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Antitesi
an-tì-te-si

SIGN figura retorica che consiste nella contrapposizione di idee messe in relazione tra loro; in filosofia,
proposizione che contraddice la tesi

dal greco  antíthesis  ‘contrapposizione’.

Quando si tratta di antitesi, fondamentale è il riferimento al contesto in cui se ne parla: il termine
assume infatti tre significati diversi qualora sia inteso nell’ambito della retorica, del parlare quotidiano o
della filosofia.

Se genericamente indica una semplice contrapposizione di concetti, in retorica l’antitesi la troviamo solo
quando nella contrapposizione c’è corrispondenza di costrutti tra i membri. “Le nostre attrici
cinematografiche hanno affermato la teoria che anime semplici abitano preferibilmente corpi complessi”,
leggiamo nel Diario degli errori di Ennio Flaiano, il poliforme autore pescarese (critico, sceneggiatore,
drammaturgo, umorista, giornalista autore di elzeviri) dei primi del ‘900. Le anime son contrapposte ai
corpi, e se questi sono complessi, le prime sono semplici.

Richiamando questa contrapposizione anima/corpo, è interessante notare come l’antitesi sia stata la
figura regina dell’oratoria sacra: il Cristianesimo basa una grossa porzione della dottrina sull’antinomia
tra concetti come corpo/spirito, bene/male, pena/ricompensa, ed è nel contesto religioso che possiamo
apprezzare, nella preghiera di San Bernardo da Chiaravalle, la triplice antitesi in apertura del XXIII
canto del Paradiso dantesco: “Vergine Madre, figlia del tuo figlio, / umile e alta […]” è la preghiera alla
Vergine Madre (prima antitesi), figlia del figlio (seconda antitesi), umile e alta (terza antitesi).

Nel parlare quotidiano, l’antitesi indica genericamente una contrapposizione generale, senza pretese di
corrispondenze ferree come in retorica: un pensatore può essere in antitesi con un altro, qualora la
pensi in maniera radicalmente differente, e noi possiamo ricercare antitesi concettuali nei libri che
leggiamo: in questo senso, per esempio, possiamo definire antitesi tutte le contrapposizioni nella
sinfonia di vicende del “Visconte dimezzato” di Calvino, e non solo quella più palese tra le due metà
(buona e cattiva) del Visconte Medardo, ma anche quelle più sottili e distese nel testo, come quella tra i
marmorei Ugonotti col loro rigido temperamento e gli scanzonati lebbrosi del paese di Pratofungo, dediti
unicamente a giochi e feste licenziosi.

Nel linguaggio filosofico, infine, se inizialmente indicava una contrapposizione generica come negli
esempi di poco fa, da Kant in poi l’antitesi diviene la proposizione che contraddice la tesi. Questo valore
è lo stesso che l’antitesi assume, inoltre, nell’ambito dell’argomentazione (scritta o orale): si avvalora
una tesi, le si contrappone un’antitesi e si traggono delle conclusioni in una sintesi.

Etimologicamente la tesi è, derivando dal verbo greco “títhemi” (‘io pongo’), la posizione, l’atto astratto
del porre qualcosa; di conseguenza, l’antitesi è l’atto di contrapporre qualcosa. Si tratti di retorica,
filosofia o chiacchiere quotidiane, qualcosa da contrapporre c’è sempre: solo che adesso, anziché dire
banalmente a qualcuno di piantarla di fare il bastian contrario, possiamo dirgli di darci un taglio con le
antitesi.

Mauro Aresu, giovane studente di Lettere classiche, a venerdì alterni ci racconta una figura retorica.

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Parola pubblicata il 09 Febbraio 2018

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