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Questo libro mette in evidenza la retorica, nel modo in cui ci da una visone originale dell'animale
umano, la sua capacità di persuadere prima di tutto se stesso e gli altri.
Attraverso l'indagine su ciò che può risultare persuasivo, Aristotele mette in evidenza la natura
umana e ci fa riflettere su ciò che lega desiderio, socialità e linguisticità nell'animale umano.
Per Aristotele ciò che ci distingue dagli animali non umani sono due:
– il possesso del logos
– una specifica forma di socialità, la città polis
Ciò che Aristotele dice in un passo del primo libro della Politica è che la socialità mira non solo al
vivere ma al vivere bene, cioè alla felicità: “perciò è chiaro che l'uomo è un animale politico più di
ogni animale che vive in gruppo. L'uomo è l'unico animale che ha il linguaggio che esiste per
mostrare ciò che è utile e ciò che è dannoso e quindi anche ciò che è giusto e ciò che è ingiusto.
Questo è specifico dell'uomo rispetto agli altri animali” (pol. 1253A 0-18)
Per capire bene queste affermazioni è necessario che logos e polis vengano considerati come due
aspetti legati fra loro.
È grazie al logos che gli animali umani diventano capaci di comprendere le coppie di valori
bene/male, giusto/ingiusto, utile/dannoso, su cui la polis si fonda e che si proiettano verso la felicità.
Dall'altra parte è nella polis che gli animali umani entrano in possesso del logos.
Per rendere chiaro ciò che viene detto
UN'OPERA FILOSOFICA
In queste pagine la lettura della retorica è basata sulla convinzione che sia un'opera filosofica e che
abbia il suo centro sulla nozione di “persuasivo” pithanon.
Le motivazioni che hanno portato a dubitare che il testo sia stato “tradito” dipendono dalla
complessità dei manoscritti e dalla difficoltà di ricostruire ciò che vogliono trasmettere.
L'ipotesi più diffusa riteneva che l'opera fosse una sovrapposizione di almeno 2 trattati scritti in
epoche diverse e successivamente unificati anche se non sotto la supervisione di Aristotele.
L'ipotesi più complessa della stratificazione del testo si deve al tedesco Solmsen che ha applicato
alla retorica lo schema interpretativo di Werner Jaeger.
Secondo questi studiosi, il pensiero di Aristotele ha avuto una notevole evoluzione.
Nel caso della Retorica, questa evoluzione consiste nel passaggio da una prima fase platonica, in cui
Aristotele ha sostenuto una retorica ideale, nella quale avrebbero avuto diritto di cittadinanza solo
mezzi di persuasione razionali, fino ad arrivare ad una concezione pragmatica e realistica che
hanno ammesso anche mezzi irrazionali ed emotivi.
La maggior parte degli studiosi oggi ritiene la retorica un'opera unitaria anche se ammettono che
questa possa aver subito diverse stesure e manipolazioni.
Ad oggi la retorica si compone di 3 libri : i primi due sono dedicati all'inventio , cioè il metodo di
trovare argomenti, mentre il terzo si dedica all'elocutio, cioè elaborazione verbale degli argomenti e
alla dispositio che è l'ordine in cui disporre gli argomenti.
L'opera non era destinata alla pubblicazione in quanto ha la struttura di appunti di lezioni ed è
probabile che la struttura originaria sia stata modificata da interventi ma non da parte di Aristotele.
La maggior parte degli studiosi, comunque oggi concorda che la retorica sia un testo unitario anche
se il pregiudizio per quest'opera non sia scomparso del tutto .
Secondo Johnatan barnes, i tre libri della retorica non costituiscono un'opera unitaria in quanto è
l'oggetto stesso della retorica ad essere “intrinsecamente frammentario”: la retorica riguarda logica,
psicologia morale, linguaggio e non c'è alcun principio che leghi tutti questi aspetti.
In questo testo si vuole mostrare che esiste il principio di unificazione che Barnes nega e che è
rintracciabile nella nozione di “persuasivo”.
Aristotele da alla parola persuasione un un ruolo importante nella sua riflessione ed è per questo che
la retorica di Aristotele vuole fornire una riflessione teorica per scoprire per ogni argomento, ciò che
può risultare persuasivo.
L'ANIMALE RETORICO
Il riferimento alla persuasione ricorre spesso in numerosi luoghi del corpus aristotelico. Questo
riferimento è espresso dalla forte presenza dei termini che appartengono alla categoria di peitho
(persuado). Il significato del verbo nella forma media è lasciarsi persuadere, avere fiducia, dare
ascolto, obbedire. Nella forma attiva significa persuadere, convincere, indurre, sedurre.
Dal verbo persuadere deriva il sostantivo peitho che significa persuasione inteso come capacità di
persuadere.
Altri due termini importanti per il nostro discorso sono l'aggettivo pistos che significa degno di
fiducia, fedele, leale, credibile e il sostantivo pistis che significa fiducia, fede, credenza,
convinzione, persuasione.
La parola pistis era utilizzata sia per indicare la fiducia accordata a qualcuno o a qualcosa sia per
indicare la credibilità goduta e le garanzie. Proprio dal significato di garanzie (oggetti materiali o
discorsi in base ai quali veniva concessa la fiducia) si è consolidato l'uso tecnico-giuridico della
parola pistis, per indicare le prove in tribunale.
Abbastanza frequente nel linguaggio aristotelico è l'uso del verbo pistewo (deriva da pistos) che
significa vare fiducia, credere e l'uso dell'aggettivo pithanos che in italiano significa persuasivo.
Quindi, ciò che noi oggi chiamiamo persuasione, era per i greci un termine usato per indicare
fiducia. La persuasione occupa un ruolo centrale nella definizione della natura dell'animale
linguistico e politico.
Questa centralità è resa chiara dal fatto che Aristotele ricorre spesso alle parola dell'area semantica
di peitho e ad immagini legate all'esperienza del persuadersi sia quando descrive la specifica
cognitività umana sia quando mostra il particolare modo in cui si organizza l'universo dei desideri
dell'unico animale che ha il logos.
UN EQUILIBRIO INSTABILE
Una delle caratteristiche del discorso persuasivo è la sua costitutiva apertura. Esso non ha carattere
coercitivo, ma lascia spazi sia a fraintendimenti sia alla scelta di agire in modo differente.
Questa costitutiva apertura del discorso persuasivo svolge un ruolo cruciale nella retorica.
Sostenere che la persuasione svolge il ruolo di interfaccia tra la componente alogon e quella echon
logon non significa attribuire al logos un potere assoluto e onnivoro; anzi, si evidenzia piuttosto
quella di un conflitto e non quella di un pacifico idillio.
La perfetta concordia, “l'andare all'unisono in tutto e per tutto con il logos” è solo una delle
possibilità (tipica dell'uomo eccellente spoudaios.
Stando alle descrizione dell'etica Nicomachea, l'universo dei desideri che costituiscono la parte
alogon , assomiglia più a un bambino disubbidiente o a uno schiavo frettoloso, capace di ascoltare e
lasciarsi persuadere ma anche di fraintendere e agire autonomamente
(EN 1149a 25-b)
thymos (tradotto con impulsività) ed epithymia (appetito) sono per Aristotele due diverse forme di
desiderio (orexis) che intrattengono un diverso rapporto con il logos.
Thymos è una esemplificazione di quella componente aloga dell'anima umana che tuttavia partecipa
in qualche modo al logos. Sembra che il thymos non solo sia capace di ascoltare ma anche di
elaborare in proprio, qualche forma di argomentazione (sylloghisamenons)
l'epithyma invece, che è il desiderio immediato di ciò che è piacevole e è incapace di differire la
soddisfazione, sembra non essere in grado di seguire il logos.
Subito sembra che l'epithymia appartenga unicamente all'aspetto della componete aloga dell'anima
umana del tutto estranea al logos ma se consideriamo più attentamente l'affermazione si vede che
anche l'epithymia ha una qualche relazione con il logos.
Aisthesis e logos possono essere considerati come punti di partenza dell'epithymia. Un esempio si
>trova del De Motu Animalium dove per Aristotele, la relazione tra epithymia e capacita cognitive è
rappresentata da un dialogo.
“devo bere, dice l'appetito (epithymia); qui c'è acqua dicono le sensazioni (aisthesis), la
rappresentazione mentale (phansasia) o il pensiero (nous) e subito l'animale beve.”
la differenza tra epithymia e thymos, va ricercata in un diverso rapporto che ciascuna delle due
forme di orexis intrattiene con il logos.
L'epithymia ha un carattere di maggiore immediatezza che è ciò che le impedisce o le rende difficile
il differimento della soddisfazione.
Come ribadisce spesso Aristotele, l'epithymia è in stretta relazione con la sensazione del piacere e
del dolore dal momento che essa è appunto il desiderio del piacevole e perché si dia piacere e
dolore è sufficiente avere il senso del tatto.
Ciò che l'epithymia non è in grado di fare è l'elaborazione di qualche forma di elaborazione
(sylloghismos) ed è per questo che non è capace di seguire il logos.
Questa incapacità può essere collegata anche alla stessa incapacità dell'epithymia di tenere conto del
futuro, dal momento che senso del tempo e capacità di ragionare sono tra loro connesse.
Nel lessico aristotelico va ricordato il verbo akolytheo che non ha solo il significato generico di
seguire ma anche un secondo significato tecnico usato per indicare il conseguire di una conclusione
delle premesse ed è dunque strettamente legato al verbo sylloghizesthai che significa ragionare e
argomentare.
l'epithymia non si colloca totalmente al di fuori del dominio linguistico, dal momento che essa può
essere innescata non solo da una sensazione ma anche da un logos.
Ed è su questa possibilità che si fonda la distinzione tra due differenti tipi di epithymia nella quale
gioca un ruolo cruciale la persuasione.
“dei desideri epithymiai, alcuni sono a-linguistici (alogoi) e altri si formano con concorso del
linguaggio (metà logou).
A-linguistici sono i desideri che non desiderano a partire da un atto riflessivo. Sono detti naturali
(physei), come quelli che hanno origine dal corpo: ad esempio il desiderio di nutrimento, la sete, la
fame.
Nascono invece con il concorso del linguaggio (metà logo) i desideri che desiderano a partire
dell'essere stati persuasi (ek tou peisthenai epithymousin), molte cose infatti non desideriamo
vederlo o possederlo o perché ne abbiamo sentito parlare o perché ce ne hanno persuaso.”
Anche qui come in altri luoghi abbiamo da una parte i desideri (epithymiai) che si collocano al di
fuori della sfera linguistica e hanno come molla di innesco la sensazione (aisthesis) e dall'altra
quelli che si formano con il concorso del linguaggio (metà logou) che hanno come punti di partenza
un logos persuasivo.
I desideri che nascono con il concorso del linguaggio sono infatti quelli che desiderano a partire
dall'essere stati persuasi e la persuasione si conferma cosi come uno dei modi in cui il logos
concorre a realizzare la specie-specificità dell'animale umano.
L'orexix, il desiderio, non ha una sede specifica ma la sua presenza pervade la psyche assumendo
forme diverse capaci di entrare in relazione con il logos in modalità differenti.
L'immagine che Aristotele vuole dare della relazione fra le diverse componenti dell'anima umana è
quella dell'ascolto e della persuasione, che non solo possono fallire, ma anche quando riescono non
annullano la specificità di ciascun elemento.
Il logos ha un potere persuasivo ma nonostante ciò ha bisogno del desiderio.
Da solo il logos non può rappresentare il movente di nessuna azione dal momento che soltanto
l'orexis, il desiderio, è in grado di muovere l'animale.
Le facoltà cognitive in senso stretto – il nous (pensiero), la dianoia (ragione discorsiva), la doxa
(opinione),l'episteme (sapere), la phantasia (capacità di formare rappresentazioni mentali) e
l'aisthesis (percezione sensibile) sono necessarie al movimento dell'animale umano ma possono
diventare movente dell'azione solo a pattodi entrare in relazione con l'orexis. Queste possono
svolgere un ruolo concreto nella prassi umana solo in quanto hanno come punto di partenza
l'oggetto del desiderio: infatti quando la phantasia si muove, non si muove senza il desiderio (aneu
orexeos) e il pensiero discorsivo (dianoia) non muove nulla se non in quanto ha un fine ed è pratico.
Questo intreccio si fa più evidente quando è in gioco la scelta ponderata , la proairesis, appannaggio
esclusivo dell'essere umano adulto. La scelta condivide sia il pensiero discorsivo (dianoia) sia il
desiderio (orexis) ed è costituita dal pensiero (orexis) e dal discorso che è in vista di qualcosa.
Essa è quindi definita come desiderio deliberato (bouletike orexis) di ciò che dipende da noi.
Avendo come suo obiettivo la deliberazione e quindi l'azione, il discorso persuasivo è un logo in
continua ricerca di accordo con il desiderio.
I discorsi che possono essere persuasivi sono quelli realizzati con il concorso del desiderio e
comunque non senza desiderio.
CAPITOLO 2 – ELOGIO ALLA RETORICA
CONTRO I TECNOGRAFI
L'insistenza sulla natura tecnica della retorica ha anche altri destinatari che sono coloro che hanno
composto arti dei discorsi. Aristotele dice che questi si sono occupati solo di una piccola parte della
retorica trattando solo aspetti secondarie e hanno trascurato le argomentazioni (pisteis) che
rappresentano l'unico argomento interno alla techne.
Esattamente non dicono nulla sugli entimemi che sono invece il corpo della persuasione (soma tes
pisteos) mentre trattano per la maggior parte questioni estranee all'argomento (exo tou pragmatos).
Quindi Aristotele mette al centro della techne l'entimema. Con questa parola Aristotele indica
l'argomentazione retorica per eccellenza, il sillogismo retorico. Per Aristotele gli entimemi sono
come il corpo della persuasione.
Per quanto riguarda le questioni estranee all'argomento è Aristotele ad indicare cosa significa ed
aggiunge: “la calunnia, la pietà, l'ira e simili passioni dell'anima non riguardano l'argomento in
questione ma si riferiscono al giurato. Non si deve distorcere il giurato spingendolo all'ira, all'odio e
alla pietà:sarebbe come sei si deformasse il metro di cui ci si deve servire.
Sembra che Aristotele voglia escludere il ricorso all'appello emotivo della techne, ritenendolo un
elemento di disturbo in grado soltanto di forviare l'ascoltatore.
Se così fosse non si spiegherebbe però ne la grande attenzione che dedica all'analisi dei pathe ne
l'inclusione del pathos tra le cosiddette pisteis tecniche.
ciò che Aristotele sta escludendo non è il ricorso alle emozioni tout court ma il suo uso intrinseco
estraneo all'argomento, espressione questa che si rivela essere il nucleo centrale della critica
aristoteliana.
Ciò che è sbagliato per Aristotele, è far leva sui sentimenti del giudice in un modo non pertinente
all'argomento in discussione.
Quello che Aristotele rimprovera ai suo rivale è il non aver saputo trasformare l'appello estrinseco
alle emozione del giudice in una pistis (argomentazione) e più precisamente in una argomentazione
tecnica costruita in base al metodo.
Per Aristotele le altre retoriche si riducono ad una raccolta di precetti. Non sono vere e proprie
technai in quanto mancano prima di tutto di una riflessione sulle cause della persuasione.
Le questioni trattate dai rivali, sono estranee all'argomento in quanto non inserite all0interno di una
riflessione sul metodo. Fuori dalla techne, sono come il campionario di scarpe che pretendi di
sostituirsi all'insegnamento.
IL RAGIONAMENTO RETORICO
La capacità di coinvolgere anche la sfera del desiderio può essere considerata una delle
caratteristiche specifiche dell'argomentare retorico, in gradi di distinguerlo anche da quello
dialettico. Le forme tipico di questo argomentare sono l'entimema e l'esempio ai quali si può
accostare anche la massima (gnome), sebbene essa sia in realtà una parte dell'entimema.
Aristotele considera entimema ed esempio com il corrispondente retorico della deduzione e
dell'induzione.
Questa corrispondenza ha tra i suoi obiettivi quello di mostrare come anche il discorso retorico
possa essere analizzato utilizzando l'appartato concettuale logico-dialettico. Aristotele fa qui
esplicito riferimento ad un principio generale secondo cui le nostre conoscenze sono ottenute o per
via deduttiva o per via induttiva: ogni nostra convinzione si realizza o attraverso un sillogismo o a
partire da una induzione. Questo principio è espresso nel passo d'inizio degli Analitici Secondi dove
si trova anche il riferimento alle argomentazioni retoriche.
Esempio ed entimema rappresentano dunque le tipiche forme del ragionamento retorico e fra di esse
non vien stabilita una vera e propria gerarchia anche se Aristotele ritiene che i discorsi entimematici
riscuotano generalmente più successo rispetto a quelli basati su esempi.
Entimemi ed esempi risultano più o meno adatti a seconda delle circostanze: entimemi sono
consigliati soprattutto nei discorsi giudiziari mentre gli esempi si rivelano indicati in quelli politici.
Sia l'entimema sia l'esempio hanno come ambito di riferimento le realtà che possono essere
diversamente da come sono. Si riferiscono ad oggetti intorno ai quali deliberiamo e noi deliberano
intorno a ciò che sembra ammettere almeno due possibilità.
LE PREMESSE
Una importante conseguenza del riferimento all'ambito del per lo più riguarda la natura delle
premesse da cui deve prendere le mosse il ragionamento retorico. E' lo stesso Aristotele a trarre
questa conseguenza quando mette in stretta relazione il fatto che soltanto poche delle premesse da
cui derivano i sillogismi retorici sono necessarie con la considerazione secondo cui la maggior parte
delle questioni che sono oggetto di giudizio ed indagine, possono essere anche in modo diverso
poiché gli uomini deliberano ed esaminano quello che stanno facendo e tutte le azioni sono di
questo genere mentre nessuna è necessaria.
La natura dei contenuti condizione quella delle premesse e da questa dipende a sua volta il tipo di
sillogismo che si potrà costruire e il tipo di conclusione che potrà essere dedotta.
Quindi, dal momento che le questioni retoriche ricadono nell'ambito di ciò che può essere
diversamente da come è, sarà molto raro che le premesse dei sillogismo retorici godano del
requisito della necessità.
Questa caratteristica ha acquistato molta importanza tanto da svolgere il ruolo di un vero e proprio
tratto definitorio dell'entimema, spesso qualificato come sillogismo costruito su premesse probabili.
Viene qui trattato non tanto una definizione di entimema quanto l'analisi del tipo di premesse su cui
esso si basa che sono eikota (verosimiglianze, probabilità) e semeia (segni).
EIKOTA
Gli eikota, appartenevano già all'appartato concettuale dell'oratoria e della retorica del tempo e
rappresentavano un tipo particolare di pisteis, accanto a indizi (tekmeria) e testimonianze (martyres)
di cui l'oratore poteva servirsi per sostenere la propria tesi.
La parola greca eikos, appartiene alla stessa area semantica del verbo eisko (paragonare, ritenere) e
del sostantivo eikon (immagine).
Nel suo significato più ampio, esprimeva un'idea di adeguatezza indicando ciò che era ritenuto
adeguato o appropriato rispetto a una norma o a una consuetudine generalmente accettata. In molti
contesti, la parola è utilizzata per riferirsi a ciò che è solito accadere ed è adeguato a quella
determinata circostanza.
Secondo la descrizione platonica, meiosi e verità sembrano rappresentare per il discorso retorico un
vera e propria alternativa. La relazione che Platone intuisce tra eikos e verità non è una relazione di
generica opposizione; si tratta di una relazione di somiglianza nella quale l'eikos svolge il ruolo
della copia mentre la verità quello dell'originale. Per Platone, l'eikosnon gode di una sua autonomia
ma può avere un valore solo a condizione di subordinarsi alla verità nella quale trova il suo
fondamento.
La concezione di Aristotele di eikos, si allontana da questo atteggiamento e si può anzi affermare
che ci troviamo di fronte ad uno degli aspetti di maggiore distanza tra Aristotele e il suo maestro.
Per molti versi, il modo in cui l'eikos è trattato nel corpus aristotelico sembra riportarlo al suo
significato tradizionale e in particolare a quell'aspetto dell'adeguatezza che rappresenta uno dei
tratti peculiari dell'area semantica di questa parola.
Per chiarire meglio Aristotele da due descrizioni della nozione eikos; si tratta di un passo della
Retorica secondo cui le premesse retoriche sono eilota e semeia: eikos è ciò che accade per lo più
non però in senso assoluto (ouk aplos) ma ciò che sta in rapporto a ciò rispetto a cui è eikos come il
generale rispetto al particolare.
Eikos è una premessa endossale (protasis endoxos). Nell'ambito di ciò che accade per lo più, ciò che
si sa che è accaduto e non è accaduto che è o non è, giusto è eikos come per esempio che gli
invidiosi odiano o che gli amati amano.
In entrambi i casi l'eikos è collocato nell'ambito di ciò che può essere diversamente da come è e di
ciò che accade per lo più. Esso si distingue, pertanto, sia da ciò che p del tutto casuale sia dal
necessario, gode di una sua autonomia ed è conoscibile anche se la sua conoscenza sarà sempre
esposta all'errore e confutabile.
L'eikos è una preposizione (protasis) e una protasis endoxos (accreditata, in fama) aggettivo con il
quale Aristotele qualifica le premesse del sillogismo sia retorico sia dialettico.
Questo tipo di premesse endossali, esprime un sapere non indiscutibile e largamente condiviso. E' in
questo senso che l'eikos può essere descritto anche come ciò che si sa ed è così che esso può
svolgere il ruolo di giustificazione nell'ambito di un ragionamento per lo più. A partire da una
protasis endoxos è possibile costruire un sillogismo le cui conclusioni, possono essere accettabili
ossia sufficientemente giustificate.
Un altro aspetto importante riguarda il carattere relativo e non assoluto dell'eikos. Si tratta di una
nozione relativa ( pros ti) nel senso che esso va sempre concepito in riferimento a qualcos'altro. La
confusione tra ciò che è eikos assoluto e ciò che lo è soltanto in senso relativo è uno dei luoghi degli
entimemi apparenti su sarebbe interamente basata la tecnica eristica.
L'esempio più celebre di questa tecnica è il cosiddetto corax (dal nome del retore Corace): se un
uomo debole è accusato di aver picchiato uno più forte può difendesi dall'accusa sostenendo che
non è eikos che ciò sia accaduto, mentre se ad essere accusato è l'uomo forte, potrà difendersi
sostenendo ugualmente che non è eikos che egli sia consapevole, proprio perché sarebbe stato il
primo a essere sospettato. L'inganno consiste nell'usare la nozione eikos sia in senso assoluto sia in
senso relativo senza precisare la circostanza, la relazione e il modo, facendo apparire eikos ciò che
in effetti non lo è, o lo è solo in certe particolari circostanze.
Eikos ha anche un carattere generale (katholou) nel senso che il rapporto che esse istituisce con ciò
rispetto a cui è eikos, è un rapporto analogo a quello tra il generale e il particolare.
Per Aristotele l'eikos è un sorta di regola generale per lo più in base alla quale è possibile esprimere
giudizi ragionevolmente fondati. Può essere sia vero sia falso ma questo non autorizza a concludere
che il discorso che si basa si eikota sia disinteressato alla verità.
Esso è uno dei mezzi per cercare di accertare una verità, come quella specifica dei discorsi retorici.
Il reale valore del giudice consiste nella capacità di valutare caso per caso, l'essere realmente eikos
gli argomenti dei contendenti. E' una abilità fondamentale nella prospettiva aristotelica .
Avere quello che potremmo chiamare il senso delle circostanze è una delle caratteristiche che
Aristotele attribuisce all'uomo di valore (spoudaios) e gioca un ruolo importante anche nella
valutazione e nella costruzione dei discorsi persuasivi. </p>
SEMEIA
Accanto agli eikota, l'altro tipo di premessa in grado d dar vita ad un sillogismo retorico è
rappresentato dai semeia (segni), distinti da Aristotele in segni necessari, detti tekmeria, e segni non
necessari, privi di un nome specifico. I luoghi del corpus sono gli stessi che abbiamo preso in esame
a proposito della nozione di eikos.
I termini semeion e tekmerion erano già utilizzati in contesti relativi a forme di conoscenza
inferenziale. Il sostantivo semeion aveva originariamente il significato di contrassegno , segnale,
segno di riconoscimento ma anche segno divino, e molto presto inizia comincia ad essere utilizzato
nel senso di prova, sia come punto di partenza sia come verifica di un ragionamento di tipo
inferenziale.
Il verbo tekmairesthai, era usato originariamente solo in contesti religiosi per indicare l'attività di
previsione tipica dell'indovino che con il tempo passa al significato di congetturare.
Semeia e tekmeria, nell'oratoria giudiziaria, erano utilizzati per indicare un tipo particolare di pisteis
in grado di rafforzare la tesi dell'oratore.
Nella letteratura prearistotelica, semeia e tekmeria, erano già strumenti di una conoscenza che è
tuttavia l'unica accessibile agli uomini e gode comunque di un certo grado di attendibilità.
Caratteristica comune ad entrambi questi strumenti di conoscenza è di essere immediatamente
accessibili ai sensi e perciò più facilmente conoscibili della realtà cui rimandano, una realtà che può
essere inaccessibile e rispetto alla quale semeion e tekmerion rappresentano l'unica via di accesso,
per quanto fallibile. La principale novità introdotta da Aristotele consiste nel trattamento della
coppia semeion/tekmerion dal punto di vista della sua sillogistica e nella considerazione dei semeia
on più come pisteis separate ma come premesse di un sillogismo.
Come l'eikos, anche il semeion vuole essere una premessa dimostrativa o necessaria o endossale.
Il segno è qualcosa che si verifica regolarmente prima o dopo qualche altro evento e che può essere
considerato segno di esso.
L'elemento della relazione che svolge la funzione di segno deve essere più noto o più facilmente
accessibile rispetto al designato.
Una volta stabilito a quali condizioni una certa realtà può essere detta segno di un'altra, Aristotele
distingue tre diverse classi di segni:
1. segno necessario (tekmerion): sta in relazione al designato come il particolare rispetto al
generale e può svolgere la funzione del termine medio in un sillogismo di prima figura. Esempio: ha
partorito, infatti ha latte; è malato, infatti ha la febbre. Avere latte e avere la febbre sono segni di
avere partorito ed essere malato. Si tratta di segni che possono fungere da termine medio di un
sillogismo di prima figura, mentre il designato svolge il ruolo di estremo maggiore. Si tratta
dell'unico tipo di segno che può dare vita ad un entimema inconfutabile (alytos) a patto che le
premesse siano vere.
2. Segno non necessario che, rispetto al designato, si comporta come il generale rispetto al
particolare e può dare origine ad un sillogismo di seconda figura. Esempi: è gravida, infatti è
pallida; ha la febbre, infatti respira affannosamente. Il pallore e il respiro affannoso sono segni
dell'essere gravida e dell'avere la febbre ma la loro estensione è maggiore rispetto a quella del
designato. I sillogismi corrispondenti sono costituiti in seconda figura in quanto il segno è predicato
di entrambi gli estremi. Questo tipo di segni non gode del requisito della necessità e l'entimema è
sempre confutabile.
3. Segno non necessario che, rispetto al designato, si comporta come il particolare rispetto al
generale ma da luogo a sillogismi di terza figura. Esempi: i sapienti sono onesti, Pittaco infatti era
onesto; i sapienti sono giusti,infatti Socrate era sia sapiente sia giusto. Il sillogismo basato su questa
terza classe di segni è di terza figura in quanto il termine medio (Pittaco) è soggetto sia nella
premessa maggiore (Pittaco è sapiente), sia nella minore (pittaco è onesto) ma non è valido.
Fatta eccezione per i tekmeria, questo tipo di premesse da vita ad inferenze che non sono
necessariamente valide e sono pertanto sempre esposte alla confutazione. </p>
PREMESSE ENDOSSALI
Le premesse retoriche, siano esser eikota o semeia, se vogliono realmente svolgere il loro ruolo,
dovranno essere anche endoxa.
L'aggettivo endoxos, è composto dalla preposizione en (in) e dal sostantivo doxa (opinione, fama).
In senso letterale, indica ciò che è radicato nell'opinione ed è pertanto famoso ma anche stimato.
La nozione è elaborata e definita nelle opera dialettiche e si può anzi affermare che il suo uso in
ambito retorico rappresenta una delle principali manifestazione dell'antistrophia tra le due
discipline.
Oggi è stato riconosciuto che la nozione aristotelica di endoxa è priva di connotazioni negativa e
svolge un ruolo cruciale nel metodo aristotelico. La doxa su cui gli endoxa si radicano non è
l'opinione contrapposta alla verità ma ciò che è ritenuto vero e per questo accettato.
L'attenzione cade su adesione a queste verità che può naturalmente anche essere mal riposta, ma che
di certo non esclude che le argomentazioni fondate su endoxa possano condurre a conclusioni vere.
Per Aristotele quindi endoxa e verità non coincidono ne si escludono a vicenda , ma si intrecciano in
modo complesso.
La dimensione del consenso svolge un ruolo cruciale tanto nel dialogo dialettico quanto nel
discorso retorico. Non stupisce che sia le premesse del sillogismo dialetto sia quelle dell'entimema
debbano essere endoxa. Per risultare efficaci e ottenere l'attenzione, questo tipo di ragionamenti
dovranno avere come punto di partenza affermazioni generalmente accettate, pena a noia o
l'incomprensione.
La capacità di selezionare gli endoxa più adatti alle circostanze, è una delle abilitò richieste tanto al
dialettico quanto al retore. Non tutti gli endoxa godono dello stesso grado di autorevolezza e non
sono mai del tutto immuni dall'onere della prova. Per poter indebolire un endoxon sarà comunque
necessario appoggiarsi su alari endoxa altrettanto radicati rispetto a quello che si intende discutere.
L'endossalità non è soltanto una qualità delle premesse dei sillogismo retorici e dialettici ma anche
una caratteristica del discorso persuasivo in generale nel quale l'ascoltatore svolge il ruolo di fine.
Sebbene l'endossalità sia il tratto di maggiore somiglianza tra il discorso retorico e quello dialettico,
neppure in questo caso ci troviamo di fronte ad una identificazione.
La differenza principale tra gli endoxa retorici ed endoxa dialettici consiste nella diversa modalità
su cui essi vengono assunti. In caso di dialogo dialettico, ogni singola premessa deve esser accettata
dall'interlocutore e su questo consenso esplicito si fonda la stessa possibilità di proseguire
nell'argomentazione. Diversa à la situazione del monologo retorico nel quale l'oratore deve essere in
grado di prevedere quali risulteranno più accettabili.
I LUOGHI
Topos (luogo) sono sillogismi dialettici e retorici quelli a proposito dei quali parliamo di luoghi. E'
uno degli aspetti che la retorica condivide con la dialettica anche se è una relazione di antistrophia:
tra la topica dialettica e quella retorica vi è solo somiglianza ma non identità. La topica retorica ha
un grado di generalità minore rispetto a quella dialettica e tiene conto anche di considerazione di
natura etica e psicologica che sembrano invece assenti o marginali nella dialettica.
Si può affermare che i luoghi sono le fonti a partire da cui l'oratore costruisce le sue
argomentazioni.si tratta di schemi argomentativi che vengono applicati ai casi specifici e ai quali
possono venire ricondotti i singoli entimemi. E' per questo che Aristotele può dire dei luoghi sia che
essi sono gli elementi (stoicheia) dell'entimema, sia ciò a cui si riconducono gli entimemi.
Per Aristotele il topos è una sorta di matrice in grado di generare argomenti ogni volta diversi. E' in
questo senso che va intesa l'identificazione tra luogo ed elemento.
Nella prospettiva aristotelica infatti gli stoicheia sono i componenti ultimi di qualcosa. Dire che i
topoi sono gli elemnti degli entimemi significa che essi possono essere intesi come unità minime
non ulteriormente divisibili a partire dalle quali è possibile generare una serie di entimemi che
condividono lo stesso topos ed è per questo che esse può essere considerato anche ciò a cui si
riconducono molti entimemi.
I topoi svolgono sia una funzione euristica sia una probativa, nel senso che essi possono essere
utilizzati sia per trovare le premesse degli argomenti persuasivi adatti alle diverse circostanze, sia
per mostrare la validità logica o la plausibilità.
TOPICHE GENERALI
I luoghi retorici sono distinti in due gruppi: luoghi comuni e luoghi propri.
Luoghi comuni (koinoi) per questioni riguardanti la giustizia, la fisica, la politica e molte questini
che differiscono per specie come quello del più e del meno.
Sono luoghi comuni nel senso che non sono esclusivi di un ambito specifico ma possono essere
utilizzati indifferentemente per formulare sillogismi su qualsiasi argomento.
Ciascun luogo è descritti e analizzato anche attraverso numerosi esempi a cui faremo riferimento o
per cercare di chiarire che ruolo svolgono i koinoi topoi nel metodo retorico.
Prendiamo in esempio le mosse dal luogo dal più e dal meno: a partire da questo topos è possibile
formulare numerosi entimemi con identica struttura ma con questioni differenti.
1. Se neppure gli dei sanno tutto, ancor più difficilmente lo sapranno gli uomini.
2. Picchia i vicini, chi picchia anche il padre
3. Se Ettore non è colpevole per aver ucciso Patroclo, non lo è neppure Alessandro per aver
ucciso Achille.
Ciascuno di questi entimeni deriva da uno schema che è il topos dal più o dal meno così formulato
da Aristotele: se qualcosa non appartiene a ciò cui dovrebbe appartenere di più, è chiaro che non
appartiene neppure a ciò cui dovrebbe appartenere di meno. Lo stesso schema di ragionamento può
essere utilizzato anche inversamente attribuendo la più ciò che normalmente si attribuisce la meno.
Un altro luogo considerato efficace è quello detto dei contrari: dati due termini contrari, si deve
considerare se ad un contrario appartiene il predicato contrario rispetto all'altro termine: confutando
l'argomento se non vi appartiene, confermandolo se invece vi appartiene.
Da questo luogo possono essere tratti alcuni esempi di entimemi:
1. essere temperanti è un bene, perché essere intemperanti è dannoso
2. se la guerra è la causa dei mali presenti, con la pace bisogno porvi rimedio
3. se i discorsi falsi sono persuasivi per i mortali, si deve anche ammettere il contrario, che
molte verità risultano incredibile per i mortali.
Ciascuno di questi topoi può essere utilizzato a proposito di qualsiasi argomento ed è per questo che
esse sono i luoghi comuni a ciascun ambito o disciplina.
I topoi generali rappresentano quindi le nostre abitudini di pensiero che possono assumere le forme
più diverse e godere di differenti gradi di validità. Ciò che accomuna queste abitudini di pensiero. È
il fatto di poter svolgere la funzione di luogo indipendentemente da loro contenuto specifico.
TOPICHE PARTICOLARI
Le topiche speciali o particolari consistono nella raccolta e nella sistematizzazione di quelli che
Aristotele chiama eide (specie) o idia (ciò che è proprio). Questi idia sono quelli che derivano da
premesse relativa a ciascuna specie e a ciascun genere, come nella fisica vi sono premesse da ci non
deriva ne un entimema ne un sillogismo sull'etica e in etica ve ne sono altre da cui non derivano
argomenti sulla fisica, e lo stesso accade in tutte le altre discipline.
Per formulare entimemi efficaci sono necessarie anche conoscenze specifiche sugli argomenti più
frequentemente dibattuti nei discorsi retorici ed è appunto questo lo scopo delle topiche particolari.
Anche gli idia servono al retore come indicazioni per trovare e selezionare le premesse adatte a
ciascun argomento. Essi svolgono un ruolo fondamentale nel metodo retorico, dal momento che la
maggior parte degli entimemi sono detti a partire da queste specie particolari e proprie, un minor
numero dai luoghi comuni.
Il riconoscimento del carattere topico delle analisi condotte in questi capitoli, consente di affrontare
una delle principali questioni sollevate in proposito, quella relativa al grado di scientificità di queste
analisi.
Gli idia sono generalmente espressi o in forma di definizione o di eikos o di segno. Questa è una
ulteriore conferma della natura retorica di quelle analisi: eikota e semeia sono le tipiche premesse
dell'entimema e avere a portata di mano le definizioni, sia quelle basate su endoxa sia quelle basate
sui principi primi è essenziale per la costruzione dei sillogismi in generale.
LA CREDIBILITA'
La pistis si realizza per mezzo del carattere quando il discorso è detto in modo da rendere degno di
fede colui che parla: noi infatti crediamo alle persone corrette in misura maggiore e con più
prontezza e del tutto in quelle che sono prive di rigore ma ammettono una pluralità di opinioni.
Va osservato che qui è in gioco la credibilità che l'oratore riesce ad ottenere grazie al suo discorso.
Si avrà davvero persuasione solo se colui che parla verra ritenuto degno di fede in base alle cose che
dice e al modo in cui le dice e non grazie a pregiudizi estranei al discorso.
La differenza principale dipende essenzialmente dall'assunzione di un punto di vista più teorico
finalizzato all'individuazione delle cause della persuasione. A determinare il cambiamento più
significativo è l'elaborazione della nozione di pistis tecnica, quella escogitata grazie al metodo e
realizzata esclusivamente per mezzo del discorso. E' in quanto pistis tecnica che l'ethos si
differenzia sia dalla fama preesistente dell0oratore, sia il fascino che egli è in grado di esercitare sul
pubblico.
Al contrario, l'ethos dell'oratore inteso come pistis tecnica, non precede il discorso ma risulta da
esso. Si può dire che l'ethos è un prodotto del logos e deve essere pertanto costruito al suo interno.
L'ethos ha tanta realtà quanta ne hanno gli argomenti strettamente logici e la possibilità
dell'insincerità e della manipolazione non riguarda solo questo tipo di pistis ma percorre il discorso
persuasivo nella sua interezza.
A rendere necessario il ricorso a questo tipo di pistis è la natura stessa di ciò che è in gioco in ogni
discorso persuasivo: questioni che non si prestano ad un trattamento rigoroso ma ammettono
sempre molteplici soluzioni.
Per qualificare il tipo di oratore cui prestiamo fede con più facilità, Aristotele utilizza l'aggettivo
epieikes e il sostantivo epieikeia tradotti rispettivamente con corretto e correttezza. Si tratta della
stessa parola usata anche per indicare quel tipo superiore di giustizia contrapposto al giusto legale.
La parola può essere anche sinonimo di buono e di eccellente e si riferisce a persone in possesso
delle migliori qualità morali.
Tra le caratteristiche dell'epieikes c'è la flessibilità che Aristotele contrappone all'eccesso di rigore,
tanto da poter affermare che all'oratore epieikes più di un discorso rigorosi si addice risultare buono.
Chi riesce, grazie al suo discorso, a risultare epieikes, otterrà non solo più facilmente la fiducia del
pubblico ma anche la sua attenzione dal memento che è proprio questo il tipo di oratore più bravo a
condurre l'ascoltatore vero un apprendimento veloce e piacevole che è condizione necessaria per il
successo del discorso persuasivo.
LA QUALITA' DELL'ORATORE
Secondo Aristotele sono 3 le qualità dell'oratore persuasivo: saggezza (phronesis), virtù (aretè),
benevolenza (eunoia). Sono le tre cause che ci spingono a credere in qualcosa.
Ciascuna di esse riguarda un aspetto diverso della generale credibilità dell'oratore: la dimensione
più intellettuale, la prhonesis; quella strettamente morale, l'aretè; quella emotivo-relazionale,
l'eunonia.
Phronesis: si tratta della capacità di formarsi opinioni corrette sugli argomenti intorno a cui si
discute, in vista della decisione da prendere. Questa è per Aristotele la capacità di deliberare bene su
ciò che è in grado di condurci alla felicità. Un oratore che mostrerà di essere phronimos, si
presenterà come un buon consigliere, come uno in grado di orientare gli altri nel prendere decisioni
difficili.
Aretè: riguarda più direttamente le sue inclinazioni morali. La parola aretè è qui usata per indicare
le virtù del carattere, quelle che si formano in base all'abitudine, come il coraggio , la generosità o la
giustizia. Per Aristotele aretè è ciò che tende al medio (meson) tra due estremi ed è sempre riferita
la piacere e al dolore. Mentre prhonesis riguarda i mezzi utili per raggiungere il fine, l'aretè è ciò
che ci spinge a desiderare il giusto. Contribuisce quindi alla costruzione della credibilità dell'oratore
nel senso che il suo possesso lo farà apparire com un individuo che perseguire fini corretti.
Eunonia: sentimento di benevolenza verso gli ascoltatori. L'eunonia non è un aretè ma è connessa
ad essa e svolge un ruolo fondamentale nella vita umana. Aristotele la descrive come qualcosa che
assomiglia ad un sentimento amichevole senza essere amicizia. La benevolenza infatti può essere
provata anche per qualcuno che non si conosce e di nascosto e non implica una forte partecipazione
emotiva. E' quindi definita un specie di amicizia inattiva che se perdura nel tempo si potrebbe
trasformare anche in amicizia. Ed è proprio di questa amicizia inattiva che l'ascoltatore ha bisogno
per fidarsi dell'oratore.
L'eunonia, ha una natura intrinsecamente razionale e mette in gioco non solo le caratteristiche
individuali dell'oratore ma anche la sua capacitò di adattamento all'uditorio, una capacità
fondamentale per il successo del discorso persuasivo. E' proprio per questa ragione che Aristotele
affianca l'eunonia alla prhonesis e alla aretè.
UN'ANALISI FILOSOFICA
Dal riconoscimento della natura retorica dell'analisi aristotelica dei pathe non deriva che essa sia
priva di valore filosofico. Sull'argomento domina la tendenza a negare che l'analisi dei pathe
contenuta nella retorica, abbia un reale valore filosofico o scientifico.
Su questo argomento si fronteggiano due diverse linee interpretative: una insiste sulla natura
retorico-dialettica dell'indagine, l'altra tende a considerare quei capitoli come una sorta di prestito
della psicologia filosofica alla retorica.
Questo modo di impostare la discussione sulla teoria aristotelica delle emozioni, è il frutto
dell'atteggiamento di sostanziale svalutazione della retorica alla quale è di fatto negato l'accesso a
verità che non siano il risultato di indagini scientifiche condotte da altre discipline. Se invece, si
attribuisce alla retorica uno specifico dominio teorico e un valore epistemologico diverso, rispetto a
quello delle altre discipline, la questione si pone in modo del tutto differente. Piuttosto che un fatto
di cui stupirsi, diventa un dato significativo.
La domanda da cui bisogna partire è: un'analisi retorica dei pathe, è in grado di far emergere aspetti
filosoficamente interessanti che altre prospettive invece occultano o lasciano sullo sfondo? Si può
rispondere in modo affermativo. Il punto di vista retorico sulle emozioni, contesa di mettere in luce
il nesso tra possesso del logos, emotività e socialità dell'animale umano.
La coesistenza di indagini su uno stesso oggetto condotte da punti di vista diversi, è un aspetto
peculiare del modo di procedere di Aristotele e non un caso limitato alla nozione di pathos.
La difficoltà dell'indagine è esplicitamente riferita ai pathe. Inseparabili dal corpo nel quale si
realizzano, i pathe tes psyches verranno analizzati in modo differente a seconda del punto di vista e
degli obiettivi.
Il dialettico e il filosofico definiranno (Aristotele) ad esempio l'ira, uno ceno desiderio di restituire
un dolore o qualcosa di simile, l'altro come ebollizione del sangue e del calore intorno al cuore.
Quindi uno indica la materia, l'altro la forma e il discorso.
Per Aristotele i due punti di vista sono complementari e non c'è motivo di ritenere che uno sia più
scientifico dell'altro.
caratteri dei giovani e dei vecchi sono rappresentati come opposti mentre quelli degli uomini maturi
come il medio tra i due estremi. I giovani sono tendenzialmente coraggiosi, impulsivi, passionali.,
collerici, i vecchi sono più inclini ad avere paura e sembrano più temperanti perché hanno desideri
più deboli o si sono abituati a tenerli a bada. I giovani sono fiduciosi e sempre pronti a sperare, i
vecchi sono generalmente diffidenti, poco inclini alla speranza e vivono nel ricordo.
Entrambi però commettono ingiustizie: i giovani per arroganza e i vecchi per cattiveria.
Entrambi provano compassione: i giovani per umanità, i vecchi per debolezza.
Tra i due estremi si collocano gli uomini maturi che possiedono unite le qualità positive che
giovinezza e la vecchiaia si dividono e hanno in misura equilibrata quello che negli altri è in
eccesso o in difetto.
La descrizione degli altri quattro caratteri, è condotta mettendo in evidenza somiglianze e
differenze, accomunate dal fatto di essere in possesso di beni ricevuti in sorte, nobiltà di nascita
(eugheneia), ricchezza (ploutos), potere (dynamis), buona fortuna (eutychia).
I nobili per nascita sono per la maggior parte persone di poco valore, più ambiziose e inclini a
disprezzare gli altri.m
i ricchi tendono ad essere arroganti e insolenti, dediti al piacere e boriosi, le loro cattiverie derivano
da arroganza e intemperanza.
I potenti hanno caratteristiche simili a quelle dei ricchi ma risultano migliori in certi aspetti: sono
più ambiziosi e di carattere più virile, più seri perché sono costretti a tenere d0occhio quel che è
connesso al loro potere, amano la solennità e il fasto e se commettono ingiustizia, lo fanno in
grande.
Il carattere dei fortunati corrisponde a quelle degli altre tre: le persone fortunate hanno spesso anche
una posizione di superiorità rispetto ad una felice discendenza e al benessere fisico e diventa più
arroganti e irrazionali. La migliore conseguenza della fortuna è un atteggiamento di maggiore
fiducia nelle divinità, dovuto al fatto di avere ricevuto in sorte molti beni.
La conoscenza di questi tipi, è certamente utile all'oratore, purché sappia integrarla con quella delle
circostanze particolari e del particolare uditorio al quale si sta rivolgendo.