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LA RETORICA DI ARISTOTELE

Introduzione alla lettura

INTRODUZIONE: UN'ANTROPOLOGIA DELLA PERSUASIONE

Questo libro mette in evidenza la retorica, nel modo in cui ci da una visone originale dell'animale
umano, la sua capacità di persuadere prima di tutto se stesso e gli altri.
Attraverso l'indagine su ciò che può risultare persuasivo, Aristotele mette in evidenza la natura
umana e ci fa riflettere su ciò che lega desiderio, socialità e linguisticità nell'animale umano.
Per Aristotele ciò che ci distingue dagli animali non umani sono due:
– il possesso del logos
– una specifica forma di socialità, la città polis
Ciò che Aristotele dice in un passo del primo libro della Politica è che la socialità mira non solo al
vivere ma al vivere bene, cioè alla felicità: “perciò è chiaro che l'uomo è un animale politico più di
ogni animale che vive in gruppo. L'uomo è l'unico animale che ha il linguaggio che esiste per
mostrare ciò che è utile e ciò che è dannoso e quindi anche ciò che è giusto e ciò che è ingiusto.
Questo è specifico dell'uomo rispetto agli altri animali” (pol. 1253A 0-18)
Per capire bene queste affermazioni è necessario che logos e polis vengano considerati come due
aspetti legati fra loro.
È grazie al logos che gli animali umani diventano capaci di comprendere le coppie di valori
bene/male, giusto/ingiusto, utile/dannoso, su cui la polis si fonda e che si proiettano verso la felicità.
Dall'altra parte è nella polis che gli animali umani entrano in possesso del logos.
Per rendere chiaro ciò che viene detto

UN'OPERA FILOSOFICA
In queste pagine la lettura della retorica è basata sulla convinzione che sia un'opera filosofica e che
abbia il suo centro sulla nozione di “persuasivo” pithanon.
Le motivazioni che hanno portato a dubitare che il testo sia stato “tradito” dipendono dalla
complessità dei manoscritti e dalla difficoltà di ricostruire ciò che vogliono trasmettere.
L'ipotesi più diffusa riteneva che l'opera fosse una sovrapposizione di almeno 2 trattati scritti in
epoche diverse e successivamente unificati anche se non sotto la supervisione di Aristotele.
L'ipotesi più complessa della stratificazione del testo si deve al tedesco Solmsen che ha applicato
alla retorica lo schema interpretativo di Werner Jaeger.
Secondo questi studiosi, il pensiero di Aristotele ha avuto una notevole evoluzione.
Nel caso della Retorica, questa evoluzione consiste nel passaggio da una prima fase platonica, in cui
Aristotele ha sostenuto una retorica ideale, nella quale avrebbero avuto diritto di cittadinanza solo
mezzi di persuasione razionali, fino ad arrivare ad una concezione pragmatica e realistica che
hanno ammesso anche mezzi irrazionali ed emotivi.
La maggior parte degli studiosi oggi ritiene la retorica un'opera unitaria anche se ammettono che
questa possa aver subito diverse stesure e manipolazioni.
Ad oggi la retorica si compone di 3 libri : i primi due sono dedicati all'inventio , cioè il metodo di
trovare argomenti, mentre il terzo si dedica all'elocutio, cioè elaborazione verbale degli argomenti e
alla dispositio che è l'ordine in cui disporre gli argomenti.
L'opera non era destinata alla pubblicazione in quanto ha la struttura di appunti di lezioni ed è
probabile che la struttura originaria sia stata modificata da interventi ma non da parte di Aristotele.
La maggior parte degli studiosi, comunque oggi concorda che la retorica sia un testo unitario anche
se il pregiudizio per quest'opera non sia scomparso del tutto .
Secondo Johnatan barnes, i tre libri della retorica non costituiscono un'opera unitaria in quanto è
l'oggetto stesso della retorica ad essere “intrinsecamente frammentario”: la retorica riguarda logica,
psicologia morale, linguaggio e non c'è alcun principio che leghi tutti questi aspetti.
In questo testo si vuole mostrare che esiste il principio di unificazione che Barnes nega e che è
rintracciabile nella nozione di “persuasivo”.
Aristotele da alla parola persuasione un un ruolo importante nella sua riflessione ed è per questo che
la retorica di Aristotele vuole fornire una riflessione teorica per scoprire per ogni argomento, ciò che
può risultare persuasivo.

L'ANIMALE RETORICO
Il riferimento alla persuasione ricorre spesso in numerosi luoghi del corpus aristotelico. Questo
riferimento è espresso dalla forte presenza dei termini che appartengono alla categoria di peitho
(persuado). Il significato del verbo nella forma media è lasciarsi persuadere, avere fiducia, dare
ascolto, obbedire. Nella forma attiva significa persuadere, convincere, indurre, sedurre.
Dal verbo persuadere deriva il sostantivo peitho che significa persuasione inteso come capacità di
persuadere.
Altri due termini importanti per il nostro discorso sono l'aggettivo pistos che significa degno di
fiducia, fedele, leale, credibile e il sostantivo pistis che significa fiducia, fede, credenza,
convinzione, persuasione.
La parola pistis era utilizzata sia per indicare la fiducia accordata a qualcuno o a qualcosa sia per
indicare la credibilità goduta e le garanzie. Proprio dal significato di garanzie (oggetti materiali o
discorsi in base ai quali veniva concessa la fiducia) si è consolidato l'uso tecnico-giuridico della
parola pistis, per indicare le prove in tribunale.
Abbastanza frequente nel linguaggio aristotelico è l'uso del verbo pistewo (deriva da pistos) che
significa vare fiducia, credere e l'uso dell'aggettivo pithanos che in italiano significa persuasivo.
Quindi, ciò che noi oggi chiamiamo persuasione, era per i greci un termine usato per indicare
fiducia. La persuasione occupa un ruolo centrale nella definizione della natura dell'animale
linguistico e politico.
Questa centralità è resa chiara dal fatto che Aristotele ricorre spesso alle parola dell'area semantica
di peitho e ad immagini legate all'esperienza del persuadersi sia quando descrive la specifica
cognitività umana sia quando mostra il particolare modo in cui si organizza l'universo dei desideri
dell'unico animale che ha il logos.

NESSUNA OPINIONE SENZA PERSUASIONE


Passo di De Anima nel quale il possesso della pistis è indicato da Aristotele come una caratteristica
esclusiva degli animali umani :
“resta da vedere se la capacità di formare rappresentazioni mentali (phantasia) è opinione (doxa),
l'opinione infatti può essere sia vera sia falsa.
All'opinione segue la pistis, non è possibile che chi si forma un'opinione non sia persuaso (me
pisteuein) di ciò di cui ha opinione, nessuno degli animali non umani ha pistis, mentre alcuni hanno
la capacità di formare rappresentazioni mentali. Inoltre, ad ogni opinione si accompagna la pistis,
alla pistis l'essere persuasi (pepeisthai), alla capacità di persuadere (pheito) il logos.
In alcuni degli animali non umani si trova la capacità di formare rappresentazioni mentali ma non il
linguaggio” (da 428a 19-24)
il punto focale è qui la definizione della phantasia, cioè la capacità di formare rappresentazioni
mentali e la sua distinzione dalla capacità di formarsi opinioni.
Nel metodo aristotelico questa definizione è ottenuta attraverso due percorsi differenti ma
intrecciati: il paragone con gli animali non umani (phantasia sensibile) e il confronto tra ciò che
deve essere definito (la phantasia) e altre facoltà umane che sembrano assomigliarle.
La phantasia deve essere distinta dalla sensazione (aisthesis) dall'opinione (doxa), dalla scienza
(episteme) e dall'intelletto (nous) che sono quelle capacità o disposizioni con le quali giudichiamo e
siamo nel vero o nel falso.
Dopo aver escluso che la phantasia possa essere identificata con l'aisthesis, con l'episteme e con il
nous, adesso andiamo a mostrare che la phantasia non è doxa.
Ciò che accomuna doxa e phantasia è la possibilità di essere sia vere che false ma questo non basta
ad identificarle.
A fare la differenza fra le due è proprio la pistis,m la fiducia nella verità di ciò di cui si ha opinione,
fiducia che a sua volta dipenda dalla disponibilità alla persuasione , strettamente connessa con il
possesso di logos.
La doxa, sembra la più adatta ad essere identificata con la phantasia. Alla doxa segue sempre la
pistis, cosa che non accade invece ne caso della phantasia. La spiegazione di Aristotele è che non è
possibile fermarsi un'opinione senza essere contemporaneamente persuasi di ciò di cui si ha
opinione. Al notiziario è possibile avere rappresentazioni mentali (phantasmata) senza credere che
esse siano vere; è frequente il caso in cui siamo consapevoli della falsità della nostra
rappresentazione senza tuttavia che questa consapevolezza di porti ad abbandonarla.
Diversamente dalla doxa, la phantasia non ci obbliga ad impegnarci sulla verità o falsità di ciò a cui
stiamo pensando.
La pistis che segue ogni doxa è l'impegno rispetto alla verità o falsità e quindi anche la fiducia che
riponiamo nelle nostre opinioni.
La pistis è un possesso esclusivo dell'animale che ha il logos.
La connessione tra pistis e logos è resa possibile dal gioco linguistico della persuasione.
Dopo aver ripetuto che che ad ogni doxa si accompagna la pistis, Aristotele continua dicendo che
alla pistis si accompagna l'essere persuasi (to pepeisthai) e alla persuasione (pheito) il logos.
Ricapitolando: il primo elemento è la doxa, l'opinione o la credenza che qualcosa è in certo modo.
Alla doxa è sempre associata una pistis cioè la fiducia che riponiamo nelle nostre credenze. Questa
fiducia è a sua volta il risultato dell'essere persuasi (to pepeisthai). Questa capacità di persuadere
noi stessi o gli altri è la pheito, la persuasione ed è una diretta conseguenza del possesso del logos.
Al centro di questa sequenza si pone quindi la persuasione secondo tre aspetti differenti ma
dipendenti:
– lo stato finale del processo persuasivo (pistis)
– l'aspetto passivo consistente nella disponibilità a lasciarsi persuadere (la pepeisthai)
– l'aspetto attivo che si realizza nella capacità di persuadere (la pheito)
a rendere possibile la doxai (una possibilità negata agli animali non umano) non è il possesso del
logos ma la sua modalità persuasiva.
La persuasione è uno dei modi in cui il logos agisce nell'organizzazione della specifica cognitività
umana.

ANIME CHE PERSUADONO


Il riferimento al persuadere è presente anche in alcuni passi dell'Etica Nicomachea dove si parla di
specificità degli animali umani. La disponibilità alla persuasione è un'interfaccia tra i diversi aspetti
dell'anima umana. Secondo Aristotele, la persuasione rappresenta lo specifico modo in cui si
declina questa relazione. Nel libro Etica Nicomachea, Aristotele cerca di determinare quale sia la
funzione specifica dell'uomo (ergon) :
“quel determinato e specifico agire proprio demaniale cha ha logos:sia nel senso che si lascia
persuadere dal logos (epipeithes logo) sia nel senso che ha logos e ragiona (dianooumenon) (EN
1098a)”
lasciarsi persuadere dal logos è uno degli aspetti che qualificano l'uomo come animale linguistico.
Avere logos significa che: l'animale che ha logos non è solo che quello che parla e ragiona ma
anche quello che si lascia persuadere.
Ciò che caratterizza l'animale umano non è solo il logos ma l'insieme delle azioni compiute con il
suo concorso e la persuasione è uno dei modi in cui il logos concorre a realizzare questa specificità
dell'anima umana.
Aristotele ricorre ancora ad immagini legate all'attività di persuadere quando descrive la relazione
tra le diversi componenti dell'anima umana e in particolare tra quella non linguistica (alogon) e
quella che possiede il logos (logon echon).
Aristotele distingue due diversi modi di essere alogon dell'anima:
– uno è causa delle funzioni vitali
– l'altro, pur essendo alogon, partecipa del logos.
A sostegno di questa affermazione Aristotele ricorre all'esempio di chi non è in grado di controllarsi
osservando che sia in chi domina sia in chi non si domina, noi lodiamo il logos e fa parte dell'anima
che ha il logos dal momento che è essa che li esorta a compere le azioni migliori.
Cosa fa quindi l'anima che ha il logos? Esorta a compiere le azioni migliori ed esortare è una atto
che rientra nella sfera della persuasione.
L'elemento originariamente alogon dell'anima umana partecipa del logos e questa partecipazione
consiste nella capacità di ascoltare e lasciarsi persuadere.
Le parole usate ancora da Aristotele fanno parte del gioco linguistico della persuasione: peitarcho è
un composto di peitho che significa dare retta, obbedire; l'aggettivo euekoos è composta da akouo
(ascolto) con l'avverbio eu (bene) e significa disposto ad ascoltare, anche nel senso di disponibile a
lasciarsi persuadere; infine l'espressione homophonei to logo, vuol dire andare all'unisono con il
discorso, e allude ad un accordo attenuto per via linguistica.
Quindi la parte non linguistica, alogon, è duplice: quella vegetativa che non ha nulla in comune con
il logos, invece quella appetitiva (epithymetikon) e desiderante (orektikon) prende parte ai processi
discorsivi in quanto è in ascolto (katekoon) del logo e gli da retta (peitharchikon).
La componente desiderativa dell'anima umana si caratterizza per la sua disponibilità a lasciarsi
persuadere , a partecipare a giochi linguistici come l'ammonimento, il rimprovero,
l'incoraggiamento, diventano partecipe del linguaggio

UN EQUILIBRIO INSTABILE
Una delle caratteristiche del discorso persuasivo è la sua costitutiva apertura. Esso non ha carattere
coercitivo, ma lascia spazi sia a fraintendimenti sia alla scelta di agire in modo differente.
Questa costitutiva apertura del discorso persuasivo svolge un ruolo cruciale nella retorica.
Sostenere che la persuasione svolge il ruolo di interfaccia tra la componente alogon e quella echon
logon non significa attribuire al logos un potere assoluto e onnivoro; anzi, si evidenzia piuttosto
quella di un conflitto e non quella di un pacifico idillio.
La perfetta concordia, “l'andare all'unisono in tutto e per tutto con il logos” è solo una delle
possibilità (tipica dell'uomo eccellente spoudaios.
Stando alle descrizione dell'etica Nicomachea, l'universo dei desideri che costituiscono la parte
alogon , assomiglia più a un bambino disubbidiente o a uno schiavo frettoloso, capace di ascoltare e
lasciarsi persuadere ma anche di fraintendere e agire autonomamente
(EN 1149a 25-b)
thymos (tradotto con impulsività) ed epithymia (appetito) sono per Aristotele due diverse forme di
desiderio (orexis) che intrattengono un diverso rapporto con il logos.
Thymos è una esemplificazione di quella componente aloga dell'anima umana che tuttavia partecipa
in qualche modo al logos. Sembra che il thymos non solo sia capace di ascoltare ma anche di
elaborare in proprio, qualche forma di argomentazione (sylloghisamenons)
l'epithyma invece, che è il desiderio immediato di ciò che è piacevole e è incapace di differire la
soddisfazione, sembra non essere in grado di seguire il logos.
Subito sembra che l'epithymia appartenga unicamente all'aspetto della componete aloga dell'anima
umana del tutto estranea al logos ma se consideriamo più attentamente l'affermazione si vede che
anche l'epithymia ha una qualche relazione con il logos.
Aisthesis e logos possono essere considerati come punti di partenza dell'epithymia. Un esempio si
>trova del De Motu Animalium dove per Aristotele, la relazione tra epithymia e capacita cognitive è
rappresentata da un dialogo.
“devo bere, dice l'appetito (epithymia); qui c'è acqua dicono le sensazioni (aisthesis), la
rappresentazione mentale (phansasia) o il pensiero (nous) e subito l'animale beve.”
la differenza tra epithymia e thymos, va ricercata in un diverso rapporto che ciascuna delle due
forme di orexis intrattiene con il logos.
L'epithymia ha un carattere di maggiore immediatezza che è ciò che le impedisce o le rende difficile
il differimento della soddisfazione.
Come ribadisce spesso Aristotele, l'epithymia è in stretta relazione con la sensazione del piacere e
del dolore dal momento che essa è appunto il desiderio del piacevole e perché si dia piacere e
dolore è sufficiente avere il senso del tatto.
Ciò che l'epithymia non è in grado di fare è l'elaborazione di qualche forma di elaborazione
(sylloghismos) ed è per questo che non è capace di seguire il logos.
Questa incapacità può essere collegata anche alla stessa incapacità dell'epithymia di tenere conto del
futuro, dal momento che senso del tempo e capacità di ragionare sono tra loro connesse.
Nel lessico aristotelico va ricordato il verbo akolytheo che non ha solo il significato generico di
seguire ma anche un secondo significato tecnico usato per indicare il conseguire di una conclusione
delle premesse ed è dunque strettamente legato al verbo sylloghizesthai che significa ragionare e
argomentare.
l'epithymia non si colloca totalmente al di fuori del dominio linguistico, dal momento che essa può
essere innescata non solo da una sensazione ma anche da un logos.
Ed è su questa possibilità che si fonda la distinzione tra due differenti tipi di epithymia nella quale
gioca un ruolo cruciale la persuasione.
“dei desideri epithymiai, alcuni sono a-linguistici (alogoi) e altri si formano con concorso del
linguaggio (metà logou).
A-linguistici sono i desideri che non desiderano a partire da un atto riflessivo. Sono detti naturali
(physei), come quelli che hanno origine dal corpo: ad esempio il desiderio di nutrimento, la sete, la
fame.
Nascono invece con il concorso del linguaggio (metà logo) i desideri che desiderano a partire
dell'essere stati persuasi (ek tou peisthenai epithymousin), molte cose infatti non desideriamo
vederlo o possederlo o perché ne abbiamo sentito parlare o perché ce ne hanno persuaso.”
Anche qui come in altri luoghi abbiamo da una parte i desideri (epithymiai) che si collocano al di
fuori della sfera linguistica e hanno come molla di innesco la sensazione (aisthesis) e dall'altra
quelli che si formano con il concorso del linguaggio (metà logou) che hanno come punti di partenza
un logos persuasivo.
I desideri che nascono con il concorso del linguaggio sono infatti quelli che desiderano a partire
dall'essere stati persuasi e la persuasione si conferma cosi come uno dei modi in cui il logos
concorre a realizzare la specie-specificità dell'animale umano.
L'orexix, il desiderio, non ha una sede specifica ma la sua presenza pervade la psyche assumendo
forme diverse capaci di entrare in relazione con il logos in modalità differenti.
L'immagine che Aristotele vuole dare della relazione fra le diverse componenti dell'anima umana è
quella dell'ascolto e della persuasione, che non solo possono fallire, ma anche quando riescono non
annullano la specificità di ciascun elemento.
Il logos ha un potere persuasivo ma nonostante ciò ha bisogno del desiderio.
Da solo il logos non può rappresentare il movente di nessuna azione dal momento che soltanto
l'orexis, il desiderio, è in grado di muovere l'animale.
Le facoltà cognitive in senso stretto – il nous (pensiero), la dianoia (ragione discorsiva), la doxa
(opinione),l'episteme (sapere), la phantasia (capacità di formare rappresentazioni mentali) e
l'aisthesis (percezione sensibile) sono necessarie al movimento dell'animale umano ma possono
diventare movente dell'azione solo a pattodi entrare in relazione con l'orexis. Queste possono
svolgere un ruolo concreto nella prassi umana solo in quanto hanno come punto di partenza
l'oggetto del desiderio: infatti quando la phantasia si muove, non si muove senza il desiderio (aneu
orexeos) e il pensiero discorsivo (dianoia) non muove nulla se non in quanto ha un fine ed è pratico.
Questo intreccio si fa più evidente quando è in gioco la scelta ponderata , la proairesis, appannaggio
esclusivo dell'essere umano adulto. La scelta condivide sia il pensiero discorsivo (dianoia) sia il
desiderio (orexis) ed è costituita dal pensiero (orexis) e dal discorso che è in vista di qualcosa.
Essa è quindi definita come desiderio deliberato (bouletike orexis) di ciò che dipende da noi.
Avendo come suo obiettivo la deliberazione e quindi l'azione, il discorso persuasivo è un logo in
continua ricerca di accordo con il desiderio.
I discorsi che possono essere persuasivi sono quelli realizzati con il concorso del desiderio e
comunque non senza desiderio.
CAPITOLO 2 – ELOGIO ALLA RETORICA

LA RETORICA E' UN'ARTE


Ciò che fino ad ora abbiamo visto è una introduzione all'opera nella quale Aristotele affronta
questioni di carattere generale come quella relativa allo statuto epistemologico della retorica e al
suo rapporto con le altre discipline e alla sua utilità.
Il punto di partenza è che la retorica una techne, un corpus di conoscenze relativamente sistematiche
e insegnabili che ammette l'individuazione di un metodo.
Questo metodo ruota intorno alla nozione di pistis e ha come obiettivo quello di scoprire ciò che
può risultare persuasivo. Il centro dell'argomento di Aristotele per dare alla retorica lo statuto di
techne è concentrato nel brano iniziale dell'opera:
“la retorica è la controparte (antitrophos) della dialettica” (1354a I-II)
Il primo passo di Aristotele è quello di accostare la retorica alla dialettica cercando tra loro una
corrispondenza qualificata con la parola di antistrophos (controparte, corrispondente, controcanto).
Aristotele lo intende come un parallelismo che svolge un ruolo importante nell'intero concetto della
Retorica.
Questo parallelismo è garantito dall'introduzione di sylloghismos e rappresenta la mossa decisiva
per attribuire alla retorica lo statuto di techne.
E' molto probabile che con la scelta della parola antistrophos, Aristotele voglia alludere
polemicamente al luogo del Gorgia platonico nel quale Socrate utilizza proprio questo termine per
accostare la retorica alla culinaria, una pratica che della techne ha soltanto l'apparenza mostrandosi
più come mera lusinga.
Aristotele, affermando che la retorica è antisstropho della dialettica e non della culinaria, ribalta la
posizione platonica mettendo in evidenza che il fatto un aspetto che entrambe condividono: il fatto
di riferirsi a questioni che “in qualche modo, è proprio di tutti gli uomini conoscere”.
Esaminare e sostenere un discorso, accusare e difendersi o argomentare e persuadere, sono atti
linguistici che tutti gli uomini che hanno un logos e vivono nella polis, compiono in modo naturale
e spontaneo.
Questo non è ancora sufficiente a garantire alla retorica lo statuto di techne. Queste attività possono
diventare oggetto di un addestramento specifico. Questo significa che è possibile trovarne il
metodo, nell'insieme di regolarità che esse possiedono e individuarne le cause di successo di coloro
che le compiono.
E' per questo che la retorica può essere considerata una techne. Per Aristotele , la conoscenza di
cause è uno dei requisiti che un certo tipo di sapere deve possedere per poter essere una techne.
Per Aristotele si ha techne quando a partire da una molteplicità di nozioni empiriche, si ottiene
un'unica concezione generale che includa i casi simili.
Differenza fra empirici e tecnici sta nel fatto che gli empirici sanno solamente il che e non il perché
mentre i tecnici sanno anche la causa e il perché.
Le caratteristiche della techne vengono individuate attraverso un confronto con le atre virtù e in
particolare scienza e saggezza. In questo contesto la techne è definita come una disposizione
produttiva accompagnata da logos vero.
Al contrario della scienza, l'arte ha come suo ambito di applicazione ciò che può essere
diversamente da come è, il mondo del possibile.
L'attività propria della techne è la produzione(poeisis), quello specifico fare che ah il fine fuori di se
al contrario dell'azione (praxis) che ha invece il fine in se stessa.
Conoscenza di cause accanto ad un certo saper fare, dimensione produttiva e riferimento al mondo
del possibile sono i tratti principali della techne che anche la retorica dovrà possedere.
Al pari di ogni altra techne il suo scopo è l'individuazione dei mezzi che rendono possibile il
successo. È per questo che la reotirca può essere definita omee la capacità (dynamis) di scoprire
(theorein), per ogni argomento (perì ekaston) ciò che può risultare persuasivo (to endechomenon
pithanon).
I principali aspetti che retorica e dialettica condividono sono:
• hanno carattere generale dal momento che non si riferiscono ad un oggetto determinato ma a
questioni la cui conoscenza è in certo modo comune a tutti
• sono capacità di procurare discorsi
• sono le uniche technai in grado di argomentare tesi opposte
• il loro dominio è costituito dall'ambito di ciò che può essere diversamente da come è

UN SAPERE PER LO PIU


Elevare la retorica al rango di techne significa riscattarla dalla condanna platonica e considerarla
una forma di sapere valido e insegnabile. Bisogna quindi soffermarsi sull'aspetto di ciò che essere
diversamente da come è.
Con questa espressione Aristotele si riferisce a tutto ciò che non gode del requisito della necessità e
si oppone pertanto a ciò che non può essere diversamente da come è. Nell'ambito del primo tipo di
realtà, il mondo del possibile si colloca sia il puramente fortuito e accidentale sia ciò che accade per
lo più cioè tutto quello che gode comunque di una certa regolarità.
La distinzione è decisiva perché mentre dell'accidentale e del fortuito non si può avere conoscenza,
di ciò che è per lo più è possibile che si dia sia techne sia scienza.
Il sapere specifico della techne riguarda ciò che accade per lo più, suscettibile di diventare oggetto
di conoscenza, per quanto fallibile.
La nozione “per lo più” ha un ruolo fondamentale nel pensiero aristotelico. Il per lo più abbraccia
un ambito di realtà eterogeneo che comprende fenomeni ed eventi molto diversi fra loro. Anche la
physis include realtà per lo più che non per questo vengo considerate di second'ordine.
Il per lo più gode di una sua autonomia e può essere oggetto di una conoscenza anche se esposta
all'errore.
Secondo Aristotele, a diversi tipi di realtà corrispondono diversi tipi di conoscenza. La molteplicità
dei metodi non esclude la continuità tra i diversi domini e le rispettive forme di conoscenza.
(rhet 1355a)
Nessuna contrapposizione quindi tra il vero e ciò che è simile al vero e nessuna svalutazione degli
endoxa, le opinioni accreditate su cui si fondano le argomentazioni retoriche.
Entrano ora in gioco due nozioni: la verosimiglianza (eikos) ed endoxon tra loro strettamente
connesse e intrecciate con quella di per lo più.
Eikos ed endoxa sono verità adeguate al tipo di realtà e di situazioni cui si riferiscono.
Ogni discorso con finalità persuasive mira all'adesione dell'ascoltatore e a fare in modo che egli
emetta un giudizio e prenda una decisione.
Se i discorsi persuasivi mirano a far prendere una decisione ed essa può riguardare unicamente
realtà per lo più ne consegue che le questini retoriche sono questioni per lo più.
Anche nel caso della techne retorica, questo carattere non dipende da una nostra incapacità ma dalla
particolare natura del suo oggetto.

CONTRO I TECNOGRAFI
L'insistenza sulla natura tecnica della retorica ha anche altri destinatari che sono coloro che hanno
composto arti dei discorsi. Aristotele dice che questi si sono occupati solo di una piccola parte della
retorica trattando solo aspetti secondarie e hanno trascurato le argomentazioni (pisteis) che
rappresentano l'unico argomento interno alla techne.
Esattamente non dicono nulla sugli entimemi che sono invece il corpo della persuasione (soma tes
pisteos) mentre trattano per la maggior parte questioni estranee all'argomento (exo tou pragmatos).
Quindi Aristotele mette al centro della techne l'entimema. Con questa parola Aristotele indica
l'argomentazione retorica per eccellenza, il sillogismo retorico. Per Aristotele gli entimemi sono
come il corpo della persuasione.
Per quanto riguarda le questioni estranee all'argomento è Aristotele ad indicare cosa significa ed
aggiunge: “la calunnia, la pietà, l'ira e simili passioni dell'anima non riguardano l'argomento in
questione ma si riferiscono al giurato. Non si deve distorcere il giurato spingendolo all'ira, all'odio e
alla pietà:sarebbe come sei si deformasse il metro di cui ci si deve servire.
Sembra che Aristotele voglia escludere il ricorso all'appello emotivo della techne, ritenendolo un
elemento di disturbo in grado soltanto di forviare l'ascoltatore.
Se così fosse non si spiegherebbe però ne la grande attenzione che dedica all'analisi dei pathe ne
l'inclusione del pathos tra le cosiddette pisteis tecniche.
ciò che Aristotele sta escludendo non è il ricorso alle emozioni tout court ma il suo uso intrinseco
estraneo all'argomento, espressione questa che si rivela essere il nucleo centrale della critica
aristoteliana.
Ciò che è sbagliato per Aristotele, è far leva sui sentimenti del giudice in un modo non pertinente
all'argomento in discussione.
Quello che Aristotele rimprovera ai suo rivale è il non aver saputo trasformare l'appello estrinseco
alle emozione del giudice in una pistis (argomentazione) e più precisamente in una argomentazione
tecnica costruita in base al metodo.
Per Aristotele le altre retoriche si riducono ad una raccolta di precetti. Non sono vere e proprie
technai in quanto mancano prima di tutto di una riflessione sulle cause della persuasione.
Le questioni trattate dai rivali, sono estranee all'argomento in quanto non inserite all0interno di una
riflessione sul metodo. Fuori dalla techne, sono come il campionario di scarpe che pretendi di
sostituirsi all'insegnamento.

UTILITA' DELLA RETORICA


Aristotele vuole difendere la retorica dalle accuse che le venivano rivolte; prima fra tutte quella di
non essere un sapere fondato su reali conoscenze. Anche l'accusa di debolezza epistemologica trova
le sue motivazioni in questi timori che spingono a considerare la retorica un sapere pericoloso.
La strategia difensiva tende a ribadire alcuni aspetti importami della concezione aristotelica della
retorica.
Questa strategia non consiste nel tentativo di distinguere e separate una retorica buona da una
cattiva. Si tratta piuttosto dell'accettazione della costitutiva ambivalenza del discorso persuasivo.
La retorica è utile perché la verità e la giustizia sono per natura più forti dei loro contrari in quanto
se i giudizi sono sono formulati in modo adeguato, è necessariamente a causa di se stessi che si
risulta inferiori.
Aristotele qui non sta sostenendo che verità e giustizia sono destinate a trionfare anche
indipendentemente da noi e dai nostri discorsi.
Si tratta invece di una assunzione di responsabilità. Se qualcosa va storto, la colpa è dei parlanti.
Verità e giustizia sono nelle nostre mani , nei nostri discorsi ed è da noi che dipende la loro vittoria.
In questo modo la forza del logos è assunta in tutta la sua sostituiva ambivalenza,
il logos non è uno strumento neutro che utilizziamo per i nostri scopi ma l'orizzonte entro cui è
possibile la stessa valutazione etica.
Nel celebre passo della Politica nel quale Aristotele mostra la relazione tra logos, polis e felicita, la
funzione specifica del logos è proprio quella di consentire agli animali umani l'accesso alla sfera
etica grazia alla percezione (aisthesis)della serie di coppie di valori contrapposti (utile-dannoso,
giusto-ingiusto, bene-male) su cui si fonda la vita della polis. Ma il possesso del logos non ci dice
come distinguere questi opposti.
La retorica quindi non può che svolgere un ruolo cruciale nella vita della polis in quanto arti del
logos, retorica e dialettica sono le uniche technai in grado di argomentare tesi tara loro contrarie e il
bravo retore deve avere la capacità di persuadere dei contrari.
CAPITOLO 3 – IL METODO

LE VIE DELLA RETORICA


Al centro del metodi si colloca la nozione di pistis se è vero che solo solo lepisteis rientrano nella
techne.
La parola greca pistis ha un significato piuttosto ampio e secondi grimaldi ci sono 3 accezioni di
pistis ritenute rilevanti per la techne retorica:
1. pistis nel senso di persuasione, credenza, cioè quel particolare stato mentale ottenuto grazie
all'uso di affermazioni ragionevoli
2. pistis come processo inferenziale, sia deduttivo sia induttivo e quindi le argomentazioni
grazie a cui otteniamo quel particolare stato mentale. Sono piesteis sia l'entimema sia l'esempio.
3. Pistis con riferimento anche a quelle che grimaldi chiama fonti materiali della persuasione
qui si nota che la parola pistis è utilizzata per indicare sia lo stato finale di un processo sia i mezzi
per ottenerlo sia il processo stesso.
Possiamo dire che le pisteis di cui si parla qui sono le vie della persuasione cioè i mezzi che
possiamo utilizzare per ottenere una credenza.
Ciò che rende interessante è l'accostamento che rappresenta uno degli elementi di maggiore
originalità della retorica aristotelica, tra la nozione pistis e quelle di dimostrazione (apodeixis)
entimema e sillogismo.
Alla base di questa operazione troviamo la relazione di antistrophia tra dialettica e retorica. La
mossa di aristoteleconsiste nell'estensione all'ambito retorico della riflessione su sylloghizesthai,
che è argomento specifico dell'intero Organon.
Affermare che la pistis è come una dimostrazione, chiamare entimema dimostrazione retorica e
considerarlo un tipo di sillogismo significa inserire a pieno titolo la retorica nell'organon
le pisteis retoriche mantengono una loro specificità ed è ad essa che Aristotele alludo quando
afferma che soprattutto colui che è in grado di esaminare da dove e come si formi un sillogismo sarà
anche soprattutto bravo a fare entimemi purché aggiunga la conoscenza del tipo di questioni su cui
verte l'entimema e sappia anche quali sono le differenza tra gli entimemei e i sillogismo logici.
Ciò significa che una competenza sillogistica generale non è sufficiente a garantire l'abilità della
costruzione di entimemi.
La techne retorica intrattiene rapporti privilegiati cono solo con la dialettica ma anche con l'etica e
la politica . L'immagine qui usata da Aristotele per indicare questa relazione non è più quella
dell'antistrophia con la quale vengono messe in luce le corrispondenze, ma quella della
diramazione che serve piuttosto ad indicare la duplice parentela della retorica con le altre due
discipline L'immagine qui usata da Aristotele per indicare questa relazione non è più quella
dell'antistrophia con la quale vengono messe in luce le corrispondenze, ma quella della
diramazione che serve piuttosto ad indicare la duplice parentela della retorica con le altre due
discipline.
Ma parentela non vuol dire subordinazione; si tratta invece di un modo per dare alla techne retorica
il suo posto nell'ambio più vasto della riflessione filosofica aristotelica senza negarle ne autonomia
ne specificità.
A garantire l'unità concettuale della retorica resta sempre la nozione di persuasivo e quella di pistis
intorno a cui è costruito l'intero metodo retorico.
Andiamo ora a considerare i concetti chiave su cui Aristotele costruisce questo metodo.

DENTRO E FUORI LA TECHNE: LE PISTEIS


Alla base del metodo di Aristotele troviamo una distinzione tra due tipi di pisteis: quelle esterna alla
techne e quelle interne: delle pisteiealcune sono non tecniche (atechnoi) mentre altre sono interne
alla tecnica (entechnoi). Non tecniche sono sono quelle che non sono procurare da noi stessi ma
sono preesistenti come per esempio le testimonianze. Interne alla teche sono quelle che è possibile
escogitare grazie al metodo (dia tes methodou) e da noi stessi.
In sintesi, mentre delle prime ci si deve servire, le altre vanno scoperte.
Aristotele individua cinque tipi di pisteis non tecniche: le leggi, le testimonianze, i contratti, le
confessioni ottenute sotto tortura e i giuramenti. Sono tutti quei mezzi esterni che l'oratore
giudiziario può sfruttare per rafforzare la propria tesi o indebolire quella dell'avversario. Tutto ciò
che la techne può fare in relazione a questo tipo di pisteis è dare alcuni consigli generali su come
servirsene a seconda delle situazioni. Per quanto utili restano comunque fuori dalla techne in quanto
sfuggono per principio alla riflessione metodologica in senso stretto.
Quindi il vero e proprio oggetto della techne retorica non sono le pisteis in generale ma solo quelle
interne alla techne che l'oratore escogita grazie al metodo e che sono procurate per mezzo del
discorso (dia tou logou).
Le pisteies entechnoi vengono a loro volta distinte in tre tipi sulla base di un criterio di natura
linguistica.
Ogni discorso (logos) è costituito da 3 elementi, da colui che parla, da ciò di cui si parla e da colui a
cui si parla; il fine è rivolto a a colui a sui si parla cioè l'ascoltatore.
Sono 3 elementi interni che costituiscono il discorso nella sua interezza. Quindi per Aristotele il
parlante e l0scoltatore non sono utenti esterni che si servono del logos ma sue componenti
costitutive di cui l'ascoltatore, costituisce il fine ed è pertanto non un semplice destinatario passivo
ma ciò che determina le caratteristiche del logos.
A ciascuno di questi 3 elementi costitutivi corrisponde una diversa pistis tecnica: quella fondata sul
carattere di colui che parla, quella che consiste nel diaspore l'ascoltatore in un certo modo e quella
che si realizza nel discorso stesso.
Le tre entechnoi pisteis sono ethos (carattere), pathos (emozione) e logos (qui nel senso di
argomento del discorso)
la pistis si realizza per mezzo del carattere quando il discorso è detto in modo da rendere degno di
fede colui che parla. Non è la fama dell'oratore a rendere credibile il suo discorso ma il discorso
stesso cioè il modo in cui il discorso è pronunciato.
Qualcosa di simile accade anche nel caso del pathos: non si tratta di un generico appello emotivo
ma di una pistis realizzata per mezzo degli ascoltatori quando essi sono condotti dal discorso a
provare un'emozione.
Il pathos qui è un pathos realizzato nel discorso ed è soltanto a questa condizione che esso può
essere una pistis entechnos.
Così intesi, ethos, pathos e logos rappresentano le tre aree che il retore dovrà esplorare per costruire
le sue argomentazioni.
Secondo la distinzione di Grimaldi, essi sono dunque pisteis nell'accezione di fonti materiali della
persuasione, un materiale che verrà incorporato nelle forme argomentative proprie del discorso
retorico come ad esempio entimema.
Questa identificazione conduce a sua volta a contrapporre l'entimema ad ethos e pathos, relegati al
ruolo di strumenti di persuasione puramente emotivi nel senso di irrazionali ammessi soltanto per
ragioni di convenienza pratica. Le tre pisteis, come i tre elementi del logos a cui corrispondono,
sono costitutive del discorso nella sua interezza e ogni strategia persuasiva che ambisca ad essere
efficace dovrà necessariamente fare i conti con ciascuna di queste tre componenti.

IL RAGIONAMENTO RETORICO
La capacità di coinvolgere anche la sfera del desiderio può essere considerata una delle
caratteristiche specifiche dell'argomentare retorico, in gradi di distinguerlo anche da quello
dialettico. Le forme tipico di questo argomentare sono l'entimema e l'esempio ai quali si può
accostare anche la massima (gnome), sebbene essa sia in realtà una parte dell'entimema.
Aristotele considera entimema ed esempio com il corrispondente retorico della deduzione e
dell'induzione.
Questa corrispondenza ha tra i suoi obiettivi quello di mostrare come anche il discorso retorico
possa essere analizzato utilizzando l'appartato concettuale logico-dialettico. Aristotele fa qui
esplicito riferimento ad un principio generale secondo cui le nostre conoscenze sono ottenute o per
via deduttiva o per via induttiva: ogni nostra convinzione si realizza o attraverso un sillogismo o a
partire da una induzione. Questo principio è espresso nel passo d'inizio degli Analitici Secondi dove
si trova anche il riferimento alle argomentazioni retoriche.
Esempio ed entimema rappresentano dunque le tipiche forme del ragionamento retorico e fra di esse
non vien stabilita una vera e propria gerarchia anche se Aristotele ritiene che i discorsi entimematici
riscuotano generalmente più successo rispetto a quelli basati su esempi.
Entimemi ed esempi risultano più o meno adatti a seconda delle circostanze: entimemi sono
consigliati soprattutto nei discorsi giudiziari mentre gli esempi si rivelano indicati in quelli politici.
Sia l'entimema sia l'esempio hanno come ambito di riferimento le realtà che possono essere
diversamente da come sono. Si riferiscono ad oggetti intorno ai quali deliberiamo e noi deliberano
intorno a ciò che sembra ammettere almeno due possibilità.

LE PREMESSE
Una importante conseguenza del riferimento all'ambito del per lo più riguarda la natura delle
premesse da cui deve prendere le mosse il ragionamento retorico. E' lo stesso Aristotele a trarre
questa conseguenza quando mette in stretta relazione il fatto che soltanto poche delle premesse da
cui derivano i sillogismi retorici sono necessarie con la considerazione secondo cui la maggior parte
delle questioni che sono oggetto di giudizio ed indagine, possono essere anche in modo diverso
poiché gli uomini deliberano ed esaminano quello che stanno facendo e tutte le azioni sono di
questo genere mentre nessuna è necessaria.
La natura dei contenuti condizione quella delle premesse e da questa dipende a sua volta il tipo di
sillogismo che si potrà costruire e il tipo di conclusione che potrà essere dedotta.
Quindi, dal momento che le questioni retoriche ricadono nell'ambito di ciò che può essere
diversamente da come è, sarà molto raro che le premesse dei sillogismo retorici godano del
requisito della necessità.
Questa caratteristica ha acquistato molta importanza tanto da svolgere il ruolo di un vero e proprio
tratto definitorio dell'entimema, spesso qualificato come sillogismo costruito su premesse probabili.
Viene qui trattato non tanto una definizione di entimema quanto l'analisi del tipo di premesse su cui
esso si basa che sono eikota (verosimiglianze, probabilità) e semeia (segni).

EIKOTA
Gli eikota, appartenevano già all'appartato concettuale dell'oratoria e della retorica del tempo e
rappresentavano un tipo particolare di pisteis, accanto a indizi (tekmeria) e testimonianze (martyres)
di cui l'oratore poteva servirsi per sostenere la propria tesi.
La parola greca eikos, appartiene alla stessa area semantica del verbo eisko (paragonare, ritenere) e
del sostantivo eikon (immagine).
Nel suo significato più ampio, esprimeva un'idea di adeguatezza indicando ciò che era ritenuto
adeguato o appropriato rispetto a una norma o a una consuetudine generalmente accettata. In molti
contesti, la parola è utilizzata per riferirsi a ciò che è solito accadere ed è adeguato a quella
determinata circostanza.
Secondo la descrizione platonica, meiosi e verità sembrano rappresentare per il discorso retorico un
vera e propria alternativa. La relazione che Platone intuisce tra eikos e verità non è una relazione di
generica opposizione; si tratta di una relazione di somiglianza nella quale l'eikos svolge il ruolo
della copia mentre la verità quello dell'originale. Per Platone, l'eikosnon gode di una sua autonomia
ma può avere un valore solo a condizione di subordinarsi alla verità nella quale trova il suo
fondamento.
La concezione di Aristotele di eikos, si allontana da questo atteggiamento e si può anzi affermare
che ci troviamo di fronte ad uno degli aspetti di maggiore distanza tra Aristotele e il suo maestro.
Per molti versi, il modo in cui l'eikos è trattato nel corpus aristotelico sembra riportarlo al suo
significato tradizionale e in particolare a quell'aspetto dell'adeguatezza che rappresenta uno dei
tratti peculiari dell'area semantica di questa parola.
Per chiarire meglio Aristotele da due descrizioni della nozione eikos; si tratta di un passo della
Retorica secondo cui le premesse retoriche sono eilota e semeia: eikos è ciò che accade per lo più
non però in senso assoluto (ouk aplos) ma ciò che sta in rapporto a ciò rispetto a cui è eikos come il
generale rispetto al particolare.
Eikos è una premessa endossale (protasis endoxos). Nell'ambito di ciò che accade per lo più, ciò che
si sa che è accaduto e non è accaduto che è o non è, giusto è eikos come per esempio che gli
invidiosi odiano o che gli amati amano.
In entrambi i casi l'eikos è collocato nell'ambito di ciò che può essere diversamente da come è e di
ciò che accade per lo più. Esso si distingue, pertanto, sia da ciò che p del tutto casuale sia dal
necessario, gode di una sua autonomia ed è conoscibile anche se la sua conoscenza sarà sempre
esposta all'errore e confutabile.
L'eikos è una preposizione (protasis) e una protasis endoxos (accreditata, in fama) aggettivo con il
quale Aristotele qualifica le premesse del sillogismo sia retorico sia dialettico.
Questo tipo di premesse endossali, esprime un sapere non indiscutibile e largamente condiviso. E' in
questo senso che l'eikos può essere descritto anche come ciò che si sa ed è così che esso può
svolgere il ruolo di giustificazione nell'ambito di un ragionamento per lo più. A partire da una
protasis endoxos è possibile costruire un sillogismo le cui conclusioni, possono essere accettabili
ossia sufficientemente giustificate.
Un altro aspetto importante riguarda il carattere relativo e non assoluto dell'eikos. Si tratta di una
nozione relativa ( pros ti) nel senso che esso va sempre concepito in riferimento a qualcos'altro. La
confusione tra ciò che è eikos assoluto e ciò che lo è soltanto in senso relativo è uno dei luoghi degli
entimemi apparenti su sarebbe interamente basata la tecnica eristica.
L'esempio più celebre di questa tecnica è il cosiddetto corax (dal nome del retore Corace): se un
uomo debole è accusato di aver picchiato uno più forte può difendesi dall'accusa sostenendo che
non è eikos che ciò sia accaduto, mentre se ad essere accusato è l'uomo forte, potrà difendersi
sostenendo ugualmente che non è eikos che egli sia consapevole, proprio perché sarebbe stato il
primo a essere sospettato. L'inganno consiste nell'usare la nozione eikos sia in senso assoluto sia in
senso relativo senza precisare la circostanza, la relazione e il modo, facendo apparire eikos ciò che
in effetti non lo è, o lo è solo in certe particolari circostanze.
Eikos ha anche un carattere generale (katholou) nel senso che il rapporto che esse istituisce con ciò
rispetto a cui è eikos, è un rapporto analogo a quello tra il generale e il particolare.
Per Aristotele l'eikos è un sorta di regola generale per lo più in base alla quale è possibile esprimere
giudizi ragionevolmente fondati. Può essere sia vero sia falso ma questo non autorizza a concludere
che il discorso che si basa si eikota sia disinteressato alla verità.
Esso è uno dei mezzi per cercare di accertare una verità, come quella specifica dei discorsi retorici.
Il reale valore del giudice consiste nella capacità di valutare caso per caso, l'essere realmente eikos
gli argomenti dei contendenti. E' una abilità fondamentale nella prospettiva aristotelica .
Avere quello che potremmo chiamare il senso delle circostanze è una delle caratteristiche che
Aristotele attribuisce all'uomo di valore (spoudaios) e gioca un ruolo importante anche nella
valutazione e nella costruzione dei discorsi persuasivi. </p>

SEMEIA
Accanto agli eikota, l'altro tipo di premessa in grado d dar vita ad un sillogismo retorico è
rappresentato dai semeia (segni), distinti da Aristotele in segni necessari, detti tekmeria, e segni non
necessari, privi di un nome specifico. I luoghi del corpus sono gli stessi che abbiamo preso in esame
a proposito della nozione di eikos.
I termini semeion e tekmerion erano già utilizzati in contesti relativi a forme di conoscenza
inferenziale. Il sostantivo semeion aveva originariamente il significato di contrassegno , segnale,
segno di riconoscimento ma anche segno divino, e molto presto inizia comincia ad essere utilizzato
nel senso di prova, sia come punto di partenza sia come verifica di un ragionamento di tipo
inferenziale.
Il verbo tekmairesthai, era usato originariamente solo in contesti religiosi per indicare l'attività di
previsione tipica dell'indovino che con il tempo passa al significato di congetturare.
Semeia e tekmeria, nell'oratoria giudiziaria, erano utilizzati per indicare un tipo particolare di pisteis
in grado di rafforzare la tesi dell'oratore.
Nella letteratura prearistotelica, semeia e tekmeria, erano già strumenti di una conoscenza che è
tuttavia l'unica accessibile agli uomini e gode comunque di un certo grado di attendibilità.
Caratteristica comune ad entrambi questi strumenti di conoscenza è di essere immediatamente
accessibili ai sensi e perciò più facilmente conoscibili della realtà cui rimandano, una realtà che può
essere inaccessibile e rispetto alla quale semeion e tekmerion rappresentano l'unica via di accesso,
per quanto fallibile. La principale novità introdotta da Aristotele consiste nel trattamento della
coppia semeion/tekmerion dal punto di vista della sua sillogistica e nella considerazione dei semeia
on più come pisteis separate ma come premesse di un sillogismo.
Come l'eikos, anche il semeion vuole essere una premessa dimostrativa o necessaria o endossale.
Il segno è qualcosa che si verifica regolarmente prima o dopo qualche altro evento e che può essere
considerato segno di esso.
L'elemento della relazione che svolge la funzione di segno deve essere più noto o più facilmente
accessibile rispetto al designato.
Una volta stabilito a quali condizioni una certa realtà può essere detta segno di un'altra, Aristotele
distingue tre diverse classi di segni:
1. segno necessario (tekmerion): sta in relazione al designato come il particolare rispetto al
generale e può svolgere la funzione del termine medio in un sillogismo di prima figura. Esempio: ha
partorito, infatti ha latte; è malato, infatti ha la febbre. Avere latte e avere la febbre sono segni di
avere partorito ed essere malato. Si tratta di segni che possono fungere da termine medio di un
sillogismo di prima figura, mentre il designato svolge il ruolo di estremo maggiore. Si tratta
dell'unico tipo di segno che può dare vita ad un entimema inconfutabile (alytos) a patto che le
premesse siano vere.
2. Segno non necessario che, rispetto al designato, si comporta come il generale rispetto al
particolare e può dare origine ad un sillogismo di seconda figura. Esempi: è gravida, infatti è
pallida; ha la febbre, infatti respira affannosamente. Il pallore e il respiro affannoso sono segni
dell'essere gravida e dell'avere la febbre ma la loro estensione è maggiore rispetto a quella del
designato. I sillogismi corrispondenti sono costituiti in seconda figura in quanto il segno è predicato
di entrambi gli estremi. Questo tipo di segni non gode del requisito della necessità e l'entimema è
sempre confutabile.
3. Segno non necessario che, rispetto al designato, si comporta come il particolare rispetto al
generale ma da luogo a sillogismi di terza figura. Esempi: i sapienti sono onesti, Pittaco infatti era
onesto; i sapienti sono giusti,infatti Socrate era sia sapiente sia giusto. Il sillogismo basato su questa
terza classe di segni è di terza figura in quanto il termine medio (Pittaco) è soggetto sia nella
premessa maggiore (Pittaco è sapiente), sia nella minore (pittaco è onesto) ma non è valido.
Fatta eccezione per i tekmeria, questo tipo di premesse da vita ad inferenze che non sono
necessariamente valide e sono pertanto sempre esposte alla confutazione. </p>

PREMESSE ENDOSSALI
Le premesse retoriche, siano esser eikota o semeia, se vogliono realmente svolgere il loro ruolo,
dovranno essere anche endoxa.
L'aggettivo endoxos, è composto dalla preposizione en (in) e dal sostantivo doxa (opinione, fama).
In senso letterale, indica ciò che è radicato nell'opinione ed è pertanto famoso ma anche stimato.
La nozione è elaborata e definita nelle opera dialettiche e si può anzi affermare che il suo uso in
ambito retorico rappresenta una delle principali manifestazione dell'antistrophia tra le due
discipline.
Oggi è stato riconosciuto che la nozione aristotelica di endoxa è priva di connotazioni negativa e
svolge un ruolo cruciale nel metodo aristotelico. La doxa su cui gli endoxa si radicano non è
l'opinione contrapposta alla verità ma ciò che è ritenuto vero e per questo accettato.
L'attenzione cade su adesione a queste verità che può naturalmente anche essere mal riposta, ma che
di certo non esclude che le argomentazioni fondate su endoxa possano condurre a conclusioni vere.
Per Aristotele quindi endoxa e verità non coincidono ne si escludono a vicenda , ma si intrecciano in
modo complesso.
La dimensione del consenso svolge un ruolo cruciale tanto nel dialogo dialettico quanto nel
discorso retorico. Non stupisce che sia le premesse del sillogismo dialetto sia quelle dell'entimema
debbano essere endoxa. Per risultare efficaci e ottenere l'attenzione, questo tipo di ragionamenti
dovranno avere come punto di partenza affermazioni generalmente accettate, pena a noia o
l'incomprensione.
La capacità di selezionare gli endoxa più adatti alle circostanze, è una delle abilitò richieste tanto al
dialettico quanto al retore. Non tutti gli endoxa godono dello stesso grado di autorevolezza e non
sono mai del tutto immuni dall'onere della prova. Per poter indebolire un endoxon sarà comunque
necessario appoggiarsi su alari endoxa altrettanto radicati rispetto a quello che si intende discutere.
L'endossalità non è soltanto una qualità delle premesse dei sillogismo retorici e dialettici ma anche
una caratteristica del discorso persuasivo in generale nel quale l'ascoltatore svolge il ruolo di fine.
Sebbene l'endossalità sia il tratto di maggiore somiglianza tra il discorso retorico e quello dialettico,
neppure in questo caso ci troviamo di fronte ad una identificazione.
La differenza principale tra gli endoxa retorici ed endoxa dialettici consiste nella diversa modalità
su cui essi vengono assunti. In caso di dialogo dialettico, ogni singola premessa deve esser accettata
dall'interlocutore e su questo consenso esplicito si fonda la stessa possibilità di proseguire
nell'argomentazione. Diversa à la situazione del monologo retorico nel quale l'oratore deve essere in
grado di prevedere quali risulteranno più accettabili.

I LUOGHI
Topos (luogo) sono sillogismi dialettici e retorici quelli a proposito dei quali parliamo di luoghi. E'
uno degli aspetti che la retorica condivide con la dialettica anche se è una relazione di antistrophia:
tra la topica dialettica e quella retorica vi è solo somiglianza ma non identità. La topica retorica ha
un grado di generalità minore rispetto a quella dialettica e tiene conto anche di considerazione di
natura etica e psicologica che sembrano invece assenti o marginali nella dialettica.
Si può affermare che i luoghi sono le fonti a partire da cui l'oratore costruisce le sue
argomentazioni.si tratta di schemi argomentativi che vengono applicati ai casi specifici e ai quali
possono venire ricondotti i singoli entimemi. E' per questo che Aristotele può dire dei luoghi sia che
essi sono gli elementi (stoicheia) dell'entimema, sia ciò a cui si riconducono gli entimemi.
Per Aristotele il topos è una sorta di matrice in grado di generare argomenti ogni volta diversi. E' in
questo senso che va intesa l'identificazione tra luogo ed elemento.
Nella prospettiva aristotelica infatti gli stoicheia sono i componenti ultimi di qualcosa. Dire che i
topoi sono gli elemnti degli entimemi significa che essi possono essere intesi come unità minime
non ulteriormente divisibili a partire dalle quali è possibile generare una serie di entimemi che
condividono lo stesso topos ed è per questo che esse può essere considerato anche ciò a cui si
riconducono molti entimemi.
I topoi svolgono sia una funzione euristica sia una probativa, nel senso che essi possono essere
utilizzati sia per trovare le premesse degli argomenti persuasivi adatti alle diverse circostanze, sia
per mostrare la validità logica o la plausibilità.

TOPICHE GENERALI
I luoghi retorici sono distinti in due gruppi: luoghi comuni e luoghi propri.
Luoghi comuni (koinoi) per questioni riguardanti la giustizia, la fisica, la politica e molte questini
che differiscono per specie come quello del più e del meno.
Sono luoghi comuni nel senso che non sono esclusivi di un ambito specifico ma possono essere
utilizzati indifferentemente per formulare sillogismi su qualsiasi argomento.
Ciascun luogo è descritti e analizzato anche attraverso numerosi esempi a cui faremo riferimento o
per cercare di chiarire che ruolo svolgono i koinoi topoi nel metodo retorico.
Prendiamo in esempio le mosse dal luogo dal più e dal meno: a partire da questo topos è possibile
formulare numerosi entimemi con identica struttura ma con questioni differenti.
1. Se neppure gli dei sanno tutto, ancor più difficilmente lo sapranno gli uomini.
2. Picchia i vicini, chi picchia anche il padre
3. Se Ettore non è colpevole per aver ucciso Patroclo, non lo è neppure Alessandro per aver
ucciso Achille.
Ciascuno di questi entimeni deriva da uno schema che è il topos dal più o dal meno così formulato
da Aristotele: se qualcosa non appartiene a ciò cui dovrebbe appartenere di più, è chiaro che non
appartiene neppure a ciò cui dovrebbe appartenere di meno. Lo stesso schema di ragionamento può
essere utilizzato anche inversamente attribuendo la più ciò che normalmente si attribuisce la meno.
Un altro luogo considerato efficace è quello detto dei contrari: dati due termini contrari, si deve
considerare se ad un contrario appartiene il predicato contrario rispetto all'altro termine: confutando
l'argomento se non vi appartiene, confermandolo se invece vi appartiene.
Da questo luogo possono essere tratti alcuni esempi di entimemi:
1. essere temperanti è un bene, perché essere intemperanti è dannoso
2. se la guerra è la causa dei mali presenti, con la pace bisogno porvi rimedio
3. se i discorsi falsi sono persuasivi per i mortali, si deve anche ammettere il contrario, che
molte verità risultano incredibile per i mortali.
Ciascuno di questi topoi può essere utilizzato a proposito di qualsiasi argomento ed è per questo che
esse sono i luoghi comuni a ciascun ambito o disciplina.
I topoi generali rappresentano quindi le nostre abitudini di pensiero che possono assumere le forme
più diverse e godere di differenti gradi di validità. Ciò che accomuna queste abitudini di pensiero. È
il fatto di poter svolgere la funzione di luogo indipendentemente da loro contenuto specifico.

TOPICHE PARTICOLARI
Le topiche speciali o particolari consistono nella raccolta e nella sistematizzazione di quelli che
Aristotele chiama eide (specie) o idia (ciò che è proprio). Questi idia sono quelli che derivano da
premesse relativa a ciascuna specie e a ciascun genere, come nella fisica vi sono premesse da ci non
deriva ne un entimema ne un sillogismo sull'etica e in etica ve ne sono altre da cui non derivano
argomenti sulla fisica, e lo stesso accade in tutte le altre discipline.
Per formulare entimemi efficaci sono necessarie anche conoscenze specifiche sugli argomenti più
frequentemente dibattuti nei discorsi retorici ed è appunto questo lo scopo delle topiche particolari.
Anche gli idia servono al retore come indicazioni per trovare e selezionare le premesse adatte a
ciascun argomento. Essi svolgono un ruolo fondamentale nel metodo retorico, dal momento che la
maggior parte degli entimemi sono detti a partire da queste specie particolari e proprie, un minor
numero dai luoghi comuni.
Il riconoscimento del carattere topico delle analisi condotte in questi capitoli, consente di affrontare
una delle principali questioni sollevate in proposito, quella relativa al grado di scientificità di queste
analisi.
Gli idia sono generalmente espressi o in forma di definizione o di eikos o di segno. Questa è una
ulteriore conferma della natura retorica di quelle analisi: eikota e semeia sono le tipiche premesse
dell'entimema e avere a portata di mano le definizioni, sia quelle basate su endoxa sia quelle basate
sui principi primi è essenziale per la costruzione dei sillogismi in generale.

TOPICHE E DATI DI FATTO : GLI HYPARCHONTA


Gli hyparchonta sono fatti con concreti o proprietà che appartengono a singoli individui o a gruppi
di persone. Si tratta di ciò che è possibile predicare delle persone di cui si sta parlando. Sono ad
esempio, hyparchonta degli ateniesi tutte le informazioni relativa a quale sia la loro potenza, se
navale, terrestre o entrambe, di che entità sia e quali siano le loro entrate, chi siano i loro amici e chi
i nemici, quali guerre abbiano combattuto e in che modo e tutte le atre questini dello stesso tipo.
Sono un insieme di informazioni di cui il retore deve essere in possesso per poter costruire le sue
argomentazioni in modo pertinente al soggetto di cui si discute.
Una buona padronanza delle topiche costituisce un valido aiuto sia per scegliere gli hyparchonta più
adeguati sia per connetterli tra loro e inserirli all'interno di una argomentazione.
REGOLE CHE AMMETTONO ECCEZIONI
Il riconoscimento della natura endossale delle topiche ci consente di ribadire un aspetto importante
della nozione di topo cioè il carattere per lo più della regolarità che esso esprime.
Aristotele concepisce i luoghi come verità per lo più o come regole che ammettono eccezioni.
Il grado di affidabilità dei diversi topoi non è omogeneo. Alcuni di esse, sono talmente radicati e
stabili da essere assai difficilmente contestabili, per altri invece, l'accordo è meno generalizzato o
sono efficaci solo a certe condizioni. Spesso è lo stesso Aristotele a dare precise indicazioni sul
grado di affidabilità del singolo topos, sottolineandone l'eventuale debolezza o precisando in quali
circostanze è meglio evitarlo. È il caso, per esempio, del luogo della retorica deliberativa secondo
cui è bene ciò il cui contrario giova ai nemici, rispetto al quale Aristotele precisa che ciò non si
verifica sempre ma per lo più.
La caratteristica del grado di variabilità del grado di affidabilità sei singoli topoi, può arrivare fino
al punto da ammettere topoi tra loro rivali, se non proprio contrari , e tuttavia entrambi accettabili.
E' il caso dei due luoghi “ciò che è raro è più importante di ciò che è copioso” e “ciò che è copioso è
più importante di ciò che è raro”, che possono essere utilizzati contemporaneamente, ad esempio, in
quei messaggi pubblicitari che puntano, allo stesso tempo, sull'esclusività e sulla disponibilità del
prodotto.
Questi esempi mostrano che le topiche sono in grado di sopportare quelle che potremmo chiamare
contraddizioni locali. Questa capacità può diventare un punto di forza della topica, se si tiene conto
che caratteristica specifica di retorica e dialettica è proprio quella di poter argomentare sui contrari e
di riguardare questini suscettibili di essere risolte in due modi contrapposti. La presenta di luoghi
contrari metterà così a disposizione dell'oratore del differenti alternative.
CAPITOLO 4 – LE PROVE TECNICHE

I DISCORSI DELLA POLIS


Dopo aver esposto il metodo retorico, Aristotele conclude con la tripartizione destinata a
diventare classica dei genere oratori in deliberativo, giudiziario ed epidittico.
A fondare la tripartizione è un criterio generale e che rappresenta uno dei cardini dell'intera techne
retorica: il ruolo giocato dall'ascoltatore nella situazione discorsiva.
Dal momento che il fine del discorso è rivolto all'ascoltatore, è da qui che si deve partire per
costruire la classificazione dei generi oratori.
Prima di tutto Aristotele distingue tra un ascoltatore-spettatore e un ascoltatore-giudice. In seguito,
Aristotele preciserà invece che il destinatario di ogni discorso con finalità persuasiva è sempre il
giudice dal momento che l'uso dei discorsi persuasivi è finalizzato ad un giudice e chiunque debba
essere persuaso è il giudice.
Se l'attività dell'ascoltatore consiste sempre nell'esprimere giudizi, avremo tre tipi differenti di
uditorio in base al tempo cui si riferisce il suo giudizio: a giudicare del futuro sarà il membro
dell'assemblea (ekklesiastes), sul passato il giurato (dikastes), sul presente lo spettatore (theoros).
I generi dei discorsi retorica saranno pertanto tre: deliberativo (symbouletilìkon), il giudiziario
(dikanikon) e l'epidittico (epideiktikon).
Il passo successivo consiste nell'individuare, per ciascuno di essi, una coppia di atti linguistici
specifici. In questo caso ad essere presa in considerazione non è più l'attività dell'ascoltatore ma
l'azione compiuta da colui che parla: esortare e dissuadere per il genere deliberativo, accusare e
difendere per quello giudiziario, lodare e biasimare per quello epidittico.
Ciascun genere persegue anche uno scopo differente, che è poi l'obiettivo delle rispettive coppie di
atti linguistici.
Utile-dannoso, giusto-ingiusto, bello-buono, sono le coppie di valore specifiche rispettivamente del
genere deliberativo, giudiziario ed epidittico. L'individuazione di queste coppi mira a precisar su
cosa verte il giudizio finale dell'ascoltatore. Naturalmente, qualunque sia il genere in questione,
l'oratore potrà fare appello ai valori che ritiene ppiù opportuni alla sua strategia persuasiva ma una
delle coppie fungerà da criterio in base al quale anche le altre verranno valutate e non potrà pertanto
essere trascurata.
Può accadere che coloro che danno consigli, accettino nei loro discorsi anche azioni ingiuste, ma
essi non potrebbero mai ammettere di dare consigli svantaggiosi o di dissuadere da cose utili.
Chi sostiene una causa , può non contestare che un fatto sia accaduto o che abbia provocato un
danno, ma non ammetterebbe mai di aver commesso ingiustizia.
Questo esempio mostra che le coppie di valori individuate da Aristotele non sono gli argomenti su
cui vertono i rispettivi discorsi ma i criteri in base a cui avviene il giudizio dell'ascoltatore, che si
conferma così il vero telos di ogni discorso retorico.
Le coppie di valori che fanno dal telos a ciascun genere oratorio, sono le stesse che Aristotele, pone
a fondamento della vita associata specificamente umana.
(vedi tabella pag 78)

LA PISTIS BASATA SUL DISCORSO STESSO: IL LOGOS


La conoscenza delle caratteristiche specifiche dei differenti tipi di discorso rappresenta un valido
strumento nelle mani dell'oratore, soprattutto per l'individuazione delle argomentazioni più adatte
alle diverse situazione discorsive. E' per questa ragione che questa tripartizione è utilizzata
Aristotele come base dell'analisi della terza pistis tecnica, quella fondata sul discorso stesso.
Molte delle osservazioni contenuta in questa sezione dell'opera, pur essendo condotte dal punto di
vista della terza pistis tecnica , possono fornire utili indicazioni anche per costruzione delle
argomentazioni fondate sul'ethos. E' questo il caso, per esempio, della topica del genere epidittico:
“a questo punto parliamo della virtù de del vizio, del bello e del turpe. Questi sono gli obiettivi di
chi biasima e di chi loda: e nel contempo accadrà, di porre in evidenza gli elementi a partire dai
quali saremo ritenuti dotati di un certo carattere e questa, è la seconda pistis; è a partire dagli stessi
elementi che potremo rendere, sia noi stessi sia un altro, degno di fede in base alla sua virtù”
Questi argomenti sono affrontati con il preciso scopo di indicare al retore la strada da seguire per
costruire argomentazioni efficaci sui possibili argomenti.
E' per questa ragione che tali indagini avendo come obiettivo la costruzione di argomenti
persuasivi, l'eccesso di dettaglio e di rigore, aumenterebbe il rischio di incomprensione e noia,
proprio ciò che il retore deve assolutamente evitare. Assenza di rigore non significa banalizzazione
dei risultati delle altre scienza ma è una conseguenza della specifica finalità retorica dell'indagine.

IL GENERE DELIBERATIVO: ESORTARE E DISSUADERE


Il primo genere di discorso preso in esame è quello deliberativo: è un discorso tipico delle
assemblee consistente nell'esortazione e dissuadere introno a cio che è utile o dannoso.
I contenuti: ciò su cui tutti, prendono decisioni (bouleuontai) e su cui tengono i loro discorsi
(agoreuousin) coloro che consigliano (symbouleuontes). Si tratta di cinque questioni sui cui
l'oratore deve possedere informazioni adeguate:
1. finanze
2. guerra e pace
3. difesa del territorio
4. importazioni ed esportazioni
5. legislazione
Conclusa l'esposizione delle questini su cui vertono i discorsi deliberativi, si torna a discutere di ciò
da cui si deve consigliare o sconsigliare, sia su tali argomenti sa su altri.
L'espressione ciò da cui è frequentemente utilizza da aristotele per indicare i luoghi da cui vengono
tratte le premesse. L'affermazione suggerisce che il seguito dell'analisi riguarda i topoi e gli idia del
discorso deliberativo.
Vengono così affrontate, sub specie, qeustini centrali come la felicità e gli elementi del bene e
dell'utile in generale. Dal momento che la felicità è il fine ultimo cui tutti gli uomini tendono, è
intorno ad essa che ruota ogni tentatvio di perusadere ed è per questa ragione che l0oratore deve
essere in possesso anzitutto degli endoxa sulla felicità e le sue parti.
La felicità rappresenta solo il fine ultimo del discorso persuasivo, che resta sullo sondo senza essere
esplicitamente tematizzato perchè, si delibera non sul fine ma su cio che è relativo al fine, cioè le
cose utili rispetto alle azioni, è l'utile è un bene.
Il metodo seguito da aristotele, è un metodo sistematico che ha di mira la selezione di premesse
utili alla costruzione di entimemi. Consideriamo un esempio: il punto di partenza è affermazione
generale per lo piu e quindi un eikos, relativo ai fini: tutti, piu o meno (schedon), sia ciascuno
individuamente, sia nell'insieme, anno uno scopo, mirando al quale scelgono o evitano di fare
qualcosa e tale scopo è, per dirla in breve (en kephalaio eipein), la felicità e le sue parti.
Questa affermazione si presenta come un eikos, relativo al modo in cui gli uomini generalmente si
comportano. A partire da questo eikos, si potranno formulare entimemi che cerchino di spiegare,
giustificare o prevedere il comportamento di qualcuno. Per essere utilizzato efficacemente, sarà
necessario possedere anche la definizione di felicità: “sia dunque (esto de) la felicità o il benessere
accompagnato da virtù, o l'autosufficienza della vita o una vita piacevolissima unita a sicurezza o
l'abbondanza dei beni e dei corpi, insieme alla capacità di accrescerli e di usarli. Quasi tutti,
concordano che la felicità è una o piu di queste cose”
La natura endossale di questa definizione è indicata sia dalla formula introduttiva esto de, sia dalla
frase conclusiva che focalizza l'attenzione sulla dimensione del consenso.
Aristotele prosegue esaminando singolarmente le parti della felicità: una buona nascita , l'amicizia,
la ricchezza, i figli, la buona vecchiaia, le virtù del corpo, la buona reputazione, l'onore, la fortuna e
la virtù. Per ciascuno di questi aspetti vengono anche indicate le reciproche relazioni, spesso
facendo ricorso alla nozione di segno: l'onore è il segno di una buona reputazione di benefattore,
infatti, si onora giustamente soprattutto chi ha fatto del bene, ma si onora anche chi può fare del
bene.
Sulla base di questo luogo sarà possibile costruire un entimema fondato su un segno. L'argomento
sarà vero per lo più e quindi confutabile, che accade per tutti i segni non necessari, ma godrà
comunque di un notevole gradi di plausibilità.
Ancora più evidente è la natura retorica dell'analisi del bene: il punto di partenza è una definizione
dialettica del bene, nozione all'interno della quale sono racchiuse anche quella di utile e di
piacevole.
Ad essa segue un elenco di beni detti homologoumena, cioè quelli cui c'è un accordo generale e sui
quali di solito non è necessario discutere ma possono essere utilizzati per rafforzare la plausibilità
dell'argomentazione. Sono bene ad esempio come la felicità, la salute, la bellezza.
Ancora piu interessante sarà l'analisi dei bene cosiddetti controversi. Può capitare che essi siano a
volte l'oggetto del contendere e in questo caso l'oratore dovrà possedere i luoghi da cui trarre i
sillogismi su di essi. Rispetto a questo tipo di beni, Aristotele fornisce un insieme di istruzioni su
come sostenere sia che qualcosa è in generale buo o utile, sia che è migliore o piu utile di un'altra.
Esempio: ciò che ha per contrario il male, o il cui contrario è vantaggioso per i nemici. È il bene: se
la nostra viltà risulta particolarmente vantaggiosa per i nemici, è evidente che il coraggio è della
massima utilità per i cittadini. E in senso generale appare utile il contrario di ciò che i nemici
desiderano o di cui si rallegrano.
Si tratta di una sorta di applicazione alla sfera etica del luogo dei contrari rappresentati dalle coppie
bene-male, amici-nemici.
L'abilità dell'oratore consisterà nella capacità di selezionare il luogo più adatto ai suoi scopi facendo
attenzione anche ai casi in cui esso può al contrario risultare controproducente.
L'ultimo argomento affrontato nella sezione dedicata all'oratoria deliberativa è una breve analisi
delle diverse forme di governo e dei corrispondenti caratteri (ethe), cioè delle diverse abitudini,
mentalità, usi e costumi che si formano a seconda del tipo di stato in cui ci si trova a vivere.

IL GENERE EPIDITTICO: LODARE E BIASIMARE


In questa parte si parla di discorsi in lode o biasimo pronunciati in particolari contesti, per lo più
pubblici, come per esempio le orazioni funebri.
La lode e il biasimo svolgevano un' importante funzione pedagogica , e dunque politica, e
rappresentavamo uno degli elementi attraverso cui si costruiva l'eudoxia, quella buona fama cui
aspirava ogni cittadino e che Aristotele include tra le parti della felicità. Il genere epidittico non
aveva solo una valenza estetica in senso moderno, ma possedeva un forte valore etico e politico.
L'ascoltatore di questo tipo di discorso è definito da Aristotele uno spettatore (theoros). Egli non
deve emettere un verdetto n prendere una decisione e tuttavia è pur sempre uno che giudica e che
deve valutare la persuasività delle argomentazioni di colui che parla.
Il suo giudizio riguarderà le virtù (arete) e il vizio (kakia), considerati dal punto di vista del bello
(kalos) e del turpe (aischorn) che sono appunto gli obiettivi di ogni lode o biasimo.
Andremo ora a vedere l'analisi retorica della virtù, oggetto di lode per eccellenza: il punto di
partenza sono le definizioni endossali sia del bello o anche ciò che, essendo buono p anche
piacevole proprio in quanto è buono sia della virtù.
Un esempio aiuterà a chiarire che cosa si intende: tra i consigli che Aristotele da all'oratore
epidittico, c'è quello consistente nel considerate anche le qualità prossime a quelle esistenti, come se
fossero identiche, in direzione del peggio, ciò significa, chiamare freddo e insidioso l'uomo cauto o
verso il meglio, buono il semplice o mite l'insensibile o chiamare spontaneo il collerico e il
forsennato.
Nella stessa direzione va anche il consiglio di considerare quelli che si trovano in una condizione di
eccesso come se fossero in possesso delle relative virtù chiamando coraggioso il temerario o
liberale lo scialacquatore.
In questi casi, la scelta della parola più adatta è già una mossa della strategia argomentativa.
Come nel caso dell'oratoria deliberativa, la conoscenza dei caratteri corrispondenti alle diverse
forme di governo era una delle condizioni per una scelta adeguata delle premesse, anche per i
discorsi in lode e biasimo è fondamentale tenere conto del tipo di uditorio cui ci si rivolge.
Se uno dei modi per lodare e biasimare è quello di parlate di kata to prosekon, adeguandosi ciò alle
norme e alle consuetudini di quel determinato uditorio, è anche possibile parlare para to prosekon,
andando oltre ciò che il pubblico si aspetta, a patto però che in questo modo ciò di cui si sta
parlando risulti migliore o più bello.
Al contrario, coloro che pronunciano discorsi epidittici in genere prendono in considerazione azioni
sulle quali c'è accordo cosi che non resta che conferire loro grandezza e bellezza dato che la lode
altro non è che un discorso che mette in evidenza la grandezza della virtù. E' per questo che tra le
forme comuni a tutti i tipi di discorsi, quella più adatta al genere epidittico è la cosiddetta
amplificazione (auxesis) consistente essenzialmente nel fare in modo che il soggetto di cui si parla
appaia migliore o peggiore.
L'entimema e l'esempio sono invece, rispettivamente, le forme comuni più adatte al genere
giudiziario e a quello deliberativo.
La scelta di quella più adeguata è sempre nelle mani dell'oratore che si rivelerà tanto più abile
quanto più riuscirà a dosare nel modo più opportuno l'uso di ciascuna di esse.

IL GENERE GIUDIZIAIO: ACCUSARE E DIFENDERE


Siccome che ogni atto di accusa o di difesa, ruota intorno alla coppia giusto-ingiusto, sarà essa a
essere al centro dell'analisi e l'attenzione sarà focalizzata sulla nozione di commettere ingiustizia (to
adikein) in tutte le sue sfumature.
Punto di partenza è la definizione della nozione commettere ingiustizia: sia dunque il commettere
ingiustizia danneggiare volontariamente contro al legge.
Riguardo l'azione volontaria, Aristotele ricorda che un'azione può esser detta volontaria soltanto
quando è compiuta consapevolmente e senza costrizioni e precisando la differenza tra agire in dolo
volontario e agire in base ad un proposito.
L'analisi del commettere ingiustizia procede con un metodo che consiste nel prendere in
considerazione tre aspetti:
1. per quali e quanti scopi si commette ingiustizia
2. con quale disposizione d'animo
3. nei confronti di quale tipo di persone e le loro rispettive disposizioni d'animo
questi moventi sono tutti riconducibili o al vizio o alla mancanza di controllo
Il punto di partenza è la distinzione tra due gruppi di azioni in base al tipo di causa cui possono
essere ricondotto.
Al primo gruppo appartengono quelle azioni che potremmo chiamare involontarie; l'altro gruppo è
invece costituito dalle azioni che avvengono per causa nostra: sono compiute o per abitudine (ethos)
o per orexis.
Questa orexis può assumere tre forme diverse in grado di dare vita a tre differenti tipi di azioni: il
loghismos, il ragionamento discorsivo che prevede l'azione deliberata umana; il thymos, l'impulso
che è alla base di tutte quelle azioni che compiamo volontariamente ma senza averle realmente
deliberate; l'epithymia, il desiderio in senso stretto, soprattutto quello legato a bisogno corporei, che
è all'origine delle azioni più immediate e meno riflesse.
Anche se queste due ultime azioni pur essendo originariamente aloga, sono comunque in grado di
entrare in relazione con il logos, nel senso che esse sono disponibili all'ascolto e quindi alla
persuasione.
Le azioni umane volontarie hanno due moventi principali, il loghismos e il pathos che
corrispondono rispettivamente alle due parti dell'anima, quella che ha il logos e ragiona e quella
aloga, ma nel senso che anch'essa partecipa in qualche modo del logos. Se le cose stanno
così,l'azione propriamente detta sarà riconducibile alla orexis, declinata nelle sue diverse forme, e
avrà pertanto la ricerca del piacere e la fuga dal dolore.
E' per questa ragione che l0indagine retorica sui moventi dell'ingiustizia si conclude con quella che
potremmo chiamare un topica del piacere consistente in un'analisi di natura endossale su ciò che è
generalmente ritenuto più o meno piacevole.
Finita questa analisi del primo aspetto, Aristotele prende ora in considerazione gli altri due: le
disposizione d'animo con cui si commette e il tipo di persone verso cui si è soliti commetterla.
Un tipico aspetto che predispone all'ingiustizia è, ad esempio, quello di coloro che sono abili nel
parlare o nell'agire o che hanno una grande esperienza di tribunali.
Tra le persone più facilmente soggette a subire ingiustizia ci saranno quelle che hanno maggiore
difficoltà a difendersi.
Il passo successivo dell'indagine sul commettere ingiustizia è una classificazione degli atti ingiusti e
dei differenti tipi di reato, costruita in base alle definizioni e alle osservazioni precedenti. È' in
questo contesto che viene ripresa la distinzione tra legge comune e legge particolare che è a sua
volta connessa con quella tra il giusto in senso stretto e il cosiddetto equo (epieikes).
Aristotele definisce epieikes come la correzione del giusto legale. Quindi epieikes è un tipo
superiore di giustizia consistente nella capacità di applicare la legge in modo flessibile e non
rigoroso, tenendo conto delle circostanze particolare e rivelando comprensione e indulgenza nei
confronti di tutto ciò che è umano.
Quindi il genere epidittico si concentrava su come far risultare migliore o peggiore ciò di cui si
parla, anche nel caso dell'oratoria giudiziaria.

LA PISTIS BASATA SUL PARLANTE: L'ETHOS


La pistis tecnica basata sull'ethos, svolte un ruolo importante nell'impianto della techne retorica: è
Aristotele ad affermare che l'ethos rappresenta quasi la pistis più forte. Precisa inoltre che i mezzi
discorsivi, per risultare in possesso di un certo carattere, possono essere ricavati anche dall'analisi
delle virtù come da quella di alcune emozioni o dalla classificazione dei caratteri, dal momento che
è a partire dagli stessi elementi che si potrà porre sia se stessi sia un altro in una determinata luce.

LA CREDIBILITA'
La pistis si realizza per mezzo del carattere quando il discorso è detto in modo da rendere degno di
fede colui che parla: noi infatti crediamo alle persone corrette in misura maggiore e con più
prontezza e del tutto in quelle che sono prive di rigore ma ammettono una pluralità di opinioni.
Va osservato che qui è in gioco la credibilità che l'oratore riesce ad ottenere grazie al suo discorso.
Si avrà davvero persuasione solo se colui che parla verra ritenuto degno di fede in base alle cose che
dice e al modo in cui le dice e non grazie a pregiudizi estranei al discorso.
La differenza principale dipende essenzialmente dall'assunzione di un punto di vista più teorico
finalizzato all'individuazione delle cause della persuasione. A determinare il cambiamento più
significativo è l'elaborazione della nozione di pistis tecnica, quella escogitata grazie al metodo e
realizzata esclusivamente per mezzo del discorso. E' in quanto pistis tecnica che l'ethos si
differenzia sia dalla fama preesistente dell0oratore, sia il fascino che egli è in grado di esercitare sul
pubblico.
Al contrario, l'ethos dell'oratore inteso come pistis tecnica, non precede il discorso ma risulta da
esso. Si può dire che l'ethos è un prodotto del logos e deve essere pertanto costruito al suo interno.
L'ethos ha tanta realtà quanta ne hanno gli argomenti strettamente logici e la possibilità
dell'insincerità e della manipolazione non riguarda solo questo tipo di pistis ma percorre il discorso
persuasivo nella sua interezza.
A rendere necessario il ricorso a questo tipo di pistis è la natura stessa di ciò che è in gioco in ogni
discorso persuasivo: questioni che non si prestano ad un trattamento rigoroso ma ammettono
sempre molteplici soluzioni.
Per qualificare il tipo di oratore cui prestiamo fede con più facilità, Aristotele utilizza l'aggettivo
epieikes e il sostantivo epieikeia tradotti rispettivamente con corretto e correttezza. Si tratta della
stessa parola usata anche per indicare quel tipo superiore di giustizia contrapposto al giusto legale.
La parola può essere anche sinonimo di buono e di eccellente e si riferisce a persone in possesso
delle migliori qualità morali.
Tra le caratteristiche dell'epieikes c'è la flessibilità che Aristotele contrappone all'eccesso di rigore,
tanto da poter affermare che all'oratore epieikes più di un discorso rigorosi si addice risultare buono.
Chi riesce, grazie al suo discorso, a risultare epieikes, otterrà non solo più facilmente la fiducia del
pubblico ma anche la sua attenzione dal memento che è proprio questo il tipo di oratore più bravo a
condurre l'ascoltatore vero un apprendimento veloce e piacevole che è condizione necessaria per il
successo del discorso persuasivo.

LA QUALITA' DELL'ORATORE
Secondo Aristotele sono 3 le qualità dell'oratore persuasivo: saggezza (phronesis), virtù (aretè),
benevolenza (eunoia). Sono le tre cause che ci spingono a credere in qualcosa.
Ciascuna di esse riguarda un aspetto diverso della generale credibilità dell'oratore: la dimensione
più intellettuale, la prhonesis; quella strettamente morale, l'aretè; quella emotivo-relazionale,
l'eunonia.
Phronesis: si tratta della capacità di formarsi opinioni corrette sugli argomenti intorno a cui si
discute, in vista della decisione da prendere. Questa è per Aristotele la capacità di deliberare bene su
ciò che è in grado di condurci alla felicità. Un oratore che mostrerà di essere phronimos, si
presenterà come un buon consigliere, come uno in grado di orientare gli altri nel prendere decisioni
difficili.
Aretè: riguarda più direttamente le sue inclinazioni morali. La parola aretè è qui usata per indicare
le virtù del carattere, quelle che si formano in base all'abitudine, come il coraggio , la generosità o la
giustizia. Per Aristotele aretè è ciò che tende al medio (meson) tra due estremi ed è sempre riferita
la piacere e al dolore. Mentre prhonesis riguarda i mezzi utili per raggiungere il fine, l'aretè è ciò
che ci spinge a desiderare il giusto. Contribuisce quindi alla costruzione della credibilità dell'oratore
nel senso che il suo possesso lo farà apparire com un individuo che perseguire fini corretti.
Eunonia: sentimento di benevolenza verso gli ascoltatori. L'eunonia non è un aretè ma è connessa
ad essa e svolge un ruolo fondamentale nella vita umana. Aristotele la descrive come qualcosa che
assomiglia ad un sentimento amichevole senza essere amicizia. La benevolenza infatti può essere
provata anche per qualcuno che non si conosce e di nascosto e non implica una forte partecipazione
emotiva. E' quindi definita un specie di amicizia inattiva che se perdura nel tempo si potrebbe
trasformare anche in amicizia. Ed è proprio di questa amicizia inattiva che l'ascoltatore ha bisogno
per fidarsi dell'oratore.
L'eunonia, ha una natura intrinsecamente razionale e mette in gioco non solo le caratteristiche
individuali dell'oratore ma anche la sua capacitò di adattamento all'uditorio, una capacità
fondamentale per il successo del discorso persuasivo. E' proprio per questa ragione che Aristotele
affianca l'eunonia alla prhonesis e alla aretè.

LA PISTIS BASATA SULL'ASCOTATORE: IL PATHOS


Il pathos è il terzo elemento, accanto a logos ed ethos, di cui si compone ogni processo persuasivo,
quello che ruota attorno al fine del discorso, colui che ascolta.
Per una migliore comprensione del peso che Aristotele attribuisce al pathos nella persuasione,
bisogna prima di tutto mettere in discussione l'idea secondo la quale le decisioni migliori sono
sempre quelle prese a mente fredda. Profondamente diversa è ovviamente la prospettiva aristotelica
per cui niente è più lontano da questo ideale di mente fredda. Se è vero che solo il desiderio nelle
sue diverse declinazioni, può spingere gli umani ad agire, un discorso persuasivo che non tenesse
conto della sfera emotiva non potrebbe mai sperare di avere presa sugli ascoltatori e spingerli a fare
una scelta.
Questo ovviamente non esclude che le emozioni possano condurci a commettere errori e a prendere
decisioni scorrette ne che sia possibile un loro uso puramente manipolativo.
Nella prospettiva aristotelica, tra emozione e giudizio si realizza un rapporto complesso che non è
ne di mutua esclusione ne di semplice influenza di un elemento sull'altro. Il giudizio è per Aristotele
un componente essenziale della stessa emozione sia nel senso che spesso le emozioni si fondano su
particolari tipi di giudizio sia nel senso che gli stati emotivi possono a loro volta costruire la base
per la formulazione di un giudizio.
Questo intreccio tra componete cognitiva e quella emotiva emerge dalla definizione di pathe: i pathe
sono ciò in base a cui gli uomini differiscono rispetto ai giudizi e a cui seguono dolore e piacere,
come l'ira, la pietà, la paura e tutte le altre ad esse simili e anche quelle contrarie.
Dal punto di vista della retorica i tratti definitori dei pathe sono due: la relazione con il giudizio e la
presenza di piacere e dolore, entrambi aspetti cruciali per comprendere il ruolo delle emozioni nel
discorso persuasivo che ha come mira un giudizio e non può mai prescindere dalla dimensione del
piacere e del dolore.

UN'ANALISI FILOSOFICA
Dal riconoscimento della natura retorica dell'analisi aristotelica dei pathe non deriva che essa sia
priva di valore filosofico. Sull'argomento domina la tendenza a negare che l'analisi dei pathe
contenuta nella retorica, abbia un reale valore filosofico o scientifico.
Su questo argomento si fronteggiano due diverse linee interpretative: una insiste sulla natura
retorico-dialettica dell'indagine, l'altra tende a considerare quei capitoli come una sorta di prestito
della psicologia filosofica alla retorica.
Questo modo di impostare la discussione sulla teoria aristotelica delle emozioni, è il frutto
dell'atteggiamento di sostanziale svalutazione della retorica alla quale è di fatto negato l'accesso a
verità che non siano il risultato di indagini scientifiche condotte da altre discipline. Se invece, si
attribuisce alla retorica uno specifico dominio teorico e un valore epistemologico diverso, rispetto a
quello delle altre discipline, la questione si pone in modo del tutto differente. Piuttosto che un fatto
di cui stupirsi, diventa un dato significativo.
La domanda da cui bisogna partire è: un'analisi retorica dei pathe, è in grado di far emergere aspetti
filosoficamente interessanti che altre prospettive invece occultano o lasciano sullo sfondo? Si può
rispondere in modo affermativo. Il punto di vista retorico sulle emozioni, contesa di mettere in luce
il nesso tra possesso del logos, emotività e socialità dell'animale umano.
La coesistenza di indagini su uno stesso oggetto condotte da punti di vista diversi, è un aspetto
peculiare del modo di procedere di Aristotele e non un caso limitato alla nozione di pathos.
La difficoltà dell'indagine è esplicitamente riferita ai pathe. Inseparabili dal corpo nel quale si
realizzano, i pathe tes psyches verranno analizzati in modo differente a seconda del punto di vista e
degli obiettivi.
Il dialettico e il filosofico definiranno (Aristotele) ad esempio l'ira, uno ceno desiderio di restituire
un dolore o qualcosa di simile, l'altro come ebollizione del sangue e del calore intorno al cuore.
Quindi uno indica la materia, l'altro la forma e il discorso.
Per Aristotele i due punti di vista sono complementari e non c'è motivo di ritenere che uno sia più
scientifico dell'altro.

TOPICA DELLE EMOZIONI


Nei capitoli precedenti l'analisi dei pathe è condotta da un punto di vista retorico e questo consente
di guardare ad essa come una vera e propria topica delle emozioni. Ci troviamo sistematicamente id
fronte all'esposizione dei luoghi a partire dai quali l'oratore potrà costruire argomentazioni che
tengano conto delle emozioni del pubblico.
Ogni singolo pathos è esaminato e descritto esaminando seguendo un metodo sistematico. Ciascuna
emozione verra definita per essere poi analizzata secondo tre differenti linee guida:
1. chi è incline a provare quella determinata emozione e in quale disposizione d'animo
2. il tipo di persone verso cui è più facile provarla
3. ciò che la provoca
Ciascuno di questi aspetti può essere ricondotto rispettivamente a ciascuno dei tre elementi di cui si
compone ogni discorso: chi parla, colui a cui si parla, ciò di cui si parla.
Il punto di partenza è la definizione: sia dunque l'ira il desiderio, accompagnato da dolore, di palese
vendetta, per una palese offesa, o nei nostri confronti o nei confronti di qualcuno a noi legato,
quando l'offesa non è meritata.
L'ira si prova sempre e soltanto verso un individuo determinato e non nei confronti di una classe o
di una categoria di persone dal momento che, per provare ira è necessario che qualcuno abbia fatto
o stia per fare qualcosa contro di noi o contro qualcuno dei nostri. Come dice Aristotele, all'ira
segue anche un certo piacere che deriva sia dalla speranza di vendicarsi, sai dal fatto che si passa il
tempo a vendicarsi con il pensiero e la rappresentazione mentale che ne deriva produce piacere,
proprio come accade nei sogni.
Già da questa prima descrizione emerge il nesso tra pathos, piacere-dolore e dimensione cognitiva.
L'ira implica sia il dolore sia il piacere derivato dalla speranza di ottenere risarcimento all'offesa
subita.
Tanto il piacere quanto il dolore derivano dalla phantasia loghistike, garantita dal possesso del logos
e connessa con il senso del tempo.
Senza questa phantasia non sarebbe possibile ne credere di aver subito un'offesa immeritata ne
sperare di vendicarsi ne passare il tempo a vendicarsi con il pensiero.
Il sentimento che Aristotele sta analizzato è un pathos realizzato con il concorso del logos. L'ira di
cui Aristotele parla è un intreccio di desideri, fantasie, credenze e speranze, impensabili al di fuori
di quella particolare forma di vita tipica dell'animale che ha logos e vive nella polis.
Lo stesso intreccio si ritrova anche nella nozione di offesa (oligoria) che è la causa principale
dell'ira.
Dopo aver descritto le tre forme tipiche in cui si può manifestare l'offesa che genera l'ira (il
disprezzo-kataohronesis, il dispetto-epereasmos, la tracotanza-hybris) Aristotele prosegue
prendendo in considerazione le situazioni e gli stati d'animo che rendono più suscettibili all'ira e il
tipo di persone che più facilmente la provocano, tutte riconducibili all'oligoria a ai suoi semeia.
Si va in collera soprattutto con ci ci deride e si prende gioco di noi e con tutti coloro che
commettono azioni che sono segno di hybris e con chi disprezza ciò a cui attribuiamo la massima
importanza. Si prova ira nei confronti degli amici perché pensiamo che ci debbano trattare bene, o
verso chi gioisce per le nostre sventure perché ciò è segno di mancanza di rispetto, verso coloro che
non si preoccupano di procurarci sofferenza, tutti comportamenti riconducibili a forme di oligoria.
L'offesa è maggiore quando avviene davanti a cinque diverse categorie di persone:
1. i rivali
2. coloro che ammiriamo
3. coloro da cui desideriamo essere ammirati
4. coloro che rispettiamo
5. coloro da cui siamo rispettati
Dagli esempi riportati emerge la natura endossale delle analisi condotte da Aristotele, nel senso che
ogni pathos è considerato rispetto a ciò che di esso si dice e si pensa nella comunità. Quindi l'analisi
retorica è l'unica analisi possibile per questo tipo di realtà, la più accurata e la più rigorosa.
I CARATTERI
Per caratteri si intende l'insieme delle caratteristiche specifiche di una determinata categoria di
persone. L'analisi è condotta seguendo un metodo sistematico che mira ad individuare tra essi
relazioni di somiglianza, differenza, contrarietà.
Aristotele dice che i caratteri andranno descritti in rapporto a quattro diversi elementi:
1. le passioni
2. le disposizioni nei confronti di virtù e vizio
3. l'età
4. la fortuna
I primi due aspetti sono già stati trattati nei capitoli precedenti. Andiamo ora ad analizzare gli altri
due.
Vengono distinti tre differenti tipi di caratteri in rapporto all'età (giovani, vecchi, uomini maturi) e
quattro in rapporto ai beni dipendenti dalla sorte (nobili, ricchi, potenti, fortunati).
Le prime tre categoria di persone sono descritte secondo lo schema eccesso-difetto-medierà: i </p>

caratteri dei giovani e dei vecchi sono rappresentati come opposti mentre quelli degli uomini maturi
come il medio tra i due estremi. I giovani sono tendenzialmente coraggiosi, impulsivi, passionali.,
collerici, i vecchi sono più inclini ad avere paura e sembrano più temperanti perché hanno desideri
più deboli o si sono abituati a tenerli a bada. I giovani sono fiduciosi e sempre pronti a sperare, i
vecchi sono generalmente diffidenti, poco inclini alla speranza e vivono nel ricordo.
Entrambi però commettono ingiustizie: i giovani per arroganza e i vecchi per cattiveria.
Entrambi provano compassione: i giovani per umanità, i vecchi per debolezza.
Tra i due estremi si collocano gli uomini maturi che possiedono unite le qualità positive che
giovinezza e la vecchiaia si dividono e hanno in misura equilibrata quello che negli altri è in
eccesso o in difetto.
La descrizione degli altri quattro caratteri, è condotta mettendo in evidenza somiglianze e
differenze, accomunate dal fatto di essere in possesso di beni ricevuti in sorte, nobiltà di nascita
(eugheneia), ricchezza (ploutos), potere (dynamis), buona fortuna (eutychia).
I nobili per nascita sono per la maggior parte persone di poco valore, più ambiziose e inclini a
disprezzare gli altri.m
i ricchi tendono ad essere arroganti e insolenti, dediti al piacere e boriosi, le loro cattiverie derivano
da arroganza e intemperanza.
I potenti hanno caratteristiche simili a quelle dei ricchi ma risultano migliori in certi aspetti: sono
più ambiziosi e di carattere più virile, più seri perché sono costretti a tenere d0occhio quel che è
connesso al loro potere, amano la solennità e il fasto e se commettono ingiustizia, lo fanno in
grande.
Il carattere dei fortunati corrisponde a quelle degli altre tre: le persone fortunate hanno spesso anche
una posizione di superiorità rispetto ad una felice discendenza e al benessere fisico e diventa più
arroganti e irrazionali. La migliore conseguenza della fortuna è un atteggiamento di maggiore
fiducia nelle divinità, dovuto al fatto di avere ricevuto in sorte molti beni.
La conoscenza di questi tipi, è certamente utile all'oratore, purché sappia integrarla con quella delle
circostanze particolari e del particolare uditorio al quale si sta rivolgendo.

CAPITOLO 5 – LA LOGICA DELLA PERSUASIONE

UNA LOGICA RETORICA


L'espressione logica retorica, vuole mettere in evidenza che l'introduzione degli strumenti dialettici
in ambito retorico comporta l'elaborazione di un apparato concettuale adatto alle caratteristiche
specifiche del discorso retorico. Retorica e dialettica condividono molti elementi ma hanno scopi
differenti che condizionano anche le caratteristiche delle rispettive modalità argomentative.
Il discorso dialettico mira a stabilire una tesi generale attraverso domande e risposte brevi con un
singolo interlocutore. Il suo scopo è di natura teoretica e il suo procedere è tipicamente dialogico. Il
retore, invece, deve fare prendere una decisione su una questione particolare ad un pubblico
numeroso e deve farlo grazie alla forza del suo discorso. Quindi il suo scopo ha un natura pratica e
il procedere è di natura pratica e il suo procedere è tipicamente monologico.
Questa differenza di obiettivi ha conseguenza sia sulla relazione tra i partecipanti sia sulla struttura
delle argomentazioni.
Nel caso del dialogo dialettico, colui che interroga e colui che risponde svolgono alternativamente il
ruolo di parlante e ascoltatore, dove entrambi sono esperti dell'argomento.
Nel caso del discorso retorico, l'oratore non parla quasi mai ad un singolo individuo ma di solito ad
un gruppo numeroso ritenuto meno esperto dell'oratore. Quindi, nonostante inferiore, nel discorso
retorico è il pubblico il vero protagonista del discorso, che, anche se non è autorizzato ad intervenire
durante lo svolgimento dell'argomentazione, non è spettare passivo. Anzi, dal momento che è dal
suo giudizio che dipende l'efficacia degli argomenti usati, l'ascoltatore-giudice è un momento
essenziale del processo persuasivo, il suo telos.

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