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Giuseppe Duso
Indice
Prefazione................................................................................................ 11
Giuseppe Duso – La logica del potere. Storia concettuale come filosofia politica
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8 Indice
Giuseppe Duso – La logica del potere. Storia concettuale come filosofia politica
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Indice 9
6.3 La teologia politica come struttura teoretica: l’idea e la sua visibilità 200
6.4 Rappresentazione e forma politica................................................ 208
6.5 Oltre Schmitt e la scienza politica moderna ................................. 215
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Prefazione
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Prefazione 13
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Prefazione 15
Nota
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1. Storia concettuale come filosofia politica 19
4 Cfr. G.W.F. Hegel, Lineamenti di filosofia del diritto, a cura di G. Marini, Later-
za, Bari 1987, Prefazione, p. 6.
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usa nel fare storia. In ambedue i casi ciò che non viene posto a tema
è proprio il filosofico, nel significato platonico del termine, come
domanda originaria e come atteggiamento di meraviglia (lo thau-
mazein) che sono suscitati all'interno di ciò che appare ovvio5.
L'approccio storico-concettuale al problema politico, nella proposta
che intendo avanzare, mette in questione proprio la praticabilità del-
le due vie di analisi, quella teorica (che si basa in realtà su concetti
storicamente determinati) e quella solo storica (che implica in realtà
concetti di cui bisogna dare ragione).
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1. Storia concettuale come filosofia politica 21
7 Cfr. Storia dei concetti e storia sociale, in Futuro passato, Marietti, Genova
1986, p.102 (ed. or. Vergangene Zukunft. Zur Semantik geschichtlicher Zeiten,
Suhrkamp, Frankfurt a. Main 1979).
8 Non è l’identità del concetto ciò che permette l’unificazione di passato e presen-
te, di moderno e di ciò che ad esso è precedente. Il problema della comunicazione
con le esperienze passate, soprattutto quelle che sono in contesto altro dal moderno
è problema che Koselleck stesso pone, spesso contro Brunner: su tale problema si
veda oltre.
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gli uomini solo grazie all’instaurazione del potere politico e del suo
esercizio, solo grazie dunque ad una concezione che intende come
agire politico l'agire pubblico di chi esercita per tutti il potere9. Qui
non si assiste tanto alla modificazione storica di un concetto – quel-
lo di «società» – eterno e connotante una realtà oggettiva, quanto
piuttosto alla nascita di un concetto che prende il suo significato de-
terminato in relazione all'epoca moderna e a un complessivo conte-
sto concettuale10. La stessa cosa vale per gli altri termini sopra indi-
cati: popolo, economia, sovranità, Stato. Essi sono ancora usati co-
me parole, ma i concetti che le parole veicolano nel contesto giu-
snaturalistico sono nuovi: essi si possono porre solo azzerando un
modo millenario di pensare l'uomo e la politica.
Da ciò si può dedurre che storia dei concetti è una espressione
equivoca, che può portare fuori strada, e solo una pigrizia intellet-
tuale si acquieta sul termine che è ormai entrato nell'uso: ciò rende
pertanto sempre di nuovo necessario il suo chiarimento11. Una delle
caratteristiche della Begriffsgeschichte, che deriva da quanto si è
detto, consiste nel fatto che la storia concettuale non è storia delle
parole, storia dei termini. A volte parole diverse indicano uno stes-
so contenuto, mentre, come si è visto, le stesse parole indicano real-
tà diverse, non inseribili in un comune orizzonte concettuale. Kosel-
leck esclude addirittura una possibilità, che qualcuno potrebbe a-
scrivere alla storia concettuale, cioè che la Begriffsgeschichte sia
storia del linguaggio: essa non lo è, nemmeno come parte di una
storia sociale complessiva12. Piuttosto essa si occupa «della termi-
9 Rimando, per il chiarimento di questo esempio, al cap. III del presente lavoro.
10 Di tipo diverso è il mutamento che il termine «società civile» assume tra Sette e
Ottocento, quando, in contrapposizione a quello di Stato, intende indicare la realtà
pre-politica e a-politica dei rapporti tra gli uomini. Mentre infatti il concetto giu-
snaturalistico di societas civilis in tanto si può porre in quanto destituisce di validi-
tà un modo precedente di intendere l’uomo e la società, questa nuova accezione di
società civile contrapposta allo Stato ha alla sua base proprio quella costruzione
della societas civilis che nasce con il giusnaturalismo.
11 Cfr. Koselleck, Begriffsgeschichtliche Probleme cit., p. 14.
12 Ciò è, a mio avviso, importante per un dibattito sulla storia concettuale e sul suo
rapporto con la storia costituzionale. Al di là del modo in cui tale rapporto può es-
sere determinato, la storia concettuale non è una parte da sintetizzare con le altre in
una storia sociale complessiva, che si estende alla totalità. Se vale lo stretto rappor-
to che cercherò di dimostrare tra storia concettuale e filosofia politica, quest’ultima
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1. Storia concettuale come filosofia politica 23
non è allora una parte delle scienze dello spirito, da mettere accanto alle altre di-
scipline e ai processi economici e sociali per una ricostruzione globale della storia,
ma incontra il problema della storia sociale nel punto alto della coscienza critica
dei concetti che rendono la storia sociale significante e permettono il suo formarsi.
13 Koselleck, Storia dei concetti e storia sociale cit., p. 92.
14 Intendo qui limitarmi solo ad alcuni elementi, a mio avviso fondamentali, che
stanno alla base dei GG.
15 Koselleck è continuamente tornato su questa critica: si veda come esempio Be-
griffsgeschichtliche Probleme cit., p. 13, e lo stesso saggio tradotto in «Filosofia
politica» (1997), n.3. La critica di Koselleck a Brunner è legata al problema della
possibilità e del significato del nostro rapporto con le fonti: su di essa torneremo in
seguito.
16 Cfr. ad esempio O. Brunner, Land und Herrschaft, Wien 1939, trad. it. Terra e
potere, a cura di G. Nobili, P. Schiera e C.Tommasi, Giuffré, Milano 1983, il capi-
tolo su Stato, diritto, costituzione.
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24 Giuseppe Duso – La logica del potere
17 Cfr. Brunner, I diritti di libertà nell’antica società per ceti, in Per una nuova
storia costituzionale e sociale, a cura di P. Schiera. Vita e pensiero, Milano 1968,
p. 202; tale testo traduce molti dei saggi apparsi in Neue Wege der Verfassung- und
Sozialgeschichte, Vandenhoeck & Ruprecht, Göttingen 19682.
18 Come avrò modo di indicare in seguito, questo contesto è contrassegnato da una
teoria del governo, che non solo non può essere identificato con il potere, ma im-
pedisce proprio di pensare a un rapporto come quello moderno di potere.
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1. Storia concettuale come filosofia politica 25
19 Koselleck, Storia dei concetti e storia sociale, p. 102. A causa di questo signifi-
cato del concetto e della relativa omogeneità dei processi sociali e dei modi di pen-
sare che si hanno nella tradizione europea, si può comprendere come, pur essendo-
ci compiti specifici nell’analisi delle lingua sociale e politica delle singole aeree
linguistiche, ci siano anche storie comuni e comunicabili: perciò ha anche per noi
rilevanza l’impresa dei GG.
20 Ivi, p.95.
21 Ivi, p. 98.
22 E.-W. Böckenförde, Die deutsche verfassungsgeschichtliche Forschung im 19.
Jahrhundert. Zeitgebundene Fragestellungen und Leitbilder, Berlin 1961.
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26 Giuseppe Duso – La logica del potere
23 Cfr. Brunner, Per una nuova storia costituzionale e sociale cit., pp. 1-20.
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24 Nell’esempio fatto nel testo, che riguarda sia l’uso comune del linguaggio, sia
lavori «scientifici» o storici, il concetto universale di Stato porta con sé il concetto
di potere, come rapporto formale di comando-ubbidienza, tipico del modo moder-
no di intendere la politica, e con questo si pretende di intendere realtà come quelle
della polis o del medioevo, nelle quali il contesto di pensiero è, come ricordato so-
pra, tale da rendere impensabile questo concetto di potere.
25 Cfr. Brunner, Il problema di una storia sociale europea, in Per una nuova sto-
ria costituzionale cit., p. 24.
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1. Storia concettuale come filosofia politica 29
29 Cfr. Brunner, Città e borghesia nella storia europea, in Per una nuova storia
costituzionale cit., p. 117.
30 Koselleck, Einleitung, GG, Bd. I p. XIV.
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nella logica della ricostruzione della lunga storia del concetto, che
attraverserebbe epoche diverse caratterizzandosi in modo diverso,
ma nell’intento di seguire nel mondo pre-moderno31 quella parola
che veicola il concetto moderno, e ciò per mostrare che essa si rife-
risce ad un altro contesto di pensiero e di realtà. La vera determina-
zione del concetto – quale giunge fino a noi – inizia con l’età mo-
derna, nella quale cambia il rapporto dell’uomo con la natura, con
la scienza, con la storia32.
Non vi sono dunque concetti politici che si connotano nelle di-
verse epoche in modo diverso, ma vi è piuttosto l’epoca dei concetti
moderni, in cui i concetti hanno una specifica costruzione e vengo-
no a collegarsi tra loro in un sistema di relazioni. Fuori di
quest’epoca vi è un modo diverso di pensare l’uomo e la società. È
singolare che per lo storico Brunner vi sia un modo di intendere i
rapporti umani, che, pur nelle evidenti trasformazioni della realtà,
tuttavia è determinato da un quadro di riferimento omogeneo, un
quadro che dura per duemila anni33. Le cose cambiano radicalmente
con «lo scoppio del mondo moderno»34, in cui si instaura un diver-
so modo di intendere l’uomo, il sapere e, conseguentemente, la po-
litica. Anche per Brunner questo contesto deve essere inteso nella
sua specificità come nella sua unilateralità, per poter correttamente
capire realtà diverse, ma anche per capire una realtà che continua
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1. Storia concettuale come filosofia politica 31
nel mondo moderno senza poter essere colta con gli occhi riduttivi
dei concetti moderni.
La storia concettuale coincide con la comprensione storico-
epocale dei concetti moderni: essa rende evidente lo stretto legame
tra il senso specifico dei concetti che adoperiamo e le condizioni e i
presupposti dell’epoca moderna. Se ciò è vero, allora il punto cen-
trale dell’indagine è la determinazione della rottura, la Trennung,
con il modo di pensare della tradizione, a cui deve seguire l’analisi
delle condizioni nelle quali si sono verificate la Auflösung der alten
Welt e la Entstehung der modernen Welt. Il momento di rottura è
identificato dal Koselleck (e ciò è ripetuto anche nell'Introduzione
del Lexikon) nella famosa Sattelzeit, in quel momento di trapasso e
di mutamento, che, a buona ragione, anche nel passato abbiamo re-
so con l'espressione «soglia epocale»35. Questa si determina nella
seconda metà del Settecento, quando si manifesta diffuso un nuovo
mondo concettuale, si assiste alla nascita di nuove parole, mentre le
vecchie acquisiscono un significato totalmente nuovo, diventano
cioè portatrici di nuovi concetti36. Sarà utile, per il ragionamento
che faremo, riferirsi agli esempi indicati da Koselleck: Demokratie,
Revolution, Republik, e, oltre a questi termini, quello di Geschichte;
ciò perché si tratterà di capire in che cosa si possano ravvisare gli
elementi fondamentali dei nuovi concetti che in queste parole si
manifestano, quali ne siano i presupposti e dove facciano la loro
comparsa per la prima volta. A questo proposito si può esprimere
una proposta in direzione della tedesca Begriffsgeschichte, che pro-
blematizza la soglia epocale individuata da Koselleck. Ma prima è
necessario porsi la questione di come si debba intendere
l’affermazione secondo cui il mondo moderno costituisce l’ambito
in cui nascono questi concetti. La risposta immediata, avanzata
nell’alveo della Begriffsgeschichte, è che si tratti dei processi costi-
tutivi dello stato moderno, del processo storico di cui i concetti sa-
rebbero un riflesso. Tale risposta non mi sembra però consona
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37 Non si intende qui né dare una interpretazione dell’autore più «corretta» di al-
tre, né tematizzare e giudicare il suo lavoro complessivo o le intenzioni culturali e
politiche che lo possono avere accompagnato, ma piuttosto sottolineare alcuni e-
lementi critici della sua impostazione, che mi sembrano fondamentali per un ap-
proccio ai concetti politici.
38 Brunner, La «casa come complesso» , in Per una nuova storia costituzionale
cit., p. 152.
39 Ivi, p. 138.
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40 Ivi, p. 152.
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41 Cfr. Brunner, Il pensiero storico occidentale, in Per una nuova storia costitu-
zionale cit., pp. 51 sgg.
42 Questo rapporto è per Brunner ben più complesso e importante di quel che si sia
solitamente inteso. Su questo tema meriterebbe una riflessione a sé il saggio su Il
pensiero storico occidentale, in Per una nuova storia costituzionale cit., pp. 51
sgg..
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ne»53. La storia sociale è storia strutturale che non nega quella poli-
tica, casomai la integra54.
Tuttavia, non si tratta qui di una giustapposizione o una semplice
integrazione: più ampia è la portata critica e produttiva, nel fare sto-
ria, che la posizione di Brunner suggerisce. Significativa è
l’aggiunta che egli fa seguire alla precedente affermazione: «in en-
trambi i casi tuttavia oggetto di osservazione resta l'uomo e si tratta
sempre di “politica”, se è concesso per una volta impiegare il ter-
mine non solo nel significato proprio dell’età moderna, di lotta per
il potere, ma in senso più ampio, vagamente aristotelico» (corsivo
mio). Un lavoro di storia sociale, dunque, implica un modo di in-
tendere la politica diverso e più ampio di quello moderno incentrato
sul potere. E ciò riguarda non solo la storia del passato, ma anche
quella della realtà moderna. Ciò significa che quel modo diverso di
intendere la politica complica e supera la riduttività della moderna
politica incentrata sul potere e la storia unilaterale che da questa si
costruisce. Si pone qui il problema di come si ponga il nostro rap-
porto sia con i concetti politici moderni, sia con il modo in cui la
tradizione precedente ha pensato i rapporti tra gli uomini, se è vero
che le due modalità sono da distinguere radicalmente. Prima però
bisogna chiarire quale sia l’orizzonte complessivo di riferimento nel
quale i concetti moderni si formano e sono significanti.
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57 Cfr. Ivi, p. 145. Brunner si riferisce a Rousseau, ma, come si vedrà più avanti,
tale nuovo modo di intendere l’uomo e la politica comincia ben prima di Rousseau,
con Hobbes e la nascita della scienza politica moderna.
58 Cfr. sulla trasformazione della Herrschaft il saggio di Brunner, Bemerkungen zu
den Begriffen "Herrschaft" und "Legitimität", del 1962, poi in Neue Wege cit., pp.
64-79; tr. it. a cura di M. Piccinini e G. Rametta, "Filosofia politica", 1987, n. 1,
pp. 101-120. Propongo di intendere il mutamento che si ha nella parola tedesca
Herrschaft conferendo ad essa il significato di governo, per il lungo periodo della
tradizione della filosofia pratica, e quello di potere, nel senso che si espliciterà nel-
la definizione weberiana, per il contesto che inizia con la moderna scienza politica
(è da ricordare che lo stesso Brunner, in Neue Wege, p. 113, parla di herrschaftli-
ches Prinzip e subito dopo intende come consona a questo principio la tradizionale
distinzione delle forme di governo, che chiama Herrschaftsformen o Regierun-
gsformen). Tale mutamento non può certo essere inteso come un mutamento del
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1. Storia concettuale come filosofia politica 41
concetto di Herrschaft, che porterebbe per esempio a dire che il potere è fondato
dagli individui, mediante una costruzione artificiale, nelle filosofie moderne del
contratto sociale, mentre sarebbe «per natura» presso i Greci (se è in realtà pensa-
bile che sia naturale il principio del governo, è impensabile che lo possa essere il
potere, come rapporto formale di comando-obbedienza); si tratta piuttosto di oriz-
zonti di pensiero radicalmente diversi, che attraversano la stessa parola (mi chiedo
se non scivoli nella direzione di un mutamento del concetto invece la trattazione
della voce Herrschaft che si ha nei GG, Bd. 3, pp. 1-102). Per quanto riguarda un
approfondimento della proposta concernente la radicale diversità tra il principio del
governo, con il modo di pensare la politica ad esso legato, e il nuovo concetto di
potere politico, che in tanto può essere pensato in quanto si destituisce di validità
quell’antico pensiero del governo, rimando al cap. III del presente volume. Partico-
larmente incisivo nel mostrare la differenza tra un mondo in cui si pone il proble-
ma del buon governo, e quello moderno basato sul potere, è il lavoro di Hasso Ho-
fmann dedicato all’iconografia, Bilder des Friedens oder Die vergessene Gerechti-
gkeit. Drei anschauliche Kapitel der Staatsphilosophie, Siemens Stiftung, Mün-
chen 1997, nel quale si analizza la famosa allegoria senese del buon e del cattivo
governo di Ambrogio Lorenzetti e, di contro, la nota immagine del frontespizio del
Leviatano di Hobbes, dove è evidente come l’immagine del potere (Herrschaft),
comporti la scomparsa del mondo basato sulla giustizia e sul problema delle virtù,
nel quale si poneva il problema del «buon governo» (cfr. spec. il cap. II).
59 Chiarisco una volta per tutte che, nel contesto della nostra discussione, il pro-
blema non è quello della sempre dibattuta questione di quando inizi l’età moderna,
e di cosa sia veramente moderno. Qui la questione è assai diversa, e molto più de-
terminata, ed è una questione che si impone: si tratta cioè di comprendere quando e
con che presupposti teorici nascano quei concetti fondamentali che condizionano
il nostro modo di intendere la politica, si incardinano nelle costituzioni moderne e
giungono, sia pur con molte modificazioni, fino alla nostra contemporaneità: quale
sia, in fondo, l’origine e la logica dei nostri concetti.
60 Cfr. Historisches Lexikon e storia dei concetti cit., dove sono anche anticipate
alcune delle osservazioni qui sviluppate.
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42 Giuseppe Duso – La logica del potere
61 Cfr. su ciò il classico lavoro di H. Maier, Die Lehre der Politik an den älteren
deutschen Universitäten, ora in Politische Wissenschaft in Deutschland, Piper,
München-Zürich 1985, pp. 31-67, e dello stesso, Die ältere deutsche Staats- und
Verwaltungslehre, Beck, München 19802, sp. pp. 164 sgg.; si veda inoltre
l’analitico e ponderoso lavoro di M. Scattola, Dalla virtù alla scienza. La fonda-
zione e la trasformazione della disciplina politica nell’età moderna, FrancoAngeli,
Milano 2003.
62 Per l’imprescindibilità e anche per i limiti della riflessione schmittiana sui con-
cetti moderni si veda il VI capitolo del presente volume e il completo lavoro di
Carlo Galli, Genealogia della politica. Carl Schmitt e la crisi del pensiero politico
moderno, Il Mulino, Bologna 1996.
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1. Storia concettuale come filosofia politica 43
63 Quanto viene qui detto si basa sui risultati del lavoro collettaneo Il contratto
sociale nella filosofia politica moderna, a cura di G. Duso, Il Mulino, Bologna
1987 (ora FrancoAngeli, Milano 19983).
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44 Giuseppe Duso – La logica del potere
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1. Storia concettuale come filosofia politica 45
67 È per altro singolare che anche in autori nei quali non si ha una concezione
meccanicistica dell’uomo, si ritrovi un concetto di libertà che sostanzialmente ri-
prende questo hobbesiano, che si rivela allora fondamentale per lo sviluppo dei
concetti moderni.
68 Cfr. Leviatano, cap. XXI, p. 175.
69 Cfr. anche su ciò Hofmann, Bilder des Friedens cit., spec. p. 49.
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46 Giuseppe Duso – La logica del potere
70 Su ciò si veda il saggio di A. Biral, Per una storia della sovranità, «Filosofia
politica», 1991, n. 1, pp. 5-50, (ora anche in Storia e critica) fondamentale per in-
tendere nel pensiero hobbesiano questo mutamento complessivo del principio or-
ganizzatore che conferisce senso ai concetti.
71 L’affermare che non c’è contraddizione a questo livello, non coincide con un
giudizio di accettazione della costruzione hobbesiana: in essa si manifesta
un’aporia fondamentale, ma questa può essere colta solo se si intende lo specifico
significato dei concetti e della costruzione, e dunque non si equivoca tra la natura
del governo, del principio che Hobbes nega, e quella del potere politico che egli
inaugura. Si può qui ricordare il processo che Brunner indica nel suo saggio
sull’intreccio tra potere moderno e legittimità: egli ravvisa nel XVIII secolo la tra-
sformazione sociale che si coniuga con il nuovo modo di intendere la Herrschaft,
la quale non è più un dominio complessivo e personale, ma diviene impersonale e
oggettiva, tale da ridurre al minimo l’elemento del dominio. «Così la compagine di
dominio vetero-europea poté venire intesa come “feudalesimo” da superare. Poté
sembrare che la scomparsa del dominio vecchio stile potesse condurre alla fine del
dominio in generale» (in questa traduzione il termine «dominio» traduce quello
tedesco di Herrschaft). Dietro ai processi del XIX secolo egli vede la dottrina di
Saint Simon, secondo cui l’associazione scaturisce dalla decisione volontaria dei
singoli (cfr. Osservazioni sui concetti di «dominio» e di «legittimità» cit., pp. 108-
109). Sulla linea del contributo a cui si fa riferimento nel presente volume, si po-
trebbe dire che tale idea della fine del dominio ha una sua coerenza se si attua la
distinzione proposta tra «governo» e «potere», distinzione che mi sembra per altro
consona all’impianto logico di Brunner e al mutamento di significato del termine
Herrschaft da lui indicato. Inoltre è da osservare che la concezione che vede nasce-
re l’associazione dalla libera volontà dei singoli è ben antecedente alla diffusione
che ha nel XIX secolo e anche alla dottrina di Saint Simon, avendo le sue radici
nelle teorie moderne del contratto sociale. Brunner del resto lascia aperta la possi-
bilità di una tale considerazione: nel suo tentativo di mostrare come il concetto di
legittimità, che caratterizza il potere politico o Herrschaft, quale Weber la defini-
sce – con i suoi tre tipi, del potere legale, tradizionale e carismatico –, sia legata
alla situazione post-rivoluzionaria del XIX secolo, egli aggiunge che questo è «ri-
sultato provvisorio», che richiede un approfondimento sui presupposti che rendono
possibile il trapasso al mondo moderno, ritornando in tal modo a quanto Weber
stesso indica come processo di «razionalizzazione», o altri come processo di seco-
larizzazione (ivi, p. 120). Mi sembra che nell’irruzione della teoria hobbesiana e-
merga quel principio organizzatore scientifico che fa intendere il mutamento radi-
cale del termine Herrschaft a cui Brunner si riferisce, e che in esso dunque si possa
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1. Storia concettuale come filosofia politica 47
ravvisare uno dei presupposti della nascita del mondo moderno: un presupposto
per altro fondamentale per intendere il significato stesso dei nuovi concetti. Tale
conclusione costituisce, a mio parere, uno dei notevoli risultati della lettura del
pensiero hobbesiano da parte del saggi sopra citati di Biral su Hobbes e sulla storia
della sovranità.
72 Anche Koselleck, chiarendo i significati del termine democrazia, nota la novità,
che secondo lui avverrebbe nel XVIII secolo, dovuta «all’appello alla sovranità
delle leggi , o al principio di uguaglianza» (Storia dei concetti e storia sociale cit.,
p. 100): in tal modo vecchi significati verrebbero «ripresi e modificati». Ma pro-
prio l’esempio della democrazia mostra la diversa pratica della storia concettuale
tra Brunner e Koselleck: mentre il primo coglie il cambiamento del principio orga-
nizzatore e dell’orizzonte complessivo, lasciando, a mio avviso, spazio al contribu-
to sulla nuova scienza politica di cui si è qui parlato, il secondo tende a inserire i
cambiamenti in un continuum, nel quale è possibile riferirsi ancora al senso greco
di «democrazia», che pur nella sua diversità, indicando una delle forme di costitu-
zione della polis («date una volta per sempre» si dice, usando ancora le categorie
formali che servono ad intendere l’antica Historia e la moderna Geschichte) fissa
«determinazioni, metodo o regolarità che si possono incontrare anche nella demo-
crazie attuali» (ibid.). Il rischio è che si venga così ad abbandonare l’idea iniziale
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48 Giuseppe Duso – La logica del potere
Ciò vale anche per gli altri esempi indicati da Koselleck come
sintomi della Sattelzeit. Il termine di «rivoluzione» emerge nel pe-
riodo della rivoluzione francese con un significato nuovo, che non è
più collegabile a ciò che la parola prima indicava sulla base del suo
stesso etimo – cioè moto circolare, che ritorna su se stesso – ma è
comprensibile in relazione all’instaurazione di un ordine nuovo, e
dunque in relazione ad una filosofia della storia con la sua idea di
evoluzione e di emancipazione73. Tale mutamento è tuttavia frutto
di un lungo processo, che è impensabile senza i concetti elaborati
dalla nuova scienza politica moderna. Si ricordi il ruolo che hanno
nella rivoluzione i due concetti di eguaglianza e di libertà, che
stanno alla base della forma politica moderna e del modo in cui si
pensa la societas civilis, ma si pensi anche al concetto di popolo e
alla sua dimensione costituente, a quello di sovranità, a quello nuo-
vo di rappresentanza come rappresentanza di tutta la nazione, cioè
non di ceti, di stati, di parti, ma dell’unità politica. Si pensi poi a
come sia diffusa nell’opinione comune e nel dibattito politico l’idea
che alla base della costituzione del corpo politico stanno i diritti de-
gli individui uguali: che gli uomini abbiano diritti in quanto tali e
che la forma politica si possa costruire solo sulla base di questi di-
ritti è appunto divenuto senso comune, concettualità diffusa. Anche
il nuovo significato di rivoluzione è pensabile dunque solo sulla ba-
se della nuova scienza, apparsa ben prima la fine del XVIII secolo.
Lo stesso si può dire per il nuovo concetto di repubblica. Anche
qui ci si può riferire alla fine del XVIII secolo, al modo kantiano di
intendere il termine, in cui si riscontra uno scarto in relazione ad un
pensiero più antico della respublica come ciò che unisce associa-
zioni, gruppi, ceti diversi, ciò che li accomuna e che costituisce
l’ambito del loro rapporto. In questo caso si ha unificazione di parti
diverse come mostra tutta un’antica iconografia, nella quale il corpo
della storia concettuale come coglimento della determinatezza dei concetti moderni
e si postuli un nucleo sostanzialmente identico del concetto che si declina in modi
diversi nelle mutate situazioni storiche.
73 Cfr. Koselleck, Criteri storici del moderno concetto di rivoluzione, in Futuro
passato cit., spec. p. 63. Su ciò si veda anche la voce Revolution nei GG e K.
Griewank, Der neuzeitliche Revolutionsbegriff. Entstehung und Entwicklung,
Weimar 1955, Frankfurt a. M. 19692, tr. it. a cura di C. Cesa, La Nuova Italia, Fi-
renze 1979.
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1. Storia concettuale come filosofia politica 49
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50 Giuseppe Duso – La logica del potere
sare la politica e il rapporto tra gli uomini75. Non si tratta poi solo
del modo di pensare, o di un processo teorico di legittimazione, ma
anche di organizzazione degli stessi rapporti. Si pensi infatti alle
costituzioni moderne, all’aspetto legittimante proprio dei concetti in
esse contenuti, ma anche ai processi reali da essi innescati, quali il
sistema legislativo, l’unità dell’esercito, la formazione dell'organo
rappresentativo della sovranità popolare, ecc. Si potrebbero indicare
riassuntivamente i due elementi fondamentali del pensiero giusnatu-
ralistico che si incardinano nelle moderne costituzioni: il concetto
rousseauiano di popolo sovrano, inteso come grandezza costituente,
e quello determinante la forma politica, con cui il primo parados-
75 Si veda, anche a questo proposito, come Brunner indichi il legame tra il muta-
mento linguistico a cui si assiste a proposito del termine Herrschaft e il mutamento
di struttura sociale, che comporta, a partire dal tardo XVIII secolo la demolizione
delle vecchie forme di dominio: il suo riferimento va alla modificazione della sfera
dell’altes Haus, alla nascita della più ristretta famiglia moderna, alla emancipazio-
ne della donna, alla fine della schiavitù, alle strutture della nuova economia, al mu-
tamento dei servizi, che prendono carattere oggettivo perdendo un significato este-
so alla persona, alla fine dell’autonomia delle corporazioni, che passano
dall’«autogoverno» all’autoamministrazione sotto le leggi dello Stato (cfr. Osser-
vazioni cit., p. 108). Se si ravvisa per altro la nascita del concetto di Herrschaft,
come potere, nella nuova scienza politica, esso non appare come una semplice ri-
caduta delle trasformazioni sociali: il rapporto è più complesso e in molti casi ab-
biamo una anticipazione della teoria in relazione alle modificazioni sociali e costi-
tuzionali. L’unità e omogeneità che caratterizzano i concetti della forma politica
moderna difficilmente possono essere collegate alla complessità e pluralità che
caratterizzano la situazione del secondo Seicento o della prima metà del Settecen-
to. Non è un caso che nei GG, per definire la sfera concettuale dello Stato – che è
naturalmente stato moderno –, ci si debba riferire al periodo della rivoluzione fran-
cese: è qui che la parola appare trasmettere un Grundbegriff (cfr. la voce Staat-
Souveränität nel vol. VI e in particolare la parte della trattazione di Koselleck: su
ciò le mie annotazioni in Historisches Lexikon e storia dei concetti cit., spec. pp.
116-118). Si pensi anche al concetto moderno di rappresentanza politica, come
rappresentanza dell’unità del corpo politico o del popolo, concetto inventato nel
Leviatano di Hobbes, che ha la sua comparsa da un punto di vista dei processi «co-
stituzionali», riguardanti in questo caso anche la carta costituzionale, solo con il
passaggio dal 1789 alla costituzione francese del 1791, dove la rappresentanza dei
deputati del popolo sostituisce un mondo diverso che si riassumeva nella rappre-
sentanza per stati.
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76 La paradossalità consiste nel fatto che la sovranità del popolo si pone in Rous-
seau come negazione del principio rappresentativo.
77 Si può facilmente intuire come sia possibile per questa strada l’esame della na-
scita delle storie della filosofia che si ha – anche in questo caso – nella seconda
metà del Settecento: disciplina moderna dunque che pretende di cogliere le struttu-
re del pensare che si è dato fuori dai suoi presupposti. È interessante notare
l’intreccio che si ha tra il procedimento storico concettuale e la problematica filo-
sofica: si potrebbe sviluppare il discorso nella direzione del modo aristotelico di
fare Historia delle posizioni dei filosofi a lui precedenti, e mettere a tema il signi-
ficato che ha la filosofia nel caso di questa Historia e quello che viene ad assumere
nella moderna storia della filosofia (a questo proposito è da ricordare M. Gentile,
Se e come è possibile la storia della filosofia, Liviana, Padova 1964). Il procedi-
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mento storico-concettuale, come lo abbiamo inteso, appare allora avere una valen-
za teoretica, così come il problema filosofico appare incrociare necessariamente la
problematica posta dalla storia concettuale, nel momento in cui filosofia, e più spe-
cificamente filosofia politica, si fa oggi, in una situazione che forse è alla fine di
un’epoca, ma ne porta ancora tutto il peso.
78 È interessante qui notare in modo determinato l’espressione di Brunner: da una
parte il concetto di politica a cui si ispira è detto «più ampio», dunque più com-
prensivo (e certo tale può essere solo se è anche critico di quello moderno), non
«radicalmente altro», che non si colloca cioè da un’altra parte, in un’altra epoca;
dall’altra la mancanza di determinazione che si potrebbe ravvisare nell’espressione
«vagamente aristotelico» viene corretta se si ravvisa in essa la volontà di esprimere
qualcosa che è pensabile solo in quanto si superano i confini e la struttura del con-
cetto moderno, aprendosi ad una dimensione in cui è comprensibile il concetto di
politica aristotelico, ma nello stesso tempo non si vuole semplicemente negare la
concettualità moderna, né riproporre in modo immediato il concetto aristotelico di
politica per la storia sociale e l’analisi anche della realtà moderna.
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91 Mi pare che questo sia il modo di intendere la filosofia politica che è criticata
nei lavori di Roberto Esposito (cfr. soprattutto, Categorie dell’impolitico, Il Muli-
no, Bologna 1988 e Nove pensieri sulla politica, Il Mulino, Bologna 1993) e dagli
autori da lui attraversati, in primis Hannah Arendt: filosofia come teoria, costru-
zione teorica appunto, sapere normativo. La critica condivisibile a una tale forma
del sapere politico, o di ciò che con Socrate si potrebbe definire «pretesa di sape-
re», in cui consiste la filosofia politica moderna, non risolve però il problema della
filosofia politica, ma al contrario contribuisce a porlo.
92 Sulle aporie fondamentali della teoria giusnaturalistica e del contrattualismo
moderno, cfr. l’Introduzione a Il contratto sociale nella filosofia politica moderna
cit. e il cap. II del presente lavoro.
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2. Politica e filosofia 63
2 Tale scarto epistemologico non comporta tuttavia una totale alterità dell’impianto
concettuale weberiano nei confronti di quello che nasce con la filosofia politica
moderna: il suo concetto di Herrschaft non è pensabile senza il processo di razio-
nalizzazione al cui centro sta la nascita e la diffusione dei concetti moderni (cfr. su
ciò il mio Tipi del potere e forma politica moderna in Weber cit., e il volume col-
lettaneo, Duso (a cura), Il concetto di potere. Per la storia della filosofia politica
moderna, Carocci, Roma 1999, in particolare l'introduzione alla VI sezione e i due
saggi di L. Manfrin e A. Scalone dedicati rispettivamente a Weber e a Schmitt). È
evidente come i due livelli, quello della forma politica e quello di un significato di
politico che non coincide con lo statuale, ma ne costituisce piuttosto l’elemento
genetico, richiamino la riflessione di Carl Schmitt.
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rizza il sapere scientifico. Nell’ambito della riflessione che stiamo seguendo, non è
una tale filosofia, intesa come Weltanschauung, o come costruzione di una forma
politica razionale e utopica, o come rimedio ai mali del mondo, che interessa. È
piuttosto il problema che nasce all’interno della determinazione della scienza poli-
tica a caratterizzare tale filosofia politica e a mostrare anche il suo possibile rigore,
quello di una domanda che si impone, che non si può non porre. Sul legame della
distinzione in questione e una «certa» dottrina filosofica, all’interno della quale
sola ha significato, cfr. D. Zolo, La «tragedia» della scienza politica, in «Demo-
crazia e diritto», 1988, n.6.
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4 Per il chiarimento di questo rapporto tra filosofia e realtà, tra Vernunft e Wirkli-
chkeit, rimando a Crisi e compimento del diritto naturale nella filosofia classica
tedesca (di prossima pubblicazione).
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5 Su tale tema e sulla differenza della politica classica da quella che nasce con la
scienza politica moderna, cfr. l’importante volume di M. Riedel, Metaphysik und
Metapolitik, Suhrkamp, Frankfurt a. M. 1975, p.102; trad. it. Di F. Longato, Il Mu-
lino, Bologna 1990.
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8 Cfr. L. Strauss, Che cos'è la filosofia politica, trad. it., Argalia, Urbino 1977,
spec. pp. 33 e sgg. e 299 e sgg.
9 Si veda in particolare su Aristotele il primo paragrafo del III capitolo; cfr. anche
A. Cavarero, Il bene nella filosofia politica di Platone e Aristotele, in «Filosofia
politica», 1989, n. 2, pp. 289-321.
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2. Politica e filosofia 71
10 Punti di riferimento per una più concreta comprensione della Verfassung sono
la tedesca Verfassungsgeschichte (cfr. cap. I), come la concezione schmittiana,
quale appare in Verfassungslehre cit. Per il concetto di «costituzione materiale» è
fondamentale in Italia il pensiero di Costantino Mortati: cfr. su ciò e anche sul rap-
porto di Mortati con Schmitt, il denso saggio di M. Fioravanti, Dottrina dello Sta-
to-persona e dottrina della costituzione. Costantino Mortati e la tradizione giu-
spubblicistica italiana, in Il pensiero politico di Costantino Mortati, a cura di M
Galizia e P. Grossi, Giuffrè, Milano 1990, pp. 45-185, spec. pp. 142 sgg. Questi
materiali di una storia costituzionale complessiva possono tuttavia essere intesi
nella direzione di una più ampia e pacificata comprensione della realtà politico-
sociale, oppure di una radicalizzazione filosofica della concettualità moderna.
11 In questa direzione sono stati qui letti alcuni spunti offerti dalla riflessione di
Brunner (cfr. cap. precedente).
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2. Politica e filosofia 73
12 Per intendere tali paradossi è da tenere presente il risultato del lavoro Il contrat-
to sociale nella filosofia politica moderna cit., spec. L’Introduzione: Patto sociale
e forma politica.
13 Sulla rappresentanza cfr. il cap. V.
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ad una idea che è per sua natura eccedente il piano empirico in cui
la rappresentanza si dà15.
Se la via schmittiana può essere percorsa per un primo momento
di problematizzazione della teoria moderna, in quanto lo svelamen-
to della logica dei concetti moderni mette in crisi la loro oggettività
e la loro funzione legittimante, tuttavia, come Voegelin rileva16, in
Schmitt l’affondo non è ancora radicale, la problematizzazione è
ancora parziale e il politico come conflitto che si è qui raggiunto,
lungi dall’essere l’attingimento di una dimensione originaria, ri-
schia di essere ancora solo il presupposto che la moderna forma po-
litica richiede per il suo porsi. Infatti lo stesso Schmitt ricorda come
il conflitto non sia il risultato di una concezione pessimistica della
natura dell’uomo, ma ciò che un pensiero giuridico deve necessa-
riamente presupporre per dedurre la necessità della costruzione
dell’ordine e perciò della forma Stato. Ma nella stessa riflessione
schmittiana, sia a proposito della struttura della decisione, che del
movimento di trascendenza che emerge aporeticamente nella stessa
rappresentazione (o rappresentanza politica) moderna si possono
trovare gli elementi per una più radicale domanda sul politico,
sull’ordine e sull’agire dell’uomo.
Tale domanda mostra la sua legittimità e innegabilità
nell’impossibilità di riduzione della politica, «laicamente», al lin-
guaggio delle cose e al loro autogoverno, e dunque nella non tenuta
del processo moderno di immanentizzazione, che tende a trasforma-
re l’idea in un soggetto reale, (il popolo, la nazione) senza peraltro
riuscire a mostrare i modi immediati del suo esprimersi. Non riesce
ad evitare tale domanda nemmeno il tentativo di sostituire al vuoto
di quella finzione di unità la presunta realtà concreta dei singoli che
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17 Intendo riferirmi alla sopra ricordata struttura della rappresentazione come im-
plicazione dell’idea, come pure alle contraddizioni che appaiono insite nei concetti
che nascono con il giusnaturalismo.
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2. Politica e filosofia 79
con l’impossibilità che il bene sia contenuto del nostro dire od og-
getto del nostro vedere, il piano dell’agire comporta necessariamen-
te il taglio della scelta, la quale non può essere razionalmente fon-
data in modo incontrovertibile, ma è esposta al rischio. Se la scelta
è imprescindibile per agire, e per condurre la vita della comunità,
ciò significa che non si può non riferirsi all’idea – e l’idea, per
quanto riguarda lo spazio della politica, emerge nella forma della
giustizia –, ma che l’immagine che se ne dà è sempre arrischiata,
non è «scientificamente» fondata, e non ci mette al sicuro una volte
per tutte.
In questa direzione, come ho tentato di proporre in altra sede18,
si può forse intendere il lavorio del filosofo platonico, il quale,
guardando al bene, che eccede ogni visione, cerca di dipingere,
cancellare, ridipingere in innumerevoli tentativi la polis, e si può
ancora intendere la ragione della trasformazione anche formale che
si ha nella parte centrale del la rappresentazione platonica, che di-
venta a lungo monologo, proprio per opera di quel Socrate che
normalmente interviene per spezzare il monologo altrui, mostrando
l’imporsi della struttura del dialogo. Mediante il discorso di propo-
sta di una organizzazione della polis, che si ha al centro della Re-
pubblica, il Socrate di Platone prende in proprio la responsabilità e
il rischio della proposta; non con la pretesa di aver finalmente pos-
sesso del bene mediante il sapere, ma con la consapevolezza della
sua eccedenza e della sua intraducibilità in oggetto della dottrina.
La polis si configura guardando da una parte all’ordine dell’anima e
dall’altra ai materiali offerti dalla cultura del tempo. Ambedue gli
aspetti sono rilevanti, sia la problematizzazione filosofica che guar-
da all’idea, sia la necessità, nel rischio della proposta, di muoversi
all’interno dell’eticità propria del proprio tempo. La proposta sulla
organizzazione della polis non ha allora lo stesso rigore che caratte-
rizza la confutazione della pretesa scienza relativa alla giustizia che
avanzano i Sofisti; ma tale situazione è quella propria della prassi
dell’uomo. La stessa indicazione di intendere la giustizia nel signi-
ficato del ta eautou prattein non costituisce l’esposizione di un sa-
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19 Una lettura di Platone nel senso della subordinazione della pratica e della politi-
ca alla filosofia, intesa come esposizione della verità è quella che propone Hannah
Arendt (The Human Condicion, The University of Chicago, 1958, trad. it. Vita ac-
tiva, Bompiani, Milano 1964, sp. p. 123); cfr. su ciò S. Forti. Vita della mente e
tempo della polis, Hannah Arendt tra filosofia e politica, FrancoAngeli, Milano
1994, p. 130 sgg. Su questa base il concetto di governo viene interpretato come
dominio determinato dal rapporto comando-obbedienza.
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bene e alla giustizia in un sapere che possegga l’idea come suo og-
getto, in una dottrina dunque che formuli le norme che devono re-
golare il comportamento collettivo degli uomini. Ma tuttavia non
può essere considerata nemmeno semplicemente «descrittiva», poi-
ché la descrittività implica l’oggettività e autosufficienza di ciò che
è descritto, cioè una realtà altrettanto chiusa e autosufficiente di
quella conoscenza che alla realtà si rivolge. La domanda non lascia
l’agire o il mondo delle cose nello stato in cui appare quando essa
non è emersa, cioè nell’autosufficienza di ciò che si presenterebbe
come «realtà» in contrapposizione all’atto del pensiero. Se il pro-
blema della giustizia appare come necessariamente implicato dal-
l’agire degli uomini e dal darsi della collettività ciò è costitutivo
della realtà e non permette di ridurre il sapere alla mera descrizione
delle cose e dei comportamenti.
Il rigore del pensiero così inteso, nel momento in cui è rivolto al-
la politica, comporta l’impossibilità di dedurre l’azione da una teo-
ria o dottrina, e dunque il passaggio alla prassi giusta dalla teoria
giusta, e riporta perciò al rischio connaturato all’agire e
all’insopprimibile tentativo di dare forma alla giustizia (la critica
alla riduzione formalistica non è rifiuto del mondo delle forme). Ciò
non è irrazionalità o equivalenza delle decisioni, poiché in ogni
momento è implicato l’atto noetico, che mette alla prova le pretese
soluzioni del problema della giustizia e nello stesso tempo riattiva
la tensione verso l’idea. Non è dunque disorientamento, ma certo
mancanza di quella sicurezza che deriva dalla pretesa della riduzio-
ne della giustizia al contenuto della dottrina, sia quando questa si
presenta nella veste della «fondazione», sia quando assume i panni
apparentemente depotenziati e dimessi di una indicazione procedu-
rale e funzionale. Il pensiero si apre così in modo arrischiato ad una
prassi che non è deducibile da esso non per la sua debolezza, ma a
causa della sua forza e del suo rigore.
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1 Il termine imperium è usato sia nella tradizione del pensiero politico, a cui si ri-
chiama Althusius, sia in autori che si inseriscono nel cammino della moderna filo-
sofia politica come Kant. Tuttavia, il significato da esso espresso appare mutare, in
relazione al diverso contesto teorico in cui è inserito.
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2 Cfr. ad esempio Ch. Meier, Die Entstehung des Politischen bei den Griechen,
Suhrkamp, Frankfurt am Main 1980, trad. it. di C. De Pascale, La nascita della
categoria del politico in Grecia, Il Mulino, Bologna 1988, p.307.
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7 Si veda nel secondo libro della Politica la polemica contro l’eccessiva unità im-
plicata nella Repubblica di Platone.
8 Aristotele, Politica, II, 2, 1261 a 20.
9 Ivi, b 22-24.
10 Ivi, III, 4, 1277 a 5 sg.
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17 Ivi, VII, 14, 1332 b 33-34. Preferisco tradurre arché normalmente con governo
anziché con comando, perché, pur essendo vero che alla direzione e alla guida è
connaturata una certa supremazia che si esprime nel comando, a quest’ultimo ter-
mine è oggi connaturato un aspetto formale, che deriva dalle trasformazioni che i
rapporti di dominio, o Herrschaft, hanno avuto mediante il moderno concetto di
potere.
18 Cfr. ad esempio Aristotele, Politica, I, 12, III, 6, 1279 a 8-13, III, 16, 1287 a 12-
18, VII, 14, 1332 b 16-35, II, 2, 1261 a 37 -b 6.
19 Ivi, II, 2, 1261 b 1-6. Tale passo è infatti inserito nel contesto in cui Aristotele
sostiene la pluralità come caratteristica della polis, e afferma che essa è costituita
da uomini specificamente diversi.
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3. Fine del governo e nascita del potere 89
20 Sulla supremazia dei nomoi cfr. ivi, III, 16, 1287 a 19 sgg., IV, 4, 1292 a 4 sgg.,
dove si distingue a proposito della democrazia, la situazione in cui kyrios è il no-
mos, e quella in cui invece domina il plethos: in questo caso le decisioni
dell’assemblea – psephismata – sono ben altro dai nomoi. A proposito del governo
o meno della legge cfr. anche IV, 6, 1293 a 20 sgg. Cfr. su tutto ciò e sul significa-
to e la trasformazione dei nomoi in Grecia, Meier, La nascita della categoria del
politico cit., spec. Il mutamento del mondo dei concetti politico-sociale nel V seco-
lo a. C., pp. 283-333.
21 Cfr. V. Sellin, Regierung, Regime, Obrigkeit, in GG cit., Bd.V, p. 363. Per
l’immagine del kybernetes in Aristotele cfr. Politica, III, 6, 1279 a 4 sgg.
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90 Giuseppe Duso – La logica del potere
concezione dell’agire che è qui sottesa è tale per cui l’azione non è
mai garantita da conoscenze scientifiche o da norme che si tratti di
applicare ai casi particolari – e non è perciò riducibile ad una razio-
nalità formale (tipica non solo della politica, ma anche della morale
in epoca moderna) – , bensì è solo nella situazione concreta che
l’atto noetico e la virtù indicano la direzione da percorrere. La fun-
zione di guida e di governo, che si pone in questo contesto, non e-
quivale né ad una espressione di volontà e di comando, né ad una
subordinazione dei governati alla volontà dei governanti. È infatti
da ricordare che è agire politico tanto il governare, quanto l’essere
governati.
L’affermazione della differenza come elemento indispensabile
della polis e del governo e la concezione per cui la polis è composta
di parti svolgono un ruolo fondamentale nella descrizione aristoteli-
ca delle forme di governo, che si distinguono a seconda che il poli-
teuma, o il governo della polis, sia detenuto da uno solo, da pochi o
da molti22. Pur non potendo qui entrare nel merito dell’analisi delle
diverse forme sia buone (monarchia, aristocrazia, politia), sia dege-
nerate (tirannide, oligarchia, democrazia) di costituzione, né dei
modi diversi, non sempre omogenei, in cui Aristotele parla di de-
mocrazia, né delle diverse forme di democrazia, ci pare tuttavia uti-
le ricordare che il termine democrazia può avere significato nel
contesto aristotelico come forma di governo solo in quanto il popo-
lo non è la totalità degli individui della polis, e nemmeno la totalità
dei cittadini, bensì solo una parte.
Infatti, se la polis è composta di parti, le costituzioni si differen-
ziano tra loro a seconda del modo in cui si rapportano le parti e a
seconda della parte a cui è affidato il governo; perciò «è necessario
che le costituzioni siano proprio tante quanti sono i modi di ordina-
re le magistrature in rapporto alla superiorità e alla differenza delle
varie parti»23. Il demos non indica allora la totalità dei singoli com-
presi in una città, e nemmeno di tutti i liberi, ma piuttosto quella
parte dei liberi che sono poveri: perciò «si ha democrazia quando
stanno al governo uomini liberi e poveri, che sono in maggioran-
22 Si ha uno schema riassuntivo in ivi, III, 7, 1279 a 23 sgg.; cfr. su ciò Bien, La
filosofia politica di Aristotele cit., pp. 276 sgg..
23 Cfr. Aristotele, Politica, IV, 3, 1289 b 27 sgg. e 1290 a 11-13.
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3. Fine del governo e nascita del potere 91
24 Ivi, IV, 4, 1290 b 17-20. Cfr. su ciò Meier, La nascita della categoria cit., p.
280. Tale significato di democrazia in Aristotele è ricordato in un dibattito sulla
democrazia moderna anche da N. Bobbio, Le regole di maggioranza, limiti e apo-
rie, in N. Bobbio, K. Offe, S. Lombardini, Democrazie, maggioranze e minoranze,
Il Mulino, Bologna 1981, p. 34.
25 Così invece Meier, La nascita della categoria cit., p.317, n. 75.
26 Aristotele, Politica, IV, 4, 1291 b 30-38.
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94 Giuseppe Duso – La logica del potere
33 Ivi, I, 34.
34 «Quo magis bonum communicatum, eo melius praestantiusque est» (ibid.).
35 Ivi, I, 14 sgg.
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50 Si badi bene che per tale quadro non intendo qui un sistema di verità, ma piutto-
sto un problema che a tutti si impone, come avviene nei Dialoghi di Platone. Come
si è infatti detto, niente è più lontano dal modo in cui Aristotele e Platone pongono
il problema dell’agire e del vivere bene di un sistema di norme e di verità (quale si
può invece ravvisare in molte interpretazioni del pensiero classico, che sono guida-
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3. Fine del governo e nascita del potere 101
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3. Fine del governo e nascita del potere 103
litico della tradizione, anche nella forma che esso assume con Al-
thusius54.
54 Naturalmente questa linea risulta critica nei confronti della celebre interpreta-
zione di O. von Gierke (Johannes Althusius und die Entwicklung der naturrechtli-
chen Staatstheorien, Koebner, Breslau 1880: trad. it., G. Althusius e lo sviluppo
storico delle teorie politiche giusnaturalistiche, Einaudi, Torino 19742), che consi-
dera Althusius all’origine del moderno giusnaturalismo. Per una discussione della
tesi del Gierke rimando a Patto sociale e forma politica cit., e alla bibliografia cita-
ta in questo paragrafo. Il confronto con il testo di Gierke è costante nella gran parte
dei saggi contenuti in Politische Theorie des Johannes Althusius cit.
55 Ricordo il saggio di A. Biral, dal titolo significativo per il presente ragionamen-
to, Hobbes: la società senza governo cit. .
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56 Così si può ad esempio dire che, qualora il sovrano sia un monarca, «(per quan-
to sia un paradosso) il re è il popolo», in quanto il re esprime la volontà del sogget-
to collettivo di fronte a quella che è una mera moltitudine di sudditi (Th. Hobbes,
De cive. Elementi filosofici sul cittadino, trad. it. a cura di T. Magri, Editori Riuni-
ti, Roma 19822, p.188).
57 Hobbes, Leviatano cit., cap. XVIII, pp. 152-153. Di Althusius invece è la con-
cezione che il Sommo magistrato è superiore ai singoli sudditi, ma inferiore al po-
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3. Fine del governo e nascita del potere 105
polo nella sua totalità, al quale spetta lo jus majestatis (cfr. ad esempio Politica,
IX, 18).
58 Si ricordi infatti che il cap. XVII del Leviatano, che riguarda il contratto e la
formazione del corpo politico, è preceduto da quello sulle «persone, autori», nel
quale Hobbes espone la sua teoria della rappresentanza.
59 Fino a Weber arriva l’onda lunga di questa formalità del potere, come si è ri-
cordato sopra: si veda la definizione della Herrschaft come rapporto di comando-
obbedienza in Wirtschaft und Gesellschaft cit., I, 28; trad. it. Economia e società
cit., I, p. 52).
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106 Giuseppe Duso – La logica del potere
cità, esprime. Ora invece l’uguaglianza è garantita dal fatto che chi
esercita il potere non lo fa per sue qualità o per la sua diversità, ma
solo in quanto attore della volontà comune60. Questa è in Hobbes
immediatamente il risultato della rappresentanza, mentre poi si apri-
rà una divaricazione e uno scarto continuo tra l’azione rappresenta-
tiva e quella sfera di razionalità espressa nella opinione pubblica, da
cui il rappresentante dovrà essere idealmente condizionato.
L’antica idea del governo secondo le leggi perde di significato,
perché il vero problema è ora la determinazione della legge come
comando per tutti valevole: governare viene ad essere termine che
indica l’esercizio del potere sovrano61, che è innanzitutto creazione
della legge. Le diverse tradizionali forme di governo indicano infat-
ti, in rapporto al numero, colui o coloro che esercitano il potere so-
vrano62 e dunque che esprimono comandi che sono leggi, ed hanno
il senso della volontà di tutti, qualora questo tutti sia inteso nel sen-
so unitario dell’insieme del corpo politico. Il sovrano rappresentan-
te può allora essere o un re, o un’assemblea di pochi, o
un’assemblea di tutti i cittadini.
In particolare la trattazione della democrazia comporta una dif-
ficoltà di sistemazione logica all’interno dell’itinerario di pensiero
di Hobbes. Infatti, se il termine popolo significa il corpo unitario
nella sua totalità, allora in ogni forma di governo è il popolo il fon-
damento. Nel De Cive, dopo aver inteso per democrazia
l’assemblea degli individui costituenti la società63, Hobbes non può
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3. Fine del governo e nascita del potere 107
cap. IV). Cfr., sulla posizione di Hobbes a proposito della democrazia nel De cive,
l’introduzione di Magri alla edizione italiana, pp. 39-40; di Magri si veda anche
Saggio su Thomas Hobbes. Gli elementi della politica, Il Saggiatore, Milano 1982.
64 Cfr. Leviatano cit., cap. XVI, p. 134.
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3. Fine del governo e nascita del potere 109
71 Ibid.
72 Ivi, p.273.
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3. Fine del governo e nascita del potere 111
75 Ivi, L I, cap. 6.
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3. Fine del governo e nascita del potere 113
81 Il contratto sociale cit., L III, cap. 9. Non mi pare che giochi a questo proposito
un grande ruolo il fatto che Rousseau si difende dicendo che prende solo a prestito
la matematica, ben consapevole che la precisione matematica non ha corso nelle
quantità morali (ivi, cap. 1). Egli è infatti all’interno della dimensione scientifica
inaugurata da Hobbes, il quale afferma che l’arte (lat. scientia) politica consiste in
certe regole, come la matematica e la geometria, e non nella pratica (Leviatano cit.,
cap. XX, p.174), quella pratica che era invece importante nel contesto aristotelico.
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114 Giuseppe Duso – La logica del potere
82 I. Kant, Zum ewigen Frieden, in Werke, hrsg. von der königlichen Preussischen
Akademie der Wissenschaften (Ak. Aus.), de Gruyter, Berlin u. Leipzig 1923, Bd.
VIII, p.352; trad. it. di G. Solari e G. Vidari, Per la pace perpetua, in Scritti politi-
ci, Utet, Torino 1965, p. 295.
83 Ibid., trad. it. cit., p. 294. I problemi relativi alla terminologia kantiana sono
sempre assai ardui, anche perché i termini non sempre sono usati in senso rigoroso
nel significato che Kant puntigliosamente determina. I problemi aumentano poi
nelle traduzioni, in cui si ha spesso un uso poco oculato dei termini, che rende dif-
ficile o fa deviare la comprensione concettuale. Qui, per esempio, troviamo il ter-
mine «sovrano» al posto di «reggente» (Regent), e tale mutamento di termini non
tiene conto che nella Rechtslehre Kant distingue lo spazio in cui si manifesta la
sovranità, che è quello legislativo, da quello del Regent o Agent des Staates, che è
quello del potere esecutivo o del governo. Anche il riferimento alle «tre forme di
governo» (che troviamo nell’ultima riga di p.294) in realtà suona nel testo tedesco
come riferimento alle tre Staatsformen. Infatti Kant aveva appena distinto le forme
della Beherrschung, o imperii, dal modo del governo (der Regierung o regiminis),
ed ora vuole giudicare come le tre forme in cui si esprime la sovranità dello Stato
si rapportano, o si possono rapportare, al modo di governo.
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3. Fine del governo e nascita del potere 115
84 Cfr. I. Kant, Metaphysische Anfangsgründe der Rechtslehre, Ak. Aus., Bd. VI,
§ 51, p.338; trad. it. Principi metafisici della dottrina del diritto, in Scritti politici
cit., p. 529.
85 Per questa distinzione e per la terminologia usata da Kant cfr., oltre al passo cit.
di Zum ewigen Frieden, e al § 51 della Rechtslehre cit., anche i §§ 45 e 49.
86 Zum ewigen Frieden cit., p. 353; trad. it. cit., p.295.
87 E ciò probabilmente perché anche la monarchia e l’aristocrazia, come forme
storiche di costituzione, comportano l’esercizio del potere legislativo da parte di
colui o coloro che reggono lo Stato. Infatti in tutte e tre le forme di Stato, che a
volte (Rechtslehre cit., §§ 51-52) secondo l’uso tradizionale ( e non quello inaugu-
rato dalla sua distinzione di forma repubblicana e dispotica) Kant chiama anche
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116 Giuseppe Duso – La logica del potere
forme di governo, la legge è di fatto promulgata da chi esercita anche il potere ese-
cutivo (il re, gli aristocratici).
88 Cfr. sempre Zum ewigen Frieden cit., p. 353; trad. it. cit., p. 295. Per la rappre-
sentazione in Kant cfr. anche il mio Logica e aporie della rappresentanza tra Kant
e Fichte, in «Filosofia politica», I (1987), n.1, pp. 31-56.
89 Cfr. Rechtslehre cit., § 47, p. 315; trad. it. cit., p.502.
90 Cfr. ivi, § 46, p. 313; trad. it. cit., p. 500.
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3. Fine del governo e nascita del potere 117
sovranità del popolo, può parlare anche del «sovrano del popolo»:
dopo aver detto che: «die gesetzgebende Gewalt kann nur dem ve-
reinigten Willen des Volkes zukommen»91, può anche riferirsi allo
Herrscher des Volkes come al Gesetzgeber92. Nel primo caso il po-
polo è la totalità sovrana del corpo politico, che tuttavia non può
esprimersi che attraverso un suo rappresentante; nel secondo caso il
popolo è l’insieme dei sudditi, che è la sola realtà esistente di fronte
al rappresentante, che giuridicamente esprime la volontà collettiva.
È proprio per il suo carattere rappresentativo della volontà collettiva
del popolo che il sovrano reale dello Stato è legittimato ad esprime-
re una funzione di comando nei confronti dei cittadini 93.
Per quanto riguarda la distinzione tra la persona del legislatore e
quella del reggitore, non solo si può dire che al tempo di Kant era
difficilmente pensabile nel senso di una costituzione reale94, ma an-
che che nello stesso Kant essa si inserisce in una dimensione ideale
e regolativa. Infatti non solo le due costituzioni autocratica e aristo-
cratica appaiono a questo proposito sempre difettose, ma appare
contraddittoria proprio quella democratica in cui, se non si tiene
conto del principio rappresentativo, potrebbe sembrare che si de-
termini la massima unità tra quella volontà collettiva del popolo, in
cui risiedono la sovranità e il potere legislativo, e la persona fisica –
l’assemblea di tutto il popolo – che esprime tale realtà. Ciò significa
che la volontà collettiva del popolo è una dimensione di per sé idea-
le, non reale, e quando pretende di essere reale (il popolo empiri-
camente presente) diventa contraddittoria e negazione di quella
forma che è al centro della dottrina giuridica kantiana. Il carattere
razionale e a-priori della sovranità e della volontà generale95 deve
essere tenuto fermo, proprio in quanto costituisce in Kant il cuore
del principio rappresentativo, a differenza che in Hobbes, in cui la
volontà del corpo comune è immediatamente la volontà del rappre-
91 Ibid.
92 Ivi, § 49, p.317; trad. it. cit., p.503.
93 Cfr. Über den Gemeinspruch: das mag in der Theorie richtig sein, taugt aber
nicht für die Praxis, Ak. Aus., Bd. VIII, p.304; trad. it. Sopra il detto comune:
«questo può essere giusto in teoria, ma non vale per la pratica», in Scritti politici
cit., pp. 270-271.
94 Cfr. Sellin, Regierung cit., p. 373.
95 Cfr. Rechtslehre cit., § 51, p. 338; trad .it. cit., p. 529.
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118 Giuseppe Duso – La logica del potere
sentante. Tale identificazione vale anche per Kant, nel senso che
non c’è possibile opposizione attiva alla volontà espressa dal rap-
presentante: la differenza tuttavia consiste nel fatto che per Kant il
rappresentante è sempre tenuto ad ispirarsi a quella idealità e razio-
nalità che caratterizza la volontà comune, e perciò la volontà del
popolo: in tal modo egli apre quella dialettica della pubblica opi-
nione che era in Hobbes negata alla radice.
L’idealità della distinzione tra legislativo ed esecutivo appare
consona alla stessa dottrina kantiana dello Stato, che è la descrizio-
ne dello Stato in der Idee – e dunque nella chiave dell’idea regola-
tiva –, cioè «tale come esso deve essere secondo i puri principi di
diritto e che deve servire (nell’interiorità) da filo conduttore (da
norma) per ogni associazione reale che tenda a costituirsi in
un’essenza comune»96. È proprio in questa direzione regolativa che
si deve intendere lo scarto tra la persona rappresentativa e il popolo
sovrano, così come lo stesso contratto sociale: secondo questo infat-
ti, come semplice idea della ragione, il legislatore deve sentirsi ob-
bligato a «fare le leggi come se esse dovessero derivare dalla volon-
tà comune di tutto il popolo»97. Come si è visto a sufficienza, ciò è
esattamente il contrario dell’affermazione secondo cui è tutto il po-
polo, empiricamente inteso, a legiferare, come il concetto di demo-
crazia in senso stretto implicherebbe.
In questo quadro in ogni caso la Regierung in senso proprio è
l’insieme del reggente e dei ministri che dipendono dai suoi decreti
e svolgono la funzione di amministrazione dello Stato (Staatsver-
waltung o gubernatio)98. Il potere, sostanzialmente unico, è legato
alla volontà del corpo comune espressa nel legislativo. Il potere e-
secutivo è, come il termine esprime, solo secondario e dipendente, è
solo concentrazione della forza per effettuare le volontà del sovra-
no: è appunto vollziehende, ausübende Gewalt. Non è più né ele-
mento di guida della comunità, né istanza che è da altre controllata
e bilanciata.
La concezione kantiana del potere è dunque, con una sua speci-
ficità, interna al processo di pensiero dominato dal problema della
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3. Fine del governo e nascita del potere 119
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100 Cfr., per la direzione della riflessione politica dello Hegel giovane, il mio Frei-
heit, politisches Handeln und Repräsentation beim jungen Hegel, in Rousseau, die
Revolution und der junge Hegel, Veröffentlinchungen der Internationalen Hegel-
Vereinigung, hrsg. H. F. Fulda u. P.Horstmann, Klett-Cotta, Stuttgart 1991, pp.
242-279.
101 Rimando a due miei saggi: per la critica hegeliana del giusnaturalismo, La cri-
tica hegeliana del giusnaturalismo nel periodo di Jena, in Il contratto sociale cit.,
pp. 311 sgg., e, per il significato che viene a prendere la rappresentanza, a La rap-
presentanza politica e la sua struttura speculativa nel pensiero hegeliano, in
«Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno», 18 (1989), pp.
43-75.
102 Cfr. G.W.F. Hegel, Grundlinien der Philosophie des Rechts, ed. Hoffmeister
19554; trad. it. ora a cura di G. Marini, Lineamenti di filosofia del diritto, Laterza,
Roma-Bari 1987, p. 287
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3. Fine del governo e nascita del potere 121
103 Cfr., sul ruolo sistematico del monarca, C. Cesa, Entscheidung und Schicksal:
die fürstliche Gewalt, in Hegels Philosophie des Rechts, hrsg. D. Henrich u. P.
Horstmann, Stuttgart 1982, pp.185 sgg.; B. Bourgeois, Le prince hégelien, ora in
Id., Etudes hégéliennes. Raison et decision, PUF, Paris 1992, pp. 207-238; il mio
La rappresentanza politica e la sua struttura speculativa cit., e M. Alessio, Azione
ed eticità in Hegel. Saggio sulla «Filosofia del diritto», Guerini, Milano 1996, pp.
175 sgg.
104 Cfr. E.-W. Böckenförde, Der deutsche Typ der konstitutionellen Monarchie im
19.Jahrhundert, in Staat, Gesellschaft, Freiheit, Suhrkamp, Frankfurt a.M. 1972,
pp. 112-145.
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122 Giuseppe Duso – La logica del potere
105 Cfr., a proposito della posizione sullo Stato di Karl Salomo Zachariä, Sellin,
Regierung cit., p. 376.
106 Cfr. J. Stahl, Die Philosophie des Rechts nach geschichtlicher Ansicht, Bd II,
2, Heidelberg 1837 (cfr. Sellin, Regierung cit., pp.378-379). Sul principio monar-
chico in Stahl cfr. C. De Pascale, Sovranità e ceti in Friedrich Julius Stahl, in
«Quaderni fiorentini», 13 (1984), pp. 407-430.
107 Si pensi al rapporto tra politico e amministrativo nel pensiero weberiano.
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3. Fine del governo e nascita del potere 123
108 Cfr., a questo proposito, la posizione di Carl Schmitt, uno dei teorici che mag-
giormente hanno contribuito a mettere in luce la struttura e la centralità del concet-
to di rappresentazione. Egli tende ad identificare la rappresentazione con la Regie-
rung, intesa nel senso ampio della direzione e del comando, e vede la democrazia
come espressione del principio della diretta presenza del popolo, e dunque del
principio di identità, come tendente ad una riduzione di rappresentazione e perciò
anche di Regierung. Si veda su ciò il § 16 della Dottrina della costituzione cit.,
spec. p. 284; ma si vedano, a complicazione di ciò, i paragrafi successivi dedicati
alla democrazia e all’elemento politico in essa racchiuso. Di Schmitt si veda anche
Die geistesgeschichtliche Lage des heutigen Parlamentarismus, Duncker & Hum-
blot, Berlin 1923, dove, quanto più la legge si carica del senso dell’universale e
quanto più, nel dibattito liberale, diventa mediazione delle diverse ragioni delle
parti, tanto più l’esecutivo perde il carattere di mera esecuzione per rivelarsi anche
azione e decisione.
109 Far rivivere questo concetto all’interno dello Stato moderno (si prenda ad e-
sempio D. Sternberger in alcuni suoi saggi: cfr. ora in trad. it. Immagini enigmati-
che dell’uomo, Il Mulino, Bologna 1991, spec. pp. 161-172) appare un’operazione
concettualmente spuria, come pure quella di alcune posizioni interne alla cosiddet-
ta riabilitazione della filosofia pratica.
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125
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126 Giuseppe Duso – La logica del potere
2 L’uso, corrente nelle traduzioni e negli studi critici, del termine «Stato» a propo-
sito del Commonwealth di Hobbes (mentre il termine è nel Leviatano pressoché
inesistente), porta al rischio, facilmente verificabile, di affrontare il pensiero hob-
besiano mediante categorie come quelle di «statalismo» o di «totalitarismo», che
richiedono il passaggio attraverso processi teorici e reali che si avranno solo
nell’Ottocento e tradiscono la logica del ragionamento hobbesiano. È tuttavia da
ricordare che proprio nel pensiero hobbesiano sono state ravvisate le condizioni
teoriche per quella contrapposizione tra interno ed esterno, pubblico e privato, sul-
la base della quale si giungerà alla distinzione di società civile e Stato (mi riferisco
alla nota tesi di R. Koselleck, Kritik und Krise. Ein Beitrag zur Pathogenese der
bürgerlichen Welt, Karl Aber, Freiburg-München 1959, assai diffuso anche in Ita-
lia grazie alla tr. it. a cura di P. Schiera, Critica illuministica e crisi della società
borghese, Il Mulino, Bologna 1972).
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4. Alle origini del moderno concetto di società civile 127
3 Si veda la Prefatio alla prima edizione della Politica methodice digesta, et exem-
plis sacris et profanis illustrata, Herbornae Nassoviorum, ex officina Christophori
Corvini 1603, sul modo aforismatico e non sistematico delle trattazioni precedenti,
opera di filosofi, giuristi e teologi (p.2) e sull’impresa nuova e difficile a cui egli si
accinge nella trattazione della politica. Nella prefazione alla III edizione, più che la
convinzione della novità dell’impresa, emerge il problema della specificità della
sua trattazione della politica, evidentemente in rapporto alle diverse opere apparse
tra il 1603 e il 1614, tra le quali possiamo ricordare quelle di Casmann (del 1603),
Arnisaeus, von Hoen, Keckermann, Bornitz, Kirkner, Timpler, alcuni dei quali so-
no citati e criticati all’interno dell’opera (una vasta e approfondita presentazione
dei sistemi politici del primo Seicento in Germania si trova in M. Scattola, Impe-
rium virtutis. Idee della politica nell’età moderna, Franco Angeli, Milano 1999).
Questo significato hanno le precisazioni relative alle citazioni delle Scritture e dei
precetti del Decalogo, come alla necessità di tener conto nella trattazione della po-
litica dei capita majestatis (cfr. la Prefazione alla III della Politica, cit. alla nota 28
del III cap.).
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128 Giuseppe Duso – La logica del potere
emerge tra le altre non solo per la profondità e nitidezza del pensie-
ro, ma anche e sopratutto per il senso costituzionale che in essa si
ritrova, intendendo il termine non nel significato moderno, ma in
quello etimologico del complesso delle realtà associative che è og-
getto della politica.
Pufendorf, da parte sua, viene a costituire un importante punto di
passaggio e di diffusione del nuovo pensiero giusnaturalistico nel
mondo tedesco, e risulta alla base della stessa posizione di Thoma-
sius, che eserciterà una notevole influenza. Tanto più è significativa
la sua versione del pensiero giusnaturalistico e del fondamento del
potere politico nel contratto sociale, quanto più il pensiero di Hob-
bes, nella crudezza della sua formulazione, appare alla quasi totalità
dei pensatori come inaccettabile. La logica che nasce nello scenario
contrattualistico quale è concepito da Hobbes, soprattutto per quan-
to riguarda il nesso sovranità-rappresentanza, condiziona, al di là di
ogni intenzione e spesso della stessa consapevolezza, lo sviluppo
del pensiero successivo, il quale cerca affannosamente di staccarsi
da assolutismo, pessimismo e individualismo, che sembrano scelte
teoriche gratuite di Hobbes, di cui si cerca di negare
l’indispensabilità ai fini del compito – accettato invece come comu-
ne – di deduzione razionale della forma della società. Uno dei tra-
miti per la diffusione della nuova logica della politica è costituito
dal pensiero di Pufendorf, che è sembrato privo di quella radicalità
e di quegli elementi negativi che caratterizzano il pensiero del Le-
viatano4, e dunque più accettabile, a causa del quadro non conflit-
tuale che caratterizza lo stato di natura, della dottrina degli enti mo-
rali, della scansione relativa ai vari atti con cui si costituisce il pat-
to, scansione che tende a introdurre possibilità e modalità per risol-
vere quel problema, difficilissimo nell’ambito del giusnaturalismo,
che è costituito dal controllo del potere. Tuttavia, è attorno alla
questione della forma politica e dunque del moderno concetto di
sovranità che ruota anche il suo pensiero, che va perciò sostanzial-
mente nella direzione della diffusione e non della limitazione di
quel contesto di concetti politici che nasce con Hobbes.
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17 Certo c’è anche questa indicazione, secondo la quale il singolo uomo, in quanto
animal politicum o civile, a causa della sua stessa natura tende alla consociazione
(cfr Politica, I, 34: cito dalla III ed.), ma il senso più forte dell’espressione consiste
nel fatto che l’uomo non è pensabile fuori della struttura associativa, come per Ari-
stotele non è concepibile fuori della polis, perché in tal modo è idion, e non realiz-
za la sua natura.
18 Ciò emerge anche dalla rassegna che fa Timpler sui modi di intendere la politi-
ca: delle dodici definizioni ricordate, l’elemento associativo è centrale solo in una,
che in realtà è quella che riprende la definizione che apre la Politica di Althusius:
essa consiste infatti nella «ars homines ad vitam socialem constituendam & con-
servandam consociandi» (cfr. Clemens Timpler, Philosophiae practicae pars tertia
et ultima complectens politicam integram, Hanoviae 1611: si tratta della terza parte
di Philosophiae practicae systema methodicum; in tres partes digestum).
19 Cfr. Politica, I, 2. Solitamente come oggetto della politica è indicata la respu-
blica o la civitas. Contro la proposta althusiana di intendere la respublica come
consociatio si esprime Arnisaeus (Henning Arnisaeus, De Republica seu relectio-
nis politicae libri duo, Frankfurt 1615; editio nova in H. Arnisaei operum politico-
rum, Argentorati, Sumptibus Haeredum Lazari Zetzneri, 1648; si veda in particola-
re il libro secondo, De republicis in genere et specie, p.293).
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20 Già qui si può notare la differenza da Aristotele, non solo perché è affermato il
significato politico di tutte le diverse associazioni, ma anche perché la famiglia è
trattata all’interno dell’opera dedicata alla politica. Se sia giusto considerare la fa-
miglia nella Politica o nella Oeconomica, o in ambedue le discipline, a seconda
che il tipo di considerazione riguardi aspetti privati o pubblici (così ad esempio
Arnisaeus, che si oppone a Keckermann in De Republica, libro primo, dedicato a
De civitate et familia, p.4) è per altro un argomento che rientra spesso nelle tratta-
zioni politiche del tempo. Ciò che in ogni caso è qui importante chiarire è che indi-
care come «private» l’associazione familiare e domestica e quella civile della cor-
porazione non comporta il loro non avere senso e rilevanza politica, come avviene
all’interno della dicotomia pubblico-privato che si ha con il moderno concetto di
sovranità. «Privato» non si oppone a «pubblico» nel senso di «politico», ma piutto-
sto indica la sfera dell’unione in cui i singoli entrano per scelte riguardanti persone
specifiche (come nella famiglia), oppure interessi particolari, non propri di tutti
(come nelle corporazioni). Tuttavia tali forme associative hanno significato politi-
co e sono oggetto della politica, in quanto è l’associazione in quanto tale l’oggetto
della Politica, com’è affermato nell’apertura dell’opera. È inoltre da ricordare che
le associazioni private sono necessarie e presupposte a quelle pubbliche, le quali
non sono caratterizzate da quell’unità e da quell’omogeneità che saranno proprie
della sfera pubblica-politica nel giusnaturalismo successivo: infatti, già nello
Schema politicae la distinzione tra associazioni private e pubbliche si specifica in
questo modo: da una parte si ha la consociatio simplex privata, e dall’altra quella
mista publica. Dunque la consociazione pubblica è caratterizzata dall’essere «mi-
sta», composta dunque di parti, che sono a loro volta associazioni: essa dunque
implica per la propria costituzione le associazioni «private», che sono dotate di
significato politico. La trattazione infatti dell’associazione civile pubblica porta al
suo inizio la definizione: «consociatio publica est, quâ plures consociationes priva-
tae, ad politeuma constituendum, consociantur» (Politica, V, 1).
21 Ivi, I, 3.
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del corpo politico non sono i singoli, ma, a loro volta, associazioni,
sia pubbliche che private24. Ciò significa che l’essere membri del
corpo politico da parte dei singoli non consiste in un loro essere po-
sti, in quanto singoli, di fronte alla volontà unitaria del corpo intero,
ma piuttosto nel loro essere parte di una cerchia che si esprime, in
quanto tale, all’interno del corpo complessivo, in cui è presente con
una propria dignità, una propria volontà e con specifici bisogni.
Non abbiamo cioè la contrapposizione-unità che si affermerà suc-
cessivamente di cittadini singoli-società civile (o politica), ma piut-
tosto la partecipazione dei singoli uomini alla vita politica comples-
siva mediante la vita, che ha significato politico, della cerchia o del-
le cerchie di cui essi fanno parte.
Nemmeno nelle più semplici forme di associazione, come quella
della famiglia, il concetto di individuo ha un ruolo fondante. Certo,
i singoli intervengono direttamente per la costituzione della conso-
ciatio semplice e privata, sia questa la famiglia, di cui causa effi-
ciente sono appunto i singoli uomini che entrano nell’unione con-
traendo un patto25, sia essa un’associazione civile (ma pur sempre
semplice e privata) come è la corporazione, che pure si basa sul
consenso e sulla convergenza delle persone che ad essa danno vita,
per unità di lavoro, professione e interessi. Da una parte si può dire
che la diversità delle persone, la quale risulta invece annullata
dall’astrazione del concetto di individuo, è caratterizzante l’entrata
nella associazione (come è evidente per coloro che danno luogo alla
famiglia diventando coniugi) e che la diversità delle funzioni e dei
doveri caratterizza i membri della stessa, e dall’altra che la forma
associativa, il diritto simbiotico che la caratterizza e la sua necessità
per la vita buona dei singoli non si fondano sull’espressione di vo-
lontà degli stessi. A maggior ragione bisogna poi ricordare che nel
caso della consociatio publica, che è appunto mista, i membri che la
costituiscono non sono individui, ma a loro volta associazioni, a
partire da quelle private. Si può allora dire che non è quello di indi-
viduo il concetto fondante, che sta alla base della costruzione politi-
ca, un concetto che si ottiene mediante l’astrazione da ogni diversità
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non annulla, in una unità politica a cui dà luogo, i soggetti contraenti, ma piuttosto
ne ribadisce la realtà e la soggettività politica. Inoltre la volontà, che certamente si
esprime nel patto, non è libera da vincoli, ma piuttosto non può non riconoscere
quel cosmos oggettivo, che va dagli insegnamenti dei libri sacri alle regole del di-
ritto e alle consuetudini. Su ciò e sulla funzione del patto con Dio nella direzione
del riconoscimento di questa realtà oggettiva, che impedisce una assolutizzazione
della volontà, cfr. G. Duso, Una prima esposizione del pensiero politico di Althu-
sius: la dottrina del patto e la costituzione del regno, in «Quaderni fiorentini per la
storia del pensiero giuridico moderno», 25 (1996), pp. 65-126.
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30 Su tale paradosso si veda anche Kersting, Vertrag cit., p.925. Su Kant cfr. il
mio Logica e aporie della rappresentanza tra Kant e Fichte, in «Filosofia politi-
ca», I (1987), spec. pp. 34-39. Si può allora comprendere la radicale diversità della
funzione del patto per la costituzione del corpo politico. Mentre in Althusius esso
serve a confermare la presenza e la volontà delle parti contraenti, e perciò proprio
il contratto è la base per il diritto di resistenza, invece nel giusnaturalismo succes-
sivo la resistenza è impensabile in quanto con la costruzione contrattuale noi non
abbiamo più il popolo di fronte al suo rappresentante, ma il popolo, in quanto sog-
getto unitario, si può solo esprimere attraverso colui che lo rappresenta. Ciò è chia-
ro in Kant, ma è espresso con efficacia anche in Pufendorf (si veda più avanti).
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31 Cfr. Hofmann, Repräsentation in der Staatslehre der frühen Neuzeit cit., spec.
pp. 522 sgg. Diversa è invece l’opinione di Hüglin, Sozietaler Föderalismus cit.,
spec. pp. 194-195, che propone una struttura unitaria e omogenea di rappresentan-
za che determina il potere dal basso. L’inserimento di Althusius in un contesto che
è legato al principio del governo e non è dominato dal concetto di potere, mi sem-
bra impedisca questa soluzione: per una discussione delle tesi interpretative
dell’interessante volume di Hüglin si veda il mio Althusius e l’idea federalista, in
«Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico», 21 (1992), pp. 611-622.
32 Cfr. Politica, V, 60.
33 Cfr. ivi, XVIII, 59.
34 Ciò non significa che si tratti di un semplice atteggiamento descrittivo, poichè
non si tratta di riprodurre la realtà empirica, ma di pensarla secondo il suo concet-
to, e di vedere come in essa si imponga una direzione verso il bene e il buon go-
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verno. Piuttosto, anche qui come per la Politica aristotelica, è da ricordare che ca-
tegorie epistemologiche come quelle di «descrittivo» o «prescrittivo» – che impli-
cano un contesto teorico che si presenta ben più tardi ed ha presupposti di ben altro
tipo – non hanno nessuna presa ed efficacia ermeneutica (cfr. pp. 52-53 del presen-
te volume).
35 Cfr. Hofmann, Repräsentation in der Staatslehre cit., p. 525. Sul difficile pro-
blema della rappresentazione di identità si veda, dello stesso autore, Repräsenta-
tion. Studien zur Wort- und Begriffsgeschichte cit., spec. pp.191-285.
36 Se non si vogliono dare giudizi storici basati su idee di valore, ma si intende
rimanere nell’ambito della comprensione delle strutture del pensiero, sulla base di
quanto si è sostenuto, non appare fondata l’immagine prodotta da Behnen che, ap-
poggiandosi al lavoro di Antholz, raffigura Althusius come un «dittatore di Em-
den» (cfr. M. Behnen, Herrscherbild und Herrschaftstechnik in der «Politica» des
Johannes Althusius, in «Zeitschrift für Historische Forschung», XI (1984), pp.
417-472). Anche se è vero che Althusius riprende Lipsius, per quanto riguarda psi-
cologia e virtù del principe e dei sudditi, non è possibile astrarre come fa il Behnen
gli elementi propri dell’autorità – che da lui è intesa come semplice capacità di rea-
lizzare ordine – dal significato di administratio, che riveste l’esercizio
dell’imperium, né appare giustificabile ridurre il senso complesso che ha il popolo
a quel «vulgus metu coercendum» di stampo lipsiano che emerge nei cap. XXIV e
XXV. Mi pare che in tal modo si confonda il problema dell’auctoritas del Sommo
magistrato, che riguarda la virtù del principe e il modo in cui la sua figura è vissuta
nell’opinione dei sudditi, con il significato strutturale che ha l’imperium nel com-
plesso quadro costituzionale che è stato indicato. Ugualmente si dimentica anche lo
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4. Alle origini del moderno concetto di società civile 145
stretto nesso esistente tra le due dimensioni della politica, quella della comunica-
zione e quella del governo. La lettura di Behnen, che finisce con ripercorrere i pas-
si dedicati agli ebrei e alla censura in un quadro definito di «stato d’ordine polizie-
sco» (p. 466), è segno di una direzione interpretativa determinata dalla concettuali-
tà moderna, così come quella di coloro che ravvisano nel pensiero politico di Al-
thusius il concetto di sovranità popolare nel senso di Rousseau, o il modello di una
«vera democrazia» come organizzazione del potere dal basso.
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potere che si esercita ugualmente su tutti i singoli non può avere al-
tro fondamento e altra legittimazione che l’uguaglianza degli indi-
vidui e l’espressione della loro volontà.
In realtà l’immaginazione dell’uguaglianza degli individui ha il
fine di superare le differenze tra gli uomini che si riscontrano nella
loro appartenenza ai diversi gruppi, ceti, corporazioni, o perlomeno
di far astrazione da esse. È proprio la differenza legata
all’appartenenza a diverse forme sociali che Pufendorf, come già
Hobbes, considera irregolare, irrazionale e causa di un ingiusto go-
verno dell’uomo sull’uomo. Certamente anche per Pufendorf
l’esistenza del singolo, nella sua realtà storica, è possibile solo nella
società. Ma non sta qui il problema! Esso consiste piuttosto nella
necessità di negare le differenze che gli uomini hanno in relazione
al loro diverso status, alla loro appartenenza ad associazioni diver-
se, per eliminare il governo dell’uomo sull’uomo e dar luogo a un
potere giusto e razionale; e ciò è possibile grazie al concetto degli
individui uguali, che toglie alla base della costruzione le differenze
che, una volta accettate, si connotano di politicità. Perciò nel pro-
cesso logico di deduzione della civitas le differenze ständisch non
giocano più in Pufendorf un ruolo determinante47.
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Egli afferma, certo, che vivere in pace è una legge di natura, che
non ha bisogno di nessuna conferma mediante un patto48; e anche
che lo stato di natura non è uno stato di guerra reciproca, ma piutto-
sto di pace e ognuno, «sul fondamento della somiglianza della natu-
ra degli uomini», può supporre che anche gli altri si comportino in
conformità con l’idea di pace che si fonda sulle leggi che dicono:
«nessuno deve recar danno agli altri», «a ciascuno deve essere pos-
sibile godere dei suoi beni», e «ognuno deve mantenere le promesse
fatte»49. Tuttavia il rapporto pacifico e amichevole tra gli uomini
nello stato di natura è sempre insicuro. Non si può mai esattamente
sapere cosa gli altri intendono fare e non si può costringerli a com-
portarsi amichevolmente. Bisogna ricordare che di socialitas si par-
la a partire da caratteristiche della natura umana quali l’amor sui, la
pravitas e l’imbecillitas. Se è naturale la tensione alla vita sociale, è
anche vero che l’uomo, così come può tendere al bene comune, può
anche recar danno agli altri. Nessuno può allora nello stato di natura
prevedere con sicurezza quale sarà il comportamento degli altri.
È questa insicurezza l’elemento che caratterizza essenzialmente
lo stato di natura e che costituisce la molla decisiva per il suo supe-
ramento. La socialità è legge di natura, ma nello stato di natura essa
non è realizzata, esprimendosi piuttosto nella forma del dovere e di
ciò che è razionale fare. Occorre uno scarto, qualche cosa di radi-
calmente nuovo, che sarà la costituzione del corpo politico. Tale
mancanza di sicurezza ci indica allora che il passaggio dallo stato di
natura alla società civile è richiesto non solo o non tanto da un con-
flitto perpetuo e reale tra gli uomini, ma piuttosto dalla sola possibi-
lità di esso. Non è cioè necessario pensare che gli uomini siano in
guerra tra loro per dedurre la necessità del poter politico, ma è suf-
ficiente ipotizzare che possano essere tra loro in conflitto, o, più
esattamente, è necessario pensare che manchi la sicurezza che il
conflitto sia evitato. In ogni caso è sempre il conflitto ad essere pre-
supposto per poter dedurre la necessità della società con l’imperium
che la caratterizza: tale deduzione risulterebbe, infatti, non solo inu-
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50 Da questo punto di vista il concetto della conflittualità tra gli uomini non è una
gratuita scelta antropologica di tipo pessimistico, ma un presupposto necessario
qualora si voglia dar luogo alla deduzione della forma politica moderna, e dunque
pensare il politico mediante la forma giuridica (cfr. cap. VI, nota 14).
51 Ancora una volta devo ribadire che la lettura del giusnaturalismo come via ra-
zionale per la limitazione del potere mi sembra insufficiente e fuorviante e non è
conseguente ad un’analisi dei testi dei giusnaturalisti. Infatti limitazione ci sarebbe
solo in quanto il potere sia inteso come una realtà fondata in modo diverso dal ra-
gionamento che tende a limitarlo. Ciò potrebbe valere per un potere empiricamente
esistente, e per questo il giusnaturalismo potrebbe costituire limite. Ma nella co-
struzione «scientifica» dei testi che prevedono il contratto sociale, è proprio la real-
tà presente ad essere azzerata mediante lo stato di natura, e il potere a cui si appro-
da è la sovranità, che si fonda appunto a partire dai diritti naturali degli individui.
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4. Alle origini del moderno concetto di società civile 155
58 Si veda oltre al già citato saggio di Mancini, Diritto naturale e potere civile,
l’articolo di D. Wyduckel, La dottrina contrattualista di Pufendorf ed i suoi fon-
damenti giuridici e statuali, in «Filosofia politica», X (1996), n. 1, pp. 39-59.
59 Cfr. il significativo paragrafo in De iure, VII, 3, 1.
60 Ivi, 2, 13. Tale tema della separazione è espresso con estrema chiarezza. Si veda
ad esempio l’affermazione che singoli e concilio nella «Republica popolari» costi-
tuiscono in realtà personae diversae; e se non bastasse: «Quod enim singuli cives
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volunt, id non statim vult populus. Et quod singuli cives agunt, non statim habetur
pro actione populi, & vice versa» (ivi, 8).
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63 Ivi, 5.
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5. Rappresentanza politica e costituzione 163
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5. Rappresentanza politica e costituzione 165
3 Cfr. Hobbes, Leviatano, cit., XVI, p. 134: «Una moltitudine diviene una sola
persona, quando gli uomini [che la costituiscono] vengono rappresentati da un solo
uomo o da una sola persona, e ciò avviene con il consenso di ogni singolo apparte-
nente alla moltitudine. Infatti è l’unità di colui che rappresenta non quella di chi è
rappresentato, che rende una la persona; ed è colui che rappresenta che dà corpo
alla persona, e ad una persona soltanto. Né l’unità di una moltitudine si può inten-
dere in altro modo». L’unità non può consistere nel rappresentato, cioè la moltitu-
dine, poiché questa è realmente composta da molti singoli, che, se si esprimono in
quanto tali, saranno sempre molti. Solo l’espressione di una volontà unica median-
te il rappresentante permette di avere il popolo come soggetto politico unitario. Se
il popolo come uno fosse già tale e reale prima della rappresentazione e a prescin-
dere da essa, non sarebbe necessario, e nemmeno possibile, rappresentarlo. Questa
non è una necessità logica che riguardi l’impossibilità di unificazione e di accodo
tra soggetti diversi, ma riguarda il problema dell’unità e della forma che si pone
nel momento in cui il ragionamento, nell’ambito astratto della scienza, prende le
mosse dal concetto di individuo e dunque da una moltitudine di individui, nella
quale le differenze non sono più determinate e vengono perciò azzerate: in tale
modo di concepire la razionalità in rapporto alla sfera pratica non ci si riferisce più
alla società e alle molteplici aggregazioni testimoniate dall’esperienza, ma si in-
tende costruire la società con un esperimento del pensiero.
4 Cfr. ad es. von Gierke, Althusius cit., cap. IV: Il principio rappresentativo.
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5 Sulla storia del concetto di rappresentanza si tenga sempre presente il testo fon-
damentale di Hofmann, Repräsentation cit.; è da tener presente anche G. Miglio,
Le trasformazioni del concetto di rappresentanza, in Le regolarità della politica,
Giuffré, Milano 1988, vol. II, pp. 971-998.
6 Cfr. per la rappresentanza in Althusius, il cap. IV, § 3, con la relativa bibliogra-
fia.
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5. Rappresentanza politica e costituzione 167
7 È illuminante la celebre «Nota generale sugli effetti giuridici derivanti dalla natu-
ra della società civile» (I. Kant, Metaphysische Anfangsgründe der Rechtslehre,
Ak. Aus., VI, pp. 318 ss. , trad. it., La metafisica dei costumi, trad. it. G. Vidari, a
cura di N. Merker, Bari 1983, pp. 148 ss.); cfr. su ciò il mio, Logica e aporie della
rappresentanza tra Kant e Fichte cit., sp. pp. 34-40.
8 Cfr. sul ruolo della critica e dell’opinione pubblica i noti saggi di Koselleck, Cri-
tica illuministica e crisi della società borghese cit., e J. Habermas,
2
Storia e critica
dell’opinione pubblica, trad. it. A. Illuminati, Laterza, Bari 1974 , pp. 127 ss. È sul
significato della razionalità e della filosofia e sulla funzione dell’idea e del dovere
che lo spirito repubblicano manifesta in Kant una radicale novità in rapporto a
Hobbes e al diritto naturale: ciò non sembra tuttavia comportare un modo radical-
mente altro di intendere la costituzione della societas civilis o dello Stato.
9 Egli afferma che tutto il suo procedimento consiste in una «strenge Deduktion
der absoluten Notwendigkeit einer Repräsentation aus reiner Vernunft»
(J.G.Fichte, Grundlage des Naturrechts nach den Prinzipien der Wissenschaftsleh-
re (1796-97), Gesamtsausgabe der Bayerischen Akademie der Wissenschaften,
hrsg R. Lauth u. H. Jakob (Mitwirkung R. Schottky), Frommann, Stuttgart - Bad
Cannstatt 1966, I,3, p. 439 GA. I, 3, p. 439; Fondamento del diritto naturale se-
condo i principi della dottrina della scienza, a cura di L. Fonnesu, Laterza, Bari
1994, p. 143.
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168 Giuseppe Duso – La logica del potere
10 Cfr. il mio Libertà e Stato in Fichte: la teoria del contratto sociale, in Il con-
tratto sociale cit. sp. pp. 292-301.
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5. Rappresentanza politica e costituzione 169
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170 Giuseppe Duso – La logica del potere
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5. Rappresentanza politica e costituzione 171
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172 Giuseppe Duso – La logica del potere
discorso sul terzo stato di Sieyès16, l’ordine politico che sta alla ba-
se della proclamazione degli Stati generali mostra di essere destitui-
to di razionalità e legittimità. Uguaglianza e libertà, le idee che si
stanno affermando, non possono che determinare un popolo omo-
geneo, una nazione, in cui non ci sono più privilegi, né differenze,
se non quelle sociali, legate alla divisione del lavoro, che sono fun-
zionali all’utilità comune. Non ci sono più allora ceti, stati diversi,
ma la rivendicazione del terzo stato diviene l’affermazione di un
unico Stato in cui tutti sono uguali. Il terzo stato, che coincide con
la nazione intera, si fa Stato, ma in questo modo perde totalmente di
senso politico l’antica parola di stato, perdono di significato ordini,
ceti e tutto ciò che caratterizzava le diversità nella convivenza poli-
tica degli uomini.
16 E.-J. Sieyès, Che cos’è il terzo stato, in Opere e testimonianze politiche cit.,
vol. I, 207-298.
17 Cfr. ivi, pp. 255-258.
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5. Rappresentanza politica e costituzione 173
18 Sui problemi concettuali relativi alla tematica della costituzione anche nel loro
spessore storico, si veda il lavoro di M. Fioravanti, Stato e costituzione. Materiali
per una storia delle dottrine costituzionali, Giappichelli, Torino 1993: si tratta di
uno strumento importante anche in relazione alla bibliografia fondamentale indica-
ta.
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5. Rappresentanza politica e costituzione 177
167-306. Che non si possa dare senso politico ai corpi mi sembra risulti chiaramen-
te se si fa attenzione al rapporto di dipendenza che i rappresentanti dei corpi hanno,
per la loro funzione rappresentativa, nei confronti del rappresentante assoluto che è
il sovrano (cfr. Hobbes, Leviatano, cit., cap. XXII). Corpi e sistemi non riescono a
portare un’istanza effettivamente plurale nella forma politica così come è da Hob-
bes pensata.
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5. Rappresentanza politica e costituzione 179
26 Cfr. Schmitt, Dottrina della costituzione cit., sp. § 16 e G. Leibholz, Das Wesen
der Repräsentation unter besonderer Berücksichtigung des Repräsentativsystems,
Duncker & Humblot, Leipzig u. Berlin 1929, ed ampliata, de Gruyter Berlin 1973;
trad. it. La rappresentanza nella democrazia, a cura di S. Forti, Giuffré, Milano
1989. Ma diffusa è in questi anni la riflessione sul tema della rappresentanza poli-
tica: cfr. F. Glum, Der deutsche und französische Reichwirtschaftsrat. Ein Beitrag
zu dem Problem der Repräsentation der Wirtschaft im Staat, de Gruyter, Berlin u.
Leipzig 1929; E. Gerber, Der Staatstheoretische Begriff der Repräsentation in
Deutschland zwischen Wiener Kongress und Märzrevolution, Neunkierchen 1929;
ma anche R. Smend, Verfassung und Verfassungsrecht, Duncker & Humblot,
München u. Leipzig 1928 (trad. it. a cura di G. Zagrebelsky, Giuffré, Milano 1988)
e H. Heller, Die Souveränität. Ein Beitrag zur Theorie des Staats und Volkerrechts,
de Gruyter, Berlin u. Leipzig 1927 , trad. it. La sovranità e altri scritti sulla dottri-
na del diritto e dello Stato, a cura di P. Pasquino, Giuffrè, Milano 1987.
27 Tale aspetto formativo è più evidente nel termine rappresentazione piuttosto
che in quello normalmente usato di rappresentanza, che suscita, nel linguaggio
comune, un’immagine di passività, di dipendenza, di rispecchiamento nei confronti
di una presunta volontà esistente che deve essere rappresentata. Per quanto riguar-
da la struttura della rappresentanza e i problemi teoretici che pone, rimando al mio
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5. Rappresentanza politica e costituzione 181
28 Sugli elementi di rappresentatività contenuti nel referendum cfr. il cap. VII del
presente libro.
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5. Rappresentanza politica e costituzione 183
29 Ciò soprattutto a partire dal libro del 1956 di J. H. Kaiser, Die Repräsentation
organisierter Interessen, Duncker & Humblot, Berlin, trad. it. La rappresentanza
degli interessi organizzati, a cura di S. Mangiameli, Giuffré, Milano 1993. Per
un’analisi delle posizioni teoriche sviluppatesi in Germania, si veda A. Scalone,
Rappresentanza politica e rappresentanza degli interessi, FrancoAngeli, Milano
1996.
30 Si veda l’Introduzione di L. Ornaghi a Il concetto di «interesse», Giuffrè, Mila-
no 1984.
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184 Giuseppe Duso – La logica del potere
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5. Rappresentanza politica e costituzione 185
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nichelli, Bologna 1980, sp. Condizioni storiche generali della costituzione rappre-
sentativa, pp. 102-137, ma anche a Miglio, Le regolarità della politica, cit., sp. Le
trasformazioni del concetto di rappresentanza.
32 Cfr. A. Pizzorno, Il sistema pluralistico di rappresentanza, in Organizing Inte-
rests and Western Europe. Pluralism, Corporatism and the Transformation of
Politics, ed. by S. Berger, Cambridge University Press, Cambridge 1981, trad. it.
L’organizzazione degli interessi nell’Europa occidentale, trad. it. Il Mulino, Bolo-
gna 1983, spec. pp. 406 sgg.
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5. Rappresentanza politica e costituzione 187
33 Sembra utile dare qui alcune indicazioni bibliografiche iniziali per affrontare il
tema della rappresentanza politica. Böckenförde, Democrazia e rappresentanza
cit.; K. Bosl (a cura di), Der moderne Parlamentarismus und seine Grundlage in
der ständischen Repräsentation, Duncker e Humblot, Berlino 1977; M. Cotta, Par-
lamenti e rappresentanza, in G. Pasquino (a cura di), Manuale di scienza politica,
Il Mulino, Bologna 1986, pp. 281-328; Duso, La rappresentanza: un problema cit.;
D. Fisichella (a cura di), La rappresentanza politica, Giuffrè, Milano, 1983; C.
Galli, Immagine e rappresentanza politica, «Filosofia politica», I (1987), n. 1, pp.
9-29; von Gierke, Giovanni Althusius e lo sviluppo storico delle teorie giusnatura-
listiche cit.; Hintze, Condizioni storiche generali della costituzione rappresentativa
cit.; Hofmann, Repräsentation. Studien zur Wort und Begriffsgeschichte cit.; Lei-
bholz, La rappresentanza nella democrazia, trad. it. cit.; Kaiser, La rappresentan-
za degli interessi organizzati trad. it. cit.; Miglio, Le trasformazioni del concetto di
rappresentanza cit.; P. Pasquino, La rappresentanza politica. Progetto per una
ricerca, «Quaderni piacentini», n. 12, 1984, pp. 69-86; H. F. Pitkin, The Concept
of Representation, University of California Press, Berkeley-Los Angeles 1987; A.
Pizzorno, Il sistema pluralistico di rappresentanza, in S. Berger (a cura di),
L’organizzazione degli interessi nell’Europa occidentale, Il Mulino, Bologna
1983; H. Rausch (a cura di), Zur Theorie und Geschichte der Repräsentation und
Repraesentativverfassung, Wissenschaftliche Buchgesellschaft, Darmstadt 1968;
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1 Per una breve discussione di tali modi di rapportarsi al pensiero schmittiano ri-
mando alla prima parte del saggio su Schmitt che qui per buona parte ripresento,
pubblicato in « Revista de filosofia», n. 13, 1996, sp. pp. 77-80.
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6. Teologia politica e logica dei concetti politici moderni in Schmitt 191
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192 Giuseppe Duso – La logica del potere
4 Mi riferisco alla lettera da Schmitt inviatami in data 4 agosto 1981 (su questa
lettera, per altro aspetto, si veda la Presentazione di C. Galli all’edizione italiana di
Cattolicesimo romano e forma politica, Giuffré, Milano 1986, p. 3), nella quale si
riferisce al volume La politica oltre lo Stato: Carl Schmitt, a cura di G. Duso, Ar-
senale, Venezia 1980. Il seguito della presente riflessione chiarirà per altro come
l’interpretazione qui proposta di Schmitt, come pensatore radicale dei concetti po-
litici moderni, richieda uno spostamento nei confronti dell’ottica di discussione
emersa in quel volume, che ha come punto di avvio un seminario tenuto nel 1980
presso l’Università di Padova.
5 Tale significato della forma politica, tipico del pensiero moderno, non coincide
immediatamente con quello che si ha nella fondamentale opera schmittiana Römi-
scher Katholizismus und politische Form. Quest’ultimo infatti si pone all’altezza
della teologia politica, che, come cercherò di argomentare, è comprensione di ciò
che la forma politica moderna implica e tuttavia nega.
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6. Teologia politica e logica dei concetti politici moderni in Schmitt 193
con chiarezza alla fine del ciclo dello Jus publicum europaeum. Si
veda a questo proposito la definizione della Herrschaft che fornisce
Weber, come appunto rapporto formale di comando-obbedienza, e
si veda pure la sua definizione della disciplina, come disposizione
ad obbedire al comando di chi esercita il potere6. Weber indica con
determinazione la formalità del rapporto: l’obbedienza non dipende
dai contenuti particolari del comando, perché sarebbe allora instabi-
le e sempre da parte dei cittadini ci potrebbe essere un giudizio ne-
gativo sul comando che determina la rottura dell’ordine; essa di-
pende piuttosto dal fatto che stabilmente e formalmente il comando
di chi è preposto al potere è accettato da coloro che sono disposti
all’obbedienza come massima del loro comportamento. Ma,
nell’articolare la modalità con cui l’obbedienza si attua, Weber in-
dica anche qual è il vero fondamento di legittimazione di questo
rapporto di obbligazione politica nel moderno: chi obbedisce lo fa
in quanto intende il comando di chi è autorizzato ad esprimerlo – a
fare cioè la legge – come se fosse prodotto della propria volontà7. E
cos’è questo intendere la volontà di chi esercita il potere politico
come propria volontà se non intendere quella prima volontà come
una volontà rappresentativa? Colui che detiene il potere lo esercita
infatti legittimamente in quanto è – a priori e cioè formalmente –
ritenuto come colui che non esprime una sua propria volontà ed
una propria azione, ma piuttosto volontà e azione di tutto il corpo
politico. È questa appunto la struttura dell’agire rappresentativo, nel
quale tutti sono autori delle azioni che l’attore, il rappresentante,
compie8.
Solo in questo quadro dello Jus publicum europaeum si può par-
lare in senso proprio di Stato, nel senso della forma-Stato, e al cen-
tro di questa costruzione sta il legame di due concetti quali sovrani-
tà e rappresentazione9, che si chiariscono nel reciproco rapporto e
6 Cfr. M. Weber, Wirtschaft und Gesellschaft, trad. it. cit., pp. 52, 207.
7 Ivi, p. 123.
8 Cfr. al riguardo il mio, Tipi del potere e forma politica moderna in Max Weber
cit., sp. pp. 72 sgg.
9 Si tenga presente che con il termine di rappresentazione intendo indicare la rap-
presentanza politica. Non essendoci nella lingua italiana la distinzione tra la rap-
presentanza che si dà sul piano del diritto privato e la rappresentanza politica (tale
distinzione nella riflessione tedesca tra Schmitt e Leibholz emerge nei diversi ter-
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14 Cfr. C. Schmitt, Der Begriff des Politischen, Text von 1932 mit einem Vorwort
3
und drei Corollarien, ora Duncker & Humblot 1991 (si tratta della versione del
1963), p. 61; trad. it. Le categorie del politico cit, p. 146; Schmitt parla qui preci-
samente di «tutte le teorie politiche in senso proprio (alle echten politischen Theo-
rien)».
15 Cfr. su ciò il mio Libertà e Stato in Fichte cit., p. 285. e R. Schottky, La
«Grundlage des Naturrechts» de Fichte et la philosophie politique de
l’Aufklärung, «Archives de philosophie», XXV (1962), pp. 441-485.
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6. Teologia politica e logica dei concetti politici moderni in Schmitt 199
16 Una breve sintesi critica sulla letteratura critica riguardante la teologia politica
di Schmitt si ha nelle Vorbemerkungen alla recente edizione di H. Hofmann, Legi-
mität gegen Legalität. Der Weg 3
der politischen Philosophie Carl Schmitts, Dun-
cker & Humblot, Berlin 1995 , che è ancor oggi una delle migliori monografie
sull’autore. Una proposta critica sulla teologia politica, intesa sul piano di una ri-
sposta politica, è stata recentemente espressa da J. F. Kervégan, L’enjeu d’une
«théologie politique»: Carl Schmitt, «Revue de métaphysique et de morale», 1995,
n. 2, pp. 201-220; dello stesso autore si veda anche Hegel, Carl Schmitt. Le politi-
que entre spéculation et positivité, PUF, Paris 1992.
17 Cfr. il cap. La rappresentazione come radice della teologia politica in Carl
Schmitt, in La rappresentanza cit., pp. 115-138; ad esso rimando per una trattazio-
ne più analitica e per la motivazione della difficoltà insita nell’accettare immedia-
tamente e senza riserve l’affermazione schmittiana dell’analogia tra i concetti teo-
logici e quelli politici. Tale analogia porta a fraintendimenti quando è intesa come
semplice identità di struttura (si pensi alla natura rappresentativa del sovrano di
Hobbes, la quale non coincide con la trascendenza, ma implica qualcosa di tra-
scendente per costituirsi appunto come rappresentazione) e richiede una più pro-
fonda comprensione di cosa sia teologia politica (cfr. pp. 117-121). Una trattazione
della teologia politica nella direzione di una storia dei concetti si ha in H. Ottmann,
Politische Theologie als Begriffsgeschichte. Oder: Wie man die politischen Begrif-
fe der Neuzeit politisch-theologisch erklären kann, in Der Begriff der Politik, hrsg.
V. Gehrard, Metzler Verlag, Stuttgart 1990, pp.169-188.
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200 Giuseppe Duso – La logica del potere
Non è difficile – e non solo per quanto si è fin qui detto – individua-
re nell’opera fondamentale e sistematica di Schmitt, la Dottrina del-
la costituzione, la centralità del concetto di rappresentazione per in-
tendere la moderna concettualità dello Stato. Essa evidenzia infatti
il movimento formante della forma politica: ciò che permette il suo
darsi: «non c’è – dice Schmitt – nessuno Stato senza rappresentan-
za, poiché non c’è nessuno Stato senza forma di Stato e alla forma
spetta essenzialmente la rappresentazione dell’unità politica»18. Di-
stanziandosi da quanto egli dice nel famoso § 16 della Verfassun-
gslehre, ma rimanendo fedeli, così io credo, al movimento di pen-
siero che proprio lì è espresso19, si può ritenere che la rappresenta-
zione non sia semplicemente uno dei due principi della forma poli-
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6. Teologia politica e logica dei concetti politici moderni in Schmitt 201
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202 Giuseppe Duso – La logica del potere
21 Sul significato della trascendenza e sul ruolo imprescindibile della fede nel poli-
tico cfr. H. Meier, Die Lehre Carl Schmitts. Vier Kapitel zur Unterscheidung Poli-
tischer Theologie und Politischer Philosophie, Metzler, Stuttgart-Weimar 1994.
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6. Teologia politica e logica dei concetti politici moderni in Schmitt 203
22 Cfr. la Premessa alla seconda edizione di Gesetz und Urteil, München 1969, p.
V.
23 C. Schmitt, Der Wert des Staates und die Bedeutung des Einzelnen, Mohr, Tü-
bingen 1914.
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204 Giuseppe Duso – La logica del potere
24 Ivi, p. 53.
25 Questo significato strutturale di secolarizzazione è stato bene messo in luce da
M. Nicoletti, Trascendenza e potere. La teologia politica di Carl Schmitt, Morcel-
liana, Brescia 1990, sp. p. 53.
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6. Teologia politica e logica dei concetti politici moderni in Schmitt 205
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206 Giuseppe Duso – La logica del potere
prio della politica che implica aporeticamente l’idea. Un discorso analogo si po-
trebbe fare per l’immanenza, la quale può porsi ( si pensi all’affermazione del po-
polo come ciò che è realmente a fondamento della funzione rappresentativa) solo
mediante un movimento di trascendimento che implica l’idea o l’unità politica (in
tal caso il popolo), che non è empiricamente presente (non corrisponde cioè alla
somma dei singoli individui empiricamente presenti).
28 È singolare che in tutto l’affannarsi delle interpretazioni schmittiane che metto-
no in primo piano il concetto di decisione non si tenga conto del modo in cui que-
sto concetto viene alla luce e della relazione, assai esplicitamente indicata da
Schmitt, che l’origine di questo concetto ha con la struttura teoretica del rendere
visibile ciò che è invisibile. Si veda un passo significativo di Der Wert des Staates
cit., p. 81: «Sobald irgendwo das Bestreben einer Verwirklichung von Gedanke,
einer Sichtbarmachung und Säkularisierung auftritt, erhebt sich gleich neben dem
Bedürfnis nach einer konkreten Entscheidung, die vor allem, und sei es auch auf
Kosten des Gedankens, bestimmt sein muß, das Bestreben nach einer in derselben
Weise bestimmten und unfehlbaren Instanz, die diese Formulierung gibt». La tesi
che vado esprimendo non può trovare un riscontro più palese: il presentarsi del
movimento tendente a rendere visibile l’idea richiede necessariamente il concetto
di decisione. I discorsi che si fanno sulla decisione schmittiana non possono sradi-
carla da questa origine logica, che lo stesso Schmitt, anche nella maturità, ricorda.
In rapporto alla struttura teoretica del Sichtbarmachen viene a prendere significato
anche quella istanza di infallibilità a cui Schmitt si riferisce parlando del Papa e
indicando le aporie fichtiane. Essa non comporta la fondazione della decisione in
un’assoluta verità, ma piuttosto indica l’imprescindibile aspetto di fede che emerge
nell’ambito politico. Certo la fede positiva che caratterizza la religione, e in modo
determinato i fedeli attorno alla figura del Papa, non è immediatamente riportabile
alla struttura della politica, ma l’elemento che accomuna i due ambiti è la consape-
volezza dell’essere nella fede. Da questo punto di vista l’infallibilità non è fondata
sul possesso sicuro della verità, ma piuttosto, data l’invisibilità di ciò che è tra-
scendente, indica l’impossibilità di una vera ed esatta verifica, e comporta perciò
l’inevitabile rischio della decisione.
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6. Teologia politica e logica dei concetti politici moderni in Schmitt 207
29 Ivi, pp. 82-83: sulle aporie relative all’eforato in Fichte ricordo il saggio su Fi-
chte sopra citato in Il contratto sociale cit., sp. pp. 292-301.
30 Ecco perchè la figura dell’analogia tra i concetti teologici e quelli politici può
essere fonte di fraintendimento se non è intesa come un rapporto che implica il ri-
ferimento allo stesso termine – il trascendente –, ma in modo diverso.
31 Al riguardo si veda P. Schiera, Dalla decisone alla politica: la decisione in Carl
Schmitt, in La politica oltre lo Stato cit., pp. 15-24. Il riconoscere che la decisione
è tale in quanto è efficace e riesce a mettere in forma una realtà complessa, non
significa che essa si giustifichi con il mero fatto di aver prodotto ordine.
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6. Teologia politica e logica dei concetti politici moderni in Schmitt 209
33 Cfr. C. Schmitt, Römischer Katholizismus und politische Form cit., p. 41; trad.
it. cit., p. 59.
34 Ivi, p. 25; trad. it. cit., p. 45.
35 Ivi, p. 36; trad. it. cit., p. 56.
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6. Teologia politica e logica dei concetti politici moderni in Schmitt 211
39 Cfr. S. Biral, Rappresentazione e governo nel ‘700 francese (un capitolo di teo-
logia politica), «Il Centauro», 1981, n. 2, pp. 23-28.
40 Si badi bene: «il riferimento all’idea», non il suo possesso, non il suo uso come
modello razionale che possiamo avere davanti agli occhi e dunque «vedere»:
un’idea dunque che permette di mettere in crisi qualsiasi preteso sapere e qualsiasi
risposta definitiva in relazione al problema della giustizia.
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212 Giuseppe Duso – La logica del potere
41 Cfr. la Premessa del 1924 a Politische Romantik, Duncker & Humblot, Mün-
2
chen u. Leipzig, 1925 p. 23 (Romanticismo politico, trad. it. a cura di C. Galli,
Giuffrè, Milano 1981, p. 21).
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6. Teologia politica e logica dei concetti politici moderni in Schmitt 215
45 Cfr. E. Voegelin, Die Verfassungslehre von Carl Schmitt. Versuch einer kon-
struktiven Analyse ihrer staatstheoretischen Prinzipien, «Zeitschrift für öffentli-
ches Recht», XI (1931), pp. 89-109, qui p. 107. Sul rapporto Voegelin – Schmitt
rimando alla mia relazione, Die Krise des Staates als Rechtsform und die politische
Philosophie: Eric Voegelin und Carl Schmitt cit., e a Chignola Pratica del limite
cit., sp. pp. 79-89.
46 Bisogna per altro fare attenzione a parlare troppo affrettatamente di «postmo-
derno», in quanto il nuovo appare molto spesso come sintomo di crisi del quadro
moderno, piuttosto che come un altro quadro con una sua coerenza propria.
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216 Giuseppe Duso – La logica del potere
47 Cfr. la Premessa del 1963 alla seconda edizione di Der Begriff des Politischen
cit., p. 14. (trad. it. in Le categorie del politico cit., p. 95).
48 È possibile verificare questo punto esaminando le motivazioni che portano alla
fondazione del monopolio della forza nei filosofi politici moderni a partire da
Hobbes: alla base della costruzione dello Stato stanno la necessità di garantire
l’ordine nella società, e la difesa nei confronti delle minacce che vengono
dall’esterno.
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6. Teologia politica e logica dei concetti politici moderni in Schmitt 217
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219
1 A buon diritto la vita pratica coincide con quella politica in un mondo come
quello greco, in cui non abbiamo la moderna scissione di interiore ed esteriore, di
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220 Giuseppe Duso – La logica del potere
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7. Considerazioni preliminari su democrazia e federalismo 221
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222 Giuseppe Duso – La logica del potere
5 Cfr. GG, Bd. 1, pp. 821-899; trad. it., W. Conze, R. Koselleck, H. Maier, Ch.
Meier, H.L. Reimann, Democrazia , a cura di E. Parsi, Marsilio, Venezia 1993.
6 Cfr. Ch. Meier, Die Entstehung der Demokratie. Vier Prolegomena zur einer
historischen Theorie, Suhrkamp, Frankfurt 1970, e Die Entstehung des Politischen
bei den Griechen, Suhrkamp, Frankfurt a. Main, 1980, trad. it. di C. De Pascale, La
nascita della categoria del politico in Grecia, Il Mulino, Bologna 1988.
7 Su ciò cfr. cap. I, sp. pp. 30 sgg.
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7. Considerazioni preliminari su democrazia e federalismo 223
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224 Giuseppe Duso – La logica del potere
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7. Considerazioni preliminari su democrazia e federalismo 225
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226 Giuseppe Duso – La logica del potere
11 Cfr. Marsilio da Padova, Defensor pacis, Prima diccio, XI, 5; trad. it. Il difen-
sore della pace. Primo discorso, a cura di C. Vasoli, Marsilio, Venezia 1991, p.
183.
12 Cfr. Defensor pacis, X, 5; trad. it. cit., p. 167. Sui diversi significati di legge nel
medioevo e sulla loro irriducibilità al concetto, a cui inevitabilmente si tende a ri-
correre, di manifestazione formale della sovranità, si veda il bel testo di P. Grossi,
L’ordine giuridico medievale, Laterza, Bari 1995, che è, per il suo contenuto e per
le indicazioni metodologiche iniziali, uno strumento assai utile per un lavoro stori-
co-concettuale, quale qui si cerca di proporre.
13 Cfr. Defensor pacis, XII, 3; trad. it. cit., p. 193.
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sius un assetto del potere più consono all’idea democratica (si veda il volume So-
zietaler Föderalismus cit. e la mia discussione, Althusius e l’idea federalista cit.:
cfr. cap. IV, n. 31). Per il rapporto tra federalismo e problema della democrazia, si
veda la parte finale del presente capitolo.
16 Questa consapevolezza del principio di governo come principio organizzatore
delle discipline fino al mutamento radicale che si determina con la Herrschaft mo-
derna, è espressa con lucidità, come si è indicato, da Brunner, La ‘casa come com-
plesso’ cit., sp. pp. 144 sgg.
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17 Una lettura contestuale dei due autori si ha nei saggi di A. Biral contenuti in Il
contratto sociale cit.(ora anche in Biral, Storia e critica della filosofia politica mo-
derna, cit.).
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29 La seconda via, quella del federalismo, si può per altro intrecciare con quella
qui proposta come compito, nel momento in cui si riconosce l’agire di gruppi de-
terminati di uomini, e dunque si supera l’ottica della concettualità moderna schiac-
ciata tra individualismo e unità, tra particolare e universale.
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34 Per il chiarimento di ciò si veda Una prima esposizione cit., dove si cerca di
mostrare che ben altro è il senso della majestas del popolo di cui parla Althusius;
cfr. anche, per il dibattito sul federalismo di Althusius, Duso, Krawietz, Wyduckel
(Hrsg.), Konsoziation und Konsens. Grundlage des modernen Föderalismus in der
politischen Theorie cit..
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pluralità dei soggetti e del loro stare insieme, della solidarietà che li
lega. Non si tratta qui della riduzione all’unità propria della forma
politica moderna, con la forza di coazione che la connota, ma piut-
tosto di un lavoro per una vita in comune e per la ricerca di un con-
senso che può anche correre il rischio dell’insuccesso.
In questo contesto la partecipazione ha un significato effettivo, e
si riferisce al fatto che ci sono parti con differenze qualitative,
all’interno delle quali i cittadini realmente vivono e operano. Essi
contano allora, tutti, con uguale dignità, ma la loro partecipazione è
legata alle differenze che caratterizzano le diverse forme associative
e non si manifesta in quella uguaglianza che si esprime nel voto, in
cui i contenuti particolari della volontà vengono azzerati. Ciò può
essere considerato come un limite all’espressione della dimensione
politica dei cittadini solo se non ci si rende conto dell’effetto di pri-
vazione di tale dimensione che è conseguente all’intreccio dei con-
cetti di uguaglianza, di sovranità del popolo e di rappresentanza e
alla loro ricaduta costituzionale. Nelle costituzioni odierne il rag-
giungimento del piano dell’uguaglianza, nel determinare
l’autorizzazione dei rappresentanti, si accompagna alla limitata ef-
ficacia di ogni voto e all’incapacità strutturale del voto di determi-
nare i contenuti della volontà pubblica che a partire da esso si deve
determinare. In ciò si può ravvisare, al di là di situazioni contingen-
ti, uno dei motivi della crescente astensione dal voto che si deter-
mina nelle cosiddette «democrazie avanzate».
35 Si è già detto che tale dualismo formale non è più utililizzabile per la compren-
sione della complessa realtà contemporanea, almeno dal tempo degli anni Venti e
Trenta, in cui si è cominciata a modificare la figura classica dello Stato. Tuttavia la
sua presenza formale non è irrilevante, perché lascia spesso nell’ombra la dialettica
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delle forze che operano per determinare il quadro del potere pubblico e non per-
mette di intendere una effettiva presenza dei cittadini nei processi decisionali.
36 È questa la già citata proposta di Hüglin e dei suoi saggi su Althusius.
Dell’estesa bibliografia sul rapporto federalismo democrazia si veda almeno D. J.
Elazar, Idee e forme del federalismo, tr. it. a cura di L. M. Bassani, ed. di Comuni-
tà, Milano 1995, e C. J. Friedrich, Governo costituzionale e democrazia, tr. it. Neri
Pozza, Vicenza 1960; di natura e contenuto assai diverso è per altro la riflessione
qui condotta.
37 Naturalmente non si tratta qui di dare valutazioni e giudizi su processi storici,
ma solo di intendere il significato logico e costituzionale dei concetti che si impie-
gano.
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politici che stanno alla base dello Stato moderno. Il tipo di rapporti
politici che implica il federalismo non può non coinvolgere le strut-
ture interne delle società politiche, rendendo debole e forse con-
traddittorio il pensiero della semplice federazione di Stati sovrani.
Ciò mi sembra valere anche e soprattutto in relazione a quella realtà
politica che ora è all’ordine del giorno mediante i processi di costi-
tuzione dell’unità europea, che, invece di valorizzare la ricchezza
delle differenze, rischia di appiattirle mediante scelte omogeneiz-
zanti38.
Non appare consono a un pensare federalista nemmeno
l’indicazione del superamento della sovranità nazionale mediante la
divisione in più sovranità territoriali: in questo modo non si risol-
vono, ma si riproducono e si moltiplicano le difficoltà della forma-
Stato. In tal modo si avrebbe (ed è ciò che appare diffuso oggi in
Europa) non tanto un pensiero federalista, ma l’incrociarsi di mol-
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del singolo con la vita pubblica, se cioè non si pensa in modo diver-
so la rappresentanza politica. Si può forse intendere la concreta
partecipazione dei singoli mediante modalità diverse da quella uni-
formità che caratterizza il voto, modalità che riescano a coinvolgere
il modo di essere, di lavorare, le competenze, l’ambito in cui ognu-
no effettivamente opera. Le parti attraverso cui il cittadino può par-
tecipare non possono avere certo una dimensione sostanziale ed u-
nica quale si aveva in una società cetuale: diversi, plurali e com-
plessi sono gli ambiti in cui ognuno si trova ad operare, e forse tutti
questi dovrebbero essere coinvolti nella dimensione della politicità
e della conduzione degli affari comuni. Plurali dovrebbero perciò
anche essere le possibilità di partecipazione politica dei singoli, ma
tutte legate ai diversi piani in cui ognuno si trova concretamente a
vivere e operare.
In questa dimensione si dovrebbe forse pensare a momenti di au-
togoverno dei diversi raggruppamenti della società. Certo è difficile
pensare a ciò in una realtà complessa, in cui i processi hanno spesso
una dimensione globale, ma appunto questo appare il compito diffi-
cile: pensare a momenti di partecipazione e di governo in una realtà
in cui si danno fenomeni dalla dimensione internazionale e mondia-
le. Ciò naturalmente richiede che l’identificazione e la valorizza-
zione delle competenze e dei bisogni risulti dalla realtà della socie-
tà, in tutte le sue dimensioni, anche le più disagiate e quelle che
sembrano le più estranee ai modelli di buon funzionamento di una
macchina, perché anch’esse sono reali e in esse si esprimono sog-
getti con eguale dignità. La differenza e il superamento dell’ugua-
glianza astratta non comporta la negazione, ma l’affermazione
dell’uguale dignità dei differenti. Tale riduzione della partecipazio-
ne alle dimensioni reali in cui ognuno vive non è limitazione della
sua espressione politica: è stata piuttosto l’uguaglianza astratta ad
essere la base dell’uguale irrilevanza dei singoli nei confronti della
decisionalità politica all’interno della moderna concezione della so-
vranità del popolo.
Forse le due vie che sono state indicate per iniziare a pensare la
democrazia possono incrociarsi, qualora la tematica federalista, che
permette di valorizzare la differenza e la solidarietà tra le parti, di
dare un senso reale alla nozione di partecipazione, e di prendere co-
scienza di processi reali che si danno nella costituzione concreta,
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