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KATEDRA ZA ITALIJANISTIKU

DRUGA GODINA

TEORIJA I PRAKSA PREVOĐENJA 1

Akademska 2016-17 – zimski semestar

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ZBIRKA TEKSTOVA ZA PREVOĐENJE


SA ITALIJANSKOG NA SRPSKI JEZIK

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saradnik lektor Anđela Milivojević


1.

Sul biglietto da visita c'è scritto Bovinelli-tuttofare, ed è vero: Bovinelli sa


fare tutto. La prima volta che si presentò al bar, chiese se qualcuno aveva scarpe
darisuolare, gomme da vulcanizzare o bicicletta da riparare.
"Ma sì'" disse l'avvocato Brega sghignazzando "e poi?"
"Anche giardini da curare, vino da travasare o muri da imbiancare" disse
serio Bovinelli.
"Io ho capelli un po' lunghi" disse Muzzi.
La sera stessa alle nove suonò il campanello di casa Muzzi e si presentò
Bovinelli con un asciugamano e la macchinetta. Tosò Muzzi, aggiustò la
bambola della figlia che non diceva più mamma, levò le pulci al cane e mentre
usciva diede l'olio al cancello. Cominciò così la carriera di Bovinelli.
Bovinelli girava con una giardinetta piena di attrezzi: aveva tutto, dal
martello alla scala snodabile. Una casa alla volta. Niente era impossibile per
Bovinelli. Scendeva, vestito nella sua tuta blu, col metro di legno in tasca e la
nazionale in bocca. Ascoltava il problema, tornava sulla giardinetta, e rientrava
con qualche trapano incredibile, o un bulbo di tulipano, o una chiave inglese da
locomotiva, o un pezzo di motore di bruciatore, ed eseguiva. Ogni intervento,
duecento lire, qualunque fosse la specialità. Aveva due manine da chirurgo: di
fronte a loro, si arrendevano i transistor e le caldaie. Questo fino al venerdì sera.

(Stefano Benni, da Bar sport)

2.

Il Festival della canzone italiana, comunemente detto Festival di


Sanremo, è una manifestazione canora nata nel 1951 da un'idea dell'industriale
Pier Busseti, allora gestore del Casinò di Sanremo, che riuscì sin da subito a
coinvolgere nell'organizzazione anche la Rai, affinchè venisse trasmesso dalla
radio. Dopo sole quattro edizioni, la manifestazione approda definitivamente in
televisione, e ottiene uno straordinario successo fra il pubblico.
In questi primi anni del Festival si affacciano alla ribalta della gara con
le proprie canzoni, voci indimenticabili quali Claudio Villa, Domenico
Modugno, Johnny Dorelli, Renato Rascel e Tony Dallara.
Il decennio successivo è certamente il periodo più florido nella storia del
Festival; in un periodo di forte crescita economica, anche il mercato
discografico decolla, e la manifestazione sanremese non può che beneficiarne.
Calcano in questi anni il palcoscenico del Festival molti celebri cantanti quali
Adriano Celentano, Little Tony, Milva, Gigliola Cinquetti, Bobby Solo, Iva
Zanicchi, Ornella Vanoni.
Il 1967 è ricordato per un fatto tragico che turba la rosea atmosfera del
Festival: il cantautore Luigi Tenco, a poche ore dall'eliminazione della sua
canzone ‟Ciao amore ciao”, si suicida nella propria camera d'albergo lasciando
un vuoto nel Festival e in tutto il mondo della canzone. Pur attraversando una
breve crisi, la manifestazione riesce ad attraversare indenne gli anni '70. Il
Festival di Sanremo si sposta, proprio in quegli anni dallo storico Salone delle
feste del Casinò, al Teatro Ariston, attuale sede della manifestazione.
Dagli anni '80 fino ai giorni nostri, il Festival ha sempre confermato la
propria incontrastata supremazia sulla ribalta del piccolo schermo. Le
scenografie, che talvolta hanno trasformato il teatro in una vera e propria
discoteca, le diverse conduzioni, le vallette, gli ospiti italiani e stranieri sono
stati gli artefici di un Festival che ha saputo negli anni adeguarsi alle mutate
esigenze del pubblico. Sempre campione d'ascolto, la manifestazione canora si
afferma definitivamente come lo spettacolo televisivo più premiato e amato dal
pubblico. L'evento canoro più famoso d'Italia, possiede una buona fama anche
all'estero, viene regolarmente trasmesso da Raiuno in Eurovisione.

adattato dal sito:http://www.info-sanremo.com


3.

Aveva attraversato l'intero aeroporto Marco Polo senza che nessuno la


riconoscesse. Il finanziere le restituì il passaporto con un'occhiata di
apprezzamento. Un ragazzo gentile l'aveva aiutata con le valigie, la barista le
aveva valutato criticamente camicia e blue-jeans, ma nessuno la riconosceva.
Portava gli occhiali da sole, e sui capelli un foulard, ma a Parigi la gente l'aveva
festeggiata, malgrado fosse stravolta dopo tre settimane nei Balcani. E di ritorno
dall'Arabia, ancora mezza mascherata per non dispiacere troppo ai censori
musulmani, era stata attorniata da un gruppo di uomini estatici, “Signora! Lei
qui?”
Sapeva a memoria i gesti di chi la riconosceva per strada. C'era chi,
gentile, le abbozzava un sorriso timido e chi, sfrontato, le puntava gli occhi
addosso, quasi una sfida. Tanti cercavano di parlarle, molti le lanciavano
complimenti, di rado un insulto, una volgarità. Comunque fosse, Lee Miller non
era abituata a farsi vedere in giro. Salì sul motoscafo che doveva portarla a
Venezia e sedette sul sedile posteriore. Non soddisfatta, né felice, ma almeno
rassicurata che il suo piano cominciasse a funzionare. Nella folla dei turisti e tra i
campielli nessuno l'avrebbe notata.
Gianni Riotta, da Ombra

4.

Il Carnevale di Venezia, se non il più grandioso, è sicuramente il più


conosciuto per il fascino che esercita e il mistero che continua a possedere anche
adesso che sono trascorsi 900 anni dal primo documento che fa riferimento a
questa famosissima festa. Si hanno ricordi delle festività del Carnevale fin dal
1094, sotto il dogato di Vitale Falier, in un documento che parla dei divertimenti
pubblici nei giorni che precedevano la Quaresima. Il documento ufficiale che
dichiara il Carnevale una festa pubblica è del 1296 quando il Senato della
Repubblica dichiarò festivo l’ultimo giorno della Quaresima.
Se un tempo il Carnevale era molto più lungo e cominciava addirittura la
prima domenica di ottobre per intensificarsi il giorno dopo l’Epifania e culminare
nei giorni che precedevano la Quaresima, oggi il Carnevale ha la durata di circa
dieci giorni in coincidenza del periodo pre-pasquale ma la febbre del Carnevale
comincia molto tempo prima, anzi, forse non è scorretto dire che, a Venezia, la
febbre del Carnevale non cessa mai durante l’anno. Una sottile euforia si insinua
tra le calli della città più bella del mondo e cresce impercettibilmente, sale con la
stessa naturalezza dell’acqua, sfuma i contorni della cose, suggerisce misteri e
atmosfere di tempi andati.
Un tempo il Carnevale consentiva ai Veneziani di lasciar da parte le
occupazioni per dedicarsi totalmente ai divertimenti, si costruivano palchi nei
campi principali, lungo la Riva degli Schiavoni, in Piazzetta e in Piazza San
Marco. La gente accorreva per ammirare le attrazioni, le più varie: i giocolieri, i
saltimbanchi, gli animali danzanti, gli acrobati; trombe, pifferi e tamburi
venivano quasi consumati dall’uso, i venditori ambulanti vendevano frutta secca,
castagne e fritòle (le frittelle) e dolci di ogni tipo, ben attenti a far notare la
provenienza da Paesi lontani delle loro mercanzie. La città di Venezia, grande
città commerciale, ha sempre avuto un legame privilegiato con i Paesi lontani,
con l’Oriente in particolare cui non manca, in ogni edizione del Carnevale, un
riferimento, un filo rosso che continua a legare la festa più nota della Serenissima
al leggendario viaggio del veneziano Marco Polo verso la Cina alla corte di
Qubilai Khan dove visse per circa venticinque anni. Un filo rosso che si snoda
lungo l’antica e famigerata via della Seta.

adattato dal sito : http://www.carnevalevenezia.com


5.

Mio padre, gli unici argomenti che tollerava, erano gli argomenti
scientifici, la politica, e certi spostamenti che avvenivano “in Facoltà”, quando
qualche professore veniva chiamato a Torino, ingiustamente, secondo lui,
perché si trattava “di uno scempio”, o quando un altro non veniva chiamato a
Torino, ingiustamente, essendo persona che lui giudicava “di grande valore”.
Sugli argomenti scientifici, e su quello che succedeva “in Facoltà”, nessuno di
noi era in grado di seguirlo; ma lui, a tavola, informava giornalmente mia
madre sia della situazione “in Facoltà”, sia di quello che era accaduto nel suo
laboratorio; e si arrabbiava se lei si mostrava distratta. Mio padre a tavola
mangiava moltissimo, ma così in fretta, che sembrava non mangiasse nulla,
perché il suo piatto era subito vuoto; ed era convinto di mangiare poco, e aveva
trasmesso questa sua convinzione a mia madre, che sempre lo supplicava di
mangiare. Lui invece sgridava mia madre, perché trovava che mangiava
troppo.
– Non mangiar troppo! Farai l’indigestione!
Tutti noi, secondo mio padre, mangiavamo troppo, e avremmo fatto
indigestione. Delle pietanze che a lui non piacevano, diceva che facevano male,
e che stavano sullo stomaco; delle cose che gli piacevano, diceva che facevano
bene.
Se veniva in tavola una pietanza che non gli piaceva, s’infuriava: –
Perché fate la carne in questo modo! Lo sapete che non mi piace! – Se per lui
solo facevano un piatto di qualcosa che gli piaceva, s’arrabbiava lo stesso:
– Non voglio cose speciali! Non fatemi cose speciali!
– Io mangio tutto, – diceva. – Non sono difficile come voialtri.

Natalia Ginzburg, da Lessico famigliare

6.

Dire al marito che si esce con le amiche e che si farа tardi: è una delle
scuse più classiche che una donna usa se vuole nascondere incontri galanti e
tradimenti. A Gela, un’avvenente donna poco più che trentenne e madre di due
bambini lo ha fatto, ieri sera, dopo le 21, ma con una variante che le è stata
fatale: portarsi dietro il proprio cane da salotto, uno yorkshire sin troppo
vivace. Proprio per questa caratteristica, la fedifraga ha legato l'animale a una
fioriera del centro storico davanti al bar del suo amante. Abbassata la
saracinesca dell'esercizio, ma non totalmente, i due amanti hanno dato libero
sfogo alla loro travolgente passione. Senza cena pronta, l'ignaro marito (un
operaio di circa 40 anni) aveva deciso di recarsi in rosticceria per comprare
pizze e arancini, portando con sé i figli. Il caso però ha voluto che scegliesse un
fast food ubicato a pochi metri dal bar-alcova. All'arrivo del gruppetto il cane
legato alla fioriera si è messo ad abbaiare insistentemente perché ha
riconosciuto i padroni. Uno dei bambini ha fatto notare che quello era il cane
della mamma. Allora, il marito insospettito, si è avvicinato al bar, ha alzato di
scatto la saracinesca e ha scoperto i due amanti in flagrante. La rabbia
dell'uomo tradito si è abbattuta violentemente sull'amante della moglie con una
raffica di pugni e di calci. Nella colluttazione, mobili e suppellettili del locale
sono stati danneggiati. Alcuni passanti hanno chiamato i carabinieri e
un'ambulanza del 118 che ha portato al pronto soccorso il barista pestato a
sangue. Dopo le necessarie cure, è stato dimesso con una prognosi di pochi
giorni. I carabinieri hanno interrogato i protagonisti e si preparano a denunciare
il marito aggressore che ha giа dichiarato di volere divorziare dalla moglie. Lei
si è giustificata dicendo che con le amiche aveva bevuto troppo e che poi aveva
occasionalmente ceduto alle avance del barista. Ma delle amiche non si è
trovata traccia alcuna.

Adattato dal sito:http://www.soveratoweb.it

7.
Lasciavamo alle spalle il monte Pellegrino, una Palermo tutta detriti e
rovine. Ci inoltravamo nella campagna estiva delle erbe bruciate, i corsi d'acqua
secchi e riarsi.
A ricordare quel viaggio mi si stringe la gola. Perché non ne ho mai scritto
prima? Quasi che a metterla su carta, la bella Bagheria, a darle una forma, me la
sentissi cascare addosso con un eccessivo fragore di lontananze perdute. Una fata
morgana? Una città rovesciata e scintillante in fondo a una strada pietrosa, che ad
avvicinarsi troppo sarebbe svanita nel nulla?
Stavo seduta fra un uomo nel pieno della sua bellezza e della sua
seduzione (ho imparato, poi, quanto possa essere seduttiva e assillante una figlia
innamorata del padre) e mia madre molto giovane, fresca e bella anche lei, quasi
una ragazza. Davanti a me le mie due sorelle: una dalla testa piccola, gli occhi a
mandorla quasi cinesi nelle loro palpebre teneramente gonfie, che sarebbe
diventata musicista, l'altra dalle braccia rotondette, la pelle rossicciatempestata di
lentiggini, che sarebbe diventata scrittrice.

Dacia Maraini, da Bagheria


8.

L’insostenibile euforia della Rete

È terribilmente bella e fascinosa perché aperta e libera. Ma ci vuole


cautela. È un luogo pubblico, dove tutto può succedere e al quale tutti possono
accedere. A proposito di Facebook e della necessità di scegliere i contenuti da
condividere, dobbiamo sempre tener presente che la Rete non dimentica. Su
internet regna una sorta di imperituro presente. Ogni foto, video, pensiero e
momento che condividiamo, o viene condiviso a nostra insaputa, può essere
riproposto all’infinito. Tutti conosciamo l’imbarazzo per un episodio poco
edificante, o semplicemente comico. In altri tempi sarebbe stato metabolizzato
e poi dimenticato, oggi non succede. Bisogna rassegnarsi a vivere con un
passato che non passa? Ci sono diverse risposte a questa domanda: una risposta
filosofica, una risposta tecnologica, una risposta sociale. Scelgo quest’ultima, e
cerco d’essere pratico. Non dimentichiamo MAI che internet è un luogo
pubblico. Anzi, il luogo pubblico assoluto. Educhiamo noi stessi alla cautela.
Non ho scritto “paranoia”: ho scritto cautela. La rete è dotata di una terribile
bellezza. È fascinosa perché immensa e libera, ma genera una pericolosa
euforia: come la velocità, l’arte, il sesso e altre cose della vita. Prima di spedire
un commento a un articolo, prima di inviare un tweet, prima di caricare un
video su YouTube, prima di postare una foto su Facebook ricordate: non potete
sapere chi vedrà quelle cose, e quando. Le aziende, ormai, setacciano il web
per conoscere un candidato: un profilo Twitter o una pagina Facebook sono i
primi posti dove guardano. Sicuro, Mario, di voler condividere con il tuo futuro
datore di lavoro quella foto in cui, ubriaco perso, vomiti addosso ai tuoi amici?
E tu, Maria, sei contenta se il mondo ti vede mentre balli su un tavolo vestita
con un tovagliolo e poco altro?

Beppe Severgnini, da Il Corriere della sera


9.

A Tell Aqqaqir si svolse in campo aperto la battaglia dello sfondamento


del fronte italiano e tedesco da parte del Decimo Corpo d'Armata britannico al
comando del generale Montgomery. Io queste notizie le ho lette sui libri anni
dopo, ma allora sapevo soltanto che facevo parte della fanteria che si trovò
schiacciata dai reparti corazzati inglesi da una parte e quegli italiani e tedeschi
dall'altra, bersaglio degli aerei e dell'artiglieria dei due schieramenti opposti.
Veniva chiamato il "fuoco amico" quello che faceva vittime nelle file del proprio
esercito. Bombe sganciate per errore dai nostri aerei sulle nostre truppe, cannoni
italiani o tedeschi che sbagliavano traiettoria e sparavano sui nostri reparti
avanzati. Ma perché amico? Quell'eufemismo nascondeva decine e decine di
morti. E chissà, mi ero detto, forse alcuni soldati fra quelli ricoverati all'ospedale
Celio nel "reparto dei maltrattati" erano stati colpiti alle spalle dal "fuoco amico"
dei nostri stessi soldati. Di quella battaglia ricordo soltanto il rumore assordante
delle esplosioni e quello dei carri armati accompagnato dal fumo nero della nafta
bruciata che ci tingeva di nero le narici. Io cercavo di ripararmi dietro quei mostri
di acciaio senza capire mai quale fosse la direzione nella quale avrei dovuto
dirigermi. Confuso da tutti questi rumori, mi accorsi a un tratto che una gamba
non reggeva più il peso del mio corpo e che dovevo strisciare sulla sabbia
aiutandomi con le mani. Così seppi che ero ferito.

Luigi Malerba, da Le pietre volanti

10.

Comincerò raccontandovi una vecchia leggenda.


L'imperatore Carlomagno in tarda età s'innamorò d'una ragazza tedesca. I
baroni della corte erano molto preoccupati vedendo che il sovrano, tutto preso
dalla sua brama amorosa, e dimentico della dignità reale trascurava gli affari
dell'Impero. Quando improvvisamente la ragazza morì, i dignitari trassero un
respiro di sollievo, ma per poco: perché l'amore di Carlomagno non morì con lei.
L'imperatore, fatto portare il cadavere imbalsamato nella sua stanza, non voleva
staccarsene. L'arcivescovo Turpino, spaventato da questa macabra passione,
sospettò un incantesimo e volle esaminare il cadavere. Nascosto sotto la lingua
morta, egli trovò un anello con una pietra preziosa. Dal momento in cui l'anello
fu nelle mani di Turpino, Carlomagno s'affrettò a far seppellire il cadavere, e
riversò il suo amore sulla persona dell'arcivescovo. Turpino, per sfuggire a
quell'imbarazzante situazione gettò l'anello nel lago di Costanza. Carlomagno
s'innamorò del lago e non volle più allontanarsi dalle sue rive.
Da quando ho letto questa leggenda, essa ha continuato a ripresentarsi alla
mia mente come se l'incantesimo dell'anello continuasse ad agire attraverso il
racconto.

Italo Calvino, da Lezioni americane


11.

Lampedusa è un’emergenza comune

L’Europa non sa più emozionare, dicono. Se fosse vero, sarebbe grave. Di


sicuro, l’Europa non sa più emozionarsi: e non è meno grave. La tragedia a
puntate nel Canale di Sicilia non viene percepita come un dramma comune. Non
saranno agenzie come Frontex o programmi come Eurosur, da soli, a trovare le
soluzioni per affrontare una migrazione epocale dall’Africa e dal Medio Oriente.
Saremo noi, mezzo miliardo di europei. Ma gli europei per ora sanno poco,
pensano in fretta, agiscono tardi.
L’anatomia continentale, in fondo, è semplice. Le istituzioni UE
rispondono - direttamente o indirettamente - alle opinioni pubbliche nazionali, le
opinioni pubbliche nazionali rispondono ai propri occhi e alla propria pancia. Ciò
che vedono e sentono è fondamentale. I soccorsi internazionali, dopo il terremoto
dell’Aquila (2009), sono arrivati perché la comunità degli europei ha saputo, ha
visto, ha capito e ha risposto. La distesa di bare posata oggi sulla porta
dell’Europa - i morti accertati dopo i recenti naufragi sono più numerosi delle
vittime in Abruzzo - non è bastata a smuovere gli uomini e le donne del
continente. I cadaveri dei bambini che galleggiano nell’acqua non hanno toccato
il cuore di irlandesi e olandesi, inglesi e polacchi, tedeschi e spagnoli.
L’America ha invece mantenuto la capacità di emozione collettiva. La lingua
comune e alcuni media - dal New York Times ai network televisivi, da Usa
Today a National Public Radio - hanno conservato una capacità di mobilitazione.
Vent’anni fa, l’intervento in Somalia seguì alcune sequenze traumatiche in
televisione; la risposta militare in Afghanistan è figlia delle immagini
sconvolgenti dell’11 settembre. Un disastro naturale - pensate all’uragano Sandy,
un anno fa - viene percepito come un problema federale; quindi, per definizione,
collettivo. La risposta adeguata di Barack Obama, in quel caso, s’è rivelata
fondamentale per la rielezione. La risposta inadeguata di George W. Bush
all’uragano Katrina (2005) ha segnato quella presidenza.
In Europa non avviene. Emozioni e reazioni, punizioni e premi, sconfitte e
vittorie: tutto è locale. Abbiamo messo insieme i mercati, non il cuore e il futuro.
I media, diversi per lingua, sono divisi. Internet è potente e ubiqua, ma
dispersiva: permette la parcellazione dei problemi e, quindi, delle risposte.
Ognuno dei 28 Paesi dell’Unione è assorbito dalle proprie ansie: il deficit, la
disoccupazione giovanile, il finanziamento dell’assistenza sociale, i partiti
xenofobi. Anche le migrazioni, certo: ognuno le sue. La Grecia guarda al confine
turco. Germania e Polonia ai movimenti dall’Est. In Nord Europa e nelle isole
britanniche discutono di migrazioni, in questi giorni. Ma non quelle in corso
dall’Africa e dalla Siria attraverso il mare. Quelle attese di romeni e bulgari, che
dal 1° gennaio potranno muoversi liberamente nella Ue.

Beppe Severgnini, dal Corriere della Sera


12.

Sul tetto dell'ospedale a far l'amore

Un raptus erotico irresistibile, dettato dalla forzata e prolungata astinenza?


Oppure una semplice voglia di trasgressione, di provare un'emozione forte?
L'unica certezza è che, qualunque sia stato l'impulso, l'aver fatto l'amore sul tetto
dell'ospedale di Ivrea - un grande terrazzo sovrastante il quinto e l'ultimo piano
dell'edificio - potrebbe costare caro a due coniugi trentenni, Gianni e Emanuela.
Per ora si sono beccati una denuncia per atti osceni in luogo pubblico; se la
vicenda, come è prevedibile, dovesse poi finire nelle aule giudiziarie, allora
rischiano una condanna che da 3 mesi può arrivare sino a 3 anni di reclusione.
L'episodio è successo ad agosto, ma soltanto ora è stato reso noto. Gianni
era ricoverato da alcune settimane nel reparto di medicina, Emanuela lo andava a
trovare regolarmente. E una sera, uno dei due - se lui o lei non si sa - ha avuto
l'eletrizzante idea.
Sarebbe andato tutto bene e nulla avrebbe turbato l'emozione di far l'amore
ad un passo dal cielo, se non fosse stato per Angela S., 36 anni, alla finestra della
sua abitazione nel centro storico eporediese, che non ha gradito lo spettacolo e ha
avvertito il 113.
Quando gli agenti hanno raggiunto la terrazza dell'ospedale, Gianni ed
Emanuela stavano guardando il tramonto e le prime luci che si accendevano sulla
città. Non hanno neppure tentato di negare l'evidenza. Tra l'imbarazzo generale
(dei coniugi e dei poliziotti, che di tutto si aspettavano, fuorché di trovare marito
e moglie in quella situazione), la vicenda è così finita sui verbali del
commissariato. Ora è sul tavolo di un magistrato; che la giovane ed
intraprendente coppia si augura essere comprensivo.

Da La Stampa

13.

Un conto è credere, altra cosa è invece subire passivamente. Un fedele


cattolico di Knoxville, nel Tennessee, ha citato in giudizio la Chiesa in quanto
responsabile di una fatale folgorazione divina. L'uomo, il signor Matt Lincoln,
toccato dalla grazia di Dio mentre pregava in chiesa, è caduto ferendosi alla testa:
ora chiede un risarcimento di 2.5 milioni di dollari. Lincoln, stando a quanto
pubblicato sulle pagine dell'Associated Press, avrebbe deciso di promuovere una
causa contro la Chiesa dopo che l'assicuratore della congregazione gli ha rifiutato
il rimborso delle spese sostenute per le sue cure. L'uomo, che ha 57 anni, dal
giorno dell'incidente divino ha dichiarato di avere subito due diversi interventi
chirurgici. Nonostante ciò soffre ancora di dolori alla schiena e alle gambe. Dice
che, al momento della folgorazione spirituale, pregava Dio di avere "una vera
esperienza religiosa".
Da La Stampa
14.

I tredici brigatisti che sequestrarono Aldo Moro, che lo tennero prigioniero


e lo fecero morire, sono tutti liberi o quasi. Concedono anche interviste.
Prospero Gallinari, un carceriere, già punito con l'ergastolo, va a spasso
perché ha seri malanni cardiaci e considera la fine del leader democristiano "non
un assassinio, ma un atto politico".
Per lui non è un problema morale: dal che si deduce che l'estremismo
quando si fonda, oltre che sullo spirito rivoluzionario, sulla cretineria, è davvero
una malattia, più che infantile, come diceva Lenin, incurabile.
L'ultima immagine di Moro che conservo nella memoria è quella delle
fotografie scattate dalle Br: la testa un po' inclinata, il colletto della camica aperto
sulla canottiera. Indifeso, perduto. Chissà che cosa ha raccontato in quelle lunghe
ore.
Una volta andai a trovarlo nel suo ufficio in via Savoia, a Roma. Era un
momento difficile, sembrava che la sua storia pubblica fosse finita. Parlammo a
lungo, non presi appunti. Ricordo di quel colloquio una frase: "Ho sempre
cercato di evitare il peggio". Aveva fiducia negli italiani e nella forza della
democrazia anche se confessava: "Io sono un pessimista per natura". Mi fece
venire in mente la filosofia di John Kennedy: "Sono un idealista senza illusioni".
Sul professor Aldo Moro non c'è aneddotica: nessun amico del partito
frequentava casa sua, gli piacevano i libri gialli, le belle cravatte, la musica
classica, i fiori, i film d'avventura e quelli di Totò. Gli intimi assicuravano che
aveva anche un forte senso dell'umorismo e si spingeva perfino a fare l'imitazione
dei personaggi che frequentava con assiduità.
Figlio di una maestra e di un direttore didattico, educazione religiosa,
laurea a ventitré anni, a ventiquattro già in cattedra per insegnare filosofia del
diritto. Non sopportava i gesti clamorosi, non alzava mai la voce. Durante le risse
parlamentari, si limitava a un invito: "Non sia maleducato".
Lo avevano paragonato, per l'abilità manovriera, a Giolitti. Usava spesso le
parole "confronto", "attenzione": forse hanno contribuito alla sua condanna,
anche se, precisava: "Occorre il tempo che occorre".
Penso abbia cercato di trattare con i brigatisti: sembravano, a tutti noi,
sgomenti, dei geni del male. Un simpatizzante aveva elogiato la loro
preparazione militare. Quando, invece del mitra, hanno impugnato le parole, sono
saltati fuori i loro limiti, anche umani. Ma qualcuno ha detto: "Il sangue si secca
presto entrando nella storia".
Sono passati venti anni, ma da quei giorni la vita degli italiani non è stata
più la stessa.

Enzo Biagi, da Ma che tempi


15.

Un ringraziamento per aver fatto, appositamente per me, il mondo così


grande e vario. Di aver fatto tanti miliardi di altri uomini in apparenza simili a
me per tenermi compagnia, e di averli disseminati dovunque affinché, in
qualsiasi punto vada, non abbia a trovarmi solo. Inoltre: di averne fatti vivere
molti molti altri miliardi prima della mia nascita allo scopo che le loro
avventure mi possano distrarre e far pensare. E di aver creato tante terre
lontane dove, se fossi diventato esploratore, avrei potuto esplorare. E messo al
mondo tanti sapienti i quali mi potessero spiegare le infinitestranezze di questo
regno; pur lasciandone la parte migliore ancora avvolta nel mistero affinché, se
attratto, ne possa scoprire qualcuna anch'io o per lo meno fantasticarci sopra
nelle sere d'estate. E appese al cielo miriadi di stelle, di cui scorgo solo una
minima porzione; riservando le altre al caso che fossi diventato un astronomo e
mi fosse piaciuto investigarle.
Pensandoci, qualche volta mi sembra perfino che sia una esagerazione.
Un universo così smisurato con una infinità di vite difformi, una cosa così bella
e grande per me, meschino essere che non sa neppure guardarsi intorno...

Dino Buzzati, da In quel preciso momento

16.

Una volta, da qualche parte, ho letto una storia. Parlava di una scimmia e
di uno scorpione. Arrivata sulla sponda di un grande fiume, la scimmia decide
di attraversarlo a nuoto. Ha appena messo una zampa in acqua, quando sente
una vocina che la chiama. Si guarda intorno e, poco distante, vede uno
scorpione. “Senti”, le dice lo scorpione, “saresti così gentile da darmi un
passaggio?”. La scimmia lo fissa dritto negli occhi. “Non ci penso neppure.
Con quel pungiglione, potresti attaccarmi mentre nuoto e farmi annegare”.
“Perché mai dovrei farlo?”, risponde lo scorpione. “Se annegassi tu, morirei
anch’io. Che senso avrebbe?”. La scimmia ci pensa un po’, poi gli dice: “Mi
puoi giurare che non lo farai?”. “Te lo giuro!”. Allora lo scorpione sale sulla
testa della scimmia e la scimmia comincia a nuotare verso l’altra sponda.
Quando è pressappoco a metà, sente all’improvviso una fitta nel collo. Lo
scorpione l’ha colpita. “Perché l’hai fatto?”,grida la scimmia. “Adesso
moriremo tutti e due!”. “Scusa”, risponde lo scorpione, “non ho potuto farne a
meno. È nella mia natura”.

Susanna Tamaro, da Rispondimi


17.

Quando frequentavo il liceo classico pubblico dell’Aquila negli Anni 60,


il vecchio preside indossava il doppiopetto blu e trovava disdicevole che noi
non portassimo la giacca. Se qualcuno lasciava cadere una penna, veniva
allontanato dalla lezione. Si era ripresi per un colpo di tosse più forte del
normale.
Col ‘68 la vita cambiò. Ma non sarà cambiata troppo?
Non mi va giù che si possa andare a scuola col cellulare. Se è proibito
farlo squillare a teatro o durante la messa, perché è lecito giocarci nelle aule
scolastiche? La lezione è un noioso passatempo? Ci si fermasse qui. Avete letto
anche voi la Via Crucis di violenze giovanili ai danni di compagni più deboli.
D’accordo, sono cose sempre accadute, le ha raccontate lo scrittore Edmondo
De Amicis nel libro Cuore. La differenza è che adesso vengono filmate e
diffuse “urbi et orbi”. E il sesso individuale e di gruppo? È perverso chi filma o
il gruppo filmato? Il telefonino è diventato il terzo partner nella vita di alcune
coppie? Perché tanta gente (quel che emerge è soltanto la punta dell’iceberg) è
animata dal desiderio di filmare atti così intimi (e passi), ma anche di
diffonderli?
Sta propagandosi nel mondo il virus dell’esibizionismo: filmo, vado su
Internet, dunque esisto. A me – con tutto il rispetto – sembra una follia, ma è
così. Credo che una responsabilità enorme in questo senso – e in tutto
l’Occidente – l’abbiano i reality show televisivi. Ho molto rispetto
professionale per gli inventori e i curatori del Grande Fratello. Ma se
nell’edizione italiana di quest’anno il sesso è diventato la ragione sociale del
programma, se chi si è candidato a partecipare era disposto in partenza a
mettere in gioco un’avventura erotica con uno sconosciuto sotto gli occhi di
molti milioni di persone, allora è difficile meravigliarsi se una parte del
pubblico vuole diventare a sua volta protagonista e si fa il suo Grande Fratello
a scuola o tra le lenzuola domestiche.
Quando ero ragazzo nella mia città girava un tipo povero e stravagante.
Considerato uno scemo, aveva invece una forte intelligenza intuitiva e un gran
buongusto. Quando vedeva qualcosa fuori tono, sorrideva dicendo: «Che
mondo!». Lo diceva in modo caricaturale e nessuno lo prendeva sul serio. Ma
aveva ragione. Ho disagio a ripetere quella frase perché – pur frequentando un
mondo che qualche trasgressione se la concede – mi sentirei un barbagianni.
Ma confesso che, per non ripeterla, ogni tanto devo censurarmi.

Bruno Vespa, dal Corriere della Sera


18.

Nel nostro secolo la ricerca scientifica è molto mutata. Non c'è più
Copernico nella sua torre, o Charles Darwin a spasso ogni mattina lungo il
cosiddetto "sentiero dei Pensieri", che girava attorno alla sua casa nel Kent. Gli
psicologi curiosi dei processi mentali che preludono, o consentono, la scoperta,
hanno spesso osservato che un'équipe di ricercatori bene assortita, in cui la
competizione tra i membri sia mitigata da una forte stima reciproca, permette
risultati assai superiori a quelli che potrebbero derivare dalla somma delle
ricerche individuali.
Buona o meno che sia questa idea, anzi questa ideologia, del due più due
fa cinque, sembra che anche fra certi animali l'unione aiuti a risolvere meglio i
problemi. Per esempio, una formica all'interno di un labirinto sperimentale
(pieno di vicoli ciechi e di scorciatoie) mostra delle mediocri capacità nel
trovare il percorso giusto. La folla delle formiche si fa più inventiva. I vicoli
ciechi vengono scartati più rapidamente e le scorciatoie sono scoperte quasi
subito.

da L’Espresso

19.

Il primo giorno nella nuova scuola conosco la mia maestra che porta gli
occhiali molto spessi e scuri e (...) non ride mai. La prima cosa che dice è: Tutti
in piedi. Seconda cosa: Ora diciamo le preghiere. Terza cosa: Ora seduti. Dice:
Adesso facciamo l’appello e man mano che vi chiamo, voi vi alzate in piedi e
dite il mestiere che fa vostro padre e da quale regione italiana provenite. (...)
Quando chiama la Raffaella Rapetti e lei dice: Mio papà fa l’ingegnere
edile e ci ha molti uomini sotto ai suoi comandi e siamo di origine genovese
ma la mamma è piemontese, io vedo la maestra che per la prima volta fa un
sorriso e le dice: Tu cara spostati al primo banco.
Quando l’appello è finito, la maestra batte le mani sulla cattedra e dice:
Bene. Adesso tutti quelli che indico dovranno mettersi da una parte.
Così succede che ci ritroviamo io, Aldo e Daniela in un angolo in fondo
alla classe.
Io mi domando perché succede questo e subito la maestra come se
avesse intercettato il mio pensiero da vera maestra spiega: Vedete bambini quei
vostri tre compagni nell’angolo in fondo? Essi provengono dalla Sicilia,
Campania e Calabria. E indica sulla cartina geografica le regioni. E aggiunge:
Essi sono dunque meridionali.

Rossana Campo, Il pieno di super


20.

La moda italiana

Il 25 febbraio 1951 con la sfilata organizzata dal conte Giorgini a


Firenze per un pubblico internazionale iniziava la storia della moda
italiana.André Suarès scriveva che “la moda è la migliore delle farse, quella in
cui nessuno ride, poiché tutti vi partecipano”. L’abito è sempre stato inteso
come espressione di affermazione sociale, di conferme individuali, importante
mezzo di comunicazione di singoli e di popoli. Ѐ anche un linguaggio del
desiderio: un gioco di ammiccamenti e di emulazioni che narra l’evoluzione
del costume, del pudore e dell’immaginario nel corso del tempo; la
motivazione erotica è quindi una delle grandi spinte nella scelta dell’abito.
Giorgini fa rinascere il mito della nobiltà che ora apre il suo palazzo alle
sfilate, offre cioè un luogo mitico, aulico, ricco di storia alla presentazione
delle collezioni. Anche il cinema è influenzato dalla moda. Esemplare il caso
del matrimonio di Linda Christian e Tyron Power nel ’49: a Roma viene scelto
l’abito per la sposa. Tutto ciò contribuisce a creare il mito stereotipato finché si
vuole, ma funzionale, del Paese del bello, dell’arte, dell’amore.
Con gli anni ’60 tutto cambia: cambiano i ruoli e gli status sociali, sono
gli anni della contestazione e di un nuovo rilancio industriale. Nascono i
modelli della confezione in serie, destinati a vestire elegantemente e a poco
prezzo le donne di mezzo mondo. Si arriva così all’affermazione internazionale
del made in Italy, con il trionfante prêt-à-porter degli anni Settanta e Ottanta
quando polo di attrazione per la moda diventa Milano, fino alle nuove tendenze
di questi ultimi anni legate alle avanguardie artistiche e ai diversi movimenti
culturali del Novecento: dall’alta moda al prêt-à-porter, dalla minigonna ai
blue-jeans, tra un continuo rinnovarsi e alternarsi di stili si attua l’evoluzione
della moda.
Insomma, la moda in Italia è narrata come fiaba perché la sua funzione è
profondamente diversa rispetto a Parigi oppure a Londra e a New-York. Per
noi la moda è strumento di un riscatto sociale e, quindi, di un innalzamento di
classe attraverso l’abito; altrove tutto questo non appare neppure pensabile:
fuori dai nostri confini la moda è solo uno strumento per confermare uno
status.

Adattato dal sito: http://www.italianculture.net


21.

In questi due anni, Antonio le aveva chiesto almeno dieci volte un


"ultimo incontro". Inaugurato con suppliche e promesse, e concluso con urla,
lacrime, minacce. "Di che vuoi parlare ancora?", chiese, cauta. "Dei bambini",
rispose Antonio, pentito. "Abbiamo già parlato dei bambini", disse Emma.
"Devi mantenerli, e questo è tuo dovere. Puoi vederli, e questo è un tuo diritto.
Non hai fatto né una cosa né l’altra. Evidentemente non ti interessa. Ma non si
può smettere di essere un padre." Antonio strinse più forte il suo braccio. "Lo
so che ho sbagliato, Mina. Dammi la possibilità di sistemare le cose."
"Come?", chiese Emma, senza farsi nessuna illusione. Non si fidava di
Antonio. (...) È passato tanto tempo. E io sono un’altra persona. È finita. Sono
libera. "La faccenda degli alimenti", insinuò Antonio, "ti devo dare un sacco di
soldi."
"Antonio, io non voglio parlare con te di soldi", disse invece Emma,
stancamente. "Tu sai quello che devi fare. Se vuoi fare qualcosa per i tuoi figli,
fallo. Sennò, faremo a meno di te. Non ho più bisogno di te. E neanche dei tuoi
soldi", aggiunse con rabbia. E proprio perché non era vero, e proprio perché
non voleva subire ancora il ricatto della dipendenza, gli lanciò un’occhiata fiera
e gli disse una bugia che le diede la prima vera soddisfazione della giornata.
"Adesso ho un lavoro sicuro, Antonio. Sono stata assunta."

Melania Mazzucco, da Un giorno perfetto

22.

Voleva trasgredire le regole del suo matrimonio tuffandosi nel piacere


sessuale di un bordello. Colpa delle preoccupazioni coniugali. Peccato però che
la serata di Adam, un polacco 42enne, non sia andata a buon fine. Una sorpresa
sgradita lo ha accolto all'entrata del locale: Monika la moglie era una
dipendente della casa di appuntamento di Gdansk, sul Baltico, dove l'uomo
aveva deciso di trascorrere insieme agli amici una notte di puro svago
erotico."Sono rimasto annichilito. Mi sembrava di vivere un incubo", ha
raccontato al tabloid polacco Super Express, secondo il quale la donna di 32
anni disoccupata, frequentava da tempo il bordello per racimolare qualche
soldo. Infatti le sue assenze in casa le giustificava dicendo al marito che
lavorava un paio di giorni alla settimana nel negozio di una zia in un paese
vicino. Forse sentendosi solo e trascurato, Adam ha pensato bene di consolarsi
al bordello: "Sono rimasto senza parole, credevo di sognare", così ha descritto
il suo shock al giornale. Dopo l'inatteso faccia a faccia, stomachevole per
entrambi, i due, sposati da 14 anni e con due figli, hanno avviato le pratiche di
divorzio.

Da La Stampa
23.

La signora Gina Biglia, la mamma di Graziano, soffriva di ipertensione.


Di minima aveva centoventi e di massima oltre centottanta. Le bastava
un’agitazione, un’emozione e subito veniva assalita da palpitazioni, vertigini,
sudori freddi e stordimenti.
Generalmente, quando suo figlio tornava a casa, la signora Gina si
sentiva male dalla gioia e doveva mettersi a letto per un paio d’ore. Ma quando,
quell’inverno, Graziano arrivò da Roma, dopo due anni che non si faceva
vedere e sentire, raccontandole che aveva incontrato una ragazza del Nord e
che voleva sposarla e tornare a vivere a Ischiano, il cuore le schizzò nel petto
come una molla e la povera donna, che stava preparando le fettuccine, si
schiantò a terra, svenuta, trascinandosi dietro tavolo, farina e matterello.
Quando si rianimò, non parlava più.
Se ne stava sul pavimento come una testuggine cappottata tra le
fettuccine e mugugnava cose incomprensibili come se fosse diventata
sordomuta o peggio.
Un ictus, pensò Graziano disperato. Per un istante il cuore aveva smesso
di battere e il cervello aveva subito un danno.
Graziano corse in salotto a chiamare l’ambulanza, ma quando tornò
trovò sua madre in perfetta forma. Lavava con il Cif il pavimento della cucina
e appena lo vide gli diede un foglio.

Niccolò Ammaniti, da Ti prendo e ti porto via

24.
Perdere un parente o un amico in un incidente stradale è una cosa
tremenda. Ritrovarselo vivo e vegeto in chiesa, mentre si è seduti davanti ad
una bara occupata da qualcun altro, risulta tuttavia altrettanto sconvolgente. Ѐ
questo è di fatto quanto accaduto alla famiglia di Ademir Jorge Goncalves, un
muratore di 59 anni residente in Brasile. Goncalves era uscito assieme agli
amici per una serata all’insegna del divertimento più sfrenato. Dopo aver
passato molte ore con loro, e aver bevuto una quantitа non meglio precisata di
superalcolici, il gruppo si è separato: ognuno è tornato nella propria abitazione,
ma non il muratore. L’uomo, stando a quanto da lui stesso raccontato, è salito a
bordo del proprio mezzo e, prima di far rientro, si è concesso qualche altro
bicchierino. Il suo tasso alcolemico doveva esser molto elevato e alla fine è
crollato, addormentandosi come un sasso sul sedile. Il destino ha voluto che,
mentre lui dormiva, si verificasse un incidente mortale proprio lungo la stessa
strada che avrebbe dovuto percorrere per tornare a casa. Le auto coinvolte, e i
relativi conducenti a bordo, erano irriconoscibili. Riuscire a comprendere
pertanto se si trattasse di lui o di un altro malcapitato, considerando anche che
la prova del Dna richiede troppo tempo e denaro, e il fatto che in Brasile
èconsuetudine celebrare i funerali il giorno successivo al decesso, era
ugualmente impossibile.Tutti i famigliari e gli amici di Goncalves, addolorati
per l’improvviso e inaspettato trapasso, non hanno potuto far altro che
organizzare in fretta e furia la cerimonia funebre e dire così addio al proprio
amato. Durante la cerimonia, tuttavia, una sorpresa, sicuramente piacevole ma
sconvolgente: Ademir è entrato in chiesa, ma non in posizione orizzontale. Il
muratore ha varcato l’uscio con le proprie gambe e si è diretto immediatamente
verso i parenti lasciandoli senza parole.Un lieto fine, ma un morto vero c’era.
Dopo i dovuti chiarimenti, la cerimonia è stata interrotta, anche perché il corpo
all’interno della bara non era quello ipotizzato. La famiglia di Goncalves ha
ricontattato la polizia locale che, dopo una più attenta ricerca, ha scoperto
l’identitа della vittima dell’incidente, consegnandola stavolta alla vera
famiglia.

Adattato dal sito: http://www.soveratoweb.it


25.

Edy è figlia di un cacciatore di renne, eppure, già da qualche tempo, è


diventata vegeteriana. Ha fatto questo per compassione verso gli animali, ma
anche perché in una rivista femminile ha letto che le carni rosse fanno
ingrassare: e lei vuole risparmiarsi il dolore di diventare brutta.
La sua verdura preferita sono i cavolini di Bruxelles e, la sera, anche se
cena da sola e non ci sarebbe motivo di preoccuparsi dell’estetica e della
presentazione delle pietanze, a Edy piace allinearli per bene lungo il bordo del
piatto lasciando, al centro, uno spazio vuoto per il purè di patate. Le verdure
bollite non la annoiano mai e, di recente, ha perfino comprato uno speciale
attrezzo in bambù per cuocere i cavolini a vapore senza che perdano le
vitamine e i sali minerali.
Effettivamente, da quando ha smesso di mangiare carne, Edy è diventata
più serena e, forse, anche più bella: ma le sue occhiaie si notano di più. Fosse
per lei non se ne preoccuperebbe: ma deve pensare ai propri clienti, e rendersi
conto che avere le occhiaie non è certo raccomandabile. Un’analista deve
apparire serena: non può permettersi il lusso di sembrare preoccupata o dare
l’impressione che il suo sonno sia disturbato da incubi e da ripensamenti. I
pazienti si insospettirebbero, e comincerebbero a pensare che una persona
incapace di procurarsi la serenità non potrà certo far molto per garantirla agli
altri.

Niccola Lecca e Laura Pariani, da Ghiacciofuoco

26.

Perder la testa va bene, ma bestemmiare, seppur a seguito del dolore


causato da un piede rotto, può esser oltre che poco rispettoso della fede altrui,
anche molto pericoloso. Lo ha scoperto a proprie spese un giovane di Varese.
Trasportato in ambulanza all'ospedale di Cittiglio, il giovane avrebbe varcato le
porte del pronto soccorso bestemmiando. Un medico, dopo averlo invitato ad
esprimersi in maniera più adeguata, gli ha dato un pugno sul naso
spaccandoglielo. Stando a quanto riferito dai presenti il ragazzo è giunto in
ospedale in evidente stato di agitazione. Nonostante le immediate cure ha
continuato a sbraitare e a profferire parolacce. Ad un certo punto il medico di
guardia ha però perso la pazienza, si è avvicinato al giovanotto e gli ha rifilato
un pugno spaccandogli il setto nasale. Inutile dire che i soccorsi sono stati
decisamente tempestivi da parte del personale del Pronto Soccorso mentre il
"medico-pugile" è stato allontanato dal servizio in evidente stato di alterazione.
La Direzione ospedaliera ha ora aperto un'inchiesta interna e il medico rischia
severi provvedimenti. I familiari del ragazzo, sedato in un modo poco
ortodosso, hanno giа presentato un esposto in Procura.
Tratto dalla stampa

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