boys (964 f.). One re-
members the darkness and hiding of the ephebe. As beasts (184), they differ from nor-
mal people: they don’t wash, shave (835-7) or wear shoes (103)» (Bowie 1993, p. 106).
Per il pallore dei socratici, cfr. anche Ve. 1413; Av. 1296, 1564. Sul filosofo pallido, cfr.
Sassi 1988, p. 32 ss.
41
Cfr. Bonnechere 1998: tutta la scena dell’iniziazione di Strepsiade appare im-
prontata ai misteri di Trofonio. A p. 462 ss., l’autore sottolinea altri motivi ctonii nel
pensatoio socratico.
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LA SCENA COMICA DEL SUPERAMENTO DELLA SOGLIA 69

rito di passaggio, scandito dai simboli tipici di queste situazioni» 42, che
si riflette in un linguaggio talora iniziatico 43. Anche nel Protagora, al di
là della soglia, risuonano accenti misterici. Protagora è paragonato a un
Orfeo maliardo (315a-b) 44; Ippia è seduto su un «trono», forse remini-
scente della cerimonia iniziatica detta thronosis, che Platone menziona
nell’Eutidemo proprio per descrivere umoristicamente i ‘misteri’ sofisti-
ci 45. Come richiede l’atmosfera iniziatica, si tratta qui di una visione beata:
Socrate sottolinea esplicitamente il piacere che trae da questo spettacolo e
ricorda ironicamente di aver indugiato nella contemplazione della scena 46.
Anche l’evocazione dei culti misterici è uno sfondo di cui la comme-
dia poteva servirsi per dare corpo alla raffigurazione dell’alterità: nelle
Tesmoforiazuse buona parte della commedia si svolge all’interno di un
tempio in cui le donne celebrano riti misterici interdetti agli uomini 47.
Ma, di nuovo, nelle Nuvole come nel Protagora il motivo non travalica i
confini della suggestione, funzionale a una più gustosa presentazione delle
misteriose dottrine sofistiche.
L’affresco dei sofisti, nel Protagora, prende corpo in una brillante
descrizione delle bizzarre pose che essi tengono durante l’insegnamento.
La vivace parafrasi di Filippo Maria Pontani riesce a catturare la comici-
tà della scena: «Il regno dei sofisti si dischiude allo sguardo. Maestoso
incedere di Protagora, fascinoso solista scortato da un piccolo coro: am-
miratori e discepoli fanno ala, convergono, divergono, in un carosello
d’evoluzioni ritmate dall’ossequio, a misura che il maestro avanza, retro-
cede, s’arresta. Scende da un alto seggio la sapienza d’Ippia, su ascolta-
tori estasiati, appollaiati in sgabelli ai suoi piedi. In una stanzetta rim-
bomba intanto, confusa da risonanze, la profonda voce di Prodico, infer-

42
Guidorizzi 1996, p. 206. Vd. anche Bowie 1993, p. 107 ss.
43
V. 140: oÙ qšmij 143: must»ria 166: trism£karioj. Per una serie di possibili allu-
sioni ai misteri eleusini, cfr. Byl 1988. Cfr. ora il lavoro, ricchissimo di informazioni e
bibliografia, di Bonnechere 1998.
44
«In the course of the great passage in the second book of the Republic, which is
calculated to make the defense of justice in the later books as difficult as possible, Plato
has occasion to say something of teletae and their function, and he mentions the name
of Orpheus in connection with them» (Linforth 1941, p. 75, intorno a Resp. 363a-366b;
il libro contiene un’ampia analisi delle testimonianze relative a Orfeo).
45
Euthd. 277d-e: Klein…a, m¾ qaÚmaze e‡ soi fa…nontai ¢»qeij oƒ lÒgoi. ‡swj g¦r oÙk
a„sq£nV oŒon poie‹ton të xšnw [scil. i sofisti Dionisodoro ed Eutidemo] perˆ sš: poie‹ton
dþ taÙtÕn Óper oƒ ™n tÍ teletÍ tîn Korub£ntwn, Ótan t¾n qrÒnwsin poiîsin perˆ toàton Ön
¨n mšllwsi tele‹n. kaˆ g¦r ™ke‹ core…a t…j ™sti kaˆ paidi£, e„ ¥ra kaˆ tetšlesai: kaˆ nàn
toÚtw oÙdþn ¥llo À coreÚeton perˆ sþ kaˆ oŒon Ñrce‹sqon pa…zonte, æj met¦ toàto teloànte.
46
315b: „dën ¼sqhn 315d: œti smikr’ ¥tta diatr…yantej kaˆ diaqeas£menoi.
47
Non vi è qui il motivo della porta chiusa perché, con ogni probabilità, l’interno
del tempio era rappresentato dall’orchestra, mentre la facciata con relativa porta indivi-
duava la casa di Agatone. Cfr. in proposito Russo 19842, p. 300 ss.
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70 STRATEGIE COMICHE NEL «PROTAGORA»

mo, imbubbonito nelle coperte» 48. Il senso di aspettativa suscitato dalla


conversazione fra Socrate e Ippocrate suggerisce un rapporto privilegia-
to fra il Protagora e le Nuvole, che si aprono, come si è ora visto, con a-
naloghi interrogativi. Anche nella commedia aristofanea, la suspense si
scioglie nella descrizione dei discepoli: quando essi escono dal pensatoio
e si rendono visibili al pubblico, sono subito paragonati a «strane be-
stie», e Aristofane si compiace di ritrarli in pose indecorose (sono infatti
piegati in avanti e così «scrutano le tenebre in fondo al Tartaro» e stu-
diano al tempo stesso – con il sedere proteso al cielo – l’astronomia 49).
Poco dopo compare Socrate in persona, probabilmente a bordo di una
specie di cesta volante 50; è questa una scena senza dubbio ben presente
alla memoria di Platone, che la menziona esplicitamente nell’Apologia 51.
Il pensatoio di Socrate diviene il polo principale dell’azione, a scapi-
to della dimora e soprattutto del ruolo del protagonista 52. Nelle Nuvole
perciò «già la sola concezione scenica mostra che Strepsiade-Fidippide
sono gli elementi di una cornice, i protagonisti strumentali […] di una
vicenda che dedica tutta la sua forza rappresentativa all’ambiente socra-
tico» 53. Anche nel Protagora l’accento batte sull’universo dei sapienti, al-
la cui rappresentazione è indirizzata ogni risorsa letteraria e descrittiva.
Conseguentemente, vero centro di interesse in entrambe le opere sono
l’antagonista e il suo entourage, tanto che si produce una certa confusio-
ne dei ruoli, e si manifesta una vera e propria crisi del protagonista.
Strepsiade è un personaggio ambiguo e ‘contorto’, come suggerisce
il suo nome 54. Egli, da protagonista, «gode sempre di un più di simpa-

48
Pontani 1965, p. 46. Per i numerosi spunti comici di questa scena, cfr. anche in-
fra, III.1 e 2.
49
V. 184 ss. È questo un motivo comico ampiamente sfruttato dalla commedia e
riutilizzato anche da Platone. Cfr. le osservazioni di Dorati 1995, p. 91 ss.
50
V. 218: fšre t…j g¦r oátoj oØpˆ tÁj krem£qraj ¢n»r;
51
Apol. 19c: taàta g¦r ˜wr©te kaˆ aÙtoˆ ™n tÍ ’Aristof£nouj kwmJd…v, Swkr£th tin¦
™ke‹ periferÒmenon, f£skont£ te ¢erobate‹n kaˆ ¥llhn poll¾n fluar…an fluaroànta, ïn
™gë oÙdþn oÜte mšga oÜte mikrÕn pšri ™pa‚w. Cfr. in proposito Russo 19842, pp. 181-182.
52
Questa particolarità delle Nuvole è discussa ivi, pp. 174-175. Nelle Nuvole, attra-
verso il ripetuto movimento casa di Strepsiade > phrontisterion (meta prima di Strepsia-
de, poi di Fidippide, infine ancora di Strepsiade), il pensatoio è non soltanto il luogo
dove si svolge la più parte della commedia, ma ne costituisce anche il punto d’arrivo fi-
nale. Un caso simile è costituito dalle Rane, ma qui «l’ambiente visitato, sceneggiato
con altrettanta ampiezza e varietà, rimane semplice proemio paesaggistico e folcloristi-
co alla parte più elevata della commedia», mentre nelle Nuvole «l’ambiente visitato si
distende e campeggia come primaria materia scenica e ideale nella cornice dell’ambien-
te privato dell’indebitato Strepsiade» (ivi, p. 174).
53
Ibidem.
54
«Son nom évoque le verb stršfein, ‘tourner’, qui montre bien sa propension à
s’agiter et à se retourner, au propre comme au figuré» (Thiercy 1986, p. 259).
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L’«AGONE» 71

tia» 55, ma «non ha alcuna qualità eroica» 56, giacché dell’eroe comico «gli
manca l’essenziale: l’idea critica che confuta l’andazzo della cosa pubblica
e che il poeta suole condividere con il suo protagonista» 57. Questa man-
canza di progettualità si riflette nell’esito fosco della commedia, che so-
stituisce alla tradizionale festa e palingenesi comica l’inquietante incen-
dio del pensatoio socratico 58. Nel Protagora Socrate appare «spiritoso e
tortuoso nei ragionamenti»; quindi, «non bisogna pensare che né Socra-
te né Protagora siano i portavoce di Platone» 59. Lo scontro verbale fra i
due dialoganti si conclude con uno sconcertante rovesciamento di posi-
zioni: Socrate adotta la tesi di Protagora, ossia che la virtù sia insegnabi-
le, mentre questi, inversamente, sostiene di fatto che la virtù non si può
trasmettere 60. Se in generale il motivo della soglia è ispirato alla comme-
dia, la rappresentazione del ‘mondo altro’ (suggestione catabatica, ac-
centi misterici, descrizione dei sapienti) e la debolezza del protagonista
rivelano però il particolare influsso delle Nuvole.

4. L’«AGONE»

«Ridotta alla sua essenza» – scriveva Raffaele Cantarella – «una comme-


dia di Aristofane è costituita da una ‘azione’ fra due personaggi, rappre-
sentanti due tesi o due interessi opposti, per uno dei quali – quello che
sarà il vincitore – parteggia di solito il coro. La vittoria è raggiunta quasi
sempre per mezzo di un contrasto dialettico» 61. Si vedrà ora che questa

55
Lanza 1989, p. 306. Egli precisa però che si tratta «di simpatia teatrale, che nulla
o poco ha a che fare con improbabili definizioni etiche o ideologiche del personaggio».
56
MacDowell 1995, pp. 116-117.
57
Del Corno 1996, p. XVI.
58
Secondo una ØpÒqesij della commedia (hyp. vii Coulon = i Dover), la versione
tramandata delle Nuvole (le cosiddette Nuvole Seconde) differisce dalla versione che fu
rappresentata (Nuvole Prime) soprattutto nel finale e nell’agone epirrematico, oltre che
nella parabasi, riscritta ex novo. E tuttavia: nulla di sicuro si può dire a proposito della
versione originale, e d’altra parte Platone poteva rifarsi a entrambe le versioni. Non en-
trerò perciò in questo spinoso problema (per un esame recente della questione, cfr. p.e.
Hubbard 1986).
59
Melling 1987, trad. it. 1994, p. 48. Alcuni interpreti vedono in Protagora il ‘pro-
tagonista’ del dialogo. Cfr. per esempio Stefanini 1949, p. 172 ss., e la sezione sul Prota-
gora nel Platone di P. Friedländer (1928, trad. it. 1979). Cfr. anche le osservazioni di
Taylor 19496, trad. it. 1968, p. 371 ss.
60
A proposito di questo rovesciamento, si può forse ricordare che nelle Nuvole
Strepsiade e Fidippide finiscono per scambiarsi le parti nel giudizio della nuova educa-
zione socratica.
61
Cantarella 1948, p. 206.
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72 STRATEGIE COMICHE NEL «PROTAGORA»

è anche l’essenza del Protagora, un dialogo in cui è ripetutamente sottoli-


neato l’agonismo dei contendenti 62. Spicca fra questi rilievi una battuta
di Protagora, all’incirca a metà del duello:

Socrate, già con molti uomini mi sono misurato in un agone di discorsi


(¢gîna lÒgwn) e se avessi fatto ciò che tu mi chiedi, se avessi cioè parla-
to come l’avversario (Ð ¢ntilšgwn) mi invitava a parlare, non sarei ap-
parso migliore a nessuno, né il nome di Protagora si sarebbe diffuso fra
i Greci. (335a)

Ora, nessun’altra conversazione socratica, nei dialoghi, è definita con la


parola «agone». Storicamente, si allude forse ai duelli eristici, probabil-
mente diffusi ad Atene proprio da Protagora 63. Ma da un punto di vista
letterario, e della tecnica con cui questo dialogo sapido di commedia in-
scena lo scontro, la parola richiama immediatamente il cosiddetto agone
epirrematico o comico 64.
L’agone comico, conflitto verbale fra due personaggi (spesso i due
protagonisti), è una struttura ricorrente e ben individuata 65, probabilmen-
te connessa con la genesi stessa del genere comico, e occupa quasi sem-
pre un ruolo centrale e spesso determinante per l’esito della vicenda 66: è

62
Cfr. infra, IV.1.
63
Cfr. infra, IV.5.
64
Sull’agone epirrematico, vd. la monografia di Gelzer 1960. Accanto all’agone co-
mico, esiste anche, in diverse tragedie di Euripide, un agone tragico (tradizionalmente
se ne contano tredici), che presenta però caratteristiche diverse e difficilmente confron-
tabili con la struttura agonale del Protagora. Sull’agone euripideo, vd. Lloyd 1992. Sce-
ne agonali si trovano poi in diverse opere della letteratura antica, come emerge dalla
rassegna contenuta nella dissertazione di Froleyks 1973, che però non menziona Plato-
ne. Dell’influenza di un generico «agón literario» sul dialogo platonico, parla Bádenas
1984, p. 201 ss.
65
Vd. Gelzer 1960, p. 73 ss. Dal punto di vista formale, il carattere più evidente
dell’agone comico è una struttura metrica definita che ricorre nelle commedie con una
certa regolarità; ma, ovviamente, non è su questo terreno che si possono cercare affinità
con un dialogo in prosa. Peraltro, i caratteri formali dell’agone, molto evidenti nelle
prime commedie aristofanee, tendono con il tempo a ridursi, tanto che nel Pluto «fehlt
auch noch die einzige Ode, und nur die zwei, wohl vom Chorführer gesprochenen,
Verse eines Katakeleusmos am Anfang (und ein Pnigos am Schluss) sind von den alten
Kennzeichen der Form übriggebringen. Damit ist er zu einer glatt durchgehenden
Sprechszene geworden, und die Funktion des Chors ist praktisch ausgeschaltet» (Gel-
zer 1960, p. 271; vd. anche il capitolo intitolato «Der epirrhematische Agon nach Ari-
stophanes», p. 283 ss.).
66
«Der epirrhematische Agon bleibt in der ganzen Epoche der alten Komödie,
soweit sie historisch fassbar ist, ein zentraler Bestandteil» (Gelzer 1960, p. 236). Gelzer,
tuttavia, ha forse sopravvalutato il ruolo dell’agone nel determinare il corso dell’azione
comica. Long 1972 ha mostrato che le commedie contengono molte altre scene di per-
suasione accanto all’agone, che non appare determinante per l’esito della vicenda. L’‘a-
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L’«AGONE» 73

l’«ombelico della commedia» 67. Alcuni tratti peculiari del Protagora po-
tranno essere spiegati con l’influsso dell’agone comico.
Una prima peculiarità è il cosiddetto grande discorso di Protagora: il
sofista, richiesto di mostrare in che consista il suo insegnamento, tiene la
parola per ben otto pagine (320c-328d), che contengono fra l’altro un’am-
pia esposizione mitica sulle orgini della civiltà 68. Il lungo discorso è pre-
ceduto da una breve storia dell’arte sofistica (316c-317c). Al ‘grande di-
scorso’ segue una lunga fase confutatoria, che non trova però conclusio-
ne favorevole perché il sofista, ansioso di sfuggire all’incalzante interro-
gare di Socrate, si rifugia in un excursus sulla relatività del bene, che gli
assicura il plauso dei presenti e quindi, in un certo senso, la prima ‘ripre-
sa’ dell’incontro (cfr. 334a ss.). Si apre così una farraginosa discussione
sulle regole del confronto dialettico (qui Protagora parla di «agone»),
che coinvolge buona parte dei presenti (334c-338e). Alla fine, viene sta-
bilito che toccherà a Protagora interrogare Socrate. Il sofista, «come un
buon pugile», mette subito alle corde l’avversario (339d ss.), ma Socrate
esce dall’angolo ricorrendo a sua volta alla macrologia; egli pronuncia in-
fatti un lungo discorso (342a-347b), direttamente contrapposto, in diver-
si punti, al lungo intervento iniziale di Protagora, di cui costituisce una
sorta di rovesciamento 69. Al termine del discorso, apprezzato dai pre-
senti, comincia una seconda sezione confutatoria, che si conclude con la
resa di Protagora.
Emergono da questo breve sunto alcune peculiarità che non trovano
riscontri negli altri dialoghi di Platone. Schematicamente:
– ‘grande discorso’ di Protagora;
– temporanea sconfitta di Socrate (prima stordito dall’applauso dei pre-
senti e poi confutato, proprio sul terreno della brachilogia, da Prota-
gora);
– emulazione, da parte di Socrate, del ‘grande discorso’.
Queste peculiarità, insieme alla parola spia «agone», rinviano forse
all’elemento agonale della commedia. Infatti, l’emulazione retorica di
Socrate, che controbatte il lungo discorso di Protagora, produce quella
caratteristica alternanza di rheseis contrapposte e di rapidi scambi dialet-
tici – vorrei dire sticomitici – che si osserva nell’agone comico. Il lungo
intervento di Socrate riprende e controbatte gli argomenti del ‘grande

gone tragico’ invece non è un elemento strutturale, e, per di più, «in only two agones
does either side clearly gain its ends by means of what is said» (Lloyd 1992, p. 15).
67
Questa definizione («umbilicus») è attribuita da Starkie 1968 (p. XV) a Nesemann.
68
Lo spazio concesso al deuteragonista è del tutto eccezionale e – almeno fino ai
dialoghi della maturità – non conosce paralleli. Protagora pronuncia inoltre l’unico mi-
to ‘sofistico’ rintracciabile nei dialoghi.
69
Cfr. Winton 1980 e Clapp 1949-1950. Su questo punto, cfr. comunque infra, IV.6.
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74 STRATEGIE COMICHE NEL «PROTAGORA»

discorso’; analogamente, negli agoni comici, l’oratore che prende la pa-


rola per secondo rovescia abitualmente gli argomenti dell’avversario che
ha già parlato (un esempio lampante è nelle Vespe, dove Bdelicleone an-
nota gli argomenti di Filocleone per controbatterli agevolmente 70).
Nella commedia il primo oratore ottiene sempre un temporaneo suc-
cesso, sancito dalle lodi del coro, che spesso gli è pregiudizialmente fa-
vorevole; ma poi il risultato è rovesciato nella seconda metà dell’agone,
quando il coro viene persuaso alle ragioni del secondo oratore 71. La stessa
cosa avviene nel Protagora: i presenti – e in particolare il ‘coro’ di fans
del sofista (corÒj, 315b) – appaiono soggiogati dal maestro, primo orato-
re, e si mostrano prontissimi ad applaudirlo, ma, progressivamente, fini-
scono per sposare le ragioni di Socrate 72. Platone rispetta dunque una
convenzione comica che non conosce eccezioni: gli spettatori sanno fin
dal principio che il primo oratore (PrwtagÒraj = colui che parla per pri-
mo!) è destinato alla sconfitta 73.
Nel Protagora i personaggi secondari, a un tempo pubblico e coro
dell’agone 74, giocano un ruolo ben più rilevante che in qualsiasi altro
dialogo. Socrate si appella ripetutamente al giudizio dei presenti e pro-
pone loro di arbitrare l’agone, tanto che il successo finale dipende in lar-
ga misura dall’abilità con cui egli riesce a tirare gli spettatori dalla sua
parte 75. In questo modo, Socrate contravviene al carattere dichiarata-
mente antiretorico del suo metodo: come emerge da alcuni passi pro-
grammatici di altri dialoghi, la confutazione socratica rifugge il giudizio
di un pubblico o di una giuria, per cercare invece la persuasione del solo
interlocutore 76. Il ruolo determinante del pubblico-coro è un ulteriore
elemento che rinvia all’agone comico. I duellanti di Aristofane devono
persuadere il coro 77 (o anche il pubblico, che può essere talora conside-

70
Cfr. vv. 538 e 559.
71
Questo per esempio avviene nelle Vespe (il coro di vecchi amici di Filocleone è
alla fine convinto dalle ragioni di Bdelicleone) e nei Cavalieri (Demo, inizialmente suc-
cube di Paflagone, gli volta poi le spalle a vantaggio del Salsicciaio).
72
Il progressivo cambiamento di posizione del pubblico è preso in esame infra, VI.4.
73
Protagora avrebbe dunque un nome parlante, come molti personaggi di Aristofa-
ne. Talora, nelle commedie, il ruolo di chi ‘parla per primo’ (e dunque è destinato alla
sconfitta) è esplicitamente sottolineato. Cfr. Nub. 940 ss.: CO fšre d», pÒteroj lšxei prÒ-
teroj / HT toÚtJ dèsw: / k¶t’ ™k toÚtwn ïn ¨n lšxV / ·hmat…oisin kaino‹j aÙtÕn / kaˆ
diano…aij katatoxeÚsw, / tÕ teleuta‹on d’ […] ØpÕ tîn gnwmîn ¢pole‹tai. Cfr. anche Ran.
861 (Euripide si dice pronto a parlare prÒteroj).
74
Cfr. 315b: corù. Questi personaggi sono più volte designati come oƒ ¢koÚontej
(336d; 337b; 337c; 339e).
75
Cfr. infra, VI.4.
76
Il locus classicus è Gorg. 471e ss. Ma sul problema, vd. infra, VI.5.
77
Cfr. Pl. 508 e 563.
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L’«AGONE» 75

rato come un «coro di secondo grado» 78), perché da questo dipende il


loro eventuale successo 79.
Il carattere quasi antisocratico del duello che oppone Socrate a Pro-
tagora, insieme alle altre peculiarità ricordate, si può dunque spiegare, in
prima approssimazione, attraverso l’influsso dell’agone comico, di cui
Platone rispetta attentamente le convenzioni 80. Anche in questo caso,
però, le Nuvole si riveleranno un punto di riferimento privilegiato.
Lo scontro fra Protagora e Socrate vive del confronto fra due oppo-
ste forme di paideia. Protagora, nel suo discorso, si ricollega alla tradi-
zione educativa ateniese, incentrata sull’abitudine e sull’addestramento
passivo; Socrate invece, in particolare nel lungo intervento contrapposto
alla concione del sofista, propone un modello razionale di trasmissione
del sapere, improntato alle tecniche artigianali. Ora nelle Nuvole il tema
dell’agone fra Discorso Forte e Discorso Debole è proprio l’educazione,
giacché il Discorso Debole contrappone il nuovo sapere dei sofisti al-
l’«antica educazione» (¢rca…a pa…deusij, 961) propugnata dall’avversa-
rio. In entrambe le opere lo scontro ha un preciso destinatario: i due Di-
scorsi si contendono apertamente il giovane Fidippide 81, che deve sce-
gliere quale paideia seguire, così come il duello fra Socrate e Protagora
non può che risultare determinante per la futura educazione del giovane
Ippocrate.
L’influsso degli spettatori è un tratto comune degli agoni comici, ma
soltanto le Nuvole ne tematizzano esplicitamente il ruolo decisivo. Nelle
battute che precedono l’inizio dell’agone, Discorso Forte sfida l’avversa-
rio a farsi vedere dagli spettatori, ma questi risponde imperterrito: «Ti
stroncherò molto meglio se parlo in mezzo alla gente» (vv. 891-892) 82;
infatti, come Discorso Forte insinua poco oltre, i sofismi di Discorso De-

78
Vd. Thiercy 1987, p. 170 ss.: alcune commedie reclamano l’identificazione del
pubblico con il coro (nei Cavalieri è addirittura il personaggio allegorico di Popolo che
deve essere persuaso, e Paflagone e il Salsicciaio non risparmiano alcuna bassezza pur
di blandirlo; cfr. v. 763 ss.). Thiercy conclude il suo esame sottolineando la circostanza
che i cori drammatici «étaient composés de citoyens athéniens et non de profession-
nels. Le choeur, spécialement le choeur comique, était le représentant sur scène de la
communauté civique athénienne, et endossait ainsi les sentiments du public, tel un mé-
diateur» (pp. 184-185). Quando invece i cori non potevano, per la loro natura, rappre-
sentare la comunità (cori femminili, teriomorfici), l’autore doveva concentrare la comu-
nicazione con il pubblico soprattutto nella parabasi.
79
Av. 726; Eq. 748-749.
80
Si vedrà nel capitolo VI come la questione della persuasione sia più complessa,
perché coinvolge direttamente le posizioni filosofiche di Protagora.
81
Ai vv. 1000 e 1001 Discorso Debole si rivolge direttamente a Fidippide ironiz-
zando sulle conseguenze dell’educazione proposta da Discorso Forte.
82
Traduzione di Del Corno 1996.
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76 STRATEGIE COMICHE NEL «PROTAGORA»

bole trovano terreno fertile nell’idiozia degli spettatori. È forse la memo-


ria di questi versi a determinare la strana enfasi che Protagora mette nel-
la scelta di dialogare davanti a tutti: «La cosa di gran lunga a me più gra-
dita (polÚ moi ¼diston: si noti l’iperbole) è discutere di tutto ciò alla pre-
senza di tutti quelli che sono qua dentro» (317c).

5. IL «PROTAGORA» E LE «NUVOLE»:
APOLOGIA ‘DOTTRINALE’ DI SOCRATE

Il ‘cambiamento di scena’, il motivo della ‘porta chiusa’, la struttura ago-


nale del confronto dialettico: tutte queste particolarità, che fanno del
Protagora un dialogo così singolare, rimandano dunque ad Aristofane.
L’intero progetto letterario appare ispirato alla commedia, soprattutto
per la forte influenza esercitata dalle Nuvole 83, le cui deviazioni dalla
norma comica sono in parte recepite nel dialogo 84. Ma qual è il senso di
questa operazione letteraria?
Le Nuvole erano per i socratici una specie di ossessione 85. Senofon-
te, al principio dei Memorabili, rivendica l’estraneità di Socrate a quegli

83
Si potrebbe dunque parlare, con Genette 1982, trad. it. 1997, di un ipogenere (la
commedia) e di un ipotesto (le Nuvole). Egli introduce la categoria di ipogenere a pro-
posito dell’«antiromanzo» (p. 170 ss.): per esempio i romanzi cavallereschi sono ipoge-
nere per il Don Chisciotte. Peraltro, «nulla condanna […] l’antiromanzo a un riferi-
mento generico» (p. 177; egli cita il caso del Télémaque travesti di Marivaux, che istitui-
sce con l’Odissea un rapporto analogo a quello che lega Don Chisciotte ai romanzi ca-
vallereschi). È poi affrontato il caso di Provaci ancora Sam, il film di Woody Allen: nel
rapporto che lega Woody (come personaggio) a Bogart, l’eroe cui Woody vuole asso-
migliare, Genette vede «un riferimento non soltanto generico (il film nero bogartia-
no) ma anche specifico, perché si tratta più precisamente del Bogart di Casablanca»
(ivi, p. 183). Questo esempio sarebbe dunque più vicino al caso del Protagora.
84
Come si è visto, Platone nel Protagora recepisce proprio gli elementi che nelle
Nuvole segnano uno scarto rispetto alla norma del codice comico, e questa circostanza
dimostra quanto forte sia il rapporto fra le due opere. È tuttavia difficile dire se queste
particolarità delle Nuvole furono invenzione di Aristofane oppure fossero parte, come
l’ambientazione ‘eupolidea’ del Protagora potrebbe far credere, di un repertorio comu-
ne alle commedie che mettevano in scena i sofisti.
85
Cfr. Guthrie 1971, trad. it. 1986, p. 85: «Senofonte e Platone non mancarono di
fare vari riferimenti al trattamento subito da Socrate presso i poeti comici, anche se non
c’è modo di accertare se sono tutti ad Aristofane. Nell’Economico (cfr. 11.3) Senofonte
dichiara che di Socrate ‘si suppone che sia un chiacchierone ed un misuratore di aria,
nonché – ed è questa l’accusa più sciocca – un poveraccio’ mentre nel Simposio (cfr.
6.6) Senofonte fa un riferimento esplicito ad un passo delle Nuvole (cfr. v. 145 s.) in cui
l’impresario domanda rudemente a Socrate non soltanto se è ‘quello che chiamano
phrontistes’, ma anche se sa quanti piedi riesce a saltare una pulce, perché ‘questa è la
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APOLOGIA ‘DOTTRINALE’ DI SOCRATE 77

studi di filosofia naturale che Aristofane gli attribuisce 86, e l’Economico


allude chiaramente alle Nuvole per controbatterne le accuse 87. È stato poi
osservato che «i due brani platonici che con maggior plausibilità possono
essere addotti come prova dell’evoluzione filosofica di Socrate sono en-
trambi crucialmente diretti a sconfessare il ritratto aristofaneo» 88. Si trat-
ta, anzitutto, della famosa autobiografia intellettuale del Fedone (96a ss.),
in cui Socrate prende le distanze dagli studi naturalistici, e soprattutto
del non meno celebre passo dell’Apologia in cui il filosofo rimprovera ad
Aristofane di averlo rappresentato come «un sapiente», «pensatore delle
cose celesti», impegnato nel «render forte il discorso debole» (18b-c) e
pronto «a insegnare agli altri queste stesse cose» (19c) dietro compenso
(19e ss.) 89. Aristofane avrebbe dunque presi di mira i due principali
aspetti che caratterizzano il sofista: la dottrina (studi di filosofia naturale
e di carattere linguistico-retorico) e il comportamento sociale (il magiste-
ro prezzolato). Si vedrà che la rilettura platonica delle Nuvole mira a de-
flettere sui sofisti questi strali polemici.
Secondo una fortunata formula critica, il Socrate aristofaneo rappre-
senta il sofista generico, ossia – per dirla con Nietzsche – «lo specchio e
il compendio di tutte le aspirazioni sofistiche» 90. Accanto ad alcuni tratti
genuini 91, la maschera di Socrate – che funge dunque da «capro espiato-
rio» 92 – nasconde atteggiamenti e dottrine ispirati a diverse figure di in-
tellettuali e sofisti 93. Ma chi è veramente il sofista? Il Protagora prende le
mosse proprio da questa domanda, oggetto della conversazione iniziale

geometria che dicono che tu sai’ (cfr. Nuvole 145 s.). Nel Fedone (cfr. 70b-c) Socrate
dice seccamente che qualora si mettesse – in quanto condannato a morte – a discutere
sull’immortalità dell’anima, ‘nessuno, nemmeno un poeta comico, potrebbe asserire
che io sono un chiacchierone che parla di cose che non mi riguardano’ […]. Nel Simpo-
sio platonico (cfr. 221b) Alcibiade cita in modo diretto la frase delle Nuvole su Socrate
che ‘se ne va in giro qua e là roteando i suoi occhi’».
86
Mem. 1.1.11-16; cfr. Waerdt 1994a, pp. 5-6.
87
Cfr. il citato Oec. 11.3 con Nub. 225 e 1480; Oec. 11.25 con Nub. 112-118. Cfr.
Stevens 1994, p. 223 ss.
88
Waerdt 1994a, p. 5.
89
Su questa risposta di Platone, cfr. Montuori 1971, p. 146, riguardo all’Apologia.
Tracce evidenti delle Nuvole sono inoltre riconoscibili in due passi del Teeteto in cui
sono descritte la vita e l’attività del filosofo: cfr. Ambrosino 1984-1985 (in part. Tht.
175d ~ Nub. 231-34) e Nevola 1988-1989 (Tht. 161e ~ Nub. 135 ss.).
90
Nietzsche 1872, trad. it. 199717, p. 89.
91
O apparentemente tali, nel senso che riaffiorano nel ritratto platonico e senofonteo.
92
Guthrie 1971, trad. it. 1986, p. 82.
93
Questa tesi – più volte avanzata e contestata in questo secolo – è divenuta classi-
ca dopo l’edizione delle Nuvole di Dover 1968 (in part. p. XL dell’introduzione). Cfr.,
più di recente, Hubbard 1986 (con ulteriore bibliografia) e Halliwell 1993. Naturalmen-
te, anche oggi non mancano gli oppositori a tale tesi: cfr. per esempio Waerdt 1994b.
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78 STRATEGIE COMICHE NEL «PROTAGORA»

fra Socrate e Ippocrate. Il giovane amico di Socrate non sa risolvere la


questione, ma la risposta si delinea nel corso di tutto il dialogo, a partire
dalla memorabile scena di apertura: i sofisti sono colti in posture bizzar-
re e indecorose, mentre indottrinano cattedraticamente schiere di allievi
adoranti. Questa descrizione, che deve molto al pensatoio di Aristofane,
costituisce una prima replica: non Socrate, bensì Protagora, Ippia e Pro-
dico sono i professori stravaganti che rovinano la gioventù di Atene.
In secondo luogo, diverse dottrine professate dal Socrate aristofaneo
vengono nel Protagora riattribuite ai sofisti. Nelle Nuvole, Socrate è pre-
sentato come un «metereosofista» (v. 360), i cui allievi studiano fenome-
ni celesti» (metšwra pr£gmata, 228) e scienze matematiche (¢stronom…a
e gewmetr…a, 192 ss.). Ebbene, nel Protagora questi stessi interessi sono
attribuiti a Ippia: a lui i discepoli pongono «questioni astronomiche […]
sulla natura e sui fenomeni celesti (perˆ fÚsewj kaˆ tîn meteèrwn ¢stro-
nomik¦ ¥tta dierwt©n, 315c)»; e in un passo successivo Protagora allude
agli insegnamenti matematici di Ippia (fra l’altro, ¢stronom…a e gewme-
tr…a, 318e) 94. Nelle Nuvole, Socrate ricorre a diverse sottigliezze lingui-
stiche, che richiamano talvolta la sinonimica di Prodico 95, ricordata in
più occasioni nel Protagora (337a ss.; 340e ss.), talaltra la orthoepeia dello
stesso Protagora 96, riconoscibile nel nostro dialogo nell’esegesi al carme
di Simonide 97. Infine, la pratica eristica di cui il Protagora platonico si
dichiara maestro (¢gîna lÒgwn, 335a) è adombrata chiaramente dallo
scontro dei due discorsi nelle Nuvole, un’antitesi di probabile matrice
protagorea 98.
Nel Protagora «compaiono, ritratti icasticamente nella casa del ricco
Callia che li ospita, alcuni dei sofisti più significativi […]. Ciò consente a
Platone di dare una rappresentazione sul vivo e in azione della moltepli-
cità di metodi impiegati dai sofisti. Con ironia Platone mima queste varie
tecniche, costruendone di fatto un repertorio e al tempo stesso denun-

94
«Della testimonianza platonica [Prot. 337c] non si può dubitare, perché, a pre-
scindere dalla sua verosimiglianza intrinseca, è confermata dal noto dibattito di Ippia e
Socrate nei Memorabili senofontei (IV,4) e forse indirettamente anche da un frammen-
to, il 17, del sofista stesso» (Momigliano 1969, p. 149).
95
Cfr. 1178 ss., e il commento di Ambrose 1983, secondo il quale Socrate «divi-
ding t¾n ›nhn kaˆ t¾n nšan (cf. Prodicus’ dia…resij) into two days […] makes the nša
equivalent to the noumhn…a, the first day of the month» (p. 139). Anche altri aspetti del-
l’insegnamento socratico nelle Nuvole, secondo Ambrose, rimandano alla figura di Pro-
dico.
96
Cfr. in part. 660 ss. Per l’importanza di questo passo, cfr. Di Cesare 1980, p. 63 ss.
97
Cfr. 339a ss., dove Protagora applica il criterio della «correttezza» (Ñrqîj) al carme.
98
Cfr. per esempio Turato 1995, p. 29. Protagora, che secondo la Suda era sopran-
nominato LÒgoj, è stato talvolta identificato con Discorso Debole (vd. Newiger 1957, p.
145 ss.).
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APOLOGIA ‘SOCIALE’ DI SOCRATE 79

ciandone i limiti» 99. Questo affresco vuole semplicemente mostrare chi


erano i veri professori di quelle dottrine che l’opinione pubblica, con A-
ristofane, attribuiva a Socrate. Ecco perché la critica, nel Protagora, ri-
mane implicita e in certa misura teoreticamente infondata, dal momento
che Platone si contenta di ironizzare sui metodi dei sofisti senza perlopiù
opporvi – come in altri dialoghi – argomenti espliciti e cogenti.

6. APOLOGIA ‘SOCIALE’ DI SOCRATE

Le numerose analogie che legano il Protagora alle Nuvole determinano


una serie di opposizioni strutturali. Anzitutto si può osservare che il So-
crate platonico tende in parte ad assumere i caratteri e il ruolo di Strep-
siade, mentre diversi tratti del Socrate aristofaneo e del pensatoio con-
fluiscono nella rappresentazione della casa di Callia e di Protagora 100.
Nelle Nuvole Socrate è l’antagonista, oggetto, come figura chiave del
‘mondo altro’ dei sapienti, di quella ‘struttura del disvelamento’ di cui si
diceva sopra, ossia della curiosità che il commediografo suscita negli spet-
tatori attraverso le peripezie e le esplorazioni dell’eroe comico; nel Prota-
gora invece Socrate è il protagonista, soggetto di quella stessa curiosità,
desideroso di scoprire le carte dei sofisti. In termini antropologici, il So-
crate aristofaneo ha i tratti del mago misterioso, del gÒhj, mentre nel dia-
logo platonico è Protagora a essere presentato come un Orfeo incantato-
re 101. In termini comici, nella commedia Socrate si trova nel mondo per-
verso che si cela al di là della soglia, nello spazio chiuso e misterioso; nel
dialogo egli sta invece al di qua, e si reca da Callia solo per compiacere la
smania di Ippocrate, non prima di averlo messo in guardia contro i peri-
coli dell’educazione sofistica. Nelle conversazioni che si sviluppano nella
prima casa (quella di Strepsiade nelle Nuvole e quella di Socrate nel dia-
logo) si delinea una seconda opposizione: nella commedia è l’adulto pro-
tagonista, Strepsiade, che cerca di persuadere il giovane a frequentare i
sapienti, mentre questi si mostra perplesso e oppone, almeno inizialmen-
te, un secco rifiuto; nel Protagora, invece, è il giovane Ippocrate che aspi-
ra a un’educazione sofistica, mentre Socrate cerca finché può di dissua-

99
Cambiano 1983, p. IX dell’introduzione.
100
È stato osservato, in uno studio dedicato all’intertestualità nella letteratura classi-
ca, che «one area in which intertextuality comes to play a central role […] is that of the
construction of character» (Fowler 1997, p. 17).
101
Per la caratterizzazione del Socrate aristofaneo come gÒhj, vd. Bowie 1993, p.
112 ss.
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80 STRATEGIE COMICHE NEL «PROTAGORA»

derlo 102. I ruoli si invertono nel Protagora: è il vecchio a interrogare il


giovane, ed è quest’ultimo che mostra di non avere una conoscenza ade-
guata dei ‘sapienti’ e dei loro metodi 103.
Nelle Nuvole c’è una tendenziale identificazione fra gli esponenti
della nuova educazione e le tesi di Discorso Debole, ed è innegabile una
consonanza fra l’‘arcaico’ Strepsiade e l’educazione tradizionale propu-
gnata da Discorso Forte. Anche in questo caso, il Protagora segna un ro-
vesciamento di posizioni, giacché il metodo educativo di Protagora, rap-
presentante della nuova educazione, non mostra alcuna discontinuità ri-
spetto alla paideia tradizionale, ma è anzi presentato come affinamento e
prosecuzione di quella: Protagora è un continuatore di Omero, Esiodo,
Orfeo, Museo e Simonide (316d), e afferma – in pieno accordo con la
pratica educativa ateniese – che la «parte più importante» della paideia
consiste nel conoscere bene la poesia (338e-339a). Al contrario, il mo-
dello di insegnamento caro a Socrate, basato sul paradigma di apprendi-
mento razionale delle tecniche e sulla celebre tesi che «virtù è scienza»,
presenta i caratteri del paradosso e della novità dirompente (e Socrate ri-
fiuta come inutile l’esegesi dei testi poetici, 347c ss.) 104.
Le opposizioni ora delineate trasformano Socrate da sofista per ec-
cellenza in saggio consigliere, dotato, come ogni onest’uomo di Atene, di
una sana diffidenza nei confronti dei sofisti. Il pericolo dell’educazione
sofistica non è però dovuto, come suggeriscono le Nuvole, alla sua novi-

102
Cfr. Goldberg 1983, p. 331.
103
Questa trasformazione viene rispettata fin nei minimi particolari. Nelle Nuvole il
pensatoio socratico è arredato con un lettino, lo sk…mpouj (v. 254 e cfr. 709; il termine
non compare altrove in Aristofane), definito «sacro», sul quale Strepsiade è invitato ad
accomodarsi per essere iniziato ai misteri delle divine nuvole. Lo sk…mpouj ricompare
puntualmente nel Protagora (310c, hapax platonico), ma qui non si tratta di un lettino
iniziatico situato nello spazio misterico ‘oltre la soglia’, bensì del normale giaciglio della
normalissima casa di Socrate. Nel corso dell’‘iniziazione’ delle Nuvole, poi, Strepsiade è
più volte descritto come smemorato. In particolare Strepsiade, di fronte ai tentativi di
insegnamento compiuti da Socrate, appare fortemente caratterizzato dalla parola ™pi-
l»smwn (Nub. 129, 485, 629, 790; nei primi due casi è Strepsiade stesso a definirsi ™pi-
l»smwn), che conta in Aristofane un’altra sola occorrenza (Lys. 1288). Ora, nel Protago-
ra Socrate, al termine del grande discorso protagoreo, appare incantato, privo di senti-
mento, e solo a fatica riesce a riaversi (328d: kaˆ ™gë ™pˆ mþn polÝn crÒnon kekhlhmšnoj
œti prÕj aÙtÕn œblepon … ™peˆ dþ d¾ ÆsqÒmhn Óti tù Ônti pepaumšnoj e‡h, mÒgij pwj ™mautÕn
æspereˆ sunage…raj e!pon). Più avanti, Socrate due volte afferma di essere ™pil»smwn
(334c, 334d; poco oltre, in 336d, Alcibiade nega che Socrate sia ™pil»smwn). La circo-
stanza è eccezionale: Socrate, nei dialoghi, non usa mai per se stesso il termine ™pil»-
smwn, che conta solo sei occorrenze negli altri dialoghi. Nel Simposio, egli dice di non
essere ™pil»smwn (194a), mentre altrove (Hipp. Min. 371c; Ion, 539e) altri è accusato di
essere tale (Socrate, semmai, afferma di non essere mn»mwn, cfr. Men. 71c).
104
Per l’‘originalità’ sconcertante dei paradossi socratici, cfr. il capitolo I di O’Brien
1967.
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APOLOGIA ‘SOCIALE’ DI SOCRATE 81

tà, ma proprio alla sua continuità con la corrotta paideia tradizionale 105.
Nell’ambito di un’analoga orditura comica, smessi i panni dell’antagoni-
sta, Socrate si è tramutato nell’eroe, attraverso una nuova dislocazione
dei conflitti che animano le Nuvole: l’opposizione fra vecchi e giovani, e
quella fra educazione antica e moderna. Protagora è invece il maestro
prezzolato di una virtù non solo fasulla, ma ‘vecchia’.
A questo punto è bene ricordare il brano dell’Apologia in cui Socra-
te, appena dopo avere menzionato Aristofane (19c), ricorda che altri – e
non lui – pratica il mestiere di sofista (19d-20c) 106:
Se avete sentito dire da qualcuno che faccio soldi mettendomi a educa-
re la gente (paideÚein … ¢nqrèpouj), neanche questo è vero. In realtà
mi par bello che vi sia qualcuno capace di educare la gente come Gor-
gia di Leontini, Prodico di Ceo o Ippia di Elide: ciascuno dei quali, cit-
tadini, è capace di andare di città in città persuadendo i giovani, che
pur potrebbero avere lezioni gratuite da qualsivoglia dei loro concitta-
dini, ad abbandonare la frequentazioni di questi e andare da loro, a
prezzo di denari … E c’è anche un altro sapiente, di Paro, che sta sog-
giornando qui: l’ho saputo incontrando quel tipo che ha speso coi sofi-
sti più soldi di tutti gli altri, Callia figlio di Ipponico. Avendo lui due fi-
gli, gli avevo posto il seguente quesito: «Callia» gli ho detto «se i tuoi
figli fossero due puledri o vitelli, potremmo assumere e stipendiare un
sovrintendente col compito di tirarli su belli e bravi nella virtù loro
propria: e costui dovrebbe essere un esperto di ippica o di agricoltura.
Ma visto che sono uomini, chi hai intenzione di assumere perché se ne
prenda cura? Chi è competente di quella specifica virtù che è insieme
umana e civica (politikÁj)? Certamente, avendo dei figli, ti sei guarda-
to intorno. Esiste un uomo del genere» ho concluso «o no?». «Ma cer-
to» risponde lui, e io «Chi è e di dove viene, e quanto costano le sue le-
zioni?». «È Eveno di Paro, Socrate, e chiede cinque mine». E beato E-
veno di Paro – mi sono detto – se davvero possiede questa tecnica (e„
æj ¢lhqîj œcoi taÚthn t¾n tšcnhn), e la insegna a prezzo così conve-
niente. Anch’io mi farei bello (™kallunÒmhn) e insuperbirei, se avessi
queste competenze: il fatto è che mi mancano, Ateniesi.

Si riconoscono qui alcuni spunti che trovano un’eco evidente nel Prota-
gora, anche nella terminologia. Questa conversazione fra Socrate e Callia
ha un andamento familiare per il lettore del Protagora, dove Socrate, at-
traverso l’esempio delle tecniche artigianali (cfr. l’ippica e l’agricoltura

105
Era questa, come è noto, una radicata e profonda convinzione di Platone. Cfr.
Resp. 493a: “Ekastoj tîn misqarnoÚntwn „diwtîn, oÞj d¾ oátoi sofist¦j kaloàsi kaˆ ¢nti-
tšcnouj ¹goàntai, m¾ ¥lla paideÚein À taàta t¦ tîn pollîn dÒgmata, § dox£zousin Ótan
¡qroisqîsin, kaˆ sof…an taÚthn kale‹n.
106
Traduzione di Sassi 1993.
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82 STRATEGIE COMICHE NEL «PROTAGORA»

nell’Apologia), cerca di capire quale sia il campo specifico dell’insegna-


mento protagoreo (318b ss.). Il sofista risponde che si tratta della capaci-
tà di deliberare bene attorno agli affari privati e pubblici, ossia dell’«arte
politica (politik»)», capace di «rendere gli uomini cittadini buoni». So-
crate si complimenta prontamente con il sofista («Possiedi un bel ritro-
vato tecnico – kalÕn tšcnhma – se veramente – e„ ¢lhqîj – lo possiedi»),
ma nelle sue parole non è difficile cogliere quella stessa sfumatura di dub-
bio che Socrate lascia trapelare nell’Apologia a proposito di Eveno.
Il sofista, nel passo dell’Apologia, è colui che pretende di educare gli
uomini dietro compenso, e mira così a sostituire gli educatori tradiziona-
li, ossia i cittadini anziani che, attraverso l’istituto della ‘vita comune’, la
synousia, erano i naturali pedagoghi della gioventù 107. Precisamente que-
sto concetto è espresso da Protagora nella presentazione che egli offre
dell’arte sofistica al principio della conversazione con Socrate (316c-317c).
Protagora dichiara apertamente di «essere sofista, e di educare gli uomi-
ni (paideÚein toÝj ¢nqrèpouj, 317b)». Il mestiere di sofista è però peri-
coloso, ed è necessario sia prudente un uomo che «visita città importan-
ti, e colà persuade i migliori fra i giovani – una volta lasciata la synousia
degli altri, familiari e non, vecchi e giovani, a stare con lui per divenir
migliori grazie alla sua synousia». Il passo ricalca quello dell’Apologia 108,
e indica in Protagora il concorrente della paideia tradizionale, il sofista
che soppianta gli educatori naturali (i buoni cittadini), senza peraltro
avere elaborato alcun modello pedagogico davvero alternativo. E Socra-
te? Il suo ruolo si chiarisce nel corso della conversazione iniziale con Ip-
pocrate; dopo avere messo in guardia il giovane contro il pericolo rap-
presentato dall’educazione sofistica, Socrate afferma:
Esaminiamo queste cose anche con persone più anziane di noi, giacché
siamo ancora troppo giovani per dirimere una questione come questa.
Ora però, come pensavamo di fare, andiamo da Protagora e ascoltia-
molo; poi, dopo avere ascoltato, ci consulteremo con altri. (314b)

Il Socrate che Platone tratteggia nel Protagora appare dunque del tutto
rispettoso dell’istituto della synousia, e si contrappone quindi chiara-
mente all’immagine che la commedia di Aristofane – secondo quanto si
dice nell’Apologia – aveva accreditato.

107
Per l’istituto della synousia, e sulla sua rilevanza nella condanna di Socrate, cfr.
Robb 1993.
108
pe…qonta tîn nšwn toÝj belt…stouj ¢pole…pontaj t¦j tîn ¥llwn sunous…aj … ˜autù
sune‹nai belt…ouj ™somšnouj di¦ t¾n ˜autoà sunous…an. Cfr. il citato Apol. 19e-20a: toÝj
nšouj … pe…qousi t¦j ™ke…nwn sunous…aj ¢polipÒntaj sf…sin sune‹nai.
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I DUE VOLTI DI SOCRATE 83

7 . LA METAMORFOSI : I DUE VOLTI DI SOCRATE

Secondo una linea di interpretazione molto diffusa, che ha in Wila-


mowitz un formidabile ispiratore, il Protagora sarebbe una sorta di libel-
lo satirico, la cui venustà letteraria mira alla derisione dei sofisti, umiliati
dalla statura morale e intellettuale di Socrate 109. A prima vista, il ricono-
scimento di un rapporto puntuale con la commedia si accorda bene con
questa interpretazione: il motivo della porta chiusa accresce la curiosità
del lettore, e la descrizione comica dei sofisti permette a Platone di com-
porre un ritratto gustoso e salace. Tuttavia questa soluzione appare un
po’ manichea, inadeguata per un dialogo così complesso e ambiguo, in
cui «il sofista appare ben poco sofista, mentre assai sofistico si rivela pro-
prio Socrate» 110.
Probabilmente, Socrate si era spesso mescolato ai sofisti, scontran-
dosi con loro in quelle esibizioni pubbliche che costituivano il banco di
prova della loro sapienza. Platone aveva dunque il problema di scagiona-
re Socrate dall’accusa diffusissima di essere un sofista, ma sarebbe stato
vano e forse controproducente negare quelle frequentazioni, né in fondo
egli aveva interesse, in una società competitiva come quella ateniese, a
tacere la fama di disputatore abilissimo e invincibile di cui, come ricorda
Alcibiade, godeva Socrate (Prot. 336b-c; cfr. Symp. 213e): proprio dal
Protagora appare chiaro che la possibilità di sottrarre un giovane come
Ippocrate alle cure dei sofisti dipendeva innanzi tutto dalla capacità di
superarli sul campo 111. Platone, piuttosto, ha inteso difendere il maestro
in modo più sottile, cercando di presentare la casa di Callia come un
luogo che esigeva necessariamente una sorta di metamorfosi da parte di
Socrate. In generale nelle commedie, dietro la ‘porta chiusa’, si celano
mondi governati da regole particolari, cui il protagonista che varca la so-
glia è tenuto in qualche misura ad adeguarsi 112. Il pensatoio socratico
delle Nuvole, anche attraverso la metafora infero-iniziatica, è presentato
come un luogo condizionante, capace di esercitare una forte pressione

109
Sarebbe dunque futile – dice Wilamowitz – cercare nel Protagora un «approdo
scientifico» (1913, p. 179 nota 2). Come è noto, Wilamowitz riteneva che nei dialoghi
giovanili non bisogna cercare la filosofia di Platone, bensì un’apologia letteraria di So-
crate (per una valutazione dell’interpretazione di Wilamowitz, cfr. Tigerstedt 1977,
p. 40 ss.).
110
Bröcker 1987, p. 40. Su questa linea, in Italia, si muove per esempio Stefanini
1949, p. 172 ss., che constata la sensatezza di Protagora di contro all’argomentare sofi-
stico di Socrate.
111
Nell’Eutidemo il giovane Clinia assiste alla sconfitta di Socrate, e si avvia quindi
ad accogliere l’educazione dei sofisti (304b).
112
Negli Uccelli (801 ss.), per esempio, Evelpide e Pistetero mettono le penne.
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84 STRATEGIE COMICHE NEL «PROTAGORA»

sugli ‘iniziati’ (si pensi alla subalternità di Strepsiade nei confronti di So-
crate): Fidippide ne uscirà «perfetto sofista» (dexiÕn sofist»n, 1111) sia
nell’animo sia nell’aspetto 113. Verosimilmente, la ripresa del motivo del-
la porta chiusa ha la funzione di persuadere il lettore che quanto avviene
oltre la soglia è fuori da ogni norma, perché l’ambiente raffigurato è con-
dizionato da regole e convenzioni del tutto straordinarie.
La casa di Callia, avvolta da quell’aura misterico-infernale che l’eroe
trova ‘oltre la soglia’, è stregata dalle malie dell’eloquio protagoreo e ri-
suona degli applausi di una claque di fanatici adoratori dei sofisti; essa si
presenta perciò non meno gravida di minacce rispetto al pensatoio ari-
stofaneo 114: è una fossa dei leoni in cui non si può fare a meno di com-
battere. Contemporaneamente, con la conversazione privata fra Socrate
e Ippocrate con cui il dialogo comincia, Platone mostra il volto più rassi-
curante del filosofo, quale si manifesta nelle tranquille conversazioni dia-
lettiche che si svolgono lontano dai tumulti dei convegni sofistici: una
cesura netta divide il mondo di tutti i giorni dall’universo che Socrate in-
contra oltre la soglia.

8. CONCLUSIONI: UN GIOCO SERIO

La forza di persuasione del Protagora risiede nello sfruttamento sapiente


delle convenzioni comiche che orientavano la comprensione e il giudizio
degli spettatori: il dialogo riprende i modi della commedia, ma ne capo-
volge i fattori. Come conciliare le recriminazioni antiaristofanee dell’A-
pologia con il Simposio, dove lo splendido mito raccontato da Aristofane
tradisce una forte simpatia 115? Nel replicare allusivamente alle Nuvole, il

113
Fidippide, infatti, non solo si mostra carico di disprezzo per i valori tradizionali
(cfr. 1321 ss.), ma, a causa del magistero socratico, diviene pallido ed emaciato come
tutti gli altri sapienti (1171). Egli, in questo modo, esaudisce paradossalmente il voto
del padre espresso al principio della commedia: œkstreyon æj t£cista toÝj seautoà
trÒpouj (88). Su questo punto insiste Pucci 1960, in part. p. 15 ss.
114
Socrate stesso, a un certo punto, dura fatica a vincere l’incantesimo protagoreo, e
nello scontro dialettico con il sofista viene messo più volte alle corde a causa della pre-
senza di un pubblico partigiano e chiassoso. Cfr. in proposito infra, VI.4.
115
A questo dibattuto problema si è accennato supra, I.3. D’altra parte, anche il giu-
dizio aristofaneo riguardo a Socrate non è affatto evidente, giacché le Nuvole sono «a
work which cheerfully confounds all of our critical and philological subtleties with the
smoke of the burning Think-factory» (Segal 1969, p. 143). Le Nuvole sono un attacco
diretto alle mode intellettualistiche oppure mirano a colpire proprio Socrate? E il ri-
tratto aristofaneo è davvero così negativo? Questi problemi sono da sempre molto di-
battuti. Vd. per esempio Schmid 1948 (Aristofane è attento ai tratti genuinamente so-
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UN GIOCO SERIO 85

Protagora conferma e chiarisce questo contrasto: Platone condivide sia


l’afflato etico e politico, sia molte delle idee di Aristofane 116, e certo ne
ammira la grandezza artistica 117. Ma lo slancio moralizzatore della com-
media, ai suoi occhi, manca il bersaglio.
Le allusioni – diceva Giorgio Pasquali – raggiungono l’obiettivo
quando il lettore si ricorda chiaramente del testo cui si riferiscono, e l’al-
lusione è di natura un’arte colta ed elitaria 118. Ma Platone non si rivolge
solo a un pubblico di letterati, perché il suo fine è di ordine etico piutto-
sto che estetico. Inoltre, l’allusività presuppone una «tradizione data per
compiuta, e dunque leggibile come un testo storicamente fissato» 119. Ma
la società semi-letterata in cui vive Platone, caratterizzata da una fruizio-
ne orale della poesia, era lontana da questo stadio 120, senza dire che lo
stesso concetto di testo, nel caso delle Nuvole, è problematico 121. Ora, a
causa della particolare forma che assunse ad Atene il teatro di stato, tutti
i cittadini conoscevano le vicende – se non i dettagli testuali – delle ope-

cratici, che distinguono Socrate dai sofisti), Erbse 1954 (Socrate, nelle Nuvole, non è
compromesso con la sofistica, e cerca anzi di dissuadere Strepsiade dai suoi intenti mal-
vagi), Mignanego 1992 (Aristofane – almeno per il pubblico colto – ha voluto mettere
in scena l’incomprensione dell’uomo comune di fronte alla figura di Socrate), Montuo-
ri 1997 («Aristofane ridava al pubblico quella stessa immagine che il pubblico si era
fatta di Socrate», p. 114) e, da ultimo, Newell 1999, secondo il quale il ritatto di Socrate
nelle Nuvole non è poi negativo.
116
So bene che alcuni critici moderni negano alla commedia ogni dimensione politi-
ca, riconducendo le sue critiche a convenzioni di genere o carnevalesche (da ultimo,
Riu 1999). Su questo punto, la critica appare incapace di trovare convergenze, e si affi-
da a giudizi argomentati ma infine soggettivi. Personalmente, non condivido l’interpre-
tazione ‘disimpegnata’ di Aristofane.
117
Notevole è anche la consonanza di vedute sul ruolo dell’arte e sulla mimesis, co-
me chiarisce Arrighetti 1987, p. 148 ss.
118
Pasquali coniò infatti l’espressione «arte allusiva» a proposito di una poesia tipi-
camente culta e raffinata. Cfr. Pasquali 1968, p. 275 ss.
119
Bonanno 1990, p. 24.
120
Per la progressiva diffusione dell’alfabetismo, cfr. per esempio Longo 1981 e
Nieddu 1982. Per quanto riguarda il rapporto fra questo fenomeno e le opere platoniche,
grande influsso ha avuto l’opera di E. Havelock (cfr. p.e. 1963, trad. it. 1973, e 1982), il
quale però probabilmente sottovaluta la diffusione della scrittura (vd. Harvey 1966) e
sostiene la tesi – ben poco convincente perché in chiaro contrasto con quanto nei dialo-
ghi è apertamente detto – che Platone, di fatto, rifiuterebbe l’oralità (cfr. la recensione
di Adkins 1980). Su un analogo fraintendimento poggia anche la distinzione – di matri-
ce heideggeriana – proposta da G. Colli fra sapienza antica (il pensiero arcaico fino a
Socrate) e filosofia (a partire da Platone, che legò saldamente pensiero e forma scritta).
Cfr. Colli 1975.
121
Le citazioni nell’Apologia sembrano riferite alla performance teatrale, e d’altra
parte la commedia, come si è ricordato in una nota precedente, è stata tramandata in
una seconda versione parzialmente rimaneggiata.
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86 STRATEGIE COMICHE NEL «PROTAGORA»

re teatrali, la cui importanza era paideutica oltre che estetica 122. Platone,
che scrisse in un periodo di passaggio fra oralità e scrittura, seppe sfrut-
tare il particolare momento storico: il Protagora, senza rinunciare alle po-
tenzialità di un’opera destinata alla lettura, si rivolge però idealmente a
tutta la società ateniese. È un’allusività peculiare sia nella forma (non
tanto singoli riecheggiamenti, tipici dell’allusione a opere ‘scritte’ o al-
meno molto recenti e vive nella memoria del pubblico, quanto una nuo-
va dislocazione di ruoli, categorie e grandi blocchi narrativi) sia nella so-
stanza (l’allusione a una singola opera, le Nuvole, media il dialogo fra
due generi letterari diversi) 123.
Se agli occhi di Platone educazione e gioco (paide…a e paidi£) sono
indissolubilmente legati 124, anche il gioco letterario, di cui l’allusione è
un ingrediente primario, persegue un fine pedagogico 125: la risposta al-
lusiva alle Nuvole e al genere comico si colora di una fortissima valenza
etico-politica.

122
Come emerge per esempio da alcuni celebri luoghi delle Rane aristofanee (cfr.
1008 ss.; 1054 ss.). La memoria orale di una società ancora in gran parte non letterata
– come sembra dimostrare la frequenza di parodie tragiche nelle commedie – doveva es-
sere straordinariamente persistente, in una misura difficile da immaginare oggi. Sul pro-
blema della memoria delle opere teatrali, vd. per esempio Mastromarco 1983, p. 35 ss.,
e 1997 (dove l’autore insiste in particolare sui riferimenti interni al genere comico: an-
che le commedie venivano frequentemente citate e ricordate, e talvolta i commediografi
richiamavano le loro stesse opere).
123
In generale, si può sostenere che il carattere orale o parzialmente orale richiede
categorie interpretative diverse da quelle adottate per le letterature scritte. Cfr. in pro-
posito, di recente, La Matina 1994 (in part. il cap. VI).
124
Cfr. Premessa, 4.
125
Nel Fedro, il mito pronunciato da Socrate, ricchissimo di allusioni alla poesia liri-
ca, è caratterizzato come ‘gioco’. L’importanza e la ricchezza di allusioni e citazioni let-
terarie nel Fedro è ben delineata in Heitsch 19972, che ne fa un elenco ed esamina alcu-
ni casi di particolare interesse. Secondo lo studioso, il gioco dell’allusione letteraria,
che nel Fedro ha un ruolo straordinariamente ampio, è un modo indiretto per comuni-
care al lettore ciò che nel dialogo Socrate dice esplicitamente: lo scritto è una paidi£.
Cfr. in proposito anche Plass 1967 (l’articolo è quasi interamente dedicato al Fedro).
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TESTATINA FITTIZIA DA ELIMINARE 87

III

FORMA E CONTENUTO

Nelle pagine precedenti si è cercato di lumeggiare la fitta trama di rap-


porti che unisce dialogo e commedia su di un piano generale e particola-
re a un tempo. Si sono sottolineati i caratteri comici del Protagora: l’am-
bientazione eupolidea, la figura di Callia e l’indicazione di registro che
essa suggerisce, la descrizione – ricchissima di spunti teatrali – della casa
stipata di sofisti e pupilli, e soprattutto lo stretto legame di ordine strut-
turale che unisce il Protagora alle Nuvole e alla commedia in genere (cam-
biamento di scena, motivo della porta chiusa, agone). Su di un piano ge-
nerale, si sono indagati da un lato lo statuto letterario e gli intenti apolo-
getici della risposta platonica agli attacchi della commedia (in particolare
le Nuvole); dall’altro, una particolare attenzione ho rivolto alla natura ‘e-
pica’ – per dirla con Brecht – del Protagora: il ruolo della narrazione in-
diretta nel delineare una forma di commedia filosofica che presuppone
il teatro antico ma contemporaneamente ne prende le distanze. Qualche
osservazione conclusiva sulla struttura comica del dialogo permetterà di
prendere congedo dalle questioni affrontate sin qui e di introdurre i pro-
blemi che saranno discussi nella seconda parte della ricerca.

1. LA STRUTTURA COMICA

Poiché il Protagora è un dramma narrato, la vicenda comica ha inizio


con l’irruzione notturna di Ippocrate nella casa di Socrate, mentre il dia-
logo-cornice fra Socrate e l’interlocutore sconosciuto non è che il filtro
narrativo attraverso cui l’occhio del lettore è guidato nella vicenda. Solo
il dramma narrato può dunque essere oggetto di una comparazione
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88 FORMA E CONTENUTO

strutturale con la commedia. Propongo qui uno schema dell’articolazio-


ne di questa commedia platonica.
Prologo
Ippocrate irrompe nella casa di Socrate. Come nelle prime battute di
molte commedie, fa ancora buio 1. Nel prologo, come è usuale in com-
media, viene studiato un piano: i due amici, non appena l’ora lo consen-
tirà, si recheranno a casa di Callia, per osservare i sofisti e decidere se è
opportuno che Ippocrate affidi la propria anima a Protagora.
Episodio: spostamento e scena tipica della porta chiusa
Come in alcune commedie aristofanee, il protagonista si allontana dalla
propria dimora e muove alla conquista di un mondo bizzarro, ma deve
preliminarmente superare l’opposizione di un guardiano scorbutico, che
presidia la soglia d’accesso 2.
Parodo del coro
Oltre la soglia della casa di Callia, Socrate – e con lui il lettore – osserva
lo spettacolo dei sofisti intenti nell’indottrinamento cattedratico degli al-
lievi. Protagora-Orfeo, come il flautista delle commedie, guida un «co-
ro» (corÒj) di allievi che, disposti in due file, lo seguono ordinatamente,
a somiglianza dei cori comici 3.

1
Le prime parole del racconto socratico si soffermano sull’ambientazione nottur-
na della prima scena: tÁj g¦r parelqoÚshj nuktÕj tauths…, œti baqšoj Ôrqrou, =Ippokr£thj
… t¾n qÚran œkroue (310a-b). Queste notazioni temporali sono caratteristiche del teatro
attico, come mi suggerisce il caro amico Nikos (vd. Charalabopoulos 2001, part B, par.
2.1). Cfr. in part. Nub. 1: tÕ crÁma tîn nuktîn Óson Eccl. 20: prÕj Ôrqron g’ ™st…n
Ve. 216: ¢ll¦ nàn g’ Ôrqroj baqÚj Lys. 15 e 60: eÛdousi koÙc ¼kousi / diabeb»kas’ Ôrqriai.
2
Vd. supra, II.3. Il portinaio che Socrate e Ippocrate devono affrontare è «un eu-
nuco» (314c) segno di lussuosa mollezza (cfr. Ar. Ach. 100 ss.). La presenza di un «sex-
less clean-shaven reveller» nella commedia antica è attestata dalla pittura vascolare (vd.
Webster 1960, p. 262). Il portiere eunuco cerca di impedire l’accesso a Socrate e Ippo-
crate, perché Callia «non ha tempo» (314d: oÙ scol¾ aÙtù … oÙk ¢khkÒate Óti oÙ scol¾
aÙtù. Cfr. Ar. Ach. 407 e 410: oÙ scol»). L’impiego del pronome aÙtù è un dettaglio
umoristico che sottolinea la reverente confidenza del servo (cfr. Poll. 3.74: ’Aristof£nhj
m»ntoi kat¦ t¾n tîn pollîn sun»qeian tÕn despÒthn aÙtÕn kšklhken).
3
Protagora e i suoi seguaci formano «un coro» (315b) (per corÒj cfr. anche 327d,
dove Protagora ricorda il coro dei Selvaggi di Ferecrate). L’idea di un coro di se-
guaci-adulatori pare ripresa da Eupoli (172 PCG), ma anche il coro di sofisti nel Kon-
nos di Amipsia, dove era indicata l’identità dei singoli coreuti, può essere un modello.
Come nel Konnos, il «coro» del Protagora è dunque un coro individualizzato, giacché
Socrate enumera i nomi dei suoi componenti (sul coro individualizzato nella commedia
antica, che prevedeva talora – come nel dialogo – una enumerazione di nomi con brevi
note di commento, cfr. Wilson 1977, trad. it. 1994). Il coro è formato da discepoli che
seguono «stregati» (kekhlhmšnoi) Protagora, paragonato a un Orfeo incantatore (315a-b).
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LA STRUTTURA COMICA 89

La preparazione dell’agone
Tutti i frequentatori della casa di Callia, insieme al coro dei seguaci di
Protagora 4, si raccolgono intorno a Socrate e a Protagora per ascoltarne
il dialogo. Questo momento di preparazione, nelle commedie, precede
talora l’agone epirrematico 5.
Agone
Il lungo agone che oppone Socrate a Protagora può essere suddiviso co-
me segue. Si possono riconoscere chiare analogie strutturali con l’agone
comico (rheseis contrapposte, ‘sticomitia’ e voltafaccia del coro) 6:
a Rhesis di Protagora. Socrate, come già in precedenza il coro di allievi,
rimane incantato dal suo eloquio 7.
b ‘Sticomitia’ 8.
c Applausi per Protagora. Interventi di Callia, Alcibiade, Crizia, Prodi-
co, Ippia, che tentano di incoraggiare i contendenti, come a volte fa
anche il coro comico 9.

Essi sono disposti su due file (™k mþn ™pˆ toà q£tera … ™k dþ ™pˆ toà q£tera, 314e-315a).
Quando Protagora inverte la direzione di marcia, le due file di seguaci si separano per
non intralciarne il passo (periesc…zonto … œnqen kaˆ œnqen, 315b): il «coro» si divide
dunque in due semicori, proprio come accadeva nelle parabasi comiche. La descrizione
del coro guidato da Orfeo-Protagora trova poi un riscontro interessante in due rilievi
marmorei risalenti alla seconda metà del quarto secolo, di cui alcuni frammenti sono stati
trovati nell’agorà ateniese. Come ha mostrato Sifakis 1971 (p. 417 ss.) sulla scia di Webs-
ter 1960, i rilievi rappresentano probabilmente una parodos comica. Il primo «shows a
number of chorus-men (seven or eight)» e due figure, probabilmente un attore e un
suonatore di flauto. Inoltre, «actor and ‘flute-player’ are leading the chorus on the re-
lief» e «all the figures are advancing to the right». Nel secondo «seven chorusmen are
shown to advance in two rows from left to right, doing a dancing step similar to that of
the other chorus» (enfasi mia). Sul coro nel Protagora trovo confortanti convergenze in
Charalabopoulos 2001, part B, par. 3.1.
4
Il ‘coro’ dunque, dopo un momento di protagonismo, lascia nuovamente spazio
agli ‘attori’. Lo stesso avviene nelle commedie, in cui «conviene […] considerare con-
clusa la parodo, quando il coro passa in seconda linea e riprendono l’iniziativa gli atto-
ri» (Zimmermann 1987, p. 51).
5
Cfr. Ran. 830-874 e Nub. 889-948. Nel passo delle Nuvole, come nel Protagora, è
tematizzata l’importanza del pubblico per la risoluzione del confronto. Cfr. supra, II.4.
6
Cfr. supra, II.4.
7
Prot. 328d: kaˆ ™gë ™pˆ mþn polÝn crÒnon kekhlhmšnoj œti prÕj aÙtÕn œblepon æj
™roànt£ ti, ™piqumîn ¢koÚein Prot. 315a: oƒ dþ kat¦ t¾n fwn¾n ›pontai kekhlhmšnoi. Ãsan
dš tinej kaˆ tîn ™picwr…wn ™n tù corù. Cfr. per esempio la reazione del coro al discorso
di Bdelicleone – destinato alla sconfitta – nell’agone delle Vespe (637-641): æj dþ p£nt’
™pel»luqen / koÙdþn parÁlqen, ést’ œgwg’ hÙxanÒmhn ¢koÚwn, / k¢n mak£rwn dik£zein /
aÙtÕj œdoxa n»soij, / ¹dÒmenoj lšgonti.
8
Per l’alternarsi di rheseis e scambi serrati nell’agone comico, vd. supra, II.4.
9
Per esempio Prot. 337d ss. Cfr. gli interventi del coro e di Dioniso nell’agone del-
le Nuvole e delle Rane: paÚsasqe m£chj kaˆ loidor…aj (Nub. 934). SÝ dþ m¾ prÕj Ñrg»n,
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90 FORMA E CONTENUTO

a′ Rhesis di Socrate, contrapposta a quella di Protagora. Primi segnali di


cambiamento nel giudizio dei presenti.
b ′ ‘Sticomitia’.
c ′ I presenti (il ‘coro’) si schierano con Socrate, approvando l’identifica-
zione fra bene e piacere proposta da Socrate. Protagora è quindi bat-
tuto 10.
Esodo
Al termine del dialogo, Socrate propone una curiosa immagine: l’«esodo
dei discorsi» (œxodoj tîn lÒgwn, 361a) prende parola, come un essere
umano, per rimproverare e deridere Socrate e Protagora, che nel corso
del dibattito hanno scambiato le proprie posizioni 11. È qui oggetto di
riso quel rovesciamento dei punti di vista – accompagnato dal voltafac-
cia del coro – che costituisce una struttura profonda e costante della
commedia aristofanea 12. Le ultime parole del dialogo poi, come accade
anche in Aristofane, annunciano l’uscita di scena dei personaggi 13.

A„scÚl’, ¢ll¦ praÒnwj / œlegc’, ™lšgcou: loidore‹sqai d’ oÙ pršpei / ¥ndraj poht¦j ésper
¢rtopèlidaj (Ran. 856-858). Cfr. anche Eq. 756: Nàn d» se p£nta de‹ k£lwn ™xišnai se-
autoà, / kaˆ lÁma qoÚrion fore‹n kaˆ lÒgouj ¢fÚktouj, / Ótoisi tÒnd’ Øperbale‹. L’immagi-
ne della gomena riaffiora in Prot. 338a.
10
Cfr. per esempio il voltafaccia del coro delle Vespe ricordato supra, II.4.
11
L’impiego del termine œxodoj è sorprendente, e non per caso LSJ riserva a questo
passo del Protagora una entry apposita, nel significato di «end, issue of an argument»
(III.2). Piuttosto, si può intendere il passo nel senso teatrale di «uscita di scena» (cfr.
infra), come mi suggerisce l’amico Nikos (vd. Charalabopoulos 2001, part B, par. 3.2).
12
«On s’aperçoit assez facilement que dans la plupart des comédies d’Aristophane,
l’intrigue nécessite une véritable permutation des données de départ: les variations du
choeur et des personnages, l’inversion des valeurs courantes, les rajeunissements ou les
régénérations, les travestissements, les rapports entre les générations, tout cela s’orga-
nise en résaux de convergence, qui forment ce que nous avons nommé la structure tour-
nante. Il arrive aussi que le héros (et même parfois le choeur tout entier) se retrouve
dans une situation exactement opposée à celle qui était la sienne au début de la pièce.
Nous ne considérons cependant pas comme structure tournante ou de permutation la
simple conversion du choeur à une doctrine contraire à celle qui était auparavant la
sienne, ce qui se produit souvent avant la parabase: le choeur des Acharniens donne ain-
si finalement raison à Dicéopolis, celui des Guêpes à Bdélycléon, celui des Oiseaux à Pi-
sétaire; de même, les hommes s’inclinent devant les conceptions des femmes dans l’As-
semblée des Femmes. Dans tous ces cas, il n’y a que simple évolution des personnages,
alors que la structure tournante implique un échange de rôles effectif ou un mouvement
cyclique […]. Nous parlerons ainsi de structure tournante simple quand il y a unique-
ment métamorphose du choeur ou d’un personnage, et de structure tournante comple-
xe, ou structure de permutation, quand il y a un échange effectif de rôles entre deux per-
sonnages ou entre plusieurs catégories de personnages, comme dans les Oiseaux»
(Thiercy 1986, pp. 345-346).
13
Prot. 362a: ™moˆ oŒper œfhn „šnai p£lai éra … Taàt’ e„pÒntej kaˆ ¢koÚsantej ¢pÍmen.
Cfr. Thesm. 1227 ss.: ’All¦ pšpaistai metr…wj ¹m‹n: ésq’ éra d» ’sti bad…zein o‡kad’ ˜k£stV.
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LA RAREFAZIONE DELL’ELEMENTO COMICO 91

2 . LA RAREFAZIONE DELL’ELEMENTO COMICO

Questo, dunque, l’intreccio comico del Protagora 14. Non si è voluto soste-
nere, naturalmente, che il dialogo ricalchi in tutto e per tutto lo sviluppo
di una commedia, anche perché i drammi aristofanei sono stati oggetto
di analisi strutturali in parte divergenti, e sarebbe arduo stabilire quale
dei modelli proposti aderisca meglio alla realtà dei testi. La questione fon-
damentale è piuttosto la riconoscibilità dell’allusione, che deve suggerire
fin dal principio l’opportunità di leggere il dialogo come una commedia,
e forse come una risposta alle Nuvole. Si noterà allora che proprio le pri-
me battute sono ricchissime di spunti comici: l’azione comincia con l’ir-
ruzione di Ippocrate, che picchia alla porta con un bastone (bakthr…a:
un oggetto di scena comunissimo in Aristofane, quasi sconosciuto a Pla-
tone) 15, si introduce in casa e a tastoni raggiunge il lettino di Socrate, quel-
lo sk…mpouj (hapax platonico) che era il giaciglio del filosofo già nelle
Nuvole. Fin qui il dialogo è – se così si può dire – materialmente una
commedia, giacché le suppellettili e le azioni dei personaggi sono in tut-
to e per tutto paragonabili agli oggetti scenici e ai movimenti degli attori
comici. Sebbene già ora un notevole spazio sia lasciato alla parola socra-
tica – si pensi alla confutazione di Ippocrate nel cortile della casa di So-
crate – questa comicità piena e concreta si protrae ancora per un poco:
tutta la scena della porta chiusa e l’ingresso nella casa di Callia assediata
dai sofisti sono pura commedia. Agli spunti in questa direzione segnalati
sopra e nei capitoli precedenti, si può ora aggiungere che precedenti co-
mici si possono individuare anche per il carattere ‘peripatetico’ della le-
zione di Protagora (peripatoànta, 314e) 16, per le bizzarre posture di Ip-
pia e Prodico 17, e infine per il ronzio di cui rimbomba la casa di Callia 18.

14
Si noterà naturalmente l’assenza della parabasi e la riduzione del ruolo del coro:
proprio queste sono le caratteristiche della commedia di mezzo al tempo di Platone
(cfr. p.e. Perusino 1986, cap. III).
15
bakthr…a è attestato, oltre che qui, soltanto in Hipp. Ma. 292a. L’uso del bastone
è qui attribuito a un alter ego di Socrate che si distingue per la rozzezza e per l’uso di
faàla ÑnÒmata (288d) che scandalizzano il sussiegoso Ippia. bakthr…a, invece, ricorre
non meno di dodici volte in Aristofane. La presenza scenica del bastone è assicurata an-
che dalla pittura vascolare: il bastone, di varie dimensioni, è un «accessorio tradizionale
dell’attore comico» (Ghiron-Bistagne 1971-1974, p. 243).
16
L’abitudine di peripate‹n è attribuita beffardamente a Platone da Alessi (Alexis, fr.
147: e„j kairÕn ¼keij, æj œgwg’ ¢poroumšnh / ¥nw k£tw te peripatoàs’ ésper Pl£twn / sofÕn
oÙdþn eÛrhk’, ¢ll¦ kopiî t¦ skšlh). Cfr. anche Ar. Ran. 942 e Denniston 1927, pp. 116-117.
17
Ippia siede su un «trono» (kaq»menon … ™n qrÒnJ, 315c), che allude qui alla sua
ben nota vanità. C’è un’antitesi intenzionale fra la postura dei discepoli (™k£qhnto ™pˆ
b£qrwn, b1; su dei b£qra, secondo Ambrose 1983, p. 136, sedevano probabilmente an-
che gli allievi di Prodico nei Tagenistae di Aristofane) e quella di Ippia che – viene ri-
badito – parla ™n qrÒnJ kaq»menoj. Prodico è paragonato a Tantalo (T£ntalÒn ge e„se‹-
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92 FORMA E CONTENUTO

La comicità della scena di ingresso è immediatamente percettibile. A


questo punto il più è fatto: lo spettatore ateniese, avvezzo agli spettacoli
teatrali, doveva aver colto il gioco allusivo. Ecco allora che la struttura
comica recede progressivamente, lasciando spazio a elementi nuovi, che
Platone vuole integrare nel gioco letterario: l’agone del Protagora com-
prende due rheseis di tale lunghezza e complessità che mai avrebbero
potuto trovare posto in una commedia rappresentata a teatro 19. Lo stes-
so si può osservare a proposito degli interventi buffoneschi di Ippia e
Prodico, il cui intellettualismo, pur ridicolo, sarebbe forse inadatto al
palcoscenico. Non per questo il dialogo cessa di presentarsi come una
commedia: è Protagora stesso a ricordare che il confronto dialettico è un
agone (335a) 20 . Ma, sempre di più, si tratta di commedia esangue e rare-
fatta: i ‘movimenti di scena’, frequentissimi nella prima parte del dialo-
go, di fatto cessano dalla metà dell’agone in avanti, quando Ippia trattie-
ne Socrate per il mantello 21. La struttura comica permane quindi su un
piano simbolico: dopo l’indicazione agonale offerta da Protagora, il dia-
logo si conclude con un accenno che su un palcoscenico definirebbe me-
tateatrale: quell’esodo dei discorsi contrapposti che fa pensare all’uscita
di scena degli aristofanei Discorso Giusto e Discorso Ingiusto 22.

don, 315c; cfr. Od. 11.582). Il ricordo degli ¥lgea omerici indurrebbe a vedere qui
un’allusione alla salute cagionevole di Prodico. Ma probabilmente, nel paragonare Pro-
dico a Tantalo, Platone evoca scherzosamente la celebre ¡brosÚnh del titano (vd. Wil-
link 1983). Prodico, infatti, «era ancora a letto» (œti katškeito, 315d). Probabilmente,
«Der Verfasser will nicht Prodikos als krank schildern, sondern nur zeigen, wie be-
quem es Kallias seinen Gästen einzurichten versteht» (Gigon 1946, p. 113). Prodico è
ancora fra le coperte, ™gkekalummšnoj ™n kJd…oij tisˆ kaˆ strèmasi kaˆ m£la pollo‹j
(315d). Per questa espressione, cfr. Ar. Nub. 9-11, dove Strepsiade lamenta che, ben-
ché sia ormai pieno giorno, il figlio giace ™n pšnte sisÚraij ™gkekordulhmšnoj. / ¢ll’ e„
doke‹, ·šgkwmen ™gkekalummšnoi. Ora, kJd…on è hapax platonico, parola umile e quasi sco-
nosciuta alla letteratura alta, ma abbastanza comune in Aristofane (cfr. in part. Ran.
1478, dove indica un morbido giaciglio adatto al sonno).
18
La voce cavernosa di Prodico rimbomba e risulta perciò poco chiara (bÒmboj,
316a). La parola bÒmboj, usata normalmente per il ronzio delle api nonché dei fuchi
parassiti (p.e. Resp. 564d), potrebbe suggerire proprio che Prodico è uno dei parassiti
di Callia; già Eupoli, infatti, si era espresso in questi termini nel fr. 166 PCG dei Paras-
siti: bomboàsi: ‘’Oršsthj’, ‘Mary…aj’, Kall…ou toà ’Aqhna…ou kÒlakej sÝn ˜tšroij (cfr. Am-
brose 1983, p. 134).
19
La commedia che, da questo punto di vista, più si avvicina al Protagora sono an-
cora una volta le Nuvole, «a play obsessed with logos» (O’Regan 1992, p. 3; questo li-
bro esamina tale ossessione lungo tutto il corso della commedia).
20
Spesso la parola ¢gèn, nelle commedie, indica esplicitamente l’agone comico.
Cfr. Nub. 956; Ve. 533; Ran. 765, 867, 873, 882.
21
L’importanza di questo gesto, che costituisce un «midpoint» del dialogo, è sotto-
lineata in Miller 1978.
22
œxodoj, nel senso teatrale di uscita di scena (cfr. Aristot. Poet. 1452b21, che si ri-
ferisce però all’intera scena finale di un dramma), compare in Ar. Ve. 582. Cfr. la nota
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ERISTICA E COMMEDIA 93

La struttura del Protagora lascia forse intravedere il progetto lettera-


rio di Platone: secondo l’affermazione, già ricordata, di Todorov, «è suf-
ficiente che l’autore ci insegni, per qualche tempo, a interpretare gli e-
venti che egli evoca» 23. Il dialogo deve dunque essere interpretato come
una commedia anche quando, dopo le prime battute, cessa di essere ma-
terialmente tale. Al tempo stesso, la progressiva rarefazione dell’elemen-
to comico (o meglio degli aspetti più crassi: bastoni, portinai, scaramuc-
ce ecc.) segna una presa di distanza dalla commedia stessa e dal suo spi-
rito. La conversazione – dice Socrate – non deve assomigliare a un catti-
vo simposio popolato da flautiste e ballerine (347c ss.). Ora, non soltan-
to il flauto e la danza sono elementi fissi della commedia, ma l’invito a
suonare vi compare frequentemente, e spesso doveva trattarsi di un mo-
mento metateatrale, giacché flautisti o flautiste professionali erano effet-
tivamente presenti sulla scena 24. Il suono del flauto – e naturalmente an-
che la danza – si prestano dunque a simboleggiare la commedia nella sua
concretezza scenica, e il suggerimento di Socrate di lasciar da parte flau-
tiste e ballerine – che rinnega l’invito alla musica così frequente nelle
commedie – suona come un congedo dall’elemento comico: non credo
sia casuale la circostanza che i movimenti di scena, le descrizioni, gli in-
terventi buffoneschi e perfino gli applausi cessino del tutto dopo questo
simbolico commiato 25.

3. ERISTICA E COMMEDIA

La risata beffarda dell’esodo dei discorsi è il segno che la scaramuccia


comica (per conquistarsi il favore del pubblico si attacca l’avversario per

di MacDowell 1971, ad loc.: «œxodon: ‘an exit-tune’, music for the jurors as they leave
the court. The word is a metaphor from drama; at the end of a play the aÙlht»j played
as the chorus withdrew. Cf. Kratinos 276 toÝj ™xod…ouj Øm‹n †n’ aÙlî toÝj nÒmouj». Ci
sono inoltre, in Aristofane, tre allusioni metateatrali all’e‡sodoj. Vd. Nub. 326, Av. 296;
PMC 403 (NÁsoi). Cfr. Chapman 1983, p. 7.
23
Todorov 1971, trad. it. 19952, p. 196.
24
«Possible Metatheatrical Pipers in Comedy» è il titolo di un’appendice del noto
libro di O. Taplin dedicato al dramma attico esaminato attraverso le rappresentazioni
vascolari (Taplin 1993, p. 105 ss.). Egli discute i seguenti passi: Plato Comicus, 195
PCG; Ar. Pax, 950 ss., Av. 857-861, 660 ss., Lys. 1242 ss., Thesm. 1160 ss., Eccl. 80-92;
Cratino, 308 PCG; Eupoli, 81 PCG; Nicofrone, 8 PCG; Amipsia, 21 PCG; Antifane, 49
PCG. La possibilità che il coro fosse talora guidato da flautiste femmine è discussa in-
vece nel capitolo VII («Metatheatrical players»).
25
Se si eccettua il fugace accenno, al termine del dialogo, al fatto che Socrate e Ip-
pocrate lasciano la casa di Callia.
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94 FORMA E CONTENUTO

assumerne poi le posizioni, come negli agoni aristofanei) è un’attività


inadatta al filosofo che cerca la verità. Il dialogo si chiude dunque con
una nota di rammarico e con l’augurio di riprendere la discussione da
capo (360e ss.). Non bisognerà tuttavia ripetere l’errore commesso, che
consiste, a detta di Socrate, nell’indagare per prima cosa se la virtù sia
insegnabile o meno (e‡te didaktÒn e‡te m¾ didaktÒn, 361c); questa impo-
stazione sterile ha infatti condotto i due interlocutori a un ridicolo scam-
bio di posizioni, caratteristico – si può aggiungere – della commedia, che
di simili rovesciamenti si alimenta. Occorrerà piuttosto cercare, socrati-
camente, che cosa sia (t… ™st…, 360e) la virtù stessa, come avviene in un
dialogo platonico ‘normale’ (si pensi ai dialoghi di definizione).
La progressiva rarefazione dell’elemento comico, fino al congedo fi-
nale, va a tutto vantaggio del confronto dialettico, giacché l’agone – si
diceva – acquista dimensioni abnormi e contenuti impensabili in una ve-
ra commedia. Proprio questa anomalia formale può servire a introdurre
la problematica filosofica del dialogo: se le Nuvole di Aristofane mostra-
no che la struttura comica (in particolare l’agone) può colorarsi di conte-
nuti eristici e protagorei 26, il Protagora platonico impiega gli strumenti
della commedia per rappresentare l’arte della parola e i suoi maestri, in
particolare l’eristica protagorea e quegli agoni di discorsi, fatti di scara-
mucce verbali e discorsi epidittici, che il sofista introdusse ad Atene 27.
Nei capitoli seguenti sarà formulata e messa alla prova un’ipotesi: sub
specie comoediae, il Protagora mette in scena un agone eristico, in cui l’a-
sprezza e l’aporia hanno precise e profonde motivazioni filosofiche.
L’eristica si fondava su presupposti del tutto incompatibili con la
dialettica socratica e più in generale con il pensiero platonico. Il relativi-
smo protagoreo, di fatto, non offriva appigli alla confutazione socratica,
e costituiva perciò una grave minaccia per il pensiero platonico: è questo
lo spettro filosofico che aleggia dietro le quinte del Protagora (cap. VI).
Questo problema determina la difficoltà e l’asprezza del confronto fra
Socrate e Protagora, che si fronteggiano, senza esclusione di colpi, con le
armi dell’eristica (cap. IV). D’altra parte, questa lotta – anche sleale –
contro un avversario duro e pericoloso era, agli occhi di Platone e anche
di Aristotele, completamente giustificata: il filosofo, ridisceso nella ca-
verna, deve affilare le armi, e – per il bene della comunità – combattere
gli schiavi anche sul terreno della empiria, ossia di una forma di sapere
che gli è estranea (cap. V).

26
Cfr. la trattazione di De Carli 1971, in part. p. 11 ss., e tutto il capitolo III dell’o-
pera.
27
Cfr. infra, IV.5.
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ERISTICA E COMMEDIA 95

Nel Protagora Socrate – il filosofo – scende nell’arengo comico e


grottesco della polis democratica, simboleggiata dai personaggi del dialo-
go, una sorta di mini-Atene riunita nella sinistra casa di Callia. Eristica e
commedia convivono e si compenetrano, perché Platone considerava gli
agoni di discorsi sofistici un’attività intrinsecamente giocosa e triviale 28,
come emerge anche dall’Eutidemo 29. In questo quadro, la commedia,
che ha per oggetto l’eristica, è lo strumento di persuasione con cui Plato-
ne si rivolge al destinatario per convincerlo della pochezza dei metodi
sofistici, che nella sostanza si limitano a riproporre l’educazione tradizio-
nale (Parte Prima della presente ricerca); a sua volta l’eristica, per sua
natura comica, è l’unico medium che Socrate può adottare per cercare di
persuadere un interlocutore difficile come Protagora (Parte Seconda).

28
L’eristica è infatti un gioco. Cfr. infra, III.5 e 7.
29
Gli eristi Eutidemo e Dionisodoro sono sovente presentati con toni farseschi, e la
loro attività – secondo Socrate – somiglia a un gioco triviale, come chi si diverte a to-
gliere la sedia a chi sta per sedersi (Euthd. 278b-d); tuttavia, come nel caso del Protago-
ra, il registro scherzoso non esclude certamente che dietro il velo comico si celino pro-
blematiche filosofiche di grande importanza.
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TESTATINA FITTIZIA DA ELIMINARE 97

Parte Seconda

ERISTICA E DIALOGO:
L’‘EROE’ E GLI ANTAGONISTI
SOCRATE ‘PERSUADE’ I SOFISTI
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98 IL «PROTAGORA» E L’ERISTICA
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TESTATINA FITTIZIA DA ELIMINARE 99

IV

UN AGONE DI DISCORSI:
IL «PROTAGORA» E L’ERISTICA

Hegel, forte di una conoscenza profonda e diretta dei grandi dialoghi


della maturità, vide in Platone il fondatore della dialettica 1. D’altra par-
te, il filosofo tedesco riconosceva che la dialettica non poteva essere nata
dal nulla. Se «finalità, effetto della dialettica è lo sconvolgere il particola-
re» 2, è pur vero che i «due primi aspetti della dialettica, volti a dissolve-
re il particolare, e a produrre in tal modo l’universale, non sono ancora
la dialettica nel suo vero aspetto. Questa dialettica Platone l’ha in comu-
ne con i sofisti, che furono maestri nel dissolvere il particolare. A tal fine
Platone si compiace assai spesso di dimostrare che la virtù è una sola» 3.
Hegel alluderà qui (anche) al Protagora: altrove, nelle Lezioni, il filosofo
tedesco accenna alle argomentazioni sofistiche adottate da Socrate nel
nostro dialogo 4. Il Protagora appare dunque come esempio concreto di

1
Hegel abbandonò l’uso di riferirsi a Platone sulla base delle tardo-settecentesche
«interpretazioni sistematiche […] volte a rilevare nel plesso dialogico le massime capi-
tali, gli Hauptgedanken da inquadrare nel disegno della enciclopedia del sapere» (Za-
dro 1987, p. 11). Si tenga tuttavia presente che Hegel non curava in alcun modo la cro-
nologia dei dialoghi.
2
Hegel 1825-1826, trad. it. 1995, p. 123.
3
Hegel 1828, trad. it. 1932, II, p. 207. Il passo prosegue così: «[…] l’universale e-
merso dallo scompiglio del particolare, vale a dire il vero, il bello, il bene, ciò che è ge-
nere di per se stesso, era in un primo momento ancora indeterminato e astratto: orbe-
ne, lo sforzo principale di Platone è in terzo luogo rivolto a determinare ulteriormente
questo universale in se stesso […]. Questa forma superiore di dialettica è precisamente
quella propria di Platone: essa, in quanto è speculativa, non mette capo a un risultato
negativo, ma mostra la congiunzione dei contrari, che si sono annullati» (pp. 208-209).
4
Nella sezione sui sofisti delle Lezioni sulla storia della filosofia, Hegel dedica al
Protagora alcune pagine (Hegel 1828, trad. it. 1932, II, pp. 10-17). Secondo Hegel, al-
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100 IL «PROTAGORA» E L’ERISTICA

una dialettica incompiuta, a metà strada fra Platone e la sofistica. Questa


dialettica forma lo spazio storiografico del presente capitolo, e più in ge-
nerale della seconda parte della ricerca.

1. L’AGONISMO DEL «PROTAGORA»

Nei capitoli precedenti e nella Premessa ho accennato spesso come l’in-


terrogare di Socrate, di fronte a Protagora e ai sofisti stipati nell’ostile
casa di Callia, richiami per molti versi quella pratica eristica che pure in
diversi luoghi dei dialoghi Platone condanna senza appello; tanto che il
personaggio di Socrate appare insolitamente aggressivo, se non addirit-
tura sleale. Ma in che senso, precisamente, il confronto fra Protagora e
Socrate può essere considerato eristico? Il criterio di valutazione più im-
mediato è probabilmente il giudizio dei personaggi del dialogo. Anzitut-
to, Protagora intende senz’altro la conversazione con Socrate come una
disputa verbale, un agone di discorsi (¢gën lÒgwn, 335a), e Socrate stes-
so descrive l’incontro in termini agonistici, ricorrendo ora al paragone
con il pugilato (339e) 5, ora a quello con le gare di corsa (335e-336b) 6.
Gli altri interlocutori, poi, non hanno dubbi che il confronto cui stanno
assistendo abbia un carattere agonistico. Secondo Alcibiade, Socrate
vuole dimostrare la sua superiorità nella dialettica brachilogica (336b-c) 7;
Prodico constata che la discussione ha preso un andamento eristico
(™r…zein, 337b) e propone perciò una forma di competizione più mode-
rata (¢mfisbhte‹n) in cui gli spettatori dispenseranno al migliore una me-
ritata buona fama (337a-c); Ippia caldeggia l’elezione di un arbitro (·ab-
doàcon kaˆ ™pist£thn kaˆ prÚtanin, 338a) 8.

la tesi di Protagora, che cioè la virtù sia insegnabile, Socrate obietta «richiamandosi se-
condo il metodo sofistico all’esperienza» (p. 14). Poco oltre, egli aggiunge che «le ra-
gioni di Socrate e le dimostrazioni che le sorreggono sono istanze fondate sull’esperien-
za, spesso non migliori di quelle che qui sono messe in bocca al sofista» (p. 17).
5
kaˆ ™gë tÕ mþn prîton, æspereˆ ØpÕ ¢gaqoà pÚktou plhge…j, ™skotèqhn te kaˆ „lig-
g…asa e„pÒntoj aÙtoà taàta kaˆ tîn ¥llwn ™piqorubhs£ntwn.
6
Cfr. Klosko 1979, p. 126 ss.
7
Øpolabën oân Ð ’Alkibi£dhj, OÙ kalîj lšgeij, œfh, ð Kall…a: Swkr£thj mþn g¦r Óde
Ðmologe‹ m¾ mete‹na… oƒ makrolog…aj kaˆ paracwre‹ PrwtagÒrv, toà dþ dialšgesqai oŒÒj t’
e!nai kaˆ ™p…stasqai lÒgon te doànai kaˆ dšxasqai qaum£zoim’ ¨n e‡ tJ ¢nqrèpwn paracw-
re‹. e„ mþn oân kaˆ PrwtagÒraj Ðmologe‹ faulÒteroj e!nai Swkr£touj dialecqÁnai, ™xarke‹
Swkr£tei. Si noti che, al principio del racconto, Socrate ammette esplicitamente di esse-
re stato aiutato da Alcibiade (poll¦ Øpþr ™moà e!pe bohqîn ™mo…).
8
Buona parte di questi indizi di animosità sono segnalati da Klosko 1979, p. 126 ss.
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L’AGONISMO DEL «PROTAGORA» 101

Un secondo criterio emerge dalla narrazione indiretta, che più volte


denuncia l’animosità dei contendenti. Protagora, nella sua vanità, appare
spesso riluttante e timoroso di fare brutta figura di fronte al pubblico 9.
Inoltre, egli accusa l’avversario di amor di vittoria (filonike‹n, 360e). So-
crate, per parte sua, ha paura che Protagora abbia qualche punto di ra-
gione (339c) 10, cerca di guadagnare tempo (339e) 11 e, con una scusa, mi-
naccia di andarsene pur di costringere Protagora a dialogare secondo i
modi che gli sono più graditi (335a ss.) 12. Socrate ‘narratore’ smaschera
così le astuzie di Socrate ‘personaggio’.
In questa cornice agonale si svolge il dibattito sull’unità della virtù,
suddiviso in due parti inframmezzate dall’interpretazione di un carme di
Simonide. Una valutazione complessiva del confronto non è semplice,
perché le tre parti in cui si articola possono apparire eterogenee e larga-
mente indipendenti. È convinzione pressoché unanime che la lunga di-
sputa esegetica faccia parte per sé: in questa sezione del dialogo Socrate
cercherebbe – per riprendere una formula divenuta ormai canonica – di
«superare i sofisti in sofisticheria» 13, benché, nel corso di questo «inutile
gioco» 14, sia formulata una tesi cardine dell’etica socratica: l’involonta-
rietà del male (345d-e). Pochi dubbi si nutrono invece riguardo alla se-
rietà del dibattito relativo all’unità delle virtù, perché questa sarebbe
proprio la tesi che Platone vuole dimostrare nel Protagora. I frequenti
paralogismi che vengono rilevati nelle argomentazioni di Socrate sono
perciò imputati a errori di Platone, oppure – meno frequentemente – so-
no riformulati secondo complicate ricostruzioni ‘caritatevoli’ atte a ri-

9
Cfr. 333d; 333e; 335a-b; 348c. Protagora corrisponde a quel tipo di interlocutore
che Aristotele definisce nei Topici «difficile» (dÚskoloj). Cfr. infra, V.6.
10
Doke‹ oân soi, œfh, taàta ™ke…noij Ðmologe‹sqai; – Fa…netai œmoige (kaˆ ¤ma mšntoi
™foboÚmhn m¾ tˆ lšgoi) ¢t£r, œfhn ™gè, soˆ oÙ fa…netai;
11
œpeita – éj ge prÕj sþ e„rÁsqai t¢lhqÁ, †na moi crÒnoj ™ggšnhtai tÍ skšyei t… lšgoi
Ð poiht»j – tršpomai prÕj tÕn PrÒdikon.
12
Cfr. in proposito Dubose 1973: «Perhaps Plato parodies Socrates as well? Socra-
tes’ literary criticism (342-347) is rather preposterous than illuminating; he is caught by
Protagoras in a false conversion (350); and he pouts when the argument does not go his
way (334c-338). This last point seems an especially clear sign that Socrates was not in
serious pursuit of a philosophical inquiry […]. He threatened to cut short his conversa-
tion with Protagoras, on the plea that he had to keep an appointment (335c); at last he
left with the same excuse (362). Plato makes a point of telling us, however, that no
pressing business called Socrates away. In the exchange of pleasantries with which the
Protagoras begins, Socrates has ‘just come’ (310) from his set-to with the sophists. His
friend begs him for an account of the proceedings, provided that Socrates has no other
engagement. Making no reference now to his obligations, Socrates promptly settles
down to talk» (pp. 14-15).
13
Cfr. per esempio Taylor 19912, p. 148.
14
Wilamowitz 1919, p. 147.
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102 IL «PROTAGORA» E L’ERISTICA

vendicarne la plausibilità. Sostanzialmente scevra da fallacie viene consi-


derata l’ultima parte del dialogo, in cui Socrate, sulla base di una pre-
messa edonistica che i sofisti accolgono al termine di una lunga ed elabo-
rata argomentazione, afferma la celebre tesi che nessuno commette il
male volontariamente e mostra infine che anche il coraggio è identico
alla scienza. La conclusione, della cui serietà non si dubita, poggia dun-
que su una tesi edonistica che appare estranea al pensiero platonico.
Il quadro, come si vede, è fin troppo variegato: una parte seria del
dialogo propone un edonismo ben poco platonico, una parte scherzosa
afferma però una tesi centrale dell’etica socratica, e le argomentazioni
che conducono all’unità delle virtù, il presunto demonstrandum del dia-
logo, sono sorprendentemente fragili e inconcludenti; nessuno stupore,
perciò, che le valutazioni sul Protagora siano divergenti, giacché il dialo-
go può essere considerato del tutto serio o del tutto scherzoso, oppure
– ed è questa la scelta operata dalla quasi totalità dei critici – si adottano
posizioni intermedie, e si usa distinguere fra parti filosoficamente impe-
gnate e altre giocose o letterarie. Ma è davvero plausibile una soluzione
del genere?

2. CRITERI PER UN’ANALISI DELLE ARGOMENTAZIONI

Una risposta a questo interrogativo richiede un’analisi per quanto possi-


bile minuziosa delle argomentazioni socratiche. Indagini di questa natu-
ra non sono rare nella letteratura secondaria: diversi studiosi – soprattut-
to anglosassoni influenzati dalla filosofia analitica – hanno dedicato al
Protagora contributi dettagliati, che ne esaminano passo dopo passo le
argomentazioni 15.
L’approccio analitico pone in genere l’arduo problema di stabilire se
gli argomenti dei dialoghi siano validi (sound) oppure no. La prospettiva
di questi studi è tendenzialmente antistorica e finalistica: le argomenta-
zioni sono valutate sulla base di criteri elaborati dalla logica contempo-
ranea, che viene considerata come una disciplina più avanzata di quanto
non fosse la logica antica 16. Questa operazione poggia su presupposti

15
Fra l’altro, fino a pochissimo tempo fa l’unico commento in commercio proveni-
va da questa area di studi (Taylor 19912). I libri di Goldberg 1982 e di Coby 1988, che
pure recano la parola «commentary» nel titolo, sono in realtà delle lunghe parafrasi i-
spirate al metodo di Leo Strauss. È oggi disponibile Manuwald 1999.
16
Illuminanti, in proposito, le parole di Bochénski 1971: «The reading of his dia-
logues [scil. Plato’s] is almost intolerable to a logician, so many elementary blunders
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CRITERI PER UN’ANALISI DELLE ARGOMENTAZIONI 103

che rimangono generalmente impliciti: Socrate è il portavoce di Plato-


ne 17, e l’intento di Platone è quello di produrre argomenti logicamente
validi 18. In quest’ottica, i suoi dialoghi, seppure imperfetti, non appaio-
no fondamentalmente diversi da un trattato filosofico: compito dell’ese-
geta è dunque valutare la cogenza delle argomentazioni socratiche, non
prima di avere ‘tradotto’ i dialoghi – gravati da una forma espressiva
inadeguata – nel linguaggio della logica contemporanea 19, spesso attra-
verso un condiscendente impiego del principio di carità (un metodo
che Socrate stesso, nel Protagora, sembra sconsigliare) 20. Su questo ap-
proccio ai dialoghi, grande influenza ha esercitato una sorta di santifi-
cazione della figura di Socrate, caratteristica del mondo anglosassone
(e la cui origine rimonta all’epoca vittoriana) 21; molti studiosi non
prendono neppure in considerazione la possibilità che il personaggio
Socrate possa mentire consapevolmente 22. Di conseguenza, le fallacie

are contained in them […] correct logic we find none in his work; he was, however, a
thinker who during his whole life was searching for logic» (p. 17).
17
Si tratta della cosiddetta mouth-piece theory, su cui cfr. da ultimo Wolfsdorf 1999.
18
Cfr. per esempio Taylor 19912, p. XVII dell’introduzione, secondo il quale uno de-
gli obiettivi di Platone, nello scrivere il Protagora (e anche gli altri dialoghi evidentemen-
te), è quello di «provide examples of good and bad arguments and types of arguments».
19
Attraverso questa pratica esegetica, nota D. Clay (1975a) a proposito di un libro
di G. Vlastos, «one ascends into a world in which ‘Socrates’ becomes x, the predication
‘just’ F, and the form ‘Justice’ G», perché «Plato was not aware of the clarities of this
world, for he was unaware of his own ambiguities […] with what sense of gratitude
Plato would have greeted the ‘third parties’ who are keen to spot his fallacies and clari-
fy his ambiguities, I do not know. It is certain that there is little in Plato’s language […]
that would serve as a basis for the novel dialect he would have to master. But he could
have quickly learned the meaning of the verbs: ambiguate, disambiguate; the nouns:
disambiguation, one- and two-place predicates, modal and intensional operators, sub-
stituability; the adjectives: syncategorematic, dystelelolgical, aliorelative, disconfirmable»
(ivi, p. 117).
20
Platone, nel corso dell’esegesi letteraria di Simonide, mette in bocca a Protagora
un limpido quanto ironico esempio di interpretazione ‘caritatevole’ (cfr. Pappas 1989):
il sofista, per confutare l’interpretazione di Socrate, dice che «sarebbe davvero grande
l’ignoranza del poeta […] se dicesse che possedere la virtù è cosa da poco» (340e). Per
la valutazione dei paralogismi socratici, condivido in generale l’impostazione di Klosko
1983: «The most important limitation is that the commentator cannot introduce mate-
rial into some proof that takes him beyond the point of view of Socrates’ interlocutor».
Cfr. anche Guthrie 1965, IV, p. 224.
21
Cfr. Jenkyns 1980 e Turner 1981. Questi due libri mostrano come il mondo degli
studi classici di area anglosassone fosse dominato (ed è un’eredità che pesa tuttora) da
un «desire to provide in classical Greek culture either a reinforcement for Christianity
or, in an age of declining faith, a substitute for it» (Havelock 1983, p. 153). Di qui, il
martirio e la santificazione di Socrate.
22
Un simile approccio, quando è applicato a un’opera densa e complessa come il
Protagora, produce un vespaio di discussioni. Di fronte al paradosso che la più impor-
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104 IL «PROTAGORA» E L’ERISTICA

dei suoi argomenti vengono ricondotte senz’altro all’ingenuità logica di


Platone 23.
Pur con questi limiti 24, l’approccio analitico si rivela prezioso non
soltanto perché contribuisce a mettere a fuoco con la necessaria precisio-
ne i dettagli delle argomentazioni socratiche, ma anche perché consente,
attraverso un confronto con gli altri dialoghi, di misurare la specificità
del dialogo. Il risultato pressoché unanime è questo: nel Protagora la pre-
sunta naïveté logica di Platone appare senz’altro maggiore che negli altri
dialoghi. La frequenza di argomenti invalidi è un dato di cui tener conto,
perché potrebbe essere l’indizio di una precisa intenzionalità di Plato-
ne 25. Si può cioè ipotizzare che taluni grossolani errori logici potessero
in qualche misura contribuire a rendere sospette certe argomentazioni
anche agli occhi di Platone e dei suoi lettori, nonostante il disinteresse
del filosofo ateniese per la logica formale 26.
Naturalmente, il verdetto degli studiosi contemporanei, per le ragio-
ni cui ho accennato, non dovrà essere assunto come elemento dirimente,
ma può tuttavia contare come un’indicazione relativa, un criterio – se
così si può dire – statistico. Il giudizio dei moderni deve essere affianca-
to da altri criteri.

tante dottrina socratica, l’unità delle virtù, è difesa con argomentazioni speciose, può
allora succedere che «una semplice domanda rivolta a Protagora come ‘la giustizia è
qualcosa (pr©gma ti) o no?’ [Prot. 330c] scateni una intera valanga di articoli sulla reifi-
cazione e la predicazione paolina» (Brumbaugh 1989, p. 240). Specificamente contro
questo tipo di interpretazioni è rivolta una recente monografia sul Protagora (Seeck
1997). Si noti fra l’altro che questo tipo di domanda si trova già, ben prima di Platone,
nella commedia di Epicarmo («r’ œstin aÜlhs…j ti pr©gma; … oÙkîn doke‹ oÛtwj œcein
… kaˆ perˆ tçgaqoà; tÒ ga ¢gaqÒn ti pr©gm’ e!men kaq’ aáq’, fr. 170 Kaibel). Ora Epicar-
mo era un autore conosciuto e forse apprezzato da Platone (Tht. 152e), e leggendolo
qualche volta «sembra di ascoltare un dialogo di Platone» (Lesky 1957-1958, trad. it.
19652; per una tavola di confronti fra Epicarmo e Platone, vd. McDonald 1931, p. 120
ss.). Tuttavia nessuno, credo, si sognerebbe di attribuire a Epicarmo reificazioni e pre-
dicazioni di tipo paolino.
23
Le difficoltà di vedere nel Socrate del Protagora la maschera di Platone sono sot-
tolineate per esempio da Melling 1987, trad. it. 1994, nel capitolo dedicato al Protagora
(vd. in part. pp. 48-49).
24
Limiti che, ovviamente, sono tali solo nella misura in cui la mia ricerca si muove
in una diversa prospettiva.
25
«Die Analysen der Beweisgänge im einzelnen machen es wahrscheinlich, dass es
sich zumindest bei der Mehrzahl der Fehlschlüsse um bewusste Fehlschlüsse handelt»
(Manuwald 1999, p. 75).
26
È interessante l’interpretazione di Manuwald 1999. Egli ammette il carattere eri-
stico di molte argomentazioni del Protagora, un carattere legato alla volontà di mettere
alla prova l’interlocutore: «Der Sinn des falschen liegt darin, dass der Gesprächspart-
ner geprüft werden soll, ob in der Lage ist, seine Ansicht gegen andere Positionen zu
verteidigen» (p. 75).
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CRITERI PER UN’ANALISI DELLE ARGOMENTAZIONI 105

Anzitutto, si può ricorrere al giudizio degli altri personaggi del Pro-


tagora, per accertare se essi non abbiano qualche sospetto che le argo-
mentazioni di Socrate siano fallaci o ingannevoli. In secondo luogo si
possono esaminare le argomentazioni socratiche alla luce della logica ari-
stotelica e delle regole della dialettica enunciate nei Topici e nelle Confu-
tazioni Sofistiche, nell’ipotesi – verosimile sebbene mai verificabile – che
lo Stagirita abbia elaborato ed espresso taluni presupposti impliciti già
in Platone; in qualche caso, inoltre, si può ricostruire il giudizio di Ari-
stotele, ottimo conoscitore del Protagora, riguardo ad alcuni dei proble-
mi affrontati nel dialogo. In terzo luogo, si può osservare che molti degli
errori logici ravvisabili nelle argomentazioni di Socrate sono denunciati
come tali in altri dialoghi: queste fallacie sono dunque probabilmente in-
tenzionali; occorre anche tenere conto dei passi platonici in cui si accen-
na alla differenza fra dialettica ed eristica. Infine, alcuni di questi errori,
in altri dialoghi, sono messi in bocca ai sofisti, con un presumibile inten-
to dispregiativo 27.
Sulla base di numerose indicazioni rintracciabili nei dialoghi, appare
indubbio che Platone riconosceva un uso ‘corretto’ della dialettica e un
uso ‘scorretto’, che meritava il nome di eristica o antilogica 28. La corret-
tezza delle argomentazioni socratiche nel Protagora può dunque essere
misurata secondo alcuni criteri, che ora ricapitolo:
a il giudizio degli interlocutori del Protagora;
b le indicazioni tratte da altri dialoghi;
g gli argomenti messi in bocca, nei dialoghi, ai sofisti;
d il giudizio di Aristotele e le regole della logica e della dialettica aristo-
teliche;
e il giudizio dei moderni.
Presi singolarmente questi criteri, da quello più interno che ho elen-
cato per primo fino all’ultimo e più esterno, non possono in alcun modo
dirimere la questione, e forniscono piuttosto indicazioni di massima. So-
lo una chiara convergenza di questi indicatori permetterà di misurare la

27
L’esempio più immediato è costituito dall’Eutidemo. Si deve peraltro notare che
anche questo dialogo non si cura di mostrare in che cosa consista, precisamente, il pa-
ralogismo degli argomenti (cfr. Mignucci 1992, p. 47 ss.), il che conferma il sostanziale
disinteresse platonico – presumibilmente legato alle motivazioni filosofiche che ho ri-
cordato nella Premessa – per la logica formale.
28
Vd. infra, V.1 e 2. Non è facile determinarne con precisione i confini fra eristica
e dialettica, ma è certo che la distinzione implica anche un giudizio morale, e che essa
consiste in un groviglio forse inestricabile di istanze etiche, epistemologiche e solo in
ultima battuta logiche. Per questo ho impiegato gli aggettivi – un po’ goffi – «corretto»
e «scorretto», perché, nella loro genericità, possono forse esprimere questa mescolanza
di motivi.
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106 IL «PROTAGORA» E L’ERISTICA

correttezza delle argomentazioni socratiche, e di valutare di conseguenza


l’opportunità di distinguere fra parti serie e scherzose del dialogo.

3. QUALI ARGOMENTAZIONI?

Il confronto fra Socrate e Protagora ha un andamento tortuoso, che pro-


vo qui di seguito a riassumere:
Dopo il ‘grande discorso’ di Protagora, Socrate si dichiara soddisfatto
della dimostrazione offerta dal sofista riguardo all’insegnabilità della
virtù. A Socrate rimane tuttavia un «piccolo» dubbio: la virtù è una o
molteplice? Da questo momento in avanti Socrate cercherà di mostrare
che la virtù è una sola, e che i nomi diversi comunemente impiegati (giu-
stizia, coraggio, santità, saggezza e sapienza) designano in effetti un’u-
nica realtà. Le argomentazioni di Socrate sono dialettiche, nel senso
che egli cerca di confutare la tesi opposta sostenuta da Protagora; gra-
zie al vaglio dell’elenchos socratico, sono così ‘dimostrate’ volta per
volta le tesi che le coppie di termini giustizia e santità, saggezza e sa-
pienza, saggezza e giustizia, sapienza e coraggio indicano non due, ma
una sola realtà. Per la proprietà transitiva, questa serie di confutazioni
conduce perciò ad ammettere la tesi dell’unità delle virtù. L’andamen-
to del dialogo, peraltro, è molto complicato. Anzitutto, nel caso della
coppia formata da giustizia e santità, la confutazione non viene piena-
mente riconosciuta da Protagora, mentre addirittura, in quello di giu-
stizia e saggezza, l’argomentazione di Socrate viene interrotta quasi su-
bito per non essere più ripresa. Dopo questa interruzione, diverse pa-
gine del dialogo sono occupate da una discussione metodologica sulle
regole del confronto dialettico, al cui termine è Protagora ad assumere
il ruolo dell’interrogante. Egli mette alla prova Socrate riguardo a un
carme di Simonide; si accende così una lunga disputa esegetica che ap-
pare estranea alla dimostrazione dell’unità delle virtù. Quando Socrate
riprende a interrogare, Protagora ammette la sostanziale unità di sag-
gezza, santità, giustizia e sapienza, ma afferma che la virtù del coraggio
è del tutto diversa. Un primo tentativo di mostrare l’unità di coraggio e
sapienza, però, fallisce. A questo punto Socrate cambia subitamente li-
nea argomentativa, e cerca di indurre il sofista ad ammettere l’unità di
bene e piacere, ma senza riuscirvi. Socrate si impegna allora in una lun-
ga argomentazione, diretta a un interlocutore fittizio, (i «molti»), volta
a mostrare che per la massa degli uomini non vi è distinzione fra bene e
piacere, perché il bene altro non è se non un piacere a lungo termine, e
occorre una tecnica di misurazione capace di massimizzare il piacere
soppesando il contenuto relativo di piaceri e dolori in ogni possibile a-
zione umana. I presenti, e in particolare Prodico e Ippia, approvano
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QUALI ARGOMENTAZIONI? 107

l’argomentazione socratica, e accolgono a loro volta la tesi dell’identità


di bene e piacere, che comporta – con un’ulteriore argomentazione – il
principio socratico secondo cui nessuno compie volontariamente il ma-
le. Sulla base di quest’ultima premessa, Socrate riprende a interrogare
Protagora intorno al rapporto fra coraggio e sapienza, riuscendo infine
a mostrare che si tratta in effetti di una sola virtù; a questo punto Pro-
tagora si dichiara sconfitto.

La ‘dimostrazione’ dell’unità delle virtù appare dunque viziata anzitutto


dal fatto che la reductio ad unum di giustizia e saggezza non viene mai
portata a termine, e la confutazione relativa a santità e giustizia non viene
pienamente riconosciuta da Protagora. Si possono isolare cinque confu-
tazioni socratiche – o perlomeno tentativi di confutazione – cui Protagora
è sottoposto, relativamente alle seguenti coppie di termini: santità e giu-
stizia, saggezza e sapienza, bene e piacere, coraggio e sapienza (2 volte) 29.
Un esame delle argomentazioni del dialogo non può che avere un ta-
glio analitico e poco discorsivo; ho preferito perciò presentare questa a-
nalisi in appendice, in modo da offrire qui, in sintesi, soltanto i risultati
dell’indagine 30. Indicazioni interessanti sulla correttezza dialettica di So-
crate possono però essere ricavate anche dalle sezioni di testo – contenu-
tisticamente eterogenee – frammiste alle confutazioni: la discussione e-
segetica, la lunga rhesis con cui Socrate espone la sua interpretazione del
carme simonideo, e infine la discussione con il personaggio fittizio dei
«molti» riguardo all’identità di bene e piacere. Le Appendici contengo-
no perciò anche una serie di osservazioni relative a queste sezioni del
dialogo, che saranno però esaminate più sommariamente e raggruppate
secondo i criteri di correttezza esposti sopra. La parte in questione del
Protagora sarà studiata – qui e nelle Appendici – in base ai criteri esposti
sopra (a b g d e), secondo il seguente schema:
1 Santità e giustizia (331a6-332a1).
2 Sapienza e saggezza (332a2-333b6).
3 L’interpretazione socratica dell’Encomio a Scopas (338e6 ss.).
4 Coraggio e sapienza (I) (349e1-350d5).
5 Bene e piacere (351b3-351c7).
6 La confutazione dei «molti» (edonismo) (352a1 ss.).
7 Coraggio e sapienza (II) (359c5-360d6).

29
Non aggiungo all’elenco la confutazione relativa a saggezza e giustizia perché
l’argomentazione è appena abbozzata e viene subito interrotta. Su questo abbozzo, cfr.
comunque le osservazioni di Eisenstadt 1981.
30
Vd. Appendici.
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108 IL «PROTAGORA» E L’ERISTICA

4. I RISULTATI DELL’ANALISI

1 Santità e giustizia (331a6-332a1)


2 Sapienza e saggezza (332a2-333b6) 31

e+d
Socrate incorre, in entrambe le confutazioni, in quella che, da Aristote-
le in poi, si definisce come confusione fra termini contrari e contraddit-
tori (331a-b; 332a-b).

g
Una confusione fra termini contrari e contraddittori è operata dal sofi-
sta Eutidemo nel dialogo omonimo (Euthd. 276b).

b
La confusione fra termini contrari e contraddittori, sebbene mai teoriz-
zata come tale nei dialoghi, appare chiaramente deprecata nel Simposio
(201e-202a). In termini platonici, l’argomentazione di Socrate richiama
da vicino una tecnica sofistica ricordata nel Fedro, che consiste nell’in-
gannare l’avversario attraverso progressivi slittamenti di significato
(Phdr. 261e-262a). L’argomento dei contrari utilizzato da Socrate nella
seconda confutazione (saggezza e sapienza hanno un solo contrario e
sono perciò identiche) è smentito dal fatto che in altri dialoghi, e perfi-
no nel medesimo Protagora, la questione dei termini sof…a, ¢frosÚnh e
swfrosÚnh e dei loro contrari è affrontata in una luce del tutto diversa,
ed è ammessa una pluralità di termini contrari (p.e. Lach. 192c-d; Prot.
360d). Socrate, insomma, persegue una forma di confutazione legata
alle parole (Ônoma) e non alla sostanza (e‡dh): ebbene, questa – secondo
le indicazioni di altri dialoghi – è precisamente la marca della tecnica
eristica, in contrapposizione con la dialettica (Resp. 454a).

a
Protagora, prevedibilmente, non è affatto convinto dagli argomenti so-
cratici e nella prima sezione non si perviene in effetti ad alcun accordo
dialettico, di modo che la confutazione non ha veramente luogo (331b-c).
Anche a seguito della seconda confutazione Protagora, ben presto, pro-
testerà vivacemente contro il metodo confutatorio di Socrate (331d ss.).

Questa parte del confronto dialettico ha attirato l’attenzione degli stu-


diosi in parte per la dubbia validità delle argomentazioni, ma soprattutto
perché nella prima sezione (giustizia e santità), Socrate introduce una se-

31
Per l’analisi in dettaglio di queste due argomentazioni, vd. Appendici, 1 e 2.
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I RISULTATI DELL’ANALISI 109

rie di predicazioni (la giustizia è santa, la giustizia è giusta …) il cui si-


gnificato non appare perspicuo: si tratta di predicazioni ordinarie o di
predicazioni cosiddette paoline 32? Che cosa pensare di una forma di au-
topredicazione come «la giustizia è giusta»? Interrogativi come questi
sollevano questioni complesse, ad esempio il rapporto del Protagora con
la teoria delle idee (quest’ultima era stata elaborata o meno all’epoca del-
la composizione del dialogo?). Queste speculazioni, naturalmente, pre-
suppongono l’assoluta serietà dell’argomentazione socratica, che sarebbe
espressione diretta del pensiero di Platone. Tale presupposto è peraltro
condiviso anche da quegli studiosi che hanno revocato in dubbio oppure
– più spesso – senz’altro negato la validità dell’argomentazione socratica.
Pochissimi, infine, ammettono che l’argomentare di Socrate sia voluta-
mente scorretto. Su questa linea, ho creduto di ampliare le testimonian-
ze ricavabili da Platone e da Aristotele: l’ipotesi che vi siano argomenta-
zioni volutamente fallaci appare del tutto plausibile.

3 L’interpretazione socratica dell’«Encomio a Scopas» 33


e
Gli interpreti moderni sono pressoché unanimi nel ritenere l’interpre-
tazione socratica del carme di Simonide aberrante e volutamente para-
dossale.

d
Una citazione nell’Etica Nicomachea dell’Encomio a Scopas suggerisce
che Aristotele dissente dall’interpretazione di Socrate, o meglio la i-
gnora, presumibilmente perché non la prende sul serio (Aristot. Eth.
Nic. 1100b20).

g
Per controbattere le argomentazioni di Protagora, Socrate si avvale
della sinonimica di Prodico (341a ss.). In un secondo momento Socrate
ricorre a un approccio esegetico che, sulla base di diversi indizi desu-
mibili dai dialoghi, si può attribuire a Ippia (342c ss., cfr. la lode e-
spressa da Ippia in 347a-b e Hipp. Min. 369b-c).

b
La pratica dell’esegesi poetica appare estranea alla filosofia, perché la
poesia è enigmatica e dunque passibile di qualunque arbitrio interpre-

32
G. Vlastos ha imposto questo problema all’attenzione degli studiosi di Platone
(vd. in part. Vlastos 1981).
33
Per l’analisi in dettaglio di questa sezione, vd. Appendici, 3.
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110 IL «PROTAGORA» E L’ERISTICA

tativo (cfr. p.e. Alc. II 147b; Resp. 332b). L’impiego di tecniche erme-
neutiche prese a prestito da Prodico e Ippia consente a Socrate di otte-
nere dai due sofisti l’approvazione della propria esegesi (vd. 340d;
341c; 347a-b). Proprio questa approvazione assicura a Socrate la vitto-
ria nel contraddittorio; egli sollecita esplicitamente il giudizio dei pre-
senti (338e; 341a-c; 343c), infrangendo così una regola basilare del me-
todo socratico: il prevalere di un’opinione non deve poggiare sul con-
senso del pubblico, ma sulla homologia dell’interlocutore (Gorg. 471e ss.;
Resp. 348a-b) 34.

a
Socrate stesso propone interpretazioni del carme palesemente contrad-
dittorie, ed esprime, al termine della propria esegesi, un giudizio nega-
tivo sulla pratica di interpretare i poeti (347b ss.). Protagora confuta il
ricorso di Socrate alla sinonimica di Prodico (341d), e in generale non
esprime mai il proprio assenso nei confronti dell’interpretazione socra-
tica.

La discussione relativa all’esegesi del carme simonideo viene spesso tra-


scurata dalla critica, che tende a vedervi una sorta di interludio satirico,
nel quale Socrate cerca con ogni mezzo – lecito e soprattutto illecito – di
superare i sofisti sul loro stesso terreno. Peraltro il brano ha senza dub-
bio un notevole interesse, perché costituisce il primo esempio completo
di esegesi nel mondo antico, e perché – come si può mostrare – le ca-
priole ermeneutiche di Socrate non sono casuali né del tutto arbitrarie,
ma riflettono «procedimenti esegetici in parte già attestati al tempo di
Platone e continuati successivamente, in parte assimilabili a criteri codi-
ficati in età di poco posteriori» 35. Tuttavia, l’atteggiamento critico di So-
crate non lascia dubbi sulla pretestuosità delle sue prodezze esegetiche.
La novità principale di questa analisi consiste però nel riconoscere che
Socrate ricorre a tecniche esegetiche improntate ai metodi di Prodico e
Ippia, i due sofisti rivali di Protagora, in modo da ottenere da loro un
consenso che si rivela risolutivo nel contraddittorio che oppone Socra-
te a Protagora. Socrate cade dunque in una forma di adulazione retori-
ca, che contraddice palesemente i principi della dialettica socratico-
platonica.

34
Per questa regola dell’elenchos socratico, vd. infra, V.5.
35
Giuliano 1992, pp. 174-175.
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I RISULTATI DELL’ANALISI 111

4 Coraggio e sapienza 36

e+d
Socrate confonde un rapporto di implicazione (i coraggiosi sono arditi)
con un bicondizionale (i coraggiosi sono arditi e viceversa) (350c). Sal-
vo rare eccezioni, i moderni concordano nel ritenere l’argomentazione
socratica vistosamente paralogica.

b
Nell’Eutifrone (12a ss.), Socrate offre una chiara analisi dell’errore com-
messo in questo brano. Egli cerca di mostrare che il coraggio poggia su
competenze tecniche come quella del tuffatore o del cavaliere, ma que-
sti esempi, nel Lachete (193b-c), sono impiegati proprio per argomen-
tare la tesi opposta.

a
Protagora confuta il tentativo di Socrate di mostrare l’identità di corag-
gio e sapienza, senza che questi possa replicare alcunché (350c ss.). È
una circostanza del tutto eccezionale nei dialoghi.

5 Bene e piacere 37

Questa argomentazione, sebbene presa generalmente per buona dalla


critica moderna, ha la stessa struttura della prima argomentazione (santi-
tà e giustizia). Per quanto riguarda la reazione dei personaggi del dialogo
(a), si può osservare che Protagora, prevedibilmente, non è affatto con-
vinto dagli argomenti socratici (cfr. 351e). Non si perviene in effetti al-
l’accordo dialettico.

6 La confutazione dei «molti» (edonismo) 38

e
La discussione intorno al brano in cui viene esposta la tesi dell’identità
di bene e piacere è accesa e apertissima, perché è difficile stabilire se
Socrate sia vincolato a questa posizione oppure si tratti di un argomen-
tum ad hominem che Socrate finge astutamente di condividere.

36
Per l’analisi in dettaglio di quest’argomentazione, vd. Appendici, 4.
37
Per l’analisi in dettaglio di quest’argomentazione, vd. Appendici, 5.
38
Per l’analisi in dettaglio di quest’argomentazione, vd. Appendici, 6.
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112 IL «PROTAGORA» E L’ERISTICA

d
Aristotele, nell’Etica Nicomachea, discute la tesi socratica dell’involon-
tarietà del male con chiari riferimenti a questo brano (in part. 1145b23-
24). Ma la premessa edonistica su cui si basa la conclusione di Socrate
è ignorata dal filosofo, presumibilmente perché egli sapeva che Platone
non accolse mai l’identità di bene e piacere.

g
La tesi dell’identità di bene e piacere è attribuita esplicitamente a Calli-
cle nel Gorgia (491e ss.). Alcuni indizi nel Protagora lasciano credere
che tale posizione sia implicitamente da attribuire anche ai sofisti riuni-
ti in casa di Callia.

b
La tesi dell’identità di bene e piacere è ripetutamente criticata nei dia-
loghi (cfr. p.e. Resp. 509a; Gorg. 492e ss.; Phdo. 64d e passim).

a
Il riconoscimento, da parte di tutti i presenti, che vi sia un unico bene
cui l’uomo tende (il piacere) è ambiguo, perché contraddice l’assenso
che essi avevano espresso, in precedenza, per la tesi protagorea della
relatività del bene (cfr. 334a ss. con 358c-d).

7 Coraggio e sapienza (II) 39

e
Alcuni studiosi hanno osservato che, mentre nel brano edonistico il
bene e il bello sono funzione del piacere (una cosa è bella e buona nella
misura in cui è piacevole, cfr. in part. 358a-b), in questa argomentazio-
ne conclusiva Socrate, per confutare Protagora, rovescia tale rapporto:
ora è il piacere funzione del bello (una cosa è piacevole nella misura in
cui è bella, cfr. 359e-360a).

d
Aristotele, negli Elenchi Sofistici (172b36-173a30), descrive la forma di
argomentazione impiegata da Socrate, che consiste nel rovesciamento
ora ricordato. Si tratta – dice Aristotele – di un argomento inventato e
adottato dai sofisti, che fa leva sulla tensione fra nomos (il cui criterio
per valutare la bontà di un’azione è il bello) e physis (il cui criterio è il
piacere).

39
Per l’analisi in dettaglio di quest’argomentazione, vd. Appendici, 7.
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I RISULTATI DELL’ANALISI 113

g
Platone attribuisce ai sofisti il tema del conflitto fra nomos e physis (cfr.
p.e. 337c-d).

b
Un rovesciamento di termini del tutto analogo a quello che si produce
nel Protagora è descritto e chiarito nei dettagli da Socrate nell’Eutifrone
(8b ss.).

a
Protagora si dichiara battuto, ma accusa Socrate di animosità agonisti-
ca (filonike‹n, 360e).

La parte conclusiva del dialogo è la più tormentata dalla critica, per la


presenza di una stupefacente tesi edonistica, il cui ruolo nell’economia
del dialogo non appare del tutto chiaro. Per quanto riguarda le argo-
mentazioni sviluppate da Socrate, la sezione 4 ha suscitato discussioni
soprattutto per la particolare gravità della fallacia commessa da Socrate,
giacché «sembra incredibile che Platone volesse rappresentare Socrate
nell’atto di argomentare in un modo così screditante dal punto di vista
morale e intellettuale, tanto da essere scoperto in maniera così umiliante
dall’avversario» 40. Se si segue la lettera – senza cioè introdurre premesse
sottintese oppure senza intervenire sul testo – l’inconsistenza dell’argo-
mentazione socratica appare palese, e del resto Protagora ha buon gioco
a trovare obiezioni cui Socrate non è in grado di replicare. Questa situa-
zione – Socrate confutato dall’avversario in maniera palese – costituisce
un caso del tutto particolare nei dialoghi. Nella sezione 5 gli studiosi han-
no cercato soprattutto prove per affermare che Socrate è o non è vinco-
lato alla tesi edonistica. In realtà un’analisi attenta mostra che l’argomen-
tazione con cui Socrate cerca di affermare l’identità di bene e piacere ha
la stessa struttura di quella relativa al rapporto fra giustizia e santità: le
conclusioni che se ne possono trarre sono le medesime. La sezione 6,
particolarmente complessa, è tradizionalmente considerata la più rile-
vante dal punto di vista filosofico; molti problemi, fra l’altro, sono tutto-
ra oggetto di discussione 41. Anche in questa sezione, naturalmente, si

40
Taylor 19912, p. 158.
41
Fra i quali si possono ricordare: 1) Quale nesso sussiste fra la sezione 4 e le sezio-
ni 5 e 6? L’improvviso mutamento di linea argomentativa ha fatto addirittura sospetta-
re che il testo a noi pervenuto sia il risultato di un rimaneggiamento imperfetto. 2) La
validità di un approccio quantitativo al problema del piacere. L’analogia proposta da
Socrate fra la misurazione delle grandezze e quella dei piaceri e dei dolori ha sollevato
molte discussioni. 3) Il senso preciso della tesi che il piacere è (il) bene. 4) La precisa
valenza della tesi dell’involontarietà del male: in un primo tempo Socrate enuncia la tesi
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114 IL «PROTAGORA» E L’ERISTICA

pone il problema di un presunto edonismo socratico-platonico. Tuttavia,


secondo i criteri di indagine adottati, l’ipotesi di una manovra poggiante
su una tesi edonistica non condivisa da Socrate appare del tutto verosi-
mile (non sarà un caso se proprio nel Protagora Socrate tiene a sottolineare
il fatto che egli pone le domande, ma non è vincolato alle risposte: vd.
330e-331a). Nella sezione 7 infine, sulle cui argomentazioni gli studiosi
non sollevano dubbi, Socrate si avvale in realtà di una confusione di pia-
ni chiarita nell’Eutifrone e descritta come manovra tipicamente sofistica
da Aristotele.
La strettissima affinità fra la struttura argomentativa della sezione 5
e quella della sezione 1 denuncia la sostanziale continuità del dialogo, a
dispetto di quanti considerano più seria la parte conclusiva. Inoltre an-
che la confutazione conclusiva di Protagora, la sezione 7, non è scevra
da quei dubbi che gravano sulle parti precedenti del dialogo. Nel com-
plesso, questa parte del dialogo appare più complessa e articolata delle
precedenti nella misura in cui Protagora si dimostra difficile da confuta-
re; la lunga sezione 6, in cui è sviluppata la tesi edonistica, si origina dal
fallimento di un tipo di argomentazione (sez. 5) che in precedenza aveva
avuto un chiaro successo (sez. 1).

5. IL «PROTAGORA» COME AGONE DI DISCORSI

In base ai criteri adottati, il comportamento dialettico di Socrate appare


sostanzialmente omogeneo; si può dunque scartare l’ipotesi che il dialo-
go vada suddiviso in parti serie e scherzose. Si deve inoltre concludere
che Platone abbia volutamente rappresentato un Socrate eristico, impe-
gnato in una competizione o «agone di discorsi», come dice Protagora.
Ma che cos’è un agone di discorsi?
Gli accenni del Protagora inducono a postulare l’esistenza di una
pratica eristica codificata, che prevedeva agoni formali di discorsi fra
due contendenti. Occorrerà però chiedersi anzitutto se vi sono altre te-
stimonianze dell’esistenza di tale pratica; in secondo luogo se si possono
rintracciare nel dialogo indizi sufficienti a concludere che il dialogo rap-
presenta proprio uno di questi agoni.

che è impossibile agire male quando si conosce il bene, mentre in un secondo momento
afferma che non è nella natura umana compiere ciò che si sa o si ritiene cattivo. 5) L’e-
donismo proposto da Socrate ha un carattere normativo o descrive una necessità psico-
logica universale?
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IL «PROTAGORA» COME AGONE DI DISCORSI 115

Per quanto riguarda il primo problema, si deve anzitutto osservare


che una caratteristica della società ateniese era proprio la tendenza a or-
ganizzare competizioni pubbliche di qualunque specie: presso gli Ate-
niesi – dice Isocrate nel Panegirico – è possibile «assistere ad agoni non
solo di velocità e di forza fisica, ma anche di discorsi (¢gînaj … lÒgwn),
di intelletto e di tutto il resto» (45) 42. A parte ciò, possibili allusioni ad
una pratica agonistica basata sullo scontro dialettico si trovano in autori
pre-platonici come Gorgia e Ippocrate 43, e numerosi passi platonici, fin
dai primi dialoghi, lasciano intendere l’esistenza di un’arte eristica che,
proprio in quanto arte (tšcnh), doveva avere necessariamente una serie
di regole almeno parzialmente codificate 44. Di particolare interesse, in
questo senso, è un luogo del Sofista, nel quale è esplicitamente ricono-
sciuta l’esistenza di una pratica eristica consistente in un dibattito «fatto
a regola d’arte» (œntecnon, 225c) che si sviluppa «in privato e frequente-
mente interrotto da domande e risposte» (225b). È questa l’antilogica.
Quando poi l’antilogica, nel corso di «dispute fra privati» („diwtikaˆ
œridej), procaccia guadagno a quanti la professano, essa non è altro che
l’eristica, il sapere del sofista (225e-226a). Del tutto simile è la testimo-
nianza di Isocrate, secondo il quale i sofisti offrono dimostrazioni «nei
grandi raduni e nei ritrovi privati („d…oij sullÒgoij), combattendosi reci-
procamente, facendo promesse esorbitanti e disputando (diagwnizomš-
nouj … ™r…zontaj)» (Antid. 147).
Il dibattito fra Socrate e il ricco Protagora si svolge in una casa pri-
vata, e risponde bene alla descrizione del Sofista. In questo senso si deve
interpretare anche un luogo del Teeteto, di particolare interesse perché è
proprio un redivivo Protagora a prendere la parola:
Alla mia dottrina, se vuoi contraddire (¢mfisbhte‹n) da capo, contrad-
dici pure, opponendole un’argomentazione continuata (¢ntidiexel-
qèn); se poi ti piacesse valerti di domande, allora domanda; ché certo
questo modo non è da fuggire, ma anzi da preferire sopra ogni altro,
chi abbia senno. Bada a questo, però: non commettere ingiustizia nel-
l’interrogare […]. E si commette ingiustizia in questo modo, quando
uno non distingua nettamente, facendo le sue dispute, se disputa con
spirito agonistico (¢gwnizÒmenoj) o con animo di dialettico: ché nel pri-
mo caso ama scherzare e cerca quanto più può di cogliere in fallo l’av-
versario; mentre nell’altro ragiona con serietà […]. (167d-e)

42
Vd. anche Isocr. Antid. 295, dove Atene è gumn£sia ple‹sta kaˆ pantodapètata
paršcousan to‹j ¢gwn…zesqai proVrhmšnoij. Cfr. Poulakos 1995, p. 32 ss.
43
Cfr. Gorgia, Enc. Hel. 13 e Hipp. De Nat. Hom. 1; cfr. anche Dissoi Logoi, 8.1.
Vd. Ryle 1966a, p. 47 ss.
44
Cfr. Ryle 1966a.
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116 IL «PROTAGORA» E L’ERISTICA

Si allude qui a una sorta di gioco organizzato il cui fine era la vittoria
dialettica, un gioco che – in quanto tale – ammetteva fra le sue regole l’a-
bilità nell’ingannare l’avversario 45.
Per quanto riguarda il secondo problema, le parole di Protagora nel
Teeteto possono suggerire che l’attività agonistica fosse caratteristica del-
l’insegnamento protagoreo 46. Nella stessa direzione va la testimonianza
di Diogene Laerzio, secondo il quale Protagora «per primo […] intro-
dusse gli agoni di discorsi (lÒgwn ¢gînaj) e fu il creatore dell’eristica
che ora è diventata di moda» (9.52). La menzione, da parte di Protagora,
dell’«agone di discorsi» alluderà dunque al suo ruolo di inventore dei di-
battiti eristici 47. D’altra parte, che egli fosse un affermato maestro di eri-
stica-dialettica (ossia di un metodo almeno parzialmente formalizzato
che consiste nell’interrogare e rispondere a turno) emerge chiaramente
da certe affermazioni di Socrate, quando dichiara che «Protagora è capa-
ce, se interrogato, di rispondere in breve (kat¦ bracÚ) e, quando è lui a
interrogare, sa attendere e recepire la risposta» (329b), o dove, rivolgen-
dosi a Protagora, dice: «Tu – secondo quanto si racconta e come tu stes-
so affermi – sei capace di condurre la conversazione sia con lunghi di-
scorsi che per brevi domande e risposte (™n braculog…v), perché sei sa-
piente» (335b) 48.
Se veramente Protagora era noto come l’inventore dell’arte eristica,
il lettore del Protagora poteva dunque riconoscere immediatamente nel
dialogo di Platone la rappresentazione di un agone, ossia di un’attività
‘sportiva’, in cui il ricorso all’inganno fa parte del gioco.

6. LA STRUTTURA DELL’AGONE

Secondo l’autore dei Dissoi Logoi la medesima arte del discorso com-
prende la ‘brachilogia’ e la retorica, e su questo concordano diversi altri

45
Il Teeteto abbonda di metafore agonistiche. Cfr. in proposito Hermann 1995.
Socrate parla dell’eristica come di un gioco anche in Euthd. 278b e in Resp. 539b-c.
Nella stessa direzione Aristot. Rhet. 1371a3-8.
46
Si deve osservare che nelle parole di Protagora nel Teeteto non c’è alcun biasimo
per le dispute agonistiche.
47
Naturalmente, non si può escludere che proprio il Protagora sia la fonte ultima di
Diogene, la cui testimonianza non è dunque del tutto sicura. Sulla costituzione e sulle
possibili fonti del IX libro delle Vite dei filosofi, vd. Decleva Caizzi 1992.
48
Su questa base, si può ritenere che la ‘brachilogia’ socratica debba molto all’eri-
stica protagorea. Cfr. in proposito infra, VI.1.
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LA STRUTTURA DELL’AGONE 117

autori 49. Che si tratti di due modalità diverse della stessa arte trova inol-
tre una conferma sia nel passo citato del Teeteto, sia nel Protagora stesso,
dove Socrate attribuisce a Protagora questa duplice abilità: egli paragona
la modalità retorica alla maratona e, implicitamente, quella brachilogica
alle gare di velocità 50. Un confronto dialettico, a quanto pare, poteva
dunque prevedere momenti di brachilogia e momenti retorici. Questa
possibilità mi pare confermata dal modo in cui, nell’Ippia Minore, il sofi-
sta di Elide descrive la sua attività di agonista della parola. Ippia si pre-
senta ogni anno alle Olimpiadi pronto a svolgere qualsivoglia tema (™p…-
deixij, 363e) e a rispondere a qualunque domanda. In quest’abilità ago-
nistica (¢gwn…zesqai, 364a), egli non ha rivali. In seguito, Ippia esorta
Socrate a domandare in breve (œmbracu, 365d) quel che desidera sugli eroi
omerici. Comincia qui il primo fitto scambio brachilogico del dialogo,
che si concluderà con una vibrata protesta di Ippia:
Socrate, tu intrecci sempre ragionamenti del genere, e, distaccando
quello che in un ragionamento vi può essere di più cavilloso, ti attacchi
a questo, minuziosamente lo esamini, e mai disputi (¢gwn…zV) rispetto
all’intera questione. Anche ora, se vuoi, ti posso dimostrare (™pide…xw)
con un discorso adeguato […] che Omero ha rappresentato Achille
migliore di Odisseo. Dopo, se lo desideri, puoi opporre al mio un tuo
discorso (¢ntipar£balle lÒgon par¦ lÒgon) per dimostrare che Odis-
seo è migliore. (369b-c)

Nell’Ippia Minore sono dunque menzionate le due modalità di discorso


cui fa riferimento Protagora nel passo citato del Teeteto. Emergono con
maggiore chiarezza i tratti salienti:
– entrambe le modalità possono essere impiegate nel corso di una me-
desima discussione;
– la modalità «retorica» è una «dimostrazione» (™pide…xw; ™p…deixij), che
può essere attaccata dall’avversario con brevi domande;
– i discorsi retorici si «contrappongono».
Questi tratti, come cercherò ora di mostrare, caratterizzano il con-
fronto dialettico del Protagora.
Nel Protagora il sofista di Abdera pronuncia un lungo discorso
(320c-328d), qualificato più volte come «dimostrazione» 51 e preceduto
da una presentazione dell’arte sofistica (316c-317c), che è antica e di-

49
Vd. le testimonianze discusse in Ryle 1966a, p. 40.
50
Prot. 328e ss.; cfr. 336b-c. Inoltre, l’esistenza di queste due diverse abilità è e-
spressamente sottolineata da Aristotele negli Elenchi Sofistici (vd. 174a17-20).
51
320b8, 320c1, 320c3, 328d3 (forme di ™pide…knumi); cfr. 323c8, 324c8, 325b5
(forme di ¢pode…knumi).
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118 IL «PROTAGORA» E L’ERISTICA

scende dai poeti. Nel corso della discussione sul carme di Simonide, So-
crate, a sua volta, pronuncia un lungo discorso, anch’esso qualificato co-
me dimostrazione 52. Il discorso si può suddividere in due parti: nella
prima (342a-343c) Socrate offre una presentazione dell’arte della brachi-
logia, che è antica e discende dai savi spartani, nella seconda (343c-347a)
cerca di mostrare la coerenza del carme simonideo. Come è stato osser-
vato, il pedigree dei filosofi, in quella che ho indicato come prima parte
del discorso di Socrate, «risponde» alla presentazione protagorea dell’ar-
te sofistica 53:
Protagora: La sofistica è antica (palai£), ma gli antichi sofisti fingeva-
no di non essere tali (prÒschma poie‹sqai). Protagora invece non nega
(œxarnon e!nai) di essere un sofista. (317d ss.)
Socrate: La filosofia è antica (palaiot£th). I sofisti-filosofi negano (™x-
arnoàntai) di esserlo e si fingono (schmat…zontai) ignoranti, proprio
come quelli ricordati da Protagora. (342a ss.)

Inoltre – è stato osservato – questa prima sezione del discorso socratico,


che propone un orientamento decisamente ‘filospartano’, è «una paro-
dia» dell’argomentazione filodemocratica di Protagora nel suo discor-
so 54. La premessa filospartana del discorso di Socrate sembra rispondere
alla presentazione dell’arte sofistica, che contiene un’implicita esaltazio-
ne della parrhesia ateniese 55; in secondo luogo mi pare che essa offra una
chiave di lettura dell’esegesi socratica, qualificandola come ‘aristocratica’
in antitesi con il carattere ‘democratico’ del grande discorso di Protago-
ra. Socrate, nel corso della sua esegesi, introduce un principio che è ov-
viamente estraneo al pensiero di Simonide: per dimostrare che il poeta
voleva sostenere la difficoltà di diventare buono piuttosto che di esserlo,
egli intende questo «buono» nel senso dell’abilità propria di un sapere
specialistico, ed introduce alcuni esempi tratti dalle tecniche, appannag-
gio, come il filosofo ricorda, di pochi esperti (345a ss.). Sulla base del-

52
347b1 (™pide…knumi; Ippia, nel proporre anch’egli un discorso da «mostrare», ri-
vela di intendere l’esegesi socratica come una «dimostrazione»). Cfr. 344b1 (forma di
¢pode…knumi).
53
Cfr. Goldberg 1982: «Just as Protagoras had presented, preliminary to his dis-
course, his pedigree as a sophist, depicting the nature of his wisdom and its congruence
with that of former wise men, so Socrates presents, by way of preface, a pedigree of the
wise men (sofista…) and of philosophy (filosof…a) (342a-b)» (pp. 169-170). Vd. anche
Gaiser 1959, pp. 37, 42 ss., 132.
54
Winton 1980.
55
C’è del resto, da parte di Socrate, un esplicito riferimento al discorso di Protagora.
A proposito di Spartani e Cretesi, proprio all’inizio del lungo discorso di esegesi al carme
simonideo, Socrate dice che essi ™xarnoàntai kaˆ schmat…zontai ¢maqe‹j e!nai, †na m¾ ka-
t£dhloi ðsin Óti sof…v tîn =Ell»nwn per…eisin, ésper oÞj PrwtagÒraj œlege toÝj sofist£j.
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LA STRUTTURA DELL’AGONE 119

l’assunto che tutti i sapienti devono condividere il paradosso socratico


dell’involontarietà del male, il filosofo sostiene che certamente Simonide
la pensava nello stesso modo (345d-e). Così, con un’applicazione del
principio di autorità, Socrate si appoggia al giudizio di tutti i sapienti
(pochi: principio aristocratico) come Protagora, nel suo discorso (324a
ss.), si era appoggiato a quello di tutti gli uomini (molti: principio demo-
cratico). Tutti questi elementi, introdotti a forza nell’esegesi del carme
simonideo, richiamano per converso il mito di Protagora. Vediamo sche-
maticamente 56:
Il principio d’autorità
Protagora: La verità è insita nel giudizio di (tutti) gli uomini. (324a ss.)
Socrate: La verità è insita soltanto nel giudizio dei sapienti. (345a ss.)
Virtù e conoscenza
Protagora: Tutti sono in possesso della virtù; la virtù differisce dai sa-
peri specialistici, appannaggio di pochi, ed è invece analoga alla cono-
scenza della lingua madre, possesso comune a tutti. (323a ss.)
Socrate: Pochi sono gli uomini virtuosi; la virtù è infatti paragonabile ai
saperi specialistici, detenuti da pochi esperti. (344c ss.)
Il lungo discorso di Socrate, nel suo complesso, si pone insomma come
contraltare della «dimostrazione» di Protagora.
Il Protagora, con l’Eutidemo, è l’unico dei dialoghi giovanili in cui il
filosofo venga interrogato e confutato dall’avversario: in apertura della
discussione esegetica, Protagora ha buon gioco a porre Socrate in con-
traddizione (339b-d). Il duello fra Socrate e Protagora ha dunque tutte
le caratteristiche di un agone di discorsi: due lunghi discorsi contrappo-
sti, qualificati come «dimostrazioni», inframmezzati da brani di confuta-
zione brachilogica, in cui il ruolo dell’interrogante è ricoperto da en-
trambi gli interlocutori.
Infine, alcuni indizi riguardo al carattere agonale del Protagora pos-
sono essere ricavati proprio dall’Eutidemo. In questo dialogo i due sofisti
Eutidemo e Dionisodoro sottopongono Socrate e Critone a una confuta-
zione eristica; le schermaglie verbali poggiano chiaramente su alcune re-
gole implicite che i dialoganti sono tenuti a rispettare: ad esempio, So-
crate commette una sorta di fallo allorché, di fronte alle domande di Eu-
tidemo, rivolge a sua volta una domanda al sofista, contravvenendo così
alla regola che l’interrogato non può a sua volta interrogare 57. Nel Prota-

56
Su questa contrapposizione ‘politica’, cfr. le osservazioni in Clapp 1949-1950,
pp. 486-499.
57
Solo così, infatti, si giustifica lo sdegno di Eutidemo (295b): oÙk a„scÚnV, œfh, ð
Sèkratej; ™rwtèmenoj ¢nterwt´j;
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120 IL «PROTAGORA» E L’ERISTICA

gora è Socrate, come i due sofisti nell’Eutidemo, a «comandare la discus-


sione», espressione dal sapore tecnico per indicare il ruolo dell’interro-
gante e il suo diritto di essere il solo a porre domande 58. Un altro ele-
mento comune è la pretesa, espressa con parole quasi identiche da So-
crate e dai due sofisti, di ottenere risposte nette ed univoche 59. Tale pre-
tesa, insieme al concetto di «comandare la discussione», fa pensare a un
insieme di regole noto e codificato, non dissimile nei due dialoghi.

7. ALCUNI PROBLEMI IRRISOLTI

Il giudizio dei personaggi, l’animosità dei contendenti, il ricorso ad argo-


mentazioni scorrette, le allusioni alla pratica eristica, la struttura agonale
del confronto, le analogie con l’Eutidemo: tutti questi elementi conver-
gono nell’ipotesi che la casa di Callia ospiti un «agone di discorsi». Le
testimonianze relative all’arte eristica, e in particolare le parole di Prota-
gora nel Teeteto, rivelano la natura giocosa e sportiva dell’arte: in un
agone di discorsi il ricorso a trucchi e inganni è del tutto normale. L’ipo-
tesi agonale permette quindi di spiegare buona parte delle anomalie del
Protagora, e in particolare l’atteggiamento talora sconcertante di Socrate.
Questa conclusione, se risolve un problema, ne solleva però altri: come
si inserisce un dialogo simile nel quadro della restante produzione plato-
nica? È poi ammissibile che Platone, nonostante la sua condanna dell’e-
ristica, abbia voluto rappresentare Socrate impegnato in un agone di di-
scorsi?
Alla prima difficoltà credo si debba rispondere con l’ammettere
francamente che il Protagora, dall’indagine condotta, emerge come un
dialogo singolare 60. Non bisogna tuttavia dimenticare che, se molti dia-
loghi si possono raggruppare in classi dai tratti sufficientemente omoge-

58
Prot. 351e: PÒteron oân, Ãn d’ ™gè, sÝ boÚlei ¹gemoneÚein tÁj skšyewj, À ™gë ¹gî-
mai; D…kaioj, œfh, sÝ ¹ge‹sqai: sÝ g¦r kaˆ kat£rceij toà lÒgou Euthd. 287d: Lale‹j, œfh,
¢mel»saj ¢pokr…nasqai: ¢ll’, çgaqš, pe…qou kaˆ ¢pokr…nou, ™peid¾ kaˆ Ðmologe‹j me sofÕn
e!nai. Peistšon to…nun, Ãn d’ ™gè, kaˆ ¢n£gkh, æj œoiken: sÝ g¦r ¥rceij ¢ll’ ™rèta. Si os-
servi che simili termini tecnici non ricorrono altrove nei dialoghi.
59
Prot. 333c: – PÒteron oân prÕj ™ke…nouj tÕn lÒgon poi»somai, œfhn, À prÕj sš; – E„
boÚlei, œfh, prÕj toàton prîton tÕn lÒgon dialšcqhti tÕn tîn pollîn. – ’All’ oÙdšn moi
diafšrei, ™¦n mÒnon sÚ ge ¢pokr…nV, e‡t’ oân doke‹ soi taàta e‡te m» Euthd. 275b-c: E„-
pÒntoj oân ™moà scedÒn ti aÙt¦ taàta Ð EÙqÚdhmoj ¤ma ¢ndre…wj te kaˆ qarralšwj, ’All’
oÙdþn diafšrei, ð Sèkratej, œfh, ™¦n mÒnon ™qšlV ¢pokr…nesqai Ð nean…skoj.
60
Vorrei tuttavia sottolineare che si tratta di una differenza di grado, non di quali-
tà. Elementi agonali quando non eristici sono presenti anche altrove, come oggi da più
parti si riconosce (vd. p.e. Klosko 1987).
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ALCUNI PROBLEMI IRRISOLTI 121

nei (si pensi ai dialoghi di definizione o a quelli diairetici), ve ne sono


però altri (e in questo risiede la difficoltà di interpretarli) che fanno par-
te per se stessi. Intorno a scritti come il Timeo, l’Eutidemo, il Menesseno,
il Parmenide o il Crizia, la discussione è apertissima e riguarda non sin-
goli punti, ma il significato stesso e gli intendimenti dell’opera 61. Inoltre,
si è già visto che il Protagora per molti versi è strutturato come una com-
media, e questa singolare circostanza, da sola, contribuisce a fare del
dialogo un’opera singolare. Presumibilmente la comicità del dialogo ri-
flette la natura giocosa che caratterizza – secondo le citate parole di Pro-
tagora nel Teeteto – le competizioni verbali.
Alla seconda difficoltà si può in parte rispondere con gli argomenti
sviluppati nel capitolo precedente: Platone, nell’impossibilità di negare
le frequentazioni sofistiche di Socrate, preferì, attraverso la ripresa della
struttura comica della duplice dimora e del motivo della porta chiusa,
mostrare a contrasto il Socrate ‘vero’, buon amico e maestro, e il Socrate
‘agonistico’, condizionato da un contesto ostile e partigiano. Ma questa
risposta mi pare insufficiente: il problema potrebbe dirsi risolto solo se
fosse possibile mostrare che gli inganni perpetrati da Socrate, in una
prospettiva platonica, sono pienamente legittimi. L’immagine di un So-
crate giocatore è compatibile con la missione del filosofo platonico, i-
nesausto cercatore della verità? Sarà questo dunque l’argomento del
prossimo capitolo.

61
Si può peraltro ricordare che la singolarità del Protagora appare chiaramente an-
che dalla classificazione dei dialoghi tramandata da Diogene Laerzio insieme alla serie
dei cosiddetti secondi titoli dei dialoghi: il Protagora è l’unico fra i dialoghi a essere qua-
lificato come ™ndeiktikÒj.
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TESTATINA FITTIZIA DA ELIMINARE 123

L’ERISTICA E LA MISSIONE DEL FILOSOFO

Diversi indizi hanno permesso di riconoscere nel Protagora la messa in


scena di un agone di discorsi, ossia di un gioco eristico che, secondo la
testimonianza del Teeteto, ammetteva senza difficoltà il ricorso a trucchi
e inganni. Si comprende così il carattere spesso paralogico delle argo-
mentazioni di Socrate, la cui credibilità rischia però di sprofondare: al-
l’interprete rimane il formidabile problema di spiegare il senso di questa
immagine sofistica che Platone offre del maestro, l’uomo «migliore» e
«più giusto» di Atene 1. La maggior parte degli studiosi ammette che vi
siano nel Protagora parti serie e altre ironiche o scherzose; e così il mae-
stro eviterebbe il naufragio, a bordo di una scialuppa – l’ironia socratica –
buona forse per qualsiasi salvataggio e ormai gremita di interpreti alla ri-
cerca di un’ultima spiaggia. Tuttavia questa spiegazione non regge a
un’analisi approfondita: simili partizioni si sono rivelate arbitrarie, per-
ché i procedimenti adottati da Socrate, dal principio alla fine del duello
con Protagora, appaiono compattamente ‘eristici’.

1. SOCRATE ERISTA? IL PROBLEMA NELLA LETTERATURA CRITICA

Il problema appare dunque di ardua soluzione, a meno che non si voglia


dimostrare, attraverso il Protagora, la tesi poco verosimile che Socrate
stesso, storicamente, fu un sofista. Si capisce allora perché anche quei
rari interpreti che vedono nel Protagora una forma di competizione cer-
chino poi di eludere la difficoltà. George Klosko, in un studio significati-

1
Phdo. 118a; Ep. VII 324e.
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124 L’ERISTICA E LA MISSIONE DEL FILOSOFO

vamente intitolato Per un’interpretazione coerente del Protagora, appare


ben consapevole della scarsa plausibilità della communis opinio: la suddi-
visione del dialogo in parti serie e ironiche inficia fatalmente la coerenza
dell’esegesi. Klosko offre un’analisi delle argomentazioni socratiche che
ne illumina il carattere volutamente paralogico, e afferma però che una
interpretazione in chiave eristica del dialogo solleva «problemi spinosi»,
che egli ammette in tutta onestà di non saper risolvere 2. In secondo luo-
go, pur ammettendo che il Protagora riproduca una competizione in cui
ogni inganno è lecito, anche Klosko ritiene che la sezione del dialogo in
cui è introdotta la tesi edonistica contenga invece argomentazioni del
tutto serie 3. In questo modo, tuttavia, l’interpretazione proposta non ap-
pare in fondo più coerente delle altre: cambiano le proporzioni, ma per-
mane l’arbitrio di una partizione fra serio e faceto.
L’idea di vedere nelle conversazioni socratiche una componente eri-
stica non era peraltro nuova: è questo uno dei capisaldi del Platone di Gil-
bert Ryle 4. La sua posizione è però molto più radicale; secondo il filosofo
inglese, infatti, tutti i dialoghi giovanili di Platone sarebbero la mera re-
gistrazione di duelli dialettici storicamente combattuti 5. In gioventù, Pla-
tone sarebbe stato poco interessato ai contenuti degli agoni da cui trae le
sue composizioni 6. Soltanto a partire dalla Repubblica si potrebbe parlare
di un interesse speculativo di Platone per i problemi trattati nei dialoghi.
L’interpretazione di Ryle è forse, almeno in parte, volutamente pro-
vocatoria: lo studioso «ha gettato un sasso nelle placide acque degli studi
platonici» 7; comunque sia, è chiaro che per molti versi i dialoghi socrati-

2
«Thorny problems are raised by an interpretation of the Protagoras such as that
presented in this paper, but these we must avoid. Though it might seem necessary to
give some good reason why Plato would write a dialogue depicting an eristic debate be-
tween Socrates and Protagoras, it should be borne in mind that the question whether
Plato depicts Socrates in such a role is distinct from the question why he does so, and
the argument of this paper must rest content with the assertion that Plato does so, re-
gardless of his reasons» (Klosko 1979, p. 128; cfr. anche Klosko 1983 e 1987, in cui lo
studioso rafforza le sue posizioni ed estende l’analisi ad altri dialoghi ).
3
Tanto da dedicarvi un contributo specifico. Cfr. Klosko 1980.
4
Cfr. Ryle 1966a, riprodotto nella sostanza in Ryle 1966b. Accoglie in pieno l’in-
terpretazione di Ryle Beck 1986 (vd. in part. p. 121 ss.).
5
Per quanto riguarda la tesi edonistica, Ryle ammette che Platone, in generale, ri-
fiuta ogni forma di edonismo; tuttavia, l’argomento edonistico – sostiene Ryle – era vin-
cente, ed è per questo che Socrate lo impiega (Ryle 1966b, pp. 201-202). Ryle propone
un confronto fra le mosse di Socrate e gli argomenti pro e contro elencati nei Dissoi Lo-
goi, anche se l’argomentazione edonistica del Protagora appare nettamente più com-
plessa e articolata.
6
La riflessione filosofica sarebbe una conseguenza della rilettura, a freddo, di que-
ste registrazioni.
7
Cambiano 1991, p. 21.
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SOCRATE ERISTA? IL PROBLEMA NELLA LETTERATURA CRITICA 125

ci non si accordano con questa teoria. Ad esempio, molti dialoghi giova-


nili sono condotti in uno spirito di pacifica collaborazione, e gli interlo-
cutori non sono esperti di eristica, ma semplici cittadini 8. In secondo
luogo i dialoghi di definizione rivelano tutti un andamento analogo, che
porta l’interlocutore a proporre via via definizioni più corrette e profon-
de; in questo modo, il lettore è introdotto passo dopo passo alla tesi so-
cratica che «virtù è scienza» 9. In generale, insomma, l’interrogare socra-
tico ha un aspetto costruttivo che non trova spiegazione nella teoria di
Ryle 10: non si può misconoscere l’esistenza di uno schema evolutivo che,
per così dire, passa sopra la testa degli interlocutori 11.
Le interpretazioni di Klosko e Ryle prestano dunque il fianco a due
ordini diversi di critiche: la prima, come lettura particolare di un dialo-
go, rende conto dei dettagli argomentativi e dialettici, e illumina acuta-
mente singole parti del Protagora, ma non riesce a comporre un quadro
coerente, né nell’ambito del dialogo stesso né nel contesto più ampio dei
dialoghi socratici. Lo studio di Ryle, come interpretazione complessiva
di Platone, propone un piano evolutivo coerente e articolato, ma al prez-
zo di ignorare molti dati che contrastano con la sua tesi, e di postulare
un’evoluzione del pensiero di Platone (erista in gioventù, metafisico nel-
la maturità, filosofo del linguaggio da vecchio) che appare sovente vizia-
ta da teleologismo 12.

8
Ad esempio, nel Lachete, l’accurata presentazione degli interlocutori, uniti da le-
gami di parentela e amicizia, e interessati a fornire un’educazione virtuosa ai figli (que-
sto è in fondo l’oggetto del dialogo), esclude la possibilità che vi sia rappresentata una
competizione formalizzata.
9
Cfr. Erler 1987, trad. it. 1991, e Woodruff 1987. Per quanto riguarda il Protagora,
si può osservare che l’argomento edonistico difficilmente può essere una mossa eristica
mandata a memoria, giacché il brano dedicato al piacere appare organicamente legato
al resto dell’opera (cfr. infra, VI.6).
10
Per questa critica, cfr. Cambiano 1968.
11
Questo duplice livello è operante anche nel Protagora, come si può capire da un
esempio particolare. Nella parte conclusiva del dialogo Socrate cerca di dimostrare che
la virtù è scienza; una prima argomentazione promossa da Socrate porta alla conclusio-
ne che la virtù deve consistere in una techne specialistica. Questa conclusione, che cer-
tamente non corrisponde al pensiero di Platone, è respinta da Protagora, il quale con-
futa (fatto eccezionale!) la dimostrazione di Socrate. Il rigetto della conclusione porta i
dialoganti a prendere in considerazione forme più elevate di conoscenza fino a un ap-
prodo perfettamente platonico: la virtù è scienza del bene e del male. Questa progressi-
va elevazione è caratteristica dei dialoghi di definizione e si ritrova, molto simile, nel
Lachete, ma è di grande interesse il fatto che sia Socrate a sostenere una tesi ‘errata’ che
viene confutata: il progetto filosofico di Platone rimane dunque sconosciuto agli inter-
locutori del dialogo.
12
Come ha osservato Cambiano 1968, l’approccio di Ryle appare condizionato dal-
la volontà di ricostruire un itinerario intellettuale del pensiero di Platone che sfoci nel-
lo studio di problemi cari alla filosofia analitica contemporanea. Lo studioso osserva
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126 L’ERISTICA E LA MISSIONE DEL FILOSOFO

Il problema rimane dunque aperto. Come scrive Gregory Vlastos,


«nessuno, fra gli studiosi seriamente convinti che Socrate possa ricorrere
a opinioni insincere o a inferenze consapevolmente fallaci […] ha mai
cercato di spiegare come un simile tradimento della ricerca del vero pos-
sa essere riconciliato con la concezione platonica del filosofare socrati-
co» 13. La forza della posizione di Vlastos sembra poi consistere nella
proposta di un discrimine chiaro e univoco fra serio e faceto: quando
Socrate persegue la propria missione di filosofo, quale è delineata so-
prattutto nell’Apologia (egli ha il dovere di esaminare se stesso e gli altri,
e di cercare la virtù, pîj biwtšon), bisogna aspettarsi che le argomenta-
zioni siano in tutto e per tutto serie 14; ma in alcuni rari casi, come l’inter-
pretazione di Simonide nel Protagora (argomento eticamente neutro e
sgradito a Socrate), questa pregiudiziale cade, e si può eccezionalmente
ammettere che il filosofo cerchi di «darla a bere» all’avversario: solo al-
lora l’ironia socratica può essere considerata ingannevole 15.
Le osservazioni di Vlastos si rivelano fatali per l’interpretazione di
Ryle: la serietà della missione di Socrate, investito del compito divino di
esaminare sé e gli altri, è incompatibile con l’ipotesi di un Socrate ‘gioca-
tore’, preoccupato solo di sconfiggere gli avversari. D’altra parte, il Pro-
tagora tratta della virtù, ossia della conditio sine qua non di una buona vi-
ta; sembra quindi impossibile concordare con Klosko, che vede nel dia-
logo una competizione ‘sportiva’.
La via appare dunque sbarrata, ma indietro non si torna: l’analisi
delle argomentazioni ha rivelato la natura eristica del Protagora. Credo
però che un’uscita dall’aporia si possa rintracciare proprio nell’alveo del-
l’interpretazione di Vlastos; si tratta di mostrare che la capacità di scon-
figgere l’avversario in un agone eristico, agli occhi di Platone e del primo
Aristotele, è parte integrante della missione del filosofo. Prenderò dun-
que in esame la testimonianza dell’Apologia, del Sofista, della Repubblica
e dei Topici.

che «se non si ammette la natura filosofica dei dialoghi socratici, diventa quasi tauma-
turgico il passaggio da essi ai dialoghi ‘costruttivi’» (p. 329).
13
Vlastos 1991, trad. it. 1998, p. 155.
14
Per la ‘missione’ di Socrate, Vlastos cita Gorg. 500b-c; Apol. 28e, 29d; Charm.
166c-d.
15
Altrimenti, si dovrà parlare di ironia «complessa», ma non ingannatrice (cfr. il
cap. I, «Socratic Irony»). Anche Vlastos, tuttavia, prova qualche imbarazzo di fronte
alla dottrina edonistica esposta nella parte finale del Protagora. Dopo aver cercato di e-
dulcorare la dottrina edonistica così da rendere meno stridente il contrasto con gli altri
dialoghi (Vlastos 1956), lo studioso ha riconsiderato il passo, giungendo alla conclusio-
ne che Socrate non è vincolato alla dottrina, né però inganna l’avversario. Il passo del
Protagora sarebbe invece un esempio di elaborata – ma ‘onesta’ – ironia (Vlastos 1991,
trad. it. 1998, pp. 300-302).
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LA MISSIONE DEL CONFUTARE 127

2. L’«APOLOGIA»: LA MISSIONE DEL CONFUTARE

Apollo, ricorda Vlastos, ha ordinato a Socrate di «vivere filosofando, e-


saminando se stesso e gli altri». Ora, le celebri pagine in cui Socrate
spiega alla giuria le ragioni dell’inveterata ostilità degli Ateniesi nei suoi
confronti – l’oracolo di Apollo che additava in lui l’uomo più sapiente di
tutta Atene, e la conseguente, incessante attività di Socrate, che interro-
ga, mette alla prova e smaschera l’ignoranza dei concittadini a conferma
della bontà dell’oracolo – mostrano chiaramente che questo «esame» è
una missione elenctica, ossia di confutazione 16. Il discorso di Socrate si
conclude così:
È con questa indagine (™xštasij), cittadini ateniesi, che mi sono attira-
to l’ostilità più aspra e profonda di parecchia gente: donde sono poi
nate le varie calunnie, fra cui quest’etichetta di sapiente che mi porto
addosso. Ogni volta, infatti, i presenti (oƒ parÒntej) concludono che sia
io il sapiente nel campo in cui confuto (™xelšgxw) gli altri. (22e-23a) 17
Esame e confutazione (rispettivamente ™xštasij, œlegcoj e affini) coinci-
dono. Dal racconto di Socrate emerge poi un altro tratto che caratterizza
la sua missione confutatoria: mentre i cittadini comuni, ossia gli artigia-
ni, sono apparentemente interrogati in un confronto da solo a solo con
Socrate (22c-e), i personaggi famosi di Atene vengono invece confutati
di fronte a un pubblico di presenti (parÒntej). Questa platea, che riflette
probabilmente la notorietà dei personaggi, viene coinvolta nell’esame
socratico 18. La presenza di un pubblico appare quindi determinante: qua-
si che l’ignoranza delle celebrità interrogate da Socrate possa essere sma-
scherata solo a condizione di minacciare la loro fama.
Che l’autostima dei presunti maestri di sapienza sia strettamente le-
gata al giudizio di un pubblico, è evidente nel caso dei sofisti. Ippia, per
esempio, traccia uno stretto legame fra la condizione di ignoranza e il ri-
dicolo cui l’ignorante si espone di fronte ai presenti (oƒ parÒntej) 19; Eu-

16
Socrates’ Elenctic Mission è il titolo di un importante studio dedicato al metodo
di confutazione socratica delineato nell’Apologia (Brickhouse - Smith 1991).
17
Trad. Sassi 1993 (lievemente modificata).
18
Cfr. 21c-d (a proposito della confutazione di un politico): k¥peita ™peirèmhn aÙ-
tù deiknÚnai Óti o‡oito mþn e!nai sofÒj, e‡h d’ oÜ. ™nteàqen oân toÚtJ te ¢phcqÒmhn kaˆ
pollo‹j tîn parÒntwn : prÕj ™mautÕn d’ oân ¢piën ™logizÒmhn Óti toÚtou mþn toà ¢nqrèpou
™gë sofèterÒj e„mi: 22b (a proposito della confutazione dei poeti): æj œpoj g¦r e„pe‹n
Ñl…gou aÙtîn ¤pantej oƒ parÒntej ¨n bšltion œlegon perˆ ïn aÙtoˆ ™pepoi»kesan.
19
Hipp. Ma. 291e-292a: PonhrÒn g’, ð Sèkratej, gšlwta: Ótan g¦r prÕj taàta œcV mþn
mhdþn Óti lšgV, gel´ dš, aÙtoà katagel£setai kaˆ ØpÕ tîn parÒntwn aÙtÕj œstai katagš-
lastoj. Ippia insiste anche in altri punti sul motivo del ridicolo. Cfr. in proposito Ma-
der 1977.
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128 L’ERISTICA E LA MISSIONE DEL FILOSOFO

tidemo e Dionisodoro appaiono inseparabili dal pubblico di ammiratori


che li circonda e incoraggia 20 . Protagora poi, come insegna il Teeteto,
poneva il criterio di verità nel consenso delle genti: un’opinione è vera
nella misura in cui è creduta tale 21.
Ci si può dunque chiedere – per ora in linea del tutto teorica – come
sia possibile dimostrare l’ignoranza di simili personaggi, baciati dalla fa-
ma e avvezzi a misurare la propria sapienza in base al responso degli
spettatori 22. Ora, la risposta che Platone oppose a Protagora consisteva
proprio nel mostrare che la stessa dottrina protagorea cade sotto i colpi
dei presupposti che la sorreggono: se l’opinione della gente è l’unico cri-
terio veritativo, la dottrina stessa di Protagora sarà falsa nella misura in
cui è ritenuta tale dalla maggioranza degli uomini 23. Se, in questa mede-
sima ottica, si scende dal piano della trattazione teoretica sul terreno con-
creto dello scontro eristico, ossia di un confronto serrato fra due opinio-
ni di fronte a un pubblico di spettatori, potrà sorgere il dubbio che l’u-
nica possibile ‘dimostrazione’ dell’ignoranza di un sofista consista nel
persuadere il pubblico presente; questa, come si vedrà, è precisamente la
via imboccata da Socrate nel Protagora 24.

3. LA TESTIMONIANZA DEL «SOFISTA»

L’ipotesi che il ricorso all’eristica rientri nella missione divina di Socrate


trova una prima conferma nel Sofista, in particolare nel corso della quin-
ta e sesta definizione (224e-231c, il sofista come erista rapace e la «nobi-
le sofistica», ossia il sofista come purificatore dalle opinioni preconcet-
te). Nel sofista ‘nobile’, gran parte degli studiosi ha riconosciuto il volto
di Socrate 25:

20
Si pensi alla cornice di pubblico in cui si svolge l’Eutidemo e cfr. per esempio
305b (dialšgesqai toioÚtoij ™nant…on pollîn ¢nqrèpwn).
21
Cfr. in proposito infra, VI.5.
22
Come ormai da più parti si riconosce, il metodo socratico non è un che di unita-
rio e granitico, ma si adegua al carattere degli interlocutori. Si tende insomma a un’in-
terpretazione flessibile dell’elenchos socratico. Cfr., per il Gorgia, McTighe 1984, Babut
1992 (in part. p. 77 ss.) e Gentzler 1995; in generale, vd. Woodruff 1986 e Teloh 1987.
L’elenchos ha un carattere personale (cfr. p.e. Kahn 1983) ed è strettamente connesso
alle emozioni degli interlocutori (cfr. p.e. Blank 1993).
23
Tht. 170e-171a. Cfr. infra, VI.5.
24
Per il carattere ‘anti-socratico’ della dialettica di Socrate nel Protagora, oltre agli
accenni nei capitoli precedenti, vd. infra, VI.5.
25
Cfr. per esempio Cornford 1935, p. 181, Kerferd 1986, pp. 24-25, Vitali 1992, p.
177 nota 101, Trabattoni 1998a, p. 254.
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LA TESTIMONIANZA DEL «SOFISTA» 129

Vedi, capita talvolta che uno, credendo di dire gran cosa, dica in realtà
cose prive di senso. Quelli allora [si riferisce a quanti praticano l’arte di
confutare], poiché si accorgono da subito di trovarsi di fronte a gente
che vaneggia, facilmente ne mettono alla prova (™xet£zousi) le opinio-
ni, e, ponendole assieme una accanto all’altra per mezzo dei discorsi, le
mettono a confronto e mostrano chiaramente come esse si contraddi-
cano […]. L’interlocutore allora, vedendo ciò, si adira con se stesso e si
dimostra più mite verso gli altri, e in questo modo si libera delle opi-
nioni presuntuose e cristallizzate; è questa la liberazione più dolce per
quelli che ascoltano, e più sicura per chi la subisce. Coloro che purifi-
cano gente di questa fatta […] ritengono che l’anima non possa trarre
alcun giovamento dalle conoscenze che le sono offerte, prima che qual-
cuno sottoponga a confutazione (™lšgcwn) chi presume di sapere, e co-
stui – confutato (™legcÒmenoj) – non sia portato alla vergogna, libero da
opinioni che impediscono la conoscenza e puro, convinto di sapere quel-
le sole cose che effettivamente sa, non di più. (230b-d)

Si riconosce qui l’esame (™xet£zein) o confutazione (™lšgcein) di cui So-


crate parla nell’Apologia. Se questo è davvero un ritratto di Socrate, si-
gnifica che lo stesso Platone vedeva nella dialettica socratica un risvolto
sofistico. Tratti salienti di questa sofistica nobile (genna…a sofistik»,
231b) sono questi: essa porta il ‘paziente’ alla vergogna e lo induce all’in-
soddisfazione di sé e alla mitezza nei confronti degli altri; per gli spetta-
tori, poi, assistere alla purificazione è piacevolissimo. Ora, questi ele-
menti si ritrovano nel Protagora 26: i presenti sottolineano infatti il piace-
re che traggono dal confronto dei due dialoganti 27, e Socrate ricorda il
nervosismo di Protagora, che non è soddisfatto (letteralmente non piace
a se stesso) delle proprie risposte 28. Al termine del dialogo, infine, Pro-
tagora si rivela mite nel riconoscere la sconfitta, e rivolge a Socrate lusin-
ghieri complimenti 29.
Risulta tuttavia difficile credere che Platone vedesse nel maestro un
sofista, per quanto nobile. L’esposizione dello Straniero in questa parte
del Sofista è del resto complicata dal fatto che già in precedenza, nel cor-
so della quinta definizione, è adombrata la dialettica socratico-platonica.
Lo straniero parla di una forma di competizione verbale che si attua nel-

26
Inoltre, il procedimento del «porre insieme» le opinioni trova un riscontro parti-
colarmente stretto nel Protagora. Cfr. Appendici, 2.
27
335c-d; 337b-c.
28
335a-b: œgnwn g¦r Óti oÙk ½resen aÙtÕj aØtù ta‹j ¢pokr…sesin ta‹j œmprosqen.
29
361d-e: Kaˆ Ð PrwtagÒraj, ’Egë mšn, œfh, ð Sèkratej, ™painî sou t¾n proqum…an
kaˆ t¾n dišxodon tîn lÒgwn. kaˆ g¦r oÜte t«lla o!mai kakÕj e!nai ¥nqrwpoj, fqonerÒj te
¼kist’ ¢nqrèpwn, ™peˆ kaˆ perˆ soà prÕj polloÝj d¾ e‡rhka Óti ïn ™ntugc£nw polÝ m£lista
¥gamai sš, tîn mþn thlikoÚtwn kaˆ p£nu.
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130 L’ERISTICA E LA MISSIONE DEL FILOSOFO

la contrapposizione di discorsi, ed è chiamata «contestazione» (¢mfi-


sbhthtikÒn). Questa tecnica, se praticata in pubblico per mezzo di lun-
ghi discorsi, coincide con la retorica giudiziaria (dikanikÒn); se invece
«procede in privato in modo spezzato, attraverso domande e risposte»,
si chiama «antilogica» (¢ntilogik»). Ora l’antilogica può essere praticata
in modo casuale, oppure procede sulla base di regole ben precise: quan-
do procede secondo «arte» (œntecnon) e dibatte «intorno al giusto e al-
l’ingiusto» e intorno alle altre cose, l’antilogica prenderà il nome di «eri-
stica». Ma l’eristica, a sua volta, si suddivide in due parti. La prima con-
duce alla rovina economica: «[…] quando si arriva a trascurare i propri
affari domestici per il piacere stesso della discussione, ma senza indulge-
re al piacere degli ascoltatori», l’eristica prende il nome di chiacchiera
(¢dolescikÒn). Quando invece le dispute eristiche sono fonte di guada-
gno, questa forma di eristica non è altro che la sofistica stessa (si giunge
così alla quinta definizione) 30.
Occorre ricordare che con la parola chiacchiera, con un vezzo autoi-
ronico ricorrente nei dialoghi, Platone allude quasi certamente alla dia-
lettica, ossia al metodo principe della filosofia socratico-platonica 31. In
rapida successione, sono dunque presentate tre distinte attività:
1 l’eristica ‘chiacchierona’ e indifferente al pubblico, (ossia la dialettica);
2 l’eristica prezzolata (gradevole per il pubblico), ossia la sofistica;
3 la purificazione (socratica) gradevole per il pubblico, ossia la «sofisti-
ca nobile».

30
Questa è l’arte di Eutidemo e Dionisodoro, un’arte che non impedisce a chi la
pratica di fare affari (crhmat…zesqai, Euthd. 304c).
31
L’ironia consiste nel fatto che agli occhi degli Ateniesi l’immagine del filosofo era
proprio quella dell’erista chiacchierone, come è testimoniato dalla commedia, dove,
nella denigrazione di Socrate e della filosofia, ricorre fra l’altro il termine chiave di ¢do-
lšschj (cfr. Ar. Nub. 1480, 1485; Eupoli, fr. 386 PCG). Il termine era del resto usato in
modo analogo anche all’epoca di Platone: cfr. Isoc. Antid. 262 e Alessi, fr. 185 PCG.
Arnott 1996, nel commentare questo frammento di Alessi, ricorda che «comedy typi-
cally dismisses philosophic activity as ¢dolesc…a … and its congeneners […]. Cf.
Astydamas fr. 7 Nauck2 defining ¢dolesc…a as glèsshj per…paton, Phot. s.v. ¢dolesce‹n
(p. 48 Chr. Theodoridis, no. 372) shma…nei mþn tÕ filosofe‹n per… te fÚsewj kaˆ toà pan-
tÕj dialesca…nonta. oƒ mšntoi ¢rca‹oi kwmikoˆ lesca…nein œlegon tÕ dialšgesqai» (pp. 549-
550). Ebbene, Platone in più di un’occasione ricorda che il filosofo era considerato vol-
garmente un chiacchierone (cfr. p.e. Tht. 195b; Parm. 135d; Resp. 489a), e in un caso
precisa addirittura che un simile giudizio è caratteristico dei commediografi (Phdo.
70b-c). Nel Fedro invece, come qui, questo retroterra culturale è dato per scontato: So-
crate, nel definire la retorica, ricorda che «tutte quante le arti di una certa importanza
hanno bisogno di un po’ di chiacchiere (¢dolesc…a)» (269e-270a), ovverosia – come il
lettore è chiamato a intendere – hanno bisogno di conoscenze generali di carattere filo-
sofico. Per l’impiego platonico di ¢dolesc…a nel senso di dialettica e per il caso analogo
di metewrolog…a, cfr. per esempio Gaudin 1970 e Babut 1978 (in part. p. 62 ss.).
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LA CASA DI CALLIA, LA CASA DI CEFALO, LA CAVERNA 131

Nel Sofista, a distanza di poche pagine, si riconosce così una duplice


presentazione della dialettica: da un lato la chiacchiera che non indulge
al piacere degli ascoltatori e conduce al disprezzo per i beni materiali e
dunque alla rovina economica (si pensi alla vita di Socrate), dall’altro la
purificazione socratica, piacevole per il pubblico ma sorprendentemente
accomunata alla sofistica, seppure con circospetta cautela 32.
Le ragioni di questa duplice presentazione possono essere diverse:
una parziale presa di distanza dal metodo socratico 33, oppure la distin-
zione di due accezioni di dialettica o altre ancora. Ma se il dialettico
chiacchierone volesse – come prescrive la missione socratica – confutare
il sofista prezzolato? Non dovrà forse affrontare la platea di cui quest’ul-
timo ama circondarsi? Vorrei insomma suggerire che si può pensare a
un’altra spiegazione; le due distinte presentazioni della dialettica potreb-
bero infatti riflettere i due diversi volti di Socrate, quali si mostrano,
chiaramente distinti, nel Protagora: il dialettico amichevole da un lato (la
conversazione a quattr’occhi con Ippocrate nella casa di Socrate), il
combattente capace di prevalere sui sofisti di fronte a un pubblico parti-
giano dall’altro (l’agone nella casa di Callia). Il sofista prezzolato è inse-
parabile dal suo pubblico: per sconfiggerlo, occorre farsi un poco sofi-
sta, rinunciando a quell’indifferenza per gli spettatori caratteristica della
dialettica nelle sue manifestazioni più ‘pure’.

4. LA CASA DI CALLIA, LA CASA DI CEFALO, LA CAVERNA

La casa di Callia, dove Socrate e Ippocrate si recano sul far dell’alba, tra-
bocca di sofisti 34, e le ‘lezioni’ si tengono in un cortile affollato dove è

32
Soph. 230e-231a: T… dš; toÝj taÚtV crwmšnouj tÍ tšcnV t…naj f»somn; ™gë mþn g¦r
foboàmai sofist¦j f£nai.
33
Cfr. Wolff 1991, il quale ipotizza che Platone abbia qui compiuto un altro «par-
ricidio» (p. 49).
34
Cfr. Rutherford 1992, pp. 139-140: «Once Socrates and Hippocrates are inside
Callias’ house, variety and disorder become the keynotes, and there is a disturbing
readiness to give up half way. Socrates expresses this anxiety about this more than once
(347c1-2, 348a9); at the end of the dialogue he is still eager to go further, but it is Pro-
tagoras who is reluctant and would prefer to postpone. Perhaps the setting too may
contribute to this contrast. Socrates and Hippocrates conclude their discussion pri-
vately, just the two of them (the ideal dialectical situation) in the open air; contrast the
indoor confusion and hubbub, the division of the company into a series of cliques
within, as described in the interesting passage which follows (314e-16a)». Osservazioni
molto simili sono anche in Schofield 1992.
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132 L’ERISTICA E LA MISSIONE DEL FILOSOFO

perfino difficile distinguere la voce dei ‘maestri’ 35. Dopo il comico batti-
becco con il portinaio, esasperato dal continuo afflusso di sofisti, Socrate
e Ippocrate entrano finalmente nel cortile 36. Due citazioni omeriche dal-
la Nekyia suggeriscono un paragone fra la casa di Callia e l’Ade 37: Socra-
te e il suo giovane amico sono dunque penetrati in una sorta di inferno
che, nel richiamo agli inferi omerici, prelude al mito della caverna, an-
ch’essa paragonata all’Ade (521c) 38. D’altra parte, che l’ingresso di So-
crate sia una sorta di avventura odissiaca è suggerito anche da una cita-
zione omerica proprio all’inizio del dialogo: Alcibiade, forse per aver aiu-
tato Socrate nel confronto con Protagora, vi appare paragonato a Her-
mes, che nell’Odissea mette in guardia l’eroe contro gli incantesimi di
Circe (si tenga presente che Protagora è presentato proprio come un in-
cantatore) 39.
Ma perché Socrate intraprende una simile discesa agli inferi? La mo-
tivazione principale è certo suggerita dalla missione apollinea di Socra-
te 40, che deve misurarsi con tutti i ‘sapienti’ di Atene. Nel Menone, del
resto, Socrate sottolinea esplicitamente la necessità di conoscere i sofisti
prima di giudicarli (Men. 91c ss.), e afferma che il vero maestro di virtù –
il possessore di quella virtù-scienza cui Socrate invano aspira – sarebbe
fra i vivi «quale Omero disse Tiresia fra i morti, quando afferma che egli
soltanto, fra gli abitanti dell’Ade, ha senno, mentre gli altri come ombre
sussultano» (100a). Socrate-Odisseo dunque ha il compito di indagare
questo mondo umbratile, per scoprire se mai potrà trovarvi un veggente
Tiresia.

35
Socrate ironicamente si dice rammaricato di non avere potuto ascoltare le parole
di Prodico (ka…per liparîj œcwn ¢koÚein) perché di¦ t¾n barÚthta tÁj fwnÁj bÒmboj tij
Ãn ™n tù o„k»mati gignÒmenoj ¢safÁ ™po…ei t¦ legÒmena (316a).
36
Cfr. Schofield 1992, il quale, pur parlando di «low comedy», propone un para-
gone con la porta di Parmenide: «In its humble way the episode in the Protagoras like-
wise emphasises the huge difference between the Socratic discourse we have just heard
and the sophistic debate we are about to witness» (p. 127).
37
Od. 11.601 e 582, citati in 315b-c. Cfr. supra, II.2.
38
L’osservazione si deve a Klär 1969, pp. 225-259, vd. in part. pp. 254-259. Questo
studio intende dimostrare che la metafora della caverna è presente, implicitamente, in di-
versi dialoghi. A proposito del Protagora, l’autore osserva che «Der Weg des Sokrates
als des Philosophen ist derselbe hier und dort, die Charakteristik der Sophisten als Ha-
desbewohner, als Gefangenen der Schattenwelt ebenfalls, und schliesslich hier wie dort
die ausdrückliche Beziehung und Anspielung auf die Nekyia – all das zusammen er-
laubt uns, die Höhlengleichnis, wenn auch nicht in der völlig ausgearbeiten Fassung,
so doch in seinen wesentlichen Umrissen schon zu Beginn der Schriftstellerei Platons
vorauszusetzen» (p. 257).
39
309b, dove è citato Od. 10.279 (= Il. 24.348).
40
Cfr. par. 2.
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LA CASA DI CALLIA, LA CASA DI CEFALO, LA CAVERNA 133

La missione socratica, peraltro, coincide almeno in parte con il com-


pito che la Repubblica assegna ai filosofi: una volta che abbiano attinto la
realtà intelligibile, essi devono ridiscendere nella caverna, per liberarne
gli schiavi. A questo proposito è stato osservato che l’intera costruzione
della Repubblica appare come un gioco di scatole cinesi 41: la catabasi del
filosofo nella caverna è inserita nella più ampia cornice della catabasi di
Socrate al Pireo 42 in occasione di una festa notturna e in parte barbarica
come le Bendidie 43 (katšbhn, «discesi», è la prima, significativa parola
della Repubblica) 44. Qui, dove mare e terra si congiungono, nacquero
l’aborrito impero marittimo di Atene e quel traffico portuale che «gene-
ra abitudini incostanti e sospettose, e così rende una società sospettosa e
ostile nei suoi rapporti interni, come pure nei confronti dell’umanità in
generale» (Leg. 705a) 45. Qui Socrate affronterà i ‘mostri’ della polis, a
cominciare da Trasimaco, fino alle parole conclusive dell’opera, in cui è
adombrata la risalita («ci atterremo sempre alla strada che porta in al-
to») 46. Come il filosofo nella caverna, Socrate è costretto a rimanere al

41
La particolare struttura della Repubblica è messa in luce da Voegelin 1957 e suc-
cessivamente da Segal 1978 (p. 323 ss.), Clay 1992, Burnyeat 1997-1998 e Vegetti 1998.
42
Burnyeat 1997-1998 mette a confronto i seguenti brani: katšbhn cqþj e„j Peirai©
met¦ GlaÚkwnoj toà ’Ar…stwnoj, proseuxÒmenÒj te tÍ qeù kaˆ ¤ma t¾n ˜ort¾n boulÒmenoj
qe£sasqai t…na trÒpon poi»sousin ¤te nàn prîton ¥gontej. kal¾ mþn oân moi kaˆ ¹ tîn
™picwr…wn pomp¾ ™doxe e!nai, oÙ mšntoi Âtton ™fa…neto pršpein ¿n oƒ Qr´kej œpempon (327a,
incipit della Repubblica); katabatšon oân ™n mšrei ˜k£stJ e„j t¾n tîn ¥llwn suno…khsin
kaˆ suneqistšon t¦ skotein¦ qe£sasqai: suneqizÒmenoi g¦r mur…J bšltion Ôyesqe tîn ™ke‹
kaˆ gnèsesqe ›kasta t¦ e‡dwla ¤tta ™stˆ kaˆ ïn, di¦ tÕ t¢lhqÁ ˜wrakšnai kalîn te kaˆ
dika…wn kaˆ ¢gaqîn pšri (520c).
43
Cfr. Vegetti 1998, p. 71, e Gastaldi - Campese 1998. Le studiose sottolineano gli
aspetti barbarici delle Bendidie, e individuano una struttura oppositiva fra Repubblica
e Timeo, giacché «se nel I libro della Repubblica vengono chiaramente menzionate le
Bendidie, nel Timeo la discussione che prosegue e completa quella sviluppata nell’altro
dialogo ha luogo in occasione di un’altra festa, le Panatenee» (p. 92). Pertanto «il per-
corso dialettico di Socrate si legge così attraverso questa ricca sequenza di passaggi sim-
bolici, dal porto all’asty, da Bendis ad Atena, dai riti stranieri ai ‘costumi della patria’,
dal mondo della genesis a quello delle idee» (p. 131).
44
Lo studio di Clay (1992) mostra l’importanza dell’incipit non solo per la Repub-
blica, ma per il Fedone. Il principio è esteso da Burnyeat 1997-1998 ad altri dialoghi.
Vegetti 1998 mostra che kataba…nw nella Repubblica è impiegato sempre in senso ‘for-
te’, ossia catabatico.
45
Per il significato simbolico del mare, cfr. supra, Premesssa, 8.
46
tÁj ¥nw Ðdoà ¢eˆ ˜xÒmeqa. I nessi strutturali della Repubblica sono così riassunti da
Voegelin 1957: «Il gioco dei simboli illumina la relazione fra gli episodi e i problemi
della Repubblica: il Pireo del Prologo diventa l’Ade dell’Epilogo ed entrambi si fondo-
no nella caverna sotterranea del mito della caverna. La vuota libertà del Pireo con la
sua celebrazione della divinità Ctonia diventa la vuota libertà dell’Arete in Ade ed en-
trambe si fondono nel giuoco di ombre della caverna. La festa notturna (pannuchis)
sfuma nella notte di Ade ed entrambe nel giorno tenebroso (nykterine) dell’esistenza u-
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134 L’ERISTICA E LA MISSIONE DEL FILOSOFO

Pireo; egli subisce infatti un atto di violenza, per quanto ironico: prima
viene trattenuto per il mantello da uno schiavo di Polemarco (labÒmenoj
toà ƒmat…ou, 327b), in seguito ne subisce le scherzose minacce 47, e nel
corso del dialogo è nuovamente trattenuto da Glaucone e Adimanto,
che sospettano Socrate di voler prendere una scorciatoia nel discorso e
non lo vogliono «lasciar andare» (¢f»somen … =Hkist£ ge, œfh Ð ’Ade…-
mantoj, 449b).
Simile è anche la ‘catabasi’ di Socrate nel Protagora. La casa di Cal-
lia, come quella di Cefalo, è situata al Pireo 48, e non bisogna dimenticare
che Socrate vi si reca per compiacere la smania di Ippocrate (310e ss.);
alla fine del dialogo, poi, Socrate afferma di essersi trattenuto a lungo
«per far piacere a Callia» (362a), che effettivamente, a un certo punto
della discussione, pur di non «lasciarlo andare» (oÙk ¢f»somšn se, ð
Sèkratej, 335d) 49, lo aveva trattenuto per il mantello (¢ntel£beto toà
tr…bwnoj). La discesa al Pireo nella casa di Callia, così come la visita in
casa di Cefalo e la catabasi nella caverna, comporta poi uno scontro
frontale con il mondo corrotto della polis democratica 50. Callia era figlio
della ex-moglie di Pericle 51, la quale generò allo statista gli inetti Santip-
po e Paralo, presenti nel Protagora, mentre Alcibiade, altro personaggio
del dialogo, sposò Ipparete, sorella di Callia 52. Protagora inoltre, amico
personale di Pericle, è il massimo teorico della democrazia, e il discorso
che Platone gli mette in bocca ne è la migliore testimonianza. Con qual-
che voluto anacronismo 53, Platone ha riunito in casa di Callia numerosi

mana nella parte centrale della Repubblica. E infine il Socrate che intraprende coi suoi
amici la discussione sulla giustizia sfuma nell’Er che viene rimandato indietro dai Giu-
dici dall’Ade come messaggero (angelos) per l’umanità (614d), ed entrambi si fondono
nel filosofo che deve tornare dalla visione dell’Agathon ad aiutare i suoi compagni pri-
gionieri» (p. 115).
47
327c: À to…nun toÚtwn kre…ttouj gšnesqe À mšnet’ aÙtoà. Burnyeat 1997-1998 osser-
va che «Socrates’ going down to the Peiraeus and being detained there, somewhat re-
luctantly […] becomes an image of how […] the philosophers would con-descend,
somewhat reluctantly (Resp. 520d-521b) to take charge of the city and maintain the just
social order they have benefited from» (p. 6).
48
La posizione della casa di Callia si ricava da Xenoph. Symp. 1.2. Cfr. Ferrucci
1996, p. 426.
49
Il concetto è ribadito in 338b: ™mš te Ð Kall…aj oÙk œfh ¢f»sein.
50
Ferrucci 1996 mostra che il possesso di abitazioni lussuose è compatibile con l’i-
deologia periclea.
51
Plut. Per. 24.8.
52
Plut. Alc. 8. Per una descrizione dei legami familiari di Callia, cfr. MacDowell
1962, pp. 10-11.
53
Platone, a quanto pare, ha mescolato due diversi soggiorni ateniesi di Protagora.
Che vi siano stati (almeno) due soggiorni, si ricava da Prot. 310e. Ateneo accusò Plato-
ne di falsità per gli anacronismi del Protagora (5.218b), e tali anacronismi (che hanno
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L’ERISTICA NELLA CAVERNA 135

personaggi di spicco dell’Atene periclea, che pochi anni dopo il presun-


to svolgimento del dialogo si sarebbero mostrati incapaci di evitare la ro-
vina di Atene, anzi spesso vi avrebbero contribuito: gli allievi dei sofisti
formano un interessante campionario di traditori, falliti, disertori, depra-
vati e sacrileghi 54. È dunque un luogo maledetto, e la sciagura della città
è adombrata forse dai tratti ‘infernali’ della famigerata casa di Callia 55,
che si diceva ‘stregata’ da uno spirito maligno 56.

5. L’ERISTICA NELLA CAVERNA

La casa di Callia, la casa di Cefalo, il Pireo, la caverna: sono luoghi sim-


bolo della polis democratica e delle ombre di morte che si allungano su
Atene. Se Socrate deve misurarsi in un agone eristico, il filosofo, nella

dato ai biografi di Protagora filo da torcere; cfr. p.e. Morrison 1941 e Davison 1953)
non si possono negare (vd. Wolfsdorf 1997). Ma l’intento di Platone non era forse ‘sto-
rico’. Piuttosto, «Plato seems to have included deliberately what was memorable from
at least two visits Protagoras made to Athens […] one of Plato’s purposes in choosing
his material from as many sources as possible was to present a vivid, humorous and iro-
nic picture of Protagoras’ dealings with Athenian youth» (Walsh 1984, p. 104).
54
Riguardo ai promettenti giovani radunati in casa di Callia, cfr. ivi, p. 105: «Alcibia-
des, the most illustrious of the lot, did show promise […] but the services he rendered
his city are too well known to require extended comment. Charmides and Critias fell in
civil strife at Munychia. Eryximachus and Phaedrus both suffered disgrace (and the lat-
ter, at least, the loss of property) as a result of the Hermokopidae affair. Adeimantus, the
son of Leucolophides, was accused of betraying the Athenian cause at the battle of Ae-
gospotamoi. Agathon and Pausanias were at the court of Archelaus by 407. Although we
do not know with certainty why Agathon left Athens […]. Aristophanes’ longing refer-
ence to him (Ran. 83), together with the special plea he makes later in the same play
(686 ff.) for the return of those exiled as a result of the stasis of 411, suggests that Aga-
thon and Pausanias may have been involved in this coup and left Athens as a result».
55
Ci sono in questo senso importanti precedenti teatrali. Nell’Edipo a Colono il pri-
mo stasimo (v. 668 ss.) «allinea un sistema di riferimenti, che vanno interpretati su un
doppio versante: uno esplicito che rimanda all’accoglienza di Edipo in Colono e ad A-
tene, e uno allusivo che adombra la sua venuta nel territorio della morte» (Del Corno
1998, p. 67). Inversamente, nelle Rane, «l’oltretomba […] si connota come una vita ‘ol-
tre lo specchio’, la replica rovesciata della contemporaneità» (p. 73). Entrambi i dram-
mi dunque, che furono rappresentati nell’ultima, tragica fase della guerra, e dunque
precedono di non molti anni la (probabile) composizione del Protagora, «sovvertivano i
confini fra il mondo dei morti e quello dei vivi – o piuttosto, rappresentavano un consa-
pevole e programmato intreccio dell’una con l’altra prospettiva […]. Viva e morta pa-
reva ai cittadini la stessa Atene» (p. 73).
56
La storia è ricordata da Andocide, 1.130-131, secondo cui, in base a un’«antica
fama», Ipponico ™n tÍ o„k…v ¢lit»rion tršfei. Questa diceria trova un precedente negli
Adulatori di Eupoli, fr. 157 PCG, secondo il quale la casa di Callia è abitata da un Pro-
tagora ¢lit»rioj. Un nesso fra i due passi è ravvisato in Storey 1991, p. 7 ss.
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136 L’ERISTICA E LA MISSIONE DEL FILOSOFO

Repubblica, ha il preciso dovere di ridiscendere nelle tenebre per libera-


re gli schiavi delle ombre. Il ritorno alla caverna è penoso e obbliga il fi-
losofo a combattere contro gli schiavi; egli «rischia di fare una brutta fi-
gura, di apparire del tutto ridicolo, quando, muovendosi a tentoni, pri-
ma ancora di essere riuscito ad abituarsi alla presente oscurità è costretto
nei tribunali o in altro luogo a combattere (¢gwn…zesqai) solo per un’om-
bra di giustizia o per quel simulacro che proietta quell’ombra e a stare a
discutere sul modo in cui queste apparenze debbano essere interpretate
da chi non ha mai visto la giustizia in sé» (517d-e). Quale sarà questo
«altro luogo» in cui il filosofo è chiamato a «combattere» (¢gwn…zesqai)?
Il verbo ¢gwn…zesqai non soltanto richiama l’¢gën lÒgwn del Prota-
gora, ma è comunemente impiegato da Platone per indicare l’attività eri-
stica 57. Il passo può poi essere confrontato con due luoghi del Sofista e
della Repubblica. Il primo fa parte della definizione, già ricordata, di so-
fistica come eristica prezzolata. Questa attività concerne «il giusto in sé e
l’ingiusto, e le altre cose in generale» (225c), dunque la virtù, come nel-
l’agone di discorsi del Protagora. Ma, soprattutto, essa si sviluppa «per
brevi domande e risposte in privato (™n „d…oij)», e appare perciò comple-
mentare all’arte giudiziaria (dikanikÒn), che invece si svolge «pubblica-
mente» (dhmos…v) (225b). Questa precisazione si chiarisce meglio alla lu-
ce del passo della Repubblica in cui Socrate condanna «le sottigliezze e i
cavilli eristici, che a null’altro tendono se non a semplice opinione e a
contesa, sia nelle liti giudiziarie sia nei privati conversari (kaˆ ™n d…kaij
kaˆ ™n „d…aij sunous…aij)» (Resp. 499a) 58.
In entrambi i passi, le contese giudiziarie sono strettamente associa-
te, pur nell’antitesi fra ‘pubblico’ e ‘privato’, a quelle eristiche, e la stessa
conclusione si può ricavare da un luogo dell’Eutidemo, in cui i «discorsi
privati» (‡dioi lÒgoi) degli eristi sono accostati alla logografia dei retori
(305b-d). D’altra parte, retorica ed eristica sono presentate come com-
plementari anche in Gorgia, nei Dissoi Logoi e in Aristotele 59. Si può in-

57
Per ¢gwn…zomai e affini, vd. Tht. 164c, 167e, 168d; Soph. 226a, 231e; cfr. Euthd.
272a. Cfr. anche Euthd. 305e, dove l’espressione ™ktÕj … ¢gènwn, seppure implicita-
mente, riguarda non soltanto i processi pubblici, ma anche lo scontro eristico inscenato
nel dialogo (cfr. Decleva Caizzi 1996, p. 118 nota 132).
58
Un altro confronto è offerto da un luogo del Fedro in cui si attribuisce l’invenzio-
ne della dialettica a Zenone di Elea (in realtà Zenone non è nominato, ma con ogni pro-
babilità Platone allude proprio a lui parlando del «Palamede Eleatico», 261d). È qui in
gioco la tradizione che fa di Zenone l’iniziatore della dialettica. Cfr. Robinson 1953, p.
87. Secondo Socrate «c’è l’arte di contraddire non solo nei tribunali e nell’assemblea
popolare». Anche qui si allude forse alla dialettica o eristica.
59
Cfr. Enc. Hel. 13; Diss. Log. 8.1; Aristot. Rhet. 1371a6-8. Il luogo in cui più chia-
ramente si parla di complementarità è Aristot. Soph. El. 171b22-24: ésper g¦r ¹ ™n ¢gî-
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L’ERISTICA NELLA CAVERNA 137

somma credere che il passo della Repubblica, con l’espressione «in altro
luogo», alluda all’arte di contraddire e agli agoni di discorsi, ossia al tipo
di situazione descritta non solo nell’Eutidemo ma anche nel Protagora.
Dunque: fra i cimenti del filosofo che ridiscende nella caverna rien-
trano anche gli agoni eristici, duelli privati che si affiancano ai processi
pubblici nei tribunali. Questa necessità di combattere è illustrata non sol-
tanto nella Repubblica stessa, dove Socrate scende al Pireo, cuore della
polis democratica, e sconfigge il sofista Trasimaco (libro I), ma anche nel
Protagora, in cui Socrate scende al Pireo e penetra nel mondo umbratile
dei sofisti per scontrarsi con il massimo teorico della democrazia. Al filo-
sofo che ‘ridiscende’ è richiesto uno sforzo eccezionale: si possono rico-
noscere qui ulteriori analogie fra Protagora e Repubblica.
Socrate fatica non poco ad affermare la sua superiorità nei confronti
di Protagora. Al termine del discorso di Protagora egli rimane incantato
(kekhlhmšnoj) e per «molto tempo» non riesce a riaversi (328d). La rea-
zione di Socrate è simile a quella degli altri frequentatori della casa di
Callia: incantati (kekhlhmšnoi) dalla voce di Protagora, essi lo seguono
come automi (315b-c), simili dunque ai prigionieri della caverna. Pro-
prio a questo punto cade la citazione dalla Nekyia, che suggerisce un
confronto fra il sofista e un peccatore dell’Ade, dunque un’ombra. In ca-
sa di Callia, come nella caverna, gli uomini ammirano attoniti l’ombra
invece che la realtà; e vincere l’incanto delle ombre per volgersi alla veri-
tà non è facile.
Nella Repubblica Platone sottolinea esplicitamente che il filosofo, an-
che se dura fatica ad abituarsi all’oscurità della caverna ed è perciò espo-
sto al ludibrio degli schiavi, alla fine riesce a imporsi nei confronti di
questi ultimi in virtù della sua conoscenza superiore. Questa vittoria
però costringe il filosofo ad acquisire, oltre alla «scienza» (™pist»mh) an-
che la «esperienza» (™mpeir…a) 60; egli deve così misurarsi con una forma
di sapere radicalmente diversa dalla sua, sul terreno degli avversari, giac-
ché l’‘esperienza’, come emerge nel modo più chiaro dal Gorgia, è il sa-
pere della polis e dei sofisti 61. Ci sono buone ragioni – lo si è visto – per

ni ¢dik…a e!doj ti œcei kaˆ œstin ¢dikomac…a tij, oÛtwj ™n ¢ntilog…v ¢dikomac…a ¹ ™ri-
stik» ™stin.
60
™mpeir…a: 484d, 539e. La sapienza praticata nella caverna è anche denominata ¹
™ke‹ sof…a (516b). Questa non è altro che la sapienza insegnata dai sofisti (cfr. 493a-c),
e di questa faceva parte anche l’eristica.
61
Nel Gorgia, Polo stabilisce una continuità fra esperienza e scienza (448c) che viene
in seguito negata da Socrate, secondo il quale scienza ed esperienza sono due concetti
ben diversi, giacché l’esperienza è una forma di pseudo-sapere (462c ss.). Di grande in-
teresse anche la posizione di Callicle, che dileggia Socrate perché, come filosofo, è del tut-
to «inesperto» delle cose umane, e dunque, nella polis, è destinato al fallimento (484c ss.).
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138 L’ERISTICA E LA MISSIONE DEL FILOSOFO

credere che parte di questa ‘esperienza’ sia costituita proprio dall’arte


eristica, e non sarà allora un caso se nel Protagora la concezione socratica
del sapere, fondata sul concetto di scienza (tšcnh o ™pist»mh), viene e-
splicitamente respinta dal sofista di Abdera fin dalle prime battute del
confronto dialettico 62; non diversamente, nella Repubblica il sapere del
filosofo che ritorna nella caverna incontra al principio lo sprezzante ri-
fiuto degli schiavi 63. In effetti la vicenda di Socrate in casa di Callia non
è meno travagliata: egli patisce lo stordimento provocato dal chiasso dei
sofisti e va incontro a più di uno scacco dialettico 64, ma alla fine riesce
ad imporsi sconfiggendo Protagora sul terreno suo, quello eristico 65.
Come Odisseo, Socrate deve dunque ‘travestirsi’ e ‘ingannare’ i suoi av-
versari. Ma non si può dubitare che Platone, al pari di Omero, giustifichi
senz’altro le astuzie del suo eroe 66.
La discesa di Socrate al Pireo nel Protagora e nel I libro della Repub-
blica, in conclusione, sono dunque esempi concreti della missione che il
mito della caverna assegna al filosofo. In questa missione, difficile e pe-
nosa, rientra anche la capacità di sconfiggere gli schiavi sul loro terreno:
l’apparenza e l’inganno, che soltanto l’esperienza può garantire.

6. I «TOPICI»: PROTAGORA COME INTERLOCUTORE «DIFFICILE»

Negli Elenchi Sofistici Aristotele afferma che la conoscenza dei procedi-


menti eristici, fra l’altro, garantisce al filosofo una buona fama nei con-
fronti dialettici e gli consente di mostrarsi in tutto e per tutto preparato:
l’abilità eristica richiede esperienza 67. L’eristica appare qui come un’arte

62
318d-e. Cfr. in proposito infra, VI.3.
63
Vd. in part. 517a e 517d-e.
64
Lo stordimento sensoriale caratterizza anche la discesa del filosofo nella caverna;
cfr. in part. 517a.
65
Qualcosa di analogo accade in effetti anche nell’Eutidemo. Ctesippo, l’amico di
Socrate, si impadronisce ben presto dei trucchi dei due sofisti e riesce spesso a prevale-
re su di loro, tanto che Socrate dice: Ð dš moi doke‹, ¤te panoàrgoj ên, Ð Kt»sippoj, par’
aÙtîn toÚtwn [i due sofisti] aÙt¦ taàta parhkhkÒei (300d). Lo stesso Socrate, seppur
ironicamente, ammette di imitare (mime‹sqai) i due sofisti nel momento in cui argomen-
ta come loro (301b), e nella parte finale del dialogo racconta di aver prestato attenzione
all’atteggiamento di Ctesippo, éj tacÝ Øm©j ™k toà paracrÁma mime‹sqai oŒÒj te Ãn. Cte-
sippo impara il gioco dei due eristi e li combatte sul loro terreno.
66
«Trickery, in fact, whether lies or disguise, is never a shameful trait when practised
by those Homer establishes at the very start as ‘good’, from Athene to Penelope to Odys-
seus; for by definition it is in their hands the means to good ends» (Parry 1994, p. 13).
67
175a12-16 [i procedimenti sofistici sono utili alla filosofia]: tr…ton dþ kaˆ tÕ loi-
pÕn œti prÕj dÒxan, tÕ perˆ p£nta gegumn£sqai doke‹n kaˆ mhdenÕj ¢pe…rwj œcein: tÕ g¦r
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I «TOPICI»: PROTAGORA COME INTERLOCUTORE «DIFFICILE» 139

empirica ma non indegna della considerazione del filosofo, che deve co-
munque mostrarsi superiore ai suoi nemici. Anche la posizione di Ari-
stotele si rivela dunque interessante per capire meglio il problema delle
argomentazioni eristiche impiegate da Socrate, ma occorrerà partire da
qualche osservazione finale sui dialoghi platonici maturi e tardi.
Quando il filosofo si decide ad affrontare i ‘mostri’ della polis, la di-
stinzione fra eristica e dialettica si rivela incerta. Nella definizione di
«nobile sofistica» ricordata sopra, Platone riconosce implicitamente que-
sta somiglianza: «il lupo, l’animale più selvaggio, è simile al cane, il più
mite» (Soph. 231a). Si capisce anche, in quest’ottica, perché nella Repub-
blica si dica chiaramente che la dialettica può facilmente scadere in eri-
stica, una degenerazione indotta da uno smodato «piacere della confuta-
zione» 68. Proprio nella Repubblica, dove ricorre più volte la metafora del
segugio a proposito della ricerca filosofica (o meglio della ‘caccia’) 69, So-
crate deve scontrarsi con una belva particolarmente feroce: il ‘lupo’ Tra-
simaco, pronto a «sbranarlo» (diarpasÒmenoj, 336b) 70 . E in questa bat-
taglia, suo malgrado, Socrate ha assunto tratti lupeschi, tanto che al ter-
mine della tenzone egli si rammarica di avere «sbranato» gli argomenti
(¡rp£zontej, 354b), compromettendo così il buon esito del confronto
dialettico 71. Il lupesco Trasimaco, l’eristico Protagora: a ben guardare,
la possibilità che il filosofo sia costretto all’impiego di mosse ‘sleali’ è
strettamente legata alla natura dell’interlocutore e al contesto dell’incon-
tro. Vi sono, non c’è dubbio, interlocutori più ‘difficili’ di altri.
Nel Teeteto «difficile» (dÚskoloj) è quell’interlocutore che rifiuta di
essere confutato. Quando Socrate domanda se Teeteto accetterà che la
sua definizione, il suo «parto», venga criticata, Teodoro lo rassicura
prontamente sulla buona natura del giovane: «Teeteto sopporterà, So-
crate; non è infatti un tipo difficile (dÚskoloj)» (161a). Se dÚskoloj è

koinwnoànta lÒgwn yšgein lÒgouj, mhdþn œconta dior…zein perˆ tÁj faulÒthtoj aÙtîn, Øpo-
y…an d…dwsi toà doke‹n duscera…nein oÙ di¦ t¢lhqþj ¢ll¦ di’ ¢peir…an.
68
Resp. 537e ss. Per la vicinanza di dialettica e sofistica, cfr. Aristot. Soph. El. 183b2-3.
69
376a-b e 432b, da confrontare con Leg. 654e e Parm. 128c. Cfr. in proposito Ca-
nino 1998b.
70
Cfr. ivi, p. 223: «In base ad un’antica credenza popolare, se un lupo vedeva per
primo l’uomo che incontrava, costui perdeva la parola. Nel I libro della Repubblica,
nelle righe che precedono immediatamente l’inizio della disputa tra Socrate e Trasima-
co, il filosofo, impaurito nel vedere il proprio avversario, osserva che se non lo avesse
guardato lui per primo, ma fosse avvenuto il contrario, certo si sarebbe ritrovato senza
voce (336d). Il sofista, che raccoltosi nella persona come una fiera (ésper qhr…on) si era
avventato contro Socrate e i suoi interlocutori quasi volesse sbranarli (Âken ™f’ ¹m©j æj
diarpasÒmenoj) (336b), è dunque un lupo».
71
Nel corso della Repubblica è più volte adombrato il rischio di una metamorfosi
del cane in lupo. Vd. 416a-b e 565d. Cfr. in proposito Canino 1998b.
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140 L’ERISTICA E LA MISSIONE DEL FILOSOFO

chi non accetta la confutazione, il verbo duskola…nein, sempre nel Teete-


to, connota l’atteggiamento dialettico dei sofisti:
SO Se dunque io e te fossimo disputatori abili e sapienti e avessimo e-
saurito l’esame di tutti i problemi del pensiero, potremmo ormai, per
ingannare il tempo, metterci alla prova (¢popeirèmenoi) l’un l’altro; e,
attaccando battaglia alla maniera dei sofisti, ribattere discorso a discor-
so. Ma ora, poiché non siamo che gente molto alla buona, vorremo esa-
minare dapprima, confrontandoli gli uni con gli altri, i pensieri che ci
stanno in mente, se sono in reciproco accordo oppure no. TE Appun-
to; è proprio questo ciò che io desidero. SO E anch’io, certo. Ebbene,
poiché è così e abbiamo a nostra disposizione tutto il tempo possibile,
perché mai non riesaminare daccapo, tranquillamente, senza creare
difficoltà (oÙ duskola…nontej), ma esaminando a fondo noi stessi, che
cosa siano queste apparenze che abbiamo in noi? (154e-155a)
L’atteggiamento dell’interlocutore «difficile» consiste nell’agonismo di
chi cerca la vittoria dialettica piuttosto che la verità. Si può ricordare che
nei dialoghi socratici il «mettere alla prova» è un atteggiamento dialetti-
co caratteristico dei sofisti 72, con l’eccezione del Protagora, dove l’e-
spressione qualifica ripetutamente il metodo di Socrate 73.
L’aggettivo dÚskoloj e il verbo duskola…nein divennero probabil-
mente termini tecnici, come si può arguire dalle occorrenze della parola
in un dialogo tardo come il Teeteto e dal loro frequente impiego nei To-
pici di Aristotele, un’opera probabilmente giovanile e nata in seno al-
l’Accademia 74. Fra la dialettica socratica e la pratica descritta nei Topici
c’è una sostanziale continuità, che trova conferma indiretta nel giudizio
di Isocrate (il quale sembra mettere sullo stesso piano la dialettica inse-
gnata nell’Accademia e la pratica eristica 75), e nelle affermazioni dello
stesso Aristotele, che si richiama esplicitamente a Socrate 76.

72
In un altro luogo del Teeteto (157c) «mettere alla prova» è messo chiaramente in
relazione con la menzogna (OÙk o!da œgwge, ð Sèkratej: kaˆ g¦r oÙdþ perˆ soà dÚnamai
katanoÁsai pÒtera dokoànt£ soi lšgeij aÙt¦ À ™moà ¢popeir´).
73
Cfr. Premessa, 5. Una diversa valutazione del motivo dell’¢popeir©sqai nel Prota-
gora è offerta in Szlezák 1985, trad. it. 1988, p. 236 ss.
74
Cfr. per esempio Berti 1992 e Zadro 1974: «Le ragioni di carattere esterno per
l’anticipazione dei Topici consistono nella presenza di interessi che testimoniano per un
rapporto ancora stretto con l’Accademia e con Platone, nonostante la polemica ricor-
rente nei tÒpoi contro la teoria platonica degli e‡dh, qui sotto il nome di „dšai. Dalle con-
cordanze lessicali alla stessa connessione fra la forma dei dialoghi e l’oggetto dei Topici
è tutta una rete che intreccia concetti e metodi e con essi quest’opera di Aristotele e
quelle del suo maestro» (pp. 62-63).
75
Panath. 26.
76
Come dimostra il fatto che egli trae esempi dai dialoghi socratici (cfr. p.e. Soph.
El. 173a10 ss.). Socrate è espressamente menzionato nel capitolo XXXIV degli Elenchi
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I «TOPICI»: PROTAGORA COME INTERLOCUTORE «DIFFICILE» 141

La pratica dialettica di confutazione dovette continuare nell’ambito


dell’Accademia, ma il clima dell’Atene postbellica e i processi che porta-
rono alla condanna di Socrate e Protagora dovettero consigliarne un e-
sercizio sempre più appartato e prudente 77, finché Platone, come si può
ricavare dalla Repubblica, non si decise a proibirla ai più giovani, anche
per evitare il rischio di pericolose degenerazioni eristiche 78. La dialettica
di cui parla Aristotele era dunque certamente praticata nel chiuso della
scuola, e aveva perduto il carattere aperto del filosofare socratico, che si
svolgeva nelle vie e nelle piazze e si rivolgeva tendenzialmente a tutti i
cittadini. I Topici si concludono così:
Non si dovrà però discutere con chiunque, né bisognerà esercitarsi con
il primo venuto. In realtà, quando si discute con certe persone, le argo-
mentazioni diventano necessariamente scadenti. Quando infatti ci si
trova di fronte ad un interlocutore che cerca con ogni mezzo di uscire
apparentemente indenne dalla discussione, lo sforzarsi con ogni mezzo
di concludere la dimostrazione sarà certo giusto, ma non risulterà co-
munque elegante. Per questa ragione, appunto, non bisogna associarsi
con faciloneria ai primi venuti. Altrimenti sarà necessario giungere ad
una discussione velenosa, poiché in tal caso chi sta impratichendosi sa-
rà incapace di evitare una discussione agonistica. (164b9-16)

Aristotele, in generale, guarda allo spirito agonistico dei confronti dialet-


tici con occhi sicuramente più benevoli di Platone 79, ma, come quest’ul-
timo, ha ben presente la possibilità che la dialettica degeneri in eristi-
ca 80. E, da questo punto di vista, la nozione di interlocutore «difficile»
appare molto rilevante. È sufficiente che uno solo degli interlocutori non
discuta correttamente perché il confronto dialettico degeneri. Chi ri-

Sofistici (183b7); inoltre, gli esempi proposti da Aristotele (Top. 1.12) per illustrare il
procedimento dell’induzione sembrano fare riferimento alle argomentazioni socratiche
incentrate sul modello delle technai.
77
L’attendibilità della notizia del processo e della condanna di Protagora (la fonte
più antica è Timone di Fliunte, fr. 5 Di Marco = DK 80 A12) è peraltro molto contro-
versa. Cfr., fra gli scettici, per esempio Müller 1967 e Gigon 1985; a favore, per esem-
pio Piccirilli 1997 e Capra 2000.
78
Resp. 537b ss. Cfr. Berti 1978, pp. 358-363. Il passo può anche essere interpreta-
to come una critica all’eccessiva ‘apertura’ della dialettica socratica (così Nussbaum
1980, p. 88).
79
Cfr. Ryle 1966a, p. 58: «Both Plato and Aristotle rank agonistic very low. Aristo-
tle’s strictures, however, are less wholehearted than Plato’s, though even Plato now and
then lets Socrates score by fairly unscrupolous argumentative tricks. Aristotle allows
himself to give a good many tips in eristic gamesmanship. He is, after all, a much
younger man than Plato, and probably by nature more of a controversialist».
80
In questo senso si possono leggere le molte analogie fra Topici e Confutazioni so-
fistiche. Il passo fra eristica e dialettica appare spesso davvero breve. Cfr. Dorion 1990.
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142 L’ERISTICA E LA MISSIONE DEL FILOSOFO

sponde, se «mette difficoltà (duskola…nontej)» 81, «trasforma la discus-


sione da dialettica in agonistica». Contro un simile interlocutore – prose-
gue Aristotele – sarà lecito ricorrere anche a premesse false, perché – con-
clude – «di fronte ad individui che mettono difficoltà (duskola…nontaj),
non è forse possibile sviluppare i sillogismi che uno vuole, e ci si deve
accontentare di dedurre quelli che uno può» (161a) 82.
Ora, nel Protagora il sofista di Abdera è descritto, anche grazie alla
forma della narrazione indiretta, proprio come un interlocutore «diffici-
le», con termini simili al duskola…nein aristotelico 83. Ecco alcuni esempi
dell’atteggiamento tenuto da Protagora 84:
1 [Socrate si rivolge a Protagora] dato che mi sembri infastidito (du-
scerîj doke‹j moi œcein), lasciamo stare. (332a)
2 Protagora faceva il ritroso, e sosteneva che il discorso era capzioso
(™kallwp…zeto … tÕn g¦r lÒgon Æti©to duscerÁ e!nai). (333d)
3 Protagora mi pareva irritato e stizzito, e schierato a combattimento
per non rispondere (moi ™dÒkei … tetracÚnqai te kaˆ ¢gwni©n kaˆ
paratet£cqai prÕj tÕ ¢pokr…nesqai). (333e)
4 Mi accorsi che non era contento delle sue risposte (œgnwn g¦r Óti
oÙk ½resen aÙtÕj aØtù ta‹j ¢pokr…sesin). (335a-b)
5 Pieno di vergogna […] di mala voglia si apprestò a rispondere (a„-
scunqeˆj … mÒgij proutr£peto e„j tÕ dialšgesqai). (348c)
6 «Non so Socrate» – disse – «se debbo risponderti così semplice-
mente come tu mi interroghi […]. A me pare più sicuro risponderti,
non solo rispetto alla domanda che mi poni ma guardando a tutta la
mia vita, che […]». (351c-d)

Protagora è infastidito dall’andamento della discussione (1 e 4), tende a


chiudersi in difesa (2 e 3), accetta di rispondere solo per vergogna (5) e,
per sua stessa ammissione, non risponde sinceramente, badando piutto-
sto a non contraddirsi (6): ecco come il confronto dialettico degenera in
una competizione agonistica 85.

81
duskola…nein, come si ricava dalle altre occorrenze, indica un atteggiamento di o-
struzionismo dialettico da parte di un interlocutore che non ha obiezioni pertinenti e
conformi alle regole del gioco. Cfr. Top. 160b3 ss. e Soph. El. 75b35.
82
Traduzione di G. Colli lievemente modificata.
83
Si tenga presente, in proposito, il nesso fra ¢popeir©sqai e duskola…nein segnalato
nel passo del Teeteto citato sopra (154e-155a). All’atteggiamento ‘difficile’ di Protagora
fa da contraltare un atteggiamento ‘peirastico’ di Socrate.
84
Traduzioni mie.
85
Lo stesso concetto, in modo più esplicito, è espresso in Top. 159a28-33.
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UNA FILOSOFIA MILITANTE 143

Nonostante la sua sensibilità all’«eleganza», Aristotele avrebbe giu-


stificato qualunque mezzo pur di sconfiggere un interlocutore come
Protagora, e certo non avrebbe esitato ad assolvere Socrate. Inoltre, la si-
tuazione descritta da Aristotele, nell’ambito della dialettica d’élite che egli
conosce, è un caso limite; ben maggiori sono le difficoltà per Socrate,
che non limita la sua attività dialettica a un ristretto circolo filosofico, e
certamente si cura poco di apparire «elegante». In un contesto triviale
come la casa di Callia, popolata da un pubblico partigiano e soggiogato
da un interlocutore «difficile» come Protagora, una ‘caduta’ di Socrate
nell’eristica è dunque un incidente largamente prevedibile; il ricorso a
trucchi e a premesse false (come quella edonistica) appare del tutto na-
turale.

7. CONCLUSIONE: UNA FILOSOFIA MILITANTE

Un’interpretazione in chiave eristica del Protagora non soltanto appare


compatibile con la missione divina di Socrate e con il compito politico
che Platone assegnava ai filosofi, ma anzi vi trova la sua piena giustifica-
zione. L’adozione di strategie eristiche, in certi casi, doveva rendersi ne-
cessaria proprio per tener fede alle finalità più profonde del metodo so-
cratico: il filosofo, nei panni del ‘sofista nobile’, ha il dovere di sconfig-
gere l’erista sul (suo) terreno, per ricondurlo alla (propria) ragione. Ri-
conoscere il carattere agonale del Protagora non equivale tuttavia a vede-
re un sofista nel Socrate platonico, o addirittura nel Socrate storico; si
tratta piuttosto di precisare le condizioni di attuabilità della confutazio-
ne socratica: il ricorso all’eristica si rende necessario per confutare e con-
durre alla vergogna (questo il fine ultimo dell’elenchos) interlocutori che
traggono la propria presunzione di sapere dal successo e dalla fama 86.
Che una conversazione dialettica debba procedere in uno spirito di paci-
fica collaborazione è certo un ideale cui Socrate tende, ma questo ideale
non sempre è realizzabile, perché certi interlocutori, prima di scendere a
miti consigli, debbono essere preliminarmente ‘sconfitti’ sul terreno del-
l’empeiria e del consenso.
L’idealizzazione di Socrate, che i moderni hanno sovente dipinto co-
me una sorta di martire pacifista, si è potuta produrre solo a condizione
di obliterare l’agonismo che permeava di sé ogni aspetto della vita gre-

86
La tesi protagorea dell’homo-mensura, che pone la verità nel consenso, costitui-
sce per il pensiero platonico una sfida formidabile e – almeno all’epoca della composi-
zione del Protagora – irrisolta. Cfr. infra, VI.3.
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144 L’ERISTICA E LA MISSIONE DEL FILOSOFO

ca 87, se è vero – per fare solo un esempio – che obiettivo primario della
Repubblica è la dimostrazione che la vita del filosofo sia più felice, più
buona, più piacevole, insomma superiore in tutto a quella degli altri uo-
mini 88. Nietzsche osservò che «tutta quanta l’antichità greca pensa, ri-
guardo all’astio e all’invidia, diversamente da noi, e giudica come Esio-
do, il quale da un lato designa come cattiva una Eris, quella che spinge
l’uno contro l’altro gli uomini, in una crudele lotta di annientamento, e
d’altro lato loda come buona una seconda Eris, che sotto forma di gelo-
sia, astio e invidia, stimola gli uomini all’azione, non già a una lotta di
annientamento, bensì all’agone» 89. E di questo senso di emulazione ago-
nistica è venata l’intera opera platonica, che il filosofo tedesco descrive
come «il risultato di una gara con l’arte degli oratori, dei sofisti, dei poe-
ti drammatici dell’epoca» 90. Nella fantasia di Nietzsche, questo Platone
agonista rivive per proclamare il suo trionfo:
Guardate: io sono capace di fare quello che fanno i miei grandi rivali,
anzi sono capace di farlo meglio. Non c’è un Protagora che abbia crea-
to miti così belli come ho creato io, non c’è drammaturgo che abbia crea-
to un tutto così animato e così avvincente come il Simposio, non c’è o-
ratore che abbia composto un discorso quale io presento nel Gorgia: eb-
bene, io getto via tutto quanto assieme e condanno ogni arte imitativa. 91

I dialoghi di Platone non possono certo ridursi a pezzi di bravura, ma


non bisogna misconoscerne il forte spirito di emulazione. All’agonismo
greco, che Nietzsche descrive così efficacemente, non sono estranei né
Platone né il Socrate dei dialoghi. Platone bandì la poesia proprio men-
tre mostrava di essere poeta non inferiore ai più grandi; non diversamen-

87
Si tratta di una tendenza che conosce naturalmente numerose eccezioni. Dover
1980, per esempio, afferma che Platone era «a nursling of Attic drama and a product,
no less than the politicians and litigants whom he criticized so articulately, of a culture
which admired the art of the persuader» (p. viii). L’agonismo sembra essere una «carat-
teristica ‘fisiologica’ dello stile greco di pensiero» ossia «una vis polemica dettata da
esigenze di autopromozione sociale, connessa con un modello ‘agonale’ di confronto
delle idee che traeva, a sua volta, alimento dalla peculiare estensione della partecipazio-
ne politica e dell’interesse per il dibattito pubblico» (Sassi 1996, p. 744).
88
Di qui il frequente ricorso a metafore agonali nella Repubblica. Cfr. in proposito
Patterson 1997, uno studio che mira a mostrare come nella Repubblica «the practice of
philosophy is one continuous agon – life’s greatest agon in fact, and the only one that
really matters» (p. 329). Per ragioni analoghe, Segal 1978 ha potuto definire la Repub-
blica come una «Odyssey of logos» (p. 329). L’uso di metafore militari, inoltre, appare
coerente e articolato (vd. Canino 1998a).
89
Nietzsche 1872, trad. it. 1991, p. 121.
90
Ivi, p. 125.
91
Ibidem (con lievi modifiche).
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UNA FILOSOFIA MILITANTE 145

te, prima di condannare l’eristica come gioco futile ed estraneo alla ri-
cerca del vero, Socrate mostra di conoscerne bene le regole, e, soprattut-
to, di saper vincere 92. Il significato del Protagora, in cui Platone e Socra-
te rivaleggiano con Aristofane e Protagora, sta anche in questa prova di
agonismo e di forza.

92
L’abilità retorica del Socrate platonico è del resto riconosciuta da molti interpre-
ti recenti. Cfr. per esempio North 1988.
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TESTATINA FITTIZIA DA ELIMINARE 147

VI

SOCRATE NELLA CAVERNA:


PERDITA E RICONQUISTA
DEI PRESUPPOSTI DELLA DIALETTICA

Nel Protagora, Socrate «indossa il mantello del sofista» 1, ma il suo atteg-


giamento è pienamente comprensibile: la capacità di vincere un agone di
discorsi è parte integrante della missione del filosofo, e il ricorso a pro-
cedimenti eristici si rende necessario di fronte a interlocutori ostici e o-
stili. Si vedrà ora che il dialogo inscena la collisione fra il relativismo
protagoreo e la tensione all’universale della dialettica socratica.

1. CONFUTAZIONE SOCRATICA ED ERISTICA

Secondo diversi studiosi, l’eristica, storicamente praticata dai sofisti (a


Gorgia e Protagora Platone riconosce la capacità di dialogare brachilogi-
camente) 2, costituirebbe la premessa necessaria per la nascita della con-
futazione o elenchos socratico, come suggerisce Diogene Laerzio («Pro-
tagora per primo diede impulso al genere socratico dei discorsi», 9.53) 3.
Secondo questa ipotesi, sostenuta fra gli altri da Enrico Berti, vi sarebbe
dunque una forte continuità fra l’eristica protagorea e la dialettica socra-
tico-platonica 4. Ma quali sono, concretamente, le differenze fra dialetti-
ca ed eristica?

1
Melling 1987, trad. it. 1994, p. 48. Per l’atteggiamento eristico di Socrate vd. le
Appendici e supra, IV e V.
2
Gorg. 449b-c; Prot. 329b-c, 334e.
3
9.53: oátoj kaˆ tÕ SwkratikÕn e!doj tîn lÒgwn ™k…nhse; l’attendibilità della notizia
è difesa da Untersteiner 19672, p. 75 nota 93.
4
Berti 1978; cfr. Ryle 1966a e Sichirollo 1973, p. 24 ss. Secondo Berti, «The only ap-
preciable external difference consisted in the fact that the Sophists had themselves been
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148 SOCRATE NELLA CAVERNA

In diversi luoghi Platone accenna ai tratti che distinguono eristica


e dialettica: la prima, diversamente dalla seconda, ha un carattere com-
petitivo, prescinde dalla sincerità degli interlocutori, produce confuta-
zioni «apparenti», sul piano meramente verbale, si avvale di varie tec-
niche psicologiche per mettere in difficoltà l’avversario 5. Sulla base di
questi accenni disseminati nei dialoghi, sono stati fatti alcuni tentativi
di spiegazione unitaria: la dialettica socratica divergerebbe dall’eristica
nei fini e non nel metodo 6, oppure tutte le differenze ricordate conver-
gerebbero nel carattere apparente, in senso aristotelico, della confuta-
zione sofistica 7; o ancora si è detto che Socrate, diversamente dai sofi-
sti, mira alla verità 8, che la marca dell’elenchos socratico è la sincerità
degli interlocutori 9, e altro ancora 10. Queste spiegazioni, di fatto, pri-
vilegiano alcuni tratti distintivi a scapito di altri, mentre qui vorrei
mettere in luce lo sfondo epistemologico che distingue l’eristica dalla
dialettica 11.
Secondo Berti, l’eristica di Protagora si basa sull’opinione ed è quin-
di «democratica» mentre «il contributo originale portato da Socrate alla
dialettica greca consiste nell’atteggiamento che egli assunse nei confronti
di Protagora a proposito dell’opinione. Per Protagora […] tutte le opi-
nioni sono vere ed è compito della dialettica far prevalere l’una o l’altra,
con l’esercizio di un’opera di persuasione positiva analogo a ciò che è
propriamente la retorica. Per Socrate, al contrario, tutte le opinioni so-
no, in quanto tali, false, o meglio, potrebbero essere tanto vere quanto
false, perché mancano del carattere di verità necessaria che appartiene

paid for their teaching, but not Socrates. For the rest he practiced the same method as
that of the Sophists» (p. 356). Cfr., contra, Murray 1994. Questo lavoro contiene ulte-
riore bibliografia sull’argomento.
5
Vd. da ultimo il primo paragrafo di Gentzler 1995.
6
Nehamas 1990.
7
Benson 1989.
8
Questo, in generale, è l’approccio adottato nelle interpretazioni ‘costruttiviste’
dell’elenchos, inaugurate da Vlastos 1983.
9
Ibidem. Per una critica recente di questa posizione, vd. da ultimo Bailly 1999.
10
Alcune di queste interpretazioni, in particolare quella di Kerferd 1981 (trad. it.
1988), sono discusse in Nehamas 1990.
11
Queste interpretazioni propongono un confronto fra la dialettica socratica e l’at-
tività che Platone denomina «eristica», ma nulla ci garantisce che quest’ultima sia qual-
cosa di unitario, tanto più se si considera che essa dovette evolversi nel tempo (e le te-
stimonianze platoniche sono dislocate lungo l’intero arco della sua produzione). Di fat-
to, l’unico esempio concreto di eristica – ampiamente utilizzato negli studi ricordati – è
la pratica illustrata nell’Eutidemo. Quest’ultima, tuttavia, doveva essere una forma de-
generata dell’eristica protagorea, e pare assai poco opportuno identificarla tout court
con la pratica introdotta ad Atene dal sofista di Abdera.
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LE ‘GAMBE’ DELL’ELENCHOS 149

solo alla scienza» 12. Ma in che modo la concezione del sapere di Socrate
si riflette sul suo metodo di confutazione?

2. LE ‘GAMBE’ DELL’ELENCHOS

Malgrado le insistite professioni di ignoranza, nei dialoghi Socrate appare


in possesso di una teoria della conoscenza che gli permette di valutare le
pretese conoscitive dei suoi interlocutori 13. Socrate e Platone ereditarono
infatti dalla riflessione filosofica, medica e tecnica dei predecessori una
concezione del sapere complessa e articolata 14; proprio questa concezio-
ne è alla base della famosa tesi socratica secondo cui «virtù è scienza» 15.
Di regola, gli interlocutori con cui Socrate si confronta «non hanno
nulla che ricordi una teoria della conoscenza. È Socrate che fornisce loro
la necessaria teoria, li porta ad aderirvi e infine, su questa base, mostra
loro che essi non sono degli esperti» 16. Quando sofisti e retori si dichia-
rano in possesso di un sapere generale, Socrate li induce ad ammettere,
quasi inconsapevolmente, che il loro sapere, per essere veramente tale,
deve rispondere ai requisiti di una techne artigianale, come l’insegnabili-
tà, la delimitazione di un campo e altri 17 . Poiché i requisiti mancano, So-
crate ha buon gioco nel dichiarare falso quel sapere 18.

12
P. 356. Un’interpretazione completamente diversa è offerta da Giannantoni 1995.
Secondo Giannantoni, il t… ™stin socratico non ha alcuna portata ontologica, mentre la
verità cercata nei dialoghi non è altro che la Ðmolog…a. Questa interpretazione mi pare
però incompatibile con luoghi quali Charm. 166d (fine del dialogare è g…gnesqai kata-
fanþj ›kaston tîn Ôntwn ÓpV œcei). Cfr. anche Charm. 169a.
13
L’ostentata ‘ignoranza’ di Socrate ha sempre costituito un problema, perché egli
dichiara di conoscere alcune verità etiche (i paradossi socratici). In genere, si cerca per-
ciò di attribuire ai termini «conoscenza» e «conoscere» significati diversi a seconda dei
contesti. Vd. per esempio Vlastos 1985, Lesher 1987, Yonezawa 1995, Graham 1997.
14
Cfr. per esempio Heinimann 1961.
15
Vd. in generale Cambiano 19912. Platone fa riferimento a precise correnti della
medicina ippocratica (vd. Vegetti 1995), e la medicina appare spesso la techne per ec-
cellenza (p.e. Joly 1961).
16
Woodruff 1990, p. 67.
17
Per i requisiti delle technai, cfr. per esempio Woodruff 1990 e La Barge 1997.
18
Secondo Rossetti 1990, le analogie socratiche «vengono accreditate dal locutore
senza che questi propriamente renda conto della loro proponibilità e pertinenza, come
se fosse superfluo farlo, come se fosse impensabile avere delle riserve sulla estensibilità
dello schema» (p. 24). Si rischia però, su questa via, di intendere il metodo socratico
solo come una strategia protrettico-retorica: così avviene in effetti in Roochnik 1996.
Gonzalez 1998 ritiene che il Lachete e il Carmide escludano l’equivalenza fra techne e
virtù (vd. in part. p. 31 ss.). Questa tesi contrasta però con la valutazione positiva delle
technai nell’Apologia, con la tesi socratica che «virtù è scienza» e con la circostanza che
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150 SOCRATE NELLA CAVERNA

Molte argomentazioni socratiche si basano così sul presupposto, che


vien dato per scontato, di un particolare status che accomuna tutte le
technai 19. Il ricorso al modello delle tecniche è quindi parte integrante
dell’elenchos socratico e assicura al filosofo un criterio oggettivo per di-
scernere il vero dal falso 20. Proprio questo distingue la dialettica socrati-
ca dall’eristica di Protagora il quale, come emerge in particolare dal Tee-
teto, non riteneva possibile stabilire una distinzione tra vero e falso se
non in termini di consenso 21, perché ai suoi occhi apparenza e giudizio
coincidono 22. È probabilmente per questa ragione che il linguaggio, se-
condo Protagora, si muove in un orizzonte puramente emozionale: secon-
do Diogene Laerzio, egli «distinse per primo il discorso in quattro tipi:
preghiera, domanda, risposta, comando» (DK 80 A1; cfr. Aristot. Poet.
1456b15-17). Al contrario, il paradigma delle technai pone le premesse
per la ricerca della verità nel discorso, e prelude perciò, seppur lontana-
mente, alla logica aristotelica, che assegnerà al discorso apofantico una
posizione di preminenza 23.
Il ricorso al modello delle technai presuppone a sua volta un ordine
oggettivo nelle cose, benché tale ordine non sia pensato in termini meta-
fisici come nei dialoghi della maturità 24. Secondo un presupposto che

in genere è Socrate a introdurre il motivo delle tecniche. La tesi centrale del libro di
Gonzalez – stimolante e ben argomentata – è che la dialettica sia un sapere non propo-
sizionale e non ‘tecnico’, che si rivela nell’atteggiamento di Socrate durante l’indagine.
Senza entrare nei complessi problemi sollevati da Lachete e Carmide, si noti almeno che
Gonzalez non affronta altri dialoghi – come il Gorgia o lo Ione – in cui il ruolo positivo
delle tecniche, come paradigma epistemologico, è più evidente; egli dichiara però che
dialoghi come il Carmide e il Lachete sono «more revealing of the way in which Socra-
tes searches for the essential truth» (p. 15). Su quale base? Inoltre: se si ammette che la
dialettica miri a un sapere non proposizionale (che peraltro può non coincidere nei
contenuti con quello indicato da Gonzalez: vd. il tema della persuasione sviluppato nella
Premessa), ciò non esclude che questo sia l’unico obiettivo: la ricerca di un sapere poli-
tico, motivo comunissimo nei dialoghi, attinge senza dubbio al paradigma delle tecniche.
19
Cfr. Roochnik 1986.
20
Una discussione dialettica che prendesse ad oggetto un simile presupposto sa-
rebbe dunque «meta-elenctica». Il termine è impiegato in Vlastos 1983 (vd. p. 53, cfr.
p. 33 ss.). Vlastos però non pone il ricorso alle technai fra gli elementi costitutivi del-
l’elenchos. Cfr. invece Kahn 1983.
21
La cosa appare evidente nel famoso argomento della peritrope (Tht. 170e-171a):
una tesi che ÓsJ ple…ouj oŒj m¾ doke‹ À oŒj doke‹, tosoÚtJ m©llon oÙk œstin À œstin.
22
Cfr. Decleva Caizzi 1978 (in part. p. 33).
23
Come è noto, Aristotele attribuisce a Socrate la scoperta dell’induzione e degli
universali (Metaph. 1078b).
24
Questa la celebre interpretazione di Aristotele, Metaph. 987b: Swkr£touj perˆ mþn
t¦ ºqik¦ pragmateuomšnou, perˆ dþ tÁj Ólhj fÚsewj oÙqšn, ™n mšntoi toÚtoij tÕ kaqÒlou zh-
toàntoj kaˆ perˆ Ðrismîn ™pist»santoj prètou t¾n di£noian, ™ke‹non ¢podeix£menoj [scil.
Pl£twn] … Øpšlaben æj perˆ ˜tšrwn toàto gignÒmenon kaˆ oÙ tîn a„sqhtîn. Tuttavia, la
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LE ‘GAMBE’ DELL’ELENCHOS 151

Platone trasmetterà ad Aristotele, soltanto ciò che è, ciò che si sottrae al


divenire può essere oggetto di scienza 25. Ora, le tecniche artigianali che
Socrate assume a modello del sapere si definiscono proprio in relazione
a un fine – o a un prodotto – estraneo al divenire 26: per il medico esiste
uno stato che si connota oggettivamente come stato di salute, l’artigiano,
quando costruisce una spola 27, ha dinanzi agli occhi un paradigma og-
gettivo, il «modello immutabile» della sua tecnica, nelle parole di Jean
Pierre Vernant 28. Analogamente la virtù, che per Socrate è scienza del
bene e del male, ha per oggetto il bene, un bene che dunque si presume
oggettivo e immutabile 29.
L’esistenza di tale ordine oggettivo o – come dirà Aristotele – del-
l’«universale», era proprio ciò che Protagora negava, almeno secondo
l’interpretazione platonica: per il sofista nulla è, ma tutto incessantemen-
te diviene, e non vi è alcuna stabilità (bebaiÒthj) nelle cose (Crat. 386a).
La confutazione, per il sofista, poteva dunque attuarsi soltanto sul piano
meramente verbale, perché le determinazioni del linguaggio in nessun
modo possono aderire all’incessante divenire delle cose 30. Questo è pre-
cisamente ciò che suggerisce la testimonianza, già ricordata, di Diogene
Laerzio, secondo il quale Protagora «per primo […] mise in atto agoni

distanza fra dialoghi socratici e della maturità non deve essere sopravvalutata, perché la
domanda socratica sfocia direttamente nella dottrina delle idee. Come osserva Trabattoni
1996, «quando il Socrate platonico pone domande del tipo: ‘che cosa tu dici che sia la
giustizia?’, oppure ‘c’è qualcosa che tu chiami giusto o no?’, l’intento di Platone è quello
di dimostrare che già nel comune pensiero e linguaggio, nella misura in cui esso si riferi-
sce a qualcosa come ‘il giusto’, è implicito un riferimento alle essenze universali» (p. 901).
25
Questo presupposto è del tutto esplicito in Aristotele. Cfr. per esempio Eth. Nic.
1139b18 ss.; Metaph. 1040a2 ss. Ma cfr. già Gorg. 449d: … ¹ ·htorik¾ perˆ t… tîn Ôntwn
tugc£nei oâsa; ésper ¹ Øfantik¾ perˆ t¾n tîn ƒmat…wn ™rgas…an: … ‡qi d» moi ¢pÒkrinai
oÛtwj kaˆ perˆ tÁj ·htorikÁj, perˆ t… tîn Ôntwn ™stˆn ™pist»mh; (cfr. anche 451d). Impor-
tante, in questo senso, è anche un passo del Cratilo (440a-c).
26
Le tecniche erano concepite come sistemi chiusi, forme di sapere che gli uomini
scoprono fino alla perfezione, senza che il progresso tecnico possa apportare cambiamen-
ti strutturali. Questa concezione è efficacemente delineata in Vernant 19712, trad. it. 19782.
27
L’esempio della spola è tratto dal Cratilo, 389a-b: T… dš; ¨n katagÍ aÙtù ¹ kerkˆj
poioànti, pÒteron p£lin poi»sei ¥llhn prÕj t¾n kateagu‹an blšpwn, À prÕj ™ke‹no tÕ e!doj
prÕj Óper kaˆ ¿n katšaxen ™po…ei;
28
Vernant 19712, trad. it. 19782, p. 313.
29
Il nesso fra techne e teoria delle idee appare evidente in dialoghi come l’Eutifrone
e l’Ippia Maggiore, dove si trovano gli embrioni della teoria. Infatti, «se è possibile par-
lare di una tecnica concernente il valore ‘santo’, essa ha come proprietà fondamentale
la conoscenza dell’idea di santo». Anche nell’Ippia Maggiore per giungere al valore ‘bel-
lo’ occorre puntare lo sguardo (¢poblšpein) verso l’idea, cioè verso «il bello in sé»
(Cambiano 19912, p. 108).
30
Per l’impossibiità del linguaggio di aderire al flusso perpetuo nella prospettiva e-
raclitea che Platone attribuisce a Protagora, vd. Tht. 183a-b.
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152 SOCRATE NELLA CAVERNA

di discorsi, e propose sofismi agli amanti delle controversie. Lasciando


da parte il pensiero portò la discussione sulla parola e diede origine al-
l’attuale razza superficiale degli eristi» 31.
Secondo Platone, proprio il carattere verbale è uno dei tratti che di-
stinguono l’eristica dalla dialettica: nella Repubblica, ad esempio, Socrate
ricorda che molti, «per l’incapacità che hanno di sottoporre a indagine
quanto viene detto operando distinzioni in generi (e‡dh)», perseguono
«l’opposizione di un enunciato secondo il nome per se stesso (kat’ aÙtÕ
tÕ Ônoma), facendo dunque uso dell’eristica, non della dialettica» (454a-b).
Questa distinzione per generi non deve essere considerata un portato
della metafisica platonica. Nei Memorabili di Senofonte, Socrate sostiene
che «il dialogare (dialšgesqai) prende il nome dal riunirsi per deliberare
in comune distinguendo le cose secondo i loro generi (dialšgontaj kat¦
gšnh t¦ pr£gmata)» (4.5.12).
Nell’ottica di Protagora, evidentemente, non avrebbe senso porsi il
problema di distinguere correttamente gli e‡dh o gšnh, giacché ai suoi oc-
chi un ordine oggettivo non esiste. Di conseguenza, il dialogante dovrà
badare soltanto a non contraddirsi, come emerge proprio in un passo
del Protagora (351c-d) 32. È questo un altro tratto distintivo dell’eristi-
ca 33: il dialogante si «divincola» per sfuggire alla contraddizione 34.
«Il metodo dialettico» – dirà Socrate a proposito della liberazione
dalla caverna – «procede per questa via, levando di mezzo le ipotesi per
trovare stabilità (bebaièsetai) nel principio stesso, e trae dolcemente
verso l’alto l’occhio dell’anima, impantanato davvero in un fango barba-
rico, con l’ausilio e la collaborazione delle technai che abbiamo passato
in rassegna» (Resp. 533c-d). Tutte le singole differenze fra la dialettica
socratica e l’eristica che Platone menziona nei dialoghi sono in effetti ri-
conducibili a due presupposti, saldamente connessi, che preludono alla
«stabilità» e alla funzione ancillare delle technai di cui si parla in questo
passo della Repubblica:

31
D’altra parte la connessione fra una concezione mobilista e l’eristica è sottolinea-
ta dallo stesso Platone. Cfr. Phdo. 90b-c: kaˆ m£lista d¾ oƒ perˆ toÝj ¢ntilogikoÝj lÒgouj
diatr…yantej o!sq’ Óti teleutîntej o‡ontai sofètatoi gegonšnai kaˆ katanenohkšnai mÒnoi
Óti oÜte tîn pragm£twn oÙdenÕj oÙdþn Øgiþj oÙdþ bšbaion oÜte tîn lÒgwn, ¢ll¦ p£nta t¦
Ônta ¢tecnîj ésper ™n EÙr…pJ ¥nw k£tw stršfetai kaˆ crÒnon oÙdšna ™n oÙdenˆ mšnei.
32
OÙk o!da, ð Sèkratej, œfh, ¡plîj oÛtwj, æj sÝ ™rwt´j, e„ ™moˆ ¢pokritšon ™stˆn æj
t¦ ¹dša te ¢gaq£ ™stin ¤panta kaˆ t¦ ¢niar¦ kak£: ¢ll£ moi doke‹ oÙ mÒnon prÕj t¾n nàn
¢pÒkrisin ™moˆ ¢sfalšsteron e!nai ¢pokr…nasqai, ¢ll¦ kaˆ prÕj p£nta tÕn ¥llon b…on tÕn
™mÒn, Óti œsti mþn § tîn ¹dšwn oÙk œstin ¢gaq£, œsti d’ aâ kaˆ § tîn ¢niarîn oÙk œsti
kak£, œsti d’ § œsti, kaˆ tr…ton § oÙdštera, oÜte kak¦ oÜt’ ¢gaq£.
33
Cfr. Tht. 154d.
34
Lach. 196a-b; cfr. Ion, 541e; Resp. 405b-c.
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LO SMARRIMENTO DEI PRESUPPOSTI DELL’ELENCHOS 153

1 una teoria della conoscenza modellata sul paradigma epistemologico


delle technai artigianali;
2 l’esistenza di un ordine oggettivo delle cose.
Inversamente, Protagora negava qualunque «stabilità» oggettiva del-
le cose (bebaiÒthj), ed è probabilmente questa la ragione dell’ostilità per
le technai che alcune fonti gli attribuiscono 35, e che appare evidente pro-
prio nel Protagora 36.
Protagora si muove dunque in un universo cangiante, nell’incessante
flusso del divenire. Egli – come la bestia sfuggente e imprendibile del So-
fista – sguscia nell’acqua bassa e torbida delle apparenze, nel mondo
umbratile della polis democratica. Socrate affronta invece il «fango bar-
barico» a bordo di una ‘macchina’ dialettica munita di due gambe – i
presupposti ora ricordati – che assicurano ancoraggi stabili e oggettivi.
Al riparo dall’acqua, il pilota può dunque volgersi agli universali – don-
de poi l’ipotesi metafisica delle idee – e trarne i criteri per confutare le
false conoscenze degli schiavi che sguazzano nell’ombra.

3. LO SMARRIMENTO DEI PRESUPPOSTI DELL’ELENCHOS

Benché nei dialoghi si possa trovare qualche accenno polemico contro


l’abitudine di giudicare ogni forma di sapere con la pietra di paragone
delle technai 37, i presupposti della dialettica socratica non sono mai se-
riamente messi in discussione: Polo, Gorgia, Ione, Ippia […] nessuno di
costoro solleva obiezioni quando Socrate ‘dimostra’ la falsità di ogni sa-
pere che non risponde ai requisiti delle tecniche artigianali 38, o quando

35
DK 80 B7.
36
318d-319a.
37
Nel Carmide Crizia nega che la swfrosÚnh possa essere considerata alla stregua
di un’arte produttiva di un œrgon e Cratilo, nel dialogo omonimo, rifiuta di estendere al-
l’arte del legislatore l’osservazione, ritenuta valida per la pittura e l’architettura, che i
prodotti di un’arte possano essere più o meno belli (Charm. 165e; Crat. 429a-b). Il caso
più interessante è però offerto, nel Gorgia, dalla protesta di Callicle contro l’abitudine
socratica di tirare sempre in ballo gli artigiani in ogni discussione (491a-b).
38
Cfr. in particolare tutto il confronto fra Socrate e Gorgia nell’omonimo dialogo;
Gorgia non mette mai in dubbio che la retorica sia una techne; è invece Socrate a farlo.
Gorgia considerava la retorica la migliore delle tecniche (cfr. 448c, dove il giudizio è
posto in bocca all’allievo Polo, e Phil. 58a-b: secondo Gorgia l’arte di persuadere è ma-
krù ¢r…sth tîn tecnîn). Considerazioni analoghe si possono fare per l’Alcibiade I, dove
il modello delle technai viene proposto con insistenza nell’indagine della techne politi-
ca. Anche in questo dialogo è proposto il paragone con la lingua madre, ma esso viene
immediatamente rigettato (110d ss.).
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154 SOCRATE NELLA CAVERNA

presume l’esistenza di un bene (unico e immutabile) cui tutti tendono 39.


Protagora invece, come si vedrà, riesce nell’impresa di ‘tagliare le gam-
be’ all’elenchos socratico.
Nella scena iniziale del Protagora (v. 312b ss.), Socrate pone al giova-
ne Ippocrate una domanda che ritorna spessissimo, con lievi differenze,
nei dialoghi socratici: in cosa consiste il sapere del sofista? O meglio: in
quale techne artigianale? Quale è il suo campo specifico, così come il
campo specifico del pittore è la produzione di immagini? Ippocrate, co-
me tutti gli interlocutori socratici, non è in grado di rispondere e non
mette in discussione l’analogia fra il sapere generale del sofista e quello
particolare delle technai artigianali. In un secondo momento, Socrate ri-
propone la stessa domanda a Protagora, che risponde così:
Tu interroghi bene, Socrate, ed io sono lieto di rispondere a chi inter-
roga bene. Ippocrate, venendo da me, non si troverà nella situazione
che subirebbe frequentando qualche altro sofista. Gli altri infatti rovi-
nano i giovani. Questi fuggono le tecniche, ma essi ve li ricacciano a
forza […] l’oggetto del mio insegnamento è l’accortezza negli affari do-
mestici – come amministrare la propria casa nel modo migliore – e ne-
gli affari della città – come essere abilissimi a parlare e ad agire per il
governo della città. (318d-e)

La risposta di Protagora prelude al Grande Discorso, nel quale il sofista


ribadisce con nettezza la distinzione fra technai specialistiche (œntecnoj
sof…a e dhmiourgik¾ tšcnh) e arte politica (politik») (321d); quest’ultima
non è assimilabile ai saperi specialistici ma è condivisa in qualche misura
da tutti gli uomini, analogamente alla conoscenza della lingua madre.
Protagora equipara bensì virtù e scienza – egli parla indifferentemente di
arte (tšcnh) politica e di virtù (¢ret») politica – ma il sapere in questione
non è specialistico, e proprio per questo si oppone al modello delle technai
caro a Socrate 40. Nel seguito del confronto dialettico Socrate non impie-
ga più i consueti argomenti basati sull’analogia fra virtù e techne 41:
l’elenchos socratico, privo di una delle sue gambe, appare dimidiato.

39
Cfr. per esempio Gorg. 467c ss.; Euthd. 278e ss.; Men. 77b ss. Le tesi centrali del-
l’etica socratica poggiano su questa presunzione.
40
La confusione fra i due termini nel Grande Discorso è descritta con cura in
Adkins 1973. Cfr. p. 6: «[…] an examination of Protagoras’ exposition shows clearly
that ¢ret» and tšcnh are being used to denote the same kind of activities. politik¾ tšcnh
and politik¾ ¢ret» have the same implications».
41
Se non nell’interpretazione di Simonide, che non ha carattere dialettico. Si po-
trebbe ritenere che questa mancanza sia dovuta all’argomento del dialogo (l’unità delle
virtù), ma a mio avviso Socrate si volge all’indagine dei rapporti fra le virtù perché non
è in condizione di attaccare direttamente le pretese conoscitive di Protagora.
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LO SMARRIMENTO DEI PRESUPPOSTI DELL’ELENCHOS 155

In diversi momenti del dialogo, Protagora mostra una certa insoffe-


renza nei confronti delle domande di Socrate:
1 «Non mi pare, o Socrate» – disse – «che sia così semplice giungere
ad ammettere che la giustizia sia santa e la santità giusta, anzi mi pa-
re che tra esse vi sia qualche differenza. Ma che importa ciò? Se vuoi,
ammettiamo pure che la giustizia sia santa e la santità giusta». (331c)
2 «Ma» – riprese egli – «c’è qualche somiglianza fra la giustizia e la san-
tità, perché in certo modo ogni cosa è simile a ogni altra […]» [Pro-
tagora insiste su questo punto]. (331d)
3 «Ti pare che chi commette ingiustizia, in quanto tale, sia saggio?».
«Avrei vergogna, Socrate, ad ammetterlo quantunque molti uomini
lo dicano». «Ma è con essi che dovrò discutere?». «Se vuoi» – rispo-
se – «discuti prima le asserzioni di costoro, cioè le asserzioni dei
molti». (333b-c)
4 «Affermi che esistono alcune cose buone?». «Lo affermo». «Sono
buone, chiesi, le cose utili agli uomini?». «Eh sì, per Zeus, rispose,
ma io chiamo buone anche cose che non sono utili agli uomini» […].
«Tu intendi, Protagora, aggiunsi, le cose che non sono utili a nessun
uomo o quelle che non sono assolutamente utili? Queste tu le chia-
mi buone?» [Protagora si produce in un lungo e applaudito excur-
sus sulla relatività dell’utile]. (333d ss.)

Le risposte di Protagora non sono dettate soltanto, come comunemente


si crede, da reticenza e da un atteggiamento ‘retorico’ che ostacolerebbe
indebitamente la dialettica socratica. Per Protagora – come emerge nel
Cratilo – non vi è stabilità nelle cose (pr£gmata, cr»mata), che non so-
no, ma divengono incessantemente (386a). Poco oltre è riportata la posi-
zione del protagoreo Eutidemo, secondo il quale «tutte le cose somiglia-
no a tutte le cose» (386d). È chiaro che in una simile ottica le domande
di Socrate, volte a istituire relazioni forti di identità e contrarietà, non
hanno senso, ed è proprio questo che Protagora pare suggerire, quando
sottolinea che ogni cosa in certo modo somiglia a ogni altra, o quando ri-
fiuta di assumere una posizione netta 42.
È interessante esaminare la reazione di Socrate di fronte alle difficoltà
sollevate dal sofista. Ecco la risposta alle affermazioni 1 e 3 di Protagora:
«Non da parte mia risposi. Io non ho affatto bisogno di mettere a pro-
va (™lšgcesqai) i ‘se vuoi’ e i ‘se ti pare’, ma me e te. Dico me e te, con-

42
«All’ordinamento forte delle contrapposizioni contraddittorie e delle esclusioni
nette che ne derivano Protagora contrappone l’ordinamento debole delle somiglianze»
(Viano 1985, p. 38).
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156 SOCRATE NELLA CAVERNA

vinto di mettere alla prova il discorso nel modo migliore se si eliminano


i ‘se’». (331c-d)
«Ma, purché tu mi risponda (™¦n mÒnon sÚ ge ¢pokr…nV), a me non im-
porta affatto (oÙdþn diafšrei) se queste corrispondano o no alla tua
opinione: è il discorso che io soprattutto sottopongo ad esame, anche
se probabilmente avverrà che l’esame si eserciti su me che interrogo e
su colui che risponde». Da principio Protagora si schermì, ma poi ac-
cettò di rispondere. (333c-d)
Nel primo di questi passi si è voluta vedere la conferma di un dogma
professato da diversi studiosi del metodo socratico: la necessità che i due
interlocutori siano sinceri 43. Il secondo evidentemente contraddice alla
‘regola’, e ha costretto gli interpreti a spiegazioni un po’ avventurose 44,
quando non a traduzioni forzate del testo 45. In realtà pare difficile acco-
stare il primo passo a quelli che richiamano la ‘regola’ della sincerità,
perché in questi ultimi il tema è introdotto in modo molto esplicito (con
la formula par¦ t¦ dokoànta o par¦ dÒxan per indicare una risposta non
sincera 46). Nel Protagora, invece, Socrate pare infastidito non tanto dalla

43
L’accostamento del primo passo con i luoghi di altri dialoghi in cui Socrate ri-
chiede la regola della sincerità è operato in Vlastos 1983. Secondo lo studioso l’elen-
chos, basato su premesse vere e sulla sincerità degli interlocutori, è in grado di fornire
una dimostrazione universalmente valida della falsità delle tesi morali dei suoi interlo-
cutori. L’interpretazione di Vlastos è stata criticata per molti aspetti (gran parte della
discussione è relativa a ciò che Vlastos definisce «the problem of Socratic elenchus»:
per quale motivo Socrate e i suoi interlocutori abbandonano un’ipotesi solo perché in
contraddizione con certe premesse?), ma è rimasta a lungo salda l’idea che il metodo con-
futatorio dei dialoghi socratici sia un meccanismo unitario che richiede la sincerità de-
gli interlocutori (cfr. Kraut 1983, Kahn 1983, Brickhouse - Smith 1983, pp. 185-195,
Ioppolo 1985, Brickhouse - Smith 1991). Per qualche interpretazione meno monolitica,
vd. per esempio McTighe 1984, Woodruff 1986, Teloh 1987 (dove però il tema della
sincerità non gioca un ruolo decisivo).
44
Secondo Vlastos 1983, il secondo passo rappresenta un’eccezione alla regola del-
la sincerità, dovuta a un particolare riguardo di Socrate, deciso – attraverso la controfi-
gura dei «molti» – a offrire a Protagora la possibilità di «salvare la faccia», evitando una
confutazione esplicita. La posizione di Vlastos è criticata in Irwin 1993 non solo relati-
vamente a questa ipotesi, ma anche alla più recente spiegazione offerta da Vlastos, se-
condo la quale è la scarsa collaborazione dialettica di Protagora a spingere Socrate a
esaminare la posizione dei «molti» (Vlastos paragona il passo del Protagora a Resp.
340c1-2, 349a-b; vd. Vlastos 1991, p. 113 nota 29). Secondo Irwin, invece, «Plato so-
metimes relaxes the rule of sincerity so that he can give a hearing to positions that
would be excluded if the rule of sincerity were observed».
45
Balaudé 1997, p. 247, traduce così: «Mais pour moi, ça n’a aucune importance!
pourvu seulement que toi tu me répondes, sur le point de savoir si tu es ou non de cet
avis» (¢ll’ oÙdšn moi diafšrei, ™¦n mÒnon sÚ ge ¢pokr…nV, e‡t’ oân doke‹ soi taàta e‡te m»).
Sembra tuttavia molto improbabile che la disgiuntiva dipenda da ¢pokr…nV piuttosto
che da diafšrei.
46
Gorg. 500b; Resp. 346a; Crit. 49c-d. Vd. Vlastos 1983, p. 85.
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LO SMARRIMENTO DEI PRESUPPOSTI DELL’ELENCHOS 157

mancanza di sincerità, quanto dalla forma condizionale in cui Protagora


enuncia le sue risposte 47. Il sofista rifiuta di assumersi la responsabilità
di una risposta netta, che sarebbe in effetti incompatibile con i presup-
posti ultimi del suo pensiero. Di fronte a questi campanelli d’allarme,
che annunciano una posizione filosofica incompatibile con l’elenchos, la
prima preoccupazione di Socrate è quella di vincolare Protagora a rispo-
ste nette e confutabili, con un irrigidimento che ricorda significativa-
mente la durezza con cui i sofisti dell’Eutidemo esigono dall’interlocuto-
re risposte univoche 48: da questo punto di vista le due repliche di Socra-
te sono perfettamente coerenti. Il giro di vite impresso da Socrate si rive-
la però vano, perché Protagora reagisce alle durezze con un excursus re-
lativistico che sfocia nell’applaudita asserzione che «il bene è variegato e
multiforme» (334b), negando così ogni valore alle domande che Socrate
gli rivolge.
Il colpo inferto da Protagora all’elenchos socratico è durissimo: dopo
il paradigma tecnico cade anche il secondo presupposto dell’interrogare
socratico. Tutto questo avviene nel corso di uno scontro dialettico teso e
frenetico, ma la concretezza drammatica del duello si alimenta di moti-
vazioni filosofiche profonde, che Platone chiarirà – per così dire a fred-
do – nel Teeteto. L’insidia rappresentata dalle posizioni di Protagora per
l’elenchos è espressamente riconosciuta in un passo che discute le conse-
guenze della tesi protagorea dell’homo-mensura: l’intera attività socratica
di confutazione sarebbe una «immensa stupidaggine, se è vera La Verità
di Protagora» (162a) 49. L’incompatibilità fra l’epistemologia socratica e

47
Cfr. Taylor 19912, p. 132.
48
Socrate si esprime in termini (™¦n mÒnon sÚ ge ¢pokr…nV … oÙdþn diafšrei) che ri-
cordano da vicino alcune parole di Eutidemo, il quale nell’omonimo dialogo afferma
che «non fa nessuna differenza (oÙdþn diafšrei) […] se solo il ragazzo sarà disposto a ri-
spondere (™¦n mÒnon ™qšlV ¢pokr…nesqai)» (Euthd. 275b-c). Pur di vincolare Protagora,
non soltanto Socrate rinuncia alla sincerità, ma invita Protagora a rispettare una delle
più severe regole del gioco eristico, ossia la necessità, come emerge dal seguito dell’Eu-
tidemo, che l’interlocutore risponda in modo netto «sì» oppure «no», senza qualificare
la risposta. In questo senso si può interpretare un’altra interessante convergenza, già ri-
cordata supra in III.6, fra Protagora ed Eutidemo: in entrambi i dialoghi si presume che
uno dei due interlocutori «comandi» (Prot. 351e: sÝ g¦r kaˆ kat£rceij toà lÒgou Euthd.
287d: sÝ g¦r ¥rceij). Socrate è costretto a confutare l’avversario sul piano verbale, fa-
cendo valere, in tutta la loro severità, le regole della pratica eristica: colui che «coman-
da» la discussione esige risposte nette da colui che risponde.
49
Se cioè – come poi spiega Socrate – non esiste una verità oggettiva, ma per ogni
individuo si dà una verità privata (vd. infra, VII.2). In termini aristotelici, Protagora viola
il principio di non contraddizione (cfr. in proposito Classen 1988). Nel Teeteto, dove è
offerto un accurato esame teoretico della posizione protagorea, Protagora stesso è ca-
ratteristicamente assente perché morto, quasi che una confutazione diretta del sofista
non fosse davvero possibile (cfr. McCabe 1998).
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158 SOCRATE NELLA CAVERNA

la posizione di Protagora determina di fatto una impossibilità di comuni-


cazione, perché la confutazione socratica non può avere luogo. La posi-
zione di Protagora è forse irriducibile alla prospettiva socratico-platoni-
ca 50, tanto che ancora oggi i filosofi dibattono il problema se gli argo-
menti rivolti nel Teeteto contro la tesi dell’homo-mensura siano validi o
meno 51, e in generale se sia teoreticamente possibile – a partire dalla cri-
tica aristotelica in poi – confutare la tesi protagorea senza stravolgerne
l’originario significato 52.

4. L A MANIPOLAZIONE DEL CONSENSO

Protagora appare dunque inattaccabile: la sua concezione del sapere e


della realtà comportano la negazione dei presupposti dell’elenchos, sic-
ché una confutazione oggettiva non appare praticabile: da questo punto
di vista, il Protagora è un «dialogo impossibile» 53. Fra gli applausi scro-
scianti del pubblico, il sofista si aggiudica dunque la prima ripresa del-
l’agone, mentre la macchina dialettica di Socrate, perdute ambo le ‘gam-
be’ nelle panie dell’apparenza, è ormai un mezzo inservibile. Socrate è
nel guado: non gli resta che il ritiro o lo scontro a mani nude con lo sgu-
sciante avversario.
Dopo il fragoroso applauso dei presenti, si apre una lunga discussio-
ne sulle regole del confronto dialettico (334c ss.), nel corso della quale
Socrate cerca di costringere l’avversario a rispondere brevemente, men-
tre Protagora rivendica il diritto a esprimersi nel modo che ritiene più
opportuno. Socrate minaccia allora effettivamente il ritiro, ma viene trat-
tenuto a forza dai presenti. Prodico afferma che «i presenti a discussioni
simili devono essere ascoltatori imparziali di entrambi gli interlocutori,
ma non indifferenti», perché «non bisogna dar ragione indifferentemen-
te all’uno o all’altro, ma più al più sapiente e meno al più ignorante»
(337a). Dalla discussione emerge una novità cruciale: soltanto il parere
dei presenti può risolvere l’impasse e stabilire le regole con cui il con-
fronto dialettico potrà proseguire; Socrate trae importanti conseguenze

50
Cfr. per esempio Woodruff 1985: «What Protagoras said was plausible, for one
who did not care to seek essences; and Plato’s opposition too was plausible, for one
who did. Protagoras’ concern was with handling language, Plato’s with essential reality;
and that is why it has been hard to see the real Protagoras behind Plato’s report of
him» (p. 114).
51
Cfr. per esempio Burnyeat 1976b, Chappell 1995, Fine 1998.
52
Cfr., per l’antichità, Burnyeat 1976a, e, fino ai nostri giorni, Cassin 1992.
53
Così Balaban 1999, p. xvi.
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LA MANIPOLAZIONE DEL CONSENSO 159

dalle parole di Prodico: nelle pagine che seguono sarà preso in esame il
ruolo del pubblico nel determinare le sorti dell’agone, e si metterà in lu-
ce l’abilità con cui Socrate ne conquista progressivamente il consenso fi-
no alla vittoria.
All’ingresso di Socrate nella casa di Callia, i presenti appaiono pre-
giudizialmente favorevoli a Protagora. Questi è presentato come un no-
vello Orfeo, capace di incantare i suoi allievi, che, ammaliati (kekhlhmš-
noi), lo seguono in atteggiamento reverente (315b) 54. Protagora, conscio
del fascino che esercita sugli astanti, dichiara poi la sua netta preferenza
(polÚ moi ¼diston) perché la discussione avvenga pubblicamente, di fronte
a tutti, piuttosto che in un tête à tête con Socrate e Ippocrate (317c-d) 55.
Il pubblico, stregato dalla parola ornata di Protagora, più volte in-
terviene direttamente durante la discussione. In 334b-c, come si è visto,
l’excursus di Protagora sulla relatività del bene riscuote l’approvazione
dei presenti. Nel corso della discussione sulle regole dialettiche, in segui-
to all’intervento di Prodico ricordato sopra, Socrate mostra di apprezza-
re pienamente l’importanza del pubblico, che sottopone a un piccolo ri-
catto; egli minaccia infatti di andarsene a meno che Protagora non ri-
nunci ai discorsi retorici, rifiuta la proposta, emersa nel corso della di-
scussione e accolta dai presenti (338b), di adottare un singolo arbitro, e
propone invece una supervisione comune che faccia rispettare alcune re-
gole: il sofista interrogherà per primo, ma poi dovrà cedere l’iniziativa a
Socrate, e rispondere con brevità. I presenti devono farsi garanti tutti in-
sieme (koinÍ) dell’accordo preso, e presiedere insieme al confronto dia-
lettico (p£ntej koinÍ ™pistat»sete); la proposta di Socrate è accolta da
tutti (™dÒkei p©sin, 338b-e). Il filosofo segna così un primo punto a suo
favore: compiacendo il palese desiderio dei presenti di intervenire nella
discussione (335c ss.), egli riesce astutamente a far approvare anche la
proposta che Protagora debba rispondere con brevità alle domande.
Nel corso dell’esegesi di Simonide, Protagora pone in contraddizio-
ne Socrate e riesce a scatenare l’entusiasmo del pubblico: il sofista – rac-
conta Socrate – «strappò lodi ed un fragoroso applauso a molti degli
spettatori. E io dapprima, come colpito da un buon pugile, vidi nero e
fui preso da vertigine quando finì di parlare e gli altri applaudirono fra-

54
Grazie alla magia del suo eloquio Protagora riesce addirittura, per un po’, ad in-
cantare Socrate (328d, anche Socrate è kekhlhmšnoj).
55
Socrate, forse perché consapevole della minaccia rappresentata da un pubblico
di fans di Protagora, chiede espressamente che anche Prodico e Ippia, con i rispettivi
seguaci, assistano alla discussione (317d). Costoro, si può osservare, non fanno parte
della claque degli ammiratori di Protagora, ma sono due potenziali concorrenti del mae-
stro di Abdera. Il coinvolgimento di Prodico e Ippia risulterà in effetti decisivo per il suc-
cesso finale di Socrate.
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160 SOCRATE NELLA CAVERNA

gorosamente» (339d-e). È questa l’ultima occasione in cui Protagora


mostra di avere in pugno la platea. In seguito, dapprima Socrate loda e
mostra di padroneggiare l’arte sinonimica di Prodico, e si conquista così
l’approvazione di quest’ultimo (™pÇnesšn me, 340d). In un secondo mo-
mento, dopo aver ribadito che i presenti devono valutare tutti assieme le
sue parole (™piskeyèmeqa … koinÍ ¤pantej, 343c), Socrate adotta una
tecnica esegetica non dissimile da quella praticata da Ippia, come emer-
ge dall’Ippia Minore 56; non per caso, il sofista non manca di approvare
l’esegesi socratica e di decretare, di fatto, il successo di Socrate nella ten-
zone esegetica (347a-b). Il pubblico, progressivamente conquistato alle
ragioni di Socrate, interviene ora direttamente per costringere Protagora
a rispondere alle domande di Socrate: «Protagora» – racconta Socrate –
«preso da vergogna (almeno così mi parve) di fronte alle parole di Alci-
biade e alle preghiere di quasi tutti i presenti, a malincuore si decise a
dialogare e mi chiese di interrogarlo con l’intesa che egli avrebbe rispo-
sto» (348c).
Protagora è ormai schiavo degli spettatori che prima signoreggiava
con la sua retorica. Nella parte conclusiva del dialogo, in base a un’ipo-
tetica identità di bene e piacere, Socrate mostra ai «molti», un interlocu-
tore fittizio, l’insensatezza della loro convinzione che sia possibile essere
consapevolmente vinti dal piacere 57. Socrate conclude così, rivolgendosi
proprio ai «molti»:
Sicché l’essere vinto dal piacere è la massima ignoranza: e Protagora,
qui presente, come Prodico e Ippia, dicono di esserne medici. Ma voi
credete che esso sia qualcosa di diverso dall’ignoranza e per questo
non andate voi stessi né mandate i vostri figli dai maestri di queste
cose, da questi sofisti, convinti che non sia cosa insegnabile. State inve-
ce attaccati al vostro denaro e non lo date a costoro, ma non ne ottene-
te certo dei buoni risultati negli affari pubblici e privati. Queste cose
noi avremmo risposto ai molti. Ma ora, Ippia e Prodico, chiedo il vo-
stro parere insieme a quello di Protagora, proseguiamo il discorso in-
sieme (koinÕj g¦r œstw Ð lÒgoj): vi pare che io dica il vero o il falso?
Pareva a tutti che le cose dette fossero tremendamente vere. Siete dun-
que d’accordo che il piacere è bene e che il dolore è male? […] Riden-
do Prodico si disse d’accordo e così gli altri. (357e-358b)

Non senza un poco di adulazione, Socrate sollecita ancora una volta un


pronunciamento comune dei presenti, che di fatto esprimono il loro as-

56
Vd. Appendici, 3.
57
I «molti», menzionati spesso da Platone, tendono a costituire l’antitesi dell’e-
sperto e del filosofo. Cfr. la monografia di Voigtländer 1980.
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I SOFISTI E IL GIUDIZIO DEL PUBBLICO 161

senso in luogo di Protagora 58. Questi, che in precedenza aveva rifiutato


esplicitamente l’ipotesi dell’identità di bene e piacere 59, è ora indotto ad
accoglierla, perché non solo i presenti, ma addirittura la massa (i «mol-
ti») la ritengono vera: come è implicito nella tesi dell’homo-mensura,
Protagora appare schiavo dell’opinione comune. È questo il momento
decisivo del confronto dialettico: nelle battute immediatamente successi-
ve tutti i presenti (è ripetuta cinque volte la formula ™dÒkei p©sin, «sem-
brava a tutti») avallano le premesse che permettono a Socrate di perveni-
re alla confutazione finale di Protagora 60.
Dunque: Socrate si impadronisce progressivamente del consenso de-
gli spettatori, addirittura entusiastico nell’ultimo passo riportato, e tale
consenso è guadagnato con diverse forme di ironica adulazione. La con-
quista del consenso va di pari passo con la volontà, espressa con insi-
stenza, di coinvolgere il pubblico nella discussione. Si misura qui la pe-
culiarità del Protagora nell’ambito dell’intera produzione giovanile di
Platone: in nessun altro dialogo Socrate manifesta il desiderio che i pre-
senti intervengano a dirimere il confronto dialettico 61.

5. I SOFISTI E IL GIUDIZIO DEL PUBBLICO

Il ricorso al giudizio dei presenti è solitamente un’arma cara ai sofisti.


Nell’Ippia Maggiore, il sofista di Elide sostiene l’impossibilità di confuta-
re un’opinione che «sembra a tutti» (p©sin doke‹) e in favore della quale
«tutti gli ascoltatori testimonieranno» (288a) 62. Nel seguito del dialogo,
tuttavia, l’opinione in questione – a parere di Ippia, il Bello in sé consi-
sterebbe in una bella ragazza! – per quanto «sembri a tutti» viene confu-
tata impietosamente. Nel Gorgia Polo si esprime in termini molto simili.
Egli afferma che Socrate è già confutato nel momento in cui afferma co-

58
Su questo punto, cfr. le osservazioni finali in Capra 1997. A conclusioni simili
perviene, per via indipendente, Sicking 1998, p. 197.
59
351b-e.
60
Per un’analisi dell’argomentazione, cfr. Appendici, 6 e 7.
61
Socrate spesso parla di ricerca comune, ma si riferisce al confronto dialettico che
ha luogo fra due persone (chi interroga e chi risponde), mai ad un intervento degli
spettatori capace di decidere del confronto. Cfr. Charm. 158d; Crit. 46d; Prot. 330b.
Tutti questi passi contengono un invito a ricercare insieme (skope‹n/skšptesqai koinÍ)
dialetticamente la soluzione di un dato problema.
62
Pîj g¦r ¥n, ð Sèkratej, ™legcqe…hj, Ó ge p©sin doke‹ kaˆ p£ntej soi martur»sousin
oƒ ¢koÚontej Óti Ñrqîj lšgeij. Più volte, nel corso del dialogo, Ippia mostra di tenere in
conto il giudizio del pubblico, che può «ridicolizzare» (forme di katagelî) uno degli
interlocutori.
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162 SOCRATE NELLA CAVERNA

se che nessuno condivide, e invita il filosofo a interrogare qualcuno dei


presenti (473e) 63. Socrate chiarisce allora la peculiarità del proprio me-
todo di confutazione:
[…] non esortarmi ora a far votare i presenti; e se non hai un modo mi-
gliore di questo per confutarmi, come dicevo poco fa, cedi a me il tur-
no e cerca di capire come io credo che si debba confutare. Infatti, a fa-
vore delle cose che dico, io so portare un solo testimone, ossia la perso-
na alla quale rivolgo il discorso, e lascio andare tutti gli altri; e uno solo
lo so portare a dare il voto, mentre con i molti (to‹j pollo‹j) non discu-
to neppure. (474a-b)
Analogamente, nel Parmenide si dice che un corretto esercizio della dia-
lettica non è possibile alla presenza di «molti» (136d-e) 64, e nel I libro
della Repubblica Socrate depreca il ricorso al giudizio di un pubblico per
valutare chi, fra lui e Trasimaco, abbia ragione (348a-b) 65.
Quale distanza fra questi dialoghi e il Protagora, dove Socrate, sem-
pre a caccia di consensi, riesce a inchiodare Protagora proprio attraverso
un dialogo fittizio con i «molti» e con il concorso determinante del pub-
blico presente! Nel Fedone, infine, Socrate afferma che occorre guardar-
si in ogni modo dal rischio di comportarsi «non da filosofo ma, per amor
di vittoria (filon…kwj), come quelli del tutto incolti». Costoro – dice an-
cora Socrate – «non si preoccupano di come stiano le cose su cui discu-
tono, ma badano soltanto a far apparire ai presenti (Ópwj … dÒxei to‹j
paroàsi) la tesi da loro adottata» (91a) 66. Nel Protagora, come si è visto,
Socrate ottiene che le sue tesi «sembrino» (doke‹n) a tutti; non sarà allora

63
OÙk o‡ei ™xelhlšgcqai, ð Sèkratej, Ótan toiaàta lšgVj § oÙdeˆj ¨n f»seien ¢nqrè-
pwn ; ™peˆ ™roà tina toutwn….
64
e„ mþn oân ple…ouj Ãmen, oÙk ¨n ¥xion Ãn de‹sqai: ¢prepÁ g¦r t¦ toiaàta pollîn
™nant…on lšgein ¥llwj te kaˆ thlikoÚtJ: ¢gnooàsin g¦r oƒ polloˆ Óti ¥neu taÚthj tÁj di¦
p£ntwn diexÒdou te kaˆ pl£nhj ¢dÚnaton ™ntucÒnta tù ¢lhqe‹ noàn sce‹n.
65
•An mþn to…nun, Ãn d’ ™gè, ¢ntikatate…nantej lšgwmen aÙtù lÒgon par¦ lÒgon, Ósa
aâ ¢gaq¦ œcei tÕ d…kaion e!nai, kaˆ aâqij oátoj, kaˆ ¥llon ¹me‹j, ¢riqme‹n de»sei t¢gaq¦
kaˆ metre‹n Ósa ˜k£teroi ™n ˜katšrJ lšgomen, kaˆ ½dh dikastîn tinwn tîn diakrinoÚntwn
dehsÒmeqa: ¨n dþ ésper ¥rti ¢nomologoÚmenoi prÕj ¢ll»louj skopîmen, ¤ma aÙto… te dika-
staˆ kaˆ ·»torej ™sÒmeqa.
66
Analogo ai passi citati, e in particolare a quello del Fedone, è un luogo degli
Amanti, dialogo peraltro di autenticità molto dubbia. Vd. 135c-d: ’HrÒmhn d’ aÙtÕn [si
tratta di un amante di due fanciulli descritti al principio del dialogo come ™r…zonte,
132a-b] e„ oÙk ¢dÚnaton e‡h dÚo mÒnaj tšcnaj oÛtw maqe‹n tÕn aÙtÒn, m¾ Óti poll¦j kaˆ
meg£laj: Ð dš, M¾ oÛtwj mou, œfh, Øpol£bVj, ð Sèkratej, æj lšgontoj Óti de‹ ˜k£sthn tîn
tecnîn tÕn filosofoànta ™p…stasqai ¢kribîj ésper aÙtÕn tÕn t¾n tšcnhn œconta, ¢ll’ æj
e„kÕj ¥ndra ™leÚqerÒn te kaˆ pepaideumšnon, ™pakolouqÁsa… te to‹j legomšnoij ØpÕ toà dh-
miourgoà oŒÒn t’ e!nai diaferÒntwj tîn parÒntwn, kaˆ aÙtÕn xumb£llesqai gnèmhn, éste
doke‹n carišstaton e!nai kaˆ sofètaton tîn ¢eˆ parÒntwn ™n to‹j legomšnoij te kaˆ prat-
tomšnoij perˆ t¦j tšcnaj.
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I SOFISTI E IL GIUDIZIO DEL PUBBLICO 163

casuale se al termine del confronto Protagora accusa il filosofo proprio


di «amor di vittoria» (filonike‹n, 360e).
Il principio del consenso generale, applicato da Socrate per avere ra-
gione di Protagora, appare in certo modo anti-socratico, perché in chia-
ro contrasto con le indicazioni ricavabili da altri dialoghi. L’influsso del
pubblico è caratteristico non solo della retorica giudiziaria (si pensi alle
giurie popolari e al curioso fenomeno della cosiddetta ‘corona’ di spetta-
tori, un elemento capace di influenzare i processi) 67, ma anche dell’eri-
stica, come emerge nel modo più chiaro dall’Eutidemo: i presenti, con i
loro schiamazzi scomposti (qÒruboj), decidono di fatto le sorti del con-
fronto 68, e pregiudicano la buona educazione del giovane Clinia, che si
metterà a scuola presso i sofisti 69.
Nel Protagora ai presenti, chiamati a un arbitraggio comune (koinÍ/
koinÒj, formula ripetuta quattro volte) «pare» (™dÒkei p©si, sei volte) che
Socrate dica bene. È questo il segno concreto che Socrate ha abbando-
nato la macchina dell’elenchos per immergersi nelle panie dell’eristica. Il
criterio del consenso è schiettamente protagoreo: in mancanza di un cri-
terio di verità, solo la persuasione poteva «rendere forte» un discorso.
Questo emerge nel modo più chiaro nel Teeteto, dove al criterio di verità
si sostituisce quello dell’«opinione comune» (tÕ koinÍ dÒxan, 172b) 70,
una formula che, nell’impiego di koinÍ e di una forma di doke‹n, richia-
ma da vicino la ricerca del consenso che Socrate attua nel Protagora.
La menzione di questo criterio costituisce uno snodo importante del
Teeteto, perché introduce, quasi all’improvviso, il celebre excursus sulla
vita contemplativa in cui sono confrontate la vita beata dei filosofi e la

67
Sull’influenza degli spettatori, vd. per esempio Hall 1995, il quale osserva che «in
classical Athens an isomorphism characterised dramatic festivals, athletic competitions,
meetings of the assembly, and court cases. They all developed out of the tradition of
the aristocratic competition, the agon, but they all involved a small number of elite in-
dividuals competing in front of an audience, often a very large audience, of citizens» (p.
39). Vd. anche Bers 1985, che analizza diverse occorrenze di qÒruboj e affini nella sto-
riografia, nella commedia, nei trattati di retorica e – naturalmente – negli oratori. In
particolare sul fenomeno della ‘corona’, vd. Lanni 1997.
68
Cfr., per il qÒruboj degli spettatori, Prot. 334c, 339d-e; Euthd. 276b, 276d, 303b.
69
Euthd. 304b. Che il fracasso della folla plaudente sia un elemento tale da com-
promettere l’educazione dei giovani, è detto in Resp. 492a ss. (per questo raffronto, vd.
Decleva Caizzi 1996, p. 112).
70
¢ll’ ™ke‹ oá lšgw, ™n to‹j dika…oij kaˆ ¢d…koij kaˆ Ðs…oij kaˆ ¢nos…oij, ™qšlousin
„scur…zesqai æj oÙk œsti fÚsei aÙtîn oÙdþn oÙs…an ˜autoà œcon, ¢ll¦ tÕ koinÍ dÒxan
toàto g…gnetai ¢lhqþj tÒte, Ótan dÒxV kaˆ Óson ¨n dokÍ crÒnon (172b). Il criterio del tÕ
koinÍ dÒxan può essere considerato come una soluzione all’aporia della tesi dell’homo-
mensura: le opinioni sono tutte vere e tutte false, ma il criterio del consenso permette di
salvare il ruolo del sofÒj, che può legittimamente proporsi come maestro. Così per e-
sempio ’AlatzÒglou 1984.
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164 SOCRATE NELLA CAVERNA

meschina esistenza dei retori sofisti. Il paragone si apre con un’afferma-


zione di agio e disponibilità: non manca certo il tempo libero per svilup-
pare a fondo il discorso (scol¾n ¥gomen, 172c) 71. A partire da questo in-
cipit, tutto l’excursus ruota attorno all’antitesi fra otium e negotium (sco-
l» e ¢scol…a, 172c-e); i filosofi, infatti, sono liberi di sviluppare a loro
agio e piacimento i discorsi, mentre i retori sono schiavi del tempo e del-
la platea, ossia dell’«opinione comune» di Protagora 72:
Tu hai detto benissimo che noi che facciamo parte di questo coro [scil.
dei filosofi]: non siamo servi dei discorsi, bensì i discorsi sono come
servi nostri, e ognuno d’essi aspetta d’essere compiuto (¢potelesqÁnai)
quando a noi piaccia. E del resto non ci sono qui né giudici né spetta-
tori che presiedano (™pistate‹ ) a noi come ai poeti per infliggerci cen-
sure o darci comandi. (173b-c)

Ora, l’antitesi fra logos filosofico (scol», possibilità di concludere i di-


scorsi, libertà da un pubblico tiranno) e logos retorico (¢scol…a, impos-
sibilità di concludere i discorsi, schiavitù nei confronti del pubblico) ap-
pare già nel Protagora, dove la separazione fra questi due contrapposti
universi prende la forma materiale di una comica ‘porta chiusa’, la soglia
della casa di Callia 73.
Al di qua della soglia si sviluppa il dialogo tra Socrate ed Ippocrate,
del tutto scevro delle ambiguità e dei paralogismi di cui sono infarcite le
discussioni successive; si tratta infatti di un confronto da solo a solo, sen-
za l’influsso nefasto del pubblico rumoroso e partigiano con cui Socrate
è costretto a fare i conti in casa di Callia 74. Il carattere ideale del dialogo
fra i due amici emerge con chiarezza da un’osservazione di Socrate:
In questa intesa ci avviammo. Giunti nel vestibolo, ci fermammo a pro-
seguire un discorso iniziato per strada; per non lasciarlo incompiuto
(¢tel»j) e dargli una conclusione prima di entrare, sostammo a discu-
tere nel vestibolo finché non giungemmo ad un accordo. (314c)

71
Per il motivo della scol» in Platone, vd. Isebaert 1992. La scol» è una nozione
molto importante nei dialoghi platonici, perché la disponibilità di tempo costituisce
«die Voraussetzung für Philosophie überhaupt» (Rittner - Grunder 1984, s.v. Musse).
72
Si può osservare che nel Teeteto non si parla soltanto dell’assemblea popolare,
ma anche dei tribunali kaˆ to‹j toioÚtoij (172c), un’espressione che potrebbe alludere
agli agoni eristici.
73
Sulla scena comica della ‘porta chiusa’ nel Protagora, vd. supra, II.3.
74
Cfr. Weiss 1985, p. 334: «The dialogue begins (310a-314c) with Socrates cau-
tioning the young and impressionable Hippocrates to be on his guard against the elo-
quence and expert sales tecniques of the sophists. The warning is undoubtedly meant
for the reader as well. It is offered, significantly, outside the home of Callias before So-
crates and Hippocrates enter the den of sophistry».
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I SOFISTI E IL GIUDIZIO DEL PUBBLICO 165

L’accordo (sunwmolog»samen) e l’otium che permette ai dialoganti di


portare a termine il discorso sono naturalmente i caratteri propri del dia-
logo filosofico. Nell’ultimo passo citato dal Teeteto, come si ricorderà, i
filosofi sono contrapposti ai retori perché sono padroni e non schiavi dei
loro discorsi: ogni discorso dei filosofi «aspetta d’essere compiuto (¢po-
telesqÁnai) quando a noi piaccia» (173c). Se i filosofi hanno tempo, ben
diversa è l’atmosfera che regna nella dimora di Callia, il cui ingresso è
presidiato da un portinaio fermamente intenzionato a non lasciar entrare
Socrate e Ippocrate, giacché – come l’uomo ripete due volte – il padrone
di casa «non ha tempo» (oÙ scol¾ aÙtù) 75. All’interno della casa, poi,
non si pratica la discussione dialettica: Protagora, Ippia e Prodico sono
intenti a indottrinare folti gruppi di allievi, ritratti in atteggiamento di
subalterna adorazione. Socrate deve misurarsi in un «agone di discorsi»
con Protagora, ma la disputa precipita nel caos: si profila dunque la no-
mina di un arbitro (™pist£thj, 338b), finché Socrate non propone addi-
rittura, con successo, che tutti i presenti fungano da arbitri e presiedano
alla discussione (p£ntej koinÍ ™pistat»sete, 338e): dunque proprio il
pubblico tiranno deprecato nel Teeteto! Socrate appare ora ben diverso
dall’immagine consueta in altri dialoghi. Socrate ‘personaggio’ si rifiuta
di portare a termine la discussione, adducendo la scusa – smentita dal
racconto di Socrate ‘narratore’ – di un impegno: «ho da fare» (™mo… tij
¢scol…a ™stin); «devo andare da qualche parte» (335c). Ecco dunque
un Socrate paradossale: impegnato, pronto a rimettere al pubblico tiran-
no l’arbitraggio del confronto dialettico e a lasciare incompiuto il discorso.
Lo studio della relazione che si istituisce fra Socrate e il pubblico
conferma dunque le conclusioni tratte nei capitoli precedenti della ricer-
ca: nel Protagora la dialettica socratica finisce per confondersi con l’eri-
stica dei sofisti. In questo modo Platone ammette implicitamente che il
rischio di una confusione era reale 76, ma al tempo stesso offre al lettore
una chiave per cogliere la ‘vera’ personalità di Socrate, che si esprime
nella conversazione con Ippocrate al di qua dell’uscio di Callia, dunque
fuori dal sinistro covo dei sofisti 77.

75
Un proverbio, citato da Aristotele, dice che «gli schiavi non hanno tempo» (oÙ
scol¾ doÚloij, Pol. 7.15.1334a20-21). Il proverbio si adatta perfettamente ai retori del
Teeteto, schiavi della clessidra, nonché agli abitanti della casa di Callia, schiavi dei pia-
ceri. Come emerge dal mito del Politico, la scol» è la circostanza in cui il filosofo si di-
stingue dalle bestie, intente solo a rimpinzarsi (272b-d).
76
Tale rischio sembra adombrato anche dalle parole del portinaio, il quale, senten-
do la conversazione fra Socrate e Ippocrate, esclama: «Basta, altri sofisti!» nel timore
che anche Socrate e Ippocrate si aggiungano al coro di scrocconi che si sono installati
nella casa di Callia.
77
Cfr. supra, II.7.
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166 SOCRATE NELLA CAVERNA

6. L’USCITA DALLA CAVERNA

I dialoghi di Platone rivelano una perdurante incertezza fra un’interpre-


tazione contemplativa della vita filosofica e un ideale militante 78. A dif-
ferenza del Teeteto, in cui la vita del filosofo e quella del retore appaiono
del tutto incompatibili, il Protagora e la Repubblica suggeriscono che il fi-
losofo deve affrontare i cattivi maestri della polis democratica. Nel capi-
tolo IV ho ricordato come in entrambi i dialoghi sia riconosciuta la ne-
cessità di sconfiggere i sofisti sul loro terreno, ossia mediante l’acquisi-
zione di una empeiria ben diversa dalla episteme cui aspira il filosofo. L’o-
biettivo rimane purtuttavia la scienza: l’uscita dalla caverna, ossia la libe-
razione dalla cultura corrotta della polis democratica, prevede un’ascesa
conoscitiva improntata a un curriculum di discipline capaci di «volgere
l’anima dal divenire all’essere» (Resp. 521d). Si tratta dei saperi matema-
tici, dalla umile aritmetica (¢riqmÒj/logismÒj, 522c ss.) fino alla harmonia,
attraverso geometria, stereometria e astronomia. All’inevitabile momen-
to eristico-agonistico, in cui il filosofo sconfigge i notabili della polis sul
piano empirico, segue dunque la progressiva liberazione dei prigionieri,
che risalgono verso la luce lungo la scala delle discipline matematiche 79.
Socrate è costretto a confrontarsi con l’Ade ‘omerico’ dei sofisti,
proprio come il filosofo, nella Repubblica, ha il preciso dovere di ridi-
scendere nella caverna infernale e combattere. Il sapere della polis-caver-
na è fondato sull’apparenza e sull’opinione, è un mondo di ombre domi-
nato dalla retorica e dai sofisti, che riverberano e rielaborano le opinioni
infondate della massa 80. Tale sapere è per sua natura non scientifico, e
questo si riflette nell’attacco portato da Protagora, il massimo teorico
della polis democratica, alle tecniche artigianali e in particolare alle ma-
tematiche. Si intuisce qui il movimento profondo che anima il Protagora:
dapprima, il sofista rifiuta il modello epistemologico basato sulle tecni-

78
Questa contraddizione è efficacemente delineata in Di Benedetto 1985, p. 43 ss.
79
Sul rapporto fra elenchos e procedimenti matematici, è importante il saggio di
Vlastos 1988. Vlastos mostra come nei dialoghi di Platone (non soltanto nella Repubbli-
ca) l’adozione di procedimenti matematici segni l’abbandono dell’elenchos socratico.
La puntuale analisi di Vlastos presuppone tuttavia un’interpretazione evoluzioni-
sta (Platone maturo avrebbe voltato le spalle al metodo del maestro) che non condivi-
do, parendomi che la polarità fra elenchos e procedimenti matematici – pur senza esclu-
dere una certa evoluzione del pensiero platonico – sia piuttosto il segno di un piano di-
dattico, come nella Repubblica: gli schiavi dell’apparenza devono prima essere amman-
siti tramite la confutazione (come accade anche con Trasimaco), poi condotti fuori dal-
la caverna tramite la matematica.
80
Cfr. Resp. 493a: “Ekastoj tîn misqarnoÚntwn „diwtîn, oÞj d¾ oátoi sofist¦j ka-
loàsi kaˆ ¢ntitšcnouj ¹goàntai, m¾ ¥lla paideÚein À taàta t¦ tîn pollîn dÒgmata, §
dox£zousin Ótan ¡qroisqîsin, kaˆ sof…an taÚthn kale‹n.
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L’USCITA DALLA CAVERNA 167

che artigianali, e in particolare critica l’insegnamento ‘tecnico’ praticato


da altri sofisti, i quali – dice Protagora – «ricacciano a forza i giovani,
che fuggono le technai, nell’apprendimento di queste ultime, insegnando
loro calcoli, astronomia, geometria e musica» (318e). Sono qui menzio-
nate, nella sostanza, le discipline cui nella Repubblica è affidata la libera-
zione dei prigionieri. Ora, nella parte conclusiva del dialogo Protagora è
portato ad ammettere che soltanto una tecnica di misurazione può ga-
rantire la «salvezza» 81. In questo modo, Socrate riesce a reimporre la
propria concezione del sapere, basato sulle technai. Egli non presuppone
però, come fa di solito, l’analogia con le technai, ma la reimpone attra-
verso una elaborata argomentazione di carattere edonistico che voluta-
mente cerca il consenso dei presenti e della massa 82. Nel brano edonisti-
co si riconosce che, se il bene è piacere, tutti gli uomini desiderano il be-
ne, e che occorre una tecnica di misurazione per massimizzare il bene-
piacere. In questo modo, Socrate porta Protagora e gli altri presenti ad
ammettere che esiste un ordine delle cose oggettivo e misurabile, domi-
nio di una techne metretike 83.
Il premio della vittoria nell’agone consiste dunque proprio nella
reintroduzione dei perduti presupposti dell’elenchos: il paradigma epi-
stemologico delle technai e la tesi di un ordine oggettivo delle cose 84. Al
tempo stesso Protagora, che aveva rifiutato in toto la matematica, è ora
costretto ad accogliere una tecnica aritmetica quale arte suprema: la mi-
surazione garantisce quella «salvezza» (swthr…a) che Protagora, nel suo
lungo discorso, considerava prerogativa della ‘sua’ arte politica 85. Non è
un caso che la formulazione conclusiva di questa argomentazione, «tutte
le cose sono scienza», appaia un voluto rovesciamento della più celebre
dottrina protagorea, «l’uomo è misura di tutte le cose» 86. Come nella Re-

81
356d ss. La rilevanza di questo ritorno alla matematica da parte del sofista è stata
messa in luce molti anni fa da Grube 1933; l’accettazione di un calcolo edonistico co-
stringe Protagora a ritrattare la netta distinzione che egli aveva operato fra deliberazio-
ne ed arti (matematiche).
82
Considerazioni analoghe valgono per la prima discussione intorno al coraggio,
dove Socrate cerca di dimostrare che il coraggio coincide con il possesso di una tecnica.
83
Il che può essere considerato come una risposta all’excursus di Protagora sulla re-
latività dell’utile. Cfr. Szlezák 1985, trad. it. 1988, p. 246. Vd. anche Kube 1969, p. 151.
84
Si tratta dunque di una strana vittoria, al punto che si è potuto suggerire che
«Socrates’ moments of victory over Protagoras are apparently by means of logical con-
tradiction», ma in realtà egli «is instead victor by means of metaphor» (Rohrer 1995).
85
Per questa contrapposizione, che mette provocatoriamente in discussione le am-
bizioni di Protagora, cfr. Capra 1997. Per il primato che Protagora assegna alla politica
come arte capace di garantire la «salvezza», vd. Lami 1975.
86
Prot. 361b: p£nta cr»mat£ ™stin ™pist»mh. Cfr. DK 1: ¥nqrwpoj mštron p£ntwn crh-
m£twn. Non l’uomo misura ‘tutte le cose’, ma la scienza che è, per l’appunto, una scien-
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168 SOCRATE NELLA CAVERNA

pubblica, la misura sconfigge l’apparenza (fa…nesqai, doke‹n) 87, fonda-


mento e criterio – si pensi al Teeteto – della posizione di Protagora non-
ché della polis democratica: è il primo passo verso la luce.

7. CONCLUSIONE

Nel Protagora, il sofista rifiuta la concezione ‘oggettiva’ che informa la


dialettica socratica e vi contrappone una teoria della conoscenza alterna-
tiva, costringendo Socrate ad appellarsi al consenso del pubblico: Socra-
te ne conquista i favori sulla base di quel «sembrar comune» (tÕ koinÍ
dÒxan) che è il criterio dei sofisti e in particolare di Protagora. Nella casa
di Callia, regno dell’opinione e dell’apparenza, Socrate ottiene così una
vittoria eristica, che sfocia però nella proposta di una misurazione ogget-
tiva capace di dissipare le ombre dell’apparenza. Come nella Repubblica,
dunque, la liberazione dalla schiavitù dei sensi è mediata dalla matemati-
ca. Ritrovate nella melma dell’apparenza le ‘gambe’ dell’elenchos, Socra-
te, in compagnia di Ippocrate, può finalmente abbandonare, la ‘caver-
na’, lasciandosi alle spalle Callia, il Pireo e la società equivoca che vi sog-
giorna. Ecco dunque l’ultima parola del dialogo: «ce ne andammo»
(¢pÍmen, 362a). Ippocrate, scampato ai pericoli dell’educazione sofisti-
ca 88, si unirà forse al ‘coro dei filosofi’ del Teeteto, perché ora è pronto
per varcare una soglia ben diversa. Alludo all’Accademia, la cui porta
non era presidiata da un portinaio ostile e grottesco, ma – si dice – reca-
va queste parole:
AGEWMETRHTOS MHDEIS EISITW
Nessuno entri, se digiuno di matematica. 89

za ‘metretica’. Cfr. in proposito Buchheim 1984, in part. p. 630. L’allusione fu ricon-


sciuta già da Pohlenz 1913, pp. 95-96.
87
In Prot. 356d, la tecnica di misurazione è contrapposta a ¹ toà fainomšnou dÚna-
mij. Quest’ultima ¹m©j ™pl£na, kaˆ ™po…ei ¥nw te kaˆ k£tw poll£kij metalamb£nein taÙt¦
kaˆ metamšlein ™n ta‹j pr£xesin. Il passo può essere confrontato con Crat. 386d-e, dove
viene confutata la posizione del protagoreo Eutidemo: OÙkoàn e„ m»te p©si p£nta ™stˆn
Ðmo…wj ¤ma kaˆ ¢e…, m»te ˜k£stJ „d…v ›kaston [tîn Ôntwn ™st…n], dÁlon d¾ Óti aÙt¦ aØtîn
oÙs…an œcont£ tina bšbaiÒn ™sti t¦ pr£gmata, oÙ prÕj ¹m©j oÙdþ Øf’ ¹mîn ˜lkÒmena ¥nw
kaˆ k£tw tù ¹metšrJ fant£smati, ¢ll¦ kaq’ aØt¦ prÕj t¾n aØtîn oÙs…an œconta Îper
pšfuken. Il nesso fra i due passi è osservato da Heitsch 1991, p. 281, in un lavoro dedi-
cato al motivo dell’¥nw-k£tw in Platone.
88
Cfr. per converso l’esito dell’Eutidemo: Socrate e Clinia sembrano intenzionati a
seguire l’educazione dei sofisti (304b).
89
Riginos 1976, aneddoto 98, pp. 138-140.
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TESTATINA FITTIZIA DA ELIMINARE 169

VII

FIGURAZIONE DRAMMATICA:
ALLA RICERCA DELL’UNITÀ

Chi conosce il giusto, il bello e il bene […] semi-


nerà i giardini di scritture per gioco […]. È un gio-
co bellissimo, quello di chi sa giocare con i discor-
si, intrecciando racconti sulla giustizia.
Platone, Fedro

1. GIOCO LETTERARIO E VICENDA COMICA

«Uno dei più bei doni che la sorte ci abbia tramandato dall’antichità»:
così Hegel, nelle lezioni sulla storia della filosofia, presentava i dialoghi
di Platone ai suoi studenti. Il dono pare tanto più bello perché, vero mo-
numentum aere perennius, si staglia sul panorama di rovine formato dai
resti della letteratura classica, sicché la conservazione integrale dell’ope-
ra platonica appare poco meno che un miracolo. Nel concedere questo
mirabile dono, la sorte non ha però dimenticato l’ironia, se solo si pensa
che il privilegio della conservazione è toccato proprio a un autore che teo-
rizza con vigore la superiorità dell’oralità sulla scrittura. Il seme verace
che deve dare frutto nell’anima filosofa è per Platone l’oralità dialettica,
mentre lo scritto non è che un gioco, un seme di breve momento, di fio-
ritura graziosa ma effimera (Fedro, 276b ss.). Eppure nell’era moderna è
accaduto proprio il contrario: dal Rinascimento in poi, quando l’Accade-
mia non era ormai che un lontano ricordo, solo gli scritti ‘effimeri’ di
Platone hanno potuto dare frutto, e i dialoghi – opere letterarie e pro-
trettiche – sono stati letti come trattati filosofici ‘seri’ cui si pensa affida-
ta (tutta) la dottrina dell’autore. E la straordinaria abbondanza dei frutti
ha permesso di affermare addirittura, con una significativa metafora scrit-
toria, che «l’intera filosofia occidentale è una serie di note in calce all’o-
pera di Platone».
Questo dunque è il formidabile paradosso con cui l’odierna storio-
grafia platonica deve confrontarsi, un’aporia che almeno in parte giusti-
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170 FIGURAZIONE DRAMMATICA

fica l’esorbitante proliferazione scientifica. Di qui il dispiegarsi, in tempi


recenti, di strategie interpretative diverse, in un quadro esegetico estre-
mamente ricco e variegato. Nella presente ricerca si è cercato di valoriz-
zare l’aspetto letterario del dialogo, nella convinzione che il significato
– anche filosofico – di un dialogo così apertamente ‘drammatico’ e ‘poe-
tico’ possa dischiudersi pienamente solo attraverso un’indagine che
muova dalla ‘forma’. Le difficoltà, tuttavia, non sono poche, giacché il
contesto letterario in cui il Protagora nacque – soprattutto la commedia e
la prima letteratura socratica – è in gran parte perduto, di modo che oc-
corre uno sforzo consapevole per ricostruire, fin dove possibile, il qua-
dro di aspettative che orientavano la comprensione del dialogo da parte
di un pubblico imbevuto di teatro. Come attenuare questa difficoltà?
Platone – si dice – teneva sempre le commedie di Aristofane sotto il cu-
scino: si può cercare di far lo stesso, nella speranza di ricostruire la vicen-
da drammatica, la fabula che anima il Protagora.
La vicenda è quella di un uomo – Socrate, incarnazione della filoso-
fia – che si reca nell’aldilà. Un aldilà comico: è il mondo stravagante e
perverso celato dietro la porta della casa di Callia, riecheggiante, nella
preziosa costruzione letteraria di Platone, l’aldilà che nella commedia a-
ristofanea l’eroe doveva esplorare e spesso combattere. Ma questo aldilà
comico si colora al tempo stesso di sfumature che preludono all’ontolo-
gia matura di Platone: è un mondo di larve in possesso di una empeiria
umbratile e radicalmente estranea alla conoscenza scientifica che il filo-
sofo persegue. La casa di Callia è popolata dagli spettrali Protagora, Pro-
dico, Ippia e da una folta rappresentanza della famiglia di Pericle, non-
ché da una ciurma di traditori, falliti, inetti. Si riconosce qui la prima
scaturigine di una metafora che costituisce il cuore della filosofia plato-
nica: la polis dei demagoghi e dei sofisti è un grottesco ricettacolo di ido-
li, menzogne, simulacri, falsità. Solo un’ombra del mondo verace cui il
filosofo rivolge lo sguardo.
Oltre la soglia Socrate trova la caverna di Platone, e quivi è costretto a
«combattere contro le ombre» (skiamace‹n), a muoversi in un mondo in
cui il vero sapere, in primo luogo il modello epistemologico delle technai
su cui poggia la dialettica socratica, non è riconosciuto, ma irriso. Come
prescrive al filosofo la Repubblica, Socrate deve dunque sconfiggere gli
avversari anche sul terreno della demagogica empeiria: ecco un Socrate
quasi irriconoscibile, odissiaco, pronto a impugnare le armi dell’eristica
e dell’adulazione. Ma il premio è proprio la vittoria dell’oggettivo, con il
riconoscimento, da parte di tutti i presenti, della necessità di una ‘tecni-
ca di misurazione’, una di quelle arti matematiche che, in apertura, Pro-
tagora aveva sdegnato: è il primo passo dell’uscita dalla caverna, che pre-
lude al curriculum di studi matematici cui nella Repubblica è affidato il
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ESEMPI DI PREFIGURAZIONE DRAMMATICA 171

compito di ‘convertire’ le anime degli schiavi, per liberarle dall’ombra


dell’apparenza.
Al di là della soglia troviamo questo Socrate ostile e pugnace, ma
non dimenticheremo che al di qua, nella sua modesta casa e lungo la stra-
da ‘catabatica’ che conduce alla casa di Callia nel Pireo, abbiamo ricono-
sciuto il Socrate consueto, mite e pronto a spronare i giovani alla ricerca
del vero. Il sottile carattere apologetico del Protagora, ben comprensibile
a un pubblico esperto di teatro, risiede proprio nel motivo della porta
chiusa, ripreso dalla commedia aristofanea: da una parte il mondo del-
l’otium (scol»), del dialogo aperto, della dialettica volta alla verità; dal-
l’altra un mondo che ricalca la bizzarria perversa del pensatoio aristofa-
neo, che si cela nelle Nuvole al di là della soglia: il negotium (¢scol…a), la
vanità, le ombre con cui Socrate è costretto a misurarsi, giacché egli – di-
versamente da come è presentato nella commedia di Aristofane – appar-
tiene all’‘aldiqua’.
La struttura teatrale dell’intreccio – le peripezie dell’eroe, ossia di
Socrate, nel comico aldilà delle ombre – permette dunque di rappresen-
tare sul vivo il forzato ritorno a quel mondo di simulacri che nella Re-
pubblica verrà descritto e condannato in modo molto più esplicito e di-
dattico, soprattutto attraverso l’allegoria della caverna. Si coglie qui la ci-
fra dell’intero dialogo: il Protagora, come commedia filosofica, costitui-
sce una prefigurazione drammatica di problemi e aporie che si ritrovano
nei dialoghi successivi.
Il pensiero di Protagora, massimo teorico della polis democratica e
dunque signore della caverna, è forse l’aporia più grave che Platone do-
vette mai affrontare. La dottrina protagorea dell’homo-mensura costitui-
sce per Platone una vera e propria ossessione, perché mina il presuppo-
sto stesso di tutta la filosofia socratico-platonica: la convinzione, alla ba-
se delle argomentazioni che Socrate sviluppa nei dialoghi, che vi sia un
bene unico e immutabile cui tutti gli uomini tendono. La posizione di
Protagora, in una prospettiva platonica, è forse inconfutabile: questo è il
problema filosofico che si agita dietro le quinte del Protagora, il vero mo-
tore dell’azione. Ma il confronto con le posizioni protagoree e con il
mondo della caverna avviene qui in forma mediata, ossia ‘prefigurata’.

2. ESEMPI DI PREFIGURAZIONE DRAMMATICA

Teeteto, 161e-162a:
Come faremo a trattenerci dal dire che Protagora faceva queste affer-
mazioni [scil. la tesi dell’homo-mensura] per ingraziarsi la folla? Per
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172 FIGURAZIONE DRAMMATICA

quanto riguarda me e la mia arte maieutica, poi, è meglio passare sotto


silenzio il riso che suscitiamo: lo stesso vale anche, credo, per tutto il
mio dialogare. Non è forse un’enorme e immensa stupidaggine, infatti,
l’indagare e il cercare di confutare le apparenze e le opinioni gli uni de-
gli altri, dal momento che esse sono corrette per ciascuno, se è nel vero
La Verità di Protagora e non si tratta piuttosto di uno scherzo procla-
mato da quella specie di libro sacro?

In questo passo appare del tutto chiaro che il relativismo protagoreo mi-
na la ragion d’essere dell’interrogare socratico. Nel Protagora, Socrate
cerca di stabilire rapporti oggettivi fra le diverse parti delle virtù, che e-
gli ritiene identiche fra loro. Tuttavia il sofista non accetta questo mo-
do di procedere, e interrompe l’interrogare socratico con una sorta di
excursus relativistico, che di fatto nega la legittimità delle domande so-
cratiche (la giustizia è santa? la santità è giusta? ecc.). Ogni cosa è utile o
buona – e per implicazione anche santa, giusta ecc. – non di per sé, ma
relativamente a qualcuno o a qualcosa, e a seconda del momento. Parla-
re di giustizia, santità, saggezza in sé non ha evidentemente senso, giac-
ché «il bene è variopinto e multiforme» (334b). Il discorso di Protagora
strappa l’applauso dei presenti: ecco allora che Socrate, poco oltre, accu-
sa il sofista di demagogia (336b). Poiché non gli riesce di convincere
Protagora a parlare con maggiore brevità, Socrate si alza per andarsene,
adducendo la scusa di un impegno (335c-d). Si osservano dunque due
casi di prefigurazione drammatica:
1 il relativismo protagoreo, che nel Teeteto è giudicato come un esca-
motage per ingraziarsi la folla, nel Protagora suscita effettivamente
l’applauso chiassoso della folla;
2 l’incompatibilità fra relativismo e interrogare socratico viene ‘agita’
da Socrate, che fa per andarsene: fin da ora è chiaro che l’interroga-
re socratico davvero non ha senso, «se è nel vero La Verità di Prota-
gora».

Nel Teeteto, è presa di mira la tesi protagorea secondo cui ogni cosa è
vera per il singolo o per la comunità cui sembra tale. Proprio questa po-
sizione – osserva Socrate – implica che la dottrina dell’homo-mensura sia
falsa, nella misura in cui essa non ‘sembra’ vera agli uomini. È il celebre,
controverso argomento della peritrope: il criterio del consenso si ritorce
contro il relativista. Ora nel Protagora, rispetto agli altri dialoghi, il ‘pub-
blico’ dei personaggi presenti gioca un ruolo del tutto eccezionale: i sofi-
sti e i loro seguaci prima applaudono fragorosamente il relativismo di
Protagora, il quale afferma che il bene è cangiante e variegato (334c); al-
la fine, invece, approvano con entusiasmo la tesi edonistica proposta da
Socrate per cui tutti gli uomini tendono per natura a un unico bene: il
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CONCLUSIONI 173

piacere (358b-d). Con un procedimento molto dissimile dal consueto


procedere della domanda socratica, Protagora è sconfitto proprio in ba-
se al consenso della folla; la vittoria di Socrate si basa così su un’argo-
mentazione edonistica che appare interamente ad hominem. Ecco dun-
que un terzo caso di prefigurazione drammatica:
3 l’argomento della peritrope è prefigurato nel Protagora, dove gli ap-
plausi e le lodi del pubblico incarnano il criterio protagoreo del
consenso; proprio il consenso, alla fine, condanna il relativismo di
Protagora e premia l’oggettivismo di Socrate.

L’enumerazione può infine concludersi con l’osservazione da cui si è


partiti:
4 attraverso il motivo comico della porta chiusa, il Protagora prefigura
drammaticamente l’allegoria della caverna; Socrate, nel concreto
dell’azione drammatica, acquisisce quella empeiria che nella Repub-
blica appare necessaria per calarsi nella caverna e liberarne gli schiavi.

Il fenomeno della ‘prefigurazione drammatica’ vorrebbe a sua volta esse-


re interpretato. Come si deve intendere tale concetto? Il Protagora, a dif-
ferenza del Teeteto e della Repubblica, è un dialogo giovanile; una possibi-
le spiegazione potrebbe allora essere questa: col passare del tempo, Pla-
tone si è hegelianamente affrancato, nell’esposizione filosofica, dalla for-
ma sensibile (carattere drammatico, mito, grazia letteraria), percorrendo
nella propria opera la parabola «dal mito al logos», per riprendere il tito-
lo di un celebre libro di Wilhelm Nestle. Tuttavia questa spiegazione ap-
pare forse insoddisfacente: nella Repubblica Platone si serve ancora di
un’allegoria, e il ricorso al mito caratterizza tutto l’arco della produzione
platonica. Ma qui, alle soglie di un problema così difficile e controverso
quale quello del rapporto fra mito e logos, è bene fermarsi. Semplice-
mente, si può ricordare che Platone apparteneva a una civiltà del teatro:
nel Protagora, egli ha pensato in termini drammatici alcuni problemi che
altrove sono affrontati altrimenti; si può dunque parlare, più prudente-
mente, di figurazione drammatica.

3. CONCLUSIONI

«Un dialogo platonico è un’unità composta dalla forma della sua presen-
tazione (dialogo), dalla sostanza che viene proposta all’attenzione (con-
tenuto) e dal metodo della filosofia (dialettica)» (Kent Moors). «Forma»,
«contenuto» e «metodo», dunque. Questa grande tripartizione, in effet-
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174 FIGURAZIONE DRAMMATICA

ti, si rispecchia bene nella storia degli studi platonici, che possono certa-
mente essere classificati con questo criterio: studi di carattere letterario,
filosofico, metodologico. In questa ricerca ho cercato di trarre profitto
da tutte, nel tentativo di rispettare l’unità del dialogo: il contenuto è un
problema filosofico (irriducibilità della posizione protagorea) che deter-
mina il metodo eristico del dialogo, che a sua volta reclama una forma co-
mica.
Molti studi platonici, ieri come oggi, si ispirano alla celebre massima
di Leibniz: «Chi riducesse Platone a sistema, renderebbe un grandissimo
servizio all’umanità». È un’operazione legittima, che nei secoli ha dato
frutti straordinari. Ma c’è un prezzo: si rischia di spezzare l’unità del dia-
logo. Nel risalire dalla forma al metodo e dal metodo al contenuto mi so-
no sforzato di non appiattire i dialoghi di Platone lungo una soltanto di
quelle direttrici, di cogliere il Protagora secondo tutti e tre i punti di vi-
sta. Naturalmente, questo processo ha dovuto assumere un’esposizione
lineare che mi ha condotto a ritroso dagli effetti alle cause, benché nel
dialogo cause ed effetti si manifestino allo stesso tempo. Se non ci si vuo-
le esprimere per metafore e allegorie è inevitabile che il discorso prenda
un andamento analitico, che rischia di tradire proprio il carattere pecu-
liare del dialogo: l’unità organica dei tre momenti. Come ovviare – sia
pure molto parzialmente – a questo rischio?
Il concetto di unità organica è caratteristicamente platonico: ogni di-
scorso, dice Socrate nel Fedro, «deve essere composto come un organi-
smo (zùon) dotato di un corpo, in modo che non risulti senza testa e sen-
za piedi, ma abbia le parti mediane e quelle estreme scritte in maniera a-
deguata l’una rispetto all’altra, e rispetto al tutto» (264c). Poco oltre, So-
crate descrive l’azione del buon dialettico, che consiste «nel saper taglia-
re secondo le idee, secondo le articolazioni naturali, e nel cercar di non
spezzare nessuna parte, come invece fa un cattivo scalco» (265e). In que-
sta ricerca, ho cercato per quanto potevo di imitare il buon dialettico di
Platone, senza ‘macellare’ il Protagora secondo forme di sistematizzazio-
ne e di discorso (il trattato filosofico) che sembrano estranee. In questo
modo, non si compromette l’altro procedimento caratteristico del metodo
dialettico, ossia la sinossi, la capacità di cogliere l’insieme (Fedro, 265d):
il concetto di ‘figurazione drammatica’, a conclusione del discorso, vor-
rebbe cogliere sinotticamente l’unità organica del Protagora, giacché in-
teressa la forma (struttura comica), il metodo (la tensione fra dialettica
ed eristica demagogica) e la filosofia (il confronto con le tesi protagoree)
del dialogo. Se non sono stato un ‘cattivo scalco’, mi piacerebbe che
questa ricerca fosse un contributo al difficile compito di una compren-
sione unitaria dei dialoghi, lungo la via segnata nell’800 da Friedrich
Schleiermacher. Senza però dimenticare lo spirito del gioco, così impor-
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CONCLUSIONI 175

tante nella scrittura platonica: è infatti nella paidià letteraria che l’unità
del dialogo si realizza. A mo’ di congedo, ecco dunque le parole quasi
identiche di Platone e Aristofane, a conclusione del Fedro (metr…wj
pepa…sqw ¹m‹n) e delle Tesmoforiazuse (pšpaistai metr…wj ¹m‹n):

«Abbiamo giocato abbastanza».


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TESTATINA FITTIZIA DA ELIMINARE 177

APPENDICI
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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178 APPENDICI
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TESTATINA FITTIZIA DA ELIMINARE 179

APPENDICI

Saranno prese in esame le seguenti argomentazioni:


1 Santità e giustizia (331a6-332a1).
2 Sapienza e saggezza (332a2-333b6).
3 L’interpretazione socratica dell’Encomio a Scopas (338e6 ss.).
4 Coraggio e sapienza (I) (349e1-350d5).
5 Bene e piacere (351b3-351c7).
6 La confutazione dei «molti» (edonismo) (352a1 ss.).
7 Coraggio e sapienza (II) (359c5-360d6).
Le argomentazioni saranno esaminate secondo i seguenti criteri (vd.
supra, III.3):
a il giudizio degli interlocutori del Protagora;
b le indicazioni tratte da altri dialoghi;
g gli argomenti messi in bocca, nei dialoghi, ai sofisti;
d il giudizio di Aristotele e le regole della logica e della dialettica aristo-
teliche;
e il giudizio dei moderni.
Le confutazioni cui Socrate sottopone Protagora nel tentativo di mo-
strare l’unità di una serie di coppie di termini (sezioni 1, 2, 4, 5, 7) saran-
no oggetto di un’analisi dettagliata con il supporto del testo greco; per
quanto riguarda invece le sezioni 3 e 6, più lunghe ed eterogenee, mi li-
miterò ad alcune osservazioni raggruppate secondo i criteri ora ricordati.
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180 APPENDICI

1. SANTITÀ E GIUSTIZIA

«Protagora», 331a6-332a1

T… oân, ð PrwtagÒra, ¢pokrinoÚmeqa aÙtù, taàta Ðmo-


log»santej, ™¦n ¹m©j ™panšrhtai: «OÙk ¥ra ™stˆn ÐsiÒthj
oŒon d…kaion e!nai pr©gma, oÙdþ dikaiosÚnh oŒon Ósion ¢ll’
oŒon m¾ Ósion: ¹ d’ ÐsiÒthj oŒon m¾ d…kaion, ¢ll’ ¥dikon
331b1 ¥ra, tÕ dþ ¢nÒsion»; t… aÙtù ¢pokrinoÚmeqa; ™gë mþn g¦r
aÙtÕj Øpšr ge ™mautoà fa…hn ¨n kaˆ t¾n dikaiosÚnhn Ósion
e!nai kaˆ t¾n ÐsiÒthta d…kaion: kaˆ Øpþr soà dš, e‡ me ™óhj,
taÙt¦ ¨n taàta ¢pokrino…mhn, Óti ½toi taÙtÒn g’ ™stin di-
kaiÒthj ÐsiÒthti À Óti ÐmoiÒtaton, kaˆ m£lista p£ntwn
¼ te dikaiosÚnh oŒon ÐsiÒthj kaˆ ¹ ÐsiÒthj oŒon dikaiosÚnh.
¢ll’ Óra e„ diakwlÚeij ¢pokr…nesqai, À kaˆ soˆ sundoke‹
oÛtwj. – OÙ p£nu moi doke‹, œfh, ð Sèkratej, oÛtwj ¡ploàn
331c1 e!nai, éste sugcwrÁsai t»n te dikaiosÚnhn Ósion e!nai kaˆ
t¾n ÐsiÒthta d…kaion, ¢ll£ t… moi doke‹ ™n aÙtù di£foron
e!nai. ¢ll¦ t… toàto diafšrei; œfh: e„ g¦r boÚlei, œstw
¹m‹n kaˆ dikaiosÚnh Ósion kaˆ ÐsiÒthj d…kaion. – M» moi, Ãn
d’ ™gè: oÙdþn g¦r dšomai tÕ «e„ boÚlei» toàto kaˆ «e‡
soi doke‹» ™lšgcesqai, ¢ll’ ™mš te kaˆ sš: tÕ d’ «™mš
te kaˆ sš» toàto lšgw, o„Òmenoj oÛtw tÕn lÒgon bšltist’
331d1 ¨n ™lšgcesqai, e‡ tij tÕ «e‡» ¢fšloi aÙtoà. – ’All¦ mšn-
toi, Ã d’ Ój, prosšoikšn ti dikaiosÚnh ÐsiÒthti: kaˆ g¦r
Ðtioàn ÐtJoàn ¡mÍ gš pV prosšoiken. tÕ g¦r leukÕn tù
mšlani œstin ÓpV prosšoiken, kaˆ tÕ sklhrÕn tù malakù,
kaˆ t«lla § doke‹ ™nantiètata e!nai ¢ll»loij: kaˆ § tÒte
œfamen ¥llhn dÚnamin œcein kaˆ oÙk e!nai tÕ ›teron oŒon
tÕ ›teron, t¦ toà prosèpou mÒria, ¡mÍ gš pV prosšoiken
kaˆ œstin tÕ ›teron oŒon tÕ ›teron. éste toÚtJ ge tù trÒpJ
331e1 k¨n taàta ™lšgcoij, e„ boÚloio, æj ¤pant£ ™stin Ómoia
¢ll»loij. ¢ll’ oÙcˆ t¦ ÓmoiÒn ti œconta Ómoia d…kaion
kale‹n, oÙdþ t¦ ¢nÒmoiÒn ti œconta ¢nÒmoia, k¨n p£nu
smikrÕn œcV tÕ Ómoion. – Kaˆ ™gë qaum£saj e!pon prÕj
aÙtÒn: ”H g¦r oÛtw soi tÕ d…kaion kaˆ tÕ Ósion prÕj ¥llhla
œcei, éste ÓmoiÒn ti smikrÕn œcein ¢ll»loij; – OÙ p£nu,
332a1 œfh, oÛtwj, oÙ mšntoi oÙdþ aâ æj sÚ moi doke‹ o‡esqai. –

Protagora è posto di fronte alle conseguenze del suo rifiuto di ammette-


re che «la giustizia sia cosa santa» e viceversa; secondo Socrate questa
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SANTITÀ E GIUSTIZIA 181

posizione comporta l’ammissione, da parte di Protagora, che la santità


sia cosa non giusta e quindi ingiusta (¹ d’ ÐsiÒthj oŒon m¾ d…kaion, ¢ll’
¥dikon). Quest’ultimo passaggio, come viene spesso riconosciuto, com-
porta, in termini aristotelici, una confusione fra contrari e termini con-
traddittori [d + e]. Si tratta peraltro di un procedimento utilizzato anche
dal sofista Eutidemo nel dialogo omonimo [g], e deprecato nel Simposio,
dove Socrate è rimproverato da Diotima perché conclude che Amore
debba essere brutto in forza della premessa che egli non è bello 1 [b]. Si
può dunque ritenere che la confusione sia voluta e funzionale alla confu-
tazione di Protagora; è infatti l’ammissione scandalosa che la santità sia
ingiusta a rendere indifendibile la posizione del sofista 2.
Protagora, posto di fronte all’alternativa secca di considerare la san-
tità cosa giusta oppure ingiusta, non individua con chiarezza il paralogi-
smo, ma intuisce che Socrate ha operato una semplificazione indebita e
protesta, affermando che con argomenti analoghi si potrebbe dimostrare
perfino la tesi (certamente inaccettabile, perlomeno agli occhi di Socra-
te) che ogni cosa è simile ad ogni altra 3 [a].
Anche senza un’analisi dettagliata della struttura dell’argomento, si
può osservare come Socrate sfrutti la tendenza della lingua greca ad at-
tribuire al termine medio «non-giusto» il significato di «ingiusto» 4, ope-
rando un progressivo slittamento dei significati:
Dunque la santità non è una cosa tale da essere giusta (oŒon d…kaion
e!nai) e la giustizia non è tale da essere santa, bensì la santità è tale da
essere non giusta (oŒon m¾ d…kaion, ¢ll’ ¥dikon) ma ingiusta e la giusti-
zia tale da essere empia (¢nÒsion). (331a7-b1) 5

1
Symp. 201e-202a: OÙk eÙfhm»seij; œfh: À o‡ei, Óti ¨n m¾ kalÕn Ï, ¢nagka‹on aÙtÕ
e!nai a„scrÒn Euthd. 276b: OÙkoàn e„ m¾ sofo…, ¢maqe‹j; – P£nu ge. Vd. Klosko 1979, p.
131. Cfr. Prot. 346d. Quest’ultimo passo è però meno direttamente confrontabile con il
nostro. Cfr. Klosko 1979, p. 131.
2
Cfr. Taylor 19912, pp. 113-114, che intende però il paralogismo nel senso che sia
«non-giusto» sia «ingiusto» sono trattati, indebitamente, come termini contraddittori.
Cfr. anche McKirahan 1985, pp. 342-354. Weiss 1985 e Wakefield 1987 difendono in-
vece l’argomentazione di Socrate.
3
Cfr. Klosko 1979, p. 133. Secondo McKirahan 1985, Protagora è costretto a ri-
nunciare alla tesi dell’indipendenza delle virtù (la possibilità di possederne una senza a-
vere l’altra), ma la sua obiezone è valida; il sofista si attesta così su una posizione diver-
sa da quella iniziale ma meglio difendibile: «No action can be both just and unholy, but
one (say, repaying a loan) which is just to do and unjust to omit may simply be outside
the province of holiness, counting as neither holy nor unholy».
4
Vd. Stokes 1986, p. 282 ss.
5
Taylor 19912 ravvisa nell’argomentazione una confusione fra diversi sensi di «co-
me» (oŒon) (p. 111 ss.).
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182 APPENDICI

Si noti la klimax ascendente:


1 la santità non è cosa tale da essere giusta (oÙk … oŒon d…kaion e!nai);
2 la santità è tale da essere non giusta (oŒon m¾ d…kaion);
3 la santità è ingiusta (¥dikon).

Questo progressivo slittamento, che mira a rendere sempre più gravi e


difficili da accettare le implicazioni della posizione di Protagora, ricorda
a mio avviso un procedimento sofistico descritto e stigmatizzato nel Fe-
dro. Dopo un’allusione a Zenone, Socrate dice:
Dunque, c’è l’arte del contraddire non solo nei tribunali e nell’assem-
blea popolare; ma, come sembra, c’è, per tutti i discorsi, una sola arte,
se pure c’è, mediante la quale uno sarà capace di rendere ogni cosa si-
mile ad ogni cosa in tutti i casi possibili e nella misura del possibile, e di
mettere in luce quando un altro sa fare la stessa cosa e sa nasconderla
[…] l’inganno si verifica nelle cose che fra loro differiscono di molto, o
piuttosto in quelle che differiscono di poco? […] Ma è evidente che, se
tu ti sposti a piccoli passi, si accorgeranno di meno che stai proceden-
do verso la parte opposta, che non se tu ti spostassi a grandi passi […]
dunque chi intenda ingannare un altro […] bisogna che distingua la so-
miglianza e la dissomiglianza degli esseri in modo preciso. (261d-262a)

L’inganno messo in atto da Socrate, più che sulla confusione fra termini
contrari e contraddittori, consiste proprio in questo slittamento progres-
sivo 6 [b].

2. SAPIENZA E SAGGEZZA

«Protagora», 332a2-333b6

’All¦ m»n, œfhn ™gè, ™peid¾ duscerîj doke‹j moi œcein


prÕj toàto, toàto mþn ™£swmen, tÒde dþ ¥llo ïn œlegej
™piskeyèmeqa. ¢frosÚnhn ti kale‹j; – ”Efh. – ToÚtJ tù
pr£gmati oÙ p©n toÙnant…on ™stˆn ¹ sof…a; – ”Emoige doke‹,
œfh. – PÒteron dþ Ótan pr£ttwsin ¤nqrwpoi Ñrqîj te kaˆ
çfel…mwj, tÒte swfrone‹n soi dokoàsin oÛtw pr£ttontej,
À [e„] toÙnant…on [œpratton]; – Swfrone‹n, œfh. – OÙkoàn

6
Questa soluzione, senza escluderla, permette di ricondurre a un punto di vista
più consono alle indicazioni dei dialoghi la confusione fra termini contrari e contrad-
dittori che, come tale, non è mai teorizzata esplicitamente nei dialoghi.
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SAPIENZA E SAGGEZZA 183

332b1 swfrosÚnV swfronoàsin; – ’An£gkh. – OÙkoàn oƒ m¾ Ñrqîj


pr£ttontej ¢frÒnwj pr£ttousin kaˆ oÙ swfronoàsin oÛtw
pr£ttontej; – Sundoke‹ moi, œfh. – ToÙnant…on ¥ra ™stˆn
tÕ ¢frÒnwj pr£ttein tù swfrÒnwj; – ”Efh. – OÙkoàn t¦ mþn
¢frÒnwj prattÒmena ¢frosÚnV pr£ttetai, t¦ dþ swfrÒnwj
swfrosÚnV; – =WmolÒgei. – OÙkoàn e‡ ti „scÚ< pr£ttetai,
„scurîj pr£ttetai, kaˆ e‡ ti ¢sqene…v, ¢sqenîj; – ’EdÒkei.
– Kaˆ e‡ ti met¦ t£couj, tacšwj, kaˆ e‡ ti met¦ bradutÁtoj,
332c1 bradšwj; – ”Efh. – Kaˆ e‡ ti d¾ æsaÚtwj pr£ttetai, ØpÕ
toà aÙtoà pr£ttetai, kaˆ e‡ ti ™nant…wj, ØpÕ toà ™nant…ou; –
Sunšfh. – Fšre d», Ãn d’ ™gè, œstin ti kalÒn; – Sunecèrei.
– ToÚtJ œstin ti ™nant…on pl¾n tÕ a„scrÒn; – OÙk œstin.
– T… dš; œstin ti ¢gaqÒn; – ”Estin. – ToÚtJ œstin ti ™nan-
t…on pl¾n tÕ kakÒn; – OÙk œstin. – T… dš; œstin ti ÑxÝ ™n
fwnÍ; – ”Efh. – ToÚtJ m¾ œstin ti ™nant…on ¥llo pl¾n tÕ
barÚ; – OÙk œfh. – OÙkoàn, Ãn d’ ™gè, ˜nˆ ˜k£stJ tîn ™nan-
t…wn ÿn mÒnon ™stˆn ™nant…on kaˆ oÙ poll£; – SunwmolÒgei.
332d1 ”Iqi d», Ãn d’ ™gè, ¢nalogisèmeqa t¦ æmologhmšna
¹m‹n. æmolog»kamen ÿn ˜nˆ mÒnon ™nant…on e!nai, ple…w
dþ m»; – =Wmolog»kamen. – TÕ dþ ™nant…wj prattÒmenon
ØpÕ ™nant…wn pr£ttesqai; – ”Efh. – =Wmolog»kamen dþ
™nant…wj pr£ttesqai Ö ¨n ¢frÒnwj pr£tthtai tù swfrÒ-
nwj prattomšnJ; – ”Efh. – TÕ dþ swfrÒnwj prattÒmenon
ØpÕ swfrosÚnhj pr£ttesqai, tÕ dþ ¢frÒnwj ØpÕ ¢fro-
332e1 sÚnhj; – Sunecèrei. – OÙkoàn e‡per ™nant…wj pr£ttetai, ØpÕ
™nant…ou pr£ttoit’ ¥n; – Na…. – Pr£ttetai dþ tÕ mþn ØpÕ
swfrosÚnhj, tÕ dþ ØpÕ ¢frosÚnhj; – Na…. – ’Enant…wj; –
P£nu ge. – OÙkoàn ØpÕ ™nant…wn Ôntwn; – Na…. – ’Enant…on
¥r’ ™stˆn ¢frosÚnh swfrosÚnhj; – Fa…netai. – Mšmnhsai
oân Óti ™n to‹j œmprosqen æmolÒghtai ¹m‹n ¢frosÚnh sof…v
™nant…on e!nai; – SunwmolÒgei. •En dþ ˜nˆ mÒnon ™nant…on
333a1 e!nai; – Fhm…. – PÒteron oân, ð PrwtagÒra, lÚswmen tîn
lÒgwn; tÕ ÿn ˜nˆ mÒnon ™nant…on e!nai, À ™ke‹non ™n ú ™lš-
geto ›teron e!nai swfrosÚnhj sof…a, mÒrion dþ ˜k£teron
¢retÁj, kaˆ prÕj tù ›teron e!nai kaˆ ¢nÒmoia kaˆ aÙt¦ kaˆ
aƒ dun£meij aÙtîn, ésper t¦ toà prosèpou mÒria; pÒteron
oân d¾ lÚswmen; oátoi g¦r oƒ lÒgoi ¢mfÒteroi oÙ p£nu
mousikîj lšgontai: oÙ g¦r sun®dousin oÙdþ sunarmÒttousin
¢ll»loij. pîj g¦r ¨n sun®doien, e‡per ge ¢n£gkh ˜nˆ
333b1 mþn ÿn mÒnon ™nant…on e!nai, ple…osin dþ m», tÍ dþ ¢frosÚnV
˜nˆ Ônti sof…a ™nant…a kaˆ swfrosÚnh aâ fa…netai: Ã g£r,
ð PrwtagÒra, œfhn ™gè, À ¥llwj pwj; – =WmolÒghsen
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184 APPENDICI

kaˆ m£l’ ¢kÒntwj. – OÙkoàn ÿn ¨n e‡h ¹ swfrosÚnh kaˆ ¹


sof…a; tÕ dþ prÒteron aâ ™f£nh ¹m‹n ¹ dikaiosÚnh kaˆ
¹ ÐsiÒthj scedÒn ti taÙtÕn Ôn.

Protagora è vincolato a tre proposizioni che comportano la sua confuta-


zione:
1 la sapienza (sof…a) è il «contrario» (p©n tÕ ™nant…on) della sconside-
ratezza (¢frosÚnh);
2 la saggezza (swfrosÚnh) è il contrario della sconsideratezza;
3 un termine può essere in relazione di opposizione contraria con un
solo termine.
Socrate propone poi un «riepilogo» (¢nalogisèmeqa) delle proposizioni,
dal quale emerge che esse sono contraddittorie (oÙ g¦r sun®dousi …
¢ll»loij), e che occorre perciò ammettere la conclusione che sapienza e
saggezza siano una cosa sola. Vorrei sottolineare il carattere eccezionale
del «riepilogo», per cui non ci sono adeguati confronti nei dialoghi so-
cratici 7. Un procedimento simile, con terminologia un po’ diversa, è in-
vece attribuito alla «sofistica nobile» (sun£gontej d¾ to‹j lÒgoij e„j taÙ-
tÕn tiqšasi par’ ¢ll»laj, Soph. 230b) [g].
Veniamo ora ai dettagli dell’argomentazione. Per prima cosa Socrate
chiede e ottiene l’ammissione che la sapienza sia il contrario della sconsi-
deratezza. In seguito, per spingere Protagora ad ammettere (implicita-
mente, poiché la conclusione è tratta in seguito) che la swfrosÚnh sia il
contrario della ¢frosÚnh, Socrate propone una serie di esempi in cui in-
troduce non i sostantivi, ma i rispettivi avverbi (332a-c). Il filosofo ricorre
a un passaggio fra la proposizione «agire sconsideratamente è agire senza
saggezza» alla proposizione «agire sconsideratamente è agire in modo
contrario alla saggezza», un passaggio che comporta, come in preceden-
za, una confusione fra contrari e termini contraddittori 8 [d + e]. Socrate
si dilunga poi in una serie di esempi fino ad ottenere da Protagora, per
induzione, l’ammissione che «ciascuno dei contrari ha un solo contra-

7
Inoltre, il verbo ¢nalog…zomai, che suggerisce una comprensione consistente nel
mettere insieme diversi dati (cfr. Resp. 524d-e; 618c), non ha altre attestazioni nei dia-
loghi giovanili. Il solo confronto possibile, nei dialoghi socratici, è dato da Gorg. 479c e
498e, dove è impiegato il verbo sullog…zomai. In questi passi Socrate propone all’inter-
locutore di ripercorrere le conclusioni che emergono dal discorso, ma lo scopo dichia-
rato non è quello di rilevare una contraddizione, bensì di ripetere quanto detto in pre-
cedenza allo scopo di persuadere un interlocutore scarsamente propenso ad accettare
conclusioni che esulano dalla sua mentalità.
8
Cfr. Klosko 1979, p. 133 ss. e Taylor 19912, p. 125. Secondo Klosko 1979 (p. 135)
Socrate è colpevole di un altro paralogismo: equivocazione sul significato duplice di
¢frosÚnh.
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SAPIENZA E SAGGEZZA 185

rio» 9; l’operazione riesce anche perché Socrate non ha per il momento


tratto esplicitamente la conclusione che anche la swfrosÚnh sia un con-
trario di ¢frosÚnh e che, quindi, le risposte di Protagora comportano la
compresenza di due contrari di ¢frosÚnh 10. Solo dopo l’ammissione del
carattere esclusivo di ogni rapporto fra contrari Socrate sottolinea le
conseguenze delle ammissioni di Protagora 11.
La manovra di Socrate è insomma assai coperta. Secondo Aristotele
«Le proposizioni che tendono a nascondere la conclusione del sillogi-
smo hanno un certo fine agonistico» (Top. 155b26-27) [d]. Alcuni esem-
pi addotti da Aristotele in proposito ricordano da vicino la manovra di
Socrate:
Oltre a ciò non bisognerà enunciare le conclusioni dei prosillogismi, e
piuttosto le si dovrà dedurre in seguito tutte assieme […]. Per dirla in
termini generali, chi conduce l’indagine copertamente dovrà interroga-
re in modo tale, che una volta esaurita la discussione, poste tutte le do-
mande e dichiarata la conclusione, l’avversario stia ancora cercando
perché si sia giunti a tanto. (Top. 156a11-16)
Occorre poi anche, quando la cosa sia possibile, stabilire la premessa
universale mediante una definizione, usando però non i termini di que-
sta, bensì dei termini linguisticamente collegati. (Top. 156a27-28)
Secondo Aristotele, occorre insomma incalzare l’avversario in modo che
questi non faccia in tempo a rendersi conto di quanto sta accadendo 12
[d]. La rapidità incalzante, menzionata fra l’altro da Gorgia come una
prerogativa delle «dispute dei filosofi» (Enc. Hel. 13), è uno dei tratti ca-
ratteristici del metodo sofistico nell’Eutidemo 13 [g], e proprio nel Gorgia

9
Cfr. Sullivan 1961, pp. 10-28: «The premiss that everything which has an oppo-
site has only one opposite is untrue. Not only is the very term extremely vague but Pla-
to elsewhere himself recognises the distinction between contrary and contradictory,
which may both be called opposites (cf. e.g. Prot. 346d, 351d, Men. 91c, Symp. 201e,
cp. Resp. 584e)».
10
Cfr. Goldberg 1982, p. 117.
11
Si deve notare che, per costringere Protagora a individuare due contrari di ¢fro-
sÚnh, Socrate per prima cosa bada ad assicurarsi l’assenso del sofista alla tesi, nient’af-
fatto scontata, che quest’ultimo termine sia l’opposto di sof…a, mentre solo in un secon-
do momento propone, attraverso la forzatura che ho sottolineato, la swfrosÚnh come
nuovo termine contrario. Ora, il termine ¢frosÚnh, piuttosto raro, morfologicamente
richiama da vicino swfrosÚnh: difficilmente Protagora poteva sottrarsi al tentativo so-
cratico di contrapporre i due termini. Devo l’osservazione a Leszl 1992-1993, pp. 57-58.
12
La rapidità è considerata come un’abilità tipicamente eristica in Soph. El. 174a 17-
20: œsti d¾ prÕj tÕ ™lšgcein ÿn mþn mÁkoj … ÿn dþ t£coj: Øster…zontej g¦r Âtton proorîsin.
13
Euthd. 276c: prˆn ¢napneàsai kalîj te kaˆ eâ tÕ meir£kion … Ð DionusÒdwroj …
œfh 298e: Kaˆ aâqij tacÝ Øpolabën Ð DionusÒdwroj, †na m¾ prÒterÒn ti e‡poi Ð Kt»sip-
poj 300d: œfh Øfarp£saj Ð DionusÒdwroj.
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186 APPENDICI

Socrate, come principio di una buona ricerca dialettica, afferma che non
bisogna strapparsi le risposte di bocca (proarp£zein), ma ripetere, al li-
mite, le stesse domande più di una volta in modo che l’interlocutore
possa sviluppare la propria ipotesi come meglio crede (454b-c) [b].
La speciosità dell’argomentazione socratica appare inoltre evidente,
come è stato osservato 14, se si considera che nel Lachete Socrate propo-
ne, quale contrario di ¢frosÚnh, un termine ancora diverso: la frÒnhsij
(192c-d); il contrario più comune di sof…a è invece ¢maq…a, e nella parte
conclusiva del Protagora Socrate dice che «la conoscenza (sof…a) delle
cose temibili è contraria all’ignoranza (¢maq…a) di esse» [b]. È chiaro in-
somma che Socrate gioca con le parole, una pratica che Platone condan-
na nell’Eutidemo e, più esplicitamente, nella Repubblica, dove si sostiene,
a proposito della tecnica antilogica, che molti «non sono in grado di svi-
scerare l’argomento trattato, dividendolo per generi, e nel discorso van-
no a caccia di contraddizioni solo giocando sulle parole (kat’ aÙtÕ tÕ
Ônoma): insomma, usano l’uno contro l’altro l’eristica, non la dialettica»
(454a) 15 [b].
Dopo la ‘dimostrazione’ dell’identità di saggezza e sapienza, Socrate,
senza soluzione di continuità, affronta il rapporto fra giustizia e saggez-
za. Lo scambio dialettico è però interrotto da un intervento del narrato-
re, che rivela l’atteggiamento poco conciliante di Protagora (333d1-3),
un’osservazione ripresa poche righe sotto, laddove Socrate racconta che
Protagora, ormai chiuso a riccio, non era più disposto a rispondere alle
domande dell’interlocutore (333e2-5). Protagora, di fatto, interromperà
l’argomentazione relativa a saggezza e giustizia con un lungo excursus
sulla relatività del bene (334a-c), che strappa l’applauso ai presenti e po-
ne il problema se la discussione debba essere svolta per lunghi discorsi o
per brevi domende e risposte 16. La scontentezza di Protagora può essere
indice della speciosità dell’argomentare socratico, che viene avvertito
come eccessivamente teso e competitivo; questa impressione è confer-
mata dalla discussione relativa ai modi del discutere (334d ss.): Alcibiade
(336b-d) e Crizia (336d-e) danno per scontato il carattere agonale della
discussione, e Prodico invita esplicitamente i dialoganti a non cadere
nella contesa (™r…zein, 337b) [a].

14
Leszl 1992-1993, p. 58.
15
Fra gli esempi di argomentazione non dialettica perché rivolta appunto al nome
e non alle cose, Aristotele pone proprio quella che non tiene conto dei diversi significa-
ti di uno stesso termine (vd. in part. Top. 108a17-36), e sottolinea in particolare che il
rapporto univoco di contrarietà fra due concetti spesso si perde nel linguaggio, dove ta-
lora uno stesso termine può avere più di un contrario (106a9 ss.).
16
Per una ricostruzione di questo abbozzo di argomentazione, vd. Eisenstadt 1981.
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L’INTERPRETAZIONE SOCRATICA DELL’«ENCOMIO A SCOPAS» 187

3. L’INTERPRETAZIONE SOCRATICA DELL’«ENCOMIO A SCOPAS»

Il giudizio dei moderni [e]

Gli studiosi sono quasi unanimi nel ritenere l’interpretazione socratica


del carme di Simonide aberrante e volutamente paradossale 17, tanto so-
no numerose le distorsioni cui Socrate piega il testo simonideo 18. Perfi-
no Gregory Vlastos, che più di ogni altro si è battuto per mostrare come
la sincerità sia un dogma della dialettica platonica, non esita ad ammet-
tere che nel corso di questa discussione il suo eroe «cerca di darla a bere
ai suoi interlocutori» 19.

Il giudizio di Aristotele [d]

In un luogo dell’Etica Nicomachea Aristotele, probabilmente per influen-


za dello stesso Platone, allude chiaramente all’Encomio a Scopas. Non è
difficile verificare direttamente la distanza fra la lettura dello Stagirita e
l’interpretazione proposta da Socrate. Il passo simonideo in questione è
il seguente (PMG 542, vv. 1-3):
¥ndr’ ¢gaqÕn mþn ¢laqšwj genšsqai
calepÕn cers…n te kaˆ posˆ kaˆ nÒwi
tetr£gwnon ¥neu yÒgou tetugmšnon:

Socrate nega che il poeta possa dire che «difficile è essere veramente
buono […] come se vi fossero alcuni veramente buoni, e altri buoni, ma

17
Cfr. per esempio Wilamowitz 1919, p. 147, Pfeiffer 1968, trad. it. 1973, p. 86,
Guthrie 1975, p. 219. Per un’estesa bibliografia, vd. Giuliano 1992. Lo studioso è pe-
raltro il solo ad aver sostenuto la sostanziale serietà dell’interpretazione socratica, insie-
me – seppur in modo più sfumato – a Demos 1999 (vd. il cap. dedicato al Protagora).
18
Basti qui ricordare, brevemente, i principali misfatti esegetici di Socrate, nella
sintesi che ne offre uno studioso del Protagora: «As in the etymology section of the Cra-
tylus, there is here both brilliant sense and nonsense; but the latter is too obvious to be
missed. Socrates commits to just about every sin of interpretation: 1) he puts words to-
gether that clearly do not belong together (lines 2, 18-19); 2) he ignores bits of text that
would be difficult to harmonize with his thesis (lines 14, 19-20); 3) he puts in words
that are no part of the poem (line 24) and even goes so far as to cite another poet for
support (344d); 4) he does not hesitate to twist the text so as to have Simonides discuss
a question regarding his own praising of Pittacus, rather than that of his praising men
generally (lines 21-26); and, above all, 5) he imputes philosophic doctrines to Simo-
nides of which there is no trace in the poem (lines 8-9, 10-11, 18-19)» (Weingartner 1973,
pp. 100-101).
19
Vlastos 1991, trad. it. 1998, p. 136.
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188 APPENDICI

non veramente; ciò sarebbe un’evidente sciocchezza, indegna di Simoni-


de» (343d-e); l’avverbio deve piuttosto essere riferito, con un ‘iperbato’
(ØperbatÒn, 343e3) a calepÒn 20, come se Simonde intendesse che vera-
mente difficile è diventare (genšsqai) buono e non esserlo (œmmenai, 13).
Che sia difficile essere buono sarebbe, secondo Socrate, la tesi di Pittaco
che Simonide si propone di confutare. Ma in un passo dell’Etica Nicoma-
chea Aristotele, non diversamente dagli interpreti moderni, intende l’av-
verbio riferito proprio al termine «buono» 21. Lo stagirita, che in genera-
le non è certo parco di critiche nei confronti di Platone, nell’Etica Nico-
machea fa più volte riferimento al Protagora, soprattutto per confutare la
tesi socratica che non è possibile commettere il male volontariamente
(1145b12 ss.). Si può perciò pensare che, se lo Stagirita avesse preso sul
serio l’interpretazione dell’Encomio a Scopas, avrebbe perlomeno speso
qualche parola per contestarla.

Il giudizio degli interlocutori [a]

Che l’interpretazione di Socrate non debba essere presa sul serio, appare
evidente anche dal fatto che il luogo citato sopra dell’Encomio a Scopas,
in una fase precedente della discussione, era già stato parafrasato da So-
crate senza nessun accenno all’interpretazione secondo la quale ¢laqšwj
qualificherebbe calepÒn 22. D’altra parte, nel corso della disputa esege-
tica, Socrate si contraddice apertamente: di fronte alle obiezioni di Pro-
tagora, egli sostiene di sapere benissimo che calepÒn non può significare
«cattivo» – come pure in precedenza aveva sostenuto – e con disinvoltu-
ra sceglie una nuova linea di argomentazione, dichiarando di aver parla-
to per scherzo (pa…zein, 341d), per mettere alla prova l’avversario 23. Al
termine del lungo discorso in cui offre un’interpretazione complessiva
del carme simonideo, inoltre, lo stesso Socrate, riguardo alla pratica del-
l’esegesi poetica, formula un giudizio negativo e inequivocabile (347c ss.).

20
O, per meglio dire, l’avverbio qualifica l’intera proposizione «veramente è difficile
diventare buono» (e non esserlo, come sosterrebbe Pittaco). Cfr. Giuliano 1992, p. 144 ss.
21
t¦j tÚcaj o‡sei k£llista kaˆ p£ntV p£ntwj ™mmelîj Ó g’ æj ¢lhqîj ¢gaqÕj kaˆ te-
tr£gwnoj ¥neu yÒgou (Eth. Nic. 1.10.1100b20).
22
Scodel 1986, p. 31: «Socrates has already paraphrased the line twice (339d, 340b),
without giving any sign of being offended by the obvious meaning of the line».
23
Cfr. la sintetica presentazione di Cherniss 1950: «I should think it obvious that
any attempt to interpret the section concerned with the dicussion of Simonides’ poem
would involve consideration of 338e-339a where Protagoras states his reason for intro-
ducing this subject, 347c-e where Socrates says what he thinks of all such discussions,
and 341d where Socrates declares the preceding interpretation a joke to test Protago-
ras». Cfr. anche Manuwald 1999, p. 367.
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L’INTERPRETAZIONE SOCRATICA DELL’«ENCOMIO A SCOPAS» 189

Occorre infine ricordare che Protagora stesso, come si è visto, non si


lascia persuadere dall’interpretazione che fa di calepÒn un sinonimo di
kakÒn (339e ss.), e la sua obiezione coglie indubbiamente nel segno 24.
Per quanto riguarda poi l’interpretazione complessiva del carme, l’unico
personaggio che esprima approvazione per l’esegesi socratica è Ippia
(347a-b).

Gli argomenti messi in bocca, nei dialoghi, ai sofisti [g]

Per sanare la contraddizione di Simonide rilevata da Protagora, Socrate


ricorre alla sinonimica di Prodico: egli invoca in aiuto il sofista, loda a
più riprese la sua arte (mousik», 340a; sof…a qe…a, 341a), e si serve delle
distinzioni semantiche care a Prodico per sanare la contraddizione rile-
vata da Protagora nel carme simonideo. Nessun dubbio, dunque, che
Socrate adotti qui una tecnica sofistica, tale da riscuotere l’interessata
approvazione di Prodico (cfr. in part. 341c-d) 25.
In un secondo momento, nel corso del suo lungo discorso esegetico,
Socrate cerca di ricostruirne il pensiero, la dianoia del carme 26. Socrate
propone qui un approccio organico al testo poetico, che si esplica non
solo nell’attenzione alla dianoia, ma anche nell’insistenza sul carattere di
completezza dell’interpretazione, che deve trattare il testo come un in-
sieme, nella sua totalità, un concetto che Socrate esprime per mezzo dei
termini Óloj e p©j 27. Inoltre, il procedimento socratico ha un carattere
‘probatorio’, e i presenti sono chiamati a testimoniare delle prove addot-
te dall’interprete:
– Che Simonide non intenda il difficile nel senso di cattivo è ampia-
mente provato (mšga tekm»riÒn ™stin) dal verso immediatamente se-
guente, ove dice [segue citazione]. (341d-e)
– Esaminiamo tutti insieme se dico la verità. (343c)

Socrate propone ora un approccio al testo che a mio avviso ricorda mol-
to da vicino quello esibito da Ippia nell’Ippia Minore. Attraverso la cita-

24
Già in precedenza, del resto, Protagora aveva opposto sensate obiezioni all’inter-
pretazione socratica. Cfr. 340d-e.
25
Si deve anche osservare che la citazione dei versi di Esiodo relativi alle diverse vie
di virtù e viltà è probabilmente dovuta al fatto che di questi versi Prodico aveva fatto u-
so nell’apologo di Eracle al bivio. Cfr. Giuliano 1992, p. 130.
26
Vd. Giuliano 1992.
27
343c: ¤pan tÕ «sma 344b: ¢ll¦ tÕn tÚpon aÙtoà tÕn Ólon diexšlqwmen kaˆ t¾n
boÚlhsin, Óti pantÕj m©llon œlegcÒj ™stin toà Pittake…ou ·»matoj di¦ pantÕj toà °smatoj.
Vd. Giuliano 1992, p. 152 ss.
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190 APPENDICI

zione diretta, Ippia sostiene che Omero abbia inteso rappresentare O-


disseo come il più «versuto» (polutropètaton) fra i Greci, Achille come
il «migliore» (364c), in quanto «semplice» e «sincero» (364e). Socrate,
tramite il ragionamento dialettico, costringe invece il sofista ad ammette-
re che, in effetti, non c’è differenza fra menzogna e sincerità: Achille e
Odisseo sono simili (369b). Il fuoco dialettico e il carattere paradossale
delle conclusioni raggiunte finiscono per esasperare Ippia, che accusa
Socrate di ricorrere ad argomenti capziosi senza raffrontarsi con «la to-
talità dell’argomento (ÓlJ tù pr£gmati)» e si dichiara capace di dimo-
strare, con un discorso adeguato (ƒkanù lÒgJ) fondato su diverse prove
(™pˆ pollîn tekmhr…wn), che «Omero ha fatto Achille migliore di Odis-
seo» (369b-c). Il sofista invita poi Socrate a contrapporre un suo discor-
so, in modo che «i presenti sapranno con maggior sicurezza chi di noi
due ha ragione» (369c). Ritroviamo qui lo stesso approccio organicista
che muove l’interpretazione socratica di Simonide: il poeta ha una sua li-
nea di pensiero che persegue coerentemente e che può essere messa in
luce considerando il problema nel suo complesso (Óloj), in base a tek-
m»ria (presumibilmente citazioni), che poi sono sottoposti al giudizio
della platea 28. Il metodo ha un necessario sbocco nella macrologia, con-
trapposizione di discorsi ovviamente lunghi: anche Socrate vi ricorre nel-
l’interpretazione di Simonide 29.
Socrate e Ippia si avvalgono dunque di un approccio esegetico molto
simile. Queste considerazioni trovano una conferma decisiva proprio al
termine della discussione letteraria del Protagora, quando Ippia sostiene
che Socrate «abbia spiegato bene il canto» e chiede la parola per tenere
a sua volta «un bel discorso» (lÒgon) sul carme simonideo (347b). Ippia
è l’unico fra i presenti a esprimere il proprio assenso, evidentemente
perché ha riconosciuto nell’interpretazione di Socrate un approccio vici-
nissimo al proprio, e si accinge a mettere in pratica la proposta espressa
nell’Ippia Minore: «contrapporre discorso a discorso» per rivaleggiare
con Socrate.
Il ricorso a due diverse tecniche sofistiche, in conclusione, garantisce
a Socrate l’appoggio determinante di Prodico e Ippia.

28
Secondo un principio, dunque, retorico e non dialettico. Cfr. Resp. 348a-b.
29
Si deve osservare che Ippia pare considerare il discorso continuo, in contrapposi-
zione con la dialettica socratica, come la condizione per ritornare al testo: in effetti l’ap-
proccio di Socrate porta a sfruttare la poesia come un semplice spunto per la discussio-
ne di problemi che vanno al di là di essa; a Ippia interessa invece mettere in luce le in-
tenzioni di Omero.
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L’INTERPRETAZIONE SOCRATICA DELL’«ENCOMIO A SCOPAS» 191

Le indicazioni tratte da altri dialoghi [b]

Socrate, al termine dell’esegesi, dice a chiare lettere che l’interpretazione


dei poeti è una pratica inutile e volgare (347c-e). Il rifiuto di Platone per
l’esegesi letteraria affonda le radici in una teoria più generale, fondamen-
tale per la comprensione dei dialoghi come opera insieme filosofica e let-
teraria: soltanto l’oralità dialettica permette all’uomo di accedere, seppu-
re indirettamente, alla verità, mentre ogni discorso prefissato, ossia qua-
lunque forma di componimento continuo e in particolare le opere scrit-
te, presta il fianco a fraintendimenti e abusi di ogni sorta da parte degli
interpreti. È per questo che i carmi dei poeti non possono che risultare
«enigmatici» ed elusivi 30, mentre la ricerca della verità richiede la verifi-
ca continua delle opinioni dell’interlocutore attraverso il confronto dia-
lettico. Ecco perché, al termine della sua performance esegetica, Socrate
invita Protagora ad abbandonare senz’altro l’interpretazione dei poeti
(347b ss.), la cui reale opinione, per forza di cose, non può essere messa
alla prova (™xelšgxai, 347e).
Se, in generale, l’esegesi letteraria appare una pratica estranea alla fi-
losofia socratico-platonica, ancora più sorprendente è l’appello che So-
crate rivolge ai presenti perché giudichino della bontà dell’interpretazio-
ne, un appello che fa probabilmente leva anche sulle rivalità che divido-
no i sofisti 31. Il metodo confutatorio di Socrate, infatti, si caratterizza di
contro alla retorica proprio perché ricerca il consenso del solo interlocu-
tore e rinuncia al giudizio di spettatori ed arbitri (Gorg. 471e ss.) 32. Ma
questa ‘regola’ è vistosamente violata nel Protagora.

30
Cfr. per esempio Alc. II 147b; Resp. 332b. In quest’ultimo passo, l’a„n…ttesqai è
attribuito proprio a Simonide.
31
Cfr. l’accenno polemico di Protagora nei confronti di Ippia in 318e; cfr. anche
Hipp. Ma. 282d-e. Ma l’abilità con cui Socrate riesce a servirsi di Prodico ed Ippia per
battere Protagora ha anche un risvolto più profondo: l’adozione della tecnica diairetica
di Prodico e dell’interpretazione contenutistica di Ippia comporta uno scontro frontale
con l’approccio di Protagora. Prodico infatti professava forse una teoria per cui il lin-
guaggio era fÚsij, in contrapposizione al relativismo e al convenzionalismo di Protago-
ra. È questa la tesi di Momigliano 1930. D’altra parte l’approccio contenutistico di Ip-
pia è del tutto incompatibile con il formalismo di Protagora: può darsi insomma che
Socrate faccia leva su una rivalità professionale per attaccare le posizioni di Protagora.
32
Vd. supra, VI.5.
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192 APPENDICI

4. CORAGGIO E SAPIENZA (I)

«Protagora», 349-e1-350d5

349e1 ”Ece d», œfhn ™gè: ¥xion g£r toi ™piskšyasqai Ö lšgeij.
pÒteron toÝj ¢ndre…ouj qarralšouj lšgeij À ¥llo ti; –
Kaˆ ‡taj ge, œfh, ™f’ § oƒ polloˆ foboàntai „šnai. – Fšre
d», t¾n ¢ret¾n kalÒn ti fÊj e!nai, kaˆ æj kaloà Ôntoj
aÙtoà sÝ did£skalon sautÕn paršceij; – K£lliston mþn
oân, œfh, e„ m¾ ma…noma… ge. – PÒteron oân, Ãn d’ ™gè, tÕ
mšn ti aÙtoà a„scrÒn, tÕ dš ti kalÒn, À Ólon kalÒn; – “Olon
pou kalÕn æj oŒÒn te m£lista. – O!sqa oân t…nej e„j t¦
350a1 fršata kolumbîsin qarralšwj; – ”Egwge, Óti oƒ kolumbh-
ta…. – PÒteron diÒti ™p…stantai À di’ ¥llo ti; – “Oti ™p…-
stantai. – T…nej dþ ¢pÕ tîn †ppwn poleme‹n qarralšoi e„s…n;
pÒteron oƒ ƒppikoˆ À oƒ ¥fippoi; – Oƒ ƒppiko…. – T…nej dþ
pšltaj œcontej; oƒ peltastikoˆ À oƒ m»; – Oƒ peltastiko….
kaˆ t¦ ¥lla ge p£nta, e„ toàto zhte‹j, œfh, oƒ ™pist»monej
tîn m¾ ™pistamšnwn qarraleètero… e„sin, kaˆ aÙtoˆ ˜autîn
350a1 ™peid¦n m£qwsin À prˆn maqe‹n. – ”Hdh dš tinaj ˜èrakaj,
œfhn, p£ntwn toÚtwn ¢nepist»monaj Ôntaj, qarroàntaj dþ
prÕj ›kasta toÚtwn; – ”Egwge, Ã d’ Ój, kaˆ l…an ge qar-
roàntaj. – OÙkoàn oƒ qarralšoi oátoi kaˆ ¢ndre‹o… e„sin;
– A„scrÕn ment¥n, œfh, e‡h ¹ ¢ndre…a: ™peˆ oáto… ge
mainÒmeno… e„sin. – Pîj oân, œfhn ™gè, lšgeij toÝj ¢n-
dre…ouj; oÙcˆ toÝj qarralšouj e!nai; – Kaˆ nàn g’, œfh. –
350c1 OÙkoàn oátoi, Ãn d’ ™gè, oƒ oÛtw qarralšoi Ôntej oÙk ¢n-
dre‹oi ¢ll¦ mainÒmenoi fa…nontai; kaˆ ™ke‹ aâ oƒ sofètatoi
oátoi kaˆ qarraleètato… e„sin, qarraleètatoi dþ Ôntej
¢ndreiÒtatoi; kaˆ kat¦ toàton tÕn lÒgon ¹ sof…a ¨n ¢ndre…a
e‡h;
OÙ kalîj, œfh, mnhmoneÚeij, ð Sèkratej, § œlegÒn te
kaˆ ¢pekrinÒmhn soi. œgwge ™rwthqeˆj ØpÕ soà e„ oƒ
¢ndre‹oi qarralšoi e„s…n, æmolÒghsa: e„ dþ kaˆ oƒ qarralšoi
¢ndre‹oi, oÙk ºrwt»qhn – e„ g£r me tÒte ½rou, e!pon ¨n Óti
350d1 oÙ p£ntej – toÝj dþ ¢ndre…ouj æj oÙ qarralšoi e„s…n, tÕ
™mÕn ÐmolÒghma oÙdamoà ™pšdeixaj æj oÙk Ñrqîj æmolÒghsa.
œpeita toÝj ™pistamšnouj aÙtoÝj ˜autîn qarralewtšrouj
Ôntaj ¢pofa…neij kaˆ m¾ ™pistamšnwn ¥llwn, kaˆ ™n toÚtJ
o‡ei t¾n ¢ndre…an kaˆ t¾n sof…an taÙtÕn e!nai:
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CORAGGIO E SAPIENZA (I ) 193

La maggior parte degli studiosi riconosce che nel corso della prima di-
scussione intorno al coraggio Socrate commette una grave fallacia [e] 33.
Egli, come Protagora non manca di rilevare, confonde un rapporto di
implicazione (i coraggiosi sono ardimentosi: [x] [Cx > Ax]) con un bi-
condizionale (i coraggiosi sono gli ardimentosi: [x] [Cx <> Ax]). È ap-
pena il caso di dire che un simile procedimento è del tutto inaccettabile
sia – ovviamente – alla luce della logica aristotelica [d] sia sulla base di
indicazioni ricavabili da altri dialoghi. Socrate, come è stato osservato 34,
offre una chiara analisi di un problema logico simile nell’Eutifrone, dove
è affrontata la questione dei rapporti fra ‘giusto’ e ‘santo’ (12a ss.): tutto
ciò che è giusto, eo ipso, sarà anche santo, ma non viceversa, in questo
caso perché «il santo è una parte del giusto» (12d) 35 [b].
L’errore formale è macroscopico, ma l’argomentazione è in realtà
piuttosto complicata nei dettagli, e si potrebbe ritenere che la conclusio-
ne di Socrate sia meno scorretta di quanto appaia. Si può infatti credere
che, secondo Socrate, gli ardimentosi si suddividano in due categorie:
arditi per conoscenza e arditi per follia. Quando Socrate chiede se i sa-
pienti, in quanto arditi, non siano anche coraggiosi e se, dunque, il co-
raggio non sia una forma di sapienza, egli ha forse in mente questa bi-
partizione, e vuole in realtà suggerire che il coraggio si identifica con
quella forma di ardimento bello derivante dalla conoscenza dei pericoli
(l’ardimento derivante da pazzia, infatti, non può identificarsi con il co-
raggio, perché Protagora ha ammesso che la virtù deve essere comunque
cosa bella). Tuttavia, anche corretta in questa forma, l’argomentazione è
inconcludente: se è vero che il coraggio non coincide con l’ardimento
perché quest’ultimo, a differenza del primo, non è sempre bello, ciò non
implica tout court l’equivalenza di coraggio e sapienza, perché potrebbe-
ro esserci altre forme di ardimento «bello» che non discendono dal sa-
pere; non a caso, Protagora suggerisce poco dopo che l’ardimento può
anche discendere, oltre che da conoscenza e follia, anche dal qumÒj
(351a-b), e perciò le obiezioni di Protagora sono comunque del tutto
pertinenti [a] 36. D’altra parte una prova sufficiente in questo senso è co-

33
Cfr. Taylor 19912, ad loc.
34
Klosko 1979, p. 136.
35
Si noti inoltre che nel Lachete (193b-c) i medesimi esempi del tuffatore e del ca-
valiere sono utilizzati da Socrate proprio per mostrare che, al contrario, il coraggio non
può consistere in una forma di sapere tecnico.
36
Per quanto la sua ricostruzione dell’argomento di Socrate sia in qualche misura
confusa. Il sofisma di Socrate può essere sanato solo a patto di intervenire sul testo o di
adottare complicate riscostruzioni logiche che di fatto si allontanano molto dalla lette-
ra. Per un quadro di insieme, vd. la ricca trattazione in Taylor 19912, pp. 150-161. Cfr.
anche Cherniss 1950, p. 86: «Surely the author of the dialogue knew that the fallacies
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194 APPENDICI

stituita dal fatto che Socrate non è più in grado di replicare e lascia cade-
re la discussione sul coraggio; è questa una circostanza che lascia pochi
dubbi sulla inconcludenza dell’argomentazione socratica.

5. BENE E PIACERE

«Protagora», 351b-3- 351c7

Lšgeij dš tinaj, œfhn, ð PrwtagÒra, tîn ¢nqrèpwn


eâ zÁn, toÝj dþ kakîj; – ”Efh. – ’Ar’ oân doke‹ soi ¥nqrwpoj
¨n eâ zÁn, e„ ¢nièmenÒj te kaˆ Ñdunèmenoj zóh; – OÙk
œfh. – T… d’ e„ ¹dšwj bioÝj tÕn b…on teleut»seien; oÙk eâ
¥n soi doke‹ oÜtwj bebiwkšnai; – ”Emoig’, œfh. – TÕ mþn ¥ra
351c1 ¹d»wj zÁn ¢gaqÒn, tÕ d’ ¢hdîj kakÒn. – E‡per to‹j kalo‹j
g’, œfh, zóh ¹dÒmenoj. – T… d», ð PrwtagÒra; m¾ kaˆ sÚ,
ésper oƒ pollo…, ¹dš’ ¥tta kale‹j kak¦ kaˆ ¢niar¦ ¢gaq£;
™gë g¦r lšgw, kaq’ Ö ¹dša ™st…n, «ra kat¦ toàto oÙk
¢gaq£, m¾ e‡ ti ¢p’ aÙtîn ¢pob»setai ¥llo; kaˆ aâqij aâ
t¦ ¢niar¦ æsaÚtwj oÛtwj oÙ kaq’ Óson ¢niar£, kak£; –
OÙk o!da, ð Sèkratej, œfh, ¡plîj oÛtwj, æj sÝ ™rwt´j,
351d1 e„ ™moˆ ¢pokritšon ™stˆn æj t¦ ¹dša te ¢gaq£ ™stin ¤panta
kaˆ t¦ ¢niar¦ kak£: ¢ll£ moi doke‹ oÙ mÒnon prÕj t¾n nàn
¢pÒkrisin ™moˆ ¢sfalšsteron e!nai ¢pokr…nasqai, ¢ll¦ kaˆ
prÕj p£nta tÕn ¥llon b…on tÕn ™mÒn, Óti œsti mþn § tîn
¹dšwn oÙk œstin ¢gaq£, œsti d’ aâ kaˆ § tîn ¢niarîn oÙk
œsti kak£, œsti d’ § œsti, kaˆ tr…ton § oÙdštera, oÜte kak¦
oÜt’ ¢gaq£. – =Hdša dþ kale‹j, Ãn d’ ™gè, oÙ t¦ ¹donÁj
351e1 metšconta À poioànta ¹don»n; – P£nu g’, œfh. – Toàto to…-
nun lšgw, kaq’ Óson ¹dša ™st…n, e„ oÙk ¢gaq£, t¾n ¹don¾n
aÙt¾n ™rwtîn e„ oÙk ¢gaqÒn ™stin. – “Wsper sÝ lšgeij, œfh,
˜k£stote, ð Sèkratej, skopèmeqa aÙtÒ, kaˆ ™¦n mþn prÕj
lÒgon dokÍ e!nai tÕ skšmma kaˆ tÕ aÙtÕ fa…nhtai ¹dÚ te
kaˆ ¢gaqÒn, sugcwrhsÒmeqa: e„ dþ m», tÒte ½dh ¢mfisbh-
t»somen.

against which these protests are made were fallacies, for it was he who put the protests
into the mouth of Protagoras; and, since he entered the protests intentionally, he must
have put with intention the fallacies to which these protests are made».
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BENE E PIACERE 195

Questa argomentazione mostra una struttura simile a quella volta a di-


mostrare l’identità di santità e giustizia (cfr. supra, par. 1):
Giustizia e santità
1 Progressivo slittamento di significati (la santità non è cosa tale da es-
sere giusta > la santità è tale da essere non giusta > la santità è ingiu-
sta);
2 Protagora sottolinea la complessità del problema: «Non mi pare,
Socrate» – disse – «che sia così semplice (oÛtwj ¡ploàn) giungere ad
ammettere che la giustizia sia santa e la santità giusta»;
3 «Ma per te il giusto e il santo stanno tra loro in modo da avere solo
una piccola somiglianza?».

Bene e piacere
1 Progressivo slittamento di significati (vivere dolorosamente è una
vita non-buona > morire dopo aver vissuto piacevolmente è aver
vissuto bene > vivere piacevolmente è (il) bene);
2 Protagora sottolinea la complessità del problema: «Non so, Socrate,
se devo risponderti così semplicemente (oÛtwj ¡plîj) […] che tutte
le cose piacevoli sono buone e le dolorose cattive»;
3 «Anche tu Protagora, come i molti, chiami cattive alcune cose piace-
voli […]?».

Le affermazioni cui Socrate induce Protagora sono sempre più radicali e


compromettenti. Come nella discussione sull’identità di santità e giusti-
zia, il sofista si mostra reticente e introduce degli elementi di incertezza.
A questo punto, in modo del tutto simile, Socrate cambia strada e si ri-
volge a Protagora con una domanda diretta e improvvisa che cerca di
fare leva sul senso di vergogna del sofista 37. L’argomentazione di Socra-
te, perciò, presenta difficoltà simili a quella relativa a giustizia e santità.
Vi è uno slittamento progressivo dei termini, come descritto nel citato
passo del Fedro [b]. Inoltre, a parte il fatto che non è chiaro quale rela-
zione vi sia fra la conclusione che una vita piacevole è buona e la tesi forte,
enunciata oltre, secondo cui bene e piacere coincidono 38, si deve osser-
vare che la conclusione «vivere piacevolmente è bene» non può derivare
dalla premessa «vivere dolorosamente è una vita non buona» se non am-
mettendo un passaggio da «non buona» a «cattiva», cioè, ancora una
volta, grazie a una confusione fra contrari e contraddittori [d + g + b]. Si
spiega così la riluttanza di Protagora, che non accoglie gli argomenti del

37
Lo stupore di Socrate di fronte all’eventualità che Protagora adotti la stessa posi-
zione dei «molti» non è casuale, perché il sofista ha espresso il suo disprezzo per la
massa (vd. 317a).
38
In proposito, cfr. Taylor 19912, p. 166 ss.
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196 APPENDICI

filosofo [a], e – pur senza analizzare l’argomentazione di Socrate – pre-


cisa correttamente che vi sono cose buone, cattive e né buone né cattive,
probabilmente perché si rende conto del passaggio indebito operato da
Socrate.

6. LA CONFUTAZIONE DEI «MOLTI» (EDONISMO)

Il giudizio dei moderni [e]

La discussione relativa al rapporto fra bene e piacere ha suscitato infinite


discussioni e polemiche: Socrate è vincolato alla tesi dell’identità di bene
e piacere oppure si tratta di un argumentum ad hominem? Nel primo ca-
so occorre ammettere una fase edonistica nel pensiero socratico-platoni-
co, in contrasto con le indicazioni ricavabili dagli altri dialoghi a partire
dal Gorgia fino al Fedone, alla Repubblica, al Fedro e alle Leggi. D’altra
parte non si può negare che Socrate cerchi di indurre Protagora ad acco-
gliere la tesi edonistica, e se è vero che Socrate non dichiara mai di ab-
bracciare apertamente tale tesi, è altrettanto vero che non dice nulla per
dissociarsene. Anche l’ipotesi di un argumentum ad hominem solleva quin-
di una difficoltà spinosa, perché occorre ammettere che Socrate, in qual-
che misura, inganni l’interlocutore. Le numerose ricognizioni compiute
dagli studiosi intorno ai dettagli testuali che dovrebbero dimostrare o
negare l’adesione di Socrate alla tesi edonistica non hanno prodotto al-
cuna forma di consenso. Personalmente, ritengo che una soluzione al
problema emerga da un esame della tecnica di misurazione dei piaceri in
quanto techne. Per Socrate, come è noto, la virtù è «la scienza che ha co-
me oggetto specifico il bene sotto ogni dimensione temporale» 39. Ora,
se Socrate sposa seriamente la tesi edonistica, la tecnica di misurazione,
capace di assicurare all’uomo il piacere (cioè il bene), coinciderà senz’al-
tro con la virtù-scienza socratica, ossia con quel sapere supremo – supe-
riore a tutte le technai-epistemai particolari – cui egli, nei dialoghi giova-
nili di Platone, sempre aspira. La plausibilità di un’interpretazione in
chiave edonistica della parte finale del Protagora mi pare perciò stretta-
mente legata alla possibilità di identificare la virtù-scienza socratica con
la tecnica di misurazione; ma questa possibilità sembra inaccettabile per
vari motivi: la professione socratica di ignoranza, il fatto che Socrate la-

39
Cambiano 19912, p. 98. Per esprimere il concetto socratico di scienza farò uso li-
beramente dei termini techne, tecnica, scienza, arte.
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LA CONFUTAZIONE DEI «MOLTI» 197

scia capire che la tecnica giusta non è stata ben individuata (Prot. 357b)
e soprattutto il ruolo modesto e propedeutico che Platone assegna alle
tecniche di misurazione 40. L’adozione della tesi edonistica appare così
strumentale e, indubbiamente, in certa misura ingannevole.

Il giudizio di Aristotele [d]

Aristotele, nella prima parte del libro VII dell’Etica Nicomachea, propo-
ne un’analisi del problema morale dell’intemperanza, e, nel criticare la
posizione socratica, si riferisce palesemente alla trattazione del Protago-
ra 41. È tuttavia notevole che egli non faccia alcun accenno alla premessa
edonistica sulla quale l’argomentazione si regge, probabilmente perché
lo Stagirita sapeva bene che Platone non attraversò mai una fase edoni-
sta, e che perciò l’argomento di Socrate è interamente ad hominem.

Gli argomenti messi in bocca ai sofisti [g]

Una posizione edonistica, nei dialoghi, è espressamente attribuita a Cal-


licle e confutata da Socrate nel Gorgia (491e ss.). Alcuni studiosi, a pro-
posito del Protagora, hanno però parlato di «edonismo illuminato» 42.
Questa forma di edonismo sarebbe dunque immune dalle critiche che
– dal Gorgia in avanti – Platone rivolge alla tesi dell’identità di bene e
piacere, perché si tratterebbe in questo secondo caso di un edonismo si-

40
Vd. per esempio Euthphr. 7b-d; Alc. I 126c-d; Resp. 522c; Leg. 819c-d. Su tutto
questo, cfr. il primo paragrafo di Capra 1997.
41
Cfr. in part. 1145b23-24: deinÕn g¦r ™pist»mhj ™noÚshj, æj õeto Swkr£thj, ¥llo ti
krate‹n kaˆ perišlkein aÙt¾n ésper ¢ndr£podon. Il passo contiene un evidentissimo rie-
cheggiamento di Prot. 352b-c: ¢ll’ ™noÚshj poll£kij ¢nqrèpJ ™pist»mhj oÙ t¾n ™pist»-
mhn aÙtoà ¥rcein ¢ll’ ¥llo ti, totþ mþn qumÒn, totþ dþ ¹don»n, totþ dþ lÚphn, ™n…ote dþ œrw-
ta, poll£kij dþ fÒbon, ¢tecnîj dianooÚmenoi perˆ tÁj ™pist»mhj ésper perˆ ¢ndrapÒdou,
perielkomšnhj ØpÕ tîn ¥llwn ¡p£ntwn. L’entità della critica aristotelica non è comunque
facile da determinare ed è anzi molto dibattuta. Cfr. per esempio Donini 1977.
42
Gosling - Taylor 1982, nel capitolo dedicato al Protagora. Una posizione di ques-
to tipo è adottata per esempio anche da Guthrie 1975, p. 234: «[…] one should pause
before indulging to an immediate pleasure to work out whether it will increase the sum
of satisfaction throughout the whole life; and his conclusion amounts to saying that it
will only do if we exercise the virtue of self-control and find pleasure in what is good
and honourable». Vd. anche Berman 1991 e soprattutto Voigtländer 1980 (lo studioso
riconosce che i «molti», inizialmente, si riferiscono al piacere corporeo, ma ritiene che la
tecnica di misurazione, introdotta da Socrate, ne trasformi radicalmente l’edonismo; vd.
in part. p. 201 ss.). Gosling e Taylor hanno difeso la propria tesi in Gosling - Taylor 1990
contro le critiche di Weiss 1989, che ha poi pubblicato una contro-replica (Weiss 1990).
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198 APPENDICI

baritico, fondato esclusivamente sui piaceri del corpo: non vi sarebbe dun-
que alcuna contraddizione fra i due dialoghi e, più in generale, nel pen-
siero di Platone intorno al piacere. Questa distinzione appare però arbi-
traria, perché Socrate nel Gorgia chiarisce che il piacere di cui si sta par-
lando è tanto corporeo quanto psichico 43, e Callicle non mostra una pro-
pensione verso i piaceri del corpo piuttosto che verso quelli dell’anima 44.
In secondo luogo, occorre tener presente che la menzione dei piaceri
del bere, del cibo e del sesso, nel Protagora, può essere strettamente con-
nessa al contesto in cui il dialogo si svolge. Si è già detto nel primo capi-
tolo che il Protagora sottintende un’atmosfera simposiale, e che la casa di
Callia – un noto beone dedito a piaceri sessuali di ogni genere – era con-
siderata come una sorta di palazzo di delizie, ambientazione naturale di
gozzoviglie e banchetti luculliani. In questo contesto, la posizione edoni-
stica delineata da Socrate non può che apparire ironica, ed è chiaro che
egli allude alle abitudini non proprio monastiche dei frequentatori della
casa: è proprio Socrate – diversamente da Callicle – a parlare solo di pia-
ceri corporei. Non a caso, la tesi dell’identità di bene e piacere suscita
l’approvazione entusiastica non tanto di Protagora, quanto di tutti i pre-
senti (358a ss.). Platone dice a chiare lettere che la massa degli uomini è
inevitabilmente edonista (Phdo. 64d ss.; Resp. 505b, 586a-c), ed è molto
probabile che egli ritenesse questa posizione comune anche ai sofisti, i
quali – dice Socrate nella Repubblica – non fanno altro che amplificare le
opinioni della gente (Resp. 493a) 45.

Le indicazioni tratte da altri dialoghi [b]

Come ho ricordato in precedenza, la tesi edonistica delineata nel Prota-


gora collide palesemente con le posizioni ricavabili dagli altri dialoghi
lungo tutto l’arco della carriera letteraria di Platone, dal Gorgia fino alle
Leggi. Una forma di calcolo utilitaristico molto simile a quella proposta
nel Protagora è poi qualificata, nel Fedone, come falsa saggezza 46; nella

43
Cfr. Gorg. 496e. Questa posizione si riflette poi anche nella trattazione socratica
delle arti: quando Socrate, dopo aver confutato l’identità di bene e piacere, riprende la
discussione relativa alle technai, egli pone fra le pseudo-arti anche quelle che cercano il
piacere dell’anima, e la sua condanna non è meno netta rispetto alle technai volte al pia-
cere corporeo. Cfr. 501b e 505b.
44
Cfr. Rudebush 1992.
45
Una posizione edonistica ebbe certamente Antifonte, alla cui opera il Protagora
pare alludere direttamente. Cfr. Capra 1997, p. 298 ss.
46
Cito il passo decisivo del Fedone con il commento di Arnim 1914: «Tapfer und
Furcht sind alle Tapferen, mit Ausnahme des wahren Philosophen. Ist das nicht eine
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LA CONFUTAZIONE DEI «MOLTI» 199

Repubblica, addirittura, l’identificazione di bene e piacere è vista come


qualcosa di empio, che non deve neppure essere nominato (509a).
Infine il metodo di indagine, come già nel corso dell’interpretazione
di Simonide, appare singolarmente antisocratico: Socrate infatti non cer-
ca di portare Protagora alla homologia, ma ottiene il consenso di tutti i
presenti (egli si rivolge direttamente, oltre che a Protagora, a Prodico e
Ippia, 358a).

Il giudizio degli interlocutori [a]

Protagora non esprime mai il suo assenso per le tesi formulate da Socra-
te (la tesi edonistica, almeno esplicitamente, è approvata soltanto da Pro-
dico e Ippia) 47 . D’altra parte l’entusiasmo dei presenti per la tesi edoni-
stica è molto sospetto, perché questa comporta il corollario, enunciato
esplicitamente da Socrate con il rinnovato consenso di tutti, che l’uomo,
per sua natura, persegue un unico bene, ossia il piacere (358c-d). Ebbe-
ne, in precedenza gli astanti avevano applaudito con pari entusiasmo
una digressione di Protagora sulla relatività dell’utile, nella quale questi
aveva espresso la tesi contraria, ossia che il bene è cangiante e relativo ai
tempi e ai soggetti (334a ss.) 48. La folla di persone che determinano il
successo di Socrate è palesemente volubile e incostante, pronta ad aderi-
re a tesi contraddittorie, senza quell’adesione meditata e consapevole
normalmente richiesta dalla dialettica socratica.

abgeschmackte Art von Tapferkeit? So sind auch die Massvollen (sèfronej) gewöhnli-
chen Schlages massvoll nur aus Genusssucht und Zuchtlosigcheit: foboÚmenoi g¦r ˜tš-
rwn ¹donîn sterhqÁnai kaˆ ™piqumoàntej ™ke…nwn, ¥llwn ¢pšcontai Øp’ ¥llwn kratoÚmenoi.
ka…toi kaloàs… ge ¢kolas…an tÕ ØpÕ tîn ¹donîn ¥rcesqai, ¢ll’ Ómwj sumba…nei aÙto‹j
kratoumšnoij Øf’ ¹donîn krate‹n ¥llwn ¹donîn. toàto d’ ÓmoiÒn ™stin ú nund¾ ™lšgeto, tù
trÒpon tin¦ di’ ¢kolas…an aÙtoÝj seswfron…sqai. Auf ersten Blick erkennt man in diesen
Sätzen die im ‘Protagoras’ vorgetragene hedonistische Theorie wieder, wenngleich hier
nicht ausdrücklich ausgesprochen wird, dass es auf das Grössenverhältnis der Lust, de-
ren man sich enthält zu der, die man dadurch gewinnt, ankommt». Il passo del Fedone
va confrontato in particolare con Prot. 354c: Ótan meizÒnwn ¹donîn ¢posterÍ À Ósaj aÙtÕ
œcei, À lÚpaj me…zouj paraskeu£zV tîn ™n aÙtù ¹donîn.
47
Oltre a ciò, ricorre più volte l’espressione ™dÒkei p©si, che segnala il consenso ge-
nerale dei presenti, accomunati nella posizione edonistica.
48
Questo punto è acutamente notato da Szlezák 1985, p. 246. Cfr. anche Kube
1969, p. 151.
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200 APPENDICI

7. CORAGGIO E SAPIENZA (II)

«Protagora», 359c5-360d6
PÒteron oƒ mþn deiloˆ ™pˆ t¦ qarralša œrcontai, oƒ dþ
¢ndre‹oi ™pˆ t¦ dein£; – Lšgetai d», ð Sèkratej, oÛtwj ØpÕ
tîn ¢nqrèpwn. – ’AlhqÁ, œfhn ™gè, lšgeij: ¢ll’ oÙ toàto
359d1 ™rwtî, ¢ll¦ sÝ ™pˆ t… fÊj ‡taj e!nai toÝj ¢ndre…ouj; «r’
™pˆ t¦ dein£, ¹goumšnouj dein¦ e!nai, À ™pˆ t¦ m»; – ’All¦
toàtÒ g’, œfh, ™n oŒj sÝ œlegej to‹j lÒgoij ¢pede…cqh ¥rti
Óti ¢dÚnaton. – Kaˆ toàto, œfhn ™gè, ¢lhqþj lšgeij: ést’ e„
toàto Ñrqîj ¢pede…cqh, ™pˆ mþn § dein¦ ¹ge‹tai e!nai oÙdeˆj
œrcetai, ™peid¾ tÕ ¼ttw e!nai ˜autoà hØršqh ¢maq…a oâsa.
– =WmolÒgei. – ’All¦ m¾n ™pˆ ¤ ge qarroàsi p£ntej aâ
œrcontai, kaˆ deiloˆ kaˆ ¢ndre‹oi, kaˆ taÚtV ge ™pˆ t¦ aÙt¦
359e1 œrcontai oƒ deilo… te kaˆ oƒ ¢ndre‹oi. – ’All¦ mšntoi, œfh,
ð Sèkratej, p©n ge toÙnant…on ™stˆn ™pˆ § o† te deiloˆ
œrcontai kaˆ oƒ ¢ndre‹oi. aÙt…ka e„j tÕn pÒlemon oƒ mþn
™qšlousin „šnai, oƒ dþ oÙk ™qšlousin. – PÒteron, œfhn ™gè,
kalÕn ×n „šnai À a„scrÒn; – KalÒn, œfh. – OÙkoàn e‡per
kalÒn, kaˆ ¢gaqÕn æmolog»samen ™n to‹j œmprosqen: t¦j
g¦r kal¦j pr£xeij ¡p£saj ¢gaq¦j æmolog»samen. – ’AlhqÁ
lšgeij, kaˆ ¢eˆ œmoige doke‹ oÛtwj. – ’Orqîj ge, œfhn ™gè.
360a1 ¢ll¦ potšrouj fÊj e„j tÕn pÒlemon oÙk ™qšlein „šnai, kalÕn
×n kaˆ ¢gaqÒn; – ToÝj deiloÚj, Ã d’ Ój. – OÙkoàn, Ãn d’ ™gè,
e‡per kalÕn kaˆ ¢gaqÒn, kaˆ ¹dÚ; – =WmolÒghtai goàn, œfh. –
”Ar’ oân gignèskontej oƒ deiloˆ oÙk ™qšlousin „šnai ™pˆ tÕ
k£lliÒn te kaˆ ¥meinon kaˆ ¼dion; – ’All¦ kaˆ toàto ™¦n
Ðmologîmen, œfh, diafqeroàmen t¦j œmprosqen Ðmolog…aj.
– T… d’ Ð ¢ndre‹oj; oÙk ™pˆ tÕ k£lliÒn te kaˆ ¥meinon kaˆ
¼dion œrcetai; – ’An£gkh, œfh, Ðmologe‹n. – OÙkoàn Ólwj oƒ
360b1 ¢ndre‹oi oÙk a„scroÝj fÒbouj foboàntai, Ótan fobîntai,
oÙdþ a„scr¦ q£rrh qarroàsin; – ’AlhqÁ, œfh. – E„ dþ m¾
a„scr£, «r’ oÙ kal£; – =WmolÒgei. – E„ dþ kal£, kaˆ ¢gaq£;
– Na…. – OÙkoàn kaˆ oƒ deiloˆ kaˆ oƒ qrase‹j kaˆ oƒ mainÒ-
menoi toÙnant…on a„scroÚj te fÒbouj foboàntai kaˆ a„scr¦
q£rrh qarroàsin; – =WmolÒgei. – Qarroàsin dþ t¦ a„scr¦
kaˆ kak¦ di’ ¥llo ti À di’ ¥gnoian kaˆ ¢maq…an; – OÛtwj
360c1 œcei, œfh. – T… oân; toàto di’ Ö deilo… e„sin oƒ deiloˆ,
deil…an À ¢ndre…an kale‹j; – Deil…an œgwg’, œfh. – Deiloˆ
dþ oÙ di¦ t¾n tîn deinîn ¢maq…an ™f£nhsan Ôntej; – P£nu
g’, œfh. – Di¦ taÚthn ¥ra t¾n ¢maq…an deilo… e„sin; –
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CORAGGIO E SAPIENZA (II) 201

=WmolÒgei. – Di’ Ö dþ deilo… e„sin, deil…a Ðmologe‹tai par¦


soà; – Sunšfh. – OÙkoàn ¹ tîn deinîn kaˆ m¾ deinîn ¢maq…a
deil…a ¨n e‡h; – ’Epšneuse. – ’All¦ m»n, Ãn d’ ™gè, ™nant…on
360d1 ¢ndre…a deil…v. – ”Efh. – OÙkoàn ¹ tîn deinîn kaˆ m¾ deinîn
sof…a ™nant…a tÍ toÚtwn ¢maq…v ™st…n; – Kaˆ ™ntaàqa œti
™pšneusen. – =H dþ toÚtwn ¢maq…a deil…a; – P£nu mÒgij
™ntaàqa ™pšneusen. – =H sof…a ¥ra tîn deinîn kaˆ m¾
deinîn ¢ndre…a ™st…n, ™nant…a oâsa tÍ toÚtwn ¢maq…v; –
OÙkšti ™ntaàqa oÜt’ ™pineàsai ºqšlhsen ™s…ga te.

In precedenza (358a-e), i presenti avevano espresso il loro assenso intor-


no alle premesse fondamentali su cui si basa l’argomentazione di Socrate:
A il piacere è (il) bene;
B le azioni che procurano piacere sono belle, e in quanto belle, buone;
C nessuno affronta di sua volontà ciò che sa o ritiene male;
D la paura è attesa di male futuro.

L’argomentazione, molto in breve, si sviluppa così: C implica l’impossi-


bilità di distinguere vili e coraggiosi, perché entrambi non affrontano i
pericoli, dal momento che questi (D) altro non sono se non mali futuri.
D’altra parte l’esperienza insegna che vili e coraggiosi affrontano situa-
zioni contrarie: gli uni fuggono, gli altri affrontano la guerra. Ma affron-
tare la guerra, domanda Socrate, non è forse bello? La risposta afferma-
tiva di Protagora condanna il sofista alla resa: se affrontare la guerra è
bello, sarà anche buono e piacevole (A e B) 49. Ma i vili non la affronta-
no; in forza di C la loro condotta è riconducibile ad ignoranza e, per
converso, la virtù dei coraggiosi è una forma di conoscenza.
È chiaro che l’argomentazione è viziosa: il bene e il bello, nel corso
della confutazione dei «molti», sono funzione del piacere; nella discus-
sione intorno al coraggio le cose cambiano: Protagora accetta la tesi più
ovvia e tradizionale dell’etica greca, cioè che affrontare la guerra è cosa
bella; in base a questa ammissione, Socrate – in forza dell’identità di be-
ne e piacere – può concludere che affrontare la guerra è anche cosa non
soltanto buona, ma addirittura piacevole. Il rapporto piacere-bello risul-
ta insomma rovesciato, con la conseguenza paradossale che la guerra ap-
pare come una fonte di piacere 50. A mio parere, anche in questo caso si
può mostrare che Platone era ben consapevole della confusione messa in
bocca a Socrate e di cui rimane vittima Protagora. Nell’Eutifrone, Socra-

49
A rigore la premessa A non è necessaria per l’argomentazione finale, ma ha una
funzione enfatica.
50
Su questo rovesciamento, cfr. per esempio Manuwald 1975, p. 40.
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202 APPENDICI

te discute una questione che pare troppo sottile per l’ottusità del suo in-
terlocutore: un’azione santa è santa perché gli dei la approvano o gli dei
la approvano perché è santa (8b ss.)? Questa stessa difficoltà, spiegata
con cura ad Eutifrone, non viene chiarita nel Protagora, dove Socrate
perviene alla confutazione di Protagora proprio grazie a un simile rove-
sciamento di termini: in un primo momento la bontà discende dalla pia-
cevolezza, in un secondo la piacevolezza dalla bontà [b].
Socrate, in precedenza, aveva cercato di indurre Protagora ad am-
mettere che la buona vita consiste nel vivere piacevolmente (¹dšwj ka-
tabiînai); il sofista nega questa tesi e adotta invece la posizione dei «mol-
ti»: solo una vita che gode dei piaceri nobili (kala…) è buona (351c ss.).
Il seguito della discussione conduce i presenti ad ammettere l’identità di
bene e piacere: l’uomo per natura (fÚsei) insegue il piacere (358a ss.) e
dunque il bene e il bello si identificano con quest’ultimo, o meglio ne
sono una funzione (una cosa è buona e bella nella misura in cui è piace-
vole). Nel brano ora in esame, invece, Protagora è portato ad ammettere
che andare in guerra è nobile (kalÒn), e la piacevolezza risulta essere
una funzione di questo bello inteso in senso tradizionale (cioè: una cosa
è piacevole nella misura in cui è bella) (359e ss.) 51. L’argomentare di So-
crate produce insomma un duplice rovesciamento: Protagora adotta in
prima istanza una posizione tradizionale, nella quale la bontà di un pia-
cere è condizionata al valore del bello. Socrate costringe poi il sofista a
rinunciare a questa posizione convenzionale, con l’ammissione che il fi-
ne naturale dell’uomo è il piacere. In seguito, questa tesi fondata sulla
natura (fÚsei) è di nuovo soppiantata da una posizione convenzionale:
misura del piacere è il bello nel senso più tradizionale, pro patria mori.
La manovra di Socrate ricorda da vicino una tecnica sofistica descritta
da Aristotele negli Elenchi Sofistici. Si tengano presenti le parole con cui,
inizialmente, Socrate critica la posizione ‘convenzionale’ di Protagora:
Ma come, Protagora! Anche tu, come i molti, chiami cattive alcune
cose piacevoli e buone altre dolorose? (Prot. 352c)
Si consideri poi il seguente passo degli Elenchi Sofistici:
In effetti, ciò che si vorrebbe non coincide con ciò che si dice: i discorsi
pronunciati sono i più dignitosi che si possano pensare, ma in realtà gli
uomini desiderano ciò che sembra loro recare un vantaggio. Si dice, ad
esempio, che bisogna preferire una bella morte ad una vita piacevole

51
Socrate, nel fare questo, gioca su un’antitesi che doveva essere in voga, come mo-
stra un frammento euripideo: tÕ men sfagÁnai deinÒn, eÙkle…an d’ œcei: tÕ m¾ qane‹n dþ
deilÒn, ¹don¾ d’ œni (fr. 854.2 Nauck). La bilanciata antitesi lascia intuire un’origine sofi-
stica di questo pensiero.
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CORAGGIO E SAPIENZA (II) 203

[…] ma si vuole il contrario. Di conseguenza, se qualcuno si esprime


secondo i suoi desideri, lo si dovrà spingere verso le opinioni procla-
mate, e se invece si esprime secondo tali opinioni, lo si dovrà condurre
verso le sue intenzioni nascoste […]. Rispetto al far cadere l’avversario
nel paradosso, lo schema di più vasta applicazione – come Callicle af-
ferma nel Gorgia 52 –, e ritenuto concludente da tutti i sofisti antichi – è
quello tratto dalla conformità alla natura (fÚsij) e alla legge (nÒmoj) […].
A chi si esprime conformemente alla natura bisogna dunque contrap-
porre un’argomentazione conforme alla legge, e rispetto invece a chi si
esprime conformemente alla legge, si deve usare un discorso che lo
spinga verso la natura; in entrambi i casi converrà infatti che l’interlo-
cutore dica dei paradossi. Per quei sofisti, d’altronde, ciò che è secon-
do natura era la verità, e ciò che è secondo la legge costituiva invece
l’opinione dei molti […] in effetti, la legge è l’opinione dei molti (dÒxa
tîn pollîn), mentre i sapienti parlano secondo natura (fÚsij) e secon-
do verità (¢l»qeia). (172b36-173a30) 53

Il piano delle «intenzioni», della «natura» e della «verità» si oppone a


quello delle «opinioni proclamate», della «legge» e, implicitamente, del-
la falsità. La legge (nÒmoj) non è altro che l’opinione dei «molti» (oƒ pol-
lo…), contrapposta a quella dei sapienti. Ora, uno degli esempi portati da
Aristotele è l’antitesi fra una vita di piacere (zÁn ¹dšwj) e la «morte bella»
(teqn£nai kalîj): questa polarità si ritrova molto simile nella parte con-
clusiva del Protagora, dove dapprima il bene, in quanto funzione del pia-
cere, si manifesta nel «viver piacevolmente» (¹dšwj katabiînai), mentre
in un secondo tempo dipende dal «bello» di chi affronta la guerra, e
dunque di chi accetta il rischio di una «morte bella». È evidente che il ri-
fiuto del sofista di accettare l’identità di bene e piacere è considerato da
Socrate come una posizione che non corrisponde alle sue opinioni since-
re; Protagora dichiara infatti che è più «sicuro» per lui negare la tesi e-
donistica (351d), rivelandosi così prono alla communis opinio: la propo-
sta di Socrate di abbandonare la posizione dei «molti» è un invito a la-
sciare da parte la convenzione, come chiarisce la definizione aristotelica
di nomos come opinione dei «molti». Protagora è indotto ad accogliere
una tesi edonistica che, significativamente, è «conforme alla natura del-
l’uomo» (™n ¢nqrèpou fÚsei), ma poi è confutato proprio in forza della
posizione convenzionale, reintrodotta surretiziamente da Socrate [d].

52
Testo: ésper kaˆ Ð KalliklÁj gšgraptai lšgwn ovvero, letteralmente, «come Calli-
cle è scritto che dica». Callicle, infatti, accusa Socrate di confondere il piano della legge
e quello della natura per far cadere i suoi avversari. Altre traduzioni: «usato pure da
Callicle, secondo quanto è detto nel Gorgia» (Colli 1973), «come nel Gorgia è stato scrit-
to che anche Callicle parla» (Zanatta 1995).
53
Traduzione con modifiche da Colli 1973.
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204 APPENDICI

Questa tensione fra nomos e physis, naturalmente, è uno dei tratti


più caratteristici della sofistica, ed è ben attestata in Platone: basti qui ri-
cordare l’intervento di Ippia nella parte centrale del Protagora (337c-
338b). Interessante è poi l’affermazione di Aristotele che gli argomenti
fondati sulla tensione fra nomos e physis erano comuni a «tutti i sofisti»
(si può perciò credere che il carattere eristico dell’argomentazione socra-
tica fosse riconoscibile dai contemporanei di Platone) [g]. Per quanto ri-
guarda infine il giudizio degli interlocutori, bisogna ricordare che Prota-
gora, quando capisce di essere stato confutato, accusa Socrate di animo-
sità agonistica (filonike‹n, 360e) [a].
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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI 205

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