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ISSNS0391-1896
AnnoSLXXISFasc.S4S-S2017
GaetanoSAnzani
L’IRRAGIONEVOLE DIVERSITÀ
DEI TERMINI PRESCRIZIONALI
NELLE DUE SPECIE DI
RESPONSABILITÀ CIVILE
Estratto
MilanoS•SGiuffrèSEditore
DISCUSSIONI E APPROFONDIMENTI
È invece pacifico che la suddetta disposizione, stante il suo tenore letterale, non
può essere invocata in presenza di sentenze tanto di mero accertamento quanto
costitutive, nonché quando la legge preveda per il diritto originario un termine più lungo
di quello ordinario: GRASSO, voce Prescrizione (Diritto privato), in Enc. dir., XXXV,
Milano, 1986, p. 74.
Una disposizione analoga è dettata all’art. 7:202, Libro Terzo, Capitolo 7, D.C.F.R.
(6) Ancora vigente il codice del 1865, GIORGI, Teoria delle obbligazioni nel diritto
moderno italiano7, VIII, Firenze, 1911, p. 460 ss.; PUGLIESE, La prescrizione nel diritto
civile4, II, La prescrizione estintiva, Torino, 1924, p. 252.
(7) In tal senso, tra gli altri, F. GIARDINA, Responsabilità contrattuale e responsa-
bilità extracontrattuale. Significato attuale di una distinzione tradizionale, Milano,
1993, pp. 159 ss., 172.
(8) TESCARO, Decorrenza della prescrizione e autoresponsabilità. La rilevanza
civilistica del principio contra non valentem agere non currit praescriptio, Padova, 2006,
passim; ID., La rilevanza civilistica del principio contra non valentem agere non currit
praescriptio, in Obbl. e contr., 2009, p. 253.
(9) Per una recente panoramica, MURGO, Il tempo e i diritti. Criticità dell’istituto
della prescrizione tra norme interne e fonti europee, Torino, 2015, passim.
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(10) « Una concezione esclusivamente morale, come questa, non può porsi a
fondamento di un istituto giuridico. D’altro canto la concezione in sé stessa non appaga;
moralmente, se è censurabile il titolare che se ne rimane inerte, non lo è meno il debitore
che conosce la sua obbligazione e non l’adempie [...] » (così, sotto il previgente codice,
PUGLIESE, op. cit., p. 21, secondo il quale la ratio della prescrizione starebbe nel fatto che
nella coscienza civile i diritti non esercitati di remota origine appaiono indegni della
tutela sociale e non possono più aspirare alla coercizione).
(11) Relazione al codice civile, n. 1199.
Sulla natura di ordine pubblico della prescrizione, che assolverebbe ad una
pluralità di funzioni, già N. COVIELLO, Manuale di diritto civile italiano. Parte generale3,
riv. e agg. da L. Coviello, Milano, 1924 (rist. 1992), p. 451 ss.
Secondo CHIOVENDA, Principii di diritto processuale civile. Le azioni. Il processo di
cognizione, Napoli, rist. 1980, pp. 53 ss., 61 ss., la prescrizione, che colpirebbe il diritto
processuale di azione e non il diritto sostanziale, « ha per iscopo di far cessare
l’incertezza dei diritti, consolidando col decorso del tempo uno stato di fatto contrario
al diritto e rendendolo esso stesso giuridico oppure sanando uno stato giuridico
difettoso, onde ciò che si perde colla prescrizione è appunto il potere di mutare lo stato
di fatto o di diritto difettoso » (così alla p. 61). La funzione della prescrizione sta
nell’adeguamento della realtà giuridica a quella fattuale anche per SANTORO-PASSARELLI,
Dottrine generali del diritto civile9, Napoli, 1966 (rist. 1971), p. 113 ss., il quale, però,
precisa che si estingue il diritto sostanziale e non l’azione. Secondo POTHIER, Trattato
delle obbligazioni2, ed. italiana, Livorno, 1841, pp. 326, 330, la prescrizione sarebbe
solo un’eccezione capace di paralizzare l’azione del creditore anche in funzione di
sanzione per l’inerzia del creditore, ma farebbe presumere l’estinzione ed il soddisfaci-
mento del credito (così da impedire, ad esempio, la compensazione del credito prescritto
con un controcredito, purché i presupposti della compensazione si siano realizzati dopo
la maturazione della prescrizione).
La questione teorica se la prescrizione estingua il diritto oppure l’azione [su cui v.
già VON SAVIGNY, Sistema del diritto romano attuale (trad. italiana di Scialoja), V, Torino,
1893, pp. 228 ss., 417 ss.] ha rilevanza pratica soprattutto in materia di diritto
internazionale privato, perché la natura processuale dell’istituto imporrebbe al giudice
di applicare la lex fori anche qualora il rapporto fosse disciplinato da una legge straniera:
CALZOLAIO, La riforma della prescrizione in Francia nella prospettiva del diritto privato
europeo, in questa rivista, 2011, p. 1092. Orbene, la Corte costituzionale, nel prendere
posizione sull’argomento, ha affermato che « la prescrizione opera sul terreno sostan-
ziale del diritto, non su quello della sua protezione processuale » (così in Corte cost., 30
giugno 1988, n. 732, in Giur. it., 1989, I, 1, c. 16).
Per una rassegna delle opinioni tradizionali sulla ratio dell’istituto, già VON SAVIGNY,
op. cit., p. 309 ss.; GIORGI, op. cit., VIII, p. 345 ss. Per una critica, TESCARO, Decorrenza
della prescrizione e autoresponsabilità, cit., p. 8 ss.
« Quanto al tempo, esso [...] non è che una relazione, un modo d’essere del fatto;
non è esso stesso un fatto. [...] Così la prescrizione e l’usucapione non sono effetti
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giuridici del fatto tempo, ma rispettivamente dell’inerzia e del possesso, durati un certo
tempo » (così SANTORO-PASSARELLI, op. cit., p. 111 ss.).
(12) Così la Relazione al codice civile, n. 1198.
Nella dottrina italiana, v. l’opinione concorde di DE CUPIS, Il danno. Teoria
generale della responsabilità civile, II, Milano, 1979, p. 277 ss.; in quella francese, già
le argomentazioni di ordine storico svolte da BAUDRY-LACANTINERIE-TISSIER, Della prescri-
zione, in Trattato teorico-pratico di Diritto Civile di G. Baudry-Lacantinerie, trad. sulla
3ª edizione originale in corso di stampa da una Società di giuristi, a cura di Bonfante-
Pacchioni-Sraffa, Milano, s.d., p. 280 ss.
Nella giurisprudenza costituzionale, questa posizione è accolta in un obiter dictum
in Corte cost., 5 aprile 2012, n. 78, in Giur. it., 2012, p. 2283, con nota di RIZZUTI.
(13) DE CUPIS, op. cit., p. 274 ss.
(14) In dottrina, DEL SIGNORE (Contributo alla teoria della prescrizione, Padova,
2004, p. 53 ss.) e FRANZONI (L’illecito, in Trattato della resp. civ.2, diretto da Franzoni,
I, Milano, 2010, p. 38 ss.; ID., Il danno risarcibile, in Trattato della resp. civ.2, diretto
da Franzoni, II, Milano, 2010, p. 895 ss.), i quali aderiscono all’opinione maggioritaria
e propendono per la ricomprensione del danno nella nozione di « fatto » a cui l’art. 2047
c.c. collega il decorso della prescrizione. Nello stesso senso, già GIORGI, Teoria delle
obbligazioni nel diritto moderno italiano7, V, Firenze, 1909, p. 365.
In giurisprudenza, ex multis, Cass., 31 gennaio 2006, n. 2128, in Mass. Giust. civ.,
2006, p. 1.
Secondo MONATERI, La responsabilità civile, in Trattato dir. civ., diretto da Sacco,
Le fonti delle obbligazioni, 3, Torino, 1998, p. 373 ss., tuttavia, l’art. 2947 c.c. detta una
regola speciale in deroga a quelle generali degli artt. 2935 e 2946 c.c., sicché « nel caso
dell’azione di risarcimento il legislatore ha agganciato la decorrenza della prescrizione al
compimento degli elementi della fattispecie da cui deriva il danno, ma non al manife-
starsi del danno ». Negli artt. 2050, 2051, 2052 e 2053 c.c., invece, a differenza degli
artt. 2043, 2048 e 2049 c.c., « il legislatore non aggancia il sorgere dell’obbligo
risarcitorio alla menzione del fatto, in quanto elemento distinto dal danno che ne deriva,
ma indica immediatamente il danno. Perciò in questi casi anche l’esegesi dell’art. 2947
c.c., in quanto disposizione sull’actio necessariamente correlata alle disposizioni sulla
nascita dell’obbligazione risarcitoria, deve adeguarsi al mutato lessico legislativo ».
(15) Di « fatto dannoso » si parla ora nel comma 2º dell’art. 2947 c.c. (novellato
nel 2013), dove per i danni prodotti dalla circolazione dei veicoli di qualunque specie
non si prevede più solo una prescrizione di due anni, ma si aggiunge che « [i]n ogni caso
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il danneggiato decade dal diritto qualora la richiesta di risarcimento non venga presen-
tata entro tre mesi dal fatto dannoso, salvo i casi di forza maggiore ». Ebbene, sembra
ragionevole ritenere che tale « fatto dannoso » debba consistere nella piena integrazione
di una fattispecie di responsabilità aquiliana, comprensiva dunque di un pregiudizio, sia
perché il sostantivo « fatto » viene espressamente qualificato come « dannoso », sia
perché altrimenti sarebbe difficilmente giustificabile un così breve termine di decadenza.
L’art. 2393 c.c. dispone al comma 4º che l’azione sociale di responsabilità contro
gli amministratori di una società tanto di capitali quanto — dopo alcune dichiarazioni di
incostituzionalità (da ultimo, Corte cost., 11 dicembre 2015, n. 262, in www.corteco-
stituzionale.it) — di persone può essere esercitata entro cinque anni dalla cessazione
dalla carica, ma la decorrenza del termine prescrizionale, alla stregua dell’orientamento
preferibile, presuppone comunque la manifestazione del danno: Trib. Santa Maria
Capua Vetere, (ord.) 2 agosto 2012, in Il fallimentarista.
L’art. 2395 c.c. dispone che l’azione risarcitoria spettante al singolo socio o al terzo
direttamente danneggiati da atti colposi o dolosi degli amministratori di una società di
capitali « può essere esercitata entro cinque anni dal compimento dell’atto », ma anche
in tal caso, sebbene si parli di « atto » e non di « fatto », la giurisprudenza identifica il
dies a quo nella manifestazione del danno: Cass., 8 novembre 2005, n. 21639, in
Sistema leggi d’Italia.
Se però il fatto illecito non è « permanente », ossia caratterizzato da un evento
lesivo persistente nel tempo, bensì « istantaneo ad effetti permanenti », ossia caratteriz-
zato da un evento lesivo circoscritto nel tempo eppure in grado di avere riflessi
pregiudizievoli in diversi momenti, la prescrizione decorre dalla prima manifestazione
del danno, di cui le eventuali successive manifestazioni costituiscono solo uno sviluppo:
FRANZONI, L’illecito, cit., p. 49 ss. La distinzione tra le due tipologie di fatto illecito è ben
delineata in Cass., sez. un., 28 dicembre 2007, n. 27183, in Giust. civ., 2008, p. 888, in
cui si afferma che, « mentre nel fatto illecito istantaneo [il comportamento contra ius
dell’agente] è mero elemento genetico dell’evento dannoso e si esaurisce con il verificarsi
di esso, pur se l’esistenza di questo si protragga poi autonomamente (fatto illecito
istantaneo ad effetti permanenti), nel fatto illecito permanente il comportamento contra
ius [,] oltre a produrre l’evento dannoso, lo alimenta continuamente per tutto il tempo
in cui questo perdura, avendosi così coesistenza dell’uno e dell’altro [...] [L]a succes-
sione di un soggetto ad un altro in un rapporto, comportando il termine di una condotta
e l’inizio di un’altra, determina la cessazione della permanenza e l’inizio del decorso del
termine di prescrizione del diritto al risarcimento, nonché, ove il successore ponga in
essere, autonoma, analoga condotta illecita, l’insorgenza di un nuovo illecito perma-
nente [...] ».
(16) Così N. COVIELLO, op. cit., p. 478.
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Nelle materie sottratte alla disponibilità delle parti, poi, la scadenza dei
termini decadenziali è irrinunciabile, mentre nelle materie permeabili
dall’autonomia privata, a differenza di quanto previsto per la prescrizione,
la rinuncia ad una decadenza è sempre un negozio bilaterale e, quindi, non
può provenire unilateralmente dall’interessato (art. 2968 c.c.) (19). Nelle
materie sottratte alla disponibilità delle parti, inoltre, una decadenza che
comporti l’improponibilità dell’azione è rilevabile d’ufficio dal giudice (art.
2969 c.c.).
I termini prescrizionali, invece, sono inidonei a soddisfare un interesse
tanto pubblico quanto solo privato ad ovviare all’incertezza sull’esistenza o
sull’esercizio di un diritto, perché la situazione di dubbio, oltre che per una
causa di sospensione (artt. 2941 e 2942 c.c.), è prorogabile a piacimento
sia dal titolare del diritto con ripetuti atti interruttivi (artt. 2943 ss. c.c.),
sia da colui contro il quale il diritto potrebbe essere vantato con la rinuncia
alla prescrizione (art. 2937 c.c.) oppure con la mancata opposizione
dell’eccezione di prescrizione (art. 2938 c.c.) (20).
Oltretutto, l’assoluta inderogabilità del regime della prescrizione, che
neppure il consenso del beneficiario potrebbe modificare (art. 2936 c.c.),
sarebbe indecifrabile laddove tutelasse in concreto un’esigenza soltanto
privata di certezza, tanto più che il regime della decadenza dei diritti
disponibili è viceversa derogabile (art. 2968 c.c.) (21).
La chiave di lettura dell’istituto si rinviene nell’essenza funzionale
delle cause di interruzione della prescrizione, ossia degli « atti di esercizio
del diritto » ex art. 2943 c.c. e del suo « riconoscimento » da colui contro
il quale può essere fatto valere ex art. 2944 c.c., le quali soltanto acciden-
talmente soddisfano l’interesse enucleato nella situazione di vantaggio e,
(19) La struttura bilaterale della rinuncia alla decadenza sostiene l’idea di una
reviviscenza del diritto già estintosi per il decorso del termine: PANZA, op. cit., p. 140.
(20) Sotto l’aspetto dell’illimitata prolungabilità del termine prescrizionale del
diritto da parte del soggetto passivo, si noti l’assenza di una regola omogenea a quella
dettata per la remissione del debito dall’art. 1236 c.c., secondo cui il debitore che non
voglia profittare della remissione è tenuto a dichiararlo « in un congruo termine ».
(21) P. TRIMARCHI, Prescrizione e decadenza, in Jus, 1956, p. 232 ss., il quale
ritiene che l’istituto della prescrizione soddisfi l’interesse di ordine pubblico « ad evitare
che si prolunghi troppo nel tempo la soggezione di un patrimonio a pretese altrui, con
conseguente diminuzione della mobilità dei beni che lo costituiscono e, quindi, della loro
funzionalità economica [...]. Il che non impedisce di spiegarsi perché la prescrizione sia
rinunciabile, dopo che si è verificata, e non rilevabile d’ufficio: infatti l’esigenza di ordine
pubblico alla quale risponde la prescrizione è quella che, se il titolare di un diritto non
lo esercita per il tempo stabilito dalla legge, il soggetto passivo possa, dopo scaduto il
termine, essere certo che il proprio patrimonio non è più soggetto alla pretesa altrui, e
possa sentirsi libero di disporne: è a tale possibilità che il privato non può rinunciare.
[...] Ma una volta che la prescrizione si è verificata, proprio perché il soggetto passivo
ha riacquistato libertà è libero, se vuole, anche di adempiere nonostante la prescrizione,
o di rinunciare alla prescrizione stessa, o di non eccepirla in giudizio ». Analoghe ragioni
di efficienza economica venivano addotte già da PUGLIESE, op. cit., p. 22 ss.
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(22) Già per FADDA-BENSA, Note dei traduttori al libro secondo, appendice a
WINDSCHEID (trad. italiana di Fadda-Bensa), Diritto delle pandette1, I, Torino, 1902, p.
1109, « unica è la ragione dell’interruzione: l’avverarsi di un fatto che accerti la vitalità
del diritto e ne ponga in chiaro la sussistenza. Che ciò risulti dall’attività del creditore o
da quella del debitore è irrilevante ».
(23) Di un « diritto (soggettivo) alla liberazione », ricavabile in via esegetica, parla
MESSINEO, Variazioni sul concetto di « rinunzia alla prescrizione » (art. 2937, comma 1º,
c.c.), in questa rivista, 1957, p. 505.
(24) Sull’efficacia preclusiva di accertamento della prescrizione, che soltanto
eventualmente produce effetti estintivi, FALZEA, voce Accertamento (Teoria generale), in
Enc. dir., I, Milano, 1958, p. 209 ss., secondo cui « la situazione giuridica statuita dalla
norma sorge indipendentemente dalla (conformità o difformità della) situazione giuri-
dica preesistente », perché l’effetto preclusivo « rappresenta il limite entro il quale la
esigenza di continuità della realtà giuridica può essere mantenuta senza che si creino
insormontabili intralci nella vita della comunità ». L’impostazione del Falzea è ripresa da
VITUCCI, La prescrizione, I, Artt. 2934-2940, in Comm. c.c., diretto da Schlesinger,
Milano, 1990, p. 20 ss., il quale, dopo aver rilevato che la prescrizione è opponibile dal
convenuto qualora l’attore eserciti tardivamente tanto un diritto che è sorto e non si è
ancora estinto per altra causa, quanto un diritto che non è mai sorto, oppure che è sorto
e si è tuttavia estinto altrimenti (ad esempio, per adempimento o per transazione),
precisa che lo scopo dell’istituto è troncare le controversie intempestive, senza indagini
sulla fondatezza della pretesa fatta valere.
Già WINDSCHEID, op. cit., p. 423 ss., affermava « che le circostanze, alle quali la
prescrizione imprime il suggello della conformità al diritto, non ne erano necessaria-
mente difformi. [...] Il tempo non solamente sana, ma oscura eziandio ». Anche POTHIER,
op. cit., p. 327 ss., riteneva che la prescrizione fosse solo un’eccezione volta sia a limitare
« la premura che deve avere un debitore di conservare le quietanze che costituiscono la
prova del pagamento da lui fatto », sia a costituire « una pena della negligenza del
creditore ».
Sulla stessa lunghezza d’onda, v. inoltre, a proposito del codice del 1865, PUGLIESE,
op. cit., p. 37 ss., nonché, a proposito dell’originario Code Napoléon, BAUDRY-LACANTI-
NERIE-TISSIER, op. cit., p. 20 ss., i quali osservano come da questo punto di vista la
prescrizione si fondi almeno in parte su una presunzione di liberazione.
Contra, GRASSO, op. cit., p. 68 ss., secondo il quale « non si vede come possa negarsi
la natura estintiva dell’effetto prodotto dalla prescrizione nell’ipotesi, infrequente ma
non impossibile, in cui la prescrizione venga eccepita successivamente all’accertamento
della esistenza del rapporto pregresso », sicché sarebbe « poco plausibile che lo stesso
fatto possa produrre a volte un effetto estintivo ed altre volte un effetto di diversa
natura ».
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mento nella circostanza che questi si asterrà dal vantare pure nel fu-
turo (25).
Ciò trova conferma in due considerazioni.
In primo luogo, l’interruzione giudiziale o stragiudiziale della prescri-
zione, a prescindere dalla natura del diritto esercitato, è sempre un atto
recettizio che deve giungere alla conoscenza almeno legale, ancorché non
effettiva, della controparte (26). Le sezioni unite della Corte di cassazione,
sulla scorta del principio di ragionevolezza ed in esito ad un bilanciamento
di interessi tra le parti contrapposte, hanno statuito un’eccezione solo per
i diritti suscettibili di essere fatti valere esclusivamente con un atto pro-
cessuale, perché in questi casi basta la consegna dell’atto all’ufficiale
giudiziario, a condizione che il procedimento di notifica si perfezioni (27).
In secondo luogo, l’interruzione della prescrizione richiede la suffi-
ciente specificazione del diritto che viene fatto valere (28). E nel caso di un
diritto c.d. eterodeterminato va individuata la fattispecie costitutiva (29).
Quanto detto sulla ratio dell’istituto si rispecchia in quella dottrina
che, nell’illustrare la nozione ex art. 2934 c.c. di « non esercizio del
diritto » (presupposto della sua prescrizione) mercé il coordinamento con
(25) GRASSO, op. cit., p. 56 ss.; DEL SIGNORE, op. cit., pp. 98 ss., 175 ss. La
prescrizione veniva rimirata dall’angolazione del soggetto passivo già da PUGLIESE, op.
cit., p. 26 ss.
(26) ORIANI, Processo di cognizione e interruzione della prescrizione, Napoli,
1977, pp. 181 ss., 311 ss.
(27) Cass., sez. un., 9 dicembre 2015, n. 24822, in www.cortedicassazione.it, in
cui la portata dell’art. 1334 c.c. è stata limitata ai soli atti unilaterali negoziali.
In precedenza, la giurisprudenza maggioritaria esprimeva un orientamento contra-
rio: Cass., 29 novembre 2013, n. 26804, in DVD iuris data, in cui si era statuito che il
principio della recettizietà degli atti unilaterali di esercizio di un diritto opera anche per
i diritti potestativi, e che la scissione soggettiva degli effetti della notificazione di una
citazione in giudizio, la quale permette di ritenere perfezionata la notifica per il
notificante nel momento della consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario e per il notifi-
cato nel momento in cui questi ne abbia conoscenza legale, riguarda solo gli effetti
processuali e non quelli sostanziali.
(28) In dottrina, con riguardo ai limiti oggettivi dell’efficacia interruttiva della
prescrizione prodotta da una domanda giudiziale, è stato rilevato che « [l]’interruzione
opera sul diritto dedotto in giudizio, e non è in grado di estendersi ad altri diritti che
l’attore vanti nei confronti del convenuto e successivamente faccia valere », giacché
qualche dubbio su una soluzione più estensiva potrebbe nutrirsi al massimo per il
semplice mutamento della qualificazione giuridica dei fatti costitutivi del diritto azionato
(come in caso di mero concorso di norme), ossia per la causa petendi in senso
strettamente normativo (così ORIANI, op. cit., p. 318 ss.).
In giurisprudenza, sulla portata oggettiva dell’atto interruttivo, in tal senso Cass.,
sez. lav., 27 giugno 1997, n. 5733, in DVD iuris data.
(29) Trib. Taranto, 10 gennaio 2015, in www.ilcaso.it; nonché Trib. Roma, 14
aprile 2004 (Soc. Toro Assicur./S.) e Corte conti, 19 febbraio 1992, n. 39, in DVD iuris
data.
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la nozione ex art. 2935 c.c. di « possibilità di far valere il diritto » (da cui
decorre il termine prescrizionale) (30), risolve l’esercizio del diritto idoneo
ad interrompere la prescrizione nel farlo valere a scapito di qualcuno, così
da disconoscere rilevanza interruttiva a leciti atti di godimento che inter-
sechino solo la sfera dell’avente diritto e, quindi, siano neutri per i
controinteressati (31). La legge collega il decorso della prescrizione talvolta
alla possibilità di realizzare il diritto, che ovviamente dev’essere esistente
ed attuale, con un atto di esercizio, e talvolta alla necessità di reagire alla
lesione del diritto (32), ma in entrambi i gruppi di ipotesi l’inerzia del
titolare denota il suo disinteresse verso la situazione giuridica. L’atto
interruttivo proveniente dall’avente diritto, insomma, deve sostanziarsi in
una ravvivata compressione della sfera giuridica altrui che faccia constare
la volontà di conservare la posizione di vantaggio in corso di prescri-
zione (33).
D’altronde, l’imprescrittibilità della proprietà, che è la regina dei diritti
patrimoniali disponibili, si spiega — a tacere di ulteriori eventuali ra-
gioni (34) — sia perché l’estinzione di una situazione dominicale non
avvantaggerebbe alcuno che in sua costanza permanga obbligato o gra-
(30) Sulla difficoltà del concetto di « inerzia » ai fini della prescrizione per la non
univoca terminologia adoperata negli artt. 2934 e 2935 c.c., nonché sull’opportunità di
riconoscere come maggiormente significativa la nozione accolta nella seconda disposi-
zione, PANZA, voce Prescrizione, in Dig., disc. priv., sez. civ., XIV, Torino, 1996, p. 230
ss., il quale, tra l’altro, preferisce collocare l’istituto della prescrizione, in base alla teoria
della duplicità tra azione e diritto, sul piano processuale piuttosto che su quello
sostanziale. Inoltre, già ORIANI, op. cit., p. 14 ss., osservava che l’impiego dell’equivoca
nozione di « non esercizio del diritto » è probabilmente servita al legislatore per
ricomprendere nell’àmbito applicativo della prescrizione il non uso dei diritti reali
minori.
(31) « Il proprietario che coglie un fiore sul suo campo, o l’usufruttuario che
passeggia nel suo opificio, questi sono soggetti che non esercitano il proprio diritto. In
altre parole occorre che il diritto sia realizzato, almeno nel suo contenuto essenziale: solo
in mancanza di tale comportamento può parlarsi di vera e propria inerzia » (così
AURICCHIO, Appunti sulla prescrizione, Napoli, 1971, pp. 16 ss., 93 ss., il quale, dopo
aver osservato che l’inerzia è un comportamento giuridico permanente a cui solo in virtù
di una finzione potrebbe associarsi l’esistenza o l’inesistenza di una costante volonta-
rietà, tanto che l’ordinamento si limita a richiedere la mancanza della manifestazione di
una volontà contraria tramite atti recettizi, aggiunge che, comunque, l’inerzia acquista
rilevanza giuridica allorché assuma oggettivamente i caratteri di un comportamento
concludente nei confronti della controparte).
(32) MURGO, op. cit., p. 108 ss.
(33) Già GIORGI, op. cit., VIII, p. 416 ss.
(34) Secondo la tradizione, la proprietà è imprescrittibile in quanto nel contenuto
essenziale del diritto rientrerebbe anche la scelta sovrana di non esercitarne le facoltà,
ma l’imprescrittibilità risponde anche ad un criterio di semplificazione e di certezza,
giacché l’ampia rimessione al proprietario delle scelte sul momento e sulle modalità di
esercizio del diritto renderebbe estremamente complicata e fonte di litigiosità l’indivi-
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vato (35), sia perché è impossibile far valere il diritto di proprietà verso terzi
fintantoché il proprietario non perda il possesso della cosa (36).
L’enunciata ratio della prescrizione, a ben vedere, ha una sponda nel
diverso e controverso istituto della perpetuità dell’eccezione di annullabi-
lità di un contratto ai sensi dell’art. 1442, ult. cpv., c.c., che dopo la
prescrizione del diritto all’annullamento, e quindi della relativa azione,
tutela la parte già legittimata a domandare l’invalidità del contratto non
impugnato, e tuttavia ineseguito, con la facoltà di paralizzare la pretesa di
adempimento della controparte (37). Il contraente che non ha chiesto
l’esecuzione dell’atto annullabile in pendenza dei termini per l’impugna-
zione, infatti, può aver ingenerato nell’altro stipulante, che avrebbe potuto
far valere l’invalidità, l’affidamento che il contratto — sebbene sia fonte di
diritti non ancora prescritti (al contrario del diritto alla caducazione degli
effetti negoziali) — rimarrà comunque lettera morta. Pertanto, la perpe-
tuità fa dell’eccezione di annullamento un rimedio — non importa ora se
sostanziale o processuale — idoneo a sventare la realizzazione di un assetto
d’interessi iniquo (forse in conformità al medesimo senso di giustizia che
ha suggerito di estrapolare dal sistema, nonostante questa volta il silenzio
del legislatore, l’exceptio doli generalis seu praesentis (38) ).
L’inderogabilità della disciplina della prescrizione, poi, evita che una
parte c.d. debole, debitrice così come creditrice, venga sopraffatta con patti
giugulatori (39), i quali laddove la vulnerabilità concerna il debitore po-
trebbero boicottare l’effetto prescrittivo anteriormente all’esaurimento del
termine.
La cogenza del regime legale, però, è un semplice indizio sul valore
delle norme (40), che in tal caso non depone per la rispondenza tout court
dell’istituto della prescrizione all’ordine pubblico.
Sotto il previgente codice, in carenza di una disposizione come l’art.
2936 c.c., l’ordine pubblico era appunto invocato per negare validità ai
patti con i quali si volesse derogare alla disciplina della prescrizione, in
parallelo con la nullità della rinuncia anche unilaterale del soggetto passivo
(45) Oltre alla limitazione di sovranità dell’Italia per la sua appartenenza alla
Unione europea ai sensi dell’art. 11 cost., bisogna infatti considerare che, ai sensi
dell’attuale art. 117, comma 1º, cost., « [l]a potestà legislativa è esercitata dallo Stato e
dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordina-
mento comunitario e dagli obblighi internazionali ». In proposito, nella giurisprudenza
costituzionale, Corte cost., 22-24 ottobre 2007, nn. 348 e 349, in Foro it., 2008, I, c. 39,
con note di ROMBOLI, TRAVI, CAPPUCCIO e GHERA.
Sul necessario adeguamento dell’ordinamento italiano anche alle statuizioni con-
tenute nelle pronunce della Corte giust. e della Corte eur. dir. uomo, in dottrina, quanto
alle prime, VERRILLI (a cura di), Diritto dell’Unione Europea. Aspetti istituzionali e
politiche comuni13, Napoli, 2005, pp. 127 ss., 167 ss.; CONSOLO, Il primato del diritto
comunitario può spingersi fino a intaccare la « ferrea » forza del giudicato sostanziale?,
in Corr. giur., 2007, p. 1189; quanto alle seconde, LUPO, La vincolatività delle sentenze
della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo per il giudice interno e la svolta recente della
Cassazione civile e penale, in Cass. pen., 2007, p. 2247. In generale e per una rassegna
giurisprudenziale, SALVATO, Il rapporto tra norme interne, diritto dell’UE e disposizioni
della CEDU: il punto sulla giurisprudenza, in Corr. giur., 2011, p. 333.
(46) BONA, Appunti sulla giurisprudenza comunitaria e CEDU in materia di
prescrizione e decadenza: il parametro della « ragionevolezza », in Resp. civ. e prev.,
2007, p. 1709.
(47) Per opportuni riferimenti alla giurisprudenza italiana anteriore alle sezioni
unite di cui si dirà appresso, TESCARO, op. ult. cit., p. 52 ss.; nonché, con specifico
riguardo al settore giuslavoristico (dove si segnala Corte cost., 10 giugno 1966, n. 63, in
Riv. giur. lav., 1966, II, p. 369, con nota di BIGLIAZZI GERI); CAPONI, Gli impedimenti
all’esercizio dei diritti nella disciplina della prescrizione, in Riv. dir. civ., 1966, I, p. 744
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ss., il quale rileva che talvolta gli artt. 3 e 24, comma 1º, cost. impongono l’adeguamento
correttivo della disciplina codicistica in materia di decorrenza dei termini prescrizionali
in presenza di impedimenti economico-sociali all’esercizio di un diritto; PANZA, Contri-
buto allo studio della prescrizione, Napoli, 1984, p. 27 ss.
Per la giurisprudenza costituzionale in materia di diritti personalissimi, come
quello al disconoscimento della paternità, Corte cost., 21-25 novembre 2011, n. 322, in
Corr. giur., 2012, p. 119.
(48) VITUCCI, op. cit., p. 162 ss.
(49) Per una rassegna, MURGO, op. cit., p. 122 ss.
(50) Cass., 10 marzo 2011, n. 5732, in DVD iuris data.
(51) Con riguardo all’azione revocatoria, il cui termine di prescrizione, rispetto
all’impugnazione di atti pregiudizievoli soggetti ad un regime pubblicitario, deve iniziare
a decorrere — a prescindere dal tenore letterale dell’art. 2903 c.c. — dal giorno della
pubblicità dell’atto e non da quello della sua stipulazione, Cass., 19 gennaio 2007, n.
1210, in Nuova giur. civ. comm., 2007, I, p. 1152, con nota di AVANCINI.
(52) Il riferimento è a Cass., sez. un., 11 gennaio 2008, n. 581, in Resp. civ. e
prev., 2008, p. 827, con nota di GRECO, nella quale, a proposito del diritto al risarcimento
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sebbene i margini della sua vicenda estintiva vengano così devoluti alla di-
screzionalità giudiziale.
Si tratta di un revirement opportuno soprattutto con riguardo alle
pretese di responsabilità, perché la disciplina della prescrizione, vistosa-
mente sagomata sulla figura classica di illecito alla cui stregua evento lesivo
e conseguenze dannose si verificano nel medesimo segmento temporale, è
inadeguata a fronte delle nuove tipologie di pregiudizio, dei progressi della
scienza (ed in specie della medicina legale) nell’appurare il nesso eziolo-
gico, nonché dei sopravvenuti princìpi costituzionali o di rango altrimenti
sovraordinato (53).
(59) S. PATTI, Certezza e giustizia nel diritto della prescrizione in Europa, in questa
rivista, 2010, p. 31.
(60) Il testo è riportato da S. PATTI, op. cit., p. 31.
(61) Così ZENO-ZENCOVICH, Il danno al nascituro, nota a Cass., 22 novembre 1993,
n. 11503, in Nuova giur. civ. comm., 1994, I, p. 697.
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(62) CARNELUTTI, Appunti sulle obbligazioni, I, Distinzione fra diritti reali e diritti
di credito, in Riv. dir. comm., 1915, I, p. 563 ss.; ID., Teoria generale del diritto3, Roma,
1951, p. 208 ss.; AURICCHIO, op. cit., p. 24 ss.; VITUCCI, op. cit., pp. 73 ss., 104 ss.
Ancor prima anche GIORGI, op. cit., VIII, p. 375 ss., affermava che « non vi è
inerzia, quando il creditore, appunto perché trovasi già in uno stato di fatto che
corrisponde al suo diritto, non ha bisogno di promuovere azioni », ma l’a. si limitava ad
una considerazione strettamente oggettiva di tale corrispondenza e negava rilevanza
all’ignoranza circa il proprio diritto (p. 395).
(63) Per una ricognizione del dibattito, GUARNERI, L’exordium praescriptionis, in
Riv. dir. civ., 2013, p. 1140 ss.
(64) VITUCCI, op. cit., p. 156 ss.; DELLE MONACHE, op. cit., p. 190 ss.
(65) Già PUGLIESE, op. cit., pp. 102 ss., 153 ss., che, dopo aver distinto le cause
soggettive di sospensione della prescrizione, sottoposte ad uno jus singulare risultante
dalla discrezionalità del legislatore e quindi di stretta interpretazione, da quelle ogget-
tive, espressione di uno jus commune rispondente a princìpi fondamentali dell’istituto
dai quali ben sono desumibili in via analogica anche cause di sospensione non esplici-
tamente nominate dal legislatore, include appunto tra queste ultime la sospensione
conforme alla massima contra non valentem agere non currit praescriptio.
Contra, per la tassatività delle cause legali di sospensione, già FADDA-BENSA, op. cit.,
p. 1137 ss.; GIORGI, op. cit., VIII, p. 394 ss.; N. COVIELLO, op. cit., p. 469 ss.
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creditore prenda coscienza del proprio diritto. Benché l’art. 1442, comma
2º, c.c. non discrimini tra violenza esercitata nei confronti di un contraente
e violenza esercitata nei confronti di una terza persona sul piano del
termine di prescrizione per l’annullamento di un contratto, che sembra
decorrere sempre dalla cessazione della coercizione, la somiglianza strut-
turale tra la minaccia rivolta ad altri, da un lato, e l’errore e il dolo,
dall’altro, porta infine a ritenere che l’azione si prescriva dal giorno in cui
il contraente intimidito abbia notizia del venir meno del pericolo per il
terzo (66).
Per di più, le discipline speciali posteriori al c.c., grazie ad una
maggiore dimestichezza del legislatore con i problemi della modernità ed in
virtù degli influssi sovranazionali, contengono proposizioni inequivoca-
bili (67).
L’art. 23, comma 1º, l. 31 dicembre 1962, n. 1860, « Impiego pacifico
dell’energia nucleare », modificato dal d.p.r. 10 maggio 1975, n. 519,
dispone che le azioni per il risarcimento dei danni alle cose e alle persone
dipendenti da incidenti nucleari si prescrivono nel termine di tre anni « dal
giorno in cui il danneggiato abbia avuto conoscenza del danno e dell’iden-
tità dell’esercente responsabile oppure avrebbe dovuto ragionevolmente
esserne venuto a conoscenza ». Si aggiunge però, a correttivo, che « [n]es-
suna azione è proponibile decorsi dieci anni dall’incidente. In caso di danno
causato da un incidente nucleare derivante da materie nucleari rubate,
perdute o abbandonate e che non siano state recuperate, il termine anzi-
detto è computato dalla data dell’incidente nucleare ma non può in nessun
caso essere superiore a 20 anni dalla data del furto, della perdita o
dell’abbandono ».
Anche l’art. 125 cod. cons. dispone, anzitutto, che il diritto al risarci-
mento dei danni da prodotto difettoso si prescrive in tre anni « dal giorno
in cui il danneggiato ha avuto o avrebbe dovuto avere conoscenza del
danno, del difetto e dell’identità del responsabile », e poi che, in caso di
aggravamento del pregiudizio risentito dal consumatore, « la prescrizione
non comincia a decorrere prima del giorno in cui il danneggiato ha avuto
o avrebbe dovuto avere conoscenza di un danno di gravità sufficiente a
giustificare l’esercizio di un’azione giudiziaria ». Tuttavia, l’art. 126 del
medesimo codice, ancora una volta a correttivo, stabilisce che « [i]l diritto
al risarcimento si estingue [per decadenza] alla scadenza di dieci anni dal
giorno in cui il produttore o l’importatore nella Unione europea ha messo
in circolazione il prodotto che ha cagionato il danno » (68).
L’art. 94, comma 11º, d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, « Testo unico
delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria », inoltre, di-
spone che le azioni risarcitorie per far valere la responsabilità da prospetto
non veritiero in relazione ad un’offerta al pubblico « sono esercitate entro
cinque anni dalla pubblicazione del prospetto, salvo che l’investitore provi
di avere scoperto le falsità delle informazioni o le omissioni nei due anni
precedenti l’esercizio dell’azione ». E per il suo esperimento manca addi-
rittura la fissazione di un termine massimo.
In controtendenza è l’art. 4, comma 43º, l. 12 novembre 2011, n. 183,
« Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello
Stato (Legge di stabilità 2012) », il quale stabilisce che « [l]a prescrizione
del diritto al risarcimento del danno derivante dal mancato recepimento
nell’ordinamento dello Stato di direttive o altri provvedimenti obbligatori
comunitari soggiace, in ogni caso, alla disciplina di cui all’art. 2947 del
codice civile e decorre dalla data in cui il fatto, dal quale sarebbero derivati
i diritti se la direttiva fosse stata tempestivamente recepita, si è effettiva-
mente verificato » (69). A prescindere dallo spinoso problema di come vada
qualificata l’omessa attuazione delle direttive comunitarie nella prospettiva
del diritto italiano, sembra che il legislatore — sconfessando la giurispru-
denza formatasi sul punto (70) — abbia voluto rigidamente associare la
decorrenza del termine prescrizionale all’oggettiva consumazione del fatto
pregiudizievole, cioè al momento in cui questo « si è effettivamente verifi-
cato », sebbene il danno non risulti ancora percepibile (71). Ma questa
previsione non può contribuire alla costruzione di un principio generale in
materia di prescrizione, sia perché è dettata con lo specifico intento di
abbattere la spesa pubblica connessa all’intempestiva trasposizione nel
diritto interno di normative comunitarie, sia perché probabilmente essa
stessa non rispetta l’ordinamento dell’Unione europea sotto i profili del
principio di equivalenza (secondo cui la disciplina nazionale non dev’essere
meno favorevole per le pretese fondate sulla violazione del diritto comu-
nitario rispetto ad analoghe vicende domestiche) e del principio di effetti-
vità (secondo cui gli ordinamenti dei singoli Stati membri non devono
(80) Sono fatte salve alcune prescrizioni speciali, decennali o trentennali, previste
dai §§ 196 e 197 BGB, alle quali, tra l’altro, ai sensi del successivo § 200, non si applica
il meccanismo del dies a quo mobile stabilito nel già citato comma 1º del § 199 BGB per
il solo termine ordinario. La differenziazione dei termini massimi di prescrizione
ancorati ad elementi meramente oggettivi, poi, ai sensi dei restanti commi del § 199
BGB, dipende esclusivamente dalla natura dell’interesse leso, non dalla specie di
responsabilità civile che viene in gioco. Inoltre, il § 213 BGB sembra voler sventare
qualunque occasione in cui l’istituto del concorso di responsabilità possa essere allet-
tante, giacché stabilisce che « [l]’interruzione, la sospensione del decorso della prescri-
zione ed il nuovo inizio della prescrizione di una determinata pretesa valgono anche per
le pretese che abbiano il suo stesso fondamento e che siano accordate al suo titolare, a
sua scelta, in aggiunta o in alternativa ad essa ».
(81) Cfr. già l’art. 1384 dell’Avant-projet, che prevedeva un termine decennale. Ai
sensi dell’art. 2274, invece, tutte le azioni diverse da quelle di responsabilità si prescri-
vono in tre anni, « senza che colui che eccepisce la prescrizione abbia l’onere di
indicarne un titolo o che gli si possa opporre l’eccezione di mala fede ». Sono poi fatte
salve le prescrizioni speciali previste dall’art. 2275.