Hegel: Lezioni sulla storia della filosofia Le lezioni sulla
storia della filosofia hegeliane non sono nate come testo a se, ma bensì sono state create da appunti e annotazioni delle sue lezioni tenute a Berlino nell’ultimo periodo della sua vita 1820). Riassume in breve concetti e terminologia della filosofia hegeliana e in più presenta l’interpretazione dello svolgimento storico che ad essa ha condotto. I rapporti tra storia e filosofia e ancora tra storia della filosofia e filosofia sono importanti e necessari, lo sono perché nello studio della storia della filosofia serviranno richiami al mondo culturale e storico come coordinate spaziali. Lo stesso vale nel conoscere se stessi, nella rivoluzione del pensiero moderno cambia il modo che ha l’uomo di vedere se stesso, non si vede più in rapporto ad una comunità, ma nella sua individualità. Così Hegel basò le sue lezioni sulla storia della filosofia sulla sostanza delle opinioni che si sono generate nel tempo e non sulle opinioni in se. Infatti si deve distinguere la storia dalla sua rappresentazione/interpretazione, questa riporta non la storia in se, ma l’idea, la visione che di essa viene fornita infatti la storia è una, la sua interpretazione può essere diversa e da molti punti di vista. Alcuni capisaldi di questa raccolta delle lezioni hegeliane sono: la filosofia identificata con la ragione ed entrambe volte alla verità, il legame tra sviluppo del pensiero e libertà politica e la storia della filosofia come disciplina filosofica. La divisione di questo testo è in 3 parti: filosofia antica, medievale e moderna. Prima di quella antica Hegel fa qualche cenno alla filosofia orientale, non considerata una filosofia in se a causa della sua mancanza di astrattismo, tutto ciò perché la filosofia non può nascere dove la soggettività non esiste è infatti nata nell’antica Grecia dove la libertà del singolo genera lo sviluppo dello spirito. La storia della filosofia considera la storia come fatti che scorrono e questi riguardano tutti il libero pensiero, infatti tratta del mondo delle idee e della storia del pensiero. Questo, il pensiero non in quanto ragionamento, è ciò che fa differire l’uomo dall’animale ed è ciò che ci fa umani, inoltre il pensiero può fare riferimento ad un’infinità di cose ma si riferisce principalmente a ciò che è proprio dell’uomo e cioè a se medesimo. Il pensiero quindi pensa se stesso inoltre esso è attività poiché questo pensare se stesso indica il produrre e nel produrre se stesso esso produce filosofia. (Questo pensare se stesso del pensiero lo si deve vedere sempre in relazione agli altri, infatti Hegel rifiuta l’essere solitario di Cartesio in quanto vede l’uomo come animale sociale.) Nel parlare di storia del pensiero sopraggiunge subito una contraddizione cioè come si può parlare di storia, che è successione di eventi, se il pensiero è eterno e immutabile nel tempo cioè esiste; si deve parlare allora di ciò che sta al di fuori della storia. Inoltre sopraggiunge anche una seconda contraddizione cioè in cosa si distingue la filosofia dagli altri ambiti umani? Questa sopraggiunge quando si pensa al pensiero e a cosa esso sia collegato, infatti esso genera tante attività oltre la filosofia e dobbiamo capire quale sia l’ambito preciso di essa, specialmente nell’ambito storico quale sia la relazione (storica) tra filosofia e le altre discipline (attività) umane generate dal pensiero. Quindi in primo luogo c’è il concetto che è lo scopo della filosofia e poi vi è il rapporto tra filosofia e altre produzioni dello spirito umano. 1:Scopo della storia della filosofia La storia della filosofia è la storia del pensiero libero e concreto che si riferisce a se medesimo. Per questa ragione esso è capace di determinare se stesso e quindi è concreto, inoltre visto che la 1 filosofia non a ha che fare solo con astrazioni e visto che riguarda il pensiero esso è appunto concreto. Non ha a che fare solo con astrazioni poiché esse rientrano solo nella sfera del riflettere e quindi delle determinazioni astratte, mentre il pensiero è concetto concreto in quanto si realizza. Nella sua realizzazione quindi questo pensiero diviene idea quindi verità. In fine si può affermare che la prima determinazione è il pensiero è concreto, il concreto è la verità e la verità viene prodotta solo mediante il pensare. Visto che il pensiero è concreto in se stesso esso allora si muove, questo muovere è il suo procedere all’infinito verso se stesso che possiamo definire meglio sviluppo. Questo sviluppo 2 non è altro che una possibilità, una disposizione che il pensiero ha già in lui, come un germoglio che diventa albero. E’ una semplicità che in se contiene molteplicità ma in modo che essa ancora non esista e che con lo sviluppo diventerà concretezza. Tale sviluppo è l’altro che viene fuori ma che è identico a ciò che 3 è in se, quindi vi è unità nella differenza, esso inoltre ha in se la mediazione che non è altro il volere del cambiamento e questo avrà esistenza solo tramite la mediazione. Il concetto di sviluppo è un concetto universale, che ha in se il movimento della vita dello spirito, esso non è altro che un eterno ritorno a se dell’idea, il mantenere se stesso in ciò che è altro. Lo definiamo così come sviluppo assoluto che è un processo generato da altri sviluppi e per questo è concreto e questa serie di sviluppi sono i vari stadi dello sviluppo in se. In fine vi è il frutto dello sviluppo, il processo è articolato così: l’in sé del processo (germoglio), l’esistenza (ciò che ne scaturisce) e poi l’identità di entrambi (germoglio e albero) che non è altro che l’essere in sé. “ Il risultato del movimento, ciò che viene prodotto mediante il processo, è che ciò che ne scaturisce è identico a ciò che è in se.” Ma il risultato non rimane mero risultato in quanto esso sarà il punto di partenza di un nuovo sviluppo, al processo si aggiunge una nuova determinazione e arricchisce ogni grado dello sviluppo poiché non vi è nessun pensiero che nel suo sviluppo non progredisca. La filosofia è la scienza del libero pensiero, cioè è il pensiero che reca se stesso alla coscienza , essa è il risultato di tutto ciò che la precede e sarà sviluppo del presente. La storia della filosofia è lo sviluppo svolto nel tempo mentre la filosofia è il mero sviluppo del pensiero, la storia della filosofia studia gli avvenimenti che sono scaturiti dal processo dello sviluppo del pensiero, esso essendo concreto ha dei risvolti nel tempo che sono gli avvenimenti. La storia della filosofia e la filosofia sono la copia l’una dell’altra poiché lo studio della storia della filosofia è lo studio della filosofia stessa. Per quanto riguarda il significato del pensiero esso stesso è significato e inoltre esso ha anche un’apparenza. Il primo modo di apparire del pensiero è quello “soggettivo” cioè il pensare si presenta come qualcosa di particolare, ma nella filosofia bisogna rappresentare il pensiero in modo completamente differente, come qualcosa di obbiettivo il pensiero in sé e per sé quindi esaminarlo come qualcosa di universale. Il secondo modo di apparire è quello contenente il modo storico, ma non sul piano delle opinioni che possono essere differenti da persona a persona, si parla del pensiero come determinazioni universali di esso. Inoltre ci sono tanti filoni di filosofia, ma questi non portano a creare molte filosofie poiché essa è solo una, sono gradi diversi e necessari per lo sviluppo del pensiero infatti esse non solo si contraddicono ma si confutano tra di loro. Il fatto è che in un determinato periodo un certo modo di pensare, un’idea, è quella più elevata ma come il pensare anche la filosofia ha uno sviluppo quindi ad un certo momento quell’idea che era la più elevata viene confutata e diviene un processo, uno stadio per lo sviluppo; il suo contenuto non è stato rifiutato ma bensì è necessario per lo sviluppo. Nessun principio caratterizzante la filosofia va perduto ma muta il suo ruolo, mentre il rifiuto mostra i limiti di una teoria mentre giustificare non è altro che riconoscere i lati negativi e positivi di una teoria e maniere quelli positivi per generare sviluppo. Questo è il lavoro che fa la storia della filosofia. La negazione in filosofia può presentarsi in diversi modi: il primo mette luce sull’aspetto negativo di una teoria, il secondo mette luce sull’unione di diversi principi quindi la loro riduzioni a determinazioni di un unico principio e in terzo luogo è che non si tratta di qualcosa di passato in quanto abbiamo a che fare con pensieri. Inoltre i tempi limitati con i quali si tratta la storia della filosofia conducono, inevitabilmente, a limitarsi ai concetti necessari; rispetto alle filosofie antiche ci si limit ai principi, si mette in risalto solo ciò che è filosofico di una teoria e si trascura la storia dello sviluppo di quella filosofia per concentrarsi solo sul contenuto 2: Rapporto della filosofia con la religione, la storia, l’arte e la politica. Il secondo punto verte sul far luce sul rapporto tra filosofia e le altre figure dello spirito e di questo bisogna esaminare due lati. Il primo è quello propriamente storico e il secondo è la connessione stessa con scienza, religione ecc.. Bisogna vedere tutte queste figure come figure che tendono all’universale e non sotto i loro aspetti particolari, lo spirito è uno e prende forma in modi diversi. Il secondo punto è che la filosofia è la parte più bella della diramazione dello spirito in quanto consiste nell’aver coscienza del pensare cioè che lo spirito esiste e che cosa esso sia. Essa non sta al di sopra della sua epoca ma ne è coscienza e questo sapere è la realtà dello spirito. Quindi la filosofia è il luogo di nascita dello spirito che emergerà come realtà, inoltre come terzo punto c’è la valutazione storica in cui una determinata filosofia si sviluppa. Tuttavia la filosofia è il pensare dello spirito e questo è il risultato dello spirito stesso poiché il pensiero è movimento (produzione di se). Questo movimento si genera dalla figura naturale e lo spirito dapprima è solo immediato, poi passa alla riflessione nella quale sorpassa la figura naturale e giunge alla negazione dando inizio alla decadenza. Il passaggio prima della creazione di una corrente filosofica è il raccoglimento del pensiero intorno a se stesso, cosi facendo nasce la filosofia come riscatto della decadenza del pensiero (questo si genera quando il pensiero si rifugi a se stesso poiché nulla nel mondo reale lo soddisfa). Poi vi è il punto di connessione della filosofia come le altre figure dello spirito (scienza, religione, arte, ecc..). Il primo punto di questo è il rapporto tra filosofia e scienza, essa prendendo spunto dall’esperienza indaga su di essa e cerca l’universale e questo è l’aspetto formale in comune tra le due, mentre con la religione la filosofia ha in comune l’aspetto sostanziale. Rispetto agli oggetti (leggi e relazioni) concernenti la natura si parla di universalità e questo è il contenuto in comune che il pensare ha con la filosofia. Si abbandona la metafisica per guardare il lato concreto della natura, le forze e le leggi che la regolano, a questo si ricollega che solo ciò che è conosciuto tramite i sensi può essere preso in considerazione . D’altro canto si definisce “filosofia terrena” ciò 4 che vuole conoscere il mondo ma essa non si limita solo al mondo terreno per questo ho lo stesso fine con la religione. Oltre all’universalità un altro concetto che la filosofia ha in comune con la religione è il contenuto, ovvero entrambe hanno come oggetto lo spirito, ciò che è in sé e per sé. L’universalità assoluta permea tutto e questa come spirito è libero nel senso che esso si trovi presso se stesso, pervadi l’altro e nell’altro che è diverso ritrova però se stesso. Per questo dal punto di vista religioso lo spirito singolo e soggettivo è Dio e con ciò abbiamo solo forme particolari del conoscere come appunto la fede, poiché al di fuori di essa non vi è lo spirito divino che permane tutto universalmente. Della fede vi sono 2 aspetti: uno è quello capace di rappresentare e quindi il contenuto è fuori di noi, il secondo è il culto cioè il sentimento di devozione che genera unità tra il soggetto e l’oggetto. Con tutto questo c’è un’antitesi tra soggetto e oggetto, lo spirito e il pensare, che dovrebbero essere un tutt’uno, infatti nella filosofia il punto fondamentale è che lo spirito percepisce sé stesso e questa percezione genera distinzione nella quale però lo spirito riesce comunque a trovare sé stesso. La differenza peculiare tra filosofia e religione sta che in quest’ultima lo spirito può essere in qualche modo rappresentato, quindi avere un immagine, quindi essere oggetto; mentre nella filosofia il contenuto è la forma del pensare che in quanto pensato diviene oggettivo e questo in quanto pensato viene ridotto all’interiorità e non si contrappone. Tutta questa fase nella religione si da in 2 Parallelismo con la scienza4 modi differenti: 1 come figura storica e 2 come devozione dove la scissione tra soggetto e contenuto è soppressa e si diventa tutt’uno. Quindi si può dire che solo le figure rappresentative sono diverse tra queste due discipline e come si capisce qual è il senso proprio di una determinazione del pensiero? Il senso lo si capisce dall’interpretazione che si da al pensiero (mitologia dei=forze naturali). Lo spirito è il risultato del pensare e il pensare si coglierà in seguito in forma concreta e quindi non sarà rinchiuso in una determinazione astratta. La riconciliazione tra filosofia e religione sta nel fatto che come nella filosofia lo spirito si riconosce ed è concreto poiché pone se come altro e in esso si riconosce, questo in egual modo avviene nella religione cioè Dio è un’astrazione dell’intelletto ed esso è concreto poiché si pone come altro e in questo si riconosce. La filosofia è in grado di intendere e rendere giustizia alla religione ma non vale l’inverso. Non si può affermare che è antistorico che nella mitologia ci si imbatta in questioni filosofiche poiché è cosi, in essa sono contenuti pensiero, ragione, credenze (filosofemi) ovviamente in modo allegorico e vanno interpretati, ma bisogna ridurre tutto a ciò che Aristotele afferma nella Metafisica: “non val la pena di prender sul serio il filosofare mitologico; esso non è la forma nella quale il pensiero ha da essere esposto, si tratta di una maniera subordinata.” D'altronde non ci interessano nemmeno quelle filosofie che partono dalla chiesa, poiché non professano il pensare libero generato da se stesso e da ciò la domanda: da dove bisogna far cominciare la storia della filosofia? Essa comincia dove il pensiero emerge per se, dove separandosi dalla sua base naturale la trova estranea e vi ritorna vedendo se stesso in essa e quindi ritrovandosi. Questo implica libertà e questa si genera quando l’individuo si vede come soggetto per sé e nello stesso tempo come universale, questo gli da un valore infinito con però qualcosa di personale e quindi ponendosi al di fuori di lui e volendo valere senz’altro per lui. La libertà del pensiero è strettamente legata a questa libertà dell’individuo, il pensare pensa se stesso come universale, infinito e libero si pone fuori di lui e ritorna riconoscendosi. La connessione tra libertà politica e libertà del pensiero sta nel fatto che entra in gioco un relazione di consapevolezza con l’universale, io considero e conservo me per me stesso poiché l’oggettivo mi si contrappone, ma nello stesso tempo lo penso. Malgrado sia qualcosa di diverso da me lo penso così facendo lo conosco mantenendo la mia posizione di “soggettività”. Caratteristiche pensiero Orientale Nell’oriente la sostanza è rappresentata come il pensiero, il sovrasensibile e l’uomo è individuo senza diritti poiché per comprendere la sostanza deve dissolversi in essa, svanire, annullarsi . Essa è l’unico principio affermativo, il pensiero libero si fa avanti solo se il soggetto rimane innanzi alla sostanza e la conseguenza di tutto ciò è che non si può conoscere la sostanza in modo filosofico e quindi non si può conoscere l’universale. Caratteristiche filosofie greche e tedesche La vera filosofia emerge nel mondo greco dove lo spirito si pone come libero e il soggetto può conoscerlo senza annullarsi, il mondo greco sviluppa il pensiero fino all’idea quello germanico coglie il pensiero nello spirito. La prima filosofia è semplicissima, si rifà all’universale (acqua, essere ecc ) esso viene colto come Qualcosa capace di determinare se stesso e la totalità si realizza tramite il pensiero, tuttavia il gradino più alto è l’unità ovvero l’idea in rapporto al concetto, concetto che determina se stesso ma rimane nell’unità. Nell’unità le differenze coesistono e sono concrete pur essendo contenute in un unico concetto, l’idea si eleva come spirito, cioè come soggettività che sa sé stessa, la filosofia greca esprime l’idea e l’epoca che la segue esprime l’idea che sa sé stessa. Il principio dell’età moderna è che la soggettività è libera in quanto è posta per se, la soggettività però è l’uomo e visto che l’uomo è libero poiché può essere qualsiasi sua determinazione allora l’uomo è spirito. Nel principio germanico l’idea obiettiva e la soggettività sono unite e si generano due idee, l’idea soggettiva come sapere e l’idea concreta (libera per sé che sa sé stessa). Primo periodo: La filosofia greca La filosofia fondata sull’esperienza nasce proprio nel mondo greco, la sottomissione dell’uomo a uno “spirito” quasi inarrivabile non esiste in questa cultura in quanto in essa assistiamo al progredire dello spirito. Essi hanno generato anche una “storia” (degli dei) che è una testimonianza del mondo prima della loro civilizzazione ( con questo termine intendo dire che loro hanno dato rilievo alle scienze e alla cultura in generale). Il punto di vista del mondo greco è la libertà dello spirito, l’io come infinito e ciò che è universale è presente, tutto ciò riferito al pensare in genere. Io è il riferirsi di me a me in modo che possa prendere attrazione da me e rendermi universale. Il pensare è capace di darsi contenuto, è capace di determinare sé entro sé stesso e questo contenuto è posto in rilievo in quanto è contenuto del pensare. Da ciò scaturisce il mondo delle idee dove c’è la presenza del soggettivo e dell’oggettivo, il primo è la concezione che è il mio pensare e il secondo è che in contemporanea un pensare universale. Questi concetti possono essere distinti tramite 2 vie: una è quella nella quale il contenuto del pensare è generato per creale il mondo (questo l’oggettività del mondo delle idee), la seconda questo viene riassorbito all’interno del soggetto e quindi l’io è conosciuto nell’idea stessa. Questo io è infinito in quanto non può essere afferrato come qualcosa di particolare e per tutto questo l’idea è afferrata come quella che sa se stessa e questo sapere è lo spirito. L’idea è il principio del mondo e la soggettività è qualcosa di accidentale poiché essa è affetta da naturalità, nel mondo moderno questa caratteristica di naturalità è stata abbandonata poiché il soggettivo e l’oggettivo sono praticamente uguali. PARTE PRIMA: DA TALETE AD ARISTOTELE Vi sono 3 momenti o periodi: il primo è quello dei “naturalisti” che riconducono tutto alla natura tra i quali si differenzia Anassagora per il suo riferimento all’intelletto o ragione come pensiero in movimento che sta all’interno del mondo; poi vi è quello dei sofisti, Socrate e i socratici che puntano sulla soggettività come principio e in fine vi sono Platone e Aristotele, il primo parla del pensiero come idea che determina sé stesso e il secondo punta sull’attività del pensiero che lo fa determinare. Il primo periodo è caratterizzato da figure che non si dedicavano solo alla filosofia ma erano attivisti nella vita della città, quindi prendevano anche parte all’amministrazione dello Stato, solo con Talete inizia la storia della filosofia. Egli affermava che il principio assoluto era l’acqua, mentre per Anassimandro il principio assoluto è l’infinito privo di determinazione e ancora per Anassimene il principio è l’aria. Per Anassimandro dall’infinito scaturiscono infiniti mondi al quale poi fanno ritorno, l’indeterminato si separa dall’omogeneo e questo è il Caos (indeterminato) ed in esso è presente anche il determinato mescolato con il primo, la separazione avviene quando omogeneo si unisce all’omogeneo e si scinde dall’eterogeneo. Affermiamo che con Talete si ha la nascita della storia della filosofia poiché egli fu il primo a prendere il considerazione l’uno come essenza e quindi sorge l’idea che solo l’uno ha valore come universale e quindi esiste - tutto scaturisce dall’uno ed esso rimane sostanza di tutto - cioè perde la sostanza particolare e diviene universale. Infatti nessuno tiene in considerazione la terra come principio poiché essa è un aggregato di elementi, mentre il principio deve essere unico, l’unica difficoltà in questa visione è che comunque l’unico è visto sotto una forma particolare e inoltre questo non ha attività. Pitagora fu il primo vero filosofo, nel senso che si dedicava solo alla vita filosofica, egli fondò una scuola in Italia che era gestita come un monastero. Il fondamento della filosofia pitagorica è il numero, esso è l’essenza di tutte le cose, per Pitagora la matematica sta in mezzo tra sensibile e soprasensibile con essa riesce a conoscere al meglio il sensibile in quanto esso è “zoppo”, paragona il numero al pensiero e senza di esso non si potrebbe conoscere nulla. I numero 1, 2, 3 ecc corrispondono a determinazioni del pensiero, in queste l’1 è il principio, è l’elemento esclusivo, da esso si generano tutti gli altri attraverso composizioni con esso e ripetizioni dello stesso, l’1 resta sempre immutabile. La difficoltà sopraggiunge nel vedere che l’1 è pensiero ma esclusivo, non c’è unità tra le varie differenze e il pensiero necessità di questa unità (nel 2 come nel 3 ecc vi sono diverse unità indipendenti mentre dovrebbero essere tutte la stessa cosa). Vediamo quindi come l’1 è qualcosa di completamente astratto e non riesca ad essere concreto proprio perché i pitagorici insistono sul fatto che la concretezza è imitazione dell’uno. Poi vi sono le differenze come la diade (ciò che è molteplice, diverso e distinto) con la quale compare anche l’antitesi che sarebbe l’antitesi di 1, questa viene interpretata come la differenza tra limitato e illimitato. Questa opposizione venne poi interpretata come pari e dispari, l’1 è sia pari che dispari poiché ha la proprietà di generare numero sia poi che dispari. In tutto le antitesi generalo sono 10: 1) limitato e illimitato, 2) pari e dispari, 3) unità e molteplicità, 4) destra e sinistra, 5) maschile e femminile, 6) quiete e movimento, 7) retto e curvo, 8) luce e tenebra, 9) buono e cattivo e 10) quadrato e parallelogramma. Ma si potrebbe riassumere anche con 3 distinzioni: 1) secondo la diversità, 2) secondo l’antitesi e 3) secondo la relazione. La prima nozione afferma che ogni soggetto è considerato per se stesso riferitesi a se stesso in quanto se stesso, nozione di identità e dipendenza. La seconda si riferisce all’antitesi come opposizione diretta tra i due soggetti. La terza si riferisce alla relazione come necessaria per conoscere il contrario, il diverso del soggetto (conosco la destra grazie alla sinistra). Da ricordare è che tra cose che stanno in opposizione reciproca non vi è termine medio (morte e vita). La relazione duplice è l’antitesi quella triplice è la relazione. Al di sopra di queste determinazioni vi deve essere un genere universale e se esso viene soppresso si sopprimono anche le determinazioni, questo genere è l’1 che è in se e per se poiché i numeri sopraggiungono come progressione dal primo. Per i pitagorici vi sono 4 generi, il primo è l’1 ed è quello universale poiché è unità con se, il 2 è l’antitesi ovvero la differenza, il 3 e la congiunzione ovvero l’unione delle prime due; sembrerebbero solo tre ma se ci si riflette si vede che il 4 genere è intrinseco al ragionamento poiché l’1 è determinazione semplice che contiene in se già la molteplicità, poi vi è l’antitesi che è il 2 (ma in questo caso il 3) e poi vi è il 4 che è l’unità e quindi perfezione. Essi hanno costituito tutto sulla base numerica (anche l’anima è un numero o meglio un pulviscolo solare che è capace di muovere se medesimo, inoltre la concepivano immortale infatti credevano nella metempsicosi ), dicendo che dall’1 si genera tutto poiché 5 tutto è generato secondo armonia; riguardo ad essa a Pitagora viene anche attribuita la scoperta delle noti e l’individuazione dei loro rapporti numerici. (Il pensiero è l’1, il sapere è il 2, la rappresentazione è il 3 e in fine la sensazione è il 4). La giustizia è un numero pari che moltiplicato per se stesso da sempre un numero pari. La critica aristotelica ai pitagorici è che in essi non viene spiegato il movimento in quanto i numero sono forme fredde e morte e in esse non vi è il principio di movimento e vita. Gli eleati furono Senofane, Parmenide e Zenone, il loro principio era che solo l’uno, solo l’essere è, tutto il resto non ha verità è solo opinione e apparenza. Il puro pensiero è ciò che è del tutto universale ovvero l’uno colto nella sua immediatezza, l’essere per gli eleati è solo ciò che esiste il resto non ha verità, solo l’uno esiste. Per la prima volta il pensiero comincia ad essere libero per se come l’unico vero cioè come ciò che comprende se stesso e per questo è del tutto astratto. Senofane e Parmenide sono i portavoce della convinzione che tutto è falsità e che solo l’essere è vero. Per Parmenide tutto ciò che è negazione, individuale e singolo non esiste affatto, gli umani errano perché confondono essere e non essere, mentre la verità è proprio dell’essere ed esso è ingenerato, immutabile, intero, privo di movimento e senza fine. Il pensare e il pensiero sono la stessa cosa e senza l’essere non ci sarebbe il Metempsicosi: anima immortale che si veste di un altro essere vivente e fino a quando non li avrà 5 vissuti tutti non tornerà in un corpo umano. pensare poiché fuori dall’essere non vi è nulla, il tutto costituisce una concatenazione unitaria e i mutamento non è e quindi non ha verità. Vi sono 2 vie, quella del sapere (del pensare e della verità) e quella dell’opinione, se qualcosa è allora non è sensibile ed è eterna e in questa concezione nascita e divenire non sono presenti. In Zenone vi è lo stesso argomento, ovvero, l’uguale non può produrre il disuguale e viceversa, la differenza è soppressa perché l’essere confluisce in se ed è identico a se. L’essere è positivo e da questo non può derivare nulla di negativo, l’uno inoltre non è mosso e non muove se stesso ma non è neppure non mosso ( non è “non mosso” poiché “non mosso” è usato solo per qualcosa che non è), diciamo che l’essere non possiede movimenti pochi questo implicherebbe diversità (che è solo del non essere). Quindi affermativo è ciò che è uguale a se stesso e la negazione non esiste, il finito non esiste, tutto ciò però si ferma solo alle cose astratte. La dialettica di questa scuola è stata ideata da Zenone, egli si concentra sulla negazione del movimento affermando che esso non è vero e non spetta all’essere, lui non nega l’esistenza del movimento ma la sua veridicità e infatti mostra che l’idea di movimento contiene molte contraddizioni. Dimostra ciò in diversi modi: ciò che è mosso dovrebbe percorrere metà dello spazio prima di giungere alla sua meta (e ogni metà si divide in un’altra metà) inoltre lo spazio è un continuo e le sue metà sono intere e quindi contengono altre metà questo procede all’infinito; si conclude che ciò che è mosso non raggiungerà mai la sua meta, poiché ogni porzione di spazio è divisibile in due metà. Lo spazio è diviso all’infinito in un’infinità di limiti e quindi in un tempo dato dovrebbero essere percorsi infiniti limiti, ma l’infinità non può essere esaurita e così non si giungerà mai alla fine. Muoversi significa trovarsi in un luogo e nello stesso tempo non trovarvisi, Zenone e tutti gli eleati vogliono dire che il mondo con le loro figure e movimenti è solo apparenza e il vero è solo l’essere. Per Eraclito invece l’intelletto è sempre oscuro, il concetto e l’idea sono avversi per l’intelletto, cioè non possono essere compressi da esso in quanto l’essere è non più del non essere. Eraclito oltre ad affermare che l’essere esiste tanto poco come il non essere (affermazione che porta a pensare all’annientamento del pensiero) afferma anche che tutto scorre, cioè niente rimane uguale a se stesso (esempio del fiume). Solo l’uno permane tutto il resto scorre, cambia e con ciò egli afferma che il principio è il divenire ed in esso è contenuto sia l’essere che il non essere. Il passaggio dall’essere al divenire è la prima determinazione concreta del pensiero, il divenire è visto come principio di tutto, del movimento e della vita. L’intelletto astratto si attiene all’essere, al non essere, all’apparenza e quindi a tutto ciò che esiste davvero mentre la ragione riconosce l’elemento interno alle cose, cosi che nell’uno ci sia il suo essere altro e l’assoluto sia visto come divenire. L’ideale è visto come diventare reale e viceversa. Ogni elemento differente sia distinto dal suo altro, dal suo contrario e non da qualsiasi altro, questo perché il suo altro è contenuto in esso in potenza, in concetto. Eraclito inoltre crede che il tempo sia l’essenza prima, reale e corporea, esso ci si presenta come divenire, è il divenire come intuito, è il repentino mutarsi da essere a non essere. La raffigurazione del divenire è associata al fuoco, che è la maniera più reale con la quale Eraclito esprime il suo principio, il fuoco è il consumarsi di altro ma anche di se stesso. In questo processo si configurano 2 vie: quella verso il basso e quella verso l’alto; quella verso l’alto mostra come con la condensazione del fuoco questo diviene acqua ed essa solidificata forma la terra; quella verso il basso mostra come il fuoco spegnendosi diviene acqua, poi terra e poi tramite una metamorfosi diviene ancora acqua e ancora fuoco. Con “evaporazione” Eraclito vuole esprimere un metamorfosi che sarebbe appunto questo passaggio del fuoco, questa “evaporazione” per Eraclito è il principio dell’anima poiché essa è l’evaporare, lo scaturire di ogni cosa, quindi si verifica il ritorno degli opposti all’uno e del venire fuori dall’uno. Quindi l’anima è paragonata al fuoco ed essa/o è il principio vivificatore, perciò le anime migliori sono quelle secche e con secche egli vuole significare ardente. Per quanto riguarda il conoscere egli afferma che il sensibile non esprime nessuna verità, la ragione è l’unico giudice della verità, il logos è il processo, movimento particolare che penetra ogni cosa è un essere terzo, è l’uno. Empedocle fu un pitagorico e da egli perviene la nozione dei 4 elementi; fuoco, acqua, aria e terra sono i 4 principi fondamentali che permangono e mai divengono, sussistono e non passano ed ogni cosa sorge dalla loro unione e separazione. Empedocle oltre a questi 4 principi fisici ne aggiunge altri due (amicizia e inimicizia/unione e separazione) e tutte sono determinazione del pensiero. La differenza unifica l’unire e il separare, due determinazioni opposte sono identiche anche se diverse poiché identità e non identità sono determinazioni proprie del pensiero che non possono essere separate. L’anima quindi è la totalità di questi elementi e unione e separazione sono legami attivi. In Lucippo e in Democrito incontriamo invece principi più ideali, ovvero l’atomo e il nulla. A Democrito si deve il sistema atomistico, questo era costituito da atomo e vuoto, pieno e nulla. Il principio è che l’atomo e il vuoto sono ciò che è in se e per se, mentre il nulla e il vuoto sono principi negativi e sono in opposizione con quelli positivi (atomo in opposizione al vuoto). L’uno è ciò che è per se ed esso è adesso e sarà sempre, la definizione più adeguata all’uno è che l’uno è essere per se, cioè semplice riferimento a se medesimo questo avviene anche grazie alla negazione di ciò che è altro, questo principio rende anche più concreto l’uno. In Leucippo il principio dell’essere per se è determinazione assoluta che si configura nel progresso dell’essere e l’essere per se è ancora qualcosa di astratto infatti il principio dell’uno è del tutto ideale, appartiene al pensiero. L’atomo non è visibile è qualcosa di astratto che si attiene al pensiero, è sempre uno e ciò che si mostra è sempre materia. Il principio dell’uno è completamente ideale poiché si riferisce al fatto che il pensiero è la vera essenza delle cose. I sensi non sono dei mediatori che ci conducono alla verità, poiché secondo la verità esiste solo ciò che è invisibile. Il mutamento, la nascita sono solo processi esteriori, la mera unificazione è anche separazione, l’universo nasce tramite separazione e unione degli atomi all’interno del vuoto. Gli atomi si trovano nel vuoto e formano un vortice nel quale si urtano e i simili raccolgono i simili, i più sottili si dirigono verso l’esterno e i più pesanti rimangono all’interno spostandosi insieme, si forma cosi la terra e gli astri. Il principio del movimento degli atomi è il vuoto, il negativo in opposizione al positivo, gli atomi si riferiscono gli uni agli altri e alla loro negazione e questo genera mutamento compreso come movimento. Anassagora sostiene che ciò che è universale in se e per se è il pensiero, l’essere, il divenire e l’uno sono pensieri, la sostanza è il pensiero non soggettivo ma oggettivo. Con lui finisce il periodo della filosofia ionica e si passa ad una nuova epoca durante la quale i principi si passano da maestro a discepolo. Il pensare per Anassagora riconduce le idee alle cose naturali, agli oggetti, lo spirito si sa come realtà, come qualcosa che è solo nel pensare mentre la realtà è solo negatività, solo tramite il pensare lo spirito diviene cosciente di se. Per egli il nous è il pensare, l’intelletto, la ragione, questo è il principio dell’attività che determina se stessa e in esso l’attività conserva se stessa come universale e come identico a se. Ogni attività ha uno scopo e questa è contenuta nello scopo, ogni attività prodotta deve essere conforme allo scopo e l’attività cerca di rendere sempre più obbiettivo uno scopo che in principio è soggettivo. Qui vi è un passaggio dalla soggettività all’oggettività, lo scopo deve essere universale poiché è la forma del fine, che è una determinazione di se, dall’essere soggettivo deve essere oggettivato, infatti si dice che lo scopo è ciò che è vero cioè la determinazione di una cosa. Quest’attività in generale è il nous, cioè l’attività capace di determinare se stessa che inizialmente sembra soggettiva, ma progressivamente diviene obbiettiva con la soppressione dell’antitesi. Si può dire quindi che l’attività, che è attiva e quindi capace di determinare se stessa, è attiva rispetto ad altro che è diverso, che annulla e domina rientrando in se stessa, tale attività è il nous. Questo però è solo formale e bisognerebbe mostrare la sua relazione con ciò che è concreto e quindi bisognerebbe mostrare il suo sviluppo. I sofisti, Socrate e i socratici hanno preso in esame il contenuto del pensare. I sofisti sono famigerati per la loro fama di truffatori, essi furono i maestri della Grecia i quali fecero nascere quella che oggi chiamiamo cultura, i maggiori esponenti furono Protagora e Gorgia. Nel Protagora di Platone viene delineata la figura del sofista e in esso Ippocrate afferma che la sofistica è l’arte di render potenti nell’ambito del discorso, cioè la retorica. Il loro pregio era quello di avere scioltezza nel muoversi in diversi campi della cultura in modo generale e di indirizzare la riflessione sulle esperienze individuali facendone emergere i punti di vista generali, si ha quindi un passaggio dal particolare all’universale. Il STORIA DELLA FILOSOFIA !19 loro scopo era appunto il riconoscimento di diversi punti di vista e di ricavare la definizione del vero e ci ciò che è giusto dall’esperienza personale, proprio per questo gli fu rimproverato di alimentare l’interesse personale. Il motto di Protagora era :” l’uomo è la misura di tutto ciò che esiste”; e questo esprime il principio che tutto, qualsiasi contenuto e oggetto, esiste solo in riferimento alla coscienza pensate e quindi alla soggettività. Quindi il pensare soggettivo è attivo, è ciò che determina, ciò che è capace di generare contenuto e il punto principale di questa tesi è che il nulla è uguale a se medesimo, tutto fa riferimento alla coscienza quindi la determinazione è relativa poiché nulla è determinato per se ma sempre rispetto a qualcos’altro. Per questo motivo le verità sono sempre relative, perché fanno riferimento a diverse circostanze come età, condizione ecc, e visto che le cose sono determinazioni di nostre attività l’esperienza è apparenza. Gorgia si distingue in quanto prende in esame essere e non essere e nel suo scritto (Sulla natura) parla di 3 punti: 1) dimostra che niente esiste, 2) dimostra che se anche esistesse qualcosa non potrebbe essere conosciuto e 3) dimostra che se anche si potesse conoscere non potrebbe essere comunicabile. Socrate è la figura più interessante della filosofia antica, egli riconduce le verità alla coscienza ovvero al pensare del soggetto. E’ il periodo del pensare che torna a se stesso e che implica anche la libertà della coscienza per la quale l’uomo si trova presso di se in ciò che è vero. L’uomo trova e conosce da se medesimo le sue determinazioni e sempre tramite se stesso deve giungere alla verità. Questo mostra un’uscita dalla soggettività e al suo rientro l’uomo ha il vero che mostra anche un abbandono della soggettività particolare e in questo modo la verità non è altro che qualcosa posta dal pensare. Il pensare che a suo tempo è qualcosa STORIA DELLA FILOSOFIA !20 di vivo poiché il suo porre e produrre deve porre e produrre qualcosa che non è già posto e prodotto e quindi la verità è vista come l’unione del soggettivo con l’oggettivo. Socrate con la sua filosofia fa un passo avanti rispetto a quella “naturalistica” in quanto aggiunge la Morale, ovvero la libertà del soggetto e questa impone che esso pone le determinazione del vero e del bene a partire da se stesso e nello stesso tempo le sopprime, in modo tale da generare in un primo momento delle determinazioni soggettive che poi diveranno oggettive e universali. Il metodo socratico è alquanto strano e diverso da tutto ciò che lo precede poiché pone il soggetto alla riflessione su se stesso. La prima tappa di questo processo è l’ironia ovvero la dichiarazione di Socrate di essere ignorante e quindi pone domande come se vorrebbe apprendere dal suo interlocutore (facendo esprimere gli altri, facendogli manifestare i loro punti di vista e convinzioni). Da rispetto al suo interlocutore dando importanza alle sue convinzioni e il palesare la sua ignoranza (di Socrate) non è altro che l’ignoranza riguardo le convinzioni del suo interlocutore. La grandezza di questo processo è il fatto che si concretizzano idee astratte. Il secondo punto del metodo socratico è l’arte della levatrice, ovvero il voler tirar fuori dallo spirito umano le determinazioni del pensare, per far ciò egli pone domande e queste hanno uno scopo ben preciso ovvero carpire deduzioni universali dal particolare (esperienza). Il primo risultato di questo atteggiamento è la confusione che si genera nell’interlocutore il quale capisce di “non saper nulla” ovvero di contraddirsi, confondersi la dove pensava di avere una conoscenza sicura e ferrea. Questa confusione porta alla riflessione, che è il fine di Socrate, inoltre tale confusione non è altro ciò da cui la filosofia deve iniziare. In questo modo anche per Socrate l’uomo è STORIA DELLA FILOSOFIA !21 un’unità di misura. La prima determinazione, non concreta, che si ricava da tutto ciò è, che la coscienza ricava da se ciò che è vero e proprio per questo dice che l’uomo non può apprendere nulla (dove apprendere significa conoscere dall’esterno, accogliere dentro di se una conoscenza esterna). L’universale non è altro che un legame tra soggettivo e oggettivo. Il succo del pensiero socratico sta nel vedere che nulla ha valore se non possiede testimonianza dello spirito, solo quando lo spirito mostra che è esso stesso a venir conosciuto allora questa conoscenza ha valore e in questo senso l’uomo è libero poiché pone e ritrova in se stesso la verità. Quello che scaturisce dallo spirito deve valere come universale. Il bene in Socrate non è ancora determinato e questo vuol dire che ha la caratteristica della soggettività, se deve essere ancora determinato vuol dire che ha valore universale e che non è qualcosa di inerte bensì un pensiero capace di determinare solo tramite la soggettività e l’attività dell’uomo. Determinato significa che è qualcosa di reale e in questo caso per essere tale deve congiungersi nella soggettività degli uomini. Socrate pone la virtù come qualcosa che si determina tramite scopi universali e non particolari. Parlando del bene Socrate lo riconduce alla morale, quindi alle leggi e al costume della società, questo fa si che nel determinare se stesso (bene e morale) entra in gioco la soggettività e quindi l’accidentalità del carattere. La soggettività è definita da Socrate come il genio socratico cioè l’uomo decide in base alla sua interiorità, quindi una decisione che il soggetto fa a partire da se, tale “demone” è una figura peculiare per la soggettività socratica. Il motto che è famoso di Socrate è “conosci te stesso” che non si riferisce ad una conoscenza fisica di se stessi bensì conoscere all’interno di se stesso il vero, in forza del quale l’uomo deve guardare dentro di se e in se ritornare. STORIA DELLA FILOSOFIA !22 I socratici sono i filosofi posteriori a Socrate, questi hanno fondato 3 diverse scuole: 1) Megarica, 2) Cirenaica e 3) Cinica. La prima ha come principio il bene astratto, la semplicità in genere, come fondatore ebbe Euclide, essi credevano che il bene era qualcosa di semplice come il vero in genere e descrivono tutto ciò utilizzando una dialettica molto sofisticata. Il bene per loro era l’universale. La seconda ha un principio che sembra molto distante da quello che professava Socrate, ovvero il piacere, quello afferrato dal pensiero non quello sensibile, determinato dall’intelletto. Come caposcuola avevano Aristippo che appunto professava che la ricerca del piacere per gli uomini era l’essenziale, si riferisce al piacere dell’uomo colto che lo ricava per mezzo della formazione del pensiero, questo è il loro ideale (del saggio). La cultura rende l’uomo libero e solo tramite questa l’uomo approderà al piacere, essi considerano determinante la sensazione, infatti il bene è la sensazione gradevole e il male quella sgradevole, la sensazione quindi è il principio di tale scuola. Teodoro perfezionò il pensiero di questa scuola dicendo che il gradevole e il piacere sono cose di pertinenza dell’intelletto e il loro contrario invece alla mancanza di senno. Egesia invece ha dato più valore all’universale ovvero a ciò che è stabile e naturale, egli sopprime la sensazione e con Anniceri si imbocca la strada di quella che possiamo definire la filosofia popolare. La terza ha come principio il negativo, il suo fondatore fu Atistene che affermava che la virtù bastava a se stessa e per vivere aveva bisogno solo di forza di carattere ovvero di azioni e non di dottrine. Essi davano molto valore alla rinuncia, alla semplificazione dei bisogni, infatti affermavano che la moltiplicazione di essi era sola la suddivisione di un bisogno universale in piccoli specifici bisogni. Socrate e Platone vogliono condurre l’universale all’interno della coscienza. L’idea platonica STORIA DELLA FILOSOFIA !23 è concreta e determinata in se stessa, la filosofia non rimane chiusa nel pensiero di un individuo, ma si eleva a costituzione, a realtà. La filosofia platonica si indirizza verso l’intellegibile e il soprasensibile e li unisce al mondo sensibile dando però molta importanza al regno delle idee come unico mondo veritiero. Questo fa si che la sua filosofia, essendo eclettica ovvero un’unione di diverse filosofie antecedenti alla sua, sia concreta. La caratteristica delle sue opere è il mito, che non sempre è chiaro, ma è molto importante in quanto tramite allegorie esprime il pensiero che non riesce ad esprimersi da se. La filosofia per Platone è la conoscenza tramite il pensiero di quel che esiste in se e per se. La filosofia platonica tratta della conoscenza del soprasensibile, di ciò che è giusto e vero e di come questi principi abbiano valenza universale anche per lo Stato. La conoscenza sensibile in Platone è chiamata idea (opinione), la riflessione che si mischia con la conoscenza sensibile e che ragiona genera il pensare. Il cammino formativo ha il suo fondamento nello spirito quindi l’uomo apprende a partire da se stesso, l’imparare è visto come ricordo di nozioni che l’uomo ha già in se stesso. L’anima è ciò che pensa, è immortale e muove se stessa. La sua immortalità sta nel fatto che l’anima è il pensare. Dio è corpo e anima generati insieme e connaturati. L’anima anche se è circondata da cose terrene deve sempre dirigersi verso ciò che è vero, ovvero verso il bene, mentre le altre virtù sono più vicine al corpo e necessitano dell’esercizio il pensare non perde mai la sua forza. L’universale è l’idea che è colta tramite il pensiero, ma non è trascendente ovvero lontana bensì l’idea è l’universale. Fa scaturire il bene universale dalle nozioni particolari, tramite la negazione del particolare che mostra la sua falsità esso svanisce e lascia il posto all’universale. Questo è il movimento del pensiero nel quale l’universale dissolve in se stesso le contraddizioni. Contro la dialettica di Protagora che sopprime una cosa e ne constata un’altra, contro i sofisti i quali annullano il negativo. L’universale è attivo, concreto e libero poiché si distingue da se stesso e in se stesso ritorna e nel far questo vuol dire che si ritrova nell’altro; questo è il principio che esprime il vero. Il sensibile e il piacevole sono cose infinite e per l’intelletto l’infinito è la cosa più importante ed elevata e l’importanza dell’infinito sta nel fatto che è indeterminato. Il finito invece è il limite, la determinazione e l’unione di questi due aspetti genera tutto ciò che è bello. Il nous governa il mondo. Dialettica come considerazione di ciò che deve valere come determinazione, ovvero dei pensieri. L’idea è l’essenza divina, essa pesa assolutamente se stessa, è il movimento del pensare, la sua vita. Dio è il bene e non ha invidia, ha fatto il mondo simile a se dandogli l’anima, ma egli è solo l’ordinatore della natura ed essa non dipende da lui. All’inizio furono fatti i due estremi fuoco e terra ma non avrebbero potuto unirsi senza un legame generato da un terzo. L’intelletto è generato da 3 punti: 2 estremi (singolare e particolare) e un punto medio (universale), gli estremi si uniscono nell’universale con se stessi tramite l’altro, in tal modo gli estremi sono uguali quindi l’uno si unisce all’atro e con se stesso. Il mondo eterno ha una copia che è collocata nel tempo ed è mutevole, viene amministrato dall’uomo e per questo Platone come dovrebbe essere uno stato. Lo divide in 3 classi che rappresentano 3 virtù (uomini di stato, guardiani=filosofi connessa c’è la saggezza=ragione, uomini di valore=valorosi connessa al valore che non indietreggia davanti alle passioni=ira e in fine ci sono coloro che esercitano un mestiere=connessi alla temperanza=bisogni e passioni). La giustizia deve valere per l’intero stato poiché presuppone la libertà STORIA DELLA FILOSOFIA !25