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di
Sabrina Scarpetta
Laboratorio Montessori
settembre 2012
© Sabrina Scarpetta 2012
ISBN 978-88-903624-7-7
La scuola come setting educativo di inserimento ed integrazio-
ne della diversità
INDICE.
introduzione.
Bibliografìa
Introduzione.
L'esperienza di tirocinio diretto è stata svolta presso la scuola media Ugo Foscolo, che ha
sede in Talsano (Taranto); informazioni di carattere organizzativo e didattico, utili per delineare i
contorni entro i quali è inserito il lavoro di tirocinio diretto, sono desunte dal piano dell'offerta for-
mativa.
La scuola media Foscolo è ben radicata nel territorio, dove opera da oltre 27 anni in un
eterogeneo contesto socio-culturale. L'edificio è una struttura idonea alla vita scolastica, curata at-
traverso una adeguata manutenzione. Le aule sono confortevoli e molto luminose, e gli ampi spazi in-
terni favoriscono la vita di collettività, anche per gestire momenti assembleari con mezzi audio-
visivi e multimediali all'avanguardia.
L'attività sportiva intensa è resa possibile da una grande palestra, dove si svolgono gare a
livello provinciale e regionale, cui si aggiungono gli spazi esterni nell'ampio cortile-giardino, in cui
i ragazzi svolgono allenamenti specifici. La scuola attiva ogni anno i giochi sportivi studenteschi.
Il processo educativo può svilupparsi armoniosamente attraverso un orientamento ed una
accoglienza di tutti gli alunni tale da trasmettere fiducia e serenità e favorire così una buona inte-
grazione fra tutti gli utenti della scuola. Tale finalità viene espressamente perseguita nel pro-
getto Accoglienza ad apertura del Pof stesso.
Nel progetto formativo, la scuola dichiara come propria finalità la formazione dell'uomo e
del cittadino, attraverso lo sviluppo della personalità, lo sviluppo dell'apprendimento, e la for-
mazione del futuro cittadino.
I bisogni formativi essenziali, cioè il sapere, saper fare e saper essere vengono arricchiti dai
saperi essenziali trasversali: attraverso i nuclei tematici trasversali, si risponde senz'altro ad un ca-
rattere formativo interdisciplinare, ad una impostazione in rete dei programmi che mette l'alunno in
grado di utilizzare i contenuti in modo strutturato e critico, tale da divenire padrone delle cono-
scenze e da saperle trasferire, ed infine si condivide il lavoro con le famiglie e con il territorio, trami-
te un dialogo aperto sulle attività proposte dalla scuola, affinché l'alunno diventi il protago -
nista della sua formazione.
La scuola poi, di fronte alla frammentazione culturale e al disorientamento educativo della
nostra epoca, si prefigge di attuare la pedagogia dei significati, per rispondere al bisogno di "senso" dei
giovani, per aiutarli a rivedere criticamente modelli di comportamento incoerente che incontrano nella
realtà di tutti i giorni.
Si costruiranno quindi "campi di significati": centrando il processo di apprendimento sul-
lo svolgimento di compiti che richiedono una conclusione, in modo che gli alunni si rendano conto del
perché, del come e della rilevanza di quanto stanno apprendendo; attuando il lavoro scolastico in situa-
zioni socializzate, così che gli allievi arrivino sia alla percezione dei propri limiti e possibilità sia alla
consapevolezza dell’importanza di lavorare in collaborazione con altri; ascoltando i ragazzi, per aiu-
tarli a cogliere i significati della loro "storia" o della storia della loro famiglia; offrendo esempi di
comportamenti coerenti.
I bisogni educativi degli allievi possono essere così sintetizzati: negli alunni della scuola
risultano evidenti i bisogni di autonomia (il saper fare da solo), di autostima (il saper "perdere"), di indivi-
dualizzazione (il saper fare in modo personale), di socializzazione (il saper fare con gli altri), di ap-
partenenza (il saper fare per e attraverso gli altri).
Particolari richieste vengono poste alla scuola dagli alunni portatori di handicap o in situazione
socio-ambientale, affettiva ed evolutiva sfavorevole. Questi alunni presentano problemi connessi all'ap-
prendimento, alla socializzazione e allo sviluppo globale della personalità, che, senza adeguati inter-
venti, possono limitare la piena realizzazione del loro diritto allo studio.
Nella convinzione che la diversità sia una risorsa per tutti, spetta all'intera comunità scolastica
di farsi carico dell' integrazione e della crescita dell'alunno disabile o svantaggiato, evitando il rischio
dell'emarginazione scolastica e sociale. Particolare impegno verrà quindi prestato per la soluzione delle
problematiche che questi allievi presentano, attuando concrete forme di collaborazione con le strutture
socio-sanitarie esistenti nel territorio e promuovendo attività mirate alle diverse esigenze di ciascuno.
Il progetto educativo in continuità si propone di offrire, al bambino prima e al preadolescente
poi, gli strumenti necessari per divenire realmente uomo e cittadino, cosciente di sé e del rapporto con la
realtà esterna, capace di operare nel mondo, di fronteggiare le situazioni della vita, di trasformare la real-
tà sociale.
La scuola, facendo propri gli orientamenti della Commissione dell'UNESCO sull'educazione
del XXI secolo, che individua neh" imparare a conoscere, a fare, a vivere con gli altri, ad essere i
pilastri dell'educazione, intende promuovere, in forme gradualmente sempre più complesse, la realiz-
zazione di contesti formativi, in cui l'incontro tra gli alunni e i saperi generi la conquista dell'autono-
mia, la costruzione dell'identità, l'acquisizione di competenze, in una visione unitaria ed integrata
della formazione personale.
Pertanto l'azione educativa si propone di perseguire queste finalità formative: - rafforzare i pro-
cessi cognitivi, sviluppando soprattutto il pensiero formale ed il linguaggio, ma esercitando anche le
altre funzioni individuali (memorizzazione, attenzione, percezione, motivazione); potenziare la
capacità di comunicare correttamente e funzionalmente, promuovere la padronanza della parola par-
lata e scritta e il possesso dei linguaggi non verbali; fornire un sapere articolato su "nuclei fondanti" che
spiegano la realtà e che consentono di strutturare ed integrare le conoscenze progressivamente assunte;
guidare alla culturizzazione, offrendo all'attenzione dell'alunno i valori e modelli del proprio gruppo e
delle altre culture moderne, affinché se ne appropri in maniera critica;
avviare all'acquisizione di un corretto metodo di studio e di lavoro, in modo che l'allievo impari
ad imparare, ponendo così le basi per un'educazione permanente; promuovere la socializzazione, cioè
la capacità di agire e interagire nel gruppo, favorendo nell'alunno la conoscenza di sé in rapporto agli
altri e all'ambiente, per aiutarlo sia ad assumere un atteggiamento democratico, tollerante, disponi-
bile verso gli altri sia a conservare l'autonomia rispetto al condizionamento dei gruppi; abituare l'a-
lunno a gestire ordinatamente la propria emotività, in modo che raggiunga l'equilibrio dei senti-
menti e la sicurezza personale; favorire l'elaborazione di un progetto di vita cui tendere deliberata-
mente e con costanza, abituando l'alunno all'esercizio della razionalità e della volontà nelle
condotte di vita, sviluppando le capacità progettuali e decisionali, educandolo alla responsabilità perso-
nale.
Le finalità indicate vengono tradotte operativamente promuovendo nell'alunno l'acquisizione
di comportamenti che, in quanto si riferiscono alle aree in cui si articola la personalità umana, sono
transdisciplinari, cioè trasversali a tutte le discipline.
Sono state individuate quali competenze da acquisire in uscita, raggruppate in grandi aree di
abilità: comprendere testi e formulari diversi
comunicare ad altri idee e dati in diverse forme parlate e scritte, organizzando l'informazione elaborare
ed interpretare dati quantitativi usando tecniche di tipo matematico impostare e risolvere problemi usan-
do gli strumenti e i mezzi tecnologici, organizzando le risorse disponibili, lavorare e collaborare
con gli altri in modo produttivo e critico, valorizzando le proprie e altrui competenze, anche per
assumere decisioni consapevoli, avere pratiche di fruizione e minimamente di produzione di poe-
sia, letteratura, arte, musica, teatro, cinema imparare a imparare.
Questi obiettivi trasversali dell'azione educativa della scuola sono stati tradotti in esiti attesi,
ovviamente graduati in rapporto all'evolversi delle capacità degli alunni nella programmazione di-
dattica di ogni classe.
L'integrazione degli allievi dotati di diverse potenzialità è tra i principi fondamentali del
Pof, che mira ad eliminare le condizioni che potrebbero ostacolare il loro armonico sviluppo e ad
attuare invece il pieno diritto della persona all'apprendimento, alla comunicazione, alla relazione ed
alla socializzazione, facendo della diversità una risorsa nella dimensione della collaborazione e
della cooperazione.
Pertanto acquistano particolare valore l'accoglienza, l'incontro, l'ascolto e la conoscenza
degli allievi e delle loro famiglie.
Si mettono in atto strumenti ed attività utili per apprendere ed educarsi. È fondamentale il
sostegno affettivo come forma di amore e di amicizia, di fiducia verso gli altri che mira a costruire la
sicurezza, facilitando l'inserimento nel contesto sociale; vengono programmati percorsi e progetti che
consentono a ciascun allievo di realizzare la propria identità.
Lo stretto rapporto tra scuola, famiglia ed operatori delle A.S.L è fondamentale per la
programmazione e la realizzazione dei piani educativi personalizzati.
La scuola si adopera affinché vi sia una concreta interazione tra docenti di sostegno e
docenti curriculari, nonché tra operatori scolastici ed operatori della A.S.L.
Quest'anno è attivo nella scuola un laboratorio grafico frequentato da alunni e ragazzi pro-
venienti anche dal centro territoriale di riabilitazione.
La scuola fa pertanto della operatività la metodologia privilegiata per favorire l'integrazione
e gli apprendimenti di tutti gli allievi.
La normativa scolastica riguardante gli alunni portatori di handicaps dice che "l'integrazione
deve essere "reale", cioè avvenire all'interno della classe ed in stretto collegamento col programma
svolto dai docenti. Più precisamente, la legge quadro per l'handicap 104/92, all'art. 12 - comma 3, af-
ferma che, tra gli obiettivi fondamentali dell'integrazione scolastica, al primo posto vi è l'ap-
prendimento. Non saranno di per sé, didattiche differenziali, ma nei processi di apprendimento varia-
no i livelli di approfondimento e gli strumenti della comunicazione.
I docenti che seguono gli alunni diversamente abili basano la loro azione di insegna-
mento seguendo un piano educativo-didattico individualizzato, che tiene conto della specificità del-
l'handicap, delle difficoltà e delle potenzialità del disabile, con una delicata operazione di adat-
tamento dei programmi nei contenuti e nelle metodologie.
Inoltre, i docenti collaborano strettamente con la famiglia e con i tecnici della salu-
te, verificando continuamente l'azione didattica nel gruppo di lavoro e/o nei consigli di classe.
Anche per gli alunni in difficoltà -in particolare sotto il profilo dell'apprendimento-, si at-
tua un insegnamento individualizzato, con contenuti flessibili che si incastrano tra le varie disci-
pline, armonizzando gli interventi dei vari insegnanti, che si pongono obiettivi minimi, nell'am-
bito della precisa individuazione di traguardi irrinunciabili e di tematiche portanti.
CAPITOLO 2; ANALISI DEL CASO
2.1 Presentazione del contesto classe
L'insegnante tutor segue un alunno, che per convenzione verrà chiamato Ego, il quale è inserito
in una terza classe.
Dalle informazioni preliminari annotate meticolosamente nello storyboard, e dai lunghi e
proficui colloqui con la stessa insegnante tutor, si apprende che Ego sta ripetendo la terza media:
l'anno precedente, infatti, pur avendo frequentato le lezioni, al termine del ciclo scolastico non si è
presentato agli esami di licenza.
Quest'anno, dunque, Ego è stato inserito in una terza classe di una sezione differente da quella
dell'anno scorso: il gruppo classe è composto da ventitre alunni, dodici ragazzi e undici ragazze, ed è
dunque abbastanza corposo. Ego è seduto al primo banco, nella fila centrale, al centro tra due com-
pagni. L'insegnante di sostegno è seduta alla cattedra, ma non sempre l'assetto è tale, perché in alcune
circostanze può verificarsi che Ego vada a sedersi ad un banchetto adiacente alla cattedra, vicino
quindi all'insegnante di sostegno.
Ego usufruisce di 18 ore settimanali di sostegno, tutte a carico dell'unica insegnante, che le
distribuisce settimanalmente a gruppi di tre rinunciando così alla giornata libera.
Il tirocinio diretto svolto al fianco dell'insegnante tutor ha visto coinvolte prevalentemente le
discipline di lettere e di matematica.
2.2. Informazioni medico-cliniche
Dalla lettura della diagnosi funzionale di Ego si riscontra clinicamente una en-
cefalopatia metilmalonico acidemia, mentre le conseguenze funzionali consistono in un ritardo e diffi-
coltà cognitiva e degli apprendimenti di tipo medio, e in uno stato depressivo-ansioso.
La previsione dell'evoluzione naturale richiede un supporto scolastico continuo per
fornire maggiori stimolazioni e per fissare gli apprendimenti lenti e discontinui.
L'area cognitiva presenta difficoltà nel ragionamento logico, una eccessiva lentezza.
La potenzialità maggiormente compromessa riguarda l'autonomia.
L'area affettivo relazionale evidenzia una immagine di sé negativa, timori del giudi-
zio altrui, ansietà. Nel rapporto con gli altri la difficoltà è dovuta alla introversione. Le potenzialità
compromesse riguardano una costruzione di una identità più stabile e indipendente.
Per l'area linguistica le difficoltà riscontrate sono: una comprensione solo di messag-
gi poco elaborati, una povertà lessicale, una difficoltà nella comunicazione. E' tendenzialmente inibito.
Le difficoltà legate all'area motorio-prassica riguardano un rallentamento motorio e
una facile esauribilità, e per la motricità fine un tratto grafico marcato e discontinuo.
L'area neuropsicologica: per quanto riguarda la memoria ha difficoltà nel ritenere
gli elementi salienti di uno stimolo, per la attenzione si nota una discontinuità e una facile esauribili-
tà. Inoltre si nota una difficoltà nel ragionamento logico-temporale.
L'attività di tirocinio diretto si è avvalsa della stesura puntuale e attenta del cosiddetto diario di
bordo, una sorta di storyboard, orientato grazie all'ausilio di apposite schede di osservazione, fornite
dall'insegnante tutor, con griglie predisposte per l'annotazione dei vari momenti della vita scolastica
cui ha preso parte la tirocinante: attività didattica, consigli di classe, collegio docenti, incontri con le
famiglie.
Un primo elemento da considerare nel contesto della classe è quello relativo alla lezione,
nella quale emergono la natura contestuale del comportamento degli allievi e il linguaggio della
classe come codice implicito.
Un secondo aspetto è la cultura (e la struttura) sociale della classe vista come un vero e
proprio microsistema sociale.
Un terzo aspetto, infine, riguarda le differenze culturali presenti nella classe. Il contesto
appare allora sempre più come luogo di negoziazione fra apprendimento e insegnamento: School
Culture, Classroome Culture, sono termini molto frequenti nella letteratura della recente ricerca
didattica.
In effetti, la conoscenza del contesto didattico, sia dal punto di vista strutturale sia da quello
culturale, è una condizione fondamentale perché l'insegnamento risulti efficace.
In particolare, la conoscenza della cultura indigena degli allievi coetanei permette di cogliere
in modo assai incisivo i loro punti di vista, la loro vita sotterranea contrapposta a quella cultura uf-
ficiale e di ricostruirne il sistema di regole, di norme, di giustificazioni, di trasgressioni, di valori.
L'estrazione socio-culturale degli alunni della classe di Ego è abbastanza omogenea; sono
tutti amici e gli dimostrano il loro affetto senza farlo mai sentire compatito.
Ego in classe ascolta le spiegazioni dei docenti, e in seguito, l'insegnante di sostegno ritorna
sulla lezione sbriciolandone i contenuti e scrivendo un testo schematico sul suo quaderno; quindi glielo fa
leggere, gli pone le domande stimolo per verificarne la comprensione e scrive i quesiti da svolgere a
casa Le modalità di verifica per Ugo avvengono sia in forma orale sia in forma scritta.
In famiglia Ego è abbastanza seguito, e gli scambi scuola-famiglia avvengono con
regolarità.
Bibliografia.
AAW: Quaderni di Dipartimento di Scienze dell'educazione, n.2, anno V,ed. Laterza, Bari.
Bion W. : Attenzione e interpretazione, Armando Roma 1973
Bloom B.S.: Caratteristiche umane e apprendimento scolastico, armando Roma 1979
Boscolo T. Psicologia dell'apprendimento scolastico. Gli aspetti cognitivi, Utet, Torino 1986
Carli R.-Paniccia R. M.: Psicologia della formazione, Il Mulino, Bologna 1999
D' Alonso L.: Diversità e apprendimento, La Scuola, Brescia 1995
De Landsheere G.: Come si insegna, Lisciani Zampetti, Teramo 1979
Fusca F. : Temi e problemi dell'handicap, Arcobaleno, Palermo 1995
Goleman D.: Intelligenza emotiva, Rizzoli, Milano 1986
La Neve C. : La didattica tra teoria e pratica, La Scuola, Brescia 2003
Levy-Strauss C: Il pensiero selvaggio, ed Est, Cuneo 1998
Pagano R: Educazione e interpretazione, La Scuola, Brescia 2002
Pellerey N.: L'agire educativo, Las, Roma 1998
Perla L.: Educazione e sentimenti. Interpretazione e modulazioni, La Scuola, Brescia 2002
Petruccelli F.: Psicologia dello sviluppo, Franco Angeli, Milano 2000
Polanyi M.: La conoscenza inespressa, Armando Roma 1979
Schon D.A.: Il professionista riflessivo. Per una nuova epistemologia della pratica professionale,
Dedalo, Bari 1993
Spitzer D.: La motivazione: un fattore trascurato nella progettazione didattica, in TD Tecnologie
didattiche, n. 11 1996
UNITA’ DIDATTICA
ALDO PALAZZESCHI
Lasciatemi divertire
Destinatario: Ugo
Segue una programmazione differenziata.
Motivazione della scelta: pur nell'ambito di una programmazione differenziata ho deciso, in-
sieme ai colleghi curriculari, di creare dei punti di contatto con la programmazione di classe
per favorire l'integrazione del portatore di handicap coinvolgendo i compagni.
Per questo intervento che intendo svolgere con l'alunno disabile ho scelto la poesia Lasciate-
mi divertire di A. Palazzeschi, esempio di poesia italiana futurista.
Nonostante la lunghezza, la struttura della poesia è facilmente riconducibile ad uno schema
A-B nel quale A contiene le onomatopee-nonsense e B la parte più propriamente dialogica.
Riguardo al contenuto, il poeta attraverso la sua opera insegna all'Italia a ridere allegramente
dei poeti, incurante di tutte le regole e di tutti i divieti stilistici e linguistici.
Insieme con la docente tutor abbiamo ritenuto idonea questa poesia in considerazione del ca-
rattere di Ugo, della sua capacità di cogliere gli elementi fonetici e di ricavarne considerazio-
ni legate al vissuto personale.
Perché questa proposta?
Perché la poesia rappresenta un momento di distensione, leggero, non impegnativo, e perché
deve essere vissuta come momento di espressione assoluto, libero, non vincolato da schemi,
convenzioni, pregiudizi.
Prerequisiti:
• Discriminare e imitare suoni e rumori ambientali
• Conoscere gli elementi fondamentali della metrica: la rima., il verso
• Conoscere la differenza tra prosa e poesia
Obiettivi formativi:
• Promuovere e potenziare l'integrazione con il gruppo classe e i docenti.
• Rinforzare le capacità attentive e mnestiche.
• Rinforzare l'autostima stimolando la libera espressione dell'alunno.
Obiettivi didattici:
• Potenziare la capacità di lettura espressiva.
• Individuare il messaggio implicito nella poesia.
• Conoscere l'onomatopea nella sua forma ed utilizzo.
Raccordi interdisciplinari:
La poesia si presta ad agganci con le seguenti discipline:
Italiano
Storia
Storia dell'arte
Lingua inglese .
Strategie:
Parola-chiave:
Duplice livello: puro divertimento quello più elementare, libertà creativa in funzione del
puro divertimento quello più complesso. In rapporto alle esigenze dettate dal tipo di handi -
cap, scegliamo di sviluppare il secondo concetto.
Tempo stimato per la relazione: 3 ore
Onomatopea
Ogni singola parte dialogica della poesia esprime un unico concetto: la libertà creativa del
poeta che non deve seguire alcuno schema. Proprio sul testo possiamo realizzare una serie di
attività di analisi:
1. Individua le vocali dominanti nei versi onomatopeici che caratterizzano le strofe di-
spari.
2. Trova tutti i punti del testo in cui compare il concetto chiave divertire, a volte espres-
so con sinonimi.
3. Cerca ed inserisci nella colonna corrispondente i termini ad uso più colloquiale e
quelli di derivazione colta
Verifica:
La verifica prevede la composizione di un nuovo testo attingendo alle parole e al lessico am-
pliato suggerito ad Ugo.
Per approfondire la conoscenza delle onomatopee un interessante collegamento si può fare
con la lingua straniera (inglese in questo caso).
Si fa che alcune delle espressioni onomatopeiche, apparentemente senza senso e senza rap-
porto con i suoni ed i rumori ma presenti nei fumetti corrispondono a verbi onomatopeici del-
la lingua inglese.
Si presenta all'alunno la seguente tabella che viene letta inizialmente da me e successivamen-
te più volte dall' alunno.
Un valido esercizio è quello di collegare con una freccia il suono al verbo inglese e quindi al
suo significato.
TABELLA
1. IL BAMBINO AUDIOLESO
L'orecchio umano è l'organo sensoriale la cui funzione primaria è quella di per-
mettere all'uomo di sentirsi presente nel mondo in cui vive. Tra i suoi compiti rientrano fun-
zioni quali quella di allarme e di orientamento nello spazio, ma è anche deputato ad assolve-
re l'importante ruolo di mediatore per l'apprendimento e la produzione dei segni acustici del
linguaggio, per mezzo dei quali si realizzano gli scambi comunicativi fra gli individui.
Il bambino con udito deficitario non ha la possibilità di apprendere in maniera ade-
guata e puntuale il codice linguistico usato dagli adulti. Nonostante ciò non si può parlare di
vera patologia del linguaggio, in quanto in lui ogni elemento dell'apparato fono-articolatorio è
predisposto ad essere pienamente funzionale.
Si tratta, invece, di minorazione sensoriale che ostacola l'uso della funzione dell'appa-
rato fono-articolatorio, per cui il linguaggio diventa uno dei più grossi ostacoli che si frappo-
ne all'apprendimento e alla prosecuzione degli studi del bambino sordo.
Infatti ad essere intaccata è la capacità comunicativa, al cui interno nascono la capacità lin-
guistica, cognitiva e sociale.
Queste sono strettamente correlate fra di loro, tanto è vero che nel corso dell'educa-
zione del bambino sordo è necessario che si verifichi continuamente lo sviluppo cognitivo,
sociale e linguistico, in maniera tale che la stimolazione linguistica si accompagni sempre ad
uno sviluppo corrispondente negli altri campi.
Gli elementi che maggiormente condizionano l'entità dell'alterazione del linguaggio sono:
• Epoca di insorgenza
• Grado di deficit uditivo
Per quanto concerne la prima, il periodo più delicato è proprio quello della primissima in-
fanzia, poiché la capacità verbale è tanto più limitata quanto meno tempo ha avuto il bambino
di udire e di memorizzare i segni del codice linguistico.
Infatti il bambino intorno agli 8-12 mesi comincia a ricevere tanti stimoli che accetta con pia-
cere e dispiacere e a cui risponde con impressioni date durante il pianto e la lallazione (movi-
mento spontaneo della lingua).
Dal momento in cui subentra il danno, egli ovviamente non sente più e, se non viene
protesizzato tra gli 8 e i 12 mesi e se non c'è la mamma che lo stimola e gli fa ascoltare i suo-
ni dell'ambiente, il danno si estende anche a livello intellettivo.
Nel caso in cui i genitori sono stati accorti nel realizzare la diagnosi audiologica, allo-
ra il bambino riuscirà a recuperare tanto l'adattamento sonoro quanto il guadagno acustico, si
tratterà quindi di un soggetto appartenente alla categoria dei Bambini Eccellenti.
Il Bambino Diagnosticato e Non Protesizzato, pur avendo dimostrato in tempo utile
di non sentire ed indotto i genitori ad effettuare la prima visita audiologica, a causa dell'iter
burocratico, però, riesce ad ottenere la protesi con ritardo di un anno. Egli realizza così un'in -
formazione visiva, tattile, olfattiva, gustativa, ma non quella acustica, in quanto non viene
messo a contatto tempestivamente con i diversi aspetti della realtà, raggiungendo conoscenze
che sono molto limitate.
Il Bambino Non Diagnosticato e Non Protesizzato, non più stimolato a rispondere
emotivamente alle sensazioni di piacere, reagisce con grida selvagge e pianti isterici. L'iner-
zia vocale subentra quando non è più sollecitato dall'ambiente esterno. In tal caso non grida
più, le corde vocali si irrigidiscono, la lingua diventa pastosa ed informe e l'unica espressione
è il pianto. Il danno acustico si estende così a tutta l'area corticale, con conseguenze quali il
non saper camminare o, se lo fa, cammina in modo goffo.
L'inerzia vocale viene così generalizzata e si estende sugli altri campi quali quello vi-
sivo, perché il bambino non prova più interesse a vedere, e quello labiale con la comparsa del
mutismo disarticolare, caratterizzato dal mento abbassato e grido cavernoso, che fanno appa-
rire il soggetto un ritardato mentale simile all'idiota. Esiste, inoltre, una relazione fra perce -
zione uditiva della voce ed alterazione del linguaggio. Una perdita maggiore di 90 dB, Ipoa-
cusia Profonda o Anacusia, fa sì che il soggetto non percepisca neppure la voce amplificata.
L'assenza di linguaggio, specialmente se il deficit è presente sin dalla nascita, si ma -
nifesta perché il bambino non ha mai udito i segni acustici e, se non si interviene con un trat-
tamento logopedico, il mutismo è destinato a persistere. La voce è priva di modulazione, è
aspra e gutturale oltre ad essere sgradevole e dalla tonalità elevata.
L'impossibilità di controllare l'organo sensoriale provoca non solo rumorosità della
respirazione - poiché il ritmo acustico deficitario non può diventare ritmo corporeo, così
come quest'ultimo, nello specifico del ritmo respiratorio, non può tradursi in ritmo acustico-,
ma anche della deambulazione. Infatti la mancanza totale o parziale dell'udito determina a li-
vello psico-motorio una ipersensibilizzazione della capacità vibratoria che utilizza la modalità
ossea per percepire frequenze di oscillazioni inferiori a quella ossea dei piedi, con conseguen-
te strisciamento degli stessi. Lo strisciare le estremità aiuta anche il soggetto a mantenere l'e-
quilibrio, dal momento che quando c'è una sordità è facile che ci sia una compromissione la-
birintica e vestibolare.
Se l'Anacusia si manifesta in periodo prelocutorio, il ritardo del linguaggio sarà diret-
tamente proporzionale al grado del deficit uditivo. In questi casi la produzione del linguaggio
non solo inizia più tardi, ma la sua evoluzione sarà lenta e non raggiungerà mai, sia qualitati-
vamente che quantitativamente, i livelli di un coetaneo normoudente.
In periodo postlocutorio è evidente una interruzione dello sviluppo verbale e ciò che
si è acquisito subisce alterazioni nel timbro e nell'aspetto formale delle sequenze fonetiche,
quindi una graduale regressione, in quanto il linguaggio ha sempre bisogno di uno stimolo
esterno che rinforzi il ricordo della parola stessa. Con una Ipoacusia Lieve (perdita pari a 20-
40 dB) viene ben percepita la voce di conversazione; con qualche difficoltà lo sarà la voce bi -
sbigliata, ma tutto sommato lo sviluppo verbale si presenta alquanto normale. Una Ipoacusia
Media (perdita pari a 40-60 dB) permette di percepire la voce di conversazione da 1 a 3 metri,
ciò comporta una produzione verbale spontanea piuttosto ridotta e dislalica; di contro la voce
bisbigliata viene percepita malissimo o affatto.
Nel momento in cui ci si trova di fronte ad un soggetto che riesce ad udire solo rumo-
ri molto forti e voce amplificata, allora si tratta di Ipoacusia Grave (perdita pari a 60-90 dB);
questi avrà una produzione verbale molto limitata e molte dislalie. A livello di competenza
linguistica è evidente che il soggetto avrà delle difficoltà sul piano fonologico:
- la vocale /e/ viene riprodotta con la lingua, in posizione arretrata, per cui l'emissione
avrà un timbro chiuso;
- la vocale /i/, essendo quella più acuta, non viene percepita correttamente e quindi ri -
prodotta con un suono indefinito.
Le consonanti che il bambino audioleso articola spontaneamente sono soprattutto
quelle labiali ed alcune linguodentali, perché sono visibili e più facilmente imitabili. Fra
esse, però, quelle sonore vengono sostituite dalle corrispondenti sorde ( /p/ per /b/ ; /t/
per /d/ ); le consonanti fricative /s ; z ; sc/ e le semiocclusive /c ; g/ vengono omesse del
tutto o sostituite con altri fonemi (dislalie audiogene); la consonante /r/ non viene artico-
lata, perché la mancanza di feedback uditivo non consente di regolare il corrispondente
movimento vibratorio della punta della lingua.
Inoltre le sequenze fonetiche vengono articolate molto lentamente, quasi sillabando,
senza accentuazione e prolungando la sillaba finale, e i tratti soprasegmentali, che noi
usiamo per la comunicazione, nel sordo mancano. La voce sarà quindi monotona e spes-
so con tonalità elevata, in quanto il soggetto per percepire meglio il feedback accentuerà
la tensione delle corde vocali e nonostante la voce ben impostata, userà il tono di voce
gridato.
DIFFICOLTA’ SUL PIANO FONOLOGICO
A livello di competenza linguistica è evidente che il soggetto avrà delle difficoltà sul piano
fonologico:
- la vocale /e/ viene riprodotta con la lingua, in posizione arretrata, per cui l'emissione
avrà un timbro chiuso;
- la vocale /i/, essendo quella più acuta, non viene percepita correttamente e quindi ri -
prodotta con un suono indefinito.
Le consonanti che il bambino audioleso articola spontaneamente sono soprattutto quelle
labiali ed alcune linguodentali, perché sono visibili e più facilmente imitabili. Fra esse, però,
quelle sonore vengono sostituite dalle corrispondenti sorde ( /p/ per /b/ ; /t/ per /d/ ); le conso-
nanti fricative /s ; z ; sc/ e le semiocclusive /c ; g/ vengono omesse del tutto o sostituite con
altri fonemi (dislalie audiogene); la consonante /r/ non viene articolata, perché la mancanza di
feedback uditivo non consente di regolare il corrispondente movimento vibratorio della punta
della lingua. Inoltre le sequenze fonetiche vengono articolate molto lentamente, quasi silla-
bando, senza accentuazione e prolungando la sillaba finale, e i tratti soprasegmentali, che noi
usiamo per la comunicazione, nel sordo mancano.
La voce sarà quindi monotona e spesso con tonalità elevata, in quanto il soggetto per
percepire meglio il feedback accentuerà la tensione delle corde vocali e nonostante la voce
ben impostata, userà il tono di voce gridato.
Nel sordo, dal punto di vista cognitivo, viene ad essere carente la mappa episodica, per-
ché l'ambiente lo percepisce senza rumori, per cui di esso ha un'integrazione abbastanza ri-
dotta, in quanto le informazioni che riceve sono prive della dimensione sonora, quindi il vis-
suto che il sordo si costruisce è incompleto dal punto di vista percettivo e ad essere intaccate
sono anche tutte le altre percezioni, tanto che si evidenzia un ritardo percettivo generalizzato.
Infatti è tipico osservare nel sordo alcune difficoltà cognitive:
- altre difficoltà le manifesta nel ritmo, sequenza, numero, tempo, e queste sono difficoltà
di tipo percettivo e cognitivo che, se non prese in tempo, determinano carenze non solo
dal punto di vista linguistico, ma anche logico.
A tal proposito ci si chiede se la capacità cognitiva del sordo, tanto legata al concreto, gli
impedisce di percepire e di produrre concetti astratti di carattere scientifico e filosofìco. Pia-
get e Bruner ipotizzano due livelli di astrazione:
Incapaci di poter fissare lo sguardo per poco più di frazioni di secondo, obbligati ad usare
la visione periferica dell’occhio in quanto quella centrale non è attendibile, costretti a tenere
separate le due sensazioni, quella proveniente dall’occhio e quella proveniente dalla mano,
perché discordanti tra di loro, potete venire loro incontro:
• se li aiuterete a guardare allo stesso tempo a centrare con l’indice immagini, oggetti,
figure geometriche, all’inizio sufficientemente grandi e poi sempre più ridotte;
• se mostrerete loro cartelli con semplici parole di uso comune, scritti in colore vivace
sul fondo bianco in caratteri corsivi e di grandezza sufficiente alle loro capacità;
• se li abituerete a seguire con lo sguardo, tenendo ferma la testa, oggetti nelle vostre
mani che muoverete in ogni direzione davanti ai loro occhi, al fine di creare in loro la
capacità di movimento binoculare necessaria anche per la lettura.
Se questi bambini sentono, sia pure in maniera distorta e pertanto vi danno l’impressione
di non ascoltarvi:
• ricordate che all’inizio era la parola e convertitevi, per il loro bene, ai soliloqui gene-
rativi di significati permanenti;
• supplite ai loro assoluti silenzi con la vostra parola. Due silenzi che si sommino (il
loro necessitato, il vostro da scoramento) spegneranno in loro il fuoco dell’intelligen-
za che arde tuttavia;
• parlate sempre a voce bassa, lenta, chiara, distesamente, come vi stiano
ascoltando….perché essi vi stanno ascoltando. Quando la parola è resa vibrante dalla
carica emotiva è più facile che venga memorizzata e permanga a lungo;
• parlate di cose visibili, di quelle che avete mostrato, le parole degli oggetti che ama -
no, che toccano, parole che essi vorrebbero parlare, secondo la loro età, parole che
dovete il più delle volte indovinare;
• interrogatevi e rispondete per loro come nel gioco dell’ ”amico invisibile” che ai
bambini solitari piace tanto;
• quando crescerà conversate, spiegate, ipotizzate senza lasciarvi frastornare dall’eco
delle vostre parole restituita dalle pareti pulite. Per anni avrete l’impressione di par-
larvi addosso. Non soggiacete a questa impressione, anche se la vostra è una assai
strana conversazione, con un a mera ipotesi di interlocutore. La vostra è una funzione
vicariante in senso assoluto e l’autistico è dietro il telo, dietro l’angolo, è alle vostre
spalle: vi sente e vi capisce pur in mezzo a mille ritrosie;
• l’autistico si addolcisce con la musica purché essa non includa frastuoni. E’ la musica
dei bicchieri di cristallo, dei campanelli di Montessori, dello xilofono; del flauto dol-
ce. Una musica ad impasto armonico perfetto, senza stridori enarmonici;
• evitategli chiasso, le resse, i fragori, le urla, gli strilli, i mortaretti e i fuochi d’artifi-
cio.
Urtano troppo con la sua condizione di percezione uditiva abnorme.
Impossibilitati a discriminare i suoni dai rumori e pertanto indotti a chiudersi ad ogni sti-
molo sonoro sino ad essere ritenuti sordi, incapaci di pronunziare anche solo una parola che
costerebbe loro infinito dolore nel controllo retroattivo del sistema uditivo, ossessionati dalla
imperiosa volontà di volersi proteggere tuffandosi in suoni conosciuti e controllabili come il
linguaggio ripetitivo ed ecolalico, potete aiutarli:
• se essi saranno sicuri che la vostra voce non li ferirà mai, perché costantemente bisbi-
gliante, calma, controllata;
• se avrete l’accortezza di tenerli lontano da situazioni rumorose come l’ingresso o l’u-
scita dalla scuola;
• se programmerete con loro ogni più piccolo cambiamento dell’ambiente sonoro cir-
costante.
Poiché essi vi comprendono.
• Non fate di fronte a loro discorsi inopportuni, non adatti all’età, indelicati o scurrili.
Non ridete di loro né accennate mai a commenti negativi nei loro confronti;
• Non lasciateli senza risposte poiché non vi pongono delle domande. Mediate le loro
possibili domande dai contesti di vita, dai cibi, dai vestiti, dai genitori, dagli amici,
dai fatti di casa e di scuola;
• Ripigliate i discorsi interrotti, i racconti troncati, anche se il vostro interlocutore è ri-
masto muto per tutto il tempo, come sempre. Troncate i discorsi avviati e sospendete
i racconti iniziati: lasciategli le giuste pause, gli spazi vuoti da cui ricominciare.
Avrà bisogno di risentirvi anche se non ve lo chiederà mai;
• Esprimete sempre le vostre buone ragioni per la sua autosufficienza, per la sua so-
pravvivenza, per la sua autonomia;
• Piegatevi a parlargli in modo calmo e piano delle necessità ordinarie, dei bisogni
corporali, dell’essere ordinati, puliti, dell’evitamento dei pericoli. Ricoprante con
calma cento volte su questi discorsi; le parole che contano devono avere due virtù: il
senso profondo e l’iterazione che piega gli animi;
• Quando sarà più grande appoggiate le sue previsioni, le sue convinzioni sulla vita,
sulla sofferenza, sugli affetti. Non deludete mai le sue scontate delusioni: è maturo
per rendersi conto dell’inganno. Sareste tentati di sottovalutarli poiché non comuni-
cano in alcun modo e sono aprassici. La normale applicazione di prove e test, che
privilegiano quasi sempre le risposte verbali o quelle prassiche e prattognosiche, ve
li restituiscono ai livelli più bassi del Q.I.
Valutare le capacità degli artistici è veramente difficile. Le piste valutative ordinarie
sono del tutto inidonee, porterebbero a sottodimensionare i PEI per artistici e i curricula di
apprendimento. Eppure il loro quoziente intellettivo può essere normale. Può anche miglio-
rare con gli anni se supplirete, con i genitori, al loro inespresso bisogno di esercizio, al desi -
derio di impegno, di problemi, di soluzioni. Essi devono combinare l’ordine che offrirete
loro con le stereotipie che si sono imposti quale ordine ritualizzato. Ad ogni modo a voler se-
guire il Delacato, i loro curricula vanno sempre sovradimensionati.
4. Contributi e interventi educativi migliorativi.
Ponetegli davanti la tastiera del computer o un semplice foglio di carta ove avete tra -
scritto in maniera chiara l’alfabeto.
• Al continuum delle manifestazioni comportamentali inaspettate e disordinate del-
l’autistico deve poter corrispondere un continuum di offerta e di opportunità di
esperienze sensoriali senza esclusione alcuna, sia in ambito scolastico sia, principal-
mente in ambito familiare.
• L’elemento da tenere sempre in considerazione è la strutturazione dell’intervento
(struttura fisica, organizzazione visiva, organizzazione del lavoro, struttura educati-
va) e la collaborazione e integrazione della famiglia all’interno dello stesso;
• Ogni intervento va programmato pensando al futuro del bambino autistico; saranno
scelte dunque quelle attività che lo aiuteranno a conquistare il maggiore livello pos-
sibile di autonomia all’interno dei suoi ambienti quotidiani di vita, sia in riferimento
alle occupazioni che al tempo libero;
• L’ippoterapia e in genere il contatto con gli animali, l’impegno fisico manuale con
le piante, la musicoterapica, certe attività manipolatorie, l’idroterapia in piscina,
non presi a se ma combinati possono rappresentare lo sfondo di una possibile riabi-
litazione a più ampio respiro;
• È dominante l’orientamento di una implementazione o arricchimento delle opportu-
nità senso-motorie sia negli ambiti familiari che in quelli scolastici nonostante le re-
sistenze dell’autistico;
• Le esperienze verbali e comunicative devono potersi presentare in classe e in fami -
glia con costanza e regolarità e con l’evitamento di qualsiasi attenuazione, qualun-
que sia la resistenza dell’autistico;
• Si è parimenti convinti che gli esiti relazionali positivi e i climi affettivi equilibrati
vengano avvertiti in quanto tali anche dal bambino autistico, con effetto benefico di
lievitazione di lunga durata;
• Viene comunque da tutti ammessa l’influenza positiva dell’intervento educativo
strutturato che riduce i comportamenti inadeguati.
Ciò che nessuno può fare.
Né la “comunicazione facilitata” né il “TEACCH” né, infine, il programma predispo-
sto da Delicato permettono per ora di guarire del tutto dall’autismo. Essi possono garantire
la conquista di un grado più o meno elevato di autonomia comunicativa e comportamentale.
Possono attenuare o cancellare le manifestazioni autoaggressive o eteroaggressive, ma non
possono sopprimere i disturbi corrispondenti.
Fuori del tentativo di ricomporre i principali pezzi del puzzle chiamato autismo resta-
no il più delle volte come non dominabili: i problemi sensoriali, le relazioni sociali proble -
matiche, le relazioni bizzarre all’ambiente, l’impulsività, gli stereotipi comportamentali,;
essi devono essere affrontati con un programma neuroriabilitativo di lunghissima durata,
l’unico che consenta di sviluppare nel soggetto la capacità umana di adattamento all’am -
biente. Bisognerà sempre e comunque insegnar loro a conquistare il massimo di autonomia
e di indipendenza per tutti i loro gesti.
Il nostro compito è per ora quello di incrementare le loro capacità comunicative in
modo da rendere più concreta la possibilità di una loro possibile autonomia.
5. Ipotesi per un possibile protocollo di ricerca.
Ogni indagine indirizzata a riconoscere la percezione soggettiva di una situazione e il
correlato giudizio sulla validità del suo comportamento, è esposta a rischi di indetermina-
tezza, di uso improprio - sia da parte dei rispondenti sia da parte degli utilizzatori finali del-
le informazioni con essa raccolte - e, spesso, di generazione delle condizioni per un suo fur -
besco rigetto:
• di indeterminatezza, in quanto il riconoscimento nei meccanismi psicologici
che conducono a formare opinioni e a stabilire le forme dell’espressione di
giudizi non può essere facilmente risolto mediante strumenti verbali ad alto
tasso di standardizzazione;
• di uso improprio, in quanto le specifiche condizioni in cui l’indagine viene
realizzata possono alternativamente favorire forme di reticenza o di provoca-
zione o di irrisione o di banalizzazione;
• di generazione di condizioni di rigetto, in quanto obiettivi che vadano al di là
di quanto correttamente conseguibile o che risultino chiaramente superficiali
e ininfluenti o troppo invadenti delle responsabilità dei singoli, rappresentano
spesso appigli (o solide motivazioni) per rifiutare il valore delle stesse gene-
rose intenzioni promotrici.
Queste avvertenze sono alla base della proposta di disegno di indagine per la valuta-
zione soggettiva della didattica da parte di insegnanti di sostegno che si illustra nel seguito,
per la quale si è tenuto esplicitamente conto:
dell’argomento che è spinoso, tocca suscettibilità individuali, collettive, istituzionali,
più facili ad accendersi quanto più debole è l’apparato di paradigmi teorici di cui, allo stato
di esplorazione e precisazione scientifica, è possibile avvalersi;
dell’obiettivo da perseguire con questo lavoro, definito dalla richiesta di predisporre
un protocollo di procedure e un disegno di indagine utilizzabile , per fini comparativi e per -
tanto con caratteri di marcata standardizzazione;
dell’importanza della sperimentazione controllata di un percorso di applicazione del-
lo strumento e della strategia suggerita che goda fin dagli esordi di un alto tasso di consenso
(e quindi di accettazione) e di una prospettiva di arricchimento e articolazione solo a seguito
di prove di utilità e del riconoscimento di necessità e di messe a punto di ulteriori convin-
centi soluzioni.
Alla luce di queste premesse, la proposta viene formulata secondo i seguenti sintetici
principi:
• favorire una fattibilità immediata e diffusa;
• consentire la comparabilità dei risultati;
• contenere lo spettro degli aspetti da osservare a quelli che riguardano solo alcuni
segmenti del più ampio percorso didattico;
circoscrivere tendenzialmente la valutazione ai fattori oggettivi e concreti dell’azione
didattica;
proporre l’uso di tecnologie ‘povere’ (questionario cartaceo), per le modalità di con-
tatto con i rispondenti, in modo che risultino facilmente adottabili in ogni sede.
OSSERVATORIO PER LA VALUTAZIONE DELLA DIDATTICA CON UNO STU-
DENTE AUTISTICO
QUESTIONARIO
1) Quale è il primo approccio relazionale che ogni giorno generalmente hai con
l’allievo autistico?
C’è una emotività che bisogna accogliere. Gli vado incontro e se è fuori dalla classe lo
aiuto a fare i passi; in alcuni casi rimane impassibile per molti minuti prima di entrare in clas -
se, percepisce ancora una situazione passata, non si è staccato da casa e può portare ancora
con se un rimprovero o la sgridata della madre. In questi momenti non si avvertono stereoti-
pie, (queste vengono dopo), il bambino non sa cosa dovrà fare o dire. E’ una forma di passivi-
tà, aspetta che qualcuno gli dica cosa fare. In questi casi mi avvalgo della classe e coinvolgo
gli altri ragazzi.
2) Quanto dura questa fase?
Dura finché il bambino non si orienta e si siede al suo banco. Gli dico allora di prendere
la cartella (sempre in ordine). In questa fase gli devo dare la certezza e la coscienza di ciò che
sta per fare; gli impongo da subito le regole a cui deve attenersi (ciò agevola il suo ordine
scolastico ed è utile per la sua ripetitività)
3) Come si relaziona con gli altri, quali autonomie di base utilizza per la convi-
venza?
Non entra in contatto con gli altri se non attraverso un oggetto che predilige, (il panino, le
caramelle, oggetti di piacere). IL bambino che ho seguito quest’anno ha iniziato a parlare
dopo un mese. (in modo casuale con una esclamazione dialettale). Sono legati all’ordine an-
che maniacale. Hanno un ordine mentale delle cose. Mostra attenzioni particolari verso i mo-
nili, collanine, che vuole strappare ma non per dispetto.
4) Individua alcuni comportamenti e collegali a stati emozionali
Il dondolio- una maggiore tensione
L’autolesionismo ( es si toglie le pellicine dalle dita fino al sangue)
Ricordo che un altro bambino autistico che ripeteva frasi fatte o avvenimenti vissuti, poi an-
dava alla lavagna e vi sbatteva la testa-questo succedeva quando non voleva lavorare.
Rompe le penne – perché non gradisce l’oggetto (troppo piccolo o spigoloso o perchè non gli
piace il colore).
In generale ogni bambino autistico ha delle sincinesie (movimenti parassiti) che manifesta
quando ad es. deve ripetere dei concetti.
5) Come si svolge la lezione
Se lieve il bambino autistico può seguire anche l’insegnante curricolare e la programma-
zione modulare (dove si possono meglio parcellizzare i contenuti). A prescindere dalla mate-
ria occorre sempre lavorare sul concreto, partire dal caso pratico; esempio in matematica sim-
bolo-quantità-oggetto.
Una qualità che hanno è che non si stancano mai (al contrario dei down che sono oppositivi).
Cerco in tutti i modi lo stimolo a farlo parlare.
Imparano per imitazione, per questo la necessità del supporto concreto. Evito però di dare
azioni ripetute, cerco di non usare mai gli stessi esempi. Uso un tono pacato e autorevole.
Non faccio mai domande tipo “cosa vuoi fare?” ma domande tipo “prendi il quaderno,
scrivi”. Non do mai l’alternativa o la scelta, ma la regola o il canale delle cose da fare.
Sono molto attenta a evitare incoerenze tra ciò che dico e ciò che faccio; mantengo sempre
ciò che gli ho promesso. Per un buon rapporto con il bambino autistico è necessaria la coe-
renza e un certo rigore nel comportamento dell’insegnante.
6) Come coinvolgi il bambino che avverti non essere attento?
Osservo per capire cosa lo infastidisce di più e cosa gli piace di più. Per questo utilizzo
gli oggetti che lo interessano maggiormente una penna, una matita, un libro. E’ importante
capire bene cosa gradisce maggiormente, non basta che sfogli continuamente l’oggetto-libro
per dire che è interessato al libro.
7) Come utilizzi gli strumenti di rinforzo: rimprovero-encomio
Il rimprovero per loro deve essere presa di coscienza che quell’errore non va fatto; ci
deve essere auto-correzione, evitare il rimprovero che porta alla frustrazione.
L’encomio è importante e avverto che è preteso dall’allievo autistico, ha bisogno di essere
gratificato e migliora la sua autostima.
8) Quali strumenti di verifica usi?
Domande semplici con risposte già contenute nella domanda, domande con risposta vero-
falso.
9) A quali cause attribuisci i risultati ottenuti?
Al rigore professionale, al peso e all’importanza attribuita dall’insegnante su quello che
deve trasmettere, al gruppo classe e all’insegnante che alcune volte non accettano il contatto
fisico.
BIBLIOGRAFIA.
DELACATO C.H. –“Alla scoperta del bambino autistico”,- Armando, Roma, 1982..
DSM III R, EDIZIONE ITALIANA, Masson, Milano, 1987.
MARIANI CERATI D. – VISCONTI P. “L’autismo infantile”, -Review- 06.03.1990.
BRAUNER A. – BRAUNER F. “Il bambino magico”, ediz. Dehonianr, Bologna 1991.
SCHOPLER E. – REICLER R. J. – LANSING M. “Strategie educative nell’autismo”,
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HANAU C. “Miti e realtà dell’autismo – L’autismo tra scienza e mito e l’autismo tra
scienza e invenzione” in Risposte n° 7 1992.
LAXER C. – RITVO E. R. “Autismo: La verità rifiutata” Di Giacomo editore, Roma 1992.
MICHAEL KLONOVSKY “Io annego nella solitudine”, in Psicologia contemporanea,
119/1993.
Le tecnologie didattiche
INDICE
1. Che cosa sono e che cosa si intende, oggi, per tecnologie didattiche
2. L’evoluzione dei modelli cognitivi: da comportamentismo a costruttivismo
3. Le tecnologie didattiche come approccio sistemico ai problemi dell’educazione
4. Tecnologie per la didattica e tecnologie didattiche
5. Nuove tecnologie al servizio dell’apprendimento: L’ipertesto
6. I come e i perché dell’elaborazione di un ipertesto in classe
1. CHE COSA SONO E CHE COSA SI INTENDE, OGGI, PER TECNOLOGIE
DIDATTICHE?
Con questa tesina si intende fornire, sia pure in maniera schematica, una panoramica sui
diversi aspetti della dinamica temporale delle tecnologie didattiche sviluppando i seguenti
punti:
1. L’evoluzione dei modelli cognitivi da comportamentismo a costruttivismo
2. L’affermarsi di una concezione delle tecnologie didattiche orientata in senso multidi-
sciplinare e sistemico
3. La trasformazione del significato didattico di alcuni aspetti delle tecnologie informa-
tiche
• Fase Preliminare
• Fase Organizzativa
Nella Fase preliminare sono coinvolti sia i docenti che compongono il gruppo di proget-
to , sia gli studenti; in essa si individuano i punti più significativi dell'intero percorso, dalla
scelta del titolo e dell'argomento, che deve essere significativo per lo studente e per il lettore,
funzionale alla realizzazione dello scopo, alla scelta del tipo di testo da realizzare in relazione
agli obiettivi formativi che si vogliono raggiungere, fino alla definizione degli obiettivi speci-
fici della scrittura intesi come scopi per i quali si costruisce un lavoro:
Si passerà poi alla costruzione della mappa concettuale, alla conseguente scelta della
struttura del testo e della sua grammatica, nonché alla scelta dell’ambiente di sviluppo.
Infine sarà cura dei docenti la formazione dei gruppi di lavoro tenendo conto delle
preferenze, delle conoscenze, ma soprattutto delle abilità degli studenti, facendo in modo che
esse si distribuiscano equilibratamente nei singoli gruppi in modo tale da favorire lo sviluppo
di processi di apprendimento collaborativo.
Verranno poi comunicati agli studenti gli indicatori fissati dal gruppo di progetto per
la valutazione del processo e del prodotto multimediale.
Il compito dei docenti in questa fase sarà di:
• assegnare i ruoli all’interno dei gruppi
• monitorare con cura il lavoro dei gruppi, intervenendo se necessario per correggere o
indirizzare;
Formazione gruppi
di lavoro e monito- Saper organizzare i
raggio contenuti
Somministrazione di
questionari indivi-
duali
MODELLI COGNITIVI
COMPORTAMENTISMO Rinforzo positivo
Induzione di comportamenti desiderati
APPRENDIMENTO ATTIVO
APPRENDIMENTO COLLABORATIVO
VALUTAZIONE INTRINSECA
TECNOLOGIE DIDATTICHE
L’IPERTESTO
STRUTTURA: LOGICA ASSOCIATIVA