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NOZIONE DI IMPRENDITORE. L’art.2082 del Codice Civile afferma che “è imprenditore chi esercita
professionalmente un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi.”
Si noti che la norma (ma nessuna norma all’interno del Codice Civile lo fa) non definisce che cosa sia l’impresa,
tuttavia fissa i requisiti minimi e sufficienti affinché un dato soggetto sia esposto alla disciplina dell’imprenditore.
Requisiti essenziali dell’imprenditore:
- Attività produttiva: Secondo la definizione, l’imprenditore svolge attività produttiva, considerando tale anche
l’attività di scambio diretta a incrementare l’utilità dei beni spostandoli nel tempo o nello spazio, ed è irrilevante la
natura dei beni o servizi prodotti o scambiati ed il tipo di bisogno che essi sono destinati a soddisfare. Non è
impresa, invece, l’attività di mero godimento, ma non vi è incompatibilità tra attività di godimento e impresa in
quanto la stessa attività può costituire nel contempo godimento di beni preesistenti e produzione di nuovi beni o
servizi. Così, costituisce impresa il proprietario di un immobile che lo adibisce a pensione, ma sono considerabili
attività produttive anche quelle svolte dalle società di investimento, da quelle finanziarie, o dalle holdings pure.
- Organizzazione: Non è concepibile attività d’impresa senza l’impiego coordinato da parte dell’imprenditore di
fattori produttivi (capitale e lavoro) propri e/o altrui, per un fine produttivo. Non ha comunque importanza il tipo
di apparato strumentale di cui l’imprenditore si avvale e che può variamente atteggiarsi a seconda del tipo di
attività e delle scelte organizzative dell’imprenditore.
N.B. Problema dei prestatori autonomi d’opera manuale (elettricisti, idraulici,..) o di servizi fortemente
personalizzati (mediatori, agenti di commercio,…): nonostante opinioni contrastanti, si ritiene che un minimo di
organizzazione di lavoro altrui o di capitale è pur sempre necessaria per aversi impresa sia pure piccola. In
mancanza si avrà semplice lavoro autonomo non imprenditoriale.
- Economicità: Per aversi impresa è quindi essenziale che l’attività produttiva sia condotta con metodo economico,
secondo modalità che quanto meno consentono la copertura dei costi con i ricavi ed assicurino l’autosufficienza
economica.
- Professionalità: Ci si riferisce al requisito oggettivo dell’attività, che va accertato in base ad indici esteriori ed
oggettivi, e non al soggetto. Professionalità significa esercizio abituale e non occasionale (che non vuol dire
stagionale, come nel caso degli alberghi) di una data attività produttiva. Impresa si può comunque avere anche
quando si opera per il compimento di un “unico affare”, sempre che ciò implichi il compimento di operazioni
molteplici e complesse e l’utilizzo di un apparato produttivo idoneo ad escludere il carattere occasionale e non
coordinato dei singoli atti economici.
ARGOMENTI CONTROVERSI:
1. Attività d’impresa e scopo di lucro. Ci si è chiesti se lo scopo di lucro costituisca requisito essenziale dell’attività
d’impresa. Si ritiene che la risposta debba essere comunque negativa sia considerando il lucro soggettivo (movente
psicologico dell’imprenditore), sia considerando il lucro oggettivo (attività svolta secondo modalità oggettive
astrattamente lucrative), poiché irrilevante è la circostanza che un profitto venga realmente conseguito o devoluto
a fini altruistici. Ad esempio le cooperative, che hanno scopo mutuativo, devono comunque essere considerate
imprese. L’economicità, ossia il finanziamento attraverso la propria attività, è sufficiente affinché ci sia impresa.
2. Problema dell’impresa per conto proprio. Nonostante opinioni contrarie, si ritiene che un soggetto che soddisfa i
requisiti essenziali, produce beni utilizzandoli per sé, senza metterli sul mercato, è comunque considerabile
imprenditore. Ad esempio, sono tipiche imprese per conto proprio: a) la coltivazione del fondo finalizzata al
soddisfacimento dei bisogni dell’agricoltore e della sua famiglia, b) la costruzione di appartamenti non destinati
alla rivendita (costruzioni in economia). Esse dimostrano che non vi è incompatibilità tra impresa per conto
proprio ed economicità, dato che l’attività produttiva può considerarsi svolta con metodo economico anche quando
i costi sono coperti da un risparmio di spesa o da un incremento del patrimonio del produttore.
3. Problema dell’impresa illecita. Nei casi meno gravi in cui l’illiceità dell’impresa è determinata da violazione di
norme imperative che ne subordinano l’esercizio a concessione o autorizzazione amministrativa, come nel caso di
commercio senza licenza o banca di fatto (cosiddetta impresa illegale), si applicano tutte le disposizioni
riguardanti l’imprenditore, salvo eventuali sanzioni. Nei casi più gravi in cui illecito è l’oggetto stesso dell’attività,
come nel caso di contrabbando o fabbricazione di droga, e anche di impresa mafiosa, l’imprenditore soggiace alle
norme “negative” riguardante l’imprenditore (principalmente ai fini di tutelare i terzi), ma non può godere delle
norme “positive”.
4. Impresa e professioni intellettuali. I liberi professionisti non sono mai in quanto tali imprenditori, e ciò si desume
dal 1° comma dell’art. 2238, secondo il quale le disposizioni in tema d’impresa si applicano alle professioni
intellettuali solo se “l’esercizio della professione costituisce elemento di una attività organizzata in forma
d’impresa”. I liberi professionisti diventano imprenditori solo se ed in quanto la professione intellettuale è
esplicata nell’ambito di altra attività di per sé qualificabile come impresa. Essi godono comunque di una disciplina
legislativa che li privilegia, e per questo si parla di “professioni protette o riservate”, anche se in pratica è difficile
stabilire quando un’attività sia considerabile professione intellettuale e ricada perciò nell’art. 2238: decisivo è il
carattere eminentemente intellettuale dei servizi prestati (criterio sostanziale). Oggi vengono considerati
imprenditori commerciali, e non liberi professionisti, i farmacisti e gli agenti di cambio.
A tutti gli imprenditori si applicano le norme relative ad azienda, segni distintivi (ditta, insegna,marchio) e
concorrenza.
PRIMA DISTINZIONE. In base all’oggetto dell’attività, è possibile distinguere:
- imprenditore commerciale: si applicano le norme relative al registro dell’impresa (con effetto di pubblicità legale),
sulla redazione delle scritture contabili, sulla rappresentanza e sull’assoggettamento al fallimento e alle altre
procedure concorsuali.
- imprenditore agricolo: si applica la disciplina relativa all’imprenditore in generale, con esonero per la redazione
delle scritture contabili, per l’assoggettamento alle procedure concorsuali e con iscrizione nel registro con solo
effetto di pubblicità notizia. Esso gode dunque di un trattamento di favore.
Imprenditore agricolo. Art. 2135: “E’ imprenditore agricolo chi esercita un’attività diretta alla coltivazione del fondo,
alla silvicoltura, all’allevamento del bestiame e attività connesse”. Le attività agricole possono perciò essere distinte
in: a) attività agricole essenziali e b) attività agricole per connessione.
A) Attività agricole essenziali. La coltivazione del fondo, la silvicoltura e l’allevamento del bestiame vengono dunque
classificate attività essenziali affinché un soggetto venga considerato imprenditore agricolo. In realtà negli anni
che hanno seguito il 1942 (anno di redazione del Codice Civile), il progresso tecnologico ha consentito di ottenere
coltivazioni artificiali o fuori terra, allevamenti in batteria e simili, che poco sembrano compatibili con la
qualificazione agricola dell’art. 2135. Inoltre l’imprenditore agricolo soggiace al doppio rischio, ovvero quello
normale dell’imprenditore di non coprire i costi con i ricavi e lo specifico rischio ambientale, che tuttavia
scompare nelle produzioni artificiali. Si ritiene perciò giusto continuare a qualificare la produzione di specie
vegetali e animali come attività agricola essenziale fin quando costituisce forma di sfruttamento del fattore terra,
sia pure con l’ausilio delle moderne tecnologie. Diventa invece attività commerciale quando tale collegamento
viene meno del tutto.
B) Attività agricole per connessione. Tali attività sono attività commerciali che, quando esercitate in connessione con
le attività essenziali, vengono considerate per legge attività agricole, ovvero a) quelle “dirette alla trasformazione o
all’alienazione di prodotti agricoli, quando rientrano nell’esercizio normale dell’agricoltura” (attività connesse
tipiche); b) tutte le altre attività esercitate in connessione con le attività essenziali (attività connesse atipiche).
Affinché tali attività vengano considerate connesse, devono sussistere contemporaneamente i requisiti di
connessione soggettiva (sia per le attività tipiche, sia per quelle atipiche significa attività inserita all’interno della
produzione agricola, e ad esempio non è imprenditore agricolo il viticoltore che produce formaggi), e di
connessione oggettiva (che significa accessorietà e funzionalità” per le attività atipiche come l’agriturismo e
“normalità” – criterio piuttosto elastico – per le attività tipiche).
Imprenditore commerciale. L’art. 2195 afferma che è imprenditore commerciale chi esercita una o più delle seguenti
categorie di attività:
1. Attività industriale diretta alla produzione di beni o servizi;
2. Attività intermediaria nella circolazione dei beni;
3. Attività di trasporto per terra, per acqua o per aria;
4. Attività bancaria e assicurativa;
5. Altre attività ausiliarie alle precedenti.
In realtà, le attività elencate ai punti 3, 4, 5 sono solo specificazione delle prime due categorie e dunque gli elementi
che contraddistinguono l’impresa commerciale rispetto all’impresa agricola sono solo il carattere industriale
dell’attività di produzione di beni o servizi e nel carattere intermediario dell’attività di scambio. Ad ogni modo, le
categorie elencate non sono una divisione netta, poiché piuttosto generiche, pertanto si preferisce definire
l’imprenditore commerciale per differenza rispetto all’imprenditore agricolo.
Per quanto riguarda l’impresa civile, parte della dottrina riteneva che essa debba affiancarsi all’impresa agricola e a
quella commerciale, per il fatto che la legge parla soltanto di “attività industriali”, lasciando aperti altri spazi impliciti.
Tale teoria è stata comunque per lo più abbandonata per mancanza di coerenza con le norme legislative.
SECONDA DISTINZIONE. In base alla dimensione dell’impresa, si differenziano:
- piccolo imprenditore: è sottoposto allo statuto generale dell’imprenditore ma, anche se esercita attività
commerciale, è esonerato dalla tenuta delle scritture contabili e dall’assoggettamento al fallimento e alle altre
procedure concorsuali, mentre l’iscrizione nel registro delle imprese ha solo funzione di pubblicità notizia.
Egli gode quindi di legislazione di favore, considerando anche altre norme speciali.
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d’impresa. Tali enti acquistano sicuramente la qualità di imprenditori commerciali con pienezza di effetti anche se
l’attività commerciale ha carattere accessorio o secondario. Anche tali enti saranno quindi esposti al fallimento.
L’acquisto della qualità di imprenditore è presupposto per l’applicazione ad un dato soggetto del complesso di norme
che l’ordinamento ricollega a tale qualifica. Si diventa imprenditori, come dice l’art. 2082, con l’esercizio di attività
d’impresa. Tuttavia per affermare che un dato soggetto è diventato imprenditore, è necessario che l’attività d’impresa
sia a lui giuridicamente riferibile, ovvero sia a lui imputabile, così come è necessario stabilire, visto che la legge è
muta al riguardo, quando inizi e finisca l’impresa.
A. L’IMPUTAZIONE DELL’ATTIVITA’ D’IMPRESA.
Esercizio diretto dell’attività d’impresa. Quando gli atti di impresa sono compiuti direttamente dall’interessato o da
altri in suo nome, non sorgono particolari problemi. La qualità di imprenditore è acquistata, con pienezza di effetti, dal
soggetto e solo dal soggetto il cui nome è stato speso nel compimento dei singoli atti di impresa. Solo questi è
obbligato nei confronti del terzo contraente, ed anche quando gli atti di impresa sono compiuti tramite il
rappresentante, imprenditore diventa il rappresentato e non il rappresentante.
Tutto ciò è possibile in base al criterio di spendita del nome: quando il mandatario agisce in nome del mandante
(mandato con rappresentanza), tutti gli effetti negoziali si producono direttamente nella sfera giuridica di quest’ultimo,
mentre il mandatario che agisce in proprio nome (mandato senza rappresentanza) “acquista i diritti e assume gli
obblighi derivanti dagli atti compiuti con i terzi, anche se questi hanno avuto conoscenza del mandato. I terzi non
hanno alcun rapporto con il mandante”.
Esercizio indiretto dell’attività d’impresa. Spesso l’impresa viene esercitata tramite interposta persona. Cioè vi è
distinzione tra chi compie in proprio nome i singoli atti d’impresa (imprenditore palese o prestanome), e chi
somministra al primo i mezzi finanziari, dirige di fatto l’impresa e fa propri i guadagni, pur non palesandosi come
imprenditore di fronte ai terzi (imprenditore occulto, vero dominus dell’impresa). I problemi gravi sorgono quando gli
affari vanno male e il rischi d’impresa viene trasferito sui creditori più deboli che non i erano premuniti contro casi
simili.
Parte della dottrina ritiene che si debba superare il principio della spendita del nome per quanto riguarda i debiti
d’impresa, e che dunque il rischio si trasferisca direttamente all’imprenditore occulto, altri ritengono che siano
responsabili cumulativamente sia il prestanome sia l’imprenditore occulto, con esclusione però del fallimento per
quest’ultimo.
Un passo avanti è compiuto invece dalla teoria dell’imprenditore occulto, che sostiene che il dominus di un’impresa
formalmente altrui non solo risponderà insieme a questi, ma fallirà sempre e comunque qualora fallisca il prestanome.
Tutto ciò in base all’art. 147, 2° comma, legge fall.
Tuttavia l’affermazione in base alla quale risponderebbe e fallirebbe anche il reale interessato non può essere
condivisa, così come non può essere condiviso il più radicale assunto in base al quale la sovranità di fatto sull’impresa
rappresenta il solo criterio giuridico di imputazione dell’attività d’impresa, sicché solo il dominus acquisterebbe la
qualità di imprenditore.
Dall’art. 147, 2° comma, si può desumere il principio che chi è socio di una società a responsabilità illimitata risponde
verso i terzi anche se la sua partecipazione alla società non è stata esteriorizzata. Non già che può essere chiamato a
rispondere chi socio non è. Ma proprio quest’ultimo è il risultato che si determina rendendo responsabile
l’imprenditore occulto.
Nella fattispecie imprenditore occulto – imprenditore palese manca, infatti, una società con soci a responsabilità
illimitata (il prestanome è persona fisica o società di capitali), e soprattutto nessuna società esiste tra dominus e
prestanome, essendo quest’ultimo mandatario senza rappresentanza del dominus e non socio dello stesso. Dunque non
è possibile affermare per analogia, in base all’art. 147, la responsabilità illimitata del dominus di un’altrui impresa
individuale o di una società di capitali.
Il regime descritto non è comunque così iniquo e pericoloso come appare a prima vista. E’ vero che, non chiamando a
rispondere chi sta dietro le quinte, si danneggiano i creditori dell’imprenditore palese, tuttavia con la soluzione opposta
essi sarebbero avvantaggiati oltremodo poiché finirebbero per giovarsi di un patrimonio (quello del dominus) su cui
non potevano fare affidamento quando concessero credito al prestanome.
Per tutelare i creditori dalle azioni tipiche di chi abusa in generale della posizione di dominio su una società di capitali,
la giurisprudenza accosta tali azioni ad autonoma attività d’impresa (ovvero impresa di finanziamento o gestione della
società di capitali dominata). Pertanto i soci che hanno abusato dello schermo societario risponderanno come titolari di
un’autonoma impresa commerciale individuale o societaria (impresa di fatto), per le obbligazioni da loro contratte
nello svolgimento dell’attività fiancheggiatrice della società di capitali ed in quanto tali potranno anche fallire.
responsabilità oggettive, ma sul rappresentante legale, sebbene non possa essere qualificato imprenditore. Più difficile
appare invece sottrarre il minore fallito alle incapacità personali (esclusione da varie professioni), in quanto nell’albo
dei falliti va iscritto il minore.
Funzione delle norme. Le norme riguardanti tutti gli imprenditori tutelano la figura dell’imprenditore verso i terzi, le
norme riguardanti l’imprenditore commerciale tendono invece a tutelare i terzi che entrano in contatto con tali
imprese.
A. LA PUBBLICITA’ LEGALE
La necessità di terzi di poter disporre con facilità di informazioni veritiere e non contestabili su fatti e situazioni delle
imprese con cui entrano in contatto è soddisfatta dal legislatore con l’introduzione di un sistema di pubblicità legale.
Dal 1942 al 1997 ha trovato applicazione un “regime transitorio” imperniato sull’iscrizione nei preesistenti registri di
cancelleria, caratterizzato dall’esonero temporaneo dall’iscrizione degli imprenditori commerciali individuali e degli
enti pubblici economici. Per le sole S.p.A. ed S.r.l., e per i consorzi con attività esterna, era previsto un sistema di
pubblicità legale attraverso la pubblicazione o il deposito nel BUSARL (per le prime), e nel BUSC (per i secondi),
definitivamente soppressi dal 1997.
Registro delle imprese. L’art. 8 della legge n. 580 del 1993 ed il relativo regolamento di attuazione permettono
l’entrata in vigore di un nuovo regime, più ordinato del precedente. E’ cioè previsto, attraverso lo strumento del
registro delle imprese, l’obbligo di rendere di pubblico dominio determinati atti o fatti della vita dell’impresa, secondo
forma e modalità predeterminate per legge.
In tal modo le informazioni rilevanti non solo sono rese accessibili ai terzi interessati (pubblicità notizia), ma
producono l’effetto tipico proprio di ogni forma di pubblicità legale: l’opponibilità a chiunque degli atti o dei fatti così
resi conoscibili.
L’ufficio del registro delle imprese è istituito in ciascuna provincia presso la Camera di commercio, retto da un
conservatore nominato dalla giunta. Il registro è articolato in una sezione ordinaria e in più sezioni speciali.
Iscrizione in sezione ordinaria [pubblic. legale]: Iscrizione in sezioni speciali [pubblicità notizia]:
- imprenditori individ.commerciali non piccoli - imprenditori agricoli individuali
- le società, diverse dalla società semplice - piccoli imprenditori
- i consorzi con attività esterna - società semplici
- enti pubblici che hanno per attività principale attività - imprenditori artigiani (quando non piccoli
commerciale imprenditori, anche in sezione ordinaria)
- società estere con sede principale in Italia
- gruppi europei economici con sede in Italia
Fatti e atti da registrare sono specificati da una serie di norme, diversi a seconda della struttura dell’impresa.
Riguardano gli elementi di individuazione dell’imprenditore e dell’impresa, la struttura e l’organizzazione delle
società. Sono poi soggette in via di principio a registrazione tutte le modificazioni di elementi già iscritti. Non è
consentita l’iscrizione di atti non previsti dalla legge.
Procedimento. L’iscrizione, eseguita su domanda dell’interessato (o d’ufficio se l’iscrizione è obbligatoria e
l’interessato non vi provvede), deve essere fatta nel registro delle imprese della provincia in cui l’impresa ha sede.
L’iscrizione è eseguita entro dieci giorni dalla data di protocollazione della domanda. L’ufficio del registro deve
comunque prima procedere al controllo di regolarità formale, e successivamente di regolarità sostanziale (esistenza e
veridicità dell’esistenza dell’atto o del fatto). L’inosservanza dell’obbligo di registrazione porta a sanzioni
amministrative e indirette.
Efficacia dell’iscrizione. Di regola, l’iscrizione in sezione ordinaria ha solo efficacia dichiarativa: dal momento della
registrazione gli atti e i fatti iscritti sono opponibili a chiunque e i terzi non potranno eccepire l’ignoranza del fatto e
qualsiasi prova contraria che daranno sarà inutile. Da notare che l’imprenditore che ha omesso la registrazione può
comunque provare che i terzi hanno avuto ugualmente conoscenza effettiva dell’atto o del fatto.
In alcune ipotesi, tassativamente previste, l’iscrizione può anche avere efficacia costitutiva totale (sia tra le parti che
per i terzi), oppure parziale (solo verso i terzi). Ad esempio, ha efficacia costitutiva (totale), l’iscrizione nel registro
delle imprese dell’atto costitutivo delle società di capitali e delle società cooperative.
In altri casi, l’iscrizione nella sezione ordinaria, è presupposto per la piena applicazione di un determinato regime
giuridico (efficacia normativa). E’ questo il caso delle S.n.c. e delle S.a.s. che, se non iscritte, vengono comunque ad
esistenza ma la mancata registrazione comporta l’applicazione del più gravoso regime dettato per la società semplice.
Tale società è detta irregolare.
L’iscrizione nelle sezioni speciali non produce invece nessuno degli effetti sopra elencati in quanto ha solo funzione di
certificazione anagrafica e di pubblicità notizia.
B. LE SCRITTURE CONTABILI
Obbligo di tenuta delle scritture contabili. Le scritture contabili sono i documenti che contengono la rappresentazione,
in termini quantitativi e monetari, dei singoli atti d’impresa, della situazione del patrimonio dell’imprenditore e del
risultato economico dell’attività svolta. Esse contribuiscono a rendere razionale ed efficiente l’organizzazione e la
gestione dell’impresa e perciò sono di regola spontaneamente tenute da qualsiasi imprenditore. La tenuta delle scritture
contabili è tuttavia elevata ad obbligo ed è legislativamente disciplinata per gli imprenditori che esercitano attività
commerciale. Non vi è però assoluta coincidenza tra i soggetti obbligati a tenere le scritture contabili secondo il codice
civile e la categoria degli imprenditori commerciali:
- la disciplina delle scritture non si applica ai piccoli imprenditori, nemmeno se commerciali;
- le società commerciali sono invece obbligate anche se non esercitano attività commerciale;
- l’obbligo grava anche sugli enti pubblici e sugli enti di diritto privato diversi dalle società che svolgono attività
commerciale in via secondaria, sia pure limitatamente a tale attività.
Scritture contabili obbligatorie. Le scritture necessarie per un’ordinata contabilità variano a seconda del tipo di
attività, delle dimensioni e dell’articolazione territoriale dell’impresa.
L’art. 2214 pone il principio generale secondo cui l’imprenditore deve tenere tutte le scritture contabili “che siano
richieste dalla natura e dalle dimensioni dell’impresa”. In ogni caso devono essere tenuti il libro giornale (registro
cronologico–analitico, in cui tutte le operazioni dell’impresa vanno registrate nell’ordine in cui sono state compiute) e
il libro degli inventari (registro periodico-sistematico, da redire ogni anno, che fornisce il quadro patrimoniale
dell’imprenditore, comprese le passività e le attività estranee all’impresa). Devono essere anche conservate gli
originali della corrispondenza commerciale ricevuta e le copie di quella spedita.
Tutti gli imprenditori devono inoltre redire il bilancio, composto da stato patrimoniale e conto economico, riguardo al
quale tutti gli imprenditori devono seguire gli artt. 2423-2435bis che disciplinano il bilancio delle S.p.A.
Regole di tenuta e controllo. La redazione di altre scritture è rimessa alla “discrezionalità” dell’imprenditore (libro
mastro, libro cassa, libro magazzino) con i limiti delle norme tecniche, ma nella pratica si ritengono sufficienti le
scritture obbligatorie di cui sopra.
Il codice detta poi l’obbligo di osservare alcune regole formali e sostanziali nella tenuta delle scritture contabili per
garantirne la veridicità ed evitare che le stesse siano successivamente alterate:
sono le cosiddette formalità estrinseche (es. libri numerati,..) e formalità intrinseche (cioè “secondo un’ordinata
contabilità”). Scritture e corrispondenza commerciale vanno conservate per 10 anni.
L’inosservanza di tali regole rende le scritture irregolari e quindi giuridicamente irrilevanti.
Di regola non c’è controllo esterno sulle scritture, ma ci sono nella pratica rilevanti eccezioni, a causa dei numerosi
interessi coinvolti, che chiamano in causa società di revisione ed altre società.
Sanzioni. L’obbligo di tenuta delle scritture contabili non è assistito da nessuna sanzione generale o diretta, salvo
quelle previste dalla legislazione tributaria. Non mancano, però, sanzioni eventuali e indirette: l’imprenditore che non
tiene regolarmente le scritture contabili non può utilizzarle come mezzo di prova a suo favore, non può essere
ammesso al concordato preventivo e alla amministrazione controllata ed è inoltre assoggettato alle sanzioni penali per
i reati di bancarotta semplice o fraudolenta in caso di fallimento.
Rilevanza esterna delle scritture contabili. In via di principio, esse sono destinate a restare nella sfera interna
dell’imprenditore e non accessibili a terzi. In realtà anche questo principio non è senza eccezioni. Il diritto al segreto
contabile cede di fronte alle esigenze conoscitive della pubblica amministrazione, finalizzate ad accertamenti di
carattere tributario a alla repressione di reati.
Ad esempio il bilancio delle società di capitali e delle cooperative deve essere reso pubblico mediante deposito presso
l’ufficio del registro delle imprese, ed inoltre il diritto al segreto non sussiste né da parte delle imprese soggetto a
controllo pubblico verso l’organo pubblico preposto alla vigilanza, né da parte delle società di capitali quotate in borsa
verso la Consob.
Efficacia probatoria. Sul piano processuale,le scritture contabili, siano o meno regolarmente tenute, possono sempre
essere utilizzate dai terzi come mezzo processuale di prova contro l’imprenditore che le tiene. Il terzo che se ne vuole
avvantaggiare non può però scinderne il contenuto.
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Affinché l’imprenditore possa utilizzare le proprie scritture come mezzo processuale di prova contro terzi, è necessario
che: a) si tratti di scritture regolarmente tenute; b) la controparte sia anch’essa un imprenditore; c) la controversia sia
relativa all’esercizio dell’impresa.
Quanto ai modi di acquisizione, in generale il giudice può chiedere l’esibizione riguardante soltanto singole scritture
contabili, relative alla controversia in esame,mentre può ordinare la comunicazione alla controparte di tutte le scritture
in tre casi tassativi: controversie relative allo scioglimento della società, alla comunione dei beni e alla successione per
causa di morte.
C. LA RAPPRESENTANZA COMMERCIALE
Di regola l’imprenditore si avvale di ausiliari interni (o subordinati) oppure di ausiliari esterni (o autonomi), ed in
entrambi i casi la collaborazione può riguardare anche la conclusione di affari con terzi in nome e per conto
dell’imprenditore: l’agire in rappresentanza dell’imprenditore.
Disciplina generale della rappresentanza. In generale, affinché l’incaricato possa agire in nome e per conto
dell’interessato, è necessario l’espresso conferimento del potere di rappresentanza attraverso una specifica
dichiarazione di volontà, denominata procura. Il potere di rappresentanza sussiste nei limiti fissati dalla procura, che
deve essere conferita con le forma prescritte per il contratto che il rappresentante deve concludere. E’ il terzo sul quale
cade l’onere di accertarsi della procura, poiché il contratto concluso dal falso rappresentante è infatti improduttivo di
effetti ed il terzo non potrà vantare alcun diritto nei confronti del preteso rappresentato. Egli può solo chiedere il
risarcimento al falso rappresentante.
Queste regole tutelano male il terzo e cedono il passo a diversa disciplina quando si è in presenza di determinate figure
tipiche di ausiliari interni (institore, procuratori e commessi). Tali principi facilitano le contrattazioni di impresa in
quanto ridimensionano i pericoli cui è di regola esposto chi contratta con l’altrui rappresentante, che non dovrà
verificare la veridicità della rappresentanza.
Sistema speciale di rappresentanza. Il potere di institori, procuratori e commessi di vincolare direttamente
l’imprenditore non si fonda sulla presenza e sulla validità di una procura,ma costituisce effetto naturale di quella
determinata collocazione nell’impresa ad opera dell’imprenditore. Questi potrà modificare il contenuto di tale potere di
rappresentanza, ma servirà uno specifico atto.
L’institore. Secondo l’art. 2203, l’institore è colui che è preposto dal titolare all’esercizio della impresa, o di una sede
secondaria, o di un ramo particolare della stessa. E’ dunque di regola un lavoratore subordinato con la qualifica di
dirigente, posto al vertice della gerarchia del personale, attraverso un atto di preposizione dell’imprenditore, investito
dall’imprenditore di un potere di gestione generale (direttore generale nel linguaggio comune).
Obblighi dell’institore, congiuntamente all’imprenditore, sono quelli dell’iscrizione nel registro delle imprese e della
tenuta delle scritture contabili. In caso di fallimento dell’imprenditore, gli
effetti relativi alle sole sanzioni penali ricadranno anche sull’institore.
L’institore ha inoltre un ampio potere di rappresentanza: anche in mancanza di espressa procura, egli può compiere in
nome dell’imprenditore “tutti gli atti pertinenti all’attività dell’impresa”. E’ comunque certo che l’institore non può
compiere atti che esulino dalla gestione dell’impresa, e soprattutto gli è espressamente vietato di alienare o ipotecare i
beni immobili, se non è stato a ciò specificatamente autorizzato. Riguardo alla rappresentanza processuale, l’institore
può stare in giudizio, sia come attore (rappresentanza processuale attiva), sia come convenuto (rappresentanza
processuale passiva) per le “obbligazioni dipendenti da atti compiuti nell’esercizio dell’impresa cui è preposto,
compresi gli atti posti in essere direttamente dall’imprenditore.
I poteri rappresentativi dell’institore possono essere ampliati o limitai dall’imprenditore sia all’atto della preposizione
sia successivamente, ma le limitazioni saranno opponibili ai terzi solo se la procura originaria o il successivo atto di
limitazione siano stati pubblicati nel registro delle imprese. Mancando tale pubblicità legale, “la rappresentanza si
reputa generale”. Da notare quindi che, nonostante il legislatore parli più volte di una procura da parte del preponente,
questa non è assolutamente necessaria. La revoca dei poteri è opponibile solo se pubblicata o se l’imprenditore prova
la loro effettiva conoscenza.
Sempre riguardo alla rappresentanza institoria, l’institore è personalmente obbligato se omette di far conoscere al terzo
che egli tratta per il preponente. Peraltro, diversamente dalla rappresentanza generale dove il rappresentato non è
responsabile, personalmente obbligato è anche il preponente, quando gli atti compiuti dall’institore “siano pertinenti
all’esercizio dell’impresa a cui è preposto”.
I procuratori. Essi sono ausiliari subordinati di rado inferiore rispetto all’institore in quanto a differenza di questo: a)
non sono posti a capo dell’impresa o di un ramo o di una sede secondaria;
b) pur essendo ausiliari con funzioni direttive, il loro potere decisionale è circoscritto ad un determinato settore
operativo dell’impresa o ad una serie specifica di atti (es. direttore acquisti).
L’art. 2209 trasferisce al procuratore alcune norme dettate per gli institori: i procuratori sono quindi investiti di un
potere di rappresentanza generale dell’imprenditore, relativamente però alle sole specie di operazioni per le quali essi
sono stati investiti di autonomo potere decisionale.
Altre norme dettate per gli institori non sono richiamate, perciò il procuratore:
1) non ha la rappresentanza processuale dell’imprenditore, in nessun caso;
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2) non è soggetto agli obblighi di iscrizione nel registro delle imprese e di tenuta delle scritture contabili;
3) non risponderà per gli atti, pur pertinenti all’esercizio dell’impresa, compiuti da un procuratore senza spendita del
nome dell’imprenditore stesso.
I commessi. Essi sono ausiliari subordinati cui sono affidate mansioni esecutive e materiali che li pongono in contatto
con i terzi. Hanno potere di rappresentanza, decisamente più limitato rispetto ai due casi di cui sopra, anche in
mancanza di specifico atto di conferimento. L’art. 2210 afferma che essi 2possono compiere gli atti che
ordinariamente comporta la specie di operazioni cui sono incaricati”. In generale, salvo espressa autorizzazione, i
commessi:
a) non possono esigere il prezzo di merci di cui non facciano consegna, né fare sconti o dilazioni;
b) non possono derogare alle condizioni stabilite nel contratto predisposto dall’imprenditore;
c) se preposti alla vendita, non possono esigere il prezzo fuori dai locali stessi, né possono esigerlo all’interno
dell’impresa se alla riscossione è destinata apposita cassa.
I poteri del commesso possono essere ampliati o limitai dall’imprenditore, ma le limitazioni (dato che non è previsto
sistema di pubblicità legale) saranno opponibili ai terzi solo se portate a conoscenza degli stessi con mezzi idonei, o se
si prova l’effettiva conoscenza.
CAPITOLO 5: L’AZIENDA
Definizione di azienda. L’art. 2555 definisce l’azienda come “il complesso dei beni organizzati dall’imprenditore per
l’esercizio dell’impresa”. Da ciò emerge che l’azienda è un complesso di singoli elementi che hanno unitaria
destinazione verso uno specifico fine produttivo. Essa può essere vista come il mezzo di cui l’imprenditore si avvale
per lo svolgimento della propria attività (rapporto mezzo/fine tra azienda e attività d’impresa).
L’azienda assume inoltre forte rilievo sul piano economico, acquistando solitamente valore maggiore rispetto alla
somma dei valori dei singoli beni (avviamento).
Si distingue tra avviamento oggettivo, quello ricollegabile a fattori suscettibili di permanere anche se muta il titolare
dell’azienda, e avviamento soggettivo, quello dovuto all’abilità operativa dell’imprenditore sul mercato ed in
particolare alla sua abilità nel formare, conservare e accrescere la propria clientela.
Elementi costitutivi dell’azienda. Al fine di qualificare un dato bene come bene aziendale è rilevante solo la
destinazione dell’imprenditore all’esercizio all’attività d’impresa. Irrilevante è il titolo giuridico (proprietà, usufrutto,
altro) che legittima l’imprenditore ad utilizzare un dato bene.
Riguardo a cosa ricomprendere nella parola “beni”, l’opinione più diffusa considera elementi costitutivi dell’azienda
solo le cose in senso proprio di cui l’imprenditore si avvale, escludendo dunque servizi, crediti, debiti, rapporti di
lavoro e rapporti contrattuali.
Tra concezione atomistica e concezione unitaria. Le teorie unitarie considerano l’azienda come un unico bene
immateriale, sul quale il titolare potrebbe avere un diritto di proprietà unitario. Le teorie atomistiche concepiscono
invece l’azienda come una semplice pluralità di beni tra loro funzionalmente collegati e sul quale l’imprenditore può
vantare diritti diversi (proprietà, diritti reali limitai, diritti personali di godimento). Mancando una legge di
circolazione propria dell’azienda l’ipotesi unitaria va rifiutata, tuttavia bisogna sempre tenere conto, nelle controversie,
della salvaguardia dell’unità funzionale dell’azienda.
Anche per quanti vogliono considerare l’azienda un’universalità di beni mobili (che secondo l’art. 816 sono “la
pluralità di cose che appartengono alla stessa persona e hanno una destinazione unitaria”), la disciplina dettata per tali
universalità non è applicabile all’azienda, se non per risolvere problemi pratici lasciati insoluti dalla disciplina
dell’azienda. Infatti, l’azienda è di regola costituita da beni eterogenei e può comprendere anche beni (mobili ma anche
immobili) che non sono di proprietà dell’imprenditore.
Trasferimento dell’azienda. Per stabilire se un determinato atto di disposizione dell’imprenditore vada qualificato
come trasferimento di azienda o come trasferimento di singoli beni aziendali, non si guarda al nomen dato al contratto,
ma al risultato realmente perseguito e realizzato.
Con il trasferimento di azienda, saranno considerati trasferiti tutti quei beni che hanno come funzione lo svolgimento
dell’attività d’impresa: è necessaria la specificazione dei beni che l’imprenditore non vuole includere nel
trasferimento.
Si noti che il trasferimento di azienda può riguardare anche un solo ramo d’azienda, purché dotato di organicità
operativa. Non è neanche necessario che l’azienda sia in funzione al momento della vendita, ma solo che l’insieme dei
beni trasferiti sia di per sé potenzialmente idoneo ad essere utilizzato per l’esercizio di una determinata attività
d’impresa.
La forma necessaria per la validità del trasferimento deve essere “la stessa forma stabilita dalla legge per il
trasferimento dei singoli beni che compongono l’azienda o per la particolare natura del contratto”. Non esiste quindi
un’autonoma ed unitaria legge di circolazione dell’azienda. Di conseguenza, ad esempio, il trasferimento di immobili
comporterà la forma scritta pena la nullità.
La forma richiesta ai fini di opponibilità ai terzi è invece quella scritta, per quanto riguarda le imprese “soggette a
registrazione”, includendo tra queste tutte le imprese, poiché tutte le imprese vengono registrate, seppure con diversi
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tipi di pubblicità. Sempre per le imprese soggette a registrazione, l’art. 2256 stabilisce anche che i relativi contratti,
redatti per atto pubblico o per scrittura privata autenticata, sono soggetti a iscrizione nel registro delle imprese.
EFFETTI DELLA VENDITA DELL’AZIENDA:
Divieto di concorrenza dell’alienante. L’art. 2257 afferma che chi aliena un’azienda commerciale deve astenersi,
per un periodo massimo di cinque anni dal trasferimento, dall’iniziare una nuova impresa che possa comunque, “per
l’oggetto, l’ubicazione o altre circostanze”, sviare la clientela dall’azienda ceduta.
Si vuole in questo modo contemperare l’esigenza dell’acquirente di godere dell’avviamento soggettivo (che egli stesso
ha pagato!), e quella dell’alienante a non vedere compressa la propria libertà di iniziativa economica per troppo tempo.
Si noti che resta possibile stabilire un termine minore di cinque anni, ma mai maggiore, e che il divieto è da ritenersi
applicabile anche in caso di vendita coattiva (il divieto rimane al fallito).
Spesso si tenta inoltre di eludere il divieto attraverso inizio di impresa attraverso un prestanome, costituendo una
società di comodo o entrando in un’altra impresa concorrente come dirigente.
Si ritiene che il divieto debba considerarsi violato ogni volta si sia avuto sviamento di clientela dall’azienda ceduta, per
fatto concorrenziale direttamente o indirettamente dovuto all’alienante.
E’ comunque difficile provare l’elusione, e sono necessarie adeguate clausole per evitare tutto ciò.
La successione nei contratti aziendali. La disciplina dettata riguardo alla successione nei contratti aziendali deroga
alla disciplina della cessione di contratti “normali” di diritto comune.
L’art. 2258 stabilisce che “se non è pattuito diversamente, l’acquirente dell’azienda subentra nei contratti stipulati per
l’esercizio dell’azienda stessa che non abbiano carattere personale”, e dunque automaticamente, senza bisogno di
alcuna manifestazione di volontà.
Al terzo contraente è riconosciuto il diritto di recedere dal contratto “entro tre mesi dalla notizia del trasferimento, se
sussiste una giusta causa, salvo in questo caso la responsabilità dell’alienante”.
Da notare in questo caso che la deroga ai principi di diritto comune è ancora più marcata: non è necessario il consenso
del contraente ceduto, che può soltanto chiedere il risarcimento danni all’alienante dando la prova (non facile!) che
questi non ha osservato la normale cautela nella scelta dell’acquirente dell’azienda. Inoltre il recesso non determina il
ritorno del contratto in testa all’alienante ma la definitiva estinzione dello stesso.
E’ evidente dunque il favor legislativo per il mantenimento dell’unità funzionale dell’azienda.
Riguardo al carattere personale dei contratti, l’opinione prevalente ritiene che contratti personali siano quei contratti
nei quali l’identità e le qualità dell’imprenditore alienante sono state in concreto determinanti del consenso del terzo
contraente (e non viceversa). Per il trasferimento di tali contratti si ritorna alla disciplina di diritto comune di cessione
del contratto.
Anche al fine di provare la giusta causa, il terzo deve dimostrare che l’identità dell’imprenditore era essenziale ai fini
del contratto.
I crediti e i debiti aziendali. A) Riguardo ai crediti, la legge non dice, come invece fa con i contratti, se crediti e
debiti si trasferiscono direttamente con l’azienda o meno. L’opinione seguita è che il trasferimento non è automatico,
in mancanza di espressa previsione.
Inoltre, come recita l’art. 2259, dal momento dell’iscrizione del trasferimento dell’azienda nel registro delle imprese,
la cessione dei crediti relativi all’azienda ceduta ha effetto nei confronti dei terzi, anche in mancanza di notifica al
debitore o di sua accettazione. Tuttavia, “il debitore ceduto è liberato se paga in buona fede all’alienante” (l’alienante
deve naturalmente impegnarsi a pagare a sua volta il debito all’acquirente). Nel caso di imprese non soggette a
registrazione, vige invece la disciplina generale della cessione dei crediti.
B) Riguardo ai debiti, l’art. 2560, al fine di tutelare i terzi creditori e l’esigenza di certezza, afferma che l’alienante non
è liberato dai debiti anteriori al trasferimento, se non ha il consenso dei creditori. Per quanto riguarda le sole imprese
commerciali, è previsto invece che “nel trasferimento di un’azienda commerciale risponde dei debiti suddetti anche
l’acquirente dell’azienda, se essi risultano dai libri contabili obbligatori.
Usufrutto e affitto dell’azienda. L’azienda può essere costituita in usufrutto o concessa in affitto.
La costituzione in usufrutto comporta il riconoscimento di poteri-doveri in testa all’usufruttuario, per tutelare sia la
libertà dell’usufruttuario, sia l’interesse del concedente.
A tal fine, l’art. 2561 dispone che l’usufruttuario deve esercitare l’azienda sotto la ditta che la contraddistingue,
conducendo l’azienda senza modificarne la destinazione ed in modo da conservarne l’efficienza dell’organizzazione e
degli impianti e le normali dotazioni di scorte. La violazione di tali obblighi o la cessazione arbitraria dalla gestione
dell’azienda determinano la cessazione dell’usufrutto per abuso dell’usufruttuario. L’usufruttuario ha inoltre il potere-
dovere non solo di godere dei beni aziendali, ma anche di disporne nei limiti delle esigenze della gestione.
L’usufruttuario potrà comprare nuovi beni, che diventeranno di proprietà del nudo proprietario e sui quali
l’usufruttuario avrà diritto di godimento e potere di disposizione.
L’affitto di azienda ha come oggetto del contratto un complesso di beni organizzati ed è decisamente diverso dalla
locazione di un immobile destinato all’esercizio di attività d’impresa, che ha per oggetto il locale in quanto tale. Nella
pratica non è facile distinguerli.
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Sia all’affitto, sia all’usufrutto si applicano le norme riguardo il divieto di concorrenza e la successione nei contratti
aziendali, al solo usufrutto la disciplina dei crediti aziendali, a nessuno dei due le norme riguardanti i debiti aziendali
anteriori, dei quali risponderanno unicamente il nudo proprietario o il locatore.
Funzione dei segni distintivi. La funzione dei segni distintivi, ovvero ditta, insegna e marchio, è quella di favorire la
formazione ed il mantenimento della clientela. Essi consentono infatti ad un dato imprenditore di individuarlo sul
mercato e di distinguerlo dagli altri imprenditori concorrenti.
Tutti i segni distintivi dovranno comunque rispettare i principi di: a) novità; b) originalità; c)verità.
A. LA DITTA.
La ditta è il nome commerciale dell’imprenditore, che lo individua come soggetto di diritto nel campo
dell’imprenditoria. Due limiti specifici nella scelta della ditta sono:
a) Verità. Si distingue se la ditta è originaria (ovvero formata dall’imprenditore che la utilizza), o derivata (ovvero
formata da un dato imprenditore e successivamente trasferita ad un altro imprenditore insieme all’azienda).
Secondo l’art. 2563, la ditta originaria “deve contenere almeno il cognome o la sigla dell’imprenditore” (con
eventuali e possibili aggiunte, non necessarie in caso di mutamenti nel nome civile dell’imprenditore
matrimonio, divorzio, adozione). Per quanto riguarda la ditta derivata, l’art. 2563 non impongono a chi utilizza
una ditta derivata di integrarla con il proprio cognome o la propria sigla. Il principio di verità si riduce a pura
“verità storica”.
b) Novità. L’art. 2564 impone che la ditta non deve essere “uguale o simile a quella usata da altro imprenditore” e
tale da “creare confusione per l’oggetto dell’impresa o per il luogo in cui questa è esercitata” (diritto all’uso
esclusivo della ditta). Chi adotta ditta uguale a simile ad altra già esistente, può essere obbligato a modificarla o
integrarla. Per le imprese commerciali, tale obbligo spetta a chi ha iscritto la propria ditta nel registro delle imprese
in epoca posteriore. Il diritto all’uso esclusivo non è comunque assoluto, ma relativo: sussiste solo se i due
imprenditori sono in rapporto concorrenziale tra loro.
Trasferimento della ditta. Secondo l’art. 2565, la ditta è trasferibile, ma solo insieme all’azienda. Se il trasferimento
avviene per atto tra vivi, è necessario il consenso espresso dell’alienante. Regola opposta vale se l’azienda è acquistata
per successione a causa di morte: la ditta si trasmette al successore, salvo diversa disposizione testamentaria.
E’ importante notare che se la persistenza del legame segno distintivo-complesso produttivo tende a tutelare i
consumatori, tutela invece molto meno quanti all’imprenditore stesso concedono credito.
La giurisprudenza ritiene comunque che chi ha trasferito l’azienda è responsabile in solido con l’acquirente per i debiti
da questo contratti spendendo la ditta derivata, qualora il terzo contraente abbia potuto ragionevolmente ritenere di
trattare col cedente.
Ditta e nome civile. Nome civile e ditta non vanno confusi. Il nome civile, attribuito per legge, è a struttura fissa
(prenome + cognome), unico e non liberamente modificabile. Principi opposti regolano la ditta. Inoltre omonimia è
consentita tra nomi civili, ma non tra ditte. Questa distinzione è utile per comprendere l’art. 2567, la cui
interpretazione chiarisce che le società devono avere una ragione sociale o una denominazione sociale (nome delle
società), che non possono essere uguali o simili ad altri “nomi di società” (come per la ditta) e non possono essere
trasferiti (come per il nome civile). Tuttavia le società possono anche avere una ditta originaria, formata rispettando le
norme sulla ditta (e come prima doveva includere sigla o cognome dell’imprenditore, adesso deve includere ragione
sociale o denominazione sociale), e più ditte derivate, che rimangono distinte dal nome e potranno essere trasferite.
B. L’INSEGNA.
L’insegna contraddistingue i locali dell’impresa. La sua disciplina si esaurisce nell’art. 2568, che rimanda all’art.
2564: l’insegna non potrà cioè essere uguale o simile ad altra già utilizzata da altro imprenditore concorrente, con
conseguente obbligo di differenziazione per non creare confusione.
Si può comunque affermare che l’insegna deve rispettare i principi generali di liceità, veridicità (non deve trarre in
inganno riguardo attività o prodotti), originalità. Il trasferimento dell’insegna si ritiene consentito, così come la licenza
non esclusiva ed il conseguente co-uso della stessa insegna da parte di imprenditori collegati (ad esempio nel
franchising).
C. IL MARCHIO.
Funzione del marchio. Il marchio è il segno distintivo dei prodotti o dei servizi dell’impresa.
Esso costituisce il principale collegamento tra produttori e consumatori e svolge perciò un ruolo centrale nella
formazione e nel mantenimento della clientela. La sua principale funzione è la differenziazione del prodotto da quelli
concorrenti. Inoltre il marchio è indicatore di provenienza da una fonte unitaria di produzione, anche se dopo la
riforma del 1992 è possibile anche la licenza non esclusiva del marchio. Terza funzione del marchio può essere
considerata quella di attrarre i consumatori. Da notare che non può invece essere considerata una funzione del
marchio quella di garanzia della qualità dei prodotti: nessuna norma può infatti vietare al produttore variazioni
qualitative della propria produzione.
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Nell’ordinamento nazionale il marchio è disciplinato dal codice Civile (artt. 2569-2574) e dalla legge marchi
modificata nel 1992 dopo l’emanazione della Direttiva CEE del 1988. Il marchio internazionale è disciplinato da due
convenzioni internazionali.
Tipi di marchi. A seconda di ciò su cui si pone l’attenzione, è possibile distinguere:
- Marchio di fabbrica e marchio di commercio: su uno stesso prodotto possono infatti coesistere sia il primo,
apposto dal fabbricante, sia il secondo, apposto dal rivenditore, che non può comunque sopprimere il marchio del
produttore. Da notare che il marchio può essere utilizzato anche da imprese che producono servizi;
- Marchio generale e marchio speciale: il primo si riferisce ad un unico marchio per tutti i propri prodotti, il
secondo a più marchi per più prodotti, con l’intento di differenziare i prodotti della propria impresa. E’ possibile
anche l’uso di un marchio generale e più speciali (es. “Fiat-Uno”);
- Marchio denominativo, composto solo da parole, e marchio figurativo,composto esclusivamente da figure, lettere,
cifre, disegni. E’ possibile anche il marchio costituito da suoni. Spesso si sceglie un marchio misto, combinazione
di parole e altri simboli;
- Marchio di forma, se costituito dalla forma del prodotto o dalla confezione dello stesso;
- Marchio collettivo, quando titolare del marchio è un soggetto o un ente che svolge la funzione di “garantire
l’origine, la natura o la qualità di determinati prodotti o servizi”, che lo concede in uso a produttori o commercianti
consociati (es. “Pura lana vergine” o “Prosciutto di Parma”). Questi a loro volta devono rispettare determinate
regole fissate dall’ente.
Requisiti di validità. Per tutelare e registrare il marchio, bisogna rispettare alcuni requisiti:
Liceità. Il marchio non deve andare contro la legge, il buon costume, l’ordine pubblico, non deve contenere segni
protetti da convenzioni internazionali, lesivi di diritto d’autore o di proprietà industriale. Riguardo alla tutela dell’altrui
diritto al nome: se si tratta di persona nota, è necessario il suo consenso per utilizzare il suo nome o lo pseudonimo (es.
videogiochi Fifa senza il nome di Ronaldo), se invece si tratta di persona non nota, in generale non c’è bisogno del
consenso ma l’uso non deve comunque “ledere la fama, il credito o il decoro” dell’avente diritto al nome.
Verità (o non ingannevolezza del marchio). Nel marchio non possono essere inseriti segni idonei ad ingannare il
pubblico, “in particolare sulla provenienza geografica, sulla natura o sulla qualità dei prodotti o servizi” (es. marchio
New England per magliette fabbricate in Italia).
Originalità. Il marchio deve cioè essere composto in modo da consentire l’individuazione sul mercato dei prodotti
contrassegnati. Secondo il legislatore, non bastano né le denominazioni generiche del prodotto o del servizio o la loro
figura generica (es. “calzature”), né le indicazioni descrittive dei caratteri essenziali, delle prestazioni e della
provenienza geografica del prodotto (es. “brillo” per prodotti luccicanti), né i segni divenuti di uso comune nel
linguaggio corrente (es. “super”, “extra”). Si vuole così impedire l’acquisto di posizioni di monopolio su simboli che
nel lessico comune individuano genericamente quel dato prodotto. Tale regole non valgono per marchi di fantasia, che
non abbiano relazione con il prodotto contraddistinto(es.“aeroplano” per un marchio di calzature), e per parole
straniere generiche non note al consumatore medio italiano (es. “Cynar”).
E’ possibile usare combinazioni di parole generiche (es. ”Amplifon”), tuttavia in questo caso il marchio è detto
marchio debole poiché bastano poche modifiche per imitarlo(es. “Udifon”). Marchi forti sono invece quelli dotati di
forte capacità distintiva e quindi in genere i marchi di pura fantasia.
Ai fini dell’originalità, è importante parlare del “secondary meaning”. E’ il caso di marchi registrati ma privi di
capacità distintiva (come parole generiche, tipo “Bambolina”), che possono diventare marchi “forti”, e quindi validi, a
seguito dell’uso che ne è stato fatto e della notorietà che ha acquistato presso il pubblico, in genere grazie ad
un’accorta pubblicità.
Novità. La novità riguarda l’uguaglianza o la somiglianza con altri marchi. Si distingue tra marchi ordinari e marchi
celebri. Per i primi la regola è che non sono nuovi i segni che possono determinare “un rischio di confusione per il
pubblico”, poiché identici o simili ad un segno già noto come marchio, ditta o insegna di altro imprenditore
concorrente, o comunque già registrato da altri come marchio per prodotti identici o affini. Il rapporto di affinità non è
invece necessario se il marchio è celebre.
Nullità e convalida. Il difetto dei requisiti di validità esposti comporta la nullità del marchio, che può riguardare
anche solo parte dei prodotti o servizi per i quali il marchio è stato registrato.
Due eccezioni sono previste: a) la nullità del marchio per difetto di novità non può più essere dichiarata quando chi lo
ha richiesto non era in mala fede ed il titolare del marchio anteriore ne abbia tollerato l’uso per cinque anni (è questa la
convalida del marchio); b) la nullità del marchio per difetto di originalità non può più essere dichiarata quando il
marchio ha acquisito capacità distintiva grazie al secondary meaning.
Il marchio registrato. La registrazione del marchio presso l’Ufficio italiano brevetti e marchi, attribuisce al titolare del
marchio il diritto all’uso esclusivo dello stesso su tutto il territorio nazionale. Il diritto di esclusiva copre prodotti
identici ma anche affini (destinati cioè alla stessa clientela, es. frigoriferi e lavatrici, o al soddisfacimento di bisogni
identici o complementari, es. prodotti caseari e alimentari). Per marchi celebri, come detto, la tutela copre anche
prodotti non affini (es. Coca-Cola non può essere utilizzato da altri per il vestiario).
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Il diritto di esclusiva decorre in maniera retroattiva dalla data di presentazione della domanda all’Ufficio B.M. (e non
dalla registrazione!), sempre che sia poi arrivata la successiva conferma.
Dopo il deposito del marchio, l’Ufficio B.M. verifica solo i requisiti di non ingannevolezza e liceità, mentre riguardo
all’originalità e alla novità possono sorgere problemi e controlli solo in caso di controversie. La registrazione del
marchio dura 10 anni, ma è rinnovabile un numero infinito di volte (tutela pressoché perpetua), salvo che non sia
dichiarata nullità o decadenza del marchio.
Decadenza. Un marchio decade per: a) volgarizzazione (marchio diventato denominazione generica, es. Aspirina),
b) sopravvenuta ingannevolezza dello stesso, c) mancata utilizzazione entro cinque anni dalla registrazione, o se
l’utilizzazione è stata sospesa per uguale periodo, salvo che l’inerzia del titolare non sia dovuta a motivo legittimo.
Il marchio registrato è tutelabile civilmente e penalmente: il titolare del marchio leso nel diritto di esclusiva, può
promuovere azione di contraffazione, per ottenere l’inibitoria della continuazione di atti lesivi, e la rimozione degli
effetti degli stessi. Possono essere utilizzati marchi protettivi (non soggetti a decadenza) per precostituire la prova della
confondibilità.
Il marchio di fatto. La tutela del marchio di fatto è decisamente minore di quella del marchio registrato, e più o meno
ampia a seconda della diffusione locale o nazionale. Infatti, l’art. 2571 dispone che “chi ha fatto uso di un marchio non
registrato ha la facoltà di continuare ad usarne, nonostante la registrazione da altri ottenuta, [ma] nei limiti in cui
anteriormente se ne è avvalso”.
Se c’è notorietà nazionale,il titolare di marchio non registrato potrà impedire l’uso o la registrazione di marchio
confondibile per difetto di novità riguardo prodotti uguali,ma non affini. Se c’è notorietà locale, altri potranno
utilizzare e registrare lo stesso marchio in altre regioni. In tal caso il titolare di marchio di fatto non potrà diffondere i
prodotti contrassegnati fuori dall’ambito territoriale.
Trasferimento del marchio. Il marchio può essere trasferito a titolo sia temporaneo sia definitivo, e dal 1992 può essere
trasferito o concesso in licenza anche senza trasferimento dell’azienda. E’ ora possibile anche la licenza di marchio
non esclusiva, utilizzata per il franchising e il merchandising.
Dal trasferimento o concessione del marchio non deve comunque derivare inganno nei caratteri essenziali dei prodotti
e il licenziatario deve utilizzare il marchio per prodotti con uguali caratteristiche a quelle dei prodotti del concedente.
In caso di violazione, si è esposti alla decadenza.
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Diritto patrimoniale. Si estende in 70 anni dopo la morte dell’autore. Diritto patrimoniale è il diritto di utilizzazione
economica esclusiva dell’opera “in ogni forma e modo, originale o derivato”.
Regole specifiche in caso di opere in collaborazione. Attribuzione specifica dei diritti:
Opera collettiva: opera costituita da più contributi autonomi e separabili, organizzati in forma unitaria da un direttore
o coordinatore (es. giornali). Autore della stessa è considerato il direttore, i diritti patrimoniali spettano all’editore, i
singoli hanno però diritto d’autore sulla propria parte;
Opera in collaborazione: opera composta da contributi omogenei ed oggettivamente non distinguibili e non divisibili
(es. progetto redatto da più architetti). Si instaura regime di comunione tra autori: ognuno può tutelare autonomamente
il diritto morale, mentre è necessario l’accordo di tutti per i diritti patrimoniali (sostituibile dall’autorizzazione del
tribunale in casi estremi);
Opera composta: opera costituita da contributi eterogenei e distinti, ma che danno vita ad un’opera funzionalmente
unitaria e indivisibile (es. opere liriche). Anch’esse cadono in regime di comunione, ma sono individuati i singoli
autori sia per i diritti morali che per quelli patrimoniali.
Trasferimento del diritto di utilizzazione economica. Secondo l’art. 2581, il diritto di utilizzazione economica
dell’opera dell’ingegno è liberamente trasferibile, sia unitariamente che nelle sue singole manifestazioni, sia fra vivi
che a causa di morte. Per atto tra vivi qualsiasi schema contrattuale, atipico o tipico, è possibile, tuttavia i contratti
previsti e più utilizzati sono:
a) Contratto di edizione: l’autore concede in esclusiva ad un editore l’esercizio del diritto di pubblicare per la stampa
l’opera, per conto e a spese dell’editore stesso. L’editore si obbliga a mettere in commercio l’opera e a
corrispondere il compenso pattuito all’autore. Il contratto può riguardare anche opera non ancora creata, e può sia
prevedere un numero determinato di edizioni (contratto per edizione) o lasciare all’editore questa facoltà (contratto
a termine). La durata del contratto non può eccedere i 20 anni.
b) Contratto di rappresentazione ed esecuzione: l’autore cede, di solito non in esclusiva, il solo diritto di
rappresentazione in pubblico di opere destinate a tal fine(musicali,coreografiche, ecc.), o di eseguire in pubblico
una composizione musicale. L’altra parte deve provvedere alle spese.
Difesa del diritto d’autore. Il diritto d’autore è protetto da specifiche sanzioni civili, amministrative, penali. E’
possibile chiedere l’accertamento del proprio diritto, l’inibizione della violazione, ed eventualmente la rimozione e la
distruzione di ciò che materialmente ha leso il diritto, salvo risarcimento dei danni subiti. Il giudice può anche disporre
la pubblicazione su uno o più giornali.
Tutela internazionale. Dato che le opere dell’ingegno godono di tutela esclusivamente nazionale e sono esposte alla
concorrente utilizzazione in altri Stati,l’Italia ha aderito a due convenzioni europee
B. LE INVENZIONI INDUSTRIALI.
Oggetto. Le invenzioni industriali consistono nella soluzione originale di un problema tecnico, suscettibile di pratica
applicazione nel settore della produzione di beni o servizi. Rispetto alle opere dell’ingegno, si differenziano per il
diverso modo di acquisto del diritto di utilizzazione economica: la concessione del corrispondente brevetto da parte
dell’Ufficio Brevetti e marchi.
Possono formare oggetto di brevetto:
Invenzioni di prodotto, riguardanti un nuovo prodotto materiale;
Invenzioni di procedimento, riguardanti un nuovo metodo;
Invenzioni derivate, che “derivano da un’invenzione precedente e a loro volta si suddividono in: a) invenzioni di
combinazione, combinazione di invenzioni precedenti per averne una nuova, b) invenzioni di perfezionamento,
attraverso modificazioni di miglioramento di un’invenzione precedente; c) invenzioni traslative, nuova utilizzazione di
prodotto già conosciuto.
Per scelta legislativa, non sono però considerate invenzioni (e tutti così ne possono fruire):
scoperte, teorie scientifiche e metodi matematici; presentazione di informazioni; software (mentre lo è l’hardware).
Non sono brevettabili neanche i metodi diagnostici e chirurgici, né le razze animali modificate biologicamente.
Requisiti di validità:
- Liceità;
- Novità: è nuova l’invenzione “non compresa nello stato della tecnica”, cioè già divulgata;
- Implicazione di attività inventiva(originalità): è invenzione qualunque tipo di progresso tecnico, anche piccolo,
purché non conseguibile da un esperto del ramo facendo riferimento alle sue ordinarie capacità e conoscenze
(giudizio di non ovvietà);
- Industrialità: l’invenzione è considerata atta ad avere applicazione industriale se !può essere fabbricata o utilizzata
in qualsiasi genere di industria, compresa quella agricola”.
Il diritto al brevetto. L’inventore acquista il diritto ad essere riconosciuto autore dell’invenzione (diritto morale) per il
solo fatto dell’invenzione. Egli ha inoltre il diritto, trasferibile, di conseguire il brevetto (diritto al brevetto), che ha
funzione costitutiva ai fini dell’acquisto del diritto patrimoniale all’utilizzazione economica in esclusiva sul trovato
(diritto sul brevetto).
N.B. Non sempre l’autore dell’invenzione coincide col soggetto legittimato a richiedere il
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A. LA LEGISLAZIONE ANTIMONOPOLISTICA.
Il modello del mercato teorizzato, ideale e teorico, è quello della concorrenza perfetta.
Il riconoscimento legislativo della libertà di iniziativa economica privata e della conseguente libertà di concorrenza
(art. 41 Cost.) è presupposto necessario ma non sufficiente perché si instauri un regime oggettivo di mercato
caratterizzato da un sufficiente grado di concorrenza effettiva.
E’ necessaria pertanto una regolamentazione legislativa della concorrenza e di tutti i tipi di intese, che non vanno
sempre viste come negative talvolta sono necessarie limitazioni della concorrenza, quando lede il principio del
pubblico interesse: l’art. 2595 dispone che “la concorrenza deve svolgersi in modo da non ledere gli interessi della
comunità nazionale” e l’art. 41 Cost. ribadisce che l’iniziativa privata è sì libera, ma “non piò svolgersi in contrasto
con l’utilità sociale”.
Disciplina antitrust. Solo con la legge n.287/1990 è in vigore in Italia una disciplina nazionale antitrust, che regola il
regime concorrenziale nazionale, e che va ad affiancarsi alla disciplina antitrust comunitaria, che regola la concorrenza
che incide sul mercato europeo. La competenza della disciplina italiana ha carattere residuale: è circoscritta alle
pratiche concorrenziali che hanno rilievo esclusivamente locale e che non incidono sulla concorrenza nel mercato
comunitario.
Sul rispetto delle normative comunitaria ed italiana vigilano rispettivamente la Commissione delle Comunità Europee
e l’Autorità garante della concorrenza e del mercato. Per i “settori speciali” (editoria, radiodiffusione, aziende di
credito) sono previste specifiche autorità di vigilanza.
L’Autorità italiana ha ampi poteri di indagine ed ispettivi, adotta i provvedimenti monopolistici necessari ed irroga le
sanzioni amministrative pecuniarie previste. Contro i provvedimenti amministrativi, è possibile il ricorso al TAR del
Lazio.
Tre sono i fenomeni rilevanti per la disciplina antimonopolistica nazionale e comunitaria:
1) Intese. Comportamenti concordati tra imprese, volti a limitare la propria libertà di azione sul mercato (es. accordi
su prezzi uniformi). Comunque non tutte le intese sono vietate, ma solo quelle che “abbiano per oggetto o per
effetto di impedire, restringere o falsare in maniera consistente il gioco della concorrenza” all’interno del mercato
o in sua parte rilevante. Sono lecite quindi le intese minori. Le intese vietate sono nulle ad ogni effetto, e chiunque
può agire in giudizio per farne accertare la nullità. Esenzioni temporanee possono essere disposte dall’autorità se
migliorano le condizioni di offerta del mercato e producono un sostanziale beneficio per i consumatori in termini
di aumento della produzione, di miglioramento qualitativo della stessa o della distribuzione, di progresso tecnico.
E’ comunque necessario che non sia eliminata la concorrenza da una parte sostanziale del mercato.
2) Abuso di posizione dominante. Vietato non è il fatto in sé dell’acquisizione di una posizione dominante sul
mercato, ma vietato è solo lo sfruttamento abusivo di tale posizione con comportamenti capaci di pregiudicare la
concorrenza effettiva. Ad esempio, è vietato a un’impresa imporre prezzi e condizioni troppo gravosi, impedire o
limitare la produzione a danno dei consumatori, applicare nei contratti condizioni oggettivamente diverse per
prestazioni equivalenti. Il divieto di abuso di posizione dominante non ammette eccezioni. L’Autorità, accertata
l’infrazione, ne obbliga la cessazione e talvolta sospende l’attività dell’impresa.
B. Concentrazioni. Si ha concentrazione quando due imprese danno luogo ad un’unica impresa (concentrazione
giuridica, ad es. fusione), diventano un’unica unità economica pur restando giuridicamente distinte
(concentrazione economica), costituiscono impresa societaria comune. La concentrazione tra imprese tende ad
allargare la quota di mercato: essa non è di per sé vietata, ma diventa illecita e vietata quando dia luogo a gravi
alterazioni del regime concorrenziale del mercato. Pertanto operazioni di concentrazione che superino determinate
soglie devono essere considerate e valutate dall’Autorità italiana, che vieterà la concentrazione quando riterrà che
la stessa comporti la costituzione o il rafforzamento di una posizione dominante con effetti distorsivi per la
concorrenza stabili e durevoli. Sono previste sanzioni pecuniarie ma, diversamente dalle imprese, non è però
sancita la nullità delle operazioni (fusione, acquisto di azienda,…) che hanno dato luogo a una concentrazione
vietata. Ai terzi resta solo la possibilità del risarcimento danni, fermo restando che l’Autorità può imporre il
compimento di operazioni inverse a quelle che hanno determinato una concentrazione vietata.
1. Nozione e tipi
" con il contratto di consorzio più imprenditori istituiscono un'organizzazione comune per la disciplina o per lo
svolgimento di determinate fasi delle rispettive imprese" ( art.2602). È questa la nuova nozione dei consorzi per il
coordinamento della produzione e degli scambi.
L'attuale disciplina legislativa comporta che il consorzio è oggi schema associativo tra imprenditori idoneo a
ricomprendere due distinti fenomeni della realtà.
Un consorzio può essere costituito al fine prevalente o esclusivo di disciplinare la reciproca concorrenza fra
imprenditori e che svolgono la stessa attività o attività similari ( consorzio con funzione anticoncorrenziale).
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Più imprenditori possono però dar vita ad un consorzio anche per conseguire un fine parzialmente o totalmente
diverso: " per lo svolgimento di determinate fasi delle rispettive imprese". In tal caso il consorzio rappresenta anche
uno strumento di cooperazione interaziendale ( consorzio con funzione di coordinamento).
E da queste forme di cooperazione ricorrono in modo particolare le imprese di piccole e medie dimensioni.
I consorzi anticoncorrenziali sollecitano controlli volti ad impedire che per loro tramite si stavano situazioni di
monopolio di fatto contrastanti con l'interesse generale.
I consorzi di cooperazione interaziendale rispondere invece all'esigenza di accrescere la competitività delle imprese e
concorrono a preservare la struttura concorrenziale del mercato.
Sul piano della disciplina e diritto privato, consorzi anticoncorrenziali e consorzi di cooperazione aziendale sono
tuttavia regolati in modo tendenzialmente uniforme.
Altre infatti distinzione rilevante sul piano civilistico. Ed è la distinzione fra consorzi con attività interna e consorzi
destinati a svolgere attività esterna. In entrambi si crea un'organizzazione comune; ma nei consorzi consola attività
interna il compito di tale organizzazione si esaurisce nel regolare i rapporti reciproci fra i consorziati e nel controllare
il rispetto di quanto convenuto. Il consorzio quanto tale non entra in contatto e non opera con i terzi. Nei consorzi con
attività esterna, le parti prevedono l'istituzione di un ufficio comune ( art. 2612 ), destinata a svolgere attività con i terzi
nell'interesse delle imprese consorziate.
4. Le società consortili
Consorzi e società (art.2247) sono istituti diversi. La diversità è netta quando il consorzio svolge attività
esclusivamente interna. Manca in tal caso l'esercizio in comune di una attività economica da parte dei consorziati, che
invece costituisce elemento essenziale delle società.
Società e consorziati con attività esterna infatti presentano in comune, sia il normale carattere imprenditoriale
dell'attività esercitata, sia il fine di realizzare attraverso tale attività un interesse economico dei partecipanti (scopo
egoistico).
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Funzione tipica di un consorzio è quella di produrre beni e servizi necessari a alle imprese consorziate e destinati ad
essere assorbiti dalle stesse senza il conseguimento di utili da parte del consorzio, dato che i rapporti di scambio sono
posti in essere con gli stessi imprenditori partecipanti al consorzio. Lo scopo tipico perseguito nei singoli consorziati
non è quindi quello di ricavare un utile dall'attività del consorzio con i terzi, bensì è solo quello di conseguire un
vantaggio patrimoniale diretto nelle rispettive economie, sotto forma di minori costi sopportati o i maggiori ricavi
conseguiti nella gestione delle proprie imprese.
Lo scopo tipico dei consorzi è perciò diverso da quello delle società lucrative, la cui finalità tipica è quella di produrre
utili da distribuire fra i soci; esse perciò svolgono tipicamente attività di scambio con i terzi. Di regola, una società per
azioni acquista merci per rivenderle sul mercato e ricavarne un guadagno da dividere fra soci. Un consorzio, invece,
acquista merci che servono alle imprese dei consorziati, per rivenderle consorziati stessi ad un prezzo calcolato in
modo da coprire costi di gestione e non di più.
Lo scopo consortile presenta accentuata affinità con lo scopo tipicamente perseguito dalle società cooperative: lo
scopo mutualistico.
Anche l'impresa mutualistica tende a procurare soci un vantaggio patrimoniale diretto, sotto forma di un risparmio di
spesa o di un maggior guadagno personale.
La " mutualità consortile" si differenzia dalla generica mutualità delle cooperative in quanto specifico e tipico è il
vantaggio " mutualistico" perseguito dai partecipanti ad un consorzio: riduzione dei costi di produzione o aumento dei
ricavi delle rispettive imprese.
Consorzi e società ( lucrative e mutualistica) sono quindi forme associative previste dal legislatore per la realizzazione
di finalità non coincidenti.
L'art. 2615 -ter dispone infatti che tutte le società lucrative " possono assumere come oggetto sociale gli scopi indicati
nell'art. 2602", cioè gli scopi di un consorzio.
Imprenditori e danno vita ad una società consortile possono inserire nell'atto costitutivo specifiche pattuizioni volte ad
adattare la struttura societaria prescelta alla finalità consortile perseguita.
opponibile ai terzi solo se pubblicato (art.26 reg.). Inoltre, i membri che cessano di far parte del Geie, per recesso o
esclusione, continuano a rispondere delle obbligazioni anteriori (art.33 reg.).
Al pari di ogni imprenditore commerciale, il Geie che esercita attività commerciale è esposto fallimento in caso di
insolvenza. Il fallimento del Geie non determina però l'automatico fallimento dei suoi membri, e benché responsabili
limitatamente. Trova al riguardo applicazione più favorevole disciplina delle società cooperative: gli organi del
fallimento potranno richiedere membri del Geie il versamento delle somme necessarie per estinguere debiti, secondo la
procedura di riparto previsto dall'art. 151 l.fall.
1. Il sistema legislativo
Le società sono organizzazioni di persone e di mezzi create dall'autonomia privata per l'esercizio comune di una
attività produttiva. Sono le strutture organizzative tipiche previste dal ordinamento per l'esercizio in forma associata
dell'attività di impresa ( impresa collettiva).
Le società formano un sistema composto da una pluralità di tipi: vi sono otto tipi di società:
a) società semplice;
b) società in nome collettivo,
c) la società in accomandita semplice;
d) società per azioni;
e) società in accomandita per azioni;
f) società a responsabilità limitata;
g) società cooperativa;
h) mutue assicuratrici (società mutualistiche).
La società semplice,la società in nome collettivo e la società in accomandita semplice o sono tradizionalmente definite
come società di persone. La società per azioni, la società in accomandita per azioni e la società a responsabilità
limitata sono invece definite società di capitali.
A. LA NOZIONE DI SOCIETA’
2. Il contratto di società
"Con il contratto di società due o più persone conferiscono beni o servizi per l'esercizio in comune di una attività
economica allo scopo di dividerne gli utili" ( art. 2247 ).
Le società sono quindi enti associativi a base contrattuale che si caratterizzano per la contemporanea presenza di tre
elementi:
1) i conferimenti dei soci;
2) e l'esercizio in comune di un'attività economica (c.d. scopo-mezzo);
3) lo scopo di divisione degli utili (c.d. scopo-fine).
3. I conferimenti
I conferimenti sono le prestazioni quelle parti del contratto di società si obbliga. Essi costituiscono i contributi dei soci
alla formazione del patrimonio iniziale della società. La loro funzione è quella di dotare la società del capitale di
rischio iniziale per lo svolgimento dell'attività di impresa. Col conferimento ciascun socio destina stabilmente parte
della propria ricchezza personale all'attività comune e si espone al rischio di impresa.
Quanto all'oggetto dei conferimenti, l'art. 2247 stabilisce genericamente che essi possono essere costituiti da beni e da
servizi: denaro, beni in natura.
Può costituire oggetto di conferimento ogni entità suscettibile di valutazione economica che le parti ritengono utile o
necessaria per lo svolgimento dell'attività di impresa.
costitutivo della società. Esso rimane immutato nel corso della vita della società finquando, con modifica dell'atto
costitutivo, non se ne decide l'aumento o la riduzione. Il capitale sociale è quindi un valore storico. Assolve però due
funzioni fondamentali: una funzione vincolistica ed una funzione organizzativa.
Il capitale sociale indica l'ammontare dei conferimenti dei soci; indica quindi il valore delle attività patrimoniali che i
soci si sono impegnati a non distrarre dalla attività di impresa per tutta la durata della società.
La cifra del capitale sociale indica perciò la frazione ( quota ideale) del patrimonio netto non distribuibili e fra i soci e
perciò assoggettata ad un vincolo di stabile destinazione alla attività sociale (c.d. capitale reale).
Vi è una perdita se le attività sono inferiori alle passività più il capitale sociale.
Il capitale sociale nominale funge anche da base di misurazione di alcune fondamentali situazioni soggettive dei soci,
sia di carattere amministrativo (diritto di voto), sia di carattere patrimoniale ( diritto agli utili e alla quota di
liquidazione).
Il capitale sociale nominale è sì una cifra numerica, ma è nel contempo fondamentale termine di riferimento per un
ordinato e corretto svolgimento della vita sociale.
La società fra avvocati non è soggetta fallimento ( art. 16,3 comma), in quanto non svolge attività di impresa.
L'amministrazione della società non può essere affidata a terzi ( art. 23 ), ma il cliente ha diritto di chiedere che
l'esecuzione dell'incarico conferito alla società sia affidata ad uno o più soci da lui scelti.
La società fra professionisti va innanzitutto tenuta distinta dalla c.d. società di mezzi fra professionisti; una società cioè
costituita da professionisti per l'acquisto e la gestione in comune di beni strumentali all'esercizio individuale delle
rispettive professioni. Ad esempio, due medici o, per dividersi le spese di studi, costituiscono una società per la
gestione di ogni aspetto non strettamente professionale della loro attività. Una tale società non ha per oggetto
l'esercizio della professione medica.
Le società di mezzi fra professionisti sono perciò perfettamente lecite sono certamente titolari di impresa commerciale
in quanto svolgono attività di impresa e non attività intellettuale.
Ulteriore fenomeno, che va tenuto distinto dalle vere e proprie società fra professionisti, è quello delle società che
offrono sul mercato un servizio complesso, per la cui realizzazione sono necessarie anche prestazioni professionali dei
soci o dei terzi.
Il più classico esempio di tali società è costituito dalle società di ingegneria; società la cui attività non si esaurisce nella
semplice progettazione di opere di ingegneria, ma comprende anche ulteriori prestazioni quali la realizzazione della
vendita di impianti e attrezzature industriali.
Tali società sono lecite e valide in quanto la loro attività non coincide con quella propria di alcuna delle professioni
intellettuali.
B. I TIPI DI SOCIETà
Nozione. Classificazione
Le società formano un sistema composto da una pluralità di tipi; da una pluralità di modelli organizzativi, ciascuno dei
quali costituisce una diversa combinazione di risposte legislative ai problemi di disciplina che solleva l'esercizio in
forma societaria dell'attività di impresa.
Gli otto tipi di società previsti possono esser tuttavia aggregati in categorie omogenee sulla base di alcuni fondamentali
criteri di classificazione.
Una prima distinzione è quella basata sullo scopo istituzionale perseguibile. Sotto tale profilo le società cooperative e
le mutue assicuratrici ( società mutualistiche) si contrappongono a tutti gli altri tipi di società, definiti come società
lucrative.
Una seconda distinzione è quella basata sulla natura della attività esercitabile. La società semplice è utilizzabile solo
per l'esercizio di attività non commerciale ( art. 2249 ). Tutte le altre società lucrative possono esercitare sia attività
commerciale si attività non commerciale sono sempre soggette a iscrizione nel registro delle imprese e con effetti di
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- imprenditore è la società, non il gruppo dei soci, anche se il fallimento della società determini automaticamente
fallimento dei soci illimitatamente responsabili.
1. Le società di persone
La società semplice, la società in nome collettivo e società in accomandita semplice formano la categoria delle società
di persone.
La società semplice (artt.2251-2290) e un tipo di società che può esercitare sullo attività non commerciale e disciplina
per essa dettata trova applicazione ove non risulti che le parti hanno voluto costituire la società secondo uno degli altri
tipi.
La società in nome collettivo (artt.2291-2312) è un tipo di società che può essere utilizzato sia per l'esercizio di attività
commerciale, sia un esercizio di attività non commerciale. Essa è soggetta all'iscrizione nel registro delle imprese con
effetti di pubblicità legale. Tutti soci rispondono solidamente ed illimitatamente per le obbligazioni sociali e non è
ammesso patto contrario (art. 2291).
La società in accomandita semplice (artt.2313-2324) si caratterizza rispetto alla società in nome collettivo per la
presenza di due categorie di soci:
a) i soci accomandatari che rispondono solidamente e illimitatamente per le obbligazioni sociali;
b) i soci accomandanti che rispondono limitatamente alla quota conferita. È un tipo di società che in ogni caso deve
essere specificamente scelto delle parti.
4. I conferimenti
Con la costituzione della società il socio assuma l'obbligo di effettuare conferimenti determinati nel contratto sociale.
"Se i conferimenti non sono determinati si presume che soci siano obbligati a conferire, in parti uguali tra loro, quanto
è necessario per il conseguimento dell'oggetto sociale" (art. 2253, 2 comma).
Diversamente da quanto avviene nelle società di capitali, nessuna limitazione proposta per quanto riguarda le entità
conferibili. Nelle società di persone può essere perciò conferita ogni entità suscettibile di valutazione economica ed
utile per il conseguimento dell'oggetto sociale.
Il codice detta specifica disciplina per alcuni tipi di conferimenti diversi dal danaro: conferimento di beni in natura,
conferimento di crediti, conferimento d'opera.
Per il conferimento di beni in proprietà, è disposto che " la garanzia dovuta dal socio e il passaggio di rischi sono
regolati dalle norme sulla vendita" (art.2254, 1 comma). Il socio è perciò tenuto alla garanzia per evizione (artt.1483-
1484) e per i vizi ( art. 1465 ).
Per le cose conferite in godimento, e che si resta a carico del socio che le ha conferite ( art. 2254, 2 comma). Questi
potrà perciò essere escluso dalla società qualora la cosa perisca o il godimento diventi impossibile per causa non
imputabile agli amministratori (art. 2286, 2 comma). Il rischio del caso fortuito incombe perciò sul conferente.
La garanzia per il godimento è poi regolata con rinvio alle norme sulla locazione.
Il bene conferite in godimento resta ovviamente di proprietà del socio. Il socio che conferisce crediti risponde nei
confronti della società dell'insolvenza del debitore ceduto nei limiti del valore assegnato al suo conferimento sarà
inoltre tenuto al rimborso delle spese ed a corrispondere gli interessi. Se non versa tale valore può essere escluso da
società (art.2255).
Nelle società di persone il conferimento può infine essere costituita anche dall'obbligo del socio di prestare la propria
attività lavorativa a favore della società. Questo il c.d. socio d'opera o d'industria.
Il socio d'opera non è un lavoratore subordinato e non ha diritto al trattamento salariale e previdenziale proprio dei
lavoratori subordinati. Il compenso per il suo lavoro è rappresentato dalla partecipazione guadagni della società. Il
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I soci missini dell'amministrazione possono esser nominati direttamente nell'atto costitutivo o con atto separato.
La distinzione fra amministratori nominati nell'atto costitutivo e amministratori nominati con atto separato acquista
rilievo ai fini della revoca della facoltà di amministrare ( art. 2259 ).
La revoca dell'amministratore nominato il contratto sociale comportano modifica di quest'ultimo; deve essere perciò
decisa dagli altri soci all'unanimità, se non è convenuto diversamente ( art. 2252 ). Inoltre la revoca non ha effetto se
non ricorre una giusta causa ( art. 2259, 1 comma).
L'amministratore nominato per atto separato, invece, " è revocabile secondo le norme del mandato" ( art. 2259, 2
comma).
La revoca per giusta causa può essere disposta dal tribunale su ricorso anche un solo socio ( art. 2259, 3 comma).
Per quanto riguarda diritti e gli obblighi degli amministratori, art. 2260 stabilisce che essi " sono regolati dalle norme
sul mandato".
Numerosi sono poi doveri specifici che incombono sugli amministratori: nella società in nome collettivo e si devono
tenere le scritture contabili e redigere il bilancio di esercizio ( art. 2302); devono inoltre provvedere agli adempimenti
pubblicitari connessi all'iscrizione nel registro delle imprese (artt.2296 e 2301 ).
Essa in alcuni casi ha luogo di diritto (art. 2288 );in altre facoltativa: è cioè rimessa alla decisione degli altri soci (art.
2286 ).
È escluso di diritto:
A) il socio che sia dichiarato fallito;
B) il socio il cui creditore particolare "abbia ottenuto la liquidazione della quota".
Nel primo caso ( fallimento), l'esclusione opera dal giorno stesso della dichiarazione di fallimento.
I fatti che legittimano la società a deliberare l'esclusione di un socio sono stabiliti dall'art. 2286 :
1) gravi inadempienze degli obblighi che derivano dalla legge o dal contratto sociale;
2) l'interdizione, l'inabilitazione del socio una sua condanna ad una pena che comporti l'interdizione anche temporanea
dai pubblici uffici.
3) nei casi di sopravvenuta impossibilità di esecuzione del conferimento per causa non imputabile al socio.
Nella società in nome collettivo registrata, una volta approvato il bilancio finale di liquidazione, i guidatori devono
chiedere la cancellazione della società dal registro delle imprese ( art. 2312 ). Con la cancellazione dal registro delle
imprese la società si estingue.
di ispezione e di controllo.
Per quanto riguarda i poteri di controllo degli accomandanti, essi hanno diritto di avere comunicazione annuale del
bilancio e di controllarne l'esattezza, consultando i libri e gli altri documenti della società ( art. 2320, 3 comma).
Gli accomandanti e non sono tenuti a restituire gli utili fittizi eventualmente riscossi, purché essi siano in buona fede e
gli utili risultino da un bilancio regolarmente approvato (art. 2321 ).
A. LA COSTITUZIONE
3. Il procedimento
La costituzione della società per azioni si articola attualmente due fasi essenziali:
a) stipulazione dell'atto costitutivo;
b) iscrizione dell'atto costitutivo nel registro delle imprese. Solo con l'iscrizione nel registro delle imprese la società
per azioni acquista la personalità giuridica ( art. 2331, 1 comma) e viene ad esistenza.
La stipulazione dell'atto costitutivo può a sua volta avvenire secondo due diversi procedimenti:
A) stipulazione ( o costituzione) simultanea dove l'atto costitutivo è stipulato immediatamente da coloro che assumono
iniziativa per la costituzione della società ( soci fondatori).
B) stipulazione ( o costituzione) per pubblica sottoscrizione (artt.2333-2336),si addiviene alla stipulazione dell'atto
costitutivo al termine di una complesso procedimento che consente la raccolta fra il pubblico del capitale iniziale sulla
base di un programma predisposto da coloro che assumono l'iniziativa ( promotori).
h) i benefici eventualmente accordati ai promotori o soci fondatori. Per i promotori l'unico beneficio può essere
costituito da una partecipazione agli utili che non può superare complessivamente il 10% degli utili netti risultanti dal
bilancio non può avere una durata superiore a cinque anni ( art. 2340 ). I soci fondatori possono invece riservarsi anche
altri benefici ( art. 2341) .
i) il sistema di amministrazione adottato, il numero degli amministratori e i loro poteri, indicando quali tra essi hanno
la rappresentanza della società.
l) il numero dei componenti del collegio sindacale.
m) la nomina dei primi amministratori e sindacati e, quando previsto, del soggetto che dovrà esercitare il controllo
contabile.
n) l'importo globale, almeno approssimativo, delle spese per la costituzione poste a carico della società. Ad esempio:
spese notarili.
o) la durata della società.
L'omissione di una o più di tali indicazioni legittima il rifiuto del notaio di stipulare l'atto costitutivo.
Anche se formò oggetto di atto separato, lo statuto si considera parte integrante dell'atto costitutivo ( art. 2328, 3
comma). Ne consegue che anche lo statuto deve essere redatto per atto pubblico a pena di nullità.
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9. I patrimoni destinati
La creazione di società unipersonali consente di limitare il rischio di impresa attraverso la moltiplicazione formale dei
soggetti cui i relativi diritti e le relativee obbligazioni sono imputabili. La riforma del 2003 offre alle società per azioni
ancora nuova tecnica per limitare il rischio di impresa: quella dei patrimoni destinati ad uno specifico affare ( art. 2447
-bis-2447-decies).
Una tecnica che consente di evitare la moltiplicazione formale delle società e relativi costi; e permette di raggiungere
risultati sostanzialmente identici operando direttamente sul patrimonio dell'impresa societaria.
L'l'attuale disciplina offre due modelli di patrimoni destinati:
a) la società per azioni può costituire uno più patrimoni ciascuno dei quali destinato in via esclusiva ad uno specifico
affare, sia pure entro i limiti del 10% del proprio patrimonio netto e purché non si tratti di affari attinenti ad attività
riservate in base leggi speciali;
b) la società può inoltre stipulare con terzi un contratto di finanziamento di uno specifico affare, pattuendo che al
rimborso totale o parziale del finanziamento siano destinati i provenienti dell'affare stesso o parte di essi.
La costituzione di un patrimonio destinato avviene con apposita deliberazione adottata dal consiglio di
amministrazione della società maggioranza assoluta dei componenti. La delibera costitutiva deve contenere una serie
di dati volti a consentire l'identificazione dell'affare, dei beni ed i rapporti giuridici compresi nel patrimonio destinato.
La deliberazione deve essere verbalizzata da un notaio ed è soggetta ad iscrizione nel registro delle imprese ( art. 2447
-quater). Diventa però produttiva di effetti solo dopo che siano decorsi due mesi dall'iscrizione. Decorso tale termine si
producono gli effetti della separazione patrimoniale ( art. 2447-quinquies).
Perché la separazione patrimoniale operi è necessario che gli atti compiuti in relazione allo specifico affare è che
l'espressa menzione del vincolo di destinazione. In mancanza ne risponde la società con il suo patrimonio residuo. Il
vincolo di destinazione riguardante beni immobili o mobili registrati deve essere trascritto nei rispettivi registri.
E amministratori e redigono un rendiconto finale che deve essere depositato presso ufficio del registro delle imprese.
E il contratto di finanziamento di uno specifico affare deve indicare gli elementi essenziali dell'operazione, deve
specificare beni strumentali necessari per la realizzazione e il relativo piano finanziario indicando la parte coperta dal
finanziamento e quella a carico della società. Dovrà indicare anche le eventuali garanzie che quest'ultima offre per il
rimborso di una parte del finanziamento. È necessario tuttavia che copia del contratto sia stata iscritta nel registro delle
imprese.
C. I CONFERIMENTI
Limitazioni sono poi state introdotte anche per quanto riguarda i conferimenti dei beni in natura e dei crediti, ai quali si
applicano comunque principi già esposti per le società di persone quanto alla garanzia cui è tenuto al socio conferente
ed al passaggio dei rischi.
Il terzo comma dell'attuale art. 2342 dispone che " le azioni corrispondenti a tali conferimenti e devono essere
interamente liberate al momento della sottoscrizione ": il socio deve porre in essere tutti gli atti necessari affinché la
società acquisti la titolarità e la piena disponibilità del bene conferito, una volta che sia venuta ad esistenza con il
completamento del procedimento di costituzione.
È invece da ritenersi ammissibile il conferimento di diritti di godimento, dato che la società acquista col consenso del
conferente l'effettiva disponibilità del bene ed è in grado di trarne tutte le utilità.
Funzione primaria dei conferimenti è quella di dotare la società dei mezzi utili per lo svolgimento dell'attività
produttiva, non invece anche quella di formare un patrimonio ad credibile dei creditori (c.d. funzione di garanzia).
1. Nozione e caratteri
Le azioni sono le quote di partecipazione dei soci nella società per azioni. Sono quote di partecipazione a omogenee e
standardizzate, liberamente trasferibili e di regola rappresentate documenti che circolano secondo la disciplina dei
titoli di credito.
Nella società per azioni il capitale sociale sottoscritto è diviso in un numero predeterminato di parti di identico
ammontare.
La singola azione rappresenta l'unità minima di partecipazione al capitale sociale e e l'unità di misura dei diritti sociali.
È perciò indivisibile. Se più soggetti diventano titolari di comunicazione devono nominare rappresentante comune per
l'esercizio dei diritti verso la società ( art. 2347 ).
Uguaglianza di valore e di diritti, indivisibilità, autonomia e circolazione in forma cartolare sono i caratteri tipizzati le
azioni.
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3. La partecipazione azionaria
Ogni azione costituisce una partecipazione sociale e attribuisce al suo titolare un complesso unitario di diritti e poteri
di natura amministrativa, di natura patrimoniale, ed anche a contenuto complesso amministrativa e patrimoniale.
Un peculiare carattere delle azioni è: l'uguaglianza dei diritti.
Le azioni, infatti, " conferiscono ai loro possessori uguale diritti" ( art. 2348, 1 comma).
Si tratta di uguaglianza relativa e non assoluta e inoltre di eguaglianza oggettiva e non soggettiva.
L'uguaglianza è relativa in quanto è possibile creare " categorie di azioni fornite di diritti diversi" ( art. 2348, 2
comma). Da quella distinzione fra azioni ordinarie e azioni di categoria o speciali.
L'uguaglianza è poi oggettiva non soggettiva. Uguali sono i diritti che ogni azione attribuisce, non i diritti di cui
ciascun azionista globalmente dispone, dovendosi al riguardo del conto anche del numero delle azioni di cui ciascuno
è titolare.
Ed è proprio con riferimento a questi diritti che si coglie situazione di disuguaglianza soggettiva degli azionisti.
Diseguaglianze soggettive perfettamente legittime e giuste, perché su di esse si fonda l'ordinato funzionamento di un
organismo economico base capitalistica. In esse si esprime infatti l'essenza del principio cardine delle società di
capitali: chi ha più conferito e più rischi ha più potere e può imporre, nel rispetto della legalità, la propria volontà alla
minoranza.
Alle società che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio è inoltre consentita anche di prevedere che :
A) il diritto di voto sia limitato ad una misura massima;
B) si è introdotto il c.d. voto scalare.
Con l'attuale disciplina è caduto per le società non quotate il principio che il voto può essere escluso o limitato solo se
le relative azioni sono assistite da privilegi patrimoniali. Resta invece fermo il principio che possono essere emesse
azioni privilegiate anche senza limitazione dei diritti amministrativi (art. 2350 ).
Le azioni privilegiate sono azioni che attribuiscono ai loro titolari un diritto di preferenza nella distribuzione degli utili
e/o nel rimborso del capitale al momento dello scioglimento della società.
Col solo limite del divieto di patto leonino( art. 2265 ), la società è perciò libera di articolare come preferisce il
contenuto patrimoniale di tali azioni.
È altresì consentita l'emissione di azioni fornite diritti patrimoniali, anche quando non si danno vita a patrimoni
separati destinati solo ad uno specifico affare.
Lo statuto deve tuttavia stabilire " i criteri di individuazione dei costi e ricavi imputabili al settore, le modalità di
rendicontazione, i diritti attribuiti a tali azioni, nonché le eventuali condizioni e modalità di conversione in azioni di
altra categoria" ( art. 2350, 2 comma).
A differenza delle azioni, gli strumenti finanziari partecipativi non sono parti del capitale sociale.
Gli strumenti finanziari partecipativi non attribuiscono perciò alla qualità di azionista e presentano ampia elasticità per
quanto riguarda i diritti propri delle azioni che possono essere loro riconosciuti.
Essi possono essere forniti solo di diritti patrimoniali o dei diritti amministrativi, con esclusione però del diritto di voto
nell'assemblea generale degli azionisti.
Lo statuto disciplina " modalità condizioni di emissione, i diritti che conferiscono, le sanzioni in caso di
inadempimento e delle prestazioni e, se ammessa, la legge di circolazione".
2) le clausole di gradimento, esse possono essere loro volta distinte in due sottocategorie: a) clausole che richiedono il
possesso di determinati requisiti
da parte dell'acquirente (ad es. cittadinanza italiana);
b) clausole che subordinano il trasferimento delle azioni a
consenso di un organo sociale, quale sempre costituito dal
consiglio di amministrazione.
La validità delle clausole di gradimento del primo tipo è stata sempre e fuori contestazione.
L'attuale disciplina consente infatti l'inserimento dell'atto costitutivo di di clausole che subordina il trasferimento,
anche a causa di morte, delle azioni al mero gradimento di organi sociali.
3) le clausole di riscatto: l'introduzione di clausole statutarie che prevedono potere di riscatto delle azioni da parte della
società o dei soci al verificarsi di di determinati eventi ( art. 2437 -sexies). Ad esempio: in caso di morte dell'azionista
al fine di evitare che subentri no gli eredi, di mancata esecuzione delle prestazioni accessorie cui il socio sia obbligato.
Le clausole statutarie limitative della circolazione possono essere introdotte o rimosse nel corso della vita della società
con delibera dell'assemblea straordinaria. Se lo statuto non dispone diversamente, è riconosciuto diritto di recesso è
soci che non hanno concorso all'approvazione della delibera(art. 2437, 2 comma, lett.b).
Il regime delle azioni proprie in possesso della società ( art. 2357-ter), è disciplinato con la finalità di evitare indebiti
posizione di vantaggio degli amministratori e del gruppo di comando.
Gli atti sociali relativi alle azioni proprie sono infatti sterilizzati. Il diritto di voto l'è sospeso. Le azioni proprie sono
computate nel capitale ai fini del calcolo del quorum costitutivo e deliberativo dell'assemblea.
E amministratori non possono disporre delle azioni senza la preventiva autorizzazione dell'assemblea, la quale dovrà
stabilire anche relative modalità.
Alla società ha evitato di concedere prestiti o fornire garanzie di qualsiasi tipo a favore di soci o dei terzi per la
sottoscrizione o l'acquisto di azioni proprie ( art. 2358, 1 comma).
La società non può inoltre accettare azioni proprie in garanzia ( art. 2358, 2 co).
A. LE PARTECIPAZIONI RILEVANTI
partecipazioni rilevanti:
a) società bancarie;
b) società di intermediazione mobiliare, società di gestione del risparmio e società di investimento a capitale variabile;
c) società di assicurazione.
B. I GRUPPI DI SOCIETà
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seconde.
L'indipendenza formale comporta però che la capogruppo non può legittimamente imporre alle società figli e il
compimento di atti che contrastino con gli interessi delle stesse separatamente considerate.
L'art. 2497-ter stabilisce infatti che " le decisioni delle società soggette all'attività di direzione e coordinamento,
quando da questa influenzate, debbono essere analiticamente motivato e recare puntuale indicazione delle ragioni e
degli interessi la cui valutazione ha inciso sulla decisione".
Una specifica disciplina poi dettata per i finanziamenti concessi alle società controllate dalla capogruppo o da altri
soggetti alla stessa sottoposti ( art. 2497-quinquies), al fine di evitare che un eccessivo indebitamento danneggi gli altri
territori sociali.
Se la società finanziata fallisce entro un anno dal rimborso, la somma riscossa deve essere restituita.
La società capogruppo è tenuta a indennizzare direttamente azionisti e creditori delle società controllate per i danni
dagli stessi subiti per il fatto che la propria società si è stupidamente attenuta alle direttive di gruppo lesive del proprio
patrimonio.
Le società o gli enti che violano i principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale delle società soggette alla
loro attività di direzione e coordinamento " sono direttamente responsabili nei confronti dei soci di queste per il
pregiudizio arrecato alla redditività e al valore della partecipazione sociale, nonché nei confronti dei creditori sociali
per la lesione cagionata all'integrità del patrimonio sociale" ( art. 2497, 1 comma).
L'azione esercitata dai soci e dei creditori sociali è azione diretta e non surrogatorio di quelle che eventualmente spetta
alla società controllata, sicché il risarcimento dei danni spetta direttamente primi e non alla seconda. Poiché il danno
subito dai soci o dei creditori della società controllata è pur sempre un riflesso del danno subito da quest'ultima,
l'azione di risarcimento danni nei confronti della capogruppo è esperibile solo se essi non sono stati soddisfatti dalla
società controllata ( art. 2497, 3 comma).
Il danno va valutato considerando il risultato complessivo dell'attività di direzione e di coordinamento e quindi
vantaggi compensativi che possono derivare dall'appartenenza ad un gruppo.
Ulteriore significativa novità della riforma del 2003 e riconoscimento del diritto di recesso ai soci di una società
soggetta ad attività di direzione e di coordinamento in presenza di eventi riguardanti la società capogruppo.
Il diritto di recesso è infatti riconosciuto ai soci di una società non quotata che entra a far parte di gruppo una nasce, se
" ne deriva una alterazione delle condizioni di rischio dell'investimento e non venga promossa un'offerta pubblica di
acquisto" che consenta associo di alienare la propria partecipazione.
1. I modelli organizzativi
La società per azioni si caratterizza per la presenza di tre distinti organi:
1) l'assemblea dei soci, organo con funzioni esclusivamente deliberative le cui competenze sono per legge (artt. 2364 -
2365 ) circoscritte alle decisioni di maggior rilievo della vita sociale.
2) l'organo amministrativo, cui è devoluta la gestione dell'impresa sociale e che nello svolgimento di tale funzione ha
per legge ampi poteri decisionali. Gli amministratori hanno inoltre la rappresentanza legale della società e ad essi
spetta il compito di dare attuazione alle deliberazioni dell'assemblea;
3) l'organo di controllo interno, con funzioni di controllo sull'amministrazione della società.
Per quanto riguarda l'amministrazione e il controllo, il codice civile del 1942 prevedeva un unico sistema basato sulla
presenza di due organi:
a) l'organo amministrativo;
b) il collegio sindacale, che inizialmente svolgeva anche funzioni di controllo contabile.
La riforma del 2003 ha tuttavia affiancato al sistema tradizionale di amministrazione e di controllo, altri due sistemi
alternativi:
A) il sistema dualistico, di ispirazione tedesca. Con tale sistema amministrazione e controllo sono esercitati da un
consiglio di sorveglianza, di nomina assembleare, e da un consiglio di gestione, nominato direttamente dal consiglio di
sorveglianza.
B) il sistema monistico, di ispirazione anglosassone. Con tale sistema l'amministrazione e il controllo sono esercitate
rispettivamente dal consiglio di amministrazione, nominato dall'assemblea, ed un comitato per il controllo sulla
gestione costituito al suo interno ed i cui componenti devono essere dotati di particolari requisiti di indipendenza e
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professionalità.
2. Nozione e distinzioni
L'assemblea è l'organo composto da persone dei soci; la sua funzione è quella di formare la volontà della società nelle
materie riservate alla sua competenza da legge o dall'atto costitutivo. È un organo collegiale che decide secondo il
principio maggioritario.
A seconda dell'oggetto delle deliberazioni, l'assemblea si distingue in ordinaria e straordinaria.
In seguito alla riforma del 2003, le competenze dell'assemblea ordinaria varia a seconda del sistema di
amministrazione di controllo adottato.
Nelle società prive del consiglio di sorveglianza, l'assemblea in sede ordinaria:
1) approva il bilancio;
2) nomina e revoca gli amministratori, i sindaci e il presidente del collegio sindacale;
3) determina il compenso degli amministratori e dei sindaci;
4) delibere sulla responsabilità degli amministratori e dei sindaci;
5) delibera sugli altri oggetti attribuiti dalla legge alla competenza dell'assemblea;
6) approva l'eventuale regolamento dei lavori assembleari.
Con l'attuale disciplina sembra invece essere venuta meno la possibilità degli amministratori di sottoporre, di propria
iniziativa, all'assemblea operazioni attinenti alla gestione sociale.
Più ristrette sono poi competenza dell'assemblea ordinaria della società che optano per il sistema dualistico, dato che in
tal caso è il consiglio di sorveglianza che nomina e revoca i componenti del consiglio di gestione, promuove l'azione di
responsabilità nei loro confronti e approva il bilancio di esercizio.
L'assemblea ordinaria invece:
a) nomina e revoca i consiglieri sorveglianza;
b) determina il compenso ad essi spettante;
c) delibera sulla responsabilità dei consiglieri di sorveglianza;
d) delibera sulla distribuzione degli utili;
e) nomina il revisore.
L'assemblea in sede straordinaria a sua volta delibera:
A) sulle modifiche dello statuto;
B) sulla nomina, sulla sostituzione e sui poteri dei liquidatori;
C) su ogni altra materia espressamente attribuita dal legge alla sua competenza ( art. 2365, 1 comma).
A l'assemblea è unica e generale se la società ha emesso solo azioni ordinarie. E quando invece sono state emessi
diverse categorie di azioni, o strumenti finanziari, all'assemblea generale si affiancano l'assemblea speciale di
categoria.
3. Il procedimento assembleare
La convocazione dell'assemblea e di regola decisa dall'organo amministrativo, i quali possono disporre la stessa ogni
qual volta lo ritengano opportuno.
È tuttavia obbligatoria una serie di casi:
A) devono convocare l'assemblea ordinaria almeno una volta all'anno, entro il termine stabilito dallo statuto, e che
comunque non può essere superiore a centoventi giorni dalla chiusura dell'esercizio.
B) devono convocare senza ritardo l'assemblea quando ne sia stata fatta richiesta da tanti soci che rappresentano
almeno il 10% del capitale sociale o la minor percentuale prevista dallo statuto e nella domanda siano indicati gli
argomenti da trattare. Se gli amministratori oppure in loro vece i sindaci non provvedono, la convocazione
dell'assemblea è ordinata con decreto dal tribunale.
Tale disciplina ricalca quella del 1998 per le società quotate al fine di rafforzare la posizione degli azionisti di
minoranza attivi.
La convocazione dell'assemblea deve poi essere disposta dal collegio sindacale ogniqualvolta sia obbligatoria e gli
amministratori non vi abbiano provveduto.
L'assemblea è convocata nel comune dove ha sede la società, se lo statuto non dispone diversamente ( art. 2363).
La convocazione e mediante avviso da pubblicare nella gazzetta ufficiale della repubblica, almeno 15 giorni prima di
quello fissato per l'adunanza, può essere sostituita dalla pubblicazione almeno un quotidiano indicato dallo statuto.
Pur in assenza di convocazione, assemblea è regolarmente costituita quando rappresentato l'intero capitale sociale e
partecipa all'assemblea la maggioranza dei componenti degli organi amministrativi di controllo. Agli assenti deve
tuttavia essere data tempestiva comunicazione delle deliberazioni assunte: questa la c.d. assemblea totalitaria. Essa può
deliberare su queste argomento, ma la sua competenza è instabile e precaria. Infatti, ciascuno degli intervenuti può
opporsi alla discussione degli argomenti sui quali non si ritenga sufficientemente informato, impedendo così che si
avvia a deliberare su quel punto.
Il presidente è assistito da un segretario designato dallo stesso modo. L'assistenza del segretario non è tuttavia
necessaria quando il verbale dell'assemblea è redatto da un notaio ( art. 2371 ).
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Il presidente assicura l'assemblea si volle modo ordinato nel rispetto delle norme che regolano l'attività.
Le delibere assembleari devono costare da verbale, sottoscritto dal presidente dal segretario o dal notaio. Se si tratta di
assemblea straordinaria, il verbale deve essere redatto da un notaio ( art. 2375 ). I verbali devono essere trascritti
nell'apposito libro delle adunanze delle deliberazione dell'assemblea, tenuta a cura degli amministratori.
L'istituto della rappresentanza in assemblea consente la partecipazione indiretta dei piccoli azionisti alla vita della
società è agevole raggiungimento delle maggioranze assembleari nelle società con diffuso assenteismo dei soci. E'
però istituto che può prestarsi ad abusi: attraverso il rastrellamento delle deleghe il gruppo minoritario di comando
della società e/o gli amministratori possono rafforzare le proprie disposizioni potere a spese dei piccoli azionisti in
occasione di assemblee che si preannunciano particolarmente combattute.
proprio per evitare ciò il legislatore interviene una prima volta nel 1974, scegliendo la via di introdurre una serie di
limitazioni volte ad ostacolare la raccolta delle deleghe:
la delega deve essere conferita per iscritto e deve contenere il nome del rappresentante che può farsi sostituire solo da
altra persona indicata nella delega stessa. Le società o di enti possono delegare solo un proprio dipendente o
collaboratore. La delega è sempre revocabile.
Con la riforma del 2003 è stata invece circoscritta alle sole società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio
la regola secondo cui la rappresentanza può essere conferita solo per singole assemblee.
Con la riforma del 1998 è stato invece soppresso il divieto di rappresentanza per le banche ( introdotto nel 1974).
Con la riforma del 1974 sono stati infine introdotte limitazioni, tuttora vigenti, anche per quanto riguarda il numero dei
soci: non più di 20, o se si tratta di società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio non per i 50, 100 o 200
soci, a seconda che il capitale della società non superi 5 milioni di euro, non superi i 25 milioni o infine superi
quest'ultima cifra.
La riforma del 1998 ha introdotto per le sole società con azioni quotate gli istituti della " sollecitazione" e della "
raccolta delle deleghe": istituti per i quali non operano le limitazioni soggettive e quantitative.
La sollecitazione è la richiesta di conferimento di deleghe di voto rivolta a tutti gli azionisti da parte di uno o più
soggetti ( committente), che richiedono una lesione a specifiche proposte di voto. Il committente deve già possedere
almeno l'un per 100 delle azioni con diritto di voto da almeno sei mesi. Inoltre per effettuare la sollecitazione deve
necessariamente rivolgersi ad un intermediario professionale ( banche, imprese di investimento), che effettuerà la
sollecitazione per suo conto, mediante la fusione di un prospetto e di un modulo di delega.
Diversa dalla sollecitazione è la " raccolta" di di deleghe, che risponde allo scopo di agevolare l'esercizio indiretto del
voto da parte di piccoli azionisti già organizzati in associazione per la difesa dei comuni interessi.
La raccolta di deleghe è infatti la richiesta di conferimento di deleghe effettuata da associazione di azionisti
esclusivamente nei confronti dei propri associati.
8. I sindacati di voto
I sindacati di voto sono accordi ( patti parasociali) con i quali alcuni soci si impegnano a concordare preventivamente
il modo in cui votare in assemblea.
I sindacati di voto possono avere carattere occasionale o permanente. In questo secondo caso, possono essere a tempo
determinato o a tempo indeterminato, nonché riguardare tutte le delibere assembleari o soltanto quella di determinato
tipo.
Si può stabilire che il modo come votare sarà deciso all'unanimità o a maggioranza dei soci sindacati.
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I vantaggi dei sindacati di voto sono evidenti: essi danno un indirizzo unitario all'azione dei soci sindacati se questi
vengono costituire il gruppo di comando, il patto di sindacato consente di dare stabilità di indirizzo alla condotta della
società. L'accordo di sindacato consente una migliore difesa dei comuni interessi quando è stipulato fra soci di
minoranza.
I pericoli dei sindacati di voto sono altrettanto evidenti: i sindacati di comando cristallizzano il gruppo di controllo,
soprattutto a se stipulati a lungo termine o a tempo determinato e combinati con un sindacato di blocco delle azioni.
Con i sindacati di comando procedimento assembleare finisce con l'essere rispettato solo formalmente, dato che in
fatto e decisioni vengono prese prima e fuori dall'assemblea. Se il sindacato decide a maggioranza, anche principio
maggioritario finisce col ricevere ossequio solo formale.
Con i sindacati di voto formalmente nulla cambia del funzionamento dell'assemblea; sostanzialmente invece il
procedimento assembleare può essere più o meno gravemente alterato a seconda di come il sindacato è strutturato.
Il sindacato di voto, come patto parasociale produttivo di effetti solo fra le parti e non nei confronti la società. Perciò il
voto dell'assemblea resta valido anche se espresso in violazione degli accordi di sindacato.
Altro è profilo su cui incidono i sindacati di voto ( a maggioranza o all'unanimità): a è quello dell'esatta individuazione
dei reali centri di potere delle società che si concorrono a determinare, attraverso la concentrazione e l'indirizzo
unitario dei voti.
Nelle società non quotate non solo i sindacati di voto, ma anche gli altri patti stipulati al fine di stabilizzare gli assetti
proprietari o i governo della società (ad es. sindacali di blocco), non possono avere durata superiore a cinque anni, ma
sono rinnovabili alla scadenza. Inoltre, possono essere stipulate anche a tempo determinato, ma in tal caso ciascun
contraente può recedere con un preavviso di sei mesi(art.2341-bis).
Per la società non quotate i limiti di durata non si applicano ai patti strumentali ad accordi di collaborazione della
produzione e dello scambio di beni e servizi a quelli relativi a società interamente possedute dai partecipanti
all'accordo ( art. 2341-bis, 3 comma).
I patti parasociali sono inoltre soggetti ad un particolare regime di pubblicità.
Nelle società non quotate che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio i patti parasociali devono essere
comunicati alla società e dichiarati in apertura di assemblea. La dichiarazione deve essere trascritta nel verbale di
assemblea che deve essere depositato presso l'ufficio del registro delle imprese.
L'omessa dichiarazione è sanzionata con la sospensione del diritto di voto delle azioni cui si riferisce il patto
parasociale.
Nelle società quotate, invece, i sindacati di voto e gli altri patti parasociali previsti dall'art. 122 Tuf, devono essere
comunicati alla Consob, pubblicati per estratto sulla stampa quotidiana e depositati presso il registro delle imprese del
luogo dove la società ha sede legale entro brevi termini fissati per legge. La violazione di tali obblighi comporta la
nullità dei patti e la sospensione del diritto di voto relativo alle azioni sindacate.
Nessuna forma di pubblicità è invece prevista per i patti parasociali riguardanti società non quotate che non fanno
appello al mercato del capitale di rischio.
A. GLI AMMINISTRATORI
A) se rimane in carica più della metà degli amministratori nominati dall'assemblea, i superstiti provvedono sostituire
provvisoriamente quelli venuti meno, con delibera consiliare approvata dal collegio sindacale (c.d. cooptazione) .
B) se viene a mancare più della metà degli amministratori nominati dall'assemblea non si dà luogo alla cooptazione. I
superstiti devono convocare l'assemblea perché provveda alla sostituzione dei mancanti i nuovi amministratori così
nominati scadono con quelli in carica all'atto della nomina.
C) si è infine vengono a cessare tutti gli amministratori o l'amministratore unico, il collegio sindacale deve convocare
con urgenza l'assemblea per la ricostituzione dell'organo amministrativo.
L'attuale disciplina riconosce la validità delle clausole statutarie che prevede una cessazione di tutti gli amministratori
e la conseguente ricostruzione dell'intero collegio da parte dell'assemblea a seguito della cessazione di alcuni
amministratori ( clausole simul stabunt simul cadent).
La nomina e la cessazione della carica degli amministratori è soggetta ad iscrizione nel registro delle imprese.
4. Compenso. Divieti
Gli amministratori hanno diritto ad un compenso per la loro attività ( art. 2389 ). Questo può consistere anche meno la
partecipazione agli utili della società o dall'attribuzione del diritto di sottoscrivere presto predeterminato azione di
futura emissione (c.d. stock options).
Modalità e misura del compenso e sono determinati dall'atto costitutivo o dall'assemblea all'atto della nomina. Per gli
amministratori invece di particolari cariche, la remunerazione è invece stabilita dallo stesso consiglio
d'amministrazione. Se lo statuto lo prevede, l'assemblea può fissare un importo complessivo per la remunerazione dei
tutti gli amministratori, inclusi quelli investiti di particolare carica.
Per evitare situazioni di antagonismo con la società e di potenziale conflitto di interessi, e amministratore di società per
azioni non possono assumere la qualità di soci a responsabilità illimitata in società concorrenti, né essere
amministratori e direttori generali in società concorrenti, salva l'autorizzazione dell'assemblea ( art. 2390 ).
E l'inosservanza del divieto espone l'amministratore alla revoca dell'ufficio per giusta causa e al risarcimento degli
eventuali danni arrecati la società.
5. Il consiglio d'amministrazione
La società per azioni può avere sia l'amministratore unico, sia una pluralità di amministratori.
L'amministratore unico riunisce insegne esercita individualmente tutte le funzioni proprie della la amministrativo.
Quando invece l'amministrazione è affidata a più persone, queste costituiscono il consiglio di amministrazione, ha
retto da un presidente scelto dallo stesso consiglio fra i suoi membri, qualora non sia già stato nominato dall'assemblea
( art. 2380-bis, 5 comma). In tal caso l'attività è esercitata collegialmente. Le relative decisioni devono essere adottate
in apposite riunioni alle quali devono assistere i sindaci ( art. 2405).
L'attuale disciplina stabilisce che, se lo statuto non prevede diversamente, il consiglio di amministrazione è convocato
dal presidente dello stesso, il quale fissa anche all'ordine del giorno, ne coordina i lavori e provvede affinché tutti gli
amministratori siano adeguatamente informati sulle materie iscritte all'ordine del giorno ( art. 2381, 1 comma).
Per la validità delle deliberazioni del consiglio di amministrazione è necessaria la presenza da maggioranza degli
amministratori in carica; le deliberazioni sono approvate se riportano il voto favorevole della maggioranza assoluta dei
presenti ( voto per teste).
Non è ammesso il voto per rappresentanza.
La riforma del 2003 ha modificato la disciplina dell'invalidità della deliberazione del consiglio di amministrazione, la
cui impugnazione è passato consentita in un solo caso: delibera adottata con voto determinante di un amministratore in
conflitto di interessi ( ex art. 2391 ).
L'attuale disciplina ha optato per ampliare la categoria delle delibere consiliari annullabili, mentre non sono previste
cause di nullità delle stesse.
L'art. 2388, 4 comma, prevede che possono essere impugnate tutte le delibere del consiglio di amministrazione che
non sono prese in conformità della legge o dello statuto. L' impugnativa può essere proposta dagli amministratori
assenti o dissenzienti e dal consiglio sindacale entro 90 giorni dalla data della deliberazione.
Quando la delibera consiliare Lea direttamente un diritto soggettivo del socio questi avrà diritto di agire
giudizialmente per far annullare la delibera. L'annullamento delle delibere consiliari non pregiudica i diritti acquistati
in buona fede terzi in base ad atti compiuti in esecuzione delle stesse.
Il conflitto di interessi degli amministratori è disciplinato all'art. 2391 : l'amministratore che in una determinata
operazione ha un interesse non necessariamente in conflitto con quello da società:
a) deve darne notizia agli amministratori e al collegio sindacale precisandone " la natura, i termini, l'origine e la
portata";
b) se si tratta di amministratore delegato, deve inoltre astenersi dal compiere l'operazione investendo della stessa
l'organo collegiale competente;
c) in entrambi i casi il consiglio d'amministrazione né adeguatamente motivare le ragioni della convenienza per la
società dell'operazione.
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Se gli amministratori sono più, essi sono responsabili solidamente. Ciascuno può essere quindi costretto la società a
risarcirle l'intero danno subito.
La responsabilità degli amministratori Ittiti è comunque responsabilità per colpa e non responsabilità oggettiva. Infatti,
la responsabilità per gli atti e le omissione degli amministratori non si estende a quello tra essi che sia immune da
colpa, perché:
a) abbia fatto annotare senza ritardo il suo dissenso nel libro delle adunanze e delle deliberazioni del consiglio di
amministrazione;
b) del suo dissenso dia immediata notizia per iscritto al presidente del collegio sindacale.
L'esercizio dell'azione di responsabilità contro gli amministratori resta deliberato dall'assemblea ordinaria, anche se la
società è in liquidazione.
La deliberazione dell'azione di responsabilità comporta la revoca automatica dall'ufficio degli amministratori contro
cui è proposta solo se la delibera è approvata con voto favorevole di almeno un quinto del capitale sociale. Se non si
raggiunge tale percentuale del capitale sociale sarà invece necessario una distinta ed espressa delibera di revoca.
Nel caso la società cada in dissesto ed è dichiarata fallita o assoggettata a liquidazione coatta amministrativa o ad
amministrazione straordinaria, la legittimazione a promuovere l'azienda sociale di responsabilità compete al curatore
fallimentare, al commissario liquidatore, al commissario straordinario ( art. 2394-bis).
Una unanimità età e indiretta delle minoranze è però prevista anche quando la società è in bonis. La società infatti può
rinunziare all'esercizio dell'azione di responsabilità o pervenire ad una transazione con gli amministratori. È necessario
che non vi sia il voto contrario di una minoranza qualificata.
Una tutela più energica delle minoranze è stata introdotta dalla riforma del 1998 per le sole società con azioni quotate
(art. 129 Tuf) e poi estesa a tutte le s p a dalla riforma del 2003.
In base l'art. 2393-bis, l'azione sociale di responsabilità contro gli amministratori può essere promossa anche dagli
azionisti di minoranza.
L'azione promossa dalla minoranza è diretta a reintegrare il patrimonio sociale, non a risarcire il danno eventualmente
subito dal soggetti agenti. Perciò la società deve essere chiamata in giudizio.
B. IL COLLEGIO SINDACALE
12. Premessa
Il collegio sindacale è l'organo di controllo interno della società per azioni, con funzione di vigilanza
sull'amministrazione della società.
La disciplina del collegio sindacale ha subito profonde modifiche del 1942 ad oggi: con la riforma del 1974 è stato
introdotto per le società quotate hanno con controllo contabile esterno da parte di una società di revisione, dando però
vita ad una sovrapposizione di funzioni col collegio sindacale che si è rilevata scarsamente funzionale. Norme volte a
migliorare la professionalità e l'efficienza del collegio sindacale sono fatte contro addotte dal d. lgs. 27-1-
1992,n.88,che ha istituito un apposito registro dei revisori contabili.
La riforma del 1998 ha modificato la disciplina del collegio sindacale delle società con azioni quotate e ha affrancato
tale organo dalle funzione di controllo contabile, che perciò sono ora affidate in via esclusiva alla società di revisione.
Con una riforma del 2003 anche nelle altre società per azioni il controllo contabile stato sottratto al collegio sindacale
ed è stato attribuito ad una revisione contabile o ad una società di revisione.
I sindaci hanno il potere-dovere di procedere in qualsiasi momento e ad atti di ispezione e di controllo, nonché di
chiedere agli amministratori notizie, anche con riferimento a società controllate, sull'andamento delle operazioni
sociali o su determinati affari.
Il collegio sindacale può inoltre convocare l'assemblea " qualora nell'espletamento del suo incarico ravvisi fatti
censurabili in di rilevante gravità e vi sia urgente necessità di provvedere " ( art. 2406,2 comma).
Il collegio può inoltre promuovere il controllo giudiziario sulla gestione, se ha fondato sospetto che gli amministratori
abbiano compiuto gravi irregolarità nella gestione.
C. IL CONTROLLO CONTABILE
Non possono essere incaricati del controllo contabile, e se incaricati decadono dall'ufficio, i sindaci della società o di
società facenti parte dello stesso gruppo.
Nelle società quotate, l'incarico è conferito, previo parere del collegio sindacale, dall'assemblea in occasione
dell'approvazione del bilancio.
L'incarico di controllo o di revisione contabile ha durata di tre esercizi e nelle società quotate può essere rinnovato per
non più di due volte.
La stabilità dell'incarico e l'indipendenza della società di revisione sono poi garantite anche dalla disciplina della
revoca.
Nelle società assoggettate al controllo contabile, l'incarico può essere revocato dall'assemblea solo per giusta causa e
sentito il parere del collegio sindacale.
Le delibere di conferimento dell'incarico di revoca sono soggette ad iscrizione nel registro delle imprese.
D. I SISTEMI ALTERNATIVI
art. 2409-sexiesdecies).
Il controllo contabile e poi affidato ad un revisore contabile o ad una società di revisione.
I componenti del comitato per il controllo sulla gestione sono infatti nominati dallo stesso consiglio di
amministrazione fra i consiglieri in possesso di tali requisiti di indipendenza, nonché dei requisiti di onorabilità e
professionalità. Si chiede inoltre che essi non siano membri del comitato esecutivo e che non svolgano funzioni gestori
e neppure società controllanti o controllate. Almeno uno dei componenti deve essere scelto fra gli iscritti nel registro
dei revisori contabili.
Il consiglio di amministrazione determina anche il numero dei componenti del comitato per il controllo della gestione.
Il comitato elegge al suo interno il presidente ed opera con l'osservanza delle norme di funzionamento dettate per il
collegio sindacale.
Il punto debole di questo sistema consiste nel fatto che i controllori sono direttamente nominati e controllati, siedono
insieme a questi ultimi e votano nel consiglio di amministrazione. La funzionalità del sistema si gioca tutta sulla
effettiva " indipendenza" dei chiamati alla funzione di controllori.
E. I CONTROLLI ESTERNI
22. Il sistema
Accanto al controllo interno del collegio sindacale ed al controllo contabile affidato ad un revisore esterno
l'ordinamento prevede un articolato sistema di controlli esterni sulle società per azioni. Controlli che sono diretti a
tutelare anche interessi ulteriori e diversi rispetto a quelli tradizionali dei soci di minoranza e dei creditori sociali.
Comune a tutte le società per azioni è infatti solo il controllo esterno sulla gestione esercitato dall'autorità giudiziaria
in presenza di situazioni patologiche che ne alterano il corretto funzionamento.
Controlli esterni di diversa natura sono introdotti per la società che svolgono particolare attività dalla relativa
legislazione speciale.
24. La Consob
La Consob ( commissione nazionale per le società e la borsa) ha è un organo pubblico di vigilanza sul mercato dei
capitali; attualmente la Consob è una persona giuridica di diritto pubblico, che gode di piena autonomia dei limiti
stabiliti dalla legge. Essa ha sede in Roma ed una sede secondaria operativa a Milano.
Nata come organo di controllo della borsa e delle società che in borsa collocano i propri titoli, la Consob è
progressivamente divenuto organo di controllo dell'intero mercato mobiliare.
eventi di rilievo che riguardano la vita delle società che fanno appello al pubblico risparmio, in modo da consentire
agli investitori scelte più consapevoli.
Due sono i principi cardine dell'attuale disciplina:
a) tutte le società con azioni e obbligazioni diffuse fra il pubblico devono tempestivamente informare il pubblico,
secondo le modalità stabilite dalla Consob, di qualsiasi fatto, riguardante anche l'attività delle società controllate, la cui
conoscenza può influire sensibilmente sul prezzo degli strumenti finanziari ( art. 114 Tuf);
b) la Consob può richiedere che siano resi pubblici notizie e documenti necessari per l'informazione del pubblico e
provvedervi direttamente.
La Consob ha prescritto specifici obblighi di informazione preventiva del pubblico per una seria operazione
straordinaria: acquisto e cessione di pacchetti azionari, acquisto e vendita di azioni proprie, fusioni, scissioni.
Ha inoltre prescritto che siano messi tempestivamente a disposizione del pubblico documenti contabili periodici:
bilancio di esercizio e relazione semestrale degli amministratori.
La Consob e poi investita di ampi poteri di indagine di intervento al fine di vigilare sulla correttezza dell'informazione
fornita.
1. Il bilancio di esercizio
La società per azioni deve redigere annualmente il bilancio di esercizio.
In base alla pura disciplina, il bilancio di esercizio è il documento contabile che rappresenta la situazione patrimoniale
e finanziaria della società alla fine di ciascun esercizio, nonché il risultato economico dell'esercizio stesso ( cioè, gli
utili conseguiti o le perdite subite nell'esercizio).
Esso è costituito dallo stato patrimoniale, dal conto economico e dalla nota integrativa. Deve inoltre essere corredato
dalla relazione sulla gestione degli amministratori, nonché la relazione del collegio sindacale e delle revisore contabile.
Funzione essenziale del bilancio è quindi quella di accertare periodicamente la situazione del patrimonio ( aspetto
statico) e la redditività ( aspetto dinamico) della società.
Il bilancio di esercizio costituisce per i soci il solo strumento legale di informazione contabile sull'andamento degli
affari sociali; e costituisce per i creditori sociali il mezzo per conoscere la consistenza del patrimonio della società.
Il bilancio di esercizio delle società di capitali ha inoltre rilievo anche per l'applicazione della normativa tributaria in
quanto costituisce per il fisco il termine di riferimento per la tassazione periodica del reddito della società (Irpeg).
I principi cardine che dominano la redazione del bilancio sono quelli della chiarezza e quello della rappresentazione
veritiera e corretta. Infatti, "il bilancio deve essere redatto con chiarezza e deve rappresentare in modo veritiero e
corretto la situazione patrimoniale e finanziaria della società e il risultato economico dell'esercizio ( art. 2423, 2
comma).
Ulteriori principi sono:
A) la valutazione delle voci di bilancio deve essere fatta secondo prudenza e nella prospettiva di continuazione
dell'attività. Si deve altresì tenere conto "della funzione economica dell'elemento dell'attivo o del passivo considerato"
al fine di far prevalere quest'ultima in caso di contrasto con i criteri formali di iscrizione in bilancio (c.d. principio di
prevalenza della sostanza sulla forma).
B) nella redazione del bilancio si deve tener conto delle entrate e delle uscite di competenza dell'esercizio
indipendentemente dalla data dell'incasso del pagamento. Il bilancio di esercizio è cioè un bilancio di competenza e
non di cassa.
C) i criteri di valutazione non possono essere modificati da un esercizio all'altro.
del patrimonio netto della società. Lo stato patrimoniale deve essere redatto nella forma a colonne ( art. 2424 ).
Le voci dell'attivo sono aggregate in quattro grandi categorie:
A) crediti verso soci per versamenti ancora dovuti, con separata indicazione della parte già chiamata.
B) immobilizzazioni, che comprendono gli elementi patrimoniali destinati ad essere utilizzati durevolmente dalla
società e che imballa l'attuale disciplina devono contenere sarà l'indicazione di quelle concesse in locazione
finanziaria.
B-I) immobilizzazioni immateriali ( articolate in sette voci), quali i costi di impianto e di ampliamento (B-I-1), i diritti
di brevetto industriale (B-I-3) e l'avviamento (B-I-5) .
B-II) immobilizzazioni materiali ( articolate in cinque voci) quali i terreni e i fabbricati (B-II-1), le attrezzature
industriali e commerciali (B-II-3).
B-III) immobilizzazioni finanziarie, che comprendono partecipazioni azionarie e altri titoli e le azioni proprie.
C) attivo circolante, a sua volta distinto in:
C-II) rimanenze ( articolate in cinque voci), quali le rimanenze di materie prime, sussidiarie e di consumo (C-I-1), di
prodotti in corso di lavorazione (C-I-2) e di prodotti finiti e merci (C-I-4 ter).
C-III) attività finanziarie che non costituiscono immobilizzazioni, fra le quali vanno inserite le partecipazioni, le azioni
proprie e gli altri titoli di cui si prevede l'alienazione in tempi brevi.
C-IV) disponibilità liquide ( distinte in tre voci), quali i depositi bancari e il denaro in cassa.
D) ratei e risconti ( attivi), con separata indicazione del disaggio su prestiti. I ratei attivi sono provenienti di
competenza dell'esercizio esigibili in esercizi successivi. I risconti attivi sono invece i costi sostenuti nell'esercizio, ma
di competenza di esercizi successivi.
Passando al passivo dello stato patrimoniale:
A) patrimonio netto, composto dal capitale sociale nominale (A-I) e e dei diversi tipi di riserve, distinte a seconda
della fonte.
B) fondi per rischi ed oneri. Si tratta di accantonamenti destinati a coprire perdite o debiti certi e probabili.
C) trattamento di fine rapporto di lavoro subordinato. L'importo del relativo fondo va calcolato in base agli anni di
servizio maturati ( art. 2120 ) .
D) debiti, distinti oggi ben 14 voci per consentire una dettagliata informazione quantitativa e qualitativa
sull'inadempimento della società.
E) ratei e risconti ( passivi), con separata indicazione dell'aggio sui prestiti. I ratei passivi sono costi di competenza
dell'esercizio che saranno effettivamente sopportati negli esercizi successivi. I risconti passivi sono invece provenienti
percepiti nell'esercizio, ma di competenza di esercizi successivi.
I conti d'ordine: la loro funzione è quella di informare sull'esistenza di rischi ed impegni futuri, che non incidono
attualmente sulla consistenza del patrimonio sociale.
Mentre lo stato patrimoniale rappresenta la situazione patrimoniale e finanziaria della società al termine dell'esercizio,
il conto economico espone il risultato economico dell'esercizio attraverso la rappresentazione dei costi e degli oneri
sostenuti, nonché dei ricavi e degli altri provenienti conseguiti nell'esercizio.
Il conto economico deve essere redatto in forma espositiva scalare ( art. 2425), con esposizione cioè ed unica sequenza
prefissata dei componenti positivi e negativi di reddito.
Il conto economico è articolato in cinque sezioni scalari:
nella prima, valore della produzione, vanno indicati e sommati i ricavi di competenza dell'esercizio dell'attività
produttiva tipica e le variazioni delle relative rimanenze di magazzino. Dal totale così ottenuto si sottraggono i costi
della produzione, fra cui sono compresi gli ammortamenti, le svalutazioni e gli accantonamenti.
Nella terza sezione vanno iscritti assommati algebricamente i provenienti e oneri finanziari.
Nella quarta sezione vanno iscritte sommate algebricamente le rettifiche di valore di attività finanziarie.
Nella quinta ed ultima sezione manoscritti e sommati algebricamente i provvedimenti ed oneri straordinari.
La somma algebrica dei diversi dotali parziali così ottenuti costituisce il risultato globale di esercizio. Si tiene così
l'utile alla perdita di esercizio che va riportato nello stato patrimoniale.
Oltre lo stato patrimoniale e il conto economico, gli amministratori devono redigere due ulteriori documenti:
1) la nota integrativa ( art. 2427), che costituisce parte integrante del bilancio. Essa illustra specifica le voci dello stato
patrimoniale e del conto economico; fornisce una serie di informazioni integrative e sulla situazione patrimoniale e
finanziaria, sul risultato economico di esercizio, sulle azioni e sugli strumenti finanziari emessi dalla società e sulle
operazioni di locazione finanziaria. Nella nota integrativa vanno elencate le partecipazioni in società controllate e
collegate.
2) la relazione sulla gestione ( art. 2428 ), è un allegato esterno al bilancio; essa deve illustrare la situazione della
società e l'andamento della gestione "nel suo complesso e nei vari settori in cui essa ha operato".
3. I criteri di valutazione
La redazione del bilancio di esercizio comporta per molti cespiti patrimoniali il compimento di una serie di stima da
parte degli amministratori, volte a determinarne il valore da iscrivere in bilancio, sia perché i valori neri in assoluto
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spesso non esistono, perché il valore di molti cespiti varie nel momento in relazione a molteplici fattori.
I legislatore per un verso fissa principi generali da osservare nella valutazione: quella della prudenza e quello della
continuità dei criteri di valutazione. Per altro verso determina dettagliatamente ( art. 2426 ) i criteri cui gli
amministratori devono attenersi nelle valutazioni dei diversi cespiti.
Le immobilizzazioni di ogni tipo sono iscritte in bilancio al costo storico: vale a dire al costo di acquisto o di
produzione nel quale vanno computati anche i costi accessori.
Il valore delle immobilizzazioni materiali e immateriali, la cui utilizzazione è limitata nel tempo, deve essere inoltre
sistematicamente ammortizzato in ogni esercizio in relazione alla residua possibilità di utilizzazione del bene.
Se il costo storico è criterio base di valutazione delle immobilizzazioni, a regole particolari sono tuttavia dettate per
alcune di esse.
a) le immobilizzazioni finanziarie costituite partecipazioni in imprese controllate e collegate, anziché al costo, possono
essere valutate col metodo del patrimonio netto: cioè iscrivendo in bilancio un importo pari alla corrispondente quota,
opportunamente rettificata, del patrimonio netto della società partecipata risultante dall'ultimo bilancio della stessa (
art. 2426, n. 4).
b) i costi di impianto e di ampliamento, di ricerca, di sviluppo e di pubblicità possono essere iscritti nell'attivo, solo se
hanno un utilità pluriennale.
c) l'avviamento può essere iscritto nell'attivo solo se acquistato a titolo oneroso e nei limiti del costo per esso
sostenuto.
I crediti devono essere sempre valutati secondo il valore di prudente realizzato.
I cespiti dell'attivo circolante e diversi dei crediti devono essere iscritti al costo di acquisto o di produzione ovvero, se
minori, al valore realizzato desumibile dall'andamento del mercato.
L'attuale disciplina stabilisce anche i criteri di iscrizione in bilancio delle attività e passività. Al riguardo sono dettati
criteri diversi a seconda che si tratti di attività e passività non costituenti immobilizzazioni ovvero di attività che
costituiscono immobilizzazioni.
Le prime vanno iscritte al tasso di cambio a pronti alla data di chiusura dell'esercizio e la differenza rispetto al cambio
del giorno di compimento dell'operazione darà luogo alla formazione di utili o perdite su cambi da imputare al conto
economico.
Le immobilizzazioni in valuta devono invece essere iscritte al tasso di cambio del momento del loro acquisto ( cambio
storico) o a quello inferiore alla chiusura dell'esercizio se la riduzione è giudicata durevole.
I criteri di valutazione fin qui esposti sono costantemente ispirati dal principio di prudenza e mirano ad evitare che gli
amministratori sopravvalutino i relativi cespiti patrimoniali.
La rivalutazione monetaria è possibile solo in presenza di leggi speciali, periodicamente emanate, che ne fissano
criteri e modalità.
capitale sociale; per evitare cioè che eventuali perdite degli esercizi futuri colpisca direttamente il capitale sociale
riducendola. Essa si risolve in una forma di autofinanziamento obbligatorio della società.
Funzione caratteri non diversi da riserva legale presenta la riserva statutaria.
La differenza consiste nel fatto che la sua costituzione è imposto dallo statuto, che stabilisce anche la quota parte
dell'assemblea ordinaria.
Sono infine riserve facoltative, quelle discrezionalmente disposta dall'assemblea ordinaria che approva il bilancio.
Gli utili di cui l'assemblea che approva il bilancio può disporre a favore dei soci sono costituiti:
a) dagli utili distribuibili di esercizio;
b) dagli utili accertati e non distribuiti negli esercizi precedenti.
Diversamente da quanto visto per le società di persone, nella società per azione l' approvazione del bilancio di
esercizio non determina di per sé l'insorgere di un diritto individuale degli azionisti all'immediata assegnazione della
propria parte di utili.
Gli azionisti non sono tuttavia obbligati a restituire dividendi riscossi per utili non realmente esistenti quando:
A) erano in buona fede al momento della riscossione;
B) i dividendi sono stati distribuiti in base ad un bilancio regolarmente approvato;
C) dal bilancio risultano utili netti corrispondenti.
Non sono esposti a ripetizione gli azionisti che senza colpa ignoravano il carattere fittizio degli utili assegnati e
riscossi.
Gli acconti dividendo non sono ripetibili se i soci li hanno riscossi in buona fede, anche se sia successivamente
accertata l'esistenza degli utili di periodo risultanti dal prospetto.
1. Nozione. Procedimento
Costituisce modificazione dello statuto di una società per azioni ogni mutamento del contenuto oggettivo del contratto
sociale e; mutamento che può consistere sia nell'inserimento di nuove clausole, sia nella modificazione o soppressione
di clausole preesistenti.
Le modificazioni dello statuto rientrano nella competenza dell'assemblea dei soci in sede straordinaria ( art. 2365 ). La
delibera è perciò adottata con le maggioranze previste in via generale per l'assemblea straordinaria o nelle sue società
non quotate, con quelle più elevate stabilite per talune modifiche di particolare rilievo: cambiamento dell'oggetto
sociale, trasformazione, scioglimento anticipato, emissione di azioni privilegiate.
2. Il diritto di recesso
L'applicazione del principio maggioritario anche per la modificazione dello statuto fa si che nella società per azioni la
minoranza non può impedire modifiche dell'assetto societario.
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In presenza di delibere modificative di particolare gravità, la minoranza è inoltre direttamente tutelata dalla previsione
di maggioranze più elevate e dal riconoscimento del diritto di recesso dalla società ( art. 2437 ss. c.c.).
Diritto quest'ultimo la cui disciplina è stata profondamente modificata con la riforma del 2003: a sono stati fatti
vistosamente ampliati casi in cui il diritto di recesso è concesso.
Mentre la previgente disciplina prevedeva tre sole clausole di recesso (cambiamento dell'oggetto sociale,
trasformazione e trasferimento della sede sociale all'estero), l'attuale disciplina amplia notevolmente le stesse
(art.2437), che possono essere oggi distinta in causa di recesso inderogabili, derogabili dallo statuto e cause statutarie.
A queste vanno poi aggiunte specifiche cause di recesso previste per le società che fanno parte di un gruppo (le società
non quotate).
Il diritto di recesso può essere esercitato dai soci che non hanno concorso alle delibere riguardanti: la modifica
dell'oggetto sociale, la trasformazione della società, la revoca dello stato di liquidazione, la modificazione dello statuto
concernenti il diritto di voto o di partecipazione ( diritti patrimoniali).
In tutti questi casi il diritto di recesso non può essere soppresso dallo statuto.
Un'ultima causa di recesso riguarda le società a tempo indeterminato che non sono quotate in un mercato
regolamentato. Per evitare che i soci restino prigionieri della società, in tal caso tutti soci possono recedere liberamente
con un preavviso di centottanta giorni, allungabile dallo statuto fino ad un anno ( art. 2437, 3 comma).
Il diritto di recesso deve essere esercitata mediante comunicazione con lettera raccomandata alla società entro breve
termine:15 giorni dall'iscrizione nel registro delle imprese della delibera che lo legittima; termine portata 30 giorni
dalla conoscenza da parte del socio, se il fatto che legittima il recesso non è una delibera ( art. 2437-bis, 1comma).
Le azioni per le quali è esercitato il diritto di recesso non possono essere cedute e devono essere depositate presso la
sede della società.
L'attuale disciplina modifica radicalmente il criterio di determinazione del valore delle azioni da rimborsare. È infatti
abbandonata per le società non quotate la prudenziale determinazione in proporzione del patrimonio sociale risultante
dal bilancio di quest'ultimo esercizio.
Nelle società non quotate il valore delle azioni da rimborsare è determinato dagli amministratori.
I soci hanno diritto di conoscere la determinazione del valore di rimborso nei 15 giorni precedenti la data fissata per
l'assemblea.
In caso di contestazione il valore di liquidazione è determinato entro 90 giorni dall'esercizio del recesso.
Nelle società con azioni quotate il valore di liquidazione delle stesse è invece determinato facendo esclusivo
riferimento alla media aritmetica dei prezzi di chiusura nei sei mesi che precedono la convocazione dell'assemblea.
L'l'attuale disciplina detto l'articolata disciplina del procedimento di liquidazione delle azioni del socio recedente ( art.
2437-quater), al fine di evitare che l'ampliamento delle cause di recesso e la più equa determinazione del valore di
rimborso compromettano l'integrità del capitale sociale e la tutela dei creditori sociali.
Le azioni del socio che precede devono essere innanzitutto offerte in opzione agli altri soci in proporzione al numero
delle azioni possedute.
In caso di mancato collocamento presso i soci o presso terzi, le azioni vengono rimborsate mediante acquisto da parte
della società.
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nominale. La riduzione del capitale sociale per perdite consiste nell'adeguare la cifra del capitale sociale nominale
all'attuale minor valore del capitale reale. E' quindi una riduzione puramente nominale.
La società non è obbligata ridurre il capitale sociale fino a quando la perdita dello stesso non sia superiore ad un terzo.
Anche se non obbligata, la società può tuttavia ugualmente ridurre il capitale per perdite per poter distribuire gli utili
successivamente conseguiti; distribuzione altrimenti vietata fin quando le perdite non siano state colmate ( art. 2433, 3
comma).
La riduzione facoltativa per perdite segue la disciplina generale della modificazione dell'atto costitutivo. Se la società
ha emesso obbligazioni, tale riduzione può essere disposta solo rispettando il limite legale all'emissione di obbligazioni
( art. 2413, 1 comma).
La riduzione del capitale sociale diventa invece obbligatoria quando il capitale diminuito di oltre un terzo in
conseguenza di perdite.
Se minimo legale non è stato intaccato ( art. 2446 ), gli amministratori o nel caso di loro inerzia il collegio sindacale
devono convocare senza indugio l'assemblea straordinaria sottoporle una situazione patrimoniale aggiornata della
società. La situazione patrimoniale e le osservazioni devono restare depositate nella sede della società durante gli otto
giorni che precedono l'assemblea.
L'assemblea così convocata prende gli opportuni provvedimenti.
Non è quindi tenuto a decidere l'immediata riduzione del capitale sociale e può anche limitarsi ad un semplice rinvio a
nuovo delle perdite.
Se le azioni emesse dalla società sono senza valore nominale, lo statuto può prevedere che la riduzione sia deliberata
dal consiglio di amministrazione e art. ( 2446, 3 comma) .
1. Nozione e tipologia
La società per azioni può emettere obbligazioni; tipico e tradizionale strumento per la raccolta di capitale di prestito fra
il pubblico.
Le obbligazioni sono titoli di credito che rappresentano frazioni di uguale valore nominale e con uguali diritti di
un'unitaria operazione di finanziamento a titolo di mutuo.
Mentre l'azione attribuisce la qualità di socio n'e di compartecipe ai risultati dell'attività di impresa; l'obbligazione
attribuisce invece la qualità di creditore della società. L'l'obbligazionista, diversamente dall'azionista, ha perciò diritto
ad una remunerazione periodica fissa ( interessi); ha inoltre diritto al rimborso del valore nominale del capitale prestato
alla scadenza pattuita.
L'azionista, per contro, ha diritto al rimborso del suo apporto forense dei liquidazione della società. La quota di
liquidazione dell'azionista può essere uguale, superiore o inferiore al valore nominale del conferimento eseguito.
Fra i tipi speciali di obbligazioni possono essere ricordate:
a) le obbligazioni partecipanti, in in cui la remunerazione periodica del capitale è commisurata agli utili di bilancio
della società emittente;
b) le obbligazioni indicizzate (o strutturate), la cui emissione da parte della Spa è espressamente consentita dalla
riforma del 2003 ( art. 2411 ). Tali obbligazioni mirano a neutralizzare gli effetti della svalutazione monetaria e ad
adeguare il rendimento dei titoli all'andamento del mercato finanziario.
c) le obbligazioni convertibili in azioni, che attribuiscono all'obbligazionista la facoltà di trasformare il proprio credito
in una partecipazione azionaria della società emittente e o di altra società alla prima collegata;
d) le obbligazioni con warrant ( o con diritto di opzione su azioni), che attribuiscono all'obbligazionista il diritto di
sottoscrivere o acquistare azioni della società emittente o di altra società.
e) le obbligazioni subordinate, nelle quali il diritto degli obbligazionisti al pagamento degli interessi e alle rimborso
del capitale è subordinato all'integrale soddisfacimento degli altri creditori.
b) le obbligazioni sono garantiti da ipoteca di primo grado su immobili di proprietà della società, sino a due terzi del
valore di questi.
c) ricorrono particolari ragioni che interessano l'economia nazionale della società è autorizzata con provvedimento
dell'autorità governativa a superare il limite.
Per le società con azioni negoziate in mercati regolamentati ogni limite è stato soppresso dalla riforma del 2003; per le
altre società, la legge si preoccupa di garantire che il rapporto fra capitale più riserve ed obbligazioni, fissato dall'art.
2412, permanga per tutta la durata del prestito obbligazionario ( art. 2413 ).
La società che ha emesso obbligazioni non può infatti ridurre volontariamente il capitale sociale o distribuire riserve se
il limite del primo comma dell'art. 2412 non risulta più rispettato per le obbligazioni che restano in circolazione.
3. Il procedimento di emissione
Con l'attuale disciplina l'emissione di obbligazioni cessa di essere materia di competenza dell'assemblea straordinaria;
infatti, l'emissione di obbligazioni è deliberata dagli amministratori ( art. 2410 ). La delibera di emissione deve tuttavia
risultare dal verbale redatto da un notaio, è soggetta a controllo di legalità; essa produce effetti può essere eseguita solo
dopo l'iscrizione (art.2410, 2 comma).
1. Le cause di scioglimento
Lo scioglimento della società per azioni è disciplinato agli artt. 2484-2496 c.c.
La società per azioni si scioglie ed entra in stato di liquidazione col verificarsi di una delle seguenti cause ( art. 2484 ):
1) il decorso del termine di durata fissato nell'atto costitutivo;
2) il conseguimento dell'oggetto sociale una sopravvenuta impossibilità di conseguirlo, sempre che quest'ultima abbia
carattere assoluto e definitivo. Tale causa e di scioglimento non opera se l'assemblea delibera le opportune modifiche
statutarie.
3) l'impossibilità di funzionamento o la continuata inattività dell'assemblea;
4) la riduzione del capitale ( per perdite) al di sotto del minimo legale, salvo che l'assemblea deliberi la riduzione e il
contemporaneo aumento del capitale ad una cifra superiore al minimo legale, oppure la trasformazione della società.
5) la delibera dell'assemblea straordinaria di scioglimento della società in seguito al recesso di uno o più soci ( art.
2437 ), ovvero all'impossibilità di provvedere al rimborso delle relative azioni;
6) la deliberazione dell'assemblea ( straordinaria) di scioglimento anticipato, per la quale nelle società che non fanno
appello al mercato del capitale di rischio è richiesta la maggioranza forzata di più di un terzo del capitale sociale anche
in seconda convocazione ( art. 2369, 5 comma);
7) le altre cause previste dall'atto costitutivo o dallo statuto per le quali lo statuto deve determinare la competenza a
decidere o accettarne e ad effettuare prescritti adempimenti pubblicitari.
8) la sentenza che dichiara nullità della società.
La società operazione si scioglie per le altre cause previste dalla legge, quali la dichiarazione di fallimento o il
provvedimento dell'autorità governativa.
soci beni della società finquando non siano pagati tutti i creditori noti.
I minatori devono redigere ogni anno il bilancio sottoporlo all'approvazione dell'assemblea. Completata la liquidazione
del patrimonio sociale con la conversione in danaro dell'attivo, i liquidatori devono redigere il bilancio finale di
liquidazione ( art. 2492 ). Il bilancio finale liquidazione deve essere approvato dai singoli soci e non dalla assemblea; e
approvato il bilancio finale di liquidazione, i liquidatori devono chiedere la cancellazione della società dal registro
delle imprese.
1. Caratteri distintivi
La società in accomandita per azioni (artt. 2452-2461 ) è un tipo di società che si caratterizza per la presenza di due
categorie di soci:
a) a i soci accomandatari, che rispondono solidalmente e illimitatamente per le obbligazioni sociali sono per legge
amministratori della società;
b) i soci accomandanti, che sono obbligati verso la società nei limiti della quota di capitale sottoscritto.
Questo tipo di società si caratterizza per il fatto che le quote di partecipazione dei soci sono rappresentate da azioni.
Nella società in accomandita per azioni e vi è un nesso indissolubile fra qualità di accomandatario, posizione di
amministratore e responsabilità per l'obbligazioni sociali. Non si può essere soci accomandatari se non si è
amministratori e si cessa di essere accomandatari e responsabili se si cessa di essere amministratori. Infatti, nel
accomandita per azioni:
A) i soci indicati nell'atto costitutivo e come accomandatari sono tutti di diritto amministratori della società (art. 2455 )
.
B) il socio accomandatario che cessa dall'ufficio di amministratore non risponde per l'obbligazioni della società sorte
posteriormente all'iscrizione nel registro delle imprese della cessazione dall'ufficio ( art. 2461 ).
C) il nuovo amministratore assume la qualità di socio accomandatario dal momento dell'accettazione della nomina (art.
2457).
Nel accomandita per azioni, diversamente da quanto avviene nell'accomandita semplice, vi è quindi piena coincidenza
fra accomandatari e amministratori e l'accomandatario-amministratore risponde illimitatamente per le sole
obbligazioni sorte nel periodo in cui ha rivestito la carica di amministratore.
2. La disciplina
L' atto costitutivo deve indicare quali sono i soci accomandatari.
La denominazione sociale deve essere costituita dal nome di almeno uno dei soci accomandatari. Questi ultimi
rispondono illimitatamente e solidalmente verso i terzi per l'obbligazioni sociali.
Norme particolari valgono per l'adozione di talune delibere assembleari:
a) gli accomandatari non hanno diritto di voto nelle deliberazioni di nomina e revoca dei sindaci;
b) le modificazioni dell'atto costitutivo non solo devono essere deliberate dall'assemblea straordinaria con le consuete
maggioranze, ma devono inoltre essere approvate da tutti soci accomandatari ( art. 2460 ).
I soci accomandatari sono di diritto amministratori ed il loro ufficio ha carattere permanente;
Gli accomandatari amministratori non sono tuttavia inamovibili. Essi possono essere revocati anche se non ricorre
giusta causa; a revoca deve essere però deliberata con le maggioranze prescritte per le deliberazioni dell'assemblea
straordinaria ( art. 2456 ).
Per il collegio sindacale l'unica deviazione della disciplina della società per azioni consiste nel divieto per gli
accomandatari di votare della liberazione riguardanti la nomina e la revoca dei sindaci ( art. 2459 ).
Per la società in accomandita per azioni è prevista una causa di scioglimento atipiche adulte rispetto a quelle dettate
per la società per azioni. La società si scioglie in caso di cessazione dalla carica di tutti gli amministratori, se nel
termine di sei mesi non si è provveduto alla loro sostituzione ed i sostituti non hanno accettato la carica. Per questo
atto periodo il collegio sindacale nomina un amministratore provvisorio, i cui poteri sono circoscritti agli atti di
ordinaria amministrazione. È quindi causa di scioglimento dell'accomandita per azioni di venir meno di tutti gli
accomandatari e la conseguente impossibilità di funzionamento dell'organo amministrativo protratta per sei mesi.
1. Caratteri distintivi
La società a responsabilità limitata ( artt. 2462-2483 ) è una società di capitali nella quale:
a) per l'obbligazioni sociali risponde soltanto la società col suo patrimonio (art. 2462, 1 comma);
b) le partecipazioni dei soci non possono essere rappresentate da azioni e non posso inoltre costituire oggetto di
sollecitazione all'investimento ( art. 2468, 1 comma).
Con la riforma del 2003 è sostanzialmente caduto il divieto per le società a responsabilità limitata di emettere
obbligazioni e quindi di emettere titoli di credito di massa anche per la raccolta di capitale di credito. L'attuale
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disciplina consente infatti alle s r l di emettere titoli di credito, ma vieta la collocazione diretta degli stessi presso il
pubblico dei dei risparmiatori.
Nella serra l a g consentito adottare statutariamente anche soluzioni organizzative proprie delle società di persone.
L'obbligo di fondo è quello di accentuare il distacco della s r l dalla Spa e di farne un modello societario
particolarmente elastico, che consenta di valorizzare profili di carattere personale presenti soprattutto nelle piccole e
medie imprese.
4. Le quote sociali
Nella società per azioni il capitale sociale nominale è diviso in parti omogenee e standardizzate che prescindono dalle
persone dei soci e dal loro numero. Nella società a responsabilità limitata invece il capitale è diverso secondo criterio
personale, dato che in tale società le quote di partecipazione dei soci non possono essere rappresentate da azioni.
Il capitale della società responsabilità limitata e perciò diviso in parti in base al numero dei soci: il numero iniziale
delle quote corrispondente al numero dei soci che partecipano alla costituzione della società e ciascun socio diventa
titolare di un'unica quota di partecipazione.
Mentre le azioni sono necessariamente di egual valore, le quote possono essere di diverso ammontare e lo sono
inizialmente in sedi verso all'ammontare del capitale sottoscritto da ciascun socio. Mentre le azioni attribuiscono ai
diritti, le quote possono essere anche sotto tale profilo le una diversa dalle altre.
Infatti la regola base è che i diritti sociali spettano i soci in misura proporzionale alla partecipazione da ciascuno
posseduta e che le partecipazioni dei soci sono determinate in misura proporzionale al conferimento ( art. 2468, 2
comma).
Ulteriore differenza delle quote rispetto alle azioni, è che le prime non possono essere rappresentate da titoli di credito
né possono costituire oggetto di sollecitazione all'investimento.
Il recesso è riconosciuto per legge in una serie di casi:
a) se la società è a tempo indeterminato ogni socio può recedere con un preavviso di almeno sei mesi;
b) se la società è a tempo determinato possono recedere i soci che non hanno consentito al cambiamento dell'oggetto
sociale o del tipo di società, alla sua fusione o scissione e. Il diritto di recesso riconosciuta socio contrario all'aumento
del capitale sociale con esclusione del diritto di opzione ( art. 2481-bis).
entro 30 giorni deve depositarla per l'iscrizione nel registro delle imprese nella cui circoscrizione è stabilita la sede
della società. Il trasferimento deve essere annotato nel libro dei soci. Con la successiva iscrizione nel libro dei soci il
trasferimento diventa efficace nei confronti della società.
1. Il sistema legislativo
In base all'attuale disciplina le società cooperative sono società a capitale variabile che si caratterizzano per lo
specifico scopo perseguito nello svolgimento dell'attività di impresa: lo scopo mutualistico ( art. 2511 ).
Dispone l'art. 45, 1 comma, della costituzione che " la repubblica riconosce la funzione sociale della cooperazione a
carattere di mutualità e senza fini di speculazione privata. La legge ne promuove e favorisce l'incremento con i mezzi
più idonei e ne assicura, con gli opportuni controlli, il carattere e le finalità".
La disciplina generale delle società cooperative dettate dal codice civile del 1942 era infatti integrata completata in più
punti dalla c.d. legge Basevi.
Numerose erano e restano poi le leggi speciali volte ad incentivare particolari manifestazioni del fenomeno
cooperativo: alcune delineano un particolare statuto per le cooperative che operano in determinati settori produttivi, e
questo, ad esempio, il caso delle cooperative di credito articolate delle due grandi categorie delle banche di credito
cooperativo e delle banche popolari.
Altre leggi speciali fissano particolari requisiti e riconoscono particolari agevolazioni creditizie e tributarie per le
cooperative che perseguono specifici fini sociali.
La riforma delle cooperative del 2003 introduce la distinzione fra " società cooperative a mutualità prevalente"e altre
società cooperative dando così luogo ad una bipartizione delle società cooperative.
Le società cooperative si distinguono dagli altri tipi società per lo scopo economico perseguito: identico allo scopo-
mezzo delle società cooperative e delle società lucrative: esercizio in comune di una determinata attività economica.
Diverso è invece lo scopo-fine: a nelle società lucrative, la produzione di utili ( lucro oggettivo)da distribuire fra i soci
(lucro soggettivo); nelle società cooperative, lo scopo mutualistico.
Lo scopo prevalente dell'attività di impresa delle società cooperative consiste " nel fornire beni o servizi o occasioni di
lavoro direttamente a membri dell'organizzazione a condizioni più vantaggiose di quelle che otterrebbero sul mercato".
Nelle cooperative di consumo vi è una tendenziale è coincidenza fra i soci e soggetti che usufruiscono dei beni o
servizi prodotti dall'impresa sociale. Nelle cooperative di produzione e di lavoro, invece, i fattori produttivi necessari
per l'attività di impresa sono tendenzialmente forniti dagli stessi soci. Si pensi alle cooperative di trasformazione di
vendita dei prodotti agricoli.
L'attività di impresa delle società cooperative si caratterizza per la cosiddetta " gestione di servizio" a favore dei soci.
Anche soci di una cooperativa mirano a realizzare un risultato economico ed un proprio vantaggio patrimoniale,
attraverso lo svolgimento di attività di impresa.
5. I caratteri strutturali
Non poche sono le novità introdotte col codice del 1942 per orientare l'attività sociale verso il perseguimento dello
scopo mutualistico e per impedire che la stessa sia infatti indirizzata verso finalità prevalentemente educative e
speculative.
a) è previsto un numero minimo di soci per la costituzione la sopravvivenza della società. Nel contempo si ritiene che
soci cooperatori siano in possesso di specifici requisiti soggettivi.
b) sono fissati limiti massimi alla quota di partecipazione di ciascun socio e alla percentuale di utili agli stessi
distribuibili.
c) le variazioni del numero delle persone dei soci e le conseguenti variazioni del capitale sociale e non comportano
modificazioni dell'atto costitutivo.
d) ogni socio cooperatore persona fisica a in assemblea un solo voto, qualunque sia il valore della sua quota o il
numero delle sue azioni. È così capovolta la regola di funzionamento propri delle società di capitali ( numero di voti
proporzionato al numero delle azioni) ed è introdotto il principio "una testa-un voto". Principio che sottolinea il rilievo
della persona dei soci anche nel funzionamento della società e nell'indirizzo dell'attività comune.
e) le società cooperative sono sottoposte a vigilanza dell'autorità governativa al fine di assicurarne il regolare
funzionamento amministrativo e contabile.
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8. Le quote. Le azioni
Nelle cooperative la partecipazione sociale può essere rappresentata da quote o da azioni, secondo quanto stabilito
dall'atto costitutivo.
Nessun socio persona fisica può avere una quota superiore a 100 mila euro; nelle cooperative con più di 500 soci l'atto
costitutivo può tuttavia elevare tale limite fino al 2% del capitale sociale ( art. 2525, 3 comma).
Le quote elezioni dei soci cooperatori non possono essere cedute, con effetto verso la società, senza l'autorizzazione
degli amministratori, il cui provvedimento deve essere comunicata associo entro 60 giorni dalla richiesta. Il silenzio
vale assenso.
Il provvedimento che nega autorizzazione essere motivato il conto lo stesso socio può proporre opposizione al
tribunale.
L'atto costitutivo può anche vietare del tutto la cessione sia delle quote sia delle azioni salvo questo caso il diritto del
socio di recedere dalla società compra viveri tre mesi purché siano decorsi due anni dal suo ingresso in società.
L'atto costitutivo può autorizzare gli amministratori ad acquistare e rimborsare quote o azioni della società con
l'osservanza di un duplice limite. Il rapporto tra patrimonio netto e complessivo indebitamento della società deve
essere superiore ad un quarto; l'acquisto o il rimborso deve essere effettuata nei limiti degli utili distribuibili e delle
riserve disponibili risultanti dall'ultimo bilancio regolamentare approvato.
a) assicurano l'ex lege una partecipazione agli utili maggioritaria del 2% rispetto a quella delle quote o delle azioni dei
soci cooperatori;
b) hanno diritto di prelazione nel rimborso del capitale per l'intero valore nominale, in sede di scioglimento della
società,
c) le perdite incidono sulla stessa solo per la parte che eccede il valore nominale complessivo delle altre azioni o quote.
Alle società cooperative è stata di recente consentita anche l'emissione di obbligazioni per la raccolta di capitale di
prestito.
La riforma del 2003 ha consentito tutte società cooperative l'emissione di strumenti finanziari secondo disciplina
prevista per le società per azioni ( art. 2526 ).
Le cooperative che hanno optato per la disciplina della Srl possono offrire strumenti finanziari privi di diritti di
amministrazione " solo ad investitori qualificati".
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A. LA TRASFORMAZIONE
1. Nozione e limiti
La riforma del 2003 ha profondamente modificato ha l'ambito di operatività e disciplina della trasformazione: la
trasformazione è nel sistema del codice del 1942 un istituto tipicamente societario. Questa linea di tendenza è stata
recepita dall'attuale disciplina con la distinzione fra trasformazione omogenea ( fra società) e trasformazione
eterogenea ( da società di capitali in altri enti o viceversa).
La trasformazione omogenea e cambiamento del tipo di società; il passaggio da un tipo ad un altro tipo di società. Ad
esempio, una società in nome collettivo assuma la veste giuridica della società per azioni o viceversa.
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Con la trasformazione assetto organizzativo della società. Non si ha però estinzione della società preesistente e nasce
dirò società; è la stessa società che continuò a vivere in una rinnovata veste giuridica e che " conserva i diritti e gli
obblighi e prosegue in tutti i rapporti anche processuali dell'ente che ha effettuato la trasformazione" ( art. 2498, 1
comma).
Rientrano nella trasformazione omogenea la trasformazione di società di persone in società di capitali e viceversa, in
breve, il passaggio dall'uno all'altro tipo nell'ambito delle società lucrative.
Per quanto riguarda ciò che comporta il mutamento dello scopo economico della società era e resta espressamente
vietata la trasformazione di una società cooperativa mutualità prevalente in società lucrativa, " anche se tale
trasformazione sia deliberata all' unanimità ". Con la riforma del 2003 è stata invece consentita la trasformazione delle
altre società cooperative e società lucrative o consorzi, la trasformazione di società di capitali ( ma non di persone) in
società cooperative.
4. La trasformazione eterogenea
L'attuale disciplina regolante la trasformazione eterogenea e più esattamente la trasformazione eterogenea da parte di
una società di capitali o che da vita ad una società di capitali. Non è invece disciplinata la trasformazione eterogenea di
società di persone o in società di persone.
Una società di capitali può trasformarsi in " consorzi, società consortili, società cooperative, comunione di azienda,
associazioni non riconosciute e fondazioni" ( art. 2500-septies).
Più articolata è la disciplina della trasformazione eterogenea in società di capitali ( art. 2500-octies) prevista per " i
consorzi, le società consortili, le comunioni e di aziende, le associazioni riconosciute e fondazioni " (ma non per le
associazioni e riconosciute e le cooperative).
Nei consorzi la trasformazione deve essere deliberata a maggioranza assoluta dei consorziati. Nelle comunioni di
azienda da tutti i partecipanti alla comunione. Nelle società consortili e nelle associazioni con le maggioranze richieste
per lo scioglimento anticipato.
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B. LA FUSIONE
5. Nozione. Distinzioni
La fusione è l'unificazione di due o più società in una sola.
Essa può essere realizzata in due diversi modi:
a) con la costituzione di una nuova società, che prende il posto di tutte le società che si fondano ( fusione in senso
stretto);
b) mediante assorbimento in una società preesistente di una o più altre società ( fusione per incorporazione).
La disciplina della fusione era stata già radicalmente riformata nel 1991 dando attuazione alla terza e sesta direttiva
Cee in materia societaria, e successivamente nel 2003.
La fusione può aver luogo sia società dello stesso tipo ( fusione omogenea), sia fra società di tipo diverso ( fusione
eterogenea).
La fusione fra società eterogenee comporta anche la trasformazione di una o più delle società che si fondono. Per le
fusioni eterogenee valgono perciò gli stessi limiti esposti per la trasformazione.
La partecipazione alla fusione non è consentita alle società che si trovano in stato di liquidazione, mentre con la
riforma del 2003 è caduto il divieto per le società sottoposte a procedura concorsuale.
La fusione è uno strumento di concentrazione delle imprese societarie che consente di ampliarne la dimensione e la
competitività sul mercato in questa prospettiva è agevolata sotto diversi profili dalla legislazione tributaria. La fusione
inoltre un istituto che dà luogo ad una concentrazione giuridica e non solo economica.
La fusione determina perciò la riduzione ad unità dei patrimoni delle singole società e la confluenza dei rispettivi soci
in unica struttura organizzativa che continua attività di tutte le società preesistenti.
La società incorporante o che risulta dalla fusione " assumono diritti e gli obblighi delle società partecipanti alla
fusione, proseguendo in tutti loro rapporti, anche processuale, anteriori alla fusione".
6. Il progetto di fusione
Il procedimento di fusione si articola in tre fasi essenziali: il progetto di fusione, la delibera di fusione e l'atto di
fusione.
Il progetto di fusione della avere identico contenuto per tutte le società partecipanti alla fusione e dallo stesso devono
risultare, fra le altre, le seguenti indicazioni:
a) il tipo, la denominazione o ragione sociale, la sede delle società partecipanti alla fusione.
b) l'atto costitutivo della nuova società risultante dalla fusione o di quella incorporante.
c) il rapporto di cambio delle azioni o quote; vale a dire rapporto in base al quale saranno assegnate a ai soci delle
società che si estinguono le azioni o quote della società incorporante o della nuova società.
Il progetto di fusione deve essere iscritto nel registro delle imprese del luogo ove hanno sede le società partecipanti
alla fusione.
La documentazione informativa non si esaurisce però nel progetto di fusione in quanto è prescritta la redazione
preventiva di altri tre documenti:
1) la situazione patrimoniale ( art. 2501-quater);
2) la relazione degli amministratori ( art. 2501-quinquies);
3) la relazione degli esperti ( art. 2501- sexies).
Gli amministratori di ciascuna delle società partecipanti alla fusione devono redigere una situazione patrimoniale
aggiornata della propria società, con l'osservanza delle norme sul bilancio di esercizio.
Si tratta di un vero e proprio bilancio di esercizio infrannuale (c.d. bilancio di fusione), la cui funzione prevalente è
quella di fornire i creditori sociali informazione aggiornate per il consapevole esercizio del diritto di opposizione alla
fusione.
Gli amministratori delle società partecipanti alla fusione devono redigere una relazione la quale lustri giustifichi il
progetto di fusione e in particolare il rapporto di cambio, in modo da mettere soci in condizione di verificare i metodi
di valutazione utilizzati dagli amministratori nella determinazione del rapporto di cambio.
È inoltre prescritto che per ciascuna società partecipante la fusione uno più esperti devono redigere una relazione sulla
congruità del rapporto di cambio ed esprimere un parere sull'adeguatezza del metodo o dei metodi seguiti dagli
amministratori. Per le società quotate esperte è scelto fra le società di revisione ( art. 2501-sexies).
Il progetto di fusione, le relazioni degli amministratori degli esperti, le situazioni patrimoniali tutte le società
partecipanti alla fusione i nostri bilanci degli ultimi tre esercizi delle stesse, devono restare depositato in copia nelle
sedi di ciascuna delle società partecipanti alla fusione durante i 30 giorni che precedono l'assemblea e finché la fusione
sia deliberata.
7. La delibera di fusione
La fusione viene decisa da ciascuna delle società che vi partecipano "mediante l'approvazione del relativo progetto" (
art. 2502). L'attuale disciplina consente tuttavia che la decisione di fusione possa portare al progetto le modifiche non
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9. L'atto di fusione
Il procedimento di fusione si conclude con alla stipulazione dell'atto di fusione ( art. 2504 ).
L'atto di fusione deve essere sempre redatto per atto pubblico, anche se la società incorporante o la nuova società
risultante dalla fusione a una società di persone.
L'atto di fusione essere iscritto nel registro delle imprese dei luoghi ove posta la sede di tutte le società partecipanti alla
fusione e di quello della società risultante dalla fusione.
Dall'ultima iscrizione nel registro delle imprese decorrono gli effetti della fusione. Si produce perciò l'unificazione
soggettive patrimoniale delle diverse società. La società risultante dalla fusione assume tutti i diritti e gli obblighi di
quelle partecipanti, che si estinguono.
C. LA SCISSIONE
11. Il procedimento
Il procedimento di scissione ricalca quello dettato per la fusione.
Gli amministratori della società partecipante a scissione devono redigere un unitario progetto di scissione, sottoposta la
stessa pubblicità prevista per il progetto di fusione.
Oltre alle indicazioni stabilite per quest'ultimo, il progetto di scissione deve contenere:
a) l'esatta descrizione degli elementi patrimoniali;
b) i criteri di distribuzione soci delle azioni o quote delle società beneficiarie.
Nella scissione totale, le attività di incerta attribuzione sono ripartite fra la società beneficiarie in proporzione della
quota di patrimonio netto trasferita a ciascuna di esse. Delle passività di dubbia imputazione a rispondere invece in
solido tutte società beneficiarie.
Nella scissione parziale, le relative attività restano in testa alla società trasferente. Delle passività a rispondere in solido
sia questa sia le società beneficiarie.
Per la situazione patrimoniale, la relazione degli amministratori e quella degli esperti, è integralmente richiamata la
disciplina della fusione.
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Rinvia la disciplina della fusione sia anche per le altre fasi del procedimento di scissione: delibera di scissione,
pubblicità, e opposizione dei creditori e stipula dell'atto di scissione.
La scissione diventa efficacia a partire dalla data in cui è stata eseguita l'ultima iscrizione dell'atto di scissione registro
delle imprese in cui sono iscritte le società beneficiarie. A partire da tale momento ciascuna delle società beneficiarie
assume diritti e gli obblighi della società scissa, che le sono state attribuiti nell'atto di scissione.
"Ciascuna società è solidamente responsabile, nei limiti del valore effettivo del patrimonio netto ad essa assegnato
rimasto, dei debiti della società scissa non soddisfatti dalla società cui fanno carico "( art. 2506-quater, 3 comma).
Tutte le altre società coinvolte nella scissione sono garanti in via sussidiaria di quella cui il debito è stato trasferito, sia
pure nei limiti specificati dalla norma.
1. Nozione. Tipi
La vendita è contratto che ha per oggetto il trasferimento della proprietà di una o di un altro diritto verso il
corrispettivo di un prezzo (art. 1470 c.c.).
Attraverso la stipula di contratti di compravendita si procurano infatti larga parte dei beni necessari per lo svolgimento
della loro attività; attraverso altri contratti di compravendita collocano sul mercato larga parte dei beni prodotti o
acquistati.
Per le vendite di cose mobili è da ricordare poi che esistono in materia di convenzioni internazionali che rispondono
all'esigenza di rendere omogenea la disciplina del settore svincolandola in parte dalle singole leggi nazionali.
Attualmente la vendita internazionale di merci è regolato dalla convenzione di Vienna del 1980.
La garanzia copre di regola soli vizi occulti, i vizi scendo riconosciuti sono facilmente riconoscibili dal compratore al
momento dell'acquisto.
La garanzia copre tuttavia anche:
a) i vizi facilmente riconoscibili quando il venditore ha dichiarato espressamente che la cosa era esente da vizi;
b) i vizi apparenti ( difetti che emergono ictu oculi) quando si tratta di cose da trasportare ( art. 1511 ).
In presenza di vizi coperti dalla garanzia il compratore può chiedere alternativamente:
1) la risoluzione del contratto ( azione redibitoria), con conseguente rimborso integrale del prezzo e delle spese
pattuite;
2) la semplice riduzione del prezzo ( azione estimatoria o quanti minoris) in rapporto al minor valore della cosa a
causa dei vizi ( art. 1494).
Inoltre:
A) il compratore decade dalla garanzia sono denunzia vizi al compratore entro otto giorni dalla scoperta, salvo che il
venditore abbia riconosciuto l'esistenza del vizio o l'abbia occultato;
B) l'azione si prescrive in ogni caso nel termine abbreviato di un anno dalla consegna.
Dalla garanzia per vizi occulti fin qui esposta, la legge distingue il caso in cui la cosa venduta " non ha le qualità
promesse ovvero quelle essenziali per l'uso a cui è destinata" ( art. 1497 ). Ad esempio: la stoffa venduta una di pura
lana vergine come pattuito.
Diversa dalla garanzia per vizi occulti o per mancanza di qualità è la "garanzia di buon funzionamento" previsto all'art.
1512 per le sole cose mobili.
contratto.
Risolto il contratto, il venditore ha diritto alla restituzione della cosa, rimasta di sua proprietà. Deve però restituire al
compratore le rate riscosse.
Il compratore, fin quando non ha pagato l'ultima rata, non può vendere la cosa.
1. Premessa
I titoli di credito sono documenti destinati alla circolazione che attribuiscono il diritto ad una determinata prestazione.
Questa può consistere nel pagamento della somma di denaro ( cambiale), nell'assegno bancario e circolare, delle
obbligazioni società e nei titoli del debito pubblico ( titoli di credito in senso stretto). Può consistere anche nel diritto
alla riconsegna di merci depositate o viaggianti (fede di deposito), nella polizza di carico e così via ( titoli di credito
rappresentativi di merci) vi sono infine titoli di credito che rappresentano una situazione giuridica complessa e i
relativi diritti, come le azioni di società ( titoli di partecipazione).
Fra i titoli di credito delle sono poi alcuni che vengono di regole messi ognuno per una distinta operazione economica
e si presentano perciò come titoli individuali ( cambiali e assegni). Altri la presentano frazioni di uguale valore
nominale di una unitaria operazione economica di finanziamento e attribuiscono ciascuno uguale diritti ( titoli di
massa).
Alcuni titoli di credito presuppongono un bene determinato rapporto giuridico e solo in base a tale rapporto possono
essere emessi ( titoli causali). Per altri il rapporto giuridico che dà luogo alla loro emissione può variamente atteggiarsi
( titoli astratti).
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debitore cartolare di adempiere nei confronti di altro soggetto ( giratario). La girata può essere:
- in pieno, quando contiene il nome del giratario ( art. 2009 ); la forma
consueta è " per me pagate a....", con la sottoscrizione del girante;
- in bianco, quando non contiene il nome del giratario. Di regola e se costituita dalla sola firma del girante.Chi riceve
un titolo girate in bianco può:
a) riempire la girata col proprio nome o con quello di altra persona; a
b) girare di nuovo il titolo in pieno o in bianco;
c) trasmettere il titolo ad un terzo senza riempire la girata e senza apporne una nuova.
Effetto costante della girata è quello di mutare la legittimazione a all'esercizio del diritto cartolare.
" La girata trasferisce tutti diritti inerenti al titolo" ( art. 2001), una volta accolto il principio che la proprietà del titolo
e titolarità del diritto si trasferiscono col semplice consenso.
Di regola la girata non ha funzione di garanzia: il girante non assume alcuna obbligazione cartolare, non è responsabile
verso i giratari successivi per l'inadempimento da parte dell'emittente.
Il giratario acquista nei confronti dell'emittente un diritto letterale e autonomo ed è di regola libera trasferire
ulteriormente il titolo.
Vi sono due tipi di girata con effetti limitati:
- la girata per incasso o per procura ( art. 2013 ), dove il giratario assume la veste di rappresentante per l'incasso del
girante. Titolare del credito cartolare resta il girante e il giratario non acquista alcun diritto autonomo.
- la girata a titolo di pegno ( art. 2014 ), detta anche girata in garanzia o valuta in garanzia, attribuisce al giratario un
diritto di pegno sul titolo, a garanzia di un credito che il giratario stesso vanta nei confronti del girante.
11. L'ammortamento
Per i titoli all'ordine e nominativi è previsto l'istituto dell'ammortamento (artt.2016-2020 e 2027).
La procedura di ammortamento è ammessa solo in caso di smarrimento, sottrazione o distruzione del titolo e si articola
in due fasi: la prima essenziale, la seconda eventuale.
La procedura di ammortamento inizia con la denunzia al debitore della perdita del titolo e con il contestuale ricorso
dell'ex possessore al presidente del tribunale del luogo in cui il titolo è pagabile.
Il presidente del tribunale pronuncia con decreto l'ammortamento; il decreto deve essere pubblicato nella gazzetta
ufficiale. Solo con la notifica del decreto il debitore non è liberato se paga al detentore del titolo.
Il debitore non può però pagare neppure all'ammontare prima che siano decorsi 30 giorni dalla pubblicazione del
decreto nella gazzetta ufficiale.
La procedura di ammortamento non è ammessa per i titoli al portatore.
LA CAMBIALE
B) la cambiale è un titolo astratto. La cambiale può essere emessa anche se manca un preesistente debito del traente o
dell'emittente nei confronti del prenditore. È questa la c.d. cambiale di favore, nella quale il rapporto causale è
costituito dalla relativa accordo fra l'emittente e primo prenditore (convenzione di favore) .
C) la cambiale è un titolo rigorosamente formale;
D) la cambiale è un titolo che può incorporare e di regola incorpora una pluralità di obbligazioni: quelle del traente,
dell'accettante, dei giranti, dei loro avallanti e dell'accettante per intervento, nella cambiale tratta; quelle dell'emittente,
dei giranti e dei loro avallanti, nel vaglia cambiario.
E) La cambiale è un titolo esecutivo e assistita da particolari agevolazioni processuali in modo consentire al portatore
un pronto soddisfacimento in caso di mancato pagamento.
5. Le obbligazioni cambiarie
La cambiale è un titolo di credito destinato ad incorporare più obbligazioni. Nasce con l'obbligazione del traente o
dell'emittente ed altre se ne possono aggiungere durante la vita del titolo: quella del trattario-accettante, quella dei
singoli giranti, degli avallanti e dell'accettante per intervento.
Le obbligazioni cambiarie sono rette da alcuni principi peculiari: l'invalidità della singola obbligazione cambiaria non
incide sulla validità delle altre. È questo il principio della reciproca indipendenza autonomia dell'obbligazioni
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cambiarie.
Nei confronti del portatore del titolo, gli obbligati cambiari sono distinti in due categorie: obbligati diretti ed obbligati
di regresso. L'azione nei confronti dei primi ( azione diretta) non è subordinata a particolari formalità. L'azione nei
confronti dei secondi ( azione di regresso) e presuppone invece il verificarsi di determinate condizioni sostanziali.
Sono obbligati diretti: l'emittente, l'accettante ed i loro avallanti.
Sono obbligati di regresso: il traente, i giranti, i loro avallanti e l'accettante per intervento.
La posizione degli obbligati cambiari nei rapporti reciproci: uno solo di essi deve sopportare il peso definitivo del
debito cambiario, mentre gli altri sono per legge garanti di grado successivo del pagamento.
Nei rapporti interni infatti gli obbligati cambiari sono disposti per gradi, secondo un ordine tassativamente fissato per
legge. Nella cambiale tratta accettata, obbligato di primo grado è l'accettante, obbligato di secondo grado è il traente,
obbligato di III grado è il primo girante e seguono poi nell'ordine i successivi giranti. Nel vaglia cambiario, obbligato
di primo grado è sempre l'emittente, seguono poi i giranti nell'ordine sopra indicato.
Oltre che obbligazione di reato diverso, la cambiale può contenere anche l'obbligazione di pari grado. E ciò si verifica
quando più persone assumono la stessa posizione cambiaria: coemittenti,coavallanti.
7. L'avallo
L'avallo è una dichiarazione cambiaria con la quale un soggetto (avallante) garantisce il pagamento della cambiale per
tutta o parte della somma. È una tipica garanzia cambiaria. Esso deve risultare dal titolo dal foglio di allungamento. È
espresso con le parole " per avvallo" o altri equivalenti.
L'avallo può essere dato per uno qualsiasi degli obbligati cambiari e l'avallante deve indicare per chi l'avallo è dato.
L'avallo può essere prestato anche da più persone congiuntamente per lo stesso obbligato cambiario. Sia in tal caso la
figura del coavallo . I coavallanti restano obbligati di grado successivo rispetto all'avallato, ma sono obbligati di pari
grado fra loro.
L'avallo è un'obbligazione di garanzia collegata con quella dell'avallato, ma è pur sempre un'obbligazione autonoma
rispetto a quest'ultima.
trova applicazione anche per l'avallo il principio cardine della reciproca indipendenza dell'obbligazioni cambiarie, con
la sua limitata eccezione che l'avalante può opporre al portatore il vizio di forma dell'obbligazione dell'avallato.
L'avallo è perciò una tipica garanzia cambiaria e che si differenzia nettamente della fideiussione. L'avallo è una
garanzia sostanzialmente autonoma; la fideiussione è invece una garanzia accessoria.
Ne consegue che:
a) l'avallo invalido come tale non si converte automaticamente in una fideiussione;
b) non sono applicabili all'avallo le norme proprie della fideiussione.
14. Ammortamento
La disciplina dell'ammortamento della cambiale (artt.89-93)sostanzialmente coincide con quella dettata in via generale
dal codice per i titoli di credito all'ordine.
offrire alle imprese uno strumento per raccogliere direttamente fra il pubblico capitale di credito a breve termine,
alternativo rispetto al ricorso al credito bancario spesso eccessivamente costoso.
Esse sono titoli di credito all'ordine emessi inserti, con scadenza non inferiore a tre mesi e non superiore a 12 mesi
dalla data di immissione. La loro struttura è quella del pagherò cambiario; contengono cioè una promessa
incondizionata di pagamento da parte dell'emittente.
Le cambiali finanziarie devono avere un taglio minimo non inferiore a 100 milioni di lire ( oggi 51645, 70 euro).
Esse possono essere girate esclusivamente con la clausola " senza garanzia" e quindi senza assunzione di obbligazione
cambiaria di regresso da parte del girante.
L'emissione di cambiali finanziarie, in quanto strumento di raccolta del risparmio fra il pubblico, è infatti assoggettata
alla disciplina che può non essere di limiti:
limite quantitativo: l'ammontare della raccolta fra il pubblico effettuata mediante cambiali finanziarie e " certificati di
investimento" non può eccedere il limite del capitale versato e delle riserve risultanti dall'ultimo bilancio approvato.
L'ASSEGNO BANCARIO
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4. Circolazione. Avallo
Sola significativa differenza rispetto la cambiale è che la girata al trattario vale come quietanza e estingue il titolo. È
così preclusa la possibilità che la banca trattaria agire ulteriormente l'assegno assumendo obbligazione cartolare di
regresso.
Anche l'assegno bancario può essere garantito mediante avallo, ma si tratta di istituto desueto data la breve vita del
titolo. È però escluso l'avallo da parte della banca trattaria.
5. Il pagamento dell'assegno
L'assegno bancario non solo è pagabile a vista, ma deve essere presentato per il pagamento entro i termini fissati
dall'art. 32. Termine che per gli assegni emessi e pagabili in Italia è di otto giorni dalla data di emissione, se l'assegno
pagabile nello stesso comune in cui fu emesso; di 15 giorni, s'è pagabile in altro comune ( art. 34 ).
8. L'ammortamento
La disciplina dell'ammortamento dell'assegno bancario:
a) l'art. 69 e l.ass. non distingue fra assegna all'ordine è segno al portatore e perciò la procedura di ammortamento è
eccezionalmente ammessa anche per quest'ultimo.
b) la procedura di ammortamento è esclusa per l'assegno non trasferibile, dato che lo stesso non può circolare.
IL CONCORDATO PREVENTIVO
2. L'ammissione al concordato
La procedura di concordato preventivo inizia con la domanda di ammissione del debitore, presentata con ricorso al
tribunale del luogo dove si trova la sede principale dell'impresa. Alla domanda devono essere allegati le scritture
contabili, uno stato analitico delle attività con i relativi valori e l'elenco nominativo dei creditori.
Ricevuta la domanda il tribunale svolge una prima indagine volta ad accertare se ricorrano le condizioni soggettive e
oggettive richieste dalla legge ed in particolare valuta la consistenza dell'attivo.
Se l'accertamento esito negativo, il tribunale dichiara inammissibile la proposta di concordato e con sentenza dichiara
di ufficio di fallimento.
Se invece ritiene ammissibile la proposta, il tribunale dichiara aperta la procedura di concordato preventivo e designa
gli organi della procedura:
il giudice delegato, cui è devoluta alla direzione della procedura; un commissario giudiziale, che svolge
essenzialmente funzioni di vigilanza e di controllo.
1. Caratteri generali
La liquidazione coatta amministrativa è una procedura concorsuale ha carattere amministrativo cui sono assoggettate
determinate categorie di imprese. Si tratta per lo più di imprese pubbliche o di imprese private sottoposte a controllo
pubblico per il rilievo economico e sociale della loro attività.
La liquidazione coatta amministrativa è in particolare prevista per le imprese bancarie e per le società facenti parte di
un gruppo bancario, per le imprese di assicurazione.
Dalle leggi speciali emerge che la liquidazione coatta può essere disposta non solo quando vi ero stato di insolvenza,
ma anche per gravi irregolarità di gestione o per violazione di norme di legge o regolamentari.
L'autorità competente a disporre la liquidazione coatta non è mai autorità giudiziaria, bensì l'autorità amministrativa
individuata dalle singole leggi speciali.
Obiettivo costante della liquidazione coatta è l'eliminazione dal mercato dell'impresa e colpita dal relativo
provvedimento.
La liquidazione coatta può tuttavia avere per presupposto oggettivo anche lo stato di insolvenza e da qui la necessità di
regolare il rapporto fra le due procedure.
La regola è che le imprese soggette a liquidazione coatta sono sottratte al fallimento.
pubblico ufficiale;
b) il comitato di sorveglianza, e è composto da tre o cinque membri scelti fra persone esperte nel ramo di attività
esercitata dall'impresa; ha funzioni consultive e di controllo.
Resta però di competenza esclusiva dell'autorità giudiziaria l'accertamento dell'eventuale stato di insolvenza.
La liquidazione coatta amministrativa di una società non si estende in alcun caso ai soci illimitatamente responsabili
della stessa. Questi potranno essere solo costretti dal commissario liquidatore a versare le somme necessarie per
estinguere le passività, secondo uno specifico piano di riparto.
3. Il procedimento. Chiusura
La liquidazione coatta amministrativa si sviluppa, come il fallimento, attraverso le fasi dell'accertamento dello stato
passivo, della liquidazione dell'attivo e del riparto del ricavato fra i creditori concorrenti. Tutte queste fasi si svolgono
però in sede amministrativa.
Non è necessaria una domanda di ammissione dei creditori e dello stato passivo è formato di ufficio dal commissario
liquidatore sulla base delle scritture contabili.
Manca inoltre una fase di verificazione dello stato passivo.
Alla liquidazione dell'attivo vi provvede il commissario.
La liquidazione coatta amministrativa si può chiudere anche mediante concordato. La proposta di concordato,
presentata dall'imprenditore previa autorizzazione dell'autorità di vigilanza, è infatti approvata direttamente dal
tribunale.
1. Caratteri generali
L'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza, erano procedura concorsuale introdotta nel
1979, idonea a conciliare il soddisfacimento dei creditori dell'imprenditore insolvente con il salvataggio del complesso
produttivo in crisi e la conservazione dei posti di lavoro.
Essa è la procedura concorsuale della grande impresa commerciale insolvente " con finalità conservative del
patrimonio produttivo, mediante prosecuzione, riattivazione o riconversione delle attività imprenditoriali".
È rafforzata la tutela dei creditori dell'imprenditore insolvente il cui soddisfacimento costituisce finalità concorrente
della procedura.
L'attuale amministrazione straordinaria si atteggia come una procedura concorsuale nel contempo giudiziaria e
amministrativa, articolata in due fasi: a) la dichiarazione dello stato di insolvenza da parte dell'autorità giudiziaria;
b) la successiva eventuale apertura della procedura di amministrazione straordinaria e propria.
6. Il gruppo insolvente
Ciascuna impresa insolvente risponde solo delle proprie obbligazioni e non vi è responsabilità della capogruppo nei
confronti dei creditori delle imprese figlie.
Sono però previste specifiche norme volte ad assicurare la reintegrazione del patrimonio delle società figlie ed a
consentire il ristoro dei danni dalle stesse e eventualmente subiti per effetto della politica unitaria di gruppo.
Un primo tentativo in tale direzione è costituito da allungamento dei termini per l'esercizio delle azioni revocatorie
fallimentari nei confronti degli atti posti in essere con altre imprese del gruppo.
Inoltre, il commissario giudiziale, il commissario straordinario e il curatore di un impresa del gruppo dichiarata
insolvente possono proporre la denuncia al tribunale per gravi irregolarità nei confronti di amministratori e sindaci di
altre società del gruppo non assoggettate alla procedura.
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