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Storia della filosofia

Storia della filosofia Iacono Alfonso 2016/2017

Hegel: Lezioni sulla storia della filosofia Le lezioni sulla


storia della filosofia hegeliane non sono nate come testo a
se, ma bensì sono state create da appunti e annotazioni delle
sue lezioni tenute a Berlino nell’ultimo periodo della sua
vita 1820). Riassume in breve concetti e terminologia della
filosofia hegeliana e in più presenta l’interpretazione dello
svolgimento storico che ad essa ha condotto. I rapporti tra
storia e filosofia e ancora tra storia della filosofia e filosofia
sono importanti e necessari, lo sono perché nello studio
della storia della filosofia serviranno richiami al mondo
culturale e storico come coordinate spaziali. Lo stesso vale
nel conoscere se stessi, nella rivoluzione del pensiero
moderno cambia il modo che ha l’uomo di vedere se stesso,
non si vede più in rapporto ad una comunità, ma nella sua
individualità. Così Hegel basò le sue lezioni sulla storia
della filosofia sulla sostanza delle opinioni che si sono
generate nel tempo e non sulle opinioni in se. Infatti si deve
distinguere la storia dalla sua
rappresentazione/interpretazione, questa riporta non la
storia in se, ma l’idea, la visione che di essa viene fornita
infatti la storia è una, la sua interpretazione può essere
diversa e da molti punti di vista. Alcuni capisaldi di questa
raccolta delle lezioni hegeliane sono: la filosofia
identificata con la ragione ed entrambe volte alla verità, il
legame tra sviluppo del pensiero e libertà politica e la storia
della filosofia come disciplina filosofica. La divisione di
questo testo è in 3 parti: filosofia antica, medievale e
moderna. Prima di quella antica Hegel fa qualche cenno
alla filosofia orientale, non considerata una filosofia in se a
causa della sua mancanza di astrattismo, tutto ciò perché la
filosofia non può nascere dove la soggettività non esiste è
infatti nata nell’antica Grecia dove la libertà del singolo
genera lo sviluppo dello spirito. La storia della filosofia
considera la storia come fatti che scorrono e questi
riguardano tutti il libero pensiero, infatti tratta del mondo
delle idee e della storia del pensiero. Questo, il pensiero
non in quanto ragionamento, è ciò che fa differire l’uomo
dall’animale ed è ciò che ci fa umani, inoltre il pensiero può
fare riferimento ad un’infinità di cose ma si riferisce
principalmente a ciò che è proprio dell’uomo e cioè a se
medesimo. Il pensiero quindi pensa se stesso inoltre esso è
attività poiché questo pensare se stesso indica il produrre e
nel produrre se stesso esso produce filosofia. (Questo
pensare se stesso del pensiero lo si deve vedere sempre in
relazione agli altri, infatti Hegel rifiuta l’essere solitario di
Cartesio in quanto vede l’uomo come animale sociale.) Nel
parlare di storia del pensiero sopraggiunge subito una
contraddizione cioè come si può parlare di storia, che è
successione di eventi, se il pensiero è eterno e immutabile
nel tempo cioè esiste; si deve parlare allora di ciò che sta al
di fuori della storia. Inoltre sopraggiunge anche una
seconda contraddizione cioè in cosa si distingue la filosofia
dagli altri ambiti umani? Questa sopraggiunge quando si
pensa al pensiero e a cosa esso sia collegato, infatti esso
genera tante attività oltre la filosofia e dobbiamo capire
quale sia l’ambito preciso di essa, specialmente nell’ambito
storico quale sia la relazione (storica) tra filosofia e le altre
discipline (attività) umane generate dal pensiero. Quindi in
primo luogo c’è il concetto che è lo scopo della filosofia e
poi vi è il rapporto tra filosofia e altre produzioni dello
spirito umano.
1:Scopo della storia della filosofia La storia della filosofia è
la storia del pensiero libero e concreto che si riferisce a se
medesimo. Per questa ragione esso è capace di determinare
se stesso e quindi è concreto, inoltre visto che la 1
filosofia non a ha che fare solo con astrazioni e visto che
riguarda il pensiero esso è appunto concreto. Non ha a che
fare solo con astrazioni poiché esse rientrano solo nella
sfera del riflettere e quindi delle determinazioni astratte,
mentre il pensiero è concetto concreto in quanto si realizza.
Nella sua realizzazione quindi questo pensiero diviene idea
quindi verità. In fine si può affermare che la prima
determinazione è il pensiero è concreto, il concreto è la
verità e la verità viene prodotta solo mediante il pensare.
Visto che il pensiero è concreto in se stesso esso allora si
muove, questo muovere è il suo procedere all’infinito verso
se stesso che possiamo definire meglio sviluppo. Questo
sviluppo 2 non è altro che una possibilità, una disposizione
che il pensiero ha già in lui, come un germoglio che diventa
albero. E’ una semplicità che in se contiene molteplicità ma
in modo che essa ancora non esista e che con lo sviluppo
diventerà concretezza. Tale sviluppo è l’altro che viene
fuori ma che è identico a ciò che 3
è in se, quindi vi è unità nella differenza, esso inoltre ha in
se la mediazione che non è altro il volere del cambiamento
e questo avrà esistenza solo tramite la mediazione. Il
concetto di sviluppo è un concetto universale, che ha in se il
movimento della vita dello spirito, esso non è altro che un
eterno ritorno a se dell’idea, il mantenere se stesso in ciò
che è altro. Lo definiamo così come sviluppo assoluto che è
un processo generato da altri sviluppi e per questo è
concreto e questa serie di sviluppi sono i vari stadi dello
sviluppo in se. In fine vi è il frutto dello sviluppo, il
processo è articolato così: l’in sé del processo (germoglio),
l’esistenza (ciò che ne scaturisce) e poi l’identità di
entrambi (germoglio e albero) che non è altro che l’essere
in sé. “ Il risultato del movimento, ciò che viene prodotto
mediante il processo, è che ciò che ne scaturisce è identico
a ciò che è in se.” Ma il risultato non rimane mero risultato
in quanto esso sarà il punto di partenza di un nuovo
sviluppo, al processo si aggiunge una nuova determinazione
e arricchisce ogni grado dello sviluppo poiché non vi è
nessun pensiero che nel suo sviluppo non progredisca. La
filosofia è la scienza del libero pensiero, cioè è il pensiero
che reca se stesso alla coscienza , essa è il risultato di tutto
ciò che la precede e sarà sviluppo del presente. La storia
della filosofia è lo sviluppo svolto nel tempo mentre la
filosofia è il mero sviluppo del pensiero, la storia della
filosofia studia gli avvenimenti che sono scaturiti dal
processo dello sviluppo del pensiero, esso essendo concreto
ha dei risvolti nel tempo che sono gli avvenimenti. La storia
della filosofia e la filosofia sono la copia l’una dell’altra
poiché lo studio della storia della filosofia è lo studio della
filosofia stessa. Per quanto riguarda il significato del
pensiero esso stesso è significato e inoltre esso ha anche
un’apparenza. Il primo modo di apparire del pensiero è
quello “soggettivo” cioè il pensare si presenta come
qualcosa di particolare, ma nella filosofia bisogna
rappresentare il pensiero in modo completamente
differente, come qualcosa di obbiettivo il pensiero in sé e
per sé quindi esaminarlo come qualcosa di universale. Il
secondo modo di apparire è quello contenente il modo
storico, ma non sul piano delle opinioni che possono essere
differenti da persona a persona, si parla del pensiero come
determinazioni universali di esso. Inoltre ci sono tanti filoni
di filosofia, ma questi non portano a creare molte filosofie
poiché essa è solo una, sono gradi diversi e necessari per lo
sviluppo del pensiero infatti esse non solo si contraddicono
ma si confutano tra di loro. Il fatto è che in un determinato
periodo un certo modo di pensare, un’idea, è quella più
elevata ma come il pensare anche la filosofia ha uno
sviluppo quindi ad un certo momento quell’idea che era la
più elevata viene confutata e diviene un processo, uno
stadio per lo sviluppo; il suo contenuto non è stato rifiutato
ma bensì è necessario per lo sviluppo. Nessun principio
caratterizzante la filosofia va perduto ma muta il suo ruolo,
mentre il rifiuto mostra i limiti di una teoria mentre
giustificare non è altro che riconoscere i lati negativi e
positivi di una teoria e maniere quelli positivi per generare
sviluppo. Questo è il lavoro che fa la storia della filosofia.
La negazione in filosofia può presentarsi in diversi modi: il
primo mette luce sull’aspetto negativo di una teoria, il
secondo mette luce sull’unione di diversi principi quindi la
loro riduzioni a determinazioni di un unico principio e in
terzo luogo è che non si tratta di qualcosa di passato in
quanto abbiamo a che fare con pensieri. Inoltre i tempi
limitati con i quali si tratta la storia della filosofia
conducono, inevitabilmente, a limitarsi ai concetti
necessari; rispetto alle filosofie antiche ci si limit ai
principi, si mette in risalto solo ciò che è filosofico di una
teoria e si trascura la storia dello sviluppo di quella filosofia
per concentrarsi solo sul contenuto
2: Rapporto della filosofia con la religione, la storia, l’arte e
la politica. Il secondo punto verte sul far luce sul rapporto
tra filosofia e le altre figure dello spirito e di questo bisogna
esaminare due lati.
Il primo è quello propriamente storico e il secondo è la
connessione stessa con scienza, religione ecc.. Bisogna
vedere tutte queste figure come figure che tendono
all’universale e non sotto i loro aspetti particolari, lo spirito
è uno e prende forma in modi diversi. Il secondo punto è
che la filosofia è la parte più bella della diramazione dello
spirito in quanto consiste nell’aver coscienza del pensare
cioè che lo spirito esiste e che cosa esso sia. Essa non sta al
di sopra della sua epoca ma ne è coscienza e questo sapere
è la realtà dello spirito. Quindi la filosofia è il luogo di
nascita dello spirito che emergerà come realtà, inoltre come
terzo punto c’è la valutazione storica in cui una determinata
filosofia si sviluppa. Tuttavia la filosofia è il pensare dello
spirito e questo è il risultato dello spirito stesso poiché il
pensiero è movimento (produzione di se). Questo
movimento si genera dalla figura naturale e lo spirito
dapprima è solo immediato, poi passa alla riflessione nella
quale sorpassa la figura naturale e giunge alla negazione
dando inizio alla decadenza. Il passaggio prima della
creazione di una corrente filosofica è il raccoglimento del
pensiero intorno a se stesso, cosi facendo nasce la filosofia
come riscatto della decadenza del pensiero (questo si
genera quando il pensiero si rifugi a se stesso poiché nulla
nel mondo reale lo soddisfa). Poi vi è il punto di
connessione della filosofia come le altre figure dello spirito
(scienza, religione, arte, ecc..). Il primo punto di questo è il
rapporto tra filosofia e scienza, essa prendendo spunto
dall’esperienza indaga su di essa e cerca l’universale e
questo è l’aspetto formale in comune tra le due, mentre con
la religione la filosofia ha in comune l’aspetto sostanziale.
Rispetto agli oggetti (leggi e relazioni) concernenti la
natura si parla di universalità e questo è il contenuto in
comune che il pensare ha con la filosofia.
Si abbandona la metafisica per guardare il lato concreto
della natura, le forze e le leggi che la regolano, a questo si
ricollega che solo ciò che è conosciuto tramite i sensi può
essere preso in considerazione . D’altro canto si definisce
“filosofia terrena” ciò 4
che vuole conoscere il mondo ma essa non si limita solo al
mondo terreno per questo ho lo stesso fine con la religione.
Oltre all’universalità un altro concetto che la filosofia ha in
comune con la religione è il contenuto, ovvero entrambe
hanno come oggetto lo spirito, ciò che è in sé e per sé.
L’universalità assoluta permea tutto e questa come spirito è
libero nel senso che esso si trovi presso se stesso, pervadi
l’altro e nell’altro che è diverso ritrova però se stesso. Per
questo dal punto di vista religioso lo spirito singolo e
soggettivo è Dio e con ciò abbiamo solo forme particolari
del conoscere come appunto la fede, poiché al di fuori di
essa non vi è lo spirito divino che permane tutto
universalmente. Della fede vi sono 2 aspetti: uno è quello
capace di rappresentare e quindi il contenuto è fuori di noi,
il secondo è il culto cioè il sentimento di devozione che
genera unità tra il soggetto e l’oggetto. Con tutto questo c’è
un’antitesi tra soggetto e oggetto, lo spirito e il pensare, che
dovrebbero essere un tutt’uno, infatti nella filosofia il punto
fondamentale è che lo spirito percepisce sé stesso e questa
percezione genera distinzione nella quale però lo spirito
riesce comunque a trovare sé stesso. La differenza peculiare
tra filosofia e religione sta che in quest’ultima lo spirito può
essere in qualche modo rappresentato, quindi avere un
immagine, quindi essere oggetto; mentre nella filosofia il
contenuto è la forma del pensare che in quanto pensato
diviene oggettivo e questo in quanto pensato viene ridotto
all’interiorità e non si contrappone. Tutta questa fase nella
religione si da in 2
Parallelismo con la scienza4
modi differenti: 1 come figura storica e 2 come devozione
dove la scissione tra soggetto e contenuto è soppressa e si
diventa tutt’uno. Quindi si può dire che solo le figure
rappresentative sono diverse tra queste due discipline e
come si capisce qual è il senso proprio di una
determinazione del pensiero? Il senso lo si capisce
dall’interpretazione che si da al pensiero (mitologia
dei=forze naturali). Lo spirito è il risultato del pensare e il
pensare si coglierà in seguito in forma concreta e quindi
non sarà rinchiuso in una determinazione astratta. La
riconciliazione tra filosofia e religione sta nel fatto che
come nella filosofia lo spirito si riconosce ed è concreto
poiché pone se come altro e in esso si riconosce, questo in
egual modo avviene nella religione cioè Dio è un’astrazione
dell’intelletto ed esso è concreto poiché si pone come altro
e in questo si riconosce. La filosofia è in grado di intendere
e rendere giustizia alla religione ma non vale l’inverso. Non
si può affermare che è antistorico che nella mitologia ci si
imbatta in questioni filosofiche poiché è cosi, in essa sono
contenuti pensiero, ragione, credenze (filosofemi)
ovviamente in modo allegorico e vanno interpretati, ma
bisogna ridurre tutto a ciò che Aristotele afferma nella
Metafisica: “non val la pena di prender sul serio il
filosofare mitologico; esso non è la forma nella quale il
pensiero ha da essere esposto, si tratta di una maniera
subordinata.” D'altronde non ci interessano nemmeno
quelle filosofie che partono dalla chiesa, poiché non
professano il pensare libero generato da se stesso e da ciò la
domanda: da dove bisogna far cominciare la storia della
filosofia? Essa comincia dove il pensiero emerge per se,
dove separandosi dalla sua base naturale la trova
estranea e vi ritorna vedendo se stesso in essa e quindi
ritrovandosi. Questo implica libertà e questa si genera
quando l’individuo si vede come soggetto per sé e nello
stesso tempo come universale, questo gli da un valore
infinito con però qualcosa di personale e quindi ponendosi
al di fuori di lui e volendo valere senz’altro per lui. La
libertà del pensiero è strettamente legata a questa libertà
dell’individuo, il pensare pensa se stesso come universale,
infinito e libero si pone fuori di lui e ritorna riconoscendosi.
La connessione tra libertà politica e libertà del pensiero sta
nel fatto che entra in gioco un relazione di consapevolezza
con l’universale, io considero e conservo me per me stesso
poiché l’oggettivo mi si contrappone, ma nello stesso tempo
lo penso. Malgrado sia qualcosa di diverso da me lo penso
così facendo lo conosco mantenendo la mia posizione di
“soggettività”.
Caratteristiche pensiero Orientale Nell’oriente la sostanza è
rappresentata come il pensiero, il sovrasensibile e l’uomo è
individuo senza diritti poiché per comprendere la sostanza
deve dissolversi in essa, svanire, annullarsi . Essa è l’unico
principio affermativo, il pensiero libero si fa avanti solo se
il soggetto rimane innanzi alla sostanza e la conseguenza di
tutto ciò è che non si può conoscere la sostanza in modo
filosofico e quindi non si può conoscere l’universale.
Caratteristiche filosofie greche e tedesche La vera filosofia
emerge nel mondo greco dove lo spirito si pone come libero
e il soggetto può conoscerlo senza annullarsi, il mondo
greco sviluppa il pensiero fino all’idea quello germanico
coglie il pensiero nello spirito. La prima filosofia è
semplicissima, si rifà all’universale (acqua, essere ecc )
esso viene colto come Qualcosa capace di determinare se
stesso e la totalità si realizza tramite il pensiero, tuttavia il
gradino più alto è l’unità ovvero l’idea in rapporto al
concetto, concetto che determina se stesso ma rimane
nell’unità. Nell’unità le differenze coesistono e sono
concrete pur essendo contenute in un unico concetto, l’idea
si eleva come spirito, cioè come soggettività che sa sé
stessa, la filosofia greca esprime l’idea e l’epoca che la
segue esprime l’idea che sa sé stessa. Il principio dell’età
moderna è che la soggettività è libera in quanto è posta per
se, la soggettività però è l’uomo e visto che l’uomo è libero
poiché può essere qualsiasi sua determinazione allora
l’uomo è spirito. Nel principio germanico l’idea obiettiva e
la soggettività sono unite e si generano due idee, l’idea
soggettiva come sapere e l’idea concreta (libera per sé che
sa sé stessa).
Primo periodo: La filosofia greca La filosofia fondata
sull’esperienza nasce proprio nel mondo greco, la
sottomissione dell’uomo a uno “spirito” quasi inarrivabile
non esiste in questa cultura in quanto in essa assistiamo al
progredire dello spirito. Essi hanno generato anche una
“storia” (degli dei) che è una testimonianza del mondo
prima della loro civilizzazione ( con questo termine intendo
dire che loro hanno dato rilievo alle scienze e alla cultura in
generale). Il punto di vista del mondo greco è la libertà
dello spirito, l’io come infinito e ciò che è universale è
presente, tutto ciò riferito al pensare in genere. Io è il
riferirsi di me a me in modo che possa prendere attrazione
da me e rendermi universale. Il pensare è capace di darsi
contenuto, è capace di determinare sé entro sé stesso e
questo contenuto è posto in rilievo in quanto è contenuto
del pensare. Da ciò scaturisce il mondo delle idee dove c’è
la presenza del soggettivo e dell’oggettivo, il primo è la
concezione che è il mio pensare e il secondo è che in
contemporanea un pensare universale. Questi concetti
possono essere distinti tramite 2 vie: una è quella nella
quale il contenuto del pensare è generato per creale il
mondo (questo l’oggettività del mondo delle idee), la
seconda questo viene riassorbito all’interno del soggetto e
quindi l’io è conosciuto nell’idea stessa. Questo io è infinito
in quanto non può essere afferrato come qualcosa di
particolare e per tutto questo l’idea è afferrata come quella
che sa se stessa e questo sapere è lo spirito. L’idea è il
principio del mondo e la soggettività è qualcosa di
accidentale poiché essa è affetta da naturalità, nel mondo
moderno questa caratteristica di naturalità è stata
abbandonata poiché il soggettivo e l’oggettivo sono
praticamente uguali. PARTE PRIMA: DA TALETE AD
ARISTOTELE
Vi sono 3 momenti o periodi: il primo è quello dei
“naturalisti” che riconducono tutto alla natura tra i quali si
differenzia Anassagora per il suo riferimento all’intelletto o
ragione come pensiero in movimento che sta all’interno del
mondo; poi vi è quello dei sofisti, Socrate e i socratici che
puntano sulla soggettività come principio e in fine vi sono
Platone e Aristotele, il primo parla del pensiero come idea
che determina sé stesso e il secondo punta sull’attività del
pensiero che lo fa determinare. Il primo periodo è
caratterizzato da figure che non si dedicavano solo alla
filosofia ma erano attivisti nella vita della città, quindi
prendevano anche parte all’amministrazione dello Stato,
solo con Talete inizia la storia della filosofia. Egli
affermava che il principio assoluto era l’acqua, mentre per
Anassimandro il principio assoluto è l’infinito privo di
determinazione e ancora per Anassimene il principio è
l’aria. Per Anassimandro dall’infinito scaturiscono infiniti
mondi al quale poi fanno ritorno, l’indeterminato si separa
dall’omogeneo e questo è il Caos (indeterminato) ed in esso
è presente anche il determinato mescolato con il primo, la
separazione avviene quando omogeneo si unisce
all’omogeneo e si scinde dall’eterogeneo. Affermiamo che
con Talete si ha la nascita della storia della filosofia poiché
egli fu il primo a prendere il considerazione l’uno come
essenza e quindi sorge l’idea che solo l’uno ha valore come
universale e quindi esiste - tutto scaturisce dall’uno ed esso
rimane sostanza di tutto - cioè perde la sostanza particolare
e diviene universale. Infatti nessuno tiene in considerazione
la terra come principio poiché essa è un aggregato di
elementi, mentre il principio deve essere unico, l’unica
difficoltà in questa visione è che comunque l’unico è visto
sotto una forma particolare e inoltre questo non ha attività.
Pitagora fu il primo vero filosofo, nel senso che si dedicava
solo alla vita filosofica, egli fondò una scuola in Italia che
era gestita come un monastero. Il fondamento della filosofia
pitagorica è il numero, esso è l’essenza di tutte le cose, per
Pitagora la matematica sta in mezzo tra sensibile e
soprasensibile con essa riesce a conoscere al meglio il
sensibile in quanto esso è “zoppo”, paragona il numero al
pensiero e senza di esso non si potrebbe conoscere nulla. I
numero 1, 2, 3 ecc corrispondono a determinazioni del
pensiero, in queste l’1 è il principio, è l’elemento esclusivo,
da esso si generano tutti gli altri attraverso composizioni
con esso e ripetizioni dello stesso, l’1 resta sempre
immutabile. La difficoltà sopraggiunge nel vedere che l’1 è
pensiero ma esclusivo, non c’è unità tra le varie differenze e
il pensiero necessità di questa unità (nel 2 come nel 3 ecc vi
sono diverse unità indipendenti mentre dovrebbero essere
tutte la stessa cosa). Vediamo quindi come l’1 è qualcosa di
completamente astratto e non riesca ad essere concreto
proprio perché i pitagorici insistono sul fatto che la
concretezza è imitazione dell’uno. Poi vi sono le differenze
come la diade (ciò che è molteplice, diverso e distinto) con
la quale compare anche l’antitesi che sarebbe l’antitesi di 1,
questa viene interpretata come la differenza tra limitato e
illimitato. Questa opposizione venne poi interpretata come
pari e dispari, l’1 è sia pari che dispari poiché ha la
proprietà di generare numero sia poi che dispari. In tutto le
antitesi generalo sono 10: 1) limitato e illimitato, 2) pari e
dispari, 3) unità e molteplicità, 4) destra e sinistra, 5)
maschile e femminile, 6) quiete e movimento, 7) retto e
curvo, 8) luce e tenebra, 9) buono e cattivo e 10) quadrato e
parallelogramma. Ma si potrebbe riassumere anche con 3
distinzioni: 1) secondo la diversità, 2) secondo l’antitesi e
3) secondo la relazione. La prima nozione afferma che ogni
soggetto è considerato per se stesso riferitesi a se stesso in
quanto se stesso, nozione di identità e dipendenza. La
seconda si riferisce all’antitesi come opposizione diretta tra
i due soggetti. La terza si riferisce alla relazione come
necessaria per conoscere il contrario, il diverso del soggetto
(conosco la destra grazie alla sinistra). Da ricordare è che
tra cose che stanno in opposizione reciproca non vi è
termine medio (morte e vita). La relazione duplice è
l’antitesi quella triplice è la relazione. Al di sopra di queste
determinazioni vi deve essere un genere universale e se
esso viene soppresso si sopprimono anche le
determinazioni, questo genere è l’1 che è in se e per se
poiché i numeri sopraggiungono come progressione dal
primo. Per i pitagorici vi sono 4 generi, il primo è l’1 ed è
quello universale poiché è unità con se, il 2 è l’antitesi
ovvero la differenza, il 3 e la congiunzione ovvero l’unione
delle prime due; sembrerebbero solo tre ma se ci si riflette
si vede che il 4 genere è intrinseco al ragionamento poiché
l’1 è determinazione semplice che contiene in se già la
molteplicità, poi vi è l’antitesi che è il 2 (ma in questo caso
il 3) e poi vi è il 4 che è l’unità e quindi perfezione. Essi
hanno costituito tutto sulla base numerica (anche l’anima è
un numero o meglio un pulviscolo solare che è capace di
muovere se medesimo, inoltre la concepivano immortale
infatti credevano nella metempsicosi ), dicendo che dall’1 si
genera tutto poiché 5
tutto è generato secondo armonia; riguardo ad essa a
Pitagora viene anche attribuita la scoperta delle noti e
l’individuazione dei loro rapporti numerici. (Il pensiero è
l’1, il sapere è il 2, la rappresentazione è il 3 e in fine la
sensazione è il 4). La giustizia è un numero pari che
moltiplicato per se stesso da sempre un numero pari. La
critica aristotelica ai pitagorici è che in essi non viene
spiegato il movimento in quanto i numero sono forme
fredde e morte e in esse non vi è il principio di movimento
e vita. Gli eleati furono Senofane, Parmenide e Zenone, il
loro principio era che solo l’uno, solo l’essere è, tutto il
resto non ha verità è solo opinione e apparenza. Il puro
pensiero è ciò che è del tutto universale ovvero l’uno colto
nella sua immediatezza, l’essere per gli eleati è solo ciò che
esiste il resto non ha verità, solo l’uno esiste. Per la prima
volta il pensiero comincia ad essere libero per se come
l’unico vero cioè come ciò che comprende se stesso e per
questo è del tutto astratto. Senofane e Parmenide sono i
portavoce della convinzione che tutto è falsità e che solo
l’essere è vero. Per Parmenide tutto ciò che è negazione,
individuale e singolo non esiste affatto, gli umani errano
perché confondono essere e non essere, mentre la verità è
proprio dell’essere ed esso è ingenerato, immutabile, intero,
privo di movimento e senza fine. Il pensare e il pensiero
sono la stessa cosa e senza l’essere non ci sarebbe il
Metempsicosi: anima immortale che si veste di un altro
essere vivente e fino a quando non li avrà 5 vissuti tutti non
tornerà in un corpo umano.
pensare poiché fuori dall’essere non vi è nulla, il tutto
costituisce una concatenazione unitaria e i mutamento non è
e quindi non ha verità. Vi sono 2 vie, quella del sapere (del
pensare e della verità) e quella dell’opinione, se qualcosa è
allora non è sensibile ed è eterna e in questa concezione
nascita e divenire non sono presenti. In Zenone vi è lo
stesso argomento, ovvero, l’uguale non può produrre il
disuguale e viceversa, la differenza è soppressa perché
l’essere confluisce in se ed è identico a se. L’essere è
positivo e da questo non può derivare nulla di negativo,
l’uno inoltre non è mosso e non muove se stesso ma non è
neppure non mosso ( non è “non mosso” poiché “non
mosso” è usato solo per qualcosa che non è), diciamo che
l’essere non possiede movimenti pochi questo
implicherebbe diversità (che è solo del non essere). Quindi
affermativo è ciò che è uguale a se stesso e la negazione
non esiste, il finito non esiste, tutto ciò però si ferma solo
alle cose astratte. La dialettica di questa scuola è stata
ideata da Zenone, egli si concentra sulla negazione del
movimento affermando che esso non è vero e non spetta
all’essere, lui non nega l’esistenza del movimento ma la sua
veridicità e infatti mostra che l’idea di movimento contiene
molte contraddizioni. Dimostra ciò in diversi modi: ciò che
è mosso dovrebbe percorrere metà dello spazio prima di
giungere alla sua meta (e ogni metà si divide in un’altra
metà) inoltre lo spazio è un continuo e le sue metà sono
intere e quindi contengono altre metà questo procede
all’infinito; si conclude che ciò che è mosso non
raggiungerà mai la sua meta, poiché ogni porzione di spazio
è divisibile in due metà. Lo spazio è diviso all’infinito in
un’infinità di limiti e quindi in un tempo dato dovrebbero
essere percorsi infiniti limiti, ma l’infinità non può essere
esaurita e così non si giungerà mai alla fine. Muoversi
significa trovarsi in un luogo e nello stesso tempo non
trovarvisi,
Zenone e tutti gli eleati vogliono dire che il mondo con le
loro figure e movimenti è solo apparenza e il vero è solo
l’essere. Per Eraclito invece l’intelletto è sempre oscuro, il
concetto e l’idea sono avversi per l’intelletto, cioè non
possono essere compressi da esso in quanto l’essere è non
più del non essere. Eraclito oltre ad affermare che l’essere
esiste tanto poco come il non essere (affermazione che
porta a pensare all’annientamento del pensiero) afferma
anche che tutto scorre, cioè niente rimane uguale a se stesso
(esempio del fiume). Solo l’uno permane tutto il resto
scorre, cambia e con ciò egli afferma che il principio è il
divenire ed in esso è contenuto sia l’essere che il non
essere. Il passaggio dall’essere al divenire è la prima
determinazione concreta del pensiero, il divenire è visto
come principio di tutto, del movimento e della vita.
L’intelletto astratto si attiene all’essere, al non essere,
all’apparenza e quindi a tutto ciò che esiste davvero mentre
la ragione riconosce l’elemento interno alle cose, cosi che
nell’uno ci sia il suo essere altro e l’assoluto sia visto come
divenire. L’ideale è visto come diventare reale e viceversa.
Ogni elemento differente sia distinto dal suo altro, dal suo
contrario e non da qualsiasi altro, questo perché il suo altro
è contenuto in esso in potenza, in concetto. Eraclito inoltre
crede che il tempo sia l’essenza prima, reale e corporea,
esso ci si presenta come divenire, è il divenire come intuito,
è il repentino mutarsi da essere a non essere. La
raffigurazione del divenire è associata al fuoco, che è la
maniera più reale con la quale Eraclito esprime il suo
principio, il fuoco è il consumarsi di altro ma anche di se
stesso. In questo processo si configurano 2 vie: quella verso
il basso e quella verso l’alto; quella verso l’alto mostra
come con la condensazione del fuoco questo diviene acqua
ed essa solidificata forma la terra; quella verso il basso
mostra come il fuoco spegnendosi diviene acqua, poi terra e
poi tramite una metamorfosi diviene ancora acqua e ancora
fuoco. Con “evaporazione” Eraclito vuole esprimere un
metamorfosi che sarebbe appunto questo passaggio del
fuoco, questa “evaporazione” per Eraclito è il principio
dell’anima poiché essa è l’evaporare, lo scaturire di ogni
cosa, quindi si verifica il ritorno degli opposti all’uno e del
venire fuori dall’uno. Quindi l’anima è paragonata al fuoco
ed essa/o è il principio vivificatore, perciò le anime migliori
sono quelle secche e con secche egli vuole significare
ardente. Per quanto riguarda il conoscere egli afferma che il
sensibile non esprime nessuna verità, la ragione è l’unico
giudice della verità, il logos è il processo, movimento
particolare che penetra ogni cosa è un essere terzo, è l’uno.
Empedocle fu un pitagorico e da egli perviene la nozione
dei 4 elementi; fuoco, acqua, aria e terra sono i 4 principi
fondamentali che permangono e mai divengono, sussistono
e non passano ed ogni cosa sorge dalla loro unione e
separazione. Empedocle oltre a questi 4 principi fisici ne
aggiunge altri due (amicizia e inimicizia/unione e
separazione) e tutte sono determinazione del pensiero. La
differenza unifica l’unire e il separare, due determinazioni
opposte sono identiche anche se diverse poiché identità e
non identità sono determinazioni proprie del pensiero che
non possono essere separate. L’anima quindi è la totalità di
questi elementi e unione e separazione sono legami attivi.
In Lucippo e in Democrito incontriamo invece principi più
ideali, ovvero l’atomo e il nulla. A Democrito si deve il
sistema atomistico, questo era costituito da atomo e vuoto,
pieno e nulla. Il principio è che l’atomo e il vuoto sono ciò
che è in se e per se, mentre il nulla e il vuoto sono principi
negativi e sono in opposizione con quelli positivi (atomo in
opposizione al vuoto). L’uno è ciò che è per se ed esso è
adesso e sarà sempre, la definizione più adeguata all’uno è
che l’uno è essere per se, cioè semplice riferimento a se
medesimo questo avviene anche grazie alla negazione di
ciò che è altro, questo principio rende anche più concreto
l’uno. In Leucippo il principio dell’essere per se è
determinazione assoluta che si configura nel progresso
dell’essere e l’essere per se è ancora qualcosa di astratto
infatti il principio dell’uno è del tutto ideale, appartiene al
pensiero. L’atomo non è visibile è qualcosa di astratto che
si attiene al pensiero, è sempre uno e ciò che si mostra è
sempre materia. Il principio dell’uno è completamente
ideale poiché si riferisce al fatto che il pensiero è la vera
essenza delle cose. I sensi non sono dei mediatori che ci
conducono alla verità, poiché secondo la verità esiste solo
ciò che è invisibile. Il mutamento, la nascita sono solo
processi esteriori, la mera unificazione è anche separazione,
l’universo nasce tramite separazione e unione degli atomi
all’interno del vuoto. Gli atomi si trovano nel vuoto e
formano un vortice nel quale si urtano e i simili raccolgono
i simili, i più sottili si dirigono verso l’esterno e i più
pesanti rimangono all’interno spostandosi insieme, si forma
cosi la terra e gli astri. Il principio del movimento degli
atomi è il vuoto, il negativo in opposizione al positivo, gli
atomi si riferiscono gli uni agli altri e alla loro negazione e
questo genera mutamento compreso come movimento.
Anassagora sostiene che ciò che è universale in se e per se è
il pensiero, l’essere, il divenire e l’uno sono pensieri, la
sostanza è il pensiero non soggettivo ma oggettivo. Con lui
finisce il periodo della filosofia ionica e si passa ad una
nuova epoca durante la quale i principi si passano da
maestro a discepolo. Il pensare per Anassagora riconduce le
idee alle cose naturali, agli oggetti, lo spirito si sa come
realtà, come qualcosa che è solo nel pensare mentre la
realtà è solo negatività, solo tramite il pensare lo spirito
diviene cosciente di se. Per egli il nous è il pensare,
l’intelletto, la ragione, questo è il principio dell’attività che
determina se stessa e in esso l’attività conserva se stessa
come universale e come identico a se. Ogni attività ha uno
scopo e questa è contenuta nello scopo, ogni attività
prodotta deve essere conforme allo scopo e l’attività cerca
di rendere sempre più obbiettivo uno scopo che in principio
è soggettivo. Qui vi è un passaggio dalla soggettività
all’oggettività, lo scopo deve essere universale poiché è la
forma del fine, che è una determinazione di se, dall’essere
soggettivo deve essere oggettivato, infatti si dice che lo
scopo è ciò che è vero cioè la determinazione di una cosa.
Quest’attività in generale è il nous, cioè l’attività capace di
determinare se stessa che inizialmente sembra soggettiva,
ma progressivamente diviene obbiettiva con la soppressione
dell’antitesi. Si può dire quindi che l’attività, che è attiva e
quindi capace di determinare se stessa, è attiva rispetto ad
altro che è diverso, che annulla e domina rientrando in se
stessa, tale attività è il nous. Questo però è solo formale e
bisognerebbe mostrare la sua relazione con ciò che è
concreto e quindi bisognerebbe mostrare il suo sviluppo. I
sofisti, Socrate e i socratici hanno preso in esame il
contenuto del pensare. I sofisti sono famigerati per la loro
fama di truffatori, essi furono i maestri della Grecia i quali
fecero nascere quella che oggi chiamiamo cultura, i
maggiori esponenti furono Protagora e Gorgia. Nel
Protagora di Platone viene delineata la figura del sofista e
in esso Ippocrate afferma che la sofistica è l’arte di render
potenti nell’ambito del discorso, cioè la retorica. Il loro
pregio era quello di avere scioltezza nel muoversi in diversi
campi della cultura in modo generale e di indirizzare la
riflessione sulle esperienze individuali facendone emergere
i punti di vista generali, si ha quindi un passaggio dal
particolare all’universale. Il
STORIA DELLA FILOSOFIA !19
loro scopo era appunto il riconoscimento di diversi punti di
vista e di ricavare la definizione del vero e ci ciò che è
giusto dall’esperienza personale, proprio per questo gli fu
rimproverato di alimentare l’interesse personale. Il motto di
Protagora era :” l’uomo è la misura di tutto ciò che esiste”;
e questo esprime il principio che tutto, qualsiasi contenuto e
oggetto, esiste solo in riferimento alla coscienza pensate e
quindi alla soggettività. Quindi il pensare soggettivo è
attivo, è ciò che determina, ciò che è capace di generare
contenuto e il punto principale di questa tesi è che il nulla è
uguale a se medesimo, tutto fa riferimento alla coscienza
quindi la determinazione è relativa poiché nulla è
determinato per se ma sempre rispetto a qualcos’altro. Per
questo motivo le verità sono sempre relative, perché fanno
riferimento a diverse circostanze come età, condizione ecc,
e visto che le cose sono determinazioni di nostre attività
l’esperienza è apparenza. Gorgia si distingue in quanto
prende in esame essere e non essere e nel suo scritto (Sulla
natura) parla di 3 punti: 1) dimostra che niente esiste, 2)
dimostra che se anche esistesse qualcosa non potrebbe
essere conosciuto e 3) dimostra che se anche si potesse
conoscere non potrebbe essere comunicabile. Socrate è la
figura più interessante della filosofia antica, egli riconduce
le verità alla coscienza ovvero al pensare del soggetto. E’ il
periodo del pensare che torna a se stesso e che implica
anche la libertà della coscienza per la quale l’uomo si trova
presso di se in ciò che è vero. L’uomo trova e conosce da se
medesimo le sue determinazioni e sempre tramite se stesso
deve giungere alla verità. Questo mostra un’uscita dalla
soggettività e al suo rientro l’uomo ha il vero che mostra
anche un abbandono della soggettività particolare e in
questo modo la verità non è altro che qualcosa posta dal
pensare. Il pensare che a suo tempo è qualcosa
STORIA DELLA FILOSOFIA !20
di vivo poiché il suo porre e produrre deve porre e produrre
qualcosa che non è già posto e prodotto e quindi la verità è
vista come l’unione del soggettivo con l’oggettivo. Socrate
con la sua filosofia fa un passo avanti rispetto a quella
“naturalistica” in quanto aggiunge la Morale, ovvero la
libertà del soggetto e questa impone che esso pone le
determinazione del vero e del bene a partire da se stesso e
nello stesso tempo le sopprime, in modo tale da generare in
un primo momento delle determinazioni soggettive che poi
diveranno oggettive e universali. Il metodo socratico è
alquanto strano e diverso da tutto ciò che lo precede poiché
pone il soggetto alla riflessione su se stesso. La prima tappa
di questo processo è l’ironia ovvero la dichiarazione di
Socrate di essere ignorante e quindi pone domande come se
vorrebbe apprendere dal suo interlocutore (facendo
esprimere gli altri, facendogli manifestare i loro punti di
vista e convinzioni). Da rispetto al suo interlocutore dando
importanza alle sue convinzioni e il palesare la sua
ignoranza (di Socrate) non è altro che l’ignoranza riguardo
le convinzioni del suo interlocutore. La grandezza di questo
processo è il fatto che si concretizzano idee astratte. Il
secondo punto del metodo socratico è l’arte della levatrice,
ovvero il voler tirar fuori dallo spirito umano le
determinazioni del pensare, per far ciò egli pone domande e
queste hanno uno scopo ben preciso ovvero carpire
deduzioni universali dal particolare (esperienza). Il primo
risultato di questo atteggiamento è la confusione che si
genera nell’interlocutore il quale capisce di “non saper
nulla” ovvero di contraddirsi, confondersi la dove pensava
di avere una conoscenza sicura e ferrea. Questa confusione
porta alla riflessione, che è il fine di Socrate, inoltre tale
confusione non è altro ciò da cui la filosofia deve iniziare.
In questo modo anche per Socrate l’uomo è
STORIA DELLA FILOSOFIA !21
un’unità di misura. La prima determinazione, non concreta,
che si ricava da tutto ciò è, che la coscienza ricava da se ciò
che è vero e proprio per questo dice che l’uomo non può
apprendere nulla (dove apprendere significa conoscere
dall’esterno, accogliere dentro di se una conoscenza
esterna). L’universale non è altro che un legame tra
soggettivo e oggettivo. Il succo del pensiero socratico sta
nel vedere che nulla ha valore se non possiede
testimonianza dello spirito, solo quando lo spirito mostra
che è esso stesso a venir conosciuto allora questa
conoscenza ha valore e in questo senso l’uomo è libero
poiché pone e ritrova in se stesso la verità. Quello che
scaturisce dallo spirito deve valere come universale. Il bene
in Socrate non è ancora determinato e questo vuol dire che
ha la caratteristica della soggettività, se deve essere ancora
determinato vuol dire che ha valore universale e che non è
qualcosa di inerte bensì un pensiero capace di determinare
solo tramite la soggettività e l’attività dell’uomo.
Determinato significa che è qualcosa di reale e in questo
caso per essere tale deve congiungersi nella soggettività
degli uomini. Socrate pone la virtù come qualcosa che si
determina tramite scopi universali e non particolari.
Parlando del bene Socrate lo riconduce alla morale, quindi
alle leggi e al costume della società, questo fa si che nel
determinare se stesso (bene e morale) entra in gioco la
soggettività e quindi l’accidentalità del carattere. La
soggettività è definita da Socrate come il genio socratico
cioè l’uomo decide in base alla sua interiorità, quindi una
decisione che il soggetto fa a partire da se, tale “demone” è
una figura peculiare per la soggettività socratica. Il motto
che è famoso di Socrate è “conosci te stesso” che non si
riferisce ad una conoscenza fisica di se stessi bensì
conoscere all’interno di se stesso il vero, in forza del quale
l’uomo deve guardare dentro di se e in se ritornare.
STORIA DELLA FILOSOFIA !22
I socratici sono i filosofi posteriori a Socrate, questi hanno
fondato 3 diverse scuole: 1) Megarica, 2) Cirenaica e 3)
Cinica. La prima ha come principio il bene astratto, la
semplicità in genere, come fondatore ebbe Euclide, essi
credevano che il bene era qualcosa di semplice come il vero
in genere e descrivono tutto ciò utilizzando una dialettica
molto sofisticata. Il bene per loro era l’universale. La
seconda ha un principio che sembra molto distante da
quello che professava Socrate, ovvero il piacere, quello
afferrato dal pensiero non quello sensibile, determinato
dall’intelletto. Come caposcuola avevano Aristippo che
appunto professava che la ricerca del piacere per gli uomini
era l’essenziale, si riferisce al piacere dell’uomo colto che
lo ricava per mezzo della formazione del pensiero, questo è
il loro ideale (del saggio). La cultura rende l’uomo libero e
solo tramite questa l’uomo approderà al piacere, essi
considerano determinante la sensazione, infatti il bene è la
sensazione gradevole e il male quella sgradevole, la
sensazione quindi è il principio di tale scuola. Teodoro
perfezionò il pensiero di questa scuola dicendo che il
gradevole e il piacere sono cose di pertinenza dell’intelletto
e il loro contrario invece alla mancanza di senno. Egesia
invece ha dato più valore all’universale ovvero a ciò che è
stabile e naturale, egli sopprime la sensazione e con
Anniceri si imbocca la strada di quella che possiamo
definire la filosofia popolare. La terza ha come principio il
negativo, il suo fondatore fu Atistene che affermava che la
virtù bastava a se stessa e per vivere aveva bisogno solo di
forza di carattere ovvero di azioni e non di dottrine. Essi
davano molto valore alla rinuncia, alla semplificazione dei
bisogni, infatti affermavano che la moltiplicazione di essi
era sola la suddivisione di un bisogno universale in piccoli
specifici bisogni. Socrate e Platone vogliono condurre
l’universale all’interno della coscienza. L’idea platonica
STORIA DELLA FILOSOFIA !23
è concreta e determinata in se stessa, la filosofia non rimane
chiusa nel pensiero di un individuo, ma si eleva a
costituzione, a realtà. La filosofia platonica si indirizza
verso l’intellegibile e il soprasensibile e li unisce al mondo
sensibile dando però molta importanza al regno delle idee
come unico mondo veritiero. Questo fa si che la sua
filosofia, essendo eclettica ovvero un’unione di diverse
filosofie antecedenti alla sua, sia concreta. La caratteristica
delle sue opere è il mito, che non sempre è chiaro, ma è
molto importante in quanto tramite allegorie esprime il
pensiero che non riesce ad esprimersi da se. La filosofia per
Platone è la conoscenza tramite il pensiero di quel che
esiste in se e per se. La filosofia platonica tratta della
conoscenza del soprasensibile, di ciò che è giusto e vero e
di come questi principi abbiano valenza universale anche
per lo Stato. La conoscenza sensibile in Platone è chiamata
idea (opinione), la riflessione che si mischia con la
conoscenza sensibile e che ragiona genera il pensare. Il
cammino formativo ha il suo fondamento nello spirito
quindi l’uomo apprende a partire da se stesso, l’imparare è
visto come ricordo di nozioni che l’uomo ha già in se
stesso. L’anima è ciò che pensa, è immortale e muove se
stessa. La sua immortalità sta nel fatto che l’anima è il
pensare. Dio è corpo e anima generati insieme e
connaturati. L’anima anche se è circondata da cose terrene
deve sempre dirigersi verso ciò che è vero, ovvero verso il
bene, mentre le altre virtù sono più vicine al corpo e
necessitano dell’esercizio il pensare non perde mai la sua
forza. L’universale è l’idea che è colta tramite il pensiero,
ma non è trascendente ovvero lontana bensì l’idea è
l’universale. Fa scaturire il bene universale dalle nozioni
particolari, tramite la negazione del particolare che mostra
la sua falsità esso svanisce e lascia il posto all’universale.
Questo è il movimento del pensiero nel quale
l’universale dissolve in se stesso le contraddizioni. Contro
la dialettica di Protagora che sopprime una cosa e ne
constata un’altra, contro i sofisti i quali annullano il
negativo. L’universale è attivo, concreto e libero poiché si
distingue da se stesso e in se stesso ritorna e nel far questo
vuol dire che si ritrova nell’altro; questo è il principio che
esprime il vero. Il sensibile e il piacevole sono cose infinite
e per l’intelletto l’infinito è la cosa più importante ed
elevata e l’importanza dell’infinito sta nel fatto che è
indeterminato. Il finito invece è il limite, la determinazione
e l’unione di questi due aspetti genera tutto ciò che è bello.
Il nous governa il mondo. Dialettica come considerazione
di ciò che deve valere come determinazione, ovvero dei
pensieri. L’idea è l’essenza divina, essa pesa assolutamente
se stessa, è il movimento del pensare, la sua vita. Dio è il
bene e non ha invidia, ha fatto il mondo simile a se
dandogli l’anima, ma egli è solo l’ordinatore della natura ed
essa non dipende da lui. All’inizio furono fatti i due estremi
fuoco e terra ma non avrebbero potuto unirsi senza un
legame generato da un terzo. L’intelletto è generato da 3
punti: 2 estremi (singolare e particolare) e un punto medio
(universale), gli estremi si uniscono nell’universale con se
stessi tramite l’altro, in tal modo gli estremi sono uguali
quindi l’uno si unisce all’atro e con se stesso. Il mondo
eterno ha una copia che è collocata nel tempo ed è
mutevole, viene amministrato dall’uomo e per questo
Platone come dovrebbe essere uno stato. Lo divide in 3
classi che rappresentano 3 virtù (uomini di stato,
guardiani=filosofi connessa c’è la saggezza=ragione,
uomini di valore=valorosi connessa al valore che non
indietreggia davanti alle passioni=ira e in fine ci sono
coloro che esercitano un mestiere=connessi alla
temperanza=bisogni e passioni). La giustizia deve valere
per l’intero stato poiché presuppone la libertà
STORIA DELLA FILOSOFIA !25

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