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RIVISTA TRIMESTRALE DI DIRITTO E PROCEDURA CIVILE

ISSNS0391-1896
AnnoSLXXISFasc.S4S-S2017

GaetanoSAnzani

L’IRRAGIONEVOLE DIVERSITÀ
DEI TERMINI PRESCRIZIONALI
NELLE DUE SPECIE DI
RESPONSABILITÀ CIVILE

Estratto

MilanoS•SGiuffrèSEditore
DISCUSSIONI E APPROFONDIMENTI

L’irragionevole diversità dei termini prescrizionali


nelle due specie di responsabilità civile

SOMMARIO: 1. L’irragionevole diversità dei termini prescrizionali. — 2. La ratio della


prescrizione. — 3. La mobilità del dies a quo nella giurisprudenza. — 4. I fermenti
del diritto straniero e dei progetti europei. — 5. Le innovazioni delle discipline
speciali nell’ordinamento italiano. — 6. I possibili limiti de jure condendo alla
mobilità del dies a quo. — 7. L’acuita irragionevolezza di termini prescrizionali
difformi per le due specie di responsabilità civile.

1. — Il legislatore del ’42, nei commi 1º e 2º dell’art. 2947 c.c., ha


fissato per le svariate ipotesi di responsabilità extracontrattuale termini di
prescrizione brevi, in quanto inferiori al termine ordinario decennale di cui
all’art. 2946 c.c., per la minore fruibilità di prove documentali in materia
di fatti illeciti: gli altri mezzi probatori e soprattutto le testimonianze,
invero, sono stati considerati con diffidenza (1).
L’orientamento legislativo di fondo non è contraddetto da alcune
previsioni di diverso segno.
Il comma 3º dell’art. 2947 c.c., qualora l’illecito aquiliano integri
anche un reato prescrivibile in un termine più lungo di quello previsto per
la responsabilità da fatto illecito, dispone nel primo periodo che l’obbliga-
zione risarcitoria si estingua « in ogni caso » — cioè nonostante la mancata
instaurazione di un procedimento penale o la mancata costituzione di parte
civile — solo insieme alla pretesa punitiva dello Stato, così da concedere al
danneggiato un maggiore spatium deliberandi (2). Ma l’eccezione alla
regola enunciata nei due commi iniziali dell’art. 2947 c.c. si spiegava,

(1) Relazione al codice civile, n. 1206.


(2) Il secondo periodo, però, prevede una eccezione all’eccezione laddove dispone
che, « [t]uttavia, se il reato è estinto per causa diversa dalla prescrizione o è intervenuta
sentenza irrevocabile nel giudizio penale, il diritto al risarcimento del danno si prescrive
nei termini indicati dai primi due commi, con decorrenza dalla data di estinzione del
reato o dalla data in cui la sentenza è divenuta irrevocabile ». Nondimeno, se il
danneggiato si è costituito parte civile e interviene una causa di estinzione del reato, il
nuovo termine di prescrizione, stante il permanente effetto interruttivo della costitu-
zione di parte civile, decorre sempre dall’irrevocabilità della sentenza che chiude il
procedimento penale: Cass., sez. un., 5 aprile 2013, n. 8348, in Resp. civ. e prev., 2013,
p. 1136, con nota di BONA, con la quale tale soluzione, già accolta per altre ipotesi
estintive, è stata estesa a quella della morte del reo.
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all’epoca dell’entrata in vigore del codice, sia con la riconosciuta suprema-


zia della giurisdizione penale sia con la volontà di stigmatizzare una
condotta criminosa (3). E comunque la giurisprudenza di legittimità, pur
non incontrastata, ritiene che la stessa eccezione riguardi altresì le fatti-
specie penalmente illecite che originino una responsabilità da inadempi-
mento (4).
Inoltre, ai sensi dell’art. 2953 c.c., i diritti per i quali sia intervenuta
una sentenza di condanna (ancorché generica) passata in giudicato in sede
civile o divenuta irrevocabile in sede penale, sebbene in precedenza sotto-
posti a prescrizione breve, si prescrivono sempre nel termine ordinario (5).
Ciò avviene, però, per il definitivo accertamento giudiziale, che nova il

(3) Per giurisprudenza costante, « quando uno stesso soggetto, in dipendenza di


un fatto-reato, abbia riportato in pari tempo danni alla persona ed alle cose, il più lungo
termine di prescrizione previsto per il reato si applica anche all’azione di risarcimento
per il danno alle cose. Ciò in ossequio a ragioni di praticità e di economia processuale,
non potendosi pretendere che la parte colpita dall’evento sia obbligata ad instaurare
separati giudizi per il risarcimento dei danni derivanti dalla lesione, per la medesima
attività antigiuridica, dei suoi diversi beni, l’uno dei quali (l’incolumità personale) è
oggetto di quella particolare e preminente tutela che è la penale, e l’altro (integrità delle
cose di sua proprietà) costituisce solo illecito civile » (così in Cass., 14 giugno 1999, n.
5874). Inoltre, « ai fini della individuazione della più lunga prescrizione stabilita per il
reato quando questo coincida con l’illecito civile, devesi avere riguardo a quella prevista
per il reato quale risulta dalla contestazione, senza tenersi conto della diminuzione di
pena derivante dall’applicazione di eventuali attenuanti che non rilevano ai fini civili-
stici » (così in Cass., 4 dicembre 1997, n. 12324). Il prolungamento del termine
prescrizionale, poi, da un lato può essere fatto valere contro tutti i possibili soggetti
passivi della pretesa risarcitoria e quindi anche contro il responsabile civile (Cass., 6
febbraio 1989, n. 729), dall’altro va del pari a beneficio del danneggiato meramente
civile e non soltanto della persona penalmente offesa, mentre non si applica a favore di
chi subisca danno in conseguenza della lesione di un interesse diverso da quello protetto
dalla fattispecie incriminatrice e tale da giustificare esclusivamente l’integrazione di un
illecito aquiliano, sebbene i due interessi siano stati lesi contestualmente dalla medesima
condotta (Cass., 26 febbraio 2003, n. 2888). Le pronunce citate sono in Sistema Leggi
d’Italia.
Il comma 3º dell’art. 2947 c.c. ha sollevato molti contrasti giurisprudenziali passati
in rassegna, ed in parte anche risolti, in Cass., sez. un., 18 novembre 2008, n. 27337, in
Corr. giur., 2009, p. 477, con nota di CASTELLI, nella quale si statuisce che gli estremi
dell’illecito penale possono essere accertati incidenter tantum dal giudice civile, sebbene
il giudizio penale non sia stato promosso o non sia stata proposta la necessaria querela,
e che la prescrizione decorre dalla data del fatto.
(4) Cass., sez. un., 18 febbraio 1997, n. 1479, in DVD iuris data; Cass., 14
novembre 2014, n. 24347, in DVD iuris data; Cass., 1º marzo 1994, n. 2012, in Sistema
Leggi d’Italia.
Contra, Trib. Milano, 19 settembre 2003 e Trib. Milano, 8 ottobre 2001, entrambe
in DVD iuris data.
(5) L’art. 2953 c.c. si applica anche in caso di condanna generica: ex multis,
Cass., 19 febbraio 2009, n. 4054, in DVD iuris data.
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titolo del diritto e ne comporta un rafforzamento tale da riflettersi sul


prolungamento della prescrizione (6).
Eppure prescrizioni brevi sono stabilite anche per alcune fattispecie di
responsabilità contrattuale, come in materia di trasporto (ai sensi del
combinato disposto degli artt. 1681 e 2951 c.c.) o di compravendita (ai
sensi degli artt. 1494 e 1495 c.c.).
La diversità dei termini prescrizionali, allora, è una scelta legislativa
indotta dalle accidentalità con le quali, secondo uno standard di normalità
statistica, l’interesse protetto si manifesta e soffre una lesione. Il creditore
che subisce l’inadempimento del debitore, in effetti, gode sovente di una
posizione probatoria agevolata rispetto al danneggiato da un fatto illecito
grazie alla maggiore disponibilità di prove scritte, tanto che il livello di
difficoltà nella dimostrazione degli elementi costitutivi dell’una o dell’altra
specie di responsabilità civile non appare molto dissimile allorquando il
creditore sia sprovvisto di documenti. Tuttavia, piuttosto che discrezionale,
la scelta del legislatore può essere ritenuta arbitraria (7).
Nell’ottica di un’innovativa ratio di c.d. autoresponsabilità ormai
ravvisata nella prescrizione (8), poi, la diversità dei termini è oggi ancor più
irragionevole, così da fomentare il concorso di azioni di responsabilità e la
responsabilità da contatto sociale qualificato.
Conviene avviare l’indagine dalla volontà del legislatore storico ed
analizzare in séguito, sullo sfondo del diritto italiano e comunitario, nonché
grazie agli spunti offerti sia dalla comparazione con ordinamenti stranieri
sia dai progetti normativi europei (9), le ricadute sistematiche del pensiero
dottrinale e dell’evoluzione giurisprudenziale.

È invece pacifico che la suddetta disposizione, stante il suo tenore letterale, non
può essere invocata in presenza di sentenze tanto di mero accertamento quanto
costitutive, nonché quando la legge preveda per il diritto originario un termine più lungo
di quello ordinario: GRASSO, voce Prescrizione (Diritto privato), in Enc. dir., XXXV,
Milano, 1986, p. 74.
Una disposizione analoga è dettata all’art. 7:202, Libro Terzo, Capitolo 7, D.C.F.R.
(6) Ancora vigente il codice del 1865, GIORGI, Teoria delle obbligazioni nel diritto
moderno italiano7, VIII, Firenze, 1911, p. 460 ss.; PUGLIESE, La prescrizione nel diritto
civile4, II, La prescrizione estintiva, Torino, 1924, p. 252.
(7) In tal senso, tra gli altri, F. GIARDINA, Responsabilità contrattuale e responsa-
bilità extracontrattuale. Significato attuale di una distinzione tradizionale, Milano,
1993, pp. 159 ss., 172.
(8) TESCARO, Decorrenza della prescrizione e autoresponsabilità. La rilevanza
civilistica del principio contra non valentem agere non currit praescriptio, Padova, 2006,
passim; ID., La rilevanza civilistica del principio contra non valentem agere non currit
praescriptio, in Obbl. e contr., 2009, p. 253.
(9) Per una recente panoramica, MURGO, Il tempo e i diritti. Criticità dell’istituto
della prescrizione tra norme interne e fonti europee, Torino, 2015, passim.
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2. — Stando alla Relazione al codice civile, l’istituto della prescri-


zione sarebbe informato all’ordine pubblico e, a fronte dell’imprescrittibi-
lità dei diritti indisponibili, avrebbe la funzione non di sanzionare l’inerzia
del titolare di un diritto disponibile (10), bensì di garantire la certezza dei
rapporti giuridici (11). L’art. 2935 c.c., che fissa la decorrenza della

(10) « Una concezione esclusivamente morale, come questa, non può porsi a
fondamento di un istituto giuridico. D’altro canto la concezione in sé stessa non appaga;
moralmente, se è censurabile il titolare che se ne rimane inerte, non lo è meno il debitore
che conosce la sua obbligazione e non l’adempie [...] » (così, sotto il previgente codice,
PUGLIESE, op. cit., p. 21, secondo il quale la ratio della prescrizione starebbe nel fatto che
nella coscienza civile i diritti non esercitati di remota origine appaiono indegni della
tutela sociale e non possono più aspirare alla coercizione).
(11) Relazione al codice civile, n. 1199.
Sulla natura di ordine pubblico della prescrizione, che assolverebbe ad una
pluralità di funzioni, già N. COVIELLO, Manuale di diritto civile italiano. Parte generale3,
riv. e agg. da L. Coviello, Milano, 1924 (rist. 1992), p. 451 ss.
Secondo CHIOVENDA, Principii di diritto processuale civile. Le azioni. Il processo di
cognizione, Napoli, rist. 1980, pp. 53 ss., 61 ss., la prescrizione, che colpirebbe il diritto
processuale di azione e non il diritto sostanziale, « ha per iscopo di far cessare
l’incertezza dei diritti, consolidando col decorso del tempo uno stato di fatto contrario
al diritto e rendendolo esso stesso giuridico oppure sanando uno stato giuridico
difettoso, onde ciò che si perde colla prescrizione è appunto il potere di mutare lo stato
di fatto o di diritto difettoso » (così alla p. 61). La funzione della prescrizione sta
nell’adeguamento della realtà giuridica a quella fattuale anche per SANTORO-PASSARELLI,
Dottrine generali del diritto civile9, Napoli, 1966 (rist. 1971), p. 113 ss., il quale, però,
precisa che si estingue il diritto sostanziale e non l’azione. Secondo POTHIER, Trattato
delle obbligazioni2, ed. italiana, Livorno, 1841, pp. 326, 330, la prescrizione sarebbe
solo un’eccezione capace di paralizzare l’azione del creditore anche in funzione di
sanzione per l’inerzia del creditore, ma farebbe presumere l’estinzione ed il soddisfaci-
mento del credito (così da impedire, ad esempio, la compensazione del credito prescritto
con un controcredito, purché i presupposti della compensazione si siano realizzati dopo
la maturazione della prescrizione).
La questione teorica se la prescrizione estingua il diritto oppure l’azione [su cui v.
già VON SAVIGNY, Sistema del diritto romano attuale (trad. italiana di Scialoja), V, Torino,
1893, pp. 228 ss., 417 ss.] ha rilevanza pratica soprattutto in materia di diritto
internazionale privato, perché la natura processuale dell’istituto imporrebbe al giudice
di applicare la lex fori anche qualora il rapporto fosse disciplinato da una legge straniera:
CALZOLAIO, La riforma della prescrizione in Francia nella prospettiva del diritto privato
europeo, in questa rivista, 2011, p. 1092. Orbene, la Corte costituzionale, nel prendere
posizione sull’argomento, ha affermato che « la prescrizione opera sul terreno sostan-
ziale del diritto, non su quello della sua protezione processuale » (così in Corte cost., 30
giugno 1988, n. 732, in Giur. it., 1989, I, 1, c. 16).
Per una rassegna delle opinioni tradizionali sulla ratio dell’istituto, già VON SAVIGNY,
op. cit., p. 309 ss.; GIORGI, op. cit., VIII, p. 345 ss. Per una critica, TESCARO, Decorrenza
della prescrizione e autoresponsabilità, cit., p. 8 ss.
« Quanto al tempo, esso [...] non è che una relazione, un modo d’essere del fatto;
non è esso stesso un fatto. [...] Così la prescrizione e l’usucapione non sono effetti
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prescrizione nel giorno in cui il diritto può farsi valere, accennerebbe


pertanto alla possibilità legale, « non influendo sul decorso della prescri-
zione, salve le eccezioni stabilite dalla legge, l’impossibilità di fatto di agire
in cui venga a trovarsi il titolare del diritto » (12).
In coerenza con questa premessa, l’art. 2947 c.c., il quale stabilisce che
il diritto al risarcimento da illecito aquiliano si prescrive « dal giorno in cui
il fatto si è verificato », sembra associare il computo dei termini prescri-
zionali ad un’evenienza squisitamente materiale (13). Il vocabolo « fatto »
potrebbe egualmente ed alternativamente riferirsi alla condotta lesiva, alla
lesione oppure alla complessiva fattispecie dannosa, ma ormai viene paci-
ficamente inteso in quest’ultima accezione (14), che trova riscontro in
alcune disposizioni specifiche (15).

giuridici del fatto tempo, ma rispettivamente dell’inerzia e del possesso, durati un certo
tempo » (così SANTORO-PASSARELLI, op. cit., p. 111 ss.).
(12) Così la Relazione al codice civile, n. 1198.
Nella dottrina italiana, v. l’opinione concorde di DE CUPIS, Il danno. Teoria
generale della responsabilità civile, II, Milano, 1979, p. 277 ss.; in quella francese, già
le argomentazioni di ordine storico svolte da BAUDRY-LACANTINERIE-TISSIER, Della prescri-
zione, in Trattato teorico-pratico di Diritto Civile di G. Baudry-Lacantinerie, trad. sulla
3ª edizione originale in corso di stampa da una Società di giuristi, a cura di Bonfante-
Pacchioni-Sraffa, Milano, s.d., p. 280 ss.
Nella giurisprudenza costituzionale, questa posizione è accolta in un obiter dictum
in Corte cost., 5 aprile 2012, n. 78, in Giur. it., 2012, p. 2283, con nota di RIZZUTI.
(13) DE CUPIS, op. cit., p. 274 ss.
(14) In dottrina, DEL SIGNORE (Contributo alla teoria della prescrizione, Padova,
2004, p. 53 ss.) e FRANZONI (L’illecito, in Trattato della resp. civ.2, diretto da Franzoni,
I, Milano, 2010, p. 38 ss.; ID., Il danno risarcibile, in Trattato della resp. civ.2, diretto
da Franzoni, II, Milano, 2010, p. 895 ss.), i quali aderiscono all’opinione maggioritaria
e propendono per la ricomprensione del danno nella nozione di « fatto » a cui l’art. 2047
c.c. collega il decorso della prescrizione. Nello stesso senso, già GIORGI, Teoria delle
obbligazioni nel diritto moderno italiano7, V, Firenze, 1909, p. 365.
In giurisprudenza, ex multis, Cass., 31 gennaio 2006, n. 2128, in Mass. Giust. civ.,
2006, p. 1.
Secondo MONATERI, La responsabilità civile, in Trattato dir. civ., diretto da Sacco,
Le fonti delle obbligazioni, 3, Torino, 1998, p. 373 ss., tuttavia, l’art. 2947 c.c. detta una
regola speciale in deroga a quelle generali degli artt. 2935 e 2946 c.c., sicché « nel caso
dell’azione di risarcimento il legislatore ha agganciato la decorrenza della prescrizione al
compimento degli elementi della fattispecie da cui deriva il danno, ma non al manife-
starsi del danno ». Negli artt. 2050, 2051, 2052 e 2053 c.c., invece, a differenza degli
artt. 2043, 2048 e 2049 c.c., « il legislatore non aggancia il sorgere dell’obbligo
risarcitorio alla menzione del fatto, in quanto elemento distinto dal danno che ne deriva,
ma indica immediatamente il danno. Perciò in questi casi anche l’esegesi dell’art. 2947
c.c., in quanto disposizione sull’actio necessariamente correlata alle disposizioni sulla
nascita dell’obbligazione risarcitoria, deve adeguarsi al mutato lessico legislativo ».
(15) Di « fatto dannoso » si parla ora nel comma 2º dell’art. 2947 c.c. (novellato
nel 2013), dove per i danni prodotti dalla circolazione dei veicoli di qualunque specie
non si prevede più solo una prescrizione di due anni, ma si aggiunge che « [i]n ogni caso
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Parte della dottrina, però, ha chiarito che la certezza dei rapporti


giuridici, esigenza a seconda dei casi pubblica o solo privata, è garantita più
che dalla prescrizione, la quale risente « della ragione subbiettiva del non
esercizio del diritto, cioè [del]la negligenza reale o supposta del titolare »
(che con il proprio comportamento mostra disinteresse verso il diritto), dal
diverso istituto della decadenza, la quale guarda unicamente « al fatto
obbiettivo del mancato esercizio [del diritto] dentro il termine prefisso »,
senza che rilevi una negligenza o una concreta impossibilità (16). L’inatti-
vità rileva per la prescrizione come situazione durevole nel tempo, mentre

il danneggiato decade dal diritto qualora la richiesta di risarcimento non venga presen-
tata entro tre mesi dal fatto dannoso, salvo i casi di forza maggiore ». Ebbene, sembra
ragionevole ritenere che tale « fatto dannoso » debba consistere nella piena integrazione
di una fattispecie di responsabilità aquiliana, comprensiva dunque di un pregiudizio, sia
perché il sostantivo « fatto » viene espressamente qualificato come « dannoso », sia
perché altrimenti sarebbe difficilmente giustificabile un così breve termine di decadenza.
L’art. 2393 c.c. dispone al comma 4º che l’azione sociale di responsabilità contro
gli amministratori di una società tanto di capitali quanto — dopo alcune dichiarazioni di
incostituzionalità (da ultimo, Corte cost., 11 dicembre 2015, n. 262, in www.corteco-
stituzionale.it) — di persone può essere esercitata entro cinque anni dalla cessazione
dalla carica, ma la decorrenza del termine prescrizionale, alla stregua dell’orientamento
preferibile, presuppone comunque la manifestazione del danno: Trib. Santa Maria
Capua Vetere, (ord.) 2 agosto 2012, in Il fallimentarista.
L’art. 2395 c.c. dispone che l’azione risarcitoria spettante al singolo socio o al terzo
direttamente danneggiati da atti colposi o dolosi degli amministratori di una società di
capitali « può essere esercitata entro cinque anni dal compimento dell’atto », ma anche
in tal caso, sebbene si parli di « atto » e non di « fatto », la giurisprudenza identifica il
dies a quo nella manifestazione del danno: Cass., 8 novembre 2005, n. 21639, in
Sistema leggi d’Italia.
Se però il fatto illecito non è « permanente », ossia caratterizzato da un evento
lesivo persistente nel tempo, bensì « istantaneo ad effetti permanenti », ossia caratteriz-
zato da un evento lesivo circoscritto nel tempo eppure in grado di avere riflessi
pregiudizievoli in diversi momenti, la prescrizione decorre dalla prima manifestazione
del danno, di cui le eventuali successive manifestazioni costituiscono solo uno sviluppo:
FRANZONI, L’illecito, cit., p. 49 ss. La distinzione tra le due tipologie di fatto illecito è ben
delineata in Cass., sez. un., 28 dicembre 2007, n. 27183, in Giust. civ., 2008, p. 888, in
cui si afferma che, « mentre nel fatto illecito istantaneo [il comportamento contra ius
dell’agente] è mero elemento genetico dell’evento dannoso e si esaurisce con il verificarsi
di esso, pur se l’esistenza di questo si protragga poi autonomamente (fatto illecito
istantaneo ad effetti permanenti), nel fatto illecito permanente il comportamento contra
ius [,] oltre a produrre l’evento dannoso, lo alimenta continuamente per tutto il tempo
in cui questo perdura, avendosi così coesistenza dell’uno e dell’altro [...] [L]a succes-
sione di un soggetto ad un altro in un rapporto, comportando il termine di una condotta
e l’inizio di un’altra, determina la cessazione della permanenza e l’inizio del decorso del
termine di prescrizione del diritto al risarcimento, nonché, ove il successore ponga in
essere, autonoma, analoga condotta illecita, l’insorgenza di un nuovo illecito perma-
nente [...] ».
(16) Così N. COVIELLO, op. cit., p. 478.
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per la decadenza rileva in un istante determinato, ossia nell’ultimo mo-


mento utile in cui il diritto potrebbe essere esercitato con un atto ti-
pico (17).
Le decadenze, che potrebbero anche risultare da pattuizioni nei limiti
fissati dall’art. 2965 c.c., sono invero insuscettibili sia di sospensione —
tranne che in ipotesi eccezionali — sia di interruzione (art. 2964 c.c.) (18).

Secondo SANTORO-PASSARELLI, op. cit., p. 121, la decadenza, a differenza della


prescrizione, « è ispirata non già dall’esigenza di conformare la situazione di diritto alla
situazione di fatto durata un tempo che la legge consideri all’uopo sufficiente, ma
piuttosto da quella di limitare nel tempo l’esercizio di un diritto [...], quando il sollecito
esercizio di quel diritto [mediante il compimento dello specifico atto previsto dalla legge
o dal negozio] sembri conveniente a un interesse superiore o individuale ».
La prescrizione è una causa generale di estinzione dei diritti connessa al non aver
« fatto valere » un diritto per un certo tempo, e serve a consolidare uno stato fattuale con
esso contrastante (ma — a dispetto di alcune opinioni dottrinali e come comprova
l’estinzione per non uso dei diritti reali minori — non necessariamente antigiuridico). La
decadenza, invece, concerne solo i diritti per i quali sia espressamente stabilita, decorre
sempre (non dall’incipiente inerzia del titolare, bensì) dalla loro nascita, non riprende a
decorrere una volta che sia stata impedita, e — salva l’eccezione contemplata per le
decadenze convenzionali dall’art. 2966 c.c. — può essere impedita esclusivamente da un
determinato atto di esercizio previsto dalla legge per quel particolare diritto (non da un
qualunque atto idoneo a farlo valere). Pertanto, l’imposizione di un termine di deca-
denza assicura certezza sul tempo entro il quale l’atto di esercizio potrà essere compiuto,
in modo da consolidare uno stato giuridico attuale, ossia la titolarità del diritto, che in
qualche caso è strumentale alla rimozione di un’altrui situazione giuridica parimenti
attuale, la quale risulterebbe a propria volta consolidata nella contraria ipotesi in cui la
maturazione della decadenza facesse venir meno il diritto antagonista. Per una rassegna
delle tesi classiche sulla distinzione tra i due istituti, già PUGLIESE, op. cit., p. 286 ss.;
SANTORO-PASSARELLI, Prescrizione e decadenza (A proposito dell’art. 1531 cod. civ.), in
Riv. dir. civ., 1926, p. 556, secondo cui l’unico criterio distintivo tra i due istituti sarebbe
quello positivo della qualificazione legislativa caso per caso, mentre in assenza di una
chiara qualificazione si tratterebbe sempre di prescrizione, in quanto istituto generale;
per alcune considerazioni, altresì GIUSIANA, Decadenza e prescrizione, Torino, 1943, p.
8 ss.; ROSELLI, voce Decadenza (Diritto civile), in Enc. giur. Treccani, X, Roma, 1988,
p. 1; PANZA, voce Decadenza nel diritto civile, in Dig., disc. priv. - sez. civ., V, Torino,
1989, p. 132, il quale, tra l’altro, precisa che gli atti di esercizio impeditivi di una
decadenza possono consistere sia in atti di esercizio del diritto in senso stretto, sia in atti
c.d. singolari non corrispondenti al contenuto del diritto pur ampiamente inteso (come
una denuncia, una diffida o una riserva).
In giurisprudenza, Cass., 20 giugno 2008, n. 16945, in Riv. giur. edil., 2008, p.
1363.
(17) In senso critico, CAPONI, Gli impedimenti all’esercizio dei poteri giuridici
nella disciplina della decadenza, in Riv. dir. civ., 1997, I, p. 45.
(18) A marcare ulteriormente le differenze con la prescrizione, taluno ritiene che
la proposizione di una domanda giudiziaria non impedisca la decadenza in caso di
estinzione del processo (tra gli altri, PANZA, op. cit., p. 135 ss.), ma la questione è
controversa (ROSELLI, op. cit., p. 5 ss.).
— 1356 —

Nelle materie sottratte alla disponibilità delle parti, poi, la scadenza dei
termini decadenziali è irrinunciabile, mentre nelle materie permeabili
dall’autonomia privata, a differenza di quanto previsto per la prescrizione,
la rinuncia ad una decadenza è sempre un negozio bilaterale e, quindi, non
può provenire unilateralmente dall’interessato (art. 2968 c.c.) (19). Nelle
materie sottratte alla disponibilità delle parti, inoltre, una decadenza che
comporti l’improponibilità dell’azione è rilevabile d’ufficio dal giudice (art.
2969 c.c.).
I termini prescrizionali, invece, sono inidonei a soddisfare un interesse
tanto pubblico quanto solo privato ad ovviare all’incertezza sull’esistenza o
sull’esercizio di un diritto, perché la situazione di dubbio, oltre che per una
causa di sospensione (artt. 2941 e 2942 c.c.), è prorogabile a piacimento
sia dal titolare del diritto con ripetuti atti interruttivi (artt. 2943 ss. c.c.),
sia da colui contro il quale il diritto potrebbe essere vantato con la rinuncia
alla prescrizione (art. 2937 c.c.) oppure con la mancata opposizione
dell’eccezione di prescrizione (art. 2938 c.c.) (20).
Oltretutto, l’assoluta inderogabilità del regime della prescrizione, che
neppure il consenso del beneficiario potrebbe modificare (art. 2936 c.c.),
sarebbe indecifrabile laddove tutelasse in concreto un’esigenza soltanto
privata di certezza, tanto più che il regime della decadenza dei diritti
disponibili è viceversa derogabile (art. 2968 c.c.) (21).
La chiave di lettura dell’istituto si rinviene nell’essenza funzionale
delle cause di interruzione della prescrizione, ossia degli « atti di esercizio
del diritto » ex art. 2943 c.c. e del suo « riconoscimento » da colui contro
il quale può essere fatto valere ex art. 2944 c.c., le quali soltanto acciden-
talmente soddisfano l’interesse enucleato nella situazione di vantaggio e,

(19) La struttura bilaterale della rinuncia alla decadenza sostiene l’idea di una
reviviscenza del diritto già estintosi per il decorso del termine: PANZA, op. cit., p. 140.
(20) Sotto l’aspetto dell’illimitata prolungabilità del termine prescrizionale del
diritto da parte del soggetto passivo, si noti l’assenza di una regola omogenea a quella
dettata per la remissione del debito dall’art. 1236 c.c., secondo cui il debitore che non
voglia profittare della remissione è tenuto a dichiararlo « in un congruo termine ».
(21) P. TRIMARCHI, Prescrizione e decadenza, in Jus, 1956, p. 232 ss., il quale
ritiene che l’istituto della prescrizione soddisfi l’interesse di ordine pubblico « ad evitare
che si prolunghi troppo nel tempo la soggezione di un patrimonio a pretese altrui, con
conseguente diminuzione della mobilità dei beni che lo costituiscono e, quindi, della loro
funzionalità economica [...]. Il che non impedisce di spiegarsi perché la prescrizione sia
rinunciabile, dopo che si è verificata, e non rilevabile d’ufficio: infatti l’esigenza di ordine
pubblico alla quale risponde la prescrizione è quella che, se il titolare di un diritto non
lo esercita per il tempo stabilito dalla legge, il soggetto passivo possa, dopo scaduto il
termine, essere certo che il proprio patrimonio non è più soggetto alla pretesa altrui, e
possa sentirsi libero di disporne: è a tale possibilità che il privato non può rinunciare.
[...] Ma una volta che la prescrizione si è verificata, proprio perché il soggetto passivo
ha riacquistato libertà è libero, se vuole, anche di adempiere nonostante la prescrizione,
o di rinunciare alla prescrizione stessa, o di non eccepirla in giudizio ». Analoghe ragioni
di efficienza economica venivano addotte già da PUGLIESE, op. cit., p. 22 ss.
— 1357 —

piuttosto, sono accomunate dall’affermazione della stessa e dalla rievoca-


zione della correlata situazione di svantaggio (22). Se così è, la vera ratio
della prescrizione consiste nel tutelare con la liberazione (23), o ad ogni
modo con la preclusione di pretese tardive (24), il soggetto subalterno il
quale, dopo una protratta inerzia del titolare del diritto, nutra un affida-

(22) Già per FADDA-BENSA, Note dei traduttori al libro secondo, appendice a
WINDSCHEID (trad. italiana di Fadda-Bensa), Diritto delle pandette1, I, Torino, 1902, p.
1109, « unica è la ragione dell’interruzione: l’avverarsi di un fatto che accerti la vitalità
del diritto e ne ponga in chiaro la sussistenza. Che ciò risulti dall’attività del creditore o
da quella del debitore è irrilevante ».
(23) Di un « diritto (soggettivo) alla liberazione », ricavabile in via esegetica, parla
MESSINEO, Variazioni sul concetto di « rinunzia alla prescrizione » (art. 2937, comma 1º,
c.c.), in questa rivista, 1957, p. 505.
(24) Sull’efficacia preclusiva di accertamento della prescrizione, che soltanto
eventualmente produce effetti estintivi, FALZEA, voce Accertamento (Teoria generale), in
Enc. dir., I, Milano, 1958, p. 209 ss., secondo cui « la situazione giuridica statuita dalla
norma sorge indipendentemente dalla (conformità o difformità della) situazione giuri-
dica preesistente », perché l’effetto preclusivo « rappresenta il limite entro il quale la
esigenza di continuità della realtà giuridica può essere mantenuta senza che si creino
insormontabili intralci nella vita della comunità ». L’impostazione del Falzea è ripresa da
VITUCCI, La prescrizione, I, Artt. 2934-2940, in Comm. c.c., diretto da Schlesinger,
Milano, 1990, p. 20 ss., il quale, dopo aver rilevato che la prescrizione è opponibile dal
convenuto qualora l’attore eserciti tardivamente tanto un diritto che è sorto e non si è
ancora estinto per altra causa, quanto un diritto che non è mai sorto, oppure che è sorto
e si è tuttavia estinto altrimenti (ad esempio, per adempimento o per transazione),
precisa che lo scopo dell’istituto è troncare le controversie intempestive, senza indagini
sulla fondatezza della pretesa fatta valere.
Già WINDSCHEID, op. cit., p. 423 ss., affermava « che le circostanze, alle quali la
prescrizione imprime il suggello della conformità al diritto, non ne erano necessaria-
mente difformi. [...] Il tempo non solamente sana, ma oscura eziandio ». Anche POTHIER,
op. cit., p. 327 ss., riteneva che la prescrizione fosse solo un’eccezione volta sia a limitare
« la premura che deve avere un debitore di conservare le quietanze che costituiscono la
prova del pagamento da lui fatto », sia a costituire « una pena della negligenza del
creditore ».
Sulla stessa lunghezza d’onda, v. inoltre, a proposito del codice del 1865, PUGLIESE,
op. cit., p. 37 ss., nonché, a proposito dell’originario Code Napoléon, BAUDRY-LACANTI-
NERIE-TISSIER, op. cit., p. 20 ss., i quali osservano come da questo punto di vista la
prescrizione si fondi almeno in parte su una presunzione di liberazione.
Contra, GRASSO, op. cit., p. 68 ss., secondo il quale « non si vede come possa negarsi
la natura estintiva dell’effetto prodotto dalla prescrizione nell’ipotesi, infrequente ma
non impossibile, in cui la prescrizione venga eccepita successivamente all’accertamento
della esistenza del rapporto pregresso », sicché sarebbe « poco plausibile che lo stesso
fatto possa produrre a volte un effetto estintivo ed altre volte un effetto di diversa
natura ».
— 1358 —

mento nella circostanza che questi si asterrà dal vantare pure nel fu-
turo (25).
Ciò trova conferma in due considerazioni.
In primo luogo, l’interruzione giudiziale o stragiudiziale della prescri-
zione, a prescindere dalla natura del diritto esercitato, è sempre un atto
recettizio che deve giungere alla conoscenza almeno legale, ancorché non
effettiva, della controparte (26). Le sezioni unite della Corte di cassazione,
sulla scorta del principio di ragionevolezza ed in esito ad un bilanciamento
di interessi tra le parti contrapposte, hanno statuito un’eccezione solo per
i diritti suscettibili di essere fatti valere esclusivamente con un atto pro-
cessuale, perché in questi casi basta la consegna dell’atto all’ufficiale
giudiziario, a condizione che il procedimento di notifica si perfezioni (27).
In secondo luogo, l’interruzione della prescrizione richiede la suffi-
ciente specificazione del diritto che viene fatto valere (28). E nel caso di un
diritto c.d. eterodeterminato va individuata la fattispecie costitutiva (29).
Quanto detto sulla ratio dell’istituto si rispecchia in quella dottrina
che, nell’illustrare la nozione ex art. 2934 c.c. di « non esercizio del
diritto » (presupposto della sua prescrizione) mercé il coordinamento con

(25) GRASSO, op. cit., p. 56 ss.; DEL SIGNORE, op. cit., pp. 98 ss., 175 ss. La
prescrizione veniva rimirata dall’angolazione del soggetto passivo già da PUGLIESE, op.
cit., p. 26 ss.
(26) ORIANI, Processo di cognizione e interruzione della prescrizione, Napoli,
1977, pp. 181 ss., 311 ss.
(27) Cass., sez. un., 9 dicembre 2015, n. 24822, in www.cortedicassazione.it, in
cui la portata dell’art. 1334 c.c. è stata limitata ai soli atti unilaterali negoziali.
In precedenza, la giurisprudenza maggioritaria esprimeva un orientamento contra-
rio: Cass., 29 novembre 2013, n. 26804, in DVD iuris data, in cui si era statuito che il
principio della recettizietà degli atti unilaterali di esercizio di un diritto opera anche per
i diritti potestativi, e che la scissione soggettiva degli effetti della notificazione di una
citazione in giudizio, la quale permette di ritenere perfezionata la notifica per il
notificante nel momento della consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario e per il notifi-
cato nel momento in cui questi ne abbia conoscenza legale, riguarda solo gli effetti
processuali e non quelli sostanziali.
(28) In dottrina, con riguardo ai limiti oggettivi dell’efficacia interruttiva della
prescrizione prodotta da una domanda giudiziale, è stato rilevato che « [l]’interruzione
opera sul diritto dedotto in giudizio, e non è in grado di estendersi ad altri diritti che
l’attore vanti nei confronti del convenuto e successivamente faccia valere », giacché
qualche dubbio su una soluzione più estensiva potrebbe nutrirsi al massimo per il
semplice mutamento della qualificazione giuridica dei fatti costitutivi del diritto azionato
(come in caso di mero concorso di norme), ossia per la causa petendi in senso
strettamente normativo (così ORIANI, op. cit., p. 318 ss.).
In giurisprudenza, sulla portata oggettiva dell’atto interruttivo, in tal senso Cass.,
sez. lav., 27 giugno 1997, n. 5733, in DVD iuris data.
(29) Trib. Taranto, 10 gennaio 2015, in www.ilcaso.it; nonché Trib. Roma, 14
aprile 2004 (Soc. Toro Assicur./S.) e Corte conti, 19 febbraio 1992, n. 39, in DVD iuris
data.
— 1359 —

la nozione ex art. 2935 c.c. di « possibilità di far valere il diritto » (da cui
decorre il termine prescrizionale) (30), risolve l’esercizio del diritto idoneo
ad interrompere la prescrizione nel farlo valere a scapito di qualcuno, così
da disconoscere rilevanza interruttiva a leciti atti di godimento che inter-
sechino solo la sfera dell’avente diritto e, quindi, siano neutri per i
controinteressati (31). La legge collega il decorso della prescrizione talvolta
alla possibilità di realizzare il diritto, che ovviamente dev’essere esistente
ed attuale, con un atto di esercizio, e talvolta alla necessità di reagire alla
lesione del diritto (32), ma in entrambi i gruppi di ipotesi l’inerzia del
titolare denota il suo disinteresse verso la situazione giuridica. L’atto
interruttivo proveniente dall’avente diritto, insomma, deve sostanziarsi in
una ravvivata compressione della sfera giuridica altrui che faccia constare
la volontà di conservare la posizione di vantaggio in corso di prescri-
zione (33).
D’altronde, l’imprescrittibilità della proprietà, che è la regina dei diritti
patrimoniali disponibili, si spiega — a tacere di ulteriori eventuali ra-
gioni (34) — sia perché l’estinzione di una situazione dominicale non
avvantaggerebbe alcuno che in sua costanza permanga obbligato o gra-

(30) Sulla difficoltà del concetto di « inerzia » ai fini della prescrizione per la non
univoca terminologia adoperata negli artt. 2934 e 2935 c.c., nonché sull’opportunità di
riconoscere come maggiormente significativa la nozione accolta nella seconda disposi-
zione, PANZA, voce Prescrizione, in Dig., disc. priv., sez. civ., XIV, Torino, 1996, p. 230
ss., il quale, tra l’altro, preferisce collocare l’istituto della prescrizione, in base alla teoria
della duplicità tra azione e diritto, sul piano processuale piuttosto che su quello
sostanziale. Inoltre, già ORIANI, op. cit., p. 14 ss., osservava che l’impiego dell’equivoca
nozione di « non esercizio del diritto » è probabilmente servita al legislatore per
ricomprendere nell’àmbito applicativo della prescrizione il non uso dei diritti reali
minori.
(31) « Il proprietario che coglie un fiore sul suo campo, o l’usufruttuario che
passeggia nel suo opificio, questi sono soggetti che non esercitano il proprio diritto. In
altre parole occorre che il diritto sia realizzato, almeno nel suo contenuto essenziale: solo
in mancanza di tale comportamento può parlarsi di vera e propria inerzia » (così
AURICCHIO, Appunti sulla prescrizione, Napoli, 1971, pp. 16 ss., 93 ss., il quale, dopo
aver osservato che l’inerzia è un comportamento giuridico permanente a cui solo in virtù
di una finzione potrebbe associarsi l’esistenza o l’inesistenza di una costante volonta-
rietà, tanto che l’ordinamento si limita a richiedere la mancanza della manifestazione di
una volontà contraria tramite atti recettizi, aggiunge che, comunque, l’inerzia acquista
rilevanza giuridica allorché assuma oggettivamente i caratteri di un comportamento
concludente nei confronti della controparte).
(32) MURGO, op. cit., p. 108 ss.
(33) Già GIORGI, op. cit., VIII, p. 416 ss.
(34) Secondo la tradizione, la proprietà è imprescrittibile in quanto nel contenuto
essenziale del diritto rientrerebbe anche la scelta sovrana di non esercitarne le facoltà,
ma l’imprescrittibilità risponde anche ad un criterio di semplificazione e di certezza,
giacché l’ampia rimessione al proprietario delle scelte sul momento e sulle modalità di
esercizio del diritto renderebbe estremamente complicata e fonte di litigiosità l’indivi-
— 1360 —

vato (35), sia perché è impossibile far valere il diritto di proprietà verso terzi
fintantoché il proprietario non perda il possesso della cosa (36).
L’enunciata ratio della prescrizione, a ben vedere, ha una sponda nel
diverso e controverso istituto della perpetuità dell’eccezione di annullabi-
lità di un contratto ai sensi dell’art. 1442, ult. cpv., c.c., che dopo la
prescrizione del diritto all’annullamento, e quindi della relativa azione,
tutela la parte già legittimata a domandare l’invalidità del contratto non
impugnato, e tuttavia ineseguito, con la facoltà di paralizzare la pretesa di
adempimento della controparte (37). Il contraente che non ha chiesto
l’esecuzione dell’atto annullabile in pendenza dei termini per l’impugna-
zione, infatti, può aver ingenerato nell’altro stipulante, che avrebbe potuto
far valere l’invalidità, l’affidamento che il contratto — sebbene sia fonte di
diritti non ancora prescritti (al contrario del diritto alla caducazione degli
effetti negoziali) — rimarrà comunque lettera morta. Pertanto, la perpe-
tuità fa dell’eccezione di annullamento un rimedio — non importa ora se
sostanziale o processuale — idoneo a sventare la realizzazione di un assetto
d’interessi iniquo (forse in conformità al medesimo senso di giustizia che
ha suggerito di estrapolare dal sistema, nonostante questa volta il silenzio
del legislatore, l’exceptio doli generalis seu praesentis (38) ).
L’inderogabilità della disciplina della prescrizione, poi, evita che una
parte c.d. debole, debitrice così come creditrice, venga sopraffatta con patti
giugulatori (39), i quali laddove la vulnerabilità concerna il debitore po-
trebbero boicottare l’effetto prescrittivo anteriormente all’esaurimento del
termine.
La cogenza del regime legale, però, è un semplice indizio sul valore
delle norme (40), che in tal caso non depone per la rispondenza tout court
dell’istituto della prescrizione all’ordine pubblico.
Sotto il previgente codice, in carenza di una disposizione come l’art.
2936 c.c., l’ordine pubblico era appunto invocato per negare validità ai
patti con i quali si volesse derogare alla disciplina della prescrizione, in
parallelo con la nullità della rinuncia anche unilaterale del soggetto passivo

duazione del dies a quo di un termine prescrizionale: GAMBARO, La proprietà. Beni,


proprietà, comunione, Milano, 1990, p. 102 ss.
(35) Già N. COVIELLO, op. cit., p. 454; nonché GRASSO, op. cit., p. 61 ss.
(36) CHIOVENDA, op. cit., p. 61.
(37) L’eccezione è il mezzo « con cui si respinge una pretesa diretta ad alterare lo
stato di fatto che ci è favorevole. Chi sta bene nel fatto non ha bisogno di agire; ma se
viene inquietato si difende con l’eccezione, la quale non può essere prescritta, perché
fino a quel momento non c’era stato mai il bisogno di promuoverla » (così già GIORGI, op.
cit., VIII, p. 383).
(38) DOLMETTA, voce Exceptio doli generalis, in Enc. giur. Treccani, XIII, Roma,
1989, p. 1.
(39) Già PUGLIESE, op. cit., p. 259 ss.
(40) PANZA, voce Ordine pubblico (Teoria generale), in Enc. giur. Treccani, XXII,
Roma, 1990, p. 5 ss.; nonché l’approfondita disamina di GUARNERI, voce Ordine
Pubblico, in Dig., disc. priv., sez. civ., XIII, Torino, 1995, p. 154.
— 1361 —

ad una liberazione non ancora matura (41). Tuttavia, l’inammissibilità della


rinuncia ante tempus alla prescrizione è comprensibile, mentre un genera-
lizzato richiamo all’ordine pubblico mal si concilierebbe con la necessità di
eccepire l’avvenuto decorso del termine (42), nonché con l’abdicabilità
della prescrizione ormai perfetta e — sebbene questo sia un argomento
confutabile — con l’esistenza di aree immuni dal fenomeno prescrit-
tivo (43).
All’unisono con la giurisprudenza, allora, « sembra del tutto inevita-
bile convenire con quegli autori che — nonostante l’esplicito riferimento
contenuto nella Relazione al codice e l’autorevolezza della contrapposta
dottrina schierata a difesa della natura pubblicistica dell’istituto — hanno
realisticamente colto, nella prescrizione, più pragmatiche finalità di tutela
di un interesse sostanzialmente privato, quello, cioè, da un canto, del
soggetto passivo di un rapporto giuridico a ritenersi libero da vincoli in
conseguenza del decorso “ del tempo stabilito dalla legge ”, dall’altro, del
soggetto attivo portatore di una incomprimibile facoltà di impedire il
realizzarsi dell’effetto estintivo attraverso una inequivoca dichiarazione/
manifestazione di volontà (qual che essa sia) dimostrativa dell’intento di
esercitare il proprio diritto » (44).
La decorrenza del termine prescrizionale dall’evento in senso mate-
riale, dunque, non è un dogma ispirato dall’ordine pubblico in funzione
della certezza dei rapporti giuridici.

(41) Più articolata è l’opinione di BAUDRY-LACANTINERIE-TISSIER, op. cit., pp. 78 ss.,


88, secondo i quali « [l]’ordine pubblico esige, in generale, [...] che il tempo della
prescrizione non sia aumentato con una rinuncia anticipata, ma non esige punto che non
sia abbreviato. La convenzione delle parti, dunque, qui deve adempiersi », a meno che
la legge, allo scopo di evitare in taluni casi abusi, non comprima o sopprima l’abbre-
viabilità di uno specifico termine prescrizionale.
Secondo GIORGI, Teoria delle obbligazioni nel diritto moderno italiano7, III,
Firenze, 1907, p. 440 ss., invece, il divieto di rinuncia anticipata alla prescrizione
risponderebbe ad esigenze di ordine pubblico, al pari dell’intero istituto.
(42) Già BAUDRY-LACANTINERIE-TISSIER, op. cit., p. 42 ss., i quali spiegano che, sotto
questo aspetto, non sussiste alcuno iato, appunto perché « non si deve considerare, in un
processo di interessi privati, il mezzo desunto dalla prescrizione come se fosse d’ordine
pubblico ».
(43) AURICCHIO, op. cit., pp. 39 ss., 56 ss., 77 ss., il quale — al pari già di N.
COVIELLO, op. cit., p. 460 — avverte che, tuttavia, la rinuncia preventiva, in virtù della
convertibilità del negozio nullo ai sensi dell’art. 1424 c.c., vale come atto interruttivo;
VITUCCI, op. cit., p. 178 ss.
(44) Così in Cass., 18 gennaio 2011, n. 1084, in Corr. giur., 2011, p. 488, con nota
di DI MAJO, nella quale è stato coerentemente statuito che l’instaurazione di un giudizio
può produrre un effetto interruttivo-sospensivo della prescrizione, ex art. 2945 c.c.,
anche rispetto ad un diritto diverso da quello azionato, purché l’esercizio del diritto
dedotto in giudizio rappresenti un comportamento con cui il titolare manifesta inequi-
vocabilmente l’intendimento di esercitare altresì quello non azionato.
— 1362 —

3. — Nella giurisprudenza della Corte eur. dir. uomo ed in quella


della Corte giust., che sono vincolanti per i giudici italiani (45), è emerso un
orientamento secondo cui l’inizio della decorrenza di un termine prescri-
zionale è subordinato alla conoscenza, o quantomeno all’oggettiva cono-
scibilità secondo l’ordinaria diligenza e tenuto conto delle diffuse acquisi-
zioni scientifiche, della totale integrazione della fattispecie costitutiva del
diritto prescrivibile da parte di chi ne sia il titolare. La prima Corte, infatti,
ritiene che il diritto di ogni persona « a che la sua causa sia esaminata »,
sancito dall’art. 6 Cedu, prevalga sull’esigenza di certezza del diritto,
mentre la seconda Corte valorizza sia il principio di effettività della tutela
giurisdizionale dei diritti al lume del principio di ragionevolezza, sia il
principio di equivalenza tra situazioni giuridiche di diritto interno e situa-
zioni giuridiche di diritto comunitario sul piano della protezione che gli
Stati membri devono apprestare nei loro confronti (46).
Il medesimo orientamento, seppur spesso con motivazioni criptiche, si
è affermato anche nella giurisprudenza domestica: essa, del resto, era già
riluttante all’assoluta irrilevanza degli impedimenti di fatto sul decorso
della prescrizione, soprattutto in alcuni settori nei quali occorre proteggere
più intensamente il titolare di un diritto, ad esempio qualora quest’ultimo
spetti alla parte debole di un rapporto contrattuale o abbia natura perso-
nalissima (47). D’altronde, nei rapporti di durata fra soggetti dotati di

(45) Oltre alla limitazione di sovranità dell’Italia per la sua appartenenza alla
Unione europea ai sensi dell’art. 11 cost., bisogna infatti considerare che, ai sensi
dell’attuale art. 117, comma 1º, cost., « [l]a potestà legislativa è esercitata dallo Stato e
dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordina-
mento comunitario e dagli obblighi internazionali ». In proposito, nella giurisprudenza
costituzionale, Corte cost., 22-24 ottobre 2007, nn. 348 e 349, in Foro it., 2008, I, c. 39,
con note di ROMBOLI, TRAVI, CAPPUCCIO e GHERA.
Sul necessario adeguamento dell’ordinamento italiano anche alle statuizioni con-
tenute nelle pronunce della Corte giust. e della Corte eur. dir. uomo, in dottrina, quanto
alle prime, VERRILLI (a cura di), Diritto dell’Unione Europea. Aspetti istituzionali e
politiche comuni13, Napoli, 2005, pp. 127 ss., 167 ss.; CONSOLO, Il primato del diritto
comunitario può spingersi fino a intaccare la « ferrea » forza del giudicato sostanziale?,
in Corr. giur., 2007, p. 1189; quanto alle seconde, LUPO, La vincolatività delle sentenze
della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo per il giudice interno e la svolta recente della
Cassazione civile e penale, in Cass. pen., 2007, p. 2247. In generale e per una rassegna
giurisprudenziale, SALVATO, Il rapporto tra norme interne, diritto dell’UE e disposizioni
della CEDU: il punto sulla giurisprudenza, in Corr. giur., 2011, p. 333.
(46) BONA, Appunti sulla giurisprudenza comunitaria e CEDU in materia di
prescrizione e decadenza: il parametro della « ragionevolezza », in Resp. civ. e prev.,
2007, p. 1709.
(47) Per opportuni riferimenti alla giurisprudenza italiana anteriore alle sezioni
unite di cui si dirà appresso, TESCARO, op. ult. cit., p. 52 ss.; nonché, con specifico
riguardo al settore giuslavoristico (dove si segnala Corte cost., 10 giugno 1966, n. 63, in
Riv. giur. lav., 1966, II, p. 369, con nota di BIGLIAZZI GERI); CAPONI, Gli impedimenti
all’esercizio dei diritti nella disciplina della prescrizione, in Riv. dir. civ., 1966, I, p. 744
— 1363 —

diseguale forza contrattuale, dove la parte svantaggiata potrebbe avere


interesse alla prosecuzione del rapporto, il legislatore stabilisce spesso che
un termine di prescrizione o di decadenza decorra soltanto dalla cessazione
del vincolo, come accade per alcuni diritti del lavoratore subordinato o del
conduttore di un immobile locato (48).
La posticipazione del decorso prescrizionale, però, può valere solo se
una contraria soluzione non sia imposta o da esplicite disposizioni di legge
o dalla necessità di preservare la coerenza del sistema (49). Quanto alla
prima ipotesi, basti pensare alla prescrizione annuale della garanzia per vizi
nella compravendita, che ai sensi del comma 3º dell’art. 1495 c.c. decorre
inesorabilmente « dalla consegna » della cosa oggetto del contratto (50).
Quanto alla seconda ipotesi, basti pensare alla previsione di formalità
pubblicitarie che, se onorate, giustificano la presunzione legale di cono-
scenza di un determinato fatto da parte dei terzi, compreso il terzo che per
effetto di quel fatto abbia acquisito la situazione giuridica esposta alla
prescrizione (51).
Il criterio strettamente oggettivo con cui verificare la pregressa inco-
noscibilità della fattispecie costitutiva di un diritto, oltre a negare indul-
genza all’ignaro titolare carente di scrupolo, esclude che l’ostacolo alla
maturazione della prescrizione vulneri un affidamento della controparte
circa il futuro inesercizio di quella situazione giuridica. Invero, neanche il
soggetto passivo era in grado di appurare se il diritto fosse sorto, sicché egli
non poteva ravvisare nell’atteggiamento del suo titolare una inerzia in
senso tecnico.
In proposito, va considerata la pronuncia delle sezioni unite della Corte
di cassazione sulla responsabilità per danni c.d. lungolatenti, i quali pren-
dono corpo molto tempo dopo l’evento lesivo. Astraendo dal tema delle
pronunce, è stato affermato che nessuna prescrizione potrebbe decorrere nei
confronti di chi ignori incolpevolmente di essere titolare di un diritto (52),

ss., il quale rileva che talvolta gli artt. 3 e 24, comma 1º, cost. impongono l’adeguamento
correttivo della disciplina codicistica in materia di decorrenza dei termini prescrizionali
in presenza di impedimenti economico-sociali all’esercizio di un diritto; PANZA, Contri-
buto allo studio della prescrizione, Napoli, 1984, p. 27 ss.
Per la giurisprudenza costituzionale in materia di diritti personalissimi, come
quello al disconoscimento della paternità, Corte cost., 21-25 novembre 2011, n. 322, in
Corr. giur., 2012, p. 119.
(48) VITUCCI, op. cit., p. 162 ss.
(49) Per una rassegna, MURGO, op. cit., p. 122 ss.
(50) Cass., 10 marzo 2011, n. 5732, in DVD iuris data.
(51) Con riguardo all’azione revocatoria, il cui termine di prescrizione, rispetto
all’impugnazione di atti pregiudizievoli soggetti ad un regime pubblicitario, deve iniziare
a decorrere — a prescindere dal tenore letterale dell’art. 2903 c.c. — dal giorno della
pubblicità dell’atto e non da quello della sua stipulazione, Cass., 19 gennaio 2007, n.
1210, in Nuova giur. civ. comm., 2007, I, p. 1152, con nota di AVANCINI.
(52) Il riferimento è a Cass., sez. un., 11 gennaio 2008, n. 581, in Resp. civ. e
prev., 2008, p. 827, con nota di GRECO, nella quale, a proposito del diritto al risarcimento
— 1364 —

sebbene i margini della sua vicenda estintiva vengano così devoluti alla di-
screzionalità giudiziale.
Si tratta di un revirement opportuno soprattutto con riguardo alle
pretese di responsabilità, perché la disciplina della prescrizione, vistosa-
mente sagomata sulla figura classica di illecito alla cui stregua evento lesivo
e conseguenze dannose si verificano nel medesimo segmento temporale, è
inadeguata a fronte delle nuove tipologie di pregiudizio, dei progressi della
scienza (ed in specie della medicina legale) nell’appurare il nesso eziolo-
gico, nonché dei sopravvenuti princìpi costituzionali o di rango altrimenti
sovraordinato (53).

per contagio da emotrasfusione, viene precisato che il termine prescrizionale deve


iniziare a decorrere dal momento in cui la malattia, da un lato, si manifesta all’esterno
e, dall’altro, è percepita o può essere percepita, usando l’ordinaria diligenza e tenuto
conto della diffusione delle conoscenze scientifiche, quale conseguenza del comporta-
mento colpevole di un terzo. Pertanto, bisogna applicare, unitamente al principio della
« conoscibilità del danno » (parametro interno al soggetto), quello della « rapportabilità
causale » (parametro esterno al soggetto); e ciò vale sebbene entrambi i parametri, da
intendere in senso oggettivo, debbano essere « verificabili dal Giudice senza scivolare
verso un’indagine di tipo psicologico. In particolare, per quanto riguarda l’elemento
esterno delle comuni conoscenze scientifiche esso non andrà apprezzato in relazione al
soggetto leso, [...] ma in relazione alla comune conoscenza scientifica che in merito a tale
patologia era ragionevole richiedere in una data epoca ai soggetti a cui si è rivolta (o
avrebbe dovuto rivolgersi) la persona lesa » (così al n. 3.3).
In giurisprudenza, anche Cass., 2 febbraio 2007, n. 2305, in Resp. civ. e prev.,
2007, p. 1605, con nota di R. BIANCHI; Cass., 21 febbraio 2003, n. 2645, in Danno e
resp., 2003, p. 845, con nota di RIGHETTI e postilla di IZZO; Trib. Torino, 14 marzo 2007,
in Resp. civ. e prev., 2007, p. 1371, con nota di GRECO; Trib. Rimini, 22 luglio 2006,
Trib. Urbino, 20 giugno 2006, in Foro it., 2006, I, c. 3257; Trib. Roma, 26 marzo 2002,
in Corr. giur., 2003, p. 1633, con nota di FILOGRANA. Sulla decorrenza della prescrizione
dall’oggettiva conoscibilità dell’avvenuta integrazione della fattispecie costitutiva del
diritto, in generale Cass., sez. lav., 31 maggio 2010, n. 13284, in Giur. it., 2011, p. 1845,
con nota di MURRONE.
Contra, sul credito ad un maggiore trattamento pensionistico, Cass., sez. lav., 27
giugno 2011, n. 14163 (riassunta in Obbl. e contr., 2011, p. 700, con nota di GENNARI),
la cui stringatissima motivazione, nella quale la sentenza delle sezioni unite del 2008 non
viene neppure menzionata e ci si limita a richiamare la giurisprudenza precedente, desta
però il sospetto che il Collegio fosse totalmente all’oscuro del più recente orientamento
sul tema generale della prescrizione; in materia di prescrizione contrattuale, Cass., 28
gennaio 2004, n. 1547, in Danno e resp., 2004, p. 389, con nota di MONATERI.
In dottrina, TESCARO, Osservazioni in tema di decorrenza della prescrizione e
autoresponsabilità, in Stud. jur., 2007, p. 255; LEPORE, Prescrizione, decadenza e
« giusto rimedio », in Rass. dir. civ., 2012, p. 692 ss.
(53) BUFFONE, Prescrizione del diritto al risarcimento dei danni lungolatenti, in
Resp. civ. e prev., 2008, p. 1269.
— 1365 —

4. — A rigore, le cause che paralizzano l’esordio della prescrizione


sono circostanze « obbiettive e inerenti al diritto stesso, che ne rendono
impossibile l’esperimento », e quelle che ne sospendono il termine sono
circostanze « non [...] inerenti al diritto stesso o al rapporto giuridico, ma
alle persone che sono i soggetti del rapporto giuridico sottoposto alla
prescrizione » (54).
Nondimeno, a parte la questione dogmatica se gli impedimenti di fatto
all’esercizio di un diritto vadano più correttamente inquadrati tra le cause
che spostano in avanti il dies a quo o tra quelle che sospendono il decorso
della prescrizione (55), l’impostazione ora accolta dalla giurisprudenza sia
europea sia domestica si allinea tanto ad alcune riforme attuate in altri

(54) Le definizioni virgolettate sono di N. COVIELLO, op. cit., p. 463.


(55) Secondo BUFFONE, op. cit., p. 1278, la lungolatenza dovrebbe essere qualifi-
cata più correttamente come causa di sospensione della prescrizione anziché come causa
che ne impedisce fin dall’inizio il decorso, giacché il dies a quo della prescrizione
coincide con l’inerzia del titolare del diritto ed il problema concerne la regolamentazione
degli effetti del tempo dal fatto dannoso (cioè dalla materiale verificazione del pregiu-
dizio), quando un’oggettiva inerzia già sussiste, alla percepibilità del danno da parte del
danneggiato.
PANZA, op. ult. cit., p. 23 ss., spec. p. 55 ss., valorizzando l’art. 2935 piuttosto che
l’art. 2934 c.c., recupera la rilevanza a fini prescrizionali degli impedimenti di fatto
attraverso un concetto di inerzia del titolare del diritto come comportamento conclu-
dente, manifestazione di disinteresse ad agire per la tutela e la conservazione del diritto
più che per il suo esercizio, giacché la presenza di impedimenti di fatto escluderebbe
l’univocità secondo buona fede della condotta inerte.
Alcuni aa., invece, preferiscono smussare la generale irrilevanza degli impedimenti
di fatto non sul fronte dell’aggressione alla regola in materia di dies a quo della
prescrizione, bensì su quelli dell’ampliamento delle ipotesi di sospensione piuttosto che
dell’elaborazione interpretativa di appositi istituti alternativi.
Nella prima direzione, DEL SIGNORE, op. cit., pp. 34 ss., 58 ss., 129 ss., il quale,
dopo una critica alla tesi propugnata dal Panza, opta per l’individuazione di un principio
generale di rilevanza degli impedimenti di fatto nella disciplina delle cause di sospen-
sione, perché viceversa la paralisi dell’esordio prescrizionale potrebbe dipendere sol-
tanto da impedimenti di diritto alla situazione giuridica da far valere.
Nella seconda direzione, TESCARO, Decorrenza della prescrizione e autoresponsa-
bilità, cit., passim, il quale, sulla scorta del diritto romano e della giurisprudenza
francese anteriore alla riforma in parte qua del Code Civil, ha proposto di salvaguardare
chi incorra nella prescrizione di propri diritti per un impedimento di mero fatto, purché
nell’imminenza della scadenza del termine esso integri o un’impossibilità oggettiva e
relativa o una causa di inesigibilità dell’esercizio del diritto, attraverso il rimedio atipico
— diverso dalla sospensione (che prolunga il termine per la durata dell’impedimento) —
della restitutio in integrum, la quale consentirebbe al giudice, dopo il venir meno
dell’impedimento ed in base ad una valutazione discrezionale, di concedere al titolare
del diritto a rigore prescritto la possibilità di esercitarlo entro un nuovo arco di tempo,
sia pure circoscritto nei limiti dello stretto necessario.
In quest’ultimo senso, l’art. 37 codice del processo amministrativo, nel pur diverso
campo delle decadenze processuali, dispone che « [i]l giudice può disporre, anche
— 1366 —

ordinamenti nazionali, quanto ad alcuni progetti sovranazionali di codifi-


cazione.
Ai sensi del nuovo § 199, comma 1º, BGB, « [i]l termine ordinario di
prescrizione inizia a decorrere a partire dalla fine dell’anno nel corso del
quale 1. la pretesa è sorta e 2. il creditore viene effettivamente a conoscenza
delle circostanze sulle quali la pretesa si fonda e dell’identità della persona
del debitore o comunque dovrebbe venirne a conoscenza senza colpa
grave ». L’elemento soggettivo non è una semplice causa di sospensione,
bensì condiziona il decorso della prescrizione, con notevoli implicazioni sul
piano dell’onere della prova: « non è infatti il creditore a dover dimostrare
che i presupposti sostanziali della pretesa gli erano ignoti, e che questa
ignoranza non era ascrivibile ad una sua colpa grave, ma è per contro il
debitore a dover provare che i suddetti presupposti erano noti al creditore
o erano stati da lui ignorati per colpa grave » (56).
Nel novellato Code Civil, l’art. 2224 dispone che « [l]e azioni personali
o mobiliari si prescrivono in cinque anni a partire dal giorno in cui il
titolare di un diritto ha conosciuto o avrebbe dovuto conoscere i fatti che
gliene permettano l’esercizio »; e l’art. 2234 dispone che « [l]a prescrizione
non decorre o è sospesa contro colui che sia nell’impossibilità di agire a
causa di un impedimento risultante dalla legge, dall’accordo o dalla forza
maggiore ». Il Code, dunque, segue la rotta già segnata dall’Avant-pro-
jet (57).
Ai sensi dell’art. 7:301, Libro Terzo, Capitolo 7, del D.C.F.R. (58),
« [i]l corso del termine di prescrizione è sospeso finché il creditore non
conosca, e non ci si potrebbe ragionevolmente aspettare che conosca: a)
l’identità del debitore; o b) i fatti dai quali sorge il diritto incluso, nel caso
di diritto al risarcimento del danno, il tipo di danno ». Il D.C.F.R., sulle
orme dell’art. 17:105 dei P.E.C.L., ha dunque accolto la soluzione che
considera l’ignoranza circa i fatti costitutivi del diritto come motivo di

d’ufficio, la rimessione in termini per errore scusabile in presenza di oggettive ragioni di


incertezza su questioni di diritto o di gravi impedimenti di fatto ».
(56) Così CANARIS, La riforma del diritto tedesco delle obbligazioni, in I quaderni
della Rivista di diritto civile, Padova, 2003, p. 90.
Sulla riforma della prescrizione in Germania, CANARIS, op. cit., p. 88 ss.; DELLE
MONACHE, Profili dell’attuale normativa del Codice Civile tedesco in tema di prescrizione,
in Riv. dir. civ., 2003, I, p. 179; CAPONI, La nuova disciplina della prescrizione nel codice
civile tedesco: spunti per una riforma italiana, in Corr. giur., 2006, p. 1321.
(57) Ai sensi dell’art. 2264 dell’Avant-projet, la prescrizione non decorre o è
sospesa non solo fintantoché le parti contrattano in buona fede, ma anche finché il
creditore ignori l’esistenza o l’importo del credito. Ai sensi del successivo art. 2266, poi,
« [l]a prescrizione decorre contro chiunque non si trovi nell’impossibilità di far valere il
proprio diritto a causa di un impedimento risultante dalla legge, dall’accordo o [anche]
dalla forza maggiore. La forza maggiore, quando è temporanea, opera come causa di
sospensione purché sia sopravvenuta nei sei mesi precedenti lo spirare del termine di
prescrizione ».
(58) In merito, MURGO, op. cit., p. 116 ss.
— 1367 —

sospensione del termine prescrizionale, sicché l’onere della prova delle


circostanze che determinano la sospensione incombe sul creditore, nella
cui sfera esse sorgono e si collocano (59). L’art. 7:303, poi, prevede un’altra
causa di sospensione in presenza di ostacoli imprevedibili, inevitabili ed
insuperabili, anche di carattere psicologico, che impediscano al creditore di
agire, purché l’ostacolo sorga o sussista negli ultimi sei mesi del termine
prescrizionale; e la prescrizione non matura prima di sei mesi dalla cessa-
zione dell’impedimento ogni volta che questo sia stato di natura o di durata
tale da non potersi pretendere l’esercizio del diritto da parte del creditore
nel termine residuo. L’art. 7:304, ancora, contempla un’ipotesi non di
sospensione, bensì di proroga annuale della scadenza del termine, decor-
rente dall’ultima comunicazione, in caso di trattative tra le parti aventi ad
oggetto il diritto oppure circostanze inerenti al diritto e rilevanti per
un’azione in giudizio.
Il Code Européen, all’art. 134, comma 2º, così prevede: « [i]l tempo
calcolabile per il decorso della prescrizione inizia a decorrere dal momento
in cui il creditore può far valere il suo credito, e di questo risulti certa anche
l’entità ».
Il codice civile olandese è ancor meno severo. La soluzione accolta
dall’art. 309, libro 3º, Burgerlijk Wetboek (60), infatti, è più favorevole al
creditore, perché alla conoscenza dell’integrazione della fattispecie costi-
tutiva del diritto non viene equiparata la semplice conoscibilità e, dunque,
l’ignoranza dovuta a colpa grave è irrilevante.

5. — L’avvio mobile del termine prescrizionale è in armonia con il


sistema italiano nel contemperare gli interessi privati coinvolti. In caso
contrario, avremmo, da un lato, « un soggetto sicuramente danneggiato il
quale tuttavia si trova discriminato rispetto agli altri danneggiati solo
perché il danno si è manifestato in un momento assai lontano dall’origina-
ria condotta determinando la (apparente) prescrizione dell’azione » e,
dall’altro, « un danneggiante sicuramente responsabile il quale è privile-
giato rispetto agli altri danneggianti perché gli effetti lesivi della sua
condotta si sono manifestati in un momento molto distante nel
tempo » (61).
La conoscenza o almeno la conoscibilità del danno sono questioni di
fatto, che però si riverberano sulla possibilità legale di esercizio del diritto.
Tale possibilità è apprezzabile solo se una perdurante situazione di oppo-
sizione al diritto, pur da intendere nel generico senso di divergenza fra la
tutela astrattamente concessa e quella di cui in concreto si beneficia,

(59) S. PATTI, Certezza e giustizia nel diritto della prescrizione in Europa, in questa
rivista, 2010, p. 31.
(60) Il testo è riportato da S. PATTI, op. cit., p. 31.
(61) Così ZENO-ZENCOVICH, Il danno al nascituro, nota a Cass., 22 novembre 1993,
n. 11503, in Nuova giur. civ. comm., 1994, I, p. 697.
— 1368 —

determinino l’attualità dell’interesse a reagire per far valere la situazione


soggettiva contrastata (62).
La dottrina, nell’applicazione dell’art. 2935 c.c., ripudia di frequente
la stessa distinzione tra impedimenti di diritto e di fatto, perché le ipotesi
normalmente annoverate tra i primi escludono addirittura il sorgere della
situazione soggettiva: si pensi alla condizione sospensiva, al termine ini-
ziale o alla carenza di un elemento costitutivo. Gli impedimenti in senso
proprio all’esercizio del diritto, dunque, non possono che essere fat-
tuali (63).
Ad ogni modo, il legislatore del ’42, ai fini ora della decorrenza ora
della sospensione della prescrizione, ha attribuito rilevanza a specifiche
ipotesi di ignoranza, le quali rappresentano impedimenti di mero fatto
all’esercizio del diritto (64). Ed esse potrebbero leggersi non come eccezioni
ad un’antitetica ed egemone ratio, ma come epifania di un principio che
concorre a parità di rango nella conformazione della disciplina gene-
rale (65).
Si pensi all’art. 624 c.c., secondo cui una disposizione testamentaria
affetta da errore, violenza o dolo è impugnabile da chiunque vi abbia
interesse in un termine decorrente dalla notizia del vizio del consenso.
L’art. 1442, comma 2º, c.c., poi, stabilisce che l’azione per l’annullamento
di un contratto a causa di errore o dolo si prescrive dalla scoperta del vizio
da parte del contraente legittimato, ossia da quando questi abbia consape-
volezza del proprio diritto all’annullamento. Inoltre, l’art. 2941, n. 8, c.c.
disciplina il doloso occultamento dell’esistenza dell’obbligazione ad opera
del debitore e stabilisce che, nei rapporti tra debitore e creditore, la
prescrizione rimane sospesa fino alla scoperta del dolo, ossia finché il

(62) CARNELUTTI, Appunti sulle obbligazioni, I, Distinzione fra diritti reali e diritti
di credito, in Riv. dir. comm., 1915, I, p. 563 ss.; ID., Teoria generale del diritto3, Roma,
1951, p. 208 ss.; AURICCHIO, op. cit., p. 24 ss.; VITUCCI, op. cit., pp. 73 ss., 104 ss.
Ancor prima anche GIORGI, op. cit., VIII, p. 375 ss., affermava che « non vi è
inerzia, quando il creditore, appunto perché trovasi già in uno stato di fatto che
corrisponde al suo diritto, non ha bisogno di promuovere azioni », ma l’a. si limitava ad
una considerazione strettamente oggettiva di tale corrispondenza e negava rilevanza
all’ignoranza circa il proprio diritto (p. 395).
(63) Per una ricognizione del dibattito, GUARNERI, L’exordium praescriptionis, in
Riv. dir. civ., 2013, p. 1140 ss.
(64) VITUCCI, op. cit., p. 156 ss.; DELLE MONACHE, op. cit., p. 190 ss.
(65) Già PUGLIESE, op. cit., pp. 102 ss., 153 ss., che, dopo aver distinto le cause
soggettive di sospensione della prescrizione, sottoposte ad uno jus singulare risultante
dalla discrezionalità del legislatore e quindi di stretta interpretazione, da quelle ogget-
tive, espressione di uno jus commune rispondente a princìpi fondamentali dell’istituto
dai quali ben sono desumibili in via analogica anche cause di sospensione non esplici-
tamente nominate dal legislatore, include appunto tra queste ultime la sospensione
conforme alla massima contra non valentem agere non currit praescriptio.
Contra, per la tassatività delle cause legali di sospensione, già FADDA-BENSA, op. cit.,
p. 1137 ss.; GIORGI, op. cit., VIII, p. 394 ss.; N. COVIELLO, op. cit., p. 469 ss.
— 1369 —

creditore prenda coscienza del proprio diritto. Benché l’art. 1442, comma
2º, c.c. non discrimini tra violenza esercitata nei confronti di un contraente
e violenza esercitata nei confronti di una terza persona sul piano del
termine di prescrizione per l’annullamento di un contratto, che sembra
decorrere sempre dalla cessazione della coercizione, la somiglianza strut-
turale tra la minaccia rivolta ad altri, da un lato, e l’errore e il dolo,
dall’altro, porta infine a ritenere che l’azione si prescriva dal giorno in cui
il contraente intimidito abbia notizia del venir meno del pericolo per il
terzo (66).
Per di più, le discipline speciali posteriori al c.c., grazie ad una
maggiore dimestichezza del legislatore con i problemi della modernità ed in
virtù degli influssi sovranazionali, contengono proposizioni inequivoca-
bili (67).
L’art. 23, comma 1º, l. 31 dicembre 1962, n. 1860, « Impiego pacifico
dell’energia nucleare », modificato dal d.p.r. 10 maggio 1975, n. 519,
dispone che le azioni per il risarcimento dei danni alle cose e alle persone
dipendenti da incidenti nucleari si prescrivono nel termine di tre anni « dal
giorno in cui il danneggiato abbia avuto conoscenza del danno e dell’iden-
tità dell’esercente responsabile oppure avrebbe dovuto ragionevolmente
esserne venuto a conoscenza ». Si aggiunge però, a correttivo, che « [n]es-
suna azione è proponibile decorsi dieci anni dall’incidente. In caso di danno
causato da un incidente nucleare derivante da materie nucleari rubate,
perdute o abbandonate e che non siano state recuperate, il termine anzi-
detto è computato dalla data dell’incidente nucleare ma non può in nessun
caso essere superiore a 20 anni dalla data del furto, della perdita o
dell’abbandono ».
Anche l’art. 125 cod. cons. dispone, anzitutto, che il diritto al risarci-
mento dei danni da prodotto difettoso si prescrive in tre anni « dal giorno
in cui il danneggiato ha avuto o avrebbe dovuto avere conoscenza del
danno, del difetto e dell’identità del responsabile », e poi che, in caso di
aggravamento del pregiudizio risentito dal consumatore, « la prescrizione
non comincia a decorrere prima del giorno in cui il danneggiato ha avuto
o avrebbe dovuto avere conoscenza di un danno di gravità sufficiente a
giustificare l’esercizio di un’azione giudiziaria ». Tuttavia, l’art. 126 del
medesimo codice, ancora una volta a correttivo, stabilisce che « [i]l diritto
al risarcimento si estingue [per decadenza] alla scadenza di dieci anni dal
giorno in cui il produttore o l’importatore nella Unione europea ha messo
in circolazione il prodotto che ha cagionato il danno » (68).

(66) VITUCCI, op. cit., p. 157 ss.


(67) VITUCCI, op. cit., p. 102 ss.
(68) Si aggiunge che « [l]a decadenza è impedita solo dalla domanda giudiziale,
salvo che il processo si estingua, dalla domanda di ammissione del credito in una
procedura concorsuale o dal riconoscimento del diritto da parte del responsabile. L’atto
che impedisce la decadenza nei confronti di uno dei responsabili non ha effetto riguardo
agli altri ».
— 1370 —

L’art. 94, comma 11º, d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, « Testo unico
delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria », inoltre, di-
spone che le azioni risarcitorie per far valere la responsabilità da prospetto
non veritiero in relazione ad un’offerta al pubblico « sono esercitate entro
cinque anni dalla pubblicazione del prospetto, salvo che l’investitore provi
di avere scoperto le falsità delle informazioni o le omissioni nei due anni
precedenti l’esercizio dell’azione ». E per il suo esperimento manca addi-
rittura la fissazione di un termine massimo.
In controtendenza è l’art. 4, comma 43º, l. 12 novembre 2011, n. 183,
« Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello
Stato (Legge di stabilità 2012) », il quale stabilisce che « [l]a prescrizione
del diritto al risarcimento del danno derivante dal mancato recepimento
nell’ordinamento dello Stato di direttive o altri provvedimenti obbligatori
comunitari soggiace, in ogni caso, alla disciplina di cui all’art. 2947 del
codice civile e decorre dalla data in cui il fatto, dal quale sarebbero derivati
i diritti se la direttiva fosse stata tempestivamente recepita, si è effettiva-
mente verificato » (69). A prescindere dallo spinoso problema di come vada
qualificata l’omessa attuazione delle direttive comunitarie nella prospettiva
del diritto italiano, sembra che il legislatore — sconfessando la giurispru-
denza formatasi sul punto (70) — abbia voluto rigidamente associare la
decorrenza del termine prescrizionale all’oggettiva consumazione del fatto
pregiudizievole, cioè al momento in cui questo « si è effettivamente verifi-
cato », sebbene il danno non risulti ancora percepibile (71). Ma questa
previsione non può contribuire alla costruzione di un principio generale in
materia di prescrizione, sia perché è dettata con lo specifico intento di
abbattere la spesa pubblica connessa all’intempestiva trasposizione nel
diritto interno di normative comunitarie, sia perché probabilmente essa
stessa non rispetta l’ordinamento dell’Unione europea sotto i profili del
principio di equivalenza (secondo cui la disciplina nazionale non dev’essere
meno favorevole per le pretese fondate sulla violazione del diritto comu-
nitario rispetto ad analoghe vicende domestiche) e del principio di effetti-
vità (secondo cui gli ordinamenti dei singoli Stati membri non devono

Siccome si parla espressamente di decadenza, non dovrebbero più sussistere i


dubbi sulla natura del termine decennale dei quali riferisce FRANZONI, Il danno risarci-
bile, cit., p. 924 ss.
(69) In generale, CILENTO, La prescrizione del diritto al risarcimento del danno
derivante dal mancato recepimento di direttive, in Nuove leggi civ. comm., 2013, p. 85.
(70) Cass., sez. un., 17 aprile 2009, n. 9147 (con Cass., sez. lav., 3 giugno 2009,
n. 12814 e Cass., 12 febbraio 2008, n. 3283), in Corr. giur., 2009, p. 1345.
(71) Questa disposizione speciale ricalca la formulazione del pur espressamente
richiamato art. 2947 c.c., nel quale viene stabilito che il diritto al risarcimento si
prescrive « dal giorno in cui il fatto si è verificato », ma la enfatizza con l’aggiunta
dell’avverbio « effettivamente ».
— 1371 —

rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile la tutela spet-


tante ai cittadini dell’Unione sulla base del diritto comunitario) (72).

6. — La mobilità del dies a quo nel computo della prescrizione,


adesso sancita in generale anche nella giurisprudenza, consentirebbe con
maggiore larghezza di prevedere per legge l’estinzione dei diritti in termini
alquanto brevi, senza aggravare troppo la posizione del loro titolare.
La ricerca di un equilibrio tra salvaguardia dell’avente diritto incolpe-
volmente inerte, da un lato, e salvaguardia di istanze (se non di certezza,
almeno) di progressiva stabilizzazione dei rapporti giuridici, dall’altro, ha
però giustamente suggerito alcuni accorgimenti nella regolamentazione del
decorso prescrizionale, tanto al legislatore speciale italiano (anche se non
sempre), quanto ai compilatori del revisionato BGB, della novellazione del
Code Civil e dei progetti di nuovi testi normativi.
In primo luogo, l’elemento soggettivo dell’ignoranza non imputabile
circa il sorgere del diritto, che sposta in avanti potenzialmente sine die
l’inizio della prescrizione ed è foriero di incertezze, è stato combinato ad
elementi oggettivi sganciati dalla consapevolezza circa l’esistenza del di-
ritto, che segnano in via esclusiva e con certezza l’avvio di autonomi
termini di prescrizione o talvolta — in alternativa — di decadenza, capaci
di concorrere con quello ancorato all’elemento soggettivo: dopo un dato
tempo massimo, pertanto, il diritto spira comunque.
Il § 199 BGB, nei commi successivi al primo, dispone quanto segue:
« 2) Le pretese al risarcimento dei danni, che traggano origine da lesioni
arrecate alla vita, all’integrità fisica, alla salute o alla libertà, a prescindere
dal momento in cui sono sorte e dalla conoscenza — o ignoranza dovuta a
colpa grave — che ne abbia eventualmente avuto il creditore, si prescri-
vono in trent’anni, decorrenti da quando è stato posto in essere l’atto
lesivo, ovvero ha avuto luogo la violazione dell’obbligo, ovvero si è
verificato il diverso evento dal quale è scaturito il danno. 3) Le altre pretese
al risarcimento dei danni si prescrivono 1. a prescindere dalla conoscenza
— o ignoranza dovuta a colpa grave — che ne abbia eventualmente avuto
il creditore, in dieci anni da che sono sorte, e 2. a prescindere dal momento
in cui sono sorte e dalla conoscenza — o ignoranza dovuta a colpa grave —
che ne abbia avuto il creditore, in trent’anni, decorrenti da quando è stato
posto in essere l’atto lesivo, ovvero ha avuto luogo la violazione dell’ob-
bligo, ovvero si è verificato il diverso evento dal quale è scaturito il danno.
Ai fini del compimento della prescrizione, è decisivo il termine che giunge
a scadenza per primo. 4) Le pretese diverse da quelle risarcitorie si
prescrivono in dieci anni da che sono sorte, a prescindere dalla conoscenza
— o ignoranza dovuta a colpa grave — che ne abbia eventualmente avuto

(72) TESCARO, L’incertezza della prescrizione: l’esempio del danno da mancato


recepimento di direttive comunitarie nella legge di stabilità 2012, in Riv. dir. priv., 2012,
p. 195.
— 1372 —

il creditore. 5) Se la pretesa ha per oggetto un non facere, in luogo del


momento in cui sorge la pretesa assume rilievo il momento in cui viene
tenuta la condotta dalla quale il debitore si sarebbe dovuto astenere ».
Ai sensi dell’art. 2232 del novellato Code Civil, « [l]o spostamento del
punto di partenza, la sospensione o l’interruzione della prescrizione non
possono avere per effetto di portare il termine della prescrizione estintiva
oltre i venti anni a decorrere dal giorno del sorgere del diritto. Il primo
comma non è applicabile nei casi menzionati agli articoli 2226 [danno
biologico, torture o atti di barbarie, violenze o aggressioni sessuali contro
minori], 2227 [azioni reali immobiliari], 2233 [azione dipendente da una
condizione non ancora avverata, azione di garanzia finché l’evizione non
avvenga e azione sottoposta a termine fino alla scadenza del termine] e
2236 [parti di un patto di solidarietà], al primo comma dell’articolo 2241
[proposizione di un’azione giudiziaria o arbitrale] e all’art. 2244 [atto di
esecuzione forzata]. Non si applica inoltre alle azioni relative allo stato
delle persone » (73).
L’art. 7:307, Libro Terzo, Capitolo 7, del D.C.F.R., poi, stabilisce che
« il termine di prescrizione non può essere prolungato, a causa della
sospensione del suo corso o della proroga della sua scadenza [...], per più
di dieci anni o, in caso di diritti al risarcimento dei danni per lesioni
personali, per più di trenta anni ».
In secondo luogo, nelle moderne normative la contropartita all’abbre-
viazione dei termini prescrizionali è un’ampia derogabilità negoziale del
regime legale, e ciò denota un profondo ripensamento dell’istituto (74). Ad
esempio, il nuovo art. 2254 del Code Civil consente alle parti di pattuire
l’abbreviazione di un termine di prescrizione fino ad un anno o il suo
allungamento fino a dieci anni, nonché di aggiungere ulteriori cause di
sospensione o di interruzione a quelle legali
La giurisprudenza italiana, invece, ha sì ritoccato le fattezze della
prescrizione generale ad immagine delle discipline extranazionali, ma senza
poterla corredare dei correttivi altrove predisposti per la stabilizzazione dei
rapporti giuridici nel tempo.
In un sistema di estinzione dei diritti persistentemente inesercitati,
solo un intervento legislativo — meglio se di riforma ab imis della materia

(73) Si consideri anche l’art. 2278 dell’Avant-projet, in cui si prevedeva quanto


segue: « ogni azione si prescrive in dieci anni dal giorno in cui si è verificato il fatto da
cui deriva l’obbligazione, indipendentemente dall’oggetto di questa, dal momento
iniziale, dalle interruzioni, dalle sospensioni e dagli accordi che modifichino il termine
della prescrizione. Le azioni derivanti da crimini contro l’umanità sono imprescrittibili.
Per quanto riguarda le azioni civili di risarcimento di un danno biologico e dei danni
provocati da atti di vandalismo o da un attentato all’ambiente, tale termine è di
trent’anni ».
(74) S. PATTI, op. cit., p. 35 ss.
— 1373 —

— potrebbe e dovrebbe contemperare le posizioni delle parti nell’adeguare


la realtà giuridica a quella fattuale (75).

7. — L’attuale orientamento pretorio favorevole ad un dies a quo


mobile fiacca l’argomento che fa leva sull’inattendibilità della prova testi-
moniale a grande distanza cronologica dai fatti da dimostrare allo scopo di
giustificare i brevi termini di prescrizione previsti per le azioni di respon-
sabilità aquiliana, giacché l’inconoscibilità con l’ordinaria diligenza dell’in-
tegrazione di un illecito permette a chi si affermi danneggiato di avanzare
domande risarcitorie, e dunque di formulare in giudizio capitoli di prova
testimoniale, anche molto dopo il sorgere del diritto vantato (76).
Rimane da chiedersi se la differenziazione dei termini prescrizionali sia
davvero assurda oppure se sia coerente con l’intenzione del legislatore di
assegnare una funzione eminentemente sanzionatoria alla responsabilità
aquiliana. Ma a questa viene oggi riconosciuta una funzione in prevalenza
riparatoria, la quale accorda una particolare considerazione alla posizione
di chi lamenti un pregiudizio e, quindi, « [fa] un po’ a pugni con una scelta
che poi vede il danneggiato, per un verso, esposto a termini brevi di
prescrizione, per altro verso, gravato dalla prova della culpa » (77).
Inoltre, le fattispecie di responsabilità extracontrattuale — come si è
già osservato — non sono le uniche per le quali sono stati fissati termini
brevi di prescrizione, giacché termini altrettanto brevi, o addirittura più
brevi, vigono anche per alcune fattispecie di responsabilità contrattuale.
Il legislatore, piuttosto, nella misura in cui ha asservito al medesimo

(75) Del medesimo avviso è S. PATTI, op. cit., p. 33.


(76) Secondo TESCARO, Decorrenza della prescrizione e autoresponsabilità, cit., p.
96 ss., allo scopo di fronteggiare la difficoltà di difesa in giudizio del convenuto per un
obbligo risarcitorio di remota genesi, il legislatore potrebbe d’altronde predisporre —
non una prescrizione in senso proprio, bensì — una prescrizione presuntiva come quelle
disciplinate dagli artt. 2954 ss. c.c., che consistono semplicemente in presunzioni di
estinzione — di solito, per adempimento (a cui sembra ancora alludere l’art. 2959 del
codice vigente), ma pure per altra causa (stando alla formula più generica impiegata
nell’art. 2960 c.c.) — di un diritto di credito, quale è anche il diritto al risarcimento dei
danni. Ma l’istituto della prescrizione presuntiva, che tutela il debitore in difficoltà nel
dimostrare l’estinzione di un credito pecuniario, è pensato per le ipotesi nelle quali la
fattispecie costitutiva e l’ammontare originario del diritto non siano controversi (Cass.,
15 maggio 2012, n. 7527, in Nuova giur. civ. comm., 2012, I, p. 972, con nota di
NICOLINI), mentre colui che venga chiamato a rispondere di un illecito extracontrattuale
potrebbe anzitutto avere interesse a contestarne l’effettiva integrazione: invero, la
presunzione di sopravvenuta estinzione del diritto è superabile sia con l’ammissione in
giudizio della mancata estinzione da parte del convenuto (ai sensi dell’art. 2959 c.c.), sia
con il deferimento del giuramento decisorio su iniziativa dell’attore (ai sensi dell’art.
2960 c.c.).
(77) Così BIGLIAZZI GERI, Interessi emergenti, tutela risarcitoria e nozione di
danno, in Riv. crit. dir. priv., 1996, p. 42 ss.
— 1374 —

termine decennale di prescrizione sia l’originario diritto di credito sia il


diritto al risarcimento del danno derivante dal suo inadempimento, ha forse
voluto solo mantenere una sorta di corrispondenza tra discipline, poiché
può sembrare che il primo diritto si converta nel secondo in virtù di una
perpetuatio obligationis (78). Ciò non si potrebbe al contrario affermare
con riguardo, ad esempio, alla responsabilità da fatto illecito discendente
dalla lesione del diritto di proprietà o dei diritti della persona, per i quali
l’azione risarcitoria, stando ad un’autorevole opinione dottrinale, « rappre-
senta una tutela esterna, non facente parte del contenuto del diritto, come
è dimostrato dalla collocazione normativa della responsabilità extracon-
trattuale nella sistematica del codice ed è confermato dalla prescrittibilità
in cinque anni dell’azione aquiliana, laddove diritto di proprietà e diritto
della persona sono imprescrittibili » (79).
Siffatta argomentazione, tuttavia, non placa la sensazione di irragio-
nevolezza instillata dalla difformità dei termini prescrizionali nelle due aree
di responsabilità civile. In primo luogo, la conversione del credito primario
inadempiuto in quello al risarcimento dei danni da inadempimento oggi è
solo una metafora elegante, ma nondimeno fuorviante. In secondo luogo, la
responsabilità aquiliana reagisce alle lesioni arrecate non più soltanto al
diritto di proprietà o ai diritti della personalità, cioè agli imprescrittibili
diritti assoluti della tradizione, ma a tutti gli interessi meritevoli di tutela,
tra i quali — per giunta — l’interesse enucleato in un diritto di credito in
caso di lesione inferta da un estraneo all’obbligazione. In terzo luogo, la
passione per le simmetrie dovrebbe rendere più seducente l’ideale di
termini prescrizionali uniformi. In quarto luogo, la circoscritta simmetria
tra credito primario inadempiuto e credito al risarcimento dei danni da
inadempimento, comunque, non dà conto delle aberranti asimmetrie di
disciplina generate dal loro forzato connubio.

(78) L’osservazione è di MAJELLO, Responsabilità contrattuale e responsabilità


extracontrattuale, in Rass. dir. civ., 1988, p. 119 ss.
Sulle origini romanistiche dell’ormai superata idea secondo la quale l’obbligazione
da inadempimento sarebbe la continuazione dell’obbligazione primigenia, nella dottrina
italiana già GIORGI, Teoria delle obbligazioni nel diritto moderno italiano7, II, Firenze,
1907, p. 135 ss.; GIORGIANNI, L’inadempimento. Corso di diritto civile, Milano, rist.
1970, p. 171 ss.; nella dottrina francese, già POTHIER, op. cit., p. 317.
Sulla diversità tra l’obbligazione di responsabilità e quella primaria inadempiuta,
invece, già CHIRONI, La colpa nel diritto civile odierno, Colpa contrattuale2, Torino,
1897, p. 19 ss.
(79) Così MAJELLO, op. cit., p. 122 ss., il quale desume da ciò che « [l]’estraneità
della tutela aquiliana al contenuto dei diritti soggettivi, da un lato conferma la validità
dell’orientamento che ammette la tutela aquiliana del credito e di altre situazioni
soggettive atipiche, dall’altro, per quel che concerne il problema specifico del concorso,
induce [...] ad escluderne l’ammissibilità, non essendo l’azione risarcitoria posta a tutela
del diritto leso, quanto piuttosto a tutela dell’autonomo diritto ad ottenere il risarci-
mento da chi, a norma di legge, è considerato responsabile del danno ».
— 1375 —

Una riforma dell’istituto della prescrizione, allora, è auspicabile so-


prattutto nel senso dell’eliminazione o, almeno, del drastico ridimensiona-
mento della frammentazione dei termini, i quali dovrebbero essere il più
possibile uniformi sia in area contrattuale sia in area extracontrattuale. Il
che affiancherebbe l’ordinamento italiano all’art. 195 BGB (80), all’art.
14:201 dei P.E.C.L. ed all’art. 7:201, Libro Terzo, Capitolo 7, del D.C.F.R.,
i quali prevedono un unico termine triennale, nonché all’art. 2224 del
novellato Code Civil, il quale prevede un unico termine quinquennale (81).
L’uniformazione dei termini prescrizionali, tra l’altro, sfilerebbe un
alibi sia al concorso di responsabilità contrattuale ed extracontrattuale, sia
alla responsabilità da contatto sociale qualificato.
GAETANO ANZANI
Dottore di ricerca

(80) Sono fatte salve alcune prescrizioni speciali, decennali o trentennali, previste
dai §§ 196 e 197 BGB, alle quali, tra l’altro, ai sensi del successivo § 200, non si applica
il meccanismo del dies a quo mobile stabilito nel già citato comma 1º del § 199 BGB per
il solo termine ordinario. La differenziazione dei termini massimi di prescrizione
ancorati ad elementi meramente oggettivi, poi, ai sensi dei restanti commi del § 199
BGB, dipende esclusivamente dalla natura dell’interesse leso, non dalla specie di
responsabilità civile che viene in gioco. Inoltre, il § 213 BGB sembra voler sventare
qualunque occasione in cui l’istituto del concorso di responsabilità possa essere allet-
tante, giacché stabilisce che « [l]’interruzione, la sospensione del decorso della prescri-
zione ed il nuovo inizio della prescrizione di una determinata pretesa valgono anche per
le pretese che abbiano il suo stesso fondamento e che siano accordate al suo titolare, a
sua scelta, in aggiunta o in alternativa ad essa ».
(81) Cfr. già l’art. 1384 dell’Avant-projet, che prevedeva un termine decennale. Ai
sensi dell’art. 2274, invece, tutte le azioni diverse da quelle di responsabilità si prescri-
vono in tre anni, « senza che colui che eccepisce la prescrizione abbia l’onere di
indicarne un titolo o che gli si possa opporre l’eccezione di mala fede ». Sono poi fatte
salve le prescrizioni speciali previste dall’art. 2275.

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