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40132-BOLOGNA
INTEGRAZIONE ED
INCLUSIONE:
I BISOGNI EDUCATIVI SPECIALI
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Integrazione ed inclusione
Dall’integrazione all’inclusione
Fino agli anni’ 60, per denominare una certa categoria di alunni (gli attuali disabili)
Ebbene, questi alunni in forza della loro anormalità, potevano sì essere educati ed
Dunque la persona con deficit, in quanto fuori dal normale (“anormale”, “subnormale” o
“minorato”), non poteva fruire degli stessi trattamenti degli alunni “normali”, ma era
ammesso a frequentare strutture segreganti. Bisognerà attraversare gli anni 70, anni
che hanno visto ingenti trasformazioni nel costume, nella società, nella famiglia, nella
cultura, nella politica (la Legge Basaglia è del ‘78) perché si scopra la fine della
Con legge 118/71 gli invalidi civili potevano essere iscritti nella scuola di tutti (è l’inizio
avvia con legge 517/77. Ad essa va riconosciuto il merito di aver finalmente dato
piena attuazione agli art. 3, 34 e 38 della Costituzione nel sistema scolastico del
Paese, ponendo l’Italia all’avanguardia rispetto a tutti gli altri Paesi europei.
Una sentenza del 1987 della Corte Costituzionale riconosce il diritto di istruzione
anche agli studenti con disabilità degli istituti superiori per giungere poi alla Legge
quadro 104/92 che costituisce l’attuale indiscusso punto di riferimento per tutti.
La legge 104 parla di persona “handicappata” intendendo per tale una persona che
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che è causa di difficoltà di apprendimento, di relazione o di integrazione lavorativa e
Quindi gli alunni con deficit cessano di essere considerati anormali o minorati ma
relazione...>>, non vengano affatto discriminati sul piano umano o sociale, secondo il
non solo unifica la variegata terminologia utilizzata nel passato (“anormali, subnormali,
non è minorata; cioè non è la mera presenza del deficit a produrre l’handicap. Il
comunicazione, ove queste difficoltà non ci fossero o fossero ridotte, l’alunno non
dizione di alunno “in situazione di handicap” e non “portatore di ….” che lascia
della Salute) si parla di limiti alla partecipazione sociale e non più di handicap. Di
Quindi dal ‘77 la scuola è chiamata a realizzare non solo l’inserimento, o una mera
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socializzazione in presenza, ma l’integrazione nella scuola di tutti, in cui si realizzi
Ma l’inclusione?
differenza non limitandosi solo ad alcune categorie come quelle dei disabili o di coloro
che incontrano difficoltà, ma coinvolge tutti gli alunni. Nel corso degli ultimi anni,
dell’ICF, ma che avanzano agli insegnanti richieste di interventi “curvati” sulle loro
caratteristiche peculiari, che derivano dalla loro situazione peculiare. Una situazione
(l’ICF è una delle più importanti) non può essere “certificata” ed avere, di
scolastico” ad hoc.
quanto le attività di sostegno vengono rivolte ai soli alunni che presentano una
alunni i quali presentano deficit non gravi né progressivi non possano avere un aiuto
ulteriore costituito dalla presenza del docente di sostegno: succede che sia loro, sia i
rispettivi insegnanti vivano esperienze difficili, i primi perché non vedono nessun
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vantaggio nel frequentare la scuola e i secondi si sentono in difficoltà nell’affrontare
Gli alunni che presentano queste e altre difficoltà, ma che non sempre sono
Direttiva Ministeriale del 27 dicembre 2012 “Strumenti di intervento per alunni con
deficit. In ogni classe ci sono alunni che presentano una richiesta di speciale
attenzione per una varietà di ragioni: svantaggio sociale e culturale, disturbi specifici
conoscenza della cultura e della lingua italiana perché appartenenti a culture diverse”.
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linguistico o culturale. La Direttiva contiene importanti indicazioni sugli strumenti
Personalizzato, individuale o riferito a tutti i bambini della classe con BES, che serva
centrata sull'apprendimento.
Il 6 marzo 2013, viene emanata la circolare MIUR n.8, la quale, sin dall’inizio, insiste
per tutti gli alunni con Bisogni Educativi Speciali, anche per quelli che abbiano uno
svantaggio culturale, personale o sociale. Vi si legge infatti che «in questa nuova e più
ampia ottica, il Piano Didattico Personalizzato non può più essere inteso come mera
esplicitazione di strumenti compensativi e dispensativi per gli alunni con DSA; esso è
educative calibrate sui livelli minimi attesi per le competenze in uscita (di cui
chiarimenti per gli alunni con svantaggio culturale e socioeconomico o personale, che
costituisce anche la parte innovativa della Direttiva sui BES: “Si vuole inoltre
ricorda che “ogni alunno, con continuità o per determinati periodi, può manifestare
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Bisogni Educativi Speciali, o per motivi fisici, biologici, fisiologici o anche per motivi
senza disabilità – non rispecchia pienamente la complessa realtà delle nostre classi.
l’identificazione degli alunni con disabilità non avviene sulla base della eventuale
certificazione, che certamente mantiene utilità per una serie di benefici e di garanzie,
ma allo stesso tempo rischia di chiuderli in una cornice ristretta. A questo riguardo è
rilevante l’apporto, anche sul piano culturale, del modello diagnostico ICF dell’OMS.
preclusive tipizzazioni. In questo senso, ogni alunno può presentare Bisogni Educativi
Speciali: o per motivi fisici, biologici, fisiologici o anche per motivi psicologici, sociali,
aiuti necessari per rispondere alle differenti richieste poste dagli alunni. Ciò non
generico discorso sulle differenze; anzi queste assumono un significato e una valenza
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maggiore nel momento in cui si presentano come modi personali di porsi e di
Quindi l’inclusione riconosce che l’attenzione alla diversità degli alunni con disabilità
educativi speciali che differenziano i diversi alunni rendendo sempre più impegnativa
La prospettiva di una scuola inclusiva e di valore è la seguente: fare in modo che tutte
Perché questo accada sono necessarie occasioni di incontro con l’altro. E’ ovvio che la
ordine allo sviluppo del pensiero ed alla sua educabilità. E’ necessario valorizzare il
modo efficace con tale complessità. Questo vuol dire conoscere meglio
prospettiva di lifelong-leaning.
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Programmazione Individualizzata e Personalizzata
individualizzati per ogni alunno disabile, avviene collaborando con tutte le figure
che accompagni il bambino diversamente abile per tutta la vita e che gli consenta
sono attivati i Gruppi Operativi (G.O.) per ogni classe in cui è inserito un alunno
dell’ASL, quello dell’Ente Locale e la famiglia. Essi si riuniscono due o tre volte l’anno
eventuali verifiche sui percorsi compiuti. Al termine di ogni ciclo, il gruppo operativo
• creare una reale integrazione nel gruppo classe e all’interno della scuola;
della normativa scolastica degli ultimi decenni nella quale è stata posta, con sempre
problematiche dell’abbandono scolastico. Tutti gli alunni con BES hanno il diritto di
degli apprendimenti e i criteri minimi attesi trovano definizione all’interno del PDP.
Un’ulteriore nota del Ministero del 22 Novembre 2013 fornisce infatti chiarimenti
circa l’applicazione della Direttiva in merito al PDP: ”Si ribadisce che, anche in
presenza di richieste dei genitori accompagnate da diagnosi che però non hanno dato
consente all’alunno di accedere alle provvidenze ed ai servizi previsti dalle legge 104
In definitiva il PDP è un piano didattico pensato e applicabile per gli alunni con BES nei
eventuali PDP, con il modello messo a disposizione sul sito della scuola.
Nel PDP, per ciascuna materia o ambito di studio, devono essere individuati gli
apprendimento.
• calcolatrice;
• registratore;
La stesura del PDP deve sempre collocarsi all'interno di un preciso Piano Annuale per
il Gruppo di lavoro per l’inclusione (GLI), di ciascuna Istituzione scolastica, elabori una
proposta di Piano Annuale per l’Inclusività (PAI) riferito a tutti gli alunni con BES, da
redigere al termine di ogni anno scolastico. Il PAI è uno strumento che può aiutare a
centralità e la trasversalità dei processi inclusivi in relazione alla qualità dei “risultati”
“per tutti e per ciascuno”. La redazione del PAI, così come riportato dalla nota del 21
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• garantire l’unitarietà dell’approccio educativo e didattico dell’istituzione
scolastica;
assicurarne la diffusione tra gli insegnanti della scuola e tra scuole diverse;
scolastico trascorso.
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Il Cooperative Learning come strategia compensativa
Il Cooperative Learning
Il Cooperative Learning è una modalità di apprendimento che si basa sull'interazione
all'interno di un gruppo di allievi che collaborano, al fine di raggiungere un obiettivo
comune, attraverso un lavoro di approfondimento e di apprendimento che porterà alla
costruzione di una nuova conoscenza. L'apprendimento cooperativo è quindi una visione
pedagogica e didattica che utilizza il coinvolgimento emotivo e cognitivo del gruppo
come strumento di apprendimento in alternativa alla tradizionale lezione accademica
frontale. Questa espressione fa riferimento ad un insieme di principi, tecniche e
metodi di conduzione della classe in base ai quali gli alunni affrontano lo studio
disciplinare interagendo in piccoli gruppi, in modo collaborativo, responsabile, solidale
e ricevendo valutazioni sulla base dei risultati ottenuti individualmente ed in gruppo.
Il Cooperative learning deve le sue origini, verso la fine del Settecento, al sistema di
mutuo insegnamento tra pari (peer tutoring) ideato e applicato da A. Bell, reverendo
ed educatore anglicano in India, e ripreso qualche anno dopo dal suo conterraneo
Joseph Lancaster che inaugurò a Londra, nel 1798, una scuola per fanciulli poveri. Non
avendo denaro per pagare dei collaboratori, concepì un metodo di insegnamento
reciproco fra gli alunni. Questo sistema prese piede in alcuni paesi europei quali la
Gran Bretagna, la Francia, la Spagna, e, grazie a Federico Confalonieri, anche l’Italia.
Giunse quindi anche oltre oceano negli U.S.A. dove, dal 1900, si sviluppò e ampliò i
propri orizzonti trasformandosi in Apprendimento Cooperativo grazie a due correnti
di pensiero condotte dal pedagogista John Dewey e dallo psicologo Lewin i quali
concordarono sulla necessità, la rilevanza ed il valore dell'interazione e della
cooperazione nell'ambito scolastico. Ad essi si unirono anche i pensieri e gli studi
svolti dallo psicologo e pedagogista svizzero Jean Piaget, e dallo psicologo russo Lev
Vygotsky. Dagli anni sessanta ad oggi molti altri pedagogisti, psicologi e filosofi hanno
approfondito ed effettuato studi per sviluppare il Cooperative learning ritenuto
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oramai elemento essenziale, non solo all'interno del sistema scolastico, mettendo
l’accento sull’influenza dei fattori sociali nello sviluppo cognitivo, ma anche all'interno
di tutto il nostro sistema di interazione sociale.
Coloro che sono a favore del Cooperative learning ritengono che questo metodo sia
fondamentale per gli studenti con bisogni educativi speciali, come portatori di
incontro a coloro che hanno necessità particolari, a volte frustrate dalla tradizionale e
disabili possono contribuire al successo del gruppo ed è più probabile che in questo
modo siano da esso accettati. Lo stesso Vygotskji sostiene che il mettere insieme
delle diversità, dal momento che ognuno è portatore di una diversità, offre la
Learning, anche se questo non impedisce di formare in altri casi gruppi più omogenei,
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individualizzato e personalizzato, in un contesto di solidarietà, cooperazione e
rispetto reciproco.
significativo, in quanto molto dipende dagli obiettivi che l’insegnante si pone e dalle
e capace di destare gli interessi vitali del soggetto che apprende, proviene dagli studi
clima favorevole favorisce un apprendimento più profondo, molto più di quanto non
avvenga con il metodo di insegnamento tradizionale. Ciò avviene perché nel processo è
investita l'intera persona, non solo a livello cognitivo ma anche emotivo. Del resto
collaborativo laddove ogni singolo alunno divenga membro attento, accurato e prodigo
nella gestione dei gruppi di apprendimento cooperativo ma allo stesso tempo non
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Riferimenti bibliografici
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